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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 22 (Nuova Serie) – n. 11 - Novembre 2014 € 5,00

VIAGGIO CAMPESTRE con Papà al

AL CASTELLO DI COLLOREDO di Aida Pedrina

M

I sono molto cari tutti i bei ricordi del mio Papà, Francesco Pedrina, e in modo particolare lo sono gli aneddoti che portano alla luce il suo modo di essere di tutti i giorni, la sua vitalità e spontaneità, la sua sonora impazienza, il suo grande amore per la natura e la vita di campagna. Quand’ ero bambina, passavamo parte dell’estate nella nostra villa a Brazzacco nel Friuli; “ Il Beato Colle ,“ come lo chiamava il Papà, era circondato da ridenti colline e campagne fertili e ben coltivate che si stendevano fino all’orizzonte. Il Papà amava la gran pace e bellezza di questi luoghi; Brazzacco era anche nelle vicinanze del Castello di Colloredo di Montalbano dove Ippolito Nievo trascorse gran parte della sua fanciullezza e giovinezza; inoltre, le rovine del Castello di Fratta, che ser-


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All’interno: Valeria Giannantonio: Il tempo che non dura, di Giuseppe Leone, pag. 7 Elena Milesi: Il quaderno della sfida, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 9 Dal Cantico delle Creature ai poeti moderni, di Elvio Chiappe, pag. 13 Alfredo Oriani, di Leonardo Selvaggi, pag. 16 World Poetry Yearbook 2013, di Domenico Defelice, pag. 19 Viaggio splendido, di Themistoklis Katsaounis, pag. 22 I Poeti e la Natura (Fulvio Castellani), di Luigi De Rosa, pag. 23 Notizie, pag. 41 Libri ricevuti, pag. 48 Tra le riviste, pag. 51 RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice, pag. 25); Elio Andriuoli (Sonetti dolenti e balordi, di Lucetta Frisa, pag. 26); Piera Bruno (Il sogno della luce, di Pasquale Balestriere, pag. 27); Tito Cauchi (L’occhio di Polifemo, di Angelo Australi, pag. 28); Tito Cauchi (El retrato feminino en la poesia de Carilda Oliver Labra, di Carlos Chacon Zaldivar, pag. 28); Tito Cauchi (Due ali, di Carmen Creaco, pag. 29); Aldo Cervo (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 30); Roberta Colazingari (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 30); Roberta Colazingari (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 30); Domenico Defelice (Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa, di Luigi De Rosa, pag. 31); Luigi De Rosa (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 31); Filomena Iovinella (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 32); Antonia Izzi Rufo (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 32); Ilia Pedrina (The evolution of Israeli-Chinese Frendship, di Aron Shai, pag. 33); Andrea Pugiotto (Amore mi manchi, a cura di Giovanna Li Volti Guzzardi, pag. 34); Andrea Pugiotto (Per una lettura della Vita nuova di Dante, di Antonia Izzi Rufo, pag. 35); Andrea Pugiotto (Donna, di Antonia Izzi Rufo, pag. 36); Andrea Pugiotto (Stralci di vita, di Antonia Izzi Rufo, pag. 36); Andrea Pugiotto (Miraggio, di Antonia Izzi Rufo, pag. 37); Andrea Pugiotto (Perché tu non ci sei più, di Antonia Izzi Rufo, pag. 37); Innocenza Scerrotta Samà (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 38); Innocenza Scerrotta Samà (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 38). L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 51 Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 53

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Lorella Borgiani, Antonio Crecchia, Georgia Chaidemenopoulou, Colombo Conti, Filomena Iovinella, Antonia Izzi Rufo, Andrea Masotti, Adriana Mondo, Teresinka Pereira, Ciro Rossi, Leonardo Selvaggi

virono al Nievo d’ispirazione e che egli immortalò nel suo “ Confessioni di un Ottuagenario”, erano poco lontane da Colloredo. Il Papà ammirava moltissimo questo scrittore; parlava spesso di lui, dei suoi scritti, della sua vita di soldato eroico, della sua tragica morte,

giovanissimo, in un naufragio; mi aveva anche dato “Confessioni “da leggere. Un bel giorno d’estate, il Papà annunciò a tavola che aveva scritto a una nipote del Nievo che viveva nel Castello di Colloredo, chiedendole il favore e la gioia di poter visita-


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re questa antica dimora. E la gentile signora aveva risposto che sarebbe stata felicissima di conoscere il Prof. Pedrina e la sua famiglia. Il Papà, col suo sorrisetto arguto e gli occhi che gli sprizzavano d’entusiasmo, scelse subito il giorno per la nostra visita al Castello. Alla mattina del viaggio il Papà, l’uomo più originale e spontaneo che io abbia mai conosciuto, venne in bagno dove la mamma mi stava pettinando, e le disse che aveva deciso di andare al Castello non con la macchina e l’autista, ma con la carretta e il cavallo, dato che le cose meccanizzate sono brutte, fanno troppo rumore, e rovinano la pace e la bellezza della natura. La mamma, cosmopolita, nata e cresciuta a Milano, smise di pettinarmi, alzò la testa e incominciò subito a protestare: “Cosa? Ma sei pazzo? L’ho detto io che uno di questi giorni dovrò chiamare la Croce Verde e farti internare!” Incominciò a tirarmi un po’ le trecce dal nervoso: “Non posso crederlo! Una signora andare in visita a un castello in una carretta di contadini? E cosa penserà la signora Nievo sapendo che sei uno scrittore famoso e vedendoti arrivare in carretta? Che obbrobrio, che figura meschina!, etc., etc.,” Il Papà se ne andò dal bagno sacramentando, però non cambiò idea. In silenzio, io intanto pensavo che sarebbe stato proprio bello andare in carretta perché di solito, quando vedevo I figlioletti dei contadini passare nelle carrette ridendo e giocando, li guardavo sempre con una gran voglia di essere anch’io con loro; cosa questa che la mamma non avrebbe mai permesso! Finalmente arrivò il momento della partenza. La carretta e il cavallo, piuttosto vecchio per assicurare che non facesse scherzi durante il viaggio, aspettavano alla porta d’entrata. La carretta era tutta pulita: invece del fieno c’era un divanetto di vimini con cuscini per la mamma e piccoli sgabelli di legno per noi bambini. Sotto al divanetto c’era una bella scatola a fiori con un cappello più elegante della mamma per il cambio all’arrivo, e anche un vaso da notte per le mie sorelline in caso dovessero far pipì. La mamma, elegantissima, con un bel cappello verde ma a labbra strette

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e pallida di rabbia, salì sulla carretta aiutata da due mezzadri e una donna di servizio; si sedette sul divanetto eretta come una regina e incominciò subito a dar ordini: un tappetino per non insudiciarsi le belle scarpe, l’ ombrellino da sole, il ventaglio; il cestino capace con asciugamani, pannolini, pettine e spazzola, borotalco, Acqua di Colonia, pillole per il mal di testa, una bottiglietta d’aceto in caso di possibili svenimenti, nonché acqua minerale e succo di frutta. Volle anche che venisse con noi la donna di servizio per porgerle il necessario durante il viaggio e per badare alle piccole. Stava ancora dando ordini e istruzioni a tutti, quando venne fuori il Papà che salì davanti nel posto di guida col fattore; era contentissimo, pieno di vitalità, e ci disse sorridendo che ci avrebbe recitato alcune bellissime poesie – le sue predilette — di Carducci, Pascoli, e Leopardi; e che più di un semplice viaggio in campagna, questo sarebbe stata una vera e propria comunione con la natura. Poi si rivolse al fattore: “Piero, puoi andare a casa; oggi la carretta la conduco io!” e si tolse la giacca e la cravatta passandole dietro alla donna di servizio. La mamma, che per un attimo sembrò impietrita sul divanetto dall’orrore, scattò: “Dio mio, ma questo e’ il colmo! Ti conoscono tutti, cosa dirà la gente vedendoti guidare carretta e cavallo in maniche di camicia come un povero contadino? Ma che vergogna! Che umiliazione!” Il Papà disse qualcosa di non gentile circa la gente di città, mentre spronava il cavallo che aprì gli occhi e cominciò a trottare con pochissimo entusiasmo guardando, chissà con nostalgia, tutto quel bel verde ai lati della stradina; ogni tanto scrollava la testa e rallentava. Il Papà aveva già incominciato a recitare “Davanti a San Guido”; come descrivere la sua voce quando recitava? Profondamente commosso, con la voce e le labbra che gli tremavano durante i versi più belli, donava alle parole tutta la sua anima e le sue emozioni più belle; io ne ero incantata e sempre piangevo con lui. Nelle pause fra poesie, il Papà ci faceva ascoltare in silenzio il canto degli


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uccelli; egli li riconosceva dal loro cinguettio allegro e melodioso, e ne diceva i nomi: “questa è un’allodola, questo è un fringuello, un pettirosso, una ghiandaia, un passero”, e così via, dicendoci anche i colori delle loro piume e i loro alberi favoriti per fare i nidi; poi atteggiando le sue labbra a fischio, imitava perfettamente i diversi gorgheggi! Per noi queste imitazioni erano divertentissime e Virgilio gli chiese di ripeterle, ma il Papà diceva: “Dopo, dopo…” e ci additava alberi, vigneti, frutteti, campi di grano e di frumento, fiori campestri, dicendoci i nomi di ognuno in latino e in’italiano, spiegandoci le differenze della loro crescita nelle varie stagioni, parlando delle varietà dell’uva e della frutta, la loro coltivazione e tante altre cose interessantissime. Ancora mi sorprende la sua formidabile memoria e la sua profonda conoscenza non solo di tutte le Belle Arti, ma anche in botanica e agricoltura. Il cavallo intanto trottava moderatamente, e passavamo tante casette pulite e ridenti con gerani rossi in profusione sui davanzali, bambini che giocavano, donne che parlavano davanti alle porte di casa o che lavavano cantando i panni al fosso, contadini che lavoravano nei campi; molti si fermavano per guardarci passare e per salutare. La campagna era tutta una visione di luce, di armonie, di pace e di semplice bellezza. A un certo punto incominciò a far caldo. Ci sentivamo piuttosto incomodi con i vestiti da visita all’aperto e con quel bel sole, ma questo viaggio in carretta era per noi una vera avventura ed eravamo tutti contenti; non così la mamma! Elegantemente seduta sul divanetto, con una posa degna di un nobile salotto, si tamponava le tempie con un fazzolettino di seta imbevuto di acqua di Colonia alternandolo con colpi feroci di ventaglio che tradivano tutta la sua rabbia. All’aumento del caldo, il cavallo allentò il trotto; il Papà, piuttosto rosso in faccia, sudato, e con le lacrime agli occhi perché aveva appena finito di recitare “La Cavallina Storna”, con cambiamento improvviso incominciò a spronare il cavallo gridandogli improperi in dialetto mentre si toglieva i polsini e si arrotolava le maniche

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della camicia. Il povero cavallo abbassava la testa come se si vergognasse di non poter andare più in fretta, però non aumentò il passo. La mamma si rivolse al Papà alzando un sopracciglio — lo faceva spesso, anche a tavola perché sapeva quanto quel sopracciglio alzato lo inferociva --: “Sei contento adesso? Guarda come sei conciato! Vestilo di seta e vestilo di velluto…” Per fortuna il Papà le voltava le spalle e non vide il sopracciglio alzato ne udì le sue parole, dato che era tutto preso col cavallo; e la povera bestia drizzava la testa e le orecchie e anche allungava il collo nello sforzo di trottare un po’ più velocemente, ma con pochissimo successo. Dato che il Papà non le badava, la mamma incominciò a prendersela con la donna di servizio: “Ma badi alle bambine! Non vede che si stanno sgualcendo e insudiciando i vestitini? Prenda un pannolino e le pulisca la faccia e le mani!” Poi si rivolse a Virgilio e a me che ridavamo di gusto per tutta questa confusione e grida e ci fulminò con lo sguardo: “Ridete? Tutto questo vi sembra molto divertente, vero? Vedrete cosa vi aspetta quando torniamo a casa!” Le sue parole ci tolsero immediatamente il sorriso perché noi avevamo molta paura della mamma! Specialmente io che, come al solito, incominciai subito a piagnucolare meritandomi così ancor più rimproveri che furono però, di poca durata, perché la mia sorellina Rosalba si era messa a cantare traballando in piedi sul divanetto, e la mamma dovette darle la sua attenzione. All’improvviso, e senza ragione alcuna, la più piccola, Ilia, incominciò a dar gridi acutissimi forse per partecipare anche lei a tutto il baccano della famiglia! Il Papà smise per un attimo d’insultare il cavallo e si girò verso di noi: “Basta! State zitti! E’questo il modo di apprezzare la bellezza e la pace della natura? Guardate! Già possiamo vedere il Castello di Colloredo, saremo là in poco più di venti minuti!” La mamma, che già aveva aperto la bocca per “dirgliene quattro” dato che era girato verso di noi, si trasformò invece in un torrente di ordini: “Mi dia il pettine e metta le piccole


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qui sul divanetto che le devo pettinare!” alla donna di servizio; “Venite qua voi due che vi devo mettere apposto!” a me e a mio fratello; e al Papà: “Che schifo! Guarda come sei tutto sudato! Asciugati la faccia!” e gli passava un fazzoletto bagnato con l’acqua di Colonia. Il Papà, che solo amava i profumi dei fiori, dei pini, del fieno e della natura, diceva: “Metti via e dammi un fazzoletto pulito!” “Ti manca proprio una rotella!” pronunciò la mamma, incominciando di nuovo a martoriare la donna di servizio e noi due perché tutto fosse perfetto all’arrivo. Il che non fu possibile in una carretta! Quando finalmente si arrivò sulla stradetta al lato del castello, la mamma che stava ormai perdendo la sua posa signorile, disse a denti stretti: “Non possiamo assolutamente presentarci così alla signora Nievo! Fermiamoci qui in una trattoria e useremo il loro bagno per metterci apposto, specialmente tu”, rivolta al Papà, “che sei tutto sudato! Ma non pensi alla brutta figura che faremo al castello? Dio mio, cosa penserà la signora Nievo!” Il Papà, che con gran fatica e ancor più maledizioni, era riuscito a far girare il povero cavallo verso la salita al castello e parcheggiato davanti a una trattoria, si girò verso la mamma: “Siamo in campagna! La signora Nievo senz’ altro capirà e apprezzerà il mio desiderio di completa immersione nella natura!” e scese dalla carretta. La mamma non lo ascoltava perché era occupata con lo scambio dei cappelli, mentre la donna di servizio le teneva davanti uno specchio rotondo. Sempre affabilissimo e spontaneo, il Papà salutava il padrone della trattoria e altre persone che erano venute fuori, spiegando a tutti il nostro viaggio in carretta e la visita al castello; poi chiese acqua e biada per il cavallo. Messi tutti apposto, fra i lamenti e le rimostranze della mamma, si andò fuori per salire di nuovo in carretta fra la gente intorno che sorrideva e salutava: io ero così contenta che avrei voluto abbracciar tutti! Il Papà spronò il cavallo dicendogli in dialetto: “Dai, fa il bravo, solo pochi metri e poi potrai riposare all’ ombra tutto il pomeriggio!” Al tono amiche-

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vole del Papà, l’infelice cavallo alzò la testa con moto di rinnovata energia, fece alcuni passi, e cadde in ginocchio! E non ci fu verso di farlo rimettere in piedi, nonostante la scarica di improperi fulminanti che gli lanciava il Papà e che avrebbero fatto drizzare anche un morto! Il Papà fuori di sé, bestemmiava a tutto spiano mentre due uomini rimettevano in piedi il cavallo. Quanta pena mi faceva questo povero cavallo che si guardava intorno con occhi tristi! Scuoteva e abbassava la testa, e poi la rialzava con moto quasi d’ orgoglio, come per dire: “Mi rifiuto di dare un altro passo!” Ormai quasi tutta la gente del villaggio era venuta fuori, e molti stavano intorno alla carretta. Venne fuori anche il prete forse per esorcizzare i “sacramenti” del Papà (o il Papà stesso!), che intanto si era calmato e parlava con degli uomini. Noi bambini eravamo felicissimi e pieni di vita: questa sì stava diventando una magnifica avventura! E che bello avere tutta questa confusione e gente intorno alla carretta! Ricordo che io e Virgilio ci guardavamo e ci veniva tanta voglia di ridere ma dovevamo trattenerci per paura della mamma che in questi momenti era ormai rimasta senza parole, ma con immensa furia negli occhi, per l’orrore, la vergogna, e la bruttissima figura che secondo lei, stavamo facendo. Ciononostante, a testa alta, ringraziando queste gentilissime persone che ci aiutavano a scendere, rientrò con tutti noi nella trattoria per sederci al fresco e aspettare. Poco dopo entrò anche il Papà, come se niente fosse successo,ordinando bicchieri di vino per gli uomini che lo avevano aiutato. Poi si rivolse alla mamma: “Il cavallo non ce la farà per il viaggio di ritorno; uno degli uomini lo porterà indietro domani; il padrone della trattoria ha offerto di portarci al castello con la sua macchina. All’ora di tornare, chiameremo il nostro autista per venirci a prendere, andiamo! Isottina, Giglietto, vi è piaciuto il viaggio in carretta? Siete proprio fortunati! Nessuno ha un papà come il vostro!“ E noi: “ Si papà, si papà!“ ed eravamo davvero contentissimi!


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La mamma si alzò, alzando anche il sopracciglio a nuove altezze, ma non disse nulla; questo non poteva che significare: Guerra feroce al ritorno! Anche questa volta, il Papà non s’accorse perché stava ringraziando e salutando tutti. Fuori ci aspettavano la donna di servizio e il padrone della trattoria con la macchina. Gentilissimo e ossequioso con la mamma, teneva aperto lo sportello, e si mise persino sull’attenti mentre lei saliva. Qualcuno aveva già portato via la carretta e il cavallo, ma c’era ancora molta gente intorno che ci salutava. Alla porta d’entrata del castello, ci aspettava sorridendo la signora Nievo con un bel vestito grigio perla e i capelli bianchi pettinati all’antica; ci accolse tutti con gran gentilezza e spontaneità, e ci accompagnò a un grande salotto per presentarci ai suoi familiari. Tutti conoscevano il Papà solo di fama e furono felicissimi di conoscerlo in persona. Ed Egli, semplice e simpatico, e assolutamente a suo agio come sempre e dovunque, si sedette e incantò tutti con il suo vivissimo racconto delle bellezze e peripezie del nostro viaggio campestre. Aida Pedrina

iniqui come le loro anime: prendere, imperare, e non dare mai nulla. Quanti errori hanno effettuato, restringono ancora di più il cappio. Senza difesa la diga dilaga, esondano fiumi e ruscelli e l’urlo si perde sulle balze del monte dove il gregge pascola, le pietre rotolano nella valle e la volontà si spegne senza un perché in un giro di vite che la gola stringe. Stringe la gola e la parola muore senza suono anche se può arrecare danno. Stiamo zitti, zitti per quel sacro onore acceso dalla dignità del povero che non grida né batte i piedi come un bambino capriccioso. Nel capriccio c’è la voglia e la volontà di cambiare far capire che dietro quella porta chiusa c’è solo fame e miseria nera. Nera come la notte di antiche guerre dove il tremore, la paura viaggiavano come ombra, così oggi la speranza di un mondo migliore seducente come la donna della sfilata - modella la si guarda desiderandola per un abbaglio che non è amore. Storia infinita e mistero. Ciro Rossi

Tucson, AZ, USA Foto pag. 1: Francesco Pedrina, al centro, con Antonio Nievo, padre dello scrittore Stenis Nievo, e il Sindaco di Colloredo.

DIETRO LA PORTA … Dietro la porta chiusa disperazione e fame al lume di candela della buia sera dove il patriota sovente ha scritto: patria-padre mio t’amo d’un amore che non ha senso. O ne ha? Dillo tu! Tu che ogni giorno m’imponi a essere schiavo di questo mondo non più libero, dove si gioca con la vita tutti i giorni, oggi e quelli da venire, ma la miseria è stampata dietro la mia porta e non va via. Scodellano senza spifferare nulla, stanno zitti, zitti come serpenti striscianti, la testa alzano da scanni di prestigio in quel buco dove il marciume esce a fiotti e spavaldi sigillano leggi e decreti iniqui,

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Recale, CE

MALINCONIA Malinconia per la notte che sta per giungere ch tutto addormenta. Fantasma si fa la notte. Loretta Bonucci AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 18/10/2014 Cari lettori e amici, bando alle dicerie, bando alle ciance. Vi esorto a non tener in spregio Dante sol perché Bondi scrive ...poesie! Domenico Defelice


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VALERIA GIANNANTONIO IL TEMPO CHE NON DURA (C’era una volta la poesia lirica) di Giuseppe Leone E n’è voluto di coraggio da parte di Valeria Giannantonio, lasciare, seppure momentaneamente - crediamo - il fortino sicuro e tranquillo della critica letteraria, per avventurarsi da sola, si fa per dire, nel bosco della poesia, terreno scivoloso e pieno d’insidie, almeno da quello che ci ha fatto vedere già nella sua prima fatica, Il canto del silenzio, e che continua a farci notare ancora in questa sua nuova raccolta dal titolo Il tempo che non dura edito dalla Lanieri Editori di Pescara nel luglio 2013. Si tratta di una novantina di liriche brevi, da ascrivere tutte al genere epigrammatico, per via di una tendenza propria della sua autrice a definire, incidere, tratteggiare, più che a descrivere, celebrare, evocare. Non avviene mai che la poetessa,

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di ritorno dall’esistenza alla vita consumata negli spazi della mente (96), si abbandoni alla sua contemplazione. Ne registra, al contrario, quel poco che della vita vi ritrova: frammenti, scampoli e brevi brandelli, di cui appena, a stento, riesce a ricucirli in un puzzle. Sono tentati abbracci alla vita che la sfugge, Non ho mani / per stringere / il tuo corpo / avviluppato nel silenzio (84), tanto che par di rivedere o risentire Dante: Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,/e tante mi tornai con esse al petto. Sono spigoli di luce (97), barlumi di speranza (89), trucioli di vita, sogni antichi / di gioie consumate / in un addio… (56). Un campo di rovine, insomma, questi versi della Giannantonio, attraverso i quali, Umberto Russo – nella prefazione - cerca di farsi strada in compagnia di parole d’ordine, che lui chiama mots-clé, parole-chiave che ritornano più volte nelle liriche del testo, quali: solitudine, silenzio, illusione. Qui, dove la forbice della dissociazione fra esistenza e vita s’è ulteriormente allargata rispetto alla precedente raccolta, la poetessa sembra perdere di colpo l’ispirazione romantica della prima ora, per concentrarsi unicamente su lacerti di silenzio (36), visto che ora il canto si è come arreso, per lasciare spazio a una poesia muta, afasica si direbbe, fatta di sorrisi che si spengono a un’onda di vento (13), mentre della mente, ormai, lei può ascoltare solo gli echi e i sussurri (16) in una terra di nessuno (18) e dipingere il buio (che) incombe/ in un’ansia di mistero… quando le luci lampeggiano / nell’inesorabilità / di una morte annunciata (51). Eccola insistere, scrivendo che la parola/ è una sinfonia incompiuta/ di anime senza suono (72), fino a scoprirsi essere fragile / del sillabare di inquietudine, / essere arcano di sentimenti / nascosti (81). Dire che la poetessa abbia appeso la sua cetra ai salici, è come ammettere che Valeria Giannantonio ha per ora smesso di cantare secondo i dettami della poesia lirica tradizionale, perché il tempo (che) non dura / che l’attimo di un istante (99) non consente alla sua poesia, che nel frattempo ha rinunciato al verso e alla paro-


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la per rifugiarsi nelle lettere che la compongono, di distendersi a contemplare l’ oggetto che descrive. Accade così, che la poetessa, usando la parola dal punto di vista del suo significante, può solo balbettare, e in un modo che sembrerebbe rimandare a Carmelo Bene, a quella sua rivoluzione teatrale che egli così giustificava: “Oggi si riscrive perché non si può scrivere. Io riscrivo perché non sono Eva e tanto meno Adamo. Riscrivo soprattutto perché lo sento, e mi sento inattuale. Riscrivo perché mi vergogno di appartenere al mio tempo. È la sospensione della tragedia o meglio la tragedia in sospensione”. La stessa cosa ci pare che si possa dire della Giannantonio, a proposito dei suoi versi, e cioè, che anch’essi siano la sospensione della poesia o meglio la poesia in sospensione, soprattutto quando scrive: Ascolto le parole / nell’alito della notte/ bisbiglianti le note / di un canto di dolore (75). Tutt’altro, allora, che ricordo, canto, evocazione, diletto o recupero della purezza primigenia, il suo canto poetico poggia ormai sulla percezione di suoni che non sono più la cifra corrispondente della sua condizione esistenziale: aspetto il giorno / tra i fruscii di un suono/ che eccita la fantasia,/ la gioia di essere nati/ e il tedio della morte,/ che il tempo che non dura/ scalfisce tra le / ombre della sera (99). E quando lei scrive: “Non c’è realtà / nella vita che vivo” (95), c’è da crederle, dal momento che la sua poesia è costretta a esibirsi in così brevi spazi, incapaci di articolare il discorso sempre succubo del significante. Se poi si tiene anche conto che la sua è poesia di ritorni - dall’esistenza alla vita, si diceva - allora ben si comprende perché, per la poetessa, sia così caro il prezzo da pagare: più degli stessi “personaggi” in Pirandello, nei quali esistenza e vita se le sono date di santa ragione; ma mentre in loro era la vita che voleva esistere, qui, in Valeria, è l’ esistenza che vuole vivere; e non meno di Kafka, quando asserisce che “la logica non può resistere a un uomo che vuole vivere”, o di Kavafis, quando invita il “suo” Ulisse a non affrettare i passi, il giorno in cui si metterà in viaggio verso Itaca, ma a rallentarli, in modo

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che solo da vecchio metta piede sull’isola. Una lirica in sospensione, si diceva, questa che la Giannantonio cerca ora di trarre in salvo, facendola passare per la cruna letterale delle parole, convinta che, se anche la poesia è un’illusione, / forse la più dolce di un cuore / che sanguina e palpita / all’unisono con l’universo (98), essa è ugualmente capace di creare momenti di incanto e di fascino, che non sono vani per l’anima, ma l’aiutano a ritrovare la pace a lungo anelata e sognata. Antilirica, ma non per questo passata tra le file del realismo, la lirica della Giannantonio è pure antiesistenziale e antiesistenzialista a un tempo, cioè contro ogni pretesa di esistenza che vada a scapito della vita stessa e contro atteggiamenti passivi ripiegati sul dolore metafisico. Bene ha visto, allora, Umberto Russo, sempre nella prefazione, a individuare nella poesia di Valeria una forte componente di classicità e di speranza, l’intimo germe di creatività di un mondo, questa volta finalmente stabile, in contrapposizione al tempo che non dura. Giuseppe Leone Valeria Giannantonio - Il tempo che non dura - Lanieri Editore, Pescara, 2013. € 10,00. Pp. 104.

