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In arrivo, da Tel Aviv, il Prof.
ARON SHAI PARLA DELLE SUE NUOVE RICERCHE STORICHE di Ilia Pedrina
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O nelle mani il suo nuovo Booklet, 'The Evolution of Israeli-Chinese Friendship', testo di ricerca scaricabile da Internet, pubblicato nel Luglio del 2014 e da me recensito su Pomezia Notizie nel numero di novembre 2014. Incontro il prof. Aron Shai qui a Venezia, all' Hotel Monaco, proprio di fronte alla Basilica della Madonna della Salute. È arrivato da Tel Aviv, si fermerà per poche ore ed è accompagnato dalla prof. Tiziana Lippiello, Direttrice di Dipartimento per gli studi d'Asia e del Nord Africa all'Università Ca' Foscari, sempre gentilissima, che ho contattato telefonicamente e che mi ha consentito questa opportunità. I.P. A partire da questo
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All’interno: Corrado Alvaro - Valentino Bompiani: carteggio, di Carmine Chiodo, pag. 6 Francesco D’Episcopo: D’Annunzio napoletano, di Elio Andriuoli, pag. 8 La “Grande guerra” e Giuseppe Ungaretti, di Luigi De Rosa, pag. 10 Mario Pannunzio, di Leonardo Selvaggi, pag. 12 Alleluia in sala d’armi, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 16 Ustica, di Anna Vincitorio, pag. 19 Notte a Cavala, di Themistoklis Katsaounis, pag. 21 Premio Città di Pomezia 2015 (Regolamento), pag. 22 I Poeti e la Natura (Domenico Defelice), di Luigi De Rosa, pag. 23 Notizie, pag. 41 Libri ricevuti, pag. 43 Tra le riviste, pag. 44
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Margaritae Animae Ascensio, di Rosa Elisa Giangoia, pag. 25); Tito Cauchi (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 26); Tito Cauchi (Neoplasie civili, di Lorenzo Spurio, pag. 26); Tito Cauchi (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice, pag. 27); Tito Cauchi (Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa, di Luigi Se Rosa, pag. 28); Roberta Colazingari (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 29); Mariano Coreno (Il mio zibaldone, di Andrea Pugiotto, pag. 29); Gianfranco Cotronei (La carne, il dolore, l’anima, di Massimiliano Volpato, pag. 30); Domenico Defelice (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag. 30); Aurora De Luca (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 30); Elisabetta Di Iaconi (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice, pag. 31); Elisabetta Di Iaconi (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 32); Elisabetta Di Iaconi (Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e prosa, di Luigi De Rosa, pag. 32); Elisabetta Di Iaconi (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag. 33); Giovanna Li Volti Guzzardi (Il mio zibaldone, di Andrea Pugiotto, pag. 33); Giovanna Li Volti Guzzardi (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice, pag. 34); Grazia Lodeserto (La folgore e lo schianto, di Carla Zancanaro, pag. 34); Tita Santoro Paternostro (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag. 35); Tita Santoro Paternostro (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 35); Ilia Pedrina (Per Luigi Nono Dediche/For Luigi Nono - Dedications, a cura di Nuria Schoenberg Nono, pag. 35); Laura Pierdicchi (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 36); Andrea Pugiotto (Dall’Arno al Tamigi, di Amerigo Iannacone, pag. 36); Andrea Pugiotto (Sabbia, di Amerigo Iannacone, pag. 37); Andrea Pugiotto (Dall’8 settembre al 16 luglio, di Amerigo Iannacone, pag. 38); Andrea Pugiotto (Luoghi, di Amerigo Iannacone, pag. 38); Andrea Pugiotto (Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e prosa, di Luigi Se Rosa, pag. 39).
L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag 44 Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 46 La seducente arte di Grazia Lodeserto, di Andrea Bonanno, pag. 49 Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Corrado Calabrò, Domenico Defelice, Luigi De Rosa, Filomena Iovinella, Adriana Mondo, Teresinka Pereira, Leonardo Selvaggi
tuo Booklet, ti chiedo subito delucidazioni sull'attuale situazione tra lo Stato di Israele e la Cina. A. S. “Ciò che intendo sostenere è quanto se-
gue: sussisteva una strana situazione tra Israele e China perché all'inizio fummo una delle prime nazioni al mondo a riconoscere lo Stato di China, nel 9 febbraio del 1950, an-
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dammo contro gli Stati Uniti, perché a quell' epoca durante la Guerra Fredda, non c'era alcuna possibilità di riconoscere la Cina Rossa o per meglio dire la Repubblica Popolare di Cina, ma Israele era considerato come uno Stato Socialista e Ben Gurion ne era il capo e disse: “Si, andiamo a riconoscere lo Stato della Cina!” Immediatamente riconoscemmo la Repubblica Popolare di Cina ed aprimmo i negoziati per stabilire un'ambasciata. Ma quel che accadde appena dopo è stato lo scoppio della Guerra di Corea ed in quella circostanza Israele decise di muoversi con le Nazioni Unite. Quindi dal punto di vista tecnico pratico Israele faceva parte della Forze armate della Nazioni Unite. Così, mentre nel gennaio 1950 noi eravamo molto vicini ai Cinesi, nel giugno dello stesso anno vi fu una vera e propria crisi, perché noi facevamo parte delle Forze armate delle Nazioni Unite. Tutto questo ha come dischiuso un vero dilemma, che io vado a descrivere nel mio booklet. Questo è stato il primo episodio. Successivamente abbiamo avuto un uomo politico veramente speciale, di nome David Hacohen, membro dello stesso Parlamento, molto vicino a Ben Gurion ed agli altri del suo assetto, e disse: “Chiudo tutti i miei impegni in Israele, rassegno le dimissioni e mi preparo a diventare Ambasciatore in Burma”, perché Burma era la città più vicina alla Cina, così egli arrivò lì ed incontrò l'Ambasciatore Cinese in Burma e grazie a lui stabilì contatti con Zou En-Lai. Zou En-Lai arrivò a Burma ed essi iniziarono a negoziare la possibilità che imprese commerciali potessero raggiungere la Cina. Questo accadeva nel 1954, ma e qui, su questo argomento, emerge un'analisi comparata tra gli storici che risulta di grande interesse e che tratterò nel mio prossimo libro: l'interrogativo è se noi abbiamo perso questa opportunità, perché tendevamo di più verso gli Stati Uniti o se invece i Cinesi si muovevano con 'passo controllato' (cold feet), perché nell'Aprile del 1955 essi ebbero il loro primo incontro per la Conferenza Afro- Asiatica in Bandung, nell'Indonesia, ed i Cinesi intendevano realmente accorpare tutte le Na-
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zioni Afro-Asiatiche sotto la loro guida. Per questa ragione non volevano perdere il Blocco delle Nazioni Afro-Asiatiche. Così essi assunsero l'atteggiamento del 'passo controllato' ed anche prima, mentre stavano preparando l'incontro in Indonesia, si bloccarono e non vollero che Israele divenisse il loro miglior amico. A quel punto ci fu un lungo periodo, che io ho chiamato di 'Non-relazioni', nel quale non ci furono rapporti tra Cina ed Israele, sebbene questo Stato fu il primo in tutto il mondo a riconoscere la Repubblica Popolare di Cina. Questo fu il periodo nel quale in effetti nulla avvenne. Allora quello che ho intenzione di esaminare nel mio libro e qui, in questo Booklet, vi è soltanto una presentazione del problema molto sintetica, è in quale misura i rappresentanti del Partito Comunista Israeliano e quelli del Partito Comunista Cinese, dato che erano soliti incontrarsi di frequente in Europa -ed io richiamo l'attenzione su questo particolare nelle mie conferenze -, in quale misura dunque possiamo sostenere che il Partito Comunista Israeliano fosse come una sorta di ponte tra Israele e la Cina. Ho intervistato allora gente dell'una e dell'altra parte e sono arrivato alla conclusione che i due Partiti Comunisti non rappresentarono un ponte tra le due Nazioni in quanto, sempre in modo paradossale, come nel caso di Nixon, i Cinesi stanno dalla parte del più forte e non dalla parte di chi è vicino a loro, parlando dal punto di vista ideologico, ben s'intende. Il mio libro è in realtà una sorta di presa di posizione scritta (positionpaper), di circa 60/70 pagine solamente, che offre la storia delle relazioni fondate su documenti diplomatici.” I.P. Qui, nel tuo testo, la posizione ed il ruolo dell'Europa risultano marginali: qual è il tuo punto di vista, dando uno sguardo alla nostra situazione in Europa, al centro tra la Cina e gli Stati Uniti d'America, dato che siamo ancora sottoposti al Trattato Nato? A.S. “Prima voglio spiegare qualcosa d'importante. Penso che i Cinesi abbiano avuto come una sorta di mito: che gli Ebrei siano
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molto determinanti nel mondo e per questo ciò potrebbe essere importante anche in relazione agli Stati Uniti ed attraverso gli U.S.A in relazione all'Europa. Così hanno come dire questa 'idea-fissa': se vanno soltanto con gli Ebrei e se possono fare in maniera tale di arrivare in Europa attraverso lo Stato Ebraico, allora sappiamo che sorgerebbero parecchi problemi, ma certo questo è un modo abbastanza semplicistico di osservare la situazione. Hanno inteso stabilire delle buone relazioni con Israele. Tuttavia qui emerge una sorta di tensione. Perché?Perché Cinesi e Americani sono molto spesso in conflitto, sono competitori. Nel caso di Israele, noi operiamo egregiamente in molti settori, le nanotecnologie, le innovazioni etc. per non parlare del settore militare, nel quale procuriamo equipaggiamenti e forniture avanzate, come ad esempio gli aerei telecomandati, ad esempio i Droni. Noi intendevamo vendere tali strutture militari alla Cina. In quel momento gli Americani si scontrarono con noi in modo diretto . Tuttavia, se noi consideriamo il triangolo -Israele, Cina e Stati Uniti- si presentano molte tensioni, che non posso ora spiegare in dettaglio ma proprio qui emerge un problema. Quando si arrivò realmente ad una situazione pericolosa, cruciale, un punto critico insomma, allora gli Stati Uniti chiarirono la loro posizione ad Israele: “Basta, non potete continuare su questa strada!” e per quella ragione, ad esempio per quanto riguarda gli AIWACS Israeliani, che chiamiamo 'Falcon', fondamentalmente basati sui loro droni, portammo avanti una transazione che Cinesi ed Americani bloccarono e per questa ragione Zhan Zheming si scontrò con Israele. Ci sono delle tensioni. Hai ragione quando dici che il ruolo dell'Europa è marginale in relazione a quanto concerne la Cina. Sfortunatamente l'Europa si trova in posizione marginale rispetto a molte problematiche proprio a causa della situazione finanziaria: sono molto colpito dal fatto che l'Italia si trovi in questa situazione. Ho parlato con molta gente a Roma, al Ministero degli Affari Esteri, essi stessi non sanno bene come rappor-
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tarsi con la Cina, perché la Cina vuole farsi avanti e ti ho già detto quanto contrario sia lo Stato di Israele per questa situazione, a Roma non sanno quanto spazio concedere alla Cina, quanto si vuole che la Cina si addentri in una sorta di controllo della situazione.” I.P. Risolvere il problema del benessere sociale nello stato a partire dall'Italia ed osservando tutto il resto dell'Europa può rappresentare il problema-chiave per quanto concerne l'economia e la finanza? Anche in Israele il fenomeno dell'immigrazione è molto alto e noi siamo come bloccati, senza risoluzioni: non c'è lavoro, nemmeno per gli Italiani, perché il problema della disoccupazione è assai elevato. Qual è la risposta che il potere finanziario può offrire per mettere in atto al più presto una risoluzione in questi settori? C'è una via d'uscita, in senso politico, in senso etico per andare a risolvere i nostri problemi reali, che sono molti e riguardano adesso i bisogni fondamentali dell'essere umano? Perché Israele è testimonianza chiara di un agire deciso come risposta ai diversi interrogativi sociali in quanto nel vostro Stato affrontate problemi molto duri e difficili ed ogni risoluzione che viene da là può essere vista positivamente, sia da me che da tutti coloro che sono liberi sia dagli intrighi politici di palazzo che dall'asservimento ad una propaganda superficiale! A. S. “Penso ci siano dei problemi globali che non comprendiamo completamente. Per esempio se osservi la situazione finanziaria, le industrie adesso utilizzano tecnologie innovative ed altri accorgimenti. Non è richiesto grande investimento di denaro, come nel passato, quando c'erano le industrie convenzionali: oggi è necessario minor impiego di denaro, si utilizzano grandi compagnie telematiche, materiale computerizzato, internet e così via. Il problema con il denaro è che tu oggi difficilmente puoi ottenere interessi immediati e non si può far denaro dal denaro. Ecco la crisi attuale e l'interrogativo che si presenta è questo: con questa nuova economia diffusa a livello mondiale, e con la Cina
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che sta crescendo, come il mondo può arrivare a gestire questa nuova situazione? Ecco quindi che non sono solo i politici che possono risolvere la situazione, ma ci sono problemi profondi e fondamentali che emergono ed adesso, parlando di interessi monetari, siamo molto vicini all' 'interesse-zero' nelle banche. Penso inoltre che ci sia nel mondo anche una crisi di ordine spirituale e culturale. In larga misura, quei valori che l'Occidente ha posto in alto livello, nutrito ed amato, così ben noti ed ampiamente accettati, questi valori, dico, sono esplosi sia nelle classi medie che in quelle medio-basse: i giovani si trovano, come dici tu, in piena crisi, per la disoccupazione e quant'altro. Forse si profila l'idea di tornare all'ambito della religione, per certi aspetti nell'Occidente e molto più in Israele e nel Medio Oriente, specialmente ciò accade nell'Islam, là dove si verifica una cosa veramente interessante. Tanta gente giovane, ad esempio dal Pakistan e dalle altre nazioni del Mondo Arabo, arrivò in Europa, in Francia, in Italia, in Germania, cercando concretamente una soluzione: inizialmente volevano diventare parte del Mondo Europeo, ma adesso sono arrivati alla conclusione che non possono di certo diventare parte di questo mondo, perché è in crisi ed allora elementi molto estremisti, come sappiamo, si avviano a tornare alla loro religione, all'Islam e così via. Penso che in questo momento siamo troppo vicini ai problemi che si presentano per analizzarli con sufficiente chiarezza, non abbiamo ancora la prospettiva storica.” Il tempo stringe e tante sarebbero ancora le domande sulle quali portare l'attenzione, per ricevere da questo protagonista storico della nostra contemporaneità, di altissimo livello, approfondimenti e chiarificazioni. Pur con l' ansia in gola ma con grande emozione, mentre sono già arrivati i suoi interlocutori veneziani e non, studiosi ed amici, già nella sala dell'albergo, chiedo ad Aron Shai e a Tiziana Lippiello di scattare una fotografia con il cellulare. Loro hanno gentilmente accettato ed il mio pensiero va al 'Giovane Maresciallo' Zhang Xueliang, questo Eroe Cinese che l'
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Occidente ha ancora da scoprire: proprio in questa occasione, visto che finora i miei tentativi di veder circolare il suo libro 'Zhang Xueliang - The General Who Never Fought' qui in Italia non hanno dato esito positivo, se non su questa Rivista, il prof. Shai mi ha detto che forse interessi accademici e scelte concordate potranno portare ad una pubblicazione su questo personaggio, anche se sintetica. Allora penso al nostro Direttore: nella risposta alla mia lettera del novembre 2013, dopo aver pubblicato materiale speciale su questi argomenti più e più volte, mi ha assicurato che nella sua Rivista il pensiero e gli scritti del prof. Shai occuperanno sempre un posto speciale: è già questa una scelta decisa, all'avanguardia, senza mezze misure e tentennamenti. Concreta. Ilia Pedrina IL TUO RUOLO NEL TEATRO DEL MONDO a Valerio Defelice Sei atteso a primavera, nel sorriso di aprile. Quale sarà il tuo ruolo nel teatro del mondo non è dato sapere; esso, però, sta scritto già dal Fiat nei disegni divini. Sono tanti i santi col tuo nome sparsi nel calendario; ma ricordo pure un Valerio partigiano, assai discusso, che la vita spense a Mussolini! Privilegia, ti prego, Amore e Libertà sopra ogni cosa, il rispetto dell’altro, del forte la clemenza; sprezza la servitù delle passioni. Ricorda che il Poeta ci ammonisce: “Fatti non fosti a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza1”. Domenico Defelice 6 novembre 2014 1 - Dante Alighieri, Inferno, canto XXVI, vv. 95 - 96)
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CORRADO ALVARO VALENTINO BOMPIANI CARTEGGIO di Carmine Chiodo
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UESTO carteggio è molto bene introdotto e commentato da Lorella Anna Giuliani che ne sottolinea tutta quanta l’importanza e la personalità dello scrittore Alvaro e dell’editore Valentino Bompiani: i due stabiliscono rapporti negli anni Trenta per il tramite dell’”Almanacco letterario”, la rivista curata dallo stesso editore. L’editore Bompiani (Ascoli Piceno 1898 - Milano 1992) ha pubblicato varie opere di Alvaro (San Luca 1895 – Roma 1956). Tra i due ci fu un’amicizia e un sodalizio particolari, improntato a reciproca stima: Bompiani difatti stimava Alvaro come uno dei più significativi scrittori italiani del tempo, di cui seguiva le sue opere nel loro nascere e poi concretizzarsi nella pubblicazione. Come nel caso della famosa opera alvariana L’uomo è forte che insieme ad altre poche opere dell’epoca rappresenta la”barbara” realtà del tempo sotto il regime mussoliniano. Alvaro e Bompiani convergevano letterariamente e civilmente e ciò costituì l’avvio e il realizzarsi di un lungo sodalizio editoriale. Il carteggio tra i due testimonia ”la durata reale del loro rapporto
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umano e professionale avviato nel gennaio del 1934 e cessato nell’aprile del 1956, pochi mesi prima che Alvaro morisse”. Qui viene pubblicata la parte che riguarda gli anni dal 1934 al 1940, e si tratta di una parte assai interessante in quanto le lettere non fanno altro che focalizzare nel loro insieme “la successione meditata di precise scelte politicoeditoriali, convogliando nel loro flusso anche elementi paratestuali quali ritagli di giornale, copertine di libri e bozzetti di ritratti, che trasformano in un quadro storico-letterario assai rappresentativo la collaborazione tra i corrispondenti”. Ed ecco che allora affiorano aspetti, momenti inediti della vita privata e pubblica dello scrittore Corrado Alvaro come pure si precisano momenti e svolgimenti poco noti della attività editoriale “artigiana” di Valentino Bompiani, il quale crede molto in Alvaro e investe parecchio su di lui, e ciò con reciproco vantaggio, e, poi, infine si definiscono anche “i ruoli di tanti altri protagonisti della scena culturale del Novecento”. Sia lo scrittore e sia l’editore amano - come sottolinea giustamente la studiosa - il genere epistolare. Bompiani dopo la morte di Alvaro raccolse le lettere in vista di un volume che non fu mai stampato. Il carteggio si apre con una lettera dello scrittore (Roma, via Sistina 55, 31 gennaio 1934) in cui si legge: ”Caro Bompiani, vuole leggere il foglio che Le accludo, che è il riassunto d’un libro russo d’ oggi piuttosto sintomatico della situazione? Se le paresse interessante, la traduttrice può mandarLe in esame il manoscritto della traduzione, naturalmente senza impegno da parte Sua. È un libro breve, di circa 200 pagine. Può rispondere a me, o direttamente alla traduttrice, signora Esther Vakalopulos, Via Sistina 86: arrivederci a Milano. La ringrazio e La saluto Il suo dev.mo Corrado Alvaro”. Si tratta del libro intitolato L’incisione sul legno di Boris Levrieniev che è “un’acuta - come scrive Alvaro nell’allegato a questa lettera - e spassionata critica, fatta da un bolscevico, dello stato della Russia sovietica, critica dettata da uno spirito eletto e soprattutto sincero“. Orbene questo carteggio sottolinea pure
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l’attività intensa di giornalista di Alvaro il quale doveva sostenere la sua famiglia e quindi intensificava sempre di più la sua collaborazione a giornali e riviste del suo tempo, e talvolta trascurava un po’ l’attività di scrittore. Ma in Alvaro le due attività si intrecciano nel senso che spesso lo scrittore parte da idee, spunti fissati in articoli e poi li fa diventare nuclei narrativi, o parti e situazioni romanzesche. Dal carteggio emerge ancora la profonda stima che l’editore, l’infaticabile editore marchigiano aveva nei confronti dello scrittore calabrese, che spesso veniva chiamato in causa dall’editore che lo coinvolgeva in libri o in collane di libri, o gli affidava da scrivere libri o manuali di vario argomento. Spesso ancora Valentino mandava a Corrado suoi scritti, per lo più teatrali e ne chiedeva il parere e la stessa cosa faceva lo scrittore calabrese che mandava all’editore suoi racconti, o novelle o romanzi e li sottoponeva al suo giudizio e l’editore non mancava di dare opportuni consigli allo scrittore che sempre accettava. Proficua e fattiva, sincera amicizia culturale e umana tra i due, e questo è il dato, uno dei dati più interessanti che si evidenzia da questo carteggio, saputo ben commentare e analizzare – lo ripeto - dalla studiosa che ha colto molto bene lo spirito di essi, le sue varie fasi e articolazioni. Il carteggio ci permette inoltre di seguire nel tempo il farsi dell’arte e della scrittura di Alvaro, i suoi progetti, alcuni suoi fatti privati e pubblici, come ancora le molte relazioni culturali che lo scrittore aveva all’estero che gli frutteranno la traduzione in varie lingue appunto estere di alcune sue ope-
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re e nel contempo offriva queste sue conoscenze all’amico Valentino. Non mancano le richieste, sia pure in molto reiterate da parte di Alvaro, di denaro. Alvaro - come ho già detto - viveva di penna e doveva portare avanti la famiglia. Sempre di più emerge dal carteggio la fisionomia di uno scrittore che è stato sempre coerente con le sue idee e convincimenti e che ha dato un’opera che è valido documento artistico, letterario, umano del tempo in cui è vissuto. Al riguardo famose sono sue opere come Gente in Aspromonte, L’uomo è forte, Vent’anni, solo per citarne alcune. A proposito di Vent’anni, di questo romanzo composto a Postano negli anni trenta (poi ripreso e ricorretto e pubblicato degli anni Cinquanta) sicuramente è il più significativo e importante scritto apparso sulla prima guerra mondiale: qui si racconta questa terribile catastrofe di una generazione, come quella alvariana fatta di ventenni che hanno fatto la guerra. Un romanzo, questo avariano, che racconta in modo magistrale la terribile esperienza bellica, fatta in prima persona dallo scrittore in qualità di ufficiale. Questo carteggio senz’altro è notevole ed è bene introdotto criticamente e nel contempo è molto importante perché getta nuova e parecchia luce sulla conoscenza artistica, letteraria e umana dello scrittore di San Luca e anche sull’editore Bompiani, uno dei più grandi editori italiani. Carmine Chiodo Corrado Alvaro, Valentino Bompiani. Azzerare le distanze Carteggio 1934-1940, a cura, con introduzione, nota al testo e apparati di Lorella Anna Giuliani, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2013, pp.305, 22,00 €.
