Pomezia Notizie 2014/3

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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 22 (Nuova Serie) – n. 3 - Marzo 2014 € 5,00

SETTE DOMANDE A

LUIGI DE ROSA Intervista a cura di Rosa Elisa Giangoia

C

om'è avvenuta, nella tua vita, la scoperta della tua vocazione poetica ? (De Rosa): Purtroppo, quando avevo meno di nove anni, i miei genitori si separarono. Da allora sono cresciuto senza mamma, oppresso da un dolore e da una solitudine inimmaginabili, negli anni del dopoguerra, vivendo di malavoglia con mio padre, buono ma quasi sempre assente perché commesso viaggiatore (con l'abbonamento ferroviario per


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All’interno: Tra Massimo Mila e Luigi Nono, di Ilia Pedrina, pag. 7 Guido Zavanone: Tempo nuovo, di Liana De Luca, pag. 12 Giornata del Ricordo delle Foibe, di Giuseppe Giorgioli, pag. 13 I Promessi Sposi in dialetto lucchese, di Giuseppe Leone, pag. 16 Il Futurismo, di Giuseppe Anziano, pag. 18 Verdi, il grande genio musicale, di Emilio Carsana, pag. 20 Giorgina Busca Gernetti: Itinerario..., di Eugen Galasso, pag. 23 Guido Zavanone: Il viaggio stellare, di Piera Bruno, pag. 24 Anna Aita: Domenico Defelice, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 26 La Somalia, di Leonardo Selvaggi, pag. 29 Rimpatriata, di Isidoro D’Anna, pag. 32 Luci della Capitale, di Noemi Lusi, pag. 33 Premio Città di Pomezia (Regolamento), pag. 35 I Poeti e la Natura (Gianni Rescigno), di Luigi De Rosa, pag. 36 Notizie, pag. 54 Libri ricevuti, pag. 57 Tra le riviste, pag. 59

RECENSIONI di/per: Franca Alaimo (“di Rescigno il racconto infinito”, di Sandro Angelucci, pag. 38); Elio Andriuoli (Antologia, di Rossella Cerniglia, pag. 39); Alberta Bigagli (“di Rescigno il racconto infinito”, di Sandro Angelucci, pag. 40); Marina Caracciolo (Il respiro dell’Addio, di Antonio Vitolo, pag. 41); Tito Cauchi (Pagine di diario, di Mimì Frisina, pag. 42); Tito Cauchi (Con le mani in croce, di Domenico Defelice, pag. 42); Tito Cauchi (“di Rescigno il racconto infinito”, di Sandro Angelucci, pag. 43); Mariano Coreno (Paese, di Antonia Izzi Rufo, pag. 45); Salvatore D’Ambrosio (I simboli del mito, di Nazario Pardini, pag. 45); Paolangela Draghetti (Paese, di Antonia Izzi Rufo, pag. 46); Maria Antonietta Mòsele (I simboli del mito, di Nazario Pardini, pag. 47); Maria Antonietta Mòsele (Tra ioni e furori, di Rocco Cambareri, pag. 47); Walter Nesti (Domenico Defelice Un poeta aperto al mondo e all’amore, di Anna Aita, pag. 48); Nazario Pardini (Sotto ogni cielo, di Aurora De Luca, pag. 49); Orazio Tanelli (La lunga notte, di Aldo De Gioia - Anna Aita, pag. 51);Anna Vincitorio (Paese, di Antonia Izzi Rufo, pag. 53). L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 60 Lettere in direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 65

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Rocco Cambareri, Georgia Chaidemenopoulou, Panagiota Christopoulou-Zaloni, Domenico Defelice, Liana De Luca, Menotti Galeotti, Themistoklis Katsaounis, Flavia Lepre, Mak Manaka, Adriana Mondo, Walter Nesti, Serena Siniscalco, Susana Soiffer

l'intera rete, da Pola a Palermo). A scuola mi impegnavo molto, specie nelle materie

umanistiche. Ho frequentato il liceo classico Chiabrera di Savona, e la mia unica conso-


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lazione erano gli amici e la stupenda natura di Loano e del suo entroterra, in cui sono cresciuto. A diciotto anni mi sono iscritto all’ Università di Genova e me ne sono andato di casa, mantenendomi con lavori precari da impiegato o con ripetizioni a ragazzi di scuola media. Appena laureato, e dopo un anno e mezzo di militare, ho insegnato per alcuni anni in scuole statali finché ho vinto un concorso nazionale a funzionario direttivo del Ministero della Pubblica Istruzione. Sistematomi in ruolo, mi sono gettato nel lavoro e nello studio, finché, superando concorsi interni, sono arrivato a conseguire la qualifica di dirigente superiore e di provveditore agli studi. Ho cambiato varie sedi di lavoro in tanti anni (Udine e il Friùli, Trieste e la Venezia Giulia, Torino e Alessandria, Savona e Genova, Bergamo), e a parte le periodiche convocazioni a Roma in viale Trastevere per istruzioni, sono stato inviato in missione , dai Ministri del momento, a numerosi Convegni di studio sia in Italia che all’estero (Francia, Jugoslavia, Stati Uniti, etc.). Per avere favorito la collaborazione scolastica-culturale fra docenti di Italia e Francia Mitterrand mi ha nominato Chevalier de France mentre il presidente della Repubblica Italiana mi ha nominato Commendatore per il complesso della mia attività (ma queste due circostanze non le avevo mai palesate a nessuno prima di oggi, e per me non hanno importanza ). Fin da ragazzo ho sempre amato moltissimo la letteratura italiana, ho letto un mare di libri di poesia e di critica, collaborando a giornali e riviste. Il primo che mi pubblicò poesie fu Giovanni Cristini, su una rivista nazionale de La Scuola Editrice di Brescia. In seguito uscirono mie poesie, nei primi anni Cinquanta, su altre riviste, tra cui una di Reggio Calabria, “La Procellaria”, di Francesco Fiumara. E da allora la passione di scrivere e pubblicare …non mi ha più abbandonato. Quando tu hai iniziato a scrivere poesia, nel 1952, la fortuna dell'Ermetismo era ormai consolidata, e anzi semmai poteva

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sembrare a rischio di essere scalzata da una poesia neorealista o comunque “impegnata”, cosa che non è avvenuta. Tu hai scelto quella che allora poteva sembrare una linea minoritaria, in esaurimento, una poesia dai toni elegiaco-sentimentali, in una forma discorsiva e colloquiale. Quali sono state le ragioni di questa tua personale voce ? Nonostante la mia solitudine interiore (o forse proprio per questo) ho sempre amato molto la vita, la bellezza, l’amore (in cui ho sempre privilegiato la dolcezza), e comunque non ho mai ceduto ad un certo facile sentimentalismo, dal quale, anzi, ho sempre rifuggito e rifuggo come dall’anti-poesia. Quanto a quella che tu chiami la mia “ personale voce “, credo che essa, se esiste, derivi dal mio avere sempre dato ascolto alla mia “verità” interiore, quella verità che vive nell’intimo di ciascuno. Non mi hanno mai interessato le ricerche astratte e formali sul linguaggio letterario per trovare a tutti i costi una propria “originalità” espressiva, ma mi sono preoccupato, piuttosto, di rendere il più fedelmente possibile la “realtà” del mondo interiore, l’unico che ci permette di entrare in autentica relazione con quello esterno. Il quale ultimo è “reale” soltanto in quanto è il mondo interiore del poeta ad attribuirgli una “realtà”. (Quindi niente descrittivismo o paesaggismo fine a se stesso). Inoltre, a me è sempre interessato farmi capire dal lettore, sulla falsariga di quanto sosteneva il grande Umberto Saba. (E pazienza se poi Edoardo Sanguineti ha definito quella sabiana la “poesia onesta”, purché non intendesse dare a questo aggettivo una connotazione riduttiva). Del resto, credo che la mia poesia si possa definire, più che di tono discorsivo e colloquiale, una poesia di tono “lirico-narrativo”. Proprio per rispettare quelle inderogabili necessità: mantenersi fedeli a se stessi ma non rompere mai il legame con gli altri e col mondo in cui viviamo ; farsi capire dagli altri uomini ; restare coerenti al flusso inarrestabile della “realtà” che non rimane immobile in una poesia “sta-


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tuaria”, “rarefatta”, “cerebrale”, volutamente incomprensibile alla maggioranza degli uomini. Sono sempre stato d’accordo con Eugenio Montale sulla necessità di “torcere il collo alla nostra vecchia lingua aulica”. E aggiungo che io torcerei il collo anche al suo opposto, a certa antipoesia sciatta e imbottita della più micidiale retorica dell’ antiretorica. Della poesia di Montale ho sempre ammirato la stupenda capacità …“liriconarrativa”, quella di cercare instancabilmente la soluzione degli enigmi della vita nei dettagli, anche in quelli che ad altri possano sembrare insignificanti (“Il poeta è un investigatore…Il poeta ha bisogno di porre punti fermi in quel mondo di innocenza, dolore, insensatezza, che è il nostro mondo. Per sé e per gli altri…In definitiva si salverà solo ciò che riflette una preparazione e la capacità di sentire l’erba che cresce… Quali erano agli inizi della tua stagione poetica gli autori che ti erano più cari, che sentivi più vicini ? Chiarito, comunque, che all’Ermetismo mi sono sentito vicino solo in parte, gli Autori che mi sono stati più cari e che ho sentito più vicini, oltre a Montale e Saba, sono stati prima Paul Eluard, e poi Giorgio Caproni, Franco Fortini e Giovanni Giudici. Aggiungo che ho sempre nutrito una predilezione particolare per i poeti “liguri” come Camillo Sbarbaro, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Giovanni Descalzo, Angelo Barile, Adriano Grande ed altri. Così come seguo con affetto la produzione di molti poeti e poetesse che in questi nostri anni vivono e scrivono in Liguria o in altre Regioni (non faccio nomi solo perché rischierei di dimenticarne qualcuno). A distanza di oltre cinquant’anni come vedi questa tua scelta, a cui tu sei rimasto fedele, nonostante l’involuzione dell’ ermetismo in un esasperato analogismo e metaforismo che riducono le possibilità comunicative della poesia ? Sono d’accordo con te che poi l’Ermetismo

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ha finito con l’involversi in un esasperato analogismo e metaforismo. Ed è proprio per questo che noto, con una certa soddisfazione, a distanza di (ahimè) oltre cinquant’anni, che la fedeltà a quelle “scelte”, a quelle ragioni del vivere e del poetare di cui ho parlato nella risposta alla tua prima domanda, è risultata “pagante”. Comunque non bisogna mai adagiarsi, perché …il punto di arrivo si allontana sempre di più man mano che sembra avvicinarsi. Il critico Rodolfo Tommasi ti ha ascritto a quella “scuola ligure”, per alcuni “ linea ligure “, da molti anche messa in discussione : tu cosa pensi di questa stagione poetica e come ritieni di rapportarti ad essa ? Non so se competa a me giudicare se appartengo o meno, e in che misura, alla cosiddetta “scuola” o “linea” ligure, e nel caso affermativo come mi debba rapportare ad essa. L’ editore di un mio libro, “Approdo in Liguria”, il torinese Sandro Gros Pietro, poeta e critico, ha scritto, tra l’altro, che faccio “rivivere il mito ligure, la tradizione di grande poesia, prima di tutto nello splendore della natura…sia essa colma di abbagli di luci e di colori, sia essa aspra, severa, contorta, fustigata dal vento, nella lotta per la vita…” E aggiunge Maria Luisa Spaziani, nella prefazione, che io,“con una intelligenza montaliana “ (addirittura) non mi limito alle “suggestioni iniziali dello sfondo di natura”, e che la mia poesia “L’aratro del tempo” le ricorda la montaliana “Riviere”, (troppa grazia!) concludendo con un “ siamo grati a Luigi De Rosa per questo messaggio poetico di vitalità, di umanità e di fantasia. Ci invita a un viaggio delizioso che ancora una volta ci porta, con timbro suo personale, in atmosfere liguri punteggiate da nomi ( di luoghi) ormai favolosi in poesia…”. Ma a parte le considerazioni troppo generose della Spaziani, ritengo di poter cedere la parola, per rispondere a questa tua impegnativa domanda, proprio a un non ligure, ad un toscano, Rodolfo Tommasi, giornalista e critico


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letterario che mi segue da molto tempo, collaboratore per quasi trent’ anni di RAI TRE, de “Il Ponte” e delle Case Editrici Vallecchi di Firenze ed Helicon di Arezzo. Tommasi ha scritto, fra l’altro: “Assimilato alla peculiare temperie culturale della Liguria (vivendone la solarità e il mistero, la drammaticità come le intriganti morbidezze delle emozioni percettive, talvolta trasfuse persino in effetti di umanizzazione del paesaggio) Luigi De Rosa postula un linguaggio che salda gli umori della grande tradizione ligure a quelle istanze di inquietudine germinate da una coscienza profondamente e motivatamente legata al concetto di contemporaneità.” Anzi, secondo Tommasi, tutta la mia produzione poetica si articola su queste basi. Avrà ragione lui, o avranno ragione alcuni autori liguri “autoctoni”e “puri” secondo cui, provenendo io da genitori partenopei, resterei pur sempre un “foresto”, anche se sono cresciuto e ho vissuto la mia vita fra Loano, Savona, Genova e Rapallo (dove ri-

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siedo da quando sono in pensione)? Del resto il grande Montale (perdonami l’ accostamento temerario, ma comunque limitato a questa problematica) ha trascorso solo una parte della sua vita in Liguria, prima di emigrare a Firenze e a Milano. Caproni era livornese eppure nessuno potrebbe sminuire il suo ruolo importante nella poesia ligure. Del resto al giorno d’ oggi, con una indispensabile apertura all’ Europa e al Mondo, non mi sembra poi fondamentale se un poeta (che, naturalmente, sia tale) appartenga a una regione o ad un’altra, a una “ scuola” o ad un’altra ( ammesso che di scuola o linea si possa parlare…). Direi che il tuo rapporto con la Liguria si può definire circolare, dalla giovanile formazione a quel ritorno che tu definisci “approdo” : in mezzo ci sono tanti luoghi (Torino, il Friùli, Venezia, Trieste, la Costa Smeralda, Bergamo…) in cui sei stato per ragioni diverse e che ti hanno ispirato. Qual è il rapporto tra i luoghi in cui ti trovi e la tua ispirazione poetica? Altra bella domanda. Ti dirò che quando vivevo in Liguria non vedevo l’ora di affrontare la vita altrove. E quando le traversie della vita e le esigenze di lavoro mi portavano in luoghi diversi finivo con l’ innamorarmi della storia culturale e poetica di tali luoghi. Però, in fondo al mio animo, restava pur sempre (lo dico senza alcuna retorica) la voglia di-


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sperata di tornare in Liguria. Certo, quando ero lontano non potevo vivere senza la poesia e l’ amicizia con altri poeti, anche molto importanti E diciamo pure che, essendo nel contempo sia provveditore che amante della poesia, era quasi inevitabile che prima o poi finissi con il fare amicizia con tanti poeti e scrittori che lavoravano nel mondo della Scuola (come Diego Valeri, professore universitario, di cui frequentavo la casa a Venezia in Sestiere Dorsoduro, e che ho portato ad incontri festosi con scolari e studenti), o come il grande Andrea Zanzotto (maestro elementare) di Pieve di Soligo nel trevisano, che a casa sua mi regalò il suo libro “Gli sguardi i fatti e senhal”, o come un altro grande maestro elementare come Bino Rebellato, di Cittadella di Padova, o come gli amici friulani e giuliani a Udine e a Trieste, (tra cui Dino Menichini, che favorì la mia collaborazione al quotidiano Messaggero Veneto, Carlo Sgorlon de Il trono di legno, Fulvio Tomizza di Materada, sia romanziere che autore di favole e libri per ragazzi) o come quelli degli ambienti culturali torinesi, come la scrittrice Liana De Luca ( docente) e la Genesi Editrice e lo scrittore e critico Sandro Gros Pietro (docente), e il Centro Pannunzio (il cui presidente, dopo Mario Soldati, è stato , ed è, Pier Franco Quaglieni, docente liceale) o come gli amici poeti del Cenacolo Orobico di Poesia a Bergamo, e tanti, tanti altri ma adesso non posso citarli tutti. Così oggi vivo, nuovamente e finalmente, in Liguria e ho tanti amici poeti, tutti validissimi, da La Spezia ad Imperia, però ho anche tanti amici poeti e scrittori in tutta Italia. La poesia “Luoghi”, che conclude “Approdo in Liguria”, sembra però escludere un rapporto soddisfacente con i luoghi in cui per ragioni diverse ti sei trovato a vivere. La poesia “Luoghi” sta appunto ad indicare, secondo me, che in definitiva il cuore dell’ uomo (a meno che non abbia perso ogni curiosità per la vita) non può sentirsi appagato,

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una volta per tutte, da nessun luogo terreno determinato, poiché esso aspira sempre, e comunque, ad un “oltre”, ritenuto “ migliore”. Rosa Elisa Giangoia (critico letterario, poetessa e scrittrice, presidente della “Associazione di scrittori liguri Il Gatto certosino”, Genova) Immagini: Pag. 1: Luigi De Rosa in Val d’Aveto, sull’ Appennino Ligure, tra le province di Genova, Parma e Piacenza. Pag. 5: Luigi De Rosa nel suo studio in una sua casa nell’entroterra di Rapallo.

ALLELUIA DELLA BELLE EPOQUE Il presidente Hollande visita l'amante travestito da motociclista. Il suo indice di gradimento cala del 7%. Non ci sono più i francesi di una volta. Rossano Onano Già! Più che Bella, è una Brutta Epoque quella che noi viviamo. Tutto muta e si evolve, anche i Francesi come noi cambiamo. Hollande vestito da centauro è meglio che da frate o da infermiere, costumi tanto amati dal nostro esilarante Cavaliere. Allor che in noi s’infiammano gli ormoni, non basta una tuta ignifuga; diveniamo tutti ridicoli, d’ogni ceto e livello, ignoranti, poeti, Balanzoni. Il colmo è che i Cugini, dopo il sorriso a scherno Sarkozy, sian naufragati anch’essi in una storia di ...passere e pulcini, una vera rottura di marroni, peggio di quella nostra, dovuta a Berlusconi! Domenico Defelice


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Disegno di Serena Cavallini

“NULLA DI OSCURO TRA NOI”:

TRA MASSIMO MILA E LUIGI NONO, IN CORRISPONDENZA, UN QUADRO CHIARO TRA ETICA POLITICA E RICERCA MUSICALE D'AVANGUARDIA di Ilia Pedrina

I

L 23 Gennaio 2014 ero a Venezia, all'Archivio Luigi Nono, alla Giudecca: la moglie del compositore veneziano, Nuria Schönberg Nono, impegnata tra Venezia e Vienna, mi ha promesso un incontro per il mese di Marzo. Lei lo ha conosciuto ad Am-

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burgo, quando il suo Papà, Arnold Schönberg, compositore tedesco ebreo sul quale sto lavorando assai seriamente, dirige proprio il 'Moses und Aron' ed ora è ancora lei a coordinare e a guidare tutte le iniziative che in tantissime parti del mondo vengono intraprese in nome di suo padre e di suo marito, il compositore veneziano Luigi Nono. Le ho detto che lei occupa uno spazio specialissimo, come donna, tra loro due e lei, con un sorriso tra il gioioso e l'ironico, mi ha risposto: “E se fossi stata un uomo?” Sorrido anch'io e poi mi metto a parlare con la Direttrice dell'Archivio, per maggiori dettagli ed investigazioni, in particolare relative alla 'scoperta' di Luigi Nono intorno al compositore Nicola Vicentino, classe 1511, tutto indaffarato a rompere l'intervallo del semitono in molte parti, sfidando la sorte, che allora era guidata dai saggi del Vaticano e costruendo un archicembalo con tastiere predisposte ad avere anche più 'fratture' nella frazione consueta, che doveva essere rigorosamente rispettata, soprattutto nelle composizioni a tema sacro! Vengo ora a questo libro: 'Massimo Mila e Luigi Nono 'Nulla di oscuro tra noi' - Lettere 1952-1988', a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, ed. Il Saggiatore, Milano, 2010. Luigi Nono nasce a Venezia il 29 Gennaio del 1924, proprio di fronte al grande canale della Giudecca, alle Zattere, si laurea in Giurisprudenza a Padova nel 1946 ed ha già alle spalle studi seri e di qualità, per il pianoforte e per la composizione con Gian Francesco Malipiero, Bruno Maderna, Herman Schercher, tutti coinvolti nel far evolvere la tonalità verso nuovi ed incredibili approdi, quali la dodecafonia ed il serialismo. Così il suo volto si fa 'europeo', proprio quando nel 1950 partecipa a Darmstadt alle Ferienkurse für neue Musik e dove porta il suo lavoro su Arnold Schönberg, 'Variazioni canoniche sulla serie dell'op. 41 di Arnold Schönberg', per orchestra. Da 'europeo' a 'mondiale' il passo è brevissimo, dato che a Darmstadt arrivano giovani compositori e studiosi da ogni parte, e dato che poi arriverà, complice, una politica internazionale fatta d'imperialismi in contra-


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sto tra loro e di blocchi irrazionali, di ingiustizie e soprusi e violenze d'ogni sorta, che obbligano e forzano una reazione che deve coinvolgere, nel suo profondo convincimento, anche la produzione musicale. L'umanità e le sue lacrime, le sue grida, le sue proteste avranno in lui una voce nuova, necessaria, vitale, audace ed in questo percorso di indagine e di progettazione compositiva Venezia sarà lo sfondo di tanti suoi lavori. Qui, il giorno della sua morte, la città sarà letteralmente tappezzata di fogli con il suo nome, di fotografie, di ricordi. Massimo Mila nasce a Torino il 14 Agosto del 1910 ed ha amici della 'capitale' produttiva d'Italia che guardano, in epoca fascista, oltre e altrove, perché il respiro culturale sia attivo e pieno, senza soffocamenti. Intellettuale e studioso dell'arte musicale italiana e tedesca, d'Ottocento e del Novecento, riesce ad equilibrare interesse politico volto a sinistra, collaborando anche con la Casa Editrice Einaudi, e apertura alla condivisione d'una cultura che vuole essere di stimolo al rinnovamento. Ecco perché nel corso di quest'opera quei quattordici anni di distanza tra i due e le differenti provenienze geografiche si attenuano sempre fino a scomparire, quando il dettato etico si fa cultura vera. Egli morirà nel 1988, due anni prima del suo amico. Ho qui allora, con questo testo, un Carteggio complesso ed articolato, spontaneo ed affettuoso e prismatico ad un tempo, nel quale il rispetto reciproco tra questi due grandi protagonisti della cultura musicale ed eticopolitica del nostro tempo, in Italia, in Europa, nel mondo, può assumere le caratteristiche di un modello d'amicizia, di lealtà, di franchezza, sul quale meditare. Perché l'Italia di quegli anni prende dentro i risvolti del secondo dopoguerra, in Italia e non solo, della guerra del Vietnam, la situazione degli operai italiani nelle fabbriche del Nord Italia, tra Genova e le sue acciaierie, Torino, Milano e le raffinerie di Porto Marghera a Venezia, gli esasperati tentativi di agire nell'ombra ed allo scoperto, tra eccidi e violenza programmata, l'assassinio di Aldo Moro: Luigi Nono ha nella mente

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profili e percorsi da rendere in musica ed in ogni spazio alternativo disponibile, anche a partire dalla Poesia. Perché l'ipotesi, più e più volte raggiunta e superata e nuovamente oltrepassata è quella di mantenere aperta la ricerca delle sonorità anche attraverso la strumentazione fonologica con nastri magnetici e materiale elettronico, nel loro intimo rapporto con il canto solista, il coro, la poesia, anche recitata dentro e raccolta dagli interpreti come emozione. Questa è la rivoluzione come cambiamento deciso, irreversibile, in cammino, così la intende il compositore veneziano, così la comunica al suo amico, il musicologo Massimo Mila, che scrive i suoi 'pezzi' su L'Unità, su La Stampa, su La Nuova Rivista Musicale Italiana, della quale è codirettore ed altre testate di prestigio. Ma prima di tutto e sopra tutto i suoni della vita, della fabbrica, i rumori della strada, le grida disperate di prigionieri torturati, inseguiti, feriti e tutto ciò che esce dalla bocca dei torturatori tocca il musicologo nella mente e nel cuore e viene riportato con voci registrate, nastri magnetici a piastre e strumentazioni in orchestra con cori di supporto e di figura, mentre le voci femminili soliste si inoltrano in risultati sconvolgenti, toccanti. Così Massimo Mila decide di lasciarsi coinvolgere, di capire, di approfondire, di interpretare, di comunicare, di intrecciare la sua esistenza con quella del compositore veneziano. Prendo una Lettera, la n. 62 del testo, senza luogo di provenienza ma con data '29 Agosto 1969', quando Nono intende chiarire all'amico gli innegabili aspetti etico-politici dei suoi lavori ai quali non intende rinunciare, sia quel che sia: “Caro Massimo, evidentemente non ci intendiamo. mi sembra parli con me un linguaggio che non parli con gli altri. il che è bene e giusto, poiché gli altri sono oggi mistificatori falsari dei nuovi portatori della voce del cosmo o dello spirito libero (Stockhausen e soci)io no, molto semplicemente tento di aggiungere la mia voce a quella fondamentale oggi della classe operaia


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con tutti i problemi attuali. tu continui a parlare di me e di propaganda... tu, e ricordi tempo fa, vieni da TORINO della classe operaia delle occupazioni delle fabbriche da Torino di Gramsci di Togliatti di Gobetti del Rosselli degli scioperi del 43 fino oggi alla Fiat del giugno luglio del 69 e quello che sarà settembre ottobre del 69. quale mondo noi vogliamo? Come rapportare la “cultura” e la “musica”? forse possiamo fare poco, ma gli altri fanno contro (termine sottolineato in nero)! e gli altri mi attaccano per questo, giustamente. e ne sono felice, per differenziazione per polemica per altra prospettiva. ma tu MASSIMO MILA con la tua storia non puoi startene buono storico “oggettivo” a vedere. nel passato non sei stato a vedere. e come puoi oggi???? (…) capisci che sono molto incavolato per la si-

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tuazione attuale qui. Isolato anche all'interno del PC. ma unito con la base nella prospettiva di lotta di scontro. e una mia partitura non vale uno sciopero della Fiat della Montedison fino in fondo. cioè uno sciopero uno scontro e finalmente la lotta armata finale - che sarà sicuramente così e non partito di governo “amendoliano”- aprirà nuove necessità per la musica anche, come per tutto il mondo e uomo nuovo! propaganda? no, è la mia base di vita di lavoro di amare di lottare. a presto ti abbraccio GiGi 29 – 8 – 69” (op. cit. pp.130-132) Trascrivo esattamente dal testo perché Nono, dopo il punto, non mette mai la lettera maiuscola, gli va bene così, perché la scrittura è già cultura e strumento di conoscenza, vale il 'che cosa' viene scritto, poi verrà anche il 'come', ma questo concerne sopra tutto le composizioni e la struttura delle loro realizzazioni nello spazio! La nota dei curatori spiega, per gli ultimi incisi di sapore politico, che era apparso in data 21 agosto 1969 su Rinascita un articolo di Giorgio Amendola 'Partito di governo', nel quale egli aveva sostenuto che le sinistre si unissero tutte in funzione di un'alternativa di governo, contrastando così la linea più radicale interna a quel partito. L'amico Mila lo aveva 'stanato' lo stesso giorno, da Torino, provocandolo apertamente sul piano politico e programmatico, invitandolo a chiarire, a spiegare, a dettagliare la sua posizione, con quel rispetto profondo e quella lealtà che vengono immediatamente rilevati: “... Ma anche quando non approvo le tue decisioni, ammiro sempre la purezza e la generosità delle intenzioni che ti muovono...” (op. cit. pag. 128). Arrivo al contesto poetico, a quei testi ed a quegli Autori che Luigi Nono ritiene fondamentali per attingere esperienze, emozioni e consapevolezza storica di una condivisione che diventa vera crescita etica, politica, sociale: parte tra il 1948 e il 1949 da due liriche


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greche che, nella traduzione di Salvatore Quasimodo, vengono utilizzate per 'La stella Mattutina' (da Ione di Ceo), per coro (quattro contralti) e sette strumenti e per 'Ai Dioscuri' (da Alceo), per coro misto, pianoforte, timpani e percussione, per arrivare a testi di F. G. Lorca e di Pablo Neruda 'Epitaffio per Federico Garcia Lorca I. Espaňa en el corazón', tre studi per soprano, baritono, coro parlato e strumenti, nel corso del 1951-'52, composizione seguita successivamente da altre due elaborazioni in partitura che completano il percorso 'spagnolo'. Sarà poi la volta di affrontare quei testi dei condannati a morte della Resistenza europea, raccolti e scelti per Nono da Giovanni Pirelli, incanalati e risolti ne 'Il canto sospeso' per soprano, contralto, tenore, coro misto e orchestra. Arriveranno poi Pavese, Ungaretti, Machado, Ripellino, Brecht, Eluard, Majakovskij, Sartre e altri ancora, fino a quando continua la collaborazione con Giovanni Pirelli, lungo il corso degli anni 'Sessanta' e 'Settanta'. A breve farà la sua comparsa all'orizzonte veneziano Massimo Cacciari, che Mila scherzosamente e con ironia modifica in 'Kakkiari', alla viennese. Scrive Nono all'amico torinese tra il 9 maggio ed il 6 giugno 1978: “ … CACCIARI: è una nuova intelligenza di vastissimo significato culturale politico propone nuovi problemi, anche nella lettura del passato, con nuova capacità straordinaria dialettica analitica da Marx (senza ismi) cultura vera grandissima, specie quella tedesca, soprattutto Weimar, Vienna, la Mitteleuropa, i greci, la chimica, le centrali elettroniche, l'energia, i problemi nostri (tanti!!!) aprendo, sollecitando provocando l'intelligenza la sensibilità l'umanità nostra, fortemente... OSTIA: LA NOTIZIA DI MORO ASSASSINATO!!!!!... dopo vari lavorii finalmente CACCIARI mi ha dato il testo per il nuovo teatro musicale, ora ci lavoro É BELLISSIMO!!! con Cacciari il lavoro si sviluppa molto bene, in piena unità, di discussione, di proposte, di scelte e corrisponde perfettamente alla mia

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attuale necessità di innovare, continuamente, il linguaggio - la tecnica - la problematica umana ideale, la finalità - il suo testo - parte da frammenti del PROMETEO di ESCHILO, con altri frammenti greci - storici - teorici lirici - fino a oggi cioè niente collage - la sua intelligenza creativa problematica che innova e propone nuova tematica di pensiero - di questioni - di angolazione. ne sono felicissimo...” (op. cit. pp. 170-173). Intenso, fecondissimo, inesauribile sarà anche il rapporto con Claudio Abbado e Maurizio Pollini: in tante lettere a Mila Nono ne parla e ne lascia intravvedere la forza dialettica, creativa, innovativa. Infatti nella stessa lettera egli accenna: “... il concerto a Londra è stato veramente fantastico!!! con la LSO splendida con Claudio e Maurizio come mai - e con Mahler - scoperto ancora rapporti strutturali e di pensiero con Mahler - anche timbrici anche nel rapporto voce-canto e orchestra - e nei rispettivi materiali acustici - processo compositivo e mentalità (pur nella differente storia) BELLISSIMO!!! ti sono molto grato per quanto mi hai fatto avere e per la tua continua presenza con me....” (ibidem). Si tratta della composizione 'Como una ola de fuerza y luz', eseguita a Londra con la London Symphony Orchestra, diretta proprio da Claudio Abbado il 18 maggio 1978. Al pianoforte lui, Maurizio Pollini, con una partitura su testi di Julio Huasi. Amici fin dagli anni Sessanta, si trovano legati dall'entusiasmo della ricerca e della creatività, sia quella compositiva che quella interpretativa, in costante evoluzione e Luigi Nono dedica loro parole e scritti e partiture con estrema, sincera, prorompente determinazione, tra le magie che Venezia era sempre in grado di provocare. Su tutto la ricerca, il silenzio, nel quale trovare se stesso e gli altri, perché i colori, come sostiene il compositore, nel fluire delle acque, si possono anche ascoltare, complice talora la nebbia. Ritornando a questo testo, in copertina sono riportate, a colori tenui e con modalità talora


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di sovrapposizione, le scritture dei due amici, da lettere o cartoline: elegante, chiara con qualche voluta d'arricchimento per Mila; tesa, articolata, paradossalmente, in geometrie di schemi ed ipotesi di progetto per Nono, quasi partitura preliminare e tessitura del nuovo, sulla quale far convergere l'attenzione. Nella sezione finale sono riportati gli importanti articoli di Massimo Mila, che completano il materiale come risvolto documentato ed interpretativo delle differenti composizioni di Luigi Nono. Un mondo ora edito, da esplorare. Ilia Pedrina Nelle foto: Massimo Mila e Luigi Nono ADOLESCENZE di SUSANA SOIFFER Carissimo Domenico, ti invio la bella poesia di Susana Soiffer (Adolescencias) che tanti anni fa – credo più di una dozzina – tu stesso pubblicasti su Pomezia-Notizie. Ora io te la rimando con una mia traduzione in metro (con rime o assonanze, dove possibile!) che spero ti piaccia far comparire, insieme all’originale, sulla tua rivista. Mi hanno sempre colpito questi versi, così malinconicamente “disarmati” e, pur nella rigida struttura delle tre quartine a rima alternata, così immediati e autenticamente sentimentali… Ho scoperto tramite internet che la Soiffer è nata in Argentina, a Buenos Aires, ma fin dal 1967 vive in Israele. Conosce diverse lingue – tra cui l’ebraico – ma scrive soprattutto in spagnolo, che è la sua lingua d’origine. Ha pubblicato raccolte di poesie e romanzi. Di professione è psichiatra. (Peccato che non sia più comparsa su P.-N.!). Marina Caracciolo

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besos fugaces como las espumas, escapada tibieza de las manos. Sus miradas me llegan en las sombras cual negros aleteos de la tarde. Corazón, dí por que ya no lo nombras? - El cuerpo ha reposado y ya no arde. Y me pregunto en juvenil asombro ¿ por qué murió el amor que creí eterno? ¿ por qué, dí corazón, ya no lo nombro? - Por que me he curado, estaba enfermo. ADOLESCENZE Nel triste silenzio, come brume si dipanano i ricordi vani: effimeri baci, come spume, tepore sfuggito dalle mani. I loro sguardi mi giungono dall’ombra, neri voli di uccelli della sera. - Di’, cuore mio, perché non ne fai il nome? - Il corpo quieto più non arde o spera… E ingenua, io, mi chiedo con stupore perché perì l’amor creduto eterno? - Perché, cuor mio, non dico più il suo nome? - Perché sono guarito, ed ero infermo. (traduzione di Marina Caracciolo)

NON ATTENDO Non chiedetemi perché non attendo. Gli sciabordi delle onde solamente sento, che derivano dal Sud e accompagnano il mio tramonto.