SAPORE D’IGNOTO Morte e rinascita il tempo trasporta, sole e buio si rincorrono. Cambia il mio umore, come il colore delle nuvole, tra un salto e l’altro della cavalletta. Estate e inverno lasciano i loro profumi, suda e s’ increspa la pelle al comando dei venti. Si percepisce il rumore dei passi nei confini del deserto. Aspetto ancora che torni, tu che lasci e ricerchi il passionale amore. Tra tegole gialle di licheni, che nutrono il volo di uccelli, mi bacia il sole. E’ il filo che mi lega alla vita, che regala il ricordo di te donandolo alle mie fragili dita. Colombo Conti Alabano Laziale


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ELENA MILESI IL QUADERNO DELLA SFIDA di Liliana Porr Andriuoli

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L dono di un quaderno, offertole dalle amiche dopo una “serata di poesia”, ha costituito per Elena Milesi l’occasione per un nuovo libro di versi, che si aggiunge alla nutrita schiera di quelli da lei già pubblicati (siamo così a quota ventisei in trent’anni, se non vado errando). La scelta del titolo di quest’ultimo, Il quaderno della sfida (Corponove, 2014, € 5), è stata determinata dal fatto che tale quaderno appariva subito destinato, come ha osservato la stessa autrice nella nota introduttiva alla raccolta, ad “accogliere versi e testi letterari” e rappresentava quindi un esplicito invito, quasi una “sfida”, a chi lo aveva tra le mani, a riempirlo. Elena Milesi ha accettato la “sfida” e così è nata questa silloge, una tra le sue più fresche e convincenti, dal momento che essa ha come presupposto il suo forte amore per la natura, del quale si sostanzia. A sollecitare l’estro della poetessa sono stati questa volta i colori1, che esaltano le apparenze del mondo e le colmano di meraviglie; i colori, che abbellendo la realtà esterna rendono più gradevole il nostro vivere quotidiano. Molti sono coloro che li hanno studiati sia nel loro aspetto oggettivo (di “luce” dalle diverse lunghezze d’onda), sia negli effetti che essi producono sull’uomo. E quindi, non solo come percezione visiva generata sulla retina umana dalle differenti radiazioni visibili, ma anche come reazione, sensazione ed emozione prodotte nell’osservatore, nel momento in cui vedendoli, stupito li guarda e ne ammira la bellezza. Al loro studio si sono, in particolare, dedicati scienziati del calibro di Newton Non va dimenticato che il marito dell’autrice, Giuseppe Milesi, è stato un valente ed apprezzato pittore. Sulla sua opera Elena ha da non molto pubblicato un bel libro rilegato: Giuseppe Milesi. Autoritratti e racconto biografico, Corponove 2012. 1

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e letterati del calibro di Goethe, per non citare che i due nomi, a cui si rifà anche Roberta Frigeni nella sua lucida e interessante Introduzione al libro. Fra i vari colori che compongono la variopinta tavolozza della natura la Milesi ne ha trascelti cinque che maggiormente le si confanno: Arancione, Verde scuro, Verde chiaro, Viola e Blu (sono questi anche i titoli delle cinque sezioni in cui è suddiviso il libro) e dei quali si è servita come materia di canto. Così, nella prima sezione, l’Arancione offre alla poetessa il pretesto per cogliere l’ immagine della “buccia / d’arancia macchiata / di sole” (Cola un raggio); o quella dello stesso sole che “prende il bagno dentro il mare / Con costume aranciofuoco” (Poi, di sera). Vi è inoltre l’arancione dell’albicocca e quello, ancora più evocativo, delle pannocchie di granoturco che, esposte in “Sontuosa parata gialloarancione” sulla loggia, abbelliscono dapprima il “casolare” per essere successivamente trasformate in farina di mais (Riquadri di pannocchie) e poi… in “una polenta-sole!”; in quella polenta che, al tempo in cui la Milesi era ancora una ragazza, adornava la sua mensa: “Escluso il venerdì di pastasciutta / siamo cresciuti a polenta quotidiana / Alte le fiamme del focolare, / versata a pioggia nell’acqua bollente / la farina di mais…” (Una polenta-sole!). Sicuramente l’arancione è il colore prediletto dall’autrice dal momento che è quello che ravviva tuttora la sua casa: “Ovunque sparso l’arancione acceso / : le tessere in maiolica del bagno / i piatti la teiera la batteria di pentole / tovaglie e tovaglioli, copriletti e salviettoni” (A ravvisare la casa, tutti). Un’altra prova, seppure indiretta, di questa predilezione di Elena Milesi per l’arancione ci è fornita dal fatto che nella splendida poesia di Federico Garcìa Lorca, Arbolé Arbolé, ella pare non essere restata per nulla colpita dai “quattro cavalieri”, che indossavano “vestiti azzurri e verdi, con lunghi mantelli scuri”; benché tanto il verde che l’azzurro siano tra i suoi colori preferiti. Ciò che invece più l’ ha affascinata in quel testo sono state le “vesti


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color arancio” che indossavano “i tre piccoli toreri”: una scelta, probabilmente inconscia, ma sicuramente rivelatrice della sua particolare preferenza per l’arancione. E veniamo alla seconda sezione, quella dedicata al Verde scuro, un colore che, nelle sue varie tonalità, riporta spesso la poetessa indietro negli anni. Di colore verde intenso è infatti la sua terra natale, dove scorre il fiume Adda2, con il suo incedere “placido” e “maestoso”: di color “verde–bosco” sono le “disabitate rive” del suo corso; un “verde ombroso” è quello che “occulta capanni” e “circonda rocche e castelli medioevali” sui pendii e ancora di un colore verde “fosco” ci appaiono le “Alte Valli” bergamasche. E verde è anche – soggiunge la Milesi – con una ironica notazione, “l’erba del vicino / sempre verdissima” (La mia Adda). Di un “verde magato” poi, secondo un’ affettuosa espressione dell’autrice, si tinge tutto il percorso dell’Adda, il suo amato fiume, capace di comunicarle anche ora un profondo senso di “quiete”. Intensa si fa qui la sua voce che tocca note schiettamente liriche, se torna a parlare dei luoghi che la videro nascere: “In scenari leonardeschi va la chiatta / lungo il Porto ed i Mulini / sino al lago di Garlate. / … / L’Adda ha le stesse parole di allora / : sono acqua che scorre, che va. Senza ritorno” (26 agosto). Né mancano le svariate gradazione di “verde” che offrivano frutta e verdura “nell’orto”, “nel frutteto” e “nel giardino” della “casa dell’infanzia”: delizia per gli occhi e per il palato. Non a caso impressa nella memoria della poetessa è ancora l’“Invernale allegra merenda” con “le giganti pere verde scuro- maculato”, che “tonfavano sul tappeto dell’ortaglia” (Alla casa dell’infanzia). Molti sono inoltre i luoghi verdi, italiani e stranieri, che l’autrice ricorda in questa sezione: il “verde cromo” della pineta”; “La verde Valle Brembana”; il “verde prato di Kénsin-

Elena Milesi è nata a Villa d’Adda, un paese sulla sponda sinistra del fiume Adda, non molto distante da Bergamo, dove attualmente vive. 2

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gton”; i “Grovigli verdi del Vietnam” e così via. Al verde è dedicata anche la terza sezione del libro di Elena Milesi; ma si tratta ora di un verde meno intenso che la poetessa definisce “Verde chiaro”, come quello dei “prati d’erba chiara” che si estendono ai margini della strada. Quelli di montagna “dove pascolano le mucche svizzere”, hanno invece una tonalità “verdemorbido”. Tralasciando le altre gradazioni di “Verde chiaro”, mi sembra importante osservare che, come già il “verde scuro” della precedente sezione, anche il “verde chiaro” di questa nuova riporta la poetessa indietro nel tempo, facendo riaffiorare alla sua memoria, un’ epoca felice da lei vissuta e purtroppo velocemente volata via. A suggerirle questi pensieri sono le “timide verdi dorate gemme” del grande albero della piazza del paese, le quali, una volta divenute foglie, anche oggi come allora, offriranno il ristoro della loro fresca ombra ai passanti. Ed è appunto la loro ombra che vale a suscitare in lei un’altra “ombra” (metaforica questa) che è appunto quella della sua “felicità perduta” che ora così intensamente rimpiange (“Sentinella all’erta vi aspettavo / a ricreare un’ombra / della felicità perduta”, Timide verdi dorate gemme). Nelle ultime poesie della sezione, il “verde chiaro” tende a schiarirsi ulteriormente, diventando giallo e giallo-oro. Si veda ad esempio “la verde campagna lombarda” che assume “riflessi paglierini”; oppure si veda “il verde che sfuma in oro nei rasi / dei paramenti liturgici”, indossati dai sacerdoti durante la celebrazione della Messa nei periodi che fanno seguito ad alcune festività religiose, come l’Epifania e la Pentecoste. Ma c’è di più. Il giallo oro di queste ultime poesie immette nel paesaggio un sentimento di sottile malinconia, legato al pensiero dell’ “eterno ciclo” della natura, sicché i “ciuffetti pennellati d’oro”, che ieri facevano capolino “nella chioma scura / degli alberi della piazza” (Nella chioma scura), oggi la dominano incontrastati: “Ora tutta la chioma / è bionda.


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È d’oro. / Squilla nel verde l’oro, emerge / come luce, inno alla gioia”. Quantunque la nostra autrice sappia perfettamente che questo splendore è destinato a durare poco (“fragilmente bionde, si staccano le foglie. In breve volo cadono / … / incontrano la morte”) tuttavia non si scoraggia e resta “in attesa” di una nuova primavera che, ella ne è certa, non potrà mancare (Spicca tra il verde ancora intenso). Ritorneranno infatti ancora a far capolino sugli alberi spogli le “timide verdi dorate gemme” e riapparirà ancora il “verde biondo” delle “fogliette neonate”: ritornerà un’altra volta a splendere la primavera. Molto appropriato è qui l’accenno al sonetto A la stagion che ’l mondo foglia e fiora della Compiuta Donzella, la poetessa fiorentina del XIII secolo, considerata la prima poetessa della letteratura italiana. Tra i colori amati dalla Milesi c’è anche il Viola, che ella così canta: “Impastata di rosso e azzurro cupo / Pagina Viola: sei di fuoco e sangue / amore e sacrificio. Sei cenere / e crepuscolo, croce e penitenza. / Tu vuoi raccoglimento e rogazioni. // Disponiti ad accogliere il nero / della notte e fiamme di passione” (Impastata di rosso e azzurro cupo). E’ questa una sezione nella quale s’affaccia il motivo del compianto per chi non è più, che esplicitamente troviamo ad esempio nella chiusa della seconda poesia: “Non possiamo immaginare che uno / uno di noi manchi all’ appello” e nella poesia successiva che inizia: “Composta nella bara / fra rasi e rose bianche” e ritroviamo inoltre in poesie quali Per Neri: “Mio Liolì superamato / da sessantaquattranni nella terra / la tua bella forma si è dissolta”. Ed il rimpianto per le persone care scomparse profondamente addolora la nostra autrice anche se non viene mai meno in lei la speranza che esse siano salite alla “Casa / del Padre” e che per loro sia sorta l’aurora di una nuova vita (“ti accolga l’aurora”). Aleggia pertanto in tutta questa sezione un sentimento di soffusa tristezza che la Milesi così esprime: “Dove, quali i giorni della gioia? / Stelle le più lontane, nell’abisso / della dimenticanza /

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spenta la minima scintilla // Innominati giorni / Innominabili / Impensabili anzi / se non vogliamo che il pensiero soffra” (Dove, quali i giorni della gioia?). Un’altra compiuta movenza lirica si ha anche in Zingaro bellissimo, che ha questo incipit: “Bocca d’oro. / Zingaro bellissimo / che hai vent’anni eterni / e i capelli blu-violetti”. Sono poesie, queste, che rivelano nella nostra poetessa un’autentica ispirazione ed evidenziano la sua capacità di abbandonarsi all’estro, per dare ritmo alle sue emozioni e ai suoi pensieri. Ultimo colore il Blu. E’ il colore del mare, mentre, nella sua tonalità più chiara, l’ azzurro, evoca l’abisso dei cieli. E la Milesi ne è attratta irresistibilmente, perché suscita in lei profondi pensieri, come il pensiero di Dio (“Dio del firmamento / parla dal tuo fuoco e dalla cenere / del mondo”, p. 52) e quello dell’origine dell’Universo (“Oggi gridiamo al miracolo / : s’è trovata, s’è trovata / questa particella di Dio, massa / immaginaria che sta all’origine / della materia dell’Universo”, Bosone di Higgs). E il pensiero che queste particelle siano “tante” la colma di gioia, facendole intravedere negli infiniti volti di Dio la Sua grandezza (“Dio sfavilla in mille luci”). Ma di fronte all’immensità e alla perfezione del Creato la nostra autrice avverte anche il sentimento di tutta la nostra vanità e di tutta la nostra finitudine, proprio nel mentre ne contempla “la struggente bellezza”, la quale genera “commozione e con-sonanza / del nostro cuore in grazia / calamitato alla bellezza eterna” (La struggente bellezza di Firenze). Anche in quest’ultima sezione la memoria della poetessa fa un salto indietro nel tempo, evocando visioni di un passato che si è fatto favola e che ora tornano generando l’antico stupore: “Antiche stregate sere di maggio / spettacolo alla ribalta del cielo - / nel primo buio si accendevano / le lucciole sul gioco dei bambini”. Si tratta però di uno stupore che ben presto, dopo la speranzosa “gioia” della “corsa” e della “cattura”, si trasforma in “disinganno”, poiché la lucciola, una volta catturata, subito diventa una “lanterna spenta”.


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Sono queste le prime delusioni della vita, allorché si comincia a capire che “Non è tutto oro ciò che luce” (Antiche stregate sere di maggio). La sezione si chiude con un canto di lode a Dio Creatore del Cielo e della Terra, nel quale la poetessa, avendo compreso che “è dono di consumato amore / la perfezione dell’ universo”, così conclude il proprio dire, nato dall’urgenza dei propri pensieri: “Nella parola e nel silenzio / contempliamo la tua Presenza / la s/velata bellezza del tuo Volto. / Nel canto del creato / - per te Signore - questo piccolo canto” (Piccolo canto). E si tratta di un “canto” che ha toccato toni alti, nel tentativo di andare oltre il visibile, per attingere all’Assoluto. Da segnalare l’originale veste tipografica del libro-quaderno, identificato come “cahier des écrivains”. Liliana Porro Andriuoli IL TEATRO Sono venuta un nuovo spettacolo a seguire. Il regista deve i ruoli agli attori distribuire. Il protagonista? Sarò IO. Sul palcoscenico, tutto è pronto. Mi chiedo...il pubblico sa che io solamente seguirò e che non parteciperò? È alzato il sipario, ed io sbigottita sto dietro l'allestimento scenico, smarrita. Guarda! In questo teatro sconosciuto, si presenta il mio spettacolo. Gli attori, non li posso chiaramente guardare, con le maschere, il loro viso cercano di celare! Si srotolano vari pensieri e sentimenti, molteplici aspetti della mia vita e avvenimenti. Ma perché al mio spettacolo dovrei assistere? Voglio andarmene, voglio scomparire. Ho una angoscia! Che cosa succederà? Come la mia storia si svilupperà? Qualcosa però mi trattiene qui... La trama...deriva dalla vita?

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Sto muta e pensierosa, estranea allo mio spettacolo. Ma improvvisamente, desidero ardentemente anch'io recitare, e il mio ruolo presentare! La gente si meraviglia, si emoziona, sta lacrimando perché vede il protagonista che sulla scena sta camminando. Dio mio! Forse sono fortunata...perché... l'ultima scena è piena di speranza! Tutti sorridono, acclamano. Spero che applaudano dal fondo del cuore. O portano anche loro delle maschere? Bravi! Ho pensato. Gli attori hanno recitato bene. Magari non fosse tutto questo reale. Il sipario cala. Le luci si spengono. Il teatro sembra deprimente, rovinato, rimane vuoto, scordato. Però...continua ad esistere, a vivere, per presentare un nuovo spettacolo, con un nuovo PROTAGONISTA. Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal greco della stessa Autrice

SI AVVERANO I SOGNI Lo spirito sale incontro alle stelle, luci dinamiche nella pappa cobalto che sto penetrando con gli occhi e la mente. Lungo rotte ancestrali a me familiari un grembo di madre che mi accoglie e mi culla, facendomi piccolo e grande, incosciente, senza dimensioni né tempo, importante, come scroscio d’acqua nell’aridità del deserto, immortale, come lo spirito viandante, indimenticabile, come le leggende. Colombo Conti Albano Laziale


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Dal Cantico delle Creature ai poeti moderni Commento a una conferenza tenuta da Luigi De Rosa al Centro Culturale “L’Agave” di Chiavari (Genova)

I POETI E LA NATURA di Elvio Chiappe

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EL rapporto poeta-natura, qui si esclude quello con se stesso o con altri soggetti, intendendo quello specifico con l'ambiente naturale, il paesaggio, i tre regni minerale, vegetale e animale, l'ecosistema insomma. Ogni poeta ha un rapporto speciale con essa, riflesso anche della cultura del rispettivo periodo storico. Luigi De Rosa, poeta e scrittore, dopo aver ricordato il classico romano Lucrezio Caro e il suo De rerum natura, affronta i tempi di origine della letteratura italiana, i primi testi in "vulgare", presentando in particolare due autori: San Francesco e Petrarca. Il Cantico delle creature, di Francesco di Assisi (inizi sec. XIII), è il canto di lode delle creature a Dio: un testo destinato a essere musicato, cantato, rappresentato in una lauda o sacra rappresentazione. E' ispirato dalla fede, in un'epoca, il Medio Evo, in cui il regno dell'uomo è ancora pacificamente ritenuto sottoposto a quello di Dio. Scritto in vulgare umbro, lingua nativa di Francesco, a uso dei suoi frati, modellato sulla struttura dei salmi biblici, invita all'accettazione di tutto ciò che viene da Dio, le cose belle della natura e anche le brutte, comprese malattia e morte (sora nostra morte corporale). Pur risentendo della mentalità feudale, del servitore inchinato al potente, il Cantico presenta un equilibrato e moderno rapporto uomo-ambiente (gli orti e giardini dei conventi...) ed è pervaso da un atteggiamento fraterno, familiare, verso l'intera realtà naturale, unito ai valori della teologia cristiana, espressi in simboli (sole=luce divina, acqua= purificazione...) e a una nuova spiritualità, quella "francescana". Tale amore verso la natura è difficile poi ritrovare nella letteratu-

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ra italiana successiva, e forse soltanto ora si avverte, quando si parla di "tornare alla natura", sia nello stile di vita, sia nella società. Altissimu, onnipotente, bon Signore, /tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione./Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare. /Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,/ spetialmente messor lo frate sole, /lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. /Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,/ de te, Altissimo, porta significatione. /Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, /in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. /Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento /et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,/ per lo quale a le tue creature dai sustentamento. /Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, /la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. /Laudato si’, mi Signore, per frate focu, / perlo quale ennallumini la nocte, /et ello è bello et iocundo et robustoso et forte. /Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, /la quale ne sustenta et governa, /et produce diversi fructi/ con coloriti flori et herba. /Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, /et sostengo infirmitate et tribulatione./Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, /ka da te, Altissimo, sirano incoronati. /Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, /da la quale nullu homo vivente pò skappare: /guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali; /beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, /ka la morte secunda no 'l farrà male. /Laudate et benedicete mi’ Signore'/ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate. Tralasciando per brevità il sommo Dante, De Rosa passa all'analisi della lirica "Chiare, fresche, dolci acque" di Francesco Petrarca composizione n°126 del Canzoniere (Francisci Petrarchae laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta), opera poetica formata di 366 testi, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, ecc., composta in Provenza, dal 1348 al 1374 (anno della morte), ovvero circa un secolo e mezzo dopo San Francesco. Molti dei testi sono per Madonna Laura


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(morta di peste nel 1327), la quale costituisce il fulcro ideale della vita sentimentale di Petrarca, modello di virtù e di bellezza. E pure gli elementi della natura sono messi al servizio di questo ideale di bellezza, amore e compiutezza umani, in quanto "luoghi testimoni", scenari e atmosfera, dove l'evento umano si compie. Il Medio Evo si allontana a grandi passi, creando nel poeta un dissidio interiore tra divino e umano, nel colloquio con la propria anima. L'Umanesimo è alle porte, il Rinascimento, l'epoca moderna: la poetica petrarchesca diviene il modello della futura introspettiva poesia lirica occidentale. Chiare, fresche et dolci acque, /ove le belle membra /pose colei che sola a me par donna; /gentil ramo ove piacque /(con sospir' mi rimembra) /a lei di fare al bel fiancho colonna; /herba et fior' che la gonna /leggiadra ricoverse /co l'angelico seno; /aere sacro, sereno, /ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: /date udienza insieme /a le dolenti mie parole extreme... De Rosa procede a grandi balzi e propone un confronto più recente. Passa direttamente agli ultimi compiuti secoli XVIII-XIX-XX e giostra con la lettura dell'elemento "natura" fatta da ognuno dei poeti che cita. Per Giacomo Leopardi (1798-1837) la natura è ancora considerata realtà esterna a sé, ma gli si dimostra nemica, anzi "matrigna", e pur nell'incanto che essa emana (la ginestra, la siepe, passero, il mazzolin di rose e viole...), gli è fonte di sgomento. Leopardi si sente come naufrago nello spazio, pur riconoscendo la grandezza dell'essere umano, nel porsi di fronte all'infinito e alle domande che esso pone. Per Giovanni Pascoli (1855-1912), invece, la natura, sempre realtà esteriore a sé, è invece amica, specialmente nell'ultimo periodo della vita, nel "nido" di Castelvecchio, piccolo borgo agreste nel comune toscano di Barga, dove apprezza le umili cose quotidiane, la campagna, i boschi, i piccoli uccelli, inseriti spesso nelle liriche assieme alle loro voci, espresse con termini onomatopeici (il che fa imbestialire Benedetto Croce!). Ma la natura,

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per Pascoli, non è più specchio della divinità; rimane invece partecipe e vicina ai dolori dell'uomo ("fece un nome, suonò alto un nitrito"). Per Gabriele D'Annunzio (1863-1938) poi, la natura diviene piuttosto un elemento della sua retorica estetizzante e decadentista, volta al culto dei miti e a una vita da "grande divo". La natura diviene così soltanto un elemento interiore del sé. Per i poeti novecenteschi italiani, in particolare Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Camillo Sbarbaro..., la natura conserva un rapporto importante, intimo e profondo con il sé, ma sempre più diviene riflesso, metafora, espressione del proprio sentimento soggettivo, o della drammatica situazione umana (Soldati. /Stan come d'autunno /sugli alberi le foglie.). Ma è in Eugenio Montale (1896-1981) che il contrasto con Francesco d'Assisi è più evidente. La natura perde tutta la sua oggettivazione e realtà-segno, restando mistero insondabile: "non ho che un solo nemico: la natura. O la distruggo, o m'inghiotte. Il nostro rifiuto reciproco è tale, che finiamo per stimarci. La sola speranza è che non si occupi troppo di noi". Non è nelle possibilità dell'uomo scoprire "la verità"; possiamo scoprire solo "una verità", la nostra. E resta pure un'unica speranza: la bellezza, la bellezza dei limoni... ...Meglio se le gazzarre degli uccelli /si spengono inghiottite dall'azzurro: /più chiaro si ascolta il sussurro /dei rami amici nell'aria che quasi non si muove, /e i sensi di quest'odore /che non sa staccarsi da terra /e piove in petto una dolcezza inquieta. /Qui delle divertite passioni /per miracolo tace la guerra, /qui tocca anche a noi poveri /la nostra parte di ricchezza/ed è l'odore dei limoni . Vedi, in questi silenzi in cui le cose /s' abbandonano e sembrano vicine /a tradire il loro ultimo segreto, /talora ci si aspetta/di scoprire uno sbaglio di Natura, /il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, /il filo da disbrogliare che finalmente ci metta /nel mezzo di una verità. /Lo sguardo fruga d'intorno, /la mente indaga accorda disunisce /nel profumo


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che dilaga /quando il giorno più languisce.... Luigi De Rosa conclude il suo tema, pur sviluppato solo con accenni ( nello spazio di un'ora non avrebbe potuto fare meglio) citando un personaggio a lui caro, e anche infine rapallese come lui, Anna Maria Ortese (1914-1998). Trovandosi al museo di Capodimonte, di fronte a un cielo straordinario di Raffaello, ella si domanda: "E' più reale il cielo naturale, o questo cielo di Raffaello? E' perciò la poesia, la creazione artistica, che apre uno spiraglio su "il mondo dietro quello vero?" La Ortese così definisce 'platonicamente' carattere e significato di tale mondo: Vidi un Raffaello di piccole proporzioni. Tutte le altre cose che vidi le ho dimenticate, proprio perché quel Raffaello mi colpì. Rappresentava un cielo. E quel cielo - in qualche modo che devo ritenere straordinario, - capovolgeva ogni idea che avevo sulla realtà, era più vero, più reale di ogni cielo del mondo reale. Sulla sua consistenza non potevano esserci dubbi. E la sua straordinarietà era in questo: che sostituiva dunque la prima creazione con una seconda, che si poneva però come la prima, perché preesistente a questa, essendo l'idea di questa. Diceva - o era come se dicesse - al cielo naturale : «Tu vai e vieni. Non resti. Ed ecco, io - Cielo di Raffaello - resto, perché non sono il cielo naturale, sono l'idea di qualsiasi cielo. Così, resto». Alla fine dell'excursus, siamo così arrivati come a un capovolgimento del concetto di "natura". Essa non è più una realtà in sé esistente e segno di un'altra realtà-oltre (metàta-fusicà), che possa orientare la nostra vita. Viceversa, la natura vera è l'"idea di natura", che si ritrova nel pensiero, nella cultura, nella poesia, nell'arte..., dove essa veramente acquista quelle caratteristiche di assolutezza ed eternità, che fondano, o fanno forma alla realtà... "naturale"! L'idea è giunta a soppiantare la natura. La realtà non esiste: è infine l'uomo che la crea. Elvio Chiappe

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RITORNO ALLA VITA Non voglio vedere il sole al tramonto, diventa un essere che ti ha tradito. Immobile astro nel punto più alto di mezzogiorno, mistero cosmico irradiatore di vita al pianeta terra. Poi con i cerchi incandescenti ultimo fuoco, seminascosto con la guancia che ammicca folgorante dentro la curva dei monti. Ti butta nel baratro togliendo con dolcezza il respiro fino ad oscurarti, brancoli a tentoni, hai perso te stesso, neppure le cose che per tutto il giorno sono state vicine. Non si riconosce nessuno, il sole ti chiude con modi lievi e inavvertibili, taglia i piedi, le braccia ferme, un tronco nelle tenebre. Non voglio vedere il sole tramontare, il cammino del tempo. Voglio che resti immoto fino a quando mi sento frantumato con le viscere languide di angoscia. Deve aspettare fino a quando sarò rinnovato, non voglio consumazione su consumazione. Allora felice rimarrò abbracciato a tutte le cose, immobile il mio essere intatto, nelle forme. Tutto il mondo attorno, e il minuto particolare slargato nella diafana chiarezza. Spazio amplificato, le lame affilate non vedrò il mio corpo ridurre a pezzi. Leonardo Selvaggi Torino

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 9/10/2014 Draghi afferma che la riforma del lavoro di Renzi e l’eliminazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non provocheranno una massa di licenziamenti. Quale genio, che sagacità! Perché, con una disoccupazione giovanile oltre il 44%, rimarrebbe ancora da licenziare? Domenico Defelice


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UN’ITALIA DAI GRANDI DESTINI

con ALFREDO ORIANI 1852 Faenza 1909 Casola Valsenio, Ravenna di Leonardo Selvaggi I LFREDO Oriani narratore, storico, saggista. Un idealista con tendenze spiritualistiche. Dopo la laurea a Napoli in legge, lo vediamo nei pressi di Casola Valsenio nella sua villa di Cardello in lunghi periodi di isolamento, tutto dedito agli studi e alla meditazione. Comincia come seguace di Balzac, in opposizione al mondo contemporaneo, nelle prime opere sente anche l’ influenza di Verga giovanile, collegato alla scapigliatura milanese. La sua produzione rimane poco conosciuta, diviene famosa dopo un saggio di Benedetto Croce del 1908, che ne rivela tutti i significati e le caratterizzazioni. In un primo tempo è un ribelle scettico, in seguito, specie in scritti storici, sociali, politici, si contrappone alle tendenze del positivismo e all’internazionalismo socialistico, esponendo idee patrie e morali, seguendo il culto della tradizione. Scrittore tumultuoso, tra passionalità del suo temperamento e la ricerca di una misura, a volta raggiunta nei romanzi e racconti. “Memorie inutili”, 1876; “Al di là”, 1877; “No”, 1881; il saggio “Matrimonio”, 1886 che costituisce un’apologia dell’ indis-

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solubilità coniugale, fatta attraverso un’ampia rassegna delle istituzioni familiari di vari popoli in tempi diversi. “Il nemico”, 1892, “Gelosia”, 1894. La sua espressione vive contraddizioni ideologiche, tra individualismo anarcoide e il più acceso nazionalismo. Questi aspetti si trovano nei volumi di saggistica politica e storiografica: “Fino a Dogali”, 1889; “La lotta politica in Italia”, 1892; “La rivolta ideale”, 1908, considerati di grande valore e attualità negli anni del fascismo. II Interessante l’opera “Fino a Dogali”, raccoglie scritti sui rapporti tra la Chiesa e il Risorgimento, sul Machiavelli e sulla missione italiana in Africa. Quest’ultima parte rispecchia contrasti politici e dottrinali e dimostra che l’impresa d’Africa per l’Italia è in stretta connessione con il moto del Risorgimento. L’ Italia, potenza geograficamente mediterranea, trova opportuno agire in Africa; gli uomini di Stato hanno il compito di partecipare alle imprese africane e di inserirsi nella storia d’ Europa. Alfredo Oriani sostiene che l’Italia, come le altre nazioni, deve cooperare alla civilizzazione dell’Africa. Dogali, una località tra l’Eritrea e l’Etiopia, ci ricorda un triste evento, il 26 gennaio 1887 una colonna italiana, condotta dal colonnello De Cristoforis e diretta verso l’altopiano etiopico viene assalita e massacrata dalla soldataglia del Ras Alula. Le tante questioni politiche e ideologiche con fervore, foga veemente e impeti aspri di polemica vengono a intensificarsi nei volumi “La lotta politica in Italia” e “La rivolta ideale”. La prima opera è una drammatica storia della vita italiana, dal Cristianesimo, dalle invasioni barbariche, dal federalismo dei comuni al Risorgimento. Scritta con ardore, vi è un continuo richiamo ai sogni dei poeti, alla fede dei martiri, alle intuizioni dei filosofi, non manca una sintesi delle vicende europee, messe in relazione con quelle italiane. Illuminatrici con grandezza di pensiero ed entusiasmo patrio sono le figure del Foscolo e del Carducci. L’Oriani dimostra che il Risorgimento va visto come conseguenza di storie


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III Nell’opera “La lotta politica in Italia” si evidenzia tutta la personalità di Alfredo Oriani, oltre ad una viva capacità di descrizione dei personaggi e dei vari ambienti. Continuazione delle premesse storiche presenti ne “La lotta politica” va considerata “La rivolta ideale”, libro ricco di idee combattive. Condannati i politicanti parolai, scettici, indifferenti, messi in contrapposizione con le fiammate di passione per l’unità morale di un popolo da un grande primato storico. Caratterizzano le idealità dell’Oriani le pagine in cui si rivendicano i diritti di un’Italia davanti agli imperialismi dell’Europa e la sua importante funzione mediterranea. Si crede alla forza di rinnovamento che hanno le guerre per divenire grandi con le espansioni e le conquiste. I commerci, l’industria, l’emigrazione, la scienza, l’ arte, la religione sono i veri mezzi per raggiungere i grandi traguardi. Ne “La rivolta ideale” si esortano i giovani agli ideali della vita, all’azione verso l’abbattimento della civiltà borghese, si sostengono l’affermazione della nazione e, attraverso di questa, l’unità del mondo. Pensieri costruttivi e complessi. Alfredo Oriani uno scrittore, un pensatore, un artista di grande nobiltà, tutto proteso verso un avvenire migliore e più fulgido per l’Italia. Tratta l’azione sociale dell’uomo moderno e in modo particolare degli Italiani. Nelle opere più rappresentative del suo pensiero e del suo entusiasmo nazionalista riassume la sua figura di nemico delle correnti politiche e morali che mirano a disgregare la struttura etica dell’ Italia.

nimo che vuole penetrare nell’intimo della vita. Il romanzo “La disfatta” è il più significativo per le qualità e le discrepanze, vi si trovano mescolati pensiero e arte. C’è dell’ autobiografico, il dramma spirituale di Alfredo Oriani che va in cerca di soluzioni di problemi assillanti come quelli del male e del bene. Le sue pagine sono ricche di eloquenza, di immagini, appassionate e nel contempo melanconiche. “La disfatta” più che un romanzo è un’esposizione di idee. Preannuncia l’opera “Ilia ed Alberto”, ove ideali e sentimenti hanno un tono di vera poesia. Rilevanti ne “La disfatta” il senso dell’inutilità, di una vita sbagliata, divenuta svigorita lontana dal matrimonio, piena di disinganni e di fallimenti. Fra le incertezze dello stile prevale un certo calore desolato e animoso, con cui si guarda la vita e si tenta di accettarla. Da questo senso di religiosità nasce per l’Oriani l’avversione al socialismo che dimentica gli impulsi di idealità sempre presenti nell’uomo: viene fuori la concezione della vita come un’ esperienza che non si può evitare, fatta per lo più di rimpianti e di tormenti, che proprio fanno la nostra esistenza morale. Il protagonista attraverso studi filosofici è tutto dedito al senso di una vita spirituale: concretezza, immagini, non abbiamo enfasi né sentimentalità. Alfredo Oriani è portato alla meditazione su contenuti drammatici. Spesso il suo calore malinconico fa nascere pagine misurate e oggettive. Oscilla fra la finezza del vero artista e l’ inclinazione giornalistica, fra l’eloquenza e la poesia. Evidente in tutte le opere l’aspetto autobiografico, le figure specie del romanzo “La disfatta” riflettono il destino dell’autore, vissuto in un isolamento amaro e sdegnoso.

