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Erik Pesenti Rossi e Seminara, di Domenico Defelice, pag
by Domenico
ERIK PESENTI ROSSI
FORTUNATO SEMINARA lettore e critico
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di Domenico Defelice
UN saggio onesto, che mette a fuoco pregi, difetti e contraddizioni di uno scrittore che visse quasi sempre in solitudine nella campagna di Maropati; i tentativi, quasi sempre senza successo, di allacciare e consolidare amicizie senza, però, dover uscire da quell’ambiente; fallimenti dovuti, anche se in parte, al suo carattere e al suo orgoglio e non soltanto alle chiusure da parte degli altri. Questo e altro e il tutto attraverso rimandi alle opere e sulla base sapiente del riporto, sicché il grosso volume è pure una ghiotta antologia. Erik Pesenti Rossi si serve anche dei più minuti appunti vergati da Fortunato Seminara, e non solo dei diari, delle tante testimonianze. L’indagine è corale, come corale e nitida emerge la figura dell’artista giornalista e critico. Pesenti Rossi è uno degli investigatori che più ha lumeggiato negli anni l’ombroso maropatese, sempre sulla scorta dell’abbondante materiale - non del tutto ancora esplorato -, messogli gentilmente a disposizione dalla Fondazione al Seminara intestata; un altro importante suo lavoro è, infatti, Vita di Fortunato Seminara, scrittore solitario, edito sempre dalla Pellegrini nel 2012.
Fortunato Seminara lettore e critico è composto da una breve Introduzione, da quattro lunghi e corposi capitoli e da una Conclusione; quasi trecento pagine che si leggono volentieri per il contenuto e per la chiarezza dell’esposizione.
Il primo capitolo riguarda la “formazione dello scrittore”; nel secondo, il critico evidenzia il rapporto di Fortunato Seminara con i sicuri suoi modelli, gli autori russi, Tolstoj e Dostoevskij in testa, ma anche gli italiani Pirandello, D’Annunzio e Manzoni e ancora stranieri: Hamsun, Zola. Il mondo misero, depravato e per certi aspetti anche perverso (lo sfruttamento e la sottomissione, per esempio, di donne e bambini) della società russa e calabrese quasi si equivalgono; mondo che, in parte, anche noi abbiamo vissuto, essendo quel che Seminara definisce “inferno calabrese” -, ancora presente negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso.
Fortunato Seminara è uomo orgoglioso, consapevole del proprio valore, ma non esente da una punta di superbia quando afferma di non conoscere alcuno “che possa stare al (suo) confronto”, anche se le sue osservazioni sul comportamento altrui sono esatte (il far finta, per esempio, quando li va a trovare, di essere eternamente impegnati con editori e quant’altro). In lui non manca la contradizione, a volte mitigata dall’ironia, come quando, pur disprezzando gli scrittori salottieri e sempre presenti sugli schermi televisivi, propone, o prevede, che nel futuro i poeti e gli scrittori debbano leggere le proprie opere negli stadi. Ma chi è esente da contraddizioni? Prendiamo, per esempio, Piromalli, suo parente e critico, che, anche secondo Seminara, non fa altro che menare fendenti a poeti e scrittori per aspetti che, poi, pari pari si trovano, se le si leggono –e noi
l’abbiam fatto -, nelle sue poesie! Scrive Pesenti Rossi: “È strano che Seminara, sempre molto sensibile all’adesione della lingua alla materia e ai ceti descritti, critichi la lingua usata da Malerba il quale cerca di raccontare le cose come sarebbero raccontate da personaggi dei posti evocati, con una lingua parlata”; se, poi, circa il contenuto e il linguaggio usato da Malerba, egli avesse o no ragione, è altro discorso, e qui non lo si intende fare.
“Nei primi due capitoli di questo studio – afferma Pesenti Rossi nella “Conclusione” -, mi è sembrato opportuno ricordare quale fu la formazione intellettuale e umana di Fortunato Seminara, anche a costo di ripetere quello che già scrissi nella mia biografia dello scrittore”. C’è, però, tra l’uno e l’altro qualche importante differenza.