ADOLESCENCIAS (di Susana Soiffer. Bat-Yam, Israele)

Non attendo nemmeno di arrivare fino all’oceano. Non ci giungeró… Forse peró lo sogneró. Morfeo é sempre generoso. Panagiota Christopoulou-Zaloni

En el triste silencio, como brumas, se desenvuelven los recuerdos vanos:

da Nel mare della bellezza (Edizioni Vergina, 2013). Traduzione dal greco di Giorgia Chaidemenopoulou

Torino, 24 gennaio 2014


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GUIDO ZAVANONE TEMPO NUOVO di Liana De Luca

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E nel precedente volume Il viaggio stellare Guido Zavanone, condotto da una novella Beatrice, percorreva un simbolico viaggio per le vie dei cieli scrutando dall’alto i mali del mondo, in questo Tempo Nuovo (Ed. De Ferrari 2013 – pagg. 80 – € 10, 00), disceso nell’agone terrestre, aspira a “riveder le stelle” nella ricerca e nella ansiosa aspettativa del divino. La silloge affronta con ritrosa sofferenza la imperscrutabile e dolorosa sorte dell’uomo, che non conosce le ragioni del suo esistere, che spera invano di scoprire, o almeno di intravvedere, quale valore abbia la soluzione della morte. A volte con impasto realistico, a volte con pudore metafisico, spesso determinato dai dati della natura umana, si espandono le note dolenti per la incapacità, impossibilità di sapere, di conoscere, il significato del destino umano. Spesso ritorna il motivo della tomba, come una parete che confonde il passato (dolgono le giunture delle ossa / nell’oscurità le parole / giungono vuote / echi muti i ricordi) oppure impedisce di udire messaggi angelici (Oh decriptare i messaggi celesti / intercettare angeli in estasi con / le immancabili trombe / snidarli mentre bivaccano / sopra i gelidi marmi delle tombe ). Ma la tomba può anche diventare rifugio tranquillo come in Lazzaro, che nella sapiente prefazione Giorgio Bárberi Squarotti definisce “il componimento più tragico e solenne dell’intera raccolta poetica di Zavanone e di tutta la poesia del sacro del nostro secolo (novecento e secondo millennio”. Il dramma dell’esistere è raccontato con voce leggera, quasi con il distacco di chi non è partecipe ma solo spettatore. Però la ricerca di Dio, del Dio absconditus come nell’attuale contesto sociale, si fa più smarrita nei riferimenti di dolente rinuncia nel Padre nostro: “I nostri debiti / rimettici, ma tutto /quaggiù non si potrà perdonare. / Padre, / la nostra tentazione è liberarci, / da noi stessi, dal Ma-

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le.”Qualche volta l’inutile ricerca si risolve nell’assenza, secondo l’originalità dei temi caratteristica dell’autore: “Le porte d’un tempio/lo invitano a entrare/un prete lo accoglie/ accanto all’altare./Lui chiede “C’è Dio?’/ ‘E’ uscito, spiacente , /lo attendo anche io.” L’ironia, sempre sottile e quasi sfuggente, non è una delle chiavi di scrittura meno interessanti dell’autore. Così un sorriso serenamente ironico serpeggia per la concisa disamina di Pollicino: “Per ritrovare la casa del Padre / ho sparso parole sul mio cammino / ma il vento / le ha spazzate ed ancora / cerco il sentiero che porta al divino”. Ricorrente nei testi è il lemma della parola, mimetizzata nei versi o anche tema portante. Ma la parola per Zavanone è sinonimo di poesia, di cui è la più alta realizzazione. E’ presente anche quando l’autore costruisce l’arguto racconto Il grillo, che gli chiede di ascoltare i suoi versi. La parodia delle aspirazioni di sedicenti scrittori è altamente salace: “Compongo di nascosto poesie. Canto / come so come posso, nessuno / mi ha insegnato, vuoi sentire? - / Mi scosto d’istinto poi considero / quanto i poeti desiderano / d’essere ascoltati ( e che dolori /quegli stadi gremiti / e i loro venti lettori!) / ‘Volentieri rispondo…”. La natura è spesso presentata con partecipe attenzione: quella animale e quella vegetale, Così è la difesa della rondine dal freddo, la rosa che non ha lo stelo, l’albero che non rifiorisce ma non è costretto a vedere imputridire nel fango le sue foglie, le cicogne che fanno un nido gigante in cima al palo dell’elettricità. Ma ci sono anche i cani con i loro padroni a guinzaglio. Ancora è da dire come lo stile di Zavanone si sia rinnovato e modificato con una concisione che ne accresce l’incisività. Sintesi dell’indagine che pacatamente si arrovella in se stessa, può essere il testo Don Chisciotte, che ricorda una precedente composizione Calandrino: “O buon curato, / come facesti allora, / metti a letto se puoi / questo malato / perché torni in salute e ‘Deo volente’ / l’infelice pianeta / sia salvato”. Liana De Luca


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GIORNATA DEL RICORDO DELLE FOIBE, IL 10 FEBBRAIO di Giuseppe Giorgioli ER la commemorazione delle Foibe l’ Associazione Coloni ha fatto una breve Cerimonia alle ore 10 del giorno 9 febbraio a Via Martiri delle Foibe – Pomezia e poi presso la Sede dell’Associazione Coloni alle ore 16:30 è stato tenuto un dibattito (tanti - fra cui il col. in pensione Cosimo Romano, l’ing. Risorto Marcello, Enzo Barone, Benito Giorgi, il sottoscritto Giuseppe Giorgioli, ecc. - hanno letto proprie rielaborazioni sull’ argomento). Di seguito si propone quanto da me letto: Le Foibe: una strage non soltanto etnica. Verità sulle Foibe oltre le ideologie Faccio un breve excursus circa la mia più recente esperienza del problema delle foibe e come questo problema sia stato spesso sottaciuto per spirito di parte: Roberto Gervaso rispose ad una mia osservazione circa il fatto che solo lo 0,6 per cento degli studenti maturandi svolse il tema sulle foibe durante l’Esame di Stato dell’anno 2011. Osservai che ciò fosse dovuta ad una carenza di svolgimento del programma di storia, forse per mancanza di tempo, ma spesso volutamente. Gervaso mi rispose sul Messaggero il 17 gennaio 2012, osservando che su una Garzantina, enciclopedia universale tascabile, alla voce Foibe si legge: ”Foibe, varietà di doline frequenti in Istria”. E Gervaso sul Messaggero dice: ”Non si vergognano, gli estensori della voce, di avere liquidato con questa telegrafica definizione una delle più orrende tragedie nazionali, una delle più abominevoli pulizie etniche della seconda guerra mondiale? Che faccie di bronzo, che impudenti impuniti. Capisco la fedeltà a una ideologia, travolta e massacrata dal Muro di Berlino, ma non capisco una così vile improntitudine, una simile e sfacciata e deliberata omissione. Mi è venuto un tale voltastomaco che ho acceso il caminetto e bruciato l’ enciclopedia. …omissis”. Ancora Gervaso sul Messaggero del 4 apri-

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le 2013 risponde ad una sua vecchia amica triestina, Miriam, che gli osservava che una scuola romana del quartiere giuliano-dalmato sia stata intitolata al grande Montanelli. Fin qui nulla di male, anzi. Ma quella scuola era già dedicata a Giuseppe Tosi. Chi era? Un maestro elementare che aveva insegnato nelle scuole di Volosca e Abbazia, in Istria, e che, durante la prima guerra, aveva abbracciato l’ irredentismo e insegnato agli alunni il pensiero di Mazzini e l’amore per la loro vera Patria. Durante la seconda, aveva difeso la sua italianità, suscitando le ire degli scherani di Tito, che, dopo averlo massacrato di botte, lo gettarono in mare. Era il 1945 e si stava compiendo il tragico destino di quelle terre e dei loro abitanti. Quale miglior ricordo di questa nobile figura se non l’intitolazione di una scuola frequentata dai discendenti di quelli che già erano stati suoi alunni? E’ stata una gran furbata, sarebbe stato troppo sostituire questo scomodo personaggio con un Pajetta o un Berlinguer. Così si è ricorsi a Montanelli. Gervaso così ha commentato: “Cara Miriam, ho pubblicato quasi integralmente la sua lettera perché la pusillanimità dei nostri amministratori, che non metterei a capo nemmeno di un condominio o di un centro sportivo alla Garbatella, va denunciata…Montanelli, il grande, il grandissimo Montanelli (e te lo dice chi per lustri gli fu allievo) sarebbe stato, ripeto, il primo a indignarsi per questa “vigliaccata”, che non sappiamo a chi addebitare.” E’ notizia del Messaggero del 21 gennaio 2014 l’annuncio in Commissione scuola dell’annullamento delle visite scolastiche dedicate al ricordo delle Foibe, facendo passare una visione ideologica di questi viaggi, come se ce ne fossero di destra e di sinistra! Oggi, dieci anni dopo l’istituzione della Giornata del Ricordo (il 10 febbraio), quel silenzio opportunistico e omertoso sembra appartenere al passato. Il tempo, insomma ha emesso il suo verdetto, la parola riconciliazione può essere pronunciata: resta, però l’ esigenza dell’obiettività storica. Quante sono state le vittime delle foibe? Secondo uno degli storici più accreditati, Elio Apih, poco più


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di 11.000. Se poi consideriamo gli effetti generali della repressione in Istria, Fiume e Dalmazia, che portò all’esodo, arriviamo ad una cifra ben superiore, probabilmente intorno ai 350.000. Ma ormai non è tempo di limitarsi ai conteggi: occorre capire “perché” è successo. E chiarire che il crimine fu più politico che etnico: i partigiani di Tito miravano a eliminare preventivamente gli oppositori del regime comunista nascente in Jugoslavia. Infine alcuni riferimenti bibliografici sulle Foibe: 1 Esuli. Dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di Istria, Fiume, Dalmazia – Gianni Oliva Lo storico e giornalista Gianni Oliva ha ricostruito in questo saggio tutta la vicenda degli italiani esuli, partendo dalla fine della Prima Guerra Mondiale fino ai giorni nostri. Un buon punto di partenza per capire le ragioni storiche, politiche e ideologiche che hanno portato alla tragedia. Tutta l’opera è accompagnata da immagini inedite. 2. I testimoni muti. Le foibe, l'esodo, i pregiudizi – Diego Zanadel Si tratta di un romanzo in cui la voce narrante è quella di un bambino nato in uno dei campi profughi spuntati durante l’esodo giuliano-dalmata. Il suo incontro con un uomo, un testimone muto della catastrofe, sarà l’ occasione per raggiungere una nuova consapevolezza della propria storia e delle proprie radici. Come il protagonista, anche l’autore è nato in un campo profughi, quello di Servigliano , da genitori fiumani. 3. Comunisti ai confini orientali. Guerra, resistenza, scontri politici e foibe in Venezia Giulia e Istria 1941-1947 – Leonardo Raito Un altro saggio che aiuta a capire le dinamiche politiche e ideologiche dietro le vicende istriane e che tenta un’analisi del complesso ruolo giocato dai comunisti italiani in quella terra di confine. Nel secondo dopoguerra, mentre si andava delineando lo scenario della guerra fredda, le missioni dei delegati italiani e sloveni si scontravano sulle divergenze politiche e militari, sulle questioni resistenziali e sul massacro delle foibe.

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4. I morti non serbano rancore. Foibe. L'avventurosa storia del capitano Goretti – Nando Vitali Lorenzo Goretti vuole scoprire il passato di suo padre, il capitano Carlo Goretti, morto ormai da 15 anni e decorato con la Croce di guerra. Inizia così una difficile ricerca che lo porta al confine orientale, nelle terre dei combattimenti contro i partigiani di Tito e davanti alle bocche oscure delle foibe. 5. Foibe. L'ultimo testimone – Graziano Udovisi Si tratta di una testimonianza diretta di chi ha vissuto in prima persona l’attimo del “salto” nella foiba. 14 maggio 1945 l’ufficiale istriano Graziano Udovisi deve scegliere in un secondo se rimanere fermo ed essere falciato dalla mitragliatrice, oppure buttarsi nel baratro e morire cadendo. La sua storia è quella di un miracolato, che salvò se stesso e un commilitone, riuscendo a risalire in superficie da trenta metri di profondità. Udovisi ricorda in questo libro gli orrori della guerra e del carcere, delle torture e dei tragici momenti sull’ orlo della foiba. Infine per concludere non si può tralasciare l’episodio recente che riguarda il cantautore Simone Cristicchi : «Mi sono imbattuto in un luogo veramente strano che si chiama Magazzino 18 e si trova nel Porto vecchio di Trieste. Sergio Endrigo era nato a Pola (Istria) nel 1933, l’Istria credo che i giovani non sappiano nemmeno cosa sia divenne bottino di guerra, questa regione italiana venne data alla Jugoslavia. Endrigo si imbarcò con la mamma su una nave che venne in Italia insieme ad altri trecentocinquantamila italiani». Con queste parole Simone Cristicchi ha spiegato nella prima apparizione pubblica, la genesi del brano Magazzino 18, inserito nel cd Album di famiglia. Una canzone dedicata proprio al magazzino del porto vecchio di Trieste, dove sono ancora custoditi gli oggetti, i bagagli, le povere cose lasciate dagli esuli istriani e dalmati nel ’47. Una canzone che ha suscitato l’ira furibonda dei soliti noti: «Puntuale ogni anno salta fuori un fenomeno con qual-


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che minchiata sulle foibe, ebbravo Cristicchi». «In occasione delle nuove revisionate di Cristicchi riproponiamo un nostro documento sulla questione, firmato Laboratorio Politico Iskra». Queste alcune delle frasi ingiuriose contro il cantautore romano che il quotidiano Il Piccolo ha raccolto su Twitter e su Facebook. «Ci chiamavano fascisti – recita un verso della canzone – eravamo solo italiani, italiani dimenticati in qualche angolo della memoria, come una pagina strappata dal grande libro della storia». «Ho ricevuto accuse di revisionismo da parte di certi ambienti di sinistra», racconta Cristicchi al quotidiano di Trieste. «Del resto me l’aspettavo – ha commentato il cantante – anche se resto stupito di come a settant’anni da quelle vicende non ci sia ancora sull’argomento una memoria condivisa». Offese e accuse in Rete, continua Cristicchi, sono fioccate «un po’ da tutta Italia, come del resto, e al contrario, tantissime persone mi hanno mostrato gratitudine e riconoscenza, soprattutto figli e discendenti degli esuli». Giuseppe Giorgioli Pomezia, lì 9 febbraio 2014

VARIAZIONI SUL TEMA I - Là presso al cedro malato pose la mano sul suo petto dorato e con passo sinuoso di danza la costrinse alla sua possanza. II – Con la mano sul petto dorato la sdraiò sull’erba del prato mentre il merlo tra le fronde del cedro fischiava la sua canzone allegro. III – Con passo sinuoso di danza le sfilò la sottana d’organza e sull’erba del prato fiorito la costrinse al piacevole rito. IV- La piegò alla sua possanza all’ombra del cedro che avanza mentre il prato inondato dal sole invitava alle folli capriole.

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V - Il merlo tra le fronde del cedro fischiava la sua canzone allegro e il prato inondato dal sole invitava alle folli capriole. L’ombra del cedro che avanza esalta la sua molle eleganza e con la mano sul petto dorato lei si sdraia sull’erba del prato. Con passo sinuoso di danza l’uomo annusa la dolce fragranza e ammiccando scherzoso col dito la raggiunge sul prato fiorito la carezza sul petto dorato la sovrasta col suo corpo ambrato le sfila la gonna d’organza la costringe alla sua possanza. Walter Nesti Carmignano (PO) Nota a “Variazioni sul tema” - La poesia (?) si serve di pochi elementi (un cedro, un prato, un merlo, un uomo, una donna) per raccontare la storia di un incontro—possesso amoroso (fortuito?). Nelle prime quattro variazioni gli elementi servono per descrivere sinteticamente l’avventura. Nella prima troviamo il cedro, l’uomo e la donna; nella seconda il prato, il merlo, l’uomo e la donna (cioè tutti e cinque gli elementi); nella terza solo l’uomo, la donna e il prato fiorito; nella quarta il cedro ( o meglio la sua ombra), il prato (inondato dal sole), l’ uomo e la donna. I quattro racconti sintetici vengono mischiati e nella quinta versione si armonizzano in un racconto più disteso, dove ogni elemento viene collocato a un punto preciso in modo da delineare un quadro (un paesaggio) e in questo quadro, nel paesaggio si inserisce un’azione (l’atto ‘amore). La descrizione ha la fragilità e la delicatezza (anche l’ingenuità) del minuetto ed è ottenuta col sistema della scrittura automatica, senza ripensamenti (solo qualche lieve ritocco alla fine). I versi hanno quindi una loro struttura occasionale, basata essenzialmente sull’orecchiabilità da canzonetta e su assonanze che a prima vista potrebbero sembrare anche rime baciate. È un modo come un altro per dimostrare le inesauribili possibilità della parola, divertendosi e rimanendo comprensibili senza paura di passare per sciocchi. Naturalmente l’esempio è limitato. Con gli stessi elementi il tema dell’incontro-possesso può essere sviluppato in ulteriori diverse variazioni, operando solo lievi ritocchi alla disposizione degli elementi stessi, pur restando i medesimi inalterati. (w.n.)


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I PROMESSI SPOSI IN DIALETTO LECCHESE di Giuseppe Leone

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ON credo che Gianfranco Scotti abbia minimamente pensato all’Expo 2015, quando s’è messo a scrivere questi suoi Promessi sposi in dialetto lecchese, editi nel 2013, in elegante veste tipografica, dalla Cattaneo Editore di Lecco e illustrati da Marco Sala. All’Expo, invece, ho incominciato a pensare io, subito dopo la lettura del testo; e non tanto per la data di pubblicazione così vicina all’apertura di questa Esposizione Universale, quanto per il ruolo anfitrionico che il romanzo potrebbe giocare all’interno dei “luoghi manzoniani” nella cittadina lariana, in vista dell’arrivo dei numerosi turisti che certamente verranno a visitarli. E quale migliore accoglienza si potrebbe loro riservare se non mandandogli incontro questi “nuovi” Promessi sposi, che parleranno in lecchese, pronti a presentarsi quali erano, nelle vesti di persone comuni nel lontano diciassettesimo secolo, prima ancora che Manzoni li facesse diventare “personaggi”, rimpannucciandoli di abiti franco-milanesi e toscani. Questo è quanto m’è venuto da pensare, leggendo già la prefazione di Angelo Stella, il quale scrive che in realtà Gianfranco Scotti non ha tradotto I promessi sposi, li ha semplicemente ripensati in dialetto lecchese, facendoli diventare un’altra cosa rispetto al romanzo di Manzoni. Avrebbe cambiato, secondo il critico, persino l’aspetto narratologico, già a cominciare dalla posizione dalla quale “Scotti, in abiti rurali, guarda dalla sua riva e guarda verso laggiù, allungando il suo braccio con quello dell’acqua a indicare una terra che l’ Adda ritroverà nella pianura lodigiana e cremonese…”. Chèl brasc del lâch de Còm, inizia, infatti, il suo romanzo, un incipit alla Flaubert più che alla Manzoni, fondato di più sullo sguardo che non sulla memoria. Una questione non di poco conto che con-

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sente a Scotti di lasciarsi alle spalle lo storicismo romantico del Manzoni per virare verso un’ispirazione realistica che rifiuta l’ idealizzazione. E da qui, da questa posizione, avrebbe poi continuato per tutto il resto del romanzo. A differenza di Manzoni che aveva scritto “con l’atto minaccioso di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia”, Scotti, che quei personaggi “li ha visti e sentiti”, racconta, invece: “scüür in facia e invermigaa cume vün ch’el cata un sò dipendeent in brüsega de fà una balusada”, smorzando sensibilmente i toni, fino a far passare una vicenda malvagia, come una ragazzata. E così anche le parole di Renzo - continua ancora il critico - rivolte a Don Rodrigo: “Ah Birbone, ah dannato! ah assassino!”, diventate, ora, balòss e malnàtt, “riducono il coefficiente malvagio, quasi lo perdonano e accarezzano, e l’ azione cattiva diviene una balusada”, si diceva. Ma già nel titolo, l’io manzoniano subisce il suo primo esproprio. Qui, non sono più I promessi sposi, ma semplicemente una Stòria milaneśa del sécul XVII – Vultaa in diàlett de Lècch da Gianfranco Scotti. E tornando ancora a Stella, nella sua prefazione, eccolo insistere su altri cambiamenti che Scotti avrebbe impresso al romanzo: Padre Cristoforo, per esempio, divenuto Cristòfen, “sembra volersi iscrivere nel corpo non dei poveri ma dei poveracci, dei senza nome che si trovano addosso quella denominazione dequalificante”. E non solo, anche Lucia, “tra le pieghe delle parole lecchesi”, avrebbe cambiato un po’ la propria fisionomia: così quando “la modestia un po’ guerriera viene vivacizzata dal narratore con un ingrediente urticante un poo poverina”; così ancora quando l’espressione originale “finitela non mi fate morire”, divenuta più burbera nella traduzione “taìla feu, taìla feu, fim minga muré”, le conferisce una “più profonda femminilità”. Ma v’è di più, Gianfranco Scotti - continua Stella - talvolta interviene anche correggendo Manzoni: per esempio, nel colloquio fra Perpetua e don Abbondio, dove sta scritto:


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“lasciandosi cadere tutto ansante sul suo seggiolone”, l’autore lecchese dice “intanta ch’el se lasava crudà giò, śbanfând, in del sò cadregòtt”, aggiungendovi pure delle virgole, per consentire così la pausa “che fa ascoltare il fiato grosso”. Allora, diciamolo francamente, questa di Gianfranco Scotti è tutta un’altra storia, i suoi Promessi sposi “nascono una seconda volta”, scrive Remo Bracchi nella presentazione al libro. Quelli del Manzoni, è vero, preparavano alla causa nazionale italiana, recando fra le loro pagine i segni degli sforzi intellettuali e finanziari dello scrittore allo scopo di dare al suo romanzo, ma anche all’Italia, la lingua del fiorentino parlato. Si sa tutto, ormai, di quel suo soggiorno a Firenze, costatogli un patrimonio. Era stato per due anni in albergo, a proprie spese, con tutta la famiglia, compresi alcuni domestici, pare, tredici persone in tutto. Questi di Gianfranco Scotti, invece, dedicati alla memoria di Uberto Pozzoli, Luigi Manzoni e Amanzio Aondio e stampati grazie al contributo di molti benefattori, non sembrano avere avuto altra preoccupazione se non quella di saggiare l’effettiva consistenza del dialetto lecchese e relativa tenuta letteraria. E la tenuta c’è stata, eccome, con meraviglia non soltanto mia, ma anche dello stesso autore, come mi aveva confessato più volte mentre attendeva ancora alla stesura. In questo passaggio dall’italiano al dialetto, direi che s’è compiuto un miracolo - è apparso il realismo - che sarebbe tanto piaciuto a Giuditta Podestà, la scrittrice comparatista, che ha sempre lamentato nei nostri scrittori la mancata realizzazione di questa corrente, a causa dell’idealizzazione a cui hanno sempre teso, da noi, il classicismo e l’uso della lingua scritta. Un esito nel segno del realismo, allora, questo di Gianfranco Scotti, a cui non è mancato di contribuire anche Marco Sala, le cui illustrazioni fumettistiche di scene e personaggi de I promessi sposi, in forme e dimensioni diverse, disposte lungo il testo in gruppi di due o di quattro e ogni volta dopo trentuno

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pagine le une dalle altre, hanno finito per dare al romanzo un’aria più “divertita”, “incantata” e comica rispetto all’originale, in grado di unire al gusto già realistico della rappresentazione dialettale ulteriore realismo, questa volta reso più immediato e graffiante per la presenza del buffo e del caricaturale. Giuseppe Leone Alessandro Manzoni - I promessi sposi -(Storia milaneśa del sécul XVII). Vultaa in dialètt de Lècch da Gianfranco Scotti. Illustrazioni di Marco Sala. Cattaneo Editore Lecco 2013. Contiene cd audio con letture di brani.

COMPAGNI DELLA NOTTE Chi c’è al di là della finestra accesa in quella stanza in fronte, oltre la strada, nell’atro della notte, oltre quei vetri reconditi ed arcani? Forse un degente od un insonne o qualcheduno che s’impegna assiduo all’opra sua, in prime ore notturne, intime. fresche, romite ed armoniose del canto rossignol sulla magnolia? Io non so chi tu sia, pure compagna resta quella finestra accesa, sola come la luna quando in cielo appare che il cuore accende, illumina e consola. Finestra- luna, tu che cosa celi dentro al silenzio insonne, quando s’ode lungi il latrar d’un cane innamorato o il profondo ruggir di rauco tuono che ha smorzato nel ciel l’ultima stella? Oh, mio dirimpettaio inconosciuto, dimmi chi sei e dammi i tuoi pensieri. Delle passioni tue, speranze e pene partecipe io ne sia e in consonanza. Di me io ti dirò, dalla mia stanza, nel grembo dell’insonnia che sodali ci fa, noi due migranti tra i muri muti in ombre della notte. Serena Siniscalco Milano, novembre 2013


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IL FUTURISMO tra letteratura ed arti figurative di Giuseppe Anziano EL periodo che va dalla fine dell’ Ottocento ai primi decenni del Novecento le arti figurative, la letteratura nelle sue varie componenti (poesia - narrativa - teatro) sono alla ricerca di un nuovo linguaggio, che sia al passo col progresso tecnico-scientifico, che si stava affermando nella società, con le moderne conquiste in tutti i campi, in opposizione al passato, di cui ripudiano i miti, i costrutti. Si formano varie avanguardie, tra cui importante fu il Futurismo, che assume notevole rilievo nel campo letterario con Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), nel campo delle arti figurative con Umberto Boccioni (1882-1916) - Giacomo Balla (1874-1958) Carlo Carrà (1881-1966) - Luigi Russolo (1885-1947) -Fortunato Depero (1892-1960) - Antonio Sant’Elia (1888-1916). I futuristi da un lato contestano polemicamente la costruzione delle opere d’arte dell’ antichità, professando l’adesione ad una vita anticonvenzionale, anticonformista, ed assumendo, quindi, un atteggiamento di protesta e di dissacrazione della società precedente, dall’altro esaltando la bellezza delle macchine, formulando progetti utopistici di gigantesche città industriali, celebrando la guerra “sola igiene del mondo”, prospettano un modo di pensiero dinamico, avveniristico, proiettato verso il futuro. Se sotto il profilo letterario fondatore e teorico del movimento a Milano è Filippo Tommaso Marinetti , che redasse il primo Manifesto pubblicato a Parigi sul Figaro il 22 febbraio 1909, sotto il profilo delle arti figurative, invece, il primo manifesto della pittura futurista fu quello compilato e firmato l’ 11 Febbraio 1910 a Milano da Boccioni, Balla, Carrà, Severini, sotto la guida di Marinetti, e lanciato l’8 Marzo 1910 dal Teatro Chiarella di Torino. Marinetti col suo Manifesto non solo si op-

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poneva violentemente al passato, affermando il principio di liberare l’Italia da ”professori, archeologi, oratori, ciceroni”, esaltando, la violenza, la velocità, la lotta, ma propugnava anche la necessità di esprimere, attraverso le “parole in libertà” e l’uso di segni matematici e delle parole onomatopeiche, il proprio pensiero senza ricorrere alla sintassi, al verbo, all’aggettivo, alla punteggiatura. Al Manifesto della pittura futurista, invece, ne seguirono altri: il Manifesto tecnico della pittura futurista (11 aprile 1910), il Manifesto della scultura futurista (11 aprile 1912), il Manifesto dell’architettura futurista (11 Giugno 1914), dove sono esposte le teorie del movimento, che fu importante storicamente, in quanto si fece promotore di un rinnovamento dell’arte italiana di cui combatté l’ eccessivo accademismo. I futuristi che intendevano procedere ad una revisione dell’ Impressionismo, che aveva dominato l’arte di fine secolo, nell’intento di conquistare una realtà intesa plasticamente, vollero tradurre gli oggetti secondo linee e forme, forza e colori. Secondo il principio della simultaneità, per dare impulso al loro movimento, organizzarono varie mostre, di cui la prima a Parigi nel 1912 presso la Galleria Bernheim e la seconda ,nel 1913, a Roma al Teatro Costanzi. Se nel campo della letteratura il più notevole rappresentante fu Marinetti, giornalista, poeta e romanziere, autore di opere varie, dove sono affermate le idee del Futurismo, nel campo delle Arti figurative si distinsero l’uno nella pittura, l’altro nell’architettura, Boccioni e Sant’Elia, morti giovanissimi durante la Prima Guerra Mondiale. Di Boccioni notevoli sono l’”Autoritratto”, “Il Mattino”, “La città che sale” e “Visioni simultanee”, che esprimono il suo modo di concepire, attraverso la pittura, la sua visione della vita. Mentre nell’”Autoritratto” di rilievo in primo piano è l’uomo, dallo sguardo penetrante e profondo, dal busto spostato verso sinistra, in modo da lasciare intravedere la periferia della città con le case in costruzione e in lontananza un prato verde, nel “Mattino”, con


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cui si vuole sottolineare l’importanza del lavoro come elemento propulsore della vita moderna, l’attenzione è, invece, concentrata sulle persone che, allo spuntare dell’alba, si avviano lungo la strada per recarsi al lavoro. Infine, mentre nel “La città che sale” si ha la visione di un moto vorticoso inarrestabile, significativa per l’accostamento di colori e la rappresentazione di un cantiere edile sul fondo, in “Visioni simultanee”, esposta nella mostra futurista del 1912 a Parigi, definita “la pittura degli stati d’animo” il punto focale è la donna che, affacciata al balcone, osserva la piazza sottostante e prova pensieri diversi nello scorgere l’attività frenetica , che si svolge in essa. Antonio Sant’Elia, cui si deve il Manifesto dell’architettura futurista, si segnala per le sue idee improntate alla funzionalità della vita col presentare il progetto di una casa munita di tutti i confort della scienza e della tecnica e quello, a suo tempo irrealizzato, ma importante per i tempi successivi, di far scorrere il traffico sotto terra per snellirlo ed evitare rumori ed inquinamento. Giuseppe Anziano

IL MIO PIANTO VA... Ai padroni della guerra, di tutte le guerre. A noi che tutto distruggiamo agli ecologisti che mentono a se stessi. E così tutti insieme facciamo un bel balletto.. Tutto va be Madama Dorè, Facendo i girotondi, innalzando cartelli, inneggiando ora a quel Capo, ora a quell' altro. Oggi sfilano i disoccupati, i baraccati, i forconi, i drogati, i diversi, i portatori di endicap, ecc Io non sfilo mai perché sono vigliacca! Poi alla sera mentre guardo i programmi della televisione, mentre addento un panino, ecco apparire gente sepolta dalle frane, uccisa dai guerriglieri sterminata in nome di chi? Non lo so.

