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Crisi della Stampa
MORTE DE “l’Unità” ? AL primo agosto, niente più l’Unità nelle edicole? Il punto interrogativo è perché auspichiamo si trovi un marchingegno che ne consenta ancora la pubblicazione. L’avvenimento è, per noi, pena grande. Non perché eravamo suoi lettori, ma perché, quando muore una Testata giornalistica - e storica, come lo è il quotidiano fondato, nel 1924, da Antonio Gramsci - , è sempre un pezzo di libertà che muore e la Cultura che s’impoverisce. Ma non c’era modo di salvarla. Come non ci sarà modo di salvare centinaia di altre Testate, che non vengono più lette, giornalmente abbandonate, cioè, dai propri lettori, perché cocciutamente settarie e perché non hanno saputo veramente rinnovarsi nel corso degli anni, che non significa bella carta, colore, fotografie e via elencando, ma servizi onesti, non adulterati, che sanno veramente raccontare il mondo e la sua quotidianità. Una Testata ha diritto di vivere finché viene acquistata e letta, non tenuta in vita artificialmente attraverso le sovvenzioni, come avviene oggi per tutte, dal Corriere della sera in giù. Perdonateci l’orgoglio, ma dovrebbero seguire l’esempio di Pomezia-Notizie, la quale, per non morire, non avendo avuto mai finanziamenti di alcun genere, né pubblicità, nel 1993 ha effettuato una rivoluzione copernicana, riducendo il suo formato, abbandonando settori che non ricevevano più il dovuto interesse dei suoi lettori (dei suoi, perché ogni Testata ha i suoi lettori) e dando ampio spazio alla Cultura che, in Italia, è il bene più a portata di mano, ma anche il più disprezzato dalla politica! l’Unità non ha saputo veramente rinnovarsi. Ha avuto solo rivoluzioni gattopardesche nel
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All’interno: Margrid Rooijakkers, di Ilia Pedrina, pag. 3 Le amorose sentinelle del Giordano, di Rossano Onano, pag. 6 Mario Santagostini: Felicità senza soggetto, di Giuseppe Leone, pag. 12 Ricordo di Maria Luisa Spaziani, di Luigi De Rosa, pag. 14 Bruno Rombi: Il viaggio della vita, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 17 I bambini tra le macerie dei bombardamenti, di Ilia Pedrina, pag. 20 Il dialetto: fonte prima della vita, di Leonardo Selvaggi, pag. 23 Gli americani e il maialino, di Aida Pedrina, pag. 27 Al Signore sconosciuto, di Raffaele Cecconi, pag. 29 I Poeti e la Natura (Sandro Penna), di Luigi De Rosa, pag. 31 Notizie, pag. 41 Libri ricevuti, pag. 41 Tra le riviste, pag. 43 RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Anticlimax, di Luca Canali, pag. 33); Tito Cauchi (Pensieri del sabato, di Rocco Cambareri, pag. 34); Tito Cauchi (Geppo Tedeschi, di Domenico Defelice, pag. 34); Carmine Chiodo (L’Obayifo, di Marcello Borghese, pag. 36); Maria Antonietta Mòsele (Gherla e Cris, di Paolangela Draghetti, pag. 38); Maria Antonietta Mòsele (7 favole... 7 colori dell’arcobaleno, di Georgia Chaidemenopoulou, pag. 39); Maria Antonietta Mòsele (Stevenà amore mio, di Vittorio “Nino” Martin, pag. 39); Maria Antonietta Mòsele (Il ronzio delle mosche, di Antonio Iademarco, pag. 40); Innocenza Scerrotta Samà (Anime fuggenti, di Gianni Rescigno, pag. 40). L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 44 Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 46 Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Georgia Chaidemenopoulou, Domenico Defelice, Themistoklis Katsaounis, Adriana Mondo, Teresinka Pereira, Edio Felice Schiavone, Leonardo Selvaggi corso dei suoi tanti anni, rimanendo, sostanzialmente e radicalmente settaria, fino al punto, a suo tempo, di turarsi occhi naso e orecchie davanti ai crimini del Comunismo; ha avuto sempre direttori proni al partito, o che l’han trattata come vetrina del proprio io. In questi termini, dunque - ma solo in questi termini -, non meritava di andare avanti, come non lo meritano - e, o prima o poi, faranno il botto - diecine di altre Testate. “I quotidiani - afferma Giorgio Podomani, che è stato Amministratore delegato de l’ Unità dal 2001 al 2008 e che, poi, ha fondato Il Fatto - pensano di campare con rendite parassitarie, come la pubblicità garantita, contributi all’editoria enormi, badando poco al conto economico, illudendosi di essere in una spiaggia riservata come il paradiso. Oggi un giornale dovrebbe essere snello, con meno assunti e più collaboratori. Un