Immagini: Corrado Alvaro e Valentino Bompiani Il Croco - I quaderni letterari di POMEZIA-NOTIZIE Il n. 116 di questo mese è dedicato a PAOLA INSOLA ELOGIO ALLA MIMOSA (2° Premio Città di Pomezia 2014)
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FRANCESCO D’EPISCOPO:
D’ANNUNZIO NAPOLETANO (Riscontri, Anno XXXV, 1 – 2, 2013) di Elio Andriuoli ’Annunzio napoletano e antidannunzianesimo meridionale è il titolo di un saggio di Francesco D’ Episcopo che ha per argomento la parentesi napoletana di questo poeta, il quale visse nel capoluogo partenopeo dal 1891 al 1893, anni decisivi per la sua maturazione artistica e umana. Nacquero infatti in questo periodo alcune delle opere dannunziane più importanti, come L’Innocente e Giovanni Episcopo, nonché le Elegie Romane e quasi tutte le Lettere a Barbara Leoni, la sua amante romana, nelle quali egli toccò notevoli esiti d’ arte. Si legga, ad esempio, dalla lettera datata Napoli, 5 maggio 1892, questo passo: “Jersera verso le nove uscii, e feci una passeggiata solitaria per via Caracciolo. Che notte di maggio! Il mare non respirava. Tutte le stelle vi si riflettevano. E qualche barca vagava tra gli scogli, con una fiaccola rossa a prora. Sotto il Grand Hotel una compagnia di cantatori cantava. Che notte d’amore! Sentisti il mio desiderio e il mio pensiero?”, dove le impressioni del mondo esterno, suscitatrici di sentimenti, vengono fissate con immediatezza ed efficacia.. D’Annunzio durante il suo soggiorno napoletano abitò dapprima nei grandi alberghi che si affacciano sul mare e successivamente in un appartamento preso in locazione nell’ attuale Via Gramsci, dove, come osserva D’ Episcopo, “continuerà a descrivere lo «spet-
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tacolo» naturale che gli si para dinanzi e ad «immaginare» la passionale presenza dell’ amata”. A portare D’Annunzio a Napoli furono Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, che gli offrirono la collaborazione a “Il Corriere di Napoli” e a “Il Mattino”, il quotidiano da loro fondato. E invero l’amicizia tra D’Annunzio e Scarfoglio e la Serao, che di Scarfoglio era la moglie, fu lunga e intensa, anche se interrotta da una breve parentesi, dovuta a uno screzio giornalistico, che diede luogo addirittura a un duello, ma che subito si concluse con una completa rappacificazione. Viva fu anche l’amicizia a Napoli di D’ Annunzio con taluni pittori, come Filippo Palizzi e Domenico Morelli che in quegli anni erano molto attivi e i cui atelier egli frequentò, così come frequentò gli ambienti musicali, dove conobbe Don Paolo Rotondo, un virtuoso del violoncello, e Nicolò van Westerhout, che gli fece conoscere la musica di Riccardo Wagner: dalla Valkiria a L’ oro del Reno. Frequentò inoltre Enrico De Leva, maestro di canto presso il Conservatorio, il quale scrisse la musica per la poesia dialettale ‘A vucchella, composta da D’Annunzio nella redazione de “Il Mattino”, alla presenza di Ferdinando Russo ”suo privilegiato suggeritore dialettale e dedicatorio”, come scrive D’ Episcopo. Francesco D’Episcopo si serve, per ricostruire la vita napoletana di D’Annunzio specialmente delle lettere da lui indirizzate a Barbara Leoni e dei suoi articoli apparsi su “Il Mattino”. Dalle prime emergono non soltanto alcune suggestive descrizioni di Napoli, città da lui intensamente amata, ma anche alcuni resoconti della sua vita napoletana, molto interessanti per una migliore conoscenza dell’uomo e del poeta. Si veda, ad esempio, la
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lettera datata 19 ottobre 1891, nella quale D’ Annunzio parla di una sua visita al cratere del Vesuvio, e come sia stato affascinato dallo spettacolo che gli si schiudeva dinanzi. Quanto agli articoli dannunziani comparsi su “Il Mattino”, è da dirsi che da essi emerge la figura di uno scrittore più diretto e immediato rispetto a quello già noto, “con un piglio giornalistico estremamente contemporaneo e coinvolgente, tutt’altro che «artificiale» ed «estetizzante»”, come osserva D’Episcopo. Degni di nota sono, tra questi articoli, quelli che parlano di alcuni poeti inglesi, come Percy Bysshe Shelley (scritto in occasione del centenario della sua nascita), di cui viene esaltato lo stile, ricco di immagini e la potenza della rappresentazione fantastica (“Qui tutto vive, palpita, respira. Non v’è qui salto tra la natura e l’arte”) o Alfred Tennyson, in occasione della morte, avvenuta il 6 ottobre 1892, del quale è ricordato il poema Maud, di cui sono esaltati gli “accenti lirici altissimi”. Osserva D’Episcopo che “gli articoli napoletani di D’Annunzio si rivelano di estremo interesse, perché ricchi di riflessioni e particolarmente utili per capire, attraverso la critica, … la prospettiva letteraria del poeta, ora più che mai, in piena evoluzione”. D’ Episcopo aggiunge inoltre che “le notazioni dello scrittore potrebbero rivelarsi indirettamente illuminanti per penetrare nel suo laboratorio creativo e critico”. Emerge anche da questi articoli la polemica di D’Annunzio col Verismo, di cui criticava la “sciattezza” formale, così come emerge la sua esaltazione del connubio scienza-arte, quale si manifesta, ad esempio, in Leonardo da Vinci. Si tratta pertanto di articoli nei quali D’Annunzio fornisce “una serie di preziosi segnali [atti ad] illuminare la sua visione dell’ arte”, oltre che la molteplicità dei suoi interessi. Uomo dalla tumultuosa vita sentimentale, D’Annunzio fu travolto da uno scandalo nel 1893, ultimo anno del suo soggiorno napoletano, essendo egli stato trascinato in giudizio, con l’accusa di adulterio, dal conte Ferdinan-
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do Anguissola, marito della contessa Maria Gravina Cruyllas, dalla quale il poeta aveva avuto due figli. D’Annunzio perse la causa e fu costretto a lasciare Napoli, mentre anche la moglie legittima, Maria Hardouin di Gallese, chiedeva la separazione legale. Un secondo processo, sempre a Napoli, D’ Annunzio lo ebbe nel 1904 (ma in questo caso fu da lui promosso) per una parodia fatta da Edoardo Scarpetta della tragedia dannunziana La figlia di Jorio. Anche questa volta D’Annunzio perse la causa, il che lo allontanò definitivamente da questa città. Nel suo saggio D’Episcopo puntualizza anche il rapporto che D’Annunzio ebbe con altre città meridionali, come Salerno e Reggio Calabria, nonché con l’Abruzzo, sua patria di origine. Segue poi il commento a due poesie ispirate da dei luoghi celebri di Napoli: Nella Certosa di San Martino e Nel bosco di Capodimonte, che cantano il trionfo dell’Arte sulla fuga inarrestabile della vita. La seconda parte del saggio di Francesco D’Episcopo s’intitola D’Annunzio e nuovo realismo: modelli meridionali ed in essa l’ autore tratta innanzi tutto del giudizio di Francesco Jovine sul grande pescarese, suo conterraneo (Il D’Annunzio di Jovine); giudizio piuttosto severo, se egli pervenne a queste conclusioni: “Con D’Annunzio la coscienza etica si dissolve: l’unico centro enucleatore delle sue sparse illuminazioni è la sua sensualità”. Segue un capitolo intitolato Borgese e Alvaro, nel quale è puntualizzata la diversa sensibilità, e quindi la distanza, tra l’arte di questi due scrittori meridionali e quella dell’ estetismo dannunziano. Ne risulta un saggio di molto interesse, che indaga a fondo su un periodo importante della vita di Gabriele D’Annunzio, quello napoletano, offrendoci la possibilità di meglio conoscere un poeta senza dubbio di molto rilievo nella molteplicità dei suoi volti, senza ignorare tuttavia le valutazioni anche negative che alcuni scrittori meridionali di non piccolo livello diedero su di lui. Elio Andriuoli
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LA “GRANDE GUERRA” E
GIUSEPPE UNGARETTI (“L' allegria”, 1914-1918) di Luigi De Rosa
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E penso alla Prima Guerra Mondiale nella poesia, specialmente in questo 2014 che ha segnato il Centenario del suo scoppio ( l'Italia, com'è noto, vi intervenne un anno dopo, nel 1915) il mio pensiero non può non correre al nome e all'opera di Giuseppe Ungaretti. Nato nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da Antonio, un operaio lucchese emigrato in Egitto ( e poi morto per infortunio lavorando al Canale di Suez) Ungaretti, lasciato l'Egitto nel 1912 e diretto a Parigi, è venuto a contatto con l'Italia, per trovarsi poi giusto giusto, all' età di ventisette anni, rimpannucciato in una divisa grigioverde da soldato semplice del 19° Reggimento di Fanteria, a combattere sul Carso, buttato nel fango delle trincee. Privato, quindi, di quelle cure vigili e affettuose della mamma Maria, che dopo la morte del marito aveva portato avanti da sola un forno- panificio. Nonostante gli orrori di quella che il Papa d' allora, Benedetto XV, definì (inutilmente) l'inutile strage”, nella mente e nel cuore del “fantaccino” Ungaretti (fervente interventista) nacque una poesia destinata a rinnovare dal profondo (col concorso di altri grandi poeti,
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ovviamente) il linguaggio poetico italiano vecchio di secoli . Nasceva l'Ermetismo (così chiamato da Francesco Flora, in senso... dispregiativo) la poesia dai versi liberi, brevissimi, anche di una sola parola (se non di una sola sillaba) ma di una parola essenziale, scabra, isolata da intenzioni di comunicazione o gnomiche, soprattutto in opposizione all'ottocentismo di un Carducci (ma in seguito anche alla retorica lussureggiante di un D'Annunzio). La poesia della sopravvenuta sfiducia nella realtà naturale e sociale; del pessimismo contro l'ottimismo romantico e positivista. La poesia della malinconia (...Calante malinconia lungo il corpo avvinto/ al suo destino...) . Solitudine dell'uomo in una Natura riconosciuta ostile e precaria contro ogni facile illusione. ( Si ripensi anche agli Ossi di seppia di Eugenio Montale, e al contrasto perenne del poeta genovese con la Natura...). Nello specifico, la solitudine del fante in trincea, Un'altra notte (Vallone, 20 aprile 1917) : In quest'oscuro / colle mani / gelate / distinguo/ il mio viso / Mi vedo / abbandonato / nell'infinito. L'unica realtà non è più quella esteriore, o comunque non è prevalentemente quella, ma è l'intimità dell'anima del poeta, che si richiude in se stesso, in una voluta “oscurità” espressiva che non vuole avere niente a che fare col mondo esterno, coi movimenti politici e sociali (si pensi, ad esempio, all'atteggiamento nei confronti del fascismo, al rifiuto etico di Montale, che perse il posto di Direttore del Gabinetto Vieusseux di Firenze per non prendere la tessera del P.N.F.). Siamo colpiti dall'icasticità potente di San Martino del Carso : “Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro/ Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto/ Ma nel cuore / nessuna croce manca / E' il mio cuore / il paese più straziato”. Rimarchiamo l' antipassionalità e l'antiretorica di Distacco : Eccovi un uomo / uniforme / Eccovi un'anima / deserta / uno specchio impassibile / M'avviene di svegliarmi / e di congiungermi / e di possedere / Il raro bene
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che mi nasce / così piano mi nasce / E quando ha durato / così insensibilmente s'è spento. Non è facile, comunque, parlare di tutti gli aspetti e risvolti dell'ermetismo italiano in poche righe. Figuriamoci di quello a livello europeo. Insieme agli amici poeti e scrittori, ci accontentiamo, in questa occasione, di rileggere alcuni versi tra quelli più noti e significativi, scelti dalla raccolta L'allegria, nella quale Ungaretti riunì un centinaio di poesie da lui scritte nel periodo dal 1914 al 1918 (nonostante le trincee e gli orrori quotidiani). Comunque la prima edizione del primo volumetto stampato, Il porto sepolto, del 1916, che ormai appartiene alla storia della letteratura italiana, la dobbiamo all'aiuto fattivo di un suo amico, il giovane ufficiale Ettore Serra (ottanta copie numerate...). Con la riconoscenza dell'Autore, che al suo ufficiale dedicò Commiato (Locvizza, 2 ottobre 1916) , rivelando il proprio manifesto di poesia e di vita: Gentile / Ettore Serra / poesia / è il mondo l' umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / la limpida meraviglia / di un delirante fermento / Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso. Chi non ricorda l'incipit di Veglia ? Un'intera nottata / buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ / digrignata /volta al plenilunio...con il finale choc : Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita.” E Dannazione, scritta a Mariano il 29 giugno 1916?: Chiuso fra cose mortali / (Anche il cielo stellato finirà) / Perché bramo Dio? Oppure Fratelli (Mariano, 15 luglio 1916): Di che reggimento siete / fratelli ? / Parola tremante / nella notte./ Foglia appena nata./ Nell'aria spasimante / involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua / fragilità... E l'essenzialità, di cui si parlava prima, prende addirittura corpo in una pietra di montagna: Sono una creatura, Come questa pietra / del san Michele / così fredda / così dura / così prosciugata / così refrattaria / così total-
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mente / disanimata / Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede / La morte / si sconta / vivendo. Bellissima, poi, la poesia I fiumi, dedicata dal poeta ai fiumi della sua vita (l'Isonzo, il Serchio, il Nilo, la Senna). Così come è bella, e significativa, perché nonostante il pessimismo “programmatico” qui fa capolino l'ottimismo tenace e invincibile dell'uomo non rassegnato ma consapevole della propria piccolezza ma anche della propria “grandezza”, la poesia epònima Allegria di naufragi ( Versa, il 14 febbraio 1917) : E subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare. Poi c'è la celeberrima Mattina ( Santa Maria La Longa, 26 gennaio 1917): M'illumino d'immenso. E possiamo chiudere questa breve rassegna (col rimpianto per tutti i versi che non si sono potuti citare) con Soldati ( Bosco di Courton, luglio 1918): Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie. Non sarebbe certamente una forzatura campata in aria l'estendere la metafora delle foglie sui rami dai soldati a tutti gli uomini in quanto esseri mortali, anche in tempo di (cosiddetta) pace. Basterebbe sostituire, nel titolo, Uomini a Soldati. Il tempo fugge senza mai fermarsi un attimo. In un certo senso, siamo tutti soldati. E tutti foglie. Luigi De Rosa N.B. Nei testi originali non ci sono le barrette che ho messo io tra verso e verso. Gli amici lettori non me ne vogliano. L'ho fatto solo per non allungare troppo l'articolo, perché l'andare a capo ad ogni parola, o quasi, avrebbe comportato la necessità di maggiore spazio per l'articolo stesso. Negli originali ( vedi ad esempio il Meridiano Mondadori dedicato ad Ungaretti , Vita d'un uomo) gli intervalli bianchi ( anche tra le strofe) sono ampi, e danno freschezza e ariosità alle composizioni. ( L. De R.)
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MARIO PANNUNZIO LA PIÙ GRANDE CULTURA ITALIANA di Leonardo Selvaggi I ARIO Pannunzio nato a Lucca il 5 marzo 1910. Si trasferisce a Roma seguendo il padre avvocato abruzzese, costretto dai fascisti ad andar via dalla Toscana. Nel 1933 si laurea in legge. Già dagli anni giovanili si interessa all’attività giornalistica. Con Arrigo Benedetti è redattore capo del primo rotocalco italiano, il settimanale “Omnibus”, fondato e diretto da Leo Longanesi. Nel 1939 la censura fascista fa cessare le pubblicazioni. Direttore dal 1939 al ’41 con Arrigo Benedetti del settimanale “Oggi”, il secondo rotocalco del nostro giornalismo. Durante la Resistenza è fra i fondatori del Partito liberale con Nicolò Carandini, Franco Libonati, Leone Cattani, Manlio Brosio. Dà vita al quotidiano “Risorgimento liberale” che dirige fino al 1947, escluso il periodo dal dicembre 1943 fino al febbraio dell’anno successivo in cui rimane rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli. Nel 1947 esce dal Partito liberale, egemonizzato dai monarchici per rientrare nel 1952. Collaboratori di “Risorgimento liberale” esponenti dell’
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ala crociana e intellettuali progressisti. La parola liberale significa per lui “moderno”, pertanto frequenti le periodiche lacerazioni con il Partito che mantiene aspetti di antichità, legato ai tempi passati. Il settimanale “Il Mondo” nasce nel febbraio del 1949. Sono vicino a Pannunzio Sandro De Feo, Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, G. B. Angioletti, Baldini, Monelli, Trompeo. Niente di accademico, niente di pedantesco. “Il Mondo”, caustico e distaccato, anticonformista, antifascista, anticlericale. Cultura e politica sopra le fondamenta irremovibili dei principi di libertà e di giustizia. II Con Mario Pannunzio e i suoi collaboratori un giornalismo austero, con coerenza e rigore intellettuale, attento ai problemi sociali, con vitalità e schiettezza di idee, passione civile. Una vita difficile avendo “Il Mondo” un compito non soltanto di osservazione, ma di sollecitazione, di iniziativa. Impegno morale e politico fronteggiato con fervore e continuo slancio. Sempre pronti a stimolare idee concrete di democrazia, atte a far maturare tempi intraprendenti per un cammino di progresso. Mario Pannunzio un “direttore di coscienze laico”, come ebbe a dire Arrigo Benedetti in un periodo di mortificante conformismo, di arroganza, di dogmatismi dottrinari. Il settimanale “Il Mondo” va paragonato all’”Unità” di Salvemini e alla “Rivoluzione liberale” di Piero Gobetti. Nella storia del secondo dopoguerra con forte tensione ideale, con le armi della indagine e della critica, nemico di ogni compromesso espleta un’opera di orientamento e di educazione. Dotato di forte talento, Mario Pannunzio maestro di giornalismo a tanti saggisti e commentatori che dovranno poi affermarsi nella stampa italiana. Con un temperamento aristocratico interpreta bene, con acume il suo tempo, assertore dei principi laici e razionali del più valido liberalismo europeo. Libertà, intelligenza e ragione alla base del suo umanesimo. Doti editoriali, tecnica raffinata nell’impaginazione, estro grafico vengono dalla scuola di Longanesi. Forte il
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gusto per la fotografia, le tanto apprezzate satire di costume con le vignette di Mino Maccari. Impeto polemico, ironia, avversione per la retorica e le ipocrisie, debellato tutto ciò che sa di autoritario. Non si tratta di creare consensi nell’opinione pubblica, di imporsi, ma di illuminare, di offrire lucide diagnosi sui problemi del momento. III “Il Mondo” si muove in uno spazio libero, con ideali e concretezze, con espressioni limpide, con un linguaggio che non conosce orpelli. Senza improvvisazioni, sempre fondatezza e contenuti, riflessione e profondità culturale. Un settimanale che dà respiro, che rende la sensibilità dei lettori più ampia nei confronti della vita sociale. Né classicismo né autoritarismo, si mira ad una sinistra liberaldemocratica. Prospettive riformatrici, auspicando il bene comune, una borghesia vitale non legata agli interessi immediati. “Il Mondo”, un grande circolo di idee, di vita politica e letteraria. Vi partecipa tutto lo schieramento laico e democratico, dai liberali di sinistra ai repubblicani, ai socialisti. Il settimanale con sede prima a Campo Marzio, poi in via della Colonna Antonina. Si vuole da più parti, oltre che dalle pagine de “Il Mondo” un’Italia più progredita, libera dalle strette corporative, da tutte le miserie ideologiche che hanno oppresso e mortificato per decenni. L’opinione pubblica comincia a smuoversi e a conoscere le necessità di trasformazione che incombono sul paese. Si parla di libertà di stampa, di rinnovamento della scuola e di tutto l’apparato burocratico. Crisi si avvertono nell’ambito del Partito liberale, progetti, d’altra parte, non mancano nell’area socialista e di alcune forze di democrazia laica. IV Per Mario Pannunzio il vigore morale è lo strumento primo per giudicare la lotta politica. Ci si batte per un rinnovamento dell’Italia che ancora si sente stravolta dopo gli anni della dittatura e della guerra. Il direttore de “Il Mondo” appare riservato, impenetrabile, in-
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vece è aperto all’amicizia, la sua intransigenza significa rispetto dei diritti di tutti. Scevro dall’aulicità, il suo carattere strutturato, tra l’ altro, dal senso dell’umorismo. Vicino a lui Ugo La Malfa, uomo senza enfasi, preciso, un politico nato. L’esperienza giornalistica si affina sempre più con idee lungimiranti che fa di Pannunzio un personaggio dalle grandi iniziative. È nel 1955 fra i fondatori del Partito radicale, che sorge dalla scissione della sinistra liberale. I valori di libertà e di democrazia difesi senza equivoci, in movimento la parte migliore del paese, c’è un’attività instancabile attorno alla scrivania nello studio in via Campo Marzio, campeggiano un ritratto di Cavour e una fotografia di Benedetto Croce. Si seguono puntualmente le novità politiche di giorno in giorno. Arriva la stagione dei convegni de “Il Mondo”, si determina i punti programmatici di rinnovamento che il Centro-Sinistra fa propri. Si inizia quella ventata culturale di riformismo che domina il dibattito politico degli anni ’60. Siamo al governo Fanfani-La Malfa nel ’62. I collaboratori de “Il Mondo” a causa di una frattura interna che li divide da Ernesto Rossi escono anche dal Partito radicale, che assume una linea tutta diversa da quella tenuta da Pannunzio. V I contenuti dell’azione politica espressi da “Il Mondo” sono ispirati da una visione diretta e meditata dei problemi del paese e dall’ ansia di modernizzazione. Fallisce l’alleanza fra radicali e repubblicani. Si attraversa un periodo duro. Pannunzio sente deluse le speranze riposte nel Centro-Sinistra, subentrano altri equilibri e altre trasformazioni sociali, culturali e di costume che suscitano pessimismo. Si avverte una generale caduta di tensione etica. Le grandi idee, i principi fondamentali di laicità democratica rimangono sempre fermi come baluardi di difesa contro i momenti di crisi. Mario Pannunzio disprezza la popolarità, non smania per il successo. Quello che scrive quasi sempre senza firma, preferisce suggerire agli altri quello che può fare di persona e meglio di chiunque. Stimola
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energie. Un ascendente di forte presa esercita sui collaboratori, anche su personaggi di grande prestigio, quale Croce, Salvemini, Einaudi. Molti pensano che sia un attivista forsennato, chi lo conosce bene afferma che è il contrario, è preso da una indolenza fisica, ma ferve in lui una vivacità intellettuale straordinaria. Lavora di notte, ha cominciato subito dopo la Liberazione, collaborando con il meglio della cultura nazionale, con pochi mezzi, senza appoggi di partiti, senza pubblicità. L’ abbiamo visto con il quotidiano “Risorgimento liberale” ne ha fatto una pubblicazione bella ed elegante. Con “Il Mondo” dimostra il meglio di sé, creando un settimanale che anche i paesi di più matura civiltà vorrebbero prendere a modello. Specialmente i giovani talenti sono orgogliosi di lavorare con Mario Pannunzio. Distaccato tiene sotto controllo i suoi stessi sentimenti, pronto sempre a venire incontro, assicura protezione con la sola sua presenza. Comprende le nuove generazioni, ama le aspirazioni di un futuro con orizzonti allargati, superando gli aspetti conservatori. VI Il giornalismo per Mario Pannunzio serve a scuotere le coscienze, non è un mestiere, ma un alto servizio sociale, fuori dalle meschinerie e dagli interessi. Ha dato vita a un giornalismo con firme di illustri uomini, di spiriti indipendenti fra i più noti della nostra storia culturale, Mario Pannunzio sensibile ai fatti, dotato di grande fiducia nella forza della verità. Il giornalismo è una missione, una nobile attività, va svolto con senso dell’equilibrio e
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con coraggio etico. Concetto che ribadiamo spesso. Pensiero e azione in uno stretto connubio secondo i dettami di Salvemini, oltre quelli di Croce, di Omodeo, di De Ruggiero e di De Sanctis. Sappiamo che i principi morali con concretezza portano alla ricerca della verità, del bene, realizzano rapporti sociali vitalizzati da spirito di collaborazione, da intese comuni, da consapevolezza. Il giornalismo come viene condotto e concepito da Mario Pannunzio attua il compito di un autentico, vero intellettuale. “Il Mondo”, oltre che un centro di vita politica e culturale, uno strumento di battaglie democratiche. Chiarezza non confusione non il qualunquismo, il difetto più tipico degli Italiani e la via di certo che ha portato la piccola borghesia al Fascismo. “Il Mondo” in modo rifulgente viene a caratterizzarsi con tutta evidenza durante la situazione politica delineatasi con la maggioranza assoluta democristiana nelle elezioni del 18 aprile 1948. Mario Pannunzio è un solitario e nel contempo non gli sfugge nulla di quello che gli accade intorno. Vive in mezzo a tutto, senza chiasso lo vediamo sempre presente protagonista del suo tempo, vigile con i suoi interessi culturali e umani. VII Il conformismo verso il nuovo per Pannunzio è peggiore di quello tradizionale, nasconde falsi ideali e mancanza di carattere. Profondo interprete letterario, sa vagliare i testi dei maggiori studiosi e scrittori italiani e stranieri, le qualità di giovani sconosciuti che hanno iniziato la loro attività proprio per merito di Pannunzio. Onestà intellettuale e fedeltà al proprio talento. Riconosce con intuizione questi requisiti in potenziali energie di futuri eminenti intellettuali. Spadolini, De Caprariis, Compagna, Arbasino, Giovanni Russo, Antonio Cederna. Un compito impopolare incombe su di lui, quello di agire per attuare giustizia e libertà. Dignità della persona e i valori dell’uomo: rifiutate le leggi imposte dal consumismo, dall’automatismo livellatore, dal capitalismo. Soprattutto le esigenze della nuova generazione, si preoccupa delle
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insofferenze che spesso si manifestano in forme estremiste. Le diversissime voci che vengono a trovarsi insieme nelle pagine de “Il Mondo” sono amalgamate da uno straordinario direttore quale è il Pannunzio. Un grande prestigio rappresenta la collaborazione al settimanale. La libertà nelle proprie espressioni, con orgoglio e coerenza, senza mai togliere alle iniziative il senso della contrapposizione e della lotta. Importante l’essenziale, fuggendo dalla retorica e dalle insulse chiacchiere. Con naturalezza, dai costumi semplici, gentile Mario Pannunzio, con il forte senso della misura. “Il Mondo” pubblica la “Storia dei fuorusciti” di Salvemini, le “Memorie di un confinato politico” (1960) di Altiero Spinelli. Nel ’62 di Ignazio Silone la “Scuola dei dittatori” e nel ’63 di Alberto Acquarone il “Duce visto dai collaboratori”. Il pericolo fascista è sempre a destra, fascisti sono gli interessi nascosti dai detentori del potere. VIII Le varie rubriche de “Il Mondo” partendo dalla particolarità e contingenza dell’ argomento trattato si allargano ai più vasti campi di indagine e di giudizio. Arnaldo Bocelli nelle sue recensioni dà il più aggiornato repertorio della letteratura italiana contemporanea. Esaminando i vari aspetti si osservano le tendenze della società. Il rapporto fra letteratura e società si mantiene stretto. Le varie carenze si evidenziano notando quanto di antidemocratico, di medievale ancora sussiste. Nelle pagine de “Il Mondo” si trova anche lo specchio complessivo della narrativa italiana. Vitaliano Brancati pubblica il “Bell’Antonio”, Anna Maria Ortese “L’iguana”, Giovanni Comisso “La donna del lago”, Camillo Sbarbaro gli “Scampoli”: scrivono fra i tanti nominati Moravia, Soldati, Alvaro, Bacchelli, Pasolini, Cassola, Tecchi, Tobino, Arpino, Calvino. Per Mario Pannunzio la parola giornalismo ha un significato altissimo, vuole dire impegno civile, cultura, coraggio di intervento con impeti polemici quando si ritiene necessario, battagliando contro gli scandali con un tono di inquietudine e di sofferenza. Si
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pensa all’urgenza di certe problematiche che assillano il paese da sempre. La verità senza infingimenti, occorre dare il proprio nome ai fatti e ai personaggi. Non ci deve essere una commistione, un ammassamento. Leonardo Selvaggi IL LUOGO AMATO Vivevo trasognato, il paese odorava di asprezza e di profumo agreste; gli anni giovani del virgulto anelante trasportato nell’ampiezza di albe purificate e nelle sere dagli orizzonti di luce all’infinito. Nella camera entrano dagli scuretti i riflessi della luna, fasciano il pavimento e le lenzuola. È la striscia di cielo a tenere come dentro nido caldo coperto le mie immaginazioni nude. L’animo pieno ha tanto tempo fermo. Rannicchiato nel letto ho il ripasso degli autori tradotti, le mie mani ordinano solidificati concetti rimeditati. Mi spando all’aria aperta, la solitudine della campagna annegata nella canicola gonfia di ombre e di silenzio mi prende fra i rovi del viottolo stretto. La pelle che ancora sa di latte si strappa alle lacerazioni. Vinco la paura che mi fa il luogo accanto deserto, immobile spiritato, le piante rimaste spaventate. Era morto appeso al pruno un uomo, l’albero senza potatura diventato selvatico: i frutti piccoli molli non maturano, portano acerbi ancora l’ombra del vestito stecchito vuoto. Mi meraviglio di essere vivo, di essere andato avanti negli anni, molte le bruciature e le estenuazioni. Penso di non essermi nutrito molto, di non aver dormito a sufficienza. Sospensione tanta hanno avuto le membra. Ho avuto il luogo della felicità, i ritorni frequenti di innamorato, era la dimora delle confidate ansie, delle evanescenti bizzarrie alate. Prominenza proiettata sulla valle del Basento, di fronte alle case del paese disteso. Leonardo Selvaggi
