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SONIG TCHAKERIAN RACCONTA BACH ED INVITA A PENETRARNE I SEGRETI di Ilia Pedrina

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I tratta qui di una recensione d'ascolto, dal vivo. La scena si svolge al Teatro Olimpico di Vicenza. Sul palcoscenico lei, la violinista Sonig Tchakerian, di origine armena ma naturalizzata vicentina: racconta Bach per il terzo anno consecutivo e fa passare in transfert la passione che prova nell'affrontare la partitura. Johann Sebastian Bach compone i dodici 'a solo' per violino e violoncello ed il progetto ambizioso di spiegarli ed interpretarli, in tre anni appunto, all'interno delle 'Settimane musicali al Teatro Olimpico' ha visto, coinvolto fin dall'inizio anche il violoncellista Mario Brunello, che darà il suo concerto il 24 di Giugno. Elegante e semplice nella sua silhouette che prende dentro anche violino ed archetto in un tutto ormai indivisibile, Sonig offre al pubblico la storia interpretativa delle due composizioni bachiane,


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All’interno: Adriana Assini: La riva verde, di Nazario Pardini, pag. 4 Jean Barraqué e ‘La mort de Virgil’, di Ilia Padrina, pag. 6 Clotilde Punzo: Non ho più smesso di cantare, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 9 Basilicata tra storia e arte, di Leonardo Selvaggi, pag. 12 “La tagliola” di Antonio Angelone, di Luigi De Rosa, pag. 16 Passione per le lettere..., di Ilia Pedrina, pag. 19 La caccia, di Anna Vincitorio, pag. 23 La corruzione in Italia, di Raffaele Cecconi, pag. 25 I poeti e la Natura (Emily Dckinson) di Luigi De Rosa, pag. 27 Notizie, pag. 40 Libri ricevuti, pag. 42 Tra le riviste, pag. 43

RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Il varietà, di Antonio Todde, pag. 29); Pasquale Balestriere (Un sogno che sosta, di Gianni Rescigno, pag. 30); Piera Bruno (Requien, di Enrica Gnemmi, pag. 31); Tito Cauchi (Il sogno, di Adriano Accorsi, pag. 32); Tito Cauchi (Ricordi e riflessioni, di Brandisio Andolfi, pag. 33); Tito Cauchi (La magia di esistere, di Pasquale Montalto, pag. 34); Gianfranco Cotronei (All Poems, di Eleonora Cogliati, pag. 35); Luigi De Rosa (Le parole del vento, di Danila Olivieri, pag. 36); Andrea Pugiotto (Totò e Pinocchio, di Aldo Marzi, pag. 37); Andrea Pugiotto (Il mio Pinocchio, di Aldo Marzi, pag. 37); Andrea Pugiotto (Favolisti romani, di Ennio Maldini/Silvana Andrenacci Maldini, pag. 38); Andrea Pugiotto (Le mie due Patrie, di Giovanna Li Volti Guzzardi, pag. 39). L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 44 Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 46

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Anna Maria Bonomi, Georgia Chaidemenopoulou, Colombo Conti, Domenico Defelice, Alda Fortini, Themistoklis Katsaounis, Giovanna Li Volti Guzzardi, Noemi Lusi, Leonardo Selvaggi, Susana Soiffer

la 'Partita in si min. BWV 1003' e la 'Partita in re min. BWV 1004', scritte circa nel 1720. Lei spiega che la 'Partita' è una forma sonora composta da diversi passi di danza: nella prima che andrà ad eseguire, quella in si minore, con i suoi quattro movimenti caratteristici, Allemanda, Sarabanda, Corrente ed il particolare 'Tempo di Borea', Bach ha lavorato di creatività piena di intenzioni ad effetto, inserendo per ogni movimento il suo 'Double' a una voce sola. Infatti con le stesse note dei movimenti di base, sovrapponibili ma tecnicamente diverse anche per carattere e con

ritmi più omogenei, egli ha creato dei veri e propri labirinti a specchio all'interno dei quali è assai difficile riconoscere il movimento originale appena ascoltato, vera e propria poesia del segno: “...usare la tecnica compositiva ed avere la libertà di ingegno, di anima, di intelletto che gli permette di creare cose...”, lei sostiene, dopo aver fornito esaurienti esempi pratici. Si, dico tra me e me, dopo il recentissimo lavoro duro e costante sulle cose di Luigi Nono: creare costruzioni sonore dal doppio al loro identico ed ancora al pieno del differente. Gli accordi di base sono tenuti in len-


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tezza, a giocare con l'effetto dell'ottava come elemento che guida la percezione a seguire gli andamenti del percorso dei suoni che vanno a costruire la frase. La melodia viene esclusa come progetto e si ottiene soltanto 'dopo', come risultato efficace ed affascinante ad un tempo, perché è la nostra mente ad organizzarla, mettendoci di fronte ad attrazioni quasi matematiche dei suoni tra loro: la sonorità timbrica specifica del violino poi utilizza il fluire delle note tenute in un continuum dove la varietà delle altezze e delle intensità traccia in decoroso rigore un disegno di raro equilibrio. Poi il 'Double' seguirà questa pianificazione, ad una voce sola ed a piattaforma non variabile, affinché il differente emerga dall'identico e dal sovrapponibile, quasi ad offrire una prospettiva appena nata e che avvia un percorso che riesce sempre a stupire, come lo è la sorgiva originarietà del nuovo. Attraverso la violinista Sonig Tchakerian Bach racconta se stesso, tutto ciò che è frutto delle infinite possibilità della sua consapevolezza di compositore: nel suo stile Bach pone in primo piano la ricerca, fatta di sonorità e di silenzi, là dove noi siamo chiamati ad esserci, per respirare aria d'infinito. Allora lavorare su Luigi Nono così intensamente mi ha insegnato ad entrare nelle partiture del passato con quella passione e quella forza esplorativa che è mossa a portare in vita il discorso sonoro e renderlo presente come un tutto, perché Nono ha lavorato su Zarlino ed i due Gabrieli, Andrea e Giovanni, nati prima assai di Bach! La seconda esecuzione, 'Partita in re minore BWV 1004' contiene l'ultimo movimento definito 'Ciaccona', che ha colto privi di difese più di uno scrittore o compositore: Sonig riferisce di Svevo che ne 'La coscienza di Zeno' descrive il protagonista 'asfaltato' dall'ascolto di questo brano, nel quale Bach procede e lascia senza respiro, con quella inesorabile determinazione che solo il destino possiede; o di Brahms che, se messo nelle condizioni di penetrare più a fondo la struttura di questa partitura, sarebbe entrato sicu-

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ramente tra le braccia della follia. Sonig esige sul palcoscenico una luce soffusa, per entrare quasi in quel turbamento che Bach ha vissuto: ci racconta che, tornato a casa, non ha trovato più Maria Barbara, sua moglie, portata via dalla morte. Questa danza, la 'Ciaccona' sembra come un 'tombeau' dedicato a lei. Allora c'è da portare avanti una importante analisi del ruolo e della funzione della ritmicità spezzata e virtuosistica all'interno della elaborazione del rapporto tra i suoni che si attraggono tra loro in tensione, anche per cogliere il processo in divenire che la composizione sempre rappresenta: gioco in crescendo delle note in ottava, manifeste in una ripetitività ossessiva che tira fuori dal fondo come un pensiero fisso sconnesso da ogni forma immaginativa possibile che si presenti alla mente. Tutto è rappreso intorno ad un nucleo di forza gravitazionale senza precedenti. E' un discorso di luce e di abbandoni quello che avviene, in sgomento e ri-nascita. Tutto l'evento, nella sua complessa intensità, viene offerto alla memoria di Florance Marzotto, Amica della musica. Ilia Pedrina


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ADRIANA ASSINI: LA RIVA VERDE Una rinfrescata di modernità che fa dell’opera un racconto a noi vicino di Nazario Pardini UERRA dei cent’anni: desolazione, campagne abbandonate, vedette per mettersi al riparo entro le mura, pestilenze (celebre quella del Boccaccio: “Nell’ anno del Signore 1348 la mortifera pestilenza giunse a Firenze…”); un tremendo flagello in Europa; interrogatori e sentenza del 24 maggio 1431 per Giovanna D’Arco: “…per questo motivo noi ti giudichiamo come eretica e stimiamo che tu sia da espellere dalla Chiesa e che tu debba essere consegnata alla potenza secolare”; una guerra, appunto, questa dei cent’anni, che finendo nel 1453, si trascina fino alle soglie dell’età moderna. Ma per quanto riguarda Bruges, località in cui si sviluppa la maggior parte degli avvenimenti del nostro romanzo, il mercato della lana, dei vestiti, e l’industria tessile vi prosperano fin dal XII secolo, grazie alla stabilità garantita dal patronato dei conti di Fiandra. Tra il XIII e il XIV secolo il re di Francia Filippo il Bello invia nella regione una forza di occupazione per annettere le Fiandre. Ma la città si ribella in massa e caccia i francesi durante i famosi Mattutini di Bruges; successivamente il predominio sul fiorente mercato tessile di cui Bruges è il centro commerciale sarà una delle principali cause di questa ferale guerra tra Francia e Inghilterra. È in questo periodo che si dipanano gli avvenimenti del romanzo La riva verde di Adriana Assini… Un romanzo di intrighi, di vicende, che, anche se ben collocate storicamente, vanno al di sopra dei fatti per la singolarità dei personaggi e per la contemporaneità dei nèssi che ne fanno una storia attualissima: rivalità, amore conteso, contorni ambientali di supporto alla psicologia degli attori. Già fin

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dai primi accenni si può percepire il saggio uso che la scrittrice fa del paesaggio. Si apre con una scena tridimensionale, da cinemascope: “Un vento salato muggiva su Bruges. Il cielo, gessoso, incombeva sui vicoli, lambiva i possenti bastioni e le torri, incorniciando in una fredda aureola lo scuro castello del conte”. Un quadro di manzoniana memoria che riporta al simbiotico mèlange fra natura e psiche, e che fa da prodromico avvio all’ avvicendamento degli interpreti principali: Greta du Glay, vecchia, vergine, folle; una specie di fattucchiera; Rose, figlia di jakob, timida di sorgente, vergine, promessa a certo Jan, al soldo di suo padre, ma innamorata di Robin Campen, di parte avversa (lavorava la robbia, il rosso). In contesa erano i tintori del rosso e quelli del blu. E i fatti si susseguono con un incalzante fluire narrativo, ma più che altro con una sequela dialogica secca e apodittica di grande effetto attrattivo. Qui sta la novità della prosa di Adriana: il gioco analitico delle vicende. Ogni parte della narrazione volge a delineare la varietà dei caratteri sulla scena, a fare della passione storica dell’autrice un serbatoio di input umani che si traducono in sentimenti universali; sentimenti che si distaccano dal periodo per trasferirsi oltre il tempo, oltre gli avvenimenti stessi. I conflitti di classe, l’amore condizionato che ambisce alla piena libertà, i raggiri, come tanti ce ne sono ai nostri tempi. Là la paura dei lupi e dei lampi; oggi la stessa paura per motivi non certo meno pericolosi. Là un nugolo di donne che sfida la sorte contro la tirannia maschile, qui quell’attuale femminismo che tende a valorizzare il ruolo della donna. Per non dire di assassinî e fughe inaspettate, che tanto hanno a che vedere con gialli che viviamo ogni giorno. Insomma una rinfrescata di modernità che fa dell’opera un racconto a noi vicino; un racconto che pulsa di passioni e contaminazioni emotive di grande sostanza e potenzialità creativa. Ed è un piacere abbandonare il pensiero a quegli amori contrastati, a quelle lotte per la libertà, a quegli intrighi che sanno tanto di vita comune, di normali quanto occasionali accidents di un percorso che si dipana


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con una tale fluidità da tenere avvinto il lettore fino alla fine. Sì!, un andare senza vuoti, senza inceppi, dove gli uomini, le donne, le abitudini, i contrasti si stagliano davanti all’ anima con una tale generosità esplicativa da lasciare senza fiato. La campana del Beffroi a preannunciare gragnole di guai. Margot che irrompe nella bottega ad annunciare che i blu hanno sorpreso i rossi nei canali (“… i residui dei coloranti avrebbero impiegato non meno di una settimana e, nel frattempo, loro rischiavano di veder al macero centinaia di rotoli di stoffa…”). Scaramucce. Rose che chiede di Robin: “Rose saltò su come se l’ avesse punta una vespa e s’affrettò a chiedere di Robin, la cui sorte le premeva più dei suoi stessi parenti”. L’assemblea delle donne. La Compagnia della Conocchia: segretezza (Alix, Ysengrine dei Tigli, Greta, Rose, Margot). “Poco importava se le loro vite scorrevano senza svaghi… quanto un capo di bestiame, non alzavano la testa, non chiedevano giustizia”. E le vicende si susseguono incalzanti su una tessitura di solida tenuta, frutto di una frequentazione letteraria esperita in anni di contatti e di studi; un procedere vincolante per vaghezze semantiche, ed energia creativa; coinvolgente per espansioni emotive volte a sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo. Perché alfine è la vita che domina

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nelle storie di Adriana, è la pulcritudine del dire, ed il trionfo dell’amore. Anche se su percorsi da Via Crucis. Su percorsi di polisemica significanza non solo storica, ma etica, religiosa, di pluralità umana, rafforzata da leggi che impediscono di affidare cadaveri alle mani impure di una donna. Rafforzata da slanci verso un Dio che non guardi tanto alle opere, quanto al cuore. E dove l’amore può raggiungere apici di intensità dai toni epico lirici: “Posso sfidare le mareggiate senza lasciarmi impressionare dai tuoni, ma senza Rose mi sento ancora un uomo perso, un uomo a metà”. Insomma una storia pepata, piena di contraccolpi, di sorprese, ora belle ora meno. D’improvvisi scompigli. Di abbandoni di alcune componenti dalla Compagnia. Di sospetti. Di fughe improvvise. Ma sta proprio nella simbiotica fusione degli opposti la verità della vicenda umana. E Adriana la sa raccontare ricorrendo proprio al polemos eracliteo, cosciente che la vita si dipana su un percorso breve, inaffidabile ma in cui sono in agguato notti amiche a lenirne le inquietudini: <<“Mi rattrista pensare che se Rose ritroverà Robin non si unirà più a noi”. “Perché mai? Non è forse la sua felicità che vogliamo?” si stupì Greta, osservando come la vita, in fondo, non fosse che un lungo succedersi di incontri e di separazioni>>. Sì, questa è la vita, e qui anche buona parte della filosofia di Adriana: “…un’altra notte amica era in arrivo”. A voi la lettura, dacché il compito del critico è quello di introdurre non di rivelare Nazario Pardini Adriana Assini: La Riva Verde - Scrittura & Scritture. Napoli. 2014. Pg. 184. €. 12,50 Stampare un giornale ci vuole coraggio, ma è più difficile farlo vivere: composizione, bozze, carta, stampa, buste, francobolli… se non volete che POMEZIA-NOTIZIE muoia, diffondetelo e aiutatelo con versamenti volontari (specialmente chi trova la propria firma, o scritti che lo riguardano, dovrebbe sentirsi moralmente obbligato. L’abbonamento serve solo per ricevere la rivista per un anno). C/c. p. n. 43585009 intestato al Direttore


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Dalla letteratura d’impegno alla composizione sacralizzata:

JEAN BARRAQUÉ PRENDE A CUORE

'LA MORT DE VIRGIL' E LUIGI NONO NE PARLA IN UN ' J'ACCUSE' ' VIBRANTE di Ilia Pedrina

YEUX perçants, non imprégnés par les grosses lentilles des lunettes, qui exprimaient la violance raisonnée d'arguments sainement polémique, la gaité improvisée pour la reception d'une amitié immédiate, et aussi souvent, en d'autres conditions, la barrière d'une solitude causée par d'autres personalismes musicaux, organisateurs et inhumains dans leur arrogance. Une rigueur de pensée, de théorie et de pratique musicale, ayant énormément contribué au développement de la situation musicale française. Pratique musicale, partitions précises, qui trop souvent n'ont pas été connues de son vivant, et confinées par l'orgueil de personalismes se 'sauveurs uniques de la patrie'. Partitions écrites qui doivent étre rendues vivantes, aussi pour réparer le grave tort fait à Jean Barraqué de son vivant, à lui et à la musique française. Le concert que le collectif de Champigny lui dédie est une autre et nouvelle démonstration concrète de l'intelligence opérative de la banlieue rouge contre le marché musical centralisé à Paris, centré e basé sur des opportunismes directionnels de presomptueux 'mècènes publics et privés'.” (Luigi Nono, Écrits, textes traduits de l'italien et de l'allemand par Laurent Feneyrou, CD inclus: conférence de Luigi Nono, Contrechamps Editions, Genève, 2007, pag. 384). In pochi tratti Luigi Nono dettaglia un'esperienza che gli ha lasciato dentro un segno indelebile: parte da una descrizione attenta del volto del compositore francese Jean Barraqué ed in particolare dei suoi occhi, la cui sana,

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ragionata forza polemica viene colta anche se le spesse lenti degli occhiali potrebbero limitare o addirittura impedire l'effetto dello sguardo; egli passa poi a sottolineare di lui la gioia che esplode improvvisa quando ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un amico, in modo diretto, immediato; ora Nono, nella stessa frase, prima che si arrivi al 'punto' si riserva un attacco diretto a tutti coloro che così spesso, in altre condizioni, hanno obbligato Barraqué a trincerarsi dietro e dentro una solitudine causata da protagonismi tra gente di musica ed organizzatori, addirittura disumani nella loro arroganza. La frase successiva fa del soggetto, che manca, un pieno ritratto che difficilmente potrà essere dimenticato, in quella rivoluzionaria capacità di sintesi, solo noniana, che mi ha condizionato letteralmente ad uno studio assiduo dei suoi lavori, non solo musicali: un rigore di pensiero, di teoria e di pratica musicale che ha enormemente contribuito allo sviluppo del panorama della musica francese. Niente ancora sappiamo dove ci andrà a portare il pensiero scritto di Nono, così, proseguendo nella lettura in traduzione troviamo altri elementi di importanza incredibile: una pratica e tecnica musicale, partiture precise che troppo spesso non hanno potuto essere conosciute mentre lui era in vita e sono state confinate ai margini dall'orgoglio di personalità che si considerano gli unici sapienti salvatori della patria. E Nono procede con energia e senza mezzi termini: 'Partiture scritte che devono essere rese viventi per poter riparare al grave torto fatto a Jean Barraqué mentre era in vita, a lui ed alla musica francese. Il concerto che il Collettivo di Champigny gli dedica è un'altra nuova dimostrazione concreta dell'intelligenza operativa della 'banlieue rouge' (della 'periferia rossa') contro il mercato musicale centralizzato a Parigi, centrato e fondato su degli opportunismi direttivi di presuntuosi 'mecenati pubblici e privati' (Luigi Nono, testo citato, trad. di Ilia Pedrina). La data dell'evento, promosso dal Collettivo musicale internazionale di Champigny è quella del 9 marzo 1974, il testo di Luigi Nono è allegato al programma del concerto e lo stu-


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dioso Laurent Feneyrou ci informa inoltre, in nota, che il libro di Hermann Broch, 'La morte di Virgilio', Milano, Feltrinelli, 1982, è presente nella Biblioteca di Luigi Nono presso l' Archivio alla giudecca, in Venezia. Oltre a questo testo, ho trovato in Archivio anche due Partiture di Jean Barraqué, che mi sono state gentilmente messe a disposizione dalla signora Nuria Schoenberg Nono: 'SONATE' pour piano, Aldo Bruzzichelli Editore, Firenze (con all'interno, in stampa 'Jean Barraqué, Paris, 1928 - ; sono presenti inoltre indicazioni dell'Autore circa le modalità di esecuzione della composizione): composta tra il 1950 e il 1952 ha la durata di 40 minuti, si può ascoltare su Youtube, e la prima esecuzione assoluta è stata registrata dalla pianista Yvonne Loriod, che diverrà poi moglie di Olivier Messiaen, dal 28 al 30 ottobre 1957, mentre la prima esecuzione pubblica in concerto è avvenuta il 24 aprile 1967, con la pianista elisabeth Klein, a Copenhagen; 'SEQUENCE' pour voix, batterie et divers intruments, A. Bruzzichelli Ed. Firenze (con all'interno l'indicazione 'Textes extraits de 'ECCE HOMO suivi des POESIES' de Frederic Nietzsche, traduction de Henri Albert, editions 'Mercure de France'): composta tra il 1950 e il 1955, ha la durata di 18 minuti, si può ascoltare su Youtube ed è stata eseguita per la prima volta a Parigi il 10 marzo 1956, con la soprano Ethel Semser, con l'orchestra del 'Domaine Musical, sotto la direzione di Rudolf Albert. La circostanza è drammatica perché, come Luigi Nono ci informa in modo severo, senza velare le accuse dirette e chi ha orecchie per intendere intenda pure, Jean Barraqué è morto, il suo canto è sospeso, Jean Barraqué è ora tra coloro per i quali egli ha scritto 'I Cori di Didone', tra coloro cioè, e all'epoca erano pittori o poeti, il cui canto è stato interrotto per ragioni di stato, per la violenza del potere, per l'arroganza di rivali senza scrupoli. Quasi fosse stato preparato spiritualmente, fin dagli anni '50, ad affrontare questa testimonianza pubblica severa e rigorosa, ora che è un compositore di valore a spegnersi nell'indifferenza

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pregressa o nella forzata sollecitudine di maniera! Vengo al testo 'Jean Barraqué, Écrits, reunis, presentès et annotés par Laurent Feneyrou', Pubblications de la Sorbonne, Série esthetique n. 3, Paris. Cito in mia traduzione diretta: “1973 Il 9 aprile esecuzione a Parigi, presso la Maison de la Radio, di 'Sequence' (con Bernadette Val e sotto la direzione di Alain Louvier) e del Temps restitué (Anne Bartelloni, Chœur de chambre de l'ORTF, Ars Nova, sotto la direzione di Jean-Paul Kreder). Il 15 aprile, al festival di Royan, Roger Woodward esegue la 'Sonate' ch'egli stesso aveva registrato nell'autunno del 1972 in presenza di J. B. a Londra per la Casa Discografica EMI. Il 29 giugno J. B. è nominato 'Chevalier dans l' Ordre National du mérite'. Il 10 Agosto, colpito da emiplegia, è trasportato all'ospedale di Beaujon. Il 13 viene trasferito all'ospedale della Salpétrière, viene operato il 14 per un ematoma cerebrale. Muore il 17 agosto ed è sepolto al cimitero di Trelevern. Olivier Messiaen scrive: 'Jean Barraqué è stato l'esempio perfetto di musicista seriale severo, senza concessioni, producendo soltanto opere austere e meditate a lungo (…) Jean Barraqué merita la più totale ammirazione per la serietà, la finalità, la nobiltà della sua arte e del suo pensiero'.” ( J. Barraqué, Écrits, op. cit. pag. 30) Si potrebbe trarre da questi dettagli che il Barraqué sia morto di morte naturale..... Invece Luigi Nono ha presente tutta la vicenda di vita e di lavoro del compositore francese e taglia netto su qualsiasi intenzione commemorativa blanda: la sofferenza provocata prende il cuore, il cervello, la personalità tutta e diventa quel risultato subdolo che Camus ha definito 'omicidio di stato' (cfr. Pom. Not. 'I cori di Didone', Giugno 2014)! La spiritualità di Jean Barraqué è intensissima, lo affascina il sacro ed ogni esperienza che lo porti, segretamente, a vivere l'eternità del divenire, così nell'introduzione al testo sopra considerato L. Feneyrou precisa: “... Dove si chiude allora il cerchio 'enfermant le


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Temps' secondo le parole del 'Temps restitué'? Qui sorge l'eterno ritorno, che si manifesta, nell'analisi barraqueiana di Debussy, nella fascinazione dell'elemento circolare, nel sospendere il ricordo del suo inizio e, nell'opera stessa di Jean Barraqué, nella passione per la ciclicità. Così egli si esprime nella dodicesima sezione di … au-delà du hasard: 'E ricreandosi per formare il proprio cerchio ed i cerchi deformati e contraddittori ed invisibili perché affrontati.' L'eterno ritorno è Okeanos, il flusso del tempo come durata, flusso ciclico del divenire. Ogni opera affronta la tensione tra l'eterno ritorno, concezione curva del tempo ed il rinnovellarsi del gioco creatore, nell' atto - tra l'eternità dello scorrere, eternità di Okeanos, e l'eternità nell'atto autentico, nunc, æternum, tra l'eternità della durata circolare e l'eternità dell'atto sottratto alla dispersione del continuum. E Jean Barraqué disseziona gli istanti, in particolare nella sua analisi di 'La Mer': la de-cisione dell'istante, rispetto all'apertura, intervento tragico, distruzione del ciclo in fuga – questo istante di grazia del Temps restitué (III), privilegiato tra tutti, sconosciuto ai più, là dove la musica soffoca il tempo avviandosi verso la morte...” (Jean Barraqué, op. cit. Introduction, pag. 9, trad. di Ilia Pedrina). Non posso ora non fare riferimento al testo di Paul Griffiths, 'La Mer en Feu: Jean Barraqué', Edizioni Hermann Musique, pubblicato a Parigi nel 2008, sul quale in altra occasione parlerò assai diffusamente, tutto rivolto al compositore francese in seconda persona plurale. Cito: “La decisione di Virgilio è ora la vostra, in un'opera che voi concepite in sei parti: 1) Il primo avvio non deve avere, non ha di certo da avere consistenza. Ci si immette nella quiete, nell'allontanamento, nel lungo travaglio della Morte. Al contrario di ciò che io ho scritto in precedenza, bisogna lasciarsi scivolare nel doppio e nel triplo testo (le parole di Broch, quelle di Kohn e le vostre) con le loro assonanze, che offrono un'irregolarità ed una rottura rispetto al sistema seriale. In ultima analisi un'improvvisazione...

