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LA LETTERATURA FEMMINILE all’inizio del NOVECENTO. di Maria Grazia Ferraris LL’inizio del Novecento in Europa pensano, scrivono donne di grande valore, come la statunitense Gertrude Stein, che a partire dal 1903 vive a Parigi, Simone Weil, la filosofa, di origine ebraica, la scrittrice inglese Virginia Woolf, che morirà suicida nel 1941…Diverse e inconfondibili, sono legate da una comune provenienza storica di appartamento e solitudine che finalmente trova il luogo e lo spazio per emergere ed esprimere il talento femminile a lungo taciuto nella scrittura. E così accade a scrittrici e poetesse geniali che occuperanno nella prima parte del secolo un posto unico ed inimitabile nella letteratura Novecentesca: Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, Katherine Mansfield, Doroty Parker…. Praticano generi nuovi per una donna, scrivono opere varie, aperte, impegnate, sperimentali. In Italia viviamo invece una situazione culturale attardata, in particolare per le donne. Sono le riviste che ospitano le prime firme incerte, frivole, leggere, delle donne italiane, che si occupano di galateo, articoli di igiene, cucina, moda…, ma anche scrivono un certo numero di articoli culturali e di interventi mirati ad analizzare le problematiche femminili legate al lavoro e alla sfera pubblica (M. Serao, la Marchesa Colombi…). Faticosamente e timidamente le donne provano ad affacciarsi alle tematiche letterarie, con la pubblicazione
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All’interno: Prometeo, tragedia dell’ascolto, di Ilia Pedrina, pag. 7 Spoon River tradotta da Benito Poggio, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 12 Tra vertigine e poesia. Ricordando Blaise Pascal, di Nazario Pardini, pag. 16 Benedetto Croce, di Leonardo Selvaggi, pag. 20 Elena Milesi e Quaderno della sfida, di Luigi De Rosa, pag. 23 XXIV Città di Pomezia 2014 (Risultati e materiali di: Antonia Izzi Rufo, Mariano Coreno, Giovanna Li Volti Guzzardi, Anna Trombelli Acquaro, Claudio Carbone, Rodolfo Vettorello, Aurora De Luca, Paola Insola, Umberto Cerio, Santo Consoli, Salvatore D’Ambrosio, Monica Fiorentino, Gennaro De Falco, Noemi Lusi, Mariagina Bonciani, Lucio Vitullo, Anna Maria Bonomi, Emilia Bisesti, Carmela Savarina Sacco Perri, Filomena Iovinella, Armando Romano, Anna Vincitorio, Ugo Sansonetti, Elisabetta Di Iaconi, Angelo Cianfrone), pagg. 25/49 Che cosa è l’erba, di Luigi De Rosa, pag. 50 Un intenso “amor vitae” in Rescigno, di Floriano Romboli, pag. 51 2007. L’anno poetico di Edio Felice Schiavone, di Mario Dentone, pag. 52 I Poeti e la Natura (Andrea Zanzotto), di Luigi De Rosa, pag. 54 Notizie, pag. 62 Libri ricevuti, pag. 62
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Un sogno che sosta, di Gianni Rescigno, pag. 55); Tito Cauchi (Azzurro veliero, di Rocco Cambareri, pag. 56): Tito Cauchi (Nel mare della bellezza, di Panagiota Christopoulou-Zaloni, pag. 57); Tito Cauchi (Poi, di Amerigo Iannacone, pag. 58); Carmine Chiodo (Un sogno che sosta, di Gianni Rescigno, pag. 59); Domenico Defelice (Il quaderno della sfida, di Elena Milesi, pag. 60); Andrea Pugiotto (Il giardino del cuore, di Giovanna Li Volti Guzzardi, pag. 61).
L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 63
Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), Pag. 65
Inoltre, poesie di: Rossella Cerniglia, Giorgia Chaidemenopoulou, Colombo Conti, Domenico Defelice, Alda Fortini, Themistoklis Katsaounis, Adriana Mondo, Teresinka Pereira, Edio Felice Schiavone, Leonardo Selvaggi
di novelle o di romanzi a puntate: un piccolo varco poco competitivo nell’ esperienza giornalistica. Su una linea più impegnata si
pone, anche se con incertezze, scontando il ritardo culturale della situazione politicasociale italiana la promettente Sibilla Ale-
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ramo, con il suo romanzo biografico: “Una donna” (1906)con un severo atteggiamento polemico e critico. Scriveva già nel 1906 anticipando posizioni controcorrenti di proto femminismo laico:
vimento femminile e del mondo letterario, a Roma prima e a Firenze poi, collabora al Marzocco. La sua teorizzazione fu quella di una sorta di mistica della femminilità, riassunta nel Diario:
“ E incominciai a pensare se alla donna non vada attribuito una parte non lieve del male sociale. Come può un uomo che abbia avuto una buona madre divenir crudele, sleale verso una donna a cui dà il suo amore, tiranno verso i figli? Ma la buona madre non deve essere …. una semplice creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana.”
…. Se fossi nata uomo, avrei forse per esso sofferto al pari di Leopardi…Donna ho portato al contrario questo vagheggiamento di una più alta femminilità come passione salutare, come una religione parallela, innestata a quella della poesia….”
SIBILLA ALERAMO (alias Rina Faccio, 1876-1960) si presenta ancor oggi, a quasi cinquant’anni dalla morte, come una figura di donna complessa e inquietante, presa dai sentimenti, in una fusione completa di arte e vita, che si sono sempre fuse nell'esistenza di questa scrittrice che ha tratto dalla propria autobiografia, ricca di emozioni, abbandoni, avventure sentimentali, amori, tutto il materiale di cui scrive. Figlia di un ingegnere piemontese, quando il padre andò a dirigere una fabbrica in una cittadina delle Marche trasferendovi la famiglia, si trovò adolescente a doversi inserire in un ambiente profondamente diverso dalla realtà cittadina della sua infanzia. Del difficile matrimonio dei genitori, che culminò con la pazzia della madre, si portò dentro una grande malinconia, una mancata identificazione con la figura materna e una idealizzazione, destinata ad essere inevitabilmente delusa, della figura paterna che, sotto forma di depressione, l’accompagnò per tutta la vita. La sua scelta di libertà senza remissione, nel tempo e nelle circostanze, fu a dir poco coraggiosa. Si impegnò in campo giornalistico con interventi intorno alle tematiche relative alla emancipazione femminile, su testate quali "La Gazzetta Letteraria", "Vita Moderna", "L'Indipendente". Nel 1899 a Milano è chiamata a dirigere "L'Italia Femminile": è questo un periodo di mutazione e di formazione, intenso di rapporti all'interno del mo-
L’osservazione dei comportamenti e dell’opera delle scrittrici a lei contemporanee la induce a scrivere sconsolata e stupita delle scrittrici di maggior grido (Neera, Amalia Guglielminetti), estranee ai problemi sociali e umani apertamente ostili al movimento per l’elevazione femminile. Nel 1919 scrive Il passaggio, uno dei testi importanti per il suo autobiografismo lirico, testo fondamentale per la sua vita consacrata all’ inveramento del femminile, seguono: Andando e stando (1920) che raccoglie prose di viaggio e articoli vari, Amo dunque sono (1927), dedicato al suo amore per Giulio Parise,Gioie d'occasione (1930); Il frustino (1932)…L’esperienza giornalistica le fu sempre faticosa. Confessa in Amo dunque sono: “Quando parlo delle mie difficoltà economiche, dei giornali che cercano o respingono la mia collaborazione, degli editori che danno compensi ridicoli, comprendo che chi mi ascolta presuppone sempre che tuttavia io abbia una base sicura, un cespite fisso, una rendita… difficoltà viene interpretato nel senso che non vi son danari per una pelliccia, per un alloggio migliore, per una cameriera… A Parigi abitavo sulla rive gauche e soffrivo il freddo... e in patria frattanto l’Invidia, con multipli volti maschili e femminili, mi denigrava, negava all’opera mia ogni valore, insinuava che soltanto alla galanteria dovevo i miei successi in terra di Francia…”.
E’ giornalista MATILDE SERAO, (18561927), al Corriere del mattino di Napoli, a Roma nel 1882, al Capitan Fracassa, al
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Fanfulla della Domenica, alla Nuova Antologia e alla Cronaca bizantina. Inizia dal < Farfalla>, fondato a Cagliari da Angelo Sommaruga e passato a Milano nel ’77 come organo ufficioso del verismo e della Scapigliatura, e vuole affermarsi scrivendo e tentando faticosamente la sua strada senza aiuti. Diventerà, anche per la sua indipendenza intellettuale, l’esempio delle giornaliste italiane, oggetto di ammirazione ed imitazione. E’ sicura dei suoi giudizi, perfino aggressiva, come si evince da una lettera del ’77 a Gaetano Bonavenia conosciuto a Napoli: “… come salute morale sono in un periodo di produzione febbrile da far paura: scrivo con una audacia unica, conquisto il mio posto a furia di urti, di gomitate, col fitto e ardente desiderio di arrivare... Ma tu sai che io non do ascolto alle debolezze del mio sesso e tiro avanti per via come se fossi un giovanotto”
A Roma nel 1882, collaborò al Capitan Fracassa,che era negli anni ottanta un giornale molto originale e gustoso, con vignette umoristiche, articoli di fondo vari e indiffe-
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rentemente utilizzati (saggio di costume, letterario, novelle), collaboratori di livello che operavano su vari fronti: note politiche, resoconti mondani, cronaca, corrispondenza dalle province. Qui la Serao dimostrò la sua enorme capacità di lavoro e la sua instancabile disponibilità, conobbe Edoardo Scarfoglio, che sposò nel 1885 e dal quale ebbe quattro figli. Con il marito fondò il Corriere di Roma nell’86, che visse due anni di vita faticosa, spesso usato dal direttore come strumento di sfogo per i suoi rancori personali: contro la corruzione dell’ amministrazione romana antidepretisiana o attaccava letterati un tempo amici come il conterraneo D’Annunzio passato a lavorare per la Cronaca Bizantina. Passò poi al Corriere di Napoli. Nel 1892, lasciato il Corriere, fondò sempre con E. Scarfoglio Il Mattino. Lo abbandonò nel 1904, dopo la separazione dal marito, per dar vita al Giorno, che diresse fino alla morte. Donna di grande dinamismo e di non comuni capacità giornalistiche, ebbe un posto di primo piano nella scena della vita napoletana tra i due secoli. La sua attività di scrittrice, iniziata all'insegna dell' ultimo Romanticismo e passata attraverso la lezione del naturalismo e del verismo, finì nei toni di uno psicologismo sottile e misticheggiante influenzato dall'opera di P. Bourget: il meglio di essa va ricercato nelle pagine che, in tono bozzettistico, ritraggono l'ambiente popolare napoletano, e nelle analisi psicologiche, particolarmente sottili per i personaggi femminili, come La virtù di Checchina,1883, che appartiene alla sua prima fase verista, una novella che ha per argomento la malinconica rinuncia all'adulterio da parte di una sfortunata moglie borghese, che salva la sua virtù solo per una serie di impedimenti e di occasionali contrattempi, dovuti alla sua miseria e alla timidezza. Il suo verismo è lontano da quello scientifico del Capuana e del Verga, è tutto nel realismo della precisione descrittiva degli ambienti e nella rappresentazione esatta dei caratteri, come nel Il ventre di Napoli, appassionata e disadorna descrizione delle
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miserie della sua città (1884). Nei romanzi successivi, Il paese di Cuccagna è l'opera di maggior impegno: uno spaccato di Napoli e delle sue diverse classi sociali, dai bassi ai palazzi aristocratici, unificati dalla passione per il gioco del lotto, la follia collettiva che travolge Napoli nella quale la Serao dà il meglio di sé nell’analisi drammatica di una città, della folla disperata che si affida alla speranza nella fortuna (1891). La crisi del Verismo degli anni novanta la porta ad aderire a tendenze mistiche e idealistiche in aperta polemica con il materialismo positivistico. Ne fanno parte gli ultimi romanzi: La ballerina; Suor Giovanna della Croce, tragedia di una monaca che deve reinserirsi nella vita civile, un romanzo senza amore, né sensuale, né romantico, vicenda triste di un amore che non si realizza. Tra le scrittrici del periodo, oggi dimenticate, LA MARCHESA COLOMBI, (18401920) al secolo Maria Antonietta Torriani, che ebbe un esordio del tutto giornalistico scrivendo per il Passatempo 1869, poi diventato il Giornale delle donne e La Donna, e che alla fine degli anni sessanta, orfana e
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sola, lasciò la casa novarese del patrigno e si portò a Milano, allora aperta al giornalismo e alla cultura, ricca di case editrici come la Treves, la Sonzogno, un ambiente ricco e impegnato, quello della Contessa Maffei, che teneva il suo salotto letterario, diventò amica di Carolina Cristofori Piva, l’amica del Carducci, la Lidia delle "Odi barbare", e di Anna Maria Mozzoni, la teorica e organizzatrice del movimento di liberazione della donna, con la quale si impegnò nell’ insegnamento, soffermandosi sull’ importanza della letteratura e della lettura formativa. Non fu 'semplicemente' la prima giornalista a firmare sul "Corriere", ma una scrittrice vigorosa, che espresse quel sentimento di insofferenza nei confronti del dominio del maschio, che cominciava a manifestarsi nella società italiana del primo Novecento, soprattutto tra i ceti di più elevata estrazione, e che si concretò nelle prime lotte per l' emancipazione della donna: l' impulso dato all' istruzione superiore femminile, e l' attenzione costante riservata alle donne di più umile origine - le serve. Basta ricordare alcuni suoi scritti di pregio: Cara Speranza del 1888, In risaia, pubblicato da Treves nel 1878, Matrimonio in provincia del 1885…Continuò la sua collaborazione con giornali e riviste (Gazzetta letteraria e La letteratura e La stampa, Vita intima), tentando di fissare una continuità ed una mediazione tra i modelli giornalistici e la scrittura del racconto. Una personalità, impegnata, ricca, attenta, ironica e lucida, sobria, fondamentalmente malinconica. Eugenio Torelli Viollier, che fu marito della Torriani, aveva da poco fondato il Corriere della Sera e cercava collaboratori. Fra di essi ci fu anche LA CONTESSA LARA, pseudonimo di Eva CATTERMOLE, ( Firenze 1849, Roma 1896), discepola di Dall' Ongaro, che collaborò a molte riviste e concluse la sua tumultuosa esistenza uccisa da un pittore, Giuseppe Pierantoni, con il quale conviveva. Per il Corriere scrisse articoli di Moda, lavorò con Il Pungolo e La tribuna illustrata,( Taccuino femminile,
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Il galateo della signora, Lettera aperta alle Signore) e continuò a comporre poesie. Fu lanciata dalla rivista romana Cronaca Bizantina di Angelo Sommaruga. (Versi, 1883; 1886; Nuovi versi, postumi, 1897). Assorbe poetiche vaghe, dagli scapigliati ai parnassiani bizantini e simbolisti, diventa una musa ispiratrice del D’Annunzio. E' una delle ' tigri reali' , delle ' divoratrici di uomini' nella capitale chiassosa e licenziosa, convulsa e sfrenata negli anni ruggenti della ' belle epoque' . Fra amorose poesie decadenti, Evelina crea il suo personaggio di ' donna fatale' in una avventurosa collezione di amanti raccoglie anche artisti e scrittori. Il D’Annunzio a lei si ispira per il personaggio di Elena Muti nel Piacere: < sul damascato letto ampio e profondo/ ella al blandimento inverecondo/ da tutto il corpo freme il piacere>. Riesce così a inserirsi nella pattuglia giornalistico-letteraria dominante i gusti della buona società d' allora (Scarfoglio, Panzacchi, Sbarbaro, Nencioni, Giacosa…) di-
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stinguendosi per il suo richiamo erotico, stimolando il gergo da romanzo passionale, la spregiudicatezza della delirante celebrazione della donna, dei suoi istinti e sensi. Muore tragicamente uccisa da un imbrattatele, squallido amante sfruttatore, nel dicembre 1896. Donne diverse, ritratti e ambizioni antagoniste, legate al giornalismo come via maestra per giungere all’autonomia della scrittura. Maria Grazia Ferraris Gavirate, VA 1° Premio (Sezione F) al Città di Pomezia 2014. Maria Grazia FERRARIS vive a Gavirate (VA). Ha insegnato letteratura e storia nelle scuole medie superiori. Si occupa di critica letteraria ed in particolare studia il contributo della scrittura femminile del Novecento. Ha pubblicato vari articoli di critica letteraria sulle riviste del territorio varesino e sul web. Ha pubblicato: “Lettere mai spedite” (racconti, 2009), “Rodari, un fantastico uomo di lago” (2010), “Occhi di donne” (racconti, 2012), “Di Terra e di acque” (poesie, 2014), “Aprile di fiori” (poesie 2014). E’ finalista in concorsi letterari e poetici.
DEL POETA LA DIGNIDAD Señores, al restaurante no voy a no ser a cada muerte de papa a la discoteca desde que he cumplido los treinta años Mucho viajo con la fantasía, poco de tren y de autopista y tengo miedo del vuelo. No tengo Suv, ni iPhone, no tengo iPad Nada de prebenda, no soy caballero. Visto modesto, no tengo cuenta en el banco, no tengo villa con piscina. La belleza me encanta en mi edad - ¡y todavía la mujer! Tengo dignidad de poeta. Domenico Defelice Trad. in spagnolo di Teresinka Pereira, USA.
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Dalla Westergasfabriek Gashouder di Amsterdam note di approccio e commento all'opera di Luigi Nono, dopo trent'anni dalla sua prima esecuzione veneziana
PROMETEO TRAGEDIA DELL'ASCOLTO di Ilia Pedrina
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MSTERDAM HOLLAND FESTIVAL 2014 LUIGI NONO: TRILOGIE VAN HET SUBLIEME. Questa è la scritta di copertina, in lingua olandese, per il programma dell'evento straordinario che presenta il compositore veneziano Luigi Nono a partire dal 'Prometeo. Tragedia dell'ascolto' (1985) per solisti vocali e strumentali, quattro differenti gruppi d'orchestra e live electronics Dalla 'Teogonia' di Esiodo, per il tema in mito di Gaia, di Urano, di Oceano e Crono, di Atlante, di Zeus, di Efesto, al 'Prometeo incatenato' di Eschilo, alle 'Trachinie' di Sofocle, all'Hölderlin del 'Schicksalslied', ai temi connessi con il concetto di temporalità oltre la storia, propri di Walter Benjamin e del suo 'Maestro del gioco', con all'interno tensioni dialettiche tra percezione del visibile, che non riusciamo mai a cogliere nella sua interezza, ma della cui esistenza siamo perfettamente consapevoli, unite saldamente a tutti gli effetti acustici resi possibili dallo spazio, ridotto o dilatato che sia, articolato in architetture che provengono dal passato e che vengono riprese come spazialità avida di futuro. Sono arrivata qui, dopo aver studiato la prima parte della grande partitura del 'Prometeo', edizione Ricordi 1985, consultata presso l'Archivio 'Luigi Nono' della Giudecca, per gentile consenso di Nuria Schoenberg Nono, con quella emozione che perdura e che ti coglie quando osservi i tracciati della composizione per orchestre, per cori e poi Heino e Heina, voci sole che dialogano tra loro in lingue differenti: hai la musica in testa e sotto gli occhi le sue 'forme'. Ma Luigi Nono da se stesso e dagli altri, da coloro che lo seguono con passione in quest'avventura lunga anni ed etica ed estetica globale, vuole di nuovo e di più e li ama tutti insieme con lui all'interno e Fabbriciani al flauto e Scodanibbio al contrabbasso e gli altri e le voci femminili sopra tutto e si ascolta, li ascolta e sceglie e decide e aspetta con pazienza e condivide e si esalta.
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Trionfano in quest'opera i segnali di un'oculata innovazione, che non è azzeramento della tradizione, ma sua in-filtrazione tematica, strutturale, in microintervalli e quant'altro di interrogativo il passato attraverso Luigi Nono trasporta con sé nel futuro, in questa progettazione compositiva complessiva: per anni egli vi lavora, quasi ad instancabilmente cesellare il rapporto tra i respiri delle voci in solo e in coro, i suoni, i silenzi, le loro alterazioni artistiche innovative con strumentazioni-microfoni computerizzate, i loro riverberi in una spazialità altra, che dà brividi, perché osa fare proprio delle sperimentazioni del passato presenza viva, con il futuro dentro. Ecco la scansione degli eventi e delle relazioni in essi che porta alla produzione ed alla realizzazione pratica del 'Prometeo', un percorso interno, nella mente e nella progettazione di Nono ed esterno, nell'apertura alla collaborazione, al dialogo, alla sperimentazione con gli altri, che con lui si mettono in sintonia, e nell'esercitazione che è azione artistica e creativa: nella scelta dei testi e delle parole, con Massimo Cacciari, nell'organizzazione delle forme immense, immerse nello spazio, con Renzo Piano, nelle immagini in proiezioni di vetrini colorati e varissimi, con Emilio Vedova, nelle produzioni innovative del live electronics, prima con Marino Zuccheri ed Alvise Vidolin poi, ora, con André Richard dello Studio di Freiburg. Il disegno in schizzo di Nono, reperibile alla Fondazione Archivio Luigi Nono, in vari colori, con arcate di collegamento e frecce, è quello dell' arcipelago, al cui interno tutte le isole hanno la stessa importanza e la comunicazione avviene in un viaggio nell'aria e nello spazio, dall'una all'altra: esso è come il simbolo della comunicazione e del silenzio e di ciò che i differenti silenzi trasportano, quando i suoni si fanno elemento stesso di natura e devono rivoluzionare l'ascolto. Tento una trascrizione, per quanto inefficace e poco adeguata, che ha assoluto bisogno dell'immaginazione, più infinita del suo possibile: 'PROMETEO ISOLE = 5 ciascuna con 3-4 gradazioni di colore = 20 VETRINI NUOVI ROTTE MAPPE NAVIGAZIONI LABIRINTO (sottolineato due volte n.d.r.) + ... 2 STASIMI STATICI CORI (cerchiati in rosso, n.d.r.) I II (ciascuno cerchiato in rosso, in ricezione del vettore della freccia proveniente dall'Isola 5 n.d.r.) DOPO...' e poi a pennarello il giallo solo per l'isola 'PROM.1', in nero-giallo per 'IO 2', quindi l'arcata, in giallo-azzurro-verde arriva a '3 NOSTOI', da qui si percorre il tratto spesso fino a '4 NOMI', la quarta isola cerchiata in verde intenso, dalla quale parte il trait d'union che dal verde arriva al rosso intenso con giallo interno,
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l'isola '5 homme', chiusa fra i due 'DOPO', il secondo in nero pieno. Una traccia ad onda sonora, graficamente segmentata all'interno, attraversa lo spazio, frecce nette in nero convergono verso un'indicazione di scena-spazio- immagine, per vetrini e proiettori. Silenzi. Labirinti, d'ogni forma e viluppo. Questo schizzo ha fatto da matrice ad una cartolina, che l'Archivio offre in dono ai sottoscrittori, che diventano quindi amici dell'Archivio e qui, all'Hollandfestival 2014 di Amsterdam, riprodotta su borsetta di tela, perché si veda tutto in un solo Augenblick, a colpo d'occhio, per tutti quelli che vogliono portarselo con sé, prova concreta della tensione della mente creativa nell'istante del suo complesso coglimento da parte dell'altro da te, chiunque esso sia, nell'adesso come nell'inimmaginabile altrove. Perché avvenga il miracolo. Perché dalla relazione l'ascolto visto porti trans-formazione, a partire dalla percezione stessa. All'amico Massimo Mila, in una cartolina che mostra lo Schauinsland, montagna interna alla Foresta Nera vicino a Freiburg, da Oberried- Hofsgrund, il 7 maggio 1983, Nono scrive: “di ritorno da Barcellona (una settimana di seminari composizione e ca 30 giovani presso la fondazione Mirò)_ gotico-romantico là: splendido_ TÀPIES = inventa e scopre nuovi mondi con nuova tecnica e nuove armonie qui sperimento molto, cerco anche e accumulo esperienze varie: Prometeo e altro e di + _ ti abbraccio GiGi Nono” (da: M. Mila L. Nono 'Nulla di oscuro tra noi' - Lettere 1952-1988, a cura di A.I. De Benedictis e V. Rizzardi, ed. Il Saggiatore, Mi, 2010, pag. 200). Per il 'Prometeo, tragedia dell'ascolto' il luogo, il primo storicamente scelto ed attrezzato con strutturazioni delle impalcature in legno a formare un'enorme arca, con i cori e le orchestre e i solisti dislocati a diverse altezze su piattaforme anch'esse progettate tra Nono e Piano e Cacciari è proprio la antica chiesa sconsacrata di San Lorenzo a Venezia, con arcate e strutture in pietra che portano in forza la loro risonanza, in dialogo con l'imponente forma lignea in travature, negli oltre 23 metri di altezza, mentre il pubblico viene posto nel ventre vuoto del mastodontico scafo. E' il 28 settembre 1984 e l'evento è interno alla programmazione della Biennale. Claudio Abbado alla direzione d'orchestra, Alvise Vidolin al live electronics, Stefano Scodanibbio al contrabbasso, Roberto Fabbriciani al flauto basso e gli altri fedelissimi con lui, in azione, nella storia di una città che vive di passato, in un presente, costosissimo nelle sue strutture portanti, già carico di futuro altro, altrove. E l'altro, l'altrove di allora è
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ora qui, al Westergasfabriek Gashouder di Amsterdam, in una strutturazione degli spazi e delle impalcature, tra legno e ferro, costata quattro anni di lavoro e di impegno su vastissima scala. E sarà poi ancora, ai primi di Luglio, a Zurigo, alla Tonhalle, sempre con Ingo Metzmacher alla direzione d'orchestra e André Richard alla direzione del live electronics. Nel 'Prometeo', in questo evento olandese rintracciabile sul sito dell'Archivio della Giudecca in Venezia, nulla si è cancellato dalla mente e dall'animo di Luigi Nono delle sue precedenti composizioni, quelle che hanno dato un fondamento storico al ruolo efficacissimo ed ineliminabile dei testi: alcune di esse vanno a comporre la 'Trilogia del sublime', perché il suo divenire è fatto di soste, di avvii, di riprese, di annullamenti ed innovazioni, quegli errori che sono necessari a lasciare che proprio il sublime entri attraverso quella debole forza messianica che l'angelo annuncia e testimonia. E in cammino si incontrano svolte. Ad ogni svolta nuove prospettive. E, guardando in alto, da ogni dove in Venezia, quell'angelo che sovrasta la Basilica di san Marco. Forse. L'angelo di Rainer Maria Rilke. L' angelo di Walter Benjamin. Ed infatti, quasi a dimostrare quali invisibili trame ad intreccio forte si vengano a creare tra i differenti tempi e le opere in essi, fili trattenuti e quasi imprigionati, spezzati da singulti e poi riavviati nelle ali dell'angelo, in questa occasione vengono proposti 'Il canto sospeso', per soprano, contralto, tenore, coro misto e orchestra (testi di condannati a morte della Resistenza europea raccolti da Giovanni Pirelli (1955-1956), che imprime un sigillo indelebile nel rapporto tra la vita, la morte, il mondo e la luce in esso, quando fa cantare il testo “Muoio per un mondo che irradierà una luce così forte, così bella che il mio sacrificio sarà insignificante...”; 'Non consumiamo Marx', Musica-Manifesto n. 1, per nastro magnetico (testi documentari) del 1969, perché anche il '68 a Praga e altrove, aveva fatto le sue vittime, nel quale l'intreccio delle voci colte dalle strade e dalle piazze, gridate, esuberanti, forti nella loro rivoluzionaria intensa intenzione, amplifica le pareti di contenimento per poter fare spazio al futuro come utopia; 'Como una ola de fuerza y luz', per soprano, pianoforte, orchestra e nastro magnetico (testo di Julio Huasi) del 1971-1972, con al suo interno la presenza viva della vittima innocente, chiamata e re-clamata con forza e come la forza stessa dell' onda e della luce, in quel 'Lusiano!' che la voce del soprano ed i suoi echi, in temporalità spezzate, fanno entrare in chi ascolta, imprimendo dipendenza. Poi la terza tappa della Trilogia del sublime approderà alle composizioni successive ri-
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spetto al Prometeo, come lo sono 'La lontananza nostalgica utopica futura. Madrigale per più ' caminantes', con Gidon Kremer (1988), per violino e nastri magnetici; 'Caminantes....Ayacucho', per contralto, piccolo e grande coro, organo, tre cori (gruppi orchestrali) e live electronics, su testo di Giordano Bruno (1986-1987); fino a 'No hay caminos. Hay que caminar'....Andrei Tarkowskij, per sette cori (gruppi orchestrali) del 1987, eseguiti intersecati con il Kyrie e il Gloria dalle sacrae Symphonie di Giovanni Gabrieli (1557-1612), composta nel 1597. In cammino, verso Prometeo. Verso una sublimazione della sofferenza storica, testimoniata e subìta dagli innocenti, nel territorio del mito, fino ad arrivare al miracolo, che compone la relazione nella comunicazione e trans-forma, appunto. Con Martin Buber, che Nono ama alla grande, non esito a dire qui, per il suo Prometeo: '...in principio era la Relazione e la Relazione era presso Dio, e la Relazione era Dio...'. Dalle conversazioni in dialogo e per lettera, al 'lavorio' di Massimo Cacciari su testi dalla Grecia di Eschilo alla Germania di Hölderlin e di Walter Benjamin, quel filosofo ebreo che immette nel tutto la 'debole forza messianica', della quale tener conto per avviare la ri-voluzione, una differente evoluzione dell'ascolto come evento di vita in luce. E tutto parte dal 'dran', dal taglio che apre il possibile, ogni possibile, alla sua realizzazione, dalla de-cisione dell'eroe, ora colui che ha Prometeo come nome, di mettersi dalla parte degli uomini, prima sottoterra, effimeri e senza nome, ai quali ora ha fatto dono di vivere le albe ed i tramonti. Il testo è intreccio di sonorità in lingue a fonemi modulati, in tedesco, in greco, in italiano, che vengono frammentati su più piani e strati, come la differente dislocazione delle voci e dei suoni nello spazio, in un con-tempo che non riesci a decifrare e che ti magnetizza: '… ascolta ascolta ascolta non vibra qui ancora un soffio dell'aria che spirava nel passato? ascolta non resiste nell' eco la voce di quelle ammutolite? ascolta resiste voce eco voce come nel volto dell'amata quello di spose mai mai conosciute? vibrano intese segrete s'impigliano nell'ali dell'ange(lo) angelo sanno comporre l'infranto questa debole forza c'è data...debole forza c'è data non sperderla non (spe)rderla...' (Luigi Nono: Prometeo, tragedia dell'ascolto, Partitura d'ascolto allegata al CD, ed. Col legno contemporary, Freiburg, 2007, supervisione di Klaus Pauler,pp. 50-65). Le parole in canto, la loro diffusione nello spazio a diverse altezze, la musica strumentale e il live portano l'ascolto ad una dimensione mai prima esperita. Tutto dipende dalla forza di obliare se stessi e le proprie sicurezze. L'oblio è lo sfondo della
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memoria, che è sua figura, l'oblio è d'essa il suo silenzio: non ha tempo né spazio ed emerge prorompente, proprio perché la memoria trovi il suo senso e metta il sé in cammino. 'Verso Prometeo' - Conversazione tra Luigi Nono e Massimo Cacciari raccolta da Michele Bertaggia- : dodici pagine di comunicazione nella relazione, che sarebbero tutte da riportare perché abbracciano secoli di storia nelle musiche e nelle loro evoluzioni e la parola torna a dare loro vita in un segnale che reclama ascolto che taglia, nella sua tipologia rivoluzionaria, con la passività del fenomeno subìto, avviluppando i progetti a tensioni in divenire, là dove il dialogo coglie concretamente l'emergere e l'evolversi delle idee. Sostiene Nono rispondendo a Cacciari: “Nono: Già indicativa, fondamentale, è per me innanzitutto la differenza tra il pensiero e la prassi che dicono 'ascolta!' e il pensiero e la prassi che dicono 'credi!' Cacciari: Intendi dire che, anziché continuare in un autentico pensiero dell'ascolto, da un certo momento in poi della sua evoluzione il linguaggio musicale avrebbe cominciato ad appellarsi ad una sorta di 'fede' nell'ascolto? Nono: Certo! Una fede religiosa, oppure laica o naturalistica o deterministica o meccanica o, nel peggiore dei casi, narrativa.. e lontana da una fenomenologia acustica. A fronte di questa, ammutoliva invece l'esigenza all'ascolto nel senso di quel possibile che è tale in quanto è non-finibile, nonportato-a-fine. L'ascolto di questo possibile è l'ascolto in cui non c'è differenza tra parte interna e parte esterna... Viceversa si dà quell'ascolto apparente, in cui l'interno è 'sentito' come riflessione dell'esterno, oppure come quell'intimo proprio che differisce dall'esterno. E' lo stesso che accade a chi guardi al di là di questi vetri e veda alberi, e creda alberi e movimenti di rami... ma non ascolti..,. Bertaggia: Per tale 'inautentica' esperienza dell'ascolto, non si tratta dunque di una mera analogia col vedere. A quanto dici, il vedere stesso si costituirebbe a tramite e garante della veridicità del portato della percezione auditiva...” (da 'Luigi Nono e il suono elettronico', 10° Festival Milano Musica, Teatro alla Scala, 2000, pag. 177). Il Maestro del gioco, figura tratta da Benjamin, interviene nel Prometeo a dire e a dare voce in parole al cammino, indica e rivela: 'X Ascolta/nel deserto/dà lode alla Terra XI A noi è data/la debole forza XII MA/ basta/per far SALTARE un'epoca/dal corso della storia. XI di porre in silenzio/(nell'attimo)/la vuota durata. X (nella durata)/ascolta quest'attimo, / (nell'assen-
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za la casa./Non è dato al pensiero soltanto/ il discorrere delle idee.)/Una debole forza è data al pensiero XI Attendono il pensiero/occasioni XII un'OPERA/dal movimento delle opere, XI istanti felici... ' (ibid. pag. 229). In questa straordinaria esperienza del 'Prometeo' ad Amsterdam, nel programma di sala, il direttore d'orchestra Ingo Metzmacher ricorda Luigi Nono al lavoro con i Berliner Philarmonie per la prima esecuzione di questa composizione a Berlino, nel 1988, e la sua emozione trasuda memoria vitale da ogni parola che sceglie per tratteggiarne il profilo: “... Quando è apparso, qualcosa è accaduto dentro di me. Un uomo alto, di bella presenza, che proveniva da altrove, dalla natura stessa, dalla libertà. Portava con sé l'aria di altri pianeti... Lo avvolgeva un'aria di mistero. Quando parlava, ognuno ascoltava, affascinato dal suo aspetto, dalle sue parole... Nono voleva ascoltare ancora e ancora. Era alla ricerca di quel suono specifico dello spazio nel quale ci trovavamo. Gradualmente, in questo modo, abbiamo ottenuto un suono migliore. Il giorno dopo mi si avvicinò e disse: 'Noi abbiamo bisogno di una nuova qualità di suono'. Mi chiedevo che cosa intendesse dire: più alto o più morbido, delicato o duro? No, non puoi interpretarlo in modo semplicistico; una nuova qualità del suono deve essere cercata e trovata e questo era il punto. A dispetto del mio continuo porgli domande, non potevo tirargli fuori nulla di definitivo... Stava parlando di una qualità che andava oltre le nostre solite idee di suono, quella che è più delicata e fragile, più onesta e vera. Voleva ascoltare ciò che sussiste dietro il fascino... Deve aver visto nei miei occhi e udito nella mia voce che io ero come risvegliato, che qualcosa del suo modo di pensare aveva pizzicato una corda in me, posando su un terreno fertile. Che ero un cercatore. Ha iniziato a darmi fiducia e spontaneamente mi ha invitato ad andare con lui a Vienna... Quando l'ho incontrato ero un giovane direttore d' orchestra di trent'anni. Stavo muovendo i primi passi, ero agli inizi del mio percorso. Ma avevo sogni, grandi obiettivi, ero in cerca di un segnale, di un progetto. Incontrarlo in un momento così importante è stato un dono. Mi ha rafforzato i convincimenti, la fiducia in me stesso; ha trasformato i miei ideali, portandoli alla superficie e facendo in modo che io li affrontassi consapevolmente; mi ha dato il coraggio di andar per la mia strada, di seguire la mia voce interiore. Tutto ciò senza in realtà parlarne, ma soltanto con il suo modo di parlarmi e di rivelarmi la sua simpatia. Alla sua presenza mi sono sentito rispettato e degno. Un giovane non potrebbe desiderare di meglio...” (dal programma di sala dell' Hol-
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land Festival, in Amsterdam, 'Luigi Nono: trilogie van het sublieme', 2014, pp. 60-65, tratto da: Ingo Metzmacher, 'Keine Angst vor neuen Tönen?' , trad. dall'inglese di I. Pedrina). Il Maestro André Richard, alla guida dell'Experimentalstudio des SWR di Freiburg, da molti anni amico di Luigi Nono, ricava sapientemente le matrici generative del 'Prometeo', proprio in partiture precedenti, quasi a fondarne il continuum e lo dimostra comunicandone i risultati ai convenuti nel corso del Symposium tenutosi nella sala a fianco del Gashouder il 21 Giugno. Gli ho fatto una domanda: 'Perché nella partitura del ' Prometeo' ad un certo punto, per il contrabbasso, si trova la scritta 'à la Stefano Scodanibbio', quasi ad immortalare una vita, un modo, un mondo?' Lui mi risponde sorridendo che Nono aveva pienamente 'vissuto' il suono mobile sperimentato da Scodanibbio, ottenuto dal movimento del polso in su e in giù e poi riportando le diciture, dall'arco al ponte, 'crine-legno'. La ricerca accurata ed inesausta aveva dato i suoi preziosi effetti. Nell'intervista riportata all'interno del Programma di Sala e registrata nell'aprile 2014 da Frederike Berntsen, Richard sostiene: “Luigi Nono era straordinariamente coinvolto dai temi sociali, dal mondo nel quale viveva. Il periodo era anche particolare subito dopo la guerra...Viveva in sintonia con la sua visione del mondo, credendoci profondamente e la sua arte contiene precise tracce di questo...Per lui comporre non era semplicemente un piacere; poneva in ciò tutto il suo essere, sentiva intensamente ogni nota che scriveva... Nono non poteva lavorare con chiunque... l'opportunismo era fuori questione, così come l'egocentrismo. Lavorava sempre con persone con le quali si trovava bene e che comprendeva... Quando lavoravamo non era autoritario; eravamo sempre in cerca di qualcosa insieme. Spesso diceva: 'Sono venuto allo studio ma non so oggi cosa faremo; non ho alcuna idea.' E poi, in un modo o nell'altro, tutti ci mettevamo al lavoro e in ricerca insieme: forse arrivavamo a qualche risultato, forse no. Questa apertura era estremamente affascinante per l'ispirazione. Dava a ciascuno lo spazio per muoversi, ciascuno poteva essere se stesso.... Spesso gli chiedevo 'Come possiamo affrontare questo aspetto? Come te lo immagini?' Allora lui non rispondeva che si doveva fare così o in altro modo. Assolutamente mai. Diceva sempre: 'Prova qualcosa, va avanti e fallo'. Una finalità aperta, sempre, molto eccitante. Soltanto quando sei una persona di grande respiro puoi lavorare in questo modo.... Nono era come un grande sole che brillava su ciascuno di noi e potevamo goderne. Mentre lavoravamo una gran quantità di piccoli blocchi da