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ROSSANO ONANO DOMENICO DEFELICE: ALLELUIA IN SALA D’ARMI PARATA E RISPOSTA di Liliana Porro Andriuoli
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SATURA quidem tota nostra est” è la frase (opportunamente citata da Angelo Manita in quarta di copertina) scritta da Quintiliano per puntualizzare come la satira a Roma non trovi, a differenza degli altri generi letterari, la sua origine nel modello greco. Infatti, mentre Virgilio sembra avere in Omero il suo maestro e i lirici latini appaiono ispirarsi ad Alceo e Saffo, Mimnermo e Anacreonte, Ibico e Alcmane, ecc.; e ancora mentre Plauto e Terenzio sembrano avere appreso da Aristofane e Menandro l’arte scenica, Orazio, Marziale, Persio e Giovenale costituiscono degli esempi insuperabili di poeti satirici, che non appaiono tributari di alcuno. Nella nostra letteratura poi, a dire il vero, la satira non fu usata con uguale assiduità, se si eccettuano alcuni eclatanti esempi, quali quello dell’Ariosto (piuttosto bonario) e del Parini de Il Giorno (più pungente); quello del Giusti (con la sua arguzia toscana e la sua vena schiettamente civile) e specialmente quelli del Belli e del Porta (che adoperarono rispettivamente il dialetto romanesco e milanese per una corrosiva critica sociale di alto livello) e pochi altri casi; anche se, in verità, versi satirici affiorano sovente nelle opere di numerosi poeti moderni. In maniera piuttosto risentita e tagliente, ad esempio, ha fatto di recente capolino in alcuni testi di Rossano Onano e di Domenico Defelice, pubblicati dapprima come rubrica mensile sulla rivista “PomeziaNotizie”, di cui Defelice è il Direttore, ed apparsi da non molto in volume, nella collana “Calliope” de “Il Convito”, con il titolo Alleluia in sala d’armi - Parata e Risposta. Ed è questo il libro di cui ci vogliamo qui occupare. Alleluia in sala d’armi - Parata e Risposta si compone di ventisei brevi “dialoghi satirici” nei quali, come giustamente osserva Giu-
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seppe Leone nella sua lucida e illuminante Prefazione, ad “un input in prosa di Onano”, improntato a uno spiccato “gusto del contrario, del paradosso e dell’antifrasi”, segue “un controcanto in versi di Defelice” il quale, “stando al gioco” dell’amico, gli controbatte con la sua abituale “vena ironica e sarcastica, sempre sorretta da una visione etica della vita”, che già altre volte lo ha contraddistinto. Varie sono state le occasioni che hanno offerto ai due autori lo spunto per questa simpatica schermaglia letteraria: fatti di cronaca, avvenimenti politici, o episodi su cui si è concentrata la pubblica attenzione. Sempre, in ogni caso, si è trattato di occasioni che hanno offerto al lettore lo spunto per riflettere su problemi di attualità, seppure in preda a sentimenti di indignazione e talora forse anche di rabbia. E se, magari talvolta, per la paradossalità del caso abbiamo atteggiato il nostro volto a un sorriso, ciò è avvenuto, lasciandoci in bocca un retrogusto amaro. Vediamo in dettaglio qualcuno di questi “dialoghi satirici”. Nell’Alleluia Costa Concordia, ad esempio, Rossano Onano lancia la sua “botta” a Domenico Defelice, notando come in seguito all’episodio del naufragio della “Concordia”, si sia registrato un così forte aumento della presenza dei turisti nell’ Isola del Giglio da far pensare che la Giunta Comunale potesse addirittura “conferire la cittadinanza onoraria al comandante Francesco Schettino”. Immediata l’ironica risposta di Defelice, il quale così, di rimando, commenta: “La nostra società massificata / sente la libidine del dramma; / la strage l’emoziona / … / Occorre approfittarne. Anche se invisi, / bravissimi noi siamo / a mutuar ogni tragedia in sorrisi. / 30 e più morti, è vero, fu la conta. / … / Ed a Schettino, / se proprio non la Giunta - per decenza - / saranno le Agenzie per il Turismo / (Alleluia! Alleluia!) / a procurargli l’onorificenza”. Un rapido e provocatorio scambio di battute si ha anche nell’Alleluia dell’Imu maggiorata, dove l’arguto “botta e risposta” prende l’ abbrivo dai privilegi delle “banche e delle loro fondazioni” che, in quanto enti pubblici
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no-profit sono stati per legge esentati dal pagamento dell’Imu maggiorata. Nel suo polemico attacco, Onano con molta ironia osserva che è giusto non far pagare l’imposta alle Fondazioni bancarie; “le banche e le loro fondazioni”, infatti, stando a quanto “spiega il Governo bocconiano”, “sono associazioni benefiche” (anche se, per la verità, a guardare i numeri, non si direbbe siano proprio degli enti di beneficenza!). Non solo, ma è anche giusto, aggiunge l’attaccante, che a pagare siano solo i “vecchietti” i quali, dopo aver abbandonato “la loro casa”, “vanno a spassarsela in Casa di Riposo”. Alla provocazione pronto e ironico controbatte Defelice: “è giusto che paghino i vecchietti”, egli dice, ed ancor più giusto è che “sian ridotti all’osso”; perché solo così “vivranno lungamente, alleggeriti / e senza traccia di colesterolo”! (Anche in un’altro “botta e risposta”, Alleluia dell’IRPEF tricornuta, viene preso di mira il “governo bocconiano”, cioè quello di Monti, il quale è stato prima rettore e poi presidente della prestigiosa Università milanese). E non manca una satira contro le Compagnie di Rating, in particolare contro Moody’s, “quella che non ci becca mai”, come dice Onano, e che ora “per gli sberleffi” ai suoi “vaticini” è “caduta quasi in paranoia”, rincara Defelice (Alleluia della Scaramanzia). Alcune satire sono inoltre dirette contro le femministe, che a volte strepitano e fanno grande fracasso per nulla, mentre altre volte restano incomprensibilmente indifferenti di fronte a veri e propri delitti, per giunta commessi sulle donne. Eclatante esempio in proposito, è quello dell’omicidio di una donna marocchina, uccisa a martellate dal marito perché voleva convertirsi al Cristianesimo (Alleluia della Conversione). Alla provocazione Defelice ironicamente risponde che “Le femministe son d’una sinistra / dura e pura e perciò scendono in piazza / solo e quando a chiamarle è quella razza”. Talora le frecciate di Onano mirano a colpire alcune palesi incongruenze, come quella della campagna di risparmio energetico, intrapresa ai danni degli ospiti delle Case di Ri-
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poso, gestite dal Comune di Reggio Emilia1; e ciò proprio “in concomitanza al Festival di San Remo”. Venne infatti decretato che i vecchietti non solo dovevano essere privati della “televisione”, ma dovevano anche avere la “cena a lume di candela” e l’“elettricità prodotta da una grossa dinamo azionata dai pedali di una bicicletta” (Alleluia della … ecologia). Così Defelice ironicamente stigmatizzata la pesante imposizione: “Guarda, se puoi, stavolta, in positivo, / caro il mio amico Onano; / lascia star l’ironia, / non essere pessimista, ma giulivo. / A mio modesto avviso, / il Comune di Reggio è molto umano, / vuole gli ospiti sciolti e giovanili. / … / Pedalando, i muscoli si attivano, / circolar si fa il sangue, / si rassodano i corpi / rendendoli più arzilli e più virili”. Ed aggiunge ancora, e qui l’ironia si fa più amara: “Cenare, poi, a lume di candela, / è vera sciccheria, è da straricchi”. Altre volte è invece una delibera Provinciale a prestare il fianco alla provocazione di Onano, come ad esempio allorché, sempre a Reggio Emilia, una città con “una maggioranza di dipendenti donne in tutte le categorie”, fu stabilito che nelle assunzioni, a parità di titolo, dovessero essere privilegiate proprio le donne, senza tener conto delle reali attitudini richieste nel caso concreto. “Assumere un incarico, un impiego, / dev’esser conoscenza di mestiere” ribadisce non a caso Defelice nella sua “risposta” (Alleluia della Pari Opportunità). Divertente, pur nella sua triste denuncia è poi l’Alleluia alla…Fantomas, tra le cui righe sembra trapelare una velata competizione di bravura fra l’abilissimo criminale, sempre capace di sfuggire alla giustizia, e i teppisti e i borseggiatori dei nostri giorni, altrettanto abili, purtroppo, nel restare impuniti (anche se non esclusivamente per merito proprio). L’ attenzione di Onano è però qui posta sulla chiusura temporanea del museo parigino del Louvre, in conseguenza dei frequenti atti di 1
Molti degli Alleluia si riferiscono a fatti accaduti a Reggio Emilia, dal momento che Onano ha esercitato la professione di medico psichiatra proprio in quella città.
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teppismo e dei continui borseggi, che hanno provocato uno sciopero del personale, che si è dichiarato non più capace, data la frequenza con cui tali atti si susseguivano, di controllare la situazione. Defelice osserva in proposito con amarezza che, da noi, una simile forma di protesta, non potrà purtroppo mai avvenire, e nemmeno, d’altra parte, sarebbe pensabile, visto che “a tutto siamo avvezzi da millenni” ed ormai in Italia “pure il borseggio è metabolizzato”. Vorrei concludere citando l’Alleluia del parlar chiaro, l’ultimo “botta e risposta” fra i due autori in ordine temporale, quello con cui si chiude il libro. Si parte da un banale episodio: un insegnante redarguisce un’allieva (“una ragazzina di Terza media, a Reggio Emilia”) perché ha fatto in pubblico il segno della croce, al passaggio di un’ambulanza; “Così offendi le altre religioni” è stata la motivazione del rimprovero del docente, il quale, probabilmente, si sarebbe comportato in modo diverso (forse, magari, anche facendo un gesto di scongiuro). Alle polemiche che sono seguite ha immediatamente posto fine la parola illuminata e illuminante del Vescovo, che ha avallato, seppure con motivazioni diverse, entrambi i comportamenti: la ragazzina in quanto “ha manifestato pubblicamente la
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sua fede”, mentre l’insegnante in quanto ha voluto ribadire che “la Croce non è un gesto scaramantico”. Ovviamente la risposta disorientò completamente la giovane, che non sapeva più come si sarebbe dovuta regolare in futuro. Commenta Defelice: “Oggi non ha la Scuola punti fermi; / come la Chiesa, come la Famiglia. / Gli insegnanti si dicono moderni / quando ne son lontani mille miglia”. Una lettura piacevole, questa di Alleluia in sala d’armi, che fa tuttavia molto pensare a quanto avviene nel mondo in cui viviamo. Una lettura che (come giustamente osserva anche il prefatore) è pur sempre capace di evocare una tradizione culturale che da noi ha lontane origini: quella delle cosiddette “pasquinate”, anonime satire in versi, che fra i secoli XVI e XIX, a Roma, venivano appese durante la notte al collo di una statua2 (quella di Pasquino, da cui hanno derivato il nome). Erano scritti che contenevano frasi ingiuriose rivolte a personaggi di spicco della Roma dell’epoca, e ben esprimevano il malumore del popolo di allora; un malumore molto simile a quello che serpeggia nel popolo di oggi. Una lettura non soltanto piacevole, dunque, per l’ironia che la regge, questa di Alleluia in sala d’armi, ma anche utile, dato che invita a pensare e quindi a rendere migliore il mostro mondo attuale. Liliana Porro Andriuoli
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Si tratta di una statua in stile ellenistico, risalente probabilmente al III secolo a.C., danneggiata nel volto e mutilata degli arti. Ciò che ne rimane fa pensare al corpo di un guerriero greco o forse meglio a un frammento di due corpi raffigurante due guerrieri, l’uno che sorregge l'altro. È stato da qualcuno anche ipotizzato che si possa trattare di Menelao che sorregge il corpo morente di Patroclo. La statua fu rinvenuta nel 1501 e sistemata nell’attuale piazza, chiamata oggi Piazza di Pasquino. Poco o nulla si conosce sull’identità di Pasquino, forse un artigiano del quartiere.
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Il Racconto
USTICA Storia di una vacanza di Anna Vincitorio
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L mare sta montando mentre il catamarano si allontana. Solo adesso che ti lascio, forse per sempre, diverrai ricordo! Piccola e splendida tartaruga che affiori dal verde delle acque e guardi il sole. Nella strozzatura centrale, il paese. Una serie di archi, case che si arrampicano bianche e serrate a tratti maculate di rosa. Qualche macchia indistinta anche di azzurro. Tu sorgi dalla lava nera (Usticum - bruciata) ma sei verdeggiante di vegetazione per le terre coltivate, ricca di piante fronzute e di boschi. Giustamente sei area protetta e i vincoli preservano te e la ricca flora e fauna marina. Imbocco il sentiero del tramonto: stradine acciottolate, lustre di vecchia pietra. Le “case vecchie” hanno tetti rivestiti di coppi (tegole siciliane). Mi addentro nella lunga e stretta I tre mulini: case del confino sono ancora lì, mute testimoni di prevaricazione e solitudine. Il 1961 pose fine a tutto questo. Si aggira forse ancora lo spettro di Gramsci e di tanti altri come a Ventotene, prigione di Sandro Pertini. Alla fine dell’acciottolato, i resti di una piccola chiesa, prima dei Cenobiti, poi dei Cistercensi. Rudere di rara suggestione nel colorato silenzio del tramonto. Sono assordata dal frinire incessante delle cicale e scorgo, timorosi, fuggire i conigli selvatici. Da un lato alta vegetazione, boschi e, a tratti, rocce stratificate e vulcaniche che assorbono il rumore come per magia. In alto, lontano e illuminata dal sole, la sfera bianca del radar che domina il mare da ambo le parti. Questo, assume tonalità calde al tramonto; una scia di fuoco lo trapassa e si insinua nel verde e, mentre Cala Sidoti affonda nel buio, l’ incandescente disco scompare. Domani, il mare mi svelerà i suoi tesori. Domani a pelo d’acqua, vedrò la cernia impaurita con le tre macchie gialle, sfiorerò ricci, stelle marine ed erba di mare. Forse più in
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fondo svetteranno i barracuda. Siamo in penombra e mi affretto verso le luci e i tavolini allestiti per la cena all’aperto. Quasi di corsa verso il paesino e lascio l’imponente sagoma della chiesa alle mie spalle. In piazza un brulicare di vecchi, di bambini, di altri. Il maestrale agita le fronde degli alberi e muove uno stendardo sventolante con disegnate immagini di antiche storie. Ripenso ai pupi di Palermo nell’ormai lontano 1980. C’è un giovane cantastorie con chitarra e la sua voce fora il vento e trasporta tra storie d’amore, di morte, di pirati e di mare. Stretto il dialetto ma forte l’impatto emotivo e, davanti ai miei occhi, c’è Culapisci, la principessa sgozzata e Gerbino. Le morti divengono ricordi, la vittoria è solo del mare che ricopre tutto di spuma e sommessamente canta alla notte mentre gabbiani reali dalle grandi ali grigie, approdano sulla banchina del porto. Si dice anche che l’isola fosse abitata da Circe e quindi visitata da Ulisse. Il mito, compagno dei sogni della mia giovinezza è qui e aleggia tra storia e leggenda come le antiche anfore sommerse. Una corda può guidare gli esperti in apnea nelle profondità marine per coglierne il fascino. Sono circondata da persone aperte, cordiali, desiderose di far gioire l’ospite. Per i Greci l’ ospite era sacro e lo è anche per gli usticesi. Mi invitano al museo: vengono riconsegnati dopo anni di giacenza al museo Salinas di Palermo, reperti del luogo. C’è il sindaco con la Fusciacca tricolore, l’assessore Valeria Ajoualasit l’archeologa Spadafora e lo studioso Mannino, profondamente commosso per il plauso di gratitudine tributatogli per i 40 anni di lavoro di scavo, reperimento, conservazione dei numerosi oggetti: ora sono lì allineati, desiderosi di destare interesse. Il loro recupero è frutto di volontario amore. Sulla terrazza a destra, in lontananza domina la torre Santa Maria, primo museo e amorosa custode di molti oggetti rinvenuti da restaurare. Mi viene presentato un giovane archeologo, Emanuele T: sarà la mia guida domani per la Falconiera. Nel silenzio di mezzogiorno saliamo antichi gradoni scavati nel tufo; la roccia è a 157 metri di quota. Stra-
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piombi dalla magia suicida, la sacra strada delle tombe a fossa, nel dirupo. Si susseguono ricordi antichi tra fantasmi fenici, cartaginesi e romani e sulla roccia un antico affusto di cannone. Presenti, anche se con inferriate di protezione, i botros (Bòveos) fossi per l’ acqua. Le parole esperte e amorevoli di Emanuele, il suo entusiasmo per le lingue antiche legate a ricordi scolastici, anche se in periodi diversi, ci accomunano come i versi dell’ Edipo re di Sofocle. Discendiamo verso il paese: il mare è vicino. Siamo diventati amici, lui con la sua giovinezza, io con gli anni che non pesano perché ricchi di ricordi che hanno illuminato la mia vita. Ora mi aspetta il mare con il moto altilenante: bolle di spuma, l’ agguato verde e azzurro di grotte, di sirene, l’ arco del diavolo, il cornuto, la grotta dell’oro; la mia pelle assapora il taglio dell’acqua sul mio corpo come la carezza di un devoto amante. Calme e suadenti le spiegazioni del nocchiero Salvatore che aspetta il mio rientro dal mare. Alta si leva l’ altra torre a Spalmatore, squadrata e possente e il faro in lontananza, poi lo strapiombo di Omo morto che mi riporta al salto di Leucade ma visto ora con altro spirito, giocoso e lontano da pensieri di morte. Tra poco dovrò lasciare l’isola e la sua magia mi sarà compagna nel mio inverno? Ancora una mano giovane protesa: quella Alfredo che mi accompagna alla grotta segreta. Un cammino su spigoli di lava senza traccia apparente di percorso. È raggiungibile solo così oppure con barche, per poi percorrere in apnea un corridoio sotterraneo. Non posso che esserti grata, giovane amico. Mi aggrappo e scendo come un granchio: l’emozione è forte quanto la curiosità di vedere. Scorgo una profonda e degradante fenditura e ciottoli sotto acque tempestose che assumono una colorazione rosacea. L’onda rimbalza nel fondo contro una scivolosa voragine. L’acqua è puro smeraldo. In alto uno spicchio di luce tra le rocce nere. Probabilmente c’è anche un passaggio verso il mare aperto. Osservo e con le mani accarezzo quei ciottoli rosa piumati di borraccina. È bello poi risalire e riguadagnare il sentiero con tanta bellezza dentro. I miei
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passi dopo un lungo bagno all’acquario mi portano alla casa fiorita e imbocco la strada del cimitero. Sono sola, lontano il mare e le rocce a semicerchio calde e dorate dal sole del meriggio. Romantiche e composte le tombe nel loro inviolato biancore, riparate dal vento e ombreggiate da ibiscus giganti. Una preghiera: chissà quanti morti per mare! Nel crepuscolo che avvolge i miei passi, all’ interno di una delle tante acciottolate stradine guarnita di vivaci murales (sono disseminati senza un ordine sulle varie case dell’isola), scorgo una donna che sorregge una lunga canna e annaffia i suoi fiori: giganteschi gerani, una palma, altri ancora. Lo fa con incedere aggraziato, sorride adagio e sussurra parole alle piante. È la Signora Pina. Ho il cuore, gli occhi, tutta me stessa colma di visioni di realtà legate sia a tempi lontani, a magie che al presente accogliente. Devo partire prima che qualcosa di questo perfetto incanto si rompa. In chiesa viene celebrata una messa coraggiosa: ricorda le vittime della mafia; si parla di Rocco Chinnici, di Falcone, di Borsellino, di Don Puglisi. I fedeli sono attenti. Si alzano canti frammisti a nubi d’incenso. L’ostia consacrata viene data preferibilmente in bocca. Una vecchia donna mi ha detto che si temevano pratiche oscure; ostie consacrate erano state ritrovate in luoghi inusuali. Poi anche un uso improprio dell’acqua benedetta. Lo avevo notato: le acquasantiere erano vuote per ordine del sacerdote. Qualcosa di oscuro e di occulto potrebbe minacciare la solarità dell’isola? Non è dato saperlo. Le preghiere, quelle antiche salite dal mare, saranno accolte sicuramente da angeli che navigano mari celesti. Vorrei tanto ancora dire, ma forse è meglio per chi leggerà, immaginare l’approdo in quest’isola che l’ eruzione di un vulcano compose. Il cielo è incerto stamattina e si è levato il vento. Dicono che il mare monterà. I miei occhi ti seguono, Ustica e mentre mi allontano, tu lentamente dilegui nella bruma. Quello che mi hai donato è in me come prezioso reperto. 2 agosto 2014 Anna Vincitorio
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NOTTE A CAVALA di Themistoklis Katsaounis
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UESTA notte farò ancora una passeggiata per le strade della città di Cavala, sulle strade dove ho camminato e ho fatto dei sogni quando ero giovane, molto giovane, anche se mi trovo molti chilometri lontano, anche se non posso ormai riposare il mio corpo lì, anche se tutta quella meravigliosa scena è diventata solo una rimembranza che si spegne. Che cosa potrei allora richiamare alla memoria? Ricordo che quando camminavo per le strade di notte, le strade piene di nebbia dalla brezza del mare, quando camminavo sui vicoli piccoli, bui e misteriosi, in salita o in discesa, che uniscono le strade come i segreti della vita. La sensazione di quegli anni: del futuro immenso! L'attesa per la carriera dello scrittore che dipingeva il sorriso sulle mie labbra. Ogni stagione con la sua notte caratteristica, che sarebbe venuta di nuovo magnifica e magica. Con il vento freddo sul mio viso durante l'inverno e il sudore che scorreva sulla mia fronte durante l' estate. La sensazione di conoscere il segreto dell'esistenza quando guardavo la luce della luna, argentea, che sventolava come un percorso verso il Dio, un percorso che promette tutto mentre si perde nel mare. Il dominio della serenità dallo sciabordio delle onde sulle rocce e sui cementi. La convinzione che avrei potuto fare tutto, anche se avevo attraversato soltanto una piccola parte del cammino della vita. Pensavo di essere unico!!! Credevo di essere una persona eccellente!!! Si! E' la verità! Ho creduto anch'io in questa illusione! Credevo che la magia che invade l'Universo in ogni parte del mondo, affascinasse soltanto me. Credevo e lo dirò ancora e ancora, senza vergognarmi, che soltanto io meritassi la magia che riempie il cuore di tutti i giovani che non conoscono, dal momento che hanno nascosto in fondo al loro cuore tutto quello che volevano dire, credendo che nessuno avrebbe cercato di capire, tutto quello
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che loro sentono, dato che solo loro possiedono il segreto che gli altri non conoscono. L'infelicità viene dopo anni, lontano da quelle solitarie e romantiche passeggiate, comprendendo che quell' enorme, splendido, orgoglioso, solitario, unico ''IO'' non era e non è così particolare. Non è possibile che esso sia così ammirevole, quanto pensavo che un tempo lo fosse. Adesso che le mie tempie stanno diventando canute, ancora una notte, sento la disperazione della perdita che non potrò evitare. Adesso che piano piano sto sprofondandomi, ancora una notte, entro l'oceano enorme, come una goccia nel nulla. Tutto, anche questa notte, crolla!!! I miei amori! I miei errori! Le passioni della mia vita! Le mie ambizioni che si spengono senza valore, si perdono nell'infinito della stessa magia che un tempo mi aveva dato quella sensazione magnifica dell'unicità!!! Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di: Giorgia Chaidemenopoulou
MI MANCA IL MARE Se non sognassi non avrei un passato Non appartiene al navigante il mare che ha solcato Non trattiene chi nuota altro che il sogno del mare che ha abbracciato. Corrado Calabrò Roma
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 19/11/2014 Valerio Fioravanti e Francesca Mambro condannati a risarcire più di 2 miliardi per la strage di Bologna di 19 anni fa. Alleluia! Alleluia! Incapaci di dare giustizia, i giudici fanno i gradassi, sapendo che mai e poi mai simili personaggi, colpevoli o meno, saranno in grado di sborsare la somma. Vittime e parenti: mazziati, cornuti,beffeggiati. Domenico Defelice
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Comunicato STAMPA XXV Edizione
CITTÀ DI POMEZIA L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM) - Tel. 06 9112113 – E-Mail: defelice. d@tiscali.it organizza, per l’anno 2015, la XXV Edizione del Premio Letterario Internazionale CITTÀ DI POMEZIA, suddiviso nelle seguenti sezioni : A - Raccolta di poesie (max 500 vv.), da inviare fascicolata e con titolo, pena esclusione. Se è possibile, inviare, assieme alla copia cartacea, anche il CD; B - Poesia singola (max 35 vv.) ; C – Poesia in vernacolo (max 35 vv.), con allegata versione in lingua; D - Racconto, o novella (max 6 cartelle. Per cartella si intende un foglio battuto a macchina – o computer - da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1800 battute. Se è possibile, inviare, accanto alla copia cartacea, anche il CD); E – Fiaba (max 6 cartelle, come sopra, lettera D); F – Saggio critico (max 6 cartelle, c. s.). Non possono partecipare alla stessa sezione i vincitori (i Primi classificati) delle trascorse Edizioni. Le opere (non manoscritte, pena l’ esclusione), inedite e mai premiate, con firma, indirizzo chiaro dell’autore e dichiarazione di autenticità, devono pervenire a Domenico Defelice – via Fratelli Bandiera 6 - 00040 POMEZIA (RM) - e in unica copia - entro e non oltre il 31 maggio 2015. Le opere straniere devono essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana. Ad ogni autore, che può partecipare a una sola sezione e allegare un breve curriculum di non oltre dieci righe, è richiesto un contributo di 20 Euro per la sezione A e 10 Euro per le altre sezioni, in contanti assieme agli elaborati (ma non si risponde di eventuali disguidi) o da versare sul c. c. p. N° 43585009 intestato a :Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM). Le quote sono in eu-
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ro anche per gli autori stranieri. Sono esclusi dal contributo i minori di anni 18 (autocertificazione secondo Legge Bassanini). Non è prevista cerimonia di premiazione e l’operato della Commissione di Lettura della Rivista è insindacabile. I Premi consistono nella sola pubblicazione dei lavori. All’unico vincitore della Sezione A verranno consegnate 20 copie del Quaderno Letterario Il Croco (supplemento di Pomezia-Notizie), sul quale sarà pubblicata gratuitamente la sua opera. Tutte le altre copie verranno distribuite gratuitamente, a lettori e collaboratori, allegando il fascicolo al numero della Rivista (presumibilmente quello di ottobre 2015). Sui successivi numeri (che l’autore riceverà solo se abbonato) saranno ospitate le eventuali note critiche e le recensioni. Ai vincitori delle sezioni B, C, D, E, F e ai secondi classificati per ciascuna sezione, verrà inviata copia della Rivista - o del Quaderno Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro. Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, la Commissione di Lettura può decidere anche la non assegnazione del premio. La mancata osservazione, anche parziale, del presente regolamento comporta l’ automatica esclusione. Foro competente è quello di Roma. Domenico Defelice Organizzatore del Premio Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edizioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Ettore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Marabelli:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Menabò; Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli (USA): Canti del ritorno; Solange De Bressieux (Francia): Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Itinerario a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di Arthur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde la memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi; Giovanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Mancusi Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che ho scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni d’ amore; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgina Busca Gernetti: L’anima e il lago; Rossano Onano: Mascara; Fulvio Castellani: Quaderno sgualcito; Nazario Pardini: I simboli del mito; Rodolfo Vettorello: Voglio silenzio.