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2) L'allusione a Genet (i viventi si sbarazzano sornionamente dei cadaveri) inverte il discorso che deve tener conto dei passaggi vocali più rigorosi presenti nel Temps Restitué. Il richiamo alla 'urbanità' decisa, deriva dall'origine della proliferazione inintelligibile dei testi sullo stile di ….au delà du hasard. 3) Il teatro - una visione sfuggente e rappresa dell'Homme couché... 'Tu, il più crudele (cfr. Séquence), oh! Plotia (Qui i frammenti di Broch e e Kohn richiamano 'il grande sentimento che forza alla creazione...la profonda angoscia del viaggiatore.... quest'orrenda angoscia del fuggitivo che vaga negli impenetrabili risvolti della notte' e finalmente, a partire dal momento in cui Virgilio guarda dalla finestra, la notte che 'gravitava tutt'intorno nella sua immensa spazialità'.) 4) L'inno all'opera... deve essere trattato nello stile dei passaggi più audaci della 'Sonate'. Al contrario di uno sfogo, voglio che si scopra nella bellezza, l'inno al rigore. (Ciò sostituisce, con parole totalmente vostre, i passaggi inseriti nei quali Virgilio cerca 'un linguaggio che possa oltrepassare la musica stessa'.) 5) Si ritrova lo stile 'dato' – improvvisato degli inizi ma nutrito, arricchito di ciò che si è già costituito in passato. Confusione organizzata. (Il testo di Broch e Kohn è il seguente: '...cammino...senza traccia...la sua vita... sfinimento...falso percorso...coscienza del suo smarrimento...') 6) Come la fine di tutte le mie opere, anche questa mi appartiene.” (P. Griffiths, 'La Mer en Feu: Jean Barraqué', op. cit. pp.324-325, trad. di Ilia Pedrina). Nei punti 1), 3), 4), 5) le parole tra parentesi sono quelle di Paul Griffiths, che, come ho detto, crea un'intensa prossimità con il compositore francese rendendolo vivo e presente, di fronte a noi, nel nostro immaginario conoscitivo, esegetico e produttivo. Investigherò ancora e ancora questi interessanti ambiti di lavoro che verrò a trattare nella loro più corretta prospettiva, quella della dimensione creativa dell'opera d'arte e quella del ruolo etico-politico dell'artista e del compositore nella seconda metà del Novecento e oltre. Ilia Pedrina


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CLOTILDE PUNZO: NON HO PIÙ SMESSO DI CANTARE di Liliana Porro Andriuoli ’ORRIBILE genocidio perpetrato nei campi di sterminio nazisti a danno degli ebrei, durante la seconda guerra mondiale, costituisce l’argomento del recente libro di Clotilde Punzo, Non ho più smesso di cantare (Napoli, Luciano Editore, 2011, € 10,00); argomento che viene affrontato dall’ autrice con profondo senso di umanità e con viva partecipazione alla tragedia vissuta in prima persona dalle vittime. Inoltre, pur inserendovi poesie nelle quali mette in evidenza la spietata crudeltà dei persecutori, la Punzo sa giovarsi di un’esposizione sempre obiettiva ed equilibrata, in virtù della quale la sua denuncia acquista maggiore efficacia e maggiore forza evocativa. Il suo libro, pertanto, è sicuramente una testimonianza a favore delle vittime dell’ olocausto, ma soprattutto è un invito a riflettere sulla triste realtà di soprusi, cattiverie e violenze che avvengono anche ai nostri giorni, magari a nostra insaputa, quantunque si parli tanto di uguaglianza, tolleranza e non violenza…. Scrive infatti la Punzo in una delle ultime poesie della silloge: “il lager è un polo multimediale / … / ce n’è in tutte le latitudini” e soggiunge: “Alcuni sono visibili, / altri occulti, infidi, subdoli, / con nomi insospettabili” (p. 86). E non a caso il prefatore Ottavio Di Grazia insiste proprio sul dovere che noi tutti abbiamo di “ricordare” per “non dimenticare” i fatti della nostra storia passata perché, come d’altra parte ebbe a dire Primo Levi, «Se morremo qui in silenzio come vogliono i nostri nemici, se non ritorneremo, il mondo non saprà di che cosa l’uomo è stato capace […] e sarà più esposto […] ad un ripetersi»1 di tale tragedia. E l’idea di poter contribuire in qual-

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Primo Levi, Prefazione a Anna Bravo - Daniele Jalla, La vita offesa. Storia e memoria dei lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti, Milano, Franco Angeli Editore, 1988.

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che modo affinché il genocidio avvenuto non si “ripeta” un’altra volta sembra essere l’idea portante di tutta l’opera della nostra autrice. Il libro si apre con un Prologo, nel quale la poetessa fa sua la nota parabola evangelica del grano e della gramigna (Matteo 13,24-30 e 13,37-42): “Avevo visto molti campi di grano / ma il mio sguardo si era soffermato solo sulle spighe” dice il protagonista del Prologo; e soggiunge: solo allorché fui “deportato” in un “campo”, mi accorsi (e lo feci “con inguaribile pena”) di “quanto forte fosse” il potere della gramigna “di infestare il grano”. La diversa condizione esistenziale gli ha fatto dunque figgere lo sguardo più a fondo nella realtà… Inoltrandoci nelle pagine successive della silloge incontriamo una lunga sequenza di figure umane, ciascuna portatrice di una propria tragica storia; tutte storie, tuttavia, quasi mai così personali da non potersi collegare, o addirittura quasi integrare, con quelle di altre figure consimili. Il che, evidenziando la forte unitarietà del testo nel suo insieme, esalta il carattere poematico del volumetto, nel quale ogni elemento, pur conservando la sua identità, si amalgama perfettamente con gli altri. Quella che Clotilde Punzo contempla è infatti un’umanità degradata e calpestata, che ormai ben poco conserva dell’ antica parvenza, se non il ricordo del tempo in cui ebbe anch’essa “gioventù e forza nelle membra vigorose” (p. 65) e che quindi poteva considerarsi felice. Ora purtroppo tutto è mutato: ognuno di costoro ha perso finanche la propria identità: “Chi conosce la mia storia? / A chi interessa come e quando nacqui? / Sono un numero tra queste mura. / Forse meno.” (p. 46); “Ho camminato fino a sera / in un giorno senza nome / privo anche del mio” (p. 64). Nessuno di loro gode più un attimo di pace, nemmeno durante le ore di sonno: “Tregua non v’era nell’ora notturna. / … / L’ossessione era nel sangue, nella mente, nel cuore, / … / Non erano notti velate di luna, / ma abissi accesi dai fari” (p. 35).


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Alcune figure di questa lunga serie, accomunate da un terribile destino, ci vengono incontro come mimetizzate in una massa informe, indistinguibili l’una dall’altra nel folto gruppo in cui si trovano: sempre infatti, strettamente unite fra loro, procedono convinte che solo nell’unione e nella reciproca solidarietà potranno trovare la forza per una qualche forma di sopravvivenza: “Da occhio ad occhio passava la preghiera / di serbare ancora la vita di un tempo / per ritrovarsi mai spenti intorno ad un comune fuoco / non cedendo ai detrattori delle identità…” (p. 31); “Non ci fu mai silenzio / dentro e fuori del campo / dentro e fuori del cuore / … / Abbiamo inventato un parlare comune / che identifica i deportati, / … / Si parla in gergo per sopravvivere, / sono sussurri le parole che passano veloci, / le parole clandestine che formano fra noi catene” (p. 43). Altre figure invece, sempre indistinguibili e confuse nel mucchio, ci appaiono come ormai rassegnate alla fatalità del caso, che inesorabilmente le condurrà verso una prevedibile meta: “Era un lungo treno che andava a Nord / … / È un treno che ha occhi sparuti e carne lacerata / grida represse e urla che danno fuoco alle notti” (p. 17); “Sono piedi che vanno, / … / lentamente vanno, / dolorosamente vanno, / nel tormento dell’ignoto” (p. 19); “sono tonni che si dibattono / tra sangue e fiocine / sotto lo sguardo arrossato dell’ assassino / poi boccheggiano esausti / sfiniti dalla violenza e dall’incompreso accadimento” (p. 18); “Ogni scarpa è un piede / che più non lascia orma. / C’erano due gambe e un tronco / su quelle scarpe…” (p. 25). Alcune volte queste singole figure, recuperando almeno parte della loro individualità, si distaccano dal gruppo, avvicinandosi per comunicarci il loro personale dramma. Così è di colei che, dopo morta, racconta la sua vicenda: “Mi hanno detto che è cresciuta l’erba / dove caddi / e fango mi fu premuto su viso e petto. / … / Musica odo come nenia d’oriente. / È un oboe o un violino / a rammentarmi la neve? / Sono morta sulla neve” (p. 29); così è

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di Kurt, il bambino che va incontro alla morte credendo si tratti di un gioco: “«Vieni», / mi disse, / prendendomi per mano, / «ci fanno la doccia». / Dall’acqua passammo al sonno. / Non fummo più in balia del vento” (p. 34); così è pure della protagonista della poesia da cui prende il titolo la raccolta, la quale impazzisce e, pur sapendo “di essere stonata”, continua a cantare dal giorno in cui le consegnarono l’abito da sposa e glielo fecero indossare, prima di uccidere i suoi familiari (p. 56); e così è ancora di quell’uomo, forse uno “zingaro”, che si diceva venisse dalla Boemia, dimenticato “nudo su un mucchio di scarpe”, “lasciando che il tempo e i cani affamati facessero scempio” delle sue “carni rinsecchite” (p.57); e così è di tanti altri che non possiamo qui ricordare. Altre volte poi alcune di queste figure, non sopportando le atrocità che il momento presente riserva loro, rivolgono la propria mente al passato: qualcuna rievoca la propria vita di un tempo (“Avevo lenzuola pulite / profumate di lavanda / … / Membra fresche come buccia vellutata di pesca”) per trovare un qualche conforto alla tanto disperata condizione attuale (“Ora il mio corpo è tutt’uno con la baracca / Con il legno rosicchiato dalle termiti”, p. 28); qualche altra, invece, si rammenta di un familiare a lei molto caro, nella fattispecie la propria madre (“Sembrava mia madre / con quegli anelli grigi sulla testa. / La denudarono e spinsero il suo grosso corpo / contro le carni emaciate di altre donne inermi”, p. 30) e trae conforto dal pensiero che la sua morte, avvenuta in epoca anteriore, le abbia evitato di essere coinvolta in quell’ immane tragedia (“Pensai a mia madre. / A quanto era stata fortunata ad essere già morta”, p. 30). Qualcuna di queste figure infine ci parla anche dei suoi carnefici, della disumana perversione che costoro sempre dimostrarono nei confronti di uomini inermi e indifesi, di quanta intima debolezza e quanta vigliaccheria si nascondesse sotto quella loro apparenza di forza, quella loro malcelata sicurezza… Un esempio in proposito lo si trova nelle prime


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pagine del libro, nella poesia Chi decide della mia sorte?, nella quale un deportato vuol guardare negli occhi il suo torturatore per poter scoprire chi egli realmente sia e su cosa fondi tanta arroganza e tanta presunta superiorità: “Ma quest’uomo che ho di fronte / … / che urla e mi stritola con la sua arroganza /… / quest’uomo che mi guarda ostile / … / che si accanisce mi ferisce mi umilia e mi mortifica / … / Voglio sapere chi è, / … / Perché al cospetto di quest’uomo / non mi tolgo il cappello né trasudo perdono”. È poi anche possibile che chi è scampato dal lager possa a distanza di tempo incontrare, a un tratto, tra la folla, il suo ex torturatore, come accade nella poesia Lo riconobbe, dove nell’affollato “centro di Manhattan” avviene appunto l’incontro tra un’ex vittima e il suo ex aguzzino: “«Ehi, ti conosco», gridò l’ ex deportato «Tu sei quel maiale del lager, / sei il bastardo della forca»”. E l’aguzzino, sentendosi riconosciuto, ebbe paura e si confuse tra la folla, scantonando (“Accelerò fremente il passo”, p. 84). La vittima, in preda ad una profonda agitazione, pur non rincorrendolo, non fu tuttavia capace di concedergli il perdono (“Trasformare non seppe l’odio che genera odio. / S’inginocchiò e pregò che fosse stritolato sotto la prima ruota”). Il libro si chiude con un Epilogo, ispirato, ancor più che il Prologo, ad un sentimento cristiano dell’esistenza. Se infatti il problema della gramigna che “infesta il grano”, può generare nel credente (come in effetti ha talora generato) qualche perplessità, qualche dubbio riguardante il perché esista il male nel mondo e perché Dio lo permetta (problemi, questi, più volte dibattuti e affrontati, anche in sede teologica), al contrario i versi della chiusa del poemetto sono inequivocabilmente sorretti dalla fede in un intervento divino sul divenire del mondo: “E noi che non siamo che ombre sulla scena del mondo /… / noi che sventoliamo bandiere e non brandiamo spade, / invochiamo, ancora e sempre, il Dio che tace, / ma non s’addormenta, / perché ci aiuti a vivere finalmente in pace / e a non dubitare nella

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tormenta”. Il Dio della Punzo infatti “tace”; non interviene, è vero, ma “non s’addormenta”: aspetta imperturbabilmente il giorno della “mietitura”, allorché ordinerà che il grano sia separato dalla gramigna. È pertanto un Dio, il suo, che non resta indifferente di fronte alla sofferenza degli innocenti, ma, per una Sua imperscrutabile volontà, non vuole intervenire prima del giorno del “Giudizio”, prima cioè del momento in cui “i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Matteo 13,37-42): non forza la mano agli uomini, ma li lascia liberi delle proprie azioni. Quanto allo stile, è da osservarsi che Clotilde Punzo si esprime in maniera asciutta e concisa, con un verso libero molto efficace (“I cani abbaiano / contro la notte che non arretra” (p. 37); “Il filo spinato separava il confine della mia terra da quella di Hans. / … / L’avevo detto ad Hans che il filo spinato del campo / non era uguale a quello che separava le nostre proprietà. / … / Lo teneva stretto il filo con tutte e due le mani / … / A turno l’ abbiamo vegliato” (p. 52-53) e con quella limpidità di voce che è propria di chi è mosso dall’ansia di comunicare agli altri degli autentici contenuti che avverte urgere nella propria anima. Il libro “Non ho più smesso di cantare” di Clotilde Punzo è stato brillantemente presentato, con notevole partecipazione di pubblico, il 21 Maggio 2014 (ore 17.30) dalla Prof.ssa Ersilia Di Palo, nella “Sala Francesco De Martino” Via Morghen 84 Napoli. La manifestazione è avvenuta nella Serie de I MERCOLEDÌ CULTURALI, a cura dell’ Associazione Internazionale EIP ITALIA Sezione Campania, in collaborazione con la 5° Municipalità VOMERO_ARENELLA. Le poesie, intensamente interpretate dalla stessa autrice, sono state molto applaudite dal pubblico presente. Liliana Porro Andriuoli Clotilde Punzo : Non ho più smesso di cantare (Napoli, Luciano Editore, 2011, € 10,00)


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BASILICATA TRA STORIA E ARTE di Leonardo Selvaggi

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ECONDO lo storico lucano Giacomo Racioppi Lucania significa “Luce”, dalla radicale “luc” presente nel linguaggio osco, parlato dagli aborigeni della attuale Basilicata. Gli Osci dell’Irpinia si spostarono, oltrepassando il fiume Sele, da ponente verso le terre orientali, in direzione della stella Lucifero. Il nome Lucania ha origine in questo momento, corrisponde ad una realtà geografica nuova, ha riferimenti con la luminosa stella del mattino. Si è avuta un’altra interpretazione, quella di terra di lupi o di boschi. Questa non ha valore, pensando che tutta l’Italia fino all’Umbria era tutta un manto di verde, specie in quei lontani tempi. Gli antichi Lucani vi trovarono nella regione occupata gli Enotri ed i Conni coi quali guerreggiarono per lunghi anni, estendendo il loro dominio dal Sele al Bradano ed a tutta la Calabria. Il nome dei Lucani si trova citato dallo storico Strabone solo verso il 400 a. C. e nel 325 in occasione della guerra contro Alessando il Molosso, re dell’Epiro, chiamato dai Tarantini per combattere contro i Lucani. Una documentazione importante sulla presenza dei Lucani l’abbiamo avuto con il rinvenimento di una lapide di pietra presso Anzi. Si parla di un popolo civile, indipendente, diviso in patrizi e plebei. Furono rinvenuti idoli, terracotte, armi, cristalli, monete. Onoravano Diana, la Dea della caccia. Prima che gli antenati dei Lucani passassero il Sele, la loro storia si confonde con quella dei Campani, più precisamente con quella degli Irpini, molto bellicosi, temuti dai Romani. Questi Irpini col nome Lucani per tre secoli si fanno sentire per la loro forza, collegati coi Sanniti arrivano fino a Roma, al comando di Marco Lamponio. Abbiamo la battaglia di Pandosia presso Tursi e la guerra italica. L’esercito dei Lucani e dei Sanniti sconfitto dai Romani. Morirono quasi tutti sul campo compresi i loro duci. I Romani riconoscono ugualmente il

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loro valore e concedono quei diritti civili che erano stati prima negati, causa della stessa guerra. Il grande storico Polibio ci parla dei Lucani al tempo della III guerra punica, quando portarono aiuti, con forti eserciti formati da fanti e da cavalieri, ai Romani in qualità di confederati. Certamente fu un glorioso cammino quello dei Lucani, cominciato con i loro aborigeni. Enotri, Conni, Italioti confederati, Spartani, Magna Grecia, tutti conquistati dal loro valore. Combatterono contro i Romani quando questi si dimostrarono invadenti al tempo della guerra contro Turio, colonia presso Sibari, non avendo rispettato i trattati. Sempre agguerriti e dai costumi severi assimilarono ampiamente la cultura e le arti degli Italioti della Magna Grecia. I resti archeologici parlano chiaro della pacifica convivenza tra i Lucani che parlavano la lingua osca e i popoli che parlavano “Greco”. Anche se divisi come si è detto, in caste non ebbero né re né tiranni. I Lucani erano montanari coraggiosi, generosi, grande il loro amore per la libertà, rispettavano le leggi, in special modo quelle dell’ospitalità. La loro indipendenza finì quando dovettero cedere insieme con i Campani, i Sanniti, gli Umbri, gli Etruschi, i Latini a coloro che dovevano dominare il mondo. La Lucania era costituita dal territorio che comprendeva dei centri famosi, Eraclea, Metaponto, Grumento, Velia, Paestum. In seguito abbiamo le invasioni barbariche che portano distruzioni e domini. I Lucani per loro natura costanti, tenaci, dall’antico si sono mantenuti uguali dal punto di vista etnico, per quanto riguarda l’aspetto geografico si sono avute, invece, variazioni. Ora veniamo alla denominazione di Basilicata. Lo storico lucano Michele La Cava in polemica con Giacomo Racioppi sostiene sempre la storicità e la grandiosità del nome di Lucania, al posto di quello servile di Basilicata. Nel secolo X con i Bizantini che subentrano ai Longobardi la Lucania viene governata da un funzionario imperiale detto basilikos. Da questo momento si comincia a parlare di Basilicata. Riferimenti si hanno pure con il termine Basileia che significa regio o Regno, e con l’occupazione


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dell’imperatore greco Basilio II, dopo la vittoria riportata sopra Ottone II, imperatore di Occidente nell’anno 989. Per la prima volta il nuovo nome si trova nel 1230 in un documento risalente ai tempi di Federico II. Gli storici e i geografici continuano a quell’ epoca ad essere quasi sempre fedeli al nome di Lucania. Il termine Basilicata è considerato estraneo, splendido per le sue origini lontane, invece, è quello di Lucania. E’ rimasto presente nelle tradizioni, usato dai letterati. Dalla provincia di Potenza fu indetto nel 1930-31 un referendum per l’attribuzione dell’una o dell’altra denominazione da parte di tutti i comuni della regione. Un vero plebiscito a favore di “Lucania”, un solo paese si espresse per “Basilicata”. Il nome di Basilicata rimane dal secolo XII quasi costantemente in vigore, ad eccezione di due brevi parentesi, nel 1799 e nel 1820 e del periodo tra il 1932 e il 1947 in cui ritorna il glorioso nome di Lucania. Nel secolo XI abbiamo i Nrrmanni, nei secoli XII e XIII gli Svevi. Si ha un periodo di grande splendore. Nel 1230 Federico II, che amava soggiornare con la sua corte nel castello normanno di Melfi, ordinò ai suoi giuristi e ai suoi ministri, tra i quali c’era il capuano Pier delle Vigne, di compilare una riforma costituzionale, amministrativa e giudiziaria del suo Regno. In solo due mesi si ebbe la famosa “Lex augustalis”. Per il fatto che la legge venne promulgata l’anno seguente in un’ assemblea tenuta a Melfi prese il nome dalla città, “Costitutiones Melphitanae”. Nel 1266 la Basilicata passa sotto gli Angioini che la dominano assieme a Napoli per tutto il secolo XIV. Nel 1435 in seguito alla vittoria riportata sugli Angioini la regione, con il restante Regno di Napoli, passa agli Aragonesi di Spagna. Nei secoli XVI-XVIII la Basilicata vive i periodi più travagliati e in completo isolamento. Francesi e Spagnoli si contendono con lunghe guerre il dominio dell’Italia. Alla fine prevalgono gli Spagnoli. Angherie e ingiustizie di ogni genere, violenze, abusi, e miseria accendono ribellioni isolate che aprono la via al brigantaggio. Nel 1663 gli Spagnoli fanno di Matera la nuova capitale della

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regione. Morto nel 1701 Carlo II di Spagna senza eredi, abbiamo i Borboni. Le riforme apportate da questi hanno una debole eco in Basilicata che rimane la regione più povera, abbandonata a sé. Nel gennaio 1799, quando le armate rivoluzionarie francesi raggiungono Napoli, i Borboni fuggono e viene proclamata la Repubblica Partenopea. La conquistata libertà dura poco. Nel giugno ritornano i Borboni, vengono giustiziati i patrioti rivoluzionari. I martiri della Basilicata sono otto, fra i quali il grande giurista Mario Pagano. Nel 1806 Potenza diventa capoluogo della regione, sostituendo Matera. Dal 1808 al 1815 il Regno di Napoli e con esso la Basilicata, viene retto da Gioacchino Murat, cognato dell’ imperatore Napoleone Bonaparte. Alla caduta di Murat riappaiono i Borboni. La rivoluzione napoletana ha acceso nei cuori la speranza che invano tentano di spegnere, durante il Risorgimento, le prigioni e le forche borboniche. Dal 1821 al 1848 la Basilicata partecipa a tutti i moti insurrezionali. Potenza nel 1860, ai cui abitanti Garibaldi dirige un proclama che loda la loro solerzia, l’umanità e la bravura, vive i momenti più fulgidi con la giornata del 18 agosto. Un ardente amore di patria spinge tanti ad offrirsi vittime alla causa dell’ indipendenza dal giogo borbonico, dell’ annessione al nuovo Regno d’Italia. La Basilicata ha vissuto secoli di vita intensa, di lotte, di miserie, di soggezioni, periodi di splendori, di predominio. Ha avuto abitanti infaticabili, vivaci, intraprendenti, sempre generosi e tenaci. La Basilicata ha lasciato nel lungo cammino della sua civiltà tanta storia, ricca cultura e arte. Alle testimonianze preistoriche, fiorite fin dal paleolitico inferiore (Venosa, Matera) seguono quelle dell’età greca, in cui oltre a manifestazioni dell’arte ellenica vera e propria, come le cosiddette Tavole Palatine o il tempio di Apollo Licio, di stile dorico del VI secolo nella piana di Metaponto, vi sono quelle più o meno ellenizzate provenienti dalle necropoli. Monumenti romani sono infine sparsi in tutta la regione. Espressioni di arte cristiana si trovano in grotte scavate nella roccia nella zona di