IV Dal romanticismo torbido arriva ad avere uno stile riflessivo e verista nei romanzi del periodo della maturazione: “La disfatta”, 1896; “Vortice”, 1899; “Olocausto”, 1902. Condanna il suicidio, esalta la virtù di fronte all’abbrutimento della miseria. C’è realismo, moralismo, contemplazione dell’infinito. Si rivelano dell’inquietudine spirituale e un a-

V Alfredo Oriani anticipa i caratteri del romanzo lirico che osserviamo in Panzini e Borgese. Alfredo Oriani è uno scrittore geniale per originalità di pensiero in pagine smaglianti. L’opera d’arte non deve avere a fondamento né l’artificiosità né i fatti, ma le idee, sostenute con realismo aspro e irruente. L’ Oriani esercita grande influenza sulle genera-

lontane nel tempo.


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zioni del primo Novecento. Pur aderendo alla reazione antiromantica nel progressivo evolversi verso il verismo, conserva notevoli caratteri del Romanticismo, risentendo dell’ influsso di Victor Hugo e di altri romantici francesi. Motivi romantici sono infatti nella sua opera la tendenza autobiografica, un’ accesa fantasia, la preferenza per le situazioni drammatiche, mentre nella meditazione storica, nell’entusiasmo per i nuovi principi scientifici contemporanei è evidente l’intento realistico. Di certo le più belle pagine le leggiamo ne “La lotta politica”. L’Oriani ha una immaginazione luminosa. La materia che si addice alla sua natura di scrittore non va trovata nella descrizione di fatti particolari e di comuni personaggi dei romanzi, ma nei grandiosi avvenimenti e nelle figure straordinarie della storia. Il linguaggio suo proprio, quello tempestoso e solenne che si trova nelle opere che trattano problemi spirituali e morali. Leonardo Selvaggi

PENSIERI ALLA TV Non vi basterà la fede in Smeagol che sorride su Canale 4 ora che si sono frantumati i gusci delle noci prima di ottobre. Gli aerei fumano o forse sono solo le bombe, ci vedo troppo poco per chiarirlo. Ma ci sono progetti allettanti se si stringono in mano, come fare debiti e non pagarli. Niente mi addolcirà la siesta come la conferenza ACLI sul Rwanda quel desiderio di pace immemore dei teschi. Per non inghiottire balle aspiro lungo anche una Marlboro

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può fare meno male. Una donna ridisegnata si liscia i capelli tra monete roventi scaldate con i gradi del whiskey fino al calore scarlatto. La zampogna suona con le note del clarino. Di sera lei ci propina la cena zuppa di anfibi la chiamo verdastra e insapore. Il suo nome però è onomatopeico Pare che abbia assonanze con i baci. Meno male preferisco la cecità anche parziale da quando Greta raccoglie tulipani e l’amico fiammingo si è girato come hanno sempre fatto i girasoli. Andrea Masotti Bologna

LASCIATI ANDARE Tu che come culla scegli il mio albergo di parole ferma la tua immagine sui miei occhi affronta solitario la mia clemenza arrestando il tuo sguardo sugli importanti ricordi del cuore. Sono solo burattini vestiti di poesia peccati di una favola che con ingombranti rinunce appartiene a questo tempo fatto d’inutili tormenti lasciati andare e sorvola questo chiassoso mare con un silenzio che ti libera da ogni male con uno stupore che si rinnova ad ogni verso dato alla luce dall’anima. Lorella Borgiani


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CHOI LAI SHEUNG & ZHANG ZHI

WORLD POETRY YEARBOOK 2013

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tampata nel giugno 2014, è uscita l’importante antologia World Poetry Yearbook 2013 (edizione inglese), curata da Choi Lai Sheung e Zhang Zhi, edita da The Earth Culture Press. L’opera, di ben 368 pagine (formato 26,5 x 17), copertina e bandelle a colori (prezzo USD 60, € 50), contiene 211 poeti di 93 nazioni e aree. Sulla prima bandella, foto e curriculum di Shi Ying, famoso poeta e studioso di Singapore, ove è nato nel 1940. Il suo vero nome è Chen Panxu. Autore di molte opere, proposto nel 2006 al Premio Nobel, è, tra l’ altro, condirettore dell’ “Academic Research Center for Traditional Chinese Medicine of Nanjing University (...), special editor-inchief of The World Poets Quarterly” etc.. Il seconda bandella, foto e curriculum di Choi Lai Sheung, nata nel 1961 a Shishi City, Fujian, poetessa, scrittrice e calligrafa di Hong Kong. Laureata in Letteratura, professoressa, membro dell’Associazione Scrittori in Cina, direttrice di Hong Kong Literary Newspaper, editor-in-chief di Testate varie, tra cui The World Poets Quarterly. Ha pubblicato varie opere di prosa, poesia e fiabe, tradotta in molte lingue, candidata, anche lei, nel 2007, al Premio Nobel per la Letteratura. In quarta di copertina, infine, foto a colori e una poesia di Jüri Talvet, nato nel 1945, poeta e scrittore dell’Estonia. Ecco l’elenco dei poeti, suddivisi per nazione. Albania: Agron Shele, Jeton Kelmendi, Muharrem Kurti, Namik Selmani; Angola: Ruy Duarte de Carvalho; Argentina: Ada Iris Juanita Cadelago, Jorge Brega, Susana Roberts; Armenia: Eduard Harents; Australia: Georgia Xenopou, Lilian Cohen; Austria: Carla Kraus, Dariusz Pacak, Kurt F. Svatek; Azerbaijan: Gasham Najafzadeh; Bahrain: Ali Al Jallawi; Belarus: Valzhyna Mort; Belgio: Emmanuel Mahieu, Jean-Luc Wauthier, Philip Meersman; Bosnia e Herzegovina: A-

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jsa Zahirovic, Sabahudin Hadžialić, Zarko Milenic; Botswana: Molly Thokwana; Brasile: Márcio-André, Teresinka Pereira; Bulgaria: Dacho Gospodinov, Ivanka Deneva, Kristin Dimitrova, Stanka Boneva; Canada: Bruce Hunter, Hédi Bouraoui, Karen Solie; Cile: Alejandro Mujica-Olea; Cina: A Mao, Bei Ye, Chen Meiming, Di Bai, Fang Wenzhu, Nan Ou, Tang Shi, Wang Shunbin, Wu Touwen, Xu Jiang, Yi Sha, Zhang Zhizhong, Zhang Zhi, Zhao Siyun, Zhou Sese, Zhu Likun; Colombia: Mario Ramon Mendoza, Reinaldo Moran, Vanessa Daccarett Abuchaibe; Croazia: Ivo Mijo Andrić, Miroslav Kirin, Vinko Kalinić; Cuba: Alex Fleites, Enrique Sacerio-Garí; Cipro: Rubi Andredakis; Repubblica Ceka: Jan Maruna; Danimarca: Henrik Nordbrandt, Niels Hav; Ecuador: Cristian Avecillas Sigüenza; Egitto: Fatima Naoot, Gihan M. Omar; El Salvador: Carlos Ernesto García; Estonia: Jüri Talvet; Finlandia: Anni Sumari; Francia: Andrew Parkin, Athanase Vantchev de Thracy, Rebecca Behar; Georgia: Paata Natsvlishvili, Tariel Chanturia, Vakhtang Javakhadze; Germania: Barbara Köhler, Frank Joussen, Hebert Becher; Ghana: Frank Mackay Anim-Appiah, Osman Abraham Lincoln; Grecia: Despina Kontaxis, Loukia Tzannides, Panagiota ChristopoulouZaloni, Roula Melita, Spiros K. Karamountzos; Guatemala: Walter Morán; Hong Kong: Choi Lai Sheung, Chua Yiu Yeung Stephen, Xiushi; Ungheria: Szabolcs Várady; Islanda: Garðar Baldvinsson, Hrafn Andrés Harðarson, Sigurdur Pálsson; India: Anjana Basu, Bibhu Padhi, Biplab Majumdar, Dilip Mohapatra, Gopikrishnan Kottoor, Jagdish Prakash, Jaydeep Sarangi, Ram Krishna Singh, Sharmila Ray, Shujaat Hussain; Indonesia: Goenawan Mohamad; Iran: Mehri Shahhosseini; Iraq: Adeeb Kamal Ad-Deen, Muniam Alfaker; Irlanda: Martina Evans, Mary O’ Donoghue; Israele: Hedva Rabinson Bachrach, Luiza Carol; Italia: Domenico Defelice, Tito Cauchi; Jamaica: Kwame Dawes; Giappone: Kae Morii, Kazue Shinkawa, Toshio Nakae; Giordania: Fathieh Saudi; Kenia: Ngwatilo Mawiyoo; Kosovo: Engjëll I.


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Berisha, Fahredin Shehu; Latvia: Janis Elsbergs; Libano: Hanane Aad; Lituania: Sigitas Parulskis; Macedonia: Ljubomir Mihajlovski, Ljupce Zahariev, Zejnepe AliliRexhepi; Malawi: Jack Mapanje; Malaysia: Wan Hua Chapouthier, Wu An; Malta: Adrian Grima; Messico: Francisca Huppertz, Francisco Azuela; Montenegro: Anton Gojçaj, Bećir Vuković; Marocco: Boujema El Aoufi; Monzambico: Domi Chirongo; Myanmar: Arche A; Nepal: Banira Giri; Paesi Bassi: Quito Nicolaas; Nuova Zelanda: Ron Riddell; Nigeria: Dami Ajayi, Nnamdi Desmond Asiegbu, Uzor Maxim Uzoatu; Norvegia: Odveig Klyve, Terje Dragseth; Pakistan: Faraz Maqsood Hamidi, Muhammad Shanazar, Naina Adil, Shahida Latif; Palestina: Mohamed Rabie; Paraguay: Lucina Medina de Barry; Perù: Susy Morales Coz; Filippine: Caroline Nazareno, Jose Wendell Capili; Polonia: Agnieszka Mąkinia, Anna Kokot, Bogumiła Janicka, Grażyna Kielińska, Jerzy Grupiński, Maria Kogut, Marlena Zynger, Mirosława Poncyliusz, Sebastian Marek Nowak; Portogallo: Gastão Cruz, Herberto Helder; Romania: Nadia-Cella Pop, Tatomir IonMarius, Valeriu Butulescu; Russia: Adolf P. Shvedchikov, Andrei Sen-Senkov, Vera Pavlova; Senegal: Daouda Ndiaye, Sarah Carrere Mbodj; Serbia: Dušan Gojkov, Duska Vrhovac, Tatjana Debeljački; Singapore: Shi Ying; Slovacchia: Juraj Kuniak; Slovenia: Peter Semolič; Spagna: Carmen María Camacho Adarve, Miguel Oscar Menassa; Svezia: Lennart Sjögren, Ndue Ukaj; Siria: Fawaz Aljabr, Sulaiman Al-Hukmiy; Taiwan: Hsu Chicheng, William Marr; Tailandia: Meng Ling; Turchia: Dilek Değerli, Fide Erken, Hasan Varol, Nisa Leyla; Ukraina: Oksana Zabuzhko; UK: Joan Michelson, Norton Hodges, Paul Tristram, Ruth Fainlight, Shanta Acharya, Tim Cloudsley; Emirati Arabi: Saif Al Marri, Shihab Ghanem; Stati Uniti d’America: Aaron A. Vessup, David M. Lucas, Dean Anthony Brink, Etnairis Ribera, Gerald W. Jones, Hélène Cordona; Venezuela: Mariela Cordero García; Vietnam: Ngu-

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yen Chi-Trung; Zimbabwe: Amanda Hammar, Ignatius T. Mabasa. A seguire, pagine dedicate a “Book Reviews”, con le firme del prof. Stavros Theofanides, UK (“Review for Roula Melit”) e di Kurt F. Svatek, Austria (“The Stellar Map in Us”); “Research Papers”, con gli interventi del Dr. Shihab Ghanem, Emirati Arabi Uniti (“The Role of Poetry in Arabic Culture”) e Gopikrishnan Kottoor, India (“Trends in Indian English Poetry”); “Poets Talking Abaut Poetry” per la firma di Susana Roberts, Argentina (“Present Times, Poetry and human evolution”). Ogni poeta è presentato con una foto e un essenziale curriculum; seguono le poesie. Molti di questi autori sono già apparsi sulle pagine di Pomezia-Notizie: diciamo, per esempio, di Teresinka Pereira, Adolf. P. Shvedchikov, Biplab Majumdar, Nadia-Cella Pop, Choi Lai Sheung, Zhang Zhi etc., segno dell’internazionalità anche del nostro mensile e della validità dei poeti inclusi in questa antologia. Un lavoro meritevole e attento sotto tutti i punti di vista; una iniziativa che dovrebbe essere seguita in tutte le nazioni, perché la poesia è veramente in grado di affratellare i popoli, antidoto sicuro contro le violenze e le guerre. I Governi del mondo dovrebbero sponsorizzare lavori del genere, non armaioli e bombaroli, che vivono e prosperano sulle divisioni e sulla pelle di esseri incolpevoli. Tra i poeti (e tra gli artisti in genere) raramente albergano la sopraffazione e l’odio, ma il “Paean”, cioè inni e canti all’Apollo risanatore; da prima di Omero ai nostri giorni, i poeti hanno sempre aspirato alla libertà e all’amore universale. Allora, non si può che plaudire a Choi Lai Sheung e Zhang Zhi, a tutto lo Staff dell’ International Poetry Translation and Research Centre (IPTRC), ai vari Zhang Zhizhong, Sophy Chen, Arthur Zhang, Yi Hualun, Grazyna Kielinska etc. che, in diverso modo, hanno contribuito alla realizzazione della pregiata iniziativa. L’opera reca anche, in


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bianco e nero, illustrazioni a tutta pagina del pittore cinese Yi Hualun. Chiudiamo presentando ai nostri lettori due delle poesie contenute nel volume, promettendo di pubblicare, in altro numero, le eventuali traduzioni in italiano che ci dovessero pervenire: DREAMLAND Last night On my way home I found a little lamb Kneeling Beside a barbecue stall Of shashlik Watching the barbecue being burned On the fire The little lamb cannot help shedding tears One drop after another drop From its eyes “Mom mom, They, they, they have roasted you...” A little mouse Suddenly runs Past here White the lamb is sobbing It gives the lamb a dirty look: “Weeping, weeping, and weeping, What are you weeping for! That is my mom...” Zhang Zhi Cina, 25 ottobre 2013 POETIC SOUL In the recesses of my heart There is a persevering Paean In the sky of dreams To plant straight stanzas Floating clouds pause for me The monsoon combs for me Ice and snow make way for me The broiling heat recedes for me In the drizzle To break ground with vitality To grow into the poetic soul Which is elegant and beautiful

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Choi Lai Sheung Hong Kong Domenico Defelice CHOI LAI SHEUNG & ZHANG ZHI (a cura di) - WORLD POETRY - Yearbook 2013 - 211 Poets, 93 Countries and Areas - Ed. The Earth Culture Press, 2014 - Pagg. 368, USD 60.00, € 50.00

COLLE BRAIDA Quando il caldo è più opprimente, in poco tempo di auto si giunge qui al bellissimo Colle Braida. L'aria si fa a tratti frizzante. Lungo la via che porta al boschetto, attraverso un gruppo folto di betulle s'intravvede La Sagra di San Michele, grandiosa chiesa antica. Nel sole risplende come un gioiello dalla vetrina di un centro città. Dagli alberi il cinguettio degli uccelli è un canto incessante. Io mi distendo sull'erba del grande prato del boschetto, un sole lancinante mi affascina. Perdermi vorrei come ape che ronza felice. La mosca che indolente si posa sul mio collo, Nel vortice delle farfalle che volano di continuo, mi fa dimenticare tutti i pensieri cattivi, in questo giorno così splendido, il colore di tutti i colori nel tempo che regna, il paradiso che cercavo, nell'azzurro totale. Adriana Mondo Riano, TO HO BISOGNO Ho bisogno d’amore, ho bisogno di luce. Ho bisogno d’amore per far luce al mio corpo e alla mia anima. Loretta Bonucci


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VIAGGIO SPLENDIDO di Themistoklis Katsaounis

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l viaggio è cominciato quando un adolescente temerario è sceso da un albero, in un bosco antico dell'Africa. Ha assaporato i frutti di un cespuglio che stava a pochi metri più lontano. All'inizio ha guardato il cielo, i suoi passi sul suolo non erano sicuri, però questo non l'ha scoraggiato. Ha raccolto i frutti e li ha messi nella sua bocca. Dall' espressione del suo viso, abbiamo capito che erano gustosissimi, allora ne valeva la pena di fare questo tentativo. Da allora, attraversiamo deserti, passiamo da fiumi e boschi per assaporare ogni frutto che ci offrirà un viaggio splendido nel gusto. Non abbiamo paura del rumore che fa un ramo quando viene tagliato. Non tremiamo di paura quando vediamo le impronte di un animale sulla strada che attraversiamo. Adesso maneggiamo la pietra e il legno e da quando questi due materiali sono diventati nostri, abbiamo moltiplicato la nostra forza. Siamo diventati abili a cacciare, abbiamo creduto in noi stessi e la paura che ci provocava il fuoco, è diventata il dio che ci ha dato la forza di conquistare il buio. Ci siamo sentiti stranamente quando il malato che è arrivato in punto di morte, ci ha parlato con saggezza di un Essere Supremo. Ce ne ha parlato e a suo modo, ci ha spinto a credere che questo Essere ci proteggeva e ci conduceva, conduceva noi, e tutto, Lui che all'ingresso di un altro mondo, gli ha dato la forza di tornare indietro, solo per trasmetterci un messaggio. Dovevamo sempre trovare una soluzione per un problema nuovo che provocava dissensi, quando discutevano intorno al fuoco e quello che per primo, si ritirava da noi, con stupore, avendo ricevuto le nostre prese in giro, ha fatto un passo in più in un viaggio, forse il più grandioso, che si sviluppava entro il mondo interiore della nostra mente. Così, di giorno in giorno scoprivamo qualcosa, inventavamo un attrezzo nuovo, migliore del precedente.

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Entro la serenità della notte, abbiamo guardato la Luna e abbiamo sognato che un giorno avremmo viaggiato su di essa e veramente, (infatti si!!!) abbiamo viaggiato. Ci siamo nascosti nelle caverne per essere protetti dal freddo oppure dal caldo, abbiamo fabbricato vestiti con l'ago e non abbiamo mai smesso di espanderci, di viaggiare, sempre più lontano, in luoghi sempre più insoliti. Sempre avevamo una domanda e chiedevamo una risposta. Quando rispondiamo a una domanda, poi ne poniamo un'altra, nuova, ancora e ancora, senza fine, anche fino a questo momento. Sempre ogni bambino che nasce e comincia piano piano a capire il mondo, dà inizio a tutta la storia, l'inizio è proprio il primo passo di quell'adolescente nel bosco antico africano, come ognuno che sente pieno di forza, che tutte le strade antichissime, sempre nuove, conducono al suo viso, e al viso di ogni uomo. Adesso lui, nel bosco, stanotte che le foglie dell'albero frusciano dolcemente e gli uccelli cinguettano eccellentemente, mentre il ruscello continua con melodia ad incantare il bosco, questa notte allora, tutti e otto milioni Loa cantano davanti al Re per ricordarlo che loro lo accompagneranno come servi fedeli, fino a quando non lui arriverà alla stella più lontana e fino a quando non lui vedrà l'orizzonte. Poi, il Re starà insieme ai Loa, come se fosse uno di loro, per servire un altro Re che viaggerà in una stella ancora più lontana, che sarà sconosciuta per lui! Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di: Giorgia Chaidemenopoulou

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 24/09/2014 Un anno e tre mesi a Luigi De Magistris per abuso d’ufficio. Alleluia! Alleluia! Dimissioni, dimissioni! Pulizia, pulizia!, gridava Giggino o’ flop quando qualcuno finiva sotto inchiesta. Ora, lui, non si vuol dimettere da Sindaco di Napoli, e viene allontanato dal prefetto! Domenico Defelice


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I POETI E LA NATURA - 37 di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

LA MONTAGNA DI FULVIO CASTELLANI

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opo il mare di Giovanni Descalzo, mi attira la montagna. E se c'è un poeta che può parlare di montagna a ragion veduta, questi è Fulvio Castellani. Nato nel 1941 in Carnia, risiede ad Enemonzo (Udine). E' stato iscritto per 35 anni all'Albo dei giornalisti-Elenco pubblicisti. Si è affermato in centinaia di Concorsi letterari, vincendone una trentina. Ha pubblicato sedici libri di poesie, a partire dal 1970 (Ho ballato nell'ombra, Udine 1970, fino a I graffiti del cuore, Ursini, Catanzaro 2006, e alla bella, importante Antologia essenziale e critica Orme e penombre ( Ursini 2009). Non intendo, qui ed oggi, scrivere un testo critico su Castellani poeta ( l'hanno già fatto numerosissimi critici, fra cui Giuseppe Bona-

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viri e Giorgio Bàrberi Squarotti) ma, nello spirito particolare di questa rubrica, segnalare agli amici poeti le emozioni suscitate in me da alcuni suoi versi, scelti tra quelli che mi sono sembrati più significativi. Del resto ho già pubblicato in passato un pezzo su di lui, nel quale dicevo, tra l'altro: “...Il mondo interiore di Castellani si nutre di un pessimismo di fondo esistenziale e cosmico, ma si esprime con immagini e metafore fulgide o delicatamente chiaroscurate. Ne scaturisce una poesia di chiara natura intimistica e introspettiva, giocata prevalentemente sui registri del rimpianto e della nostalgia ( della madre, dell'infanzia, d'una Natura genuina, di un paradiso perduto...)” Mi piace ricordare, in questa rubrica, un poeta amico come Castellani, anche perché mi ricorda il Friuli-Venezia Giulia, una stupenda Regione che mi ha toccato il cuore prima del ritorno in Liguria ( e che ricordo volentieri anche perché ero giovane e pieno di belle speranze, agli inizi dell'insegnamento e di un' attività letteraria appassionata, nella provincia udinese). Anche senza volerlo, Castellani mi risuscita nella mente una folla di ricordi legati alle sue montagne. Dalla silloge “Così, per dire” (Ed. Nuova Fortezza, Livorno 1984) ho tratto la poesia “Un vecchio” che per sintesi ed efficacia artistica mi pare felicemente riuscita : “E il vecchio tace con la pipa che si va spegnendo e le mani che tremano attorno al bicchiere vuoto. Ha sete di estati in malga di carezze cucite dal vento di latte appena munto... E' tardi come lo era ieri per suo padre. Ma non si accorge che il suo cuore è ancora lassù tra i boschi di faggio a raccogliere mirtilli a gridare alla montagna


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la sua voglia pazza di vivere.” In poche, scelte parole, la vita di un uomo, montanaro per nascita e tradizione. Il dramma dell'esistenza e della vecchiaia. La nostalgia acuta dell'estate e della voglia di vivere, della malga e delle faggete, del latte appena munto e dei frutti di bosco, simbolo di una vita non inquinata e di in rapporto puro con la Natura, rappresentata dall'aspro e dolce mondo della montagna. Luigi De Rosa

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ma forse non esiste in questo mondo sai. Colombo Conti

LIBRI Ho letto molti libri in vita mia: molti erano belli e affascinanti, altri istruttivi, altri avvincenti, altri divertenti ed altri tristi. Ho letto molti libri e li ho gustati. Molti li ho amati.

SEMBIANZE D’AMORE Amore miraggio tra le terre arse si esalta, si smarrisce mai s’assopisce amore istintivo che schiva le carezze sprigionando la forza di gioventù nascente amore che palpita in armonia col battito lo senti nelle orecchie impazzisci per un attimo amore nascosto che è forte nelle tenebre appena prende luce svanisce o si addormenta amore piangente che spesso si lamenta è ormai consuetudine per chi non sempre medita

Ma il più bel libro che io abbia letto mai è certo quello della mia vita, con tutte le persone che ho conosciuto, i posti che ho visitato, le sensazioni che ho sperimentato le gioie e i dolori che ho provato le musiche che ho ascoltato e le vicende che ho vissuto. Ho letto molti libri in vita mia e li ho gustati. Molti li ho amati. Ma il più bel libro che io abbia letto mai è certo quello della mia vita. E forse ognuno riflettendo potrebbe dir di sé la stessa cosa, perché, in fondo, di ognuno è la vita un romanzo. Mariagina Bonciani Milano

amore che uccide è troppo passionale e quindi sconsigliato a chi sta spesso male

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 24/09/2014 E Francesco, con dolore, mise in cella il Monsignore! Domenico Defelice

amore infinito è quello che vorrei

Papa Francesco ha autorizzato l’arresto per pedofilia di Jozef Wesolowski, polacco, ex Nunzio apostolico.