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I POETI E LA NATURA - 38 di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
IL POETA DOMENICO DEFELICE, IL SUO ORTO-GIARDINO E LA VITA NELL'UNIVERSO
S
iamo così arrivati alla puntata n° 38 di questa rubrica. Dopo circa tre anni occorre guardare un po' all'indietro, anche per trarne nuova ispirazione per il proseguimento dell' “opera” (fino a quando ?). E allora la memoria corre alle prime puntate, in particolare alla seconda (quella intitolata Domenico Defelice e i suoi alberi virtuosi) per sollecitare nuove occasioni di approfondimento sul tema del rapporto con la Natura di Defelice poeta. Riapro il suo bel libro Alberi ? (Genesi Editrice, Torino 2010) e mi soffermo sulla lunga composizione (363 versi liberi ripartiti in 16 strofe) intitolata “L'orto-giardino”, che apre la silloge-poemetto. Prima c'è un “manifesto” di poetica e di vita tutto personale, che esprime
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sensazioni e pensieri di Defelice poeta, con stile ed immagini del tutto originali e personali. “ E' l'Eden favoloso in cui mi serro/stanco della città./Nel lavacro di verde e di profumi/la mente mia s'inebria e poi sconfina/oltre le vaste praterie del cielo./Qui solitario anelo/la terra meno asfittica e rapace/e l'uomo rinsavito, in allegria,/che abbraccia suo fratello, odia il delitto,/custodisce l'ambienta, non violenta, né sé stesso soverchia e gli animali... Poi vengono citati, con affetto e stima, poeti e poetesse che “abitano” questo orto-giardino in amichevole sodalizio letterario e umano con l'Autore, scrittore e pubblicista da una vita, fondatore dal 1973 della rivista “PomeziaNotizie”, e quindi, anche per questo, al centro di una ricca rete di conoscenze letterarie e artistiche. Per motivi di spazio devo limitarmi a citare i nomi di questi poeti, scrittori, critici: Novella Casadei (Forlì-Cesena 1937 – Forlì 2009), Serena Cavallini (Perugia), Eva Barzaghi, laureatasi a Roma-Tor Vergata con una tesi sull'opera di Defelice, Ferdinando Banchini (Roma 1932), Rosaria Di Donato (Roma), Sandro Angelucci (Rieti), Lucianna Argentino (Roma), Maria Grazia Lenisa (1935-2009), Ada Capuana, pronipote di Luigi Capuana (Acireale 1908- Roma 1999), Marina Caracciolo (Torino), Tito Cauchi (Gela 1944). Infine, l'Autore ci palesa il suo autentico pensiero sulla Natura e sulla Vita nell'Universo. La sua visione non è quella, a volte stucchevole e di maniera, di tanti adoratori della Natura vista come un'Arcadia irreale e consolante, dove si trova tutto il bello, il dolce, il sereno, in contrapposizione alla vita nelle città d'oggi, soffocate dall'inquinamento, dove si troverebbe tutto l'arido, l'alienante e il negativo. Con acuta intelligenza storicistica, egli non fa queste contrapposizioni, ma comunque gode della Natura senza nascondersi che nella realtà essenziale questa non è un mondo soave di “bontà” e tranquillità (salvo contesti particolari, presi isolatamente e accettati con piacere dall'animo umano): “..........Purtroppo/sarà sempre evangelica utopia/il leone che dorme con l'agnello!/Anche la
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Bibbia è tutta un'ecatombe./Sbranarsi è fondamento della vita/da Dio posto perché la materia/non rimanesse eterna nel suo stato,/ma nel suo mutamento./Se il corpo fosse incorruttibile/il globo già dall'alba della vita/non avrebbe più potuto contenerlo./Così per flora e fauna./Pura ed eterna è solamente l'anima,/lo spirito, l'essenza delle cose./Tutto il resto è ferocia, qui ed altrove./Il Cosmo poetica armonia/mendace effetto è della lontananza...” Con lucida visione, il poeta Defelice parla del Sole e delle stelle come di orride fornaci, di galassie che da millenni lottano e cozzano brutalmente, di fauci spaventose e incognite che ingoiano materia senza fine... “ Sì, l'Universo non vive in armonia,/ma in eterna violenza./Cristo è sceso a portare Amore in mezzo a noi, a darci la certezza/ dell'immortalità, ad indicarci la Pace,/ad insegnarci come costruirla,/non a mutar le leggi del creato”. Per fortuna che nella Sezione del libro intitolata Alberi? Il poeta ci ricorda che le “fornaci” sono “lontane”, e che nel nostro piccolo, nelle parentesi del nostro orto e del nostro giardino, possiamo trovare scorci di paesaggi ed effluvii di profumi, di suoni e di colori, che ci addolciscono l'animo. (Anche se, nel nostro stesso orto-giardino, se osserviamo al di là delle apparenze, ferve la lotta per la sopravvivenza, sia nel mondo vegetale che in quello animale...). In questo libro felicemente riuscito si possono leggere alcune tra le più belle poesie della letteratura contemporanea, singolarmente dedicate a una pianta (ad esempio, Il melo, L'ulivo, Il giaggiòlo, Il castagno, Il pioppo, Il sambuco, Il noce, Il ciliegio, L'ontàno, Il pesco, La ginestra, Il pino fiorito, La rosa Beatrice...). Le piante, e gli alberi in particolare, non sono viste e interpretate come cose inanimate, ma come organismi viventi dotati anche di sentimenti, e anche per questo meritevoli di affetto, cura e riconoscenza. Al trionfo della vita del mondo vegetale si accompagna il trionfo della letteratura, perché Defelice riesce, attraverso l'amore per le piante,
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non solo a spiegare la sua visione della vita umana, ma anche a creare un rapporto miracoloso di solidarietà tra l'uomo e la Natura servendosi di parole, che sono una tipica creazione umana. Di parole e di stili, di forme poetiche diverse. Credo che questo sia uno dei libri più artisticamente validi di Defelice. Mi piace citare, in chiusura, l'ultima parte della Prefazione al volume scritta da Sandro Gros Pietro, acuto scrittore e poeta oltre che editore : “...In questo libro complesso e completo, c'è spazio per tutte le forme della poesia, comprese quelle giocose del Tanka.. Alberi e arbusti, quercus frondosae e humiles myricae, riflessioni esistenziali e minimalia. In un'armonia tra poematico ed epigrammatico che sconfina nell'haiku fulmimante ed evocativo (“Il melo pena/ stracarico di frutti / nella calura”). C'è tutto in questo libro, lungamente accarezzato da Defelice. Fogli e foglie che traducono le vertigini dell'anima. Tra poema omerico e Antologia Palatina.. Tra rabbia e tenerezza. Tra cervello e cuore. Tra letteratura e vita.” Luigi De Rosa
PARLANO I PIOPPI Parlano i pioppi. Un ciarlio continuo nella frescura delle foglie. Racconti son d’amore di passeri e fringuelli. Hanno un’anima i pioppi assai bambina. Li diverte il veloce passaggio della nuvola, l’abbagliante fiamma del sole. È il vento a far loro la più dolce e tenace compagnia: gioca, si diverte finché la luce del giorno non scolora, come nel cuore profondo della notte. Domenico Defelice
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Recensioni ROSA ELISA GIANGOIA: MARGARITAE ANIMAE ASCENSIO (Edizioni Namapress, Alghero/Roma, 2014, € 10 Margaritae Animae Ascensio (L’ascensione dell’anima di Margherita) è il titolo di un oratorio di Rosa Elisa Giangoia che ha per protagonista Margherita di Brabante. A suggerire alla Giangoia l’argomento è stato il monumento funebre scolpito da Giovanni Pisano, i cui resti si trovano attualmente nel Museo di Sant’Agostino a Genova. Veramente la prima volta che ella lo vide (all’ età di nove anni), questo monumento si trovava nelle sale di Palazzo Bianco, dalle quali è stato rimosso in seguito, per dargli l’attuale collocazione. Ma sin da allora l’aveva colpita per la sua forza espressiva che da esso promana: “Il volto di Margherita di Brabante fu per me, nell’ infanzia, la rivelazione della bellezza nell’arte” ella dice nella sua Introduzione al testo; ed è la suggestione di quel volto che ora le ha suggerito di indagare più a fondo nella vicenda terrena di questa donna, che fu figlia di Giovanni I di Brabante e della sua seconda moglie Margherita di Fiandra. Nata nel 1276, sposò nel 1292 Enrico VII di Lussemburgo, il quale fu eletto re di Germania nel 1308 e fu incoronato imperatore in San Giovanni in Laterano nel 1313. L’azione teatrale della Giangoia si svolge a Genova, nella chiesa di San Francesco in Castelletto, dove un gruppo di fedeli si è radunato davanti alla tomba di Margherita, nella cappella principale del coro, alla sinistra dell’altar maggiore. I fedeli esaltano le virtù della sovrana e l’ invocano affinché interceda presso Dio in loro favore (“Margherita, allontana la peste da questa città! /
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Salvaci dalle sofferenze che tu stessa provasti”). A questo punto la scena s’illumina e compaiono due angeli che si situano ai due lati della tomba, ai cui angoli hanno preso posto quattro fanciulle, le quali incarnano le virtù cardinali: Fortezza, Giustizia, Prudenza e Temperanza. Gli angeli invitano Margherita ad uscire dal sepolcro. Essi infatti sono venuti per condurla al cielo: ma prima vogliono, unitamente alle Virtù presenti, che ella racconti la sua vita, affinché possano esaltarla davanti al Signore. Margherita narra così la propria storia, che fu dapprima serena (“Sono stata un’anima alla ricerca di Dio, / vissuta per assolvere i doveri nella gioia”), nel grande castello in cui era nata e nelle cui sale liberamente si aggirava, ma di cui prediligeva il giardino, “dove la fontana gorgogliante / [le] teneva compagnia”. Un evento imprevisto venne però a mutare il corso dei suoi giorni: quello della sanguinosa battaglia di Worringen (5 giugno 1288), vinta dal padre suo, ma nella quale trovò la morte EnricoVI di Lussemburgo. Giovanni I di Brabante volle però pacificare i due stati e per far ciò diede in moglie la propria figlia Margherita all’erede del Ducato di Lussemburgo, Enrico VII, il quale aveva un sogno: quello di instaurare un Impero Universale in Europa. A tal fine perseguì un’accorta politica di legami dinastici, facendo sposare il figlio Giovanni con Elisabetta di Boemia e le figlie Maria e Beatrice rispettivamente con Carlo IV di Francia e Carlo I d’Ungheria. Sempre perseguendo le sue mire di un impero universale in Europa, Enrico VII si fece eleggere re di Germania nel 1308 e partì con la moglie nel 1310 alla volta dell’Italia, per farsi incoronare imperatore a Roma. Margherita ricorda questi eventi e la sua voce assume il tono pensoso della malinconia: “Quando mi sposai era Pentecoste / ed i narcisi bianchi e oro / inondavano i prati della mia terra / … / c’era odore di foglie e di fiori nuovi nell’aria”; “Poi vennero i figli, nella gioia / e per il dolore della separazione”; “Fu bella la giornata di Aachen, fredda, / ma luminosa di luce di buon auspicio, / quando, sul trono che era stato di Carlo, / l’incoronarono con rito solenne / ed anche a me posero sul capo la corona”. Ella sostenne e incoraggiò il marito nella sua opera di pacificazione tra Guelfi e Ghibellini e lo seguì nei suoi viaggi, l’ultimo dei quali fu quello compiuto in Italia, dove entrambi trovarono la morte. Sempre più dolente si fa poi la sua voce nell’ evocare gli eventi che si successero: il valico delle Alpi, l’arrivo a Milano, dove Enrico cinse in Sant’
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Ambrogio la Corona ferrea di re d’Italia; gli incontri con i capi delle fazioni in lotta tra loro; l’ assedio di Brescia e l’atroce morte di Tebaldo Brusati, fatto giustiziare da Enrico. Tutto ciò Margherita rivede come in un sogno, insieme alle calde accoglienze ricevute da lei e dal marito nella città dei Dogi. Ma la morte ormai le era vicina e la colse a Genova, dove era giunta il 21 ottobre 1311. Morì infatti di peste nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1311, in una villa situata lungo il fiume Bisagno, non lontana dal mare. Enrico la seguirà nella tomba a Serravalle, nei pressi di Siena, forse ucciso di spada o forse avvelenato o per febbri malariche, il 24 agosto del 1313, dopo essere stato incoronato imperatore a Roma, in San Giovanni in Laterano. “Così per me si chiuse l’opera del tempo” dice Margherita, mentre gli angeli si accingono a trasportarla in Cielo. Si conclude in tal modo questo oratorio, che evoca con rigore e con notevole resa scenica, una figura di grande rilievo, quella di Margherita di Brabante, la quale per virtù d’arte, ancora torna tra noi. Elio Andriuoli
RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO Il Croco/ Pomezia-Notizie, settembre 2014 All’appuntamento del Premio Città di Pomezia 2014, curato da Pomezia-Notizie, la corona è stata assegnata a Rodolfo Vettorello per la raccolta Voglio silenzio. Premio che è consistito nella pubblicazione di questo agile quadernetto di 24 pagine. Il Poeta veneto di Castelbalbo, esercita la professione di architetto; impegnato in attività culturali letterarie, “Negli ultimi sei anni ha ottenuto 180 Primi Premi assoluti in sezioni diverse di Poesia e Narrativa”. Domenico Defelice, direttore della Rivista ed anima del Premio, nella presentazione individua echi del Gozzano e del Pavese, la volontà di estraniarsi nel contemplare “l’immagine quasi cardelliana della donna”, da lui rispettata. L’incipit è segnato dalla eponima: “Io, d’ogni cosa solo l’essenziale./ È quiete intorno/ come se fossi un monaco ed avessi scelto il silenzio.”; versi effettivamente succosi, che si concludono con il suo silenzio, poiché ha consumato le parole, perciò conclude ammettendo: “Per il commiato/ mi resterà il saluto della mano.” Il resto dei componimenti segue di conseguenza, come, per es.: “Io che ti guardo ma non so parlarti”, oppure “più d’ uno ti prendeva ed io incosciente/ ti accarezzavo
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appena”. Sembra che il Poeta ami l’immagine della donna e forse, chissà, il suo amore è talmente idealizzato che non riesce a varcare la propria pelle; chiuso in sé, non chiede alcun salvagente, si lascia languire. L’idea della morte gli richiama la dipartita di una sorella, spingendolo a chiedersi quale sia il senso della vita. Trova il suo habitat nel silenzio tombale, interloquisce in un muto dialogo con le lapidi; non prova illusioni. D’un tratto sembra uscire dal torpore, dedica una poesia a Gianna Nannini, la quale ha saputo trovare il senso della sua vita e la invoca: “Fammi l’amore”. Un elemento frequente che incontriamo, è l’ acqua del mare che l’accoglie come se egli fosse un fiume, mentre le città gli appaiono vuote e senza senso; e, come un legno, si lascia trasportare dalle onde. Ma, come un fiume, Rodolfo Vettorello, trascina con sé residui della memoria: il padre che cenava “senza alzare il capo,/ la mamma per servire non sedeva,” ed altri parenti sostituiti ora dal vuoto. Qualche volta la rima, quasi impercettibile, blandisce il velo di nostalgia che avvolge i suoi ricordi. La sua formazione professionale gli suggerisce asintoti di una “iperbole d’amore” o il punto di fuga della proiettività di una conica. Infine annega tra profumi di un antico giardino. Ha fatto la sua scelta di silenzio. Tito Cauchi
LORENZO SPURIO NEOPLASIE CIVILI Edizioni Agemina, Firenze 2014, Pagg.64, € 10,00 Lorenzo Spurio (classe 1985) nativo di Jesi (Ancona), di formazione umanistica, organizzatore di eventi istruttivi e impegnato in molteplici attività culturali, quali reading; autore di narrativa, adesso approda alla poesia esordendo con Neoplasie civili. La prima impressione che ho avuto all’impatto, è stata quella di mettere in relazione il cognome dell’Autore ed il titolo della raccolta, detto ciò senza allusione malevola. Iuri Lombardi, nella bandella di copertina, parla di poesia-contenuto mirante al messaggio senza gravame moralistico, libera da vincoli formali; in esergo un aforisma di Franco Matacotta, del quale un brano recita: “Siamo accecati d’odio e di dolore”; mentre Ninnj Di Stefano Busà, nella prefazione richiama l’attenzione sulla polimorfia delle parole che il Nostro usa; queste idee danno delle indicazioni e ci lasciano riflettere, ovviamente rimettendo al lettore la verifica.