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Matera con tracce di affreschi di derivazione bizantina. Di maggiore interesse i monumenti sorti sotto il regno dei Normanni e degli Svevi. L’ antica Acheruntia, che ha quasi tre millenni di vita, in magnifica posizione, sopra una rupe di tufo dominante la florida valle del Bradano. Il maggior vanto di Acerenza è la stupenda cattedrale del sec. XIII, senza dubbio fra le più belle esistenti. Ammiriamo la faciata he si adorna di un portale in stile romanico- pugliese e, in particolare, il grandioso complesso delle absidi. Trale migliori architetture civili della Basilicata si annovera il quattrocentesco castello di Miglionico, ampio e possente, con le sue torri cilindriche, si trova isolato all’ ingresso del paese. Famoso per la sala detta del Malconsiglio ove il primo ottobre 1841 i Baroni, in attesa dell’aiuto del Papa, si radunarono in congiura contro Re Ferdinando I d’Aragona. Ora anndiamo a vedere in un punto opposto della regione il castello di Lagopésole che giganteggia imponente su un colle. Questa superba mole venne fatta erigere nel sec. XIII dall’Imperatore Federico II come luogo di soggiorno per le sue partite di caccia. Ospitò altri Re, fra cui Carlo d’Angiò. Il castello munito di quattro torrioni angolari fu in seguito dato in dono da Carlo V ai principi Doria, i quali lo amministrano tuttora con le terre circostanti. Un viaggio per la Basilicata senza itinerari obbligati, di qua e di là, come volando, dall’alto di una veloce sintesi prendiamo tutte le parti, fermandoci dove una migliore attrattiva ci prende, quasi sentiamo più voci raccolte, più richiami, echi e forze magiche ci avvolgono. Di tutta la regione una visione d’insieme, come fosse una figura animata, una persona che si muove e viene davanti. La Basilicata è una regione particolare, aspra, accidentata, con luoghi ridenti che paiono essere veri miracoli della Natura che escono da masse aride, desolate, come fossero voci dell’animo compresso che arrivano da lontananze perdute nelle ere remote di una storia travagliata. Miserie, fatiche, vita di stenti di una regione che non si è mai fermata nelle lotte sostenute con estenuazioni indo-

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mabili. La sua configurazione che sempre varia esprime, come di una persona una identità che sa di continua attesa, di sopportazioni: la presenza di terre arse, assolate, calanchi, fiumare, rocce che escono da profondità, tutto in distese che si aprono con aspetti caratterizzati con intensità, in una immobilità che è tempo lontano, silenzio denso di impenetrabili, sfuggenti spirituali esistenze. Incontriamo il magnifico Vulture, montagna il cui centro è costituito da una vasta conca, un tempo cratere eruttivo. Oggi si presenta uno spettacolo diverso, uno scenario incantevole di verde, mille specie di piante che formano una foltissima fascia boschiva. Ai piedi delle selve si vedono splendere, in mezzo alla conca due laghi, uno piccolo e uno grande, separati da una sottile striscia di terra anch’essa verdeggiante di prati e di alberi. Sono i Laghi di Monticchio. Per i riferimenti alla letteratura classica importante Venosa, che si gloria di aver dato i natali al sommo poeta Quinto Orazio Flacco. Fondata, secondo la leggenda, dall’eroe greco Diomede. Vi si rifugiò il console Terenzio Varrone dopo la disfatta di Canne, raccogliendo un nuovo esercito di quattro mila uomini. Intorno a Venosa sorge l’Abbazia della Trinità, un delle opere più solenni per bellezza di forme e di stile della Basilicata, fondata 900 anni or sono dai monaci benedettini, costituita da un palazzo abbaziale e da due chiese, una di seguito all’altra per una lunghezza di 125 metri. I paesi della Basilicata in terre pietrose, alluvionali, fra paesaggi di una presenza particolare, fra montagne che mostrano la loro ossatura scarnita dalle frane e dalle erosioni. Sono rifugiati sulle alture, si affacciano dall’orlo di paurosi burroni. Le case sgretolate dai venti sono tutte raccolte attorno a qualche castello in rovina. Pare che i muri incrostati all’intemperie, segnati da occhiaie nere, finestre, imboccature di grotte soffrano l’arsura. Sul Tirreno ci appare Maratea, la Dea del mare, uno spettacolo meraviglioso che si apre verso il sole. La Natura e la storia hanno riunito tutte le loro espressioni. Ci sono le alte rocce incombenti sul mare, le isole, i promontori, le ginestre,


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alberi contorti che paiono braccia aperte al cielo, tutta una magia intorno. Grumento nova, paese sorto sopra un colle con le rovine di un grande castello, costruito nel medioevo dopo la distruzione di Grumentum da parte dei Saraceni mille anni or sono, celebre per due battaglie vinte dai Romani contro i Cartaginesi. Nella seconda di queste battaglie avvenuta nel 207 a. C. Annibale fu sconfitto. Un’altra perla dell’aspra Natura, dall’aspetto arcaico nell’eternità del Creato, Pietrapertesa, poco distante dal fiume Basento, è il comune più elevato della Basilicata, mt 1080. Sorge in posizione assai pittoresca, in un fantastico scenario di vette arenarie, dette “Dolomiti Lucane”. Le creste seghettate nell’aria inalberate simili a presenze di animali preistorici pietrificati. Andiamo a visitare Matera. E’ una delle città più caratteristiche d’Italia, è costituita da una parte moderna, estesa sul ciglio di una rupe e da una parte antica spettacolare, detta “I Sassi”, che degrada con un intrigato labirinto di case scavate per metà nella roccia. Dal 1663 al 1805 fu capoluogo della Basilicata. Dalla scissione della provincia di Potenza diviene nel 1927 unità amministrativa. Il Duomo, magnifico tempio, costruito in stile romanico-pugliese nel sec. XIII. Esso ci presenta una facciata coronata da archetti, sovrastante un artistico portale. Abbiamo il Liceo classico dalla limpida e armonica facciata seicentesca, intitolato all’insigne materano Emanuele Duni, giurista e filosofo, vi insegnò Giovanni Pascoli nei primi anni della sua attività professionale tra il 1882 ed il 1884. Il museo Ridola costituito nel 1910, uno dei più importanti dell’ Italia meridionale. Nelle sale numerosissimi esemplari di arnesi di ossi, di silice, di asce risalenti al paleolitico. Oggetti dell’età del bronzo e resti di necropoli. Andiamo verso il mare Jonio, Nuova Siri, ricorda la colonia greca di Siris, fondata nel VII sec. a. C. alla foce del Sinni da alcuni Troiani sfuggiti alla distruzione della loro città. Santa Maria d’ Anglona, cattedrale della scomparsa città di Anglona che sorgeva poco distante da Tursi, distrutta nel 410 dai Goti. La chiesa è del XIII

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sec. e conserva interessanti affreschi, alcuni dei quali bizantini. All’epoca del Greci si chiamava “Pandosia”. Questo nome significa “donatrice di ogni bene”, si riferiva alla fertilità del suolo. In Basilicata la natura ha ambienti che non hanno subito alterazioni. Osserviamo il massiccio del Pollino, offre una veduta di incomparabile potenza. E’ una delle zone ancora selvagge, ricca di valori botanici e zoologici e di elevato valore estetico. Vecchia regione la Basilicata, la sua storia la porta scritta nei rilievi del suolo, nel paesaggio, nelle costruzioni dell’uomo, nei segni del suo lavoro e del suo ingegno. In Basilicata ci sono i mari e i monti. Ci sono le colline d’argilla, i fiumi con i pigri meandri e le ampie valli, grandi aree verdi, faggete sterminate e campi di grano. La Basilicata è una terra di grande fascino che crea valide attrattive turistiche. Leonardo Selvaggi

LA BAMBOLINA PERUVIANA C’è una bambolina in costume peruviano sul comodino accanto al mio letto. E’ un po’ in un angoletto, quasi stretta fra la lampada e l’immagine della Madonna. La bamboletta è silenziosa e riservata come la persona che me l’ha donata, e come lei a volte ha l’espressione un po’ triste. Forse pensa di essere stata dimenticata. Ma ogni mattina ed ogni sera e sempre quando passo accanto al letto io la guardo e le invio in silenzio il mio affetto. Mariagina Bonciani Milano


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“LA TAGLIOLA” UN ALTRO TESTO PER IL TEATRO DI

ANTONIO ANGELONE di Luigi De Rosa

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NTONIO Angelone, commediografo dialettale di Isernia, direttore della rivista Sentieri Molisani, non finisce di stupirmi. Ancora una volta mi giunge per posta, quassù a Rapallo sul mar Ligure, un suo lavoro per le scene, intitolato La tagliola. Sissignore, proprio una tagliola, quello strumento crudele usato da contadini per catturare animali “ladruncoli”. In questo caso, adoperato da Michele Cannavaro, protagonista della commedia, un contadino del Molise della metà del Novecento. Uno di quei contadini costretti a una vita faticosa e pesante per ricavare dalla terra, con enormi sacrifici, quanto necessario al sostentamento della famiglia. E quindi, ancor più arrabbiati e tenaci difensori della propria roba dalle insidie di mariuoli e perdigiorno. Un campo di fave di Michele (oltre a salame e vino) è il bersaglio preferito di una “banda” di giovani del luogo che tenta, con “banchetti serali” con le vettovaglie rubacchiate, di scacciare la noia e la frustrazione della vita di campagna. Michele nasconde una tagliola per volpi per punire i “malandrini”. Ma mal gliene incoglie. Prima si ferisce con lo strumento egli stesso, ad un piede. La notizia si diffonde in paese, e incomincia a montare lo “scandalo” ai danni di quel cuccelone (testardo, dalla coccia dura). Insorge la moglie, Adelina, che chiaramente non sopporta più da molto tempo l'autoritarismo cieco e le stramberie dissennate del marito. La donna è convinta che il marito abbia messo la tagliola non per acchiappare volpi ma per punire e mettere alla berlina l'autore ( gli autori) dei furti a suo danno. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, dopo tanti maltrattamenti e ingiurie da parte di Michele a suon di parolacce ed altri comportamenti offensivi. Il “ dramma” giunge al

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diapason quando Pietro, il giovane “capobanda” ladruncolo, infila la mano destra in un cesto di forme di formaggio, per andare a far bisboccia con i compagni. La tagliola, nascosta nel cesto, scatta malignamente e gli frattura tre dita, indice, medio e anulare. La faccenda si complica, perché il giovane Pietro, da tempo, amoreggia di nascosto (a nnascuso) con Filomena, una delle figlie di Michele. E allora Adelina, che di nascosto favoriva questo corteggiamento per far “sistemare” la figlia con un sacrosanto matrimonio, perde le staffe e se ne va di casa, meditando addirittura di andare a rifarsi una vita alla Mèreca. Ma le insistenze di figlie e parenti, oltre alle implorazioni di perdòno da parte del marito, platealmente inginocchiato ai suoi piedi, la fanno desistere, e ritornare al tetto coniugale. Il finale della commedia è decisamente lieto, anche perché, come ci spiega l'Autore nel commento in italiano che precede il Terzo ed ultimo Atto, “ la battaglia si conclude, dopo continui battibecchi, con la vittoria delle figlie e della moglie. Cannavaro, costretto a mantenere fede alle promesse fatte, non solo accetta ogni rimprovero dai familiari, ma accondiscende anche alle loro decisioni. La prima e più fortunata è Filomena, che dopo tante lotte, riesce, finalmente, a realizzare il suo ideale, accarezzato da diversi anni. Il matrimonio con Pietro viene accettato anche da Cannavaro, grazie all'inaspettata fortuna dello “Scimbanzé” (il padre di Pietro) che, a causa della morte della sorella, residente in America da oltre sessant'anni, eredita una forte somma di denari ed un panoramico ristorante-albergo nel centro del New Jersey. Con il matrimonio tra Filomena e Pietro, realizzato grazie all'inaspettata fortuna della famiglia dello Scimbanzé, si stabiliscono anche ottimi rapporti tra le due famiglie.” Potenza del dio Denaro, specialmente in una società contadina di quei tempi, quando nelle tasche dei lavoratori della terra, di denaro, ce n'era piuttosto poco. Alcune considerazioni utili mi vengono


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suggerite, sia da questa ultima commedia che da altri testi di Angelone per il teatro. Innanzitutto concordo con la prof.ssa Rosa Troiano, docente all'Università di Salerno, che nella sua approfondita Prefazione al volumetto contenente “La tagliola” rileva, tra i vari pregi di questa commedia, il fatto che il tema familiare “ ...questa volta venga assunto non per rievocare usi e atteggiamenti di una civiltà ormai trascorsa, o per operare nostalgici confronti tra presente e passato, bensì per trattare della famiglia come fenomeno che cambia, come un prodotto culturale aperto ai mutamenti, osservato in una determinata fase della storia sociale italiana. Scegliendo gli anni Cinquanta come tempo della vicenda, e muovendo da situazioni concrete e verosimili, Angelone ha voluto dare in questa commedia un'immagine, sia pure ridotta e da lontano, del cambiamento della qualità interna della famiglia contadina, degli interessi e degli affetti che la rendono unita o conflittuale...” Ripenso alle quattordici commedie dialettali angeloniane di cui mi sono occupato nel 2008 nel libro La vita e l'opera dell'artista e scrittore Antonio Angelone (Ediz. Accademia), e cioè Il matrimonio, La sperimentazione dei maestri, Il dramma d'amore di Nicola e Loreta, La ruota della fortuna, Ciccotè, il maiale di Tata Giovanni, Re vuasce sotta 'lle sctell, La vecchia che ne vvuleva murì, Tra véglié ssuonn, La banda Centrillo, La vellégna, Da re semiénd alla tréscha, Felmena la lengacciuta, Recchezza e ppuvertà. Anche se non posso che confermare l'acuto giudizio di Rosa Troiano, non posso sfuggire, comunque, alla necessità di ricordare anche molti altri temi trattati e rappresentati artisticamente nell'intera produzione drammaturgica di Angelone. Ad esempio, quello dell'emigrazione per sfuggire allo sfruttamento e alla miseria, o comunque per rifarsi una vita degna di questo nome; la sostanziale sanità morale e freschezza d'animo dei giovani della classe contadina; la saggezza e il romanticismo concreto di tante donne, giovani e meno giovani, sulle cui spalle gravano i pesi della gestione fami-

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liare delle risorse materiali e dei sentimenti d' amore; il rispetto sostanziale per i vecchi, l' attaccamento alla bellezza del proprio paese e delle sue tradizioni, nonostante i gravi sacrifici imposti dalle difficili condizioni economiche. Ma nella produzione letteraria e artistica di Angelone sono presenti molti altri temi importanti, la cui trattazione richiederebbe molto spazio. Il fatto è che dobbiamo sempre tenere presente, nel parlare di Angelone, che egli non è solo uno scrittore di commedie, ma contemporaneamente è anche un pittore, uno storico locale, un poeta entusiasta della bellezza della natura e della bontà d'animo, un docente educatore di generazioni di bambini, un filosofo a modo suo, un credente non bigotto, un realista che si rende perfettamente conto che quella vita tradizionale (per certi versi rimpianta e vagheggiata) è stata definitivamente superata dall'evoluzione della tecnologia e del costume in ogni campo (non sempre in meglio), dalla trasformazione del mondo del lavoro, sia dal punto di vista tecnico che da quello giuridico, dalla rivoluzione del Diritto di Famiglia e dei costumi sessuali. Ci sono due filosofie contrapposte su tutti questi temi, con sostenitori dei valori del passato o del presente, ma ciò non toglie che non si possa affrontare il giorno dopo giorno con la testa e il cuore rivolti all' indietro. Non basta che conservare i valori positivi della vecchia organizzazione di vita, e poi andare decisamente avanti. Fin dove il destino umano lo consente. Anche la vita pubblica, la politica, cambiano. Secondo alcuni, in modo sempre peggiore. Ma anche qui: guardare avanti e fare di tutto per migliorare la situazione, non restarsene egoisticamente nel proprio guscio a vedere che cosa succede. Il mondo cambia in continuazione, il Tempo fugge senza sosta. Anche il presente sta per diventare passato. Non facciamo in tempo a sottoporre il mondo umano al nostro “riesame”, sotto la nostra lente personale, che già questo mondo ci è cambiato sotto gli occhi, in modo sempre più accelerato e incalzante. E questa trasformazione è non solo registrata,


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ma anche favorita (o deteriorata) dai mezzi di comunicazione di massa (radio, televisioni pubbliche e private, giornali, altri mezzi sempre più sofisticati...). Eppure, i problemi fondamentali dell'Uomo (Felicità-Infelicità, Vita-Morte e mistero dell' Oltremorte) rimangono sempre gli stessi. Per tutti. Luigi De Rosa Antonio Angelone – La tagliola – Edizioni Accademia “Lucia Mazzocco” - Isernia 2013

LE FIABE, TRA DIVANO E POLTRONA a Riccardo Carnevalini Milano Tra divano e poltrona, per ore a giocar con i peluches: il cane giallo e blu, Topolino che ride, la scimmietta e Mister Coccodrillo, Peppa Ping. E noi ad inventare storie sempre nuove. “Nonno, vuoi che ti aiuti?” C’era una volta un bimbo “che si chiamava Fiorellino” e c’era un cane piccolo “che si chiamava Birichino”... Ci porta in piazza la storia, al gioco con la palla; al Giardino di Padre Pio con lo scivolo, il dondolo, il cavallino rosso; ai verdi fazzoletti comunali della scuola Don Bosco, con la signora Lilly e la Ale, i tubi verdi e gialli, il camion degli attrezzi, gli irrigatori a spruzzo: zip! zip! zip! “Nonno, corriamo che ci bagna!” Le varianti son tante, c’è pure la raccolta dei pinoli. Ghiotto di melograni è Topolino, ma il gatto bianco l’insidia. Tu canti Topolino Topoletto, la mamma che lo prende con la scopa.

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Ci trasferiamo in Africa, tra le calde e profonde acque del Congo. Corpi in groviglio e spruzzi. Smemorati, fino al morir del giorno giocano Mister e gli altri coccodrilli. E’ buia ora la strada del ritorno. “Ha paura il nostro amico, Nonno?” Benedette lucciole, che il cielo illuminate come giorno! Tra colline e pianure bananeti verdeggiano e la scimmia s’ingozza in un estenuante saliscendi dall’una all’altra pianta. “E quanti uccelli, Nonno, e che colori!” Peppa salta nelle pozzanghere con la sorella e il fratellino George. Le galline e il gallo a spasso vanno in cerca di lombrichi. Ma, nella notte, giunge la faina... Il tuo viso è di gelo. Mi guardi inorridito se la fiaba si scontra con il vero. Domenico Defelice

IMMENSITÀ Blu del mare, blu del mare immenso… Blu del mare che rifletti il cielo e cielo blu che il mare già contieni guardate il volto mio e se sinceri siete, come credo, fate che la mia mente sia stellata, vibrante e illuminata come voi. Il buio non si addice a menti come quella che ora, qui, si accinge a consultarvi. E fuori il freddo intacca la mia vita, minaccia ciò che vivo è ancora in me. Noemi Lusi Roma


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Il 27 dicembre 1970, Domenico Defelice scrive al Prof. Francesco Pedrina PASSIONE PER LE LETTERE E UN BRANDELLO DI VERA AMICIZIA di Ilia Pedrina

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A carta è intestata con timbro blu in alto a sinistra, un foglio scritto a mano, fronte e retro, con grafia chiara e creativa. Riporto per intero questo documento, importantissimo, testimonianza di aperta passione per le Italiche Lettere, di profondo rispetto per lo studioso e letterato Francesco Pedrina, di solerte sollecitudine per difendere gli aspetti più sinceri di una Amicizia in dialogo, oltre che per segnalare, sottolineandolo con prove alla mano, il malcostume interno agli ambienti letterari della Capitale, ma non solo. DOMENICO DEFELICE via Fratelli Bandiera 6 00040 POMEZIA (Roma) Pomezia, 27/12/70 Ill.mo Prof. Pedrina, approfitto di questi giorni di festa per rispondere a molti amici che mi hanno scritto nei mesi scorsi. Mi auguro che Lei si sia fatto visitare da un buon oculista e che la sua vista adesso sia ottima. Comunque penso che Lei non debba affaticarsi eccessivamente, gli occhi sono organi delicatissimi e basta poco per comprometterli. Non so perché Trevisini porti avanti la stampa del Suo commento ai Promessi Sposi (sottolineato) con tanta indolenza; perché magari poi l'affronterà in un periodo non certo propizio per una immediata adozione nelle scuole; perché non brucia le tappe per mettere sul mercato un libro che, ne son certo, gli frutterà parecchio: francamente un simile editore non lo capisco! Cosa mai avrà di più importante per le mani? (fine della prima facciata)

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La Sua Vela d'Argento (sottolineato) mi riempie di curiosità e acutizza il mio interesse, perché immagino, almeno da quel che Lei mi accenna, sia il Suo capolavoro. E sono d'accordo con Lei che se l'avesse scritto Montale o Bo, con le trombe e i tamburi che costoro sono soliti far suonare per le loro cose, il libro “farebbe un chiasso grande”. A proposito di Bo, Le voglio raccontare un fatto (ma forse Lei già lo conosce: nei locali romani dell'Unione Italiana per il Progresso della Cultura, in Piazza Morgana, si è svolto un dibattito, il 15 o il 16 corrente (non ricordo con precisione), su “I potenti della letteratura”, titolo di un libretto (che non ho letto) edito da Rusconi e che si compone, a quanto ho potuto capire, di quattro saggi firmati da Rodolfo Quadrelli, Quirino Principe, Sergio Quinzio e Armando Plebe. I relatori erano per l'occasione Marcello Camillucci, Gino De Sanctis e Quirino Principe. Il dibattito è stato interessante, perché metteva sotto accusa i critici letterari che lavorano a pagamento per case editrici e giornali detentori del potere dell'industria della cultura. Le accuse contro costoro, contenute nel libro, secondo i relatori, sono pesanti: Quirino Principe ha insistito sulla scarsa attendibilità di Carlo Bo il quale, se avesse dovuto leggere tutti i libri


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di cui scrive, avrebbe dovuto vivere milioni di anni luce! (sottolineato da 'scarsa' fino alla fine del periodo, in prima facciata) Ed io ne sono convintissimo. Un aff.so e cordiale saluto anche per i Suoi. Auguri per il prossimo anno. Suo D. Defelice.” Saluti cordiali ed auguri Clelia. (con diversa grafia, sempre in prima facciata) Passione per le Italiche Lettere. Si, perché il Defelice si era già rivelato d'animo in canto con una testimonianza poetica di giovinezza 'DODICI MESI CON LA RAGAZZA', che il Pedrina aveva molto apprezzato. C'era già stato anche un legame di consuetudine attiva con gli altri Amici di 'Realismo Lirico', a guida di Aldo Capasso e de 'La Procellaria', con l'indimenticabile Francesco Fiumara, che non vuole disperdere la ricchissima eredità spirituale e compositiva, poetica e narrativa, oltre che etico-politica, lasciata in essere dopo la fine della pubblicazione della creatura di Capasso. Pomezia Notizie è ora la creatura della mente, dell'intelligenza e del cuore del Defelice ed ha già compiuto 40 anni. Un ricordo grato va alla memoria di Elena Bono, scomparsa di recente e che ha trovato ossigeno puro tra le pagine di questa Rivista e sulla quale mi impegno a lavorare con investigazioni inedite. Il Pedrina ne sarebbe stato fiero, sinceramente, perché i collaboratori di questa testata dignitosa e libera, con i loro lavori, hanno negli anni garantito alta qualità della produzione poetica, letteraria, etica e storicopolitica, tutti con alle spalle severa disciplina del fare nella vita civile come nell'arte, nell'ispirazione poetica e nella critica letteraria. Nell'Aprile del 2007 Domenico Defelice dedica a Francesco Pedrina il numero speciale de 'Il Croco', la 'voce' dei quaderni letterari di 'POMEZIA-NOTIZIE', a 111 anni dalla nascita del suo Maestro ed Amico e a 36 anni dalla sua morte: in quell'occasione, nella presentazione, sottolineo: “DOMENICO DEFELICE ha conservato con cura le Epistole di Francesco Pedrina come cosa cara, a livello affettivo, per l'Amico e Maestro, ma an-