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Recensioni ROSSANO ONANO – DOMENICO DEFELICE ALLELUIA IN SALA D’ARMI PARATA E RISPOSTA Il Convivio, Castiglione di Sicilia (CT), 2014, € 6 “Si natura negat, facit indignatio versum” scrisse Giovenale, riferendosi alla società corrotta del suo tempo che le sue satire sferzarono senza pietà, mettendone in luce volgarità e arroganze, sopraffazioni e ipocrisie, avidità di ricchezza e degrado morale, specie di donne senza pudore e senza freno, come Messalina.

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Una simile indignazione ha ispirato il “dialogo satirico” tra Rossano Onano e Domenico Defelice, svoltosi dapprima sulle pagine della rivista “Pomezia-Notizie” e poi raccolto in un libro intitolato Alleluia in sala d’armi, pubblicato dall’Editrice Il Convivio nel settembre 2014. Certo, le riflessioni di Onano, dalle quali scaturiscono i versi di Defelice, non hanno la violenza delle satire di Giovenale, essendo improntate piuttosto ad un’amara ironia che al sarcasmo; ma valgono ugualmente a denunciare la decadenza dei costumi degli uomini a noi contemporanei, pur mantenendo al fondo la speranza di contribuire a migliorare la società in cui viviamo; mentre il poeta latino non si faceva più illusioni di palingenesi. Gli argomenti trattati da Onano e Defelice sono i più vari, potendo riguardare, ad esempio, un cantante come Celentano il quale nel “salotto televisivo” di Mara Venier “parla di Dio” e, commenta Defelice, “si crede già il Messia!”. Vengono poi uomini di Governo, come Monti, le cui iniziative economiche sono sottoposte e forti critiche, per la loro eccessiva gravosità e per l’inefficacia dei risultati. Gli strali dei nostri due scrittori s’indirizzano successivamente verso “le banche e le loro fondazioni”e specialmente verso il Fisco, dal momento che, se è vero che Gesù disse “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, è anche vero che l’imperatore romano Tiberio pretendeva soltanto le “decime”, mentre oggi molte sono “le iene che divoran la Nazione”, come afferma Defelice, il quale soggiunge: “E chi governa Cesare non sono, / ma mezze tacche…”. Ulteriori osservazioni possono farsi a proposito delle “pari opportunità” tra uomini e donne, le quali in talune città, come Reggio Emilia, ottengono dei privilegi ingiustificati, mentre appare evidente che, secondo quanto osserva Defelice, “Assumere un incarico, un impiego, / dev’esser conoscenza di mestiere”. La satira di Onano e Defelice s’indirizza anche contro le femministe, le quali non sono scese in piazza per protestare contro l’uccisione di una donna marocchina da parte del marito, perché colpevole di voler convertirsi al Cristianesimo. Accesa si fa poi in questi testi la polemica contro i religiosi omosessuali: “L’Italia e il mondo, immensa tartufaia, / di tuberosi e funghi-ipocrisia: / buoni, i primi, a condir molte vivande; / mèntori gli altri di bacchetoneria”. S’affaccia inoltre qui anche la “campagna di risparmio energetico”, tendente ad ottenere dei risparmi a danno degli ospiti di una Casa di Riposo di Reggio Emilia: “Guarda, se puoi, stavolta, in po-


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sitivo, / caro il mio amico Onano; / lascia star l’ ironia, / non esser pessimista, ma giulivo. / A mio modesto avviso, / il Comune di Reggio è molto umano, / vuole gli ospiti sciolti e giovanili”. C’è anche in questi testi l’invito di Giovanni Paolo II rivolto ai giovani: “Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”. In risposta la poesia di Defelice sembra superare il consueto pessimismo, dato che termina con questo verso: “e mai siam fuori tempo per sperare”. Affiora pure da queste pagine la satira contro certi provvedimenti che sembrano un po’ eccessivi, come quello tendente a “bandire il corpo della donna da qualsiasi pubblicità”, che viene stigmatizzato da Defelice come inopportuno e retrivo: “Se la balorda idea andasse in porto,/ … /a metà dell’Arte/almeno in tutto il mondo/si finirà col metter le mutande”. Contro cert’Arte moderna c’è poi la notizia della vittoria di Brent, uno scimpanzé di 37 anni, di un premio di 10.000 dollari a un concorso di pittura. Brent aveva spalmato i colori con la lingua invece che col pennello, compiendo una prodezza che non è affatto inferiore a quelle di noti artisti viventi e non. Restava comunque una “scimmia giocosa, estrosa, al naturale, / eternamente scimmia”, osserva Defelice. In un altro testo, riguardante l’”allerta climatica” si critica il lungo iter burocratico per il quale in caso di alluvione o altro disastro ambientale, “L’ Aeronautica avverte la Protezione Civile. La Protezione Civile avverte il Prefetto. Il Prefetto avverte i sindaci. I sindaci non sanno cosa fare”: il che genera una specie di “scarica barile” che nulla risolve. Si ricorda infine, in questo gioco serrato di proposte e di risposte, quella riguardante il Presidente francese Holland il quale faceva visita all’amante travestito da motociclista. Commenta Defelice: “Il colmo è che i Cugini, / dopo il sorriso a scherno Sarkosy, / sian naufragati anch’essi in una storia / di passere … e pulcini”. Dopo la lettura si scopre di aver incontrato un libro vivace e caustico che, attraverso la rispondenza delle proposte e delle risposte, riesce a dare un quadro abbastanza ampio dei vizi imperanti nella nostra odierna società, suscitando in tal modo non soltanto il sorriso, ma anche il risentimento morale di coloro che vi si accostano. Elio Andriuoli

IL CROCO - I Quaderni Letterari di Pomezia-Notizie. Il numero di questo mese è dedicato a: CELLULOSA di AURORA DE LUCA, 2° Premio Città di Pomezia 2014

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LUCETTA FRISA SONETTI DOLENTI E BALORDI Edizioni CFR Piateda (SO) 2013, € 10,00 Il sentimento assiduo del dolore; la minaccia ambigua della follia; la presenza conturbante del mistero; l’indefinibile sequenza del sogno: sono questi i motivi fondamentali che reggono la poesia di Lucetta Frisa, quale emerge da questo suo nuovo libro, Sonetti dolenti e balordi, da lei pubblicato nel 2013 nelle Edizioni CFR di Piateda (CO). Sequenza del dolore è la sezione che apre la silloge ed in essa si legge tra l’altro: “… mai il mondo smetterà di generare / dolori orrori pianti guerre e morti” (Questi occhi chiusi guardano ogni pianto); “Cosa s’impara dalla vita prima / della nascita? A dimenticare / la lezione e reimpararla cadendo / nel dolore…” (Nati in mezzo alla vanità del fuoco); “Di un piccolo dolore non si muore / ma del Dolore del mondo, della storia / orribile incantata dentro il niente / che all’improvviso ci rovina addosso” (Grigio cielo di nuvole in estate); ecc. C’è poi tra queste poesie anche il richiamo di una nota novella del Decamerone di Giovanni Boccaccio, la quinta della quarta giornata, che parla di Lisabetta e del suo sfortunato amore: “Se scrivere è tagliare la testa / al dolore fratturato tra parole - / lo curerò in un vaso di basilico / che mostri presto nuove foglioline / profumatissime” (Se scrivere è tagliare la testa), dove è evidente il riferimento al vaso di basilico nel quale Lisabetta aveva nascosto la testa del suo misero amante e sul quale piangeva. E c’è il richiamo alla leggendaria città russa di Kitez, “sprofondata / in inverno da cieco ghiaccio / da pietre ed erba e rovi in estate”. Alla Sequenza del dolore fa seguito in questa raccolta la Sequenza della follia, che compare nella sezione successiva e che in uno di questi sonetti viene definita “protezione dal male / della terra” e “fuga bella / da quanto non è più nostro”. Un rifugio, dunque, la follia, dai mali del mondo, come lo fu per Andrea Salos, che qui viene evocato, il quale nacque a Costantinopoli nel 956 d. C. e fu “severo asceta”, chiamato “il pazzo di Dio”. Ed ecco la Sequenza del mistero, che ha questo incipit: “Per vivere ho bisogno del mistero / o ragazzo d’Atene tu soltanto / mi ascolti e parli con gli dei…”; un incipit che trae lo spunto dai versi di Emily Dickinson: “Ragazzo d’Atene / sii fedele a te stesso / e al Mistero”, posti in exergo. C’è in questa sezione forse un larvato richiamo a Costantino Kavafis e alla sua nota poesia Aspettando i barbari, laddove è detto: “… i sogni mi difendono dai barbari / che sempre hanno ragione con l’ arma / della storia… “ (Per vivere ho bisogno del


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mistero, 2). Un chiaro riferimento al Foscolo si ha invece nei seguenti versi: “… si vede dicono / luce luce luce mentre si affonda / e chissà dove si va in quell’ attimo” (L’enigma in piena luce è l’inciampo). Ne I Sepolcri infatti leggiamo: “Perché gli occhi dell’uom cercan morendo / il sole; e tutti l’ultimo sospiro / mandano i petti alla fuggente luce”. Nella Sequenza del sogno troviamo sonetti nei quali la profondità della meditazione si unisce all’eleganza del dire: “I sogni vanno rispettati nel loro / tempo sono sacri se restano lucidi / sogni” (Realizzare qui i sogni è un errore, 2); “Realizzare qui i sogni è un errore: / perché qui tutto dal sogno è diverso / lo spazio tempo che ci lega e l’ombra…” (Realizzare qui i sogni è un errore, 3); “So che il congedo è solo mio solo io / posso gioire o piangermi addosso / solo io conosco il mio inferno” (So che il congedo è solo mio solo io); “… il sogno per noi è solo l’invenzione / della vita” (Cantare l’alba come uccelli appena / nati); ecc. E si veda anche in questa sequenza il riferimento culturale, dato dalla “torpida casa di Pascoli” a San Mauro (FC) e dalla “traslucida ora di Barga”. Pervasa dal pensiero della morte è la Sequenza privata, nella quale la morte compare sin dal primo sonetto: “… lei che sta / per morire vive l’incubo del cuore / svuotato” (Non sento non sento nulla qui dentro). Ma si vedano anche il terzo sonetto: “Morì all’inizio dell’estate il gatto / che fino all’ ultimo cercava il sole” e il quinto, che reca un chiaro riferimento alle parole di Goethe morente, il quale avrebbe esclamato: “Più luce!”, secondo quanto riferisce Peter Echermann. Il sonetto inizia: “Più luce qualcuno bisbigliava / congedandosi da questa terra / alba e tramonto in una sola luce”. Un chiaro riferimento alla morte è anche contenuto nel testo con il quale la sequenza si chiude: “Uscire da sé come la scala / giù dalla chiglia della nave verso / il mare per estrema confidenza”. Ed è proprio questo dell’“uscire da sé” il motivo che viene ripreso dalla successiva Sequenza dell’ uscire da sé, che ha questo incipit: “Bisogna uscire da sé consegnare / i nervi e i pensieri al nulla che non / ha corpo e non soffre”. Un movimento positivo lo si trova invece nel secondo sonetto della sequenza, che inizia: “Bisogna uscire da sé per entrare / negli altri nel loro dolore come / nella loro gioia”. Più problematico è l’ultimo sonetto della sezione, che appare dettato da un sentimento di ansia per il futuro: “Uscire da sé come un giorno / chiudemmo la porta di casa dietro / di noi senza le chiavi”. La Sequenza dell’inconclusione sembra invece nascere da un più vivo sentimento dell’infinito (“L’ inconclusione appartiene allo spazio”) e del mistero

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(“In fondo al labirinto quale verità?”), cui si aggiungono il sentimento desolato del nulla (“Questi brandelli di sapienza astri / soli in mezzo al cielo vuoto”) e della vanità del vivere (“Qui sottoterra c’ è chi è stata morta / da viva come i vivi senza forza /d’essere vivi”), oltre che quello del silenzio di Dio. L’ultima parte (o sequenza) della silloge, Sole dell’insonnia, si caratterizza oltre che per una diversità metrica (qui i versi hanno una differente disposizione sulla pagina, essendo centrati in essa anziché disposti con i consueti “a capo” e abbandonano inoltre l’endecasillabo, proprio dei “sonetti”, adottando il verso libero), per un più accentuato sentimento del “mistero” del mondo, che ad ogni passo ci viene incontro e ci lega: “un enigma per me / camminare in superficie”; “il mistero e i suoi ritmi / nel respiro / e in ogni cosa viva / si nasconde”; “oh sole, sole / dell’insonnia, / vieni a illuminare / il mistero!”. Eppure qualcosa, sebbene tra tanto assiduo sentimento del dolore e del nulla, per la Frisa si salva; ed è il dono del canto: “… il canto fermo / strappato ad Orfeo / si curva nelle nostre voci / a contrappunto del dolore”; e, unitamente al canto, la speranza di una qualche forma di sopravvivenza nell’Oltre: “Nell’Aldilà / troverò piume e sete / sentirò volare i miei capelli / dolcemente snodati / dalle ariose dita di un dio primaverile” (Volevo l’estasi). Ed è questo che dà un senso alla sua giornata terrena. Elio Andriuoli

PASQUALE BALESTRIERE IL SOGNO DELLA LUCE ED del Calatino Castel di Iudica Catania 2011 Nel pensiero di chi è prossimo ad un grave, non procrastinabile intervento chirurgico si intrecciano figure ed eventi, grate memorie del passato e l’ assillo del presente, il dubbio del “dopo”. In bilico tra la speranza della guarigione e il timore della resistenza del male, Pasquale Balestriere non indugia nella ostinata impasse, l’ affronta con coraggio “ Già t’ eri preparato a questa prova / ad esser muto d’ occhi ... “- si tratta infatti di un distacco di retina, e quindi di un’ operazione destinata a concludersi con il recupero della vista o con la cecità – e riflettendo e confrontando fa di questa dolorosa realtà una pausa, cruciale non definitiva, nel flusso in progress della sua esistenza e soprattutto, da poeta di vaglia quale è, la volge in occasione di poesia. Per inciso, infatti, la poesia per essere e per manifestarsi vuole un avvio di concretezza, di riscontrata oggettività o più semplicemente di dati reali. E così Balestriere “Nella rete caduto della rétina / chiede


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luce ai sapienti “ e intanto si affida ai rumori della città, per accertarsi nella sua oscurità dei modi coi quali “in ritmi quotidiani / presenze / presunte umane si affaticano” e “angoli ciechi a gran voce / chiedono il sole”. Ribadita presenza il sole è per il nostro poeta l’emblema di quella luce che non soltanto per chi crede nel mito biblico è da sempre inizio di Vita per il creato. Il solare lirismo, a guarigione avvenuta, svela cromie visuali, accende presenze di forme e figure : “ E nelle coste del sole rinato / ci accoglie un favo di diafano miele”, diafano di inconsistente trasparenza per simboleggiare la luce che non è materia ma dà alla materia peso e contorni. “Respiri casa quieta / e il Tempo ti accompagna / con argute gole di uccelli”. Il ritorno alla luce, la vista e il possesso delle cose care, è assecondato dall’ ipotesi di una presenza materna; siamo nella seconda sezione de il sogno della luce, dedicata appunto alla madre evocata dall’ altrove, il luogo precluso al figlio dal “discrimine fatale”, dove lei è in spirito. Nell’ illusorio,profondo colloquio con la falba immagine, in realtà meditato alato monologo del poeta con sé stesso, si trovano inevitabili richiami alla morte non cupi inserti ma complementi necessari, pittorica armoniosa eco di questa “via alla vita”. “In volo azzurro sei partita / alacre rondine / volta al sole” sussurra il figlio, che poi, con felici metafore, rinnova l’affettuoso rapporto con la madre: “Ai piedi di mia madre / questo sole felice / ... un segno, una metafora di divo / fulgore è questo “; “Nella memoria / bordeggi serena / per una danza d’ oro e di colori ...” Quando lei si allontana, “Ritorni al sole dalla nera terra”, e tace il mesto, coinvolgente affabulare del poeta, la silloge - che nella sua unicità si presenta ormai con la circolata armonia di un poemetto - dalla negatività iniziale della malattia prende dantescamente slancio, nella “messe di parole e affetti “, di raggiunta fiducia e assolto impegno morale, a confermare le positività di spirito e verità che danno valore e significante al nostro vivere. Non si spegne, ritmicamente e linguisticamente, la luce dei bellissimi versi, colti e insieme alla portata di quanti con semplicità chiedono alla poesia chiarezza bellezza conoscenza. Genova settembre2014 Piera Bruno

ANGELO AUSTRALI L’OCCHIO DI POLIFEMO Circolo Letterario Semmelweis, Figline e Incisa Valdarno (Firenze) 2014, pagg. 80, f.c. Il libro L’occhio di Polifemo, di Angelo Australi, è un manabile che in copertina illustra un disegno

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di Nino Australi: un cerchio di tovaglia macchiata di vino rosso, da cui il titolo. Luca Lenzini, in apertura, richiama l’attenzione sulla parola che viene usata maggiormente e che è “lavoro”, e quanto il racconto, costituisca un banco di prova per uno scrittore. Il racconto si svolge in nove sezioni, è semplice: il datore di lavoro, che fabbrica lampadari, amichevolmente offre, al ristretto numero dei suoi giovani artigiani, una serata al ristorante per il commiato di uno di loro, Graziano, che parte per la naia. La narrazione avviene con disinvoltura di linguaggio, è arricchita dai pensieri che Spartaco confida ad Irene: egli tiene in serbo il sogno dello scrittore. La serata è vivacizzata dall’incontro con dei commensali che stanno insieme, uno svizzero di nome Mauro con Miriam, bambina di sei anni, e una coppia di tedeschi di nome Petra e Peter. La difficoltà della comunicazione crea situazioni equivoche, ma simpatiche. Alla bambina è caduto un dente che lei tiene in un fazzoletto e con le tracce di sangue, a suo parere, ha fatto un disegno; alla vista di Spartaco, lei sorride e vuole regalargli il suo disegno. Intanto tra i fumi dell’alcool, sbadatamente Spartaco rovescia un po’ di vino sulla tovaglia, circostanza che lo riporta all’infanzia: quando succhiava il vino rovesciato sulla tavola e quando il nonno sarto lo divertiva con le sue scorregge, e ai sacrifici fatti dai genitori per farlo studiare. La serata si conclude con tanta confusione che annebbia il cervello, sì che Spartaco non ricorda di avere salutato l’amico che partirà per la naia, né dove ha conservato il fazzoletto della bimba. Osservo che c’è unità di luogo, di tempo e d’azione, il che avvicina il racconto a rappresentazione teatrale di immediata degustazione. Ma la richiamata unità è tipica caratteristica della tragedia, il che mi ha fatto pensare alla tragedia del lavoro, precario o assente; d’altronde il titolo L’occhio di Polifemo, non mi pare affatto rassicurante. Tito Cauchi

CARLOS CHACÓN ZALDÍVAR EL RETRATO FEMININO en la poesía de Carilda Oliver Labra Ed. Sanlope, Las Tunas (Cuba) 2004, riedizione 2013, Pagg.36, s.i.p. Carlos Chacón Zaldívar (Mayari, Cuba, 1958), è scrittore, poeta e critico, di formazione letteraria, ha pubblicato sei opere guadagnandosi premi e riconoscimenti. Questo saggio è stato letto all’Università


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di Matanzas a luglio 1998. È scritto con linguaggio chiaro e diretto, è stato pubblicato nel 2004 e riproposto in occasione del conferimento Honoris Causa della Laurea in Lettere alla poetessa connazionale Carilda Oliver Labra, nel 2013, mettendone a fuoco il Ritratto umano, di cui al titolo. L’Autore spiega che il discorso poetico di Carilda Oliver Labra, è rivolto alla donna, alla sua bellezza, secondo i canoni della lirica medievale, caratteristica della poesia amatoria, i cui precetti stabilivano che la descrizione della figura femminile proseguisse dal capo fino ai piedi. Nelle corti italiane non importava che si rispondesse a elementi obiettivi o reali della donna, ma era necessario che se ne esaltasse la bellezza; capostipite di tale genere è Petrarca. Un esempio nella tradizione spagnola, si ritrova nel poeta e religioso Luis Góngora, di Cordova, che visse a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento. Ciò premesso, alcuni poeti, come Carilda Oliver Labra, cui è dedicato il saggio, si allontanano dalle norme secondo il proprio estro, anche grazie all’uso della metafora. Carlos Chacón Zaldívar prende in esame alcuni componimenti di Carilda, nell’arco di circa 50 anni (la Poetessa è nata nel 1924), evidenziando quanto sia prevalente la presenza femminile. Decanta la bellezza della donna al cui confronto nessuna meraviglia della natura, può reggere. Abbozzo una traduzione per rendere un assaggio della sua poesia:“Il sole risplende invano a confronto dei tuoi capelli; e l’iris guarda la tua bianca fronte; gli sguardi ti ammirano di più che un bel garofano; il tuo collo è più bello dell’avorio.” Osserviamo la grazia che la poetessa usa per allontanarsi dai canoni classici, per essere più vicina al cuore e come sia consapevole dei cambiamenti della vita; consapevole dei segni che il tempo lascia. Tuttavia lei inganna le ombre della morte e si presenta nella sua essenza, nel suo Retrato feminino. Un titolo che fa a questo caso è quello del componimento “La violetta combatte” (del 1979) che fa parte della raccolta “Tu sei domani”. Scriveva per Suor Juana Inés de la Cruz, per la muchacha Ana, per la mujer Mercedes, descriveva il retrato de Sara, di Lisarda, e di altre belle chicas. Ma non trascurava argomenti di matrice sociologica, rivolgendo il pensiero alla divorziata, alla vecchina, alla “señora de canarios”, come anche alla tristezza. Tanto per fare degli esempi, citiamo: “Se la mia famiglia andò via/ a dolere sotto la neve”; “se del seno che poppai/ esce impossibile la mia fortuna”; “ho tristezza di cagna” che sono l’altra faccia del dolore. Il tempo non perdona, come dice Carlos Chacón Zaldívar, ma la bellezza dell’anima che emerge ne

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El Retrato Feminino en la poesía de Carilda Oliver Labra, unita all’intelligenza della poetessa e al suo estro poetico, sfidano il tempo. Tito Cauchi

CARMEN CREACO DUE ALI Albatros, Roma 2011, Pagg. 48, € 11,50 Carmen Creaco calabrese di Reggio (nata nel 1972), svolge la sua professione di avvocato a Brescia e divide la sua anima, tra l’amore per la terra natia, la passione per la poesia, il suo impegno professionale; e, forse, dovrei dire, che fonde in un unico grande amore il suo senso della vita. Sara Leoni nella prefazione richiama l’attenzione sulla percettibilità dei versi per via dei cinque sensi sollecitati durante la lettura, il che porta o porterebbe il lettore, a farsi partecipe dei sentimenti ivi espressi; entrare cioè, in sintonia con la poesia. Tali risultati sono ottenuti grazie alle figure retoriche su cui fa leva la Nostra, l’analogia, la sinestesia e soprattutto la similitudine; tutte, amalgamate dall’ amore, nelle sue varie forme, che ne costituiscono il “collante” della immaginazione. Due ali è dedicato ai suoi bimbi, Giulio e Christian. Apre con “canto per cullarti dolce amore mio”, beandosi ella stessa, godendo della tenerezza delle nudi carni delle proprie creature, vedendo in loro se stessa nella sua semplicità. Gode di dolci e serene visioni paesaggistiche, del sole che accarezza e della frescura degli alberi; si culla nell’ondeggiare del mare; respira l’essenza dei pini: “La mia anima dispersa/ per senni agitati e pensieri.” (pag. 27). La presenza dei suoi bimbi e il loro contatto, la trasportano per mondi celestiali. Credo che Giulio sia nato il 7 agosto 2003, al quale si rivolge: “figlio mio,/ rigonfia/ di ventre sanguigno/ …/ tra le crepe buie dei miei seni,/ con ali tremolanti,/ corporea in ogni mio confine,/ con scalpiti e battiti,/ sfranta,/ come dopo l’amore…” (pag. 29, puntini nel testo), i suoi sorrisi la sommergono, la spogliano delle sue ali. Un sentimento d’amore che si rinnova il 3 aprile 2009 per Christian: “La notte boscosa ansima e si dilegua/ tra aspro glicine ed incolta edera/ - le mie radici recise!” (pag. 37). Carmen Creaco, così salda alla sua terra, tiene “tra le mani… solo/ canti d’amore!” Direi che una parola molta usata è ‘ali’ e che esse assumono molteplici significati: ora sono le sue due creature, ora le ali della fantasia. Due ali è una raccolta che sublima la maternità. Tito Cauchi


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RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO 1° premio Città di Pomezia 2014 - Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Gradevolissimi echi crepuscolari nella silloge Voglio silenzio, di Rodolfo Vittorello. Si ha l’ impressione di riascoltare, a tratti, il Gozzano colloquiale de La signorina Felicita. Il volumetto rivela la sua genesi nel motivo della Memoria; una Memoria che non scade mai nel melodrammatico, nelle svenevolezze di un ostentato rimpianto. Il poeta rivive il passato con un sentimento – direi - di malinconia dolce, sorvegliata, che in alcuni momenti tocca i limiti dell’ineffabile, come in “Datemi un giorno solo”: Mi sono perso in favole da niente a immaginare paradisi e intanto più d’uno ti prendeva ed io incosciente ti carezzavo appena per il timore assurdo di sciuparti. L’impianto formale segnala un recupero, con eccellenti risultati, della metrica, e – bisogna aggiungere – di una metrica che, per quanto non rimessa a schemi tradizionali, è tuttavia esito di un progetto tutt’altro che peregrino, rigorosamente rispettato. Aldo Cervo

TITO CAUCHI PALCOSCENICO Editrice Totem, 2014 - Pagg. 64, € 10 In “Palcoscenico” di Tito Cauchi si affaccia il palcoscenico dell’umanità. Il titolo della raccolta di poesie pubblicata per l’Editrice Totem, sembra essere un pretesto per affidare ai versi la rappresentazione della nostra variopinta umanità. E’ vero, la vita è un palcoscenico, del resto lo diceva già William Shakespeare “The world is stage” e noi ne siamo gli attori principali sia nel bene che nel male. Attori, comparse che affrontano la vita pensando di poterla cambiare, modellare a proprio piacimento, ma che alla fine ci conduce dove vuole lei. I versi di Tito Cauchi sono un palcoscenico di sentimenti, di sguardi sulle diverse vite, su quello che accade nelle numerose guerre che ci sono nel mondo, sull’indifferenza, sulla bontà, sul male, sulla natura, sulle donne e sulla sua Gela città natale. Cauchi mette a nudo la sua anima, cercando di descrivere l’anima degli altri che da spettatori ignari, diventano attori. Ogni vita è una piccola commedia, un piccolo

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dramma o recita, allegra o triste. C’è chi indossa la maschera per celare tristezza, inquietudine, povertà; c’è chi invece la indossa per “fregare il prossimo”, chi per trovare la forza di andare avanti. Non sempre la maschera riesce a celare del tutto lo stato d’animo di chi la indossa. Un mondo variopinto ed incerto, insomma, in cui vorremmo che la felicità fosse “nostra parente prossima” ma poi ci accorgiamo che “quando ci avviciniamo ad essa lei ci sfugge gelosa e ritrosa” nonostante la maschera indossata. Roberta Colazingari

RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Ricercare il silenzio con i versi, si può? A quanto pare Rodolfo Vettorello con la raccolta “Voglio Silenzio” pubblicata su Il Croco di settembre 2014 è riuscito nel suo intento. È quasi uno slogan, urlato o sussurrato, con il punto esclamativo e non: siamo troppo immersi nella confusione, nel caos di tutti i giorni che abbiamo perso la capacità di restare in silenzio, di osservare in silenzio, di ricercare il silenzio. Si, perché noi oggi “guardiamo distrattamente”, non ci “soffermiamo ad osservare” e la cosa è ben diversa. Le corse, la fretta ci hanno fatto dimenticare la bellezza della natura, di un paesino antico, dei vecchi giochi d’un tempo, l’importanza della lentezza, la capacità di dedicare uno sguardo, un minuto all’ altro. Del resto il progresso avanza e ci travolge, nostro malgrado. Vettorello spera, invoca il silenzio, tornerebbe volentieri a vivere isolato, magari su un eremo, pur di scacciare “il male di vivere” che attanaglia ognuno di noi e di cui il più delle volte non ci accorgiamo. Pur di ottenere silenzio e tranquillità strizza l’ occhio a “I Sepolcri” di Ugo Foscolo nella lirica “Fragore di silenzio” dove scrive: “Amo la gente quieta, il popolo silente addormentato nell’ombra mite dentro i cimiteri”. Ora, per recuperare il silenzio, basterebbe che ognuno di noi cercasse nella sua anima, nel suo cuore i ricordi spensierati e felici di quando bambini ci si divertiva con poco, rispettandosi l’un l’altro: recuperiamo il Peter Pan che è “nascosto” in noi e troveremo anche il modo di recuperare il saluto con la mano. Roberta Colazingari


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LUIGI DE ROSA IMPERIA TOGNACCI E I SUOI POEMI IN POESIA E IN PROSA Saggio monografico sull’opera della poetessa e narratrice di San Mauro Pascoli Edizioni Giuseppe Laterza, 2014 - Pagg. 262, € 20 Il corposo volume è suddiviso in due parti. La prima, dedicata alla poesia, è formata da dieci capitoli; la seconda, dedicata al saggio critico sul Pascoli e a tre romanzi, di quattro. A colpire è subito il dono del riporto, attraverso il quale, fin dall’inizio, Luigi De Rosa lascia parlare gli altri, riservando per sé il mestiere del sarto; ma qua e là, tra una citazione e l’altra, non manca il suo giudizio critico, la sua ricerca intelligente e calzante. Non è facile fare il buon sarto nell’ambito della critica. De Rosa lo svolge, invece, a meraviglia, non solo nel saper selezionare, ma anche nello scegliere i tempi degli innumerevoli interventi, sicché l’esposizione risulta fluidissima e accattivante. Si dà, così, una panoramica dei giudizi sulle opere di Imperia Tognacci e sapienti spunti per nuove indagini. La Tognacci è poetessa intimamente macerata dalla fede, legata, per indole, al Pascoli, ma, rispetto a questi, più sinceramente cristiana. Particolarmente interessante il capitolo X, nel quale il De Rosa tratta dell’inedito Là, dove pioveva la manna..., in cui il “percorso letterario” della poetessa di San Mauro Pascoli, ma romana da moltissimi anni, “si approfondisce ancor più, grazie ad un linguaggio ancora più limpido ed efficace, e soprattutto ad un’ispirazione - sia estetica che spirituale ancora più intensa”. Qui, infatti, prosegue e si dilata il percorso intimo della poetessa, al contatto con la terra della Giordania, la quale, specie per un cattolico e un cristiano, è fonte di “scelte di campo filosofiche e spirituali”, ma anche di lievitazione e di nuova ricerca, di meditazioni e di cambiamento continuo. È il capitolo - il X - in cui ci sono solo riporti abbondanti di versi della Tognacci, e manca, naturalmente, il continuo, accorto impegno di De Rosa a rapportare il suo pensiero a quello di molti critici o viceversa. Qui c’è solo la sua sapiente indagine; qui la poetessa, secondo lui, fugge “dal deserto metropolitano” per “volare oltre l’orizzonte/dei quotidiani limiti”, consapevole sempre, però, che ha “ancora ali di cera”. La Tognacci è in perenne cammino come Ulisse, ma “non è matematicamente sicura nemmeno di rivedere la sua primigenia terra natale, eppure il suo spirito inquieto la porta imperiosamente ad affrontare il fascino dell’ignoto”.