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Uno sguardo ai soli titoli lascia presagire un mondo malato, malato di neoplasie, di quel male così temuto che sta distruggendo il mondo, la terra e la società. Lorenzo Spurio, come un medico osserva gli avvenimenti nel mondo, che attanagliano gli uomini, mandandoli alla deriva. Questa è poesia di denuncia, chiara e senza mezzi termini, e la metafora ha la funzione di allentare la tensione delle descrizioni; il Poeta somatizza mille vite di protagonisti, osservatori e vittime delle sofferenze, che sotto il peso chiudono gli occhi o per paura o perché si muore o perché ci si vorrebbe illudere che così non è. E allora il linguaggio si carica di significato pregnante, generalmente posandosi su personaggi leader politici nazionali e stranieri, su massacri e guerre civili, o di cronaca, come si vedrà più avanti. Così osserva, il Poeta: “Ho visto un bambino/ con strani lividi al volto/ e ho compreso perché il mare/ fosse purpureo.” (pag. 30, Ho compreso perché); la sua visione si allarga a tutto il mondo e commenta: “Quelle pietre perfette/ assorbivano sangue/ diventando tumori in metastasi.// …/ Alla nuda frontiera del mondo/ impavidi cecchini sparavano,/ uccidendo soldati amici.” (pag. 35). Giudica quanto siano guastati i rapporti fra le persone, il rispetto umano venuto meno, come nel femminicidio di Fabiana, accoltellata e bruciata ancora viva. Constata le centinaia di morti naufragati che scappano dall’Africa e dai Paesi dell’Est per un tozzo di pane; e se non si muore di questo allora si muore falcidiati in incidenti stradali. E, più vicino, in casa nostra, considera il contratto di lavoro, i manifestanti delle piazze. Tutto ciò esposto, credo che abbia verificato quanto di spettanza, che viene confermato dalle note espresse in appendice, con la lettera di Corrado Calabrò che ne sottolinea le immagini vive; e con la nota critica di Cinzia Demi, la quale coglie nel segno gli stati d’animo nei loro momenti come quadri, richiamando l’etica storica di Saba, Caproni, Montale, Sereni; sulla poesia che si fa prosa per quanto sia fluida, come per es. in Pasolini, Giovanni Giudice e lo stesso Sereni; Spurio si fa partecipe della società contemporanea, così il suo sguardo si posa su, per es., la tomba di Lady Diana; denuncia i mali della società nel mondo come il J’accuse di Calvino. Lorenzo Spurio, mi piace supporre, che opponga alle Neoplasie sociali, la voce che ci è rimasta di Battisti, Infine dichiara di chiedere perdono alla terra osservando come “Poco più in là, Atropo/ scorciava fili senza pietà/ e stanca / si reggeva ad un fuso/ impolverato.” Tito Cauchi
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ROSSANO ONANO – DOMENICO DEFELICE ALLELUIA IN SALA D’ARMI, parata e risposta Il Convivio, Castiglione di Sicilia (CT) 2014, Pagg. 48, € 6,00 Alleluia in sala d’armi, parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice, è raccolta degli epigrammi a modo di schermate e rampogne alla società civile da parte del primo, e di stoccate di rinforzo del secondo, che essi si sono scambiati in ventisei mesi su Pomezia–Notizie, da aprile 2012 ad aprile 2014. Hanno dato vita ad una rubrica e oggi a un teatro di ventisei pièce che sono testimonianza da parte di due osservatori che non fanno sconti, usando un lessico mirato e provocatorio; non per niente in copertina sono rappresentati un elmo, una spada e uno scudo. La prefazione è di Giuseppe Leone, il quale spiega le ragioni della dismissione di tale appuntamento, ugualmente espresse dai due autori. Onano dichiara di avere guardato l’immagine di un bambino vestito da Papa dato in braccio allo stesso Papa Francesco. Defelice in risposta, spiega all’amico, le ragioni che lo portarono a dismettere dal dipingere, quando assistette al “codazzo” al seguito del Presidente Pertini, nella penosa situazione del pozzo che inghiottì Alfredino in località Vermicino (nel 1981). Angelo Manitta, l’editore, infine, in quarta di copertina, dà un tocco classico facendo riferimento a Quintilio (I sec. d. C.) a proposito della satira. Ad ogni buon conto preciso che Domenico Defelice da alcuni anni dava punzecchiature a dritta e a manca, sulla rivista da lui diretta, prendendo spunto da eventi interni od anche da quelli di risonanza internazionale, chiamando, gli epigrammi, “Alleluia”; a tali battute o “pasquinate”, ha dato manforte Rossano Onano, interrompendo di colpo, per le ragioni di cui si è detto sopra. Ecco quindi che i due autori fanno un derby, riproponendo in concentrato, le battute che si sono scambiate, intendendo con il titolo le canzonature dell’ospite e le risposte del direttore. Due autori penetranti, inclini ad interessarsi a questioni sociali; diciamo sinteticamente, uno in maniera mordace, l’altro in maniera umoristica. L’ analisi del linguaggio, mette in risalto gli aspetti dello specifico genere letterario (p. es. parodia, sberleffo, irrisione, ironia, sermone), che la società non si fa mancare e che, purtroppo, oltre che fare indignare, mette tristezza (al sottoscritto). Perfino il proverbiale uomo della strada sarà stufo del malcostume che serpeggia ovunque. Troviamo di tutto: dal salotto televisivo (non importa di quale canale), alle femministe di casa nostra e a quelle
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della Somalia; dalle manifestazioni dei gay, sostenute dalla Sinistra, la quale, a detta loro, non si mobilita per es. per le marocchine stuprate, agli stipendi d’oro e ai vecchietti abbandonati in case di cura; ai giovani propensi ad insegnare agli anziani, ma a loro volta non disponibili ad apprendere il vissuto dai più grandi, e così via; molto ci sarebbe da aggiungere se ci si soffermasse su ciascuna pagina. Il malcontento sta saturando la società civile, come Trilussa raccontava; il sottoscritto, terra terra, osserva che Pulcinella ridendo e scherzando diceva la verità. Direi che se Rossano Onano, osservando, semina rampogne; Domenico Defelice, raccogliendole come provocazione, vi tesse versi. Forse con Alleluia in sala d’armi, parata e risposta, essi hanno voluto erigere un monumento (come quello di Pasquino a Roma) per non disperderne il senso e questo è sempre positivo perché arricchisce il confronto delle idee. Personalmente dico che avere letto le battute alla prima apparizione, è stato sufficiente a mettere in sommovimento lo sdegno; adesso leggerne in concentrato, centuplica la rabbia e mette in conflitto con se stessi, e questo può giustificare l’intento, civile, degli Autori. Penso che capiti che si venga folgorati da una emozione particolare, che faccia smettere un’ attività, qualunque essa sia: fastidio misto a malinconia in Onano, esecrazione mista a pena in Defelice; in entrambi v’è un sentimento conflittuale che non poteva lasciare loro, fare finta di niente. Hanno scelto di rendere partecipi, del proprio disagio, il lettore, ciascuno con una propria motivazione, ribadita nella prefazione di tre fitte pagine. Rispettabili sono le cinque pagine dei curriculum dei due autori, destinati ad accrescere. Tito Cauchi
LUIGI DE ROSA IMPERIA TOGNACCI E I SUOI POEMI IN POESIA E IN PROSA Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2014, Pagg. 264, € 20 Dev’essere stata una vera ma bella fatica, quella di Luigi De Rosa, nel mettere insieme le circa 130 note critiche da parte di un centinaio di Autori a 14 opere (di cui due inedite) tra poesia e prosa, sì da darvi corpo organico con il titolo Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa. Il nostro autore è ligure, d’origine partenopea, e di vasta esperienza professionale (docente, preside, provveditore agli studi, sovrintendente scolastico, giornalista); la dedicataria della monografia è romagnola di San
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Mauro Pascoli, romana di adozione, per l’ insegnamento a seguito di concorso magistrale; entrambi sono scrittori apprezzati e ampiamente presenti nelle riviste e nelle rassegne culturali. Due persone che possono considerarsi emblemi della cultura nazionale. Il libro si compone di due parti, una per la poesia in 10 capitoli, una per la prosa in 4 capitoli, pur riconoscendo un flusso unitario creativo; ciascun capitolo è dedicato ad un’opera. Luigi De Rosa, segue una struttura portante, introducendo la singola opera, a volte ampiamente, altre volte brevemente, facendone seguire i vari interventi. A volte presenta il direttore talent-scout o il critico famoso, il recensore tale o tal altro; questo modo alterna movimento e pausa, e dà respiro per un momento di riflessione, rende l’opera non monotona; partecipa con particolare interesse, segno della cura dedicata all’opera. Evito di citare gli Autori per non fare torto a nessuno; altresì, evito di fare altre citazioni, che pur meriterebbero, per non rischiare di sembrare “fumoso”. Luigi De Rosa dichiara di avere generalmente stralciato parti di note recensive, per ridurre ridondanze ed anche per ragioni di spazio; perciò come un maestro, dirige un’orchestra o un coro di voci, riuscendo ad armonizzare l’insieme, tanto di brevi interventi, quanto di più ampi. I giudizi si susseguono prescindendo sia dall’ordine alfabetico degli Autori, sia da quello cronologico; mentre gli accorgimenti espositivi ne alleggeriscono la lettura e risultano coinvolgenti. Qualche ripetizione si presenta inevitabilmente (come avverte lo stesso autore a pag. 136), d’altronde se così non fosse, sarebbero bastati pochi fogli, poiché è unanime il consenso dei recensori; nondimeno le pagine scorrono con il sapore della freschezza e della convivialità. Il Nostro durante l’esposizione spiega le ragioni sulle scelte operate e, diciamo in senso lato, pure alcuni elementi teoretici. Imperia Tognacci deve considerarsi fortunata di essere nata in una località incantevole e di vivere nella Città Eterna: luoghi ricchi di stimoli. Lei fa suo il percorso poetico e umano del suo illustre concittadino, Pascoli, divenendone strenua sostenitrice, facendolo oggetto di studio e facendone rivivere il mito del fanciullino. E come per simbiosi, rivisita ed interpreta il mito dell’antica Grecia, badando di non abusarne; affronta pure temi religiosi e dei propri affetti. Le sue creazioni, in versi come quelle in prosa, non si limitano alla singola composizione o al racconto, ma sono concatenati così da costituire dei quasi-poemetti o poemi veri e propri. La parola della Scrittrice è sempre poetica, affabulante e coinvolgente, anche grazie alle metafore
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che le suggerisce la natura, che usa sapientemente. Metafore che ricoprono la sua fragilità, il trapasso attraverso le stagioni; la nostalgia, la religiosità, le contraddizioni della società, l’impronta della sua terra e della sua famiglia, soprattutto della sorella Diva. Si rivivono emozioni nel recupero della memoria “come metodo di ripercorrere e interpretare la propria vita e le proprie esperienze letterarie e artistiche” (come osserva il De Rosa a pag. 200), che permeano segni autobiografici, all’insegna di un romanticismo spirituale, fatto cioè di sola purezza interiore. I critici pongono l’accento, in particolare sull’ espressione della parola usata con garbo, trasmettendo fiducia come di un inno alla vita; evidenziano la semplicità di linguaggio, lontano dalla magniloquenza, pur affinato nel tempo; l’io che si fa altro da sé, è sempre in un eterno presente. Il volume Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa, di Luigi De Rosa, meritava di vedere la luce. Le opere (edite, tutte da me recensite), hanno titoli misteriosi e accattivanti, hanno pregi indiscutibili che, grazie alla loro diffusione, i critici hanno potuto rilevare e fare cassa di risonanza. Tito Cauchi
AURORA DE LUCA CELLULOSA Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 La cellulosa che dà origine alla carta è vita per la poetessa Aurora De Luca. Grazie ad essa lei ha trovato il modo di comunicare i suoi stati d’animo e di renderli vivi perché scritti, fermati su carta. Non solo: grazie alla penna e al foglio li ha resi immortali, pronti ad essere tramandati di lettore in lettore. La raccolta “Cellulosa”, pubblicata su Il Croco di novembre 2014, è un omaggio alla natura che le permette di continuo questo scambio di emozioni e sensazioni, ma anche alla sua vena poetica. Osservando la realtà che la circonda la De Luca non solo la descrive, ma riesce anche a descrivere se stessa, il suo umore, la sua voglia onnivora di scrivere. Ad un certo punto, infatti nelle liriche, c’è una bellissima immagine: “Un muro bianco, prima riva porosa, e su di esso un’impronta di mano, inchiostro venoso”. Un amore a prima vista, insomma, tra lei e il foglio bianco, che grazie alle sue capacità descrittive, come se fosse in un quadro, riesce ad essere vergato dall’inchiostro attraverso l’uso della mano, guidata dall’anima. La De Luca è parte integrante della natura stessa che la circonda e da essa si nutre, il suo corpo una volta è in fioritura, una volta è materia poetica, una volta la schiena del cie-
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lo ed anche una città di carne ed un frutto sfatto. E’ ansia e voglia di conoscenza, verso la luce della vita. Scrivere significa comunicare con l’esterno, ma anche comunicare con se stessi, saper cogliere le proprie intime sensazioni e la De Luca ci riesce benissimo Roberta Colazingari
ANDREA PUGIOTTO IL MIO ZIBALDONE Associazione Culturale Noialtri, Messina, 2012 Questa antologia personale di Andrea Pugiotto si divide in varie sezioni: Scritti, Poesia, Recensioni, Articoli, Grafica, Illustrazioni, Copertine, Copertine Ass. Culturale Noialtri. Come scrive nella Prefazione, Teresa Regna: " Spazia tra svariati generi e, giocoforza, stili alquanto differenti, sia pure con l'impronta dell'Autore ben chiara e stagliata sull'intera opera." Nella maggior parte dei casi si tratta di una scrittura piacevole, scorrevole la quale trova spazio toccando soggetti interessanti, attuali. A volte il Nostro evade dalla realtà, cerca nuove dimensioni senza però perdere la morale del racconto o della favola. Non importa quale argomento viene trattato, Pugiotto mantiene sicuro equilibrio evitando di cascare sulle spine. Indovinata la novella "Esagono" dove i sei amici si recano al Night Club per incontrare la Wonder Woman in persona! I giovani desiderano scoprire il mondo e si gettano in qualsiasi mischia onde provare le emozioni, i piaceri e pure, a volte, le delusioni. Molto interessante, a nostro avviso, l'articolo "Pinocchio: libro dei misteri e delle contraddizioni". Chi non consce la storia di questo burattino creato da Collodi? Pugiotto scrive che: "L'ingenuità, la fiducia di Pinocchio nei due lestofanti, che scoprirà ipocriti solo nel XIX cap., è la tipica fiducia dei fanciulli nei confronti del mondo, con tutti i sogni e le ingenuità tipiche dell'infanzia. E allora, una cosa così naturale, semplice e spontanea non può che fare a pugni con la dialettica di cortigianesca maniera sfoderata dal Nostro per indurre Mangiafuoco a recedere dal suo proposito." In fondo, ogni monelleria si espone alla critica. Pinocchio non fa eccezione! Certo, lasciandoci andare agli echi, a certa mania catalogatrice, l'argomento potrebbe apparire improprio ad alcuni lettori sprovveduti. Il Nostro entra anche nei vicoli bui e con poca luce fa ritorno a casa col sorriso sulle labbra contento del suo Zibaldone. Troviamo piuttosto piccante la novella "Fratellone e fratellino!" Cosa fanno, tra le altre cose, Gian e Gigino? Racconta l'Autore: "Al tramonto stanchi e felici, tornarono all'albergo,
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ove fecero un altro bagno insieme (e il Re rimase a leggere di là) e un'ottima cena, e poi dormirono insieme nel morbido lettone, abbracciati stretti l'uno all'altro, il fratellone e il fratellino, immagine stessa della felicità." Bene, da una materia così fatta, dalla quale le mani del Nostro potevano addirittura toccare l'oscenità, sa elevarsi a un'atmosfera più alta, quasi spirituale, trasfigurata e pure purificata dalla naturalezza dell'erotismo passionale. Pugiotto, scrittore sanguigno, sensuale e mosso dall'accortezza de sensi. Ne apprezziamo, sinceramente, la freschezza e la forza di lingua, evidenza descrittiva e sobria di Andrea Pugiotto, autore aguzzo de "Il mio zibaldone." Leggendolo, scopriamo tanti riflessi dentro lo specchio della vita. Mariano Coreno
MASSIMILIANO VOLPATO LA CARNE, IL DOLORE, L’ANIMA poesie - Zanotto Editore 2013 Questa silloge dell’Autore trevigiano riverbera il ragionare di un poeta post moderno laddove l’ argomentare lirico, spesso impervio, non comporta una vera costruzione della strofa con l’effetto di annullare ogni relazione tra le cose, di renderle equivalenti, non ordinate secondo un fine. Massimiliano Volpato ricava dal quotidiano la musica dissonante del dolore, la sua onda cupa di risalente deriva segnata dalla tragedia automobilistica che sconvolse i suoi sereni 11 anni di adolescente spensierato. Quindi la scelta della poesia diventa per lui contatto estremo con la quotidianità, intrisa di quell’ irriducibile nucleo allucinatorio che si nasconde sotto la pellicola del reale poiché la via del reincantamento non passa dalle stagioni del sublime ma dal trasporre in modo preciso ma non enfatico la corporeità. Il poeta trevigiano non domanda alla poesia né formule né sillabe storte e secche ma cerca di liberarla dall’imperio del solipsismo e della deontologia esistenziale, praticando la scrittura come uno strappo nel tessuto della rappresentazione e come chance erratica ed erotica di reinvenzione dell’ esistente, non lasciando mai riposare il testo bensì commissionandogli il tormento dei suoi sogni e della sua disperazione. Materia, tutta questa, meritevole di più approfondito studio magari attraverso una monografia dedicata alla sua opera edita ed inedita. Gianfranco Cotronei
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TITO CAUCHI MICHELE FRENNA Nella Sicilianità dei mosaici a cura di Gabriella Frenna - EdiAccademia, Isernia, 2014 - 192, e. f. c. All’artista agrigentino, morto a Palermo il 5 ottobre 2012, sono state dedicate, negli anni, diverse monografie, oltre articoli vari e inserimenti in antologie e enciclopedie. Questa di Tito Cauchi ha il pregio di essere quanto più possibile esaustiva, perché, in modo esteso, o, almeno, con una paginetta, tocca tutti gli scritti più importanti dedicati all’illustre mosaicista. Si incontrano, così, oltre alla figlia Gabriella Frenna, che si è interessata molto dei mosaici del padre, scrittori come Vincenzo Rossi, Carmine Manzi, Orazio Tanelli, Antonio Angelone, Giuseppina Maggi, Sandro Serradifalco, Anna Maria De Vito Scheible, Renza Agnelli, Giovanni Campisi, Leonardo Selvaggi, Tonino e Carolina Citrigno eccetera, ognuno dei quali è investigato, a volte, anche meticolosamente, con il riporto di brani per meglio evidenziare i contributi critici nei confronti di questo artista che, nell’umiltà e nel silenzio, ha saputo rivoluzionare l’arte del mosaico, “rinnovandone la tecnica - come afferma Vincenzo Rossi - e rendendola del tutto autonoma nei confronti delle altre arti figurative”. Assemblando pezzi che Cauchi ha pubblicato volta per volta su varie Testate, era inevitabile che si verificasse - raccogliendoli - più di una ripetizione; neo che si nota appena, perché Cauchi si fa apprezzare e attrae per la ricognizione, a volte capillare, ed il linguaggio lineare, privo di enfasi. Pessime - da indurre alla rabbia - sono, però, le riproduzioni delle fotografie dell’artista e dei suoi mosaici. L’Editore, che pure ha stampato buoni lavori, in questa occasione ha procurato un cattivo servizio all’autore del libro e più ancora all’artista trattato. Domenico Defelice
RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Io, d'ogni cosa solo l'essenziale. Già molto è stato scritto su Rodolfo Vettorello, sulla sua grande poetica. Scriverò io in maniera personalissima circa “Voglio Silenzio”, vincitrice del Primo Premio Città di Pomezia 2014.
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E' questo uno scritto di assonanze e silenzi, dove le parole agiscono come in specchi dentro a specchi: si ripetono, si richiamano, risuonano, si ritrovano. Il lettore -io- segue lo stesso percorso delle parole: va a ricercarsi nudo, senza abiti, lì dove la parola torna a ridirsi; lì in quel punto si è muti, porosi come spugne di mare a tramutare il fragore in armonia. I miei occhi hanno potuto vedere paesaggi belli, appena coperti della polvere di campagna, toccati da raggi che hanno sconvolto la loro natura, da inverno ad estate in un attimo “tu mi trafiggi con un solo sguardo/ come fa il sole con un solo raggio appena. [..] Io che rimango, solo in apparenza,/ lo stesso ch'ero a un attimo soltanto.” Ho avuto anch'io voglia di richiedere silenzio “Voglio restare, quando voglio, muto” e di amare i tempi piccoli, quelli che si dileguano appena in un attimo; anch'io sono stata con la voglia di piangere piano per far più forte urlare il silenzio del mare, anch'io con la consapevolezza d'essere piccolo fiume che si sperderà nel mare. Mio è stato “l'appuntamento, il luogo di un incontro/ che s'allontana/ se lo sto inseguendo”, felicità umane alte e luminose come fuochi d' artificio, che lasciano presto tutto lo spazio al buio. Le mie orecchie sono state avviluppate da suoni ventosi, sussurri di melanconia provenienti dal precipizio, come provenienti da quei tempi brevi di giovinezza. “Voglio silenzio” è da leggere -per come m'è piaciuto fare- più che in silenzio, nella mente. Lì farà “fragore di silenzio”. Aurora De Luca
RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO (1° Premio Città di Pomezia 2014) - Ed. Il Croco, i quaderni letterari di Pomezia-Notizie, 2014 L’architetto scrittore Rodolfo Vettorello, ideatore di premi letterari, in possesso di uno splendido curriculum, è personaggio molto noto nell’agone letterario. Questo Croco si aggiunge alle numerose sue opere già pubblicate. Dice Domenico Defelice che c’è tanto male di vivere nella raccolta. Già dalla prima lirica, avvertiamo un desiderio di calma, d’isolamento, di semplicità, in contrapposizione alla frenesia della civiltà moderna. Affiora il ricordo dell’amore dei vent’anni nell’atmosfera romantica dei Navigli; è palpabile la malinconia del mare in autunno che accompagna le paure del poeta. La silloge è un elogio della quiete: “Amo la vita che non fa rumore, / i giochi che si fanno nel silen-
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zio, / il conversare sottovoce come / per confidarsi pene.” Come si nota in questo alternarsi di endecasillabi e settenari, una musica dolce attraversa le liriche. Una natura semplice, fatta di colline bionde di stoppie, di strade polverose e di voli di rondini è lo sfondo più idoneo per questa poesia dolente, ove domina un senso di solitudine e di vuoto. Vettorello è maestro nel rievocare scene d’interni, con la sua famiglia intenta al rito della cena, mentre un profumo gli riporta i discorsi sulla Belle Epoque o il mistero di una villa dove si apriva: “Di là dal muro un mondo ignoto / e una pergola fitta che profuma / di gelsomino”. La conclusione della lirica intitolata “Concentrici nell’acqua” nella sua pensosità mi sembra ci dia il timbro giusto per comprendere questo poeta. “La vita lascia tante cose dentro, / qualche sorriso e a volte un po’ di pianto: / basta aspettare si consumi il tempo. / A farci compagnia solo il rimpianto”. Elisabetta Di Iaconi
ROSSANO ONANO-DOMENICO DEFELICE ALLELUIA IN SALA D’ARMI PARATA E RISPOSTA Il Convivio, 2014 Il botta e risposta tra Domenico Defelice e Rossano Onano, iniziato sulle pagine di Pomezia-Notizie nel 2012, ora si è interrotto. Resta, però, questo volumetto che, oltre ad evidenziare le capacità satiriche dei due scrittori, conserva tutta l’amarezza per i fatti accaduti in un’Italia decadente, sfasciata, povera di senso morale. Ogni episodio sarebbe da citare, per comprenderne il carico di scoraggiamento che ha provocato nei due personaggi. E cosi, rievocando una scena del salotto televisivo di Mara Venier, si ricorda Celentano che parla di Dio; c’è l’Irpef tricornuta inventata da Monti; l’Imu pagata dai vecchietti in casa di riposo; le funeree foto alla Costa Concordia semi affondata sull’isola del Giglio; il paradosso delle pari opportunità che ha privilegiato il gentil sesso negli uffici della provincia di Reggio Emilia; la crisi dei matrimoni, derivante anche dall’eterno assegno divorzile; i trionfi di Brent uno scimpanzé artista che dipinge con la lingua; i guai della Protezione Civile confrontati con l’efficace abitudine di Don Camillo che suonava le campane per annunciare l’esondazione del Po; i travestimenti di Hollande per incontrare l’amante. Ho citato solo alcune delle stoccate in prosa e in versi di questi satirici “Alleluia” che, con stile davvero originale, costituiscono una sorta di diario del-
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le stranezze sorte nei tempi difficili di questo inizio di secolo. Elisabetta Di Iaconi
TITO CAUCHI PALCOSCENICO Editrice Totem, 2014 Per Tito Cauchi, poeta di Gela che vive a Lavinio, il palcoscenico è la vita dove tutti noi “recitiamo un copione”. Corposo è il suo curriculum. Ha pubblicato numerose sillogi poetiche, una monografia e saggi critici. E’ incluso in varie antologie e nel dizionario biobibliografico degli autori siciliani. Collabora ad alcune riviste. E’ presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini. Il volumetto, prefato in modo impareggiabile da Gianfranco Cotronei, comprende oltre cinquanta liriche, dal contenuto profondo, pervaso di dolore esistenziale. Il poeta confessa di essere “fatto di mille opposti” che solo la sua sposa conosce. In ogni lirica si avverte una celata sofferenza, anche in quelle di viva attualità, come “Miti moderni” ed “Ecogeo”. Molto spesso vengono affrontate tematiche inerenti ai popoli in guerra. “Fischia il treno, fischia un vagabondo / fischiano le bombe, fischiano sciabole / ma la mia bocca non fischia più / il mio corpo non sente più”. Altri versi hanno un andamento più lirico come in “Fruscio d’alberi”. C’è un fil-rouge in questa raccolta: un amore sviscerato per la poesia, per la pace, per la comprensione reciproca. Affiora qua e là anche la nostalgia per il tempo passato. Molto significativa in questo senso è la poesia “Filari di viti”. Altro tema è la sottile esaltazione della figura femminile. Tutta la costruzione dell’opera si conclude con tre poesie malinconiche e pensose sulla fine dell’ esistenza umana: “Vorrei un po’ di sole / un po’ d’amore / un po’ di te / prima di morire”. Su tutti i versi di Cauchi aleggia un senso di abbandono e di fragilità. Elisabetta Di Iaconi
LUIGI DE ROSA IMPERIA TOGNACCI e i suoi poemi in poesia e in prosa Edizioni Giuseppe Laterza, 2014 - Euro 20,00 Per i tipi di Laterza lo scrittore Luigi De Rosa ha prodotto un eccellente saggio monografico sulla versatile poetessa-scrittrice di San Mauro Pascoli, ben conosciuta nel mondo delle lettere. L’autore
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non trascura neanche di commentare una silloge della Tognacci, rimasta tuttora inedita, ma “già portatrice di un’eccezionale maturità poetica ed esistenziale”. Prosegue con l’esame di “Traiettoria di uno stelo”, poemetto pregno dei “temi essenziali del mondo intimo e creativo della poetessa”. La memoria nostalgica dell’amata Romagna domina la scena. E’ completo l’elenco dei critici che hanno recensito l’opera (Iemma, Squarotti, Nigro, Fiumara, De Napoli, Ciccia, Scarselli, Selvaggi, Lalli, Landolfi, Defelice) tutti conquistati dalla “mitizzazione del passato” presente nelle liriche. Nei capitoli successivi il De Rosa si sofferma su altre sillogi come “La notte di Getsemani”, poemetto di ispirazione religiosa che presenta un Gesù Cristo del tutto inedito. Anche per questo libro vengono riportati significativi giudizi critici (Affinito, Mosele, Anziano, Cauchi etc). Stessi riferimenti troviamo per “Natale a Zollara”, libro splendidamente prefato da Pasquale Matrone (con note di Simonelli, Lorenza Rocco, Lepre, Andriuoli, Aita ed altri già citati). Si prosegue con “Odissea pascoliana”, una serie di composizioni sul grande poeta conterraneo dell’autrice, apprezzate da numerosi critici (Chiodo, Bartolini, Andolfi, Manitta, Montalbano, Nasillo etc). Il libro è un raro contributo alla vasta storia critica sul poeta di San Mauro. Ed eccoci alla successiva silloge: “La porta socchiusa”, prefata da Mario Landolfi. Si riportano numerosi pareri qualificati (tra cui quello di Silvano Demarchi, Sandro Gros-Pietro, Carmine Manzi, Susanna Pelizza). Frutto dei viaggi intorno al mondo della Tognacci è poi “Il prigioniero di Ushuaia” (con pareri di numerosi critici tra cui Malacrida, Esposito, Galasso etc). L’elenco nutritissimo prosegue con “Il lago e il tempo”. Tra i pareri espressi quelli di Sandro Angelucci, Vittoriano Esposito, Caracciolo, Castellani. Vede poi la luce “Il richiamo di Orfeo” con magistrali note introduttive di Francesco D’Episcopo e recensioni di Pardini, Valentini, Luzzi. Esce poi un nuovo poemetto: “Nel bosco sulle orme del pastore” con postfazione di Giuseppe Laterza. Segue ”Là dove pioveva la manna” dattiloscritto inedito ispirato in un viaggio in Giordania. De Rosa ha scelto di riunire alla fine del saggio i libri in prosa della Tognacci che sono stati ideati tra un’opera di poesia e l’altra. Uno di questi è “Giovanni Pascoli la strada della memoria”, uno studio accurato sul poeta. Come sempre, infinite e qualificate recensioni critiche hanno arricchito l’opera. Cosi pure per “Non dire mai cosa sarà domani” che Renata Laterza definisce “tante storie di donne, storie bellissime per donne bellissime, bellissime den-
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tro”. Splendido il romanzo “L’ombra della madre”, saga familiare che si snoda tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento (recensita tra gli altri da Antonia Izzi Rufo, da Daniela Monreale, da Pietro Seddio e dalla sottoscritta). “Anime al bivio”, romanzo inedito sulla vita monacale, chiude l’ ampia rassegna curata da Luigi De Rosa. Questo saggio è completo in tutte le sue parti; è un’antologia biobibliografica dedicata a una scrittrice tra le migliori in questo momento in Italia. Nulla è stato trascurato, per esaltare in modo adeguato le splendide qualità letterarie di Imperia Tognacci. Un lavoro egregio che colpisce l’attenzione del fruitore per la precisione, la scorrevolezza e l’ impegno non comune dimostrato. Elisabetta Di Iaconi
TITO CAUCHI MICHELE FRENNA nella Sicilianità dei mosaici a cura di Gabriella Frenna – Edi Accademia Isernia, 2014 Questa accurata monografia, completa come una tesi per tutti gli aspetti trattati (biografico, bibliografico, iconografico e documentario) prende le mosse da una visita memorabile fatta dall’autore nel 2008 al mosaicista nella sua casa-studio di Palermo. Sull’artista (scomparso nel 2012) hanno disquisito critici di valore (Antonio Angelone, Vincenzo Rossi, Domenico Defelice, Leonardo Selvaggi, Orazio Tanelli) i cui saggi Cauchi puntualmente ha inserito nell’opera. Ci colpisce sapere che il Frenna si accostò all’arte musiva nel 1973 in età matura, dopo il pensionamento dal Corpo della Guardia di Finanza. Per la sua tecnica e per i suoi soggetti, che spaziano dal paesaggio al ritratto, ai temi religiosi, acquistò ben presto grande notorietà. La rivista “Pomezia-Notizie” si è più volte soffermata su questo artista e sulle pagine che la figlia Gabriella ha dedicato al padre, la cui “sicilianità” è alla base di una forte ispirazione. Anche gli avvenimenti della sua esistenza (come il dolore per la perdita della giovane figlia Rosanna) hanno lasciato il segno nelle sue opere. Esse sono, in ogni modo, un crogiuolo di temi: mitologici, di cultura popolare, onirici, metafisici. Sfogliando il libro si possono gustare numerose riproduzioni dell’opera frenniana che ci comunicano bellezza, serenità, senso di poesia e spiritualità. Pregevole, dunque, questo lavoro di Tito Cauchi su
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Michele Frenna, un mosaicista di valore che non può essere dimenticato. Elisabetta Di Iaconi
ANDREA PUGIOTTO IL MIO ZIBALDONE Antologia Personale In copertina: disegno dell’Autore - Ed. Associazione Culturale Noialtri, 2012. € 15.00 Ci pregiamo annunciare, che finalmente fa mostra di sé, nella biblioteca dell’A.L.I.A.S. un meraviglioso libro del Dott. Andrea Pugiotto “IL MIO ZIBALDONE” un dono prezioso del nostro grande Scrittore, Poeta, Artista, Fumettista, ecc. ecc. un libro ricco di ogni espressione letteraria pagina dopo pagina. Un gioiello da tenere stretto al cuore e custodirlo nei meandri dell’anima, rileggerlo spesso, per gioire ogni volta delle forti emozioni che regala ogni suo racconto, vicende vissute che compongono interessantissimi madrigali, ogni sua poesia, stille di luce, ogni sua recensione, ogni suo articolo, ogni sua pittura, ogni suo disegno, ogni suo fumento, bellissime anche le copertine dei libri, sono un vero Zibaldone d’Arte magica, un miscuglio di delizie, che attrae il lettore e lo sprona a ricominciare, per gustare ogni componimento con più tenacia, e rivivere le sensazioni uniche, che il nostro prolifico Autore elargisce, a chi ha la fortuna di leggere e ammirare le sue creazioni. Un libro di un autore semplice, sensibile, serio, infaticabile, esemplare, preparato, con un grande cuore e una mente attiva e infinita che abbraccia l’ universo letterario, con la verve che non finisce mai di stupire. Ogni sua creazione è indelebile, i suoi pensieri si sfaldano suoi fogli in una piramide di filigrana, che emana raggi luminosi in un contesto di note in do maggiore, in un concerto di musica soave per tutti i gusti. Una miniera di puri sentimenti che riesce a legare i suoi lettori alle pagine, colme di meraviglie in ogni senso. Ogni suo pensiero è un dono divino: “IL MONDO ED IO” – Cento volti, mille volti/ non fanno una folla,/ ma una solitudine di gruppo. /Io ho un solo volto/ e mi perdo tra la folla, / ma nel mio cuore/ celo un intero mondo. – Pagg. 78. Versi stupendi che regalano amore, così i suoi racconti, i suoi articoli, le sue recensioni, così ogni grido della sua anima, ricca di solidarietà, di bontà, di ricchezza di immagini e di pensieri in volo, per atterrare in ogni dove, anche nella lontana Australia, che ama l’Italia e i suoi artisti di ogni genere.