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costruzione venivano a formare una cattedrale, proprio a partire dal suo modo di porsi e proprio perché accettava ciascuno per quello che era... Nono non temeva il pubblico. Faceva il suo lavoro - e questo era il suo punto di forza. Lui e il suo lavoro non erano il riflesso di quanto voleva il mercato. La vera forza si mostra quando tu hai qualcosa da dire e ciò è possibile soltanto quando sei un pensatore indipendente' (da Holland Festival, Luigi Nono, op. cit. pp.57-59, trad. dall'inglese di Ilia Pedrina). Su tutto, disponibile e cordialissima lei, Nuria Schoenberg Nono, curatrice assoluta della Mostra allestita negli spazi del Westergasfabriek Gashouder, con pannelli e fotografie in lingua inglese e olandese 'LUIGI NONO 1924-1990 - MAESTRO DI SUONI E SILENZI'. A Thea Derks, che l'ha intervistata nel maggio 2014, dopo aver chiarito che Nono era profondamente coinvolto nelle prospettive del Partito Comunista, come mostra il Pannello 18, e stava tra la gente, dalla parte dei lavoratori ed organizzava interventi anche con gli amici Claudio Abbado e Maurizio Pollini, dice: 'Sapeva esattamente quello che faceva. Si basava sulla tradizione, poi viaggiava verso nuovi spazi. Non perché qualcuno o qualcosa gli avesse mostrato la strada, ma perché era una persona veramente creativa e seriamente consapevole di questo.... La prima volta che l'ho incontrato è stato un momento molto speciale nella mia vita. E' accaduto quando sono rientrata per la prima volta in Europa con mia madre, per assistere alla prima esecuzione mondiale ad Amburgo dell'opera di mio padre Moses und Aron. Luigi Nono fu presentato a mia madre ed a me, e da quella prima stretta di mano con Gigi è stato determinato tutto il resto della mia vita....' (da Holland Festival, Luigi Nono, op. cit. pp. 66-67, trad. di Ilia Pedrina). Perché Luigi Nono faccia scoprire in ciascuno di noi un modo originale di esistere come dei cantori della vita, in viaggio. Ilia Pedrina
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NASCITA
Lontana, libera - incommensurabile di millenni, confusa... misterica, assoluta, ignara, labile... tuttavìa mirabile; benché svilita, solitaria, ancora speranzosa di luce dal tunnel d’una notte gigante, indefinibile... Nasce ferita la parola... quanto l’Uomo nel primo grido di dolore, nel pianto fervido d’amore... nasce soave, lieve, animata, sovrana, aulica, semplice, acrobatica, snella, maestosa, altezzosa, furiosa, puntigliosa, irata, frastornata, sospirosa... dal fiato dirompente, infinitivo, significante, eloquente: essenziale verità simulata, senza rughe, perenne, inconfondibile, proterva e magica: epocale l’Arte del suono melico nella parola del giorno, che va... e viene... Dove la Poesia, l’eco soffiata, bisbigliata, urlata... della parola di millenni... d’Ere remote, ignote, ignare... quando gli eventi immani, catastrofici... capovolgevano a guisa imperterrita d’un ignoto volere recondito, supremo, l’istintiva, primigenia, fantastica, ardua immaginazione artistica dell’Uomo, “Homo Sapiens” ammirato, superbo, allo sbando, sfinito d’emozioni... sino, infine, a raccogliere nell’intimo scrigno dell’ego proprio: l’Universo intero nelle sillabe devote, appassionate di fede, sgranata nell’umile rosario genuflesso, semplice e breve, il dolce suono eterno della parola: “Dio!” Edio Felice Schiavone Santo Spirito - Bari
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SPOON RIVER ANTHOLOGY TRADOTTA DA
BENITO POGGIO di Liliana Porro Andriuoli
E
’ trascorso ormai quasi un secolo da quan-
do Edgar Lee Masters pubblicò la sua Spoon River Anthology, e tuttavia questo libro conserva ancora un indubbio interesse tra gli studiosi e tra i semplici lettori, se continua ad essere pubblicato e tradotto in varie lingue. Ne è una testimonianza la nuova versione in lingua italiana apparsa nell’ottobre 2013 ad opera di Benito Poggio (Edizioni Liberodiscrivere, Genova, 2013, € 19,50), saggista e critico molto valido di letteratura anglo-americana, nonché poeta in proprio. Ma perché questo libro riscuote ancora successo? Probabilmente per l’efficacia e la perentorietà con cui quella serie di figure, che ne costituiscono il contenuto, emerge dalle rispettive tombe del cimitero di Spoon River, il cimitero sulla “collina” di un’immaginaria cittadina dell’Illinois. E infatti, a saperle ascoltare, ognuna di esse ci racconta in maniera essenziale, ma compiuta ed avvincente, la propria storia, conclusasi in genere tragicamente. A suggerire a Lee Masters questa serie di “lapidi” fu la lettura degli epigrammi dell’Antologia Palatina, suggeritagli da Marion Reedy, direttore della rivista “Reedy’s Mirror” di St. Louis (Missouri). Lee Masters iniziò subito a scrivere degli abbozzi, che rielaborò in seguito ad una visita della madre, la quale, rievocando il passato, gli raccontò molte vicende di uomini e donne da non molto scomparsi, che erano vissuti nelle due cittadine dell’Illinois (Petersburg e a Lewistown), dove aveva trascorso la sua infanzia e la sua prima giovinezza. Tali vicende, da lui assemblate e riorganizzate in modo compiuto, diedero luogo a 244 componimenti poetici (“epitaffi”) di media lunghezza, che assunsero la forma del verso libero; un verso particolarmente adatto a veicolare direttamente al lettore le sensazioni e le emozioni del poeta. (Una forma, quella usata da Masters per i suoi epitaffi, che fu da lui stesso definita: “meno del verso e più della sa”1). Nacque in tal modo la Spoon River Anthology, la quale ebbe subito un grande successo, dal momento che nei primi quattro anni se ne vendettero ben 80.000 copie. La sua fortuna fu essenzialmente determinata dal fatto che in essa le storie narrate of1
http://users.libero.it/bart1/spoon.html
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frono una pittura molto efficace della società americana dell’epoca, rappresentata in maniera realistica, senza edulcorazioni e senza veli, e del luogo (non solo dell’Illinois, ma di tutto il Midwest); il che ebbe una grande influenza su molti scrittori americani venuti successivamente alla ribalta. I vari personaggi si presentano infatti qui come persone vive, con i loro difetti e le loro virtù; mossi da segrete passioni che ne determinano il comportamento ed agiscono spesso su di loro come un ineludibile segno del destino; persone che molto spesso ci appaiono come dominate da quella “gigantesca mano” che “ghermisce” e “stritola” ogni “essere umano” (dall’epitaffio di Robert Fulton Tanner). Fra le varie passioni che affiorano in questi personaggi, frequente appare senza dubbio quella del desiderio di emergere e di arricchirsi con ogni mezzo, senza troppi scrupoli, da cui furono posseduti molti di coloro che ora giacciono nel cimitero di Spoon River. Il che li rende altamente riprovevoli agli occhi del lettore: e ciò del resto secondo l’intento dello stesso autore, che era appunto quello di denunciare la corruzione dilagante e mettere in luce la falsità della morale puritana, allora ancora imperante soprattutto nelle città di provincia. Fra costoro incontriamo John M. Church, che in tal modo ci si presenta: “Io intrallazzavo col magistrato giudicante e i giurati, / E i tribunali superiori, per non tener fede alle richieste di risarcimento / Di ogni sinistrato, di ogni vedova e di ogni orfano” (“I pulled the wires with judge and jury / And the upper courts, to beat the claims /of the crippled, the widows and orphan”); incontriamo Ralph Rhodes, il quale di sé dice: “Mandai in fallimento la banca di mio padre a causa delle mie richieste di prestiti / Per fare a tempo perso speculazioni sul grano; ma la verità era la seguente… / Mi davo da fare a comprar grano in vece sua / In quanto a lui non era concesso garantire alcuna transazione commerciale firmando di suo pugno / Per via del suo legame con la Chiesa (“ I wrecked my father’s bank with my loans / To dabble in wheat; but this was true - / I was buying wheat for him as well, / Who could not margin the deal in his name / Because of his church relationship”); ed incontriamo addirittura Thomas Rhods, il presidente della Banca, padre di Ralph, e prototipo dei “cercatori di tesori materiali” e dei “raccoglitori e accaparratori d’oro”, il quale ci appare persino orgoglioso del male compiuto: “Ottimamente, voi libertari, / Viaggiatori nei regni dell’ ingegno, / … / Voi riscontraste con tutta la vostra millantata sapienza / Com’è dopo tutto arduo / Impedire che l’anima si dissolva in minute particelle” (“Very well, you liberals, / And navigators into re-
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alms intellectual / … / You found with all your boasted wisdom / How hard at the last it is / To keep the soul from splitting into cellular atoms”) sono le sue parole. Della testimonianza del suo perfido agire si ha riscontro anche nei racconti delle numerose vittime, che a causa delle sue truffe ebbero a sopportare seri guai. Fra quelle presenti nell’Antologia ricordiamo in particolare Barry Holden, che ossessionato dall’ ipoteca sulla sua azienda agricola “a favore di Thomas Rhods”, arrivò a uccidere la moglie incinta del nono figlio, proprio perché la donna, probabilmente ossessionata anche lei, glielo ricordava in continuazione. Si veda inoltre la vita di Mrs. George Reece, la quale riuscì invece a portare all’età adulta i propri figli, malgrado il marito, un semplice cassiere, fosse stato mandato in prigione innocente in seguito al crack della Banca, causato proprio dagli stessi Rhods. Nella sua faticosa impresa le fu d’ aiuto la sua passione per il bello e per la letteratura e in particolare la sorresse spesso un verso del poeta Alexander Pope: “Immedésimati nella parte fino in fondo, lì sta tutta la tua dignità” (“Act well your part, there all honor lies”). Si vedano ancora Eugene Carman, che si definisce “servo dei Rhodes”, essendosi ammazzato di lavoro alle loro dipendenze “per oltre vent’anni”, e che muore per lo scoppio di una vena del cervello causato probabilmente in seguito alla rabbia provata nel vedersi ridotto in uno stato fisicamente tanto precario, a causa dell’ eccessivo lavoro e Clarence Fawcett, che fu condotto alla tomba non tanto dal dolore conseguente all’arresto per il furto commesso, quanto dalla vergogna provata in seguito alla risonanza data all’ episodio da “tutti i quotidiani”, dal momento che il vecchio Rhods, “inserzionista che pagava gli spazi pubblicitari … volle ch’io fossi di esempio per tutti” (“Because old Rhodes was an advertiser / And wanted to make an example of me”). Le storie di questi personaggi non sono separate le une dalle altre, bensì spesso collegate fra loro da molteplici rapporti, talora di parentela, talaltra di amicizia, ma più spesso di inimicizia; di professione o di contiguità, così da creare come una voce corale che ha un suo significato specifico, quale espressione dell’intero paese. Dall’insieme di questi testi emerge una visione molto variegata, ma non certo idilliaca della nostra umana avventura, dove giudici corrotti, amministratori disonesti e uomini privi di scrupoli tendono a sopraffare i meno forti o meno provveduti. Ma emerge altresì uno spaccato discretamente sfaccettato e discretamente veritiero della vita di provincia nell’America puritana di quell’epoca.
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Tra i personaggi di questo libro numerose sono anche le donne desiderose di raccontarci la loro storia. Sono per lo più storie tristi, vissute da donne frustrate, emarginate, spesso vittime di violenze; da donne che non sono riuscite a soddisfare le loro intime aspirazioni. Basti ascoltare Margaret Fuller Slack, la cui segreta ambizione era quella di diventare una scrittrice famosa, mentre a causa del matrimonio e dei suoi otto figli, non ebbe il tempo di dedicarsi alla sua arte prediletta, la narrativa. Una segreta ambizione letteraria, consistente nel desiderio di “raccogliere in volume” le proprie poesie, la coltivò anche Minerva Jones, “la poetessa del paese”, la quale però sfortunatamente morì in seguito a un aborto clandestino, dopo essere stata stuprata da un balordo del luogo. Quello di non riuscire ad affermarsi nella vita come avrebbero voluto e di vedere così irrealizzati i propri desideri è, d’altr’onde, un destino comune alla maggior parte dei personaggi dell’Antologia, sia uomini che donne. Molti di questi personaggi infatti sono dei falliti, o si considerano tali, forse anche perché hanno talora mirato troppo in alto rispetto alle loro capacità o forse perché la vita impone spesso delle leggi troppo ferree, inconciliabili con gli ideali in cui si crede. Un calzante esempio di tale tipologia di persone è offerto dall’epitaffio del dottor Siegfried Iseman il quale ci racconta che, non riuscendo a mantenere la propria famiglia decorosamente seguendo nella professione “i principi cristiani” (come aveva “solennemente” promesso il giorno della laurea), inventa un “Elisir di Eterna Giovinezza”, che lo fa finire in carcere come “impostore e truffatore”. Seppure in una situazione molto diversa si ritiene un “fallito” anche Hod Putt il quale, “sfinito dal duro lavoro e dall’indigenza” (“Myself grown tired of toil and poverty”) a cui era costretto, vedendo come molti si erano arricchiti con traffici illeciti (e primo fra tutti quel Bill Pierson, che ora, nella tomba, gli giaceva proprio accanto), volle anch’egli tentare una scorciatoia per ottenere, senza eccessiva fatica, di condurre una vita migliore. Sicché una notte rapinò un viandante, che purtroppo, anche se involontariamente, uccise durante la colluttazione; motivo per cui fu condannato all’impiccagione. Putt sintetizza così la sua vicenda: “Quella fu la mia via al fallimento” (“That was my way of going into bankruptcy”). Non mancano tuttavia tra queste poesie, seppure in numero minore, le storie di persone che, al contrario, si sono sapute accontentare o sono state soddisfatte della propria condizione. Si veda ad esempio come Lois Spears, una ragazza cieca fin “dalla nascita”, sia riuscita, malgrado la sua menomazio-
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ne, a condurre una vita serena e ad essere una moglie e una mamma felice. Come è stato anche di Lucinda Matlock, che, passata “a miglior vita” all’ età di novantasei anni, non comprende le voci che ode intorno a sé, le quali parlano solo di “dolore e tedio”, di “insoddisfazione e speranze tradite”. Un personaggio positivo che lascia questa terra povero, ma libero, senza “rimpianti” e con “migliaia di ricordi” è il suonatore di violino, Fiddler Jones, che con la sua arte si è pienamente realizzato, coltivandola assiduamente, e disinteressandosi invece di coltivare i propri “sedici ettari di terra”. La figura che nella poesia gli viene contrapposta, e che pertanto rappresenta un modello antitetico, è appunto quella del contadino Cooney Potter (a cui è dedicato anche un epitaffio a parte) il quale, al contrario, ha impostato la propria vita cercando di aumentare anno per anno i propri ettari di terreno, al prezzo però di sacrificare la propria libertà e di non sentirsi “per niente soddisfatto”. Jones, invece, amò vivere libero, suonare per sé e per gli altri, ascoltare il canto dei “corvi” e dei “pettirossi”, come anche lo “stridio di un mulino a vento”. Il violinista così commenta la sua storia: “Giunsi alla fine della mia vita con un violino distrutto e fuori uso… / E un riso beffardo, e migliaia di ricordi, / E di rimpianti nemmeno uno”( “I ended up with a broken fiddle - / And a broken laugh, and a thousand memories, / And not a single regret”). Le traduzioni di Benito Poggio qui riportate, anche se in modo molto parziale, valgono a darci un’idea abbastanza chiara del metodo da lui usato nel suo lavoro; un metodo che ha innanzitutto seguito la traccia maestra per eccellenza, quella iniziata da Fernanda Pivano, che è stata appunto in Italia la prima e la più efficace traduttrice di quest’opera (Einaudi, 1943). La Pivano del resto viene considerata da Poggio come “lo mio maestro e lo mio autore”, in quanto da lei ha, per l’appunto, “appreso come operare al meglio (o, dopo di lei, alla meno peggio), indagando dietro la facciata di testi in cui serpeggiano sentimenti contrastanti”. Il suo metodo, secondo quanto egli stesso ci avverte, è in sostanza consistito nel cercare la massima aderenza all’originale, pur nella salvaguardia dei valori poetici del testo, seguendo però il criterio di “ampliare espressioni naturaliter troppo concise e che, per l’eccesso di concisione, si facevano finanche astruse se tradotte semplicemente … ad litteram”. Come lo stesso Poggio afferma, suo precipuo scopo è stato, nel tradurre questa Antologia, quello di “essere il più possibile fedele alla mentalità, se non sempre al linguaggio, … poeticodiscorsivo, dell’avvocato poeta Edgar Lee Ma-
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sters”; linguaggio che risulta essere “ora metaforico e simbolico, ora religioso o moralistico, ora con l’ ingerenza di Eros e Thanatos, talvolta tecnico se non oscuro – denso di sottigliezze di ogni genere e carico di connotati particolari specifici e propri d’un mondo, quello americano (del primo Novecento), se pure a quei tempi ancora in divenire…”. Poggio ha in altri termini voluto portare un suo contributo alla resa in lingua italiana dell’Antologia di Spoon River, mirando egli ad “eliminare talune sospensioni, taluni sottintesi” e proponendosi “di chiarire … taluni concetti intricati e talune interpretazioni improprie”, sicché le sue traduzioni risultano meno intensamente poetiche rispetto a quelle della Pivano, volendo invece essere quasi “ossessivamente fedeli” all’originale: mentre quelle della Pivano costituiscono “quasi un impasto di immediatezza e genuinità, di profondità meditata e di esistenzialismo tormentato”. Due esempi a conferma di tale assunto. Si prenda una poesia come quella dalla quale emerge la figura di Pauline Barrett”. Il testo inglese così inizia: “Almost the shell of a woman after the surgeon’s knife!”. La Pivano traduce: “Quasi la larva di una donna dopo il bisturi del chirurgo!” (che sembra la maniera più immediata e classica di resa dell’ originale). Poggio invece assume un tono più dimesso, ma anche più moderno: “Scampata ai ferri del chirurgo, ero ridotta quasi ad una larva di donna!”. Lo stesso può dirsi per una poesia come Elsa Wertman che ha questo incipit: “I was a peasant girl from Germany, / Blue-eyed, rosy, happy and strong”, che la Pivano così traduce: “Ero una campagnola tedesca / dagli occhi azzurri, rosea, robusta e felice”; mentre Poggio così rende a sua volta nella nostra lingua: “Ero una bionda contadinotta teutonica, / Dagli occhi celesti, rosea, allegra e prosperosa”. Anche qui la diversità della resa appare evidente. Molto pregevole è inoltre l’Introduzione di questa nuova versione offertaci dal Poggio, in virtù delle numerose notizie che vengono in essa fornite al lettore e, soprattutto, delle interessanti considerazioni ivi espresse. Ci sembra infine opportuno aggiungere un giudizio che, in occasione di una precedente, ma parziale traduzione dello Spoon River, scrisse Stefano Verdino: “Poggio traduce con estrema scioltezza e nel paragone con i vari predecessori spicca la sua conquistata naturalezza linguistica”. Al che soggiunse: “Poggio ha scelto con estrema decisione un tono conversativo, un mezzo parlato, dal tratto confidenziale”. E ancora: “Certo questo era impraticabile sessant’anni fa, dalla Pivano, all’interno di un codice poetico complessivo che si incentrava sul lirico e sulla condensazione, per quanto lei con originalità
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cercasse di spezzare le più acute accensioni della lingua poetica nazionale”. (“Resine”, anno XXV, n. 98). Un giudizio, questo, di non poco valore se si considera che fra i traduttori di Spoon River figurano, oltre a Fernanda Pivano, Letizia Ciotti Miller, Alberto Rossatti e parecchi altri. E’ da ricordarsi infine che a Spoon River si sono ispirati anche cantanti di valore, come Fabrizio De André, con canzoni divenute famose e di larga diffusione, che ancora oggi, a distanza di quarant’anni, testimoniano della validità di un libro che è da considerarsi ormai tra i classici della letteratura universale. Liliana Porro Andriuoli
ENTITÀ Sono arrivati da dieci miliardi di anni oltre i tanti pianeti sfiorando rocce senza nome attraversando il baratro infernale, inghiottono ora sciame di scintille, volando bassi sempre più bassi si sono avvicinati a noi, ascoltando le nostre voci, gelide, la loro fissità rifulgente smarriti nell'impatto di verdi colline, assetati di conoscenza ci ameranno? Ci vorranno ascoltare senza le loro regole celesti? Abbarbicati agli umani, sulla soglia dei focolari nell'avvolgente rumore del nulla. Forse ci salveranno dai nostri peccati in loro risorgeremo felici. Adriana Mondo
CALCO E RICALCO Ripasso i segni di un antico disegno, in quel cortile all’interno del borgo è come scatola dentro la scatola prezioso scrigno che adesso vi porgo. Con il gesso calco e ricalco le porte, le case, gli archi ed i tetti
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con le tegole tutte allineate come si fa con i merletti. Rivive il gatto che dorme sornione sul davanzale della finestra la sua padrona nella cucina è tutta intenta a scaldar la minestra. Sembra sentire l’odore del pane da quel forno appena abbozzato, mentre quei bimbi giocano a palla dietro la chiesa, in quel piccolo prato. Le due campane del campanile apron le porte al redentore, oggi che è la festa di tutti la gioia si unisce col puro amore. Mentre disegno nel cielo colombe, imito il verso del loro grido ma all’improvviso il gesso finisce… finirò l’opera sporcandomi il dito. Colombo Conti Albano Laziale, RM
SERENITÀ È... Sulla costa sdraiata, sento l'immensità, nella mia anima domina la serenità. Piano piano comincia ad albeggiare, le onde del mare continuano a scrosciare. Sul cielo le stelle pallide brillano, la mia strada senza sosta illuminano, il loro splendore seguo fedelmente, ornano l' Universo maestosamente. Il cuore desidera rilassare ascoltando la brezza del mare, e il Vento con i suoi magnifici abbracci, riempie il mio corpo con innumerevoli baci! Gli occhi chiudo, mi tranquillizzo... per poter arrivare sul cielo. Devo le mani liberamente lasciare, e le stelle da vicino ammirare! Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal greco della stessa Autrice
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Agosto 2014
FRA VERTIGINE E POESIA RICORDANDO BLAISE PASCAL di Nazario Pardini
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LAISE Pascal (1623-1662) da principio
dedica il suo genio precoce alla ricerca scientifica; poi, dal 1651 al 1654, frequenta i salotti mondani e approfondisce la sua conoscenza degli uomini. Dopo una crisi mistica, decide di consacrare tutte le sue forze a un obiettivo essenziale: lottare con l’ardore di un apostolo per il trionfo della sua fede. Nel ritiro di Port-Royale, scrive le 18 Lettres à un Provincial contro i Gesuiti, che, secondo lui, tradiscono il vero spirito del cristianesimo; profonde poi spirito e cuore per condurre alla religione gli indifferenti e gli increduli. Muore prematuramente, lasciando soltanto delle note che vengono riunite sotto il nome di Pensées. La maggior parte delle sue riflessioni vertono direttamente al suo obiettivo principale, che è quello di provare la verità e l’eccellenza della religione cristiana. Ma, nel suo desiderio di conquistare anime, riflette sull’arte della persuasione; e arriva a formulare dei principi letterari in cui si possono vedere preannunciati quelli della dottrina classica. Ha scritto in una pagina giustamente famosa, considerando la posizione dell’uomo nello spazio e nel tempo: <<Quando considero la breve durata della mia vita, inghiottita nell’eternità passata e futura, l’esiguo spazio che occupo, e che posso vedere, inabissato nell’infinita immensità di spazi che ignoro e che non mi conobbero, io sono atterrito, sono sorpreso di essere qui piuttosto che altrove; giacché non vi è motivo al perché qui anziché là, oggi anziché domani. Chi mi ha messo dove mi trovo? Per ordine e istruzione di chi mi sono stati assegnati questo posto e quest’epoca? L’eterno silenzio di questi spazi infiniti mi terrorizza.>>. Con animus pascaliano confesso a me stesso: <<Il pensiero che è in me è quello di indagare tra gli spazi se il mio fatto sia cosa destinata a scomparire fortuito caso o da fare ereditare a quelli che verranno.>> ( Nazario Pardini: Il pensiero che è in me, da Le simulazioni dell’azzurro, 2002). Come vincere questo dicotomico sentimento che è in noi? Con l’amore. Immolare tutto noi stessi al
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suo altare significa dimenticare le nostre fragilità; significa elevarci alla sfera del sublime poetico, naufragare nell’immensità di un mare che va oltre il terreno. Così Saffo pensa nell’attimo superbo del godimento amoroso; e brama che sopraggiunga la morte, perché non venga profanato dalla vita : “Volevo/ che tutto il mio sentire si spegnesse/ nella notte soffusa e che l’immagine/ non guastasse la luce. Era la morte/ ch’io bramavo nell’attimo superbo/ di eternare la gioia dell’amore./ La poesia e il canto il grande dono/ furono degli dèi per il deforme/ involucro dell’anima…” (Nazario Pardini: da Fuga da settembre, da Alla volta di Léucade, 1999). Pascal considera l’uomo un essere sperduto nell’universo se non ha l’apporto della fede. Un essere pieno di contraddizioni, e impossibilitato a raggiungere una verità. Un essere troppo grande per le cose piccole e immensamente fragile di fronte all’immensità del tutto. Qui il polemos tra gli opposti, la triste e problematica avventura della vita umana. Ed esprime il suo pensiero soprattutto dans les Pensées. In effetti, qui, noi possediamo indicazioni assai numerose per ricostruire a grandi linee il movimento della sua riflessione. Dans les Pensées l’autore si rivolge a un libertino, che, trascinato dai piaceri materiali del secolo, dimentica di pensare a se stesso e alla salvezza della sua anima. E’ così che risveglierà in lui l’inquietudine dell’essere, insegnandogli a conoscere la natura dell’uomo; gli dimostrerà l’impotenza delle filosofie e delle religioni per calmare questa inquietudine, per poi rassicurarlo facendogli scoprire gli insegnamenti des Livres Saints e la luce di Gesù Cristo. L’opera sarebbe stata senz’altro distribuita in due parti: Misère de l’Homme sans Dieu, Felicité de l’Homme avec Dieu. Ma è rimasta incompiuta; consiste di frammenti a volte lunghi, altre brevi; a volte dettati, di lettura difficile e soggetti a differenti interpretazioni. Conservati dalla famiglia, verso il 1710 (collés par les soins du chanoine Louis Périer sur des feuillets de même dimension, déposés en 1711 à l’abbaye de Saint- Germain-des-Près) saranno rilegati venti anni dopo per costituire il manoscritto. Cerchiamo di capire il pensiero rifacendosi a frammenti del suo scritto originale. L’homme incapable de vérité <<L’homme avide de vérité cherche en vain une certitude, car il se heurte à des obstacles insurmontables. Obstacles procédant da sa situation dans l’ univers. Si l’homme cherche à se situer dan l’ Univers, il recueille des indications conbtradictoires,
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qui lui donnent le vertige, e il prend coscience de sa disproportion: au regard de l’infiniment grand il est un néant; au reagard de l’infiniment petit il est un géant. Qu’est-il donc enfin, sinon une énigme, “un milieu entre rien e tout”? Obstacles procédant de sa nature propre. Si l’ homme cherche à s’examiner en lui-même, il est égaré par “puissances trompesuses”. L’imagination “maîtresse d’erreur e de fausseté”, l’entraine au-delà des limites de la connaissance rationnelle: l’ amour-propre, c’est à dire l’amour de soi, l’ empêche de se voir tel qu’il est: “il met tout son soin à couvrir ses défauts et aux autres et a soi-même, et… il ne peut souffrir qu’on les lui fasse voir ni qu’on les voie”>>. <<Piazza Belvedere, a sera, sul gradino stavo disteso immaginando il cielo e i sogni con voli fittizi senza esito rischiavano sconfini, gli stessi che fuggivo da bambino nascosto nell’ombra di notte per paura dei grovigli dell’azzurro. Ficcavo la testa nell’erba che ricordava profumi: l’odore stridente del grano, delle pesche giallo-luna appese al blu, degli aghi di un pino sopra la cimasa. Ronzava in sordina la fiaba di un eroe che sconfiggeva le distanze. Stasera mi sono disteso sul gradino di piazza Belvedere; ho sperso lo sguardo tra le stelle annusando l’odore di gramigna: strade bianche di polvere tra i cipressi, chicchi di maggio a gonfiare le spighe, spolveri perla dai rami degli ulivi a spiovere sull’ocra di giunchiglie. Ho ritrovato i brividi del vuoto sillabando una fiaba nella mente>> (Nazario Pardini: Piazza Belvedere, da Le simulazioni dell’ azzurro, 2002). Qui lo sperdimento del nostro essere umani, sia che lo sguardo si rivolga all’oltre sia che lo si rivolga in interiore homine. Quante volte abbiamo provato a lanciare il nostro pensiero nell’immensità dello spazio: abbiamo trovato una fine? una soluzione? Sempre la stessa la conclusione: ma dopo? La nostra mente non è capace di uscire dal tranello; non è all’altezza di vincere il tutto; di tenerlo; di districare
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“l’anello mancannte”. <<Mi succedeva spesso da ragazzo, quando miravo il cielo e mia intenzione non era certo guardare le stelle, di sperdermi nel colmo dei pelaghi del vuoto. Annullavo il mio sentire e il senso della vita in un brusire insistente di silenzio. Anche se a volte l’occhio era attratto dallo svariare del blu nelle fiammelle, il mio pensiero si assentava e portava con sé l’anima ostile a superare i limiti. I sensi fibrillavano di stenti nel cercare di capire l’immenso. Ma ogni fine presupponeva un nuovo iniziamento e un altro ancora. Covava dentro me una specie di sconforto che si faceva fisico. Alla fine era il tutto ad avvincermi immensamente esteso e io sparivo in un gorgo che ancora mi spaventa>> (Nazario Pardini: Evasione, da Le simulazioni dell’azzurro, 2002). Lo stesso avviene se ci mettiamo ad analizzare noi stessi, il nostro essere, la nostra profondità spirituale. Ma se misuriamo il nostro essere con tutto ciò che ci circonda, possiamo avere un’idea della nostra smisurata possibilità di espansione. E’ proprio questa disproporzione il malum vitae, il tormento del fatto di esistere; la coscienza della nostra fragilità, della dicotomica dualità che è in noi. La fede nell’Ente Supremo può aiutarci a superare questa dicotomia congenita. Ma non è detto che non lo possa una fede di altra natura. Come un tuffo nelle acque di Léucade, nella Poesia, nelle dolci illusioni foscoliane che possono vincere il tempo. O nello smisurato naufragio nelle braccia di Eros. <<Ci eleveremo sopra i fiumi e le albe candide come stole di vestali macchiate appena dal colore rosa della fiamma perenne. Eleveremo i corpi negli abissi di cieli fondi come le voragini d’oceanici spazi. Eleveremo i nostri sentimenti oltre le cime dei monti e oltre i fuochi dei magmi; e il navigare, il blu tagliando come nuotatori, renderà gaio il nostro trasalire. Il volo sarà vero e fino ai cieli eleveremo i tuoi e i miei pensieri. E svanirà nel nulla della vita
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il triste sogno, ch’era solo triste il sogno che vivemmo e solo un sogno. La realtà è a venire. Giungerai dai teneri colori dell’oriente verso di me che attendo ed io sul molo ad aspettare un lampo, un falco, un’onda, ad aspettare un vento per il volo>> (Nazario Pardini: Elevazione, da Canti d’amore, 2010). Pascal cerca di coinvolgere il cuore. E’ in esso che crede, nei suoi slanci: "Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce…”. E annuncia la sua inquietudine, al fine di svegliare quella dell’ indifferente: “le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie”. Libera il suo entusiasmo per creare il clima favorevole al volo mistico. E come conduce il libertino, con la forza dei suoi discorsi, dall’ indifferenza alla ricerca e dalla ricerca alla certezza, allo stesso modo lo trascina, con la forza del suo misticismo, dalla spensieratezza all’inquietudine e dall’inquietudine alla gioia. Che pur sempre gioia dell’amore è. Di quell’amore che tutto amalgama e tutto sprona verso le vette più alte dell’eccelso. Di quell’eccelso che ci è stato negato per un tradimento umano. Secondo il dogma cristiano il peccato d’ Adamo condanna l’umanità alla dannazione eterna; Dio comunque ha pietà delle sue creature, e Cristo muore sulla croce per permettere il loro riscatto. Ma questo riscatto dipende solamente dall’uomo? Il monaco eretico Pélage lo sostiene agli inizi del V secolo; Sant Agostino formula contro di lui la dottrina ortodossa: nessuno può essere salvato senza la Grazia, che Dio accorda o rifiuta per una decisione della sua volontà sovrana. San Tommaso, nel XIII secolo, addolcisce un po’ il rigore di questa dottrina. Il problema viene ripreso nel XVI secolo. Calvino sostiene che ogni creatura è predestinata alla salvezza o alla dannazione. Questa dottrina della predestinazione viene combattuta dai teologi cattolici. Nel 1588 lo spagnolo Molina pubblica un’ opera intitolata Accord du Libre-Arbitre et de la Grậce: afferma che ogni creatura ha la possibilità di poter ricevere la grazia “efficace”, senza la quale la salvezza è impossibile, facendo conseguire con i suoi meriti una grazia “sufficiente”, donata da Dio a tutti gli uomini. Jansenius vuole restaurare nella sua purezza, contro gli interventi molinisti, la tesi agostiniana. Sostiene che la salvezza non è assicurata a tutti gli uomini di buona volontà: per resistere all’attrazione del peccato, c’è bisogno della Grazia; Dio la può rifiutare a dei giusti, e concedere a dei peccatori; le ragioni sono imperscrutabili. Così si trova salvaguardato il principio dell’assoluto potere di Dio, col rischio, però, di compromettere quello della responsabilità dell’uomo, da cui dipende in
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certa misura la vita morale. I Gesuiti, discepoli di Molina, attaccano violentemente le tesi janseniste. Nel 1653 il papa condanna cinque proposizioni che, senza riprodurre i termini esatti di jansenius, traducono lo spirito esatto della sua dottrina. Un incidente incrementa il conflitto: un prete rifiuta l’assoluzione al duca de Liancourt, che ospita un Jansenista e fa educare sua figlia a Port-Royal. Jansenius ha lavorato da tempo a una grande opera di controversa teologia, l’Augustinus. Le sue idee vengono introdotte a Port-Royal che diviene il grande focolare del Jansenismo. Dopo la pubblicazione dell’ opera, i Gesuiti pensano di sollecitarne da Roma la condanna. Ma il credito del Jansenismo non cessa di crescere. Nel 1654 Pascal li raggiunge, diventando il più focoso e il più prestigioso dei suoi difensori. Arnauld interviene e pubblica due lettere: sostiene che le cinque proposizioni condannate non si trovano nell’opera di Jansenius (questione di fatto) e che la Grazia mancò a San Pietro quando rinnegò il Cristo (questione di diritto). Arnauld viene censurato sulla questione di fatto. Il prestigio e l’esistenza di Port-Royal sono in gioco; Arnauld allora sottopone aux Messieurs de Port-Royal un progetto di giustificazione, che viene giudicato troppo sterile. Affida allora a Pascal la difesa della sua causa. Pascal pubblica diciotto lettere riunite sotto il titolo di “Provinciales ou Lettres écrites par Louis de Montalte à un Provincial de ses amis e aux Jésuites sur la morale e la politique de ces Pères”. Mette in scena un personaggio che per educare un provinciale, si fa introdurre nel dibattito della Sorbona. Si tratta, nelle prime dieci lettere, di dialoghi condotti con estrema vivacità, nel corso dei quali viene portato l’inquisitore dalla parte della causa dei Jansenistes. Con l’undicesima lettera Pascal termina lo stile dialogico e si indirizza direttamente ai Gesuiti. (LETTRES I-IV) Il primo obiettivo di Pascal è quello di giustificare Arnauld. Protesta contro la censura, ma soprattutto affronta il cuore del problema: attacca i monaci giacobini, reputati “thomistes”, cioè discepoli di San Tommaso, che hanno preso parte contro Arnauld; poi gli stessi Gesuiti. “En réalité, sur le fond du débat, les thomistes sont plus près des Jansénistes que des molinistes”. (LETTRES V-X) Condanna l’abuso che fanno certi Pères della scienza che permette di giudicare le azioni tenendo di conto delle circostanze. Nessuna considerazione
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particolare potrebbe giustificare il tradimento dei principi eterni della morale evangelica, né che si compromettano i veri interessi della religione, adattandola alle esigenze e ai vizi del secolo. “Est-il légitime de prétendre gagner le coeur de Marie sans lui donner le nôtre en change?”.