giornale in salute deve guadagnare dall’ attività tipica: cioè dalle vendite”. Oggi, se non ci fossero finanziamenti e pubblicità aggiunge - “resterebbero in vita due o tre giornali al massimo”. Rinnovarsi davvero, dunque, e non perché tutto rimanga come prima. L’esempio sta, ancora, nella nostra Testata, che, per venire incontro ai suoi lettori e collaboratori, dopo aver dato più ampio spazio alla poesia e alla letteratura in genere, alla pittura, alla musica, è passato alla rete, dove essa (http:// issuu.com/domenicoww/docs/) può essere sfogliata e letta, salvata e scaricata sul proprio PC, stampata, o facendola stampare attraverso il menu (Download). Perché sempre, un giornale - come anche un libro -, deve finire di essere del suo autore, per divenire del lettore, patrimonio di tutti. Domenico Defelice
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MARGRID ROOIJAKKERS affronta la Stampa Olandese sull'HOLLAND FESTIVAL 2014 dedicato a LUIGI NONO e se ne lascia affascinare di Ilia Pedrina
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RIMA del nostro incontro nel suo splendido attico alla prima periferia di Vicenza, su Luigi Nono e su Ingo Metzmacher lei, Margrid Rooijakkers sapeva pochissimo, quasi niente, anche se la musica le piace. Ammetto di essere vulcanica, trascinante, coinvolgente, ma qui si tratta proprio di interesse diretto, pieno, orientato a partire dagli echi della stampa olandese sull'Holland Festival 2014. dedicato a Luigi Nono, per arrivare ad un'intesa tra le diverse terminologie possibili con le due lingue a confronto. Margrid conosce bene l'italiano, per questo ho ca-
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pito che potevo chiederle questo favore, con il cuore in mano, per Pomezia Notizie. Lei mi ha detto: “Dobbiamo essere insieme a fare questo lavoro!” Quattro articoli che le ho chiesto gentilmente di tradurre ed io sono lì con lei e registro tutto, non senza sollevare lo sguardo, di tanto in tanto, ad osservarla in volto, bella, dai lineamenti proprio delle olandesine da cartolina illustrata, bionda con la frangetta lunga ed i capelli raccolti, dal corpo sinuoso e slanciato, dallo sguardo d'un verde laguna che t'incalza senza ambiguità. Parte dal più importante, a tutta pagina, l'unico al quale qui farò riferimento, con al centro la foto di Luigi Nono sul battello, onde di schiuma a lato: la firma è quella di Joep Stapel, sul supplemento culturale di domenica 22 giugno del NRChandelsblad 'Nono: klanken aan de randen van het niets', 'Nono: suoni al limite del niente', in cinque sezioni dense: 'Venezia', 'Spazio', 'Impegno', 'Prometeo', 'Silenzio'. Fin da subito Margrid si ferma sul termine 'randen' e non è soddisfatta né dal termine 'bordo' né da quello di 'confine', l'uno usato per le stoffe e altro, l'altro per i territori. È contenta quando le propongo 'limite'. Sul 'niets' poi ci siamo soffermate non poco, perché può essere sia il 'vuoto', che il 'nulla', che l' 'assenza'. L'articolo riporta brevi tracce su Nono e gli altri due musicisti, diventati poi molto famosi, Pierre Boulez e Karlheinz Stockhausen, dopo aver lasciato spazio all'esperienza diretta del maestro Metzmacher, che incontra Nono a Berlino nel 1988, durante l' allestimento del 'Prometeo' e che dichiara come Nono annoti nella partitura 'silenzio assoluto': “... per questo motivo quello che segue acquista peso, importanza. Io mi impegno di tirare più a lungo possibile queste calme. Non c'è niente di più divertente ('leuker') di una calma allungata... È stato l'incontro più importante della mia vita, una specie di elezione, di risveglio (een opwekking)...”. È riconoscente a Pierre Audi, direttore per undici anni dell'Holland Festival, per aver desiderato con tutte le sue forze la realizzazione di questo mini-festival tutto dedicato a Luigi Nono, prospettiva da anni nelle sue priorità più insi-