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che come dato storico-estetico, perché al loro interno egli ha rilevato una continuità inscindibile tra lo scrittore, l'uomo, l'appassionato della vita, oltre che un importante 'spaccato' della Storia della Letteratura del '900, intrecciata di libertà, di valori forti, di coerenza.” (op. cit. pag. 2). È certo che questa lettera, qui riportata integralmente, si nascondeva abilmente tra le pagine manoscritte di uno dei quattro volumi rilegati all'antica, che raccolgono il Commento ai Promessi Sposi, in attesa che passassero altri 7 anni... Nella prima pagina del I Volume trovo 'Commento ai “Promessi Sposi” di Francesco Pedrina 17 aprile 1966 - 27 marzo 1969'. La lettera del Defelice era dentro al II Volume, alla pagina con numerazione in matita rossa '511' (indicazione dall'inizio del lavoro) ed in biro blu '35' (indicazione dall'inizio del Capitolo, l' XI, con data '29 - XI – '67'. Trascrivo in dettaglio: “...che è quasi un contendere al M. il suo 'cantuccio', cosa che io non mi sento di fare. 373-374 ...quella gran macchina del Duomo (sottolineato con un tratto, in riferimento al testo manzoniano qui in commento, n.d.r.): nel Seicento, e anche due secoli dopo, al tempo del M., Milano era raccolta in una cerchia limitata tanto che al Giusti la stessa chiesa di Sant'Ambrogio sembrava 'fuori di mano'. Non aveva invaso ancora il territorio intorno, né erano sorte le grandi costruzioni d'oggi: perciò a chi avanzasse, come Renzo, dalla pianura, la gran mole del Duomo appariva isolata e solenne, 'come sorgesse in un deserto'. Questa immagine e lo stupore di Renzo ('e si fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi guai') danno rilievo alla visione, cara anche al cuore dello scrittore milanese; - quell'ottava meraviglia (sottolineato, n.d.r.): da aggiungere alle sette degli antichi. L'espressione, per quanto riguarda il Duomo di Milano dalle cento guglie, appare già in uno storico del Cinquecento (cfr. P. Mongia, Historia delle antichità di Milano, Milano, 1562, cap. XVI). Sono le prime impressioni di Renzo


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viaggiatore, di Renzo che s'inurba: alla visione del Duomo di Milano, ...” (fine pagina, n.d.r.). Quattro tomi in fogli manoscritti vergati in forma chiara, lineare, senza correzioni: secondo la tradizione rabbinica, si supera l'esame conclusivo del percorso di studi per il rabbinato soltanto se la grafia è la rappresentazione diretta del proprio pensiero in riflessione esegetica sulla Torah, pensiero chiaro e sciolto, illuminato, che non deve presentare dubbi o tentennamenti e dunque cancellature. I Rabbini, lo sappiamo, sono veramente esigenti e questa caratteristica di Papà avrebbe riempito tanti di loro di sincera commozione. Si, nel 'Libro dello Zohar', il testo del Grande Splendore, che ho iniziato lentamente a commentare, distillandone le emozioni, due Rabbini si incontrano e parlano tra loro e si mettono a piangere copiosamente nell'osservare l'Armonia del Creato e la Bellezza come doni dell'Altissimo, benedetto sia il Suo Nome! Anche Papà non si vergognava di commuoversi in pubblico, quando l'armonia in poesia toccava vette estetiche di grande coinvolgimento. Certo Friedrich Nietzsche si è

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molto innervosito con gli accademici quando non ha superato l'esame di Teologia, obbligatorio per entrare ad insegnare filosofia nelle Università tedesche, risultato che gli ha decretato così un futuro percorso di scrittura e di vita di grande tensione e quasi di vero risentimento! Francesco Pedrina non ha potuto rispondere alla lettera del Defelice, perché è venuto a mancare il 16 Gennaio 1971, io gliel'ho letta poi ho rimosso tutto perché quella perdita, per me, ha tracciato una ferita che vado via via da tempo a medicare grazie a Domenico Defelice, grazie a quella fraternità profonda che ci lega ora, nei progetti, negli intenti, nella lotta senza quartiere all'indecente sopruso dell'arroganza. Allora torno ancora a 'Il Croco' dell'Aprile 2007 e riporto importanti sezioni dell'ultima lettera del Pedrina, quasi un'anticipazione dello spirito, in trasparenza: “Caro Defelice, ricevo la sua lettera del 7 novembre e la ringrazio del ricordo e del cenno alla mia virtù di scrittore, alla mia 'semplicità, straordinaria, solare chiarezza'. A questa s'aggiunga la mia penetrazione non comune, sulla quale non può rimanere alcun dubbio dopo il commento de' Promessi Sposi, ma, ahimé! - nessuno ha il modo ancora di constatarlo perché la stampa s'è arenata alla correzione delle prime bozze. Sono sei mesi che non ricevo nulla dall'editore Trevisini, ad altre faccende o ad altro libro affaccendato. Il bello è che mi vien mancando la vista e Dio sa con quale fatica affronterò la nuova lettura del commento. Mi aiuta, sempre entusiasta, Nerina la Maremmana, ma il suo aiuto non è sufficiente. Ci vuole il controllo mio. Di questo passo il libro non sarà pronto neanche per la primavera del '71. Questo proprio non era nei miei programmi..... Ho lavorato in questi mesi a Vela d'argento e ormai il libro è pronto per la stampa. Il difficile è trovare un editore senza contare che una mezza dozzina di protagoniste o sono spose novelle o fidanzate prossime ad essere condotte


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all'altare. Ho versato su di loro gigli a piene mani, non potranno che esser lusingate, ma, ma, ma....insomma, vedrò. In Realismo lirico è uscito il racconto 'Butterfly': è piaciuto molto, ma risale al 1926. Alle vecchie vicende s' innestano le nuove, in omaggio all'epigrafe dantesca di Vela d'argento: 'e quivi ragionar sempre d'amore'. Ma Vela d'argento, oltre che all'isola delle belle, approda all'isola degli eroi e de' poeti. Un libro che farebbe un chiasso grande se l'avesse scritto Montale, Bo, Ossobuco ecc. ecc. Cordialità alla sposa. F. P.” Con grande, toccante, sincera franchezza Domenico Defelice risponde a questa lettera del Pedrina, consiglia, approva, bacchetta, apre squarci importanti sul futuro percorso critico e letterario che prenderanno gli eventi in Italia: POMEZIA NOTIZIE nascerà infatti tre anni dopo. È mio impegno ora arrivare ad aprire un dialogo con Quirino Principe che, citato dal Defelice, ha mantenuto come scrittore e critico musicale una elevata competenza d'ampio respiro, un rispetto profondo degli eventi storici e dei loro risvolti, la dignità piena dell'intellettuale che non si vende. Ilia Pedrina Foto di pag. 19: Francesco Pedrina al centro della foto, tra Antonio Nievo - padre dello scrittore Stenis Nievo - e il sindaco del comune di Colloredo. Pag. 21: Una lettera di Francesco Pedrina a Domenico Defelice

IDDIO NON CONOSCE GLI UOMINI I Gli uomini estasiati e abbattuti, piegati e distesi, illuminati e chiusi, lerci e chiari, muti e chiassosi. Gli uomini come le palle al gioco delle bocce, né capo né coda hanno, rotolano a caso. Gli uomini pieni e vuoti, fermi e in alto, purificati e infangati. Iddio è lontano da loro e dai movimenti che li spingono. Iddio sa il limo

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e la crosta della terra, la fermentazione dei germi, ha messo le radici della vita, i semi vivificatori di tutti gli esseri, le piante, i vermi e le farfalle, il mondo inorganico sterminato e gli oceani per entro il moto delle armonie celesti. II Iddio creatore della luce, dell’infinito e delle stelle, non sa i tempi finiti dell’uomo né i ritorni dei germogli che si aprono in primavera, [ non sa dove si trovano i nostri luoghi felici, i paradisi che sfuggono alle frenetiche ansie. Non vede i nostri ingranaggi né come vanno i giorni, se con senno o per strade sconnesse che ai passi danno fatica. Gli scontri e gli attriti, le discontinuità che sbarrano il cammino, le tenebre e la fatale fine. Iddio-mistero non sa gli sperdimenti dell’uomo, non vede la vanità e le superbie, i legami magici e le crocevie ai limiti dei baratri. Iddio non conosce l’egocentrismo e la ferocia, non vede l’uomo nelle ramificazioni del grande mare degli esseri viventi dalle forme e colori infiniti, sopra i monti sconfinati e nello spazio eterno del Creato. Leonardo Selvaggi Torino

MELODIA Una melodia misteriosa copre la polvere del tempo. La perseveranza nell’attesa sparisce con determinazione. Senza rimpianti ha ucciso l’ultima parvenza dell’amore. La sconvolta abitudine, l’angoscia del presente si disperdono,in fretta, al suono della nuova melodia. Anna Maria Bonomi Roma


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Il Racconto

LA CACCIA di Anna Vincitorio

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UEL documentario animalista nella sua reale crudezza l’aveva letteralmente sconvolta. Nel rientrare, la sera, la sua ovattata solitudine si era animata di ricordi lontanissimi che adesso rimetteva a fuoco. La Versilia anni ’50, le lunghe ombrose pinete e quell’odore di innocenza che promanava dai corpi giovani di quei bambini non ancora ragazzi che sfrecciavano sulle biciclette “Bianchi” dal manubrio rigido. Risate, lunghe corse per interi pomeriggi, lei sempre in coda, meno abile come ciclista. Ricordava che per fare una inversione era costretta a scendere e a girare la bici. Non importava, era in compagnia. I capelli scomposti dal salmastro, l’ abbronzatura ancora lieve che accentuava le piccole efelidi sparse sul suo volto di bambina e tanta voglia di essere con gli altri. Al limitare della pineta si sofferma; riiniziano le case, piccole, bianche, circondate da giardini. Il sole nel cielo è ancora alto, gli altri sono lontani. L’aria è improvvisamente popolata di strida gutturali che si susseguono con frequenza tragica sempre più pressanti. Lei avverte un brivido, una sensazione raccapricciante. Le strida si avvicinano; più lontane, voci e uomini in corsa. Una palla rosa si delinea e fugge atterrita. E’ consapevole, nella sua pelle di animale, di non avere scampo. A chi raccomandarsi per un atto di pietà o di rinuncia? La bambina è ferma in quel tiepido pomeriggio d’estate. Adesso le ombre dei pini da lontano non le sono più amiche. Lunghe braccia verdi sembrano ghermirla. Le torna alla memoria il racconto di suo padre. Il nonno medico che non si faceva pagare dai pazienti poveri, rientrando una notte col calesse, udì dei grugniti; c’era un maialino, dono dei grati ammalati. Fu chiamato Mattiuccio e visse nel giardino circondato dall’amore dei bambini. Ma lei è al sicuro. E’ vero, ma ha percepito una caccia

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volta ad uccidere. Non conosce la morte ma ne percepisce l’odore. Sparisce il piccolo corpo rosa roteante; sempre più forte quel grido gutturale. Uomini sempre più in corsa. Qualcuno ha in mano un forcone; l’ultimo urlo, poi il silenzio. Il sacrificio si è compiuto. L’indomani da una tavola imbandita nel verde dell’ombra, all’odore del mare si unirà il profumo di carne croccante e saporita consumata in allegria. “Dove eri finita, Annina? Ti abbiamo aspettato ma tu non arrivavi.” Non risponde, è interdetta e inforca nuovamente la bicicletta; un sandalo le sguscia via dal piede e finisce nel pantano. D’un tratto quella vacanza è come diventata pesante. Va verso il mare col suo costume di lana verde e si tuffa. Lì vicino i pescatori di arselle le sorridono. “Perché quel faccino triste, mimmina? se vuoi ti diamo un po’ di arselle”. “No, grazie. Ho solo voglia di mare.” Si butta sulla sabbia tiepida, ne afferra un pugnello, cerca conchiglie da portare al nonno che domani compirà novant’anni e lo aspetta una grossa torta con tante luminescenti candeline. Tanti ricordi di quel Forte dei Marmi non ancora vip e quell’odore umido di legno di cabine e le corse e i giochi ancora innocenti... “Che ore sono?” si chiede. Ha un po’ freddo e, come d’abitudine, si prepara una cena frugale. Squilla il telefono. E’ il rituale della sera. Quella voce un po’ roca la raggiunge e assume l’indefinita dimensione del silenzio. Parole alternate a poesie, speranze, delusioni, impotenza. E’ come un guerriero all’indomani di una guerra perduta. Consuntivo di una vita: sbagli, rivincite, cedimenti. A tratti vorrebbe ricominciare ma... Discorsi interminabili inframmezzati da pause. Ha bisogno d’aiuto ma non lo ammette. Impari lotta in una posizione di stallo. Vorrebbe lasciare quella casa, che, zeppa di ricordi, ricade su di lei come un pesante coperchio. Non è lontana la Pasqua ma per lei non ci sono spiragli. Si sente pellegrina nella Via Crucis; recita il rosario. A sprazzi, ricordi: braccia vigorose che si allontanano in un profondo mare; lei ha paura: tracce inquietanti di presenze. “Ieri sera ho trovato spalancato l’


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armadio che io stessa avevo chiuso. Sul guanciale di... ora vuoto, l’impronta di una testa; forse il gatto? Dove hai nascosto le mie sigarette, dammele”. Ma la casa è vuota; realtà e follia si alternano attraverso il filo del telefono. Annina ascolta, poi parla cercando disperatamente di aprire all’amica uno spiraglio in quella coltre che s’addensa e la cinge. Consigli, qualche spronata, ma... serve? Potrebbe fare di più? Il telefono fa bip, bip per più di un’ora. Tutto si conclude regolarmente con un affettuoso quanto inutile commiato. Si ode squillare nuovamente/ “Mamma, il tuo telefono era sempre occupato, tieni almeno acceso il cellulare...” Per lei voci e ancora vita. Quasi si sente in colpa per i suoi guizzi improvvisi di allegria. Accende la TV, davanti ai suoi occhi distese di mari ignoti, luci, esotici profumi in cui annegare e annientarsi. Poter scordare tutto e rivivere istanti di gioia. “Devo ancora cenare”, mormora. Apre il frigorifero; ben allineate nei vassoi frutta e verdura. “Per fortuna stasera non c’è carne”. Anna Vincitorio

50 ANNI 14 maggio 1964 14 maggio 2014 50 anni son passati da quando la bellissima e modernissima nave Marconi, al suo secondo viaggio in Australia, al porto di Melbourne arrivò, e noi a vedere quel mondo nuovo, di corsa scendemmo tra la gente che sventolava fazzoletti bianchi, sorrisi e lacrime di gioia. Melbourne, splendente di sole, ci accolse a braccia aperte, con le sue larghissime strade, i giardini verdissimi infiniti, maestosi alberi e fiori dappertutto, i grattacieli svettavano verso il cielo azzurro, i negozi abbaglianti di insegne luminose catturavano lo sguardo,

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e tante sfolgoranti di luci annunciavano: "Sale!" Ma quanto sale si vende in Australia? Invece significava 'svendita!' Tante altre sorprese ci riempirono il cuore di entusiasmo e tanta gioia. Tutto era bellissimo, tutti erano contenti, tutti avevano un lavoro sicuro. Ma l'indomani già s'incominciò a soffrire di nostalgia, si stava bene, ma ci ammalammo del male incurabile della malinconia. Son passati 50 anni Italia mia e ancora il cuore piange e non guarisce! 14 - 5 - 2014 Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.), Melbourne, Australia

LA PIOGGIA BAGNA LA CAMPAGNA Più volte mi ricordo e più volte vi ritorno fra i sentieri e le vie che da fanciulla giocavo e pensavo. Dipingevo sogni e fantasie che ora rincorro su altra strada. Nella loro miseria un prato verde ed uno stagno a ranocchi. Pensieri alti e vuoti corrono nella mia fantasia e certa di un risveglio colgo giochi d’infanzia dove il sole caldo colora le facciate della casa. La piazza è vuota e dal campanile alto si odono le ore lente. E giungerò alla riva del fiume potando zavorra e paglia e scricchiolano le scarpe sulla ghiaia di quel cortile fiorito mentre la pioggia bagna la campagna e volano stormi bassi. Alda Fortini Villonngo, BG


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LA CORRUZIONE E L’ITALIA di Raffaele Cecconi

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LIVIERO Toscani a Piazza pulita TV 7 - sentenzia con forza a proposito della classe politica italiana: “Ma quale classe politica? Io sono un anarchico. E il nostro è un paese corrotto di corruttori e corruttibili”. Anche se ciò spesso è vero non mi sento in alcun modo di dargli ragione. Perché dopo aver tanto visto, vissuto e giudicato, considero il mio paese anzitutto bellissimo e non solo pieno di corruttori ma di tante persone che da sempre s’impegnano, faticano e lavorano onestamente. Le catastrofi esistono come pure i catastrofisti. Ma non si possono assegnare al nostro paese qualità negative che riguardano molte altre nazioni, per non dire che esistono in gran parte del mondo. Essere corruttore e ladro non significa essere italiano. Mentre riguarda i disonesti in quanto uomini di qualsiasi nazionalità. Oliviero Toscani può generalizzare fin che vuole. Però non si può far passare un’ affermazione negativa come se fosse un oracolo e indiscutibile verità. Basta riflettere un attimo sulla storia di ogni epoca e di ogni tempo per capire che nel corso dei secoli tutti i paesi, chi più e chi meno, non sono stati certo esempio di virtù, di moralità e correttezza. Gli angeli e gli uomini puri esistono solo nei dipinti che illustrano i miracoli e le gesta dei santi. Ma i vari popoli, chi per un verso e chi per un altro, si sono sempre macchiati di crimini, spesso orrendi, e la corruzione non è una pizza e una specialità di marca solo italiana. Prendiamo pure in esame paesi europei o extraeuropei, case reali o repubbliche, paesi democratici o meno. E chi è senza peccato scagli la prima pietra. A proposito di uomini, e del loro comportamento, mi capita spesso di citare Gauguin il quale insieme ad altre cose dice a un certo punto: “A forza di vivere si finisce di sognare una rivincita e bisogna accontentarsi del sogno”.

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E per conto mio mi permetto di aggiungere: “Se un vecchio sogno è insufficiente affidiamoci a un altro nella speranza che sia migliore”. E’ per questo che ogni uomo vive.

LAVORO Quasi tutti i politici affermano spesso: “Stiamo lavorando”. E ogni tanto sarà anche vero. Ma per chi li ascolta, molto più spesso, è viva la sensazione che stiano solo parlando tra litigi e promesse rivolte all’elettorato. Non possiamo certo dire sempre che “il silenzio è d’oro”. Ma nemmeno la chiacchiera e il vano cicaleccio.

RIFLESSIONI AD ALTA VOCE Non amo i grandi comizi, le proposte furbe, con tutte quelle cose che si riducono a solenni proclami. E mi limito a fare, ogni tanto, quelli che non chiamo discorsi ma solo riflessioni ad alta voce. Anni fa un amico, sapendo che mi ero sposato non giovanissimo, commentò così: “Hai fatto bene, meglio tardi che mai”. Ma ora da vecchio, se penso che devo morire, faccio le corna e dico: “Meglio mai che tardi”. Quando dichiaro queste cose mi chiamano umorista. Se ne dico altre più serie mi chiamano moralista. Se poi non dico nulla, come ho voglia di fare spesso, allora passo per indifferente e come un tizio che non ha voglia di esporsi. Questo accade perché gli uomini hanno sempre bisogno di criticare il prossimo, quello che fa e quello che dice. A volte uno è convinto di capire solo ciò che riesce a capire. E a volte invece crede di aver capito anche ciò che non ha capito. Definizione sibillina? Può darsi. Ma il Paese degli Equivoci è grande per lo meno quanto è grande, per Saint-Exupèry, il Paese delle Lacrime. E non possiamo negare che anche il sorriso, a volte, affiora e spunta proprio tra le lacrime.


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Ma allora, osserverà qualcuno, cosa si può suggerire a dei mortali umoristi o moralisti che siano? Direi niente di speciale. Forse solo di continuare a piangere sorridendo oppure, se preferite, di ridere piangendo. Visto che gli uomini di ogni condizione, di ogni età e razza non sono perfetti, è altrettanto vano aspettarsi un mondo soltanto perfetto. E possiamo solo immaginare, come argutamente sosteneva Chesterton, “un prato dove l’erba è soltanto verde”. Raffaele Cecconi

LA LOTTA DELLE CONQUISTE I nostri vestiti sono intrecciati di carne umana. Le nostre case sono costruite di ossa di combattenti. I nostri fiori sono innaffiati con il sangue e il sudore di alcuni uomini conosciuti e sconosciuti, in tutto lo spettro della storia dell'umanità. Il diritto di gridare fortemente sulle strade per quello che voglio o non voglio, me l'hanno dato alcune persone pagando con il loro dolore, con il loro sangue, con le loro lacrime, con il loro sudore, con la loro stessa vita. Il diritto di innamorarmi, di odiare, di dire la mia opinione liberamente, senza aver paura, di divertirmi, di camminare a testa alta, di ridere, quando voglio e come voglio, di sapere che la legge mi protegge, e che io la proteggo anche, di sapere che posso vivere veramente, di sognare il futuro, di leggere e di scrivere i miei pensieri. Per tutte queste cose,

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un uomo è morto in un bosco che si bruciava. In una casa che crollava. Su una strada un uomo è morto dalle armi dei soldati. Tutto quello che io, tu e ognuno gode, è la vetta della piramide degli sforzi di tutti gli uomini. Non c’è e non ci sarà mai nella nostra società qualcosa che è stato conquistato senza lotta e senza sacrifici. Per ogni verità, per ogni scoperta, un sogno muore, un istante, un giorno, un uomo. Continua perennemente la lotta incessante delle conquiste entro le nostre vite, nei momenti di ogni giorno e di ogni notte, mentre respiriamo un fiato di ossigeno. Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di: Giorgia Chaidemenopoulou

FARFALLE SELVAGGE Sciamano Un omaggio Al sole che sorge Che filtra Tra secolari alberi Un carnevale di colori Che sfiora la pelle Pulsare d’ali Mettono i brividi Portano vita Tra milioni di fiori Assetate di nettare Fecondano Son baci profondi Dati in un attimo Non è passione Ma puro amore Che natura dona Per rendere eterno Il giardino dell’Eden. Colombo Conti Albano Laziale, RM


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I POETI E LA NATURA - 33 di Luigi De Rosa

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L'acero indossa una sciarpa più gaia, e la campagna una gonna scarlatta. Ed anch'io, per non essere antiquata, mi metterò un gioiello.” Ma l'approccio di Emily alla splendida natura che la circonda si fa meno “leggiadro”, si approfondisce, nella poesia n° 40: “Quando conto i semi sparsi sottoterra che poi fioriranno quando penso a tanti che giacciono là sottoterra e che saranno accolti in alto e quando credo nel giardino che i mortali non vedono, quando colgo i suoi fiori con la fede e ne scanso le api, so allora rinunziare a questa estate senza rimpianto.”

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

NEL GIARDINO DI EMILY DICKINSON ( 1830-1886)

A

lberi, fiori e frutti, campi. Interpretati da una donna-poeta, femminilizzati e visti addirittura “in concorrenza” con lei stessa sul piano degli indumenti da indossare. Anche questa è una delle sorprese che ci vengono regalate dalla grande poetessa americana Emily Dickinson. E precisamente dalla sua poesia n° 12, tra quelle ottimamente scelte e tradotte da Margherita Guidacci. (E' noto che le composizioni della Dickinson non hanno titolo, ma sono indicate con un numero progressivo dall'1 al 1760) : “ Sono più miti le mattine e più scure diventano le noci, e le bacche hanno un viso più rotondo, la rosa non è più nella città.