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(LETTRES XI-XVI)
Ritornerà in prigione nel suo corpo, riprenderà i suoi occhi per mirare l’immensità del mare, per pensare di nuovo che la vita è quel fuscello breve che dimena in un’immensità che ti rapina (Nazario Pardini: da In una immensità che ti rapina, da L’azzardo dei confini).
L’ironia fa posto all’indignazione. Le lettere seguenti sono dettate dall’esigenza della polemica (a eccezione delle ultime due). “il n’y a pas d’hérésie dans l’Eglise”.
<<Tra noi e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo.>> (Blaise Pascal, Pensées) Nazario Pardini
Insomma, al di là del dibattito Sorbonne, a Pascal interessa porre i problemi eterni: quello del destino, quello della vita morale; e li tratta più da filosofo che da puro teologo, preoccupato dei più grandi interessi dell’uomo. Insomma Pascal disprezza i procedimenti ordinari dei teologi, e, per convincere, ragiona quasi sempre da saggio. E costatando il bisogno che hanno gli uomini di divertirsi (de se “divertir”), egli cerca di spiegare, tramite i loro bisogni, la miseria della loro condizione; poi collega alla sua spiegazione tutti i fenomeni della vita sociale. Ma è l’amore a vincere. La passione che il filosofo-teologo mette nella sua ricerca spirituale. Io parlerei di una vera conversione dalla ragione al sentimento. Dalla scienza all’emozione. E credo anche, da una lettura attenta delle sue opere, che emerga un Eros come motore primo di unione tra l’uomo e l’Eterno. D’altronde le vertigini della contemplazione non sono forse quelle della Poesia? E la Poesia non è forse la religione dell’anima? E Pascal fa della sua ricerca un’avventura verso l’alto della vita eterna, spingendo lo spirito nel cielo coll’amore, cosciente, però, della fugacità del tempo, e della fragilità della condizione umana.
DOPO UN LUNGO VIAGGIO
<<Il mare si avvicina e si allontana, clessidra della vita. Io sono qui, sulla spiaggia umidiccia del mattino. Seduto su un pattino, guardo il piano appena increspato dall’aria frizzante del novembre. Mi prende il largo spazio: sono nulla e il nulla si dilegua nel vento salmastroso dell’immenso. Non odo più la bàttima né provo sogni e tristezze in questo diluirsi del cuore nel mio mare. Son fuscello che si annulla nell’aria mattutina portato sull’onda dall’ala leggera del novembre. Forse rincaserà l’anima mia in fuga negli abissi.
Una anfora sulla mensola custodisce ricordi di una sera e nella penombra della stanza un tocco di orologio All’angolo buio e cupo dove voci di passanti turbano la quiete al camino. Dalle persiane socchiuse una fievole luce filtra e dal giardino accanto un lento suono di organino. Le stelle sono alte in cielo e la sera giunge buia. Ma ondeggia l’albero della vita ed il vento bizzarro scompiglia l’erba del prato al di là dalla siepe di cinta. Le parole si consumano lente nei giochi garruli di bimbi e le voci confondono il tubare dei colombi alti nel volo. E zampilla l’acqua della fonte nella piazza della chiesa. Alda Fortini AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 23/06/2014 Roberto Breda, allenatore del Latina, lascia la società, sostituito da Mario Beretta. Alleluia! Alleluia! La Società, a quanto pare, non riesce a staccarsi dai costruttori d’armi. Domenico Defelice
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BENEDETTO CROCE VITA E OPERE di Leonardo Selvaggi I ENEDETTO Croce nasce nel 1866 a Pe-
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scasseroli (AQ) in una famiglia di proprietari terrieri, di strette vedute politicosociali, ancora legata ai Borboni. Freuenta a Napoli le scuole secondarie in un collegio tenuto da religiosi. Legge De Sanctis e Carducci che diventano due punti fermi per la sua formazione culturale. Nel 1883 il terremoto che distrugge Casamicciola nell’isola di Ischia dove si trova a villeggiare, sconvolge la sua vita, perde padre, madre e sorella. Lo stesso Benedetto Croce rimane sepolto per parecchie ore sotto le macerie. Lo zio Silvio Spaventa, fratello di Bertrando, diviene suo tutore, lo accoglie nella sua casa a Roma, eliminando i diverbi avuti con la sua famiglia, essendogli stata rimproverata l’appartenenza al liberalismo. Si iscrive a legge, subito l’abbandona per frequentare i corsi di filosofia. In casa di Silvio Croce conosce uomini politici, si lega d’amicizia con Labriola. Legge i libri di Bertrando Spaventa, ma gli appaiono difficili e gli danno l’idea che Hegel dovesse essere quasi incomprensibile. Nel 1886 torna a Napoli, lascia la società romana, mordace di passione politica. Nella nuova dimora incontra un ambiente più composto, frequenta dotti e si avvia con serena applicazione alle ricerche, alla riflessione critica e alla speculazione. Si occupa solo limitatamente dell’azienda domestica. Viaggia e legge molto. Non consegue titoli accademici. II Si accende in Croce un improvviso interesse per le idee del marxismo, che Antonio Labriola fa conoscere nel 1895. Legge libri di economia, riviste e
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giornali italiani e tedeschi di contenuto socialista, così sorge la passione politica che durerà sempre, anche se in altre forme. Benedetto Croce scopre i lati deboli del marxismo e fra il 1895 e il 1899 estende la sua critica, scrivendo saggi raccolti sotto il titolo “Materialismo storico ed economia marxista”. Gli interessi per il marxismo arricchiscono il suo patrimonio spirituale, da questa esperienza sente il bisogno di arrivare a Hegel, nella cui dialettica, in mezzo a tanti arbitrii e artifici, trova sostanziale concretezza storica. Nel 1896 conosce Gentile, studente a Pisa, intraprende con lui discussioni filosofiche. Per un ventennio Croce promuove la riscossa del movimento idealistico italiano contro ogni empirismo. Il ripensamento su Hegel ha luogo in modo deciso nel 1905. Tutte le riflessioni tratte le troviamo nell’opera “Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel” (1907). Questo libro è un vero e proprio manifesto del Neoidealismo italiano. Anche dal punto di vista stilistico si pone al centro della produzione crociana. Nel frattempo arriva alla riscoperta del Vico. Nella sua opera di scrittore sono presenti le due parti della sua formazione: quella neo-egeliana e marxista e quella positivista. Inizia con gli studi letterati. Scrive “Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale” (1902), formulando quel criterio che elabora poi nel “Breviario di estetica” (1912), e in “La poesia” (1936). Studi che impongono Croce in Italia e nel mondo intero e che restano il suo capolavoro. III Nell’estate del 1902 dà vita al progetto della rivista “La Critica” che inizia le pubblicazioni nel 1903 insieme a Giovanni Gentile. Croce è direttore dal 1903 al 1944. E’ Senatore nel 1910 e ministro della Istruzione pubblica (1920-1921) nel Governo Giolitti. La sua attività è continua, sempre più intensa, in questo periodo è a Meana (Susa) nel Piemonte nella sua casa di campagna con le sue figlie Elena e Ada. Benedetto Croce vede con simpatia la nascita del movimento fascista, comprende di questo la tendenza dittatoriale solo nel 1925. Progetta una riforma che non porta a termine, non volendo essere vicino al fascismo. Riforma ripresa e realizzata dal Gentile che diviene il filosofo ufficiale del regime, mentre finisce l’amicizia con Croce e la collaborazione al periodico “La Critica”. Dopo il delitto Matteotti, Croce è accanito antifascista, raccoglie intorno a sé molti dissidenti. Scrive il manifesto degli intellettuali antifascisti su invito di Amendola (1925). Passa all’opposizione e si ritira dalla vita politica. Ministro senza portafoglio nel governo Badoglio (1943) e nel primo governo Bonomi (1944). Dopo la caduta del fascismo riorganizza il
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partito liberale tra il 1944 e il 1947, divenendone presidente. E’ membro dell’assemblea costituente, dal 1948 senatore di diritto. Grazie al suo benessere economico si dedica per tutta la vita alla libera ricerca e non intraprende l’insegnamento universitario. Nel 1947 fonda a Napoli l’Istituto italiano di studi storici. Benedetto Croce esponente del neoidealismo che dà vita alla cultura italiana per un cinquantennio. Promotore di attività editoriali della casa editrice Laterza. Significativa rilevanza ha la collana “Biblioteca di cultura moderna” per molti decenni. Pubblicati molti classici della filosofia, alcuni dei quali non comparsi ancora in lingua italiana. Muore a Napoli nel 1952. IV Benedetto Croce un grande maestro per tutti gli Italiani con la sua vastissima produzione filosofica, letteraria e storica. Nella filosofia di Croce troviamo rielaborati tutti i principi più importanti della speculazione europea dell’800. Hanno influenza su di lui l’estetica di Francesco De Sanctis (1817 1883) e l’insegnamento di Antonio Labriola. Comincia la ricerca filosofica condotta ai fini di determinare la natura della storia, ritenuta dapprima come scienza, in seguito considerata con il carattere di conoscenza individuale, vale a dire come arte. E’ vicino al grande Giambattista Vico, che apprezzato tanto dai positivisti quanto dagli idealisti, vede la storia eterna dell’Umanità come sviluppo dalla fantasia all’intelletto, dagli aspetti materiali alla morale. Il Vico parla di epoche ricorrenti, il Croce le considera come epoche eterne dello Spirito umano, che si svolge dalla forma ingenua, intesa come capacità di intuire e di poetare, a momenti riflessi, quale il filosofare. Il Croce concepisce lo Spirito in due attività: teoretica e pratica. L’attività teoretica si divide in grado conoscitivo dell’individuale e in grado logico o conoscenza dell’universale; l’attività pratica si divide in grado economico o volizione dell’individuale (utile) e in grado etico o volizione dell’universale (bene). Dall’incrocio del grado logico col grado economico si hanno i concetti scientifici che il Croce seguendo l’empiriocriticismo, il contingentismo, l’intuizionismo, il pragmatismo, considera schemi convenzionali ed astratti, i quali non riproducono l’infinita varietà dei fatti naturali, ma si limitano a classificarli per i bisogni pratici. V Benedetto Croce scrittore fecondissimo e instancabile. Oltre alle opere citate, ricordiamo “Logica come scienza del concetto puro” (1905), “Filosofia della pratica. Economia ed etica” (1909), “Teoria e storia della storiografia” (1917), “Problemi di este-
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tica”, “La filosofia di Giambattista Vico”, “Saggio sullo Hegel”, “Nuovi saggi di estetica”, “Etica e politica”, “La storia come pensiero e come azione” e tanti altri scritti filosofici che sono stati pubblicati nell’arco di tutta la sua vita. Si aggiungono 54 volumi di “Scritti di storia letteraria e politica” e altri 12 di “Scritti vari”. Allo Spirito il Croce applica la dialettica degli opposti, nell’interno di ogni grado il bello è l’unità di bello e di brutto, il vero è unità di vero e di falso, l’utile è unità di utile e di dannoso, il bene è unità di bene e di male. I singoli gradi dello Spirito, sebbene distinti l’uno dall’altro, si implicano a vicenda nell’unità del medesimo atto spirituale. Il grado estetico presuppone il grado pratico. L’arte è sentimento sublime che si fa rappresentazione, intuizione pura, il grado logico presuppone il grado estetico, il grado economico presuppone il grado logico. Il Croce ritiene di salvare, al di là della distinzione dei gradi, il concetto dell’unità dello Spirito, fondamentale per la filosofia moderna. Leonardo Selvaggi
PASSATO PRESENTE FUTURO E NOI Un uomo nasce in qualche luogo e contemporaneamente nascono milioni di uomini in tutti gli angoli del mondo. Un uomo muore da qualche parte e nel frattempo muoiono milioni di uomini. Una felicità nelle case dei neonati, grave lutto nelle case dei morti. Ma la vita continua! Continua, malgrado i miliardi di sogni e di sentimenti di così tante persone differenti, e si sviluppa e cambia, senza commuoversi intensamente per la vita di ognuno di noi. In un paese un giorno c'è il sole, mentre in un altro luogo piove, da qualche altra parte, la nebbia ha coperto tutto, in qualche posto è notte, pomeriggio, sera, o mattina, ma ancora la vita continua. Qualcosa finisce, qualcosa comincia, qualcosa ferisce, qualcosa porta il sorriso sulle labbra, e qualcosa provoca la prima lacrima. Tuttavia, la Cosmonave Terra
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continua il suo viaggio con le sue leggi rigide e inviolate.
il quale prenderà la forma finale e verrà registrato nella storia.
Storie felici e tristi di uomini, storie che nascondono altri miliardi di storie.
Il tempo che sbiadisce tutto fino al momento in cui lo spegne tutto, anche la storia degli uomini. Tutto quello che esiste e si oppone con ostinazione contro il tempo che trascina tutto -fine- all'infinito dell'infinito. Senza mai conoscere esattamente l'inizio e la fine! Sapendo solo che non sappiamo nulla! Themistoklis Katsaounis
Niente rimane lo stesso, tutto cambia, e noi cerchiamo di vivere contro il tempo, con i nostri pesi psichici che con il passar del tempo si sbiadiscono e piano piano si spengono come quadri di pittura nella pioggia, entro il tempo infinito. Non c'è niente di stabile. (fortunatamente e sfortunatamente contemporaneamente). Con il tempo, la tristezza la dimentichiamo e lo stesso succede anche con la gioia, qualsiasi gioia. Anche la morte, che è tremenda, sembra come se fosse una cosa semplice, anche se l'uomo ha paura di essa. Così il passato appartiene alla storia, e per scriverla, non basta nemmeno tutta la carta del pianeta. La storia dell'Universo, la storia di ogni uomo, di ogni sentimento, di ogni movimento, una storia interminabile per la nostra mente, che ci porta sempre al presente. In questo momento che stai leggendo questa poesia, che appartiene per te al presente, adesso che stai formando e stai creando, tu, come tutti il presente, e non appena avrai finito la lettura, diventerà anche questa poesia parte del passato, come tutto quello che finisce per te e per tutti nella storia. Però, il futuro? Il futuro dove appartiene? Il futuro appartiene ai sogni, ai sogni che vengono formati dal passato e dal presente, e che influenzeranno il passato quando diventerà anche questo presente,
Traduzione dal Greco di: Giorgia Chaidemenopoulou
LE TRAME DEL SOGNO Riflessi di mare in fondo ai tuoi occhi, in questa calda estate che accende i tramonti con i colori d’autunno, delle morbide foglie, giacigli d’amore. Un amore infinito che sempre ci avvolge, che non ha segreti né inganni, che cerca di fermare il tempo ad ogni bacio, ad ogni respiro, ad ogni palpito, seguendo inconsapevoli ritmi che i nostri corpi scandiscono. Il sentimento, ci parla, sussurra… come un filo sottile ci unisce…. È un sublime richiamo, che non possiamo ignorare, che ci guiderà lontano verso una nuova dimensione, costruita per noi dalle trame del sogno. Colombo Conti AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 2/7/2014 Si prevede, per il prossimo autunno, una manovra da parte del Governo, la ricerca, cioè di nuovi denari, dai 12 ai 20 miliardi. Alleluia! Alleluia! L’Italia continua ad essere in bolletta, ché ciò è stato sempre nel suo DNA. I colori della sua bandiera non sono, forse, il bianco, il rosso e il verde? Domenico Defelice
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ELENA MILESI E IL SUO COLORATO “QUADERNO DELLA SFIDA” di Luigi De Rosa
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IENE da Elena Milesi, poetessa di valore del Cenacolo Orobico, di Bergamo, autrice di ventisei raccolte nell'arco di una trentina d'anni, la “sfida” del Quaderno
colorato. “ Ho avuto in dono da due giovani amiche, dopo una “serata di poesia”, un simpatico quaderno colorato, des écrivains”, scrive la Milesi a spiegazione del perché abbia accettato la “sfida” del quaderno colorato. “Un impatto immediato e condizionante: intanto, in assenza di bianco, mettere nero su fogli a colore, nello stesso tempo la chiamata ad affrontare la pagina in modo particolare e speciale, adeguando temi e scrittura alla diversa colorazione. Da questo quaderno la sfida – per me! - a rispettare ed intrecciare le tinte di terra e cielo, di frutti e foglie, i toni della Natura con le sfumature degli stati d'animo e delle emozioni; il compito di collegare all'Arancio – Verdescuro – Violetto – Blu, il caldo del sole e della vita, il paesaggio, la gioia, la tristezza, il dolore, il soprannaturale. Una sfida/gioco, sfida/lavoro per conformare al colore le immagini e l'umore...”
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Nel perseguire questi suoi propositi, la Milesi è sorretta e spinta dall'amica Roberta Frigeni, che con garbo e finezza, ma anche con decisione, si richiama al grandissimo Goethe, affermando, tra l'altro, nella sua Introduzione : “ I versi di Elena richiamano tutta la forza originaria della teoria di colori di Goethe che tanto colpì quell'orecchio “giovane”. Nella Farbenlehre i colori non sono misura, né quantità, ma qualità e interiorità. I colori non sono assoluti, sciolti l'uno dall'altro, ma in dialettico rapporto: sono affinità, attrazioni, mescolanze e repulsioni. Non sono cose della natura, ma le relazioni che in essa vivono...Anche nelle pagine di questo quaderno i colori non sono cose tra le altre, ma affezioni, umori e persino sapori, di un tempo che non c'è più, ma che – cromaticamente – ritorna, lasciando che l'occhio lo riviva nel presente...”. Confesso che dopo una vita passata a leggere libri di poesie non finisco mai di stupirmi, essendo la mia sensibilità continuamente sollecitata da tutte le parti. . Ma in casi come questo non so quanto sarebbe utile, ad esempio, riandare con la memoria a certe “diavolerie” grafiche dei futuristi o di altre avanguardie letterarie e artistiche. Lasciamo stare anche le voyelles colorate di Arthur Rimbaud, qui il discorso è diverso. Tutto vero, d'accordo su quanto dicono Roberta ed Elena. Senza dimenticare che Elena è stata moglie di un noto pittore, Giuseppe Milesi, che di colori se ne intendeva. ( Elena, tra vari incarichi, ricopre anche quello di Presidente dell'Associazione Amici Pittore Giuseppe Milesi).
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Ma l'idea che non riesco a togliermi dalla mente è quella per cui la grandezza di questa nuova silloge di Elena Milesi, di queste quaranta poesie, sul piano del valore puramente poetico-letterario, non dipenda dalla dozzina di pagine vuote ( però colorate in tinta unita, appassionatamente...), o dalla sua suddivisione-interrelazione in Sezioni come Arancione, Verde scuro, Viola, Blu. Molte di queste poesie sono letteralmente stupende nella loro indipendenza artistica, e sfidano qualsiasi teoria, anche la più geniale. Penso, a puro titolo di esempio, a poesie come Una polenta-sole!, Senz'acqua senza documenti, La mia Adda! Fra mille acque ( con la quale inizia la bellissima sezione “Verde scuro”), Bianca cascata d'acqua, che stampano nell'anima un vivente ritratto, emozionante, non solo di tempi fuggiti e rimpianti, ma anche di tempi attuali di una dolcissima, verde Lombardia ( in specie, di una verde Val Brembana...). Di una bellezza suggestiva, poi, quel Piccolo canto che chiude la raccolta. Una preghiera antica nell'abbandono al Signore, ma modernissima nella tenace speranza (più che nell' onnipotenza) rasserenata dalla bellezza dell'Universo e, soprattutto, dall'Indulgente misericordia verso la povera Umanità. Luigi De Rosa Elena Milesi – Il quaderno della sfida – Corponove – maggio 2014 – Santa Maria Ausiliatrice – pagg. 63 – euro 5 Immagine di pag. 23: Elena Milesi, col marito, il pittore Giuseppe Milesi, sul tetto di casa (Foto di Mario Finazzi, 1957)
DIETRO LE DELIZIE DEL CUORE I Scrivere poesie è come entrare nelle delizie che saziano di ebbrezza il cuore, sopra tappeti d’erba svolazzando come uccelli di primavera, andare per spontanei incontri con l’ampio respiro che fa spaziare, dilatati gli arti. I cristalli degli occhi prendono gli estremi delle lontananze. La poesia viene da tutte le parti, la tenerezza della pelle arroventata si apre: le sensazioni traggono dal fondo preziose essenze. E’ come riversarsi nella folla, amare a prima vista senza scelta, un qualsiasi sorride assale. Le dure realtà spaccano l’uomo che reclama l’amore, la sua essenzialità piange dentro le piegature
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dove è difficile penetrare. Nei recessi dove purificati si sta come pazzi incatenati le voracità ferme non arrivano dilaniate da affiorare. E’ come tuffarsi in un mare o slanciarsi uguali a piastrine di luce, sentire suoni, sfiorare superfici. La poesia ha naturalezza di movimenti, fa vedere diverso. Non ha barriere con i sentimenti né rumore andando dove vive l’uomo che predilige altezze e dignità. Con fine occhio indovina le virtuosità delle piccole cose che non si vedono, sempre presenti e non capite intorno a noi. II La poesia imperturbabile non teme catene, ha la libertà inafferrabile: la senti addosso, la porti con tutto quello che hai. Ha le sfuggenti linee della figura rincorsa nei sogni, romantico il volto, capelli dissolti sulla fronte, rannodati di dietro. Faccia languida di carne tenera macerata. In estasi fermentante di piacere mantenendosi fra le braccia come fuggendo dall’aria di fuori in tempesta per la porta subito ritornata. Vede con i pensieri e astrazioni portati, con il bizzarro folle amore, delicato e dolce si aggrappa come fantasma, senti diafane le dita che passano tra i capelli, ti assale quando gli occhi sono chiusi. Il calore delle braccia che si allacciano. Leonardo Selvaggi Torino
LA TUA VOCE La tua voce non odo. Cantano le cicale, le piccole rose del vaso son fiorite. Ma sei lontano e non odo la tua voce. Potessi come le rose del balcone offrire a chi guarda lo splendore... ma sei lontano... Io più non odo la tua voce. Rossella Cerniglia Palermo
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XXIV EDIZIONE PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE CITTÀ DI POMEZIA 2014 Comunicato Stampa
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el ringraziare, per la pubblicità accordata, le Testate che hanno pubblicato in tutto o in parte il Regolamento del Premio, si comunica che la Commissione di Lettura del nostro Periodico, dopo un primo esame delle opere pervenute, tra il 16 e il 28 giugno 2014 ha selezionato, per le diverse sezioni, i lavori dei seguenti autori e ricorda, altresì, che, in base al regolamento, “Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, può decidere anche la non assegnazione del premio”: Sezione A (Raccolta inedita, max 500 versi): Aspettando che nevichi, di Claudio Carbone (Formia, LT); La luce. O del gioco delle memorie, di Umberto Cerio (Larino, CB); Ora che ho trovato te, di Santo Consoli (Catania);
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Luca (Rocca di Papa, RM); Dieci x Dieci. Sillabe incise a fuoco sulla pietra, di Salvatore D’Ambrosio (Caserta); Elogio alla mimosa, di Paola Insola (Torino); La notte, di Antonia Izzi Rufo (Castelnuovo al Volturno, IS); Come una rondine, di Giovanna Li Volti Guzzardi (Avondale Heights, Melbourne, Australia); Foglie al vento, di Anna Trombelli Acquaro (Altona North, Melbourne, Australia); Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello (Milano). Sezione B (Poesia singola, in lingua, max 35 vv.): “Alla ricerca dell’equilibrio della vita”, di Emilia Bisesti (Pomezia, RM); “Il mio amore per te”, di Mariagina Bonciani (Milano); “Chissà”, di Anna Maria Bonomi (Roma); “Italia ‘90”, di Gennaro De Falco (Milano); “Il gioco delle margherite - poesie haiku”, di Monica Fiorentino (Sorrento, NA); “Pioggia...”, di Noemi Lusi (Roma); “Ci incontreremo”, di Lucio Vitullo (Pescara). Sezione C (Poesia singola, in vernacolo, max 35 vv.): Nessuna poesia selezionata. Sezione D (Racconto, novella): “Il labirinto e la statua di marmo”, di Filomena Iovinella (Torino); “Generoso”, di Armando Romano (Roma); “Memorie di ricordi”, di Carmela Saverina Sacco Perri (West Footscray, Melbourne, Australia); “Un giaguaro ed un uomo”, di Ugo Sansonetti (Roma); “Quel giorno di febbraio”, di Anna Vincitorio (Firenze). Sezione E (Fiaba): “Le due cicogne”, di Angelo Cianfrone (Campbell Tow, Australia); “La missione delle fate”, di Elisabetta Di Iaconi (Roma). Sezione F (Saggio critico): “La letteratura femminile all’inizio del Novecento”, di Maria Grazia Ferraris (Gavirate, VA).
Il dito in bocca, di Mariano Coreno (Melbourne, Australia); Cellulosa, di Aurora De
Da un successivo esame della Commissione di Lettura, e a suo insindacabile giudizio, è scaturita la seguente graduatoria:
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Sezione A: 1) Rodolfo Vettorello - la cui opera verrà pubblicata, gratuitamente, nei Quaderni Letterari Il Croco (presumibilmente sul supplemento al n. 10 - ottobre 2014 - di Pomezia-Notizie) -; 2, ex aequo) Aurora De Luca, Paola Insola; 3) Umberto Cerio; 4, ex aequo) Claudio Carbone, Santo Consoli, Salvatore D’Ambrosio; Menzione d’Onore (ex aequo) a: Antonia Izzi Rufo e Giovanna Li Volti Guzzardi. Tutti riceveranno proposta per eventuale pubblicazione nei Quaderni Letterari. Sez. B: 1) Anna Maria Bonomi; 2) Gennaro De Falco; 3, ex aequo): Lucio Vitullo e Emilia Bisesti. Sez. C: Non assegnato. Sez. D: 1) Anna Vincitorio; 2)Armando Romano. Sez. E: 1) Angelo Cianfrone; 2) Elisabeta Di Iaconi. Sez. F: 1) Maria Grazia Ferraris. Pomezia, 7 luglio 2014
Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di Pomezia-Notizie Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edizioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Ettore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Marabelli:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Menabò; Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli: Canti del ritorno; Solange De Bressieux: Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Itinerario a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di Arthur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde la memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi; Giovanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Mancusi Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che ho scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni d’ amore; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgina Busca Gernetrti: L’anima e il lago; Rossano Onano: Mascara; Fulvio Castellani: Quaderno sgualcito; Nazario Pardini: I simboli del mito.
.... Nelle pause del sonno m’induci, notte, alla riflessione, i problemi mi poni profondi dello spirito, domande sull’enigma del “poi”.
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Non vi sono risposte, e se anche giungono, non fanno luce sui dubbi, un muro di fronte mostrano impenetrabile, le sentenze sciorinano ambigue della Sibilla. Antonia Izzi Ruso Castelnuovo al Volturno, IS da La notte, poemetto, Menzione d’Onore (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Antonia IZZI RUFO, insegnante in pensione laureata in Pedagogia, è nata a Scapoli (IS) e risiede a Castelnuovo al Volturno (IS), frazione di Rocchetta. Ha pubblicato, finora, una sessantina di opere (prosa, poesia, saggi, testi a fronte ed altro). Collabora ad importanti riviste letterarie. Le sono stati assegnati numerosi riconoscimenti culturali. Noti critici e personalità della cultura nazionale e internazionale hanno scritto di lei. Così Costas M. Stamatis: <<…nei suoi libri io ascolto con l’anima la sua poesia tenera, dove il cuore, il pensiero, l’ ispirazione, i sentimenti, il fluire poetico hanno creato una parola lirica, semplice e magnifica, la quale guida il lettore in sentieri nei quali palpita la vita>>; e Luciano Nanni: <<…per la Izzi è stato coniato il termine di “Saffo italiana”; Mario Di Nezza l’ha definita “la Poetessa Pentra” ed Aldo Cervo “la Ninfa delle Mainarde”.