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Altrettanto è per la seconda parte, la prosa. Dopo aver trattato del saggio “Giovanni Pascoli - La strada della memoria” e dei due romanzi finora pubblicati: “Non dire mai cosa sarà domani” e “L’ombra della madre”, De Rosa di sofferma sul romanzo inedito “Anime al bivio”, la storia di una suora, di un travaglio interiore. La Tognacci - scrive il saggista - “annette una grandissima importanza, oltre che all’arte e alla poesia, anche alla Fede religiosa, che per lei sta alla base di tutta la vita morale e spirituale dell’individuo e della Società”. “Per Imperia Tognacci - conclude - “conta solo la Fede, non le sovrastrutture terrene della stessa”. Un romanzo, insomma, che si annuncia quanto mai appassionato e intenso. Domenico Defelice

RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 IL POETA RODOLFO VETTORELLO VUOLE SILENZIO ( E TANTE ALTRE COSE) L'architetto poeta Rodolfo Vettorello, nato nel 1937 a Castelbalbo ( prov. di Padova) ma residente dal 1960 a Milano ( dove si è laureato al Politecnico con Giò Ponti) ha vinto il Primo Premio al Concorso Città di Pomezia 2014, con una raccolta di venti poesie, una più bella dell'altra, intitolata VOGLIO SILENZIO. E' una ciliegina sulla torta, perché di Premi ne ha già vinti molti. Ma una ciliegina particolarmente significativa. E' un manifesto poetico, un programma di vita, una preghiera, un ordine. Ha detto bene il Presidente del Premio, lo scrittore Domenico Defelice, intitolando la sua magistrale prefazione ( a pag. 2 del Quaderno Letterario IL CROCO numero 114, supplemento al fascicolo di settembre 2014 di “Pomezia-Notizie): VOGLIO SILENZIO: TRA INVOCAZIONE E PERENTORIETA'. In effetti, quel “Voglio” può far pensare a un Docente autoritario che pretenda la massima attenzione per la sua materia e la sua persona. Oppure si tratta della richiesta pacata e indispensabile di un poeta che vuole VIVERE una vita autentica, senza le forzature insopportabili di una cosiddetta “civiltà moderna” fracassona, inquinata e inquinante. Concordo con Defelice, nel senso che anche secondo me “Vettorello sta nel mezzo”. Diciamo subito che la prefazione di Defelice è magistrale, al di là di qualsiasi dubbio, anche perché l'ideale di vita dello scrittore romano di origini calabresi coincide, di massima, con quello del poeta “milanese” di sangue veneto. Ma Vettorello è arrivato al punto massimo di


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sopportazione. Oltre, non si sente più di andare: “Io, d'ogni cosa solo l'essenziale. E' quiete intorno come se fossi un monaco ed avessi scelto il silenzio...” Il punto centrale del testo di Defelice mette a nudo il nervo scoperto della poesia di Vettorello: “ “...In “Voglio silenzio” c'è tanto “male di vivere”, che si specchia anche nello stile, nella cadenza, nel ritmo – a volte quasi ironico e leggero – nelle desolazioni, nelle confessioni e nelle “foto di famiglia”, come nei personaggi – il Papà, che cena col capo basso; lo zio, la zia, la nonna, le sorelle” e nei paesaggi e gli ambienti (“via Garibaldi o non rammento più”). Ci sono due convitati di pietra nei versi di Vettorello: Gozzano e Pavese.” Ma si può tornare indietro? Si può far finta che la motorizzazione generalizzata non ci sia? Che la televisione col suo chiacchiericcio 24 ore su 24 possa essere abolita? E' sufficiente (è possibile ?) stare lontani dalla marea di news e di pubblicità che ci sommerge da radio, giornali, cinema, mezzi di comunicazione elettronici, etc.? . E' possibile che il tutto regredisca per una guerra atomica mondiale o per una glaciazione o desertificazione? Bisogna saper cercare, saper dire di no a tanti e a tante cose. E accettare il “buono” che si presenta. Anche oggi, nonostante tutto, ci sono angoli di mondo in cui si può ancora sentire “il fremito dell' acqua dei ruscelli”. E' bellissima la chiusa della lirica epònima; “ ...E voglio mi si parli lentamente e che nessuno faccia citazioni. Voglio restare, quando voglio, muto e sordo, quando occorre, alle parole e spendere quel tanto che mi resta ad ascoltare il vento tra le foglie, il canto degli uccelli sconosciuti, il fremito dell'acqua dei ruscelli. E tacerò pur io, le mie parole ormai le ho consumate ad una ad una piano. Per il commiato mi resterà il saluto della mano.” Luigi De Rosa

RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO 1° Premio Città di Pomezia 2014 Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 L’autore consegna una raccolta di liriche che irrompe nel caos del nostro presente e getta via le parole per restare nel silenzio a trovare balsamo agli

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affanni e rinfrancarsi nel passato tanto amato. Appare fuori dal tempo, ma è solo una sensazione transitoria. Apre alla lettura un verso forte e deciso (“ io d’ogni cosa sono l’essenziale”) leggo così il primo architrave del silenzio, il rifugio campestre della voce interna, forza chiusa in un quadrilatero di borgo e la vita da snocciolare. Dove? Dentro di sé, per poi ritornare alla luce del villaggio (“per il commiato il saluto con la mano”). Passo a godere del paesaggio e dei suoi gusti nella speranza (“mi sporgerei dal ponte della Ripa per cogliere la luna”) ed ancora (“una bistecca con l’ insalatina e un po’ di vino rosso a riscaldare”). A morire nella polvere sabbiosa e salmastra di mare (“ l’idea di morire. Splende la battigia”) eppure nella morte fanno rumore i suoi passi (“lungo il litorale”). Sento i passi mentre leggo dell’uomo poeta che vive nella catarsi e spero ardentemente che tale catarsi sia preludio di nuova vita, resto a sentire la sua apparente e momentanea morte e coltivo questa speranza che mi fa andare avanti nella lettura, alla ricerca dell’uomo poeta del villaggio del passato. Passaggio meraviglioso di oblio in fuochi d’ artificio (“le tamerici fremono nel vento”). A seguire (“mi faccio scudo della mia memoria”) passi lenti e tormentati nel passato sterrato e polveroso a nostalgia di un tempo migliore di oggi. E poi lo spiraglio al ritorno (“Sono convinto di certi postulati indiscutibili ma poi mi trovo un po’ spaesato alle evenienze d’ogni giorno”). E dopo, ancora, oltre quella soglia di villa, che lascia intravedere il sapore del ricordo (“il profumo che accende la memoria”). Il grido disperato del “ Voglio il silenzio” naviga per mari di ricordi, attraverso muri secolari, rifiutando ed accettando ciò che il presente deturpa e va a coprire il mattone regale del nobile passato. Il regno di un tempo che può ancora portare conforto alla catarsi dell’uomo poeta, rifugio di una perpetua condanna di un oggi di limiti ed evenienze. Filomena Iovinella

RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO 1° Premio Città di Pomezia 2014 Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Chi, non ama il silenzio? Alludo al contrario del rumore prodotto dal traffico, ininterrotto, dei centri urbani e a quello della musica sfrenata, ad alto volume delle discoteche, che tanto affascina i giovani,


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al silenzio sinonimo di tranquillità, pace interiore. Stanchi di lavorare e tribolare, di cercare soluzione ai problemi, infastiditi da presenze invadenti, spesso ci isoliamo e ci rifugiamo in un cantuccio semibuio dove gli altri non ci possono vedere né disturbare; gli occhi chiusi rilassate le membra, senza parlare né pensare, inspirando ed espirando profondamente, lentamente, inerti come morti ma vivi, avvolti nella complice aria immobile, ci liberiamo, anche se per poco, del peso della vita e abbiamo la sensazione di scivolare dolcemente, e in essa sostare beati, nella morbida cuna protetta del liquido amniotico. E’ un momento magico. Quale il silenzio che vuole Rodolfo Vettorello? La risposta è nella prima lirica della sua raccolta, “Voglio silenzio”: egli vuole <<la quiete che sceglie un monaco tra le mura del convento, una casa di una stanza sola e una finestra stretta che si affacci nello sterrato ai limiti dei campi, un orizzonte breve e un muro dissestato, quasi eroso, una fontana che gorgogli giorno e notte, una strada bianca e polvere che s’alzi come nebbia sotto le ruote d’un carro che avanza al passo musicale dei cavalli, che nessuno parli o faccia citazioni, vuole restare muto e ascoltare il vento tra le foglie, il canto degli uccelli, il fremito dei ruscelli, “Anch’io tacerò e per commiato mi resterà soltanto il saluto della mano” >>. Vuole fuggire, il poeta, scappare dal mondo contemporaneo dove tutto è caos e veleno, insoddisfazione fame e corruzione, e riappropriarsi dell’ atmosfera serena di tempi sani, incontaminati, genuini, di tempi in cui gli uomini non erano l’un per l’altro “homo homini lupus” ma uniti nella fratellanza nell’amore nella solidarietà, nella trasparenza dei Valori; di tempi in cui non si cercava spazio infinito per rifarsi dei limiti del passato ma ci si accontentava del poco che si possedeva, <<Mi basta un nulla perché mi si illumini il cielo, non serve ch’ io vada lontano e cerchi un altrove, mi basta il paese che amo, al “male di vivere” occorre che cambi soltanto la mia visuale>>. Rimpiange egli i giorni lontani dell’amore, del “carpe diem” sfuggito, non afferrato in tempo, <<Datemi un giorno solo di quei giorni / che ho speso inutilmente senza averti /…Mi sono perso in favole da niente / a immaginare paradisi e intanto / più d’uno ti prendeva>>; ricorda i luoghi romantici, idillici che lo hanno ispirato, che hanno tracciato in lui un’impronta poetica: <<La luna che si specchia nell’acqua verde dei Navigli, il mare d’autunno, la polvere di gusci di conchiglia, i sogni che crollano / che danno soltanto un rumore da poco. / Un solo fruscio come fanno / i giochi di carte da gioco>>. Ribadisce, senza stancarsi, convinto, il suo ripiegare nel silenzio, in quel silenzio che gli permette di

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tornare indietro nel tempo, di rivivere momenti felici, spensierati, che tracce hanno inciso nel suo microcosmo, e non solo, in quel silenzio, indulgente, che ancora lo prende per mano e lo accompagna, continua ad accompagnarlo nel cammino spinoso della vita, nella solitudine e nel vuoto della città dove egli esplose di canti e felicità, dove non c’è più nessuno che ricordi il suono delle campane e i silenzi della sera. Antonia Izzi Rufo

ARON SHAI THE EVOLUTION OF ISRAELI-CHINESE FRIENDSHIP Research Paper n. 7 – Booklet L'Università di Tel Aviv (TAU) si è affiancata al S. Daniel Abraham Center for International and Regional Studies (SDAC), qui in funzione fin dal 2004 nel promuovere studi, insegnamenti e ricerche interdisciplinari di forte rilievo rispetto agli attuali profili della globalizzazione, sia sotto l'aspetto internazionale che in relazione al fronte regionale, ed al Confucius Institute, attivo in questa stessa Università dal 2007, con la prospettiva di giocare un ruolo di prima importanza per l'avanzamento delle relazioni Sino-Israeliane su ambiti generali e culturali e nell'approfondimento della conoscenza delle tradizioni cinesi in Israele. Questa nuova indagine del prof. Aron Shai, Rettore (Provost) della TAU, uscita nel Luglio 2014, ci consente di esplorare tutte le tappe del rapporto diplomatico e non ufficiale tra queste due Nazioni Sovrane, che stanno svolgendo un ruolo chiave nell'attuale momento storico di cambiamenti profondi e quanto mai imprevedibili sia sotto l'aspetto economico-finanziario che rispetto a quello etico-politico e culturale. Nella foto di copertina, scattata da Ohayon Avi GPO, il P.M. Netanyahu è al fianco del P. M. Li Keqiang durante la Cerimonia di Benvenuto del Maggio 2013. Cinque le Sezioni che vanno a trattare l'argomento: The Awaking Dragon (Il risveglio del Drago); - A Sixty-five Year Retrospective: from Mao Zedong to Xi Jimping (Una retrospettiva di 65 anni: da Mao Zedong a Xi Jimping); -The Lure of Economic Opportunity: Bilateral Relation since 1992 (Il vantaggio di un'opportunità economica: la relazione bilaterale dal 1992); -The “New Path”: China's Global Diplomatic Strategy (Il “Nuovo Patto”: la strategia della Cina in campo diplomatico globale); -SinoIsraeli Relations: Future Prospects (Le relazioni Sino-Israeliane: future prospettive). In una breve Prefazione, con lo stile sintetico e chiaro che contraddistingue la sua scrittura storica,


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il prof. Shai sostiene che presso l'Università di Tel Aviv lo studio della Cina e delle sue tradizioni linguistiche, letterarie, filosofiche, storiche, geografiche, sinteticamente 'culturali' è assai presente ed è svolto presso il Dipartimento di Studi sull'Asia Orientale, mentre si articolano contatti diretti con il 'Confucius Institute' e la facoltà di Studi e Affari Amministrativi oltre che presso altri Dipartimenti, con un sempre maggiore scambio di studenti e conoscenze, oltre gli stessi confini dell'ambito accademico. Sostiene Aron Shai: “...Infatti le due nazioni sono all'inizio di un nuovo periodo di relazioni fertili e vantaggiose, fissate tra le due più importanti civiltà antiche...” (A. Shai, op. cit. pag. 9, trad. dall'ingl. di Ilia Pedrina) Le informazioni preziose che partono da questo studio ed arrivano a fare da base interpretativa del nostro tempo, nelle sue prospettive anche congiunturali, riguardano proprio la Cina, che intende ora dare dimostrazione di saper tradurre in fatti concreti i risultati della 'porta aperta' commerciale degli Anni '80, attraverso una diretta influenza diplomatica globale sull'Africa e sugli Stati dell'America Latina e diffondendo relazioni interdipendenti sia dal punto di vista politico che economico, entrando così a pieno titolo nell'arena mondiale dello svolgersi degli eventi, condizionandone l'andamento. E nel corso della crisi economica mondiale successiva al 2008, la Cina corre ai ripari: “... L'offerta cinese di aiuto finanziario (alle nazioni confinanti) stava ad indicare, a fianco di altre iniziative di sviluppo, che Pechino, ora seconda potenza economica mondiale, intendeva per prima mostrare i segni di un superamento della recessione...” (A. Shai, op. cit. pag. 13). Tanti gli interrogativi che lo storico sfalda dall' interno, perché mirano a non dare un quadro veritiero della situazione geopolitica mondiale, primo fra tutti quello che prevede il collasso del colosso cinese, quasi un dragone di carta, che crolla sotto il peso della corruzione politica interna al governo, mentre assai dettagliati sono i resoconti statistici che giocano un ruolo specifico nel prevedere quasi un ribaltamento di prospettiva, anche culturalmente parlando, in favore della Repubblica Popolare di Cina e delle altre Nazioni Emergenti. Israele allora si pone, a livello strategico e geopolitico, come lo Stato Sovrano che più di ogni altro affronta con determinazione la delicata situazione tra vera autonomia ed alleanze affidabili. Nella prima parte l'Autore analizza il retroscena storico delle relazioni Sino-Israeliane; nella seconda egli affronta le relazioni bilaterali a partire dal 1992, quando tra i due Stati si avviano e si fissano rapporti diplomatici efficaci; la terza parte, complessa e ben articolata, ci presenta alcune prospettive internazionali future

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che coinvolgono sia la Cina che Israele mentre nella quarta parte l'Autore ci prospetta una panoramica sul futuro, anche in vista di un particolare cambiamento nei rapporti di forza nell'arena internazionale (sintesi tratta liberamente dall'ultimo capoverso di pagina 16). Una ricca e documentatissima bibliografia anche multimediale consente al lettore di acquisire ulteriori spunti per ampliare le informazioni che questo studio viene via via trattando ed intersecando. Un testo questo che, a costo minimo, va assaporato lentamente e realisticamente, proprio perché l'Autore si pone al centro del frenetico mutare degli eventi e ci fa riflettere in prospettiva. Ilia Pedrina

GIOVANNA LI VOLTI GUZZARDI (a cura di) AMORE MI MANCHI A.L.I.A.S. - Antologia 2013 - 318 pagg. Di antologie, pubblicate da questa o quella associazione culturale, ne ho lette una quantità, da che recensisco libri, ma questa, pubblicata dalla A.L. I.A.S., è veramente notevole e, dati i precedenti da me visionati, ha stabilito un primato difficilmente raggiungibile. E’ bella sin dalla copertina! La copertina raffigura un quadro campestre e bucolico (in tutti i sensi del termine) che è una vera gioia per gli occhi. Dico questo perché, anni fa, una mia poesia fu pubblicata in un’antologia sulla cui copertina… c’era una donna glamour in calze a rete con giarrettiere nere e corpetto nero aderente! Considerando che era un’antologia poetica, non poteva esistere copertina più sbagliata! La copertina è il biglietto da visita di ogni testo, sia esso una storia a fumetti o un saggio, a carattere storico o sociale! E’ veramente importante. Questo bellissimo quadro è l’avanguardia di un gruppo di quadri stupendi, riuniti nell’ultima parte dell’Antologia, eseguiti dai vari collaboratori dell’ A.L.I.A,.S., per lo più italiani, o residenti effettivamente all’estero o che, dall’Italia, hanno inviato le loro opere alla signora Guzzardi, che risiede a Melbourne (Australia) e che, membro entusiasta di questa associazione, è stata anche insignita, nove anni fa, del titolo di cavaliere, per meriti artistici, dal presidente della repubblica italiana e pure da Sua Maestà Elisabetta II! E scusate se parliamo dei soliti ignoti! Questa antologia si è rivelata molto composita e davvero completa in ogni dettaglio e questo, da solo, è grande motivo di ammirazione. In essa infatti abbiamo: Sezione Poesia (Australia


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e, a parte, Estero); Sezione Narrativa (idem) e Sezione Primi passi (per lo più poesie… scritte da ragazzini dai 7 anni in su. Deliziose!). Oltre alla già rammentata sezione Grafica (per lo più pittura), tutta da ammirare. Le foto (degli Autori e/o della signora Guzzardi ed altri membri della Giuria) si sprecano e sono un bellissimo colpo d’occhio, anche se per lo più sono in BN (il BN è d’oro, il colore d’argento… per parafrasare un noto proverbio). Sicché, ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le tasche, come si dice, e ognuno troverà ciò che ama di più e non avrà scuse per dire: mi annoio! Le poesie, forse il corpus più nutrito in assoluto) sono, per lo più, a versi sciolti, senza né metrica né rima (anche i poeti in erba hanno scritto così) ed i soggetti trattati sono fra i più vari. Gli adulti sono stati pensosi, riflessivi, melanconici o nostalgici. I bambini… sono stati semplici e diritti (viva la faccia della Sincerità!), a costo di essere considerati a volte crudeli o banali. Ma i bambini sono amabili proprio perché sono così, ringraziando il buon Dio. Siccome c’è una messe quasi infinita di soggetti poetici, non mi azzardo a citare questo o quello. Mi trovo davvero imbarazzato, per quanti carmi ci sono, e fare preferenze sarebbe una scortesia. Sono stati tutti bravissimi, ognuno a modo suo. Parlerò invece della sezione Narrativa. Pochi ma buoni, come si dice. Sia gli italiani residenti all’estero che quelli rimasti in patria hanno raccontato, per la stragrande maggioranza (neppure si fossero passati una parola d’ordine) di ricordi personali e/o della seconda Guerra Mondiale, che ha segnato le vite di molta, troppa gente! Di questi due soggetti, ne ho letto tale una quantità, in passato, che se ne recensissi una qualsiasi mi si accuserebbe d’aver plagiato me stesso! Invece, desidero qui rilevare in modo particolare i racconti (pochi, ma stupendi davvero!) che hanno particolarmente spiccato in questa silloge favolosa. Per esempio, Storia di un punto, di Donatella Poesini (Estero). Una epigone non indegna di Gianni Rodari, favolista d’eccezione del secolo scorso. E ancora La statua di nebbia, di V. Dimola (Estero), così surreale da rammentare da vicino Lewis Carroll per la sua concezione! Sul fronte dei Veristi (a ognuno il suo, come è giusto), rammenterò P. Mazzarella (Australia) autore di Avevi ragione tu, e Giggiò e la carrozzina di Cocò (di L. Paternostro Siani – Australia), a metà fra Sogno e Realtà. Incantevoli! Deliziose! Mi è piaciuto soprattutto lo stile, così semplice e

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diretto, ma privo di volgarità e banalità che, ahimè!, contraddistinguono la letteratura coeva 11 volte su 10 (e come recensore, so ben quel che scrivo!). Un testo favoloso in ogni sua parte, da serbare preziosamente nella propria libreria, per apprezzare le meraviglie delle donne e degli uomini di Ieri (gli adulti) e di Domani (i bambini). Andrea Pugiotto

ANTONIA IZZI RUFO PER UNA LETTURA DELLA VITA NUOVA DI DANTE Accademia Internazionale Il Convivio, 2004 - 31 pagg. Un vecchio proverbio recita: Chi un soldo non stima, un soldo non vale. Giusto. E un altro vecchio proverbio rincara: risparmiando i centesimi, le lire si raggranelleranno da sole. Molto corretto, specie dal punto di vista economico. Ma tutto questo che c’entra con una recensione? C’entra, invece, e moltissimo! E c’entra perché il testo proposto dalla signora Izzi Rufo non ci parla di Dante Alighieri (padre della Lingua Italiana e forse il solo successore degno di Omero, il Poeta per antonomasia qui in Europa) non già come il Sommo Poeta, autore della Divina Commedia, ma come di un Autore ancora oscuro, ancora inesperto (un ragazzo o poco più!) che muove i primi passi sulla strada della Poesia, dovendo competere con celebrità affermatissime quale Guido Cavalcanti. La Izzi Rufo è stata, in questa sua scelta, evangelica: ha preso la pietra scartata dal muratore e ne ha fatto pietra d’angolo. Sulla Divina Commedia di tomi, quali commenti o testi di interpretazione e/o di divulgazione, ce n’è un mezzo Monte Bianco, a volerli mettere uno sull’altro, ma intanto tutti, commentatori e lettori casuali ed estimatori) continuano a dimenticare che la Divina Commedia è l’opera di un uomo maturo (in tutti i sensi: per età, ingegno, cultura), mentre La Vita Nuova è un’opera prima, ingenua e risibile quanto si vuole, ma importantissima. Perché è il Principio! Non mi risulta che si nasca vecchi e si muoia neonati. Almeno, non nel nostro mondo. E’ vero che ogni principio è forte, in generale, ma se mai si comincia, anche muovendo passi incerti, non si arriverà mai da nessuna parte. E’ sbagliando che si impara. Un altro proverbio molto saggio che non necessita commenti.