Emily Dickinson nacque il 10 dicembre 1830 ad Amherst, cittadina del Massachussets di soli tremila abitanti, da un' importante famiglia di tradizioni puritane, in una casa molto elegante e con un bel giardino. Villa e giardino nei quali trascorse praticamente in ritiro tutta l'esistenza, insieme a Lavinia, la sorella minore. Passava il tempo scrivendo migliaia tra lettere e poesie. Il suo epistolario è fondamentale per la conoscenza del suo mondo poetico. Quanto alle poesie, nel 1862 toccò il record delle 365 poesie scritte in un anno, praticamente una al giorno. Ad accudirla nelle cure personali e a sbrigare le faccende domestiche pensò sempre Lavinia. Forse non tutti sanno che per quindici anni di fila Emily non uscì di casa, e che faceva fatica anche ad uscire dalla propria stanza, prediligendo la ricca biblioteca dell'amato e temuto padre, l'avvocato e politico di successo Edward Dickinson che, pur amandola, non la comprendeva in quella sua passione per lo scrivere lettere e, soprattutto, poesie. Delle sue circa duemila poesie ne pubblicò


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solo 11 in tutta la sua vita. Non fece mai nulla per farle pubblicare, anche per il timore di reazioni negative da parte dei suoi familiari. L'unica volta che ne mandò alcune al critico letterario di un periodico, un certo Thomas Higginson, per averne un giudizio, restò amaramente delusa perché il buon uomo, pur restando colpito dai suoi versi, li dichiarò sfortunatamente impubblicabili. E perché? Semplicemente... perché erano stati scritti da una donna. Il signor Higginson, come gli uomini del suo tempo (compreso, ovviamente, il padre di Emily), e non solo quelli del Massachussets, era convinto che le donne non dovessero mettersi a scrivere, tanto meno poesie, e che in ogni caso non dovessero pubblicarle... Fu allora che Emily, ferita nel suo amor proprio, nelle fibre più profonde dell'anima, si autorecluse in casa e in giardino, dando di sé, a più d'uno, l'immagine di una “pazza” e di una “isterica”, ma in realtà soffrendo molto nel suo cuore delicatissimo e incompreso. L' unica consolazione la trovava nella Natura, nel giardino in particolare, che rappresentava, ai suoi occhi, un'immagine-campionario dell' intero mondo esterno. Il Dolore ebbe una grande parte nella sua vita intima, nelle sue liriche si “respira” molto Leopardi (1798 1837), oltre ad una certa aria foscoliana. Non è dato sapere se abbia letto il grande Recanatese. Quando Emily nacque nella lontana America, Leopardi aveva 32 anni, e sarebbe morto, a Napoli, soltanto sette anni dopo. A parte quella di un'ottima conoscenza della Bibbia, è comunque evidente un influsso di Shakespeare. Il linguaggio è comunque semplice ed essenziale, la punteggiatura quasi assente, a parte i punti, le virgole e qualche trattino... Emily si era immedesimata a tal punto col suo giardino da confessare (nella poesia n° 19) : “ Un sepalo ed un petalo e una spina in un comune mattino d'estate, un fiasco di rugiada, un'ape o due, una brezza, un frullo in mezzo agli alberi -

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Ed io sono una rosa!” L'unico modo, per una tale prigioniera, per attingere l'infinito attraverso le piccole cose finite. Luigi De Rosa

PALOMA En el cielo vuela, vuela la paloma mensajera con el mensaje que lleva para aquélla que la espera. Aquella dama tan joven de aquel castillo rosado, la del vestido de gasas de un color semi perlado. La quiso abatir un hombre con su fusil apuntando pero la bala - por suerte la bala no dió en el blanco. Y llegó la palomita a su destino de amor, la recibió su señora con palpitante rubor. Susana Soiffer Tel-Aviv, Israel

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 12/6/2014 Truccata da Primavera del Botticelli, la ministra Marianna Madia annuncia l’ennesimo tentativo della riforma della Pubblica Amministrazione. Alla dichiarazione che la mobilità dovrà effettuarsi entro i 100 km., apriti cielo! Entro i 50? Sguardi severi, occhi spiritati e puntati a mitraglia. Entro i 25? Alleluia! Alleluia! Se dovesse ancora perdurare, da lavoratori e sindacati, un negativo giudizio, vorrà dire che, come per il passato, obbligatoriamente, essa verrà attuata intorno ai muri perimetrali dell’uffizio! Domenico Defelice


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(Disegno di Serena Cavallini)

Recensioni ANTONIO TODDE IL VARIETÀ Edizioni Le Mani, Recco, 2013, € 18,00 Nelle Edizioni “Le Mani” di Recco, che si sono negli anni rese benemerite per la particolare attenzione riservata al mondo del cinema e del teatro, è apparso nel 2013 un grosso volume di Antonio Todde, intitolato Il Varietà, riccamente illustrato da vignettisti di valore, che ci offre un’ampia e compiuta visione di questo tipo di teatro, fiorito in Italia dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. Il libro, che si giova di una vasta documentazione bibliografica ed offre numerose notizie sugli autori trattati, rivelando con ciò la serietà della ricerca compiuta, si presenta come l’opera più completa del Varietà e certamente come indispensabile per chiunque voglia approfondire la storia del suo nascere e del suo svilupparsi. Ad apertura di libro se ne indagano le origini, che si fanno risalire al Café chantant parigino, al tempo della Belle époque. Emergono qui subito alcuni nomi, come quelli di Lina Cavalieri e di Anna Fongez; dell’imitatore Nicola Maldacea e del trasformista Leopoldo Fregoli. Molto fertile di talenti in questo settore fu Napoli, dove nacquero numerosi uomini di avanspettacolo, quali Raffaele Viviani e Angelo Musco; Gennaro Pasquarillo e Armando Gill. L’analisi di Todde prosegue serrata, con due capitoli su Edoardo Ferravilla e su Turlupineide, Rivista

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di Renato Simoni, per poi soffermarsi specialmente su Ettore Petrolini, romano di origine toscana (1884), autore di versi comici e di farse. Celebri sono rimaste le sue macchiette, caricature e parodie, come quelle di Cyrano di Bergerac, della Traviata e di Gastone. Ebbe molto successo e persino dei pubblici riconoscimenti, come quello di Ufficiale dell’ Ordine della Corona d’Italia (1923). Attore comico di successo fu anche il genovese Gilberto Govi (1885), famoso per alcuni personaggi fortemente caratterizzati, come quelli del protagonista de I manezzi pe’ majâ ‘na figgia; di Annibale Bacigalupo, in Impresa Trasporti Ultima Dimora e di Pietro Burlando ne Il porto di casa mia. Al Varietà, all’Avanspettacolo e alla Rivista Todde dedica tre Capitoli, nei quali esamina le origini e gli sviluppi di queste forme teatrali, per soffermarsi poi specialmente su attori di grande talento, come Totò (al Secolo Antonio De Curtis; Napoli, 1898). “La sua comicità sottende una tristezza esistenziale” dice Todde, e con ciò va veramente alle radici dell’arte di questo grande attore. Famosissimo di lui è il personaggio di Felice Sciosciammocca, in Miseria e nobiltà; ma innumerevoli sono le sue macchiette dalle battute fulminanti. Moltissimi i suoi film, l’ultimo dei quali, Uccellacci e uccellini, ebbe come regista Pier Paolo Pasolini. Seguono i Capitoli dedicati a Erminio Macario (Torino, 1902), famoso per la sua comicità un po’ surreale e sfumata, e per le sue “donnine”; e a Wanda Osiris (Roma, 1905), dalla prorompente personalità e dalle lunghissime scale. Vengono successivamente presentati Aldo Fabrizi (Roma, 1905), “dalla personalità debordante e dalla straripante fisicità” e Nino Taranto (Napoli, 1907), amico di Totò, col quale recitò più volte, interpretando anche alcuni film. Seguono il sanremese Carlo Dapporto (1911), “re della barzelletta”, e il torinese Renato Rascel (1912), noto per le sue “canzoni comiche” e per i suoi strampalati monologhi; Alberto Sordi (Roma, 1920), attore di talento in molti spettacoli e film del Secondo Dopoguerra, lavorò anche per la RAI, con il programma Vi parla Alberto Sordi. Accanto a lui vanno ricordati Nino Manfredi e Gigi Proietti; Franca Valeri, con la sua “Signorina Snob” e Dario Fo, vincitore del Nobel Per la Letteratura nel 1997. Più vicini a noi, dopo Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, troviamo Walter Chiari (Verona, 1924), dal “temperamento esuberante, entusiastico, giovanilistico”: famosa è la sua macchietta del Sarchiapone. “Attore comico dotato di simpatia e sorriso contagiosi” fu il milanese Gino Bramieri (1928), molto


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abile nel raccontare barzellette, cui fecero seguito il napoletano Alighiero Noschese (1932); il catanese Rosario Fiorello (1960); il foggiano Renzo Arbore (1937); il genovese Paolo Villaggio (1932) e numerosissimi altri, specie attori di Cabaret, come Arnoldo Foà, Maurizio Costanzo e Giorgio Gaber. Il volume si chiude con quattro capitoli, rispettivamente dedicati a Paolo Villaggio, Roby Carletta, al gruppo cabarettistico Cavalli Marci e a Luigi Maio, oltre che con una Nota sull’autore, triestino di nascita, genovese di adozione, di padre cagliaritano, di madre napoletana e studente a Cuneo; sposato con due figli e proprietario di diecimila libri e cinquemila dischi. Un libo di grande interesse, che getta luce su un vasto settore dell’attività teatrale svolta in oltre un secolo nel nostro Paese. Elio Andriuoli

GIANNI RESCIGNO UN SOGNO CHE SOSTA Genesi Editrice, Torino, 2014 Già sulla soglia del libro il poeta ferma per un attimo il lettore con un ammicco che è nel titolo sotto forma di allitterazione/paronomasia: Un sogno che sosta. Appena il tempo di chiedersi ragione di questo titolo e la risposta è lì, in quarta di copertina, dove è riportata la prima poesia del libro. Eponima. Eccola, nella sua bella intensità epigrammatica: Da dove venimmo /là torneremo: questa / vita un sogno che sosta / tra acqua e vento / caduta di foglie / e festa di fiori. (“Un sogno che sosta”). Dunque l’ espressione un sogno che sosta definisce la vita, la nostra breve -ce lo suggerisce il verbo – dimora in questa dimensione, tra segni di bella ambiguità semantica (acqua e vento possono avere valore positivo o negativo) , mentre invece sono collocati su poli opposti, ma invertiti (anche se contigui), gli estremi - o, se si vuole, i dati salienti- della vita (“caduta di foglie” e “festa di fiori”). La vita, un sogno: per la brevità, per la vaghezza, per le speranze che la connotano. Leggo Rescigno e penso a Saba. Hanno in comune un aspetto di scrittura che è l’adozione di quelle che G. Debenedetti chiama “parole senza storia”, lessico quotidiano per celebrare la quotidianità, che è il mondo a cui si ispira l’arte del Nostro, sui versanti della memoria, degli affetti e della natura. Ma attenzione! Le “parole senza storia” del linguaggio giornaliero sono qui liberate dalle incrostazioni e dall’ovvietà dell’uso comune e ricollocate nel ruolo primigenio di significanti essenziali, solidi, reali. Restituite alla loro purezza. Perché Rescigno ha

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scelto di recuperare il senso più vivo e vero della vita attraverso parole vive e vere. E qui sta l’ eccezionalità dell’impresa. Nessuno creda però che questa ricerca di verità e di semplicità implichi nel poeta di Santa Maria di Castellabate la totale rinuncia del linguaggio figurato, del quale solo uno sprovveduto potrebbe osteggiare in toto e a priori l’impiego: cosa che, invece, oggi purtroppo accade. Prendiamo ad esempio il caso della metafora, colpevolizzata e condannata fuor di misura solo perché nel corso dei secoli ne è stato fatto uso e abuso. Più logico mi pare che, invece della metafora,occorra mettere alla gogna i poetastri che se ne sono serviti senza discernimento e ritegno, giacché essa è solo uno degli strumenti a disposizione del poietès che canta in versi la vita. E va usata, come qualsiasi segmento dell’universo della retorica, non a titolo gratuito o come orpello più o meno allettante, ma per pura necessità creativa, quando cioè essa serve per incarnare appieno il fantasma poetico. Proprio come accade in Rescigno, poeta che sa bene il senso della misura e la bellezza dell’armonia, se scrive versi come questi: ....vanno gli anziani a concedersi / lunghi respiri di mare / prima del ritiro del sole (“Prima del ritiro del sole”); oppure: ... il vento salirà le scale / e ti sembrerà che è il mio passo / ad avvicinarsi al tuo cuore (“Se il vento salirà le scale”); o anche: T’ascoltavo dondolando il cuore / al ramo d’un ciliegio già ingiallito / sicuro di portarlo in volo / al paese della stella più lontana (“L’ora della luna”); o infine: E sui rami più sottili / delle sere, divina e perpetua / canta la speranza e chiama l’uomo (“ Ascoltate i poeti”). Si potrebbe attingere a piene mani acqua di poesia da questa ricchissima fonte placando la sete di grazia e di verità: qui ogni lacerto poetico è perfuso di saggezza e venustà, di ricordo e di passione, sfociando talvolta in confessione di umana stanchezza (Sei soltanto un’anima stanca,/ un mucchio di ore inutili / da consegnare a qualcuno /che ti aspetta dietro il cristallo / e che ti dirà ben tornato amico. / E tu gli poserai il capo sulla spalla / senza piangere. “ Davanti allo specchio”), talaltra in fulminante intuizione (Quale inafferrabile fiore / vola la parola. “Il fiore la parola”), con forte effetto di rima interna; oppure in acuta ma rassegnata commozione , come nella lirica “Assunta”, persona di grande religiosità e di dolci parole nei confronti di tutti, che, colpita da un ictus, avendo visto per tre mesi la morte là nella strada a un passo da casa -perché non aveva il coraggio per entrare- e non potendo più parlare, la invita con un cenno della mano. L’ultimo verso, un endecasillabo di rara bellezza (E le fu luce negli occhi la voce) esprime, a livello fonosimbolico, una dolcezza li-


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brata sulle liquide, non interrotta ma impreziosita dai suoni palatali di “luce” e “voce”. Se c’è dolore nella poesia di Rescigno (e come potrebbe mancare nella vita di un uomo?) si legge, al più, in note di tristezza, a tal punto esso è composto e rattenuto. E ciò perché la voce poetante è in totale saggio accordo con la vita, la cui concezione mi pare sia ispirata a tre capisaldi della dottrina cristiana: fede, speranza, carità; e stimo che il loro significato vada ben oltre l’ambito puramente spirituale, trovando linfa e nutrimento in un’ampia e sofferta umanità. La poesia di Rescigno è “necessaria” per un duplice aspetto: perché è un’esigenza ineluttabile dello spirito del suo autore; e perché nel manifestarsi si serve del tratto di penna davvero indispensabile a significare il lampo creativo, nulla di più. Poesia rastremata, dunque, votata all’essenzialità espressiva ma, prima ancora, impulso intenso che prorompe dall’interiorità e reclama spazio vitale. Tutto questo in versi soffusi di dolcezza e di amore, di realtà e di memorie e, infine, del fascino avvolgente della poesia di un uomo innamorato della vita. Pasquale Balestriere

ENRICA GNEMMI REQUIEM a cura di Paolo Zoboli Interlinea, Novara 2014 - Pagg. 106, € 12,00 Enrica Gnemmi (1922 - 2004) è nota per il romanzo Il muro di Berlino uscito nel 1962, e ripubblicato postumo nel 2011 insieme ad un avvio di continuazione in due capitoli, e per il corposo testo narrativo Capriccio. Le avventure di Pfinpfin e Satulit venusiani del 1987. Una parte cospicua di questo libro ha il titolo Variazioni, tre inserti prodotti in tempi diversi che qui, letti ad alta voce da Pfinpfin richiamano nella funzione musicale della variazione il tema già trattato dall’autrice nel Muro di Berlino, quello del Potere e della Tirannide. Le tre partiture sono collegate tra loro, ma la terza, vale a dire Requiem, è più ampia delle altre ed ha inoltre, rispetto ad esse, una sua autonomia che ha consentito al notevole curatore Paolo Zoboli di presentarla come un’operetta a sé stante. Prima di iniziare la mia analisi sottolineo il fatto che non deve stupire il lettore il ricorso alla terminologia musicale da parte di una letterata: Enrica infatti era anche diplomata in pianoforte e svolgeva un ruolo di maestra di canto. E forse con i lemmi, variazione capriccio, non avrebbe potuto, sia pure inconsciamente, richiamare la nostra attenzione sull’armonia e il ritmo della sua poesia, su una personale resa espressiva dove anche

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la prosa richiama il verso? “Sciabolate di fuoco, perché nessuno dimentichi” (pg. 57)...; “dall’ albero si snoda flessuosa la tentazione” (pg. 63)...; “Esce il capro dal recinto; ghirlanda di rose” (pg. 83) ecc. Ma andiamo per ordine, come annota il curatore il primo elemento di Requiem da mettere in rilievo è la struttura religiosa per cui il significato dei racconti, apologhi, poesie organati nell’inserto è anticipato e chiarito dai titoli che sono stati estratti dal rituale della messa cattolica della Messa funebre: Introibo, Kyrie, Dies irae, Benedictus, Osanna ecc. La morte di conseguenza è una presenza dominante nel pensiero e nella poetica gnemmiana, anche se di volta in volta la scrittrice la esorcizza con la potenza spirituale della parola: “la vita è un viaggio nel regno del segreto silenzio”, tuttavia “l’occhio si tende a rapire sonorità interiori... i mai ascoltati sussurri dell ‘ingenuità ignara di mete e di fini”. E nel complemento della musica Enrica cita lo Studio opera 25 di Chopin per spiegare che la parola percorre la storia, ma è strumento per leggere l’ attualità; di qui parte la sua ricerca della Verità, la sua battaglia contro il Potere, l’ingiustizia ed i corollari che ne aumentano la forza. La scrittrice ora ricorre a incisive, inoppugnabili carrellate storiche sulle secolari dolorose vicende occorse alla Polonia: dal martirio di San Stanislao agli assalti dei maestri dell’Ordine Teutonico, dalle spartizioni nel XVIII° secolo del suo territorio all’orrendo massacro di Katyn - 22000 le vittime! -. Si tratta, come ognuno può vedere, di episodi e di persone che nella loro dolente disumanità, sono la cifra di luoghi e figure altri: ecco allora, accanto a presbitero ancora polacco, Popieluszko, il ricordo di un San Thomas Becket inglese, di un Oscar Arnulfo Romero, salvadoregno e quant’altri nel novero dell’umanità calpestata si potrebbero citare. Contro la quale il progresso tecnologico si pone al servizio del Potere: “Rubicondo vitaminizzato - Igea avanzi e l’uomo le si affida” - non ci curiamo di violare le leggi della natura; afflitti dal problema delle scorie atomiche non lo sappiamo risolvere, ne facciamo un mistero che lo sterratore “il becchino non risolverà”. Nella notevole sezione Sanctus, una martellata sequenza insieme narrativa e allegorica accostata al racconto epigrafico delle Tentazioni di Gesù denuncia l’ invito al consumismo “la tavola era imbandita”; “Lo schermo giganteggiava sul muro” sono gli incipit di due apologhi, attualissimi certo cari agli economisti odierni nei loro risvolti deteriori. Certo Enrica non si nega ad una larvata eppure reale speranza di riscatto. Per provarla l’ occasione le viene ancora dalla Polonia, forse per il tramite di quell’uomo di Chiesa che da quest’anno veneria-


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mo come Santo. Così almeno io interpreto il ricordo della costruzione, ad opera del Principe Ladislao di Opole, di un tempio dedicato alla Madonna Nera e quello della sua invasione e della profanazione della santa icona per mano di orde nemiche. Ma proprio dalla Madonna Nera “tutrice della patria” venne la salvezza, “canto che esplode dalle viscere della madre comune”. Sprazzi di luce traversano ora la narrazione di Requiem e, insieme, il linguaggio alto si attenua, si appiana l’ambientazione epica. Divenuta protagonista Gnemmi propone quanto lei stessa per noi e con noi potrebbe fare per una redenzione. Mi riferisco allo splendido, commovente dittico Osanna e Il Labirinto. Il primo brano, rivisitazione del Giudizio Universale di Michelangelo il capolavoro pittorico noto e caro ad Enrica - e forse dell’ Apocalisse di Giovanni Apostolo - lo rappresenta come l’aldilà rasserenato del risveglio dopo la morte fisica: vinto il buio “la verità, ritmo creatore percorre tutto”. La scrittrice ci fa assistere con lei alla “venuta di Maria, tappeto di rose”, del Cristo trionfante “con nelle mani il segno della vittoria”. E avanzano intanto il Giusto e il Poeta, “trasfigurante mania... sapienza abissale”. Non credo che qui la scrittrice parli di sé, ma è chiara la sua convinzione sul ruolo di positività morale, non solo estetica, di arte e poesia. Di forte incidenza autobiografica è invece Il Labirinto, così come possiamo dare anima e respiro gnemmiano alla figura letteraria di Isotta. Si incidono nella nostra memoria, e cementano per sempre affetto e stima, “le notti temute, nel troppo scorrere di notti eterne (quando) nella ruota del tempo cominciarono ad essere desiderate perché la morte non era più orrenda ed ella - Isotta, Enrica - contemplò il proprio nulla e fatta pietosa di sé, accettò il suo destino”. Queste parole che confermano una costante presenza del pensiero della morte nel doppio percorso, creativo e esistenziale, della scrittrice sono un preludio di pochi anni al suo suicidio, ne documentano il coraggio e la scelta per un’estrema testimonianza di opposizione morale al Potere, di ricerca della Verità, di riscoperta della buona umiltà nei rapporti coi fratelli e davanti alla grandezza di Dio per ritrovare la nostra vera grandezza umana. Sono stata collega di Enrica Gnemmi nei lontani anni ‘62/64 e in varie occasioni ho avuto modo di apprezzare la sua disponibilità umana e la sua grande cultura. Ella rimane per me un’amica indimenticabile. Piera Bruno

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ADRIANO ACCORSI IL SOGNO Edizioni Simple, Macerata 2007, Pagg. 80, € 3,00 Adriano Accorsi è nato a Treia nel 1940, ma vive nel capoluogo, Macerata; con Il sogno, opera in versi, raggiunge la sua quinta pubblicazione. Questa è dedicata a Giorgio Bàrberi Squarotti, il quale ne esalta il valore, scorgendovi “l’eco dei romanzi arabi e persiani e, al tempo stesso, dei poemi carolingi.”; aggiungerei pure una visione alla maniera dei gironi danteschi. Mi sembra indubitabile l’impegno profuso nell’ impianto studiato con geometrica simmetria. Il poema si struttura, in sette capitoli, ciascuno dei quali segue uno sviluppo autonomo, nel senso che non c’è intreccio fra di loro, se non lo svolgimento con alcune varianti che distinguono gli uomini che si avvicendano per ciascun capitolo. I personaggi sono tutti denominati come il bambino, un pazzo sette volte, e un saggio pure sette volte. Si susseguono incontri e racconti senza ulteriori agganci fra di loro, aventi per soggetti generalmente altri uomini, inoffensivi, e donne orrende, salvo un gruppo di bambini e una madre. Sul piano letterario non sono in grado di segnalare afflato poetico, ma prosa; i versi (di lunghezza variabile) hanno la brevità dei periodi e risultano trasognanti. Il senso poematico può ritrovarsi nella numerosità delle situazioni descritte, che si ripetono come in una sorta di formulario, secondo un codice da decifrare, comprensivo di numerologia, di colorimetria, di bestiario, come preciserò più avanti. Tento una sintesi del testo. Dall’incipit: “Il bambino vestito d’azzurro/ stava sotto la quercia altissima/ immersa nel silenzio.”, raccoglie foglie cadute che ammucchia intorno all’ albero stesso, dal quale, a raggiera, “nascevano sette viali lunghissimi/ e ognuno diverso dall’altro.” (caratterizzati nell’ordine da: cupezza, chiarore, vento gelido, brezza leggera, alba perenne, sole rovente, illuminazione perenne). Da ciascuno dei viali, volta per volta, viene incontro al bambino, un pazzo, mite, che gli racconta come gli sia stato sottratto il senno e quanto gli sia accaduto; il pazzo è contraddistinto da alcune caratteristiche, in particolare è in compagnia di animali tenuti a guinzaglio o che lo trasportano (nell’ordine: un agnellino, una scimmietta rosa, o insieme un gallo un tacchino e un pavone; un cavallo celeste, o accovacciato entro il marsupio di un canguro gigantesco; oppure in groppa ad una tigre, o a cavalcioni di una fenice); poi si allontana con la certezza di rinsavire grazie alle foglioline dategli dal bambino. Segue l’ apparizione di un uomo, saggio, che fa altre narrazioni, brevi, anche egli in compagnia di animali tenuti a