XI Adoro la buona poesia: in rima o versi sciolti perché mi commuove, mi tocca il cuore. La settimana scorsa, a scuola, ho imparata “Orfano” di Giovanni Pascoli e quasi quasi ho pianto: “un bimbo piange, il piccol dito in bocca!” Sono belle immagini, vero? Anch’io mettevo il dito in bocca quando dalla mamma qualcosa volevo! Adesso non lo faccio più essendo meno birichino, più buono perfino! Mariano Coreno Melbourne, Australia
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da Il dito in bocca, silloge selezionata (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Mariano CORENO è nato a Coreno Ausonio (Frosinone) il 25 novembre 1939. Vive a Melbourne (Australia) dal 1956. Ha otto sorelle e un fratello. Ha tre figlie ed è nonno di quattro nipotini. Ha collaborato con articoli e poesie a giornali e riviste, sia in Australia che in Italia. Ha pubblicato: “Yellow Sun” (1980), “La lunga traversata” (1993), “Stelle passanti” (2001), “Ceneri nel bosco” (2008), “Sotto le stelle australiane” (2010). E’ incluso in numerose antologie, tra le quali “Ethnic Australia” (1981), “Joseph’s Coat” (1985), “La Ciociaria tra letteratura e cinema” (2002), “Compagni di viaggio” (1991), Mito società individuo” (1977), “Il carrubo e l’oceano” (2002), “Gli scrittori italiani e l’ emigrazione” (2008), “Storia della letteratura” (2010), “Antologia A.L.I.A.S.” (2011). Nel 2004, con la Italian Drama Company di Melbourne, ha esordito anche come attore teatrale recitando in “Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello e poi in “La Mandragola” di Machiavelli, interpretando Messer Nicia, l’ avvocato, marito della bella Lucrezia. Ha, inoltre, partecipato a numerosi eventi culturali organizzati dalla Italian Drama Company, Teatro Padula, Melbourne. E’ apparso pure in televisione numerose volte (Community Television, Canale 31, Melbourne). Ha organizzato conferenze, trattando autori italiani moderni come Ungaretti, Quasimodo, Pavese, Marotta, Cardarelli, Fallaci. E’ membro della Dante Alighieri Society di Melbourne, del Circolo Ferrari di Melbourne, dell’A.L.I.A.S. di Melbourne, dell’Associazione Laziali nel mondo (Australia Inc.). Ha vinto numerosi diplomi, coppe e targhe, sia per la poesia che per la prosa.
È SPUNTATO IL SOLE Sento l’urlo del mio cuore, che affranto si ribella e batte all’impazzata per un tuo capriccio che male mi fa. Sei andato via per un’ora, ma è passato il giorno e non ritorni. È sera e sento il tuo profumo, arrivi sorridendo e non pensi che mi hai lasciato nel tormento. Sei stato con gli amici
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a chiacchierare, forse a giocare, ti sei dimenticato di me, e il giorno è stato così buio e triste, che il cuore ha urlato dal dolore. Ma ora sei qui e di colpo è spuntato il sole! 26 – 11 – 2013 Giovanna Li Volti Guzzardi Avondale Heights, Melbourne, Australia da Come una rondine, silloge, Menzione d’Onore (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Giovanna LI VOLTI GUZZARDI è nata il 14 febbraio 1943 a Vizzini CT. Nel 1964, insieme al marito pensò di visitare l’Australia come secondo viaggio di nozze e vi rimasero, affascinati da questa grandiosa isola, che ha alimentato la sua grande passione per lo scrivere. Ha pubblicato quattro libri di poesie “Il mio mondo” in Italia nel 1983 e “Isola azzurra” in Australia nel 1990. “VOLERÒ” maggio 2002 – Editrice A.L.I.A.S. Melbourne. Nel 2007 “IL GIARDINO DEL CUORE”, Milano. Nel maggio 1992 fonda l’ACCADEMIA LETTERARIA ITALO AUSTRALIANA SCRITTORI – “A.L.I.A.S.” Giovanna ha avuto tanti riconoscimenti, tra i più importanti: nel 2003, Medaglia del Centenario della Federazione Australiana assegnata dalla Regina Elisabetta II, con gli auguri del Primo Ministro e del Governatore d’ Australia. 2004, invitata in Italia (una settimana a Palermo) per partecipare al Work Shop di Partenariato indetto dal Ministero degli Esteri, Roma. Maggio 2005, giorno della Festa della Repubblica Italiana in Melbourne, il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, e controfirmato dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, le assegna l’alta Onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana OMRI per aver diffuso la lingua italiana in Australia, Italia e nel mondo, tramite il Concorso Letterario Internazionale A.L.I.A.S. e per aver insegnato la lingua italiana con amore e passione per 25 anni. Sempre nel 2005 a Palermo le viene consegnato dalla REGIONE SICILIANA l’importante riconoscimento: SICILIANI NEL MONDO AMBASCIATORI DI CULTURA, e invitata a ritirarlo di persona con grandi festeggiamenti. Dicembre 2006 dagli USA: the Board of Directors, Governing Board of Editors and Publications of the Board American Biographical Institute do hereby recognize that Giovanna Li Volti Guzzardi Professional Women’s Advisory Board. Maggio 2007, riconoscimento dal Primo
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Ministro d’Australia the Hon. John Howard MP. Settembre 2007, premio “Carretto Siciliano 2007”, definito l’Oscar della Sicilianità. Maggio 2008, The American Biographical Institute, does hereby recognize that Giovanna Li Volti Guzzardi INTERNATIONAL WOMEN’S REVIEW BOARD, FOUNDING MEMBER. 2008 International Writers and Artists Association, Pres. Teresinka Pereira: Diploma to certify Giovanna Li Volti Guzzardi is recognized as THE BEST DAME OF POETS OF AUSTRALIA. 27 Maggio 2009, invitata in Italia dal CRASES: Centro Regionale Attività Socioculturali all’Estero ed in Sicilia. Presidente Gaetano Beltempo e Vice Presidente Ezio Pagano, in occasione del 40mo Anniversario del CRASES e assegnato l’ importante riconoscimento, delegata del CRASES. Ha insegnato italiano ai bambini di ogni nazionalità, come volontaria per 25 anni. Ma la sua gioia più grande è stare in mezzo a poeti e scrittori, per questo è riuscita a riunire tanti poeti e scrittori italiani da ogni parte del nostro pianeta, creando un punto d’ incontro nell’ Antologia A.L.I.A.S. Ed è felice di lavorare duro per far sì che la nostra Cultura e la nostra Madre Lingua Italiana venga portata sempre avanti in questa lontana, ma stupenda Terra Australe.
TERRA ANTICA Sogno, oppur son desta, rivedo i fili d’argento dei fiumi scorrere nella mia Terra, Terra dai mille colori e valori, sogno le vecchie mura della mia misteriosa città antica. Terra, dove le tue fragili mura cadono sugli asfalti devastati dal tempo e dalle intemperie. Bella e selvaggia ancor agli occhi miei appari, hai seppellito nel tuo suolo amori, dolori, gioie di tante primavere. Terra dei miei avi, immune negli anni su di te passati, bella tu fosti e bella sempre sarai, sei tutta una poesia di storie, vite di generazioni non dimenticate, quanti scritti sui muri sbiaditi, paese mio, ieri desolato, oggi gremito da gente e valori antichi o moderni.
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Rimani sempre tu vecchia città natìa, splendida al tramonto che muore, ti abbraccia, t’illumina, ti oscura, mi fa sentir l’essenza del tempo passato, la magia di terra antica, colma di aneddoti e storie. Io sento sempre nostalgia e tu senti questa preghiera mia, ti amo Terra, Terra mia! Anna Trombelli Acquaro Altona North, Melbourne, Australia Da Foglie al vento, silloge selezionata (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. AnnaTROMBELLI ACQUARO, nata a Bianco Reggio Calabria. Emigrò in Australia nel lontano 1958. È molto appassionata a scrivere poesie e racconti, ha partecipato a parecchi concorsi letterari ed ha ricevuto riconoscimenti e premi anche internazionali. È stata scoperta dall’A.L.I.A.S. dieci anni fa, da allora scrive con tanta gioia e partecipa ai concorsi sia dell’A.L.I.A.S. che internazionali. È una cara collaboratrice e sostenitrice dell’ A.L.I.A.S. Ha pubblicato un libro di poesie nel 1999 con l’A.L.I.A.S. Editrice “Le Mie Poesie”. Nel 2002 ha pubblicato in Italia un libro di favole in italiano ed in inglese dal titolo “IL LAGO INCANTATO” ottenendo un lusinghiero successo. Nel 2005 “UN ALITO D’AMORE” poesie, con A.L.I.A.S. Editrice. Partecipando al concorso A.L.I.A.S. ha vinto il premio speciale Medaglia d’Argento del Papa Giovanni Paolo II per due volte e altri primi premi. Nel 2006 ha vinto il Secondo Premio. Nel 2007 Terzo Premio. nel 2008 Menzione d’Onore. L’anno scorso Premio Speciale Moonee Valley City Council. Nel 2010 Menzione d’ Onore per poesia e narrativa. Nel 2011, Premio Speciale del CRASES – Palermo, per la narrativa e Menzione d’Onore per la poesia. Nel 2012, Menzione d’Onore Poesia, Terzo Premio Narrativa. Nel 2013 Terzo Premio poesia, Secondo Premio Narrativa.
GABBIANI Hanno smesso di fumare al porto e di riparare le reti. Non sa più accendere la pipa il nulla che dilaga fumano gli arrivi e le discese fuma il coraggio della cenere nell’ozio.
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Inseguono treni automobili rientri dalle notti insonni ai portoni senza festa non stanno più dietro le barche gabbiani di un’unica volta. Claudio Carbone Formia, LT Da Aspettando che nevichi, silloge, 4° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Claudio CARBONE nasce a Gaeta nel 1958. Insegnante di Liceo, vive a Formia. Frequenta negli anni ottanta gli ambienti letterari della capitale e in seguito collabora alle iniziative dell’Associazione Amici della Poesia. Per un lungo periodo tralascia la poesia per dedicarsi maggiormente all’ architettura prima e alla pittura poi. Nel 2008 ritorna a scrivere versi ottenendo numerosi riconoscimenti in concorsi nazionali ed internazionali. In particolare, nel 2009 ottiene il premio speciale della Presidenza a Nocera Superiore e, nel 2011, con la silloge “Quotidiane colonne”, risulta vincitore alla seconda biennale internazionale “Dino Grammatico” a Valderice (TP). Inserito in alcune antologie di poeti, è invitato spesso a partecipare a vari readings di poesia. Ha pubblicato “O laureat” (poesie dialettali), “Passo di cicogna”, “Quotidiane colonne”, “Sagome e specchi”, “Al posto delle rose”. E’ stato tradotto in francese da Mena Savore e in spagnolo da Carlos Vitale. E’ inserito nei “libri poveri” (livres pauvres) a cura di Daniel Leuwers (Università di Tours) conservati nella “Maison de Ronsard” e in un volume edito da Gallimard in Francia.
AMARE E RIAMARE Mio cuore che pompi attraverso le strade infinite del sangue gli amari veleni dell’ansia e i sogni infettati da attese deluse, tu sai che mi basta anche un nulla perché mi si illumini il cielo. Mi basta alle volte soltanto che muti di poco la mia parallasse usuale. Mi basta che un’altra finestra si apra sul mondo di fuori. Non serve ch’io vada lontano e cerchi un altrove, un’altra dimora per stare.
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Mi basta il paese che amo, le ombre di strade ben note, la musica lieve che filtra traverso spiragli di porte socchiuse, mi basta il mio cuore mutato da un lampo di luce. Bisogna che apra gli scuri serrati, le strette mie palpebre chiuse che come serrande abbassate mi lasciano chiuso di dentro a pensare. Al “male di vivere” occorre che cambi soltanto la mia visuale, che s’apra quell’altra finestra socchiusa che lascia ch’io resti a guardare le cose di fuori da un angolo nuovo così che le possa riamare. Rodolfo Vettorello Milano Da Voglio silenzio, silloge, 1° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Nato a Castelbalbo (PD), Rodolfo VETTORELLO vive a Milano dal 1960. Laureato in architettura al Politecnico di Milano con Gio Ponti ed Ernesto N. Rogers nel 1962, ha operato nel settore pubblico e poi nella libera professione. Membro di Giuria o Presidente di circa 12 Premi Letterari. E’ Socio Fondatore e Presidente del Cenacolo Letterario Internazionale ALTREVOCI che bandisce il Premio Letterario Internazionale THESAURUS. Ha pubblicato un romanzo e circa venti raccolte di poesia. Negli ultimi sei anni ha ottenuto 170 Primi Premi assoluti in sezioni diverse di Poesia e Narrativa.
SE MI NAVIGHI Se mi navighi, mio legno, mia nave, di sferzato vento salino a nebbia opaca e bassa, taglierai le onde e le romperai con il petto, dentro starai a sentire sommosso il lento rullare grave dei miei respiri e salterai di cresta a schianto sulla mia crosta rabbiosa.
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Se mi navighi, di mare a mare troverai acqua che porta acqua, alba di terra viva e l’altra sua faccia di linea arsa al tramonto. Mio legno, mia nave.
Pag.30 la suggestione di un sogno spartito tra il loro vagare e il nostro tornare tra solide mura setacciando timori peregrini nel grande cesto della vita. Paola Insola
Aurora De Luca Rocca di Papa, RM da Cellulosa, silloge, 2° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Aurora DE LUCA vive a Rocca di Papa (RM). Studia lettere alla facoltà di Roma Tor Vergata. Dal 2004 ha ricevuto molti premi con ottime motivazioni: San Domenichino 54a ed.; Gradiva, New York; Voci-Abano Terme ecc. Collabora con Pomezia-Notizie diretta da Domenico Defelice che ha prefazionato “Sotto ogni cielo”, silloge edita dalla Genesi di Torino, con postfazione di Sandro GrosPietro. Molte le firme importanti che hanno dato lustro a questa prima opera. Collabora con l’ accademia “Il Convivio” di Angelo Manitta, anche come membro di giuria. Presente su You Tube e in siti letterari: Leucade di Nazario Pardini, L’Atlante Literary e su riviste come “Gradiva”. Socia dell’ associazione Habeas Corpus e del circolo IPLAC. Ha pubblicato con la Leonida edizioni la raccolta poetica “Primizie” (2014).
SUI TRAM DI NOTTE I tram di notte parlano straniero. Nei riflessi del giorno rapito un contrappunto di voci s’alza sicuro dell’indifferenza complice del passeggero vicino nell’atmosfera ovattata del tragitto. I tram di notte sferragliano nostalgie lungo strade diffuse di luci fedeli ad un richiamo di cieli vegliati dalla stessa luna. Seduti accanto, mondi ostili scoprono snodi di parole esauste d’una storia ostinata a forgiare distanze. Ad ogni fermata del tram scendono solo anime consapevoli di tanta inadeguata sapienza spesa ad evocare verità indossate come pungolo e tormento. I tram di notte disegnano
Torino Da Elogio alla mimosa, silloge, 2° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Paola INSOLA è nata il 2 gennaio 1949 a Livorno Ferraris (Vercelli) e vive a Torino. Ha scritto saggi di letteratura e arte, ha svolto attività critica, collaborando con molte riviste letterarie. Dal 1977 partecipa a concorsi letterari conseguendo sempre più lusinghieri riconoscimenti. Ha pubblicato: “Il segreto della crisalide” (1988), “Confluenze” (2000), “Il miele della luna” (2007), “Corimbi” (2007), “Lessico d’amore” (2012). Dal 1997 scrive in lingua piemontese.
TERRA MADRE Il tuo gesto, lontano, mi scava profondo nel cuore un abisso che racchiude memorie e silenzi di sere ed urli di gabbiani all’imbrunire, quando i colori perdono l’anima. Ma a Larino i silenzi sono diversi -sono solitarinon hanno sapore di sale, hanno il sapore della terra madre, del sole e dell’erba bruciata e delle strade della storia, di macerie nascoste e di ruderi antichi, sotto lo sguardo di stelle dove si perdono i nostri pensieri. Non dirmi che la notte è vicina se batte l’ora dell’attesa, se il tempo è più scosceso del buio che sull’anima dirupa. Si sposta il filo di orizzonte, l’assicella dell’ostacolo: raccogliere memorie di una vita e poi volare in alto, -morire, forse, ancora, nella luce-
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quando nel volo dei gabbiani si legge il sogno e la dolcezza -come di aruspice il presagiolontano, più lontano come nel vento l’aquilone. Umbero Cerio Larino (CB) Da La luce o del gioco delle memorie, silloge, 3° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Umberto CERIO è nato a Larino il 2 giugno 1938. Ha compiuto a Larino gli studi medi al locale Liceo classico, laureandosi, poi, in Filosofia ed insegnando Storia e Materie letterarie nei Licei. Scrittore di formazione classico-umanistica, si distingue per la limpidezza espressiva dello stile e per il vigore dei contenuti. Usa spesso il mito, col quale cerca di cogliere l’universalità dell’uomo nello svolgere della storia. Ha pubblicato: “Metamorfosi” (1971), “Arcipelago” (2002), “Dialogoi” (2004), “Oltre il mare” (2005), “Il gabbiano bianco” (2006), “Il mio exodus” (2006), “Terra” (poemetto, 2007), “Solitudini” (2009), “Diario del prima” (2011). Ha curato l’edizione scolastica di “Epistolario collettivo” di Gian Luigi Piccoli. Gli sono stati assegnati numerosi premi letterari anche internazionali. E’ presente in molte antologie, in saggi critici, in Storie della Letteratura contemporanea e ha collaborato e collabora con riviste letterarie anche on line. Ha un suo sito Web ufficiale.
NEL MIO MARGINE Nel mio margine ti ritrovo, pronta a ricordare le carezze di un tempo. Il respiro affannoso schiude il tuo guscio, e si bagnano i pensieri dentro i ricordi smarriti su per le colline di ginestre e aurore, con le foglie che cadono dentro ai nostri rifugi. Tra le pieghe delle mie emozioni ho visto tutti i tuoi tremori, alla scoperta
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di verità nascoste. Quando la tua figura appare all’orizzonte come candore rinato, diventi per me compagna nella notte. Allora la luna sboccia per noi, nel suo viaggio dentro i nostri sogni. Ora insieme volano, dietro una sinfonia, tutte le nostre perle. Santo Consoli Catania Da Ora che ho trovato te, silloge, 4° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Santo CONSOLI nasce a Misterbianco (CT) nel 1946. Dopo la Laurea si trasferisce nel Veneto, ove ha inizio la sua carriera di docente. Rientra in Sicilia e nel 2005 inizia a scrivere poesie e a partecipare a Concorsi, ottenendo ambiti riconoscimenti (ben 580 premi - in Carriera, oltre 300 premi secondari -. Di tutti questi, degna menzione: 57 Primi Premi; 59 Secondi Premi; 54 Terzi Premi; 24 ‘Nomine’ in Carriera). Ha pubblicato numerose sillogi, tra cui: “L’Arcobaleno dell’ Amore”, “Lucidi Orizzonti”, “HeyMan- Risollèvati”, “La Strada sull’Acqua”, “Pensieri Innamorati”, “Verso la Luce”, “Animi”, “I tuoi silenzi”, “La tua anima affiorava”, “Il nostro incontro”, Tu, mia Strada”, “Le nostre pagine”, “Nel tuo Firmamento”, “Mi addormentavo nei tuoi sogni”, “Non è l’ultima stagione”, “Il Sentiero della Vita”, “Il Cuore Canta”, “Ti ho cercato”, “I colori del silenzio”, “Il tuo riflesso”, “Accovacciato sulle tue ginocchia”, “Spazio Infinito”, “Il tuo risveglio”, “La tua presenza”, “Sfumature”, “Memorie d’oggi”, “Voliamo nel tempo”, “Nel mio margine”, “Nei giorni della tua vita”, “Nel mare dei tuoi occhi”, “Spazio Vitale”, “Longevo”. E presente: nel Dizionario di Autori Siciliani nel Mondo, a Naxos; nell’antologia Internazionale - Poeti nel Mondo - a Reggio Calabria; nella Raccolta ‘Poeti Italiani nel Mondo’, a Ro Ferrarese (FE).
Sesta porta Ecco i due primitivi di Elohìm Ora avevano una lunga discendenza E un mare chiuso dietro Con davanti un deserto Ecco ora era il momento dell’alleanza
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Perciò il dito di fuoco incideva e parlava Consegnava regole per non sbagliare più Pretendeva patto di fuoco inestinguibile Dove ogni giorno divenisse shabbàt Quando si condanna a morte Settima porta Ciò che è tuo non è mai poco Perché appartiene solo a te Per questo sii fedele nell’uso della carne Che fu data per volere di spirito Che ti elevò da polvere a carne Terra divenuta carne per opera di spirito risponde allo spirito e non alla carne Così come divenire una carne sola è opera di spirito E durerà per sempre Perché uno e per sempre è il tuo Elohìm Salvatore D’Ambrosio Caserta Da Dieci x Dieci. Sillabe incise a fuoco sulla pietra, silloge, 4° Premio (Sezione A) al Città di Pomezia 2014. Salvatore D’AMBROSIO è nato a Napoli nel 1946 ma vive da sposato a Caserta da circa 40 anni. Passione per la letteratura fin da ragazzo anche se i suoi studi sono prevalentemente tecnici. Svolge per oltre 30 anni attività di docente dedicandosi parallelamente alla collaborazione, negli anni “70, con emittenti televisive locali. Studioso del regno di Napoli e dei Borbone, pubblica numerosi articoli sulla rivista di Gaeta “Tribuna del collezionista”. Nel 1989 edita un libro sulla storia della posta della antica provincia di Caserta. Parallelamente partecipa a concorsi letterari vincendone diversi: S. Valentino -Terni; Histonium - Vasto (CH); Stolfi – Potenza; Biennale del libro edito- Pollino (CS) ed altri che gli consentono di essere presente in diverse antologie. Nel 2009 per la Bastogi pubblica la prima raccolta poetica : BARCOLLANDO NELL’ INDICIBILE. Attualmente ha il blog “poesiaecultura” e collabora con giornali locali e di cultura.
IL GIOCO DELLE MARGHERITE POESIE HAIKU Campane petali di ciliegio la primavera Neve.
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La tua pelle a spogliare le margherite Nuda s’annoda fra i capelli una rondine E cade un angelo ubriaco dentro me Zucchero. Le mie labbra a vestirsi della tua bocca Lucciole pensieri dal vecchio fico a sgocciolare Una farfalla sul bianco marmo. E’ colore Monica Fiorentino Sorrento, NA Poesia selezionata (Sezione B) al Città di Pomezia 2014. Autrice di parecchie raccolte di poesie haiku. Ricordiamo: “Lettera Ventuno”, “La cicogna dalle calze rosse”.
ITALIA ‘90 Lo dicevano tutti che i Tedeschi erano i più forti, che palla al piede facevano paura. Lo ripetevo anch’io, che di calcio non ne capivo niente. Come ripetevo le notizie sui giornali, caduto il muro, cambierà la Storia. Ma tu non t’illudevi, i goal di Matthaus ti lasciavano indifferente, come le lattine nuove di Coca Cola. Ridevi, irriverente, dei crucchi che facevano festa
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e del neocapitalismo dell’Est.
IL MIO AMORE PER TE
Frammenti di muro - ripetevi a tutti si venderanno per corrispondenza. Gennaro De Falco
Coltivo il mio amore per te come si coltiva un fiore.
Milano 2° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2014.
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Ne nutro il fertile terreno con l’acqua quotidiana del ricordo.
PIOGGIA... Lo rinforzo con l’ascolto della tua voce registrata e della musica che tu un giorno suonasti per me.
Piove e la mia musica suona, foriera di eventi, sicuri, inespressi, già programmati, in atmosfere di pioggia che batte, come tamburi per niente lontani.
Non voglio che possa appassire perché non voglio lasciarlo morire. Mariagina Bonciani
Profuma la terra, profuma di sogni cinti d’argento, pervasi da arpeggi che, armonici, riempiono l’aria d’intorno, segnando zone distanti dal tempo, calate in un sempre che solo chi sogna nell’atto del fare sa vivere… intenso. Noemi Lusi Roma Poesia selezionata (Sezione B) al Città di Pomezia 2014. La formazione di Noemi LUSI si riflette su tutta la sua produzione letteraria che si situa nel contesto internazionale ed in particolare quello europeo, in cui ha a lungo vissuto e da cui ha voluto enucleare alcune delle sue significative permanenze in particolare in Inghilterra, Francia, Svezia e Spagna. La vocazione all’espressione di sentimenti, opinioni, convinzioni, principi, pensieri, insomma alla condivisione del proprio animo con un ‘esterno’ che, anche quando indistinto o mutevole, pure rappresenta la vita nel suo incomprensibile svolgersi, risale ai tempi del liceo e l’accompagna trasformandosi con lei. Su Pomezia-Notizie, Noemi Lusi cura la rubrica “Luci della Capitale”.
Milano Poesia selezionata (Sezione B) al Città di Pomezia 2014. Mariagina BONCIANI vive a Milano dove è nata nell’aprile 1934 e si è diplomata in Ragioneria nel 1953, ma ha sempre prediletto le materie letterarie e le lingue. Conoscendo il francese e lo spagnolo ed avendo perfezionato soprattutto lo studio dell’ inglese, ha lavorato, dal 1953 al 1989, come segretaria di direzione, capo ufficio e corrispondente presso tre diverse ditte nel settore import-export. Ama la lettura, i viaggi e la musica classica. In pensione dal 1989, per alcuni anni si è dedicata alla madre inferma, smettendo di viaggiare, ma studiando pianoforte, russo e greco antico. Non si è mai sposata. Da qualche anno ha iniziato a presentare nei concorsi letterari le sue poesie, ottenendo sempre riconoscimenti e premiazioni. Molte sue poesie sono state pubblicate in antologie e riviste. Nel 2010 ha pubblicato nei quaderni “Il Croco” della rivista “Pomezia-Notizie” la silloge “Campane fiorentine”, accolta con entusiasmo dalla critica e nel 2011, sempre per “Il Croco”, la silloge “Canti per una mamma”. Nel 2012 è uscita presso le Edizioni Helicon la sua raccolta “Poesie”. Sue poesie vengono regolarmente pubblicate nella suddetta Rivista e sulla Rivista “Silarus”. Vince il primo premio al concorso “Città di Avellino - Trofeo verso il futuro” 2013 con la silloge “Poesia e musica”. E’ presente nel volume “Poeti contemporanei - Forme e tendenze letterarie del XXI Secolo” (2014), a cura
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Lugano e il titolo di “Gran Maestro della Poesia” nel 2014 al Premio “Parthenope” a Lecce. Ha pubblicato due racolte: “Vent’anni” (2011) e “Il volo incerto del cuore” (2013).
di Giuseppe e Angelo Manitta.
CI INCONTREREMO Ci incontreremo mai Stella che immensa mi passi davanti? Per adesso riesco solo a sfiorarti e immaginare la tua voce accanto alla mia, sognare un abbraccio della tua luce ai miei occhi e al mio cammino tracciar nuovi sbocchi. Ci incontreremo mai oltre i vicoli bui che da te mi separano? Ora leggendo le tue parole a stento cerco di trattenere lacrime ma vorrei che cadessero nelle tue mani e che tu stringendo i pugni le trattenessi a te perché al tuo calore possano disfarsi. Ci incontreremo e forse sarò quel pianeta che attorno a te ruoterà per sempre delle stagioni non ci cureremo perché saremo un’altra estate in pieno dicembre.
CHISSÀ Chissà se ci sarà sempre un altro posto dove portare i nostri antichi sogni. Penso al vento tra i capelli, alla nostra vita piena di forti e gagliarde speranze. Poi lo scontro. Diverse le idee, i sodalizi sciolti. Ciascuno da solo a trascinarsi in una quotidiana , sterile e straziante inquietudine. E’ passata così una estenuante vita. Un groppo alla gola e una certezza bruciante: non ci sarà mai più un nuovo posto per noi. Anna Maria Bonomi Roma 1° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2014. Anna Maria BONOMI è nata a Roma, dove risiede. Ha vissuto anche ad Artena e a Pisa. Laureata in Pedagogia e specializzata come Consigliere pedagogico. Ha insegnato fino al 2003. Si è interessata di poesia in vari periodi della sua vita. Negli ultimi anni ha partecipato agli incontri dei “Poeti al Caffè”, Centro letterario romano. Ha pubblicato alcuni saggi critici e poesie su riviste, come PomeziaNotizie. Suoi elaborati figurano nelle belle antologie curate annualmente da “Poeti al Caffè”.
Lucio Vitullo Pescara 3° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2014. Lucio VITULLO è nato a Pescara il 13 dicembre 1972 e ivi risiede. Diplomato in Ragioneria nel 1991. Scrive poesie all’incirca dal 1990, ma solo dal 2010 ha iniziato a partecipare a concorsi, in tutta Italia, ottenendo riconoscimenti, tra i quali, i più significativi: Primo Premio nel 2012 al “Luce dell’Arte” di Roma; 3° posto al Premio Europa a
ALLA RICERCA DELL’EQUILIBRIO DELLA VITA Altalenanti equilibri, spezzati, ora divelti e poi squarciati rasano al suolo gli ultimi baluardi degli ideali di un tempo, elemosinando il loro sordo aiuto all’universo.
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Menti non più lucide conducono le sottili briglie della vita della nostra epoca. Solitudine, assenza ed indifferenza siedono accanto ad ogni uomo, donna e ragazzo. La felicità pare una fulgente chimera. Ed in questo grigio giorno di Maggio ancora una volta la nostalgia prende un inaspettato coraggio, svegliatevi meravigliosi fiori del mio io, la natura richiede il congenito corso della vita. Amore, forza e coraggio, paura alle spalle… Inizia oggi un nuovo arco vitale discerniamo la verità dai falsi miti, celati sottilmente su insipidi specchi, e su fredde e vuote lastre di vetro colorato. Armonia, pace e serenità dove vi eclissate? Il sole all’orizzonte fa capolino ed io son qui con i mali del mio tempo, che mi paralizzano, mi condizionano, e mi conducono a vivere un’esistenza che non è più mia! Emilia Bisesti Pomezia, RM 3° Premio (Sezione B) al Città di Pomezia 2014. Emilia Bisesti è nata a Roma il 23 Febbraio 1967. Coniugata è mamma di due ragazzi. Oramai da 25 anni partecipa attivamente alla vita dell’ Associazione Coloni di Pomezia, che si propone di diffondere la storia e la cultura del territorio. Presenta le tradizionali manifestazioni storico culturali dei Coloni e cura la declamazione delle liriche dei poeti della Spiga D’Oro, settore artistico della stessa associazione, di cui è coordinatrice dal 1996. Scrive poesie tentando di liberare le più semplici e segrete emozioni racchiuse nell’intimo; nel prossimo futuro si propone di radunare le poesie “ più significative ” in una raccolta, la sua prima antologia.
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MEMORIE DI RICORDI di Carmela Saverina Sacco Perri
E
' fin dal 1972 che vivo lontana dalla mia terra natia e in terra straniera fu molto duro, quasi impossibile. Quanti cambiamenti: la lingua, temperature, moneta, le scuole, anche la differenza dell'orario, la gente era diversa di noi. I primi tempi furono un forte colpo al cuore, soltanto a dover pensare come potercela fare; però, non ci restava altro che provare, c'è voluto del tempo e, con la forza del cuore e il forte bisogno, ce la siamo cavata bene. Oggi tutto quello che tocchiamo con le mani è il raccolto del nostro lavoro duro. Ogni uomo che è diventato emigrante e schiavo del lavoro, ha una sua propria storia di esperienza da raccontare, da poter condividere con altri emigranti che hanno sofferto ugualmente. Noi per il lavoro, per un futuro migliore, siamo stati costretti a lasciare le nostre radici dove siamo nati, ma abbiamo continuato a crescere in terra sconosciuta, soltanto le nostre abitudini ci siamo portati con noi. Nessuna storia può essere simile, però, trovi sempre qualcosa che assomiglia alla nostra; parlandone, ti ricorda, ti sconvolge, ti riporta a quel tempo di disperazione e vita nuova, dolore di sofferenze e quella grande immensa speranza di potercela fare da soli. Quei tempi furono duri, senza riuscire a capire un modo semplice per cambiare la situazione, però oggi vedo tutto diversamente, con un po' di riflessione sono capace a comprendere, come e quanto la forza di volontà e profonda passione, ci ha incoraggiato e anche aiutato a realizzare un sogno quasi impossibile, sempre con l'aiuto e le nuove scoperte di questa terra di aborigeni, allora molto ignota. Questa fu un'incredibile esperienza, però c'è altro che vagamente mi tormenta: sono i ricordi di quando mio padre mi lasciò, ad appena cinque anni, per emigrare in Australia, ho sempre sperato che con il passare del tempo le cose potessero cambiare, i ricordi, le memorie si potessero dimenticare, invece si sono messe d'accordo, le loro ombre mi impediscono
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di poter cancellare il rimorso, che agita l'anima come l'oceano. Tante cose sono cambiate, ero piccola e son cresciuta, i grandi sono invecchiati, però quello che sento dentro rimarrà con me per sempre. Carmela Saverina Sacco Perri West Footscray, Melbourne - Voctoria - Australia Racconto selezionato (Sezione D) al Città di Pomezia 2014. Carmela Saverina SACCO PERRI è nata e cresciuta nel piccolo paesino calabrese di Gabella. Ha studiato fino alla seconda media, ha imparato la lingua inglese. Dal 1972 si è trasferita in Australia, dove ha continuato a studiare per altri due anni. Nel 1976 è rientrata nel suo piccolo paese di Calabria, dove si è sposata l’anno successivo. Dal matrimonio sono nati tre figli. Suo marito è morto più di vent’anni or sono. A suo marito ha dedicato il suo primo libro: “Tienimi per mano” (2012) prefazionato da Giovanna Li Volti Guzzardi. Un secondo volume è stato scritto assieme a sua cugina Elisa Longo di Reggio Calabria. La parte di Carmela Saverina Sacco Perri si intitola “La voce del silenzio” e quella di Elisa Longo “Nostalgia e il vicolo sordo”.
IL LABIRINTO E LA STATUA DI MARMO di Filomena Iovinella Bisogna scrivere tutto come viene alla penna, senza cercare le parole. J.P.Sartre
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l piede tocca su un angolo di porta : “ Ahi!” Mohammed inveisce dopo il suo enennesimo scontro con gli oggetti di quella stanza in cui l’hanno rinchiuso. Il gioco del labirinto e del tempo, sono due settimane che si chiudono in una stanza della città e cercano di trovare l’uscita ad occhi bendati. Il tempo è fondamentale chi prima esce, vince.