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stenti: è un progetto molto laborioso, ma se c' è uno spazio dove ciò può funzionare, questo è proprio il Gaushouder. In 'Venezia' (Venetië), la prima sezione, Stapel traccia il profilo di Luigi Nono, che ritiene il più importante compositore del secondo dopoguerra in Italia e parte da Venezia, dalla targa che c'è sulla sua casa alle Zattere, dove è nato ed è morto nel 1990, 'maestro di suoni e di silenzi', dalla sua famiglia, dalla ricca biblioteca del suo papà, con tantissimi esemplari di dischi e dipinti (spiego a Margrid che ciò è vero perché Virgilio, mio fratello, mi ha dato un volume originale sulla Biennale del 1932 e sono presenti quadri del suo nonno, Luigi Nono, tra quelli di Francesco Paolo Michetti e c'entrava anche D'Annunzio). Il giornalista cita ancora Metzmacher: “Tutto a Venezia suona diverso tutto è meno rumoroso, non ci sono macchine ed anche perché l'acqua è onnipresente e fa rimbalzare il suono assorbendolo. L'acustica è completamente diversa da quella alla quale siamo abituati e questo è stato molto determinante per Nono, per la sua carriera”. Stapel torna su Venezia, sugli spazi di San Marco, sulle sperimentazioni al suo interno portate avanti nel Cinquecento da Andrea e Giovanni Gabrieli con i cori misti spezzati, dislocati a diversi piani di altezze rispetto ai fedeli, per ottenere tutti i possibili effetti di spazialità dell'acustica.
In 'Spazio' ('Ruimte') Stapel precisa: l'orecchio sente tutt'intorno, anche ciò che proviene da dietro le nostre spalle, ma noi ci siamo autoridotti questa capacità, obbligando l'orecchio a sentire la musica solo dal nostro angolo di visuale, con noi seduti di fronte al podio. Poi passa agli studi di Nono con Bruno Ma-
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derna, suo amico, proprio sulla musica rinascimentale, saltando insieme tutto quanto era legato alla musica classico-romantica: da Gabrieli Nono ha imparato la tecnica della composizione in blocchi ma è soprattutto con i gruppi di cori spezzati misti che la sua musica diventa non solo suono nello spazio, ma lo spazio stesso è come parte integrante della composizione. “Quello che Nono voleva non si può descrivere”, è ancora Metzmacher a parlare, “una certa particolare qualità del suono, con tecniche di realizzazione innovative. Sono molto felice della collaborazione con il direttore del live electronics André Richard, che ha lavorato tantissimo con Nono ed è stato come il depositario, il custode del Santo Graal. André Richard ha fatto il progetto spaziale del Gashouder, con i musicisti posizionati a diverse altezze intorno al pubblico, così la musica con grande precisione viene proiettata nello spazio. In 'Impegno' ('Engagement') viene tracciato il coinvolgimento sociale e l'impegno politico del musicista veneziano ed anche qui Stapel lascia parlare Nono stesso, Metzmacher ed in particolare i contenuti del 'Canto sospeso'. In 'Prometeo', Stapel spiega che il sottotitolo 'tragedia dell'ascolto' rimanda a quella tragedia che si prova nell'ascoltare, nel sentire, non nel vedere, opera composta da un ' Prologo' e da una sequenza di 'Isole' divise tra silenzi e suoni effimeri. Il parallelo con Venezia si impone: una città di isole con confini flessibili, con le vene d'acqua che l'abbracciano in spruzzi ondosi, invadendola ('dooraderd en omspoeld door water'). Nel cuore del ' Prometeo' sembra che musica si fermi completamente, quasi come non avesse più la possibilità di andare avanti: “È la crisi che viene guidata e composta”, sostiene Metzmacher, “ci si può immaginare che Prometeo, tra rivoluzioni e contrasti arrivi ad un momento di disperazione ('vertwijfeling'), senza sapere più come andare avanti. La terza, la quarta e la quinta isola sono composte di frammenti a singhiozzo, bloccati. La mia esperienza, quando dirigo, è come quella di essere spinto verso un deserto ('een woestenij') di macerie e