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Sono quasi rassegnata ed indifferente. Riapro il frigorifero e prendo il formaggio. Ancora appaiono bambini morenti, affamati, denutriti, magri come scheletri, donne vinte dall'inedia, uomini inermi cadono come mosche ed io cosa faccio? Cambio canale. Io sono un mostro, mio Dio, come faccio a resistere a questo sfacelo? Più tardi è l'ora delle ballerine, ninfette scatenate, le quali cercano di allietare gli utenti con scene quasi erotiche; e poi ancora: Reality, notti bianche dalle varie città, gente ululante per strade imbrattate di porcherie, immondizia giornaliera. Ma forse domani spazzeranno, chi se ne frega? Dove siete uomini, la vostra ferocia vi ha svuotato le mani, siete forse là dove la fame è brutta, dove le anime sono dimenticate? Ieri, oggi, era.. “Il giorno della memoria” appaiono sui teleschermi, corone di fiori, lapidi,sindaci ecc. Ma quale Memoria scende nei nostri cuori se non sappiamo ascoltare le nostre coscienze, se anche la dignità di esseri umani ha perso la strada dell' amore, della pietà, della solidarietà, solo scritta e parlata nei vari programmi serali, quali dibattiti e quant'altro; Parole, parole diceva una canzone e tali rimangono, oltre c'è il vuoto. Dell' indifferenza. Lacrime di rabbia,e di dolore scaturiscono dai miei occhi, scendono copiose e non lavano la mia anima,il mio essere abbandonato in un mondo sconosciuto. In una pubblica confessione tutta l'umanità dovrebbe chiedere perdono per queste batbarie. Ed io? Cosa scrivo io? Di cieli azzurri, di venti caldi, di nubi rosa? Menzogne. Mi guardo allo specchio e vedo una donna che ha solo voglia di evadere e si limita al sogno,,, Basta chiudo il sipario: “La commedia è finita” Adriana Mondo Reano, TO


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Una Mostra multimediale

VERDI IL GRANDE GENIO MUSICALE E NON SOLO di Emilio Carsana

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IUSEPPE Verdi: Musica Cultura e Identità Nazionale illustrate nelle stupende sale al Complesso del Vittoriano in Piazza Venezia a Roma: un vero evento epocale in occasione della celebrazione del Bicentenario della nascita del grande Musicista. I romani e i turisti di ogni parte d’Italia, dell’Europa e del Mondo hanno potuto ammirare la sublime esposizione artistico- storicopatriottica dal 7 dicembre 2013 al 19 gennaio 2014. La meravigliosa Mostra dal titolo emblematico “ Giuseppe Verdi, musica, cultura e identità nazionale”, è stata promossa dall’ Istituto per la storia del Risorgimento italiano e dall’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, con il patrocinio e la collaborazione dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma e dell’ICCLI (istituto Centrale per il Catalogo Unico). La manifestazione nasce per iniziativa del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi ( 1813-2013 ) - Presidenza del Consiglio dei Ministri- sotto l’ Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano e con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, con l’obiettivo principale di dare risalto al legame tra VERDI e il contesto politico e culturale italiano ed europeo. I materiali documentari originali sono il-

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lustrati a cura di Marco Pizzo, Massimo Pistacchi e Gaia Maschi Verdi e si avvalgono di un Comitato di Onore presieduto dal Maestro Riccardo Muti, con Bruno Vespa (vicePresidente), Paolo Gallarati, Paolo Isotta, Leo Nucci e Renata Scotto. E’ stato grande partecipato e entusiastico l’afflusso dei visitatori con l’ingresso gratuito alla Mostra. Tra le varie sezioni della Mostra segnaliamo i seguenti percorsi: Vedere Verdi , Verdi e il Romanticismo, Scene e primi interpreti del melodramma verdiano,, Requiem, Sentire Verdi, Verdi al cinema, Laboratorio didattico. Nel suo intervento nel corso della Conferenza Stampa “ad hoc” del 6 dicembre 2013 u.s., Massimo Bray, Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, ha dato risalto al legame tra il compositore e il contesto politico e culturale dell’epoca verdiana. Lungo il percorso espositivo, opere d’arte, libri, periodici, giornali e stampe fotografano il mondo dell’autore, mentre la sua produzione musicale viene presentata esaltando il rapporto , per Verdi particolarmente fecondo, tra arti visive e teatro. Ciò viene testimoniato, specialmente, da quanto la gestualità e l’ interpretazione del melodramma verdiano si intrecciano con l’iconografia romantica, come rappresentato in modo eccezionale dalla produzione pittorica contemporanea, a riprova di quanto il linguaggio della pittura storica e quello del melodramma siano in completa sintonia. La Mostra ci restituisce Verdi“in tutta la sua complessità artistica e politica e mette in evidenza l’enorme popolarità del compositore, allora come oggi”. E’ l’ affermazione, che condividiamo, di Flavia Bianca, Assessore alla Cultura, Creatività e Promozione artistica di Roma Capitale che abbiamo intervistato in occasione dell’apertura dell’Evento. Sono da sottolineare altri due interventi autorevoli: quelli di Alessandra Cattoi, Assessora alla Scuola, Giovani, Infanzia e Pari Opportunità di Roma Capitale e quella di Alessandro Nicosia Presidente di “Comunicare Organizzando”( di cui è capo ufficio stampa Paola Polidoro), il quale ha fatto notare che non è casuale che il Vittoriano sia la sede di questa esposizione:


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qui è conservato il bozzetto originale del primo monumento dedicato a Verdi a Parma, donato dallo scultore Ettore Ximenes per essere conservato nell’Altare della Patria. Su quest’opera è bene visibile la scritta V.E.R.D.I. ( ossia: Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia) che legò indissolubilmente il nome di Verdi al Risorgimento e all’Unità Nazionale. La Capitale ha onorato il compositore con una straordinaria esecuzione dell’ “Ernani”, opera verdiana diretta dal Maestro Riccardo Muti al Teatro dell’Opera di Roma che ravviva con questa mostra il proprio legame con il compositore. Già Roma ha ospitato i debutti di alcune delle sue opere, tra le quali la ”Battaglia di Legnano” e “I Due Foscari” al Teatro Argentina, “Il Trovatore” al Teatro Apollo. Quest’ultima opera ha avuto una straordinaria accoglienza. In questa occasione, il musicologo e critico radiofonico inglese Julian Budden ha affermato : “Con nessuna delle sue opere, neppure con il Nabucco, Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo pubblico”. Oggi più che mai la musica deve tornare ad essere il nutrimento del nostro spirito di italiani e di europei. Anche il successo della partecipazione del pubblico alle celebrazioni verdiane e di tutti i veri artisti poeti musicisti del tempo passato e di quello presente ha un significato profondo ed efficace.. Noi pure siamo invitati a guardarci attorno, perché nel nostro ambiente ci sono geni di arte e di umanità che contribuiscono anche silenziosamente al miglioramento della società, ma nessuno osa scoprirli e metterli in luce, per paura di perdere potere in campo politico artistico e culturale. La figura patriottica di Verdi. E’ riconosciuto da tutti, storici , musicisti e semplici cittadini che Verdi appartiene di diritto alla coscienza nazionale. Gabriele D’ Annunzio, dichiarò, in proposito, che il sublime musicista “pianse ed amò per tutti, cantò la vita e la morte, la libertà e la schiavitù”, rendendosi interprete, secondo noi, di ogni tipo di sentimento e di pensiero umano, cantando l’amore di ogni popolo per la propria

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patria, sotto il cielo dell’Italia, dell’Egitto, di Israele. In particolare, il nostro musicista contribuì fortemente a formare la coscienza del popolo italiano per combattere coraggiosamente per la sua libertà ed indipendenza, un evento che caratterizza l’origine dell’Unità d’ Italia nell’Ottocento. Ma oggi la fama e il riconoscimento della grandezza di Verdi hanno varcato ogni confine: è celebrato- come sottolinea la sua Presidente Albertina Soliani - a Pechino nella Mostra promossa dal Comitato nazionale sopra citato, in Australia ai piedi della montagna sacra degli aborigeni e in ogni parte del mondo, perché la sua musica è veramente universale. Verdi è, a forza maggiore, una personalità europea, sentendo e diremmo pronosticando l’unità di un continente che da Parigi a Vienna e a San Pietroburgo ascoltava e ascolta la stessa musica mettendola in primo piano nelle manifestazioni e nelle ricorrenze socio-umano politiche. Citiamo un’altra recente testimonianza: è quella del Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi che, presente a Parma il 31 ottobre scorso ha ascoltato la sua “Messa da Requiem” al teatro regio, a conclusione del Festival Verdi, esprimendosi con le seguenti parole memorabili che hanno raggiunto ogni confine della terra, del tempo e dello spazio : “ Verdi è un uomo di musica, e la musica è universale. Nel nostro mondo di oggi, abbiamo bisogno di cose che ci uniscano. Siamo troppo pieni di emozioni che tendono a dividerci. E la musica è una di quelle cose che ci unisce. Sono particolarmente felice che siano dei giovani a suonare qui. I giovani e la musica: insieme potranno costruire per noi un futuro che avvicini sempre di più persone diverse”. Verdi e il Romanticismo. La straordinaria produzione musicale di Giuseppe Verdi è direttamente messa in relazione con la cultura romantica dominante e della quale il compositore diviene indiscusso protagonista in campo musicale. Già all’ inizio dell’Ottocento il teatro d’opera italiano era diffuso su tutto il territorio nazionale godendo di una straordinaria popolarità. Gli interpreti e virtuosi del “belcanto” erano cono-


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sciuti e contesi da vari teatri. La passione di G. Verdi per Shakespeare riuscì ad offrire nuovi percorsi drammaturgici e drammatici in grado di includere temi sentimentali e impegno politico come in “Nabucco” (1842), nel “Lombardi alla prima crociata ( 1843 ) o nel “Simon Boccanegra”(1857). Il melodramma verdiano accentuava la componente “tragica” e non a caso la trilogia romantica di Verdi costituita Rigoletto (1851), Il Trovatore (1853) e la Traviata (1853), si compone di storie che si concludono tutte in modo drammatico. “NOTE” CONCLUSIVE La grande ammirazione di Giuseppe Verdi per Alessandro Manzoni, testimoniata anche attraverso famose lettere del compositore in esposizione alla Mostra grazie alla disponibilità della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, si tradurrà nella famosa Messa Da Requiem eseguita a Milano da Verdi ad un anno dalla morte dell’autore de I Promessi Sposi. Con la morte, tema sempre presente nelle composizioni verdiane, il filmato storico dei funerali di Giuseppe Verdi, che abbiamo a disposizione grazie alla Fondazione Cineteca Italiana di Milano, sarà messo in parallelo con la registrazione storica del concerto diretto da Arturo Toscanini nel 1944 al termine del secondo conflitto mondiale. Aggiungiamo che la Mostra è stata resa interattiva grazie alle risorse digitali del progetto internazionale “CulturaItalia” , il che significa che non solo si è potuto vedere la Mostra sul web ma si è potuto interagire attraverso la didattica specifica realizzata con le risorse in rete. L’attività didattica nasce con l’ obiettivo di far conoscere alle nuove generazioni l’importanza che la figura di Verdi riveste nella storia della musica e nella definizione di quella identità culturale italiana che si andava sostanziando nel nostro Paese nel corso del XIX° secolo. Per meglio rappresentare tutto questo, il Maestro Riccardo Muti, Presidente del Comitato d’Onore della Mostra, considerato oggi il più importante interprete delle opere di Verdi, ha offerto la sua preziosa collaborazione, attraverso la proiezione di un filmato in cui viene illustrata la grandezza

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di Verdi attraverso quei valori identitari che il compositore ha veicolato durante gli anni in cui la Nazione stava nascendo e che sono arrivati intatti ai giorni nostri. Tra le personalità di spicco di nostra conoscenza che hanno visitato la Mostra abbiamo incontrato e intervistato, tra gli altri, il Prof. Dott. Enrico Malizia, ideatore e fondatore della Clinica Medica di Tossicologia Clinica al Policlinico di Roma, insignito di due medaglie d’oro, amante della musica e della cultura italiana e internazionale. A tale proposito, ci riserviamo di comunicare l’intervista prossimamente ai nostri lettori. Emilio Carsana (Maestro di Musica, Professore, Giornalista)

I SOGNI I sogni sono parte della mia vita e forse sono alcuni sogni per me un’altra vita. Nei sogni visito luoghi noti di ignote città, percorro strade e piazze che riconosco da un sogno a un altro. Nei sogni ritrovo persone care e posso restare in loro compagnia, nei sogni vivo avventure bizzarre o spaventose e in questo caso a volte mi conforto dicendomi che sto sognando. Si ripetono a volte infatti i sogni e allora so cosa mi aspetta in fondo a quella strada o in quel castello. Che sia brutto o bello, nel sogno vivo e per me il sogno è come una seconda vita. Mariagina Bonciani Milano


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GIORGINA BUSCA GERNETTI

E CESARE PAVESE A CENTO ANNI DALLA NASCITA di Eugen Galasso

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CRITTO da Giorgina Busca Gernetti nella primavera-estate del 2008, quale ricordo dell’Anniversario della nascita, avvenuta il 9 settembre 1908, inserito negli Annali del Centro “Mario Pannunzio” di Torino, viene ora ripubblicato come pubblicazione autonoma e l’autrice sottolinea che, rispetto alla pubblicazione di allora (2008, appunto), non ha voluto cambiare né aggiungere nulla. Ovviamente, la data del titolo è quella della morte di Pavese, avvenuta notoriamente per suicidio, dove lo stesso diviene, se non il tèlos (fine) della vita, quanto meno il suo "compimento, la sua "realizzazione", intendendo, forse (parlando di queste cose è d'uopo il massimo riserbo) il compimento di un progetto fané, fallito-crollato, se così vogliamo esprimerci! Quale, in breve, la tesi del saggio? Quella biografica: nel progetto di vita di Pavese era fallita ogni seria realizzazione di vita a due, di un amore, cioè, che portasse a una comunità di vita, eventualmente anche con il "compimento" del matrimonio. Molti gli amori infelici di Pavese, molte (non altrettante, ma varie) le proposte di matrimonio fatte alle sue amate, ma sempre senza successo, comprese quella alla sua exallieva, la scrittrice e traduttrice (soprattutto dall’"american-english", in questo seguendo la via pavesiana, dato che il maestro tradusse con grande efficacia i classici - e quelli che lo sarebbero diventati - della letteratura nordamericana) Fernanda Pivano. Questa chiave di lettura biografica, peraltro condotta con una ricognizione a tutto tondo su Pavese (poesie, «Il mestiere di vivere», il grande diario-saggio dell'autore, romanzi, racconti, ovviamente l'epistolario), suffragata, direi, in ogni suo minimo dettaglio, dopo essere stata ostracizzata per anni, soprattutto dai semiologi e da Umberto Eco come anche dai

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suoi continuatori, rivendicanti la "semiotica" e non più la "semiologia", nel senso di un ritorno totale al "Segno", è stata rivalutata come decisamente attendibile da Eco stesso come dai suoi seguaci. Nel suo saggio la studiosa, docente di letteratura, poetessa, scrittrice, si rifà soprattutto all'interpretazione di Dominque Fernandez, nel volume «L'échec de Pavese» (Lo scacco di Pavese), Paris, Grasset, 1967, in realtà la tesi di laurea del grande scrittore e italianista francese, dove, come rivela l'autrice, si tratta di un’«opera d'impostazione freudiana, fondamentale per comprendere la complessa e tormentata personalità dello scrittore» (op. cit., p. 28, nota 48), dalla quale, con una lettura da "psychobiographie" (ricordo che già Freud diceva di essersi fatto "biografo" per realizzare la psicoanalisi), si evince che «il suicidio non è punto di rottura ma il punto di maturità di un uomo che lucidamente si è sottratto alla gloria» (cit., p. 29). Magari prescindendo (ma fino a che punto? Certo la Busca Gernetti su questo punto lascia aperto il giudizio; chi scrive è deleuziano ...) dal complesso di Edipo, ribadirei l'incipit dello scritto esaminato, in cui l'autrice parla di «consapevole itinerarium in nihilum» (cit., p. 4), rifiutando quindi ogni moralismo giudicante. Eugen Galasso Giorgina Busca Gernetti, Itinerario verso il 27 agosto 1950, Cesare Pavese nel centenario della nascita, Youcanprint, Tricase (Lecce) 2012

AFRODITE azzurro mare azzurro cielo azzurro caldo sole caldo meriggio caldo bianca spuma bianca nuvola bianca lieve vento lieve ondeggiare lieve pigro pesce pigro gabbiano pigro bronzea carne bronzea scogliera bronzea bruna chioma bruna conchiglia bruna chiaro orizzonte chiaro amore chiaro Mediterraneo azzurro Mediterraneo Liana De Luca Torino


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GUIDO ZAVANONE IL VIAGGIO STELLARE di Piera Bruno

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A centralità nel compoud espressivo zavanoniano del tema viaggio è confermata dalla sua ripresa - “letteraria e scientifica, cosmica e mitica” - nel recente Il viaggio stellare (Edizioni San Marco dei Giustiniani). Dove un io immanente, la sfera terrestre e l’Oltre, rivisitati in memoria e sogno, vengono sublimati in approccio e resa universale. Ma attenzione: si tratta anche della componente di universalità che attiene alla poesia, e in particolare a quel genere epico e fantastico a cui Zavanone si innalza nel suo nuovo viaggio: “Considera che il Dio creatore/se pure esiste o tenti immaginarlo/ha la parvenza d’ombra e nel suo fondo/ nell’ infinita cavità nasconde/la realtà e irrealtà di un sogno”. Una forza luminosa “in sembianza di nuvola estiva” o, come suggerisce G. Conte nella efficace prefazione, “il carro celeste in grado di varcare ogni frontiera”, accoglie il poeta nel suo illimitato itinerario spaziale. E’ salita nella nuvola anche una figura femminile Saffo, Beatrice, Matelda, Sherazade? - compagna di viaggio e voce narrante delegata a fissare nella grazia avvolgente del dire poetico tappe soste incontri, secondo un preciso, fantasioso progetto dell’autore. Infatti: “Chi vieta/di dire leggermente cose gravi/e non è questo il segreto dell’arte?”. Significativi e perciò bene organati nel prosieguo itinerante i rendez-vous funzionali a figure di viventi - i nani, i giganti, gli ibernati, i corpi anonimi e i volti sfatti degli affaristi, dove lo scambio immediato tra lettera e allegoria consente un discorso etico-sociale scevro di retorica -; ai morti - “fantasmi nel vento”, e pure entità ancora esemplari nelle loro “voci sussurrate” -; ai santi - Francesco, Teresa, cui si affiancano un missionario laico e Welby che ha ricucito lo scambio vita-morte con la sacralità dell’ esistere -; a Gesù medesimo: “A un tratto uscito da una folta macchia/di cespugli e tameri-

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ci/apparve un uomo, le vesti stracciate/ e nel costato lunghe cicatrici”, venuto a portare amore e perdono -; agli avi. Ci commuove particolarmente l’incontro del poeta, qui soltanto figlio, con la madre: “Guido, chiamò l’ombra materna/e fu sì forte il grido/che risuonò in quel silenzio...”1 e con il padre, che nella nostalgia di vita, natura, colori riattualizza i mai spenti rimpianti di Achille: “non consolarmi della morte Ulisse/...Io pria vorrei/servir bifolco per mercede...”. Il gheriglio del poema - del quale lascio ad altri più preparati di me l’approccio ai contenuti astronomici e scientifici - consiste a mio giudizio nella perfetta, concreta resa, attraverso la parola di alta valenza poetica e l’ armonia visuale del verso, dell’endiadi poesia-vita. Ovviamente in tutti i risvolti e le interpretazioni umane possibili. Ad esempio, se per qualcuno di noi la vita è una mise en scène, il suo rispecchiamento poetico ci consente una lettura in ambito teatrale e l’ equazione brano poetico = lacerto di una pièce. Ad esempio, l’ apparizione di Astolfo è un’entrata in scena in assoluto, che la fiaba dell’eroe alla ricerca del suo cervello finito sulla luna conferma; osservazioni analoghe si possono fare per l’ incontro con Dante l’ “uomo che più d’ogni altro il mondo onora”, ma anche sommo attore, amante della vita e, pure, fustigatore della contemporaneità nei progressi fallaci della scienza. Al ritorno “nel freddo grembo della terra antica”, il poeta si ritrova un’altra volta dietro il cancello in fondo al tunnel, mentre la solita voce “beffarda o amica” grida siete arrivati! Dove? A una meta sognata, in nessun luogo, alla libertà di credere o di dubitare. O ad accettare il viaggio come metafora dell’ ininterrotta e mai conclusa ricerca, in cui consiste la vicenda umana. A questo punto io credo che il poeta Zavanone, innamorato della vita e non renitente ai suoi misteri, conducendo il suo Viaggio tra vertigini cosmiche e stellari in parallelo col quotidiano dell’esistente ne abbia fatto una dimensione di tempo eterno, il parametro o l’


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epifania che rende comunque la nostra vita, la vita di ciascuno di noi, degna di essere vissuta. Questo, naturalmente grazie alla sua parola ispirata, alla perfezione di “metro e stile”, alla trasparenza delle immagini e al loro cromatismo visuale: “stelle e rotanti pianeti/punti perduti dentro immensi veli/di gas e polvere...”, “i vessilli bianco-azzurri del mare...”, “Petali chiusi di un oscuro fiore”, le componenti che aprono a sogno e bellezza, i doni elargiti dalla Poesia. Piera Bruno 1 - Nelle raccolte che precedono i due viaggi Zavanone evita di parlare di sé. Fa il suo nome Guido una sola volta nella poesia “Se restaurare la casa degli avi” dove - cito dalla prefazione di Giuseppe Conte all’antologia franco-italiana del corpus poetico zavanoniano (2002) - “ricorre il dialogo, eterno nella poesia, tra le ombre e i viventi e il poeta viene chiamato per nome, Guido, come soltanto un avo o un’ombra possono fare”. Analogo, ma proposto come pathos anche più intenso, il grido dell’ombra materna uscita dalla ressa delle anime vorticanti in caroselli e ansiose di parlare con il viaggiatore “corpo che ancora palpita e respira”, venuto a salutare Terra e Cielo con uno splendido viaggio.

SENZA TITOLO S’inasprisce sempre la ribellione, anche se mai riesce a prosciugare il dolore, neppure quando lo sguardo privo di pianto tenta d’abbeverarsi ad una qualsiasi fonte... Le vele, sul mare, son troppo lontane, gli astri, nel cielo, non promettono nulla, gli uccelli non si fermano al nido, il fiore rinserra la sua corolla, la luce diventa ermetica ed ambigua, i suoi bagliori si tramutano in affilate lame... Opprime l’eco della propria voce nell’umido silenzio che sfiora l’erba. Nessuno risponde al grido della luna che all’improvviso cela il suo volto in una oscurità fitta e lacerante mentre s’accresce la violenza del vento... Flavia Lepre Arona

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APPENA È CHIARO Appena è chiaro cantano gli uccelli: voli di gioia a tessere ghirlande nel bel cielo di maggio. Fa un gran bene il primo sole alle rose del giardino la rugiada brilla - tutto si ravviva il verde intorno. E’ l’ora che suscita la speranza breve come il bacio della vergine. Menotti Galeotti da Storie di strada , Edizioni Polistampa, 2013.

NOTTE STRANIERA La città si dilata di occhi, un balenio di luci alto nel buio si inerpica e un grattacielo si smeriglia. Ed ecco: una sirena invisibile mi chiama a una casupola raccolta e mi desta. Là, tante notti, è l’insonne mio cuore che ogni ombra vince, tra i chiaro natio, che affiora come lucciola. Infine mi addormento navigando con la luna solitaria di Calabria. Rocco Cambareri Dall’antologia Incontri di Poeti, a cura di Leonardo Selvaggi, Editrice Farnesiana - Piacenza, 1981.

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ANNA AITA: DOMENICO DEFELICE di Liliana Porro Andriuoli

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OETA, saggista nonché autore di testi teatrali, Domenico Defelice è anche il direttore responsabile della rivista letteraria, “Pomezia Notizie”, che viene mensilmente pubblicata da oltre quarant’anni. Di lui si sono occupati parecchi critici e uomini di cultura, con numerose recensioni e addirittura con diverse monografie1 sull’intera sua produzione letteraria, la più recente delle quali è quella di Anna Aita2 del 2013, di cui qui vogliamo brevemente parlare. Suddivisa in sei capitoli, con numerose e pertinenti note esplicative e corredata da interessanti foto, la monografia della Aita inizia parlando dei primi anni di vita di Defelice, quelli da lui trascorsi nel paese natale (Anoia, in provincia di Reggio Calabria), per passare successivamente a quelli del periodo romano, nel quale Domenico, ormai ragazzo, si era recato in cerca di lavoro. Non vengono qui tralasciate le difficoltà da lui incontrate, che furono piuttosto pesanti, come egli stesso racconterà in Anni torbidi. Pur praticando infatti svariate attività, da quella del magazziniere a quella dell’ insegnante, e pur dandosi da fare in svariati modi, il giovane Defelice spesso non riusciva nemmeno a soddisfare appieno le sue prima1

Orazio Tanelli, Domenico Defelice, Pomezia Notizie, 1983; Sandro Allegrini, Percorsi di lettura per Domenico Defelice, con prefazione di Angelo Manitta, Castiglione di Sicilia, Catania, Il Convivio, 2006; Eva Barzaghi, Domenico Defelice. Introspettivo coinvolgimento poetico-letterario dell'animo umano, Lavinio Lido, RM, Editore Totem, 2009; Leonardo Selvaggi, Domenico Defelice e le sue opere etico-sociali, Roma, Nuova Impronta, 2009. 2 Domenico Defelice un poeta aperto al mondo e all’amore, con prefazione di Angelo Manitta, Castiglione di Sicilia CT, Il Convivio, 2013, € 12,00.

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rie esigenze. Risalgono a questo periodo anche i primi innamoramenti per alcune ragazze come Marcella, Teresa, Gisella che lasceranno in lui dei ricordi abbastanza duraturi. L’incontro definitivo lo avrà però con Clelia Iannitto, che diventerà sua moglie e con la quale si stabilirà a Pomezia, in provincia di Latina. A quest’epoca risale inoltre il sorgere del suo amore per le lettere, alle quali si dedicò con assidue letture: “dall’Orlando Furioso alla Gerusalemme Liberata”; mentre “l’eco di questi suoi studi” si riverbererà nello Scaldapanche, un poemetto dedicato a Marcella e inserito in Un paese e una ragazza. Nel secondo capitolo l’Aita inizia ad esaminare l’ampia produzione del nostro autore,

limitandosi per le opere giovanili (quelle a cui è dedicato questo capitolo) soltanto ad alcuni “brevi cenni”. La sua analisi prende le mosse da Nuove voci, la prima pubblicazione del giovane Defelice, per passare immediatamente a Piange la luna e Con le mani in croce, due opere (queste ultime) che diedero notorietà al loro autore, essendo state subito apprezzate sia per l’intima sostanza umana dei contenuti che per l’incisività dello stile. Nei libri successivi (Un paese e una ragazza, 12 mesi con la ragazza, La morte e il Sud e Canti d’amore dell’uomo feroce, cui si aggiunse Nenie ballate e canti, dove alta si leva la voce del poeta nel denunciare le contraddizioni e le storture del nostro tempo: un tema a cui si dedicherà anche in futuro) Defelice,


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come viene messo in luce nella monografia dell’Aita, andò sempre meglio approfondendo le tematiche amorose e sociali che gli erano proprie. Il capitolo che segue, il terzo (dedicato dall’ Aita ai libri della maturità di Defelice), si apre con un saggio critico: Temi umani e sociali in Carmine Manzi, un libro in cui vengono esaminate con singolare acume la vita e le opere di questo valente uomo di lettere, il quale fu anche autore di parecchie raccolte di poesie, nonché fondatore e direttore della rivista internazionale di Lettere e Arti “Fiorisce un cenacolo”. Arturo dei colori è il titolo del libro successivo di Defelice, composto da venti racconti di contenuto per lo più fantastico, ma con evidenti legami al vissuto. To erase, please è invece un poemetto nel quale, sul filo di una mordente ironia, Defelice descrive la triste realtà dei nostri giorni, nella quale predomina l’assedio dei mezzi di comunicazione sociale. Commenta Anna Aita: “viviamo in una società che va sempre più alla deriva, condotta da politici incapaci e corrotti, mentre ci incatenano i moderni automatismi. Bisogna che si scuota la coscienza generale. Defelice, ancora una volta ci ha provato”. La raccolta seguente, L’orto del poeta, subito ci presenta un contrasto tra un “luogo di pace” (l’orto del

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poeta, appunto) e il mondo esterno, nel quale dominano l’odio e la guerra. E’ poi la volta di Alpomo, “un poemetto satirico sulla politica degli anni ‘90”. Il titolo è tratto dal personaggio di una favola, nella quale “un cavaliere senza una chiara identità di sesso” (Alpomo, appunto), compare e scompare e forse rappresenta l’Italia, assediata da intrallazzatori e da disonesti. Non più satirico, ma espressione di un autentico sentimento di partecipazione al dolore e alla sofferenza che sussistono nel mondo, è Resurrectio (un nuovo poemetto) nel quale, attraverso tredici Stazioni, come quelle del Calvario, si passa dall’inferno della malattia al recupero della salute e quindi alla salvezza. La prova è valsa a rendere il paziente, come dice Anna Aita, “persona diversa, più decisa di fronte alle prove dell’esistenza e sicuramente più convinta del dono prezioso della vita”. Un libro di saggistica è invece il successivo, Pagine per autori calabresi del Novecento, che ci introduce nel cuore della Calabria, una regione ricca di un’antica tradizione culturale che ha dato nel tempo ottimi frutti, ma anche afflitta da antichi problemi irrisolti, nonostante la sua operosità e la sua volontà di rinascita. Diario di anni torbidi contiene le annotazioni fatte da Defelice, partendo dal marzo del 1963, sugli accadimenti più importanti della sua vita: una narrazione, condotta con spigliatezza ed anche


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con umorismo, che ci fornisce numerose notizie, oltre che sui fatti del giorno e personali dell’autore, anche sui suoi rapporti con insigni uomini di Lettere del tempo, quali Aldo Capasso e Francesco Pedrina. Alberi? è una raccolta di versi nella quale, come osserva Anna Aita, Defelice esalta la bellezza della natura, in contrasto “con la vita cittadina fatta di corse, di affanni, di sopraffazione, di violenza”. L’invito che propone è quello di un ritorno alla semplice vita dei campi, che sola può consentirci di trovare la vera serenità e la vera pace. Oltre che poeta e saggista, come si è sopradetto, Domenico Defelice è anche un valente autore di testi teatrali, quali Pregiudizi e leziosaggini e specialmente Silvìna Òlnaro, in cui viene affrontato il tema scottante dell’ eutanasia, nel caso di coma irreversibile. Palese è qui l’allusione alla tragica vicenda di Eluana Englaro, che per mesi sollevò animate discussioni sia in campo etico che politico. Si tratta infatti di un problema che coinvolge argomentazioni di vario genere (religioso, morale, giuridico, filosofico, ecc.) e non è possibile quindi pervenire ad una conclusione univoca. L’autore lascia pertanto la soluzione alla coscienza di ciascuno di noi: a lui basta aver sollevato un importante problema, il resto non gli compete. Queste due opere teatrali vengono esaminate nel quarto capitolo del libro. A questo punto del suo saggio Anna Aita dedica il capitolo successivo (il quinto) a “Pomezia Notizie”. E’ questa, ella scrive, “una rivista di nicchia” ed “apprezzata non solo in campo nazionale”; una rivista che Defelice ha fondato e sta portando avanti, come già si è osservato, con passione e competenza da più di quarant’anni. Il che costituisce certamente un traguardo importante, raggiunto con sacrifici e con molta costanza da parte del suo direttore, il quale ha voluto trovare attraverso la sua creatura un punto d’incontro tra poeti e letterati, aperti al dibattito e dediti all’ indagine critica.

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Il libro di Anna Aita si chiude con un capitolo, il sesto, nel quale l’autrice esamina le Monografie dedicate a Domenico Defelice, dandoci in tal modo una panoramica degli studi su di lui compiuti, che valgono a meglio illuminarne l’opera. Ad essi degnamente si aggiunge ora il suo, il cui contributo appare di notevole valore, per la serietà e l’accuratezza dell’analisi con le quali è stato scritto. Liliana Porro Andriuoli ANNA AITA: DOMENICO DEFELICE Un poeta aperto al mondo e all’amore - Castiglione di Sicilia CT, Il Convivio, 2013, € 12,00 Immagini: Pag. 26: 24 ottobre 1987, Palestra Istituto Statale d’Arte di Pomezia. Da sinistra: il Sindaco Attilio Bello, la poetessa e scrittrice Ada Capuana e Domenico Defelice, mentre si premia la poetessa di Bastremoli (SP) Marisa Borrini. Pag. 27, Pomezia, Natale 1984. Da Sinistra: il padre del poeta, Giuseppe Defelice, il nipotino Luca e Domenico Defelice.