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La signora Izzi Rufo ha pertanto offerto a tutti i lettori, vecchi e nuovi, del Sommo Poeta un’opera assolutamente necessaria ed indispensabile per meglio comprendere il cammino interiore e letterario di Dante Alighieri. Si tratta di un autentico libretto (per dimensioni e scarsità di pagine) che però esprime, con grande chiarezza e facilità, questa opera del Sommo Poeta, la sua genesi e tutto ciò che ne seguì. Il fatto che sia un libretto non significa affatto che meriti disprezzo. Come ebbe a dire Guareschi una volta: E’ più difficile scrivere un racconto in 6 cartelle che un romanzo di 600 pagine. Verissimo. E l’abilità dimostrata dalla gentile Autrice prova che è un lavoro di pregio e che la Rufo non ha perso tempo in sciocchezze ed è stata davvero degna di lode, in questo compito così difficile. Da leggere e solo poi da giudicare! Andrea Pugiotto

ANTONIA IZZI RUFO DONNA Edizioni Eva, 2006 - 43 pagg., € 8,00 Generalmente parlando, i libri bilingue sono opera di qualche Autore straniero. E magari è un’opera minore, ma non per questo disprezzabile, e c’è effettivamente la possibilità di offrire al lettore una edizione col testo originale e la traduzione a fronte. Un buon metodo, questo, per studiare le lingue straniere e notare le differenze delle espressioni tipiche da un idioma all’altro. Questa è la norma. La signora Izzi Rufo ha voluto capovolgere del tutto questo metodo collaudato e far tradurre in greco, da un ottimo poeta della terra di Omero, i suoi carmi in versi sciolti, inerenti l’universo femminile. Un esperimento davvero notevole! I Lirici Greci, di memoria liceale, alla rovescia! La cosa interessante di questa silloge è, in realtà, non tanto nell’ottima trasposizione nella lingua di Saffo ed Archiloco, quanto nello stile dell’originale italiano. Sembra davvero di leggere la divina Saffo, così lirica e “femminista” nei suoi carmi stupendi! La cosa che però, credo, sorprenderà di più i lettori della gentile Autrice sono le note biografiche inerenti la Izzi Rufo stessa. La gentile signora è difatti una insegnante in pensione, laureata in Pedagogia con diploma di specializzazione didattica (così ci informano le ultime pagine di questo agile testo), è scrittrice, poetessa e saggista. Chi l’avrebbe mai detto! Ha al suo attivo opere di prosa e di poesia, monografie, testi a fronte (questo che sto recensendo ne è

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un esempio) ed altro. Una persona versatile, interessata ed interessante e le stupende composizioni qui raccolte, così delicate e tenui eppure così lapidarie e che centrano perfettamente il bersaglio (l’attenzione del lettore ed i suoi sentimenti) sono una prova indiscutibile. Quale carme citare per dare un’idea? Forse Donna (pag. 12), in cui è espressa la vera e più intima natura dell’essere femminile, fragile eppure indispensabile, nel mondo degli uomini e degli Dei. Debolezza fisica non corrisponde sempre a debolezza interiore. Oppure Il tuo principe. Sogno proibito di ogni donna che cerca l’Amore vero nella vita. Ma il Principe è solo un sogno o appartiene pure alla realtà? Non è sempre facile seguire i percorsi poetici della signora Izzi e, inoltre, questo è un libro “Per Signore” (per usare una definizione da Romanzi Rosa). Difficilmente un maschio riuscirebbe a capire nel profondo tanta bellezza. Ma non è detto. E’ tutto da leggere e da gustare, come i tipici cioccolatini allo sherry! Andrea Pugiotto

ANTONIA IZZI RUFO STRALCI DI VITA L’Autore Libri Firenze, 2008 - 68 pagg., € 6,80 Leggendo questo libro, risentivo la voce di mia madre (ancora viva, attualmente, per mia fortuna) allorché, da ragazzino, mi narrava di quando lei era bambina, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e nell’immediato dopoguerra, allorché c’erano solo Fame e Miseria (ma anche i giochi spensierati dell’età fanciulla, le birichinate e tutto il resto). Ripensare alla propria infanzia ed agli anni che seguirono poi è un esercizio naturale quanto piacevole, in generale, anche se non scevro di dolori e di rimpianti… ma quando si ha una certa età e la guerra la si è vista da vicino (e non nei libri scolastici o nei films spacconate stile Rambo o Platoon), allora è ben altra faccenda! Allora si è nudi innanzi allo Specchio e guardarsi in tali circostanze è la cosa più difficile di questo mondo. Ho voluto iniziare così questa recensione per dare un’idea il più precisa possibile del soggetto di questo volume, peraltro già palesato apertis verbis dal titolo. Ma scrivere le proprie memorie non è mai facile, neppure mettendoci del personale nel modo più piacevole o meno doloroso possibile. Quando i ricordi affluiscono alla memoria, sono una corrente


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inarrestabile e fortissima, di fronte alla quale le cascate del Niagara sono solo il rubinetto sgocciolante di Ingmar Bergman (Scene da un matrimonio)! La cosa davvero interessante , in questo testo in particolare, sono le riflessioni a posteriori, da adulti, che si fanno sui tempi passati, confrontandoli con l’ oggi. L’identificazione del Giorno (Luminoso ) con l’Ipocrisia e della Notte (Silenziosa e Buia) con la Sincerità (La sera e la notte) è davvero notevole. E non è l’unica! Uno stile che non stanca, in tutti i sensi del termine. Non è lagnoso, alla Primo Levi, né ferocemente drammatico, alla Dickens. E’ come deve essere: naturale e discorsivo. Questi stralci di vita possono piacere o no. Dipende dal gusto e dall’esperienza dei singoli lettori. Ma non è un libro da gettar via a priori… e neppure a posteriori, perfino quando fa l’elogio (giustissimo!) della cosiddetta Economia Domestica (si consuma tutto, fino alla fine), oggi considerata sordida Avarizia (ma le risorse del nostro pianeta non sono infinite). Consiglio senz’altro l’acquisto di questo libro. Può piacere davvero, da qualsiasi lato lo si osservi. E se non dovesse proprio piacere… sarebbe colpa degli spacca peli professionisti! Andrea Pugiotto

ANTONIA IZZI RUFO MIRAGGIO Ibiskos Ulivieri, 2012 - 62 pagg., € 12,00 Il titolo di questa silloge, peraltro bellissima, di poesie è, credo, un po’ inesatto. Forse sarebbe stato meglio intitolare questo tomo Visioni o forse Rimembranze. Ma è solo il mio modesto parere, come sempre. Il fatto gli è che si resta sconcertati (positivamente, intendo) leggendo questi carmi brevi, in versi sciolti. Qualche esempio? Ho visto la Luna dà l’idea che l’Autrice ed un suo familiare (o un suo amico) si sia persa da qualche parte, senza alcuna possibilità di ritorno, in una notte lunare. Solo che è un’impressione forte, come solo può dare un’esperienza vissuta davvero. Hansel e Gretel nella Vita Reale. E’ possibile che io, come lettore, sia molto impressionabile oppure che la Izzi Rufo sia una poetessa straordinariamente abile, ma certo l’idea che suggerisce questa poesia non rientra nel genere Sogno Fantastico (in genere, i miraggi lo sono). Sul fronte opposto, citando un carme delle ultime pagine, abbiamo Se sei proprio andato via… che dà

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un’esatta percezione del senso di solitudine provato dall’Autrice per una persona a lei carissima. Una solitudine assoluta, gelida, foriera di gran tristezza! Vale il discorso fatto più sopra. Questi miraggi dell’ottima signora Izzi Rufo vanno presi con moltissima precauzione. E non perché sono brutti o detestabili o, comunque, mediocri. Al contrario! Si tratta di versi stupendi, ma sorge naturale il dubbio amletico: sono situazioni inventate più vere del vero o sono fatti accaduti davvero e celati abilmente con la maschera dell’invenzione poetica? A chi verrà dopo di me dare soluzione a questo nodo gordiano. A me comunque è piaciuto non poco e lo raccomando senz’altro a chiunque voglia approfondire meglio la conoscenza della signora Izzi Rufo quale Poetessa. Andrea Pugiotto

ANTONIA IZZI RUFO PERCHÉ TU NON CI SEI PIÙ L’Autore Libri Firenze, 2012 - 64 pagg., € 9,00 Solo gli sciocchi ed i superficiali possono ritenere che le fiabe migliori (o le novelle o i films migliori) sono quelle che finiscono col classico E vissero felici e contenti per i cent’anni seguenti. Questi spiriti mediocri non saranno mai in grado di comprendere la bellezza infinita legata alle storie dal finale triste, quali La piccola fiammiferaia (Andersen) o Il Gigante egoista (Wilde), che giungono nel più profondo del cuore, fino alla sorgente delle lacrime, che nutre l’anima che, si suppone, Dio ha concesso a tutti gli umani (a tutti? Io ho forti dubbi in merito). Ho voluto fare una tale premessa per presentare convenientemente l’ultima, in ordine di tempo, fatica della signora Izzi Rufo, scrittrice, saggista e poetessa, che, nel corso degli anni, ha incantato tanti con le sue opere, una più ammirabile dell’altra (ciascuna a modo suo, s’intende). Questa silloge poetica è il testo più triste in assoluto, ma anche di beltà incomparabile, che la gentile Autrice offre a tutti i suoi estimatori, vecchi e nuovi. Non a caso, la silloge si apre con tre versi di I Sepolcri, dell’immortale Foscolo. Giusto commento per introdurre carmi di rimembranza dolorosa della tanta strada fatta nella vita con l’amatissimo marito, ora scomparso. La Vita, in genere, è sempre in coppia e quando uno dei due viene a mancare, all’altro non restano che ricordi e rimpianti e perfino le liti più feroci, magari dovute a motivi insignificanti, diventano


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parte splendida d’un quadro meraviglioso dipinto giorno dopo giorno e che la Nera Signora ha impietosamente lasciato incompiuto. Non dirò di più perché ogni poesia qui contenuta è molto personale e preferirne una all’altra sarebbe davvero una cattiveria senza giustificazione. Dopotutto, stavolta non è la Poetessa a scrivere, ma la Moglie. E nella vita reale, le Mogli valgono assai di più delle poetesse. Le poetesse sono certo meravigliose, aeree e liriche… ma anche svagate e distratte! Le mogli, quando sono davvero degne di questo nome, non sono solo le donne che vanno a far la spese o accudiscono i figli. Sono molto, molto di più. Che si legga con rispetto questo libro. Andrea Pugiotto

RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO (1° Premio Città di Pomezia 2014) Edizioni Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Il silenzio, custode della pace, cuore della parola, luogo della meditazione non aliena dalla ragione, oggi non esiste più, soffocato dai rumori: rumori incessanti, che impediscono a Rodolfo Vettorello di realizzarsi e di sognare; rumori assordanti che lo spingono ad intimare ed invocare insieme: “Voglio silenzio”. Da qui il continuo ripiegarsi su se stesso con l’attento ascolto delle sensazioni più intime, dei pensieri più riposti; da qui il ripercorrere i sentieri di una memoria legata alle persone, alle cose, al territorio e alle sue suggestioni: suggestioni che diventano esperienze, emozioni e richiami nell’abbraccio di un mondo di simboli e di voci che respirano aria di vera poesia, intensa di lirismo. Innocenza Scerrotta Samà

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sioni, il fluire dei sentimenti, l’interiorità di ieri e di oggi vissuta e da vivere in modo attivo e liberamente consapevole. In tale clima passato remoto, presente e passato prossimo si fondono in un presente personale e storico con questo messaggio: “Ma non fermiamoci suvvia/ proviamo a sorridere al vicino/ …una sola parola può bastare/ zitti, pratichiamo la pace” (pag.23). Aggiungo, inoltre, che il libro redatto in un linguaggio semplice e appropriato si presta ad una piacevole lettura. Innocenza Scerrotta Samà

PAURA Menzogne che arrivano da tutte le parti salgono a galla come corpi di uomini decapitati, spianano la strada per la giustificazione della crudeltà perpetrata in nome di religioni vecchie e nuove che ispirano terrorismo. E' una provocazione per la nuova e moderna Inquisizione, e tragedie private, passioni negative, mentre la paura si diffonde come fuoco in una foresta secca. Teresinka Pereira USA Trad. di Simonetta Genova

ROSSANO ONANO DOMENICO DEFELICE ALLELUIA IN SALA D’ARMI

TITO CAUCHI PALCOSCENICO Editrice Totem, 2014 Gli uomini, attori rivestiti di bellezza, di odio, di tedio e d’amore, recitano il dramma della doppia natura umana, indissolubilmente limitata, problematica. Tito Cauchi attraversa uno per uno i momenti tipologici, cruciali di queste figure col desiderio di leggere figuralmente in se stesso, nella sua carriera d’uomo e di scrittore le fasi più salienti emerse dal ricordo, colto e descritto nei limiti di una storia personale, che rivela anche aspetti universali. Ed ecco, arricchiti di riflessioni, la chiesa, il fiume, i giochi tra i filari di viti, gli incontri, le illu-

PARATA E RISPOSTA

Ed. Il Convivio ______ ...Si tratta di un “duello” in una metaforica sala d’armi (...) su temi importanti come i matrimoni (a scadenza) e il mantenimento del coniuge (a vita!), la Costa Concordia, la Tav, i gay, la fede, l’economia, le tasse, gli anziani eccetera. Un lavoro che cerca di far rinascere l’antica arte di Pasquino e di Guareschi. Il Caffè di Pomezia-Ardea, 25 settembre/8 ottobre 2014


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TRA I BOSCHI IL RUMORE DI PASSI Scuoiare e scudisciare la pelle dell’orso lascia le ferite e il sangue di un errore mentre si cresce scampanellando il tintinnio. Filomena Iovinella Torino

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Vendetta e morte. Nessun uomo è rimasto vivo, non piangono più gli occhi, un vuoto che fa male e non ha voce. E' tempo di spegnere il fuoco, è l'ora di risorgere per il conforto di ogni fratello, con nel cuore la speranza di un futuro che verrà, e vedrà ancora anelli di fumo levarsi dai camin delle case. Adriana Mondo

DANZA DI GUSTO

EVASIONE

Tortelli di gusto evaporano dalla bottega fin sulla strada la strada, del mio passo tortello di dolce consumi il mio palato abbandoni l’amaro nutri il senso della segreta bocca di bolla aromatica aroma a lungo cercato per la strada del mio incedere forzato tra le note e il pulviscolo del prolungato mattino. Quanto male fa! Il passo prima dell’illustre danza ed in bocca il glucide del pasto.

Spesso m'avviene d'uscire dall'ambito mio razionale, dal nido interiore normale e nel mondo ripiegare iridescente della fantasia. E' qui che mi spoglio del grigio della tristezza, del viola della malinconia, del torbido delle angosce, del peso dei pensieri e mi vesto di piume d'azzurro dipinte di cielo, di rosa d'aurora, di gorgheggi di rivi, refrigerio di mare d'estate, sorriso di primavera. E quando, rigenerata, nell'acredine torno della vita, ricominciare posso, a lottare. Antonia Izzi Rufo Filomena Iovinella

Castelnuovo al Volturno, Is

È UNA SERA DI LUNA

BAMBINI LAVORATORI

Dalla galassia scendono imbracciando le armi più nessun messaggio dagli uccelli sopra gli alberi, muti osservano, nell'ora buia, l'arrivo di tanti uomini, messaggeri da un paese lontano... con le loro astronavi, divinatori di promesse sospese nell'aria. Un lampo, un tumulto, tanta polvere, crollano le mura. Dalle loro bocche di sangue, le parole:

I bambini lavorano nel fango, nell'acqua stagnante nella spazzatura, pulendo la città, sono bambini lavoratori o bambini soldati di una guerra che non capiscono... Anche le bambine lavorano come netturbini o nella prostituzione o nell'orrore del matrimonio prematuro...


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Fino a quando la morte deve porre fine alla miseria della vita, e l'essere umano andare a completare il suo destino secondo la norma naturale dell'umanità? Le creature hanno il diritto di mangiare, di crescere, di imparare e di cercare l'allegria di vivere. Teresinka Pereira

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quella che abbraccia impenitente ogni spazio di gioia. Stuzzicante frenesia di un mondo che dimora dietro un inconsueto sbadiglio di cielo. Lorella Borgiani

USA Traduzione dallo spagnolo di Tito Cauchi

A CIRO ROSSI (in occasione delle nozze d’Oro con l’amata Lena)

LE MIE OSSA Le mie ossa sono consumate e stanca vado cercando con la mia anima un po’ d’oblio per dare un soffio alle mie ali.

Nel giorno in cui il celebrativo rito felice compi delle nozze d’oro, a sigillo d’una vita d’amore con la cara compagna di vita, ti giungano le felicitazioni nostre(*) e dei migliori amici poeti, tutti onorati contenti e lieti di unirsi alle mie calde espressioni Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, Mi

È L’ORA DELLA VITA Sposa di un canto di passione adori l’alba e nell’attesa del tramonto inginocchi l’anima allo specchio. Armi la speranza sino a stringerla nel petto impossibile non arrendersi a quello sguardo quando con disinvolto appetito scivolano baci esperti di tremore. Che fantastica melodia è l’ora della vita

augurali di lunga e dolce vita, accanto sempre alla donna due volte condotta sull’altare, amata e riverita con alta cura e finezza, rivolte a far salda l’armonia stabilita con fedeltà alle promesse mai sciolte. Antonio Crecchia (*) mie e della mia famiglia

SCRISSI COL SANGUE Finito l’inchiostro, scrissi con il sangue il mio sentimento per te. Era troppo intensa la passione, era troppo il distacco per cercare di non perderti. Notti intense avevo passato, nell’intento di fermarti, di spiegare… le nostre incomprensioni.


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Non volevo abbandonarti, ero stato costretto, prigioniero dei sensi di colpa, diabolici carcerieri che rubarono la mia libertà. Solo adesso, osservando questo foglio, capisco l’errore commesso. Ho spezzato un sogno, che ci avrebbe portato in volo, tra le nuvole rosa di un caldo tramonto. Colombo Conti

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE MORTE DE L’UNITÀ? - E-mail del 29/09/2014: Articolo : Morte De “ l’ Unità”? Caro Direttore, tra i libri di scuola delle superiori, un ventennio fa - sono cresciuta -, e nella mente, allora come ora, c’era e c’è un’immagine. Una foto in bianco e nero, un uomo con capelli folti e ricci, occhialini tondi, sembrava parlasse attraverso quell’immagine. Posa fotografica e sguardo fiero, Antonio Gramsci, uomo politico e pensatore. Mi duole ammettere che quella immagine non ha avuto degni eredi. Le testate giornalistiche chiudono perché non muovono la sana passione della ricerca. Ricerca che nella sua creatura POMEZIA

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NOTIZIE ho trovato, giusto appunto, nei mesi precedenti a questi. Ricordo il numero di luglio 2014 e il trafiletto in basso ultima pagina : “Collaboratori questa testata è a rischio chiusura”. Ho letto e sono restata in silenzio, non ho comunicato con lei. Attendevo un segnale. Leggo il numero di Agosto 2014 e nuovo trafiletto : Ai lettori e collaboratori “ POMEZIA NOTIZIE si avvia a divenire solo on line”. Ho letto e ho comunicato con lei, era già matura, dentro di me, la sfida di entrare a far parte del suo mondo stampato, ed eccomi qui. Perché non si rifugge dalla modernità, ma si colgono le occasioni che di ogni epoca generano ricchezza. Le notizie si leggono on line ( ed allora cambiare) è d’obbligo, perché si può anche sottolineare le oggettive difficoltà, ma si deve pur sapere che ogni momento storico possiede la sua ricchezza celata di opportunità. Sarà anche morta l’Unità e mi auguro che un giovane e una giovane possano ripartire da quelle ceneri; ma il suo POMEZIA NOTIZIE ha lo spirito innovatore per continuare a parlare ed incidere nei suoi articoli. Spero di portare tasselli di crescita al mio pensiero attraverso la sua meravigliosa arte. L’editoria è la base di ogni popolo civile, lottatore e pensante. F. Iovinella Cara Filomena, Antonio Gramsci ha suggestionato Lei, ma ancor di


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più me e la mia generazione. Ha fondato l’Unità. La Sinistra se ne è appropriata, su di lui speculando, sfruttandolo, posso dire, e riuscendo nell’ impresa di farlo quasi odiare da coloro che di sinistra non lo sono mai stati. Gramsci non era di sinistra (se si considera la Sinistra che ha plagiato l’Italia da subito dopo la guerra ai nostri giorni) : era solo un italiano martire della libertà e il suo pensiero è patrimonio del mondo, non di questa nostra Sinistra, caparbiamente, cocciutamente settaria, bravissima a farsi e a farci male nell’intento di torcere tutto a suo favore, arrivando a comportarsi come quel marito che, per far dispetto alla moglie, si toglie gli attributi. Si veda, oggi, la guerra che conduce sorda e feroce contro Matteo Renzi, uomo del suo stesso partito, ostacolandolo, nella realizzazione del programma, più che la destra e il resto dell’ opposizione. Matteo Renzi non è uno statista; sta portando avanti riforme gattopardesche, che, forse, ci porteranno a star peggio di prima, ma che ad ostacolarlo e a pugnalarlo siano i suoi fratelli, è la cosa più scandalosa del mondo e la dimostrazione che, in Italia, niente può essere cambiato, in bene o in male, per la crosta impenetrabile del corporativismo ad ogni livello e in ogni strato della società. Un Governo va lasciato lavorare, deve realizzare il suo programma; poi, se gli elettori lo giudicheranno negativamente, va mandato a casa, ma non lo si può cementare nell’immobilismo evitandogli di operare. La nostra Stampa non fa il suo dovere perché corporativa, legata mani e piedi e certe lobby, ai finanziamenti pubblici, alla pubblicità; deve, insomma, fare gli interessi di chi le consente di vivere e non può realizzare il suo programma. Bisognerebbe che ognuno di noi rileggesse i programmi delle varie Testate all’atto della nascita: tutti apprezzabilissimi, ma mai realizzati, perché nessuna di esse ha avuto la possibilità di farlo. Pomezia-Notizie non ha avuto e non ha finanziamenti d’alcun genere, non ha pubblicità: non ha avuto e non ha padroni, insomma; è nata passero e passero morirà allorché i suoi lettori non la seguiranno più, o il suo direttore non ce la farà più a portarla avanti a causa degli anni. È la libertà che le ha permesso e le permette di lottare per la realizzazione di ciò in cui ha creduto fin dalla nascita. Grazie, cara Amica, per aver deciso di unirsi a noi nel continuare la battaglia. D. Defelice FILOMENA IOVINELLA è nata a Frattaminore (Na) il 01/01/1969 e risiede a Torino. Diplomata presso l’istituto tecnico commerciale “ G. Filangieri”, ha frequentato per due anni la facoltà di economia e commercio abbandonando, poi, gli studi.

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Lavora attualmente come contabile presso una impresa edile. Da alcuni anni studia da autodidatta testi di filosofia e da sempre scrive poesie. Ha pubblicato i seguenti racconti con la casa editrice MEF: 2012, Traccia di vita; 2013, Il ritorno di Stefano; 2014, L’Eros e la strada. Ha pubblicato con la casa editrice pagine srl, poesie racchiuse nelle raccolte IMPRONTE, POETI CONTEMPORANEI ed è in uscita la sua prima silloge sempre con la casa editrice pagine srl. Selezionata con diploma di merito nel concorso L’albero Andronico 2014 con il racconto IL RITORNO DI STEFANO; vincitrice del concorso di poesia poesiamo 2013 a Genova; vincitrice nella sezione fiabe del premio Città di POMEZIA 2013. Ha creato ed aggiorna dal 2011 personalmente un suo spazio web dal titolo “ gli indistinti confini”. *** L'OMAGGIO DEI POETI DEL “GATTO CERTOSINO” A PIEVE LIGURE (Genova) La plaquette annuale di versi pubblicata nel 2014 dai poeti dell'Associazione genovese “Il Gatto certosino”, presieduta da Rosa Elisa Giangoia, è, come le precedenti, ispirata dall'amore per la Liguria e per la poesia. Quest'anno le composizioni sono dedicate alla cittadina di Pieve Ligure, e il volumetto è intitolato Tra gli ulivi e le mimose, il mare, con evidente riferimento al panorama mozzafiato sul Golfo Paradiso e su Portofino che si gode da Pieve Ligure Alta, autentica balconata-giardino sul mar Ligure di Levante. Il 27 settembre si sono riuniti a Pieve Ligure Alta, vicino Genova, non solo gli Autori ( tranne pochi assenti, impediti a presenziare, e pochi amici che nel frattempo ci hanno lasciati per sempre e che non abbiamo mancato di ricordare). Dopo un'introduzione del prof. Luigi Cavagnaro dedicata al poeta Vincenzo Cardarelli e alla sua notissima poesia “Liguria”, la prof.ssa Giangoia ha trattato l'appropriato e affascinante tema del “paesaggio nella storia della letteratura”. Dopodiché è iniziato il reading vero e proprio. L'evento, ottimamente organizzato dalla stessa Giangoia con la collaborazione del locale Lions Club Santa Croce si è svolto, col patrocinio del Comune di Pieve ( molto gradito il saluto del Sindaco agli ospiti) nel locale Teatro Michele Massone. La lettura delle liriche, che ha suscitato vivi consensi, è stata artisticamente intervallata dal m° Nevio Zanardi col suo violoncello, e si è conclusa con una tavolata di sapori liguri nell'”apericena” (oggi si dice così) che ha coronato piacevolmente l'evento letterario. Le liriche ospitate nel volumetto (stampato, come le altre volte, dall'editore Alessandro Prusso, anch'egli


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presente) sono dei poeti Elio Andriuoli, Maria Grazia Bertora, Lucina Margherita Bovio, Piera Bruno, Milena Buzzoni, Anna Maria Campello, Paola Carroli, Carla Caselgrandi Cendi, Maria Cristina Castellani, Viviane Ciampi, Goffredo D'Aste, Luigi De Rosa, Mariangela De Togni, Margherita Faustini, Teresa Fior, Emilia Fragomeni, Maristella Garofalo, Paolo Ernesto Gerosa, Rosa Elisa Giangoia, Francesco Macciò, Rosanna Marcenaro, Angelo Marchese, Gigliola Mattiozzi, Egidio Morando, Isa Morando, Carlo Olivari, Mario Pepe, Rita Pizzorno, Benito Poggio, Bruno Rombi, Gabriella Vezzosi, Guido Zavanone, Gabriella Zurli. Quale sarà la località ligure che sarà “celebrata” nel 2015 ? Luigi De Rosa *** TUTTI I LIBRI DI IMPERIA TOGNACCI IN UNA MONOGRAFIA DI LUIGI DE ROSA - ( Luigi De Rosa- “Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa” - Giuseppe Laterza Editore – pagg. 260 - Bari 2014). Nella collana “Acta vitae” delle Edizioni Giuseppe Laterza di Bari è uscito, nel giugno 2014, un libro del critico e scrittore Luigi De Rosa dedicato alla produzione poetica e narrativa della scrittrice di San Mauro Pascoli. Il saggio monografico, di 260 pagine, analizza criticamente le pubblicazioni della Tognacci partendo dagli anni Settanta/Ottanta per arrivare al 2001 ed alla silloge “Traiettoria di uno stelo” per poi arrivare fino ai giorni nostri e addirittura agli scritti tuttora inediti. L'opera è divisa in due Parti. Nella Parte Prima vengono studiati i libri di Poesia, e cioè Traiettoria di uno stelo, La notte di Getsèmani, Natale a Zollàra, Odissea pascoliana, La porta socchiusa, Il prigioniero di Ushuaia, Il lago e il tempo, Il richiamo di Orfeo, Nel bosco, sulle orme del pastore, Là, dove pioveva la manna... Nella Parte Seconda sono esaminati criticamente i libri di Prosa come Giovanni Pascoli-La strada della memoria, Non dire mai cosa sarà domani, L'ombra della madre, Anime al bivio . Concludono il volume i Cenni biografici e l'elenco dei Premi e riconoscimenti. Dai vari libri esaminati sono riportati ampi brani in poesia e in prosa. Brani non a sé stanti, in un'antologia a parte, ma contestualizzati nell'unità del discorso critico, che tiene conto non solo della evoluzione artistica della scrittrice romagnola ( che vive a Roma) ma anche del panorama letterario italiano contemporaneo. L'elaborazione critica di De Rosa, non nuovo a monografie su un singolo Autore ma di ampio respiro letterario, si avvale anche di una opportuna selezio-

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ne ragionata di recensioni di altri Autori ( con citazioni precise) apparse via via nel corso degli anni su riviste letterarie specializzate man mano che venivano pubblicati i vari libri di Imperia Tognacci. La ricerca dei brani citati è resa più agevole da un apposito Elenco dei Nomi alla fine del libro. Tra i numerosi Autori citati, ricordiamo qui Anna Aita, Brandisio Andolfi, Elio Andriuoli, Sandro Angelucci, Giuseppe Anziano, Ferdinando Banchini, Giorgio Bàrberi Squarotti, Marina Caracciolo, Fulvio Castellani, Tito Cauchi, Aldo Cervo, Carmine Chiodo, Francesco D'Episcopo, Domenico Defelice, Silvano Demarchi, Francesco De Napoli, Vittoriano Esposito, Eugen Galasso, Sandro Gros Pietro, Giuliano Ladolfi, Mario Landolfi, Francesca Luzzio, Angelo Manitta, Pasquale Matrone, Nicla Morletti, Antonietta Mòsele, Nazario Pardini, Vincenzo Rossi, Paolo Ruffilli, Leonardo Selvaggi, Stefano Valentini. In particolare, Bàrberi Squarotti ha definito il libro di De Rosa “un'ottima monografia, il giusto riconoscimento della strenua attività ( di Imperia Tognacci) come maestra della parola”. Per il noto poeta e critico Paolo Ruffilli, il libro di De Rosa “è una di quelle monografie critiche destinate ad analizzare nel dettaglio il lavoro di uno scrittore. Conosco la bravura di affondo di De Rosa e dunque mi aspetto approfondimenti e rivelazioni...”. Per lo studioso e critico Antonio Crecchia “ si tratta di un bel gran lavoro, serio, documentato, illuminante, in cui c'è un ampio e meritato spazio celebrativo dell'opera di Imperia Tognacci, in profondità e dilatazione, valutata con lucida imparzialità. E poi gli spazi riservati ai giudizi di tante validissime personalità della cultura contemporanea, molti dei quali a me ben noti e stimati da lunga data. La poetessa e scrittrice Imperia Tognacci ha meritato l'attenzione e l'appassionata dedizione alla sua opera da parte di un critico professionista che ha saputo così bene armonizzare le varie parti e orchestrare le voci che si sono levate nel tempo della sua lunga militanza letteraria, a dare validità, significatività e importanza al suo dettato poetico e narrativo...” *** PREMIO LETTERARIO “GIOVANNI DESCALZO” - RISULTATI - La Giuria del “Premio Descalzo-Comune di Sestri Levante” ( Genova), composta da Massimo Bacigalupo, Danila Boggiano, Francesco De Nicola, Luigi De Rosa, Ivan Fedeli, Valentina Ghio, Danila Olivieri, Francesco Dario Rossi, nella cerimonia del 28 settembre sulla terrazza a mare del Salotto Letterario “San Marco” di Sestri Levante, ha proclamato vincitore assoluto del Concorso Gian Luigi Bavoso, di Genova. Nella