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Il nostro simpatico Autore, Andrea Pugiotto, con tutto il suo entusiasmo, è arrivato tra noi dell’ A.L.I.A.S. avvolto di gioia con la sua pura passione per la penna, che non si ferma mai di impollinare parole, che fioriscono sui fogli del giardino del suo cuore, per donarli ai suoi amici lontani, ma vicini nell’avventura letteraria che ci imprigiona e ci accomuna nella stessa passione, con tutto l’amore che abbiamo dentro. Invito tutti a leggere questo magnifico libro, si rimarrà contenti e soddisfatti di apprendere ciò che il nostro Autore, con tutta la sua sublime capacità inventiva, ha creato per i suoi lettori sparsi ovunque. Giovanna Li Volti Guzzardi Melbourne, Australia ROSSANO ONANO – DOMENICO DEFELICE ALLELUIA IN SALA D’ARMI PARATA E RISPOSTA Il Convivio – Collana Calliope. Direzione Giuseppe Manitta. Settembre 2014. € 6.00 Che bella sorpresa! Ci voleva proprio un libro sugli ALLELUIA dei nostri simpaticissimi Amici: Rossano Onano e Domenico Defelice, ci voleva e come, ne sentivamo già la mancanza, ed ecco elegante e inaspettato, arriva un succulento pasto da digerire divertendoci, rattristandoci, emozionandoci, arrabbiandoci, approvando, rileggendo i combattimenti dei Nostri insuperabili Autori, che, a suon di penna, ci hanno deliziato sulla bella interessante Rivista POMEZIA-NOTIZIE per lungo tempo. Ci si abitua così tanto a delle belle e interessanti rubriche, che farne a meno, poi risulta straziante rinunciare, e loro, ci hanno colmato d’ansia nell’ attesa del prossimo battibecco, per tanti numeri della Rivista, poi d’improvviso il silenzio! Però, hanno capito che si doveva riparare a questo inconveniente, per non lasciare i loro lettori a bocca asciutta e tanto dispiaciuti, infatti ora possiamo essere tranquilli ed entusiasti del loro bel regalo, teniamo questo magnifico e bellissimo ALLELUIA IN SALA D’ARMI, sempre vicino, sempre a fianco, e quando ci assale la voglia di risentire i Nostri cari amici, non ci resta che sfogliare le sue stupende pagine e immergerci anima e corpo in questa PARATA E RISPOSTA, da rimanere senza fiato per i loro continui battibecchi e per la gioia di averli a portata di mano, ogni volta che ne sentiamo la nostalgia. Complimenti a Rossano e Domenico, per l’ interessante e sorprendente idea di pubblicare questo
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interessante libro, e auguri per tanti nuovi Alleluia nel prossimo futuro, per far felici gli amici della nostra favolosa POMEZIA-NOTIZIE! Giovanna Li Volti Guzzardi Melbourne, Australia
CARLA ZANCANARO LA FOLGORE E LO SCHIANTO Casa Editrice Divina Follia, 2014 - Pagg. 110, € 14 Lasciarsi schiantare in pagina con la folgore della Poesia Carissima Carla Zancanaro, come una folgore il tuo raffinato libro giunge sulla mia scrivania, come nella mia mente e nella magia che solo la poesia sa imprimere attraverso la bacchetta magica della lettura empatica attraverso la quale ho lasciato al fulmine di incendiare con le sue pagine il corpo e l’anima, con la consueta ammirazione. Per lo schianto mi sono salvato evitando “l’ incidente” diplomatico di una partecipazione attiva, che la tua poesia sollecita sul piano letterario per divenire poi DIVINAFOLLIA sul piano editoriale. Del resto tu stessa ponendo in “esergo” la citazione di Anaìs Nin, enunci quanto “in una donna l’ erotico e il tenero si mescolano, dando origine a un legame potente”. Devo dire che le tue prefazioni critiche di Silvia Denti e di Angioletta Masiero, risolvono brillantemente il dilemma del rapporto tra la tua poesia ed il lettore, tra l’eros letterario e l’immaginario che ne consiglia, certamente più nobile, contagioso e altero dello stesso atto, declinato nelle mille possibilità realistiche che l’amore gli imprime. La tua icastica poesia, raffinata e giustamente inserita nella corrente dell’ Inquietantismo, incontra felicemente un tema a noi caro dal quale è stata generata una antologia “Nel corpo delle parole – Le parole del corpo”. Mi riferisco ovviamente alla “gonna dove il piacere attende, che rende tremante la mano e gli sguardi” come enunciato a pagina 27. Il supporto iconico suggerito dalle opere di Silvia Costantini insegue la dolcezza e le flessuosità delle linee che le tue parole esprimono nella circolarità dei concetti e delle simbologie nonché nelle volute fisionomie neutre dei volti che con ugual folgorante e intenso stupore, ragguagliano i sensi e le emozioni di ciascuno senza bisogno di individuarne le fattezze descrittive. L’amore come la poesia circola dantescamente “a movere il sole e le altre stelle”. Non chiede pedagogismi, né insistenze descrit-
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tive in quanto imprime al corpo gli stessi segreti ancestrali, la stessa bellezza purificatrice dell’ anima, ponendo in osmosi trascendenza e immanenza. Del resto la tua poesia, può intraprendere direzioni contromano, senza causare incidenti, ma ravvivando e innovando il valore delle parole nel loro senso e nei sensi, chiamati a raccolta nella conquista di un eros sublimato, nel quale schiantarsi e accettare il rischio della folgore. Ricordando Dante “parva favilla gran fiamma seconda”. Ma se la favilla è già una folgore in partenza, l’ incendio (come lo schianto), sono già assicurati e nessun “Fahrenheit 451” (immaginato da Ray Bradbury) potrà condurre alla combustione della carta. Così i volontari vigili del fuoco dei tuoi attenti e ammirati lettori come me, potranno domare le fiamme e non lasciarsi irretire dai vari mezzi moderni e tecnologici come lo stesso computer con il quale ho reso bella copia la mia scrittura tremolante di anziano emanuense, capace di non tremare mai se delicatamente affascinata da una gonna femminile. Grazia Lodeserto
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TITO CAUCHI PALCOSCENICO Editrice Totem, Lavinio (Roma), 2014 Il libro si presenta molto elegante nella copertina illustrata egregiamente da GiCo con elaborazione grafica di grande effetto per chi ama il teatro e la pluralità delle sue voci, dei suoi scenari e dei registri linguistici. La prefazione di Gianfranco Cotronei ci mostra l’ apertura del sipario “tra ricordo e dimenticanza laddove l’immagine che viene restituita è quella comunque frammentata di uno specchio infranto”. Proprio a questo “specchio infranto” voglio riferirmi, dopo avere letto le sessanta poesie dell’autore, già conosciuto in campo letterario di molte sue opere. Ebbene, i diversi generi, variamente elaborati, trovano posto e ragione nel disegno unitario. Il poeta, nel ricordare, riesce a fondere con le parole i simboli, l’incanto della natura e l’amore verso la sua donna, tramite gli elementi che accompagnano la vita umana. Tita Santoro Paternostro
TITO CAUCHI MICHELE FRENNA NELLA SICIALIANITÀ DEI MOSAICI EdiAccademia Isernia, 2014
PER LUIGI NONO DEDICHE / FOR LUIGI NONO - DEDICATIONS a cura di / edited by Nuria Schoenberg Nono Fondazione Archivio Luigi Nono Onlus - Venezia, 2014, pp. 84, € 20,00
Michele Frenna ha raggiunto la sua notorietà attraverso lo studio dei simboli, dei segni, dei colori per completare quello che era in nuce nella sua ricca personalità. Ogni uomo si serve della comunicazione per fare conoscere i propri pensieri e, in questo caso, la passione per il mosaico, arte antica che un siciliano apprende nella sua isola con le meraviglie del passato. Hegel affermava che l’uomo è un essere pensante, la sua ragione è bisognosa di comunicazione e rischia di smarrire la rotta quando ne sia privata. Il mosaico sin dal II secolo a. C. lo abbiamo in Sicilia e in tante città italiane. Come ogni messaggio prodotto dagli uomini, le immagini ci parlano, agiscono su di noi. Su Michele Frenna ha agito la poesia in particolare, specie nella sua visibilità, nel suo decoro con pezzetti di vetro colorato, che messi insieme con accostamento artistico producono echi ed evocazioni. Tita Santoro Paternostro
Un pensiero d'amore si apre al mondo, per far conoscere legami intensi d'amicizia, di riconoscenza, di rispettosa stima: questo è il significato profondo del volumetto che riporta in piccolo formato le dediche scritte dagli amici italiani e non solo per Luigi Nono su testi a lui donati e da lui conservati con vera cura. Sostiene Nuria Schoenberg Nono nel risvolto di copertina, a stampa bianca su cartonato in rosso veneziano: “Quest'anno Gigi avrebbe compiuto novant'anni. Penso che la pubblicazione di una selezione di dediche presenti sui suoi libri e partiture, con le parole di chi ha voluto mostrargli ammirazione e affetto facendogli questi regali, sia un bel modo di ricordarlo.” È lei ancora una volta a curare la prefazione, nella quale precisa che i volumi e le partiture con dedica nella ricchissima biblioteca del consorte sono oltre 600 e da questi ne ha selezionate 40, le più significative per il patrimonio culturale, letterario e musicale dell'Italia contemporanea e del resto del mondo. Ci si addentra subito in una quotidianità che ha attraversato gli anni, addensando via via emozioni che i testi scritti, le imma-
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gini, i loro riferimenti rendono tangibili e per questo efficaci: tutto si interseca in un vibrante intreccio ed al centro c'è lui, il compositore veneziano Luigi Nono, che si lascia attraversare ed amare, in generoso rispecchiamento. Le opere e le scritture riportate a colori sono chiare e ben leggibili e tante fotografie originali accompagnano questo viaggio acceso da esperienze che fanno sconfinare l'immaginazione ai limiti del possibile. Il volumetto poi si arricchisce di una documentazione biografica dei protagonisti, ciascuno inserito per ordine alfabetico e colto poi in una significativa prospettiva, sintetica ed essenziale ('Note biografiche - Elenco delle fonti, da pagina 49 a pagina 81). Scelgo tre esempi che offrono testimonianza di quell'Amicizia che viaggia oltre se stessi, alimentando la vita in modo imprevedibile: Massimo Cacciari, filosofo italiano, gli dedica: '1.Un pre-testo: Nietsche', dattiloscritto, s.d. 'a Gigi, / per tutti gli angeli che mi ha fatto avvertire - e i silenzi che mi ha fatto ascoltare - Massimo (op. cit. pag 12); György Kurtag, compositore ungherese, gli dedica: 'OMAGGIO A LUIGI NONO PER CORO A CAPPELLA OP. 16', Budapest, Editio Musica, 1980 'Für Luigi / der mich zu diese Chöre / geführt hat - / mit herzlicher / Freundschaft - György Kurtag (op. cit. pag. 30); Massimo Mila, musicologo italiano, gli dedica: 'Compagno Strawinsky', Torino, Einaudi, 1983 'A Gigi Nono / un poco a testa bassa, / ma con tanto affetto / 2 III 1983 / Massimo (op. cit. pag. 32). In copertina, su fondo rosso veneziano, 'Pour Luigi Nono' (1957), gouache di André Masson. Nuria Schoenberg Nono chiude questa preziosa raccolta con parole che lasciano echi di tenerezza. A sera, di ritorno dall'Archivio Luigi Nono alla Giudecca, dove ho acquistato il volumetto, seduta in treno, subito mi sono addentrata in questa avventura, quasi assorta in vicende di vita di cui ero resa partecipe in tracce: il treno mi stava portando da Venezia ad Adria, anziché a Vicenza. Luigi Nono ad Adria chi mai avrà conosciuto? Ilia Pedrina
RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO Il Croco – I quaderni letterari di Pomezia Notizie, 2014 Il 1° Premio Città di Pomezia 2014, assegnato a Rodolfo Vettorello per la silloge Voglio silenzio, è stato come sempre frutto di un giudizio meditato da una Giuria di prestigio.
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Lo spessore poetico di Vettorello si ravvisa sin dai primi versi, che poi si snodano in un dettato armonioso e sempre più denso. Egli si presenta come un essere fuori del tempo. Tra le cose che lo circondano, ama l’essenziale e il silenzio: “E’ quiete intorno / come se fossi un monaco ed avessi / scelto il silenzio.” Si avverte pure una grande nostalgia per il passato: “Voglio una strada bianca / e polvere che s’alza come nebbia / sotto le ruote cigolanti ai carri / al passo musicale dei cavalli.”. Solo in mezzo alla natura riesce ancora a vibrare: “e spendere quel tanto che mi resta / ad ascoltare il vento tra le foglie, / il canto degli uccelli sconosciuti, / il fremito dell’acqua dei ruscelli.”. Vettorello è poeta dal sentire profondo e neppure un amore solo sognato può scalfire la pacatezza del suo animo, anche se la donna desiderata sicuramente non lo meritava: “Mi sono perso in favole da niente / a immaginare paradisi e intanto / più d’uno ti prendeva ed io incosciente / ti carezzavo appena / per il timore assurdo di sciuparti.”. Troviamo pure bellissime immagini di luoghi, come per esempio l’ atmosfera di un litorale marino, dove il poeta s’ identifica con un granchio solitario, per imparare a vincere la paura della morte. Malinconia e nostalgia si rincorrono tra i ricordi: la perdita di una sorella amata, i giorni dell’ infanzia, il batticuore dei vent’anni per degli incontri sui Navigli, e così via. Inoltre, si circonda di bellezze naturali, quasi se le vivesse interiormente, e nell’ ammirare cieli, fiori, stelle, rondini in volo, rive profumate di torrenti, si rende conto di trovarsi ormai nel tempo d’autunno e non poter più provare forti emozioni: “Così aspettando un dopo che non viene / io scorro come altro non so fare, / senza uno scopo, / come un fiume al mare.”. L’intensa silloge di Vettorello trasmette una solitudine quale risultato dell’inventario di una vita. Egli è consapevole dei momenti felici di un tempo a ora aspetta con dignità e dolcezza un futuro che inevitabilmente non potrà più donargli momenti gioiosi. Laura Pierdicchi
AMERIGO IANNACONE DALL’ARNO AL TAMIGI Annotazioni linguistiche Edizioni Eva, 2008 - 44 pagg. Ecco finalmente un libro che dovrebbe essere imposto a scuola e studiato in tutte le classi (dalla I elementare fino alla Laurea)! Si tratta di un testo meravigliosamente razzista e xenofobo, come non saranno mai e poi mai gli ita-
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liani (servi servili e collaborazionisti del padrone straniero!). Già, razzista. Perché il razzismo (difesa della propria identità antropologica e culturale) è la prima e più naturale forma di legittima difesa che data dall’ inizio del mondo. Un’ottima cosa, insomma! Questo libretto (solo per dimensioni, non per i contenuti), a firma di Amerigo Iannacone è un prezioso vademecum della lingua italiana, un prontuario per ricordare a tutti i cani e le pecore nate nello stivale che l’Italiano, come lingua, esiste… ed è un’ ottima lingua! Una lingua che sta morendo, a causa dell’ossequio servile e sempre più smaccato che si fa allo Zio Sam, come se l’America, ultima nata come stato sovrano) fosse la vera Culla della Civiltà! Iannacone non è il tipico primo stronzo che passa e dice bischerate, facendo vento con la lingua. Se lo fosse, oggi sarebbe presidente della RAI o di Mediaset! Si tratta di una persona qualificata, che vive a Venafro (Isernia), è direttore del mensile letterario Il Foglio volante, da lui fondato nell’ ’86, ed ha al suo attivo una ventina di pubblicazioni, fra Poesia, Narrativa e Saggistica. Inoltre, , gli stessi Aldo Cervo e Leonardo Selvaggi (e scusate se è poco!) hanno scritto dei saggi critici sulle sue opere: Le Testimonianze di Amerigo Iannacone (A. Cervo, 2004); Tra crisi di transizione la poesia di Amerigo Iannacone in stimolazioni etico-sociali (L. Selvaggi, 2006). La lingua italiana e, soprattutto, la Grammatica italiana non è certo la materia più facile di questo mondo da insegnare. C’è pieno di sfumature, doppi e tripli sensi di cui dover tenere conto, specie se si vuol parlar polito, oltre che pulito. Questa breve silloge contiene parecchi piccoli articoli (tutti brevi, ma agili e spediti) inerenti appunto la Lingua italiana, gli errori e le disfunzioni ad essa connesse (dovute ad ignoranza e/o opportunismo politico) e non mancano difese appassionate, da parte dello stesso Iannacone o di suoi lettori entusiasti, sulla necessità della purezza della lingua, non tanto (e non soltanto) nel nome della xenofobia ma, e soprattutto!, per evitare ridicolismi davvero esasperanti, oltre che offensivi gratuitamente. Giambattista Vico, il solo filosofo, eccetto Machiavelli, nato in questo canile di bastardi parlò una volta di Corsi e ricorsi storici. Iannacone potrebbe essere un ottimo inizio per un bel ricorso storico: anche il Duce voleva difendere la lingua italiana dalle invasioni barbariche provenienti dall’estero. E prima di lui, anche un Papa ebbe a dire: Fuori i barbari! Riferendosi alle truppe straniere (spagnole o francesi o tedesche) che entravano nello stivale a
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far da padroni. Un libro da leggere e meditare con attenzione. Ma solo se si vuole davvero ricordare a sé stessi che italiano non è sempre stato sinonimo di servo servile. Fu anche la lingua degli ambasciatori in tutta Europa, al tempo di Carlo V Asburgo (coevo di Francesco I di Francia). Andrea Pugiotto
AMERIGO IANNACONE SABBIA Poesie - Edizioni Eva, 2014 - 72 pagg., € 10,00 Il titolo è forse scontato, dovendo presentare una silloge poetica. La sabbia, come è noto, è inconsistente e il vento la sposta con facilità. Al massimo, ci si fanno le sabbiature per combattere i reumatismi o i castelli, per la gioia dei bambini, o magari il vetro. Ma non si deve mai giudicare un libro dalla copertina. O dal titolo. Questa silloge poetica si distingue particolarmente dalle tante da me lette in precedenza per la sensibilità profonda, la grande tristezza dovuta all’attuale congiuntura che permea ogni carme di Iannacone. Versi sciolti e senza rime, come usa oggi, ma non per questo meno struggenti. La poesia d’apertura, Presepe 2010, non ha certo bisogno di commenti. Questo terribile paragone fra la Natività di più di venti secoli fa e quella attuale, tutta tecnologia e guerre e beni di consumo (sentimenti: zero assoluto) è un j’accuse non indegno di Zola o di Hugo per la gravità della situazione, per la povertà assoluta dei Beni maggiori: sentimenti positivi ed ideali per cui vivere. Il carme A uno ad uno sembra quasi la versione poetica di 10 piccoli indiani, forse il giallo più celebre in assoluto della Regina del poliziesco. Eppure, fa pendant con il carme testé menzionato sul Natale: quante vite sono andate perse inutilmente, perché male impiegate, da gente che non ha saputo o potuto o (quel che è più grave!) voluto dare un significato reale alla propria esistenza? C’è di che riflettere, e con serietà!, avendo letto versi siffatti. Ma l’Autore è anche un semplice essere umano e ci parla dei suoi dolori privati, come nel carme Anniversario, rammentando il suo amatissimo genitore, scomparso nel ’97. Un uomo è sempre solo e sgomento innanzi all’ Amministratrice che, in nome di Dio, determina la fine dell’esistenza umana. Lei non sbaglia mai i conti e non concede cambiali. Ecco così, a volo d’uccello, tre poesie diversissi-
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me, eppur molto simili tra di loro, quale piccolo esempio dell’opera di Iannacone che, anche come poeta (e non solo come grammatico nei suoi appunti sulla Lingua italiana), ha parecchio da dire e sa dirlo con molta competenza, mettendo a nudo la sua anima in un momento così difficile, storicamente, per tutti noi, nessuno escluso! Da leggere con attenzione per poter scoprire, attraverso la storia di un nostro simile, la nostra stessa storia, i nostri dolori, i nostri turbamenti. Dopotutto, è davvero questo il compito dei Poeti: cantare per sé cantando per tutti e dando voce a chi, per i motivi più diversi, non è capace di esprimersi con altrettanta maestria. Andrea Pugiotto
AMERIGO IANNACONE DALL’8 SETTEMBRE AL 16 LUGLIO Edizioni Eva, 2007 - 56 pagg., € 7,50 Finalmente un libro come Dio comanda! E non è un complimento a caso! L’ottimo Iannacone (classe 1950) ha voluto, con questo testo, rammentare il proprio padre, da lui tanto amato, in un periodo molto difficile della sua vita e della nostra storia: la vita in un campo di concentramento, dopo il voltafaccia degli italiani l’ 8 settembre del ’43 (compleanno della Madonna, nata sotto il segno della Vergine)! Di rimembranze di questo tipo ne ho conosciute una quantità, o per averle lette di persona o per via indiretta. Ma erano, per lo più, memorie di giudei, tutte piagnucolanti e, tutto sommato, noiose e di nessun interesse. Questo libretto (è piccolo di dimensioni, ma non di contenuto) è tutta un’altra faccenda! Innanzitutto, lo stile è agile e accattivante. Lo si legge davvero in un soffio, a voler dare un giudizio superficiale. Ma la parte più importante è che a scrivere questo bellissimo testo è stato un figlio affezionato che ha voluto rammentare, nel modo più esatto ed esauriente possibile, il proprio padre. Per ogni ragazzo il padre è un modello da seguire, ma troppi (come la Ginzburg o Levi), scribacchiando memorie del passato, fanno solo letteratura di bassa lega. Ma il proprio padre non è certo un personaggio della letteratura! Ma la cosa più bella in assoluto è che questo libro, pur essendo memoria storica effettiva, non è affatto letteratura lacrimosa né tampoco una raccolta di barzellette. E’ Storia autentica. Proprio la storia che a scuola non si studierà mai, perché La Storia la scrivono i vincitori (i Giudei, ovvio, il solo vero popolo UMANO del mondo) e, soprattutto, perché
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la faziosità paga meglio assai dell’obiettività (idea comunista, generata da Marx… un ebreo!). Qui si potrà notare quanto valevano davvero i nostri alti ufficiali (non tutti, per fortuna), qualificati poi Eroi di Guerra. Qui si potrà constatare che le bucce mangiate da Pinocchio al cap. VII non sono SOLO un’invenzione letteraria! Qui si parla di guerra vera, nei suoi lati più tragici, e di FAME autentica (e non Miseria e Nobiltà, con l’inarrivabile Totò). E tutto questo, senza i soliti eccessi dickensiani circa il lato lacrimoso. Una storia vera di veri esseri umani, raccontata con semplicità – ed affetto immenso – da uno di noi. QUESTA è la differenza! E scusate se è poco! Da comprare subito per farsi un’idea sincera della Seconda Guerra Mondiale, al di là delle letterature faziose e tendenziose. Andrea Pugiotto
AMERIGO IANNACONE LUOGHI Edizioni Eva, 2009 - 43 pagg., € 6,00 Ecco una silloge poetica un po’ inusuale, nel suo genere. Il titolo dice già tutto, ma forse è il caso di entrare nel merito. Generalmente parlando, in Poesia i Luoghi si dividono per due: o del tutto immaginari oppure effettivamente reali e rintracciabili. In questo secondo caso possono, a volte, assurgere a simboli di luoghi di fantasia o di stati d’animo particolari. In questa silloge, l’Autore rammenta soprattutto luoghi strettamente reali (soggiorno a Venezia; l’ olmo di Campodimele, solo per citare due titoli), tutti legati, direttamente o indirettamente, ad esperienze personali dell’autore o a sue riflessioni su questa o quella circostanza, personale o storica che sia. Un esempio di quanto affermo è senz’altro Terra di silenzi (un autentico, doloroso, J’accuse), ma anche Questa terra (un peana all’Italia nel suo complesso). Non dirò di più per non tediare i nuovi lettori e mantener viva la curiosità di scoprire il resto. E’ un viaggio interiore ma anche terreno (Iannacone ci mostra i luoghi più belli, geograficamente parlando, dell’Italia) e quello che lascia davvero perplesso il lettore è il tono con cui ogni carme è affrontato: serenità, distacco, indifferenza. O così potrebbe apparire. Un’idea falsa ben calcolata per incuriosire maggiormente il lettore ed indurlo ad una seconda lettura più attenta e sincera ed entrare nel merito delle pieghe più riposte del pensiero dell’ Autore.