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guinzaglio o sulle spalle (nell’ordine: castoro, capriolo, volpi rosse; o insieme gaviale blu e pettirosso, cucciolo di pantera, cagnolino viola, insieme tortora e civetta). Infine, nel breve brano di chiusura, l’esito finale mette insieme le figure positive: i sette saggi “seduti sui rami/ e l’albero/ e il bambino/ si mutarono tutti all’improvviso in cenere.”. Mi soffermo brevemente sulla valenza di alcuni simboli. Così il senno viene meno per varie cause, nell’ordine: dalla cattiveria di una donna, dagli abusi sessuali, dal becco di un gabbiano, dalla propria immagine, da una foglia, innalzandosi in volo all’ altezza d’aquila, dall’inebriamento. Il numerario si ha fin dalla struttura dei sette capitoli, sette viali; ventuno scalini per farsi ricevere da una donna dal “volto di bambina” ma dalla voce di una donna di “mezza età”; oppure quando “apparvero sette uomini e tre donne”, due serpenti, tre vipere; nove bambini; altri bambini dagli otto ai tredici anni; un uomo di 40 anni che si ritrova fanciullo al cospetto della madre, oppure di 60 anni dalle mani callose baciato dalla poesia; sette donne ammalianti e pazze (rappresentano i sette vizi capitali Superbia, Invidia, Ira, Avarizia, Accidia, Lussuria, Golosità). Adriano Accorsi veicola messaggi. Così la grande quercia, è come la vita che ci pone davanti ad alternative; nella commedia in cui recitano sette attori, il protagonista principale è contento perché interpreta una parte di suo gradimento, ma poi quando sta per interpretare una parte che non gli piace, estrae una pistola e si spara senza che nessuno dia alcun segno, morendo nell’indifferenza degli altri (la gente applaude, ma non sa che è tutto vero). Così il lavoro parassitario rappresentato da una bara; e al contrario, l’uomo stanco del lavoro che trova casa sbarrata da cani ringhianti. Un giovane recita: “A cosa serve guardare l’azzurro,/ il volo di una rondine e l’olivo/ nel disteso tramonto, quando corde/ di serpenti mi soffocano l’anima?” (pag.64). Ricorda che “ogni uomo vive/ l’avventura di tutta l’umanità” (43), dopo rimane solo cenere. (novembre 2012) Tito Cauchi

BRANDISIO ANDOLFI RICORDI E RIFLESSIONI Bastogi, Foggia 2007, Pagg.84, € 6,00 L’esergo alla raccolta Ricordi e riflessioni, esprime il pensiero di Brandisio Andolfi su ciò che rappresenta la poesia: “l’unico, mezzo che ti permette di essere padrone delle tue idee, dei tuoi pensieri, dei tuoi sentimenti. Essa è la vera storia dell’anima tua e di quella dei popoli.” L’eclettico professore,

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campano di Casale di Carinola, è nato nel 1931. Vincenzo Rossi assicura, nella prefazione, che gli interessi del Nostro spaziano tra “la Storia, la Poesia, la Narrativa, la Critica, la Filosofia/pedagogia, la Linguistica” che gli hanno valso riconoscimenti da parte di qualificati esperti. Coglie nel Poeta la visione di un mondo di fiaba, in cui rimane abbagliato dalla bellezza muliebre, ove perfino la morte si presenta, in un certo senso, con volto benevolo. Mentre Dante Cerilli rileva, con la sua nota critica, il carattere personale intimo, lirico e reale nel contempo, che tiene conto del momento storico in cui viviamo. Il Poeta afferma che il presente ha senso se è considerato in tutto il proprio vissuto, legato quindi ai ricordi; e le riflessioni ne sono una conseguenza. Gli uni e gli altri sono raccordati dall’avvicendarsi delle stagioni, delle albe e dei tramonti, gioie e tristezze; od anche, adesso, da rassegnazione: una serena visione della vita. Un degno esempio ci viene offerto dal più volte ricordato Papa Giovanni Paolo II degli ultimi giorni della sua vita terrena, che tra ‘agonia e fede’ saluta i devoti per tornare alla casa del Padre Celeste. Dalla visione oggettiva degli eventi, torna a se stesso: “Mendicante/ di quiete mi saziava l’ombra d’una quercia/ in cima alla salita: meta secreta dell’anima./ La stanchezza m’era di sprono tanto/ quanto oggi il ricordo che m’illumina il pensiero./ Tra passato e presente solo ricordi e riflessioni.” (pag. 21). Ricordi giovanili affiorano quale carezza all’anima: una bella vergine in un prato di fiori “tutta protesa alla battaglia dell’amore.// Il suo petto ansimava d’un respiro nuovo,/ si gonfiava di pensieri, di secreti desideri. ” (pagg. 22-23); per tornare sgomento ai tempi attuali dove a contare sono l’ apparire e il conto in banca. Riflette ancora una volta che, al pari di una singola goccia d’acqua che giunge al mare, così ogni essere umano è destinato alla sua sorgente, dopodiché non è possibile tornare indietro; ma sa che una vita condotta con fiducia rafforza le certezze. Brandisio Andolfi, in uno stile ben curato, ci fa aspirare i profumi della terra, gli odori veraci della famiglia, in contrasto del frastuono e dello smog della città. Così ricorda le piazze e le viuzze della sua infanzia, ora divenuti luoghi dell’anima: “Il Castello, il Mercato, il Corso Lucilio:/ le mete preferite della mia città,/ le ho pensate lungo la via di Monte Ofelio.” (31). La sua esperienza gli ha fatto conoscere gli orrori della guerra, da ragazzino; e da grande ha visto e vede come gli uomini e gli Stati continuano ad ammazzarsi, a nutrirsi di livori, di rivendicazioni, benché si sbandieri la pace. Forse anche per questa ragione, la morte, viene considerata


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come una cattiva signora. Il Poeta commenta sul paesaggio che ci fa sussultare, siamo a bordo di scatole metalliche come a cavallo di alati Pegaso e ci sentiamo onnipotenti; al mattino ci svegliano il rombo di motore e i cattivi odori della immondizia; mentre inosservati cinguettano gli uccelli e gemmano le rose e le altre piante. Ma pure uno sguardo alla vita politica del Paese, ci lascia delusi. I nostri giovani del Sud emigrano verso il Nord, e intanto a migliaia dall’Africa o dal vicino Est migrano verso di noi, martirizzati dalle guerre e dalla fame. Il Poeta è cresciuto con la visione della luna, del cielo stellato e della natura ridente e dei sogni; dialogando con la volta celeste. Le rimembranze lo conducono al padre, il suo primo maestro di vita, saggio e innamorato, dedito alla coltivazione dei campi; alla figlia che l’aspettava alla stazione; pensa ai primi innamoramenti; ma fa capolino sempre l’idea della morte. Ad un corteo studentesco avverso la ‘legge Moratti’, ammira la spensierata giovinezza. Brandisio Andolfi dichiara di non volere “ingrossare la schiera/ dei ‘poeti’ morti senza luce/ ottenebrati dall’oblio indegno; mi basta/ aver dato voce ai moti dell’anima” (62). La morte è celebrata come un inno alla vita; come il giusto epilogo del viaggio terreno. Così, in chiusura, ricorda alcuni amici che l’accolgono con un ‘ben accetto’ ed è come un volersi congedare; ma noi l’attendiamo ancora. Tito Cauchi

PASQUALE MONTALTO LA MAGIA DI ESISTERE Ed. Progetto Cultura, Roma 2012, Pagg. 112, € 12 Pasquale Montalto è calabrese di Acri (classe 1954), di professione sociologo, psicologo- psicoterapeuta, attivo nell’impegno civile, coltiva l’ amore per la poesia; dedica la recente raccolta, La magia di esistere, ai “Maestri di Vita, passati e presenti”. Copertina, Dalle acque la nascita, e disegni all’interno, sono di Alice Pinto, hanno tratti delicati ed eleganti, e un’aria fiabesca, tra l’allegoria e la metafora, per es. albero antropomorfo, immagini stilizzate di donne. In esergo un componimento di David Andrew Pascal Montalto, che si dichiara: “modellato con le mani dell’amore” mi fa percepire l’impressione di un’unità familiare di sereno e forte amalgama. Il libro comprende 45 titoli, i cui primi cinque presentano ampi componimenti; ma il tutto forma un solo poema, all’insegna del valore esistenziale, dell’Universo, dell’uomo e della stessa poesia.

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Concordano tutti gli interventi critici nel segnalare le finalità socioculturali del Nostro e l’uso della parola “giusta”, chiara e immediata, su cui mi riservo di fare qualche osservazione, in chiusura. Così Francesca Innocenzi, in prefazione, garantisce che il Poeta persegue una proposta controtendenza, rispetto alle “logiche cenacolari, snobistiche, opportunistiche”, utilizzando immagini genuine tra magia e realtà. Carmine Chiodo, nella introduzione, asserisce che Pasquale Montalto offre argomenti che fanno meditare, raccontando di sé come se si trattasse dell’altro, ponendosi all’ascolto di un interlocutore silenzioso che ora rappresenta l’Io, ora l’ Altro, ora tutti Noi: “poesia dell’Amore, della Bellezza, dell’Infanzia, dei cari Luoghi, che regalano versi veramente stupendi”, in cui pone l’accento sul battito della scrittura e della lettura connotata dalla modestia “tale che la poesia si configura come una continua e sicura riflessione sulla vita”. Anticipo quanto affermato in postfazione: Anna Lauria, sulle orme dello strutturalismo di Roman Jacobson [studioso russo], evidenzia la frequenza con cui Montalto presenta parole come Armonia, ben 14 volte, o Amore, 70 volte, cioè più di ‘dolore’; e nell’intervista ci fa conoscere un po’ meglio l’ Autore stesso, al quale sono cari tre famosi versi di Quasimodo, “Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole;/ ed è subito sera” e i libro di Edgar Lee Masters, “L’Antologia di Spoon River”, convinto che la poesia possa salvare il mondo. Pasquale Montalto esprime in forma autobiografica la geografia dell’anima: comunque parli, di sé o dell’Altro, si fa pelle sensibile del mondo; fa una trasposizione dei sentimenti e della propria concezione della vita, fin dall’incipit: “Figlio di una storia ingrata/ e che non mi appartiene/ - nato fuori tempo/ e dove non dovevo - / …// S’aggira tra Israele e Palestina/ un forte profumo,/ che del cedro del Libano/ porta le carezze dell’amore/…// più grande m’ammalia/ il magico sentiero dell’India”, in cui il Poeta si unisce con il Tutto in un luogo di meditazione (samadhi e ashram), facendo dell’India il nucleo del suo amore intimo. Ma il viaggio lo trasporta ancora più a nord e a est, del pianeta, tra i prodotti della terra e i bisogni delle popolazioni. Dichiara la sua ferma volontà: “scrivo e vivo la parola/ e non concordo/ col testardo rimando/ di quel che non si dice.” (pag. 23), l’uomo gareggia per fagocitare l’altro uomo, per il potere. L’ agonismo [anche se finalizzato ad ogni costo al merito] degenera nell’egoismo, aggrava contrasti, inganni, odio, che inducono l’uomo o i popoli ad assalire il vicino. Società inquieta, ansiosa o godereccia; ci mascheriamo per ingannare o per proteggerci, fi-


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nendo per vivere falsamente; il cuore rimane inascoltato. Il ricordo può dare dolore ma rende più sensibili; noi siamo solo piccola cosa; una sorta di membrana senziente delle vibrazioni universali. Il Poeta attinge nel vissuto trovandovi “la favola e la magia della vita”, dichiarando: “felice d’Essere per come sono”. L’Anima si nutre di Bellezza ed è questa che può salvare l’Umanità; la Verità poetica è trovare ed espandere la gioia, condividerla; credere nel mito e nel sogno, nelle stelle e nella luna; vivere seguendo la natura; riscoprire la genuina verità delle parole vicine al modo di sentire e di comprendere. Pasquale, nella sua odissea, raggiunge come un relitto la terra dei Feaci, è ammaliato del fascino di Nausicàa; ma, come è nel mito, si ridesta per continuare il suo viaggio verso il Luogo dei suoi affetti. Tuttavia abbiamo la consapevolezza di essere soli, bistrattati, evitati; ma dalla solitudine sappiamo trarre momento di meditazione, vivere la quieta pace dell’anima, godere del sole e potere guardare gli altri negli occhi. La vita è meravigliosa, sta a noi coglierne la bellezza, i colori del tramonto, il firmamento; la ‘bella Sila’ e i suoi pini, i profumi e il lago Cecita. Il Poeta ricorda la madre quando gli dava la sveglia, la propria infanzia, la famiglia unita, la sobrietà; dice che nella coppia, anche silenziosa, si può godere dell’armonia dello stare insieme; nella notte avviene la magia: “amarsi, amare,/ al di là di ogni sacrificio,/ e trascendere,/ trascendersi nel progetto dell’amore.” (73, “L’Io e il Tu”). Egli si stacca dal suo corpo, divenendo puro spirito e osserva se stesso e il mondo circostante; contempla la sua sposa, novella Nausicàa, bella come una donna jonica, bella come una rosa, dai capelli con ‘riccioli’ ribelli. La sua parola riesce a dare sostanza ai versi e a trasformare il lettore in coautore. Angelo, secondo nome del Poeta, tiene caro l’ album dei ricordi; le emozioni non possono cancellarsi. Così il Natale festoso; il figlio bambino divertito con un libro dal quale fuoriescono vecchi foglietti “rigonfio di tanti cimeli”, che raccontano sogni addormentati. E rivolgendosi a Ennio Di Rollo osserva come sia “… dolce dormiveglia che onora la vita.” (89). Nella pienezza del godimento spirituale, in chiusura del poema, esprime nella massima convinzione, con naturalezza: “Lussuria creativa/ dove il seno accorda la vagina/ …// con la vagina rilassata,/ che accorda un dialogo inaspettato.” (90), uno stato coscienziale ardito. Commenta che sono le piccole cose che riempiono e fanno felice la vita; così se guardiamo con gli occhi dei bambini, forse, riusciremo a riscoprire l’innocenza. Pasquale Montalto fonda la sua poesia sugli affetti a partire dalle radici; basa il suo credo nel guar-

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darsi senza vanagloria, nell’avere rispetto delle origini, dell’insegnamento paterno ereditato che è da trasmettere ai figli. Fa terapia attraverso il binomio “Io e Poesia”, più volte ripetuto, come pure attraverso “salvezza e pace”. Rivendica il suo spazio vitale con l’Io poetante anche richiamando Thanatos, nella morte dei cari, ed Eros, nell’apogeo dell’ amore; elabora il dolore attraverso il culto della vita; si trova in uno stato di contemplazione, di beatitudine. Si pone le domande dell’uomo primordiale riguardante l’Universo, identificandosi con le grandi e piccole cose. Fa della vita la sublimazione dell’esistenza dell’ uomo e dell’universo, rivendica il diritto di esistere, il diritto di essere lui a dare senso alla vita, confermandolo nell’Amore; “felice d’Essere per come sono”, ripete in più occasioni. Spirito elevato alle altezze astrali, umane e religiose, usa una scrittura naturale e chiara, come s’è detto in apertura, ma l’interpretazione si arresta agli aspetti figurativi o immaginativi immediati; mentre il vero significato rimane impalpabile sia pure come una pellicola, nell’anima del lettore divenuto coautore. Avendone conoscenza aggiungo che con La magia di esistere, Pasquale Montalto, completa la trilogia dedicata all'amore (I Colori dell' Amore, Io e la Vita). Non mi pare che Egli segua logiche schematiche, preordinate, ma le sue parole scorrono facendo leva sul verso libero, scandito dalla naturalezza dell’espressione verbale, che porta in espansione l’Essere: l’essere se stessi; eleva un’elegia alla vita: la vita tutta. Le parole “giuste” non possono essere sostituite o ricoprirsi di ulteriori significati. Il Poeta confessa con semplicità estrema “e nel segreto si ricrea la magia,/ umile ragione dell’atto creativo.” (53). Perciò le parole lasciateci negli scritti o dette dagli anziani, sono anche esse un tesoro di cui tenere conto; le parole usate bene, quelle “giuste” del Nostro, accendono la gioia di vivere. ( giugno 2012) Tito Cauchi

ELEONORA COGLIATI ALL POEMS PUBLIBOOK IRELAND 2014 ISBN 978-1-909774-11-7 Non sono poi molti i libri di poesia contemporanea italiana interamente tradotti e pubblicati da editori di area inglese, anche se, leggendo plurime quarte di copertina nostrane, traspare spesso un malcelato desiderio di molti Autori al riguardo. Eleonora Cogliati (Olginate, Lecco, 1969), sulla cui silloge Gocce di emozioni, Aletti Editore, ab-


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biamo letto con interesse la puntuale disamina di Giuseppe Leone (Pomezia Notizie, marzo 2012, pagg. 10,11) è risultata prima assoluta fra i 133 poeti partecipanti al Premio Polverini di Poesia Edita 2013 – con la raccolta Anima, Aletti Editore – e quindi oggetto di uno studio monografico presentato con successo e con partecipazione anche di importanti personalità istituzionali brianzole. Questi fatti hanno portato poi a proporre ad un editore inglese tutte le poesie edite ed inedite della poetessa di Olginate chiaramente supportate da un solido apparato critico che è stato determinante per un positivo orientamento alla pubblicazione degli All poems in una bella edizione di 130 pagine. Ma tutto questo non sarebbe avvenuto senza la presenza in campo nazionale di una rivista letteraria, come questa di Domenico Defelice, che per prima ha offerto spazio ed incoraggiamento ad Eleonora Cogliati, dandole fiducia ed impulso nella sua produzione lirica. Mi sono chiesto spesso come faccia una donna impegnata nella ditta paterna – leader a livello mondiale nel campo degli impianti di alimentazione zootecnica –, con famiglia e due figli da seguire a trovare il tempo psichico necessario a scrivere poesie. La risposta consiste laddove è evidente che le fragilità e morbilità dell’Autrice diminuiscono man mano che lei si approssima alla sua poesia e se ne impossessa. La poesia la seduce e quindi la guarisce. Quindi scrivere versi è anche terapeutico se non taumaturgico, almeno per chi ne ha bisogno. Gianfranco Cotronei

DANILA OLIVIERI LE PAROLE DEL VENTO Ed. Montedit, Melegnano, Milano 2013- pagg.40 – euro 7,30 Danila Olivieri, poetessa di Riva Trigoso (Sestri Levante, Genova), continua da anni, senza interruzioni, il proprio discorso lirico, affiancandolo a quello di promozione culturale come presidente del Salotto letterario San Marco (sul Molo Pilade Queirolo, a Sestri) e come organizzatrice del Premio letterario “Giovanni Descalzo-Sestri Levante”. Appena pubblicata la silloge Le parole del vento (Edizioni Montedit) eccola riproporsi, tra un Premio letterario e l'altro cui partecipa come concorrente ( e spesso come vincitrice) con una Antologia dei suoi testi migliori degli ultimi anni. Ma è la raccolta Le parole del vento che qui mi interessa, nella sua originalità di temi e di forme espressive. Ottimamente prefato da Danila Boggiano

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(anch'ella poetessa di Sestri Levante, nonché Vicepresidente del Centro Culturale L'Agave di Chiavari) il volumetto, di circa quaranta pagine, graficamente grazioso, che è compreso nella Collana “Le schegge d'oro” (I libri dei Premi) della citata editrice Montedit di Melegnano (Milano) si suddivide in tre Sezioni: Missive dal bosco (10 poesie), Messaggi di paesi (10 poesie), Il paese (9 poesie). Con quest'opera la Olivieri porta a coronamento un discorso coerente di poesia e d'amore scaturente dai luoghi della propria Liguria di mare, di campagna e di bosco, quella Riviera di Levante che si estende dai golfi azzurri ai boschi dalle mille sfumature di verde, giallo e marrone, tutti percorsi da un onnipresente vento, saturo di colori e di profumi, simbolo di vita e di morte. La stessa prefatrice, a conclusione del suo partecipato, quasi febbrile intervento, scrive: “ Farei torto alle ragioni di questa poesia se trascurassi l' azzurro e l'oro e il verde e i profumi di cui...è imbevuta, fino a traboccarne, fino a rischiare un irreversibile schianto...Cosa che qui non accade, in virtù di quelle tenaci, profonde radici, dal momento che né il borgo, né il paese, né la baia...possono offrire una sosta all'andamento pendolare tra vita e morte, tra luce e buio, e la vela della speranza, lungi dal trovare un approdo, continua a “sfidare il maestrale”, dolorosamente e felicemente indomita nel gran mare aperto.” Aggiungo che il discorso poetico della Olivieri viene approfondito e allargato anche ad altri luoghi del mondo e ad altre tematiche. Sempre, però, con un amore particolare e trepido, soprattutto, per le figure di parenti (innanzitutto marito e figli) e di amici che hanno popolato il suo cuore e la sua mente in questi anni. E un amore non meno forte per fiori e piante, per piccoli animali, per particolari della Natura, anche minuti, che la ispirano. Un discorso artistico iniziato con piglio sicuro già con le sillogi precedenti, tre pubblicate dalla Montedit (Sole di scirocco, Voli nel profondo, I giorni della merla) e due dalla Bastogi di Foggia (Stella cometa a Tregosa e Dritto e reverso), sia in italiano che in dialetto genovese. Il filo ideale che tiene unite le ventinove composizioni de “Le parole del vento” è, fondamentalmente, l'amore. L'amore per la vita, per tutte le sue manifestazioni. E, se sul piano più strettamente critico, possiamo notare, nel tempo, la indubbia, accresciuta capacità descrittiva di paesaggi naturali, luoghi urbani, animali, piante, persone (con un lessico in continuo divenire, che si affina sempre di più, con tentativi, anche, di preziosi neologismi) quello che ci lascia piacevolmente stupiti è la sempre maggiore pro-


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fondità dei temi affrontati. A cominciare da quello, fondamentale, dell' altra cosa. Ossia, della Morte. Nella poesia L'altra cosa, infatti, la Olivieri ci svela quello che è il suo concetto di vita e di morte, concetto che aleggia in tutta la sua produzione, e che comunque, in questa composizione, raggiunge l'acme della sua chiarezza cristallina: “ La morte non è l'invisibile a opporsi nell'aria, non è l'altra cosa. Vita e morte divise in minuscoli fiati palpitanti fluttuano nel bosco fino a toccarsi. Sussurra vita l'aria se volo di farfalla la anima, porge amore la terra mentre dischiude il fiore e di vita trema la macchia quando brezza l'erba nuova disfiora. Ma è colmo d'abisso il lamento del biancone ormai stanco, dondolano la morte i pini se il vento suona lo xilofono dei rami malati e urlo di sirena penetra la sera e la inquieta.” Luigi De Rosa

ALDO MARZI TOTÒ E PINOCCHIO Aletti Editore, 2011 - 44 pag. Recensire il libro appena letto non sarà davvero facile… perché non so davvero da che parte cominciare! Ci provo… e spero che mi venga bene! Il lato negativo di questo testo è che si tratta (ahimè!) di un saggio critico. Solo che, da quanto si legge, parrebbe un saggio su Totò, in cui Pinocchio appare qua e là, pigliandosi un buon 25-30% dell’intero testo. Oppure, al contrario, è un saggio su Pinocchio, in cui però l’Imperatore di Capri fa la parte del leone. Quale delle due ottiche è la più corretta? Agli altri lettori, l’ardua sentenza. Pur essendo però, in tutta evidenza, un saggio critico, Aldo Marzi, da vero saggio, provvede saggiamente a esporre il suo discorso in modo scanzonato e assai simpatico, sì da rendere questo pane addentabile da ogni tipo di bocca. Perché si parla di maschere e burattini? Anche. O perché Marzi sa bene che in un paese di maniaci dello sport e di pettegolezzi un saggio critico, anche scritto bene, equivale a mezzo chilo di spinaci da offrire in pasto a Gian Burrasca (i bambini normali odiano gli spinaci: sono salutiferi e contengono il