INFANZIA Infanzia è sole che specchio imprigiona in un punto di fuoco. E’ quel cerchio di luce che tutto rifrange più chiaro. Infanzia è dorato mattino che l’uomo sospira d’inverno, la sera. Rocco Cambareri Dall’antologia Incontri di Poeti, a cura di Leonardo Selvaggi, Editrice Farnesiana - Piacenza, 1981.

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 29.01.2014 La FIAT, in pratica, se ne va dall’Italia e cambia nome. Alleluia! Alleluia! Oggi si chiama F...CA e piacerà senz’altro a Berlusconi! Domenico Defelice


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LA SOMALIA TRA MISERIA E FAME di Leonardo Selvaggi I OGADISCIO, la capitale della Somalia, si estende su una vasta superficie, costituita da case basse, povere e fatiscenti, fra il verde dei giardini e dei viali. Asfaltate sono le strade centrali, nell’interno di terra battuta, enormi cumuli di spazzatura e fossi scavati dalla pioggia. Molti pali della luce arrugginiti e piegati a causa delle molte automobili che sono andate contro. Si vedono asini e mucche, grandi capre dalle lunghissime orecchie che brucano l’erba dei giardini. Il traffico è disordinato con i soliti furgoncini Toyota che si vedono in tutta l’ Africa, sempre stracarichi di uomini e cose. Molto numerose le macchine giapponesi. Andando per Mogadiscio si notano i negozi che, invece delle insegne, hanno grandi disegni murali, indicanti quello che si vende all’interno. Per le strade venditrici di sigarette e tanti poveri, mendicanti paralizzati. Si notano molti bianchi di una certa età, sono i residenti italiani rimasti qui dal tempo in cui la Somalia era una nostra colonia. Sono nostalgici del regime fascista, criticano i mille problemi e disservizi esistenti. Si uniscono di sera alla Casa d’Italia, parlano dei loro ricordi con una certa aria di tristezza. Non possono e non vogliono ritornare in Patria da cui mancano da tanti anni. Si sentono attaccati alla terra somala. Questi Italiani si tengono lontani dai nuovi arrivati, gli operai delle ditte che rimangono per poco tempo, impegnati in lavori stradali o di costruzioni varie.

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II La presenza italiana in Somalia è notevole come sono numerose le testimonianze del periodo coloniale. Vicino al porto c’è uno strano arco di trionfo, a forma di binocolo rovesciato, costruito per l’arrivo del Re Vittorio Emanuele III. Per le strade diversi cippi che portano il fascio littorio. Accanto al ristorante

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Torino troviamo un Club della Juventus. L’ ambasciata italiana a Mogadiscio è la più bella e la più grande, a significare che gli Italiani sono amati più di tutti gli altri stranieri per una certa somiglianza che hanno con i Somali. Odiati specie i Russi per il regime poliziesco instaurato durante la loro permanenza che è durata fino all’inizio della guerra somaloetiopica. I sovietici nel 1977 si schierarono a favore dell’Etiopia. Il presidente Barre, cacciati i Russi accusati di tradimento, passa ad una posizione filo-occidentale per avere gli aiuti economici e militari per la sua sopravvivenza. Un altro alleato è il mondo arabo. Oltre a fornire finanziamenti, i paesi petroliferi del Golfo sono anche un polo di attrazione per molti Somali che si recano a lavorare in Arabia Saudita. III La Somalia è uno dei paesi più poveri del Terzo mondo. L’unica ricchezza è data dall’ allevamento di cammelli, pecore, capre, buoi, i cui prodotti sostengono i pastori nomadi che sono circa il 60% della popolazione su un totale di 7 milioni di abitanti. Rari i complessi industriali nei quali sono presenti i cinesi, stimati per efficienza e per la buona qualità delle loro realizzazioni. L’agricoltura è sviluppata nella zona fra l’Uebi Scebelli e il Giuba, i due grandi fiumi della Somalia meridionale e interessa appena l’1% del territorio totale: generalmente irrigati si producono cotone, canna da zucchero, arachidi. Il prodotto principale sono le banane che, nonostante la buona qualità, incontrano difficoltà di penetrazione sul mercato europeo per la concorrenza dei produttori sudamericani. Crescono spontaneamente l’incenso, la mirra, la gomma arabica. Con l’agricoltura si ha un’ economia più solida, anche le dimore hanno un assetto migliore, capanne ricoperte con un fitto strato di paglia, mentre le pareti intonacate con argilla, sterco bovino e calce. La pesca costituisce un’altra fonte di reddito, considerati la posizione della Somalia sull’Oceano Indiano ed i suoi 3.200 km di coste. Il vero motore dell’economia somala è la diaspora,


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ossia quel milione e mezzo di Somali che vivono sparsi per il globo e che contribuiscono con le loro rimesse monetarie al sostentamento dei parenti rimasti in Patria. Oltremodo fiorente è poi il traffico di armi e droga perché la Somalia costituisce un ottimo canale di ingresso per la diffusione di armi verso l’Africa Orientale e parimenti un ottimo porto di transito ed esportazione per la droga destinata ad altre zone del pianeta. IV L’ex “strada imperiale” con le sue pietre miliari decorate da fasci littori, eredità coloniale, costituisce una delle poche vie di comunicazione con il Nord, accanto a quella costruita dai cinesi che corre lungo il confine con l’Ogaden in direzione NE. La miseria non muta mai per l’inefficienza burocratica, per l’atavica pazienza e rassegnazione e le ricorrenti calamità naturali. Un paese estremamente privo di risorse naturali, quasi completamente desertico, non ha attuato né durante il periodo coloniale né poi grandi investimenti. Crisi alimentari periodicamente colpiscono il paese, molto precarie le condizioni igienicosanitarie. La guerra somalo-etiopica per il controllo dell’Ogaden e la successiva sconfitta della Somalia con la fuga di migliaia di profughi hanno determinato un completo disastro e fratture fra i vari gruppi della popolazione. Nel 1991 crolla il regime di Siad Barre e si intensificano le guerre tribali sanguinose fino al 2004, quando si avvia con il primo ministro Ali Mohamed Ghedi un processo di riconciliazione. V Il dissennato disboscamento di grandi estensioni di foreste e boscaglia ha rovinato il terreno, rendendolo sempre più desertificato. Le bellezze naturali vengono distrutte. Nelle vicinanze di Mogadiscio la costa marina rimane devastata dallo sfruttamento delle cave di madrepora, che viene estratta e utilizzata per l’edilizia, oltre ad essere bruciata per ricavare calce. I rifiuti accatastati in ogni luogo rendono poi squallido il paesaggio. Bisogna

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allontanarsi da Mogadiscio per ritrovare la bellezza della Natura. L’Oceano è meraviglioso, l’acqua limpidissima, le spiagge bianche e deserte insieme con le scogliere fanno un vero paradiso, che potrebbe dar vita ad una grande ricchezza turistica. Mancano le strutture, non esistono alberghi e il mare è infestato dagli squali. Sono pescicani voraci e aggressivi e mietono numerose vittime fra i pochi turisti e i pescatori. Un grave problema che non si risolve. Il mare potrebbe divenire fonte di ricchezza, ma i Somali sono soprattutto pastori nomadi e cacciatori. Pochi sono i pescatori e si distinguono per i loro lineamenti grossolani, più prettamente negroidi, fanno parte di etnie diverse. La gente della razza somala ha aspetti finissimi, fragili e deboli, dalla corporatura magra e slanciata, dalle gambe sottili e quasi filiformi che sbucano dalle fute in cui sono avvolte. VI I pastori abituai a fare chilometri e chilometri sotto il sole con poco nutrimento per portare le bestie al pascolo. Le donne nelle capanne di frasche curano i bambini, coltivano pezzi di terra, tagliano la legna, hanno una vita durissima. La giovinezza di queste donne spesso bellissime sfiorisce subito, consumata dagli stenti e dalle fatiche estenuanti. Le boscaglie, costituite dalle acacie, molto spinose, sono popolate da varani, da innumerevoli uccelli e insetti, un ambiente particolare, affascinante, tutto uguale, sembra infinito, è facile smarrirsi, manca la selvaggina, tanto ricca negli Stati limitrofi. Quasi distrutti gli elefanti per il commercio dell’avorio, lo stesso per i grossi felini. Il turismo per la Somalia che è una terra di una certa attrattiva potrebbe essere di grande sollievo. Occorre creare le infrastrutture, incrementare la scarsa viabilità, snellire il rigorismo dei controlli ai posti di blocco. Una pericolosità diffusa si incontra per le strade, dovuta a presenza di banditi, bracconieri. Per la sopravivenza, una lotta in ogni momento. Basta nulla per crollare. Un semplice ritardo di una petroliera può bloccare la Somalia. Si ricorre al mercato nero, i


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prezzi sono raddoppiati. Il contrabbando fa affari d’oro, crea confusione ed è fattore di deterioramento dell’economia e della situazione sociale. Un paese che rimane schiavo delle strutture governative e delle tradizioni tribali. La Somalia rimane un paese in condizioni drammatiche, il popolo scontento e diffidente. Si avvicendano gli aiuti internazionali che alleviano temporaneamente le sofferenze. Si vede sempre lontano un futuro con altre possibilità e con progetti di sviluppo. Il pericolo della fame è uno spettro specie per le regioni centromeridionali, ricorrente nei periodi di grave siccità che dura a volte anni. Leonardo Selvaggi PER LA PRIMAVERA DELL’ARABIA Questa volta scrivo con il mio sangue questi versi per voi. Scrivo per voi che con il sangue scrivete la storia, per una terra più giusta. Voi, laggiù, sotto il sole tòrrido del deserto, per le strade strette, orientali che roteano intorno ad assi, delle città che hanno messo in risalto un Averroè, un Avicenna, soprattutto però, l’eroe sconosciuto, il martire; vi lanciate come un fiume, i cui bisbigli diventano urli contro i dittatori. Un torrente impetuoso di carne, che diventa Nilo, che non ha paura delle pallòttole, che lo bucano, che non ha paura dei tank, che lo calpestano. Tutti insieme come una bocca, con una forza grandissima che circonda il planeta: “IL DIO 'E GRANDE”. Si! Sempre il Dio è grande con coloro che avevano e hanno una grandezza nell’anima! Anche quando le esistenze di queste persone sfrigolano lievemente come le cere, che non gli rimane molto tempo per vivere perché una mano sporca li getta nel carcere. Lì dentro li umiliano, li violano nel buio assoluto, afferrando e sprecando la loro dignità, così semplicemente, senza voler saper che essa appartiene, e in nessun modo si perderà, e apparterrà solamente a tutti coloro che amano il sole, che si innamorano dei fiori, che abbracciano il mare e si rallegrano con il profumo della

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notte! Loro non hanno voluto mai chinare il capo davanti a un padrone sanguinario; che gli ha infilato dentro il petto una canna, assorbendogli il sangue. Adesso, in questo momento, sentiamo la loro melodia che proviene dall’Arabia. Gridano tutti insieme dalla moschea e le vene aprono tingendo di colore rosso i versi sacri del Corano, e dal minareto che sempre si volge verso la Mecca della giustizia, della giustizia di ogni religione, che innalza l’uomo accanto a Dio e unisce tutti noi: i temperamenti multiformi dell’organismo dell’Umanità, la creazione più perfetta tramite la magia dello sviluppo, e anche questo autore così distinto e così comune, di questa poesia, che lotta con il razzismo che provoca la pazzia. Le loro parole vengono alle nostre labbra, vengono alle mie labbra, brillano nei miei testi scritti: MEGLIO LA MORTE CHE L’UMILIAZIONE!!! Themistoklis Katsaounis Scrittore e Poeta traduzione dal greco: Giorgia Chaidemenopoulou

CANTICO MARINO Grazie per questa ultima – forse – vacanza per il sole caldo e raggiante per il vento pregnante di aromi lontani per la sabbia soffice al passo per il mare/madre da cui provengo e dove vorrei terminare il mio ciclo che mi accoglie con un protettivo ùbere umido utero in cui mi abbandono tranquilla e galleggio gareggio gorgheggio per la nuova gioia di vivere immersa nella natura dimentica del mio passato sicura nel mio presente serena sul mio futuro perché – forse – ho imparato l’ars moriendi. Liana De Luca


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Il Racconto

RIMPATRIATA di Isidoro D’Anna UEST’anno, i cugini siciliani Vito e Vito, detti Viti, hanno trascorso la loro settimanella estiva a Trapani, la capitale non dichiarata degli elettricisti, ma è successo un inconveniente. Esistono gli inconvenienti abituali, ai quali sarebbe strano rinunciare, perché vorrebbe dire che non siamo più dalle parti nostre. Sarebbe come diventare apolidi e nomadi in casa propria. A queste situazioni siamo quasi inconsciamente affezionati: un vago sentore di mafia, certi medici appostati nella loro sede pubblica in attesa di mandarti all’altro mondo, acqua corrente a singhiozzo e portafogli a secco per i più. Ma scendere da Milano con l’aereo scovato al risparmio e passare sette giorni nell’isola baciata dal sole in punta allo Stivale, senza poter fare un bagno, è una vera disgrazia. E’ qualcosa che non si può nemmeno pensare: le cotolettone oriunde abbisognano di riprendere lungo il lido il loro sapore tipico, passate in acqua di mare e impanate nella sabbia, tutti ingredienti locali. Non è stata la pioggia inattesa, durata solo due giorni. Non si minacciano sparatorie da un lato all’altro dello stabilimento balneare. Nessuno s’è sognato di richiamare al lavoro l’uno o l’altro dei cugini Viti. E di inquinamento neanche a parlarne. Purtroppo, all’alba del giorno in cui i Viti decollavano dall’aeroporto, gli squali sono dilagati lungo la costa, e con essi delle grosse piovre. I Siciliani ci credevano e non ci credevano. Qualcuno, a ripetizione, ha messo piede in acqua. Persone di mezza età, grassottelle. Gli squali e le piovre hanno preso a litigarsi i pochi bagnanti in acqua, ancor prima d’ impossessarsene. Allora il bagnante o la bagnante con la testa tra le nuvole si tratteneva ad osservare l’inaudita lotta, ma dopo un po’, vista la confusione, tornava a riva.

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Risalendo fuori dall’acqua, il bagnante o la bagnante aveva un solo commento “Oggi non è giornata!”. Allora si poteva sentire una voce da più addentro alla spiaggia: “Mannaggia, io ci speravo tanto!” Era sempre una voce maschile se si trattava di una bagnante, o femminile se si trattava di un bagnante. Un Vito dava di gomito all’altro, il quale però ridacchiava appena, perché avrebbe voluto passarsi nel mare e rotolarsi nella sabbia. La balneabilità è stata ripristinata quando ormai Trapani e Viti dovevano di nuovo separarsi, allo scadere del soggiorno. Il punto debole degli squali è la vista assai corta. Il punto debole delle piovre, così come dei semplici polpi, sta nell’essere dei giocherelloni. Mentre Vito e Vito lasciavano la spiaggia dopo l’ultima permanenza possibile, hanno visto un bambino sfidare, in un certo senso, il pericolo annidato tra le onde. Dal bagnasciuga ha tirato una grossa palla a spicchi colorati verso la piovra. La piovra, colta dal ghiribizzo, inizia a palleggiare con il bambino. Le altre piovre s’ assiepano accanto, incuriosite. Gli squali intendono il movimento e subodorano una possibile caccia all’uomo. Ad un certo punto il bambino, ripresa la palla, corre verso l’ ombrellone. La piovra, volendo continuare il gioco, gli corre dietro. Dietro si precipitano tutte le altre piovre. Dietro ancora, a brevissima distanza, tutti gli squali. Tuta quella marmaglia marina ovviamente si è trovata nei guai una volta spiaggiata. Ma mentre degli squali nessuno ha avuto pietà, quando questi si avviavano a schiattare si sono ributtate in acqua le piovre, restituendole al loro elemento naturale. Le piovre a loro volta hanno compreso che bisognava ormai tornare in mare aperto, e così hanno fatto. Rientrati a Milano, i Viti hanno raccontato la storia ai colleghi e al capocantiere, i quali hanno riso molto, credendo che i due cugini fossero impazziti, perché con le loro invenzioni forse volevano divenire scrittori. Isidoro D’Anna


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Luci della Capitale di Noemi Lusi

Col tempo, speriamo non troppo, chissà…

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revissime le vacanze dei docenti della scuola superiore italiana, contrariamente a quanto vuole la leggenda metropolitana. Quindici giorni a Natale, sì, ma, comunque, a disposizione dell’Amministrazione e pieni di compiti da correggere per poter tornare pronti in vista della chiusura del primo quadrimestre. Soprattutto vacanze ‘obbligate’… Un professore non può non assentarsi dal ventidue dicembre al sei gennaio ed è in quel periodo e solo in quel lasso di tempo che ha facoltà, se vuole, di decidere di trascorrere qualche giorno di vacanza invernale, budget permettendo e con la possibilità di essere in qualsiasi momento convocato in servizio presso la propria sede di appartenenza. Parlo di ‘qualche giorno’ perché ‘settimana’ è una parola da benestante che, seguita poi dall’aggettivo ‘bianca’, implica agiatezza, viste le sottese spese di viaggio, hotel, attrezzatura, skipass e perché no… lezioni di sci visto che non è un’opportunità che il docente medio, per censo, può permettersi. Non è che i professori non siano sportivi, ma al ‘benessere’ che costituisce presupposto della ‘settimana’ di vacanza, alla ‘agiatezza’ dell’abbinamento del sostantivo all’aggettivo ‘bianca’, il doverne ‘molto eventualmente’ usufruire in modo perentorio nel periodo di vacanze natalizie e dunque in ‘altissima stagione’ rende il progetto, assolutamente, sempre per il docente medio, proibitivo.

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D’altra parte l’insegnante è abituato dal momento che tutti i suoi periodi di vacanza coincidono perfettamente con quello che tour operators e agenzie considerano come servizio al ‘massimo della fascia’. Né è possibile usufruire di altri giorni liberi, almeno per ‘eventi fausti’, durante l’anno tranne i tre giorni per motivi familiari e i quindici per matrimonio, questi ultimi per definizione da auspicare siano solo ‘una tantum’. Le vacanze di Pasqua sono, poi, veramente simboliche. Quelle estive corre voce che siano di tre mesi, mentre corrispondono soltanto ai 32 più 4 giorni degli impiegati pubblici, essendo la maggior parte dei professori della secondaria superiore impegnati negli obbligatori esami di stato al servizio della comunità tutta in qualità di commissari d’esami o presidenti di commissione. Dunque, di nuovo ferie, questa volta estive, di cui usufruire quando tutto è assolutamente più costoso. Uniformiamo molto all’Europa, dimenticandoci spesso, però, del positivo. Già quaranta anni fa la Gran Bretagna concepiva un orario scolastico dalle nove alle sedici, con sole quattro ore e quaranta nette di lezione della durata di quarantacinque minuti, talvolta doppie, con intervalli di venti minuti e con docenti senza stretto obbligo di sorveglianza, privilegiando l’assunzione da parte dei ragazzi di autonomia e senso di responsabilità. Un’ora e venti veniva dedicata al pranzo, per l’importanza attribuita all’alimentazione, fondamentale quanto lo studio per la crescita della persona. Quattro ore e quaranta nette, ben divise, possibili per la presenza di strutture ancora oggi inconcepibili nella nostra scuola superiore. Giusta dose di intervalli che ‘già da allora’ permettevano alle menti dei docenti e dei discenti di ben vivere il dovere che, così facendo, diventa quasi un piacere. Ben diverso dalle nostre cinque o sei ore di 60 minuti con un’unica pausa di 15, in cui si è nell’imbarazzo di scegliere se mangiare, bere o, nel caso del docente, solo previa notifica ai collaboratori scolastici, espletare impre-


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scindibili funzioni fisiologiche. Sorvoliamo sui mancati rinnovi del contratto, gli inesistenti aumenti di stipendio da anni, la mancata equiparazione degli stessi a quelli dei colleghi europei che percepiscono dalle due alle tre volte gli emolumenti del docente medio italiano, spesso con disponibilità di un ufficio personale dotato di bagno interno, ‘cafeteria’ con stoviglie in ceramica, collegamento wireless in tutti gli ambienti e chi più ne ha più ne metta. Concluderei con il richiamare alla mente il fatto che da più parti si sente inneggiare all’efficienza del sistema scolastico in Finlandia. Proprio giorni fa, parlando con una collega di Helsinki, ho appreso che, al di là dello stipendio incomparabile, i docenti finlandesi usufruiscono di ben dodici settimane di vacanze estive della quali solo una li vede ad eventuale, non consueta, disposizione. Professori e studenti finlandesi sono spesso citati dai ‘media’ italiani per efficienza, risultati e standards qualitativi. Chissà che non dipenda anche dalle condizioni professionali, dalla vivibilità dei ritmi, dalla conseguente serenità degli insegnanti, pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni. Auspichiamo che si decida di imitare anche questo dall’Europa, possibilmente rispettando fasi tecniche tali da fare in modo che chi oggi esprime questo desiderio sia ancora in vita. Col tempo, speriamo non troppo, chissà… Noemi Lusi

COME È BELLO Come è bello guardare un bambino che gioca, sembra che, nella sua ingenuità, abbia trovato il valore della vita. Loretta Bonucci

Pag.34 STA SCENDENDO Sta scendendo la notte e tutto diventa ombra. Il cielo è ricoperto di grigio e gli ultimi uccelli ritornano al nido. qualche grido di bimbo si sente d’intorno; è un bimbo che gioca a girotondo, rischiarando la notte. Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, MI

FAVO Nel favo della tua anima, miele é stillato dal tuo bacio. Dolce sapore e odore, che sgorga dal cuore. In Primavera mi punge il tuo pungiglione, e fiorisce con te l’amore. I bisbigli d’amore ronzano e i miei occhi mi lacrimano. Come le api che viaggiano sui fiori, e raccolgono pazientemente tutti i beni, i beni di Dio, così anch’io, allo scopo di ringiovanire, di rinnovarmi, sto cercando sentimenti mielati, i primi fremiti del cuore, sto cercando L’AMORE. Giorgia Chaidemenopoulou Grecia


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Comunicato STAMPA XXIV Edizione

CITTÀ DI POMEZIA L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM) - Tel. 06 9112113 – E-Mail: defelice. d@tiscali.it organizza, per l’anno 2014, la XXIV Edizione del Premio Letterario Internazionale CITTÀ DI POMEZIA, suddiviso nelle seguenti sezioni : A - Raccolta di poesie (max 500 vv.), da inviare fascicolata e con titolo, pena esclusione. Se è possibile, inviare, assieme alla copia cartacea, anche il CD; B - Poesia singola (max 35 vv.) ; C – Poesia in vernacolo (max 35 vv.), con allegata versione in lingua; D - Racconto, o novella (max 6 cartelle. Per cartella si intende un foglio battuto a macchina – o computer - da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1800 battute. Se è possibile, inviare, accanto alla copia cartacea, anche il CD); E – Fiaba (max 6 cartelle, come sopra, lettera D); F – Saggio critico (max 6 cartelle, c. s.). Non possono partecipare alla stessa sezione i vincitori (i Primi classificati) delle trascorse Edizioni. Le opere (non manoscritte, pena l’ esclusione), inedite e mai premiate, con firma, indirizzo chiaro dell’autore e dichiarazione di autenticità, devono pervenire a Domenico Defelice – via Fratelli Bandiera 6 - 00040 POMEZIA (RM) - e in unica copia - entro e non oltre il 31 maggio 2014. Le opere straniere devono essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana. Ad ogni autore, che può partecipare a una sola sezione e allegare un breve curriculum di non oltre dieci righe, è richiesto un contributo di 20 Euro per la sezione A e 10 Euro per le altre sezioni, in contanti assieme agli elaborati (ma non si risponde di eventuali disguidi) o da versare sul c. c. p. N° 43585009 intestato a :Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM). Le quote sono in eu-

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ro anche per gli autori stranieri. Sono esclusi dal contributo i minori di anni 18 (autocertificazione secondo Legge Bassanini). Non è prevista cerimonia di premiazione e l’operato della Commissione di Lettura della Rivista è insindacabile. I Premi consistono nella sola pubblicazione dei lavori. All’unico vincitore della Sezione A verranno consegnate 20 copie del Quaderno Letterario Il Croco (supplemento di Pomezia-Notizie), sul quale sarà pubblicata gratuitamente la sua opera. Tutte le altre copie verranno distribuite gratuitamente, a lettori e collaboratori, allegando il fascicolo al numero della Rivista (presumibilmente quello di ottobre 2013). Sui successivi numeri (che l’autore riceverà solo se abbonato) saranno ospitate le eventuali note critiche e le recensioni. Ai vincitori delle sezioni B, C, D, E, F e ai secondi classificati per ciascuna sezione, verrà inviata copia della Rivista - o del Quaderno Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro. Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, la Commissione di Lettura può decidere anche la non assegnazione del premio. La mancata osservazione, anche parziale, del presente regolamento comporta l’ automatica esclusione. Foro competente è quello di Roma. Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di Pomezia-Notizie Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edizioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Ettore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Marabelli:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Menabò; Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli (USA): Canti del ritorno; Solange De Bressieux (Francia): Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Itinerario a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di Arthur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde la memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi; Giovanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Mancusi Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che ho scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni d’ amore; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgina Busca Gernetti: L’anima e il lago; Rossano Onano: Mascara; Fulvio Castellani: Quaderno sgualcito; Nazario Pardini: I simboli del mito.


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I POETI E LA NATURA - 29 di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

PER GIANNI RESCIGNO “OGGI LA PRIMAVERA È ALITO”

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uesta ventinovesima puntata, che cade nel mese in cui, di solito, “finisce” l'inverno (quest'anno particolarmente piovoso e nevoso), lo voglio dedicare alla Primavera. E precisamente alla “primavera” di un poeta del Sud (Santa Maria di Castellabate, Salerno) che, pur vivendo in un mondo appartato e lontano da inutili clamori, peraltro estremamente laborioso e faticato, si è conquistato, a partire dal 1969, con una raffica di libri di alta qualità artistica, una propria cittadinanza geografica e spirituale nel panorama poetico contemporaneo. La “primavera” di cui parlo oggi è quella di una sua poesia emblematica, intitolata Oggi la primavera è un alito, tratta dalla silloge “ Le ore dell'uomo” ( Forum-Quinta Generazione, Forlì 1985). Un libro introdotto, come

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al solito, da una prefazione quanto mai entusiasta di Giorgio Bàrberi Squarotti, che è arrivato a scrivere, tra l'altro: “ … C'è finalmente qualcosa di nuovo, nella poesia in Italia : e non è una direzione restaurativa o neoorfica, ma nella più antica direzione della poesia come testimonianza di verità e come, al tempo stesso, invenzione di figure, di linguaggio, di ritmi, di situazioni, di vicende, qui nei modi di una superiore quiete, di una serenità suprema, di un equilibrio di metro e di parole che discende dalla fiduciosa visione che Rescigno ha della vita e perfettamente manifestandola e comunicandola...” La primavera rescigniana parla di una “deliziosa rinascita”, pur senza presentare ai lettori il ricorrente campionario di fiorellini nei prati, di uccellini sugli alberi, di cieli azzurri e dolci brezze, etc. etc. E' una “primavera” che ci mostra un rapporto simbiotico tra poeta e Natura, basato sull' empatia e sulla simpatia o, in altre parole, sulla sostanziale unità – non solo strutturale – tra mondo dell'Uomo e mondo della Natura, partecipanti entrambi al torturante ma gioioso Mistero di una creazione divina che si perpetua di giorno in giorno, invece di essere data una volta per tutte. Tutta la produzione poetica di Rescigno, già a partire dal lontano “ Credere” del 1969 fino ai giorni nostri, è impregnata di una fede religiosa serena e convinta, indispensabile e ineludibile, che offre all'uomo l'unica vera chiave per leggere e interpretare correttamente la vita e il mondo, la cronaca e la storia. Nello scombussolamento generale provocato dall' uomo “moderno”, che ha toccato, di questa povera Terra, perfino il clima e l'andamento delle stagioni, l'alito primaverile “ si annulla all'improvviso / nel giallo accecante dell'estate”. Non è esagerato quell'accecante. Ricordiamo che quelle di Rescigno, l'agro nocerino e il Cilento, sono terre dove il sole brucia le vigne. Ma nonostante tutto, il poeta non esita a confessare: …Ancora una volta però sento d'infiorare la tua immagine macchiata quasi negativo perché un esercito


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di istanti v' è passato. Festeggiare così la rinascita m'è delizia ….................. Oggi per te apro e concludo questa primavera con fiori schiusi e già bruciati dal passo ardente, cosmico, sbalestrato di altri arrivi gemellari : vita-morte realtà-illusione. Si noti l'assoluta icasticità del linguaggio, che non sperpera i suoi frutti ma richiede la paziente cointerpretazione del lettore perché la lirica venga gustata. Luigi De Rosa

E si parlava del tempo e della pioggia. Lo rincontrai, passato qualche mese su di una carrozzella.

FIABA

ANCHE A COSTO DI VEDERTI PIANGERE a Riccardo Carnevalini Milano

Fiaba a dismisura adagiata tra le mie seduzioni tu sei il battito cardiaco alle stelle. Quando scenderà la sera sarò la ad attenderla con l'abito bianco della colomba tu sola mi porterai la luce. In questo luogo non luogo tra queste rive d'argento io attendo in armonia nel grigiore silenzioso della mia vita. Adriana Mondo

E PARLAVA DEL TEMPO E DELLA PIOGGIA E due o tre volte al mese l’incontravo quando qui attorno uscivo per le spese: era di mezza età ed un bastone soccorreva il suo stento claudicare. Solo un amabile saluto ovvero due parole sul tempo e sulla pioggia. E sorrideva. E presto lo rividi, ma il suo bastone or era una stampella che il mese appresso si raddoppiò in un secondo appoggio. E sorrideva.

Mai si disse di lui, dei suoi tormenti, ma soltanto del tempo e della pioggia. Più non lo vidi. E domandai di lui. Nessun sapeva. Vana fu la domanda, ché la risposta già me l’ero data: muta la voce del tempo e della pioggia. Serena Siniscalco Milano, maggio 2013

Il cuore lacerato ho dalla pena allorché non ti parlo, deciso a punire i tuoi capricci: il mangiare, il giocare, lo stare insieme agli altri, il tuo egoismo. Dici a nonna che vorresti con me rifare pace, chiedermi scusa. Ma ti avvicini, un po’ mi guardi senza aprir bocca e ti allontani. Sei ancora un bimbo e dovresti addolcire il tuo carattere. Come farti capire che non è giusto tu l’abbia sempre vinta, che tutto non è bene quel che chiedi, che l’orgoglio sfrenato annebbia e la vita amareggia ed anche uccide. Ancora non distingui il giusto dall’ingiusto, il bene e il male. Tocca a noi moderare le tue brame. A costo anche di vederti piangere, a lungo lacrimare. Domenico Defelice


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(Disegno di Serena Cavallini)

Recensioni SANDRO ANGELUCCI “DI RESCIGNO IL RACCONTO INFINITO” Ed. Blu di Prussia, 2014 - Pagg. 96, € 12,00 E’un saggio fortemente empatico quello che Sandro Angelucci, lettore attento e costante della poesia di Rescigno, ha voluto dedicargli, rendendo omaggio allo stesso tempo all’uomo e al poeta, che, per le caratteristiche della sua scrittura, sembra rappresentare per il critico l’idea stessa della parola poetica come strumento di assolutizzazione della vicenda personale e naturale e trasferimento del tempo terreno in una dimensione più alta e incommensurabile. Infatti Angelucci impernia il suo saggio sul concetto del tempo così come si dispiega nei versi di Rescigno, il quale, fedele alle sue radici contadine, pone al centro del suo canto la Natura con la sua meravigliosa e fragile ciclicità, con la straordinaria mutevolezza delle forme e degli accadimenti, in cui è da leggere la legge stessa della vita; e però, sottolinea il critico, questa consapevolezza coinciderebbe soltanto con la straordinaria capacità descrittiva di creature e paesaggi, così presenti nelle sillogi prese in considerazione, e la loro fuggevolezza approderebbe nel nichilismo, se nella Natura Rescigno non vedesse l’impronta divina, la testimonianza di una misericordiosa e incessante creatività che dalla morte fa scaturire non solo altra vita terrena, ma la vita celeste, là dove il tempo si eternizza.