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Sezione Poesia Singola si è classificato al primo posto Carmelo Consoli di Firenze; al secondo posto Roberto Torre, di Genova, al terzo Valentina Colonna, di Baldissero Torinese. Nella Sezione Silloge, al primo posto Angela Ambrosini, di Città di Castello (Perugia) ; al secondo Angela Caccia di Cutrò (Crotone), al terzo Gianfranco Isetta, di Castelnuovo Scrivia (Alessandria). Nella Sezione Racconto inedito, al primo posto Carlo Paolo Canepa, di Roma; al secondo, Antonio Bonelli, di Casalpusterlengo (Lo), al terzo Riccardo Landini, di Reggio Emilia. Premiati anche nella Sezione Parlate liguri ( Claudia Lombardo di La Spezia, Gabriella Gismondi di Sanremo, Mario Traversi di Varazze) ed in quella Giovani ( Eleonora Lorenzato, di Monteviale, Vicenza – Aurora Aresca, di Acqui Terme, Alessandria e Valentina Barbieri, di Roveleto di Cadeo, Piacenza. Premi speciali a Vincenzo Gueglio di Sestri Levante ( per la sua attività di scrittore ed editore) e al poeta Luciano Delucchi di Sestri Levante. (l.d.r.) *** ACCADEMIA INTERNAZIONALE IL CONVIVIO - Premio “Filoteo Omodei”- “Pensieri in versi” 2015 - Scadenza 15 febbraio 2015. L’ Accademia Internazionale “Il Convivio”, con la collaborazione del Museo Valle Alcantara (www. museovallealcantara.it), bandisce la sesta edizione del premio “Filoteo Omodei” e la 13ª edizione ‘Pensieri in versi’, cui possono partecipare poeti sia italiani che stranieri con una poesia inedita nella propria lingua o nel proprio dialetto. Per i partecipanti che non sono di lingua neolatina è da aggiungere una traduzione italiana, francese, spagnola o portoghese. Regolamento: Il premio “Filoteo Omodei” è diviso in tre sezioni: 1) Poesia inedita in lingua italiana a tema religioso; 2) Poesia inedita a tema religioso in lingua dialettale; 3) Racconto inedito. Il premio “Pensieri in versi” 2015 è diviso in cinque sezioni: 1) Poesia inedita a tema libero; 2) Silloge di poesie senza limiti di versi, ma che comprenda almeno 40 liriche, (ordinate in 5 fascicoli, pena l’esclusione); 3) Poesia a tema libero in lingua dialettale (con traduzione nella propria lingua nazionale); 4) Libro edito di poesia in lingua italiana o in dialetto; 5) Pittura e scultura: si partecipa inviando due foto chiare e leggibili di un’opera pittorica o scultorea. Il premio è aperto anche agli studenti delle scuole primarie e secondarie. Premiazione: Seconda metà di Giugno 2015. Si può partecipare a più sezioni, ma con una sola opera per sezione, dichiarata di propria esclusiva creazione. È importante precisare a quale sezione si partecipa. Gli elaborati vanno inviati in cinque copie, di cui

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una con generalità, indirizzo e numero telefonico, alla Redazione de “Il Convivio”: Premio “Filoteo Omodei” – “Pensieri in versi”, Via Pietramarina –Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) Italia. Si raccomanda di allegare un breve curriculum. La partecipazione al concorso è gratuita per i soci dell’Accademia Il Convivio e per gli studenti che partecipano tramite scuola. È richiesto invece da parte dei non soci, per spese di segreteria, un contributo complessivo per partecipare a tutte le sezioni di euro 10,00 (o moneta estera corrispondente) da inviare in contanti. Per informazioni Accademia Il Convivio, Via Pietramarina–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) Italia, tel. 0942-986036, cell. 333-1794694, e-mail: enzaconti@ilconvivio.org; angelo.manitta@tin.it; www. ilconvivio.org *** PREMIO PER SILLOGE INEDITA “PIETRO CARRERA” - Scadenza 30 Dicembre 2014 - L’ Accademia Internazionale Il Convivio, al fine di divulgare la poesia italiana, bandisce il Premio “Pietro Carrera” per la silloge inedita. Il concorso si articola in una sezione unica: Si partecipa con una silloge inedita composta da un minimo di 32 poesie ad un massimo di 80 poesie. Si ammette al concorso anche la forma del poema, lungo o breve, che deve rientrare nei seguenti parametri di lunghezza: da 32 pagine a 80 pagine (A4, Times New Roman 12, interlinea singola).Possono partecipare anche le sillogi nei vari dialetti d’Italia purché rechino una traduzione in lingua italiana. Esclusivamente per le opere in dialetto l’opera deve essere composta da un minimo di 32 a un massimo di 60 poesie (escluse le traduzioni). La silloge deve rimanere inedita sino alla premiazione, pena l’ esclusione e revoca del premio. Modalità di partecipazione: L’opera deve pervenire alla segreteria in 3 copie delle quali 2 anonime e una solamente recante i dati e i recapiti dell’autore. Ogni autore può partecipare con una sola silloge. L’Accademia permette però che un singolo autore possa presentare due sillogi solo nel caso in cui la prima sia in lingua italiana e la seconda in dialetto. Gli elaborati vanno inviati a “Il Convivio”: Premio “Pietro Carrera”, Via Pietramarina–Verzella, 66 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Italia. Alla silloge bisogna allegare un breve curriculum e la scheda di adesione. Ogni copia deve essere puntinata o fascicolata. Chi è impedito a spedire le copie cartacee può inviare la silloge per e-mail a giuseppemanitta@ilconvivio.org allegando un curriculum, copia dell’avvenuto versamento e scheda di adesione. La partecipazione al concorso è gratuita per i soci* dell’Accademia Il Convivio. È richiesto


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invece da parte dei non soci, per spese di segreteria, un contributo di euro 10,00da inviare in contanti oppure da versare sul Conto corrente postale n. 93035210, intestato Accademia Internazionale Il Convivio, Via Pietramarina, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia Iban IT 30 M 07601 16500 000093035210. Premi: per il primo premiato verrà pubblicata gratuitamente la silloge consegnando all’autore un numero di 50 copie in omaggio. Il libro, regolarmente registrato, avrà un codice ISBN e verrà pubblicato con il marchio “Accademia Il Convivio”. Per informazioni Segreteria del Premio, Via Pietramarina-Verzella, 66 95012 Castiglione di Sicilia (CT) Italia, tel. 0942986036; 333-1794694, e-mail: enzaconti@ ilconvivio.org; giuseppemanitta@ilconvivio; www. ilconvivio.org. *** GIULIA COLBERT FALLETTI DI BAROLO - La Diocesi di Pescia, l’Accademia Collegio de’ Nobili - istituzione storico-culturale fondata nel 1689 - e l’Ordine Francescano Secolare d’Italia Fraternità San’Antonio -, il 25 ottobre 2014, hanno organizzato un incontro, nel Convento di Colleviti a Pescia, per approfondire la conoscenza della Serva di Dio Giulia Colbert Falletti di Barolo. Sul tema “La vita e l’opera della SdD Giulia Colbert Falletti di Barolo nella luce della spiritualità francescana” sono intervenuti: Suor Ave Tago, Madre Generale Emerita delle Figlie di Gesù Buon Pastore; il Prof. Marcello Falletti di Villafalletto, Preside dell’Accademia Collegio de’ Nobili; l’Accademico di Gr. Comm. Luca Parenti, Legato per l’Italia Centrale e Vice-Ministro della Fraternità. Alle ore 19 c’è stata la Celebrazione Eucaristica, presieduta da don Paolo Monti, novello sacerdote e concelebrata dai sacerdoti giovani della Diocesi di Pescia. È seguito, alle ore 20, un Buffet. Il tutto si è svolto sotto la regia del Preside Marcello Falletti di Villafalletto e del Ministro Marco Meucci. *** IN ONORE DI CARLO DALLA POZZA, DOCENTE ALLA UNIVERSITÀ DI LECCE - Ho conosciuto Carlo Dalla Pozza grazie al suo amico di studi e di argomentazioni filosofiche Gianluigi Bellin,

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docente all'Università di Verona ed alla 'Queen Mary University London. Esperto di Logica e di Filosofia del Linguaggio, Carlo viene da lui chiamato spesso 'il letterato', così, scherzosamente, perché la passione per le Italicae Litterae lo ha sempre accompagnato ed ora, dopo aver lavorato fino all'ultimo giorno, con coraggio e determinazione, ci lascia dal 18 Luglio 2014 in avanti un'eredità spirituale di pensiero e di progettazione metodologica che si rivelerà via via senza confini, ne sono certa. Al suo fianco, stupenda, dalla bellezza statuaria e dall'intelligenza vivacissima Vera Vagliomassa Stampaglia, sua compagna innamorata e devota, alla quale ho chiesto di farmi pervenire in fotocopia la sua Tesi di laurea su Renato Serra, per darne sintesi su questa Rivista e rilevare il suo stile, inconfondibile, che riesce a scandagliare con lucidità e lungimiranza i segreti anfratti del pensiero umano e delle emozioni che lo accompagnano attraverso i secoli. Qui di seguito la mia esperienza di Carlo in sincera sintonia, apparsa tra altre ben più autorevoli voci amiche su Google sites, il punto di riferimento internet a cura di Gianluigi Bellin e di altri amici ed allievi, mentre il suo profilo generale su Wikipedia è stato tracciato dal prof. Carlo Penco dell'Università di Genova. “Franchezza, lealtà, lungimiranza intellettuale, coerenza sia professionale che relazionale. La sua intelligenza dei contenuti e delle cose, legata al mondo come ai temi della più ampia cultura letteraria, della logica, della filosofia del linguaggio e della metafisica come ambito specialissimo del non decidibile, del '...da non dire....', come per Wittgen-


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stein, merita un concorso di attenzione da più fronti, sia dal versante delle scienze esatte, sia da quello delle scienze umane. La probabilità che il 'Principio di demarcazione' sia necessario come modalità del pensiero, quando si impegna applicandosi a formulare proposizioni che abbiano un senso e diventino così verificabili sul piano semantico, con valore di verità accertabile, ci spinge a lavorare sui suoi testi, ritenendoli prospettiva aperta e dinamica per mettere in cammino le sue idee e le teorie che le rappresentano, innovate dal suo preciso stile investigativo. Carlo Dalla Pozza si pone infatti come Hermes al crocevia di molteplici percorsi ed in altra sede dimostrerò come per ciascuno di essi ci affidi gli strumenti di bordo per poterne scandagliare i parametri che li caratterizzano. Condividere il suo prezioso gusto per la conversazione sottolineata da sguardi intensi e significativi, accompagnata da quel calore umano che riesce sempre a far sentire l'interlocutore a suo agio e pienamente rispettato; portare l'altro a riflettere con la dovuta serietà sui temi della salute e della bellezza, del corpo come dell'amore, dell'arte, della poesia, della vita delle parole, perché ci sia crescita e crescita condivisa; progettare con competente spontaneità nuovi ambiti nei quali riprendere in mano il percorso già fatto e da qui ripartire per andare oltre, con quell'entusiasmo che contagia tutti perché lui ne possiede la matrice, tenendo come perfetto auriga tra le mani le redini che controllano quei cavalli divini di platonica memoria: tutto questo rappresenta il modo per aver Carlo Dalla Pozza dalla propria parte, quale insostituibile, lucido, arguto compagno di viaggio affinché il percorso da compiere sia in ricerca. Infinito. Pensando a Carlo affronterò il pensiero abissale, già in parte intuito da Kant e prima di lui da Bach, quando ha delineato nella mente e in partitura la 'Ciaccona', l'ultima danza della 'Partita in re minore', quel tutto di te mentre raccogli lo sguardo di chi sta morendo, l'ultimo della vita, ed attraverso il quale entri in una dimensione che viene vissuta da quel momento in poi come speciale eredità che è passione per la vita e determinazione, saggezza e vuoto essenziale, quella forza d'animo che ti consente di andare oltre, in piena autonomia, arricchito dal dono eccezionale della dedizione che non reclama mai ricompensa. Dopo questa esperienza, allora, là dove prima ti prendevano brividi di paura e di incertezza, di dubbio e di sgomento, opacità ed ambiguità tutte umane, ora hai acquisito solarità, piena capacità di condividere con tutti la luce dell' amore che è fonte stessa della vita. Carlo ama. Carlo ci ama. Ieri, ora e per sempre.” Ilia Pedrina

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*** LECTURA DANTIS METELLIANA - Secondo appuntamento per gli appassionati e gli studiosi dell’Alighieri. Nell’ambito del 41° ciclo di letture dantesche organizzato dalla “Lectura Dantis Metelliana”, martedì 21 ottobre 2014 alle ore 18, nell’Aula Consiliare del Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, Silvia Zoppi dell’Università “Suor Orsola Benincasa di Napoli” ha commentato il canto XXXI del Paradiso. Ha coordinato i lavori la direttrice dell’ Associazione, Lucia Criscuolo, che ha declamato anche il testo. Il canto 31°, ambientato, come il precedente, nell’Empireo, il “ciel ch’è pura luce”, è contraddistinto dall’addio a Beatrice. Dante, abbagliato dalla bellezza della candida rosa, si volge verso la sua donna per interrogarla, ma al suo posto vede un vecchio venerando. “Credea veder Beatrice e vidi un sene / vestito con le genti gloriose”. Dopo averla perduta due volte, la prima per il disamore di lei; la seconda per la morte che l’aveva rapita giovanissima, osserva Borges, il “fedele d’amore” di un tempo la perde per la terza volta. Beatrice, che pur si trova a distanze siderali dal pellegrino dell’assoluto, si volge e gli sorride per l’ultima volta; poi ritorna per sempre “all’eterna fontana”. Il vecchio che ha preso il posto di Beatrice è San Bernardo, la terza guida di Dante. C’era bisogno di una nuova guida? Perché proprio San Bernardo? Prevale il misticismo o il razionalismo? A questi e ad altri appassionanti interrogativi ha risposto Silvia Zoppi, che è stata presentata al pubblico da Fabio Dainotti. La studiosa ha dedicato la sua attenzione tra l’altro alla letteratura italiana del Novecento, con particolare riguardo a figure e momenti di storia letteraria, che vanno dai futuristi a Ungaretti, di cui ha curato la pubblicazione dell’epistolario, comprendente la corrispondenza intrattenuta con il critico letterario Leone Piccioni. In questo campo di ricerca ha offerto importanti contributi. In occasione dell’evento è stata esposta un’ opera di Maria Raffaele, su cui si è soffermato in sede critica il presidente della “Lectura”, Paolo Gravagnuolo. (fd) *** 14° PREMIO “LIONELLO FIUMI” A ROVERCHIARA - Domenica 12 Ottobre 2014 si è svolta a Roverchiara, in provincia di Verona, la cerimonia di premiazione di opere in Poesia e Traduzione, giunta alla sua 14esima edizione, in ricordo del poeta e scrittore Lionello Fiumi e della sua amata consorte Marta Leroux. Quest'anno tanti i ricordi intorno alla figura dell'ex sindaco di Roverchiara


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Aleardo Merlin, scomparso da alcuni mesi e che, come ci dice la dott. Stefania Guerrini, responsabile della Biblioteca 'Lionello Fiumi' e Segretaria del Premio, fin dal 1999, come Sindaco, ha voluto con tutte le sue forze la realizzazione di questo percorso culturale così importante, a partire da un'idea del Maestro Enzo Saggioro, critico letterario e componente della Giuria, ora assente per motivi di salute. Sotto la presidenza del dott. Agostino Contò, responsabile del centro Studi Internazionale 'Lionello Fiumi' di Verona, con a fianco, oltre alla bellissima Guerrini, anche Cinzia Bigliosi, traduttrice ed Ivan Fedeli, poeta, sono state vagliate ben 302 opere pervenute per questa edizione, tra poesie edite ed inedite e lavori di traduzione dal francese. Centrale la figura ed il ruolo dell'attuale Sindaco di Roverchiara, Loretta Isolani, che ha ricordato commossa la figura e l'impegno del Merlin nel far acquistare la villa Fiumi, ora sede del Municipio, spingendo a trovare i fondi anche per il suo restauro e condividendo i punti fermi del suo predecessore in relazione al Premio Fiumi: quando c'è cultura si vince sempre ed in onore del grande poeta Lionello Fiumi si potrà far conoscere a tutti il Comune di Roverchiara. Il dott. Agostino Contò, oltre a ricordare la figura della poetessa e scrittrice Maria Luisa Spaziani, che aveva vinto il Premio 'Lionello Fiumi' nel 2006, scomparsa quest'anno, ha sottolineato aspetti del vincolo di amicizia tra il Fiumi e Giovanni Rossino, anch'egli recentemente venuto a mancare: fu proprio il Rossino ad invitare il Poeta ' Roverchiarese' per una serie di conferenze in Sicilia, a Scicli, e ad assisterlo qui fraternamente nel corso della sua degenza e convalescenza a seguito di una emiplegia al lato destro del corpo. Con orgoglio il dott. Contò informa inoltre i convenuti che sarà inaugurata nella sede di Verona una mostra a ricordo dei 100 anni dalla pubblicazione della prima opera poetica del Fiumi, 'Pòlline', manifesto e punto di riferimento a metà strada tra la poesia dannunziana e crepuscolare e le tensioni futuriste che animavano i giovani dell'epoca, mentre verrà dato alle stampe il II° volume del prof. Gian Paolo Marchi, dedicato alle opere in prosa del Fiumi. Per la Sezione A - Raccolta edita di Poesia, il I° premio (700 euro) è andato al poeta Loretto Rafanelli, per l'opera 'L'indice delle distanze', Jaka Book 2013; eccezione per quest'anno la nomina e la segnalazione di Alessandro Niero, per il volume di poesie 'Versioni di me medesimo', Transeuropa Edizioni, tra storia e letteratura del testo '...tra poesia e gioco di riflessi...verso un magnifico spaesamento..' (A. Contò); per la Sezione B (300 euro) - Poesia inedita di Federica de Paolis, di Firenze, 'Lungo il fiume', con lettura della motivazione fatta da Ivan

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Fedeli; per la Sezione C - Premio 'Marta Leroux' per un'opera edita in versi o in prosa, tradotta dalla lingua francese (500 euro) conferito alla traduttrice Marina Karam per l'opera di Stephanie Polack 'Come un fratello', edizioni Clichy, sulla storia del giovane Jacques Fesch, che a 27 anni ha iniziato a morire quando ha ucciso, finendo a 27 anni sotto la ghigliottina. Ad intervallare le premiazioni, degli intermezzi musicali: al pianoforte Lorenzo Broggio e per voce femminile la soprano Anna Giorietto, due giovani di diciassette anni, appassionati, di talento e determinati a continuare questa importantissima esperienza formativa. La cerimonia, oltre gli interventi delle altre autorità presenti, Gino Lorenzetti, ex Sindaco di Roverchiara, il prof. Elio Mosele, Presidente della Provincia dopo il mandato di Aleardo Merlin, Alberto Martelletto, amico di Aleardo ed in Giunta Provinciale con lui, Marco Ambrosini, assessore alla cultura della Provincia di Verona, suo amico ed estimatore, ha accolto anche il ricordo di Daniela Merlin, che aveva in braccio il suo figlioletto Vittorio, nipotino di Aleardo: ella ha informato il pubblico che il Premio 'Lionello Fiumi' per l'anno prossimo si arricchirà di una sezione in onore del padre, per volontà della vedova Lorenza, rivolto agli allievi delle Scuole Elementari e Medie del Comune di Roverchiara. A conclusione del commovente evento un breve viaggio fotografico intorno a Marta Leroux, moglie amatissima del Fiumi e sua vera ispiratrice per tantissime poesie d'amore e di vita, scelto e commentato dal dott. Agostino Contò: istantanee di lei giovanissima, bella, con abiti e cappellini dell'epoca, da Parigi, dove i coniugi vivono in Rue de Lauriston 9 e dove arriverà ai due la posta di amici letterati, poeti e collaboratori; da Amsterdam e da tante altre parti del mondo, fino a Roverchiara, dove Marta è colta in spontanea semplicità tra la gente del paese, o con in mano una grande oca bianca o vicino ad altri animali domestici, con sullo sfondo scorci della campagna circostante. Tutti i convenuti poi sono stati invitati all'incontro conviviale nel Parco della Villa Fiumi, sede della Municipalità di Roverchiara, in un clima di grande cordialità. Ilia Pedrina *** PREMIAZIONE DEL CONCORSO ALIAS - A ottobre - ormai è una tradizione - a Melbourne, in Australia, nella bellissima Sala 501 Reception di Footscray (titolare del centro ricevimenti, Alfredo Acquaro), si è svolta la cerimonia di premiazione della 22.ma edizione del Concorso Internazionale ALIAS. Presenti 200 persone e numerosi ospiti importanti, come i rappresentanti del Comune di Mo-


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onee Valley, la Società Dante Alighieri, l’Istituto Italiano di Cultura, il Patronato INCA-CGIL Australia, Teresa de Fazio (della Victorian Multicultural Commissioner), il deputano Marco Fedi eccetera. Lo spettacolo lirico ha avuto come protagonisti le soprano Clarissa Belanti, Giuliana D’Appio e il

tenore Rangiuaia Houkamau, nella interpretazione di brani di due grandi compositori come Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. A consegnare i premi per la poesia, la narrativa e la pittura sono stati il Console Generale d’Italia, dott. Marco Maria Cerbo (il quale, nel suo intervento, ha voluto marcare, con orgoglio, come la lingua italiana sia ancora la quarta più parlata nel mondo) e il Dr. Piero Genovesi, Presidente della Giuria (composta da Adriana Diomedi, Raffaele Rampugnani - Monash University e Luigi Gussago - La Trobe University). A fare il vero contorno di bellezza è stata la Mostra di Pittura, i cui lavori, come quelli di poesia e narrativa, sono stati inseriti nella ormai famosa Antologia, che quest’anno si intitola I colori della vita. Non è mancata la nota comica e divertente, con l’ intervento di Connie Rossitto. Le numerosissime fotografie sono state di Lorenzo Cambieri. Motore di tutto il retroterra alla splendida serata, è stata, come sempre, Giovanna Li Volti Guzzardi, Presidente della ALIAS, benemerita della Cultura in Australia, la quale, insieme al Consorte, ha lavorato per mesi e mesi, spendendo tempo prezioso e denari, animata solo dall’amore per la Poesia, l’Italia e la Cultura universale. (ddf)

Domenico Defelice - Scaffale (1964)

LIBRI RICEVUTI LORENZO SPURIO - Neoplasie civili - Poesie, Prefazione di Ninni Di Stefano Busà; in prima bandella, nota di Iuri Lombardi; in calce, lettera di Corrado Calabrò, e quasi una postfazione (“Del civile e del riflesso: Neoplasie civili di Lorenzo Spurio”) di Cinzia Demi - Edizioni Agemina, 2014 - Pagg. 64, € 10,00. Lorenzo SPURIO è nato a Jesi (AN) nel 1985. Laureato in Lingue e Letterature Moderne, ha pubblicato racconti, poesie e saggi su riviste, antologie e in volume. Come narratore ha pubblicato le raccolte di racconti “Ritorno ad Ancona e altre storie” (2012), “La cucina arancione” (2013) e “Apologia del perduto” (2014). Intensa la sua attività di critico letterario con un’ampia stesura di recensioni, prefazioni, note per autori esordienti e non e saggi in volume prevalentemente su autori anglosassoni. Organizzatore di eventi culturali, reading poetici e membro di giuria in vari concorsi letterari, è direttore della rivista di letteratura “Euterpe” da lui fondata nel 2011. Presiede il Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” giunto alla terza edizione ed è Presidente di Giuria del Premio di Letteratura “Ponte Vecchio” - Firenze. Ha vinto il 2° Premio di Poesia Inedita “Pablo Neruda”, 4a edizione (Agemina). “Neoplasie civili” è la sua prima silloge poetica.


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** LUIGI DE ROSA - Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa. Saggio monografico sull’opera della poetessa e narratrice di San Mauro Pascoli - Edizioni Giuseppe Laterza, 2014 - Pagg. 264, € 20,00. Luigi DE ROSA, poeta e scrittore, saggista e recensore, di genitori partenopei ma cresciuto in Liguria, vive a Rapallo (Genova), in pensione dal 2001. Tra i suoi libri di poesia, “Risveglio veneziano ed altri versi” (1969); “Il volto di lei durante” (1990 e 2005), “Approdo in Liguria” (2006), “Lo specchio e la vita” (2006), “Fuga del tempo” (2013). Sulla sua poesia sono usciti saggi e recensioni su numerose riviste (tra le più recenti “Poesia”, “Vernice”, “Nuovo Contrappunto”, “Ilfilorosso”, “Paidèia”, “Nuova Tribuna Letteraria”, “Le Muse”, “Pomezia-Notizie”, “Sentieri Molisani”, “Veia gianca”. Nel corso della sua lunga militanza letteraria ha scritto numerose recensioni, prefazioni e presentazioni, oltre a saggi e articoli su Eugenio Montale, Camillo Sbarbaro, Giorgio Caproni, Giovanni Descalzo, Umberto Saba, Giovanni Giudici, Giovanni Pascoli, Antonia Pozzi, etc. Mentre della sua poesia si sono occupati, oltre ai prefatori (Diego Valeri, Giorgio Bárberi Squarotti, Sandro GrosPietro, Graziella Corsinovi), molti altri critici e poeti, tra i quali Neuro Bonifazi, Francesco Fiumara, Giovanni Cristini, Liana De Luca, Paolo Ruffilli, Rodolfo Tommasi, Elio Andriuoli, Rosa Elisa Giangoia, Piera Bruno, Domenico Defelice, Roberto Carifi, Fabio Simonelli, Guido Zavanone, Liliana Porro Andriuoli, Silvano Demarchi, Viviane Ciampi, Francesco De Napoli, Pasquale Matrone, Claudia Manuela Turco, Francesco Graziano, Fulvio Castellani, Lia Bronzi, Mauro Decastelli, Elvira Landò Gazzolo, Danila Boggiano, Angelo Manuali, Tito Cauchi. “Nell’uso di un linguaggio tanto cristallino quanto rigoroso per il rispetto della forma e dei contenuti - scrive la Giuria del Premio “I Murazzi” -, Luigi De Rosa mette a fuoco il dramma del poeta moderno che ha acquisito la coscienza storica dell’inadeguatezza della parola letteraria a raccontare il movimento e la densità del mondo reale, ma che tuttavia non abdica al suo ruolo di anima sensibile e vigile della storia degli uomini e dei suoi drammatici eventi personali e collettivi”. ** ANNA VINCITORIO - Sussurri - Prefazione di Lucio Zinna - Ed. ilapalma, 2013 - Pagg. 32, s. i. p.. Anna VINCITORIO è nata a Napoli, ma è vissuta quasi sempre a Firenze. Studi classici, laurea in Giurisprudenza. Ha insegnato materie giuridiche. Dal 1974 si occupa di poesia, critica, letteratura, collaborando a prestigiose riviste letterarie. Tra i suoi volumi di poesia: “Nebbie e chiarori” (1982);

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“Trama verde sull’aria” (1986); “Il canto fermo della fine” (1988); “L’esilio delle tartarughe” (1991); “I girasoli” (1992); “Alchimie” (1993); “Dissolvenze/flots” (1995); “L’agguato sommerso” (1997); “Le nozze di Cana” (1999); “L’ultima isola” (2000); “Filastrocche per l’angelo” (2001, versione francese 2010); “La notte del pane” (2004); “Sognando Estoril” (2007, versione spagnola 2009); “Il richiamo dell’acqua” (2009). Prosa: i racconti “San Saba”, dall’inedito “Il limo di Eva” (1990); “L’Adelina” (1994); “Lettera ad un amico” (1996); “Ermanno” (1996) e poi “Il limo di Eva” (2010); “Per vivere ancora” (2012). Numerosi saggi critici e traduzioni. ** FRANCO TRIFUOGGI - La poesia di Tommaso Romano - Ed. ilapalma, 2013 - Pagg. 48, s. i. p.. Franco TRIFUOGGI è nato a Marigliano (NA). Ordinario di Italiano e Latino, docente, Preside nei licei di Stato, ha pubblicato recensioni, prefazioni e articoli. Presidente o componente di Giurie in concorsi letterari e artistici. Ha vinto il Concorso internazionale della Società filosofica calabrese (1972) e il Premio per la cultura della presidenza del Consiglio dei Ministri (1973 e 1998) e altri ancora. Tra i suoi saggi: “Ironia e sentimento in Guido Gozzano (1951), “Appunti di poetica moderna: da Corazzini a Fr. Sagan” (1955), “L’istanza religiosa nella poesia italiana del dopoguerra” (1970), “La poesia di Domenico Antonio Cardone” (1972), “Diogene ‘900 nel teatro di Cardone” (1977), “Un nuovo senso di libertà in Domenico Antonio Cardone ed altre pagine” (1979), “Cultura e poesia della pace in Domenico Antonio Cardone” (1987), “Elementi di religiosità in Leopardi” (1989), “Candore e devozione in Albino Pierro” (1994), “Giovanni Rinaldi, S. Maria delle Grazie, Insigne Collegiata in Marigliano. Cinquecento anni di storia ed arte” (1994), Come fratelli, nel segno della poesia, il critico e il poeta” (1995), “La stampa periodica a Napoli dalla rivoluzione del 1799 al nonimestre del 1820-21 nella ricerca di Girolamo Addeo” (1996), “Lettura della lirica tursitana di Albino Pierro” (1997), “L’ansia etico-religiosa nell’itinerario lirico cardoniano” (2004), “Motivi mariani in tre poeti lucani: Rachele Padula Zaza, Rocco Campese e Albino Pierro” (2004), “Per ricordare il maestro Giuseppe Bonavolontà” (2005), “P. Rufino di Somma. Sulle orme di Francesco con passione lirica” (2005), “Poesia e fede in Albino Pierro” (2008), “Domenico ed Elia Di Pinto” (2010), “Domenico Antonio Cardone poeta” (2011), “Venerabile P. Michelangelo Longo da Marigliano” (2012), “Francesco Aliperti storico e critico d’arte” (2013), “Ricordando Padre Rufino” (2013). Teatro (per la musica di Guglielmo Esposi-