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La sua testa si illumina invece di un solo pensiero – voglio andare a casa, non mi piace questo gioco e poi mi chiedo : ma è davvero un gioco?- E loro sono i miei amici?La benda gli stringe le tempie e gli occhi iniziano a lacrimare. Quel labirinto lo porta a farsi ancora altre domande : gli occhi mi lacrimano perché voglio andare a casa? Oppure perché non sopportano il buio della benda?. Mohammed protende le braccia in avanti, spinge i palmi delle mani verso l’aria e ricomincia a tastare gli oggetti di quella stanza sempre alla ricerca dell’uscita. Non è molto grande quella stanza dei giochi, la quale è piena zeppa di oggetti impolverati, coperti da qualche lenzuolo e da qualche giornale che ricoprono statue di varie misure. Deve essere un magazzino di una galleria d’arte, quando l’ hanno scelto come labirinto hanno solo notato che era un seminterrato che dava sulla strada e hanno forzato il lucchetto alla porta, tanto lo usano solo per poco tempo è un gioco di ragazzi, lasciano tutto li come l’hanno trovato. Lui tocca la faccia di una statua, questa è fredda, l’incisione sulla testa fa ben vedere, anche così con la benda sugli occhi, con il solo tatto la linea dei capelli lunghi e folti, la donna rappresentata nella scultura è molto bella, tocca ancora e scopre il collo e poi il seno, le braccia e il busto, si avvicina e cerca di scoprirne la grandezza e sembra sia di altezza naturale anche perché toccando la forma degli occhi in linea orizzontale si trova sulla stessa traiettoria dei suoi occhi bendati. - Signora come ti chiamavi? Chi era colui che ti guardava nuda mentre incideva le tue forme nel marmo?- Signora da quanto tempo non vieni esposta al pubblico?- Signora mi sono scocciato di stare qui e di fare questo stupido gioco e tra l’altro ho impiegato tutto il tempo parlando con lei ed è ovvio, a questo punto, che ho anche persoDa un finestrino posto in alto di quella stanza abbandonata che dà sulla strada ci sono i rumori dei suoi amici che lo chiamano incitandolo a ricominciare a muoversi, alla ricerca della porta d’uscita, il tempo del gioco sta di-
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ventando troppo lungo e molto più del tempo che hanno impiegato gli altri, ma a lui non importa. Mohammed li ascolta ma preferisce immaginarsi la dea di marmo che ha tra le mani, continua a sfiorarla e a seguire ogni linea che scava le forme nel pezzo di marmo , anche la schiena e il sedere hanno un loro disegno scultoreo perfetto. - Signora per quanto tempo è stata dal suo artista?- Amava il suo artista? Oppure si è fatta pagare?- Eravate insieme in una stanza come questa?- Lei aveva pudore? Sapeva di sicuro che tutti l’avrebbero vista e ammirato le sue forme- Signora lei è stata una donna spudorata, lo sa?- Lei è stata una musa per un artista scultore, ma per tutti gli altri può essere considerata spudorata, l’hanno messa qui per questo?- Signora io la porterò di nuovo dinnanzi agli occhi di tuttiVorrei vivere nel suo tempo, lei è vissuta ai tempi dei cortigiani. Le mani di Mohammed esplorano le forme del marmo mentre parla, e dalle spalle scende un drappo di tessuto. - Signora cosa ha pensato quando il suo artista le ha posato questo tessuto a coprirla ?- Signora la sua pelle doveva essere candida e bianchissima, il suo artista scultore la faceva stare a bagno nel latte?Quante domande mi vengono da chiederle, mi ha riportato nel mondo delle cortigiane. Di nuovo i rumori sul finestrino : “Ehi! Mohammed ma cosa stai facendo, ti decidi ad uscire da lì, il gioco è finito e tu hai perso” “ Ragazzi state zitti sto parlando con una dea cortigiana” Un unico coro: “ Chi?” “La dea cortigiana” “ E chi è?” “ E’ una statua” “ Tu sei tutto matto” Lui si toglie la benda e corre alla finestrella continuando a parlare : “ Ragazzi, aspettatemi dovete aiutarmi dobbiamo portarla al museo, ma non un museo qualunque, al British mu-
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seum” “ Tu sei matto”. Continua a parlare con la statua : “ Le cose che toccavate voi erano autentiche, vivevate in un mondo frivolo e in un mondo di tutti artisti pazzi” - Signora quanti uomini avete amato?- Dea, oh dea quanto piacere avete concesso?- Sento il profumo della vostra pelleQuesta ultima domanda la esplicita senza voltarsi, ancora di spalle alla statua. Poi si volta e la osserva per la prima volta. “ Oh! Dea, dea tu sei arte, tu sei incanto e perfezione, sono invidioso di quelle mani che ti hanno scolpita, sembri vera, sembri lei, immagino lei te, la signora che di fronte a lui posava per fare di te lei e di lei te. “ Mohammed dove eri? Qui ho bisogno di te” Si sente ancora il rumore della porta che si richiude alle sue spalle, la porta del negozio di frutta della famiglia Nassad di Aleppo, genitori di Mohammed. “ Ho giocato con i ragazzi, non posso solo studiare e lavorare!” “ Lo capisco figlio mio, ma io devo uscire e tu devi restare al bancone per le vendite, riponi quelle ultime scatole di datteri appena arrivate” Mohammed prende in consegna il negoziobottega della sua famiglia , sugli scaffali ci sono datteri, fichi, mango, avocado, maracuja. Quegli odori e quei sapori lo inebriano e poi tutti quei colori caldi e pieni di sole aiutano il cielo di Londra a dimenticarsi del grigio. La Signora Smith saluta Mohammed e con il cestino prende alcuni frutti, lui è alla cassa e saluta e fa i conti. Dalla vetrina appaiono i suoi amici che sulla porta chiedono : “ Ma che fine hai fatto?”. “ Ragazzi ho avuto un intuizione, sono stato rapito e ho un desiderio-sogno da realizzare”. Durante quella stessa notte si ritrova davanti ai cancelli del British Museum , facile è per lui scavalcare ed entrare, nel suo paese d’ origine spesso entrava di notte attraverso i cancelli chiusi in case di terroristi, voleva capire il perché, voleva sentire cosa dicevano. Entra nel museo e cerca un posto dove riprendere il
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suo gioco labirinto ed imparare con il tatto le tecniche più belle della scultura di tutto il mondo, quella dea in quella stanza gli ha acceso una convinzione che si è impadronita della sua testa, deve trovare ogni tempo, in ogni notte. Il tempo per questa magnifica forza interiore che per adesso è solo somatizzata, ma bisogna svilupparla, sentirla, studiarla, viverla, patirla e poi sarà fatta. Le mani si posano sul marmo delle statue, il dito segue le linee del corpo e le linee delle basi, resta con la benda sugli occhi nel buio più totale e nel silenzio più totale e cerca di sentire il rumore di quel martello e di quello scalpello, di quelle mani che hanno modellato. Illumina la mente e dà luce agli occhi per poi vedere la statua che sta consultando con le mani. Consulta ogni statua che è custodita in quel padiglione di museo. Sente i passi dei visitatori di quel giorno, le statue sono ancora calde dei loro occhi, vuole realizzare la sua opera, con impresso il suo nome e la sua provenienza, e vuole tirar fuori dal blocco di marmo la sua donna ideale che simboleggia la perfezione da guardare con invidia, vuole sentire il delirio di quel lavoro magnifico che si sviluppa attraverso le mani. Notti e tante notti dovranno passare sotto le sue mani e tanti e tanti musei dovrà esplorare al buio della notte e delle sue bende sugli occhi, solo quando sentirà il delirio dei suoi maestri d’arte capirà di potercela fare. E’ una forza interiore profonda che vuole scolpire il dolore di una migrazione attraverso il mondo. “ Ragazzi era solo un gioco, a volte le convinzioni arrivano dalla casualità, ragazzi era solo un gioco e io lo farò diventare un’ ossessione, l’arte è un’ossessione. Forse non immaginerete nemmeno racchiuso nei vostri sogni più profondi, quel che io sto facendo, ma io mi ricordo di voi, i miei amici inglesi e il loro gioco del labirinto”. Ma non riesce a restare, qualcosa lo blocca, non riesce a vedere in quelle sculture, in quel luogo, troppo luminoso, troppo frequentato, troppo illuminato, prende la sacca ed esce di corsa dal museo lungo la strada ha un unico pensiero ritornare da lei, dalla signora in quella stanza buia e
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polverosa. Il fiato è in gola, il cervello è fuso, il corpo non gli appartiene più, tutto è in uno stato allucinogeno, spinto da una forza propulsiva che viene dal cosmo lunare, la luna in alto nel cielo lo guida e gli indica la fonte di quello che cerca senza riconoscere ancora il fine ultimo di quel suo cercare, forse non riuscirà di certo a diventare uno scultore solo bendandosi e studiando i tratti ben delineati di uno scalpello collegato ad un cuore di artista, ma poi Michelangelo Buonarroti, non era solo un autodidatta?. Quando apre la porta la guarda ed esclama: “ Eccoti, signora mia” poi rimette la benda e la esplora con tutte le domande del mondo. “ Come ti ha creata?” “ Chi era e perché non si è firmato?” “ Perché sei rinchiusa qui, chi è perché non ti vuole?” Io ti voglio e ti inciderò la mia firma, così ti farò mia, non so a cosa mi servirai ma noi due insieme dobbiamo fare qualcosa; poi resta in silenzio e tocca il marmo – come faccio a capire?La sensazione di lei sussurra solo due parole – perdere il controllo, perdi il controllo di te e la magia si svelerà a teLui apre la sacca prende il martelletto rubato al museo e perde il controllo, ad ogni colpo il tempo vola come fumo di oppio e scandisce i colpi uno dopo l’altro e le lettere si incidono una dopo l’altra. Alcuni rumori fermano il delirio, lui chiude tutto nella sacca e corre via a casa, con l’ansia nel petto si sdraia sul letto e guarda il soffitto, l’ansia non passa, il delirio resta con lui, il rumore di quei colpi lo tengono prigioniero nel letto. Il mattino successivo si scopre che hanno derubato l’intero negozio di frutta, il padre è in lacrime comprende di aver fallito di essersi indebitato scappando dalla guerra e arrivando a Londra, adesso nel giro di un solo mese era tutto finito. Mohammed raduna tutti i suoi amici ed insieme vanno a prendere e trasportare la statua della dea. Mohammed ha un’idea, la statua è pesante non sapendo come fare la mettono adagiata su una coperta di lana e tutti insieme la trasfe-
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riscono lungo i marciapiedi della city, fino al negozio. Tutti insieme riordinano il caos di scatole e scaffali rovesciati e mettono al centro del negozio la statua coprendola di frutti, in tutti i punti d’appoggio del suo corpo perfetto. Fuori dal negozio i ragazzi invitano i passanti ad entrare e tutti incuriositi entrano e restano, estasiati da quella strana visione, una statua di marmo rivestita di frutta, prendono i cestini e li riempiono di frutti esotici. Il padre di Mohammed chiede : “Da dove arriva questa statua?” “ E’ mia, leggi!” e invita il padre a leggere alla base della dea. Mohammed Nassad in Siria, anche i clienti leggono e lo immortalano in alcuni scatti fotografici di fianco alla statua, mentre sul suo viso si illumina un sorriso . Filomena Iovinella Torino Racconto selezionato (Sezione D) al Città di Pomezia 2014. Nata a Frattaminore, in provincia di Napoli, Filomena IOVINELLA vive a Torino. Scrive solo da pochi anni e l’appassionano i testi di filosofia. Ha pubblicato tre racconti: nel 2012 “Traccia di vita”, nel 2013 “Il ritorno di Stefano”, nel 2013/2014 “L’ eros e la strada”. Segue sempre il suo blog dal titolo “Gli indistinti confini”. Scrive anche poesie, una delle quali è stata pubblicata in un volume delle Edizioni Aletti. Nel 2013, ha vinto la sezione fiaba al Premio Internazionale Città di Pomezia.
GENEROSO (Un uomo, un paese, una leggenda) di Armando Romano giunto il momento di adottare la forma del racconto. Per parlare di lui, di mio padre. E parlare di lui è parlare anche di me: nonostante i trentatré anni trascorsi, è sempre vivo, non solo nel ricordo, come abitualmente si dice, ma in me stesso, nelle mie azioni, nei miei pensieri e soprattutto nelle mie “passioni”, in quella mia intima ricerca, in quel mio desiderio di verità... che sempre mi accompagna.
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Sempre cercando di comunicare la mia meraviglia, la mia ammirazione, ne ho parlato tra colleghi, tra conoscenti e infine nella Comunità neocatumenale con la quale sto compiendo un cammino di fede. Ma ancora non basta. Sento che sono stato educato, formato sopratutto da lui. Da lui modellato. Sento, in un certo modo, che io, come dire?, lo continuo. Il suo messaggio dura. E’ carne mia. E’ respiro mio. E’ sogno mio. Mio orgoglio e onore. L’onore di “Generoso”. Lo chiamavano così per il suo temperamento generoso, per il suo carattere sanguigno e franco, che non disdegnava, all’occorrenza, riflessione ed esercizio di saggezza... Il suo nome vero era “Gennaro”. Ci volle una sentenza per restituirglielo. Il soprannome era diventato nome, era entrato come nome nei documenti ufficiali, persino nelle schede dell’Anagrafe del Comune di nascita e di residenza, Poggiomarino, in provincia di Napoli. Il Comune si trova a qualche chilometro di distanza da Pompei, Santuario importante. Chi non ha sentito parlare della Madonna di Pompei? Mio padre faceva uno dei tanti mestieri strettamente legati alla vita familiare, a tante vite di un paese. Apparteneva alla gente più che modesta, che forma la grande maggioranza della popolazione di un paese agricolo. Della sua giovinezza non so quasi nulla. Quasi nulla mi ha detto dei suoi genitori, dei suoi parenti e amici. Qualche cenno soltanto. Forse voleva isolarmi, per prepararmi, con lo studio soprattutto, a una vita, a una posizione sociale di molto superiore alla sua e a quella del parentado. Lo ricordo corpulento, piuttosto basso di statura, calvo (l’unica punizione che mi inflisse, ricordo, fu il lancio del suo berretto contro di me a distanza, per un’ arrabbiatura). Non aveva un’istruzione, non aveva una casa e un tenore di vita civili, non aveva ambizioni di crescita sociale e di miglioramenti che non fossero semplice risparmio per poter in ogni momento far frante ai propri impegni e provvedere alle necessità future dei propri figli. Diffidava della politica e dei politici e delle autorità in genere. Stava
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lontano. Li rispettava, ma non li cercava. Ognuno doveva stare al suo posto. Non so chi, non lui certamente, mi ha raccontato di quella volta che prese molto olio di ricino per “noti e storici motivi”, con calma e compostezza al momento della “cura”. Altri comportamenti educativi (per me) non mancarono. In aperta contraddizione col mio operato un giorno invitò a prendere una tazzina di caffè un notabile del paese contro la cui ammissione al mio locale circolo culturale (culturale più per le combattute e estenuanti partite di scopone scientifico tra professionisti del luogo che per la quantità e qualità dei libri custoditi in biblioteca...) io avevo votato con una certa determinazione. Ricordo ora un’altra scena, molto più remota, sempre in tema di autorità. Risale al tempo della mia prima fanciullezza. Volevo fare lo spadaccino (il fioretto o la sciabola) e piangevo. Mio padre chiamò rispettosamente il maresciallo della locale stazione dei carabinieri, che stava passando e con un cenno d’intesa, come ho capito dopo, lo portò a promettermi, per acquietarmi, che avrebbe parlato con le “autorità” di Roma per farmi iscrivere a un corso di scherma. Non frequentava la chiesa “Generoso”. Non pregava. Forse perché riconosceva nei preti la comune debolezza umana o vedeva in essi una delle tante figure di autorità del paese. Grande rispetto perciò, ma alla larga. Si sposò in chiesa, fu una carne sola con la moglie ed i figli. Fu presente a qualche funerale. Non so se partecipò a qualche altra funzione religiosa. Non ricordo nemmeno se partecipò alla cerimonia della mia Prima Comunione. Non si allontanava quasi mai da casa e dal negozio (se non per motivi di lavoro), neanche di domenica; e pure di domenica, se non sbaglio, era difficile fargli abbandonare gli abiti di lavoro. Non aveva quasi niente “Generoso”. Una cosa però in lui colpiva. “Generoso” aveva un cuore, un cuore grande. Lo sapevano tutti, i parenti, gli amici, i paesani, i clienti, che non di rado rimbrottava e poi riconquistava (con piccoli accorgimenti, con piccole concessioni nel peso, nella qualità, con maestrie di com-
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mercio al minuto). E il suo cuore significava braccia sempre pronte per il lavoro, orgoglio per il suo nome onorato al mercato, tra gente del mestiere. Cuore era la sua donna e cuore erano i figli, specialmente il figlio più piccolo che studiava e che, come precisò, i fratelli non dovevano rimproverare, perché anche a loro era stata offerta la possibilità di studiare, ma non avevano accettato. Cuore erano i cavalli da corsa, i destrieri che lui acquistava per passione a condizioni vantaggiose col suo spiccato senso degli affari e che governava con amore. Con loro affrontava sfide importanti contro altri appassionati possessori di cavalli da corsa, magari di altri centri, che lui conosceva almeno di nome. Unica posta era una vittoria chiara, imperiosa in una corsa leale e vibrante, in cui padrone e cavallo formavano una sola volontà; un solo slancio verso il traguardo. Occorreva rispettare tutto un cerimoniale per le sfide. Bisognava seguire consolidate regole di cortesia e di cavalleria per un’avventura esaltante (magari vissuta lungo un grosso stradone periferico tra ali di paesani e ombrosi platani) da raccontare e commentare con gli amici, con finezza di osservazioni e fantasie. Quest’uomo, mio padre, con me è vissuto (e continua a vivere...) in intima comunione, come quella che stabiliva col suo destriero al momento della corsa. Il traguardo, sempre taciuto e sempre presente, era quello della cultura e della alta (la più alta) posizione materiale e spirituale che lo studio poteva dare, una vita aperta e rispettosa di tutti gli uomini, a prescindere dalla loro fortuna e dalle loro condizioni sociali. Parlava spesso di prima mattina, con lo spazzino del paese (con uno che ai giorni nostri chiamiamo “operatore ecologico”), con amicizia e stima, senza bisogno di usare attenzioni e ridicole finzioni verbali. Queste scenette hanno significato per me precise posizioni dello spirito che sono state espresse meglio che con l parole di un figlio dottore. Tra le mie poesie più belle (a mio giudizio) a lui dedicate qualcuna ricorda modi tutti suoi di educare, i modi difficili della pazienza e del silenzio, difficili anche per lui,
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anche se amava molto... Questo era mio padre. Non so se riesco a dare l’idea. Mio padre riassumeva, in un certo modo, il paese stesso (se non lo stesso mondo intero...) con i suoi amici, i suoi clienti ed i suoi amici che egli, a mia insaputa, quando studiavo anche di domenica, invitava a salire nella mia cameretta per portarmi fuori e staccarmi dalle “sudate carte”. Non ci parlavamo spesso, io e lui. Come ho detto in una mia poesia, i colloqui tra noi erano soprattutto un incrociarsi di sguardi e di silenzi. Il discorso più lungo me lo fece un giorno che stava per partire per il mercato. Notando il mio imbarazzo per il suo abito sdrucito, mi disse in modo inatteso ed inconsueto, che non dovevo vergognarmi per il suo abito, perché era l’abito di una persona ovunque rispettata, di un uomo di parola, la cui parola valeva più delle macchine e degli abiti di tante persone... eleganti. Questo ricordo per me è amarezza e gratitudine insieme. In una dolce e mesta rimembranza, trasfusa in una mia premiata poesia (“Alimento”), con sorpresa ho constatato, ridestandomi alla realtà quotidiana che avevo accomunato la sua figura a quella dell’Eterno. La mia poesia fu premiata alcuni anni fa in uno dei concorsi letterari più puliti (Premio Colle del Tronto). La giuria era formata da professori di scuola, dal giovane universitario, assessore alla cultura, dallo stesso Sindaco del piccolo paese in provincia di Ascoli Piceno, giovane ingegnere. Alla cerimonia partecipò una grande folla di paesani interessati ed entusiasti. Fu tenuta all’aperto e fu ingentilita da musiche di due musicisti locali e dalla possibilità, concessa ai concorrenti premiati, di dire, quando veniva il loro turno, due parole, due pensierini, tra tanti fiori e tanti simpatici applausi. Venuto il mio turno appassionatamente recitai un’altra poesia dedicata a mio padre e ringraziai il paesino che, almeno in parte, mi aveva consentito di mantenere la promessa fatta alla memoria di “Generoso” di creare per lui un giardino incantato, fatto di silenzio, di poesia e di bellezza. Mi accorgo che di “Generoso” è difficile dire anche solo un poco di quello che veramen-
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te è stato, di quello che è, di quello che sarà... per me. La memoria col tempo si attenua, ma con lui c’è sempre da scavare, da scoprire, da vivere... intendo vivere senza tradire i ricordi, cercando di far bene, sul lavoro, a casa, tra amici, leggendo; scrivendo, bruciando... Non ci vuole molto per fare bene, quando si ha cuore, coraggio, prudenza e a volte anche paura come lui. Per queste qualità molti episodi si potrebbero raccontare. Dentro egli aveva una voce, un richiamo che lo faceva umile, pronto ad ascoltare e a capire. Si fidava “Generoso”, “dava” e si “fidava” e sapeva che a fidarsi non sempre si fa bene... Sapeva che nell’uomo può attecchire il tradimento e l’ ingratitudine. Noi lo constatammo con la sua improvvisa scomparsa, quando patti mai da lui formalizzati, vennero impunemente violati da sedicenti amici... Un giorno tornando verso l’una, le due di notte dal lontano mercato disse nel buio più profondo a mio fratello che lo accompagnava sul biroccino col nervoso destriero e stava addormentandosi, di stare sveglio. Nel silenzio solenne e misterioso della notte, risuonò inattesa una forte e brusca imprecazione di un uomo, molto probabilmente un bandito appostato. Quella volta “Generoso” ebbe paura e spinse il cavallo a una corsa folle, senza cercare alcuna vittoria, ma solo la salvezza... Questo racconto è poca cosa, lo so. Ma è quello che riesco a fare. Come parlare del piacere di “Generoso” per la buona tavola? delle sue frequenti visite nella buia cucina? dei preoccupanti vuoti nel piatto delle polpette cotte, mentre cuocevano altre polpette? Come parlare dei suoi grandi, ghiacciati, rossi e dolcissimi cocomeri? (diceva Alfonso Gatto parlando del suo paese, dei luoghi del suo paese: “Siate come la polpa rossa dell’anguria spaccata in mezzo alla tovaglia bianca”.). Che dire delle enormi pesche nei bicchieri colmi di forte vino e dei pesci che una volta mi portò a tavola semicrudi, per la fretta? Che dire del formaggio speciale con i vermi che lui (non io...) mangiava di gusto?
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I ricordi si moltiplicano, si affollano. Mi ritornano alla mente la pistola a tamburo in dotazione ai bersaglieri, che lui, bersagliere, riportò dalla grande guerra (1915/1918) e i racconti che faceva della sua ritirata a Caporetto, quando all’approssimarsi dell’ondata austriaca, s’immerse nel Piave e si mise a respirare con una cannuccia che spuntava dall’acqua. Armando Romano Roma 2° Premio (Sezione D) al Città di Pomezia 2014. Armando ROMANO, nato a Poggiomarino (NA) il 4 maggio 1931, attualmente residente in Roma, si è laureato in Giurisprudenza. Pensionato, si occupa del Premio nazionale di poesia “LaLode”. Ha pubblicato 8 libri di poesia con ottime valutazioni del mondo culturale: Giorgio Caproni, Ferruccio Ulivi, Diego Valeri e molti altri.
QUEL GIORNO DI FEBBRAIO di Anna Vincitorio una ventosa giornata di febbraio. Il freddo si proietta all’interno della stanza. Piera è seduta sulla sua poltrona azzurra. Uno scialle le copre le spalle. Sono andati via da poco. Un ennesimo consulto, poi il medico è ripartito. Qualunque cosa venga detta o fatta, lei pensa, non può cambiare lo stato degli eventi. Sembra assopita. Talvolta il sonno amplifica i ricordi riportandoli al presente. Erano al mare nell’umidoso tepore settembrino quando il sole sembrava indugiare incerto se tuffarsi e scomparire nell’ immota massa d’acqua o riflettersi ancora sugli antichi reperti coprendoli di un rosa acceso. Nel luogo ormai deserto, quel bacio rubato sulla nuca... Il contatto fisico non aveva scemato in lei il desiderio e i suoi seni fremevano sotto la blusa estiva. Ritornare fra gli altri conservando ancora in sé quella semplicità furtiva forse anticipo di una calda notte. Gli altri nella casa, la cena e il risuonare del balbettio convulso del nipotino Andrea: “Iaia, bella guga, io pappa gnam, gnam, bene io, siia, siio...” Che tenerezza! Si sente nuovamente giovane e in forze. Avverte il caldo profumato alito del bimbo sfiorarle la gota... Riapre gli occhi.
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C’è tanto silenzio e la stanza si è oscurata. Lui non c’è e non ha neppure il telefono. Parla di lavoro, ma sono scuse. E’ scappato come una lepre; per lui il nodulo iniziale al seno è diventato un sasso appuntito. Cosa dirle? Ha solo paura e teme un futuro accudimento; meglio lontano tra amici e bere del vino rosso. E’ consapevole della sua crudeltà oppure ritiene che i parenti, la figlia... siano più adatti e presenti? Piera ha nuovamente freddo e si avviluppa nello scialle; dietro di lei, giorni, mesi fatti di analisi, controlli puntuali e varie tipologie di chemio. Le sue povere braccia! Apre il cassetto e prende il rosario. Glielo hanno dato a Medjugorie. E’ riuscita a scalare il monte Podbro verso la Vergine. Era un punto d’impegno e nel cuore, la speranza del miracolo. Le forze sembravano esserle tornate. Forse... chissà! E poi sempre lui: lo maledice, lo accusa e lo aspetta nello stesso tempo. Quel lontano legame la stringe come un nodo scorsoio. “Tornerà. Ieri ha telefonato; è vago, lo so, ma ho bisogno di lui.” Gli anni passati insieme, tornano indietro e il desiderio vanifica amarezze e incomprensioni. “Non può avermi dimenticato. Ci sono i nostri due figli e le loro problematiche dovrebbero unirci di più per tentare di risolverle. Claudia è sola ma c’è il piccolo Andrea; Luciano vive tra studi irrisolti e il bisogno di obliare le sconfitte nel rosso vino d’Abruzzo. Parlare con suo padre potrebbe aiutarlo”. Si assopisce nuovamente e vive momenti tremendi di alterchi tra padre e figlio. Violenze verbali, spallate, volano schiaffi... Accetterebbe più facilmente il lento avanzare del male se intorno a lei ci fosse armonia. Si alternano senza un ordine, volti di amici, i figli dallo sguardo perso, il corruccio del marito, la presunta rivale a lui vicina, subdola consigliera del suo agire nefasto. E’ troppa l’angoscia; la incalza. Anche la stanza con le sue ombre la opprime. Si alza di scatto, si riveste ed esce con passo esitante nel buio della sera. Le luci della città quasi la strangolano; le maschere di carnevale assumono davanti a lei sembianze tragiche. Si rivede a Taormina... quell’ondeggiare di corpi sul palcoscenico, i volti celati. L’avvolge la
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tragicità di un destino contro cui non ha potuto lottare. Il suo male è frutto forse del dolore dell’abbandono; il suo corpo, prima amato poi violato dall’incuria, dalla vigliaccheria. Eppure ha bisogno di lui che non riesce a chiamare per nome ma che incombe proprio perché assente. “ Ero bella nel mio vestito azzurro. Le sue mani intorno al mio collo e quei sussurri... Mia immaginazione o realtà che il tempo ha sconfitto?” Il susseguirsi di tutte quelle ore all’ospedale con la flebo che goccia e intorno a lei uno stuolo di disperati in silenzio, una lunga processione di morituri. Sempre più stanca mentre fa scorrere i grani del rosario. Poi, i suoi cari, quelli che le vogliono realmente bene, le fanno a sorpresa una festa per il compleanno. Quella zuppa di pesce, le vongole veraci e quei buonissimi dolci. Le premure e la vicinanza della sorella, del cognato attutiscono la paura del futuro. C’è in lei una forza legata alla fede e alla speranza che un miracolo possa ancora compiersi. A Padova nella cappella degli Scrovegni sente alitare intorno a sé la vita. Le forze le ritornano. Lui è tornato. Si è fatto precedere da un messaggino. Ha voluto minimizzare così la sua assenza. Dice che l’ama, vuol sapere tutto di lei, parlare con i medici. Vorrebbe esserci solo lui lì con lei. “E’ possibile questo cambiamento?” si chiede. “Sono state le mie preghiere o soltanto illusione?” Quasi la soffoca, le alita intorno come in attesa. “Aspetta che io muoia... Manca poco, allora? Ma io devo pensare ai miei figli, tutelarli. I miei beni, frutto del mio lavoro, il mio studio, la casa, sono per loro. A lui niente. Lascerò scritto che non lo voglio ai miei funerali; è tornato solo per interesse, forse non mi ha mai amato.” Attraverso un velo di lacrime fa scorrere le foto degli anni felici. Lui la guardava con lo sguardo possessivo e intenso. I bambini sorridenti. Sente aprire la porta. Ritornano; Andrea le corre incontro con le manine paffute e l’abbraccia. “Nonnina, tanto bene, bacini a te.” Si stringe alle sue ginocchia. Le sue braccia provate lo stringono a quel seno da cui un tempo era sgorgato latte e amore. “Non può finire tutto questo; c’è luce intorno
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a me.” Loro avevano acceso la lampada che dipanava le ombre dettate dalla paura. “Adesso prendiamo un bel thé con i pasticcini. Domani, vedrai, Piera, starai meglio. Ho ordinato un nuovo farmaco non ancora in commercio e in Texas so che praticano cure prodigiose”, le dice la sorella. L’unica certezza è l’ amore dei suoi cari; l’ignoto verrà, non è ancora definito. Con lo sguardo accarezza quei volti atteggiati ad un tenero sorriso. “Tutto questo è accaduto in un solo giorno?” Sussurra. Non lo sa. Ha nuovamente freddo e si raggomitola nella poltrona azzurra. Il medico è andato via da poco e loro lo hanno accompagnato alla stazione. C’è tanto buio intorno a lei. Anna Vincitorio Firenze 1° Premio (Sezione D) al Città di Pomezia 2014. Anna VINCITORIO è nata a Napoli. Trasferitasi da bambia a Firenze, ha fatto studi classici e si è laureata in Giurisprudenza. Poetessa e critica letteraria. Docente negli istituti di scuola secondaria superiore di materie giuridiche ed economiche. Ha collaborato con “Revisione”, “Firme nostre”, “Nuovo Confronto” “Pietraserena”, “Eleusis”, “Collettivo R”, “Neuropa”, “Il corriere di Roma”, “Hellas”, Astolfo”, “Vernice”. Opere di poesia pubblicate: “Nebbie e chiarori”, 1982, “Trama verde sull’aria”, 1986; “Il canto fermo della fine”, 1988; “L’esilio delle tartarughe”, 1991; “I girasoli”, 1992; “Alchimie”, 1993; “Dissolvenze/flots”, 1995; “L’agguato sommerso”, 1997; in “ ’900 e altre - Inediti italiani di poesia contemporanea”, Le nozze di Cana; “Le nozze di Cana”, 1999; “L’ultima isola”, 2000; “Filastrocche per l’angelo”, 2000 (2° ed. versione francese, 2010); “La notte del pane”, 2004; “Sognando Estoril”, 2007 (2° edizione vers. spagnola, 2009); “Il richiamo dell’acqua”, 2009; “Sussurri”, 2013. Tra i romanzi, “Per vivere ancora”, 2012. Vasta la sua produzione di narrativa e critica. Numerosi anche i premi e i riconoscimenti.
UN GIAGUARO ED UN UOMO di Ugo Sansonetti l’alba. Il giaguaro avanza silenzioso nella foresta lussureggiante, tra gli arbusti del sottobosco dalle varie tonalità di verde pun-
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teggiato da policromi fiori, tra i fitti tronchi degli altissimi alberi che protendono verso il cielo la cappa frondosa. Ha fame. E’ in cerca di preda. Si muove prudente tra la fitta vegetazione, confondendosi con essa grazie al mantello maculato, ora allungando, ora raccogliendo il corpo flessibilissimo per evitar di turbare, per carezzare soltanto, le verdi fronde: perché anche un rametto che si spezza è un grido della natura, un grido che allarma le prede. L’intera mattinata è trascorsa ed il sole è già alto. Dense nubi avanzano e presto una pioggia a rovesci proteggerà le prede. Ma... ecco! L’olfatto comanda di irrigidirsi e appiattirsi fra l’erba. Il felino è una molla poderosa pronta a scattare. Riprende ad avanzare, tutto raccolto, lento, teso, curando di restar sottovento all’odor della preda. <La preda... ma questa è diversa, una preda nuova... odore insolito... prudenza! Ora lentamente alzerò la testa... debbo vederla, esser certo che i miei artigli ed i miei denti possono farla mia... <Ecco la preda! Ma come è alta, e diversa... cammina sulle zampe posteriori, eretta... Ma il collo... il collo sembra tenero, senza la protezione di folto pelame o di grasso... Ma sì, ma sì! è grande ma posso farla mia. Non visto, né udito, mi sarà facile, piombando sul quel corpo diritto, colpirlo contemporaneamente nella parte più alta e nella più bassa con le mie quattro zampe, gli artigli protesi e rigidi, mentre, piegando la testa da un lato, conficcherò i miei aguzzi denti nel collo della preda che crolla...> E così il pover’uomo smarritosi nella foresta di nulla si accorse. Non raggiunse il cervello l’acuto dolore irradiato dalle spalle e dalle natiche dilaniate mentre il corpo veniva scaraventato a terra; e la vita balzò via in un attimo perché in un solo attimo le poderose mascelle armate di lunghi acutissimi denti avevano tranciato le vertebre cervicali. Una giovane vita recisa da una “belva feroce”. In altra parte del pianeta, assai distante da
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quel folto, scomposto, disordinato ammasso di vegetazione, in un’ampia distesa con pochi alberelli geometricamente allineati e ricca di varie, ordinate culture, un uomo conduceva un vitello fuori dal recinto, verso prati e pascoli verdi: i ricchi alimenti vegetali che la docile macchina vivente giorno dopo giorno trasformava in carne. L’uomo osservava compiaciuto la groppa ed il petto sodi e rotondi del vitello che, fiducioso e riconoscente, seguiva il suo benefattore. Il quale pensava: <è ormai questione di due o tre mesi>. E vene il giorno in cui l’uomo condusse ancora, ed era l’ultima volta, il suo vitello fuori dal recinto. Non si diresse verso il prato o i pascoli verdi. Seguito dal vitello, l’uomo percorse, tenendosi sul bordo morbido per la poca, scolorita, calpestata erba, la stradetta che conduceva ad un brutto edificio. Il vitello non capiva; ma, come sempre seguiva fiducioso le orme del suo benefattore. E di lì a poco, sparato da un’arma che al mattatoio avevano ben studiata per ottenere un effetto sicuro ed immediato, un acuminato coltello penetrò in profondità sotto la nuca della vittima ed in un solo attimo le tranciò la vita. Una giovane vita recisa da un “raziocinante essere umano”. Ugo Sansonetti Roma Racconto selezionato (Sezione D) al Città di Pomezia 2014. Ugo SANSONETTI ha 95 anni. Pioniere, ha aperto alla civiltà l’altopiano del Sud della Costa Rica, che era totalmente disabitato (anni dal ’52 al ’62).