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ferro!)? Soprattutto. O, almeno, probabilmente. Forse sarebbe stato meglio per Marzi intitolare questo testo Attenti a quei due, a costo di essere accusato di plagio o di mancanza di originalità perché, in effetti, questo testo è ben più vicino a Plutarco (Vite parallele) che a Paolo Valente (90° minuto). Tutto qui? Magari! Il vero problema di questo testo è che leggerlo significa entrare in una variante su tema de Lo specchio nello Specchio, opera meno nota di Michael Ende (La Storia Infinita e Momo), a causa dei continui incroci, scambi, passaggi e sottopassaggi qui contenuti. In effetti, la questione si riduce solo a questo: stiamo parlando di Antonio De Curtis e di Collodi o di Totò e Pinocchio? E il Principe è semplicemente Antonio o è solo Totò? E Collodi era sempre e solo Carlo, nella vita, o era soprattutto Pinocchio, fuori dalle regole a qualsiasi costo? QUESTA è la vera questione! E io stesso non saprei che cosa rispondere! Le vite di Antonio e di Carlo sono molto simili fra di loro, pur tenendo conto del fatto che sono nati in epoche ed ambienti diversissimi, e Pinocchio e Totò, acquisti recentissimi del Teatro dei Burattini, sembrano fratelli gemelli, tanto sono simili nella fame che li divora e nelle loro avventure strampalate e paradossali… in cui però sai sbeffeggia ferocemente il Potere costituito! Così, finisce che Totò ha, dopotutto, il naso chilometrico di Pinocchio, mentre Pinocchio ha surrogato il suo cappellaccio di mollica di pane con la bombetta del sindaco del Rione Sanità (ove era nata e viveva la madre di Antonio de Curtis). Districarsi in questo libro labirintico in cui il profilo destro è del tutto asimmetrico rispetto al profilo sinistro e dove non è mai sicuro sapere con chi si ha a che fare non è la cosa più facile di questo mondo, anzi! Ma, in compenso, è pieno di spunti interessanti e non è mai noioso! Un saggio critico? Così conciato? (per parafrasare una battuta di Totò sugli onorevoli). Fatevene la vostra idea, leggendolo. Non rimarrete delusi e avrete moltissimo su cui riflettere. Andrea Pugiotto

ALDO MARZI IL MIO PINOCCHIO Aletti editore, 2013 - 46 pagg., € 12,00 Generalmente parlando, un saggio non sarà mai gradito ad alcuno. Se questo aggettivo si riferisce ad una persona, si


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immagina, in genere, un imbecille barbuto (alla Darwin o alla Marx), capace solo di sbrodolare cultura nel modo più pedante e balanzonesco possibile. Si tratterebbe, perciò, di una persona noiosa, da evitare come la peste. Se questo aggettivo si riferisce invece ad un libro, è certo che l’Autore dev’essere un rompiscatole professionista che non sa far altro che mettere su carta pensieri che capisce solo lui… col solo scopo di aduggiare la vita altrui! In ambo i casi, i saggi vengono sempre evitati dalle persone normali che, di solito, preferiscono di gran lunga leggere Il corriere dello sport o succhiarsi il cervello con spazzature pubbliche trasmesse in tv (Il Grande Fratello o L’Eredità. Scegliete voi). Aldo Marzi, classe 1949, non è certo un imbecille come il dr. Balanzone, né un seccatore come Francesco De Sanctis, e il suo saggio Totò e Pinocchio, che precede questo di poco, lo prova ampiamente. Mentre Totò e Pinocchio, pur essendo un saggio a tutti gli effetti, è esposto col pretesto di un incontro fra un ex insegnante (Marzi stesso) e un suo ex allievo delle medie, quest’altro tomo, non meno arguto ed interessante, è esposto sulla falsariga dei ricordi personali dell’autore stesso che, con moto naturale, invita il lettore nella sua stessa casa, per condividere con esso la sua vita quotidiana, i suoi odori di casa, eccetera. E’ un modus operandi informale e, diciamolo pure, molto personale. Però non è affatto male come scelta, considerando che Marzi non ci narra, in prima persona, un romanzo avventuroso e/o surreale, come fece, a suo tempo, Calvino con il suo Barone rampante. Il soggetto è, ancora una volta, Pinocchio, che stavolta è il protagonista assoluto di questo saggio. Un saggio che è tutta una sorpresa. Una vera matrioska, cioè una tipica bambola di legno russa che, all’ interno, ne cela una più piccola, che ne ha dentro un’altra più piccola, eccetera. Già, perché Pinocchio, da quanto qui è esposto, è ben altro che una semplice fiaba per bambini anche se questa era l’intenzione originale di Collodi. E’ molto più vicino a I viaggi di Gulliver o alla Veridica historia di Gargantua e Pantagruele: una favola (cioè allegoria) per adulti, con finalità assai precise e simboli (e significati nascosti) ancora più precisi e, a modo loro, taglientissimi ed eversivi verso la società in cui il Lorenzini era costretto a vivere. Forse qualcuno sa che Collodi era un Fratello che “murava liberamente” e che molti emblemi massonici sono celati in questa storia, che ha fatto il giro del mondo. Ma è stato anche detto che Collodi era

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un libertino fatto e finito (donnaiolo e giocatore d’ azzardo) e che era un libero pensatore (un ateo convinto, cioè). Questo libro rivelerà quanto quelle storie fossero vere o no. Ci saranno molte sorprese, perfino per i “pinocchisti” appassionati pari miei! E non ci sarà agio di annoiarsi, in parola d’onore! Per saperne di più, non vi resta che leggere quest’opera stupenda. Ne varrà davvero la pena! Andrea Pugiotto

ENNIO MALDINI SILVANA ANDRENACI MALDINI FAVOLISTI ROMANI Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2012 Ecco una breve raccolta di carmi in romanesco puro, presentati da Il Croco (luglio 2012), supplemento del mensile Pomezia-Notizie. La cosa interessante di questa raccolta è che i coniugi Maldini.,.. facevano lo stesso mestiere! Lui, morto nel 2001, era poeta (in lingua e in dialetto romanesco) e pittore e, in ambo i casi, le sue opere mostravano l’umanità dell’Autore. Umanità esplicata anche tramite i racconti e le recensioni cui, nel tempo, ha messo mano. La signora Silvana, dal canto suo, ha messo mano ad opere di saggistica, narrativa e ricerca storica e, come il marito, ha verseggiato in lingua ed in dialetto romanesco. Pomezia Notizie omaggia questi due autori riunendo alcune delle loro poesie in romanesco, scritte a bella posta e riunite poi nella silloge poetica Favole pè Trilussa (pubblicata nel 2000), quale omaggio all’indimenticabile erede di Belli (e fra Belli e Trilussa è una bella lotta, essendo stati ambo attenti osservatori del mondo e della vita e feroci fustigatori del malcostume ognor imperante, nella Città Eterna come nel mondo). Di favole ce n’è per tutti i gusti ed alcune sono dichiaratamente contemporanee (come La Tartaruga ribelle, della signora Silvana), ma, nel complesso, stile e contenuti non sono indegni dell’illustre predecessore cui sono dedicate. La nota negativa è che i tempi sono cambiati… in peggio!... e non c’è più né posto né tempo né voglia di leggere favole, pur se ben scritte, per riflettere un po’ sulla Vita reale e trarre debite conclusioni. Ma questo non toglie nulla al valore poetico dell’opera del maestro Maldini e gentile signora. Andrea Pugiotto


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GIOVANNA LIVOLTI GUZZARDI LE MIE DUE PATRIE Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2012 La quarta di copertina de Il Croco (supplemento al numero di Dicembre 2012 della rivista PomeziaNotizie) informa i lettori che la signora Guzzardi è un’Autrice pluripremiata per le sue opere. I premi da lei ricevuti, uno più insigne dell’altro, mostrano che si tratta di un’autrice di valore, degna di stima e di rispetto. Le poesie raccolte in questo inserto speciale provano ampiamente che i premi in questione non sono stati dati a caso ad una poetessa improvvisata. I carmi qui contenuti mostrano l’abilità, la versatilità e l’umanità della Guzzardi. Il carme Australia bella basterebbe, da solo, ad avvalorare il giudizio testé espresso. Di origine siciliana, la signora Guzzardi vive in Australia, all’altro capo del mondo, e canta le lodi della sua patria d’adozione, anche se, in altre composizioni, esprime la nostalgia per la bellissima Sicilia, Regina indiscussa del Mediterraneo. Tu è una dichiarazione d’amore che non necessita davvero di commenti, tanto è palese e forte il sentimento della gentile Autrice in questi versi. Come non meno appassionati sono i versi de Un giorno di sole, in cui il, passato lontano riaffiora nella memoria dell’Autrice, oramai lontanissima dai giorni cari dell’infanzia, la più bella di tutte le stagioni offerte dalla vita. E non sono che tre modesti esempi, scelti qua e là per dare un’idea di questa silloge davvero rimarchevole. Il resto, è tutto da leggere e da scoprire. Non ci sarà davvero da annoiarsi! Andrea Pugiotto

IL SENSO DELLA VITA Sei contenta. Ti brillano gli occhi. Hai scoperto – mi dici – il senso della vita. So che ami pensare, andare a fondo e scoprire il significato ultimo delle cose. “ E allora – ti chiedo – in che consiste il significato della vita ? “ “Ho scoperto che il mondo è pieno di persone che senza pensare seguono chi le comanda.” E brava Yanet ! “ Pensare è importante, ci conduce alla scoperta della verità e alla libertà.” “E come ci sei arrivata ? “ “Leggendo, e studiando ciò che leggevo.” So che le sue letture sono impegnate

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e buone e mi rallegro con lei. Vorrei che tutti al mondo si impegnassero a leggere e riflettere e pensare. Pensare con la propria testa. E dopo aver pensato, ma anche vissuto, scopriremo che il senso ancora più profondo della vita sta nel sentirsi utili, nell’aiutare gli altri ad imparare ciò che abbiamo imparato, nel donare ciò che abbiamo acquisito. Nel donare. Ossia: nell’amare. C’è chi in autobus mangia o legge. Io mentre sono in autobus non mi vergogno di estrarre una matita e un foglio bianco e scrivere. Mariagina Bonciani SENTIMENTI DELLA NATURA Mare mosso, mare tempestoso, il tuo cuore burrascoso. Onde enormi davanti a te si innalzano sogni scritti su una carta si strapazzano. Le stelle non brillano più sul cielo, e tu, non puoi trovare un posto luminoso per rannicchiarti. Nuvole dense, nebbia, oscurità, e tu nella foschia, nella serenità. Nubifragio, temporale, pioggia, così anche le lacrime inondano il cortile. E' tirato il vento e l'albero ha gettato, che tu, con amore, hai piantato. Forte la corrente nel fiume del bosco, e tu, nella solitudine, ti trascini, ti abbandoni nell'acqua. Fa freddo, è nascosto il sole, domina la [ nuvolosità, sentimenti freddi, ma il cuore nasconde bontà. All'improvviso, tutto cambia. Di nuovo sorridi. Ti siedi sulla riva e il Sole ammiri. La Natura si rallegra e tu impaziente, l'Arcobaleno aspetti di vedere.


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Pitture della Natura, colori, varietà, donano all'anima umana la felicità. Sono differenti i volti della Natura, i volti dell'ambiente... così, anche i sentimenti umani, si alternano frequentemente. Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal greco della stessa Autrice

Nella penombra più scura sono le sere più lunghe e cadono nel dialogo di una falsa memoria. Ma i sentieri di vie ignote assorbono desideri incustoditi e giacciono ignari nel cassetto. Verde prato sotto la fonte e l’orologio che batte le ore.

ANGELO O DIAVOLO Pozzanghera non traspare come la tua vita nascosta dietro false cortine. La nebbia rapì i nostri giorni tra tasselli di tempo, ingialliti dal fumo di bistrot malfamati. Il gioco ti ha già stregato, così come il sesso che vendi al primo offerente, svilendo il tuo corpo perfetto. Angelo o diavolo non so chi tu sia… La tua voce mi esalta, il tuo corpo m’ inebria, nelle fredde notti io ti cerco per calmare l’anima, che errabonda trascende tra insoddisfatte voglie di adolescente natura. Sia da monito il richiamo che creò i dannati. E’ cosi che mi logoro tra il pensare e il cercare, sperando l’oblio… che porta la quiete. Colombo Conti PRATO VERDE SOTTO LA FONTE A sera quando i desideri sono spenti e arsi ed il canto delle cicale confonde il momento dell’ora solitaria mi appresto a narrare storie di un tempo sconfinato e distratto. La vecchia pergamena dove le scritture confuse pongono il dubbio del pensiero sgranocchio piccole lucciole di desideri imprecisi dove il gesto rituale divide valori di un’impronta.

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Alda Fortini

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE E’ morto GIANNI DI SPIRITO - Gianni Di Spirito è stato il fondatore e l’organizzatore dell’ Associazione THYRRENUM di Pomezia, una fra le più attive del nostro territorio da più di un ventennio a questa parte. Grande successo hanno sempre riscosso, per esempio, le sfilate di figuranti dell’ Impero Romano, che si svolgono, da anni, nella nostra città e a Roma. Ma gli interventi hanno spaziato dal teatro alla musica, al folclore, all’ ecologia, alla storia. Tra le tante iniziative, si ricordano il Premio Fauno di poesia, giunto alla XVI edizione e della cui Giuria qualche volta ha fatto parte anche il nostro Direttore Defelice; il premio pittura; conferenze varie sull’archeologia; il Gruppo Storico Lavinium e la sua partecipazione ai Festival di Cultura in tutto il mondo; il gemellaggio con Troia e Itaca, perché Pomezia-Torvajanica - è giusto ricordarlo è il luogo dello sbarco di Enea; la difesa del Sughereto e di altre realtà del nostro territorio. Gianni Di Spirito era anche custode del Liceo Scientifico “B. Pascal”, che ogni giorno accoglie centinaia e centinaia di giovani. Con loro, Di Spirito era sempre di-


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sponibile e sorridente e, perciò, la sua morte, avvenuta il 16 maggio scorso - non aveva che 57 anni! -, è stata per tutti - studenti, preside, docenti, dirigenti - un autentico e inaspettato dramma. *** LA RIVA VERDE - Mercoledì 28 maggio 2014, presso la Libreria Arion Esposizioni, in via Milano, Roma, è stato presentato il libro La riva verde, ennesimo romanzo di successo della scrittrice e pittrice Adriana Assini. Assieme all’Autrice, è intervenuta Cinzia Giorgio. *** PREMIATA MARIAGINA BONCIANI - Apprendiamo con piacere che la poesia "Il sogno interrotto", di Mariagina Bonciani (pubblicata nel numero di febbraio della nostra rivista) si è piazzata al quinto posto nel concorso La Montagna incantata di Firenze, dove, il primo giugno, l’Autrice, presenziando alla premiazione in Palazzo Vecchio, ha avuto l'onore di sentirla leggere, molto bene, da Alessandro Quasimodo. *** TRANQUILLI… PARLIAMO DI SILONE - Il 22 maggio 2014, alle ore 21, presso l’Auditorium Cesare Golfari, moderatori Marco Rota e Giovanni Invernizzi responsabili della Commissione Biblioteca “Giuseppe Panzeri” di Galbiate (Lc), si è svolta una conferenza dal titolo Tranquilli… parliamo di Silone. Relatori della serata: Giuseppe Leone, critico letterario, autore, tra altro, di “Ignazio Silone scrittore dell’intelligenza” (Firenze Atheneum, 1996) e “Silone e Machiavelli: una scuola che non crea prìncipi” (Centro Studi Siloniani, 2003); e Leonardo Grimoldi, docente di filosofia presso la scuola secondaria superiore che ha recentemente pubblicato, maggio 2013, per i tipi di Mimesis, “Storia e utopia. Saggio sul pensiero di Ignazio Silone”. Due intellettuali che vantano, in particolare Leone, un’assidua frequentazione del Centro Studi Siloniani in quel di Pescina. Un titolo suggestivo e provocatorio a un tempo – spiega Leone - come voler dire, “state calmi… se parliamo di Silone, non agitatevi”, per significare che la letteratura di Silone ha, in ogni tempo, suscitato sentimenti di disturbo. Tali che spesso storici della letteratura italiana lo hanno estromesso dalle loro antologie scolastiche, e giornalisti che volutamente, ancora ai nostri giorni, sia nei loro articoli, sia in pubblici dibattiti, non lo citano, neppure quando i temi affrontati sono squisitamente siloniani. Come è accaduto, per esempio, in occasione delle dimissioni di Benedetto XVI nel febbraio 2013. Non c’è stato un solo giornalista, ma neanche storici o critici che, intervistati sulle reti nazionali della nostra tv di Stato e non, citassero, per analogia a quanto stesse succedendo, Ignazio

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Silone, per via di Celestino V, papa dimissionario nel dicembre del 1294, unico clamoroso precedente. Tutti, in coro - per carità, spontaneo, non vorremmo insinuare che sia stato preparato a proposito – citavano il verso di Dante, quel colui che fece per viltade il gran rifiuto”, e nessuno L’avventura d’un povero cristiano, il dramma che lo scrittore abruzzese aveva dedicato nel 1968 proprio a Celestino V, in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II, sotto Paolo VI. La serata ha preso forma discutendo la tesi contenuta nel libro di Grimoldi. Ovvero, la necessità “di chiarire i termini di un contrasto, quello fra istituzioni e valori, che domina il pensiero dello scrittore marsicano fin dai suoi esordi letterari”. Alla fine, il dibattito tra moderatori, relatori e pubblico ha rivelato quanto interesse desti ancora l’opera siloniana, nonostante il muro di silenzio attuale e il pregiudizio della critica, che può essere riassunto nel giudizio che Carlo Bo espresse nel lontano 1965, ne L’Europeo, sul numero di agosto, in un articolo dal titolo Hanno avuto paura, dopo che Silone era stato escluso dal Premio Viareggio: “Silone è stato escluso così come sinora lo abbiamo escluso dalle nostre preoccupazioni e dalle nostre riflessioni quotidiane, un po’ perché il suo caso disturba, dà noia e soprattutto perché affrontarlo richiederebbe un altro impegno e finirebbe per investire tutta la nostra struttura intellettuale e spirituale. Meglio dunque lasciarlo da parte, rendergli quel minimo di omaggio, e continuare a considerarlo come un ospite segreto”. (Giusle)

DO POETA A DIGNIDADE Senhores, ao restaurante não vou a não ser a cada morte de papa à discoteca desde que fiz trinta anos Muito viajo com a fantasia, pouco de trem e de autopista e tenho medo de voar. Não tenho Suv, nem iPhone, não tenho iPad Nada de prebenda, não sou cavalheiro. Visto modesto, não tenho conta no banco, não tenho vila com piscina. A beleza me encanta em minha idade - e ainda a mulher! Tenho dignidade de poeta. Domenico Defelice Trad. in portoghese di Teresinka Pereira


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Domenico Defelice - Scaffale (1964)

LIBRI RICEVUTI ELENA MILESI - Il quaderno della sfida - Introduzione di Roberta Frigeni - Cahier des écrivains, Corponove Editrice, 2014 - Pagg. 64, € 5,00. Elena Milesi, nata a Villa d’Adda, vive a Bergamo. Socia del Cenacolo Orobico di poesia (Bergamo), Accademia dell’Ateneo di Bergamo per la classe di Lettere ed Arti, cofondatrice dell’Associazione culturale Rosella Mancini (Roma), Presidente dell’ Associazione Amici Pittore Giuseppe Milesi, in versi ha pubblicato: “Silloge per Neri” (1983), “Quando nasciamo un’altra volta” (1984), “Ragazze/i nel quaderno” (1985), “La notte, l’albicocca e altro” (1986), “In fa” (1986), “Paggio Regale” (1989), “Svoli di semi” (1990), “Paggio in viaggio” (1991), “Ebdomada” (1991), “Natale/Noël” (1992), “Tris” (1993), “Dicembre/Décembre” (1993), “Il poemetto del funaio” (1994), “Viene il vento” (1995), “Acqua di cascata” (1997), “Le semainier” (1998), “NeroRossoOro” (1999), “Textum” (1999), “Ordinario 2000” (2001), “Che si chiamava Cloto” (2003), “Alla riva” (2005), “Il carro di Amore” (2006), “Introìbo ad 2007” (2007), “E popoli miti” (2007), “Il tempo abissale” (2009), “Come dicono a Parigi “C’est la Vie!” “ (2010). Confortata da consensi critici, ampia bibliografia e numerosi premi letterari, tra i quali ama ricordare: il Premio della Critica a Penne (Pescara),

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il Premio Les Amis de la poesie a Bergerac, e i premi-pubblicazione a Vercelli, Marina di Carrara, Palermo; il Premio del quinquennale de “Il Lago Verde” Casazza (Bergamo). Per “Paggio Regale”, “Paggio in viaggio”, “Tris”, tre volte segnalata e finalista al San Pellegrino Terme. ** CARMEN CREACO - Due ali - Prefazione di Sara Leoni - Editrice Albatros, 2011 - Pagg. 48, € 11,50. Carmen Creaco è nata a Reggio Calabria nel 1972 e si divide tra la sua città natale e Brescia, dove svolge la professione di avvocato. Ha esordito come poetessa nel 1990 con “Il profumo dei sogni” (Premio “Calogero” Miglior Poesia). ** RENATO GRECO - Finzioni e altri inganni Prefazione di Daniele Giancane - In copertina, a colori, “Gli amanti”, di René Magritte - L’artedeiversi n. 9 edizioni 2014 - Pagg. 280, s. i. p. Renato GRECO è nato nel 1938 a Cervinara (Av) e vissuto fino alla maturità classica ad Ariano Irpino. Nel 1955/56 a Matera istitutore del Convitto “Duni”. Dal ’57 al ’67 a Milano dove lavora alla Olivetti di Adriano e dove abita con la moglie dal ’66. Dal ’67 tre anni a Napoli un anno a Firenze e due anni in giro per l’Italia con tappe a Firenze e a Milano. Nell’ intanto si laurea in legge. Dal ’71 a Bari quadro nella filiale di questa città. Nel ’77 è di nuovo a Milano dopo altri periodi a Firenze. Fino al 1987 a Milano quadro marketing centrale. Ritrasferito a Bari va in pensione nel 1992. Ha vinto molti concorsi in Italia e legge poeti del ‘900 presso due Università Popolari a Modugno e a Bari. Redattore della rivista “La Vallisa” dal 1997. Ha scritto più di 46 volumi di poesia, oltre che numerose Raccolte Antologiche, alcune pubblicate anche all’estero. Autore anche di molti saggi su Salvatore Quasimodo, Vittorio Bodini, Cristanziano Serricchio, Enzo Mandruzzato, eccetera. Tante le antologie in cui figurano sue poesie. Tra i critici che si sono interessati di lui, citiamo solo alcuni: Pasquale Martiniello, Michele Coco, Enzo Mandruzzato, Stefano Valentini, Vittoriano Esposito, Daniele Giancane, Lia Bronzi, Donato Valli, Sandro Gros-Pietro, Renzo Ricci, Giorgio Bárberi Squarotti, Giuliano Ladolfi, Emerico Giachery, Roberto Carifi, Gianni Antonio Palumbo, Daniele Maria Pegorari, Roberto Coluccia, Ettore Catalano. ** PANTALEO MASTRODONATO - Enciclopedia Palatina - Antologia - Societas Humanitas “Symposiacus”, 2014 - Pagg. 328, s. i. p. Sono ospitati: Maria Aiello, Anna Maria Algieri, Gilda Antonelli, Giuseppina Attolico, Antonio Barile, Marta Aria Bianchini, Giulia Bignami, Adalpina Fabra Bignardelli, Walter Brook, Vittorio Busà,