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E’ così che il canto creaturale del poeta Rescigno diventa il “racconto infinito” del tempo oltre il tempo, così come ce lo dona Dio che promette al cuore del poeta un sogno con il quale attraversare il tempo della vita sapendo che alla fine esso si concretizzerà; in altri termini Rescigno sa camminare verso il traguardo insieme alla fede e, perciò, come in San Francesco, la morte, invece che apparire angosciante, gli diventa sorella. Il saggio Di Angelucci è molto interessante, proprio per la sua unitarietà interpretativa, di certo aiutata non soltanto dalla lettura e meditazione di tutta l’ormai vasta produzione poetica di Gianni Rescigno, ma anche dalla frequentazione amicale, la quale gli ha confermato come la visione del poeta sia tutt’uno con la sua esperienza di uomo. Non è così facile, come potrebbe sembrare, una tale coincidenza; e, quando avviene, così come avviene nella poesia di Rescigno, la massima semplicità e chiarezza del dire veicolano la massima profondità e intensità del pensare. Nella poesia di Rescigno non c’è nessuna retorica, nessun infingimento, nessuna posa intellettuale, ma autenticità, verità, umanissima considerazione di se stesso e degli altri e della fatica che comporta essere uomini in esilio dall’Eden, che va riconquistato giorno dopo giorno. Sono qualità che Angelucci pone in rilievo, citando numerosi testi, sottolineando certe costanti tematiche e scelte lessicali ed osservando anche come, con il tempo, la poesia di Rescigno si sia fatta sempre più densa ed essenziale. Inoltre, per la prima volta, Angelucci istituisce un parallelo fra Rescigno ed il poeta russo Esenin, nei cui confronti il primo, nonostante la sua indipendenza letteraria - altro suo tratto caratteristico - ha sempre dichiarato la sua ammirazione, servendosi, per mettere in luce le convergenze, di alcuni brani del saggio dedicato al poeta russo da Curzia Ferrari: le radici contadine, la meraviglia continua di fronte ad un paesaggio insieme naturale e mistico, il rarissimo dono della semplicità; e trovando le divergenze nelle diverse vicende biografiche: “ (…) accade però, – scrive Angelucci – ad un certo punto, che le due strade sembrino dividersi: da una parte, il poeta russo trasforma la propria sofferenza di “lirico campestre cacciato dal suo eden” nella protesta che gli varrà la nomea di ubriacone e bestemmiatore (…); dall’altra, Rescigno reagisce alla perdita raccogliendo tutto se stesso nella memoria del proprio vissuto e cercando, con successo, di farlo rinascere, di trasferirlo dal passato al presente come se non fosse mai esistito.” Eppure, oltre l’apparente diversità, Angelucci dimostra come entrambi siano accomunati dalla stessa idea di verginità, che li gui-


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da entrambi verso “il riconoscimento di un sentimento religioso della natura”. In fin dei conti, ne consegue che è il soffio dello Spirito che anima entrambi i poeti, quello che permette ad Esenin di trasformare la sua terra nel simbolo della “Russia celeste”, e a Rescigno di fare della sua terra d’origine il paradiso della divina infanzia dell’Umanità. Sì, il soffio dello Spirito che brucia con i suoi carboni ardenti le labbra dei poeti. E queste radici cristiane, cariche di simboli, sacralità contemplativa, esperienza della parola come creatività divina, idea del tempo e dello spazio come sovra-tempo e sovra-spazio, sono così evidenti in Rescigno che la sua poesia non si potrebbe concepire al di fuori di esse. Giustamente il titolo del saggio di Angelucci recita: di Rescigno il racconto infinito. Franca Alaimo

ROSSELLA CERNIGLIA ANTOLOGIA Guido Miano Editore, Milano, 2013 Essenzialità del dire e ricchezza di pensiero costituiscono le caratteristiche fondamentali della poesia di Rossella Cerniglia; e sono caratteristiche che emergono subito con evidenza dall’Antologia delle sue raccolte, apparsa nel 2013 presso l’Editore Guido Miano di Milano. Basta leggere a caso per avvedersene: “Senza uccelli né foglie e senza vento, / è venuta la notte. / Senza una luna di giglio / né un martirio d’aurora” (Pastori del silenzio); “Profilo incerto / d’ombra e di luce / tiene le cose” (Basilisco); “Spento s’è il giorno tuo / sulla dilatata pupilla” (L’ultima esperienza). Particolarmente efficace appare la terza di queste poesie, che è un affettuoso compianto per un amico morto, Alfredo Rampi. Ma si veda specialmente, in quanto rivelatrice della visione del mondo della Cerniglia, Inutile cammino, permeata com’è da un profondo pessimismo: “Lento mi pare / e inutile / il cammino // un errare per terra straniera / un andare lungo e peregrino / di dubbi mai dissolti”. E si tratta di un pessimismo che ritroviamo poco dopo in Alba: “… alba o morte fatta luce / arabesco fatale d’agonia / … / l’alba che alta si levò nel cielo / perduta è già / senza speranza”. Espressione di tale stato d’animo sono pure poesie come Arcaico silenzio, dove è la città che viene rappresentata sbarbarianamente come luogo di alienazione e di inappartenenza: “Apogeo di squallore / i tetti rossi uguali // geometria / di sventrate strutture la città”; Chimera di libertà, disilluso sguardo rivolto sul mondo: “Solo dritti profili / hanno le co-

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se // una precisa lama / incide oggi / in eterno / ciò che resta”; Pesantezza: “ed è il Nulla che pesa / dentro me”. Anche le figure del mito, come Prometeo, concorrono ad esprimere tale weltanschauung, come avviene nella succitata Chimera di libertà: “Lo spirito divino / Prometeo alla pietra-perenne incatenato / o vaga forma-anelito, / nella ‘separazione’ / si forgia la tua vita”. Si legga inoltre Minotauro, dove il mostro che attende le vittime a lui destinate “funesto mugghia / e il muggito nelle trombe della notte / si disperde”. Osserva Enzo Concardi nella sua puntuale prefazione al libro che “nelle poesie di Fragmenta - una delle sillogi qui antologizzate - il lettore può constatare un’appassionata arringa a favore di un ‘agnosticismo’ di ricerca, non passivo, mai domo e sempre tormentato da domande esistenziali che scavano nel profondo”; il che è facilmente riscontrabile in testi quali Torna qui la memoria, dove si legge: “Ad un muro contrasta altro muro / a ogni porta sbarrata è altra porta” e “Giammai conoscerò la mia ventura / giammai qual è il dio che mi sovrasta”. Il desiderio di conoscenza e quello del superamento dei propri limiti, insiti nel cuore dell’uomo vengono invece esaltati dalla Cerniglia nella poesia L’isola, dove compare l’eroe che più di ogni altro li incarna, Ulisse: “… poiché questo è il destino d’ ogni umano: che varchi il suo confine / e a sé ritorni. / … / sempre un Ulisse fu, ov’è un porto / e un’ isola che attende”. Un richiamo mitologico nella poesia della Cerniglia lo troviamo ancora in Narciso, che inizia con un movimento squisitamente classico: “La fonte era, tra canne, un muto specchio”. Un chiaro riferimento dantesco (alla Città di Dite) lo si incontra invece in Riva d’Acheronte (“Era la notte / allo stallo dei pensieri / profonda notte / senza astri nel cielo”) e in Stige (“Nell’aria / era una pena / sfilacciata / a brandelli pioveva / … / Entrai / con la mia prora / nell’opaco corpo / del silenzio”). Una schietta tematica amorosa emerge poi da una lirica come Questi cui l’oro risplende, dove si legge: “… questi / è il fanciullo puro / che mi sta innanzi / e rubò il mio cuore”, mentre una tematica religiosa la troviamo in Preghiera: “Perché, Signore, mi hai fatto dissimile alle cose / con una volontà d’essere altro” e in Preghiera per un amore: “Guidaci Tu a un amore meno umano / … / e non sia mortale desiderio / d’un viso o d’uno sguardo”. Una poesia scaturita dagli affetti familiari è certamente Figlio: “Figlio, germoglio di carne viva”. Immagine, che subito segue, è invece il compianto per un defunto: “Ora ti vedo alla ringhiera affacciato / ove Carini Alta s’offre alla vista / del mare”.


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Ellenica rappresenta un tuffo nel tempo che ci riporta ad età trascorse e a luminose rive: “Egina offre ancora il brulicare / rumoroso dei mercanti”; “Suoni divide e immobili / silenzi Epidauro”; “Vento sul Partenone . / Atena abbaglia / con scudo e lancia invita”. Per quanto riguarda la metrica è da osservarsi che queste poesie sono rette sotterraneamente da quella tradizionale, resa però moderna da talune fratture del verso, come avviene ad esempio, in Riva d’ Acheronte, dove leggiamo: “Dall’alto / un raggio / per le quiete stanze / spande la luce stanca / della vita” o in Fondamento, dove è scritto: “La tensione dell’arco ha dipartito / la distanza da me / nel tempo senza tempo / dello scocco. / Inerte giace / quel che non è ancora”. Il libro termina con alcuni testi tratti dalla silloge intitolata Aporia, dai quali emergono gli insanabili dubbi che si presentano alla ragione, la quale sovente riflette sulla realtà del mondo senza trovare una spiegazione che la soddisfi. Così avviene, ad esempio, in La distanza infinita, dove la poetessa si sofferma sull’incolmabile distanza tra l’uomo e Dio; in Il vascello, dove ella s’interroga sul significato della vita; in L’angelo della notte, che conclude il libro con una domanda irrisolta sul Mistero che ci racchiude. Una tematica complessa è dunque quella che emerge da quest’Antologia delle poesie di Rossella Cerniglia; un libro che solleva molti problemi di natura filosofica (la Cerniglia è laureata in Filosofia e insegna Lettere negli Istituti Superiori), ma che accanto all’attitudine speculativa rivela anche nella sua autrice un’indubbia capacità di creare della poesia degna di questo nome. Elio Andriuoli

SANDRO ANGELUCCI “DI RESCIGNO IL RACCONTO INFINITO” Ed. Blu di Prussia, 2014 - Pagg. 96, € 12,00 La terra, il mare e il sole, abitano da sempre nell’anima del poeta Gianni Rescigno. Lo dice qui il suo critico e interlocutore Sandro Angelucci. Lo dice nel suo lungo saggio a pag.30, all’inizio della sezione Il respiro del sole. È una affermazione che attesta la già completa maturazione del rapporto fra i due, rapporto di vita più che fra letterati. Secondo la mia lettura del saggio, la ricerca all’interno dell’intera poetica dell’amico poeta, veniva da un bisogno che ha trovato soluzione. Forse il bisogno di condividere il senso dell’utopia, o un’utopia particolare. Lo stesso senso della vita, felice in sé anche nel dolore, cos’è se non superamento dei limiti

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pratici? Come qualcuno mi dicesse: hai avuto un corpo, a te dargli scopo e anima. Si accennava all’ utopia già a pag.13 e a pag.18 si è riusciti a collocare, con parola raziocinante anche se generata da passione, lo spazio in sé infinito in quello limitato di un soggetto vivente. Vanità della misura realistica. Cos’è che in Rescigno stupisce, blocca e al tempo stesso spinge a muoversi la mente di Angelucci? Ha il nostro poeta, autentico poeta, la parola che, ovviamente, non conosce prigioni, che muove quasi da se stessa, più che dall’uomo parlante e scrivente. Uomo di mare e di terra, appunto, che ha sviluppato una simile, interiore libertà, semplicemente nell’ abbandono cosciente ai flussi quotidiani. Il quotidiano di un luogo, un paese del nostro sud. L’uomo in questione sa che il moto è tutto. Sa che “Appena uno cade / un altro inizia / a passare e a cantare”. Una delle infinite note che lo scopritore coglie e rivela. Trovo che ai due amici interessa, non la cultura come veste, ma la “crescita intera dell’uomo”. Una sorta di saggezza che si direbbe contadina. Nel senso di una valenza antica, emanante fede più che autorità di nozione. Ci racconta Sandro che Gianni, nel suo lavoro arriva a percepire, attraverso la carta, l’interno del tronco d’albero. Di queste scoperte lui si cura, per cui il libro procede senza allineamenti noiosi. È ampio lo studio perché si deve giungere all’essenziale. E il critico arriva a rievocare Esenin, l’autore che ha dato nuova vita al Dio contadino della sua Russia. Anche se il mio discorso è immeditato e breve, la mia adesione è vera e necessaria. In tempi di generale alienazione, di distacco dal modo umanitario e umanistico, amo incontrare simili voci, creative e di giudizio, per lasciarmi da loro guidare. Angelucci parla anche, naturalmente, della morte, presente nella poesia che ha davanti. Morteconfine, morte-scoperta, morte-amore. Un elemento dinamico, una conferma del tempo. Del tempo e del moto, che il tempo sottintende. E il poeta narrato ecco che si fa sempre più fisicamente presente, percepibile. È un lavoro psico-storico questo. Non partire dall’aspetto toccabile e astrattizzare, ma partire dalla parola, il verbo e giungere alla carne. Partire dall’ambiente vasto e giungere a quello ristretto, come un procedere concentrico. Il regista, l’accompagnatore del poeta, quando rientra nella pura osservazione sarà tutto impregnato di odori, odori campagnoli. Nel condurre a noi il poeta, egli quasi opera una sostituzione fra loro due. Il commento alla poesia come ingresso nel mondo dell’altro. Dove mi porta, dico io, questa lettura?


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Dopo Esenin e Quasimodo, più Leopardi, il tracciato dell’opera offre i nomi di Dante e Virgilio. E a Virgilio l’autore lascia la cura del proprio amato poeta. Lascia a me un Gianni Rescigno svelato, quasi toccabile. Alberta Bigagli

ANTONIO VITOLO IL RESPIRO DELL’ADDIO. La poesia dell’attesa e il rapporto madre-figlio in Gianni Rescigno. Saggio critico - Genesi Editrice, Torino, 2012; pp. 41, € 6,00. (In copertina: Domenico Severino, La madre, acrilico su cartoncino, s.d.). L’amore della madre – insieme all’amore per la madre – è senza alcun dubbio uno dei fondamenti della poesia di Gianni Rescigno. Unitamente all’ esperienza vissuta della fede, al senso esistenziale e metafisico del trascorrere del Tempo, e alla rappresentazione del paesaggio, è un tema che costituisce uno dei cardini di tutta la sua opera poetica. La madre del poeta, scomparsa improvvisamente molti anni fa, non ancora settantenne, viene dal figlio ricordata e anche trasfigurata nella costanza della memoria, così da tramutarsi per così dire in “un’amorosa ombra piena di concretezza”. Una poesia che la raffigura bianca come la Signora delle nevi, come una voce lontana e come una veste frusciante come l’ombra bene esprime quanto essa sia divenuta e rimasta col tempo, nella mente del poeta, uno spirito dolcissimo, amorevole, protettivo, in paziente e fiduciosa attesa sulle soglie dell’ Oltre. La commovente figura che sempre, nei suoi passi silenziosi fra le stanze, evoca la grazia confortante e operosa del focolare domestico come pure la semplice quotidianità del pasto da preparare o del bucato da stendere al sole, trascende nei versi del poeta questa condizione comune per elevarsi ad autentico mito, a grembo meraviglioso come la terra da cui sono scaturite numerose vite nuove, ad immenso oceano d’amore in cui riversarsi un giorno lontano: amorose braccia fra cui posarsi per rinascere e ricominciare un’infanzia nuova, beata ed eterna. Proprio a proposito di questo tema della poesia rescigniana – a cui il poeta di Castellabate aveva dedicato, tra l’altro, un’intera raccolta di liriche nel 1988 (Un passo lontano) ma anche, molti anni dopo, la silloge di nove componimenti Io e la Signora del Tempo (2004), dove la Vergine/Madre Maria di Nazareth diviene un’ideale, dolcissima controfigura celeste della propria madre terrena – Antonio Vitolo, critico e scrittore campano, ha pubblicato circa

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un anno e mezzo fa, presso l’Editrice Genesi di Torino, un saggio breve ma pieno di intelligenza e di partecipazione, teso a rintracciare il filo conduttore, la trama di fondo e tutte le implicazioni, i riverberi di questo tema così importante nei versi di Gianni Rescigno. L’autore sottolinea già nelle prime pagine lo scopo della sua indagine critica, affermando di voler “ riaffermare la tesi della continuità del rapporto tra la vita e la poesia, tra il fluire delle emozioni tra madre e figlio che si perpetuano nel tempo e che il figlio trasmette ai posteri attraverso il canto d’ amore che giunge alla commozione traendo da essa la volontà di essere egli stesso la continuità nel presente e nella storia”. Dopo un’introduzione e un capitolo iniziale dove osserva in sintesi, a volo d’uccello, il tessuto di tutta la poesia rescigniana, Vitolo entra in medias res nel capitolo successivo, considerando più da vicino questo affettuoso – poi sempre memore e nostalgico – rapporto tra il figlio e la madre, che accompagna nell’ombra tutta la vita e tutta la poesia dell’ autore, facendo tesoro, nel suo lungo itinerario, delle diverse sfaccettature della gioia, del rimpianto, delle fantasie e dei giochi infantili, della fatica e del dolore, della morte e della speranza. Assai acutamente l’autore del saggio ravvisa l’ immagine mitica della madre quando ad esempio afferma: “La madre, per Rescigno, è musa ispiratrice, ma anche compagna di viaggio, giudice salomonica nelle decisioni della vita, vento caldo di grecale per diradare la polvere delle difficoltà del mondo”. Imprescindibile matrice originaria, dunque, ma anche una donna quasi “divina”, da Dio stesso eletta ad essere spirito che sostiene, protegge e salva. Uno dei meriti di Vitolo è quello di aver saputo anche scovare il fior fiore dei versi di Gianni Rescigno dedicati alla figura materna, e di averli citati spesso integralmente (magnifica, fra le tante, la poesia dal titolo Se la sera aveva il cuore di neve). In tal modo il saggio non si limita a produrre un’ indagine teorica e astratta, ma tende invece a possedere concreta sostanza facendo puntuale riferimento ai versi che possono offrire al lettore un ritratto vero e tangibile di questo mito dell’amore materno e di come precisamente nelle opere del poeta si configura. Nella totalità del suo discorso, e in specie nella sua prospettiva di un costante “passaggio di corrente amorosa” tra madre e figlio, la quale allude ad un continuum di affetto e di vita che mira a proseguire in un tempo senza fine, Antonio Vitolo dimostra di aver assimilato ma soprattutto di aver saputo criticamente riproporre quanto già Giuseppe De Marco


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aveva sostenuto a suo tempo a proposito della raccolta Un passo lontano: “Una felice operazione, quella compiuta dal poeta, che non tenta più di collocarsi nel cuore dell’istante, ma ai suoi margini, lì dove è possibile compiere il mutamento e il superamento. Vivere all’estremo margine della durata, significa animare ed alimentare quanto vi è di eterno in noi. L’amore si ravviva di un calore nuovo, che consente di superare ogni enigma di temporalità e di aspirare all’eterno”. (cfr. Per una carta poetica del sud. Federico & Ardia, Napoli 1989; Capitolo IV. Tra lux e veritas: Gianni Rescigno. pag. 93). Marina Caracciolo

sbrigare in circostanze di gala alle prese con diverse posate. Un’occasione per ricordare alcuni amici come Gigi, il caro R. Carmelo (mi pare di Messina) che scambia la supposta per pillola e la ingoia; i professori come il canonico Pignataro e Palumbo di Seminara; il chiacchiericcio delle comari; la coesione delle famiglie come pure del vicinato. Mimì Frisina o Mimmo o Mico, ci ha divertito ad assistere ad un virtuale palcoscenico teatrale e fatto ricordare quanto gli adulti siano stati ragazzi anche loro; perciò, credo, che ci inviti ad avere maggiore comprensione di loro. Tito Cauchi

MIMÌ FRISINA PAGINE DI DIARIO Gli allegri racconti di zio Mimì Depa ed. Gioia Tauro 2004, Pagg. 96

DOMENICO DEFELICE CON LE MANI IN CROCE La Procellaria, Reggio Cal. 1962, Pagg. 40, s.i.p.

Maria Frisina nella presentazione di Pagine di diario, di Mimì Frisina, riferisce che si tratta di racconti dello “Zio Mimì” il quale “rivela la sua anima semplice”, legata alle tradizioni. E l’Autore nella prefazione riferisce di avere trascorso “la più bella esperienza didattica” della sua vita nell’anno scolastico 1969-1970 in cui insegnava in una quinta elementare di ventisei alunni, “soggetti indisciplinati e vivacissimi”. La copertina raffigura un bimbo perplesso con un cerchione e un’asticella per giocare, che ritroviamo all’interno in varie altre situazioni, nelle illustrazioni della stessa nipote. In effetti si tratta di un diario di venti brevi racconti, ciascuno accompagnato da una immagine, che va bene per ragazzi ed adulti per imparare a vivere con autoironia. Narrano, in prima persona, episodi aventi per protagonista l’Autore, fanciullo di scuola media, fino al liceo, che si prende gioco degli altri, professori e compagni. Tutto ambientato nella terra di Calabria, difatti abbiamo riferimenti ad Oppido, allla vicina cittadina di Nicotera, e anche alla sponda dirimpettaia di Messina. I propri genitori lo invitavano alle buone maniere, il padre avvocato e la madre, di nome Mariella, non mancavano certo di istruzione; il ragazzo prometteva di eseguire le raccomandazioni, ma poi faceva di testa sua. Nel concreto si tratta di scherzi che generalmente tutti i ragazzi fanno, come togliere la sedia mentre qualcuno sta per sedervi, lanciare addosso ai compagni o fra i capelli freccia d’erba (musciareji pungiaroli), l’essersi affezionato a un cagnolino. Ricordi di giochi: quello della trottola, o con i birilli. La fuga dal collegio per godere di una scampagnata. Ma anche sentire il disagio di non sapersela

Con le mani in croce è raccolta poetica, anticipata, in esergo, da una citazione di Fryda Ciletti: “Quando l’uomo si solleva dalla terra per vagare negli spazi siderei, riporta per forza con sé un po’ di polvere d’oro delle stelle.”. L’opera non riporta notizie sull’autore, ma è evidente che essa, oggi, si distanzia di un cinquantennio dalla sua pubblicazione. Domenico Defelice è ai suoi esordi e mostra già le sue fonti ispiratrici: la citazione prescelta lascia intuire alte ambizioni e ora, senza timore di esagerazione, sono convinto che abbia scalato qualche vetta. Questa raccolta si compone di 26 poesie, alcune brevi e altre lunghe, di metro variabile, generalmente endecasillabi; è divisa in due parti ed è illustrata, in copertina e all’interno, con disegni dell’autore stesso. La prima parte apre con il componimento eponimo in cui il Poeta mette a nudo le sue scelte di impegno civile, di cui riporto ampi brani: “Novaja Zemlja… La follia/ ti dipinse a sangue in questi giorni,/ ti straziò le carni. (…)// ormai non più di Allàh, non più di Budda/ o Brama, non più di Cristo (…)// Ipocriti sciacalli,/ non urlate con bocca d’inferno (…)// E noi/ dormiamo con le mani in croce,/ ci nutriamo di morte, coviamo/ acciacchi per i nostri figli.”. Così anche in Italia “il tritolo/ e la barbarie avanza”, riferendosi agli attentati in Alto Adige (in cui saltavano i tralicci dell’alta tensione), innescando agitazioni fra due parti (extra-) politiche contrapposte. Sembra che non sia cambiato nulla dal secondo dopoguerra ad oggi: i conflitti continuano a mietere vittime e quando non ne siano causa, sono la fame e la sete a ischeletrire gli esseri umani. Cita Reggane e le ferite di Nagasaki e Hiroshima, “Oggi nei cuori di pietra/ si disserrano in-


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sane follie.” (pag. 11). Domenico Defelice svela alcuni aspetti della sua personalità. Per esempio non nasconde un senso di frustrazione per una sua bocciatura, ritenendo che sarebbe stato preferibile non dare la notizia ai genitori, e maturando la convinzione di non possedere “angeli custodi”. Si mostra devoto e si commuove per una vecchia che muore per una caduta, mentre era in “atto di preghiera”. È un sognatore, ma senza forzature. Tra le righe rimane un sordo dolore, un umano abbattimento. Il Poeta si chiede a cosa valga l’insegnamento del Vico, se “la grifagna gente tedesca” (dell’epoca) porta ancora “il seme della guerra”. In ‘Baldis’ mostra ardore e tormento d’ amore, del tempo di quando andava a caccia di lucertole, rimanendogli il ricordo di lei ma ugualmente speranzoso. La figura femminile disegnata, che accompagna la poesia*, si intitola ‘Volto sofferto’, anche se non mi sembra proprio sofferente; probabilmente ne scopriremo il nome in chiusura. La voce alza forte i toni contro ogni forma di sopraffazione. L’animo in subbuglio del poeta fonde insieme un ‘Venerdì di passione’, la nostalgia della sua terra e delle pecore che doveva portare al pascolo; forse anche il rimpianto tipico di chi vive in città “ove non esiste transumanza”; la tristezza di non udire lo stridore di carri, che lo fa sentire come un pellegrino. In città non vedrebbe di certo, nei posteggi, il cavallo in sosta. La memoria scava nei libri scolastici e a Reggio si sorprende di “chiamare forte Eracle” che combatte Achelòo; dà l’addio alla Crotone e alla sapienza di Pitagora, di Alcmeone e di Milone. Domenico Defelice apre la seconda parte, con il disegno di ‘Pesco fiorito’; immagina di ricevere una lettera dell’amata (M. T. M.), si interroga e si risponde, maniera tipica di chi coltiva un sogno d’ amore. Sembrerebbe trattarsi di una donna del Nord, poiché lui è “qui, nel lontano Sud.” (pag. 24); ma probabilmente è la lontananza che dilata la distanza dei luoghi geografici. La mente sua trova sollievo al pensiero delle cicale loquaci e dei grilli, nelle ridenti giornate d’estate, che fanno percepire la sete d’amore con maggiore arsura. Assapora la pace dalla sommità dei monti, acquietando i sensi. “Sorprenderò Siringa/ raccontare le favole di un tempo” (pag. 28); la sua simpatia va a Nuccia, un’ amica. Non poteva mancare l’invocazione alla luna. Dal terrazzo della Villa di Anoia [città natale] vede l’ampia distesa ove “ San Giorgio si riposa” e il mare “ove si bagna i piedi il Sant’Elia”. È proprio in questi luoghi che, con le mani in croce, avviene una sorta di trasmutazione in puro spirito per superare gli ostacoli fisici e incontrare Marcella. Tito Cauchi

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* ma che alla poesia non corrisponde, Baldis essendo una campagna (n.d.r.).

SANDRO ANGELUCCI “di RESCIGNO IL RACCONTO INFINITO” Blu di Prussia ed., Piacenza 2014, Pagg. 96, € 12,00 Sandro Angelucci vive a Rieti dove è nato e insegna, ha pubblicato raccolte poetiche ricevendo consensi, collabora a Riviste, è incluso in Antologie e in testi di Storia della letteratura italiana; in quanto critico letterario dedica la monografia dal titolo di Rescigno il racconto infinito all’autore campano. Gianni Rescigno, classe 1937, residente a santa Maria di Castellabate, poeta e scrittore di lungo corso, ha mietuto riconoscimenti, premi e consensi; è incluso in testi di importanza nazionale, p. es. nella Storia della Civiltà Letteraria Italiana, curata da Giorgio Bàrberi Squarotti, della UTET. Il critico torinese, nella sua prefazione all’opera rescignana, plaude a Sandro Angelucci per l’interpretazione critica, imperniata nel paesaggio reale e dell’anima. In esergo al saggio abbiamo una poesia di Gianni Rescigno dal titolo ‘Non sei silenzio tempo’, in cui la parola ‘tempo’ mi pare assuma un ruolo centrale, come dire che non possiamo ignorare il tempo, di cui siamo figli. L’opera è suddivisa in quattro sezioni: prima ‘una rapida carrellata’ delle opere rescignane, da cui emerge centrale l’amore per la natura il cui emblema è rappresentato da ‘il respiro del sole’, riprende alcuni passi delle opere spiegandone ‘il racconto infinito’, per concludere che ‘un sogno senza meta’, ossia senza fatica, non si può realizzare. Farò un pallido ricalco del pensiero dell’autore, meritevole di approfondimento; per ragioni metodologiche, privilegerò un ordine semplicistico delle opere più diffusamente trattate. Sandro Angelucci, richiamando la recente raccolta poetica di Rescigno, Nessuno può restare, del 2013, afferma che il tempo è “una costante di questa poesia” che ci mette di fronte all’eterno esistenziale, di cui il poeta del salernitano è un viaggiatore. Il ‘tempo’ diventa attuale nelle rivisitazioni della vecchia casa, in cui il Poeta sente la presenza ed egli stesso ne diviene consustanziale angelo. Egli non è un viandante solitario, ma è in compagnia del suo “angelo custode” che porta dentro, come sembra dire nella chiusa di un componimento: “Forse è l’anima nostra/ in continua prova/ per raggiungere l’infinito.” Rescigno si rivela nella sua nudità esistenziale ne Il soldato Giovanni, del 2011; romanzo su cui Angelucci si intrattiene. In breve la nonna Giuseppa,


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terza moglie del nonno paterno, in punto di morte raccomanda al marito di non vendere il campo e che non passasse ad altri, ciò per significare di quanto sia saldo un sogno che possa sorreggere contro varie avversità, come la guerra, la fatica, le ristrettezze, sopportate dal nonno, soldato Giovanni e uomo affaticato. E come un soldato adesso il nipote, il nostro Gianni, rimane radicato alla sua terra, a quella terra non passata di mano. Quando si parla di qualcosa di incorporeo, abbiamo un concetto non facile da trattare; così avviene della raccolta Anime fuggenti, del 2010, in cui ancora il tempo svolge un ruolo centrale nei feed-back. La prima parte tratta del presente e la seconda del passato, così il ricordo dei trapassati ci conforta: per tale ragione, il futuro si apre alla speranza. Il tempo viene percorso nei due sensi, con la consapevolezza del Poeta che va fino al momento della nascita e il deterioramento della materia diventa sostanza che si eterna, stampata sulla pagina. Le anime fuggenti sono quelle di Armando, che parla con il suo idioma che sa di “sale nel fiato”; o di Liliana, la maestra bolognese morta dalle parti del Poeta; e della propria madre; essi, assenti, rivivono nelle parole del Poeta, una presenza discreta, senza clamori. La sua non è solitudine, ma isolamento, poiché egli sta bene con se stesso, in un dialogo interiore, sempre e comunque impastato di terra e di speranza. Gianni Rescigno in Dalle sorgenti della sera, del 2007 o 2008, riesce a conciliare i due tempi, passato e presente, tradizioni e modernità, depurando le parole dalle scorie varie depositatesi. Egli si nutre di silenzio che assume musicalità e la dimensione della religiosità, ha la spiritualità di vivere nell’ immensità dell’universo: madre natura, Signora del tempo (come il titolo di un’altra raccolta), “bianca di capelli”, con le mani “rugose” e le “unghie consunte di lisciva”. Il discorso sulla natura, richiama il solido e il liquido della raccolta antologica Come la terra il mare, del 2005, che ci fornisce i riferimenti personali che tracciano meglio l’excursus vitae del Rescigno. Noi siamo come la zolla della terra e l’ acqua del mare, e, in ogni momento c’è chi muore e chi vive. Così richiama la madre e il pensiero della morte che l’accompagna, come dire che nasciamo destinati a morire. Il soffermarsi sulle memorie non deve indurre a ritenere un indugio stantio dei ricordi giovanili, poiché il Poeta riesce a rinvigorirli a suo piacimento. Sandro Angelucci, in particolare, nell’esame della raccolta Le foglie saranno parole, del 2003, dice che l’intento di Gianni Rescigno è stato quello di “evidenziare la peculiare, sua caratteristica di rin-

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venirsi, appunto, in quella nuova misura insieme agli stessi componenti di cui si nutre.” (pag. 30), divenendo il Poeta stesso un demiurgo che dà vita all’impasto di terra e sudore, di cui egli stesso è fatto. Il Poeta definisce il sole “padre dei tempi” e il Critico aggiunge che la natura è “madre dolce e premurosa”. La natura si presenta nei suoi cicli vitali e di morte, come le foglie che cadono e che nutrono le piante. La contemplazione del Poeta non è mai tetra, ma è ammirata. *** Mi prendo la libertà di fare un volo di farfalla: avendo usato termini come solido e liquido, adesso prendo a considerare l’aria. Gianni Rescigno è legato alle sue origini, anzi è radicato alla sua terra, ancorato ai fondali del suo mare, legato ai ricordi; concretamente sa che l’atmosfera è inquinata da “polveri sottili” della modernità (industrie e smog a vario titolo), occorre risalire alle cause, perciò scava nei solchi dell’anima. Fra l’ieri pulito e l’oggi di fumo, si scontrato i suoi due ‘io’ e consapevolmente il Poeta è costretto a considerare di vivere la propria condizione (la saldezza nella sua terra, l’acqua del suo mare, l’aria inquinata dell’atmosfera, il fuoco del suo animo). Sandro Angelucci osserva le copertine delle tre ultime raccolte (Anime fuggenti, 2010; Cielo alla finestra, 2011; Nessuno può restare, 2013), in cui le figure sono viste di spalla a contemplare orizzonti indecifrabili. Aggiungo che la copertina della presente opera di Rescigno il racconto infinito, raffigura un uomo visto quasi frontalmente, con cappello di paglia, seduto su una panca. Altre opere sono citate che richiamano a vario titolo, la natura, tappe di un viaggio poetico che continuano un racconto infinito, per ricalcare il titolo della presente opera. Sandro Angelucci, ribadisce che lo stare in disparte del poeta, diventa una vicinanza colloquiale con Dio; nel corso della sua fatica, cita stralci di recensioni apparse su PomeziaNotizie e altrove e i rispettivi autori che si sono occupati di Gianni Rescigno, che ho trascurato per non appesantire la presente esposizione. Tuttavia mi limito alle seguenti considerazioni. Sandro Angelucci, richiamando una citazione di Fernando Birri, regista argentino, dice che il sogno o l’utopia che accompagna il Rescigno, è la forza che lo fa camminare, è l’alimento che lo nutre. Così per l’aspetto per il quale il Poeta appare intriso di pura natura, lo apparenta al poeta russo Sergej Esenin, specialmente dell’esordio con l’opera “Radonika”, attraverso la traduzione di Curzia Ferrari che ne esalta la semplicità del linguaggio in cui le tradizioni contadine diventano mito; ma con la differenza che il Russo ne soffre per il