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to): “Elegia di Anna Frank” (melodramma) e “Sebastiano e Diocleziano” (dramma sacro). Tre “Lecturae Dantis”: i canti IV e XIII dell’ “Inferno” e XI del “Purgatorio”. ** TITO CAUCHI - Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici - Volume monografico a cura di Gabriella Frenna - EdiAccademia, Isernia, 2014 Pagg. 192, e. f. c.. Tito CAUCHI, nato l’11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività professionali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005), “Calendario dei poeti” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2014). Monografia “Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (2014). Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone” (2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Angelone” (2010). Ha inoltre curato la pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha partecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’aperto. E’ incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013) ed in altri ancora; collabora con molte riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ottenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (International Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. E’ presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini, giungo alla quarta edizione (2014). ** RENATO GRECO - Variabili geometrie - Poesie, 2001, 2002, 2003. In copertina, a colori, “Mercurio ne Il sogno di Tobia”, di Giorgio De Chirico L’artedeiversi, 2014 - Pagg. 260, s. i. p.. Renato GRECO è nato nel 1938 a Cervinara (Av) e vissuto fino alla maturità classica ad Ariano Irpino. Nel 1955/56 a Matera istitutore del Convitto “Duni”. Dal ’57 al ’67 a Milano dove lavora alla Olivetti di Adriano e dove abita con la moglie dal ’66. Dal ’67 tre anni a Napoli un anno a Firenze e due anni in giro per l’Italia con tappe a Firenze e a Milano. Nell’ intanto si laurea in legge. Dal ’71 a Bari quadro nella filiale di questa città. Nel ’77 è di nuovo a Milano dopo altri periodi a Firenze. Fino al 1987 a Milano quadro marketing centrale. Ritrasferito a Bari va in pensione nel 1992. Ha vinto molti concorsi in Italia e legge poeti del ‘900 presso due Università Popolari a Modugno e a Bari. Redattore della rivi-

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sta “La Vallisa” dal 1997. Ha scritto più di 46 volumi di poesia, oltre che numerose Raccolte Antologiche, alcune pubblicate anche all’estero. Autore anche di molti saggi su Salvatore Quasimodo, Vittorio Bodini, Cristanziano Serricchio, Enzo Mandruzzato, eccetera. Tante le antologie in cui figurano sue poesie. Tra i critici che si sono interessati di lui, citiamo solo alcuni: Pasquale Martiniello, Michele Coco, Enzo Mandruzzato, Stefano Valentini, Vittoriano Esposito, Daniele Giancane, Lia Bronzi, Donato Valli, Sandro Gros-Pietro, Renzo Ricci, Giorgio Bárberi Squarotti, Giuliano Ladolfi, Emerico Giachery, Roberto Carifi, Gianni Antonio Palumbo, Daniele Maria Pegorari, Roberto Coluccia, Ettore Catalano. ** CHOI LAI SHEUNG & ZHANG ZHI (EditorsinChief) - World Poetry Yearbook 2013 - 211 Poets, 93 Countries and Areas - The Earth Culture Press, 2014 - Pagg. 368, Peice: USG 60,00 € 50,00. (Vedere elenco completo dei poeti antologizzati a pag. 19 di questo numero). Choi Lai Sheung, born in Shishi, Fujian in 1961, is a famous poetess, writer and calligrapher in Hong Kong. She now lives in Hong Kong. She is a doctor of literature, guest professor, and member of Chinese Writers’ Association, president of Hong Kong Literary Promotion Association, chairperson of Intercontinental Culture & Arts Academy, director of Hong Kong Literary Newspaper, editor-in-chief of Hong Kong Arts Newspaper, and editor-in-chief of multilingual The World Poets Quarterly, etc. Up to now, she has published over 80 books. A hos of her poems, prose-poems, and prose pieces have been included into national textbooks of College Chinese, and many of her fables included into annual treasured series of Students’ Reader. She as won many domestic and overseas literary prizes. Her poems and prose have been translated into over ten languages including English, Russian, Swedish, Spanish, Greek, French, and Japanese, etc. In 2007, she has been nominated by International Writers’ Association as candidate for Nobel Prize in Literature. Zhang Zhi, born in Phoenix Town of Baxian Country, Sichuan in 1965, is an important poet and critic in contemporary China. His pen name is Diablo, English name is Arthur Zhang, and ancestral place is Nan’ an of Chongqing. He is a doctor of literature, and has successively been engaged in various professions. He is the current president of the International Poetry Quarterly (multilingual), editor-in-chief of the English edition of World Poetry Yearbook, and foreign academician of Greek International Literature & Arts and Science Academy. He began to publish his literary and transla-


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tion works since 1986. Some of his literary works have been translated into more than twenty foreign languages, to be included into dozens of domestic and overseas anthologies. He has ever von poetry prizes from Greece, Brazil, America, Israel, France, India, Italy, Austria, Lebanon, And Macedonia. He is author of five collections of poetry and Poetry criticism. In addition, he has edited Selected Poems of Contemporary International Poets (EnglishChinese), Selected New Chinese Poems of 20th Century (Chinese-English), A Dictionary of Contemporary International Poets (multilingual), and Chinese-English Textbook 300 New Chinese Poems (1917 - 2012), etc.

TRA LE RIVISTE IL SAGGIO - mensile di cultura - Dr. Geremia Paraggio, editoriale Giuseppe Barra - via don Paolo Vocca 13 - 84025 Eboli (SA). N° 222 (settembre 2013). Per la rubrica Il Vaglio, Lucio Zaniboni questa volta ha scelto “Settembre”, una poesia di Herman Hesse. Come sempre, allegato “Il Saggio libri, poesia, arte” (numero 103/222) con decine e decine di firme di poeti e scrittori, tra le quali quella della nostra amica Giovanna Li Volti Guzzardi. * IL TIZZONE Periodico di stimolo tecnicoprofessionale-scientifico, fondato e diretto da Alfio Arcifa - via Amatrice 40 - 02100 Rieti. n. 2 (9899), settembre 2014. Firme, oltre quella del direttore, di Loretta Bonucci, Orazio Tanelli, Tito Cauchi, Anna Aita, Gabriella Frenna. * BRONTOLO - mensile satirico umoristico culturale fondato e diretto da Nello e Donatella Tortora via Margotta 18 - 84127 Salerno. Riceviamo il n. 224-225 (settembre-ottobre 2014), con la firma, tra le altre, del nostro collaboratore Andrea Pugiotto. * IL FOGLIO VOLANTE/LA FLUGFOLIO - mensile letterario e di cultura diretto da Amerigo Iannacone, responsabile Raffaele Calcabrina - via Annunziata Lunga 29 - 86079 Venafro /(IS). Riceviamo il n. 9 (settembre 2014), con, tra l’altro, poesie di Fryda Rota, Loretta Bonucci e una recensione di Aldo Cervo. * DIMENSIONE D - mensile di informazione, direttore responsabile Rosanna Impiccini - via Berlinguer 7b - 00040 Pomezia - RM. Riceviamo il n. 10 (ottobre 2014), del quale segnaliamo: “Nasce la

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nuova area metropolitana”, “Prima di tutto il lavoro”, “Costa Gioielli festeggia cinquant’anni di attività a Torvaianica. Correva l’anno 1964... siamo ancora qui”. A pag. 13 viene “Segnalato dai lettori”, tra i “Libri di attualità”, il volumetto ALLELUIA IN SALA D’ARMI. Parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice (ed. Il Convivio). “Un duello verbale - viene, tra l’altro, scritto - che risuscita l’arte del Belli, ma anche di Guareschi, attraverso la prosa di Onano e i versi del giornalista e saggista Defelice”.

L’ITALIA DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice Nona puntata* Pure, non han ragione d’allarmarsi, mafie e consorterie, di questo furibondo masturbarsi; lobby e pornografie, dandysmi e sodomie, le grandi blatte, giammai avran rottura di coglioni, nessuno veramente li combatte. Qualunque cambiamento, ogni riforma - a destra e a manca ognora strombazzati non sono che pro forma. Vengono abolite le Province, giurano ai talk show. Ma che dite, che dite! Sono appannaggio dei “grandi elettori”. Abolite! Abolite! L’ha detto Delrio! Bisogna approfondire la questione. Non si tratta di taglio, a quanto pare, ma d’una brutta assai trasformazione. Vorresti dire uno svuota province? Sono spariti, intanto, i Consiglieri. C’erano e ci saranno, solo che non verranno più pagati, poveri disgraziati! Ed io vi dico che non ci saranno! Al massimo, c’è solo un Presidente. Parlate senza esservi informati: i Consiglieri tutti ci saranno, vecchi e nuovi, ma non il Presidente. Dovrà passare ancora qualche anno


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col Presidente eppure i Consiglieri pagati e strapagati; poi, ognuno avrà il rimborso delle spese e senza altre pretese. La Provincia non era da abolire, ma solo da tagliare, o, meglio, d’assorbire, o, più precisamente, da svuotare. Non si può trasferire il personale, legge tradendo e la Costituzione. Né, tantomeno, poi, licenziare! Nella Provincia nuova avremo pure un nuovo Presidente assieme a quello vecchio. Un Presidente eletto dai sindaci o dai vecchi Consiglieri. L’han detto l’altro ieri: un Presidente Sindaco governatore pure di città. Ma che siamo, alla Casta della Casta? Siamo alla Casta super, capace di eleggersi da sola, che l’acqua amministra e molti beni come e peggio di prima; siamo ad un’Entità superna, vecchia, nuova e diversa, una Provincia riformata e trina! Una Babele, insomma, un bailamme di fatti, di pensier, della dizione, sì che tutto è una melma o una melassa. Anche per noi è difficile narrare e pure il nostro verso si prolassa. Come rossastra lava di vulcano tutto fuma e ribolle nella demenza della confusione. Il Sindaco Marino prova invidia per un batterista figlio di Albione1 fulgente esempio per i nostri figli che, ultrasettantenne, ancor si droga. I poliziotti vivon nei perigli? Manconi2 ecco una legge, ecco propone per educarli alla non violenza: i Black Bloc non vengan più picchiati e siano umani con la delinquenza. Silmàtteo tuona a vuoto. Se la Merkel ci tratta come inetti, le rispondiamo con il ...terremoto!

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Non ci sentiamo affatto scolaretti. L’Italia è con la Francia. Guerra dichiara all’austerità. Angel se lo ricordi (e i suoi compagni), se lo ricordi, o se ne pentirà! All’Opera di Roma finalmente qualcuno alza la schiena, lancia fulmini e tuona. Muti3 sbatte la porta. Scioperi e vessazioni mandavano in malora ogni programma. Anche l’imitatore di ...scorreggia voleva dar lezioni e comandare. Basta con le angherie dei sindacati e di chi giornalmente ci danneggia. Marino insorge, insorge anche Fuortes4 e orchestra e coro son licenziati. Si agisce sull’istinto, senza un piano, guidati da traslucida demenza. Solo Francesco è un argine, che parlando e poi agendo senza veli, ha messo in cella pure un eminenza5. A Napoli, un ragazzo quindicenne, gonfiato viene con il compressore. Nessun’anima bella che s’indigni, si grida e si spalleggia l’aggressore. C’è crisi ai talk show a quanto pare; più non avendo i poveri meschini da smerdar giorno e notte Berlusconi, finirà ad esser proprio questa assenza6 a gettarli, e per sempre, nei bidoni. Domenico Defelice (9 - continua) * Breve Riassunto delle precedenti Puntate Una notte d’estate, Berlusca erutta, attraverso un suo attributo, per una condanna definitiva. In Germania, Angela Merkel è in sofferenza per una perdurante stitichezza (in senso economico e specialmente nei nostri confronti). Silmàtteo Renzusconi, segretario PD e capo del Governo, promette mari e monti e di combattere contro l’ austerità dell’ Europa a direzione teutonica. Ma è, a quanto pare, la solita manfrina. Berlusconi, condannato ai servizi sociali, politicamente, continua ad aver peso su tutto. L’Italia è nel caos. Anche per una partita di calcio si arriva alle pistolettate. Esplode il caso dell’ExPo milanese. Il Parlamento, a dispetto della crisi, spende denari pubblici in corsi per parrucchieri messa in piega al servizio di deputatesse e senatrici. Le ri-


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forme sono una farsa, le leggi non hanno valore, la Nazionale di calcio si sbraca e, nelle processioni, Madonna e Santi si ... inchinano davanti alle case dei mafiosi. È scontro tra i magistrati di Milano. Il Mediterraneo è sempre più una tomba di immigrati. Le Camere fanno finta di fare sacrifici: disdicono l’ affitto di tre palazzi, ma, in compenso, i parlamentari pretendono... l’indennità d’ufficio! Nel mondo, sempre più focolai di guerra e l’Europa fa finta di niente. La Magistratura italiana, disturbata dall’ intenzione di riforma di Renzi, mette sotto indagine politici vicini al Governo e pure il papà dello stesso Presidente. NOTE: 1 -Charlie Watts (all’anagrafe, Charles Robert Watts, nato a Londra il 2 giugno 1941), batterista dei Rolling Stones. Ignazio Marino, su Radio 2, nel corso della trasmissione Un giorno da pecora, ha dichiarato: “Sono fortemente attratto da qualsiasi sostanza stupefacente, ma non ne ho mai utilizzata nessuna perché ho paura da un punto di vista medico... Quando abbiamo avuto in città i Rolling Stones, vedendo il batterista a quasi 75 anni suonare senza interruzione con un’energia incredibile diventa più difficile spiegare ai tuoi figli che non devono utilizzare sostanze...”. 2 - Luigi Manconi, Senatore PD (pseudonimo: Simone Dessì), nato a Sassari il 21 febbraio 1948. 3 - Riccardo Muti, direttore d’orchestra, nato a Napoli il 28 luglio 1941. 4 - Carlo Fuortes, sovraintendente del Teatro dell’Opera di Roma, nato a Roma il 5 settembre 1959. 5 - Papa Francesco ha autorizzato l’arresto per pedofilia di Jozef Wesolowski, polacco, ex nunzio apostolico. 6 - Avendolo, ormai, accusato di tutto, non possono continuare a sparlare sempre di lui, non hanno più frecce all’arco. L’ex cavaliere, così, manca dai talk show, e il loro indice di ascolto è calato paurosamente.

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 30/9/2014 Ignazio Marino, estemporaneo Sindaco di Roma, è attratto dalle droghe e dalla “energia incredibile” che esse procurano. Alleluia! Alleluia! Via, Sindaco, le assaggi, dia una sniffatina, si tolga lo sfizio almeno una volta, non se ne stia a soffrire! Domenico Defelice

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LETTERE IN DIREZIONE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice) Carissimo, che gioia essere in sintonia con te su Hölderlin, Vigolo, Fortini e gli altri approdi di Poesia! Oggi è il 12 Ottobre e gli accenti di un canto interiore, privato e pubblico insieme ancora riescono a difendermi da pensieri in rappresentazione che partono da un passato mai concluso nelle sue caratteristiche più tragiche. Si, sono stata a Roverchiara, dove si è svolta la XIV edizione del Premio 'Lionello Fiumi' - Poesia e Traduzione: l'anima dell'evento, la bellissima Stefania Guerrini mi ha fatto venire a prendere alla stazione di Verona dal giovane Domenico, calabrese anche lui ed insieme abbiamo aspettato la fiorentina de Paolis, che ha vinto il premio per la sezione di 'Poesia inedita'. Quest'anno è stata commemorata la figura dell'ex sindaco di Roverchiara Aleardo Merlin e Stefania ha letto commossa una poesia di Emily Dickinson, '...Sapere come lui soffrì...' sulla solitudine umanissima di chi sta per finire il suo tempo, quel tempo del vivere che ci è dato proprio come destino, per poter accedere all'eternità. Lionello Fiumi dirà nelle sue ultime tracce in canto 'Questo è certo...':“...L'anima, greve, s' accascia, si vela./La molla s'è spezzata./ Il quadrante s'è fatto tutto d'ombra...” (L. Fiumi, Opere Poetiche, vol I a cura di Gian Paolo Marchi, Verona, 1994, pag. 576). La Poesia è dimensione di Bellezza, anche quando tocca temi di atrocità senza limiti e fa da filtro disperdendo il male tra suoni e segni e loro intersecazioni intense: tutta la personalità e l'intelligenza e l'amore per la vita vengono allora immesse dal poeta nella scelta delle rappresentazioni da rendere concrete nel canto ed allora il suo dire diventa 'universale', entrando nel destino, anche per gli altri che ne leggono la traccia: tu, poeta energico, nell'amore come nella lotta a qualsivoglia sopruso, ne sei esempio forte ed il mio viaggio in esperienza


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con te mi arricchisce, rendendomi sempre più sensibile e 'protetta'. Il poeta Loretto Rafanelli, vincitore del Primo Premio di Poesia con il libro 'L'Indice delle distanze' (Jaka Book 2013), ha letto un suo canto a ricordare quel 16 ottobre 1943, quando i nazisti effettuano la retata al ghetto di Roma per prelevare vittime in gran numero onde farli finire di morire poco dopo, alle Fosse Ardeatine: un fagottino, un fiocco azzurro, con dentro un bimbo di pochi giorni viene scagliato contro il muro, per non sprecare piombo fuso. Ti farò mandare dal Rafanelli il volumetto, versi intensi, canto di strazi, di lontananza necessaria rispetto agli eventi, perché il canto sia reso ancora possibile! 12 Ottobre 2014: viaggio all' indietro fino al 12 Ottobre 1492 e vado all'indietro ancora di qualche mese, con un balzo geografico da Roverchiara alla Spagna di ier l'altro. Isabella di Castiglia, la Cattolicissima, e Ferdinando d'Aragona riuniscono i loro regni, compattamente, e decretano il 2 gennaio 1492 la confisca di tutti i beni posseduti dagli Ebrei, in oro e preziosi, in terra di Spagna: se si convertono c'è sempre il sospetto che segretamente siano rimasti fedeli alla loro tradizione religiosa antica e così nasce il termine 'marrano', l'ebreo convertito che non deve mai essere credibile, quindi avere dignità. 'Taci, marrano!' è intimazione assai ricorrente anche nei poemi ariosteschi, ben lo sappiamo noi due carissimo e tutti coloro che come noi amano di tutto cuore la letteratura di casa nostra e non solo. Se poi non si convertono, non diventano 'conversos', facendosi delatori dei loro stessi fratelli, per dar prova di fedeltà alla nuova religione, allora o vengono ammazzati e trucidati o spinti ad andarsene dal territorio, a mani vuote, ben s'intende, in questo modo la famiglia di mio Papà, i Pedrina insomma, sono scappati via e sono approdati in Sicilia. Proprio così: depredando ed ammazzando, i regnanti di Spagna hanno trovato i soldi per pagare i marinai di Cristoforo Colombo che con le tre imbarcazioni di storica memoria ha fatto rotta verso le Indie per trovare poi delle altre terre, delle altre anime ignude ed ignare

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nella loro naturale ed intatta misura del vivere, delle altre ricchezze da predare e da scambiare con pietruzze colorate e sangue e violenza a loro collante. Dopo la cerimonia, nel momento conviviale del pranzo nel Parco di Villa Fiumi, stretta dentro dalle emozioni intensissime, sento il bisogno di stare vicino ai bambini: Virginia, di dieci anni e dagli occhi azzurrissimi ed Alessandro, di otto, sorridenti e schietti mentre mangiano con gusto, lei nata sotto il segno dello Scorpione e lui sotto il segno dell'Acquario. Mi diverto un poco a fare i loro 'oroscopi', così mi affianco alla loro spontaneità, al loro sorriso. Riesco a stupirli amabilmente: sono con il nonno, poi arriva anche il loro papà: bimbi di oggi, da difendere strenuamente affinché crescano in salute e libertà, consapevoli. Rientro a Vicenza, dopo aver strappato al dott. Contò l'interessante progetto di raccogliere tutti i miei articoli sul Fiumi pubblicati sulla tua Pomezia-Notizie e consentire così una loro lettura agile ed in continuità, mentre io, per parte mia, mi sono impegnata con lui a consegnarti altro ancora per il mese di Dicembre 2014, per aggiungere così ulteriori aspetti al suo profilo poetico e letterario, già interessantissimo. Bello e giusto il consenso che mi è stato dato dal Sindaco di Roverchiara, Loretta Isolani e da Stefania Guerrini nel metterle in contatto con la dott. Rosalba Guarneri, responsabile dell'Archivio della Biblioteca di Palermo, per acquisire direttamente le 80 lettere ed altro di Lionello Fiumi all'Amico Salvatore Rizzo. Io non ho potuto affrontare questa spesa e verrò allora qui a Roverchiara, fermandomi qualche giorno a studiare e a passeggiare. A Vicenza, in Piazza delle Poste, mi fermo alla bancarella dei libri usati e compro per 8 euro i due volumetti di Francesco de Sanctis 'Storia della Letteratura Italiana', del 1937-XV, per i tipi della Casa per Edizioni Popolari di Milano,'A. Barion'. Mi fermo un poco al Caffé Moplen, in Piazza dei Signori, apro il PrimoVolume, su 'I Siciliani' e penso al Papà, quando si è portato via il De Sanctis nelle solitudini d'Albania!


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Stasera avrei dovuto vedere al Teatro Olimpico 'La pazzia di Orlando. Ovvero il meraviglioso viaggio di Astolfo sulla luna', uno spettacolo unico nel suo genere, in quella siciliana Arte dei Pupi trapiantata qui tra le quinte fisse del Palladio con la regia e la cura magistrale di Mimmo Cuticchio, ritenuto il più importante erede di questa antichissima tradizione e dell'arte del cunto: mi rimane questo mondo da esplorare, forse allontanandomi da Vicenza ed arrivando direttamente a Palermo! Mentre ti sto scrivendo le armonie in stereo del giovane Pietro Tònolo, con gli altri del gruppo 'Passport', compositori ed esecutori, lui sax tenore e soprano, Arnie Somogyi contrabbasso, Jorge Rossy pianoforte e batteria, Joe Chambers batteria e vibrafono, provenienti da Spagna, Inghilterra, Italia e Stati Uniti, angoli dell'ampio mondo in sintonia. Si, carissimo, perché il 'blues', la matrice infinita espansa nella musica jazz afro- americana, è il canto della nostalgia e della acuta tristezza che ne deriva, se tutto ti si sradica intorno e non riesci più a trovare il tuo orientamento, la tua stella Polare, la tua dimensione di povere certezze che, per quanto povere possano essere, sono sempre e comunque le tue certezze. Che dire degli scafisti illuministi come Voltaire, che prendevano un tanto a cranio nero, organizzando viaggi verso il Nuovo Continente detto 'Nuovo Mondo', che poi si precipitavano a giocare in borsa a Londra e ad aumentare il loro gruzzoletto, il tutto per giustificare la differenza, la diversità tra me che sono ricco e te che sei povero? Quella è differenza che deve rimanere, sempre che, come sostiene John Rawls, il più avvantaggiato riesca a giustificare la sua condizione migliore agli occhi del povero e questi potrà poi modificare e migliorare il suo stato se avrà talento! Predestinazione calviniana o di altro genere, insomma! Ma quale talento cresce rigoglioso, dico io, tra le spire della povertà, del bisogno, del degrado? Su questo astro americano, John Rawls, universalmente noto come l'Autore de 'Il principio di Giustizia' ti dirò in altra occasione perché questo suo libro lo devo ancora leggere e il sentito

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dire dagli altri non mi basta. Una voce importante in questa direzione ed autorevole la sua parte è senz'altro quella di Roberto Mordacci. Ma se la Giustizia ha un suo Principio, quale è, mi domando, il suo Fine? Secoli dopo Cristoforo Colombo, ancora altri predatori allo scoperto ed indifferenti a qualsivoglia prospettiva di pena per i loro misfatti; ancora violenza e brutalità perpetrate ai danni degli inermi; ancora tracce maleodoranti di quei malvagi che non meritano né destino né sepoltura. Carissimo, adesso è il 13 Ottobre e mentre aspetto che il materiale della corrispondenza a Salvatore Rizzo di Papà e degli altri suoi Amici di Realismo Lirico mi arrivi da Palermo, ho appena registrato una melodia blues per due chitarre 'classiche' suonata da Gianluca e Manuel, sotto i portici di fianco alla chiesa di Santa Corona, dove splende quel 'Battesimo di Gesù' di Bartolomeo Montagna, il cui progetto spirituale esce da quelle pareti e si incista tra noi, così, lungo Corso Palladio, Manuel seduto per terra, gli altri intorno in piedi. A fianco una lapide antica che parla di assassini e di impiccagioni, proprio in questo punto: “Questo è il loco dove era la casa del sceleratissimo Galeazzo da Roma, il qual con Iseppo Almerigo et altri suoi complici commisero atrocissimi homicidii in questa città dello anno MDXLVIII di III lugio”, iscrizione su pietra tutta in lettere maiuscole, vicino al civico 172 di Corso Palladio, corrispondente alla Libreria Traverso! A Gianluca ho già dato Pomezia Notizie, Manuel mi spiega il suo pensiero su Pasolini e sul suo modo di intendere l'architettura: come vedi Gesù, anche il Gesù di Pasolini, così come emerge rivoluzionario senza compromessi dal suo 'Vangelo secondo Matteo', esce e si mescola a noi, in ascolto, mentre Giovanni Battista vuole incoraggiarci, con la sua scelta di sfida interiore e pubblica, a non cedere mai rispetto ai nostri ideali, a non mai barattarli con alcunché, costi quel che costi, anche la testa, se occorre! E pensare che il povero Jacques Fesch si fa ladro ed assassino per amore e la sua giovane testa cade sotto la ghigliottina il 1 Ottobre


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1957. Forza destinale è sempre e comunque il legame d'Amore, si, è così ed il Battista ha amato Gesù, vincolandosi a Lui e rendendosi splendente: il destino è configurazione preziosa che va conosciuta e riconosciuta anticipatamente in filigrana, articolata e modulata in armonia con la vita del dono, con la vita come dono, anche se le circostanze ti portano a bere cicuta. Ilia tua, in un abbraccio che sa di vera Amicizia. Carissima Ilia, faccio i complimenti alla “fiorentina de Paolis, che ha vinto il premio [Lionello Fiumi] per la sezione di ‘Poesia inedita’ “. Alla stessa sezione, e solo su tua pressione (ricordi?) ho partecipato anch’io, con l’invio di 6 poesie (“L’annuncio”, “Dicono...”, “Sei nato scorpione!”, “Il tuo pianto”, “Sorriso legato alle galassie”, “Inseguire verità e bellezza”), tutte facenti parte della silloge inedita A Riccardo (e agli altri che verranno), che, a Dio piacendo, ho intenzione di dare alle stampe ai primi del prossimo anno. So che i concorrenti sono stati moltissimi ed è da presumere che i versi della de Paolis siano veramente di ottima fattura. Non ho più le poesie di Fiumi. Alcuni suoi vecchi volumetti li ho donati, anni or sono, a biblioteche pubbliche (ora non ricordo a quali) e non ti nascondo che più di una volta ho sofferto la nostalgia di rileggere il poeta di Rovereto. Tralascio il resto della tua missiva per la solita povertà di spazio e anche perché del dramma degli Ebrei, come della violenza dei tedeschi a Roma e altrove, sulle nostre pagine si è già trattato e non mancherà occasione per scriverne ancora. Se Rafanelli invierà il volumetto, sarà inserito, come il nostro mensile è solito fare, nella rubrica dei Libri ricevuti, corredandolo, s’è possibile, di un sufficiente curriculum dell’Autore. Domenico

Pag.56 AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione), composti con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio, attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (con copia cartacea) Annuo... € 50.00 Sostenitore....€ 80.00 Benemerito....€ 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia....€ 5,00 ABBONAMENTI (solo on line: http://issuu.com/domenicoww/docs/) Annuo... € 40 Sostenitore ... € 60 Benemerito ... € 100 Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 NO76 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio


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