LA MISSIONE DELLE FATE di Elisabetta Di Iaconi
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A secoli le fate erano scomparse dalla scena terrestre. Resistevano nei disegni dei bambini, con i loro cappelli a punta e le loro vesti fruscianti dai vivaci colori. Un giorno tennero consiglio in un fitto bosco montano, seduti in cerchio nello spiaz-
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zo di una radura colma di grandi margherite bianche. C’erano tutte: Felicina, dalle vesti d’oro; Speretta, dai veli verde speranza; Granetta, con le sue ceste di grano dorato; Amorevole, con un abito a gale rosso fuoco; Maghina, con i suoi rimedi a base di erbe contro tutte le malattie; Pacetta, attorniata dai suoi scudi per difendersi da qualsiasi arma letale; Svelenina, con i suoi germogli contro l’inquinamento. Ognuna di loro prese la parola, per fare il punto sui mali del mondo. “Siamo state in riposo per troppo tempo – disse Felicina – e l’ infelicità sta dilagando tra tutti popoli. Non c’è più un sorriso, una carezza nelle famiglie, nei popoli, tra la gente di tutte le razze. Cercherò dei rimedi, ma comprendo che occorre l’intervento di tutte noi. La situazione è drammatica”. Speretta intervenne prontamente: “La speranza nel futuro non esiste più. In genere fioriva insieme ai bimbi appena nati. Senza il mio aiuto, l’umanità non ha scampo”. Soggiunse Granetta: “L’aumento della popolazione sta causando una penuria di risorse alimentari. In molte regioni della terra si soffre la fame”. Maghina, agitando i suoi alambicchi, prosegui: “Troppi sono gli ammalati, nonostante i progressi della medicina. Anche questo è un fattore negativo”. Amorevole espresse il suo parere dicendo: “Si sta spegnendo anche l’amore nelle famiglie, tra i coniugi, tra genitori e figli, tra le genti”. Pacetta continuò: “Non tenete conto delle guerre che insanguinano questo globo! Sono una tragedia immane da millenni e non risolvono alcun problema”. Svelenina, infine, volle dire la sua: “C’è troppo inquinamento ovunque: nell’aria, nell’acqua, nelle coltivazioni, nelle discariche. Come essere sereni, contenti e in pace in questi frangenti?”. Lo scoraggiamento, per un po’, si diffuse tra la bella comitiva riunita sul soffice prato. Ben presto, recuperarono tra le margherite le loro luccicanti bacchette magiche e, data la difficoltà del compito, si diedero appuntamento per l’anno successivo sulla stessa radura, onde stendere un consuntivo del loro lavoro. Le emittenti televisive, qualche giorno dopo,
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registrarono i primi avvenimenti positivi dopo la tragica fase del degrado. L’ annunciatrice, sorridente, tra le tante notizie ancora drammatiche, ne inserì una piacevole: “Una giornalista ha rilevato che il volto della gente da qualche giorno appare più disteso. Si sentono tra la folla anche delle franche risate. Sarà la primavera…”. Trascorsero alcuni mesi e da un altro canale un commentatore notò che certe zone desertiche avevano aumentato la produzione di grano, grazie ad una stagione delle piogge particolarmente prolungata. Si trovò poi il farmaco adatto per curare qualche malattia genetica e i medici gridarono al miracolo. Trascorse ancora del tempo e si verificò che le guerre si erano ridotte di numero. Un forte impegno della polizia e dei carabinieri individuò numerosi siti avvelenati dalle discariche abusive. Non si ebbero consistenti miglioramenti per quanto concerneva i delitti e i disaccordi in famiglia. Cosi la speranza restava la cenerentola nei sogni degli umani. Le fate si riunirono ancora una volta nella segreta radura in fiore. “Ciò che abbiamo realizzato finora è la classica goccia benefica in un oceano agitato - dissero in coro – però è doveroso insistere. Diamoci più tempo, per raggiungere l’agognato progresso!”. Ora si stanno impegnando con entusiasmo, sempre inseguendo la chimera di un’epoca all’insegna della gioia, della bontà e della pace. Stanno appoggiando le loro rutilanti bacchette su ogni nuovo nato: saranno le nuove generazioni il motore del mutamento effettivo nelle abitudini dell’uomo. Con tenacia le fate ci stanno preparando alla nuova età dell’oro. Elisabetta Di Iaconi Roma 2° Premio (Sezione E) al Città di Pomezia 2014. Elisabetta DI IACONI (vedova Salati), romana del quartiere Flaminio. Ha conseguito la laurea in Lettere presso l’Università “La Sapienza”. Il primo nucleo dei suoi studi sul poeta romanesco del Seicento Giovanni Camillo Peresio nasce come esercitazione sui pre-belliani, assegnatale dal compianto professor Carlo Muscetta. Tale studio è diventato poi un saggio (pubblicato dall’editore Rendina di Roma nel 1997), soltanto dopo il suo collocamento in pensione dall’insegnamento delle materie letterarie
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presso la Scuola Media Statale (dal 1964 al 1995). Fin dal 1970, collabora alla prestigiosa rivista letteraria “Sìlarus”, fondata dal poeta Italo Rocco. Scrive anche per “Pomezia-Notizie”, “Voce Romana”, “Romanità”. Ha pubblicato, oltre al lavoro su Peresio, “Quel fremito antico…” (Raccolta di poesie in lingua; Nuova Impronta, Roma, 2002); il romanzo per la gioventù “Un enigma di quartiere” (Nuova Impronta, Roma, 2003); una grammatica essenziale della lingua italiana (in collaborazione con Laura Pedone; Editoriale Scientifica, Napoli, 2003). Le sue poesie in romanesco sono comparse su “Voce Romana”, “Voci dialettali” “Romanità” e “Pomezia-Notizie”; sono state pubblicate nel volume “Er celo s’arischiara”, con l’editrice L’aura di Roma, infine ha pubblicato il quaderno letterario “La chiave ignota”. Per la sua attività letteraria ha ottenuto numerosi premi (a Pompei, a Pomezia, a Mattinata, a S. Felice sul Panaro, a Nocera Superiore, a Nola, a Salerno, ecc.). E’ socia del Centro Romanesco Trilussa, frequenta il caffè dei poeti e il gruppo di poeti diretto da Sandro Bari. E’ iscritta all’Associazione Nazionale Poeti e Scrittori dialettali e al Centro Studi Belli. Partecipa con entusiasmo, sia ai convegni del Centro Belli (che si tengono a Roma), che a quelli dell’Associazione Nazionale Poeti e Scrittori dialettali (nei vari luoghi italiani ove vengono organizzati). Ha vinto il Città di Pomezia: Sezione B, 2003; Sezione C, 2006; Sezione F, 2013.
LE DUE CICOGNE (fiaba inserita nella storia) di Angelo Cianfrone ’ERA una volta, tra il terzo e nono secolo dopo Cristo, il Regno Cheras della dinastia dei Pallava, nell’India del sud. Dalla prima ascesa al potere e fino alla sua estinzione, questa famiglia fu amante della cultura. Erano invasati dalla passione per l’ arte in ogni sua forma: architettura, scultura, letteratura, pittura, musica, danza, tanto da “contagiare” anche gli altri due regni vicini, loro nemici da sempre, i Pandyas al centro ed i Cholas ad est che, a parte continui conflitti per il possesso di territori, scesero in gara per realizzare opere stupende che ancora oggi possiamo ammirare in tutta l’India del sud. Parte dell’Andhra Pradesh odieran, il Kerala
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e soprattutto il Tamil Nadu, sono gli stati che posseggono la maggior parte dell’arte dravidica, basti visitare l’antica capitale del regno Kanchipuram, oppure Trichi, Tanjavur, Madurai, Rameswaram, Mamallapuram, tutte città sante Indù, per restare stupefatti davanti a tante opere sontuose e stupende. Ma le continue schermaglie con i vicini regni e questa loro sfrenata passione per l’arte, prosciugavano le casse dello stato che, dal terzo al sesto secolo d. C. i sovrani Pallava succedutisi, avevano ignorato i bisogni delle caste basse come i Shudra (contadini) e i fuoricasta Dalit (Intoccabili o Paria), e questo non poteva che generare povertà, malattie, degrado. Le terre erano in massima parte incolte nelle mani dei nobili e dei dignitari di corte, i quali erano persino esentati dal pagarvi le imposte. Ma, a circa metà del sesto secolo, due cicogne da trasporto in volo per recapitare due neonati, si trovarono fianco a fianco a ragionare su questi problemi. Bisogna sapere che ogni regno possedeva un aviporto; quello dei Pallava sorgeva in Agra Aram, in aperta campagna, al centro dei loro territori. L’ aviporto era il grande centro ove il Dio Creatore Brahma, ricevute le preghiere delle aspiranti mamme, creava i bambini da recapitare in tutto il regno. Adiacente l’aviporto sorgeva il centro avicolo ed il seminario per la produzione e l’ avviamento al lavoro di nuove cicogne da trasporto, sempre carenti per il continuo aumento della popolazione. Tra l’area di atterraggio e quella di decollo, sorgeva un grande tempio ove migliaia di neonati, avvolti in un panno con relativo indirizzo, venivano “parcheggiati” in attesa di recapito. Le cicogne, a caso, infilavano il collo nel fagottino e decollavano verso la destinazione stabilita. Fu per caso che le due cicogne si trovassero in volo, ala contro ala. “Salve novellina!” disse l’una, “Mi chiamo Susa e vado verso la capitale per il recapito ad una famiglia di poveri contadini. Non ti ho mai vista prima; come ti chiami e dove vai?” “Mi chiamo Devi. Come hai capito dalle
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mie piume, sono molto giovane, appena uscita dal Seminario, difatti sono alla prima consegna e molto emozionata soprattutto perché, ahimè, sto recando nientemeno che il principe ereditario al trono!” “Non stare in pensiero per questo”, disse Susa, “i nostri viaggi sono sotto la protezione di Brahma. Sono anche piacevoli perché sappiamo di recare gioia e felicità nelle famiglie. Io, come vedi dalle mie piume, sono anziana ed ho recapitato bambini per tutto il regno. Il tuo bebè è fortunato perché andrà in una reggia, tra ricchezze e benessere ed un giorno sarà Re. Il mio andrà in una capanna, sarà un povero contadino, destinato, come tutti gli altri, a soffrire fame e privazioni. Guarda qui dall’alto, quanto povertà, dovunque! Si ammazzano di fatica lavorando terre altrui per un pugno di riso.” “Ma perché”, chiese la giovane Devi, “con tante terre i contadini sono poveri?” “Sì”, rispose Susa, “le terre sono tante ma non sono distribuite equamente tra chi le lavora. Esse appartengono quasi interamente ai nobili che le fanno coltivare solo in parte per il loro fabbisogno. Se fossero tutte messe a coltura ci sarebbe abbondanza di cibo per tutti, benessere e non più povertà”. Devi si sentì rattristata da queste rivelazioni per lei, fino allora sconosciute e chiese all’ anziana compagna come mai i re non sentissero il bisogno di andare incontro alle classi povere. “Devi sapere, compagna mia, che prima di essere re, essi sono principi, vivono nel lusso e nell’agiatezza e neppure possono immaginare cosa soffrono i poveri. Questo modo di vivere dura da molti secoli tanto che in loro è diventato congenito senza che se ne rendano conto. Congenito è pure diventato, nelle classi povere, quel senso di rassegnazione ad accettare fame e miseria. Questo bimbo che io porto in un’umile famiglia, sarà accudito con non meno amore del tuo principe ma con la mentalità del contadino: fatiche, sudore, poco cibo e mancanza di terra da coltivare. Sono due bimbi che appartengono a due mondi diversi e divisi.”
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Entrambe continuarono il volo in silenzio, meditando su questi fatti. Ormai s’era fatto sera e, stanche, si erano posate sui rami di un baobab per passarvi la notte. Fu l’anziana Susa a rompere il silenzio e con voce pacata iniziò: “Devi, ho ripensato al nostro dialogo e sono giunta alla conclusione di doverti chiedere un atto che potrebbe sembrare crudele ma che per il suo fine penso sia lodevole. Ascolta! Se noi avessimo un re contadino, egli avrebbe sempre in fondo all’animo, l’istinto, l’eredità intima del contadino e potrebbe rivolgere uno sguardo misericordioso verso la sua casta.” Ma un contadino, non potrebbe mai essere un re!” obiettò Devi. “No, certamente, se lo prendi dalla terra e lo metti sul trono, ma se lo allevi da piccolo come futuro re?” “Susa”, disse ancora Devi, “chi prenderebbe un bambino contadino ed accettarlo a corte per educarlo come un futuro re?” “Nessuno lo prenderebbe”, rispose Susa, “ma i bambini appena creati non hanno un nome, un marchio speciale, sono tutti uguali. Quando lo depositiamo presso la famiglia, quel bimbo potrebbe essere di altri genitori, ma sarebbe comunque accolto come figlio proprio perché creato da Brahma per loro. Guarda questi due neonati, hanno lo stesso colore e nessun segno. Crescendo, ognuno si formerà secondo l’ambiente in cui avrà vissuto e secondo l’educazione che avrà ricevuta. Però nel loro sangue, nel loro intimo rimarranno sempre i caratteri ereditari acquisiti dai loro progenitori e ce nessuno potrà mai cancellare. Perciò sono convinta che un re con origini contadine potrebbe migliorare le condizioni di vita delle caste basse.” “Susa”, l’interruppe Devi. “Io sono molto giovane ed al mio primo incarico, ma sono abbastanza sveglia! Tu mi vorresti proporre uno scambio? No, non potrei mai venir meno al giuramento di fedeltà fatto in seminario, di fronte al Dio Brahma. Preferirei morire piuttosto!” “Abbiamo, a portata di mano, un’occasione unica che potrebbe cambiare la vita di tanti
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infelici. Se però non senti le voci che implorano giustizia... fa come vuoi. Anch’io penso sia meglio morire che rinnegare il giuramento. Comunque io lo dicevo tanto per parlare. Non pensiamoci più e riposiamoci, domani ci attende un lungo volo.” Al tramonto del giorno seguente i due neonati vennero recapitati alle rispettive famiglie. Al Palazzo Reale, i festeggiamenti durarono giorni e giorni. Era nato nientemeno che il principe ereditario. Nella capanna dei contadini, invece, pur avendo con gioia accolto il nuovo nato, si poneva il problema di un’altra bocca da sfamare. Gli anni passarono veloci. Il principe, col nome di Simhavisnu, fu educato ad amare le arti e ad impugnare la spada, ma non amava la violenza. Era di carattere mite, di animo sensibile e caritatevole. Amava passare giornate intere tra la povera gente per conoscerne i bisogni e le aspirazioni. Brabù, il bimbo contadino, imparò a lavorare la terra altrui ed a soffrire fame e privazioni. Era di carattere forte ed autoritario e moto, ma molto ambizioso. Appena diciottenne si arruolò nell’esercito di Sua Maestà Simha Varman III, dove si distinse ben presto per intelligenza e per le sue doti di coraggio. Sognava di diventare generale e lo ripeteva così spesso a tutti che fu presto soprannominato “il generale”, pur se era ancora un semplice graduato. Nel 575 d. C., il Re Sihma Varman III abdicò in favore del giovane figlio Simhavisnu I. Questi, pur amante delle arti, secondo gli insegnamenti ricevuti, avviò ben presto una drastica riforma fondiaria. Le grandi proprietà donate gratuitamente alla nobiltà e su cui nessuno pagava le imposte, furono divise e distribuite ai contadini, con grande disappunto dei nobili. I contadini pagavano volentieri piccole imposte ma che sommate insieme andavano a riempire le casse dello Stato, dando al re la possibilità di stanziare più denaro per le arti. Per non essere da meno, i vicini Regni dei Pandyas e dei Cholas, imitando i Pallava promossero altrettante riforme che debellaro-
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no miseria e degrado. Le insperate nuove ricchezze dei tre regni produssero nei due secoli successivi i più grandi capolavori dell’arte dravidica. Sua Maestà Re Simhavisnu I, amato e venerato dai Shudra e dai Delit, venne soprannominato “Il Re contadino”, titolo di cui andava fiero. Egli regnò dal 575 al 615 d. C. quando abdicò in favore del figlio Mahendravarman !. Ma cosa ne era stato delle due cicogne? Susa si godeva la vecchiaia come cicogna istruttrice presso il seminario. Di quando in quando riceveva la visita della sua amica Devi che un giorno volle rivelarle un suo segreto. “Susa, ricordi quella notte sul baobab? Io non dormivo ed ho visto quel che hai fatto ma ho taciuto pensando che valeva la pena fare lo scambio per un così nobil fine. Che il grande Brahma ci perdoni!” “Il venir meno al giuramento,è stato poca cosa paragonato ai risultati raggiunti e Brahma è più che felice di ricevere ringraziamenti e doni da Shudras e Delit.” In quegli anni Sua Mestà Simhavisnu I concesse volentieri ai contadini ed agli intoccabili la richiesta di istituire la festa del ringraziamento agli Dei che chiamarono “Pongal”. Il giovane generale Brabù di nota origine “contadina” ne fu molto felice. Questo era ed è a tutt’oggi il festival più popolare ed importante dell’India del sud; esso dura quattro giorni. Il primo giorno viene dedicato alla pulizia e decorazione di case e strade, il secondo è dedicato al contadino che lavora i campi, il terzo agli animali che lo aiutano e che, per la ricorrenza, vengono infiocchettati e dipinti con vivaci colori ed infine l’ultimo giorno è dedicato ai cibi di cui il piatto principale è il riso “biriani” condito con carne o solo con verdure varie. Dappertutto è un continuo scambio di “Felice Pongal” anche tra sconosciuti. Nessuno conosce il mistero dell’origine del Pongal, tranne noi che abbiamo appena letto la fiaba delle due cicogne. Ma ch resti un segreto! Felice Pongal a Susa, Devi, al generale Brabù e a Sua Maestà II “Re Contadino”. Angelo Cianfrone Campbelltown, Australia
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1° Premio (Sezione E) al Città di Pomezia 2014. Angelo CIANFRONE è socio dell’A.L.I.A.S. e del Convivio. Ha vinto molti premi. Ha due peccati d’orgoglio: Medaglia d’oro come donatore di sangue AVIS nel 1995 e 4 viaggi in India come volontario coi Salesiani per un totale di 28 mesi. Ha già vinto il Città di Pomezia nella sezione del racconto, nel 2010.
Courage makes us owners of destiny. Courage is a dame 105 years old: Sadie Mintz.
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IL MIO LOCUS
IL CROCO I Quaderni Letterari di POMEZIA-NOTIZIE il mezzo più economico, sicuro e veloce per divulgare le vostre opere. Prenotate un numero individuale rivolgendovi alla Direzione. In uno di questi prossimi Quaderni sarà pubblicata, gratuitamente, RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO opera vincitrice della XXIV Edizione del Città di Pomezia 2014 Tel. 06.9112113 e-mail: defelice.d@tiscali,it ___________________________________
COURAGE Courage is a pink woman who has inside her breast a tree with long roots into the earth still she is sweet as the breeze which moves the leaves of all plants and takes our dreams to the dimension of the cosmos. She is sturdy like the rock on the life trail which makes us go over it as we go deceits, sorrows, and treasons.
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Teresinka Pereira USA
Pula di grano il vento semina, sterile è ormai il nostro raccolto. Incomprensioni dividono, baci ci uniscono. Non passa più aria… in questo pertugio che l’amore sigilla. Suoni mi giungono nella notte estiva, abbaiar di cani, belati d’agnelli. Odore d’erba esuma la terra. Sono solo… nel tuo ricordo di campane i rintocchi. La disperazione si tramuta in saggezza, grazie al tempo che accarezza le cose. Solo intatto rimane il mio locus, la mia casa nei sogni, un ventre materno. Colombo Conti
DIGNITY OF POET Gentlemen, to the restaurant I only go at each death of a pope neither to the disco nightclub since I was thirty I travel a lot with fantasy, very little by train or highway and I am afraid to fly. I don’t have Suv, nor iPhone, I don’t have iPad No prebend, I am not a knight. I dress up modestly, I don’t have a bank account, I don’t have a villa with swimming pool. Beauty pleases me at my age - and still, the woman! I have the dignity of a poet. Domenico Defelice Trad. in inglese di Teresinka Pereira, USA
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“CHE COSA E' L'ERBA ?” (E WALT WHITMAN NON SEPPE COSA RISPONDERE) di Luigi De Rosa
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L poeta e scrittore statunitense Walter
Whitman ( più noto come Walt Whitman) nato a New York nel 1819, e poi morto nel 1892 a Camden nel New Jersey, raccontava un giorno che un bambino, porgendogli dell'erba che aveva appena raccolto, gli aveva chiesto: “Che cos'è l'erba ?” “ Che cosa potevo rispondergli? Non so meglio di lui che cosa sia” confessava Whitman, il famoso autore della raccolta poetica “Foglie d'erba”, pubblicata in varie edizioni dal 1855 in poi ( non ci interessano, in questo caso, opere come Oh capitàno mio capitàno, oppure Canto su me stesso...). Abbandonata la scuola a undici anni, Whitman fece prima il tipografo, poi l'insegnante, e infine il giornalista. Il successo delle sue “Foglie d'erba” (“Leaves of grass”), anche per le forti innovazioni democratico-popolari del suo linguaggio pieno di neologismi che si contrapponevano alla poesia tradizionale inglese, non fu immediato ma progressivo. Solo negli ultimi anni vi fu un riconoscimento pieno della sua opera. Le fondamenta della sua visione poetica si rifanno al Trascendentalismo nordamericano di Waldo Emerson, che a sua volta si rifaceva al Trascendentale di Emanuele Kant, cui si ispirò poi anche Nietzsche. Trascendentale che reagisce al Razionalismo, e che viene considerato unica realtà, preparando, in un certo senso, il terreno al Romanticismo e alla valorizzazione dell'individuo nei confronti della Società e della Natura. Se cerchiamo la voce erba in una comune enciclopedia scopriremo che l'uomo, anche se non è un botanico specialista, conosce numerosi tipi di erba, e che questo termine è il nome generico delle piante erbacee. Ma tra questo e il sapere che cosa sia effettivamente l'erba, ce ne corre. Analogo discorso per la rosa e per tutte le altre cose del mondo della Natura . Che cos'è, nella sua essenza, l'erba ? E che cosa è una stella ? Anche se conosco perfettamente tutte le proprietà dei componenti di una stella so forse io davvero tutto su che cosa sia una stella ? E' chiaro che a ciò può conseguire, per un
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certo verso, una inconoscibilità sostanziale del mondo. L' aneddoto di Whitman, per associazione di idee, mi fa venire in mente la domanda che un altro poeta, Giorgio Caproni (1912-1990) si sarebbe posto a proposito della rosa: Cos'è una rosa ?. E anche Caproni si doleva del fatto di essere assolutamente incapace di spiegare cosa fosse, in effetti, nella sua essenzialità, una rosa, indipendentemente dalla fisica, dalla chimica, dalla biologia, etc. Quando un uomo ( che sia poeta o no) ha il coraggio di fare apertamente certe ammissioni, egli è già sulla strada del buon senso, quella che gli consente di abbandonare la strada sterile della presunzione assoluta e di avvicinarsi a un barlume di verità. O quantomeno ad un Dubbio fertile di ricerche e di risultati. Luigi De Rosa
Domenico Defelice: Erba (china, 1981) ↓
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UN INTENSO “ AMOR VITAE” NELLA POESIA DI
GIANNI RESCIGNO di Floriano Romboli
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I è parso dominante nei testi un intenso
e coinvolgente amor vitae, che di frequente si concretizza nella disposizione etico-intellettuale dell’attesa, cioè in una maniera vigile e interrogativa di accogliere e vagliare la qualità delle esperienze quotidiane: E’ quest’attendere/che la notte svanisca/e il giorno nuovamente t’inviti/ad essere cocchiere di nuvole al sole /che ti rafforza il desiderio/d’allungare le braccia /a stormi di rondini (Rondini e rose, vv.17, cors. mio) Il poeta è lontano da una superficiale rappresentazione idillica della vita, della quale individua con lucida incisività l’ambivalenza costituzionale, l’ intimo, anche aspro, moto dialettico: Minuto dopo minuto/ in ogni ora c’è dolore,/ c’è la faccia della vita:/qua la guancia della sera/ là il versante illuminato (Stanze e corsie, vv.10-14, cors.mio) L’amico Sandro Angelucci, di me ben più assiduo e competente conoscitore della vasta opera di Gianni Rescigno a cui ha di recente dedicato un attento studio monografico (Di Rescigno il racconto infinito, Piacenza, Blu di Prussia,2014), segnala nel componimento ad un tempo eponimo e incipitario l’indicazione inequivoca della caratteristica non contingente, non limitata in se stessa e quindi autogiustificata di ogni esistenza terrena, giacché questa appare incardinata in un disegno superiore che la trascende e prospetticamente la perfeziona e la definisce. Per parte mia vorrei in special modo sottolineare la grande ricchezza di momenti significativi, di episodî sollecitanti, di acquisizioni fortificanti, di liete sintonie, e, altresì, di amarezze e sofferenze di cui consta quel “viaggio senza sosta del pensiero” che è la vita secondo la visione rescignana. L’importante è non subire i tanti avvenimenti, le tante situazioni, tutti gli attimi dei quali essa è portatrice inesausta; occorre piuttosto investire tutto ciò con l’energia spirituale che sappia dargli senso, finalità e continuità, sul fondamento di una tensione ideale che l’autore definisce nei termini di “un sogno che sosta”. La fede in Gianni Rescigno è anche apertura umana e viva partecipazione alla dinamica multiforme e imprevedibile del vivere e la poesia risulta infine in quest’ottica l’esercizio di una vitalità po-
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tenziata, una testimonianza carica della forza illuminante insita nella sua super-sensorialità: Segno sull’anima/ tracciato da Dio/ la poesia ha occhi/ dove tu non vedi,/naso dove tu non odori,/ orecchie dove tu non ascolti (Segno sull’anima) E ancora: I poeti accendono gli occhi/ nella notte./ Supini vegliano i mali/ della terra, li trasmettono/al cielo./ Sprofondati nel silenzio/ rincorrono parole/ nel pensiero (I poeti accendono gli occhi, cors. mio) L’ultimo mio corsivo intende richiamare quello compreso nella seconda citazione, allo scopo di porre in risalto come la rilevazione critica della dialetticità del reale si sostanzi nei versi a livello formale in un sistema ordinativo e organizzativo del discorso poetico che predilige la figura dell’antitesi e specificamente ( e non casualmente, stante quanto si è detto in precedenza) quella di luce e buio. Mi limito a una scarna esemplificazione dalla valenza puramente indicativa: Ti nascondi nella notte/le cui stelle tengono accesi/in eterno fuochi di speranze/ e dagli angoli di buio/ attendi che ogni mia parola/ ti trapassi il cuore (Un giorno di primavera, vv.6-11); Il mare: una strada/ per gli occhi che vanno/al suicidio del sole/ e l’onda scompare nel buio (Una strada per gli occhi); Farfalle/verso il sole/ così di notte/ vedo in volo / le parole (Parole in volo). La contraddittorietà dell’esistenza è sovente dura e dolorosa, ma non respinge l’animo di chi sa cogliere in essa occasioni di impegno costruttivo: Quanto più si vaga/ad occhi chiusi nell’ insonnia/tanto più chiaro riesci/a vedere il buio della vita./Ne abbiamo accese stelle/ con preghiere mia cara/nell’arrancare nel dolore/ per risvegliare la speranza in coma! (Chiaro e buio, vv.9-16). Floriano Romboli Gianni Rescigno: Un sogno che sosta - Torino, Genesi Editrice, 2014
AI LETTORI AI COLLABORATORI Siamo in crisi. Lo è l’Italia e il mondo intero. Risparmiamo, allora, carta e tant’altro, con abbonamenti e collaborazione solo on line. Inviate il materiale da pubblicare via email defelice.d@tiscali.it
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2007 L’ANNO POETICO DI
EDIO FELICE SCHIAVONE di Mario Dentone
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UE raccolte poetiche che uniscono edito-
rialmente e geograficamente l’Italia, da parte di un solo poeta ormai ben noto e però sempre più nuovo e stupefacente. Due raccolte poetiche, dico, edite una a Torino e l’ altra a Foggia, insomma ai poli opposti dello stivale, e apparse a tre mesi di distanza l’uno dall’altro. Continuità poetica, nel segno che un poeta percorre sempre la stessa strada, segue un suo itinerario di fedeltà tematica e anche tecnica, pur con revisioni, ripensamenti, rivoluzioni stilistiche, tutto quel che si conviene a chi sa cosa significhi scrivere, nel senso di creare. Schiavone è autore che tuttavia, a dispetto (e gliene sia reso onore pubblico, prima ancora che letterario, umano) di un’età più vicina alla tradizione lirica della poesia, alla condizione ermetica (spesso viene da pensare all’ultimo Montale) che non a un’età giovane, di linguaggio moderno, proprio a questa fresca ricerca espressiva dedica le sue due raccolte, sia pure su registri e temi completamente diversi, pur se, alla resa dei conti, anche in questa prospettiva, la sensazione di lettura è proprio quella di un’unica opera inevitabile, perché coerente, da sempre nota. Io, l’uomo e gli amici... (Genesi, Torino) è una raccolta che verte su due temi fondamentali, a mio avviso, peraltro bene anticipati da Sandro GrosPietro, egli stesso editore del libro e prefatore attento: il tema dell’uomo (io, l’uomo del titolo), e il tema dell’animale (gli amici). Infatti non vi è pagina o composizione dell’intera raccolta in cui l’uomo non appaia nella sua condizione quasi sempre fanciullesca, con tutta l’ingenuità dell’età giovane ma anche con tutte le improvvisazioni e gli errori appunto dell’infanzia: l’eterno conflitto, o contraddizione tipicamente umana, fra la tentazione del male e le volontà del bene (che ritroveremo poi esplodente nelle invettive e nelle più dure composizioni storico sociali della seconda raccolta non a caso intitolata Schegge (io e il mio tempo). Ebbene, fra l’io, l’uomo (vien da pensare all’ Uomo del mio tempo di Quasimodo!) e gli amici,
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nella poesia di Schiavone domina, nelle sue mille entità minime e immense, l’animale. In questa raccolta troviamo davvero l’arca di Noè, e il discorso biblico del rifugio salvifico, dal minimo mondo animale, nella poesia di Schiavone è di primaria valenza. Non se ne può prescindere. Ho provato, leggendo, ad annotare la presenza viva, visiva, anzi, proprio visiva, di animali d’ogni genere, ed è un’ anagrafe simpatica e significativa, e ogni animale per Schiavone-Noè è genuinità e ingenuità, saggezza e pulizia (cani e gatti, grilli e uccelli, rane e formiche, cervi volanti e ramarri, cicale e cucù, persino le termiti e i ricci, e decine di altre specie). Ma, soprattutto, qui siamo scesi dal concetto dell’ animale mito e simbolo della tradizione della poesia classica, e siamo anche scesi dall’animale protagonista fiabesco di Esopo, Fedro, La Fontaine. No, qui l’animale anche nella “favola del riccio e della serpe” è vero, è protagonista non di fantasia ma di minimo quotidiano dell’uomo che osserva la natura che egli stesso sta divorando, e ogni animale, anche il cardellino “dalla punta del tetto” anche le fragili lucciole “petali di luce”, sono dita puntate contro le nostre bestemmie comportamentali... “rifugio d’ occasione tra barattoli, palloncini di sperma”... perché siamo noi il rifiuto, noi uomini, e allora... al figlio che deve andare, scoprire la strada... il poeta dice “Vai! tua la vita... Per caso senti lo struggente guaire d’un cucciolo stretto all’angolo d’un marciapiede? Fermati!” Straordinario, questo! Perché noi oggi non riusciamo più a fermarci sulle piccole cose, che poi sono le vere grandi. Noi corriamo, ci vergogniamo di emozionarci, di commuoverci, come fossero atti di debolezza. L’uomo non può più fermarsi a guardare un animale guaire, lamentarsi, impietosirsi: l’uomo si vergogna delle cose belle. La poesia di Schiavone, nella sua essenzialità formale di versi spezzati, spesso di una sola parola caproniana, poi improvvisamente narrativa, quasi paveriani, è il vero dito d’accusa sociale contro l’uomo contemporaneo, contro quella (e passo al secondo libretto: Schegge - io e il mio tempo. Bastogi) che il poeta definisce meravigliosamente “idra umana”, ovvero quella folle turba di esseri che siamo noi, che tra guerra e pace invochiamo la pace e ci alimentiamo di guerra, (non importa se fra nazioni o nel condominio, siamo sempre in guerra, fors’anche con noi stessi ci dice Schiavone), perché noi viviamo oramai, anzi, da sempre, ma oggi in modo più avido ancora, fra le bancarelle degli “oscuri mercati della Storia”. E giustamente il poeta scrive Storia con la S maiuscola, perché ciascuno di noi è Storia, ricordiamolo. E allora ecco il “Carroccio d’Italia” dell’uomo puro del Sud che però sa anche cos’è il Nord, in un tutt’uno italiano, ed ecco
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l’Islam “ricco, vincente”, ma anche “Abile, camuffato, clandestino”. E non è un caso, anzi mirabile costruzione di impegno storico e civile di un poeta anziano d’età, forse, ma modernissimo, scendere nella pacata invettiva della saggezza, quando nella sezione conclusiva, come un tirar le somme, scrive le sue diciannove bellissime “schegge” sparando il suo verso dal tatuaggio di moda dei giovani “un po’ per gioco, un poco da selvaggio romantico” a “Eutanasia sì, Eutanasia no”... E ancora “Scaricare l’ ingombro, la zavorra di cuccioli, di mici...”, fino al bellissimo finale della diciannovesima scheggia: “...il tic-tac del silenzio... Accanto al magico rosso di Marte il bianco azzurro antico inerte della Terra, anonima entità nell’algebra del Cosmo...” E qui è tutta la nostra piccolezza davanti alla quale il più piccolo animale si fa gigante ...perché è puro, ed è questo il messaggio che traggo da Schiavone. Mario Dentone
DISPERATO SOLITARIO Sovente, disperato, solitario... si piange mere lacrime... nascoste, silenziose - senza un giusto motivo appparente, plausibile, essenziale... Si piange a guisa d’un fanciullo triste, abbandonato, solo... dallo sguardo lontano, vagabondo, infinitivo quanto un gioco chiassoso di paese lungo il breve pendìo della sera... Chissà... verace e santa, nel “Quid” genico del giorno umano, l’eco triste, remota, malinconica... l’eco del tempo, un poco eroe, splendido... un poco languido, poeta, ansioso, in attesa, recondito... a guisa d’un fanciullo volitivo, inquieto e solo e triste, abbandonato... come avesse perduto chissà che cosa!... posseduto a stento ciò che non ha sognato, né potuto ottenere... neppure a forza, a fatica di vili