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distacco e deluso giunge al suicidio, mentre il Salernitano ne rivitalizza la memoria, il suo orizzonte si perde laddove il sole affoga nel Tirreno che bagna Castellabate. In quanto all’idea dell’infinito che il Poeta assimila in tutta la sua esperienza, nel vissuto di cui si impregna l’anima, Angelucci conclude con un passo del poeta tedesco Hölderlin: “Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l’uomo.” (pag. 76). Quindi definisce la poesia del Rescigno, Poetica del divenire “di un trascendere piuttosto che di un trascorrere, nel senso che il viaggio dell’esistere è osservato contemporaneamente da dentro e da fuori, dall ’interno e dall’esterno del suo accadere.” (pag. 80). Il tempo dell’Amore, la natura, o come si voglia denominare, ciò che importa è che il poeta di Castellabate si anneghi nel suo mare, si effonda nel cielo e negli spazi infinti. Eros e Thanatos, amore e morte, nascere e morire, quiete e tormento, rimane affascinato dal mistero. Angelucci commenta che modestia e umiltà connotano questo nostro poeta, che sa vivere con se stesso: “Soltanto caricandosi delle gioie e dei dolori che ci vengono riservati può divenire familiare il rapporto che abbiamo, prima con noi stessi e, poi, con il mondo; altrimenti si è destinati a restare degli estranei, a non comprendere nemmeno quel poco (ma è tutto) che i nostri limiti ci permettono di abbracciare.” (pag. 67). Spero che valesse la pena giungere fin qui. Tito Cauchi

ANTONIA IZZI RUFO PAESE 3° Premio Città di Pomezia 2013 I quaderni letterari di Pomezia-Notizie, gennaio 2014 Narratrice, saggista, poetessa, educatrice, la Nostra spazia con sicurezza nel mondo letterario raccogliendo notevoli successi. Infatti, questa sua ultima fatica è ben riuscita e la raccomandiamo ai lettori della nostra rivista. Diciamo subito che gli elementi discorsivi presenti accordano il passo a quelli musicali. Quindi, poesia affabile di un certo fascino di cordiale vocalità capace di alzarsi a vero sentimento artistico. Paesaggi, creature e cose prendono forza e luce dall’anima, anche quando il tutto appare velato di malinconia, di solitudine. La Izzi Rufo canta: “ Si riconoscono nel borgo,/ suoni e rumori e non solo,/ l’alternarsi dei passi sul selciato,/ il tossire lo starnutire,/ persino il sospirare. “ Per poi concludere, nella composizione “Suoni e rumori” con altre osservazioni interessanti: “ Tendiamo l’udito curiosi/ ad ogni rumore/ e presso l’

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uscio o alla finestra/ a spiare corriamo chi parte chi arriva:/ per vincere la noia e il vuoto/ riempire, che ci circonda. “ I poeti devono avere la capacità d’ osservazione in modo da percepire con occhio particolare la natura e la gioia ed il dolore della vita d’ogni giorno! Ci viene in mente, mentre facciamo queste riflessioni, il grande Leopardi: “ Sonavan le quiete/ Stanze, e le vie dintorno,/ Al tuo perpetuo canto,/ Allor che all’opre femminili intenta/ Sedevi, assai contenta/ Di quel vago avvenir che in mente avevi.“ Ecco, proprio suoni e rumori messi in evidenza da un canto poetico ammirevole che solo le persone dotate di sensibilità possono sentire. Oggi, presi dalla furia della modernità, dell’ elettronica, tante cose e cosette ci sfuggono e passano inosservate. Certo, si può sempre far festa, come dimostra la Nostra poetessa: “ E se uno del paese/ arriva a “cent’anni”,/ si fa festa in piazza tutti quanti/ quei pochi che siamo rimasti./ Insieme, sembriamo tanti!“ Un sentenziare sostanzioso ed elegante. Continuare, allora, a fare festa, anche quando gli anziani sono stanchi e sanno il misterioso giro della ruota della vita! Anzi, perché non ci mettiamo tutti d’accordo ed organizziamo una grande festa per stare assieme? Perché non festeggiare la Vita e la Poesia? Il suono delle zampogne è armonia d’altri tempi? Armonia e poesia conoscono tutti i sapori ed i colori delle stagioni! “ Ci allieta ora/ degli uccelli il canto/ soltanto/ e lo stormire del vento/ quando sonnecchia “ dice Antonia Izzi Rufo. Ascoltiamo con serenità il canto degli uccelli e ringraziamo pure il Signore della nostra presenza su questo martoriato pianeta Terra. La poesia è il giardino delle parole ed il profumo dei fiori. Mariano Coreno (Melbourne)

NAZARIO PARDINI I SIMBOLI DEL MITO 1° premio Città di Pomezia 2013 Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2013 La silloge di Nazario Pardini , vincitrice del 1° premio Città di Pomezia 2013, è una raccolta che non trova difficoltà ad essere collocata nella categoria dell’atemporale, dell’aspaziale. Nella lettura si evince subito che il poeta è legato all’ieri dal cordone ombelicale dei ricordi di una scolarità, a sua volta legata ad una lirica che esalta anni in cui l’etica è il perno fondante dell’umana specie. Coltiva il Pardini la mistica di fare versi conservando certi preziosismi verbali radicati nella più profonda ed originale delle for-


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me classiche: Mori i capelli sulle bionde guance ……………… I tremiti dell’onde sulle selvagge sponde …. Forme queste inaccessibili oggi forse, a chi si è fatto sempre più intimorire nell’usare la parola come mezzo e strumento per narrare le pulsioni più intimistiche. Il poeta che in apparenza subitanea sembra impiantare la sua poesia su di uno schema da tragedia classica, in effetti sconvolge questo schema facendo macerie di quel lessico ma conservando, ed è qui la preziosità, quella tensione emotiva che, sebbene nella modernità, fa del suo verseggiare una poesia classica: Spirava la radura fra nebbie pallide zefiri divini a ingannare fanciulle e sotto vesti la luce traspariva le forme …. Il poeta Pardini fa in questa silloge un’ operazione di rinnovamento e di riciclo della classicità. La sua creatività non mette da parte la realtà storica del verseggiare, anzi diventa nuovo strumento per raccontare, parlare alle masse, perpetuare il legame tra vita e letteratura: Ti puoi immaginare dolori grandi, smisurati che la Storia ripete su spazi che si perdono nel tempo. Il Poeta dimostra che si può parlare ancora al mondo, anche se la realtà è allo sfascio, con protezionismi, nepotismi, sofismi che tendono a piegare ai pochi le intelligenze dei tanti. Con l’aggravante della scomparsa di eroi del calibro di Ettore, Achille, Ulisse che sebbene sanguinari, perseguono obiettivi estranei a qualsiasi mistificazione politica. La storia e la sua memoria vivono di eterna attualità nei suoi versi. Sembrano dire :”il passato non si dimentica”. È così. Non c’è futuro senza storie del vissuto: … guardo la piana rianimando versi di Scuola Siciliana … Non sfugge al lettore acuto, quanto sia attento il poeta Pardini nell’annoverare tra i simboli del mito, anche tutte quelle terrene presenze che all’ apparenza sembrano banali ma che nella loro continua perpetrazione rappresentano invece, l’ indecifrabilità del mondo. Ecco allora la motivazione della lirica dedicata alla pianta mito tra i miti e scrigno di tutti gli odori e i simboli della classicità: il lauro.

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… racconta al sole il luccicante lauro …… … freme la bocca tra le foglie tumide …… … nei lucidi riflessi dell’alloro ……………. ... recido per forgiarne una ghirlanda …… La sua poesia è come la musica Jazz, che senza rinnegare il passato costruisce nuove forme musicali le quali nascendo dal mito classico, diventano loro stesso mito. L’impianto stilistico riecheggia senza diventare decadente classicismo. Ne è la riprova la lirica, L’ultimo dono, dove il ricordo dell’ esordio di un amore adolescente contiene il tutto della vita : .. e il lento incedere vedeva/ del nuziale corteo. Della morte: .. già filtravano i raggi/ dentro l’ Ade … Dell’oblio: ma il tempo non avesti, Orfeo, /di gridare Euridice / che l’immagine svanì … E infine dell’eterno perpetuarsi: … ed un sorriso di pianto,/è l’ultimo dono che mi resta/tra i simboli dei miti/che uniti noi ascoltammo/fulgenti di bellezza. E si chiude con un mito tra tutti assoluto, ineguagliabile, irrinunciabile: il mito della bellezza, che qui non è solo riferito a quello della sua giovane compagna e a se stesso,ma anche alla bellezza degli antichi eroi della classicità a cui noi tutti popoli mediterranei ancora oggi ci sentiamo indissolubilmente legati. Salvatore D’Ambrosio

ANTONIA IZZI RUFO PAESE 3° Premio Città di Pomezia 2013 Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Con semplici, agili, delicati e scorrevoli versi liberi, la poetessa Antonia Izzi Rufo descrive il paese natìo che, radicato nel profondo del cuore, procura a lei emozioni talmente vive e vibranti da essere percepite da chiunque legga le sue poesie. E’ ciò che è accaduto a me. Io credo che dentro l’animo di ogni essere umano viva, in ogni momento della singola vita, quel paese, quella città, quel borgo che gli ha dato i natali o in cui ci ha vissuto a lungo. Anche se il tempo, le vicissitudini o le cosiddette evoluzioni del progresso tecnologico lo hanno cambiato, trasformato, svuotato dei valori primordiali, anche se i giovani sono migrati verso lidi più ‘fortunosi’ lasciandosi alle spalle ciò che essi reputano ‘vecchiume obsoleto’, dentro al nostro cuore vivranno in eterno i ricordi indelebili d’una gioventù ivi vissuta. Questo è ciò che la poetessa A. Izzi Rufo intende dirci nel poemetto “Paese”. Ella inizia con la triste descrizione di quello che è oggigiorno il suo paese. E’ un paese pervaso da So-


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litudine, Tristezza, Malinconia (col le maiuscole per farne capire l’importanza), che inducono a pensare a “Coloro che più non sono”; un paese dove appaiono solo “coppie vecchio-badante” che s’ incontrano con altri anziani “ospiti della Casa Famiglia”; un paese dove al tramonto le strade sono deserte e la luce più non filtra dalle case chiuse. Un paese insomma in cui regnano “il silenzio e la noia”, portando a domandarsi “s’è il caso di fare qualcosa per colmare il vuoto che dentro ti porti”, quel vuoto che ronza intorno a A. Izzi Rufo come un insetto molesto che non riesce a scacciare, preda com’è dell’indolenza, ma... Nell’abbandonare il paese con uno struggente addio (sulle orme di quello più famoso del Manzoni), ecco che ella esclama: “Eppure è un bel paese!”. Allora le tornano alla mente tutti i ricordi più belli: “la musica dolce dei rivi”, “il coro giulivo degli uccelli”, il garrire delle rondini, il profumo della “menta origano timo rosmarino”, il colore delle valli e dei fiori, le Mainarde, i monti Marrone e Castelnuovo. Poi rivivono i suoni e i rumori delle “tre ruote” di Mauro, della “motozappa” di Giovanni, della corriera sbuffante, ed ancora le voci del fruttivendolo, del pescivendolo, del “ferri vecchi”, e così via... Ecco che il borgo si rianima, riacquista la primitiva vitalità, rivive nelle belle luci dei crepuscoli e nella sequenza inesorabile delle stagioni che mutano ma non lo evolvono. Anche nel cuore di A. Izzi Rufo il paese natìo vivrà per sempre; il cielo, la luna e le stelle le manderanno sempre notizie della sua casa ormai sbarrata. Paolangela Draghetti

NAZARIO PARDINI I SIMBOLI DEL MITO Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie 2013 L’illustrazione in copertina di “Il Croco” – Quaderno Letterario di Pomezia-Notizie di Ottobre 2013 – rappresenta l’affascinante immagine, in stile liberty, del sacrificio di Ifigenia, e ben giustifica il contenuto di questa raccolta poetica di Nazario Pardini, intitolata “I simboli del mito”, meritevole del I° Premio Città di Pomezia 2013. Ninnj Di Stefano Busà esalta la capacità dell’ Autore di accendere, in un’orchestrazione compositiva, stati d’animo emozionali, attraverso un’originale ispirazione. E Domenico Defelice ne evidenzia il messaggio sempre attuale di non arrendersi alle difficoltà e di coltivare gli affetti. Il mito, qui, vuole mettere in risalto valori e sentimenti di personaggi – veri o ideati – che riescono a far grande la storia dell’uomo: il coraggio fi-

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no al sacrificio di sé, l’amore e la dedizione fino alla morte (Apollo e Dafne, Orfeo ed Euridice, Giovanna D’Arco), il rischio delle grandi imprese (Ulisse e i grandi viaggiatori e conquistatori del passato). Sentimenti che scaturiscono anche dal solo ammirare gli ineffabili fenomeni della Natura – anch’essi spesso personificati nei miti del passato - che sempre ci ammaliano anche oggi: tramonti ed albe che regolarmente ritornano, foglie al loro primo germogliare, rocce che nascondono segreti di popoli antichi, armonia di persone ed animali nei prati e nei campi, fiumi che scorrono come i nostri pensieri, anche quelli segreti che volano nell’infinito del cielo. E gli affetti: per i nostri cari, sia quelli presenti, sia quelli che non sono più e che certamente ancora vibrano di reciproco amore per noi; per gli amici più cari; per le persone di cui siamo innamorati - a cominciare dai primi amori tra i banchi di scuola – a cui a volte riusciamo a dichiarare i nostri sentimenti, a volte no: “Ti attendo là/ dove il mio libro/ pone fine a parole/ che restano sole/ inespresse/ tra una mésse di ricordi/ chiuse/ ancora in gola.” Passato e presente, antichità e attualità: l’animo dell’uomo è sempre il medesimo. Maria Antonietta Mòsele

ROCCO CAMBARERI TRA IONI E FURORI Centro Studi Medmei, 1985 “Tra ioni e furori” (Ediz. Centro Studi Medmei, 1985, pagg. 48, L. 4.000) è una silloge poetica di Rocco Cambareri, che rappresenta un significativo esempio del proprio pensiero, del proprio stile. Ugo Verzi Borghese annota: il motivo ispiratore che dà unità al poemetto è il dilemma vita-morte, in cui predomina lo slancio vitale pascaliano (a volte in modo satirico), e dove il punto fermo di questi furori e ioni è Dio. Così la poesia che illustra il titolo: “Siamo agli inferi/ tra ioni e furori/ -fragili senza voli;/ è fatale, ti consoli,/ c’est la vie: orsù,/ non sarà più/ così se già adesso/ disarmi te stesso/ e dentro hai brace/ d’amore e ferace/ idea; se te rinnovi/ il mondo sommuovi.” dove è rappresentato tutto il programma di quest’opera: il male in cui viviamo, e la nostra risposta a reagire trasformando tutto in bene. Egli denuncia il degrado generale dei valori: non c’è comunicazione umana tra le persone; nelle riunioni, solo litigi senza concludere nulla; non c’è legge che vale: “la giustizia è bugia”; “reo è l’ offe-


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so/ il malfattore illeso”; troppe le disuguaglianze tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud; e poi, inquinamento; medicine che avvelenano; alimenti sofisticati; ed ancora, droga, aborto, eutanasia, natura distrutta. L’Autore ci esorta ad una vita sana, all’amore vicendevole, all’amicizia, ai buoni rapporti con tutti. E si chiede: cosa lasceremo ai nostri figli? “Agli eredi nascituri/ farfalle senza fiori,/ raspi secchi,/ neon a mucchi,/ lande d’astri, lustri frusti,/ Nagasaki/ Hiroscima/ e due pali trasversali/ - croce in cima/ verso i punti cardinali.”: qui, come in molte altre poesie, si evidenzia lo stile del Poeta che, usando un linguaggio telegrafico, essenziale, rimato e ritmato a mo’ di filastrocca, con bisticci e giochi di parole (in altre poesie, pure lo scherzo), invece vuole denunciare duramente la grave situazione odierna. E per essere aiutati a reagire al male anche oltre alle nostre forze, ci invita a rivolgerci al Signore: o Dio, veglia su di noi, pazzi, razzisti; monda il nostro cuore, “sradica menti/ distorte”, non più guerre, ma che ci siano “fraterni uomini/ e presepe ogni paese”. Interessanti gli apprezzamenti su di lui da parte – fra gli altri - di Piero Bargellini, Geppo Tedeschi, Aldo Onorati, Antonino Ferraù, Domenico Defelice. Maria Antonietta Mòsele

ANNA AITA DOMENICO DEFELICE Un poeta aperto al mondo e all’amore Il Convivio – Castiglione di Sicilia (Ct), 2013, pp. 96, € 12 Anna Aita non poteva trovare definizione più appropriata per definire la figura di Domenico Defelice, uomo della nostra contemporaneità, promotore culturale dei più attivi e longevi, poeta di forte spessore, ma poi anche narratore, disegnatore, polemista raffinato e ironico e non voglio continuare per non essere ripetitivo. Il volume, arricchito da moltissime foto, (che nella loro disposizione rappresen-

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tano come un controcanto iconico alla vicenda) offre al lettore una panoramica completa di ciò che è stato Domenico Defelice dagli albori dell’infanzia fino ai giorni nostri. E lo fa con una precisione, quasi con acribìa, soffermandosi su molti particolari, anche quelli che potrebbero sembrare insignificanti, per rivelarci l’uomo nella sua interezza, o meglio nella sua integrità. Come osserva puntualmente Angelo Manitta nell’Introduzione “La letteratura di Defelice è strettamente collegata alle vicende vissute e alla realtà in cui il poeta vive, alle lotte quotidiane e ai valori umani. In tal senso inserisce la critica sociale e la riflessione sul mondo che caratterizzano diverse opere poetiche e critiche”. Bisogna partire proprio dalla sua vita reale, dalle sue primissime esperienze esistenziali, per capire integralmente l’uomo e anche (soprattutto) lo scrittore. Figlio di contadini, dovette affrontare fin dalla più tenera età la dura fatica di guadagnarsi il pane,


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accudendo un maialino e pascolando pecore e capre. Quell’esperienza sarà per lui capitale per capire il valore della terra, per assorbirne gli odori e gli umori e portarlo naturaliter a schierarsi sempre dalla parte dei più deboli, degli sconfitti, senza mai sconfinare nell’ opportunità ideologica, anzi divenendo col tempo, con la sua graffiante ironia, fustigatore dell’ opportunismo visto come il cancro della nostra società. Il libro è sistematicamente diviso in sei capitoli: la vita, le opere poetiche, le pubblicazioni, le opere teatrali, Pomezia-Notizie, le monografie su Domenico Defelice. Anna Aita è molto brava nel sottolineare tutti i passaggi esistenziali, sia quelli persona-

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hanno costruito, con fatica, tenacia, ma anche tanto amore, questa nostra Italia che un pugno di disonesti ha trascinato nel baratro? E non è da uomini come questo che si dovrà ripartire per uscirne? E’ una domanda che andrebbe rivolta soprattutto ai giovani, affinché non si lascino, come ha detto Papa Francesco, “rubare la speranza”. Walter Nesti Immagine di pag. 48. Roma, ottobre 1989. Al Centro Letterario del Lazio, in via Merulana, cerimonia di premiazione della IX Edizione del Premio Letterario Internazionale Città di Pomezia. Da destra, seduti in prima fila: lo scrittore e poeta Walter Nesti, vincitore del Premio con l’opera Itinerario a Calu; a suo fianco, il prof. Caruso e la scrittrice Meli-Tribalto. Qui a fianco: Roma, ottobre 1989, Centro >Letterario del Lazio. Al microfono, il Presidente del Centro, prof. Paolo Diffidenti; al tavolo, la Presidente della Giuria, la professoressa poetessa e scrittrice Ada Capuana e Domenico Defelice, organizzatore del Premio.

AURORA DE LUCA SOTTO OGNI CIELO Genesi Editrice. Torino, 2012. Pp. 136. € 14,50 li e familiari, sia quelli professionali e culturali, cogliendo, a volte con una semplice osservazione, la relatio inscindibile che unisce gli uni agli altri in una necessità morale dalla quale non si può prescindere. Il lettore quindi non avverte discrasie, il racconto fluisce leggero e la notizia di un matrimonio o il giudizio su un libro mantengono lo stesso ritmo, come una conversazione elegante all’interno di un gruppo di amici. La definizione di “Pomezia Notizie” è quanto mai esemplare: “Pomezia-Notizie è una creatura vispa e chiacchierona che si rinnova di mese in mese. Talvolta è ridente, talaltra imbronciata. Sempre seria come si deve ma, qualche volta, anche monella, quando ad esempio, in fondo ad uno scritto e all’immancabile ironia c’è la firma “Domenico Defelice”. Un giornale puntuale, senza lusso e colori sgargianti; tutto scelto, per evitare inutile dispendio e offrire al fruitore di tutto di più”. Leggendo queste pagine una riflessione sorge spontanea. Non sono uomini come Defelice che

Involucri interiori che pretendono di vedersi realizzati in petali di fiori, in orme “della tua mano sulla sabbia”, in salsedine di mare… Poesia giovane, vivace, armoniosa, generosa in cui il verso riesce con tutte le sue varianti a farsi tatuaggio di dolci e gioiosi impulsi emotivi. Gioiosi, sì!, perché in questo canzoniere – qui è l’amore che domina con tutto il suo potere trascinante verso l’ irrazionale, verso l’onirico, anche – l’anima della scrittrice è tutta volta alla ricerca della luce e di un azzurro sotto cui si dipanano le vicende poetiche e verso cui si proiettano pensieri vitali e positivi. Quelli di una poetessa che si abbandona a un’oasi dove: … l’anima sobbalza, là dove si è posta a guardare soave da una qualche loggia del cuore quel brivido di vita,


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proprio quello che smuove il granello di sabbia, scoprendo poi che era puro oro perduto dal sole (Amore e oro puro), e dove splendono anche i momenti ombrosi dell’esistere, perché lei crede fermamente: … che tu sia quel luminio fugace che fa splendere la goccia… un passo nella sabbia ombrosa, un bacio soffiato nel vento, la tempesta di neve, magia e scaglie di stelle (Quel luminio fugace). Una vicenda, quindi, pregna di armonia di sensi e di meditazioni, di slanci emotivi la cui storia si dipana nel cuore delle quattro stagioni che determinano, col diacronico fluire, la compattezza e l’ originalità dell’opera, perché tutto è demandato al loro concorso; e la vis creativa stessa si affida a cromatiche performaces acquisendo, così, robustezza e concretezza; acquisendo toni ammiccanti con l’ apporto dell’ardore allusivo delle metafore. Ma è in autunno che nasce quel sentimento qui vitae ardorem movet, che fa della vita, appunto, la gioia di esserci. E l’autunno non simboleggia la stagione dei giochi terminali, il senso di fine coi suoi decadenti viali di foglie morte. Sta anche qui l’originalità del testo. Nel dare luminosità e motivazioni ardite a una stagione che di solito, in poesia, segna lo spegnersi, la sottrazione ultima dell’esistere. Tutto deve essere chiarore, tutto deve essere inizio, perché lo vuole l’amore che in inverno si radica, in primavera sboccia, e che in estate esplode ravvivato da un significante metrico di una spartitura sbrigliata e libera, non soggetta a schemi prefissati o convenzionali, ma obbediente solo ad una spontaneità di rara fattura; ad un procedere di polisemica significanza, di perspicacie sapidità disvelatrice, dove gli enjambements, le sinestesie, le varie figure stilistiche, ben inserite ed armonizzate in un tessuto poetico nuovo e generoso, offrono una resa lirica di effetto suggestivo ottenuto, soprattutto, col ricorso a una natura che si traduce in concreto supporto alla configurazione degli stati d’animo. Un panismo vissuto con grande partecipazione sentimentale. Sembra proprio che il dio Pan prenda per mano l’ autrice e l’accompagni nei suoi meandri ora brillanti, ora selvosi, ora brumosi, ora lunari per dare vita a vertigini semantiche. E i tanti azzardi naturistici non assumono mai carattere descrittivo, ma si fanno sempre tasselli di giochi analitico- psicologici; concretizzazioni, patologiche figure di involucri

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interiori che pretendono di vedersi realizzati in petali di fiori, in orme “della tua mano sulla sabbia”, in salsedine di mare, in Terra di casa, in azzurro di cielo, in passi di vento, in aura di primavera, in terra odorosa e in magie di occhi: Lontano da qui ci sono i tuoi occhi, lontano da me, che li bramo e li cerco. Lontano da qui, ti porti dietro il tuo profumo, appresso ai tuoi passi di vento… (Lontano da qui) Non mi importa che tu capisca le mie parole. Mi serve che tu capisca i miei occhi. E che tu senta, nel vento, nel mattino, nella sera, il mio sguardo appoggiato in quello che provi, in quello che fai, in quello che è nuovo… (Sentori). Ed è lo stile anaforico, l’insistere sui luoghi e i termini a giocare un grande ruolo nella voce della Nostra; a dare una evidente rilevanza al suo poièin. Sono proprio gli occhi, quelli della persona amata, quelli reali, sognati, immaginati, traslati a rendere visivo il messaggio creativo. A rendere oggettivo e universale un sentimento strettamente personale. L’ amore si fa nei versi della De Luca messaggio plurale, totale, di una plurivocità tale che fa parte di tutti noi, o meglio ancora di ognuno di noi. Tanto che il suo sentire va oltre l’Eros per abbracciare con un subbuglio ultra/umano tutto il mondo che la circonda. La poetessa ha questo impellente bisogno di rendere palpabili, visibili le sue invenzioni eroticoemozionali scatenate da ogni parte di un corpo che sente suo; è da lì che parte per proiettarsi oltre: … Lontano da me, che sento il tuo odore appresso ai tuoi passi. Lontano di tempo, di spazio, di corpo, e di mani, di sguardi, di petto. Lontano da qui… (Lontano da qui). Parte proprio dai minimi particolari per traslare il tutto verso una spiritualità di stampo sabiano: “O mio cuore dal nascere in due scisso,/quante pene durai per uno farne!/Quante rose a nascondere un abisso” (da Il Canzoniere di U. Saba). Il motivo della lontananza è ricorrente nella poesia contemporanea e non solo: lontananza cercata o immaginata, perché adatta a sollecitare l’inventiva e a rendere più ispirato il tema dell’amore. Ma qui, in


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questi versi, l’originalità della ricerca verbale e l’ apporto delle suggestioni figurative rendono unico lo stile di questo poema. Ed in questo gioco amoroso, in questo afflato di figurazioni e cromie mai oziose, ma funzionali a una trama che assume configurazione poematica di coinvolgente intensità, a volte non sembra sufficiente neppure il dato reale. Sì, c’è questo bisogno di volare, di elevarsi da terra, di infrangere il limen che ci tiene vincolati in uno spazio troppo ristretto; c’è questa necessità di oltrepassare la siepe per azzardare sguardi oltre, per scalare le vette dell’ onirico spazio, abbandonati ad aliti di vento: Mi sono cresciute ali di vento e plano nell’aria leggera e fluttuo con i capelli sciolti. Non posso più tornare a terra, ora che so volare, ora che posso toccare il fondo dell’oceano senza soffocare, adesso che la notte è divenuta barlume di stelle e fuochi d’artificio. Il tuono è il mio cuore che sconquassa il petto, la pioggia è il più bel tempo di tutti i tempi. Ora che il mio respiro è la vita infinita che quando socchiudo gli occhi i sogni sono caleidoscopi di attimi di eternità. Se un vulcano esplode è ora la mia anima E tu sei la fiamma (Ora). Sì, proprio così! Non c’è posto per la notte per Aurora. Non ce n’è per il buio. Tutto deve essere luce. La tenebra non può avere alcun potere, perché vinta da gocciole di stelle, da esplosioni di vulcani, da anima di primavera, da profumi silvestri. Lo vuole l’amore. E fiat lux. C’è un’anima di primavera quando penso a te. Un profumo silvestre, di sottobosco, di vie di terra, di muschio. Penso a te ed è spuma di mare, e anche spiaggia, la mia mente. Nascono qui nel mio palmo sentori di te, non appena ti penso… (Quotidianamente). Una vera metamorfosi quasi dannunziana fra i palpiti e i sospiri della terra e le parti fisiche e spirituali della Nostra. Una simbiotica fusione di organi, di elementi corporei e mentali che si compenetrano

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in un’anima ormai rapita da un volo immaginifico dove ogni passo, ogni gesto porta all’amato : … Così che in qualsiasi mio soffio o passo o gesto, finisco per avere te, quotidianamente (ibidem). Ma può l’amore, può un sentimento così potente da impadronirsi anima e corpo di un essere, può un tale sentimento essere soggetto alle sottrazioni terminali che Kronos ci impone? può essere annullato come ogni cosa materiale dalle fagocitazioni insaziabili dell’ordine terrestre? In effetti, dobbiamo dirlo, trapela un forte credo da queste pagine; un credo di tale spiritualità che fa dell’amore un altare a cui la Nostra sacrifica tutta se stessa. Un sacrificio che è vita; un sacrificio che è vigore, positività, coraggio, abbandono all’essere e all’esistere. C’è nell’ animo della Nostra questo richiamo al superlativo. Questo tentativo di elevare all’Eterno il suo pathos, affidandolo alla Poesia. Ed è in lei che crede. E con spirito foscoliano le affida il sacrosanto compito di vincerlo questo breve segmento a cui siamo destinati: A forma di ali le tue mani hanno piume spaziose, che alzano venti d’amore sulla mia terra. Soffiano granelli di sabbia, lacrime di mare, scie di sguardi eterni (Ali). Nazario Pardini 13/01/2014

ALDO DE GIOIA - ANNA AITA LA LUNGA NOTTE Le quattro giornate di Napoli Rogiosi Editore, 2012 - Pagg. 80 Stavo rileggendo e commentando “La storia come pensiero e come azione” di Benedetto Croce, allorché mi perviene questo elegante libro sulle quattro giornate di Napoli che narra la rivolta del popolo partenopeo per riacquistare la libertà perduta a causa dell’occupazione nazista. Non a caso, perciò, in entrambi i casi si discute di libertà: Croce ha un alto concetto dialettico e idealistico della storia come “religione della libertà”, il termometro e la bilancia morale di tutte le epoche e di tutti i popoli. Ciò premesso, trovo il libro di De Gioia - Aita interessante sia nel racconto dell’idillio amoroso


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tra Mario Barzini e Marilù sia nella narrazione storica della ribellione del popolo partenopeo ai soprusi, violenze ed uccisioni di anime innocenti da parte dei tedeschi che avevano occupato la città di Napoli durante la seconda guerra mondiale. Questa illustre città, durante la sua gloriosa storia millenaria, si era già molte volte ribellata ai soprusi degli stranieri e dei tiranni (cfr. Benedetto Croce, “Storia del Regno di Napoli”), ragion per cui alla fine di settembre 1943 la libertà civica diventa un bene inalienabile che si desidera maggiormente quando si perde. “Se muore la libertà, muore la vita stessa”, afferma Croce. In questo libro di Aldo e Anna, ricco di dettagli romantici (l’amore di Mario Barzini e Marilù), l’ oppressione, la brutalità e la violenza degli invasori dominano gli eventi e regolano la vita degli individui che soffrono, lottano e muoiono per difendere la loro città martoriata e i suoi cittadini perseguitati. Nella fonte dell’ideologia populista presentata e discussa, l’attento lettore può facilmente coglierne l’ alto insegnamento civico e patriottico, il valore umanistico ed eroico nel monito per le future generazioni di “non accettare mai i soprusi dei nemici”. Aldo De Gioia, coadiuvato da Anna Aita che inquadra le vicende storiche in un’ottica narrativa nella quale rientra anche la presenza del suo gatto Giada, si rivela scrittore di robusta formazione, di limpido linguaggio, di estrema compostezza pur nella varietà dello stile e delle vicende. Come per Croce così per Aldo De Gioia l’ideale morale di un popolo è la difesa della propria libertà che forma e costituisce la spina dorsale del popolo stesso; ragion per cui, “asserire morta la libertà vale lo stesso che asserire morta la vita”. Prima delle quattro giornate di Napoli, quando i tedeschi avevano già occupato la città, il popolo era disorientato, non sapeva cosa fare, ma poi pian piano si organizzò per confrontare il nemico e lottare contro gli abusi, le ingiustizie, le appropriazioni, le violenze, le provocazioni, le fucilazioni. Fu allora che il popolo si rese conto che la libertà si apprezza di più quando si perde e si accinge a lottare per riconquistarla. Il libro narra molti episodi di queste lotte e queste riconquiste che costano molti sacrifici che spesso sfociano nella morte. Difendere la propria libertà è un dovere etico e civico che si realizza tramite la consapevolezza e l’azione. I nomi menzionati da De Gioia sono molti: i fucilati innocenti, gli insorti torturati, i feriti riempiono gli ospedali... In questa ingente tragedia i numerosi cadaveri continuano ad ammucchiarsi ed attendono una degna sepoltura.