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Francesco Calzone, Lucia Tumino Cannata, Adua Casotti, Filadelfo Coppone, Angela D’alessandro, Onelio Dalla Ragione, Tommaso De Bernardis, Domenico De Luca, Silvia Denti, Arnaldo Filice, Gabriella Frenna, Emilio Fucà, Licio Gelli, Teresa Girardi, Franca Moraglio Giugurta, Renato Guala, Tina Lepore, Adalgisa Licastro, Enrica Di Giorgi Lombardo, Vittorio “Nino” Martin, Pantaleo Mastrodonato, Vittorio Meo, Enrico Monaci, Graziella Mondello, Margherita Serena Monopoli, Pasquale Montalto, Ernesto Papandrea, Gea Cristini Peroni, Bruno Piercamilli, Giuseppe Pietroni, Salvatore Porcu, Nicola Porticella, Orfeo Reda, Pietro Russo, Domenico Santangelo, Leonardo Selvaggi, Sergio Todero, Carlo Vettorello, Emilio Vicario, Antonio Visconte. ** PANTALEO MASTRODONATO - Leucotea (Mimolodia) - La casa delle Muse, Symposiacus 2014 - Pagg. 36, s. i. p. Pantaleo MASTRODONATO ha studiato in molte città italiane ed estere. Compiuti i suoi studi in Linguistica e Filosofia classica presso l’Università di Montpellier, ha in atto dei lavori di studi e ricerche presso la stessa. La sua insaziabile sete di verità e di giustizia lo condusse nel 1972 ad una profonda crisi religiosa, propugnando da allora in poi i valori di un cristianesimo genuino scaturito da un sistematico approfondimento biblico per una imparziale valutazione dell’epoca presente. Dirige la rivista “Il Symposiacus”. ** ALDO CERVO - Antonia Izzi Rufo tra soggettivismo lirico e neorealismo - Edizioni EVA, 2014 Pagg. 32, € 9,00. Aldo Cervo è nato nel 1944 a Caiazzo (Caserta), dove vive. Ha pubblicato più di una quindicina di libri, prevalentemente di narrativa e di critica letteraria. Alcuni titoli: “Ipotesi narrative” (racconti), “Nient’altro che la verità” (racconti), “L’autunno di Montalba” (romanzo), “Le testimonianze di Amerigo Iannacone”, “Cronica delle cose occorrenti in Caiatia ne’ suoi anni ‘70”, “Gli aneddoti del vescovo” (racconti), “Carichi pendenti” (racconti), “Giovanni Papini nel ‘900 letterario italiano”, “La Cinciallegra” (romanzo), “Frequentazioni letterarie”, “Le radici della memoria”, “Profilo di un irregolare”, “Caiatini contemporanei”. ** RAFFAELE CECCONI - La meraviglia - Poesie; Premessa dello stesso Autore; in calce, numerosissime testimonianze - In copertina, “Maternità” 1972, di Karl Plattner - Genesi Editrice, 2008 Pagg. 184, € 13,50. ** RAFFAELE CECCONI - Il libro dei contrasti - In copertina, a colori, “Pittore con Modella” di Normanno Soscia - Edizioni Giuseppe Laterza, 2013 -

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Pagg. 174, € 18,00. Raffaele Cecconi, nato a Zara nel 1930, poeta, scrittore e saggista, vive a Venezia. Ha pubblicato diverse opere letterarie, tra le quali “L’uomo curvo” (1959), “Pettegolezzi d’attualità” (1969), “L’Italia degli impegnati” (1969), “Ofelia” (1970), “Una vita ladra” (1971), “Calore” (1971), “Confessione al figlio” (1976), “Un culo così” (1979), “Il sorriso che morde” (1980), “Viaggio in canoa” (1980), “Ora che invecchio” (1989), “Dio è un buffone?” (1991), “D... come dalmata” (1998), “Ciò che ho visto girando il mondo” (1999), “I pensieri che contano” (2000), “Trentatré misteriosi eventi” (2002), “La Signora X” (2004), “La meraviglia” (2008). Tra i vari riconoscimenti sono da segnalare: 1965, premio “Torino” per il volume “Da un mare all’altro” e premio “Giuseppe Villaroel”; 1966, premio “Prove Rapallo” per il romanzo “La Corsara”; 1972, premio “Jesolo” per il racconto inedito “La corriera della neve” e premio “Stradanova” per un saggio sull’epigramma; 1978, premio “Camposampiero” per la poesia religiosa; 1979, premio “Plusart” per la poesia nelle Tre Venezie. Finalista al premio “Viareggio”, al “Lerici-Pea”, al premio “Gatti”. Intorno alla sua opera hanno scritto centinaia di illustri poeti e scrittori. Collabora saltuariamente a riviste tra cui “La Fiera Letteraria”, “Prospetti”, “Quinta Generazione”, “Controcampo”, “L’Osservatore politico letterario”, “Arenaria”, “Talento”, “Vernice”, “Punto di Vista”. Sue poesie sono state tradotte in inglese e in arabo. ** SONIG TCHAKERIAN (Violino) - Johann Sebastian Bach. Sonatas and Partitas. 2 CD. CD1: Sonata no. 1 BWV 1001; Partita no 1 BWV 1002; Sonata no. 2 BWV 1003. CD2: Partita no. 2 BWV 1004; Sonata no. 3 BWV 1005; Partita no. 3 BWV 1006. Decca, 2013.

TRA LE RIVISTE KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia, dir. Amedeo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26854 Codogno (LO). Riceviamo il n. 45 (giugno 2014). Tanti gli interventi su Dino Formaggio, Giuseppe Pontigia e Edgardo Abbozzo. * CENTONOVE - Settimanale di politica, cultura, economia, diretto da Enzo Basso - via San Camillo 8 -98122 Messina. Riceviamo il n. 20 (23 maggio 2014). Tra i tantissimi articoli, evidenziamo solo quello di Gianfranco Cusumano “Sulle tracce di Maria Messina”, perché ad inviarci il periodico è


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stato il Dott. Nino Testagrossa. Si chiama “Gesti di luce” la passeggiata letteraria organizzata il 14 e 15 giugno sulle tracce della scrittrice Maria Messina, che visse a Mistretta dal 1903 al 1909. Maria Messina era nata nei pressi di Palermo, nel 1887. Ha pubblicato coi migliori editori del tempo e le sue opere hanno avuto vasto consenso. L’ Associazione Progetto Mistretta - Il Centro Storico (via Libertà 185 - 98073 Mistretta, ME) - che organizza l’evento, indice anche l’undicesima edizione (2014) del Premio letterario “Maria Messina” - Un racconto per “Il Centro Storico”, riservato alla narrativa inedita ed edita. * ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivista fondata da Giacomo Luzzagni, diretta da Stefano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - Casella Postale 15C - 35031 Abano Terme (PD). Del n. 114 (2° Trimestre 2014), segnaliamo: “A 450 anni dalla nascita: Shakespeare poeta”, di Luigi De Rosa; “Miti e leggende celtiche: William Butter Yeats”, di Elio Andriuoli; “El cantar del mio Cid”, di Liliana Porro Andriuoli; L’intervista a Gaetano Cappelli a cura di Pasquale Matrone, eccetera. Altre firme di nostri amici e collaboratori: Natale Luzzagni, Stefano Valentini, Rosa Elisa Giangoia, Sandro Angelucci, Liana De Luca eccetera. * ALLA BOTTEGA - rivista quadrimestrale di cultura ed arte diretta Sergio Manca - via Angelini 16 27100 Pavia. Riceviamo il n. 3 (settembredicembre 2013), sul quale troviamo le firme di Nazario Pardini, Franco Campegiani eccetera. * RIVISTA ITALIANA DI LETTERATURA DIALETTALE - Periodico trimestrale fondato e diretto da Salvatore Di Marco - via Veneto 16 - 90144 Palermo. Riceviamo il n. 1 (gennaio-marzo 2013). * IL TIZZONE - Periodico fondato e diretto da Alfio Arcifa - via Amatrice 40 - 02100 Rieti. Riceviamo il n. 1 (96-97) del maggio 2014. * IL FOGLIO VOLANTE/LA FLUGFOLIO - Mensile letterario di cultura varia diretto da Amerigo Iannacone, resp. Domenico Longo - via Annunziata Lunga 29 - 86079 Venafro (Is). Riceviamo il n. 4 (aprile 2014), sul quale troviamo le firme delle nostre amiche Adriana Mondo, Teresinka Pereira, Loretta Bonucci. * SOLOFRA OGGI - Mensile diretto da Angelo Picariello - via Casapapa 1 - 83029 Solofra (AV). Riceviamo il n. 28 (aprile 2014).

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* NUOVO DOMANI SUD - Periodico di informazione politica e culturale diretto da Fortunato Aloi, resp. Pierfranco Bruni - via Santa Caterina 62 89121 Reggio Calabria. Riceviamo il n. 3 (maggiogiugno 2014).

L’ITALIA DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice

Quinta puntata* Oh, giorno di splendore! Vittoria netta, senza precedenti, non del PD, però, ma di Silmàtteo, che sbaragliato ha tutti i contendenti. Ha messo facce nuove; di sanare ha promesso ogni enfisema; ha dato fiato alle opposizioni; allontanato ha la Sinistra estrema mollando uno schiaffetto al Sindacato e grandemente, grandemente osato rivolgendosi, senza titubanza, ai moderati sotto ogni bandiera ché, nel Paese, sono maggioranza. Non ha gridato di tagliare teste, né d’attivar speciali tribunali. In faccia all’Europa or si presenti e ne tracci la linea; se la Merkel ha vinto, mai più potrà, nel fare e nel disfare, esser così fulminea. Hollande è stato preso a schiaffi e sputi da Le Pen e, con Marine, avanza la protesta; nessuno può ballare come prima. Entrati son, nel nuovo Parlamento, dall’euro pelati e bidonati che canteranno, certo, un’altra rima. Grillo più non minaccia alcuno sballo, né la marcia su Roma.


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Ha seminato il panico a tanti suoi, togliendo la poltrona solo per qualche critica od un’apparizione alla TV. E mentre lui ci andava! Metro che al Movimento non va giù. Un flop ha fatto pure la Meloni. Alfano si accontenta di una cifra e sotto la mannaia giudiziaria sempre più si assottiglia FI. Ha perduto la grinta Berlusconi. E’ tempo che Silmàtteo ne approfitti per fare finalmente le riforme non della sola legge elettorale, ma di tutte le marce istituzioni. Una bassa marea veneziana ha messo allo scoperto il putridore. La calamita che rastrella l’oro ha tra le mani Mose1, non il tortore. Ben 35 arresti alla retata tra cento e più quaranta gli indagati, giacché la cricca è assai ramificata. Ci sta dentro il PD2 caduto nel canale mentre che da sonnambulo marciava sotto l’anestesia d’una presunta alterità morale3; non manca FI4 il caterpillar della concussione, sì che mai un suo esponente può mancare tra ladri, malefatte e corruzione; c’è pure la Finanza5: stanca nel rastrellare gli evasori, ritempra le sue forze nel riposo e passa con le armi e coi bagagli tra i suoi nemici e gli intrallazzatori! Nelle civili regole e morali l’oscilloscopio ha sinusoide piatta. Nulla di grave sembra che succeda a gente solo povera e distratta. Invece, preme il magma, ad ondate. Dentro il giardino, sotto il proprio suolo, Marco Battisti, in quel di Rocca Massima,

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al posto di carote e di patate, coltiva, infatti, chili di tritolo! Mentre la quiete pubblica si sfrangia e capolino fa l’ostilità; mentre il lavoro scema e gente sempre più non beve e mangia; mentre le aziende chiudono o se ne vanno all’Estero; Laura, l’ineffabile Boldrini6, ritiene urgenti, anzi, prioritari, e taglio di capelli e bigodini. Mette, così, le ali al calendario. I barbieri si adeguino all’istante. Si aggiornino di corsa a spese nostre. Diventino barbieri-parrucchieri! E’ bene far la barba a dei maschiacci, così come hanno fatto fino a ieri, ma non discriminando le colleghe che sono numerose e belle e toste. Di boccoli abbisogna la congrega. Imparino ad usare il calamistro e sian maestri nella messa in piega. Domenico Defelice (5 - continua) * Riassunto delle precedenti Puntate - Una notte d’estate, Berlusca erutta attraverso un suo attributo per una condanna definitiva. In Germania, Angela Merkel è in sofferenza per una perdurante stitichezza (in senso economico e specialmente nei nostri confronti). Le giunge la notizia che, nella colonia italiana, Silmàtteo Renzusconi è stato nominato Segretario del PD., il quale, tra l’altro, vuol combattere contro l’austerità dell’ Europa a direzione teutonica. Ai primi di febbraio, un altro terremoto scuote la politica italiana: Alan Friedman rivela, in un suo libro, che, sei mesi prima delle dimissioni di Silvio Berlusconi da Presidente del Consiglio, Giorgio Napolitano e Mario Monti avevano tramato per defenestrarlo. A febbraio, il Governo Letta è sostituito da quello a guida Renzi, formato da giovani di belle speranze, per la metà donne. L’inizio sembra travolgente, ma è tutta una manfrina in attesa delle elezioni euro-


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pee. Anche nei confronti dell’Europa a guida Merkel, Renzi appare fin troppo ... conciliante: l’Italia ingoierà ogni medicina che le verrà proposta! Berlusconi deve scontare la condanna ai servizi sociali. Roma, simbolo della Nazione, è nel caos. Anche per una partita di calcio ci son pistolettate. Esplode il caso dell’ExPo milanese e viene enfatizzata la decisione del Sindaco di Pomezia di diversificare la merenda ai giovanissimi allievi delle scuole pubbliche. Note: 1 - Non il leggendario Mosè che, con la verga, ha aperto un varco in mare per il passaggio degli Ebrei, ma il Sistema di dighe per regolare l’effetto marea ed evitare l’allagamento di Venezia. 2 - Gli arresti sono 35, ma gli indagati sono quasi 150. Tra quelli d’area PD, troviamo Sergio Orsoni, Sindaco di Venezia; Giampiero Marchese, consigliere regionale eccetera. 3 - E’ una favola metropolitana che la Sinistra sia moralmente diversa : i partiti politici e, in genere, gli uomini politici, sono onesti e corrotti dappertutto. 4 - Tra gli altri, Marco Milanese, ex deputato e collaboratore di Giulio Tremonti; Giancarlo Galan, deputato eccetera. 5 - Spicca l’ex Generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante. 6 - Presidente della Camera dei Deputati. Sotto la sua regia, il Collegio dei Questori ha stabilito che i barbieri, ivi in servizio, facciano un corso di aggiornamento per curare, oltre la faccia (di gomma) degli onorevoli maschi, anche le teste e le chiome delle deputatesse (faccia di gomma anche loro, spesso siliconate!).

LETTERE IN DIREZIONE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice) Carissimo Amico, oggi è il 16 Giugno e domani sarò in volo verso il Nord dell'Europa, tu sai bene perché! Poche righe dal mio studio di via Giovanni Speranza n. 18, per dirti la mia gioia nel ricevere stamane il numero di Giugno 2014. Lo porterò con me insieme agli altri, che dal mese di Marzo in poi, hanno visto pubblicati, grazie al tuo consenso, i miei lavori su Luigi Nono, su Schoenberg (ora la signora Nuria mi

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precisa che si scrive così, perché la loro origine è spagnola e che lui, il suo Papà, non è mai stato a Darmstadt, perché a quell'epoca era con la famiglia e lei giovanissima a Los Angeles!), sul compositore De Pirro, del quale non ho messo la data di morte perché per me è vivo e basta. Si, carissimo, perché questo mio modo di vivere il tempo della comunicazione e della relazione deve essere dilatato a macchia d'olio: senza lasciarsi fagocitare dal mero crudo evento che blocca il respiro e senza andare ogni volta, come faceva il Foscolo, al tempio di Santa Croce in Firenze, per trovare il coraggio di essere forte di fronte alle tombe dei 'nostri' eroi, di quegli Italiani in tutto ed autorevoli e degni di stima perché dignitosi ed in rigore, come l'Alfieri e come Dante, allora questa pratica dell' 'os mé', del fare in modo che il nostro agire, come sostiene l'apostolo Paolo, sia conformato alla presenza di Gesù vivo e vero tra noi, credendo fermamente che la Resurrezione sia veramente avvenuta, allora tutto va oltre ogni semplice aspettativa e si incontra un 'destino' carico di trasparente futuro. Nemmeno Nono per me è morto, perché l'ho trovato in fotografia su tutte le pareti della Trattoria Altanella: sono andata la settimana scorsa e mi hanno accolto con generosa simpatia, prima il papà Stradella, lungo la Fondamenta di fronte al Canale della Giudecca, classe 1939, che ha cominciato a lavorare a 16 anni in trattoria ed ora è proprio stanco, dopo aver fatto un infarto, poi i suoi due figlioli. Uno di loro mi ha spiegato che quando è andato a Cuba ed ha incontrato il responsabile della Cultura, che aveva conosciuto direttamente Luigi Nono, generoso al punto tale da portare i primi computer e donarli a loro, si è sentito dire 'Luigi Nono, un uomo immenso!' Come faccio io, dimmi tu, a non esser presa da 'intelletto d'amore', a non innamorarmi perdutamente ed eticamente di lui? Così il destino meravigliosamente incalza e mi fa toccare con mano cose che un altro, ricercatore concentrato e non distratto, ci metterebbe ' annorum' e vita a scoprire. E' questo il caso delle parole di Nono per Jean Barraqué e la sua 'Mort de Virgil'! Si, perché


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Luglio 2014

farò tutto un lavoro sulla teoria letteraria legata al romanzo, aperta da Thomas Mann ed inseguita da Hermann Broch e da altri, sulla funzione dell'opera d'arte, funzione che Jean Barraqué assume su di sé e ne scandaglia i risvolti e gli intrecci: Virgilio si appressa alla morte e vuole distruggere l'Eneide, dandola alle fiamme, questo il centro del lavoro di Broch, si, vuole dare alle fiamme il suo capolavoro, perché se è concluso, cosa resta altro da fare? La morte chiude la vita dell' autore ed il libro, completato e pubblicato, chiude il suo Autore in una morsa che non lascia respiro. Andrò ancor più in profondità anche su questi due studiosi e musicologi di vaglia, quali sono Paul Griffiths e Laurent Feneyrou... Io interrompo la fissità del continuum e mi salta fuori la tua lettera del 27 Dicembre 1970 al Papà! Un dono incredibile dopo traslochi ed inondazioni ed epurazioni di 'Mammina'! Un'amica, graziosamente mi ha detto che 'Dio xe diventà stralocio, el varda solo da la to parte!' Può darsi che Dio sia diventato strabico e guardi solo dalla mia parte, ma Dio, quel Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola lo cerco sempre e si fa trovare, perché '...in principium erat Verbum, et Verbum erat apud Deum et Verbum erat Deum'! Fai bene ad incoraggiarmi affinché raccolga tutte le testimonianza di Papà, perché dentro c'è vita e vita vera, quella che 'straborda' dai confini stretti del reale, che oggi ancora soffoca, come ai tempi di Bruno, di Campanella, del Tasso, del Vico, di Aldo Moro e di Berlinguer.... Tra le tante, in una foto a colori, dietro il banco della Trattoria Altanella, Nono è con Abbado, Lachenmann, gli Stradella, Cacciari ed altri e la foto è stata scattata dalla Signora Nuria: Nono andava sempre da loro a mangiare ed a bere, quando era alla Giudecca e mi hanno offerto di tutto, facendomi pagare quello che pagava Gigi! Un dettaglio: nel Carteggio Lachenmann-Nono ci sono anche lettere in italiano perché Elmo (Helmut Lachenmann) usa scrivere in questa lingua quando è stanco e non ha da pensare troppo, così anche per altri testi e lettere di Nono a lui: gli mostrerò Pomezia Notizie e la recen-

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sione del Carteggio ed i miei lavori su Nono e Arnold Schoenberg così vedremo se sarà felice e ti dirò tutto nei minimi particolari. Ti abbraccio forte forte Ilia tua Ilia Carissima, ognuno di noi possiede un modo di rapportarsi con i Campioni del passato e, ancor di più, con quelli del presente, al quale attingere continuamente “per trovare il coraggio di essere forti”. Foscolo soleva andare - come tu ricordi - a trovare il Grandi nel tempio di Santa Croce, ben sapendo che la forza, che cercava da loro, poteva ugualmente attingerla anche stando altrove: dalle loro opere, senza, cioè, la necessità che egli sostasse accanto alle loro tombe. Il recarsi a Firenze era per lui un rito, un simbolo, un esempio, e Dio solo sa di quanti e quali simboli, riti, esempi, oggi noi Italiani abbiamo bisogno per reagire e scrollarci di dosso i mali che ci affliggono e che sono morali prima che materiali: la corruzione, l’avidità, la disonestà, il lobbismo, la delinquenza organizzata e via elencando, che si manifestano solo perché già annidati nel nostro cuore. Se non c’è data l’ occasione e la possibilità di recarci in Santa Croce, tutti dobbiamo ricordare che i nostri sacri Templi sono coloro che rappresentano un simbolo. Perciò, se è giusto continuare a riferirci ai Grandi che ci ha dato il passato, altrettanto doveroso è rincorrere i grandi di oggi, in ogni campo, e che possono variare per ciascuno di noi. Così, accanto a Dante, Alfieri, Foscolo, Leopardi - a te e a me in comune -, tu puoi e devi rincorrere Nono, per esempio, ed io il tuo Papà, per esempio, il grande Francesco Pedrina. Perché anche oggi i “dignitosi e in rigore”, come tu scrivi, li abbiamo in ogni campo - letterario, artistico, musicale -: basta solo cercarli. Ami, dunque, e additi al mondo ciascun di noi i propri Campioni, perché anche il mondo si innamori di loro e cambi. Ma il campione per eccellenza, il Sommo, l’Universale, colui che rappresenta il Passato, il Presente e il Futuro, è Cristo, al quale l’intera umanità - dei cre-


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denti e dei non credenti - dovrebbe guardare e conformare l’esistenza, perché i Vangeli sono, principalmente, norma di vita rivolta a tutti gli uomini, senza distinzione di razza, colore, censo. [La Fede. E ti confesso che, con il passar degli anni, la mia, che in passato pensavo profonda e inossidabile, si è di tanto affievolita, proprio adesso che ne avrei più bisogno]. Perciò, Cara Ilia, ti sprono ad andare, finché puoi, all’incontro dei tuoi idoli e a presentarceli come doni dello spirito. Pomezia-Notizie sarà sempre lieta e orgogliosa di metterti a disposizione le sue pagine. E vengo alla tua scoperta di una delle mie tante lettere inviate, a suo tempo, al tuo Papà. L’emozione è stata grande. Non avendo avuto mai l’ accortezza di conservare né bozze, né veline, di ciò che negli anni ho scritto ai tanti amici non ho traccia. Perciò essa mi ha causato grande gioia. Ed è una conferma di qual fosse, allora, il mio atteggiamento verso i miei idoli: al tuo simile, di entusiasmo e passione, perché il mio credo e la mia fiducia in loro era granitica. Allora, continua a sfogliare i suoi libri, a scavare tra le sue cose rimaste dopo le “epurazioni” della tua Mamma troppo gelosa; rivolgiti ai suoi pochi amici superstiti, perché non potrai che trovare “vita e vita vera”. Ti abbraccio. Domenico COLLABORATORI, QUESTA TESTATA È A RISCHIO CHIUSURA! Questo numero è in forma assai ridotta perché la cassa è completamente vuota. Gli Autori, ogni volta che trovano la loro firma, o pezzi a loro dedicati, dovrebbero sentirsi moralmente obbligati ad effettuare un qualche versamento volontario. L’ abbonamento - e non tutti l’hanno sottoscritto! serve appena per l’invio dei 12 numeri annuali, unico periodico a mantenere, finora, un tale ritmo. Ci deprime, e fortemente ci indigna, il fatto che “amici” collaboratori, sentendo un tale discorso, addirittura si offendano. Amen!

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AI COLLABORATORI Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) composti con sistemi DOS o Windows su CD, indicando il sistema, il programma ed il nome del file. E’ necessaria anche una copia cartacea del testo. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute. Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario). Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I testi inviati come sopra AVRANNO LA PRECEDENZA. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Per chi usa E-Mail: defelice.d@tiscali.it Il mensile è disponibile anche sul sito www.issuu.com al link http://issuu.com/ domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI Per il solo ricevimento della Rivista: Annuo... € 40.00 Sostenitore....€ 60.00 Benemerito....€ 100.00 ESTERO...€ 100,00 1 Copia....€ 5,00 e contributi volontari (per avvenuta pubblicazione): c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice. Codice IBAN: IT37 NO76 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio


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