Mentre il secondo capitolo, come abbiamo accennato, è particolarmente quello dei modelli letterari, il terzo, poi, è dei letterati incontranti quasi tutti direttamente e delle frequentazioni, anche se, quasi sempre, assai sporadiche. L’autore con il quale ha avuto la relazione più stabile è forse Mario La Cava. In questo terzo capitolo troviamo personaggi e fatti che ci hanno almeno sfiorato. Diciamo, per esempio, del giovane e sfortunato poeta Rosario Belcaro, morto in un ospedale napoletano, affetto da un morbo devastante e implacabile. Di lui abbiamo recensito le poesie; con lui abbiamo intrattenuto una fitta corrispondenza, specie nel periodo del ricovero, e molte delle sue dolorose lettere a noi indirizzate oggi si dovrebbero trovare nella Biblioteca di Anoia (Reggio Calabria), perché facenti parte di una donazione di libri e materiale documentario richiestici da quella Amministrazione nel febbraio del 2009. O come, ancora, il Miracolo dell’immagine sanguinante della Madonna in una casa di Maropati, da noi visitata, e sul quale abbiamo pubblicato, nelle nostre edizioni di Pomezia-Notizie, nel 1982, il corposo volume di Cristoforo Laganà: Le tre ipotesi di un prodigioso evento. Anche questo volume fa parte della Donazione al Comune di Anoia, come lo è una lettera dello stesso Seminara. Per non dire de La Procellaria, la bella rivista reggina fondata e diretta da Francesco Fiumara, alla quale abbiamo collaborato abbondantemente, assai più di quanto non l’abbia fatto Seminara, del quale Pesenti Rossi, in questo libro riporta, tra l’altro, l’articolo “Ricordo di Silone”, apparso sul numero 3-4 del 1979, interamente dedicato a questo scrittore abruzzese. Gli scrittori e i poeti dei quali Seminara si interessa come critico, in questo capitolo, sono tanti e tutti degni di rilievo; annotiamo, comunque, i nomi di Corrado Alvaro; il già ricordato Antonio Piromalli, che noi abbiamo incontrato spesso a Roma, in conferenze tenute, per esempio, presso l’Editore Gangemi, del quale su Pomezia-Notizie abbiamo ospitato diversi saggi; Riccardo Bacchelli; Carlo Bernari; Giuseppe Berto; Italo Calvino; Lorenzo Calogero; Carlo Cassola; Vasco Pratolini; Libero De Libero; Alfonso Gatto, Giuseppe Gironda, Mario La Cava, Eugenio Montale, Elsa Morante, Alberto Moravia, Giovanni Papini, Pier Paolo Pasolini; Cesare Pavese; Michele Prisco; Domenico Rea; Leonida Repaci; Rocco Scotellaro; Saverio Strati; Gilda Trisolini; Elio Vittorini; Domenico Zappone… Non di tutti si è interessato a fondo e per alcuni ha avuto un vero e proprio odio. Moravia, per lui, era un “culo rotto!”; avrebbe voluto incontrare Montale, ma solo per “vederlo davanti, grosso e massiccio, forse flaccido (…) scrutare la sua faccia, capire di che cosa è fatto il successo mondano”; Pasolini, un “sinistro”, perché vide nei calabresi solo “vermi e biechi delinquenti”, il motivo, cioè, per il quale anche noi l’abbiamo attaccato ferocemente attraverso “Calabria”, “epigramma per un denigratore” apparso in 12 mesi con la ragazza, silloge edita da La Procellaria nell’aprile 1964: “Pure un certo Pier Paolo,/quaggiù venuto a “pasolineggiare”,/madre ti vide e ti descrisse/di ladri, d’assassini e sensuali”. Anche di Repaci ne dà il carattere azzeccato: sempre tronfio e pronto agli scherzi, come quello architettato, insieme ad Aldo Palazzeschi, nei nostri confronti, allorché, presso la sede centrale della SIAE a Roma, sedevamo allo stesso tavolo, assieme all’amico carissimo Vincenzo Fraschetti e a
Giulio Andreotti. Pochi veramente i rapporti positivi tra Seminara e gli altri; egli è stato scostante anche con quei poveri che sceglie come protagonisti dei suoi romanzi. “Infatti – scrive Pesenti Rossi , nella vita, non si amavano. (…) Questo è vero, ma riguarda soprattutto –prosegue il critico – la solitudine e la sofferenza che condivideva con i suoi personaggi più importanti, i quali non sono contadini, ma già piccoli borghesi”.