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Cito dalla pagina 51: “La gente ammutolita respira aria di morte. Si succedono episodi terribili come quello di un povero padre che, raccolto il figlioletto senza vita di quattro anni, cerca, nella disperazione, di costruire da sé una piccola bara per dare al piccolo degna sepoltura”. Durante il corso della mia lettura di questo libro ho sottolineato alcuni nomi che qui mi piace additare, nomi di ragazzsi e di adulti, nomi di eroi e patrioti: Antonio Amoretti, Enzo Stimolo, Giuseppe Moscati, Gennaro Iannuzzi, Maddalena Cesaruolo, Filippo Illuminato, Pasquale Formisano, Mario Menichini, Gennarino Capuozzo, Vincenzo Baiani, Antonio Garofalo, il Prof. Maiuri, Raffaele Maisto, Ciro e Francesco Salzano. Ci tengo a citare “Napoli e le Medaglie al Valore”: nel bilancio di tanti accadimenti, Napoli avrà la Medaglia d’Oro insieme a quattro scugnizzi deceduti: Gennarino Capuozzo, Filippo Illuminato, Pasquale Formisano e Mario Menichini. Medaglie d’ argento alla memoria andranno a Giuseppe Maenza e a Giacomo Lettieri. Altre medaglie d’argento ai partigiani: Antonino Tarsia in Curia, Stefano Fadda, Ezio Murolo e Giuseppe Sances. Medaglie di bronzo a Maddalena Cerasuolo, Domenico Scognamiglio e Ciro Vasaturo. De Gioia dimostra una profonda conoscenza della topografia di Napoli: dalle strade alle piazze, dalle chiese alle biblioteche, dall’università agli ospedali, da Capodichino al Museo, dal Vomero a Posillipo, dal Distretto Militare all’Orto Botanico... Tutto è calato nella storiografia e nella cronaca delle “Quattro giornate” di resistenza ai tedeschi che iniziano il 27 settembre 1943: “Sono state una lotta di popolo, una manifestazione istintiva di spirito patriottico contro un esercito invasore... La rivolta è stata preceduta da paure, privazioni e stragi dovute ai bombardamenti americani a tappeto, nonché alla mancanza di ogni sostentamento ed alla violenza eccessiva dei soldati tedeschi che hanno fatto esplodere il coraggio della disperazione”. Infine, la storia d’amore di Mario Barzini e di Marilù si conclude con la scoperta che costei era una donna tedesca, una vera spia dei nazisti. Chiudo citando dalla Prefazione di Vincenzo Rossi, che è passato a miglior vita il 6 novembre 2013: “Sento... la necessità di esortare tutte le autorità... della nobile e universale città di Napoli a finanziare un’altra tiratura di copie di questo libro per distribuirlo gratis in tutte le biblioteche attive d’ Italia e nei centri di lettura e persino in tutte le scuole della città. Il libro ne è altamente degno”. Orazio Tanelli Docente Universitario, Verona, New Jersey, USA


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ANTONIA IZZI RUFO PAESE Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Un versificare breve, contenuto. Si esprimono sensazioni che risultano amare. Il sole è lì ma non basta; manca la volontà del sentire, quel sentire profondo che illumina l’anima. Se lo spirito manca, intorno è deserto, squallore. Sembra che le immagini scorrano davanti agli stanchi occhi di un vecchio che ormai pensa solo alla morte. Se non c’è una volontà di ribellione e di attaccamento alla vita, tutto si arresta. “Questo è un cimitero”, grida al vuoto il venditore, “Eppure è un bel paese”. Piccolo paese del sud ricco di colori e di suoni al passato, ma vuoto e triste al presente perché è l’ anima del poeta che è vuota e non riesce a rendere vivo e pulsante il ricordo. Eppure la vita scorre ma le immagini che affiorano sono legate a momenti particolari come “vecchio - badante, ospiti della casa famiglia”. Le voci sono rauche e si visualizza la corsia di un ospedale. Eppure la sera copre d’azzurro il cielo e svanisce in oro e fuoco il crepuscolo. In un mondo dove l’uomo scompare vivono e ti sono vicini gli animali e gli uccelli. L’ uccello ti rallegra col suo canto, l’animale tutto dona senza chiedere con la semplicità del suo innocente sentire. Presente la nautra e la maestosità dei monti innevati che non tradiscono, ma abbracciano la solitudine del poeta. Sono loro a parlare e i loro sussurri alitano di vita. Rifugiarsi nella natura che ciclicamente si rinnova e offre i suoi frutti come il limpidore di un cielo dopo la pioggia, striature di fuoco, d’ arancio all’alba e al tramonto. Qui affiora poesia e nasce nuovamente l’ incanto. Il poeta cerca una via d’uscita e la trova nelle cose semplici come la festa paesana e supera lo squallore metaforico dei campi abbandonati. Predomina il rimpianto di un tempo che fu dell’antico paese, del suono delle zampogne. Solo una volontà forte e immaginifica può far rivivere il ricordo e donare nuova vita al paese che giustamente Defelice definisce “il suo - della poetessa”, il nostro cuore. Anna Vincitorio

Per il suolo della Repubblica in questo giorno di lutto OLTRE LA TOMBA Lei è te E io sono il suo tormento

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Ombre del passato noi siamo La sua anima è assetata di pioggia Nata per lottare Ha trovato la pace nel vento. Io sono suo figlio E lei è sua sorella La terra sussurra le storie delle orme dei suoi padri Smarriti per la colonizzazione Abbiamo dimenticato come ballare Il tamburo djembe echeggia il suo nome In ogni istante noi abbracciamo le nostre tradizioni. Questa candela va dimenticata Che una volta ci ha guidato Attraverso la polvere. Lei è tuo padre Io sono la pecora nera senza appiglio Lei apre un varco nella siccità Quando guarda verso di te, Perché di essere diversi, noi, sempre ci sforziamo Tuttavia il nostro desiderio è di inserirci Abbigliati in pretenziosi sorrisi Risate coktail In un piatto schermo questo tempo si è perso Brucia nella disperazione il sole della speranza A causa del suo sogno di libertà Che lentamente svanisce. Cosa sarà di noi? Quando il suolo inghiottisce Coloro che ci hanno dato questo tempo Per pensare al domani, Perché l’oggi è usato male e fuori posto, Malamente acciaccato appare il nostro futuro Lei è giovane E noi siamo arroganti Lei è amore E noi siamo ignoranti Al suo calore noi guardiamo ancora Quando il freddo serra le nostre anime. Io sono te Lei è noi che impariamo come donare E impariamo a semplificare la verità Perché comprendere è una virtù. Concepiti nella passione, Siamo usciti dall’amore E allevati a vivere nella paura. Lei è pace Noi siamo paranoidi Con la paura di risplendere


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Tuttavia noi sostiamo Rivestiti di vetro Veloci a denunciare i suoi errori, A difendere la scimmia Sulle nostre terga. Nei nostri armadi gli scheletri Gridano privi d’aria La verità è dura da mettere a nudo. I nostri bambini marciranno Se noi saremo negligenti A imbrigliare con la cultura il loro intelletto Perché la casa è, dove, nel suo ardere Il calore ci appare di più Noi siamo negativi, Lei è comprensiva Noi siamo troppo possessivi, Io sto imparando come poter camminare di nuovo Ma questo tempo porta al volgimento Io sono un padre Tu, mia figlia Benché io sia un uomo fuori posto, Perso in ricordi del passato dal sapore amaro, E la felicità è troppo debole per me ritrovarla, I rami del mio albero Sono abbastanza lontani Perché io possa afferrarli. Figlio di un poeta, Il danzatore che è in me avverte il ritmare della luce Nei tuoi sogni, E l’eterno sorgere del sole Radiante nei tuoi occhi Perché lei ha bisogno che tu creda di nuovo Per avere ancora stima di voi stessi Perché la nostra direzione Si è persa nel trasferimento dalle mani del vostro capo inetto E il suo apparato politico. Lei cerca il conforto Oltre la tomba dell’apartheid Così, tu, torna indietro e offri amore, Perché amore è il nome di sua madre Puoi tu non vedere In qual modo il suolo sia sconvolto Per quanto ci riguarda Così amatevi di nuovo Perché amore è verità Sebbene il vero amore a volte possa essere duro

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Ma io rifiuto di essere suo schiavo Così che i vostri cuori battano d’amore Per alcuni di noi che cercano pace Al di là della tomba di Mandela... Mak Manaka Trad. di Anna Vincitorio, Firenze, 17.12. 2013.

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE All’Auditorium d’Isernia, Concerto di Lino Rufo sul “Femminicidio” - I concerti di musica leggera, che i giovani prediligono e spesso antepongono alle opere liriche, le quali più della musica leggera provocano brividi di emozione, si sono svolti in ogni tempo, nel chiuso e all’aperto, nei teatri, negli stadi, nelle piazze, ma oggi si sono diffusi più di sempre. E’ musica allegra, a volte parossistica, di solito ad alto volume, che entusiasma, inebria, induce a sfrenarsi, ad elevarsi al di sopra del reale; è melodia che capta il corpo e la mente in maniera totale. I ragazzi devono dare sfogo alla loro esuberanza, muoversi, gridare, estrinsecare tutto quanto si portano dentro, dire la loro gioia, il loro piacere, il loro slancio vitale, mettere allo scoperto il loro sentire, per se stessi e per gli altri. I concerti, proprio perché ascoltati in maggioranza dai giovani, si distinguono per la ripercussione degli strumenti che si spande nella volta celeste e annulla ogni altro suono, perché stordiscono il pubblico giovane che li ama proprio per questo e che applaude e diventa tutt’uno con l’afflato musicale e roboante che li pervade e che s’impone alla loro audizione. Vi sono concerti e concerti e non tutti “rumorosi”; ve ne sono alcuni che emettono note melodiche tollerate


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anche da un pubblico avanti negli anni; concerti che fondono, in un tutto armonioso, musica e cultura e soddisfano così attempate persone di elevato gusto etico-culturale, non solo la gioventù verde che si va formando. Di tale natura, ossia musicale- culturale, è stato il concerto, eseguito, nell’Auditorium d’Isernia, alle ore ventuno del 29 dicembre 2013, dal musicista cantautore Lino Rufo, dal titolo “Musica in Teatro. Campagna Regionale contro il “FEMMINICIDIO”. Il teatro era gremito e non si sentiva alitare una mosca. L’attenzione di tutti era rivolta al palco dove si succedevano, di volta in volta, la presentatrice, Serenella Sestito, un cantante o musicista o entrambi, lo storico Franco Valente, Ida Sassi che leggeva poesie di Alda Merini. Musica e canzoni si rifacevano al “Femminicidio”, così come i racconti storico-culturali e gli episodi risalenti al tempo dei monaci Benedettini di San Vincenzo al Volturno del Prof. Valente. Sobrio l’abbigliamento delle donne che sfilavano sul palcoscenico: niente scollature audaci né minigonne. Bravissimi cantanti e musicisti, relatori e poeti dei quali riporto i nomi: Erica Boschiero (chitarra e voce), Giulia Fratelli (voce e chitarra), Yuchi Rufo (voce e chitarra), Frida Neri (voce), Michela Lombardi e Riccardo Fassi (voce e pianoforte), Lino Rufo (chitarra e voce), Franco Valente (narrastoria), Ida Sassi (poetessa). Ha concluso la serata Lino Rufo con tre stupende, significative canzoni: “Tanto viene Natale”, “All’ improvviso la felicità”, “A volte mi domando” . Lo ha accompagnato Yuchi, giovanissimo e bravissimo chitarrista, già noto nell’ambiente musicale italiano ed estero, molisano che risiede a Roma dove frequenta la facoltà di Giurisprudenza ed esegue concerti con un suo gruppo. Bellissime, e attinenti, le canzoni, in particolare quelle di Lino il quale è stato ripetutamente applaudito. Alla fine qualcuno del pubblico ha esclamato: <<Ma come! Già il concerto è terminato?>>. Sembrava che fosse trascorsa una mezz’ora soltanto, invece erano passate tre ore. Antonia Izzi Rufo *** ANNIVERSARIO - La Serva di Dio GIULIA COLBERT FALLETTI DI BAROLO è morta a Torino il 19 GENNAIO 1864. Per ricordarLa nel 150° Anniversario del "dies natalis" a Torino è stata celebrata, oggi, 19 gennaio 2013, alle ore 18.00 nella chiesa di Santa Giulia, da Lei fatta costruire, una Santa Messa Pontificale presieduta dall'Arcivescovo S.E.R. Mons. Cesare NOSIGLIA. Giulia Colbert nasce nel castello di Maulévrier in Vandea (Francia), il 26 giugno 1786. Rimane orfana della madre nella prima infanzia; dal padre rice-

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ve una solida educazione cristiana e una vasta istruzione. Nel 1806 sposa il SdD marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo e si stabilisce a Torino. I due coniugi vivono in pienezza il carisma matrimoniale realizzando una profonda comunione di fede e di carità. Diventano così fermento di intensa vita cristiana nella società del tempo. Nel 1814 Giulia entra nelle carceri ed inizia una meravigliosa opera di redenzione sociale. Con la sapienza pedagogica, che solo chi è mosso dalla carità di Cristo possiede, conduce le detenute a ritrovare il senso autentico della vita e la loro dignità di persone umane e figlie di Dio. Il carcere diventa così luogo di rieducazione, attraverso il lavoro, l’istruzione, la preghiera, in un clima di serenità e di pace. Da quel momento la sua azione di carità si intensifica. Ella diventa veramente la serva dei più emarginati e dimenticati. Tutte le miserie materiali e spirituali trovano risonanza nel suo animo; sa scoprire bisogni e sofferenze intervenendo con iniziative che hanno ancora oggi un grande valore profetico. Dà vita a vari istituti educativi ed assistenziali: il Rifugio dove ex-carcerate e giovani in serio pericolo morale trovano un ambiente familiare e un lavoro dignitoso; l’ospedale di S. Filomena per bambini handicappati rifiutati dai comuni ospizi; asili d’ infanzia, scuole di istruzione e di formazione professionale per i figli dei poveri; case-famiglia e laboratorio per ragazze bisognose; mensa per i poveri. Per assicurare continuità nel vero spirito di carità alle sue iniziative di promozione umana, fonda un istituto: le Sorelle Penitenti di S. Maria Maddalena, oggi Figlie di Gesù Buon Pastore, con lo scopo di riparare ed espiare il peccato e il male del mondo attraverso una vita di intensa preghiera e di penitenza, e di educare ragazze abbandonate. La sorgente della straordinaria efficacia del suo apostolato è l’unione profonda con Cristo Signore, coltivata con assidua preghiera, spirito di mortificazione, esercizio esemplare delle virtù umane e cristiane, amorosa dedizione per la salvezza delle anime, ascolto attento della parola di Dio e adesione incondizionata alla sua volontà, abnegazione di sé nel servizio del prossimo. Il punto focale della sua intensa giornata è la S. Messa, che alimenta la sua volontà di configurarsi a Cristo crocifisso per la salvezza delle anime e la rende capace di diffondere attorno a sé la misericordia e la pace di Cristo. Il sacrificio della sua vita si consuma completamente con la dolorosa e lunga malattia sino alla morte avvenuta il 19 gennaio 1864.


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Riposa a Torino, nella chiesa di S. Giulia, da lei fatta costruire come ultima opera della sua fede e carità ardente. Claudio Falletti di Villafalletto Gran Cancelliere Accademia Collegio de' Nobili *** LAUREA - Venerdì 24 gennaio 2014, presso l’ Università di Roma, la Sapienza, il pomeriggio uggioso d’un tratto si è schiarito nella Facoltà di Giurisprudenza, ove la neo-dottoressa Alessandra CAUCHI - figlia del nostro caro amico e collaboratore Prof. Tito Cauchi - ha discusso la tesi di laurea: “La responsabilità professionale medica: Aggiornamenti giuridici e medico legali”, relatore

Prof. Paolo Arbarello e correlatore Prof. Serafino Ricci. Alla gioia grande di tutta la famiglia della neolaureata, si unisce la nostra e quella di PomeziaNotizie. Auguri d’ogni bene, Dottoressa, e di una ricca e splendida carriera. (d.d.f.) *** MARCO DELPINO sulla poesia di IMPERIA TOGNACCI - “Inni alla vita” sono state giustamente definite le opere di Imperia Tognacci. In effetti, emozioni, sensazioni, stati d’animo condivisi,

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sussurri e palpitanti considerazioni sono presenti nelle sue poesie e nei suoi libri che - attraverso un costante dialogo alla ricerca di radici, ma anche di nuovi orizzonti - dimostrano di possedere una forza letteraria capace ad attraversare la nostra cultura come un rivo gorgogliante nel folto della vegetazione. Con il suo ultimo libro di liriche, “Nel bosco, sulle orme del pastore” (Edito da Giuseppe Laterza2012) la scrittrice e poetessa ha meritatamente vinto il 1° Premio per il libro edito alla 36ª edizione del Concorso Letterario Internazionale “Santa Margherita Ligure - Franco Delpino” 2013. Marco Delpino (giornalista e critico letterario) *** ANTONIETTA DI SECLÌ: IL PARALLELISMO PITTORICO - ANTONIETTA Di Seclì, pittrice di fama internazionale, le cui opere sono presenti in pinacoteche, collezioni pubbliche e private diffuse in tutto il mondo (Italia, Svizzera, Spagna, Malta, Cipro, Pakistan, Cina, Stati Uniti), ispiratrice ed ideatrice del "Parallelismo lirico- pittorico", una nuova corrente, dove si attua, a mio avviso, una sorta di interazione tra pittura e poesia, le più alte espressioni d' arte, e dove le immagini sobrie ed equilibrate dei dipinti si coniugano e si fondono con la scorrevolezza e la musicalità dei versi, nella sua opera, attraverso il parallelismo pittura/poesia, senza alcuna intrusione dell'intelletto, che renderebbe la creazione artistica - sia pittorica che poetica - fredda ed artificiosa, tale da non suscitare alcuna emozione nell'animo del fruitore, trasfonde tutta la ricchezza del suo mondo interiore, tutta la potenza del suo estro creativo. Premesso che per l'uomo oggi l'arte e la poesia costituiscono dei punti fermi per riflettere su aspetti della nostra quotidianità, nei suoi quadri, dove utilizza per lo più la tecnica dell'olio su tela, che consente di ottenere, rispetto all'acquerello e all'acrilico, una varietà e ricchezza di effetti, la Di Seclì intende lanciare un messaggio d'amore e di speranza , che sono in fondo le due componenti essenziali della vita umana, anche se talora offuscato da un velo


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di latente malinconia. Infatti nell'opera pittorica della Di Seclì, dove l' armocromia regna sovrana - il cromatismo ora è forte, ora sfumato - sia che essa si rivolga al paesaggio sia ad aspetti della nostra società, si riscopre l'Amore per lo slancio della sua anima sempre tesa alla conquista della gioia e al canto dei supremi valori della vita. Le tele, di un equilibrio formale di grande fruibilità, accanto a temi sociali (Clocharde - Odalisca Strapotere - Effetto droga - Litania di un cuore solitario - L'urlo del silenzio) ed allegorici (Sacro e Profano - Italia, quo vadis? - La croce di Blasir) privilegiano il tema del paesaggio, prevalentemente quello molisano ( Sospiri del tempo - Paesaggio molisano -Sipario silvestre sul Molise), nonché aspetti specifici della natura (Tempesta sulla città Tramonto - Le due rocce). Tali temi assumono un rilievo maggiore per i versi che, descrivendoli, chiariscono il loro significato e che si segnalano per la loro semplicità e l'adeguatezza del linguaggio poetico. Da quanto si è detto, confermato anche dai numerosi giudizi critici, riportati con metodica precisione, emerge non solo la tecnica compositiva con la varietà delle tematiche affrontate, ma anche e soprattutto l'intera personalità dell'artista, per cui è così apprezzata ed ammirata sia in Italia che all'Estero. Il che non è poco. Giuseppe Anziano *** ONORIFICENZA - Apprendiamo che, in data 8 novembre 2013, la nostra amica Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi - Presidente dell’Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori - è stata insignita del titolo di Doctor Honoris Causa in Humanities dalla IWA (International Writers Association USA), Presieduta da Teresinka Pereira. I nostri complimenti e quelli di tutta la grande famiglia di Pomezia-Notizie alla cara Giovanna, che da tanti anni si prodiga, rimettendoci tempo e denaro, per la divulgazione della cultura e della nostra lingua nella grande isola-continente dell’Australia. *** A Marino il 13 febbraio 2014 CONFERENZA STAMPA PER LA TRASLAZIONE DEL SERVO DI DIO ZACCARIA NEGRONI - Giovedì 13 febbraio 2014, alle ore 11. 00, presso la sala parrocchiale della Parrocchia San Barnaba Apostolo di Marino in Corso Trieste, si è svolta la Conferenza Stampa per la “Traslazione del Servo di Dio Zaccaria Negroni”. Mons. Pietro Massari, presidente dell’Associazione Pro Beatificazione dei Servi di Dio Monsignor Guglielmo Grassi e Zaccaria Negroni, ha tenuto una Conferenza Stampa per

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rendere note le imminenti iniziative per la Traslazione del Servo di Dio, ZACCARIA NEGRONI (1marzo 2014) e l’Anniversario della nascita del Servo di Dio MONS. GUGLIELMO GRASSI (3 marzo 2014). Erano presenti Autorità Ecclesiastiche, Civili e Militari. Per informazioni: Centro Multimediale per la Comunicazione Sociale “G.Grassi” –

Domenico Defelice - Scaffale (1964)

LIBRI RICEVUTI INES BETTA MONTANELLI - L’assorta tenerezza della terra - Note critiche di Giuseppe Benelli, Marina Caracciolo e Nazario Pardini; in bandelle, giudizi di Giorgio Bàrberi Squarotti, Mario Luzi, Loris Jacopo Bonomi, Vincenzo Laforgia - In copertina, particolare del “Paesaggio con fanciulla sull’albero”, di Giovanni Segantini - Bastogi Editrice, 2013 - Pagg. 118, € 12,00. Ines Betta MONTANELLI è nata alla Spezia da antica famiglia pontremolese. Fin da giovanissima si sente attratta dalla poesia che coltiva negli anni. Al suo attivo ha sette pubblicazioni di poesie: “Dal profondo” (1981), “Sete di stelle” (1986 e 2000), “Trasparenze” (1989), “Radici d’acqua e terra” (1993), “Nel passaggio di tante lune” (2000), “Il chiaro enigma” (2002 e 2010), “Lo specchio ritrovato” (2004). Hanno scritto sulla poesia critici e letterati di gran


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fama; pagine critico-antologiche a lei dedicate sono apparse sulle più quotate riviste e ha vinto decine e decine di prestigiosi Premi. E’ membro di Giuria in vari premi letterari nazionali. Tiene incontri di poesia con le scuole. ** ROCCO CAMBARERI - Da Lontano - Poesie - In bandelle, presentazione di Domenico Defelice - Le Petit Moineau, Roma, 1970 - Pagg. 32, L. 800. ** ROCCO CAMBARERI - Azzurro veliero - Prefazione di Ettore Rognoni - Ed. Gruppo “Fuego de la Poesia, Santiago del Chile, 1973 - Pagg. 40, L. 1.000. ** ROCCO CAMBARERI - Adiós Chile - Grafica Meridionale SpA, 1978 - Pagg. 44, L. 1.500. ** ROCCO CAMBARERI - Frantumi di cristallo Antonio Carello Editore, 1981 - Pagg. 44, L. 3.000. ** ROCCO CAMBARERI - Paesaggi e profili - Prose - Presenza Editrice, 1982 - Pagg. 80, L. 3.500. ** ROCCO CAMBARERI - Versi scelti (1963 1982) - Presentazione di Claudio Toscani - Guido Miano Editore, 1983 - Pagg. 88, s. i. p. ** ROCCO CAMBARERI - Pensieri del sabato - A mo’ di Prefazione, giudizi di Cesare Greppi, Andrea Zanzotto, Aldo Onorati, Claudio Toscani - Antonio Carello Editore, 1983 - Pagg. 48, L. 5.000. ** ROCCO CAMBARERI - Poesie - Estratto dal volume “Poeti italiani” con traduzione in lingua francese a cura e con traduzione di Anna Maria Negrente - Antonio Carello Editore, 1984 - Pagg. 8, s. i. p. ** ROCCO CAMBARERI - 15 poesie scelte - Estratto dal volume “Poeti italiani del mondo d’oggi”, II Edizione - Antonio Carello Editore, 1984 - Pagg. 16, s. i. p. ** ROCCO CAMBARERI - Quel cerchio di luce Centro Studi Sikania, 1986 - Pagg. 32, s. i. p. ** ROCCO CAMBARERI - Assonanze e dissonanze - Introduzione di Pasquino Crupi - Luigi Pellegrini Editore, 2004 - Pagg. 60, € 5,00. Rocco CAMBARERI è nato a Gerocarne (VV) nel 1938 ed è morto a Vibo Valentia nel 2013. Ha insegnato a Roma, Santiago del Chile, Madrid e Vibo Valentia. E’ stato inserito, con la sua opera letteraria, in antologie di poesia contemporanea e citato in manuali di sto-

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ria della letteratura. Alcune sue poesie sono state tradotte in altre lingue. Della sua poesia si sono interessati noti critici, la stampa periodica e quotidiana, emittenti televisive locali e nazionali. Ha pubblicato: “Lacrime del calendario” (1963), “Avvolto nel silenzio” (1966), “Tralcio alla vite” (1968), “Da lontano” (1970), “Azzurro veliero” (1973), “Paesaggi e profili” (1974, “Adiós Chile” (1978), “Frantumi di cristallo” (1981), “Pensieri del sabato” (1983), “Tra ioni e furori” (1985). Volumi antologici: “Una Guitarra del sur” (1972), “Quaranta poesie d’amore” (1983), “Versi scelti” (1983). ** MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO (a cura di) - Poeti italiani del nostro tempo Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini” (I moti dell’anima), 9a Edizione 2012 - Anscarichae Domus, Firenze 2013 - Pagg. 172, € 10,00. Dopo la Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto e una lunga nota di Stefano Martin, vengono antologizzati i seguenti Autori: Rita Muscardin, Giuseppe Barba, Gerardo Masuccio, Anna Maria Cardillo, Ines Scarparolo, Alessandro Corsi, Antonio Damiano, Patrizia Tansini, Fulvia Marconi, Leda Biggi Graziani, Mercedes Chiti, Elisa Bassi, Fabiano Braccini, Luigi Salustri, Stefano Perissi, Luciano Fani, Vittorio Morrone, Anna Maria Olito, Maria Salamone, Antonio Azzerlini, Maurizio Bacconi, Roberta Bagnoli, Giuseppe Baricchi, Francesca Bertolani, Giorgio Betti, Carmelo Bianchi, Gianna Binda, Denis Bocca, Daniele Boganini, Noemi Breviglieri, Marco Bruni, Alessia Caffio, Alessandra Cavigli, Ida Cecchi, Alberto Cocco, Giuseppe Crapanzano, Giuseppina (Pinella) Danese Zini, Vito de Leo, Teresa Donatelli, Stefano Donati, Pina Frascino Panussis, Anna Maria Gallon, Daniele Gangemi, Alberto Gatti, Ester Gelli, Maria Laura Ghinassi, Antonio Giordano, Sergio Innocenti, Marco Maffei, Claudia Magliozzo, Teresa Marzialetti de Gaspari (Titina), Mariella Medda, Marisa Montagna, Pippo Monteleone, Anna Maria Mustardino, Giulio Occhipinti, Cesare Orselli, Maria Luisa Orsi Sigari, Massimiliano Pepe, Gina Polidori, Elisabetta Postal, Maria Cristina Renai, Giuseppe Romano, Nicola Romano, Francesco Rosaspina, Fryda Rota, Mauro Roversi Monaco, Giovanni Savoia, Natale Scarpelli, Patrizia Socci, Attilio Stilli, Laura Tonelli, Gerardo Valvano, Valentina Veziani, Silvio Marziano Violati Tescari, Francesca Vitello, Marta Zocchi, Giovanni Bonaiuti, Luciano Fani, Maria Elsa Scarparolo Bartolomei, Senzio Mazza, Stefano Martin, Maria Emanuela Coscia, Giannicola Ceccarossi, Giovanni Galli, Ignazio Urso, Carolina Innella, Fernanda Nicolis, Salvatore Risuglia, Massimo Novaga, Elena Scarfagna Rossi,


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Anna Bartiromo, Carmela Salvemini, Andrea Bufalini, Annamaria Cielo, Annitta Di Mineo, Lucia Gaddo Zanovello, Armando Giorgi, Pietro Iadeluca, Enzo Maggio, Anna Magnavacca, Marina Martinelli, Tommaso Montagna, Nazario Pardini, Antonella Pericolini, Renzo Piccoli, Consuelo Ziggiotto, Giulia Vannucchi, Ginevra Valeri Curti, Federica Papapietro, Beatrice Rizzoni, Lapo Bernacchioni, Ilaria Parlanti, Aurora Stilli, Alberto Parisi. ** FILOMENA IOVINELLA - Il ritorno di Stefano - Racconto - L’Autore Libri Firenze, 2013 - Pagg. 98, € 11,50. Filomena IOVINELLA è nata a Frattaminore, in provincia di Napoli, e vive a Torino. Ha pubblicato un altro racconto: “Traccia di vita”. ** GIOVANNI MAURILIO RAYNA - Amo i fiori che non colsi mai - Presentazione di Antonio Dogliani; in prima di copertina, a colori, “I papaveri e Anna”, di Domenico Moraglio; in quarta e nelle bandelle, foto a colori, tra le quali: l’Autore, P. Umberto Muratore e il sepolcro di Clemente Rebora - Santarosa Editore, 2012 - Pagg. 70, s. i. p.. Giovanni Maurilio RAYNA, sacerdote, poeta e scrittore, vive e lavora a Savigliano (Cuneo), città natale. Canonico dell’insigne Collegiata di S. Andrea e Rettore della chiesa di S. Filippo Neri di Savigliano - ha al suo attivo numerosissime altre sillogi di poesia. Ricordiamo: Fiori di ginestra (1957), L’ombra degli alberi verdi (1973), Le magnolie nei giardini sono in fiore (1975), Conchiglia disabitata (1977), Prima neve d’autunno (1979), Hortus conclusus (1981), La clamide scarlatta (1983), L’ àncora sull’abisso (1984), Mettimi come sigillo sul tuo cuore (1985), Giunchiglie sull’argine (1986), La strada nel buio ora risplende (1988), Voglio svegliare l’aurora (1990), Cattedrale degli abeti (1991), Il colore dell’alba (1993), Il mistico giardino (1995), Guidami oltre, luce gentile (1995), Quando torna la luce sui passi della notte (1998), Ritorna anima mia alla tua pace (2001), Alla quercia di Mambre (2002), Respiro d’infinito (2003), I sette candelabri d’oro (2004), La fontana de villaggio (2006), L’Ottavo Giorno (2008), Le sette lucerne (2010), Dai fondali azzurri del cuore (2011). Numerosi, pure, gli scritti in prosa. ** NORINA SERPENTE - Con l’arpa a dieci corde - Saggio illustrativo della silloge di poesia “Amo i fiori che non colsi mai” di Giovanni Maurilio Rayna - In copertina, a colori, “I papaveri e Anna” del pittore Domenico Moraglio; in prima bandella, foto dell’Autrice, in seconda, foto di Don Maurilio Rayna - Santarosa Editore, 2013 - Pagg. 20, s. i. p.. Norina SERPENTE, insegnante in pensio-

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ne, scrittrice e saggista, vive ed opera a Roma. Delle sue opere si ricordano: “Sentieri di luce”, “Mi chiamo Francesco”, “Santa Francesca Cabrini”. ** MENOTTI GALEOTTI - Storie di strada - Poesie, Prefazione di Giuseppe Baldassarre (“Nell’ attesa del tempo nuovo”) e Franco Manescalchi (“La tristezza civile di Menotti Galeotti”) - In copertina, particolare dal film “Ladri di biciclette” - Edizioni Polistampa, 2013 - Pagg. 56, € 6,00. ** PAOLANGELA DRAGHETTI - Gherda e Cris Romanzo per ragazzi - In copertina, a colori, “Malakoff” (particolare), di Henri Rousseau; all’interno, in bianco e nero, disegni (della stessa Autrice?) - L’ Autore Libri Firenze, 2013 - Pagg. 72, € 10,00. Paolangela DRAGHETTI è nata a Mirandola, in provincia di Modena e vive a Siena. Affermata autrice di fiabe e filastrocche per ragazzi, ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, fra i quali sono da ricordare il primo posto al Premio “Città di Piombino”, al Premio “Primavera strianese”, al Premio di narrativa per l’infanzia “Foiano della Chiana” e al Premio “Città di Livorno”. Tra le sue opere, si ricorda “Una magica notte d’estate”.