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di distruzione ed anche per l'ascoltatore la cosa non è molto semplice. Ma una volta che sei riuscito a passare, a superare questo stato, hai una grandissima gratificazione. La straordinaria bellezza alla fine del Prometeo non sarebbe mai la stessa cosa senza questi immensi vuoti, la catarsi mai così potente”. Riprende Stapel a sottolineare che Prometeo è una figura rivoluzionaria, ma nell'Opera è come se non fosse presente, non c'è azione né interprete, anche il testo è a malapena seguibile, a parte quel 'Ascolta!' che ritorna tante volte. In 'Silenzio' ('Stilte') Stapel si chiede quanto possa essere dolce il silenzio quando diventa inudibile. È stato rimproverato a Nono che nel suo ultimo periodo egli è diventato apolitico, ma Metzmacher non è d'accordo. La lotta di Nono contro il nostro uso arido, povero dell'ascolto è stata come una forma di protesta contro la svolta che stava prendendo la vita pubblica: ha cercato di stimolare la percezione dell'orecchio con dei suoni al limite del niente, perché risvegliare l'ascolto, secondo Nono, significa anche risvegliare l'uomo. Negli Anni '80 il silenzio è diventato sempre più importante nei lavori di Nono, al limite dell'inudibile ed utilizzava l'elettronica per dare forma a questi limiti. Sul muro di un convento in Toledo, Nono si è fermato su un aforisma: 'caminantes, no hay caminos, hay que caminar'. A partire da questo appello, per evitare le strade già percorse, Nono ha composto la Trilogia pezzo per pezzo, per spazi diversi e cori e strumenti posizionati differentemente. Questi 'Caminantes' sono fatti di misteriosi sussurri e di pseudo-pause gravide di suoni, in lontananza con esplosioni tuonanti. 'Caminantes...Ayacucho' è stata l'ultima composizione di Nono e la preferita di Metzmacher: “Per me questo pezzo non è un requiem. Ogni volta, nuovamente mi sorprende come vento che mi butta a terra”. Si conclude così l'articolo di Joe Stapel. “Il tuo interesse per le lingue è grande”, dico a Margrid, “ti appartiene questa capacità di interagire tra differenti contenuti per arrivare ad un risultato che ti dia soddisfazione.” Mi risponde con un sorriso: “Questo è
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vero! Io ho ascoltato un brano, non è musica facile, con questi articoli ho capito di più questo musicista.” Ha tanti problemi in famiglia, ma trova tempo per me, su Luigi Nono e sull'Holland Festival di Amsterdam. Allora penso a lui, a Luigi Nono, a noi che siamo come due collinette rispetto alle vette elevate rappresentate da Martin Buber e Franz Rosenzweig, quando insieme, amici nella parola, si mettono a tradurre e ad interpretare il testo della Torah: la comunicazione diventa investigazione schietta, la parola è colta come esperienza di vita e la felicità, la gioia dell'essere d'accordo si cesella in bagliori di luce. Ilia Pedrina
SOGNO DI UNA SERA DI FINE PRIMAVERA Mi piace pensarti seduto in poltrona che leggi il giornale con me che in poltrona a te di fronte leggo tranquillamente un libro. La radio accesa trasmette un concerto. Sarebbe stata una delle tante, possibili belle serate se ti avessi cercato prima senza aspettare tanto. Ed ora posso solo sognare, mentre sola su questa poltrona leggo un libro e ascolto la radio che trasmette la bella Sinfonia in do di Bizet suonata forse con te fra i violinisti dall’Academy of St.Martin-in-the-Fields diretta da Neville Marriner. Mariagina Bonciani Milano
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Dalla Fontana della Vergine alla Terrazza di David LE AMOROSE SENTINELLE DEL GIORDANO Appunti a braccio dalla Terrasanta di Rossano Onano
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ER vincere la paura di volare, Emy sussurrava: “Se l'aereo cade, almeno moriamo insieme”. A bordo, il servizio è stato inappuntabile. 26.12.2013 “Togliti i calzari, perché questa che cammini è una terra santa”. Gabi ricorda la frase di Dio a Mosè, e spiega: “In questa terra bisogna lasciare qualcosa!”. Non è, forse, che invece bisogna prendere qualcosa? Sarà che l' Occidente è predatore. Gabi è arabo, israeliano e cristiano. Riesce a convivere con tre culture e tre religioni. Come tutti i sinottici, quando spiega è ridondante. Il suo sincretismo è a volte curioso, ma affascinante 1. Emy, in aereo, è stata molto brava. Il paesaggio, da Tel Aviv a Nazareth, è un insieme di dune verdi e bianche. Calcare e case a 2 massimo 3 piani, dal medesimo disegno architettonico. Sembra ci sia la giusta misura fra rispetto dell'ambiente, e rispetto dell' uomo. 27.12.2013 Nazareth, Chiesa della Fontana della Vergine. Passa per il cortile un prete greco- orto-