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umiliazioni, duri sacrifizi... Si piange... e, spesso... Tutto, costa caro... Soltanto il pianto, dinanzi al dolore verace, sanguinante... costa quasi nulla, conserva, anzi mantiene modico il prezzo delle lacrime. Edio Felice Schiavone
27 GIUGNO 2014 Ore 12,30 Nicola, primo Amore, primogenito di papà, attendo. Sempre, aspetterò... Sacrosanto, ogni giorno, nell’attesa, come solo Boris (disperso cucciolo, il trovatello afflitto, abbandonato lungo lo stretto e breve Cortile smorto intorno intorno al vecchio Ospedale-Convento...) sapeva, pazientemente, aspettare... tutte le mattinate, ai piedi, innanzi al portone di casa in Corso Italia... Chissà... nella memoria della prima carezza salutare... nei soffietti successivi vitali, sensibili, correnti, le strette premurose, tattili, delicate... la molla baldanzosa d’aspettare ogni giorno, il mattino, a tutti i costi, come solo Boris sapeva attendere. Edio Felice Schiavone
RONDÒ VENEZIANO ...da lungi l’eco sibila, canta, piange... vacilla lentamente... Urla Venezia, morente, di dolore... Chiama, grida ed invoca... nel malsano, maligno Tempo umano corrotto, vile dell’Homo Sapiens, il fiero baldanzoso, onnipresente genico, tuttofare, l’assoluto del male sempiterno, irriducibile. Edio Felice Schiavone
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I POETI E LA NATURA - 34 di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
ANDREA ZANZOTTO... DIETRO IL PAESAGGIO
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ome non accennare, in una Rubrica dedi-
cata a “ I Poeti e la Natura”, a quell' irrequieto poeta che è stato il trevisano Andrea Zanzotto ? Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Zanzotto a casa sua, a Pieve di Soligo, nel 1969, in occasione di un'intervista subito dopo l'uscita della sua sesta raccolta Gli sguardi i fatti e senhal, un libriccino stampato in cinquecento copie ( una delle quali dedicatami con simpatia ) e che faceva seguito a Dietro il paesaggio, Elegia e altri versi, Vocativo, IX Ecloghe, La beltà. Nato a Pieve di Soligo il 10 ottobre 1921, maestro elementare, a trent'anni aveva già occupato un posto di rilievo tra i poeti della generazione “dopoMontale”, pubblicando il primo libro di poesie, dal titolo “Dietro il paesaggio” . Si tratta di una silloge in cui sono raccolte le composizioni scritte fra i 19 e i 27 anni ( cioè fra il 1940 e il 1948). E si tratta di versi che, pur denotando un legame indiscutibile con la classica lirica del Novecento e con l'Ermetismo, già dimostrano l'affacciarsi alla ribalta lettera-
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ria di un poeta “nuovo” e di una poetica inedita e coraggiosa. Il libro, pur essendo opera di un “esordiente”, fu pubblicato ( nel 1951) addirittura dalla Casa editrice Mondadori. Mandato al Premio San Bàbila colpì i componenti della Giuria che, per la precisione, erano Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo,, Leonardo Sinisgalli e Vittorio Sereni. Da lì incominciò la fortuna editoriale e criticoletteraria del poeta veneto. Ai fini di questa nostra Rubrica è proprio questa l' opera che richiede la nostra specifica attenzione. Quella di Zanzotto è una poetica che affronta, fin dall'inizio, due temi fondamentali ( oltre a numerosi altri, agli stessi collegati): 1) quello della ricerca sul linguaggio poetico dei nostri giorni (e quindi anche dello sperimentalismo) 2) quello del significato e del valore del rapporto tra il paesaggio (in altri termini, della Natura, rappresentata dall' amata campagna veneta) e l' uomo della società tecnologica e consumistica. Già il titolo della silloge ci dà un'indicazione eloquente. “Dietro il paesaggio”, infatti, sta ad indicare che nella nostra società il rapporto fra l'Uomo e la Natura si è scisso e lacerato; non è più un rapporto di normale e felice interazione. A dominare ormai è il supersfruttamento economico, l'inquinamento ambientale, la distruzione di tanti rapporti felici e sereni, a livello sia individuale che sociale, che per secoli erano basati sui ritmi della Natura e che vengono ora sostituiti da una vita semiartificiale, frenetica e nevrotica, sempre più lontana dalla Natura. In anni recenti il critico Giorgio Bàrberi Squarotti ha evidenziato, in Dietro il paesaggio, oltre che in Elegia e altri versi ( 1954) e in Vocativo (1957), “...l'inquietudine della precarietà, dello scacco sempre incombente e, come conseguenza, la posizione ideologica stoica, come scelta della durezza della solitudine; di qui il carattere arido di questa poesia, che ritorna sempre circolarmente su se stessa, in gelidi e matematici cicli...”. Il gentile e grazioso paesaggio veneto non trasmette più serenità e gioia al poeta, ma tristezza e angoscia, addirittura nevrosi e smarrimento: “Hanno fatto l'aria tutta fresca di ciliegi e di meli nudi hanno lasciato soltanto che un piccolo albero crescesse sulla soglia della sua tristezza...” Non vi sono più le certezze del bambino, dell'adolescente e del giovane, che si irradiavano da un paesaggio amato e rispettato. Non c'è la serena fiducia nel futuro. Anzi, questo appare sempre più precario, svincolato com'è, per quasi tutti, dal ricorrere quieto
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e ordinato delle stagioni. Non c'è più il riparo che la Natura poteva offrire alla malattia più subdola dell'uomo, la solitudine. Quella solitudine che non ci può non costringere a tornare alla grande poesia di quel classico che è Giacomo Leopardi, per il quale la Natura, com'è noto, era contemporaneamente madre e matrigna. E Zanzotto, che in fondo è un poeta leopardiano, finisce col rassegnarsi ad “ammirare” il paesaggio (la Natura) non più frontalmente, ma di lato, o addirittura da dietro. Dietro il paesaggio, appunto. Luigi De Rosa
(Disegno di Serena Cavallini)
LOS VIEJOS YA NO MUEREN Los viejos ya no mueren. Son los jóvenes los que están muriendo... Mueren en la guerra, mueren en accidentes, mueren asesinados, mueren de CIDA, mueren de drogas. Es una tragedia que los jóvenes vayan antes que nosotros, pero ellos tienen prisa y son valientes. Teresinka Pereira USA
E ANCORA L’ANGELO Scenderà il nostro ospite luminoso con una raccolta di spighe d'argento. Navigherà sulla barca diamantata verso i giardini dell'Eden, striscerà la serpe nel buio del bosco, penzolerà dal cielo un sole rosso, suonerà la parola divina, alle porte del Paradiso busserai o celeste creatura. Io ti aprirò e ti farò entrare, dimenticando tutto il male, ti abbraccerò con tiepida speranza. Adriana Mondo Reano, TO
Recensioni GIANNI RESCIGNO UN SOGNO CHE SOSTA Genesi Editrice, Torino, 2014, € 16,00 Ricchezza di immagini e profondità di pensiero sono state da sempre le caratteristiche precipue della poesia di Gianni Rescigno, così come lo sono state l’immediatezza e l’incisività del dire. Ed è quanto si ritrova anche nel suo recente libro di versi, Un sogno che sosta, apparso nel marzo 2014 per i tipi della Genesi Editrice di Torino. Basta aprire il libro per avvedersene: “Ti nascondi nella notte / le cui stelle tengono accesi / in eterno fuochi di speranze” (Un giorno di primavera); “Prendevo le parole dalle tue labbra / e le stelle e la luna che a sera / s’incamminavano nei tuoi occhi” (Il patto); “Da piccolo / partivo ogni sera / e tutto vedevo / come se fosse giorno / E l’ anima avevano gli alberi / l’anima gli uccelli / che in picchiata facevano l’amore” (Partenze); ecc. Presenze costanti in queste poesie sono quelle della moglie del poeta, compagna dolcissima e intensamente amata, e quella della madre ormai defunta, alla quale egli si rivolge sovente con parole di struggente rimpianto. “Ho dimenticato / tutte le parole / che dovevo dirti. // Ti guardo negli occhi: / Vedo il nostro tempo. / Era tutto verde / … / Era verde la speranza” (Era verde la speranza); “C’incontrammo / sotto una quercia. / Il cielo era incendiato / da agosto” (Sotto una quercia); “Novembre ha odore di terra. / Un anno è diventato il tempo / della tua assenza” (L’addio); “Da qualche
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parte continui a chiamare. / I gabbiani agitano le ali / girano sui cerchi della tua voce” (Del mondo dolore e bellezza). Rescigno guarda con occhio fermo nella sua vita e pronunzia parole che denotano in lui acutezza di sguardo, capacità di profonda introspezione, filiale pietà: “Madre la pioggia / che ti lavava le mani / ti scendeva dagli occhi. / Anch’io mi trovo a un punto / in cui è difficile mentirsi. / Mi parlo a lungo. / Mi guardo indietro: / tante le tempeste / che mi hanno curvato le spalle” (Discorso all’anima). C’è un sottofondo di intima religiosità in questo poeta, che emerge a tratti in maniera sommessa e sofferta: “Forse ho seminato / quando non dovevo seminare / ho raccolto quando / non dovevo raccogliere, / ho potato la tua vigna / quando non dovevo potare. / … / Perdonami Signore / se a te vengo / con mani vuote, / le ferite nel cuore, / il lume della speranza / negli occhi” (Con mani vuote). E ancora: “… o Signore delle stelle / quando si specchiano / nell’acqua delle foglie / … / Signore dei nostri morti / quando abbiamo voglia / del loro passo sulle vie…” (Come ogni sera). E’ questo un libro nel quale ha largo spazio (come sempre avviene nei libri di Rescigno) la natura; ed è anche un libro della vecchiaia e perciò scaturente dalla dimensione del ricordo e del rimpianto: “Stagione di verità è la vecchiaia, / acqua che si separa dal sangue, / anima che sull’ eterno galleggia” (Stagione di verità); “Non aveva bisogno di parole / il cuore / gli bastavano racconti di venti / e lune / di notti che nel sonno erano viaggi / di pensieri” (Così sapeva amare il cuore); “Quanto più il passo / diventa pesante / tanto più s’alleggerisce l’anima” (Chiaro e buio); “Una volta vecchi / il tempo – come per miracolo – svanisce. E non hai più bisogno / di contarlo: si vive di pensieri” (Una volta vecchi). Il dire di questo poeta è sempre filtrato attraverso l’immagine ricca di significato, con immediatezza e verità e con uno stile capace di far riemergere dalla notte degli anni persone, istanti di vita, pensieri: “Conoscevo l’ora della luna / che muoveva alla preghiera / le campane della sera. / Zittivano di colpo le cicale” (L’ora della luna); “Sono le lacrime / a scrivere le parole. / Se le asciuga Dio / il loro quaderno è il cielo / l’eternità la loro voce” (Sono le lacrime); “Assunta: persona di dolci parole. / In abbondanza ne aveva per tutti. / Parlava e ammaliava” (Assunta). L’immagine che emerge da Un sogno che sosta è quella di un poeta dotato di profonda umanità e di quella antica saggezza del vivere che da sempre caratterizza Gianni Rescigno. Elio Andriuoli
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ROCCO CAMBARERI AZZURRO VELIERO Ed. Gruppo “Fuego de la Poesia”, Santiago del Cile (Cile) 1973, Pagg. 40, L. 1.000 Rocco Cambareri è calabrese, nativo di Gerocarne (1938); si intuisce che, dopo avere trascorso gli anni della formazione in Italia, si è trasferito in Cile, per lavoro. Intanto si è impegnato come operatore culturale quale condirettore di Presenza (mensile degli italiani residenti in Cile). Protagonista in prima persona ha pubblicato alcune opere affermandosi e raccogliendo consensi. Azzurro veliero è silloge dedicata a Mimma, che
ci riporta a quarant’anni addietro, quando il Poeta era poco più che trentenne. I componimenti hanno breve o medio respiro, procedono spontanei con l’ andamento di semplici note. Nella prefazione Ettore Rognoni avverte che il canto del Nostro, si presenta uniforme come uno “scacciapensieri”, per non accentuare la sua nostalgia, nondimeno riesce a mostrare il senso cosmico, del suo sentire, nella partecipazione dell’oceano. Specifichiamo che l’oceano è la misura della immensa distanza tra il luogo in cui il Poeta vive e il suo luogo natio, ed è anche la metafora del luogo dell’anima da cui si è dovuto separare portando impressa l’immagine di Mimma, in una sorta di Eden,
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perduto, nel suo Sud. Sembra che sfogli un album di ricordi in cui l’anima si rasserena, annullando la distanza con le ali di un’aquila, orientandosi con le stelle e giungendo finalmente alla sua musa, alla quale così si rivolge: “Già lieve danzi sul cuore/ come azzurro veliero.” In questo modo la poesia eponima rivela che la sua donna rappresenta il suo approdo, la sua salvezza. Il tema della lontananza costituisce il refrain di Azzurro veliero; lontananza da lei, che lo fa vivere come un esiliato. Come si può comprendere il poeta-innamorato desidera intensamente la sua donna e nel contempo soffre le inadeguatezze dell’ ambiente in cui è costretto a vivere. “Teniamoci per mano, amore./ Santiago è senza Cristo/ che resusciti morte parole,/ senza Giordano che redima./ Tendimi la mano, amore.” (pag. 17). La disperata, eppure controllata solitudine, gli intenerisce il cuore per quel fanciullo che ritrova in se stesso, lontano nel tempo. Il Poeta agogna un amore quasi impossibile, etereo: la realtà di due corpi lontani. In un anelito struggente ritrova la sua adorata, ancora fanciulla, che si pavoneggia ai suoi occhi, che gli fa girare la testa come la rosa dei venti. Beato il tempo in cui erano dolci le lacrime d’amore. L’ansia dell’incontro, in Rocco Cambareri, giovane innamorato, raggiunge l’acme esplicitando la sua condizione emozionale: “E tu t’aggiri invisibile./ Il mio esilio è pena/ d’essere altrove restando,/ morire in lenta agonia.// …/ La tua lontananza è il mio esilio.” (31). Il sentimento di struggente amore per la lontananza è pur rasserenato nella certezza di trovarsi al fianco di lei; ma deve fare i conti con i tanti Natali trascorsi da solo. Come si può osservare Rocco Cambareri nei suoi versi, usa molti termini che denotano il viaggio, che lascia intuire la lontananza: così le ali suggeriscono il volo aereo; l’oceano, lascia immaginare tanto l’ immensa solitudine, quanto la navigazione, in armonia al titolo; e i suoi occhi divenuti come telescopi danno la suggestione degli spazi siderali e servono a rimarcare ulteriormente la distanza. La poesia del Nostro apre sempre nuovi orizzonti; qua e là alcune tracce biografiche disegnano la geografia dei luoghi: nel richiamo del suo Sud, da una parte, e la Cordigliera e le Ande, dall’altra. Bella è l’ immagine che ci offre in chiusura, sostenuto da una ‘Epifania d’ amore’: “Il nostro smarrimento/ è simile a schianto/ di passero che picchia/ contro vetro per azzurro.” Dinanzi a questi versi, semplici, non edulcorati, ma di evidente verità, si capisce quanto il Poeta abbia parlato con il cuore in mano. Tito Cauchi
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ПАΝАΓΙΩΤА ΧΡΙΣΤΟΠΟΥΛΟΥ-ΖΑΛΟΝΗ, ΣΤΟ ΠΕΛΓΟΣ ΤΟΥ ΩΡΑΙΟΥ, Ποιήματα PANAGIOTA CHRISTOPOULOU-ZALONI NEL MARE DELLA BELLEZZA, Poesie, Εκδόσεις Βεργνα, Atene 2013, Pagg. 58 Panagiota Christopoulou-Zaloni è nata durante il secondo conflitto mondiale nell’isola di Evia, in Grecia; dal 1960 vive ad Atene dove si è formata famiglia; soprattutto con il nuovo millennio si è occupata di letteratura, così intensamente d’avere pubblicato 65 libri e 32 antologie; molte sue opere sono tradotte in una decina di lingue; operatrice culturale, organizza convegni e mostre di pittura; è editrice della rivista Keslaino. La raccolta poetica di cui ci occupiamo, Nel mare della bellezza, è costituita da due sezioni, tradotte in italiano nell’ordine, da Georgia Chaidemenopoulou e da Katerina Voucaki (capita di riscontrare cognomi e nomi di battesimo con minute oscillazioni dovute alla traslitterazione dell’alfabeto, come pure alcune parole; ma questo non inficia il senso e rende ammirevole l’ opera). L’incipit recita: “Per le strade cammino/ e non parlo,/ o probabilmente, ormai,/ a me e di me parlo.” (Non mi ascolti); sono versi che trovo di una solitudine indefinita e di una introflessione profonda; dice di sentirsi un Angelo che dall’ alto dei cieli o della fantasia, assiste a un mondo di sentimenti contrastanti, tuttavia assicura di non perdere la bussola: un segno, questo, che tiene ben salda la Poetessa alla realtà che vive. Il suo pensiero si posa sulle isole di Sifnos, di Tinos e di Kos e si sente di cantare l’amore, quell’amore che oggi si è intorbidito, che viene negato, che ha indurito i cuori. La Nostra, mi pare una novella Saffo, che sottende una richiesta d’aiuto, di comunicazione; sembra che sull’ anima si formi un tappo che stia per scoppiare; sa che Morfeo è sempre pronto. Si rivolge a una seconda persona pronominale che sembra sorda e isolata; eppure lei sente di presso l’Amore, ma tutt’e due i soggetti, stanno da soli. Il ricordo è soffocato da un’autoambulanza e dall’angoscia che accompagna l’ascolto della sirena. L’immagine di un bicchiere di vino o di un sorso di liquore che scalda la bocca e il petto di Panagiota Christopoulou-Zaloni, mi richiama il grande poeta persiano Omar Khayyiam, ma solo per la trasgressione. Così ne “Il corpo piegato,/ e il materasso inondato/ di TI AMO./ Il coito è divino./ Rabbrividisco.” (pag.18), lui è il suo faro, è la sua protezione; mentre la Poetessa mi pare che viva sentimenti altalenanti, difatti addi-
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ta un “Amore mio squallido, depravato.”, come anche il desiderio di volerlo “disperatamente”. Rimane stordita tra le due forme d’amore: uno dolce e romantico, e l’altro passionale fino alla perversione. Un sorriso non costa niente e può fugare dubbi e paure e non fa pesare il silenzio e la solitudine, finalmente si può godere a pieno della bellezza della natura, cielo e mare. E a pieno animo ama il suo Amore sopra ogni cosa; eppure la vita non le ha risparmiato dolori e delusioni, che l’hanno resa più forte. “La grandiosità di un sorriso/ dà freschezza alla mia gioia appassita./ Così, la mia gioia si riassumerà e regnerà/ sui confini della speranza.” (23). La Poetessa invoca Dio perché la inondi di una pioggia divina. Così si riempie lo sguardo di campi fioriti e di uccelli che volteggiano nel cielo luminoso, e guarda senza paura la vita fuggire, abbandonandosi al bagno di una pioggia sensuale, godere di una immensa felicità, di un’ora sublimata d’amore, si rifugia nei suoi pensieri d’ amore. “Estensione ed estasi,/ sulle cime dell’ immensità./ Si incontrano i ricordi/ alle fonti di Castalia./ E le Muse,/ dalla irraggiungibile bellezza plasmano/ le parole ed i pensieri,” (Accordi Magici). Panagiota Christopoulou-Zaloni con i suoi voli alati onora i grandi poeti della sua terra, sia pure con un andamento che sta tra gli accordi magici, come lei li chiama, e le scansioni del suo animo che riesce ad armonizzare tra il sacro e il pagano. Nel mare della bellezza, non è solo una raccolta che parla d’amore, ma è una lode alla bellezza della vita, nelle sue molteplici espressioni legate ai sentimenti profondi dell’anima. Tito Cauchi
AMERIGO IANNACONE POI Ed. Confronto, Fondi (Latina) 2011, Pagg. 48, s.i.p. Amerigo Iannacone, direttore della rivista da lui fondata nel 1986, “Il Foglio Volante- La Fugfolio”, ha all’attivo una ricca produzione letteraria che gli è valsa meriti a più livelli. Non ultimo è il Premio Nazionale di poesia “Libero de Libero” XXVI edizione – Anno 2010, ottenuto per la raccolta Poi, titolo indicativo che bene si accorda ad “Arcobaleno infranto” della copertina; alcuni momenti della premiazione sono immortalati nelle sette fotografie riprodotte in chiusura del libro. Manfredo di Biasio nella prefazione riferisce dell’ impegno ad ampio raggio dell’Autore, in particola-
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re rivolto allo studio della lingua; adesso “ne aggiunge uno che il titolo avaro di ‘Poi’ sembra delimitare in una regione particolare della presenza umana sulla terra”, citando brani di alcune poesie (riguardanti Sara e i genitori scomparsi). Aldo Cervo, in postfazione, a conferma, parla de “l’approdo di un complesso percorso culturale all’insondabile mistero della vita”. Le Poesie sono recenti, tipiche di chi fa bilanci, che si susseguono come un racconto dell’anima. Il suo pensiero pare impregnato di riflessioni razionali profonde e dall’esito poetico; lirico, nel senso che il dettato vibra con le corde dei sentimenti. ‘Poi’ è una parola di per sé carica di una conclusione maturata, tanto più se è l’inizio di un discorso; difatti fin dall’incipit è elaborata una considerazione conclusiva: “Ma a che serve poi decriptare/ i segni e i sogni/ signori del giorno e della note?/ È troppo la mente limitata/ non riesce a contenere l’infinito.”; brano che da solo rispecchia molteplici problematiche esistenziali profondi, meditati della persona, con risposte implicite in sé nella considerazione fisica, metafisica, filosofica, dell’eterno tema dell’ uomo. Noi non comunichiamo e siamo insieme con le nostre parole, come ‘Palline di pingpong’, tutto è un rimbalzare, tutto va alla deriva; giudica inutili pure le formalità, come le regole persino della “sintassi”. Lo fa con metafora, amareggiato delle proprie opere, curate e coltivate come si fa con la zappa e la terra, ha seminato; ma sembra inutile, poiché i semi non germogliano. La mente è ingolfata di pensieri, non ha altro posto. Nell’eponima osserva: “Poi tutt’intorno non sarà che buio/ vana la ricerca degli spazi/ vana la speranza della luce./ Non ci sarà la musica del vento/ né il profumo dell’erba,/ né i colori dell’arcobaleno.” (pag.14), amalgamando così titolo e copertina. Amerigo Iannacone è giunto alla conclusione che la felicità è inesistente, è a piccole dosi e la serenità manca; eppure è sostenuto da una speranza; ma è un alternarsi continuo, in cui la felicità invocata è a “stralci”. La vita è fuori di noi, ridotti a spettatori passivi; ne assorbiamo la parte negativa, circondati dal buio, dal silenzio; la gioia non ci appartiene; ci manca il terreno sotto i piedi. Anche la speranza ci inganna, come è successo a Sara: “Sei stata tradita dalla vita,” (22). La solitudine ci diventa ‘Compagna fedele’, siamo prigionieri senza sbarre, eppure il cuore, ingenuo forse, è pronto a rispondere al sorriso della vita e della natura, ai colori della primavera. Lo Scrittore commenta che “I colpi più duri della vita/ non è vero che temprano:/ intaccano la fibra/ fiaccano le difese” (29). Dichiara di essere “un pirata/ che vive clandestino” (32); ma sappiamo che
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clandestina, tante volte, è la stessa poesia. Nell’ intima sua convinzione vive in espansione totale, spirito e corpo, nel contesto sociale e universale. Così, con l’animo intenerito ed amareggiato, valuta le ricorrenze religiose, come il Natale, solo pura parvenza e considera vanificato l’esempio del Poverello d’Assisi di essersi spogliato, per dare agli altri. Amerigo Iannacone, nella più intima confessione autobiografica, ci rivela del silenzio che lo circonda, del nulla che rimane poi, dopo la scomparsa della ‘madre contadina’: “Ora nei campi orfani/ la fa da padrone il rovo” (34); o poi, per l’assenza del ‘padre muratore’: “Le tue mani callose/ lavoravano, padre, la pietra,/ le mie mani gentili/ non toccano che carta./ …/ le mie parole di carta,/ perché non ‘scripta’/ ma ‘saxa’ manent.” (35).Una visione localistica, eppure di vasta portata che conferma la tristezza che ci avvolge quando in ‘estate’, ciò che rimane è: “Di una cicala/ -attaccata al tronco-/ una veste orfana.”. Parziale, ma oggettivamente possibile, che se riflettiamo, ci serve come monito o insegnamento, perché la gioia (la cicala) va presa a piccole dosi, dobbiamo convincerci che non bisogna abusarne o pretenderne a volontà. Tito Cauchi
GIANNI RESCIGNO UN SOGNO CHE RESTA Prefazione di Mariella Bettarini. Intervento critico di Sandro Angelucci,Torino, Genesi Editrice 2014, pp,151 Da molto tempo leggo la poesia di Gianni Rescigno e sempre di più, terminata la lettura dell'opera poetica, di ogni singola opera poetica, mi convinco che mi trovo davanti a un poeta originale e di grande statura nell'affollatissimo Parnaso odierno. La poesia del poeta salernitano è assai chiara e subito colpisce e conquista chi la legge che non fa alcun sforzo per capirla e gustarla nelle sue varie articolazioni. Al riguardo do qualche citazione: "Il presente lontananza ,/il passato presente./ I desideri realtà./La realtà fumo di nebbia" (Resta con me si fa giorno, p.126); "Nelle stesse direzioni /di ieri spirano i venti./Vanno per strade diverse/gli uomini: piangono/le stesse lacrime" (Uomini e venti); e infine: "Nella sala mortuaria /la ragazza suicida./ Nella stanza trentasei /la rumena che ha abortito./ Nella corsia del pianterreno/ l'accattone insanguinato" (Stanze e corsie, p.49). La Bettarini e Sandro Angelucci colgono molto bene lo spessore e la qualità della nuova opera poetica di Rescigno: basta leggere le loro pagine che presentano osservazioni molto utili e preziose per
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capire “Un sogno che sosta”. Sì, l'Angelucci è nel giusto quando scrive che la parola di Rescigno è "schietta, subitanea, immediatamente recepibile perché la semplicità, nella stessa, non è un punto di partenza ma una meta caparbiamente conquistata" (p.11: "Da dove venimmo là torneremo"). Che sia proprio così è ampiamente testimoniato da questi altri versi che trascrivo: "Quasi inafferrabile fiore/ vola la Parola" (Il fiore e la parola, p.54); "vivere è patire ogni giorno/ritirarsi a sera senza accorgersi /che s'è svuotata la sacca delle lacrime/e l’olio della gioia a goccia a goccia/si consuma nell’ingranaggio dell’attesa.” (Pellegrini come te, P. 32); "se vuoi sentire Dio/svegliati al mattino /alla stessa ora/mettiti una mano sul cuore/incomincia a camminare /non per un mattino/ma per tutti i mattini della vita" (Se vuoi vedere Dio). Insomma la poesia di Rescigno si fa apprezzare per motivi e linguaggio, per ritmi, per andamenti sempre vari ma espressi o caratterizzati da lingua mirabile e straordinaria. Nulla di complicato, nulla di oscuro ma tutto è chiaro, cristallino, e di alto significato umano ed esistenziale: "Fragili creature/sempre in compagnia delle foglie,/ nel sole e nelle tempeste" (Fragile creature); "Camminavo nel sonno / e sapevo di sognare /Sulla strada che s'allarga / e fa parcheggio davanti /alla scuola elementare / t'ho vista da lontano" (Venerina, p.88). Questa poesia è tra le più belle come queste altre: "Aria chiara ai pettirossi", " In un angolo gli anni", "Il ponte sulla solofrana": "Sono i primi cinguettii/ a dirmi che è arrivato il tempo /che tanto aspettavamo /ma non s'alzeranno albe/ad aprirci gli occhi come quando / si salutava la notte che partiva / ed erano carezze i tuoi sorrisi" (p.83). Con questa nuova opera poetica Rescigno si riconferma - superfluo è dirlo - un poeta di prim'ordine nell'attuale panorama della poesia odierna. Il poeta perviene certamente a siffatti risultati di poesia e di linguaggio attraverso un continuo scrivere e riscrivere i suoi versi: limarli, soppesarli, inquadrandoli al meglio e dosando le immagini, costruendo in modo graduale il crescendo e il dispiegarsi delle situazioni e dei motivi della sua poesia che presenta esiti meravigliosi: "A volte ti rivedo snella,/ guance gonfie di sorriso/ corri senza peso /nell'aria dei vent'anni" (Nell'aria dei vent'anni, p.59). Il sogno che sosta è quello della poesia che permette a Rescigno di presentare situazioni intensamente e splendidamente poetiche. Rescigno si incontra spesso con la poesia, si nutre di essa e poi la esibisce, la mostra attraverso le sue limpide parole: "I vecchi che incontro / piangono ./Stagione di verità è la vecchiaia /acqua che si separa del sangue,/anima che sull'eterno galleggia/Ad ogni battito di tempo/ in tutte le parole c'è preghiera"; e ancora:
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"l'anima/fiato di Dio/dentro di noi:/ questa è la vita,/Quando se ne va /non ci muoviamo più /non pensiamo più:/questa è la morte; Così mi spiegava Andrea /scolaro di prima elementare /ultimo banco fila di centro" (p. 108: L'anima secondo Andrea). Versi che di rado oggi c'è dato leggere, ed apprezzare. Tutto in queste poesie è ben scandito e orchestrato e tutto si rappresenta in modo essenziale e diretto ma profondamente anche poetico. Qui parla il cuore, e dal profondo del cuore evoca e ricorda il poeta la madre: "Ti rivedo. Su davanti casa /mentre parto./Inquieta come nell'aspettazione /dell'ultimo eccezionale /avvenimento della vita./Curva canuta sotto la luna,/le gote sferzate dal vento / del dolore, sguardo e lampi/ d'amore che mi piegano a baciarti le ginocchia" (L'incontro , p.142). Biografia, tempo, ricordo, amore sono i temi di questa silloge: Stagione di verità, Una volta vecchi, Alla casa del ricordo, ad esempio. Rescigno vive la poesia come se fosse una persona, e che quindi viene cercata e ci cerca. Comunque alcuni di questi testi di Un sogno che è sosta sono, o meglio hanno il tono della preghiera (v. Come ogni sera), in altri testi - ancora si nota ad esempio la volontà da parte del poeta di darci un suo "preciso" ritratto: "Somiglio al silenzio (...) /vedo e non vedo, sento e non sento,/vivo e non vivo,/ parlo e sto zitto". Certamente le liriche che formano questo libro sono un "atto d'amore, e lo è in quanto chi le ha chiamate a convegno ha intuito che 'l'avventura più bella è tale soprattutto quando /s’ inginocchia e piange /davanti agli ultimi /del mondo, quando l'olio della gioia a goccia a goccia /si consuma nell'ingranaggio dell'attesa', e, proprio per questo, per il suo lento, inesauribile esaurirsi, 'dà spinta di speranza /al viaggio senza sosta di pensiero'" (Angelucci, cit., p.12). Più leggiamo questa poesia di Rescigno e più ne siamo affascinati dalla maniera con la quale sono costruiti i versi che fluiscono facili e immediati, anche se sono nati da profonde meditazioni: "le cose buone non si dimenticano.//E' tutta la vita infine/ non è stato altro che lampi e tuoni" (Cose buone, p. 20). Gianni Rescigno è un poeta che deve essere ascoltato, perché, a voler chiosare un suo componimento, ascoltare i poeti, le sue parole partono da "lampi di cuore" e nel cuore "ci sono mari,/ fiumi, sabbia, cime/irraggiungibili di sogni,/albe e tramonti fioriti,/echi di morte e di vita,/gorgheggio d’uccelli/sui fili dei mattini/e sui rami più sottili/delle sere, divina e perpetua /canta la speranza e chiama l'uomo" (p.149: Ascolta i poeti). C'è in questa silloge il pensiero e l'altissima parola del poeta che tocca, tratta quei motivi, temi prima citati. Senz'altro Gianni Rescigno - come ha scritto un ottimo critico e lettore di poesia - Sandro Gros-
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Pietro - è un "monumento della scrittura poetica italiana del Secondo Novecento e del primo Duemila", e che sia così lo provano i versi che ora, in conclusione, cito: "L'amore maturava al sole/Sulle pietre le more/nelle mani le spine./Dalle dita succhiavamo bruciori" (L'amore maturava al sole, p. 101); "Sui fili della luce/si baciano le tortore./Il vento s'impantana/tra le piume,/La sera senza fretta/ si porta dietro/il silenzio delle stelle" (La sera senza fretta, p. 55); "La tramontana stasera /porta via le voci,/ne fa urli negli urli,/graffia il cielo: lo insanguina" (La tramontana stasera. p. 149). Ecco come un poeta contemporaneo vive e fa poesia. Carmine Chiodo
ELENA MILESI IL QUADERNO DELLA SFIDA Cahier des écrivains, Corponove Ed., 2014 - Pagg. 64, € 5,00 Se vi trovaste a conversare sull’età con Elena Milesi e lei vi confessasse la sua, non dovete darle retta: lei ha, al massimo, solo vent’anni. Perché non oltre quell’età si può essere ironici come lei, amare il gioco, credere nella possibilità che la poesia possa cambiare il mondo. Un’ironia, un gioco, un credo che in lei coesistono non solo da oggi. Basta dare una lettura alla sua scheda biobibliografica per venire colpiti già dai titoli delle sue tante raccolte, almeno ventisei, da “Silloge per Neri” a “Come dicono a Parigi <C’est la Vie!>”. Ed anche in “Quaderno della sfida” c’è tutta “la sua identità ed essenza”. Il gioco e l’ironia li abbiamo in quel sole che “prende il bagno/.../Con costume aranciofuoco”, quasi in apertura di silloge, o in quelle pannocchie affacciate “alle logge di cascine” che prendono il sole, anzi: che “ai baci del sole” si offrono: qui sembra di assistere a una schiera di belle e provocanti ragazze mentre, con l’autrice stessa, giovane leggiadra e sbarazzina, colgono albicocche-cocche, facendo arrabbiare zio Giovanni. Compagna, per tanti felici anni, di un pittore anch’egli ironico e amante delle battute e del gioco (a lui sono indirizzati molti versi di questa raccolta), il semplice ricevimento, in dono, di un quaderno colorato, sollecita, in lei, il fervore e la sfida a riempire di versi e di gioia le sue pagine. Son quadri lampeggianti; immagini simili alle spatolate rapide e coloratissime che il suo Giuseppe soleva svirgolare sulla tela. Persino il ricordo di una sontuosa polenta diventa ricetta rapida e solare, quasi una battuta, ma completa, una “polenta-sole”, incancellabile dalla mente di chi legge, che ne respira pure il profumato vapore. La funzione della poesia la troviamo, per esempio,