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Questa è stata l’impressione che ne ho ricavata ma, come sempre, è solo il mio modesto parere. Altri, diversi da me, potranno vedere questi stessi versi in modi differrentissimi. Dopotutto, il mondo è bello perché è vario. Sia in senso lato che in senso fisico. E questo piccolo libro (piccolo come dimensioni, non come contenuto!) è una dimostrazione indiscutibile della saggezza del proverbio testé citato. Leggere per credere. Ne varrà la pena. Andrea Pugiotto
LUIGI DE ROSA IMPERIA TOGNACCCI E I SUOI POEMI IN POESIA E IN PROSA Edizioni G. Laterza, 2014 - 240 pagg., € 20,00 Luigi De Rosa, giornalista e recensore sulle più diverse testate (non ultima, Pomezia Notizie) presenta, col suo stile noto ed impeccabile, un’opera monografica sull’opera della Poetessa e Scrittrice Imperia Tognacci (classe 1940), che tanto ha saputo dare di sé, finora, con i suoi scritti, circa il suo rapporto col mondo, vuoi come Natura vuoi come Uomo. Giudicare un Autore eclettico, di questi tempi, non è la cosa più facile, tanto più che gli interessi (interessi seri, voglio dire) sono tanti, ma gli imbecilli, i frettolosi ed i maligni sono ancor di più. Tuttavia, la Tognacci ha riscosso solo lodi – meritatissime, peraltro – sui suoi lavori, dalle fonti più autorevoli. Come donna, per esempio, attenta osservatrice del mondo femminile che attualmente la circonda, si è rivelata profonda ed accurata nel redigere L’ombra della madre (romanzo su una famiglia numerosa, fra l’Otto ed il Novecento, in cui, apparentemente, il vero protagonista è il paterfamilias, Antonio, ma, in effetti, è la madre (la moglie di Antonio e, in seguito, una delle sue figlie) la vera eroina di questa storia). Tuttavia, donna o no, Imperia Tognacci si è rivelata Scrittrice versatile e saggista non disprezzabile col suo testo su Giovanni Pascoli, La strada della memoria, , definita da Giorgina Busca Gernetti Una monografia seria e ben documentata (ma del resto, lo stesso Vincenzo Rossi, Autore della prefazione di questo saggio, sì come Ferdinando Banchini, uno dei tanti fortunati che poterono leggere quest’opera, rimase ammirato dalla competenza dimostrata dalla signora Tognacci che aveva messo in rilievo aspetti insospettati o trascurati del grande poeta romagnolo). Come Poetessa, poi, il suo rapporto col mondo
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(Natura da una parte ed Umanità dall’altra) ha suscitato un coro unanime di consensi e di approvazioni entusiastiche. Vincenzo Rossi, Orazio Tanelli, Leonardo Selvaggi, Giuliano Ladolfi, Francesco Fiumara (solo per citare pochi nomi dei soliti ignoti!) sono rimasti ammirati della delicatezza, della grazia, della levità… e pure della precisione che l’ Autrice ha saputo mostrare e dimostrare nei suoi carmi, di qualsiasi cosa trattasse! La sua denuncia di carattere sociale ne Il richiamo di Orfeo e nel suo seguito ideale, Nel bosco, sulle orme del pastore, si commentano da sé ed aggiungere anche una sola parola di lode in più significherebbe essere accusati di pleonasmo e mancanza di originalità. Del resto, un Poeta nato è un osservatore attento del mondo che lo circonda, vuoi in senso generale che in senso particolare, vuoi in senso fisico che spirituale. E, soprattutto, come è capitato con la Tognacci, un Poeta di razza nota ciò che sfugge ai più e/o rende prezioso, nuovo ed originale ciò che chiunque altro considererebbe scontato e banale, anche troppo ovvio e, quindi, risibile e degno del dimenticatoio. Un tomo, questo del De Rosa, che dice moltissimo, fra un giudizio e l’altro, senza però “svelare il finale”, suscitando la più viva curiosità nei possibili nuovi lettori e rinnovando l’interesse negli estimatori della gentile Autrice. E quest’ultimo dettaglio, mi sembra, non è da sottovalutare! Andrea Pugiotto
NEL PROFONDO DEGLI OCCHI Tu forse ti chiedi perché se ti parlo ti guardo profondo negli occhi e indugio. Lo faccio perché nel profondo degli occhi tuoi cerco e ritrovo il mondo di quando eravamo entrambi ragazzi, quel mondo che ormai è scomparso per sempre con tutta la bella sua semplicità e quella sua tranquillità pur nei momenti più difficili e tristi. Un mondo fatto di giuochi all’aperto, per strade che non conoscevano auto e dove ancora passavano i carri trainati da lenti cavalli e dove
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nelle serate estive profumavano i tigli e le glicini, e le robinie delle siepi non più esistenti, dove ancora svolazzavano le libellule, cantavano i grilli, e noi rincorrevamo le lucciole, cercando nell’erba dei prati vicini i grossi maggiolini marroni … Un mondo di amiche persone scomparse ma ancora vive nel ricordo che condividiamo e delle quali parliamo. E allora rivivo quel mondo ed è per questo che quando ti parlo ti guardo nel profondo degli occhi e indugio. Mariagina Bonciani Milano
LUNGO MURI A SECCO Grida il giorno nessun passo d'uccello su questa strada. E il tempo resta attorno a noi, come ansa di colore. Lungo muri a secco api ronzano, minute presenze, là sulla pietra il loro nome si cancella, nelle foglie secche s'adagia il loro mondo. Restano il richiamo degli uccelli, le ombre e questo giorno di passaggio, dissolto nell'amara ansia di vita, prima che venga l'ora tarda, che ci vide sugli argini del destino, al mutare lento della sera. Adriana Mondo Reano, TO
IL RAGGIO Ascolto il moto delle fronde rappreso nel silenzio dove affonda le sue radici,
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tutto è sospiro su questa povera terra, naufragata nel tempo senza confine, più buia è la notte senza luna accerchia con le sue ali d'acciaio ogni mio pensiero. Resto immobile nell'attesa di un raggio che m'incanti, voglio ritrovare quella culla su nel cielo fra spiragli divini, dove fra breve scenderà la sera. Adriana Mondo
GIOIA DI VIVERE Stiamo sotto il sole a suggere colore stiamo sotto il cielo di questa buona terra , per queste strade battute dal vento che accarezza e sfiora il nostro capo; i fiori, le erbe e gli insetti. Vita, vita che scorri nel tempo, cerchiamo nella tua forza quegli odori, quei sapori dei tempi passati all'ombra del bel Castello, fra pianure verdi e soleggiate, nella dimora dei pensieri ritroveremo sempre la gioia di vivere in questa oasi di pace. Adriana Mondo
SASSO CHE PUNGI Nel palmo di mano, dolore ti stringo forte, fortissimo azzardo nell’ illuminare il caos che dentro incrementa rivoluzione Sasso duro, freddo, pungente dolore al palmo mi fai sparando nel mio caos colpita nel vortice contorto di quell’eclissi confusa
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che non ci sta non ci sta a fermare l’interiore moto e sasso tu sei nella mia mano a dar risposta di verità assoluta. Filomena Iovinella Torino
BUON 2015, AMICI !
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e il momento può durare eternità di sogni senza fine. Tuttavia Internet oggi non discrimina né età, né colore, né razza, né partito politico, né religione neppure la cittadinanza e ha invaso la tua casa e la tua anima, non è ancora adatto ad ampliare o quantomeno a sviluppare l'intelligenza umana. Teresinka Pereira
Il paradiso dell'infanzia e il purgatorio dell'adolescenza e della giovinezza si sono dissolti in un oceano di nuvole e di nebbia irreale. Forse anche allora ci raccontavano storie più o meno colorate. Ma almeno allora, a modo nostro, eravamo felici.
Usa
Ora crediamo di sapere già tutto e non sappiamo niente di quello che servirebbe a vivere davvero meglio. Ecco davanti a noi un altro Anno Nuovo col suo bagaglio di nuove difficoltà e di nuove illusioni, di guerre e di violenze – pubbliche e private di fanatismi e crudeltà, di false verità e contraddizioni. Eppure dobbiamo proseguire fino in fondo, facendoci coraggio col cuore e con la mente. Dobbiamo pensare di più agli altri, prima ai più deboli e meritevoli. Luigi De Rosa Rapallo, Genova
INTERNET Il rumore non ha bisogno di un appuntamento
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE QUASI UN OMAGGIO PER VSEVOLOD DVORKIN - E-mail di Mariagina Bonciani, del 9 novembre 2014: Milano, 13 ottobre 2014: Caro Domenico, ricevo il numero di ottobre di POMEZIA-NOTIZIE e leggo la tua recensione al mio volumetto “Poesia e Musica” e innanzi tutto ti ringrazio per l’amabile attenzione riservatagli. Ma soprattutto mi fa piacere leggere la tua affermazione che “è inconcepibile un poeta che non ami la musica”, infatti secondo me la poesia, la vera poesia, è (o dovrebbe essere) musica. E poi sento con altrettanto piacere che, naturalmente, anche tu dalla musica sei affascinato. Per me è una delle gioie della mia vita, e, come osservi, ho avuto la fortuna di
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conoscere personalmente qualche musicista, e quindi di viverla un po’ da vicino, anche grazie alla frequentazione di concerti, di concorsi ed all’ assiduo ascolto di Rai FM 102,20 (la filodiffusione raggiungibile ora anche via internet). E’ proprio seguendo da “pubblico” i concorsi per pianoforte che ho conosciuto diversi/e giovani pianisti/e, fra cui in modo particolare Vsevolod Dvorkin, per il quale hai notato il mio particolare sentimento affettuoso. Infatti Seva mi colpì subito alla sua prima partecipazione al Dino Ciani nel 1993 per il suo tocco delicato, il suo modo di suonare serio, semplice (senza smancerie alla Liszt) e per come sapeva trasmettere al pubblico la musica che interpretava. E che tuttora interpreta con la poesia che lo contraddistingue e per cui io lo definisco “il poeta della tastiera”. Ho avuto poi modo di seguirne la maturazione attraverso le sue successive partecipazioni ad altri concorsi (anche con orchestra o in trio, compresa la finalissima del Dino Ciani alla Scala nel 1994), constatando la mia affinità alle sue interpretazioni, per questo l’ho sempre considerato un po’ un “figlio spirituale”, quel figlio che avrei desiderato avere. Ricordo il suo primo concerto al Conservatorio G. Verdi nel 1999 col Concerto n.3 di Beethoven (e dopo il concerto la camminata fino a Piazza San Babila fra lui e sua moglie Luisella, pure musicista, ottima flautista: ero fra due angeli, e Beethoven dall’alto sorrideva soddisfatto). Il matrimonio era stato celebrato nel 1997 ed io ero stata invitata, con grande gioia e commozione. Ora Seva insegna a Erba in quel di Como, e continua a viaggiare per dare concerti. Mariagina 8 novembre 2014 Cara Mariagina, ho pensato di pubblicare la tua lettera perché mi sembra un bell’omaggio, non solo alla musica in genere, ma a Vsevolod Dvorkin, a un suo interprete che non conosco e che per te è stato sempre sublime e delicato. Se hai occasione di incontralo, dagli anche il mio saluto di patito della musica, non come autore, certo, ma come fruitore appassionato. Ti confesso che, negli anni sessanta, avevo deciso di scrivere un saggio sulla musica e sui musicisti. Alcune riviste e amici ne hanno dato l’annuncio e in men che non si dica, sono stato inondato da dischi, depliant, biografie, foto eccetera, di cantautori, band, complessini, cantanti, tutti, comunque, di musica leggera, tutti a chiedermi di venire inseriti nell’opera in programma. Ero stato frainteso. Mi sono spaventato. Non era ciò che intendevo fare e così ho abbandonato l’impresa, dopo aver preparato e pubblicato (su Il Gazzetino di Benevento, dal
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novembre 1964 al settembre 1965) 8 capitoletti su “Antonio Esposito paroliere”. Ma non ho smesso di nutrirmi di buona musica. Ti dico di più. In quegli anni, il grande tenore Tito Schipa aveva musicato, insieme al maestro E. Brizio, i versi di una mia canzone slow rock: “Voglio stringerti così...”, pubblicata dalle Edizioni Musicali Corradini di Roma nel 1962, copertina stilizzata di Grammatico. La canzone l’ho ascoltata tante volte, a Roma, a piazza Esedra, dove, ogni sera, su un piccolo palco di fronte a un caffè (che c’era e che forse c’è ancora sotto i portici), si esibiva un piccolo complesso... Gli amici mi sfottevano, dicevano che era la più brutta e forse avevano ragione. Per essa non ho mai ricevuto alcun compenso e rimane l’unico approccio da me tentato (anche se ho avuto altri versi musicati) verso quel mondo. Perché l’amore per la musica è altra cosa - che per fortuna in me non si è mai affievolito -, per la classica e per le buone canzonette. Il poeta, confermo, non può non amare la musica. Il guaio è che, oggi, si scrivono versi su versi, ma non sempre è vera poesia. Proprio ieri mi è capitato di leggere un’antologia di qualche anno fa: “Poeti del mondo attraverso Internet” e non ti dico le castronerie! Mi son quasi pentito della frecciata data a Sandro Bondi a pagina 6 del numero del novembre scorso. Domenico *** LECTURA DANTIS METELLIANA - Conferenza tematica di Bianca Garavelli, 11 novembre 2014. Quarto appuntamento per gli appassionati e gli studiosi dell’Alighieri. Martedì 11 novembre 2014 alle ore 18, nell’Aula Consiliare del Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, nell’ambito del 41° ciclo di letture dantesche organizzato dalla Lectura Dantis Metelliana, Bianca Garavelli dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha parlato sul tèma “Dante personaggio da romanzo. I volti di Dante nella narrativa contemporanea”. Ha introdotto il presidente onorario dell’Associazione, Fabio Dainotti. A coordinare i lavori è stato il Direttore, professoressa Lucia Criscuolo. Bianca Garavelli, scrittrice e dantista di chiara fama, è autrice tra l’altro di un fortunatissimo commento scolastico alla Divina Commedia, edito da Bompiani. Recentemente ha pubblicato i romanzi Le terzine perdute di Dante e L’oscurità degli angeli. In occasione dell’incontro è stato esposto un dipinto dell’artista Salvatore Sabatino, su cui si è soffermato in sede critica il presidente della Lectura Dantis Metelliana, Paolo Gravagnuolo. (fd)
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Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI GIANCARLO BIANCHI - All’àncora del tempo - Prefazione di Carmelo Mezzasalma, Introduzione dello stesso Bianchi; in quarta di copertina, nota critica di Franco Manescalchi; da pag.205 a pag. 258, una ricca “Selezione di giudizi critici; in copertina, foto “La Nave a Rovezzano, settembre 1940, gruppo di giovani su barchetto da renaioli. Il primo a destra seduto è Armando Bianchi, padre dell’autore”; all’interno, numerose fotografie in bianco e nero e disegni di Sergio Rinaldelli - Ed. Corymbos Poesia, Edizioni Polistampa 2014 Pagg. 278, € 18,00. Giancarlo BIANCHI, poeta e pubblicista, già segretario di redazione di “Hellas”, ha vinto molti premi (tra i quali: “Fiorino d’ Argento” per la poesia inedita, il “Premio fiorentinità” La Pergola Arte, Firenze 2010, e si è occupato della sigillografia del riconio del sigillo della Repubblica Fiorentina “S. Pax et Defensio Libertatis”), Ha pubblicato numerose raccolte di liriche tra cui “Poesie” (1971), “Frammenti” (1975), “Bandiere Pulite” (1981), “Il ramo del primo sole” (1986), “Rugiada nella rete d’oro” (1992), “Come una monodia” (2006), “Nel cuore dell’azzurro” (2009), “Nel tuo volto” (2010), “La limpida follia del sogno” (saggio, 2009). È segretario di Novecento Poesia Centro Studi e Documentazione on line. Ha colla-
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borato inoltre con la “Pegaso”. È operatore culturale presso l’Istituto “La Madonnina” di Trespiano e scrive su il “Solco” e “La Voce”. Ha partecipato con altri autori alla stesura del volume “La croce e la rosa - Storia di Loredana Disperati Fanfani “ (2003). Ha collaborato alla realizzazione del volume “Le opere e i giorni di una banca nel suo territorio” (edito dalla Cassa di Risparmio di Firenze, dove è stato impiegato dal 1979 al 2005). Ha fatto parte del consiglio direttivo de La Camerata dei Poeti durante le presidenze di Bruno Nardini e Armando Alessandra e ne è consigliere onorario. È stato dipendente della Ven. Arc. Misericordia di Firenze in qualità di “Porta” dal 1972 al 1979. Convinto ciclista cittadino, fa parte del consiglio direttivo dell’associazione Città Ciclabile di Firenze, che si batte per garantire più sicurezza a chi si sposta usando la bicicletta. Cura per la stessa associazione la rubrica “Bici e libri”. Socio del Circolo degli Artisti “Casa di Dante”, fa parte della giuria del premio “Opera Prima” delle Associazioni Giovanni Papini e Multimedia 91 e del premio “La Pergola Arte”. ** PASQUALE BALESTRIERE - Il sogno della luce - Poesie, Prefazione di Raffaele Urraro, nota critica (“La poesia del testimone”) di Paolo Ruffilli - Edizioni del Calatino, 2011 - Pagg. 64, € 10,00. Paolo BALESTRIERE è nato a Barano d’Ischia nel 1945. L’amore per il mondo antico lo ha indirizzato agli studi classici culminati nella laurea in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Ha svolto per decenni la funzione di docente nelle scuole superiori. Predilige la scrittura in versi ma è attratto anche dalla narrativa e dalla saggistica. Studi su usi, costumi e dialetto dell’isola d’Ischia hanno prodotto ampio materiale che attende revisione e pubblicazione. Ha dato alle stampe varie sillogi poetiche: “E il dolore con noi” (1979), “Effemeridi Pitecusane” (1994), “Prove d’amore e di poesia” (2007), “Del padre, del vino” (2009), “Quando passaggi di comete” (2010). Ha ottenuto numerosi successi nel mondo dei premi letterari e molti suoi scritti, soprattutto poetici, sono stati inclusi in antologie, pubblicati su riviste e giornali, presentati in trasmissioni radiofoniche e televisive. È spesso chiamato a tenere conferenze e a far parte di giurie di premi letterari. Collabora con alcune riviste. ** FELICE SERINO - D’un trasognato dove (100 poesie scelte) - Prefazione di Giordano Genghini Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano, 2014 - Pagg. 128, € 12,00. Felice SERINO è nato a Pozzuoli nel 1941. Autodidatta. Vive a Torino. Co-
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piosa e interessante la sua produzione letteraria (raccolte di poesia: da “Il dio-boomerang” (1978) a “La luce grida” (2013); ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli critici. È stato tradotto in sette lingue. Intensa e prolifica la sua attività redazionale visibile anche on-line. Scrive su vari blog. ** FILOMENA IOVINELLA - Amore delirio e desiderio. Il mistero dei sensi che scandisce il tempo - Poesie, Prefazione della stessa Autrice - In copertina, a colori, progetto grafico di Roberto Accorsi; a pag. 4, sempre a colori, “All’ora dell’ osservatorio, Gli Amanti, 1932 - 1934”, di Man Ray - Edizioni Pagine, 2014 - Pagg. 62, € 23,00. Filomena IOVINELLA è nata a Frattaminore in provincia di Napoli, vive a Torino, scrive poesie da molti anni e di recente ha iniziato anche un cammino letterario fatto di racconti, dei quali ha pubblicato: “Traccia di vita” (2012), “Il ritorno di Stefano” (2013), “L’eros e la strada” (2014). Ha partecipato a concorsi di poesia, pubblicando varie sue composizioni nelle collane “Impronte” e “Poeti contemporanei”. Dal 2011 ha creato uno spazio web (blog) dal titolo “Gli indistinti confini filoiovinella.altervista.org.”
* ILFILOROSSO - Semestrale di cultura, diretto da Pasquale Emanuele - via Marinella 4 - 87054 Rogliano (CS). Riceviamo il n. 56 (gennaio-giugno 2014), sul quale, tra le altre firme, rileviamo quelle di Giuseppe Barra (“Mare”), Luigi De Rosa (“Il viaggio della vita di Bruno Rombi”), Maria Luisa Daniele Toffanin (“Cenacolo di Praglia: L’umiltà in David Maria Turoldo”), Paolo Ragni (“Mi manca il mare di Corrado Calabrò”). * DIMENSIONE D - Mensile diretto da Rosanna Impiccini - via Berlinguer 7b - 00040 Pomezia (RM). Riceviamo il n. 11 (15 novembre 2014). * IL FOGLIO VOLANTE7La Flugfolio - Mensile di cultura varia diretto da Amerigo Iannacone e Raffaele Calcabrina (resp.) - via Annunziata Lunga 29 - 86079 Venafro (IS). n. 11 (novembre 2014), con le firme, tra le altre, di Adriana Mondo, Loretta Bonucci, Fryda Rota, Teresinka Pereira.
L’ITALIA DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice
TRA LE RIVISTE IL SAGGIO - Mensile di Cultura, diretto da Geremia Paraggio, responsabile Giuseppe Barra via don Paolo Vocca 13 - 84025 Eboli (SA). Riceviamo il n. 223 (ottobre 2014), del quale segnaliamo “I redentoristi nella Diocesi Caputaquense”, di Giuseppe Barra e, a cura della Redazione, parte di una “Intervista a Lucio Zaniboni”. Allegato, il supplemento “Il Saggio libri, poesia, arte” n. 106/223, sul quale, a pag. 16, viene presentato il volumetto “Alleluia in sala d’armi - Parata e risposta” (Ed. Il Convivio), scritto di Rossano Onano e Domenico Defelice. In quarta di copertina - conclude la nota - , <Angelo Manitta evidenzia come Onano (con la prosa) e Defelice (con i versi) lasciano “emergere alcuni modi di vita” e mettono “in relazione atteggiamenti spesso discordanti o aberranti”>. * L’AREA DI BROCA - Semestrale di letteratura e conoscenza (già “Salvo Imprevisti”) diretto da Mariella Bettarini - via San Zanobi 36 - 50129 Firenze. Riceviamo il n. 98-99 (luglio 2013 - giugno 2014). In calce, note bio-bibliografiche dei tanti autori partecipanti a questo numero.
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Decima puntata* È crisi tra Italia ed Europa. Silmàtteo dice ch’essa ci deprime, che ci assegna troppi compiti da fare, che non crede ai nostri sforzi per cambiare. E quella ci risponde per le rime. È guerra aperta, insomma, tra l’italico bullo e la burocrazia del Continente1, che la ricchezza brucia correndo tra Strasburgo e Bruxelles2, il tempo consumando a misurar banane e cetrioli, ma per l’occupazione non fa niente. È specchio dell’Italia (ma meno esagerato), dove, tempo e denaro, finiscono ogni giorno in un fossato di sprechi e ruberie e di disastri
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ch’è ingiusto li si addossi alla Natura; dove son muri di polistirolo; dove di carta son ponti e pilastri; dove camorra, ‘ndrangheta ed affini occupano tutti i gangli dello Stato, ogni linfa suzzando ed i quattrini; dove è tutto uno sfascio colossale, dove anche nei partiti c’è l’inferno (l’esempio del PD e di Forza Italia, entrambi dilaniati dall’interno). Silmàtteo ora vuole accelerare con le riforme - Senato e lavoro e in specie con la legge elettorale; ha capito di avere ancora un po’ di vento in poppa e presto forse al voto vuole andare. Non può star fermo, ha bisogno di moto; deve tenere acceso il frullatore coi cambiamenti finti e coi pasticci, perché non se ne accorga il cittadino di avere intorno solamente il vuoto. Una energia cinetica è la sua, che si nutre di chiacchiere e traguardi schizzati sempre avanti, ma che giammai potrà realizzare. Ormai, pure Re Giorgio l’ha capito, che, stanco, sia per gli anni e qualche [ acciacco, disturbato dal trito e dal ritrito, deciso ha di mollare. Forse con l’anno nuovo si dimette lasciando la barchetta in mezzo al mare col la sua putrescente e greve soma. È allarme terrorismo. Forze eversive e oscure, in combutta con l’Isis, rischiano d’infiammare mezza Italia con attentati, specialmente a Roma. E lui? Lui se la squaglia! Come se la Costituzione gli avesse dato a tempo la poltrona. Anche è forse per questo che Silmàtteo ha accelerato il moto. Vuole che al Quirinale salga un docile
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che non gli remi contro, che non aggiunga guerra al terremoto. Il vespaio è in allarme: da Anna Finocchiaro alla Bonino, da Pinotti, a D’Alema, a Gianni Letta; in lizza sono ed in fibrillazione da Giuliano - l’Amato! - a Paola Severino, da Draghi Mario a quel Romano Prodi (l’acida mortadella bolognese sopra ogni mensa sempre in posizione) Né manca mai la frutta: vogliamo dir di quel Marcello Pera3 a molti sconosciuto, ma che, come tant’altri, ricompare quando son d’assegnare le poltrone. Domenico Defelice (10 - continua) * Breve Riassunto delle precedenti Puntate - Una notte d’estate, Berlusca erutta, attraverso un suo attributo, per una condanna definitiva. In Germania, Angela Merkel è in sofferenza per una perdurante stitichezza (in senso economico e specialmente nei nostri confronti). Silmàtteo Renzusconi, segretario PD e capo del Governo, promette mari e monti e di combattere contro l’ austerità dell’ Europa a direzione teutonica. Ma è, a quanto pare, la solita manfrina. Berlusconi, condannato ai servizi sociali, politicamente, continua ad aver peso su tutto. L’Italia è nel caos. Anche per una partita di calcio si arriva alle pistolettate. Esplode il caso dell’ExPo milanese. Il Parlamento, a dispetto della crisi, spende denari pubblici in corsi per parrucchieri messa in piega al servizio di deputatesse e senatrici. Le riforme sono una farsa, le leggi non hanno valore, la Nazionale di calcio si sbraca e, nelle processioni, Madonna e Santi si ... inchinano davanti alle case dei mafiosi. È scontro tra i magistrati di Milano. Il Mediterraneo è sempre più una tomba di immigrati. Le Camere fanno finta di fare sacrifici: disdicono l’ affitto di tre palazzi, ma, in compenso, i parlamentari pretendono... l’indennità d’ufficio! Nel mondo, sempre più focolai di guerra e l’Europa fa finta di niente. La Magistratura
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italiana, disturbata dall’ intenzione di riforma di Renzi, mette sotto indagine politici vicini al Governo e pure il papà dello stesso Presidente. Intanto la gente continua a perdere fiducia nella politica. I talk show sono in calo di ascolti, il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, prova invidia per chi si droga. In tutto questo sfascio, l’unico faro è Papa Francesco, che ha fatto mettere in galera pure un monsignore perché accusato di pedofilia. NOTE: 1 - Alle accuse di Matteo Renzi, ha risposto piccato Jean-Claude Juncker, politico lussemburghese, nato a Redange-sur-Attert il 9 dicembre 1954 e nominato Presidente della Commissione Europea il primo novembre 2014. 2 - Il solo Parlamento ha tre sedi: Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, con spostamento continuo dei parlamentari e delle scartoffie! Di conseguenza, spese enormi. Noi siamo scandalosi, ma l’Europa, che ci dà lezioni, non scherza, tesa a far le pulci a frutta e verdure! I cetrioli sono di serie A e B; i primi non possono avere una curvatura superiore a 10 mm. su una lunghezza di 10 cm.; nei secondi, la curvatura non può superare 20 mm.; e ci son pure la lunghezza e la curvatura delle banane e tanto altro ancora! 3 - Nato a Lucca il 28 gennaio 1943, è stato anche Presidente del Senato.