TRA LE RIVISTE ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivista fondata da Giacomo Luzzagni e diretta da Stefano Valentini (responsabile) e Natale Luzzagni (editoriale), vicedirettore Pasquale Matrone - Casella postale 15C - 35031 Abano Terme (PD) - n. 113 (1° Trimestre 2014). Segnaliamo: “Alice Munro: la maestra del racconto contemporaneo”, di Luigi De Rosa; “Giorgio Seferis: un grande poeta neogreco”, di Elio Andriuoli; “Elizabeth Barrett Browning: i sonetti dal portoghese”, di Liliana Porro Andriuoli; “Intervista a Marco Buticchi”, di Pasquale Matrone; “<Il viaggio della vita> di Bruno Rombi”, di Liana De Luca; “La modernità di Prometeo”, di Rosa Elisa Giangoia. Inoltre, firme di Sandro Angelucci, Nazario Pardini, nostri collaboratori. * ILFILOROSSO - Semestrale di cultura, responsabile Pasquale Emanuele - via Marinella 4 87054 Rogliano (CS). Riceviamo il n. 55 (luglio-


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dicembre 2013). Tra le firme, Luigi De Rosa (“La poesia prosastica dell’ultimo Montale”). * L’ERACLIANO Organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili, direttore responsabile Marcello Falletti di Villafalletto Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (FI). Riceviamo il n. 189/191, dell’ottobre/dicembre 2013), dal quale segnaliamo la presentazione de “La chiesa di San Michele Arcangelo di Ponte Buggianese un paese, la sua storia”, opera di Marcello Falletti di Villafalletto, il quale cura anche la rubrica “Apophoreta” (tra i libri recensiti, anche “Domenico Defelice. Un poeta aperto al mondo e all’amore”, di Anna Aita). * LA RIVIERA LIGURE - quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro diretto da Maria Novato - Corso A. Saffi 9/11 - 16128 Genova. Riceviamo il n. 2 (72), settembre-dicembre 2013, interamente dedicato a Renato Majolo. * MAIL ART - Bollettino dell’Archivio di Mail Art e letteratura “L. Pirandello” di Sacile, diretto da Andrea Bonanno - via Friuli 10 - 33077 Sacile (PN). Riceviamo il n. 84 (dicembre 2013). * LA GAZZETTA DI BOLZANO - Periodico di informazione arte cultura attualità diretto da Franco Latino, responsabile Eugen Galasso - via Torino 84 - 39100 Bolzano. Riceviamo il n. 43 (giugno 2013), sul quale troviamo le firme dei nostri collaboratori Tito Cauchi e Silvano Demarchi. Eugen Galasso si interessa, tra l’altro, di opere di Liana De Luca e Anna Vincitorio. * IL FOGLIO VOLANTE/LA FLUGFOLIO - mensile letterario e di cultura diretto da Amerigo Iannacone, resp. Domenico Longo - via Annunziata Lunga 29 - 86079 Venafro (Is). Riceviamo il n. 1 (gennaio 2014). Tra le firme, anche quella di Loretta Bonucci. * DOMANI SUD - Periodico di informazione politica e culturale, diretto da Fortunato Aloi, resp. Pierfranco Bruni - via S. Caterina 62 - 89121 Reggio Calabria. Riceviamo il n. 1 (gennaiofebbraio 2014), con, tra l’altro, la cronaca - specialmente fotografica (ben 24 immagini) - dell’ assegnazione a Reggio Calabria del Premio “G. Calogero 2013”. * SOLOFRA OGGI - Dir. Responsabile Angelo Picariello - via Casapapa 1 - 83029 Solofra (AV). Riceviamo il n. 12 (dicembre 2013).

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Inizia, con questo numero, la pubblicazione, a puntate, di un poemetto ironico. L’ITALIA DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice Notte d’estate e cielo pien di stelle. Sull’acque di cobalto, che cingono l’isola dei nuraghi, tutto è calmo e tranquillo. Vanno le navi illuminate; i pescatori cantano sereni; tra la sabbia dorata dormono stretti e sognano gli amanti. Quand’ecco, all’improvviso, la montagna spaccarsi in una nube nera; ecco levarsi dalle forre più cupe nugoli d’uccelli spaventati, urla strazianti fra i dirupi, il pianto degli agnelli sui pianori, lo stridio lacerante dei gabbiani e tra le case e nelle stalle vuote il rabbioso brontolìo dei cani. Sparita era la notte all’improvviso tra ceneri e lapilli che al mare discendevan a ruzzoloni. Era il pene di Silvio ad eruttare nella sua immensa villa1, serrato fra due massi enormi a forma di marroni. Grandemente adirato, il Cavaliere, come un leone in gabbia. Giudici invidiosi e comunisti, solo su teoremi e senza prove, donne frigide e tristi, inappellabilmente a Milano l’avevan condannato scartando i testimoni a suo favore. Tre gradi di giudizio e il suo cursus honorum pregiudicato. Mentre un Astro tramonta - o almeno sembra un altro all’orizzonte ecco s’appresta (se, e quanto grande, un giorno lo vedremo). Il giovane Silmàtteo Renzusconi - il primo cittadino di Firenze, con la giustizia quasi immacolato,


POMEZIA-NOTIZIE senza i cento processi e di Berlusca senza le pendenze -, per l’Italia scorazza, in comizi veloci, sopra un camper alla Jobs a predicare. Ora alla Presidenza del Consiglio aspira, ora solo il PD vuole guidare; se stamàne al Governo dà fiducia, a sera, a casa Letta vuol mandare. Rottama a destra e manca, ma subito si pente: come l’Arno sproloquia quando per la città scorse furente. Piccolo e sveglio democristiano a La Pira nutrito e a boy scout, ora sdegnoso e torvo, ora alla mano, con trascorsi da Mike, assalti alla tv da De Filippi, copertine su Vanity Fair, in eterno cinguetta coi suoi fans, tra blog, IPhone e bit bit.

Seduta da più giorni in Gabinetto, Angela cancelliera - dal Cavaliere detta la culona silente, mesta, inane se ne sta - mentre l’Europa di lamenti suona -, afflitta d’una insana stitichezza. Senza destrezza alcuna immantinente bussa il maggiordomo con sul vassoio un foglio fluttuante appena vomitato da nera teutonica stampante. A nuovo comandante del PD dell’itala colonia - Angela lesse nella tana sinistra dei leoni era stato innalzato un bel giovine fiero e scalpitante: Silmàtteo Renzusconi. Avrebbe preferito un altro uomo - la dura cancelliera -: Cuperlo per esempio, Gianni il tedesco, faccia tirata a lucido, parlare calmo e netto, fermezza non da poco. Ma l’Italia ha deciso e, delle volte, occorre anche abbozzare,

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al torbido giocar fare buon viso. Dunque, Silmàtteo. L’aveva già incontrato quando al potere stava Berlusconi e non l’era spiaciuto il giovanotto dell’incerto decoro, da Fonzi travestito, i denti di castoro, l’occhio assai mobile, le labbra a ciliegina, le mani sempre in moto, sciolta e fiorita assai la parlantina. “Silmàtteo si prefigge - la Cancelliera il foglio lesse ancora trattar con l’Europa sul rigore. Basta col comandar della Germania! Di cinghia troppo stretta anche si muore”. Oibò oibò oibò! La sfida, deciso ha, dunque, il bricconcello? Angela sussultò. Si sentì titillare appena l’ano ed aprirsi la diga, finalmente: un flusso sì gagliardo da impallidire e Tevere e Rodàno. Silmàtteo Renzusconi! Forse che si prepara il Bel Paese ad un altro ventennio? Angela era basita. La storia, purtroppo, le diceva ch’era possibile si rinnovasse ancora la partita. Un mattacchione, un cavaliere Silvio, che rinasca dal ventre di marpioni, in terra dominata da cannibali! Occhetto da Prodi divorato e subito questi da D’Alema; Veltroni da Dario Franceschini, che si comporta pure da buffone, lui non giurando, ma costringendo a farlo il proprio padre, sul testo sacro de La Costituzione. Presto è, però, ingoiato da Bersani, a smacchiare deciso il gran giaguaro e costretto a dimettersi... Un partito a brandelli, insomma, devastato da cento caimani. Silmàtteo! Un uomo così agile e pimpante,


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nella Sinistra non si vide mai: non lo fu Berlinguer, non già D’Alema, né quel prosciutto cotto bolognese per due volte risorto, né tanto meno il fier sindacalista - sì, Guglielmo Epifani nel mondo intero detto muso storto. Pur condannato, ancora a piede libero è il cavalier Berlusca e d’Arcore a Roma fa la spola. Va preparando un campo che possa dominare anche stando in prigione o ai servizi sociali; un’altra allegra e rutilante sola dagli effetti speciali, che l’Italia stupisca e forse il mondo. Distrugge il Popol della Libertà da lui stesso creato; alza la posta negli accordi e subito l’abbassa; rifonda Forza Italia... Mille e più tele tesse e poi le disfa per soffocar chi l’abbia ostacolato e chi, contro di lui, si mette in pista. Comanda a destra e a manca. Si dimettano tosto i deputati, i senatori lascino lo scranno. Furente ogn’or con la magistratura e con chi fa fallire i suoi progetti. Alfano e suoi compagni geni sono, per divenire, poi, subito inetti! Cambia continuamente strategia e fa molto di più: arruola nei suoi piani il nuovo Toti, l’amore suo Francesca, anche Dudù, sicché ognuno smania, frastornato. “Cari amici e parenti, io non ho commesso alcun reato. Sono puro e innocente ed oggi come Cristo condannato. Ma non mi sento vinto, non sono ancora esausto, anche se coi miei figli subisco l’olocausto. Esorto, per questo, tutti quanti: protestate, fatevi sentire,

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non lasciate eliminare il vostro capo. Tutto il mondo dovrebbe inorridire. Ecco, vi ricompongo Forza Italia e vi chiamo alle armi, all’ultima crociata prima della catastrofe. La libertà è in pericolo. Non sia che una Sinistra dissennata vi porti nei perigli, che vi abbuffi di tasse, che vi faccia il lavaggio del cervello tra clisteri e salassi, con Santoro e compagni, Travaglio, Floris ed altri imbonitori, che, tra teoremi e fole centuplicano i guadagni. Per loro, a quanto par, sono una manna! Pensate ai vostri figli. Tenetelo presente: decaduto o no, sarò con voi, oggi, domani e sempre. Vorrei in prigione entrare, gettar l’Italia nell’indignazione, ma non posso a cagione della età. La testa, senza peli, ormai è asfaltata; floscio il sedere; il ventre gonfio; la faccia di cerume camuffata. Giovanile e gagliarda - una vera bandiera sempre in asta -, è soltanto la sberla, che s’impenna, che fuma, che sfavilla sempre e dinnanzi ad una donna bella, fosse la nipotina di Mubarak, l’escort navigata o l’olgettina, l’igienista dentale - strepitoso volano, seno tosto, dall’alto e ben tornito deretano. Tutte son vera e sana malattia, perciò senza la passera si muore. Intanto, il Governo Letta da tempo ha superato ogni rossore: tasse; sempre più tasse, tasse a tavoletta, dai nomi strani; tasse da distruggere un mulo; e caos intricatissimo e letale: la presa delle tasse per il culo!” Leggera, finalmente, ormai sgravata,


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Angela accese la tv, vogliosa d’ascoltare di Silmàtteo ai suoi l’arringa alata: “Siamo per il futuro, non già per il passato; siamo per uno slancio nuovo e nuova vita; vogliamo cambiare i giocatori e andare avanti, riprendere l’arringa più pimpanti e vincer finalmente la partita. Tutto da oggi è nuovo. Detteremo l’agenda del Governo. Se farà la sua parte può durare. Ma basta con i soliti bla bla. L’Italia cambia adesso. Faremo poi sentire forte e chiara anche la nostra voce alla Germania contro i criteri d’austerità. Ai giovani daremo la speranza ed il lavoro, all’impresa l’orgoglio; il Sindacato non sarà d’ostacolo al nostro inarrestabile cammino; non lo sarà il Grillo a cinque stelle e neppure Angelino. Siamo la maggioranza della maggioranza, siamo i padroni del nostro più che splendido destino. Da domani si cambia. Anche nell’Europa il passo di marcia lo daremo noi. Ma prima assicuriamo un nuovo assetto alla nostra Nazione: legge elettorale bipolare; niente più inciuci e niente più Province; chiusura del Senato; Camera più snella. Lavoro finalmente a profusione. Comanderà chi vince”. Nel mare di bandiere, lacrime e grida. Il popol Democrat, veramente commosso, assai giulivo, alzava al cielo scuro le ovazioni, spellandosi le mani: plat plat! Angela convoca tosto il Bunderstag. Se si deve tenere in conto Grillo e i tanti contrastanti Movimenti, che si possono unire in comunella,

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occorre prevenire e contrastare il piano Renzusconi con tutte le sue mire deliranti. Se il buon giorno si vede dal mattino, una vera rottura di coglioni Silmàtteo già si annuncia, in questi istanti. A sera, l’indomani, il ciclone Silmàtteo aveva pronta la sua bella squadra di giovani gagliardi e combattenti: Chiara Braga all’Ambiente; Maria Elena Boschi alla Riforma delle Istituzioni; Marianna Madia per il Lavoro; Deborah Serracchiani a Infrastrutture; Federico Nicodemo alla Comunicazione; Alessia Mariani alla Giustizia; Davide Faraone Welfare e Scuola; Pina Picerno alla Legalità; Stefano Bonaccini Enti Locali; Filippo Taddei all’Economia; Federica Mogherini all’Europa ed a coordinare questi dotti - che confondono, come la Madia, anche l’indirizzo dei Palazzi -, ha messo, a tutti in testa, Luca Lotti. L’agenda di Silmàtteo è molto ricca: dieci e più punti tra grandi riforme e promozioni. Va subito aggredita la grave assai mancanza di lavoro con il Jobs Act e con la Jobs List; s’anche del tutto non sconfiggeranno la maledetta disoccupazione, di certo almeno il pepe metteranno sul culo ai berlusconi e ai comunisti. E viene, poi, la legge elettorale, incontrando, per essa, il Cavaliere senza il timore di resuscitarlo proprio quando tutti i suoi nemici, con l’intervento delle toghe rosse, credevano d’essersene disfatti bruciandogli persino le radici. I magistrati! Dall’Alpi al Libero, lenzuolate gli aprono d’inchieste: corruzione; aggiotaggio;


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collusione con mafia e con camorra; violenza alla... nipote di Mubarak; le schiave all’Olgettina; le igieniste dentali; l’acquisto di senatori e deputati per abbattere Prodi, col compagno Lavitola ed il sensale Sergio De Gregorio (Romano Comincioli, indagato defunto, tolto era stato ormai dall’oratorio). Sbava dalla rabbia, Berlusconi, ed anatemi manda a destra e a manca. Sciando sull’Alpi, Angela ecco che si frattura il suo culone! Il sasso, aguzzo e scabro, s’è salvato! Seguitando nella persecuzione, ben presto toccherà ad un magistrato. Il 18 gennaio, del duemila e quattordici, passerà alla storia: a Largo del Nazzareno, sede del partito democratico, in doppiopetto e senza la bandana, Silvio Berlusconi, l’eterno cavaliere mascarato, della sinistra entra nella tana. Lancio di uova e grida da corrida: ladro, vergogna! Causa la crisi, vola soltanto qualche monetina. Corruttor di minori! Tenutario di putte all’Olgettina! Delinquente balordo! Ma, è un incontro franco, tra titani, ed è subito accordo: sì all’abolizione del Senato, sì alla nuova legge elettorale. In strada, una Sinistra esacerbata al solito, veleno inghiotte e si masturba tra dolori anali. “Avanti, avanti! Proseguo la mia strada - Silmàtteo grida in una conferenza -. Quel che ho promesso, avvenga. Se tre milioni e passa mi han votato, non è perché si muoia d’indolenza, ma perché metta il turbo alle riforme ed il Paese venga risanato.” Da L’Aquila, a tuonare

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è subito Stefania Pezzopane: “Noi non vogliamo inciuci con la destra!” Uniamoci e partite! Sterminiamoli tutti questi masturbatori delle fiche! Non si smonta, Silmàtteo, ma si carica. “L’ora è di decisioni irrevocabili. Basta con la manfrina!” Cuperlo si dimette e dimesso si era già Fassina. Non è più tempo della Rosy Bindi e della Finocchiaro. Basta con il galleggiamento e con il resto. Il Governo si scuota e si passi all’azione: si abbassino le tasse, si dia lavoro, eppure, si faccia un passo duro verso l’India a favor di Latorre e di Girone2. Ha bisogno di correr, Silmàtteo. Teme che lo si affoghi nel pantano come è successo a chiunque si sia proposto ammodernar l’Italia: come a Prodi e D’Alema, come al cavaliere Berlusconi, come prima a De Gasperi e, poi, a Moro, come a Fannfani e a Pella, come a Segni, Andreotti e Spadolini, come pure, a suo tempo, nel ventennio, al dittator Benito Mussolini. Se non vince in un lampo, soffocato verrà dalle limacce, dagli interessi, dai particulari, dalle lobby, le mafie, dai poteri palesi e occulti, dalla cupidigia che vuole e vuole e vuole, cieca, che non si accorge che tutti finirem nella cinìgia. Ormai si dà per certa, tra Renzi e Enrico Letta, una sfida mortale che, come fine, avrebbe la staffetta. Silmàtteo vorrebbe andare al volto, ma l’Italia no (almen così si dice). Non lo vuole, di certo, la Germania, l’anima della troika - BCE Parlamento e Commissione contro cui lotta pure Beppe Grillo,


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guarda caso, indagato per i No Tav e per disubbidienza e istigazione. E’ la solita storia. Se qualcuno, non troppo di sinistra, della colonia nel potere sale, ecco spuntare, tosto, un magistrato per azzopparlo e sforbiciargli l’ali. Silmàtteo e Grillo! Se non saranno accorti, ciascuno verrà presto risucchiato, proprio come un gingillo nei tanti gorghi della fisarmonica suonata ognora dai poteri forti dell’Italia e del mondo. E, infatti, già l’Alta Corte teutonica accusa la BCE di avere favorito il nostro Stato comprando bond, ad uno a due a tre! Oh, giorni di febbraio umidi e tetri! L’Italia tutta frana, i fiumi in piena e che fa Friedman, l’americano? Fa esplodere una bomba col suo libro che devasta i Palazzi - il Colle specialmente in frantumi mandando e porte e vetri. Cinque e più mesi prima - dice Alan che il Governo lasciasse Berlusconi, il Capo dello Stato s’era mosso per toglierlo per sempre dai coglioni. Allerta Mario Monti. Organizza più incontri galeotti per dettagliare il piano d’un banchiere3, sulla economia eppure sull’assetto del Paese. E Monti - assai cortese lo svela a Prodi ed a De Benedetti. Re Giorgio non si adira, anzi, lo chiama a senatore a vita e lo nomina Capo del Governo! Le banche si rallegrano di botto. Una manna, per loro, un regalo assai grande e inaspettato. Un vero terno al lotto anche per l’Europa e la Germania! Angela chiama il caro Sarkozy per preparare insieme la risata. Altri consulta, poi, Governi amici

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e lo spread s’impenna, alla giornata, l’Italia mandando a ruzzoloni! Un piano ardito, insomma, meticolosamente studiato, una combutta internazionale coi tanti mascalzoni dello Stato. Domenico Defelice (1 - continua) NOTE: 1 - Si vocifera che, nell’immensa Villa Certosa, in Sardegna, Berlusconi vi abbia costruito, tra le tante meraviglie, anche un vulcano in miniatura. 2 - Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri della Marina Militare detenuti in India perché accusati dell’uccisione di due pescatori scambiati per pirati. 3 - Corrado Passera, già alla guida di Poste Italiane - trasformata in finanziaria , con la totale distruzione del servizio di raccolta e distribuzione della corrispondenza -, già Presidente di BancaIntesa, Ministro, poi nel Governo di Mario Monti e oggi fondatore e Presidente del movimento politico “Italia Unica”.

LETTERE IN DIREZIONE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice) Carissimo, eccomi a te da Verona, la città amata e vissuta intensamente, eroticamente direi, da Lionello Fiumi: e proprio per lui sono qui ancora, ad incontrare il dott. Agostino Contò nel suo studio presso la Biblioteca Civica. Mi accoglie con divertita solidarietà, dato che ha letto il bel numero di Pomezia Notizie del mese di Ottobre 2013, nel quale il Fiumi, grazie a te, la fa un poco da 'ospite di riguardo'. Lo informo che sono indietro con i lavori impegnativi, quelli che vanno a scoprire i legami d'amicizia e di ricerca poetica tra il Fiumi e Maurice Carême, un saggio per il quale ho già ricevuto in tempi davvero incredibili il prezioso patrocinio del Comune di Verona, nella persona del suo primo cittadino, il sindaco Flavio Tosi, complice anche l'autorevolezza non indifferente del dott. Contò, che mi


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stima. Mi arriverà tutto il carteggio di Giuseppe Gerini, altro mitico amico di Papà e prezioso collaboratore di Realismo Lirico, con le lettere dei più importanti esponenti della nostra Letteratura: Papini, Soffici, Prezzolini, Ettore Serra, e poi Capasso e Fiumi e il Pedrina e chi sa mai chi altro. Si, quel Gerini che Papà ha soprannominato Cefas e che appare come protagonista di primo piano nel suo Viaggio sentimentale, ancora, come ben sai, inedito e tutto già tradotto dalla cara Solange de Bressieux! Creatura del cielo e dolcissima, alla quale il Capasso ha infiammato il cuore legandola a sé per molti e molti anni di fidanzamento, conclusisi, si fa per dire, con l'amaro abbandono in quanto all'orizzonte è apparsa lei, la Musa Nera, la poetessa Florette Morand, sposata dal poeta ligure nel 1971 (sai, ho trovato la partecipazione di nozze tra i due proprio tra le carte del Fiumi, che il dott. Contò mi ha messo da tempo a disposizione). Ripenso alla tristezza di Solange, quando, a Torreselle, ospite di Virgilio, trovava nella natura e nel panorama che si dilata all'infinito sulla pianura scledense, un lieve balsamo alla sua ferita grande e la mente non può che onorare il prezioso lavoro del prof. Carmine Chiodo su di lei e sul Carteggio fra voi due, pubblicato su 'IL CROCO', due anni fa. Florette non mi parla più, né per iscritto né per telefono, nonostante i miei reiterati tentativi: io sono in buona fede e nulla ho fatto senza il suo consenso. Certo Aldo era amico di Papà ed io ho portato a Carcare, nell'aprile del 2011, una lettera del Capasso al Pedrina, ne ho letto parti, poi inserite in sintesi riassuntiva negli Atti del Convegno stesso a cura del prof. Flavio Bianchi, circostanza che la tua cara creatura ha messo assai bene in evidenza! Ora, con il materiale del Gerini, grazie alla sua cara nipote Erika Giaretta in Sartori, avrò meno problemi ed a questa notizia il dott. Contò ha mostrato curiosità e, dico il vero, una buona dose di ironia dolce, ben sapendo il lavoro che mi spetta tra timbri, buste, lettere da organizzare. Io, con innocente, inconsapevole candore gli ho detto che, per fortuna, conosco tutte le calligrafie degli Amici

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di Papà e quindi del Gerini stesso, perché fanno parte delle mie esperienze di bambina, da Povolaro poi su su fino a Brazzacco, a Vallugana, a Vicenza e poi fino all'ultima sua dimora in Padova, in via Rolando da Piazzola 18! E proprio alla Biblioteca Universitaria di Padova ho trovato giorni fa i libri di Papà e mi son fatta prestare il volumone edito dalla Società Anonima Editrice Dante Alighieri (Albrighi, Segati e C.), nella collana 'Studi e ritratti' - collezione di monografie letterarie diretta da Achille Pellizzari, di Aldo Capasso 'Commento al “Rinaldo” di T. Tasso', del 1939, anno XVII dell'era fascista! Un testo prezioso che perde pagine da tutti i lati e ne ha ben 629 in tutto e che è segnato a matita in tante parti. Il nostro prof. Francesco de Piscopo ne ha fatto oggetto di studio e di approfondimento nella sua vivacissima relazione, all'interno di quel Convegno a Carcare di cui ti dicevo e spero vivamente che possa collaborare con la 'nostra' creatura, che apprezza assai! Al nostro Torquato dedicherò anch'io qualche pagina, per farlo uscire da quel silenzio che gli sento intorno, quando mi reco a Ferrara. E ciò succede assai spesso, credimi, perché all'Osteria dei Quattro Angeli mi conoscono e mi danno prima un 'tagliere' con tutti gli affettati, poi una gran pentola di coccio con dentro 'Cappelletti in brodo di cappone' e poi la 'Zuppa inglese' all'alchermes rosso, con tutta la zuppiera ed io non ne lascio traccia e mi diverto perché tutt'intorno ci sono i paraventi con le pubblicità originali dei luoghi di piacere, quelli in voga nel periodo fascista appunto, e sono segnate le tariffe corrispondenti, per prestazione singola o per il 'doppio impegno' e si raccomanda l'igiene: l' uso dell'asciugamano e della saponetta hanno un certo costo, ma per studenti e soldati nulla è richiesto, in nessun senso! Rido tra me e me ma all'improvviso rifletto sul traffico che oggi imperversa in ogni parte d'Italia di giovani donne dall'Est Europa e da altrove ancora, che finiscono sui marciapiedi per guadagni non certo invidiabili ed allora il sorriso si smorza subito e subentra un giudizio pesante su chi decide di trovare nella 'carne umana'


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gran fonte di guadagno, come merce da gestire con chi sa mai quale cura! Mi rifugio nei canti d'amore e di solitudine del Tasso e mi conforta la visione del Castello Estense, perché scelgo sempre delle postazioni che mi consentano di vederne scorci maestosi, ben sapendo che poco più in là s'erge, minacciosa e preveggente, la statua del Savonarola! 'O tempora! O mores!', verrebbe da dire a qualcuno, ma questo è il mio, il nostro tempo e sembra che noi siamo colpevoli di tutto quanto accade agli altri, siano essi immigrati sui barconi oppure già arrivati a Lampedusa o poveri per le strade e nelle stazioni, ora sempre più numerosi, ora anche Italiani! E quando ti senti colpevole non reagisci e ti sottometti all'inanità e ciò è proprio quello che si vuole. Perché l'inanità è incapacità, impossibilità di agire perché la dignità e la coscienza etica sono state confuse e quasi soffocate dal consumismo, ora con pericolosa connotazione telematica. Preparare la sorte di una Nazione che non è uno Stato Sovrano, perché essa si avvii con certezza allo sfacelo, della dignità dei suoi cittadini come dell'economia delle sue industrie, come del degrado delle sue terre: questo l'obiettivo di chi vive da padrone, visibile o invisibile che sia, gestisce il potere e vede nella globalizzazione il vero grande stringente rinnovamento! Lo dico anche a te, come l'ho ribadito qualche tempo fa sulle pagine on line di 'Sbilanciamoci' a Rossana Rossanda, la 'Ragazza del secolo scorso' - è questo il titolo della sua Autobiografia di cui ti dirò un'altra volta -, che ha fondato 'Il Manifesto': voglio un'Europa da Lisbona a Vladivostok, con la Russia al suo interno e con la piena, completa autonomia dei territori e degli Stati da vincoli capestro e da trattati senza luce, distanti anni luce dalle problematiche che ora non sono più all'orizzonte, ma davanti a tutte le nostre porte, trattati che tolgono ai popoli, anche piccoli, qualsiasi speranza di autodeterminazione! Con un balzo da tigre, per staccarmi alla grande da queste angustie, torno all'incontro con il dott. Contò: fissiamo delle linee guida per il mio lavoro, lo informo dell'intervista al-

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la studiosa Pascale Delormas, apparsa su Pomezia Notizie nel mese di Gennaio 2014, dopo la recensione sul suo testo , 'Le cas Rousseau...', che mi hai pubblicato nel mese di Dicembre 2013 e gli dico che le prospettive da lei portate avanti come 'analista' del testo poetico e filosofico ben mi serviranno per il lavoro che ho in progetto. Gli dico che mi manca del materiale sul Fiumi critico letterario e giornalista, allora, per assecondarmi, va al suo scaffale, prende 'Parnaso Amico - Saggi su alcuni poeti italiani del Secolo Ventesimo', edito da Emiliano degli Orfini, in Genova, del 1942, anno XX dell'era fascista, e me lo consegna, in una piccola borsa di stoffa, senza farmi compilare alcunché. Sa che per i libri ho rispetto, quasi un vero culto e queste sono altre 649 pagine da metter sotto il 'torchio' dei miei occhi! Ti abbraccio forte forte perché ti so indomito ribelle contro ogni mala politica, ma al contempo fedelissimo custode delle memorie delle italiche genti e delle loro 'humanae litterae'! Ilia Ilia Carissima, quanti ricordi riesci a svegliare! Del grande poeta Gerini, dal tuo Papà battezzato Cefas, ho letto negli anni sessanta diverse opere, tra le quali, Dentro celeste sponda (del 1949), Alba migliore (del 1952) e Canti di Boccadasse (del 1958). A farmelo apprezzare definitivamente è stato, però, proprio il saggio-antologia del tuo Papà, magistrale commento al volume Il ramo nudo, ma non solo. Francesco Pedrina, in questo libro, fa toccare con mano come, a volte, i consigli degli amici o di certi critici, possano realmente assassinare la stessa poesia. A Cefas, che seguendo il consiglio degli amici (a questo punto critici cattivi), aveva tagliato, eliminato un bel verso da una sua poesia, il tuo Papà giustamente minacciava di volergli “fare attrettale taglio alle parti basse”. Capasso e la De Bressieux. Della loro storia d’amore, finita, poi, come tutti sanno, Pomezia-Notizie ha sufficientemente documentato


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con la pubblicazione (Il Croco, novembre 2007) delle lettere a me indirizzate dalla poetessa francese. Specialmente la lettera del 23 ottobre 1970, nella quale ella riassume i tanti anni di un amore intenso e il comportamento - per lei scorretto - del “poeta e critico celebre”: “Dopo 9 anni d’amor intenso, d’ accordo perfetto su ogni punto, dopo un fidanzamento segreto da 7 anni, ufficiale da due anni, il mio fidanzato - poeta e critico celebre - mi ha abbandonata per sposare una donna ch’egli conosceva prima di me - sul piano meramente epistolario -, ch’egli aveva riportata sul campo amichevole, ma non perciò scordata e tutto questo senza avvertirmene direttamente”. (...). “Avevo una fede totale in quell’uomo, lo pensavo buon, generoso, leale, cortese, sincero e sicuro di sé. Invece s’è dimostrato cattivo, egoista, furbo, vile e maleducato. Doveva almeno prender congedo di me, con dolcezza e correzione, lui che pretendeva adorarmi”... Il giudizio è pesante, ma deriva dalla cocente delusione ancora per nulla lenìta, dal suo carattere e dalla sua formazione culturale assai romantica. Di queste lettere, come del resto sull’argomento, trattato nel tempo da Pomezia-Notizie, credo non si potrà prescindere in atti e studi futuri. Ultima annotazione. Per quanto concerne i problemi economici e politici che oggi ci tocca affrontare; della situazione di autentica semisovranità del nostro Stato, mi permetto di consigliarti la lettura de L’Italia di Silmàtteo, un poemetto che inizio a pubblicare a puntate proprio da questo numero. Tra qualche parola... forte (ogni tanto scarica, fa bene alla circolazione e all’intestino!); tra paradossi vari; tra uno sfottò e una esagerazione la comicità, in parte, non è, forse, la deformazione della realtà, l’ingrandimento di un tic, di un particolare eccetera? -, troverai, in questo lavoro satirico e grottesco, il sapore rancido della brodaglia che siamo costretti a ingurgitare. L’Italia - diciamolo finalmente senza veli - oggi più che mai è una colonia, non uno Stato sovrano. Domenico

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AI COLLABORATORI Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) composti con sistemi DOS o Windows su CD, indicando il sistema, il programma ed il nome del file. E’ necessaria anche una copia cartacea del testo. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute. Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario). Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I testi inviati come sopra AVRANNO LA PRECEDENZA. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Per chi usa E-Mail: defelice.d@tiscali.it Il mensile è disponibile anche sul sito www.issuu.com al link http://issuu.com/ domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI Per il solo ricevimento della Rivista: Annuo... € 40.00 Sostenitore....€ 60.00 Benemerito....€ 100.00 ESTERO...€ 100,00 1 Copia....€ 5,00 e contributi volontari (per avvenuta pubblicazione): c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice. Codice IBAN: IT37 NO76 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio


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