Nel quarto capitolo abbiamo “Gli articoli di critica” di Seminara, naturalmente commentati, dove si scende più nei particolari grazie anche alla concretezza dei riporti – spesso pezzi completi -, su scrittori, poeti, pittoriscultori (tra cui Alessandro Monteleone, del quale, per esempio, è la statua di Giuseppe Garibaldi posta a Reggio Calabria di fronte alla stazione centrale). Nello scrivere d’arte, “Seminara sembra perfettamente a suo agio – afferma Pesenti Rossi - (…); forse perché si sente più libero. Molto spesso, parlando di un’arte che non è la sua, lo scrittore si sente disinibito, e sentendosi meno osservato, ma anche fuori di ogni rivalità e competizione, non ha più nessuna necessità di essere severo e di pronunciare giudizi recisi (a volte ingiusti).”
Sebbene – come chiarisce più volte il critico -, Seminara parli e discuta sempre pro domo sua, parli, cioè “sempre della sua” narrativa, noi ci sentiamo d’accordo quasi in tutto su quel che afferma in “Succhi nativi della letteratura meridionale”, giacché quel tema non è né vecchio, né superato e basta prendere una qualunque antologia, tra quelle pubblicate a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso fino ai nostri giorni, per rendersi conto quanti poeti e narratori meridionali siano del tutto ignorati. La questione, cioè, già dibattuta anche più volte sulle pagine de La Procellaria da Francesco Fiumara e altri, c’era, c’è e resterà ancora a lungo e sarebbe semplicemente cieco e sordo uno che caparbiamente continuasse a ignorarla.
A pagina 209, alla nota 104, Pesenti Rossi scrive: “Articolo pubblicato forse su La Procellaria sicuramente nel 1969. Sulla fotocopia dell’articolo pubblicato non appare nessuna testata di giornale o rivista”. Lo rassicuriamo: l’articolo recensivo di Seminara è a pag. 247 di quella ormai mitica rivista, Anno XVII – N. 4, ottobre-dicembre 1969.
Domenico Defelice
ERIK PESENTI ROSSI: FORTUNATO SEMINARA lettore e critico, Luigi Pellegrini Editore, 2018 – Pagg. 296, € 18,00
PRIMO AGOSTO 2021
La prava genia dei piromani, che ogni brutalità avanza per anima sordida e cruda, ha mani di fuoco d’odio per la Natura; mani agenti per stimoli di follia; tizzoni d’inferno accesi da soffi di bieco rancore verso il sacro verde, rifugio e dimora d’innocui pacifici esseri viventi… Con la stupidità dei dementi, col furore dei rifiuti dell’umano genere, con l’arroganza dei demoni adoratori d’incendi e fiamme, deturpano e stuprano la Madre che tutto ci dona e nulla ci chiede, se non rispetto per quel tesoro di valore immenso che racchiude a godimento d’ogni forma di vita in terra. Genera mostri questa civiltà affollata d’insipienti maestri. Arde questa reietta terra per rovesci d’infamie che in menti di stolti si generano, s’attizzano, e al giorno che nasce, tristemente, focosamente si manifestano.
Antonio Crecchia
Termoli, CB