LETTERE IN DIREZIONE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice) Carissimo, hai ragione, sono stata io a dirti con tutto il calore del cuore di partecipare alla XIV edizione del Premio 'Lionello Fiumi', mandando alcune tue poesie inedite e ti ringrazio di averlo fatto. Tu, il vero erede della corrente letteraria del Realismo Lirico, hai tale scuola e professionalità dietro le tue spalle che il riconoscimento verrà senza mezze misure e proprio perché mi hai concesso sulla tua Rivista Letteraria ampio ed importante spazio per le investigazioni che ho portato avanti intorno al Fiumi e non solo. A prova di
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quanto ti sto scrivendo porto l'intenzione del dott. Agostino Contò, espressa proprio durante la pausa conviviale, che ha seguito le cerimonia di premiazione: raccogliere tutti gli articoli su Lionello Fiumi Apparsi sulla tua Rivista e farne un libretto agile e dinamico, attualissimo e da portare in borsetta! Si, carissimo, perché a più riprese ho dimostrato come il Fiumi amasse il sesso gentile - Florette Morand Capasso mi ha ribadito che era molto accattivante e 'maliardo' anche con lei, ma si sono abbracciati solo come 'fratelli' ed in quell'occasione, a Bruxelles, Aldo non c'era, non era ancora 'il 'suo' Aldo - e quindi, ora, anche le fanciulle, in fiore o meno che siano, potranno sorridere un poco ai suoi corteggiamenti in versi ed apprezzarne il dinamismo erotico. Mi allontano un poco da questi temi leggeri, sempre restando però nel mondo sconfinato del Realismo Lirico e ti voglio portare alla memoria ricordi cari. Si tratta del volumetto 'Di sentiero in sentiero' di Rocco Distilo, liriche con prefazione di Domenico Defelice per i tipi de 'Éditions “Le petit moineau” di Roma. La dedica dice “Al critico e poeta Francesco Pedrina con simpatia e ammirazione. Sac. Rocco Distilo - 89054 Galatro (Reggio Cal), 10-11-967”, I Edizione, 1967; tra le pagine 54 e 55 una tua lettera con busta, indirizzata al Papà, in via Rolando da Piazzola a Padova, sul retro il tuo indirizzo di Roma, quando stavi al n. 130 di via Emanuele Filiberto ed uno schizzo di Papà, tre micetti furbi su un parapetto e la loro mamma micia vista da dietro! In altra sede la riporterò per intero, ma ti posso dire che tu avevi seriamente capito il problema degli errori di stampa nei suoi volumi associata alla poca cura che il Trevisini, l'editore dei suoi volumi per le scuole medie e superiori di tutta Italia, metteva nel controllare il lavoro dei suoi rappresentanti presso i docenti (in effetti Papà si lamentava spesso che le copie date in omaggio erano molto vicine, in quantità, a quelle vendute, anche dopo anni dall'uscita di un testo!). Ti riporto una sua poesia, in onore di mio fratello Virgilio e di tutti coloro che hanno dato
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la loro vita perché ora, proprio ora, in questa difficile ora d'agonia per l'Italia, ci sia un richiamo alle nostre preziose tradizioni ed un risveglio di dignità e di identità quando hanno le loro radici nell'onestà e nella coerenza: sono queste nostre antiche virtù che devono costringere l'ipocrisia ed il malaffare a desistere, a ridursi nella presenza e nell'efficacia del loro subdolo agire, temendo fortemente smascheramenti (di sicuro già sai che qui al Nord tanti sono stati i piccoli e medi imprenditori che, stretti tra i debiti e lo strozzinaggio che li accompagna, si sono coraggiosamente tolti la vita!). Per tutti coloro che, soli, meritano luce. 'MORIRE CON UN SORRISO T'ho visto morire con un sorriso sul tuo vecchio giaciglio, senza un volto amico, senza amore, solo il mio volto di stanco sacerdote, nella capanna d'erbe. Ai miei baci di fratello, di sorella che non avesti accanto, s'illuminò di giovanil bellezza il tuo sorriso, s'accesero i tuoi occhi spalancati, e ti vidi come Cristo cricifisso, che Ostia ti portai, Viatico dell'ultimo tuo viaggio. Vecchio mendicante, in ginocchio cercai i tuoi piedi e li baciai, ancora caldi, duri e risecchi di tanto camminare. Ti porteranno domani al camposanto, tra sentieri fioriti, e chiamerò chi vuol vederti, o vecchio mendicante, morto con un sorriso, l'ultimo, come l'ultimo grazie a chi ti porgea un pezzo del suo pane.' (Rocco Distilo, 'Di sentiero in sentiero' - Liriche, op. cit. pag. 54) E perché si sappia, soprattutto in Francia, che qui, in Italia, ogni dialetto da Nord al Centro al Sud è vera e propria lingua, ti ricopio da Internet un suo canto in lingua calabra: ' 'U FURNU
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Furnu di casa, niggru, abbandonatu, pari c'aspetti ancora cui t'adhuma, sa vucca nd'agghiuttìu pani mpastatu, mò friddu non vampija e cchiù nò fuma. Era 'na festa: all'arba s'impastava, sutta cumbogghi ncaddu si mentìa; e d'ura in ura la pasta allevitava, hiaccava chi parìa na giografia. Focu a lu furnu chi schittarijava, e fraschi e fraschi parìa 'na batteria, lu càdhipu, lu solu, cadhipijava, 'na vecchia pala longa chi trasìa e nescìa La vucca lu timpagnu poi chiudìa, lu hiavuru di cottu ti sanava, puru si guardu sentu l'angulìa, tutti a lu furnu quandu si 'mpurnava. Appena russijava la pizzata, la prima avanti furnu si tirava, a pezzi su 'na tavula conzata, cuntenti lu spartèmu e si mangiava'. (Rocco Distilo, tratto dal suo Profilo in Internet) Pascale Delormas, la linguista francese alla quale hai dato ampio spazio nella tua Rivista quando l'ho intervistata, è stata qui e l'ho ospitata due giorni a Venezia e si è chiesta se i veneziani capiscono le opere del teatro napoletano e viceversa ed io prontamente le ho risposto che tutti i dialetti d'Italia sono lingue antichissime, con articolazioni storiche, geografiche, di cultura e di tradizione di profonda qualità, da non dimenticare, da non far scomparire, perché in esse ed attraverso di esse si incolla agli Italiani dignità, rigore, aderenza alla vita, alla quotidianità, alla storia, anche se te la scrivo con la lettera minuscola ma la penso maiuscola in tutti i sensi! Ha come un poco ironizzato, con quel sarcasmo che si apprende dal quotidiano 'Le Canard enchaigné' e che clona i francesi tutti allo stesso modo nelle relazioni -questo lo avevo già rilevato a lei in altra occasione, a La Grave!- ed ha detto che nelle loro scuole dell'obbligo non si studia certo l'Italiano. Testimonianza beffarda questa per dire tra le righe che l'Italia è sempre stata terra di conquista degli altri 'regnati' europei e non solo, per sminuire attraverso l' arroganza, per far bottino a tutto spiano e per
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aver dominio facile e sbocco al mare? Non lascio certo ai posteri l'ardua sentenza perché questo è il solo tempo che ho a disposizione e come te, con te e con tutti gli altri che lo vorranno al fianco, lotto perché si faccia strada un giusto, riconquistato coraggio. La fedeltà all'Amicizia è dimensione che nobilita in reciprocità e ci rende degni di costruire relazioni importanti, significative, luminose. Anche il tuo numero di Novembre, con le memorie di Aida e la foto di Papà in prima pagina sono testimonianza di un incredibile viaggio di avventure e di vita iniziato con lui anni or sono ed ancora carico di inesplorate emozioni. Tu, il Pedrina, il Fiumi, il Capasso, la Bono, gli altri ancora ed i mille risvolti della vostra intrapresa poetica e letteraria, per gli Autori, per gli studenti delle Scuole Medie e Superiori, per i collaboratori e gli estimatori delle nostre Italicae Litterae. Tu, il tuo percorso individuale e sociale, professionale e personale a partire da quegli 'Anni Torbidi' che ti hanno visto aprire la mente alle vicende storiche di questo Paese ed imporre la tua scelta autentica di interventi e di lotte, senza invidia e senza genuflessioni, aperta generosamente ed inflessibilmente alla dura quotidianità e all'ascolto. Tu e Pomezia Notizie, questa prova costante ed indiscussa del tuo serio impegno a confrontare, a selezionare, a costruire percorsi, a creare connessione e riferimenti, a testimoniare l'infinito interesse per tutto ciò che sa di Libertà e di vera Giustizia, nel complesso panorama della cultura e della storia contemporanee. Allora, dalla tua 'Prefazione' al volumetto di Rocco Distilo, riporto alcune tracce che ti evocheranno emozioni intense: “...Sociale, socialismo, socialista eccetera sono vocaboli che oggi stanno sulla bocca di tutti. Ma quanti li usano onestamente, quanti lavorano affinché ciò che essi esprimono si tramuti in realtà? Non certamente chi li grida ai quattro venti, cioè 'l'uomo politico/con la faccia di gomma' (Rudy De Cadaval: 'Stagione delle malinconie' - Liriche - Editrice Dei Quattro), perché egli va in cerca di voti; non l' industriale, ispirato da certo gioco, detto ma-
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chiavellico, e perché vuole apparire amico di tutti; non il religioso, che li predica, a volte, vuoti e snaturati, adattati a certe necessità, ispirati più da un calcolo che da una commozione; non lo scrittore e il poeta che cercano di far colpo e andar col tempo. Nuotiamo, insomma, in queste parole e continuiamo ad essere assetati di linfa sociale, di spirito sociale, di carità sociale. Rocco Distilo le parole sociali non le pronunzia neppure, ma le attua con le proprie opere, con la propria vita di rinunce, vivendo giorno per giorno a contatto delle miserie d'uno di questi paesi del Sud abbandonato, dove il reddito pro-capite è il più basso d'Italia; egli è un sacerdote che dell' amore verso il prossimo e della carità ha fatto l'unico suo scopo, volendo attuare il messaggio evangelico...”(Domenico Defelice, Prefazione, in Rocco Distilo, op. cit. pag 5). Adesso il tuo cuore vibrerà forte ed allora lo terrò a freno con un caloroso abbraccio. Ilia Ilia Carissima, secondo me, “gli articoli su Lionello fiumi apparsi sulla [...] Rivista” non sono sufficienti per “farne un libretto”, anche se “agile e dinamico”; occorre, quindi, che tu amplifichi le “investigazioni”, su di lui e sulle sue opere, assicurata fin d’ora, da parte mia, dello spazio necessario per farli apparire sulle pagine di Pomezia-Notizie. Don Rocco Distilo era uno tra quelli che ammiravano il tuo Papà, in quegli anni nei quali mi son dato da fare, in tanti modi, per propagandare l’ adozione, nelle scuole, della insuperabile Storia della Letteratura Italiana e delle tante stupende Antologie di Francesco Pedrina. Non ti nascondo che, spesso, il rifiuto mi veniva giustificato col ricordarmi la presenza, nei volumi, di eccessivi refusi. Un libro che va in mano agli allievi - dicevano deve essere, quanto più possibile, privo di errori tipografici. Al Distilo, che, mi pare, insegnasse religione, avevo parlato perché si adoperasse all’ adozione de Il Gonfalon selvaggio. Altro amico del tuo Papà era il caro Nino Ferraù, di Galati Mamertino (ME). Le Petit Moineau è stata la mia seconda editrice (la terza, Pomezia-Notizie), creata su suggerimento di Solange De Bressieux per gli scambi culturali tra Italia e Francia. Sono state molte le opere di valenti scrittori e poeti stampate con tale marchio. Ricordo, in particolare, un grosso volume del poeta e
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filosofo Domenico Antonio Cardone (Palmi, 1894 Palmi, 18 settembre 1986), tradotto proprio dalla De Bressieux, e la bella antologia al femminile Fiori di Francia e d’Italia, compilata da me e dalla stessa Solange. Permettimi di dissentire sul “coraggio” dei “piccoli imprenditori che, stretti tra i debiti e lo strozzinaggio”, si son tolta e si tolgono la vita. Il vero coraggio è ribellarsi, contro gli strozzini, contro le tante mafie in guanti, cravatta e colletto bianco e contro lo Stato, perché l’Italia è uno dei paesi più corrotti del mondo. Ma la corruzione vuole che siano almeno due i soggetti: i corrotti e i corruttori. Se mancasse uno di essi, respireremmo meglio, credimi. Allora, il vero coraggio è dire no a ogni forma di disonestà, compresa quella delle tasse esagerate che strozzano ogni iniziativa, non quello di togliersi la vita. Non è che quando qualcuno, perché vessato, decide di andarsene all’ altro mondo, gli strozzini, i mafiosi, lo Stato parassita e disonesto cessano di esistere! La lingua italiana è la quarta più parlata nel mondo, dopo inglese, francese e spagnolo. Se non è la prima, non è colpa di un destino cinico e baro, ma solamente nostra; di noi, che abbiamo preferito sempre scimmiottare gli altri, vergognandoci anche del latino, lingua duttile, omnicomprensiva, che, se difesa, per struttura, flessibilità nell’aggiornarsi eccetera, avrebbe meritato di divenire la vera lingua universale, al posto del nato già morto Esperanto e dello stitico Inglese. La colpa non è di certi stranieri del passato e del presente che, “per sminuire attraverso l’arroganza, per far bottino a tutto spiano e per aver dominio facile e sbocco al mare” e tanto altro ancora, hanno vietato e vietano “che nelle loro scuole dell’obbligo” venisse o venga studiato l’ Italiano. La colpa è di chi ci ha governato a partire dalla seconda metà del secolo scorso e di chi ci governa oggi e degli esempi deleteri che hanno dato e che continuano a dare. Due soli di tali esempi e solo dei giorni nostri: Berlusconi e Renzi. Entrambi, all’estero (ma, a volte - ed è da ridere! - anche stando in Italia, a fianco all’ospite di un altro paese), si intignano a parlare un inglese surreale, quando sarebbe onesto che con orgoglio parlassero solo Italiano, la stupenda e duttilissima lingua nostra, comportandosi, cioè, come sempre orgogliosamente fanno, nella loro lingua, gli altri capi di stato e di governo. Tra i particolarmente orgogliosi ci sono i nostri cugini d’Oltralpe, che quasi ci disprezzano, tanto è vero che sono rari gli scrittori e i poeti italiani tradotti e pubblicati in Francia. Ma, per fortuna, non mancano le eccezioni. Oltre la Solange, ricordo il carissimo amico Paul Courget, veramente innamo-
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rato del nostro Paese e della nostra Cultura; entrambi han tradotto, nella loro lingua, centinaia e centinaia di nostri bravi autori. In tutto, ci manca un po’ di orgoglio, Amica carissima. Il Fascismo ne aveva inculcato troppo e pernicioso, ma una Sinistra insana e iconoclasta, per anni prona a Mosca, l’ orgoglio, agli Italiani, l’ha cancellato del tutto, come ha distrutto il concetto di Patria e di Nazione. E l’è stato fin troppo facile, venendo, noi, da secoli di divisione in minuscoli staterelli e da un coacervo di lingue. Sì, vere e proprie lingue quelle che chiamiamo dialetti, radicate in una lunghissima storia e solidamente strutturate. Occorre recuperarlo un po’ l’orgoglio, un po’ di quello sano, per sentirci uniti, legati - per dirla col Manzoni (“Marzo 1821”) - non più “d’arme” - che vanno sostituite con Arte, Cultura, Scienza -, ma certamente “di lingua, d’altare”. Un abbraccio fraterno. Domenico
La seducente arte di
GRAZIA LODESERTO sull’opera omnia del geniale WILLIAM SHAKESPEARE di Andrea Bonanno
U
NA voluminosa monografia, per una mostra che sarà esposta a Birmingham, in Inghilterra e in varie città italiane, corredata da molte testimonianze critiche nonché dalle 37 opere pittoriche della pittrice internazionale Grazia Lodeserto, precedute dalle schede critiche curate dall'incisivo e valente critico Giovanni Amodio, sui drammi e tragedie del geniale William Shakespeare, è stata pubblicata dal titolo Tutto Shakespeare - Ochiperlui , a cura di G. Amodio, da Le Nuvole Teatro di Roma con il patrocinio di importanti enti ed Università. L'artista, dopo i cicli dedicati al Baudelaire, al Musil, al Petrarca, allo Joyce e a tanti altri autori, si è concentrata sulla smisurata ed avvincente produzione del geniale drammaturgo inglese, per estrapolarne pittoricamente suggestioni ed incanti inediti, aspetti e riflessioni finora non esplorati, sicché, secondo il dire della stessa Autrice, la sua indagine si basa su
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una "ri-scrittura per immagini, per simboli, per metafore, per analogie, per opportune sintesi". Invero, l'indagine analitico-sintetica dell'opera omnia del Bardo muove da un io che ricerca e che si commisura con le datità del conscio culturale, dato qui dai contenuti delle opere shakesperiane, ossia con gli aspetti delle ricorrenti determinazioni che caratterizzano i sentimenti ed il destino di ogni personaggio. Le 37 opere pittoriche approntate non si pongono allora come delle inerti illustrazioni o banalizzanti narrazioni, bensì come il serio risultato di un'indagine, a connotazione verificale, ricercante dimensioni inedite di un'umanità spesso negativa in balìa di trame stravolte dall'orrore del male, in forza di una prodigiosa abilità pittorica e di un'alta verve inventiva. Nella condivisione con il grande drammaturgo, che è un acuto indagatore dell'anima umana, che la vita sovente si risolve in un accadere tragico risucchiato di continuo da un vuoto sempre più invadente e micidiale, segnato da esasperate opposizioni e contraddizioni ineluttabili ed angosciose, l'autrice, nelle sue opere pittoriche sa condensare del Shakespeare le sue descritte ingiustizie, gli atroci atti di crudeltà, la propensione dell'uomo a divenire belva e mostro, gli efferati delitti, le lugubri sequele di odii e vendette, i reiterati tradimenti, l'ingratitudine non prevista e ancora i vari deliri e ossessioni, mantenendone lo spessore poetico e il rilievo drammatico soffusi di un pathos coinvolgente nell'amara e desolata rappresentazione della condizione umana in balìa degli istinti più orridi e delle angosce più conturbanti, in impaginazioni inedite ed espressive, in cui delle figure, come esasperati traslati dell'assenza dell'umano e come sagome spettrali di un'immane consunzione, si oppongono ad altre di natura bonaria e dolce, nella stesura di immagini simboliche suggestive, nell'evidenziarsi di un lucido darsi di un segno esuberante e raffinato e di un armonioso accostamento di cesellate cromie. Esemplare cruento di un'orrenda ferocia è Tito Andronico, rappresentato come una vuota armatura in una ridda di teschi, di saporiti
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cibi, di lance e di una mano mozzata, sovrastati da due sfere ruotanti, simbolo di una reiterata serie di omicidi. Anche la figura di Antonio, in Antonio e Cleopatra, è un'armatura senza volto a significare la sua inerte subalternità di uomo nei riguardi dell'allettatrice d' amore, simile ad un serpente, Cleopatra, che campeggia nella composizione con il suo flessuoso corpo che sta per essere morso da un aspide per espiare le sue colpe. Nel Mercante di Venezia il volto del sanguinario usuraio ebreo Shylock non ha una connotazione umana, a differenza dell'ereditiera Porzia e la sua cameriera Nerissa, per la sua orribile e disumana richiesta della libbra di carne da prelevare dal corpo di Antonio nel caso di una sua mancata restituzione del prestito. E' senza volto anche Giulio Cesare, rappresentato come una toga rossa trafitta dalle numerose spade dei congiurati assassini e da mani protese come degli orribili artigli per lacerare il suo corpo, mentre tanti corvi neri, ossia dei senatori traditori, attendono il loro turno per sfogare il loro odio verso il temuto negatore della libertà democratica. Avvince invece in Otello, la raffigurazione della mite e pura d'animo Ofelia, che si è annegata per il troppo dolore subìto e per la morte del padre da parte di quel contraddittorio inquietante malinconico che è Amleto, rappresentato da tante sinuose ed intrecciate erbe e da un piccione e da un coniglio sullo sfondo di una natura rigogliosa e seducente. Nell'opera Romeo e Giulietta dominano la composizione i lineamenti dolci del suo volto e la sua treccia bionda, simbolo della sua voluttà e del suo amore, raffigurata come un'interminabile catena che la porterà, insieme al suo amato Romeo, alla morte per delle impreviste circostanze causate da uno stratagemma disperato, escogitato da Frate Lorenzo, per evitarle il matrimonio con il Conte Paride secondo la volontà del padre. Nel Re Lear si assiste al ribaltamento dell'amore, che non riesce a manifestare verso suo padre, in un tragico destino di morte, della virtuosa e riservata figlia Cordelia, mentre l'avidità e la malvagità delle sue
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sorelle Gonerilla e Regana si accaniranno contro il vecchio padre da renderlo vagabondo e delirante, raffigurato nell'opera con il suo glaciale volto cristallizzato per la morte della figlia Cordelia, per il disamore ricevuto e per la crescente crudeltà dell'inganno verbale esistente nel cuore dell'uomo, che risalterà maggiormente e tragicamente messo in contrasto con la verbale accezione della verità, fatta di suggerimenti alla prudenza e ad una virtù perspicace, proferita dal Matto, rappresentato con gorgiera e sonagli con al centro una spirale, simbolo di un'apparente pazzia. In Macbeth la tragedia è attraversata di continuo dalle tenebre della paura, da truci immagini di omicidi e da una soffocante violenza che trascina dei sanguinari, giorno dopo giorno, alla "polvere della morte". E' la mente diabolica di Lady Macbeth ad escogitare per prima l'uccisione di Duncan, re di Scozia, ma è Macbeth ad ucciderlo per poi fare assassinare il generale Banquo, la moglie e il figlio di Macduff. Lady Macbeth impazzisce e si uccide, mentre Macbeth viene ucciso da Macduff e Malcolm potrà così diventare re di Scozia. Nell'opera Macbeth,2, la diabolica e sanguinaria Macbeth si identifica con le tre
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streghe e le tre civette poste sulle spalle della strega presentata da tergo in primo piano, che presenta sui capelli delle vistose larve, un osso e una mano dalle lunghe unghie come degli artigli acuminati, mentre la strega, posta a sinistra, è raffigurata con un occhio bendato e sui capelli il neonato Macbeth con una corona sulla testa, mentre, in alto sullo sfondo, la foresta di Birnam avanza nascondendo delle lance, ossia le truppe inglesi al comando di Malcolm, figlio del re Duncan, e del prode Macduff, "thane" di Fife, assetati di vendetta e di porre fine alla vita dell'usurpatoreregicida Macbeth. In effetti, la stessa malia infernale delle tre streghe riesce a rivivere in Macbeth e nella sua Lady, in forza di una enigmatica profezia che spinge tutti e due ad uccidere il re benefattore Duncan. Non per nulla Ecate, notturna dea dei trivi e dei sortilegi delle streghe, afferma che esse sono delle "fattucchiere insolenti e beffarde" per avere raggirato Macbeth coi doppi sensi in "maneggi di morte" e con "incanti, filtri e malie" preparare le "specie più rie ". Tutte le altre restanti composizioni pittoriche risultano di un notevole livello espressivo per le inventive immagini realistiche e simboliche e per la straordinaria stesura delle varie cromie e degli esuberanti elementi ornamentali. Si rimane inebriato di stupore allora, alla luce di ciò che ha scritto il Lalou1, constatando che l' Autrice è riuscita a rappresentare pittoricamente ed in modo inventivo le più riposte forze agenti sull'anima di ogni personaggio, rimanendo fedele alla potente capacità di analisi del Bardo e alla sua incisiva resa descrittiva e poetica, riuscendo nel contempo a raggiungere un rilevante spessore poetico in forza di uno stile denso di una ammaliante grazia, in cui le immagini brutali coesistono con i ritmi cromatici e formali, sobri, ma preziosi, che sembrano sortire, ricreando simbolicamente gli splendori di un'innocenza e virtù perdute, nel dialettico e trascendentale raffronto dell'orribile condizione dell'uomo con i suoi sogni più autentici e veri, spiragli di luce e di una vera vita, proiettando i più poetici
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slanci del cuore dell'uomo verso una inedita rifondazione del senso del bene, del vero, del giusto e di una partecipata e consapevole solidarietà umana. Andrea Bonanno 1
René Lalou, La letteratura inglese, Milano, Garzanti, 1954, p. 29 . L'Autore scrive che quella di Shakespeare è "creazione appassionata, in cui realismo e lirismo non temono di rasentare la brutalità da un lato ed il preziosismo dall'altro". Qui sopra: Grazia Lodeserto: Lucifero con Giuda, Bruto e Cassio.
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