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in quella strizzata composizione che ci presenta la “Tristezza di paesaggio triste”. Le “pale/eoliche” sono croci d’una campagna prima rigogliosa ed ora ridotta a “Stoppie riarse”, in cui si aggirano poveri Cristi. Immagini crude, versi taglienti, sferzanti, che dicono della nostra pazzia, se siamo solo capaci di abbruttire e disastrare la Natura in nome di un effimero progresso e continuando a calpestare l’uomo. E’ una composizione che piacerebbe a Sgarbi, il quale, con la sua incorreggibile e plateale irruenza, va combattendo contro lo scriteriato uso di piantare pale eoliche dappertutto, distruggendo, esteticamente, bellissimi paesaggi, producendo scarsa energia e trasformando fiorenti campagne - non più coltivate - in grovigli di erbacce e spine. Poesia sbarazzina e provocatoria. Quei “Piselli e insalatine”, almeno per il ritmo, ci riportano agli “Spaghetti a Detroit” di Fred Bongusto: “Spaghetti, pollo, insalatine/e una tazzina di caffè...”. Ma siamo di fronte a una falsa leggerezza. Giacché la poesia narra solo per immagini, a volte fulminanti, nei versi della Milesi ci troviamo non solo Garcia Lorca, ma l’ inferno del Vietnam, quello della foresta tropicale e le streghe bruciate in Alto Adige. E c’è il suo pittore, il suo Giuseppe, dappertutto, come in quel tocco magico dei “ciuffetti pennellati d’oro” “degli alberi della piazza”. In una composizione troviamo perfino uno squarcio della vita del pittore, di quando, cioè, è stato all’Istituto San Carlo delle Pie Istituzioni Botta (Bergamo): “Una camerata di risate/e riposo”.... Grazie alla sua ambiguità, la composizione suggerisce a catena, permettendoci anche qualche galoppo nell’interpretazione. Alcuni brani ci riportano alla sua prima raccolta: “Silloge per Neri” del 1983. C’è circolarità nella poesia di Elena Milesi. Segno ch’è cambiata nel tempo, ma fisiologicamente, senza impazzire, cioè, né, tantomeno, tralignare. Domenico Defelice
GIOVANNA LI VOLTI GUZZARDI IL GIARDINO DEL CUORE Otma edizioni 2007 - 118 pagg., € 10,00 Come primissima cosa, prima di leggere questa stupenda silloge poetica della signora Guzzardi, sarà bene rammentare che la Terra, anche se non è al centro dell’Universo, resta comunque un pianeta molto strano e sui generis. Mentre a Nord è Inverno, a Sud è Estate. E se a Nord viene la Primavera, a Sud è Autunno. E la differenza di fuso orario fa sì che a Roma, al momento di iniziare la giornata, siano circa le 7,00 (ora solare o legale poco importa), mentre a Melbourne sono…
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le 15,00, ed è quasi ora di preparare il tè per la merenda! Dico questo perché ignorando dettagli così importanti, benché apparentemente astrusi (sembra quasi che la Terra sia l’unione di due mezzi pianeti, diversissimi l’uno dall’altro), non sarebbe facile al lettore fiducioso comprendere appieno i carmi qui contenuti, una vera altalena che ora pende verso la Sicilia (Sud Europa) ed ora verso l’Australia (Sud del mondo), con continui richiami verso l’altra metà geografica, sia pure in modo indiretto. J’ai deux amours: mon Pays et Paris… si cantava una volta, all’inizio del secolo scorso. La signora Guzzardi prova che quella non era solo una canzone, ma una realtà a tutti gli effetti. Una realtà del cuore che non può essere trascurata, ognor presente in ogni carme qui riunito, anche se pare, come nella poesia Chiasso fastidioso, che non sia affatto presente perché si parla di pace e d’ amore. Poesie come Ho sognato la pioggia potrebbero essere considerate più generiche perché, tutto sommato, parlar di Sicilia o dell’Australia è davvero indifferente, in un contesto ove si parla d’un caldo afoso, tanto da desiderare di affogare in una pioggia torrenziale ed ininterrotta. Molti di questi carmi potrebbero sembrare sciocchi o tragicomici come Cianfrusaglie da rigattiere, in cui pare che la gentile Autrice stia sprecando tempo e carta con pensieri oziosi e di nessuna importanza. Eppure, sarà bene non scordare mai che la Vita, la vita vera, con i problemi di tutti i giornali, problemi volgari e/o minuti, non è mai stata esclusa dalla Poesia cosiddetta grande e seria. Il sabato del villaggio e T’amo pio bove sono prove indiscutibili, in tal senso, e non necessitano certo commenti. Così, fra una poesia e l’altra, si svolge il filo della vita di questa donna straordinaria, siciliana D.O.C. e australiana d’adozione, fra sbalzi d’umore, il cuore metà a Nord e metà a Sud, i problemi di tutti i giorni che si intersecano con i problemi di dimensione planetaria (vivere in un mondo pacifico e con tutte le genti affratellate nel nome dell’Amore)… Eccetera eccetera. Un ritratto a tutto tondo, come si dice, che ci racconta della signora Guzzardi e del suo mondo, che è anche il nostro mondo perché, dopotutto, anche a tutti noi interessa il bene della Pace, anche se non perdiamo di vista il 3 x 2 in qualche supermercato sotto casa. Un libro tutto da leggere che ricorderà ad ogni lettore che la nostra Casa è un pianeta immenso e che la nostra bella Terra non è più grande del nostro quartierino, ove viviamo e lavoriamo con la nostra famiglia. Buona lettura a chi verrà dopo di me. Andrea Pugiotto
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adesione. La partecipazione al concorso è gratuita per i soci* dell’Accademia Il Convivio. È richiesto invece da parte dei non soci, per spese di segreteria, un contributo di euro 10,00 da inviare in contanti oppure da versare sul Conto corrente postale n. 93035210, intestato Accademia Internazionale Il Convivio, Via Pietramarina, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia Iban IT 30 M 07601 16500 000093035210. Scadenza: 30 dicembre 2014. Premiazione: primavera 2015. I vincitori saranno avvertiti per tempo. Il verdetto della giuria è insindacabile. Ai vincitori e ai partecipanti sarà data comunicazione personale dell’esito del premio. D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE Premio per silloge inedita “Pietro Carrera” L’Accademia Internazionale Il Convivio, al fine di divulgare la poesia italiana, bandisce il Premio “Pietro Carrera” per la silloge inedita. Il concorso si articola in una sezione unica: Si partecipa con una silloge inedita composta da un minimo di 32 poesie ad un massimo di 80 poesie. Si ammette al concorso anche la forma del poema, lungo o breve, che deve rientrare nei seguenti parametri di lunghezza: da 32 pagine a 80 pagine (A4, Times New Roman 12, interlinea singola). Possono partecipare anche le sillogi nei vari dialetti d’Italia purché rechino una traduzione in lingua italiana. Esclusivamente per le opere in dialetto l’opera deve essere composta da un minimo di 32 a un massimo di 60 poesie (escluse le traduzioni). La silloge deve rimanere inedita sino alla premiazione, pena l’esclusione e revoca del premio. Modalità di partecipazione: L’opera deve pervenire alla segreteria in 3 copie delle quali 2 anonime e una solamente recante i dati e i recapiti dell’autore. Ogni autore può partecipare con una sola silloge. L’ Accademia permette però che un singolo autore possa presentare due sillogi solo nel caso in cui la prima sia in lingua italiana e la seconda in dialetto. Gli elaborati vanno inviati a “Il Convivio”: Premio “Pietro Carrera”, Via Pietramarina–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Italia. Alla silloge bisogna allegare un breve curriculum e la scheda di adesione. Ogni copia deve essere puntinata o fascicolata. Chi è impedito a spedire le copie cartacee può inviare la silloge per e-mail a giuseppemanitta@ilconvivio.org allegando un curriculum, copia dell’avvenuto versamento e scheda di
Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI CLOTILDE PUNZO - Non ho più smesso di cantare - Poemetto, Prefazione di Ottavio Di Grazia; in copertina, “Non ho bisogno delle scarpe”, di Prisco De Vivol - Luciano Editore, 2011 - Pagg. 96, € 10,00. Clotilde PUNZO, saggista e scrittrice, direttrice della rivista Colloquionline.net ** FORTUNATO ALOI - Vox clamantis... Come può morire una democrazia - 2a edizione - Ed. Nuovo Domani Sud, 2014 - Pagg. 40, s. i. p. Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è stato per anni docente nei vari licei della Città di Reggio Calabria. Sin da giovanissimo ha operato nel mon-
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do della politica, da quella universitaria alla realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itinerario: da consigliere comunale nella sua Città ed in altri centri della provincia (Locri) a consigliere provinciale, da consigliere regionale a deputato. Come parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato temi di diverso genere ed in particolare si è occupato, con grande impegno, di scuola, cultura e di Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottosegretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale della Destra calabrese, ed anche Segretario per la Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Presidente dell’Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e la Lucania, è componente la Direzione nazionale del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attualmente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”. Autore di numerose pubblicazioni di storia, pedagogia, saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto riconoscimenti di valore scientifico come il “Premio Calabria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Caterina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio letterario “Nazzareno” (Roma) 1983 per l’opera “I Guerrieri di Riace” (Ed. Magalini) ed il Premio “Vanvitelli” per la saggistica storica (1995) per il volume “Reggio Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto” (2004). Altre sue opere: “Riflessioni politico-morali e attualità dei valori cristiani” (2008), Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004), “ “Neutralismo” cattolico e socialista di fronte all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale” (2007), “Cultura senza egemonie (Per un umanesimo umano” (1997), “Tra gli scogli dell’Io” (2004), “Piccolo taccuino di viaggio” (2009). ** VITO MAURO (a cura di) - Vittorio in volo - In copertina, a colori, “Al di là del cielo”, olio su tela 100x70 di Enzo Puleo; Prefazione di Tommaso Romano; Presentazione di Maria Patrizia Allotta; all’interno, a colori, circa 145 immagini - Edizioni Thule, 2012, Pagg. 112, € 15,00. In pratica, il libro, è la storia di Vittorio Alesi, attraverso le testimonianze di Noemi Aalai, Concetta Alesi (la moglie), Maria Alesi, Maria Patrizia Allotta, don Francesco La Rocca, don Anselmo Lipari, don Michele Musumeci, Angelo Nigliazzo, Nicola Episcopo, Rosario Gagliano, Piero Giacalone, Daniela Imperiale, Vito Mauro, Vito Antonio Mauro, Adriano Patti, Tommaso Romano, Francesco Russo, Mirella Vitale, Gerry Zummo. Il volume è diviso in due parti. La prima: Testimonianze e testi critici; la seconda: Le fotografie di Vittorio. Vittorio Alesi è nato a Watteford (GB) il 3 settembre 1949. Nel 1965 la famiglia rientra a Ciminna, città di origine. A 11
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anni suona nella banda musicale. A 19 parte per il militare (anno 1978/1979). Nel 1982 apre nella città un’impresa di manufatti in cemento. Nel 1982 conosce Concetta, che sposa nel 1984. Nel 2003 va in bici da Palermo a Roma, dove arriva il 15 giugno, domenica, a Piazza San Pietro, per l’Angelus del Papa Giovanni Paolo II. Nel 2002 frequenta un corso di Parapendio. Il 22 ottobre 2007 si abilita anche al volo con paramotore. Muore, stroncato da un male, dopo un anno di sofferenze, il 5 maggio 2010. Vito MAURO è nato a Ciminna nel 1955. Nel 2010 ha curato il volume fotografico di Eduardo Paladino “Orme del tempo. Un racconto per immagini” (Premio Società e Cultura di Bagheria), ed ha pubblicato “Mosaicographia. Guida Bibliografica essenziale dell’Opera di Tommaso Romano”. Nel 2011, “Distinti rifiuti” (stampato dal Comune, Premio Due Sicilie). Ha curato il volume “Thule l’isola dei libri”. La sua prima opera di poesia è “La luna crollerà” (2011). In collaborazione con Tommaso Romano e Umberto Balistreri ha pubblicato (2011) “Centodestre. Dizionario biografico”. Nel 2012 h curato il volume “Francesco Brancato. Uno storico per la verità”. Consigliere della Fondazione Thule Cultura, Socio dell’ Accademia Siciliana di Studi Umanistici e socio del Sindacato Libero Scrittori Italiani.
L’ITALIA DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice Sesta puntata Truccata da Madonna Botticelli, la ministra Madia vuol riformare l’Amministrazione, costringere ad andare a lavorare entro 100 km ogni impiegato a spasso o fannullone. Insorge il Sindacato: né 100 né 50, negativo è il giudizio. Marianna si arrende. Mobilità sia come nel passato: entro le mura grigie dell’uffizio! Ciro Esposito è morto. L’ha ucciso, più che l’arma da fuoco,
POMEZIA-NOTIZIE un calcio e un tifo ormai demenziali. Allo stadio si va per far la ola perfino a una stronzata e molti degli eroi super dotati non sono che cavalli da parata (o galli, se vi piace, in un pollaio bravi solo a beccarsi). Coccolati, osannati, non sentono l’amore per la Patria, né per la casacca che momentaneamente li foraggia; non li nutre l’orgoglio, la mente e gli occhi sempre abbacinati dal lesto lievitar del portafoglio. I nostri al mondiale del Brasile hanno fatto cilecca a prima botta. S’è illuso chi credeva alla ripresa battendo l’Inghilterra. Il caldo li squagliava e non poteva essere altrimenti avendo nelle gambe la ricotta e nei polmoni il fumo dei sollazzi. Rincorrere e sudare per un’ora, far scoppiare il cuore nell’agone non entra nel programma di pupazzi. La gente tifa male non andando allo stadio per il calcio se ben per altri fini; va a scaricare solo la sua bile pei tanti fallimenti e, pure cavalcando lo scurrile, non risponde a costoro a muso duro, non grida al proprio dio sei strapagato o vinci o vaffanculo! Non lo vuole, né può essere forte, è svuotata dall’alto, ove traballa ogni decisione, ove regna lo sfascio. Entra in vigore il P.O.S.1 ma a chi non si assoggetta la legge non commina la prigione né di pagar d’ammenda una liretta! Ci guardiamo allo specchio, allora, e sorridiamo, sorridiamo di scherno, cercando altrove le soddisfazioni. I magistrati ad orologeria ora sono anche in Francia,
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così che, quell’ilare Sarkozy, viene indagato come Berlusconi! Chi di sarcasmo ferisce è giusto che perisca di sarcasmo. Toccherà ben presto anche alla Merkel che sull’Alpi s’è già rotto il sedere. Pure per lei verranno mal di pancia giacché, a questo mondo, tutto passa non l’anatema di quel Cavaliere. Il quale già interviene a tutto campo sullo scibile umano: tesi non c’è a sinistra, al centro, a destra ch’egli non faccia sua, tutto ingoiando come un caimano. D’essere ha la paura abbandonato e di trovarsi solo a meditare sopra il Pánta rei2; così, manda l’amante sua Pascale a farsi amico pure il campo gay. Madonna delle Grazie, costretta ad inchinarTi3 davanti al ‘ndranghetano, per un istante annebbiagli la vista e poi, Ti prego, prendilo per mano, assieme al mafioso, al camorrista, ed atrofizza il loro agire insano. Il cervello contorto hanno costoro come quello degli uomini di chiesa che neppure per oro, ma per la sola gran viltà li assolvono. Anatema! Anatema! Il grido di Francesco non accolto si schianta contro un rito satanico e grottesco. Domenico Defelice (6 - continua) NOTE 1 - Point of sale (punto di vendita). Consente di accettare in pagamento tutte le carte di credito e debito operanti sui Circuiti Internazionali: MasterCard, VISA, Maestro, VIPay eccetera, contribuendo, così, a spillar soldi ai consumatori - perché ogni operazione ha un ssuo costo aggiuntivo e ad arricchire le banche! 2 - Tutto scorre, celebre aforisma attribuito, forse erroneamente, ad Eraclito. 3 - Davanti al mammasantissima, al pezzo da novanta Peppe Mazzagatti, condannato all’ergastolo,
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ma ai domiciliari, per ragioni di salute e di età, nel quartiere Trisilico di Oppido Mamertina (RC).
LETTERE IN DIREZIONE Carissimo Direttore, oggi è il 23 Giugno e l'Olanda sta giocando contro il Cile. Qui ad Amsterdam sono tutti eccitati e in arancione, perché questo è il colore della loro squadra nazionale ed hanno collane di carta al collo, magliette tipiche e campanelli in ogni dove. Sono alla Rembranthuis, la Piazza che al centro ha la statua del famoso pittore olandese, classe 1606, vissuto sessant'anni, seduta a quel Pub di cui ti dirò. Le urla hanno invaso tutto lo spazio circostante: sono le ore 19 e 47 minuti e capisco che l'Olanda ha segnato. Certo meglio queste urla di gioia collettiva, nazionale, popolare che i tamburi percossi violentemente a segnalare, nelle composizioni di Luigi Nono, la inesorabile brutalità del Potere che si abbatte contro gli inermi. Tutti noi di Pomezia Notizie, piccolo Eden dove la dignità e la libertà di ognuno vengono rispettate in tutti, sotto la tua guida, sappiamo che sono qui ad Amsterdam per lui e mentre da giorni ascolto i suoi, sempre mi vengono in mente le esecuzioni sommarie, a sangue e strida, che la Chiesa ordiva contro i pensatori liberi, contro i presunti eretici o contro fanciulle in odore di contratto carnale con il demonio: venivano eseguite all'alba ed a Roma, in particolare, nella mente e nel cuore di Luigi Nono, è rimasta impressa quella di Giordano Bruno a Campo dei Fiori: lui, il Bruno dotto ed ispiratissimo, era tornato da Londra, dove Elisabetta I si era proprio invaghita di lui e gli faceva i ponti d'oro -e ce lo dice il grande studioso Gilberto Sacerdoti nel suo introvabile 'Sacrificio e sovranità. Teologia e politica nell'Europa di Shakespeare e Bruno, ed. Einaudi, 2002, tradotto in turco nel 2011 all'insaputa del suo Autore e venduto alla grande in quelle zone!- a Venezia, fiducioso che la Serenissima avrebbe capito il suo rivoluzionario modo di fare preghiera, scienza e filosofia. Invece è stato tradito e denunciato alla Inquisizione, che per decreto pontificio dovrebbe a posteriori essere dichiarata non certo 'Santa'! Giordano Bruno, bruciato vivo a Campo dei Fiori: a Nono Giordano Bruno è piaciuto in profondità per tutti quei suoi possibili universi mondi oltre questo nostro e uno e lo dice a Enzo Restagno senza mezzi termini, in quel dialogo stupendo che hanno avuto a Berlino nel 1987 e
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prova quasi dentro di lui l'oltraggio del tradimento subìto, proprio nella sua Venezia, libera e Serenissima, in una forma di transfert che, incancellabile, nobilita per sempre chi la vive! Ma gli ipocriti, malvagi senza misura, si annidano ovunque, in ogni tempo e fino a quando la stirpe di Abele, alla quale anche tu, noi, tanti come noi, tutti i bambini ed il 'GiGi' veneziano apparteniamo, ha il coraggio di dirsi viva, Caino ed i suoi simili hanno il fiato corto, anzi cortissimo. Però, mio carissimo Amico, un po' di amenità ora non guasta, perché mi è accaduto di tutto! Il 21 torno dal concerto al Gashouder, dove hanno eseguito, sotto la guida del direttore d'orchestra Ingo Metzmacher, 'Il canto sospeso (1955-1956)', poi 'Non consumiamo Marx - Musica Manifesto n.1 (1969)', 'Como una ola de fuerza y luz (1971-1972) e, tardissimo, 'La lontananza nostalgica utopica futura Madrigale per più 'caminantes', con Gidon Kremer (prima assoluta a Berlino il 3 Settembre 1988). A notte fonda, stremata e con ancora nel cuore l'eco di suoni e voci e urla e rullare violento di tamburi ed il nome 'Luciano!' invocato come in un'onda inarrestabile di forza e luce, perché ascolti oltre il tempo e sappia che la violenza subìta non lo ha messo a tacere, si, quel Luciano Cruz, amico di Luigi Nono, ucciso dalla violenza del potere a 27 anni, che era a capo del Movimento rivoluzionario Cileno, mi fermo in questo Irish Pub, dove sono ora e prendo una cioccolata con la panna e i loro biscottini, all'uovo e cannella, tanto per tirarmi su il morale. Pago e me ne ritorno in albergo e chiacchiero un poco con il portiere di notte -oh! senza nessun parallelo con il film omonimo della Cavani!- e gli chiedo di poter usare il loro computer, perché l'altro che hanno per i clienti è fuori uso. Mi vede indaffarata, gli dico di Nono e di Marx, che non va consumato, e subito mi balza alla mente Zhang Xueliang, l'eroe che ha subìto 56 anni di prigione e che voleva una Cina unita e forte contro i Giapponesi... Lui è di Shanghai, sai, proprio là dove c'era Galeazzo Ciano con la sua mogliettina Edda Mussolini, che qui si prenderà incinta del primogenito Fabrizio, lui, dico, già conosce la storia del Giovane Maresciallo e mi vede coinvolta ed infervorata. Mi dice schiettamente: 'Cerca di vivere bene e di divertirti, perché la politica è un gioco molto sporco!' Mi viene sùbito il cuore in gola, perché in Italia ed altrove tutto ciò che lui dice, connivenze, ricatti, strategie sporche e quant'altro, accade senza mascheramenti, poi aggiunge: 'Sai, il grande Confucio ha detto che noi siamo animali e nel nostro cervello siamo predisposti alla lotta: siamo quasi forzati dalla natura a farci guerra l'un con l'altro. Ascolta me, tu vivi bene e fai bene quello che devi fare. Ricordati che la politica è
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un gioco sporco!'. Gli ribadisco la posizione del Rettore dell'Università di Tel Aviv, il prof. Aron Shai, che tu, carissimo, hai ospitato alla grande su Pomezia Notizie, che sostiene con determinazione la trasformazione dei rapporti di forza tra Oriente ed Occidente dopo il Trattato di Versailles e l'ingresso dell'America nelle cose d'Europa e del mondo, lo ringrazio delle sue riflessioni e me ne torno in camera con la convinzione profonda che la spiritualità nelle azioni umane deve bene lasciare il segno e che io sono qui non certo in vacanza! Sono qui per 'Luigi Nono: la trilogia del sublime'! Comunico via SMS con Antonio Cervato, il giovane tenore al quale ho detto di questo viaggio e della rivoluzione che Nono vuole portare nella vocalità umana anche attraverso sondaggi con strategie elettroniche, lui mi dice del Pacchierotti e della sua Villa che ha visitato quello stesso giorno a Padova, Villa Pacchierotti appunto, un celebre castrato che ha fatto fremere il pubblico di fedelissimi d'altri tempi. Ci diamo la buona notte, anche se è quasi mattina. Detto fatto dopo poche ore mi preparo per uscire e non trovo più il mio portafoglino bianco, piccolo, sporco e consunto, con catenella. Torno qui al Pub Saint James' Gate e due giovanotti in carne e muscoli al loro posto, uno ilare e l'altro più serio, mi chiedono di descrivere con esattezza l'oggetto, la catenella, il colore, il contenuto. Ridevano adesso tutti e due, perché uno di loro lo teneva in mano, dietro la schiena e me l'hanno mostrato e consegnato salutandomi con simpatia. Io volevo scattare loro una foto per immortalare l'evento, poi ci ho ripensato: non vorrei che i nostri 25 lettori, smaliziati assai per quanto concerne la seduzione, pensassero che vado di qui e di là per l'Italia e l'Europa in cerca di 'amicizie pericolose'! Tu mi sei testimone: lo scopo dei miei viaggi è ben altro.... Dopo questo simpatico episodio mi dirigo decisa verso la Sinagoga Portoghese: ho le zeppe alte ai piedi, in infradito, verde prato e la vestaglia in raso nero cinese con il grande drago rosso ricamato dietro la schiena, che sovrasta ampiamente calzoni neri in velluto e top nero scollato con ornamenti in rilievo. Tanto perché non vada troppo fiera della mia intensa buona sorte, mi trovo lunga e distesa sull'asfalto, quasi asfaltata anch'io sotto le ruote audaci di macchine che per fortuna, nonostante il verde dalla loro parte, han visto a terra la mia grossa mole. Scende di bicicletta un nero e mi vuole aiutare, io gentilmente declino, sistemo gli occhiali, che mi erano volati via, da un lato, mi tolgo le zeppe dall'altro, mi giro su me stessa. 'Hospital?' fa un altro nero che aveva visto la scena! Io dico: 'No, no, everything is okay!', mi sistemo, punto le ginocchia e...hop!, in piedi, verificando che tutto sia al suo posto! Un poco di dolore
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fisico alle ossa ci vuole, perché non devo dimenticare quello che hanno fatto ad Auschwitz. Puoi immaginare, carissimo, con quanta devozione sono entrata nell'antica Sinagoga Portoghese qui ad Amsterdam, quella che frequentava anche Spinoza, spazio sacro che emana una religiosità tutta legata al Dio storico, che ascolta il suo popolo....'Ascolta, Israele!' 'Heretz Israel!' canto nel profondo del mio cuore e ringrazio, anche se so che Spinoza è stato cacciato severamente, ma lui è andato avanti per la sua strada, fedele al mandato laico che attraversa ragione e virtù. Lui è nato nel mio stesso giorno, il 24 di novembre! Di lui parlerò ancora e ancora. Al Museo Ebraico altre testimonianze dirette, in video, in oggetti dell'epoca ed in fotogrammi: sono stati 90.000 i deportati da qui, mentre in un'altra occasione ti dirò di Sabbathai Zevi, affetto da crisi maniaco-depressive, quel falso messia che nel Seicento ha fatto qui ed in tante altre centrali umane dell'Est Europa, con il suo consigliere e cassiere Nathan di Gaza, proseliti alla grande, spillando loro denari e donazioni. Quando poi si sono accorti che era un mentitore, allora lo volevano fare fuori di brutto e lui si è fatto musulmano! Pensa che la sua bacheca, al primo piano del Museo, è a fianco di quella di Spinoza: brutto tiro, dico io, perché tra i due c'è un abisso! Ieri sera, prima dell'inizio del Concerto più audace e complesso che tu possa immaginare, perché ha alternato brani di Giovanni Gabrieli, tratti dalla sua 'Sacrae Symphoniae (1597), e la composizione di Nono 'Caminantes....Ayacucho' (1987),ho consegnato la 'nostra' Pomezia Notizie al responsabile, proprio il numero di Giugno 2014, quello nel quale mi hai consentito di segnalare l'evento dell'Holland Festival 2014 su Luigi Nono, organizzato da tante lodevoli maestranze come la VandenEnde Foundation, l'Università di Amsterdam, la Fondazione Archivio Luigi Nono di Venezia ed altre ancora, in una 'cinque giorni' intensissima, tra esecuzioni di pregio e conferenze, su questo compositore veneziano e c'era anche Nuria Schoenberg Nono che ha curato la Mostra 'Luigi Nono 1924-1990. Maestro di suoni e silenzi', presentando materiale originale in foto e documentazioni su pannelli tutt'intorno all'altissimo perimetro esterno della platea, quelle impalcature che vedrai in fotografia (foto a cura dell'Holland Festival e scattate da Ada Nieuwendijk ed inviatemi dalla cara Laura Reijnders, gentilissima e premurosa) e che sono state utilizzate per la progettazione e l'esecuzione del Prometeo e di tutti gli altri eventi legati alle sue composizioni. Lei ha tracciato del suo Gigi un profilo autentico e carico di fascino. Era impegnatissima e mi ha detto che ci rivedremo a Venezia.
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Poi, durante la pausa del concerto, ho detto al Maestro André Richard, direttore responsabile ed organizzatore di tutta la postazione del live electronics, coordinatore e progettatore del suono e dello spazio, che è stato a fianco di Nono tantissimo non solo nell'Experimentalstudio für akustische Kunst a Freiburg: 'Il 'Prometeo' è nato nella mente del Gigi Nono bambino, perché, come tanti altri bambini veneziani e non, è stato portato da piccolo a visitare gli antri dei maestri vetrai in Murano, e come loro avrà visto il fuoco ardere e la materia vetrosa incandescente modulata dal fiato dell'artista e modellata da distante con abilissime mani, poi va raggiunta in fretta la perfezione della forma desiderata e progettata, perché altrimenti il pezzo di vetro fuso non è più modellabile'. Il Maestro ha sorriso, ha provato meraviglia, parla un poco l'italiano e mi ha promesso che ci incontreremo ancora, con più calma, a Venezia forse. Il fuoco è forza irresistibile che scioglie il silice e lo rende pronto per la forma che l' artista vorrà imprimere, con la sua vitalità, con il suo respiro soffiato nel tubo alla cui estremità sta il pezzo da forgiare, le sue mani, abilissime, poi faranno il resto. E l'istante è prezioso, è calcolato e pesato all'inverosimile. Nella mente e nell'immaginazione del GiGi bambino, Prometeo è già presenza viva, anche se ancora senza nome. La cultura, la conoscenza, la passione per l'acqua, per l'aria, per la terra, per il fuoco, per tutti i suoni dello spazio, per l'istante senza misura, faranno di questo bambino un uomo immenso, bambino dentro, per sempre, innocente, che ha messo il suo sigillo indelebile all' interno della storia e della musica del nostro tempo. Tante, tantissime ancora sarebbero le cose da dirti, ma non ti posso tacere quanto è accaduto invece ieri, nel pomeriggio avanzato. Dopo aver fatto chilometri e chilometri per raggiungere il Westernpark, alla 'Terrasse', proprio di fronte al Gashouder, ti trovo un signore, Franco Tidu, di Cagliari, che aveva la sua casa proprio di fronte alla sede del Partito Comunista e vedeva spesso Enrico Berlinguer, che era sempre gentile e disponibile e quando arrivava
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Nanni Loy uscivano insieme e lui li vedeva dalla finestra: lui, Franco, è qui da trent'anni e non tornerà più in Italia, è qui con l'amica, che poi scoprirò essere messicana: mi sentono parlare in inglese, mi seguono mentre chiedo tanto da mangiare, perché vengo da lontano e a piedi! Lei, Maria, proprio non sopporta l'accento 'yankee', perché loro, in Messico, gli americani non li possono proprio mandar giù ed io allora la tranquillizzo e le dico che sono italiana e che anche mia sorella Aida (Isotta per noi di famiglia) soffre nel sapere che ogni giorno, al confine tra l'Arizona e il Messico vengono fatti fuori, letteralmente, quelli che tentano di entrare negli States: a lei hanno tolto la cattedra di lingua e letteratura ispano-americana all'Università di Tucson perché aveva troppi allievi e puntava sull'orgoglio e sulla dignità del sentirsi hispano-americani appunto, orgoglio e dignità da difendere, costi quel che costi, una 'hispanidad' epurata però completamente dalla violenza efferata e lacerante, luridamente giustiziera, dei vari Torquemada, in Europa e altrove. Hanno sostituito questo insegnamento, totalmente, con quello di Informatica! Luigi Nono si è messo anche dalla loro parte, fin dal suo primo viaggio in America Latina, in Bolivia, in argentina, in Brasile, in Cile ed addirittura a Lima viene imprigionato per un giorno, perché tiene una lezione all'Università ed il suo discorso risulta sovversivo ed apertamente contro le regole dello stato autoritario: pensa che era lì con tutta la sua famigliola, Nuria e Silvia e Bastiana ed avevano sorvolato la zona sopra il territorio del Machu Pichu e gli hanno spiegato che bastava un giro d'elicottero per buttar giù gli ' indesiderati' che poi nessuno vedeva più. Si, egli è dalla parte dei 'senza nome', di tutti questi 'senza nome' e lui ha dato loro la sua voce, perché si vada avanti, noi 'caminantes' ora con lui, con la sola forza rivoluzionaria nel cuore che è la stessa forza dell'Amore, come lui ha sostenuto con decisione. E così, adesso, ho un nodo alla gola, perché la sua vita in lotta ed in ricerca mi è presente nella sua complessità e le sue composizioni in questo evento poliedrico ed ineguagliabile, qui ad Amsterdam, mi aprono nuova sete di lui, intensa, interrotta un poco dall'abbraccio che ti dono da così lontano, abbraccio che deve durare tantissimo, perché è anche il tuo esempio tenace, la tua vita, in Poesia, in Amore, in Lotta che mi ricompone un poco la ragione. Ilia tua Ilia Carissima, la tua evocazione - di donne e di uomini bruciati vivi come streghe e affiliati del demonio - ci riporta ad anni bui, dei quali la Storia s’è occupa-
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Agosto 2014
ta abbondantemente, svegliando, almeno in parte, le coscienze. Ma chi può giurare che il presente non sia uguale al passato? Non c’è istituzione, a questo mondo, neppure quella che dovrebbe essere la più santa, che non sia implicata in qualche nefandezza, che non abbia i suoi scheletri nell’armadio. E’ che tutto dipende dall’uomo, dalla “stirpe di Abele”, come tu scrivi, ma anche di Caino, dai suoi calcoli e dalle sue malvagità, dalla sua umanità miserabile. Oggi, per fortuna, nella Chiesa abbiamo Francesco, il quale, mi pare, non le manda a dire, a pedofili e mafiosi, a intrallazzatori finanziari e corrotti in tutte le salse. Lui stesso è in pericolo, e cerca di stare il meno possibile nel serpentario del Vaticano. L’umanità deve essere grata ad artisti come Nono, i quali, ispirandosi ai fatti della Storia, tengono viva la nostra coscienza e lottano e spronano alla lotta perché il Bene abbia a trionfare sul Male. La tua caduta, lo smarrimento del tuo portafoglio poi ritrovato, testimoniano che l’abisso melmoso potrebbe essere evitato, perché ci sono giovani ancora onesti e capaci di sorridere, di dare slancio alla speranza. Gli innumerevoli drammi, gli orridi campi di sterminio, l’ecatombe di civili creature inermi ed incolpevoli che anche oggi sono sotto gli occhi di tutti (vedi, per esempio, l’insanabile conflitto tra Israele e Palestinesi, il rispondere, ad ogni violenza, non più e solo dente per dente, ma con altra violenza dieci volte maggiore), siano concime al seme dell’amore - posto dalla Natura, accanto a quello dell’odio, in fondo al cuore dell’uomo -, perché germogli e cresca e fruttifichi. L’accenno ai “maestri vetrai in Murano” mi riporta agli anni felici e favolosi della mia giovinezza e alla visita che anch’io ho fatto loro assieme a Clelia. Hanno soffiato il silice anche per noi una mattina di ottobre, mentre stavamo incantati a guardarli lavorare con grandissima arte e maestria. Il meglio dell’uomo sta qui, nell’amore, nel lavoro, nella varia creatività che lo rendono simile a un dio. Continuiamo ad aggrapparci, dunque, ai tanti Luigi Nono, ai tanti artisti (pittori, scrittori, poeti, musicisti e scienziati), ai tanti maestri del pensiero e dello spirito, i creatori della manualità. Stringiamoci a coorte - come dice il nostro inno - in tutto il mondo e non solo in occasione di un campionato o di un mondiale di calcio (che bruta figura la nostra!), dando, così, protezione e forza a quel piccolo ma tenace fiore che ogni cuore umano possiede: il fiore dell’amore. Domenico PS - Delle belle foto di Ada Nieuwendijk ho potuto utilizzarne solo una, per mancanza di spazio.
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