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dosso. “Mi fa spavento”, dice una vecchietta del gruppo, con ciò intendendo che la corporatura e la barba e il costume con copricapo rigido e buio le incutono soggezione, quasi riverenza. In effetti, il nostro bravo Don Antonio, per l'età e qualcosa di fanciullesco, soggezione ne fa poca. La Chiesa è costruita sull'antica sorgente, ove la Madonna raccoglieva l'acqua. Dove ha conosciuto Giuseppe. L'idea che l'angelo abbia dato l'annuncio alla fontana, anziché fare irruzione nella camera di una vergine, mi sembra molto poetica. Gli ortodossi greci se ne sono appropriati. Il Monte Tabor è memorabile solo per il vento che lo batte. E per l'architetto italiano che ha disegnato la memorabile chiesa. E' bello sapere che anche noi abbiamo fatto qualcosa di biblico. Il resto è poco convincente. Come del resto l'episodio della Trasfigurazione, con Gesù che parla di soppiatto con Mosè ed Elia, e dice agli apostoli: “Non spargete la voce in giro”. Fino ad ora, il vero incontro è stato con S. Giuseppe, alla Chiesa della Nutrizione. Capisco la venerazione di Padre Uccelli per Giuseppe: è un grande santo, senza trasfigurazioni spettacolari, silenzioso 2. Soprattutto meravigliosi sono gli ulivi. “Può venire qualcosa di buono da Nazareth?” “Quando tu eri sotto l'albero di fico, io già ti conoscevo”. Questo fatto fra Natanaele e Gesù mi era ignoto, andrò a rivederlo. Gesù sa usare l'inespresso: scrive sulla sabbia e cancella, parla a tutti perché uno solo capisca. A cena ho chiesto a Emy se fosse il caso di risposarci. Emy è persona soave ma pratica: “Lo sai che queste cerimonie non mi sono mai piaciute” 3. 28.12.2013 Con qualche difficoltà trovo in Giovanni l' episodio di Natanaele. “Sotto l'albero di fichi” mi evoca qualcosa di torbido o sconveniente. Invece, Gesù annota: “Ecco un israelita che non dice il falso”. Sotto l'albero di fichi Natanaele ha detto qualche verità. Il lago di Tiberiade e il Monte delle Beati-
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tudini, o pianura che dir si voglia a seconda dei punti di vista. Il Monte delle Beatitudini è pianura per i monti circostanti, e monte benché minimo per la depressione su cui si stende il lago. Il più pacifico che io abbia mai visto. Le Beatitudini, pronunciate durante la Messa da campo sul Monte, non mi hanno fatto particolare impressione. Colpa della folla. Sono un animale che ha bisogno di solitudine, per pensare. Sarà anche che il giardino che circonda la Guest House è trasformato in un luogo di bellezza agricola artificiale, cachi banani manghi e altre faccende tropicali. Troppa grazia, rispetto a: Beati i poveri. Però sono io che cerco la coerenza. La vita non bada a queste cose. Il Tempio della Moltiplicazione dei pani e dei pesci è tenuto dai Benedettini tedeschi.
Nessuna giardineria, cartelli che invitano al silenzio rispettoso, disatteso dai visitatori in comitiva. Una comitiva giapponese canta sul cortile una laude in latino4. E' straordinario come i Giapponesi possano essere così numerosi in un luogo così estraneo alla loro cultura, per giunta cantando in latino. All'interno i Benedettini tedeschi riscoprono le icone bizantine e proteggono il pavimento a mosaico. Il pavimento a me sembra romano, per il disegno d'animali. A chi spetti l'esecuzione, non so. Gabi, sulle nozioni storiche, è abbastanza approssimativo. Sulle spiegazioni teologiche, Emy dice di lui: “E' uno che aggiusta un po'”. Sul Lago di Tiberiade pilota ed equipaggio issano bandiera italiana sulla barca, invitano a cantare l'Inno di Mameli. Immagino facciano la stessa cosa per qualsiasi nazionalità, ma la
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loro gioia è sincera, molto entusiasmo da loro a noi, e da noi a loro. Più canterini e ballerini gli anziani, rispetto ai giovani telefonofili. Gesù è un buon affare per tutti. Tre milioni di turisti l'anno, su una popolazione di otto, garantisce un reddito pro capite discreto, da addebitare esclusivamente al turismo. Infatti, Sacellum primatus Sancti Petri. Un solo francescano come custode, di indefinita nazionalità perché silenzioso. Sa che a spiegare pensano le guide turistiche, non intralciare i lavori. Bisogna ammettere che i religiosi di ogni sito non approfittano affatto per incassare con questue santini artigianato votivo eccetera. Gabi spiega: “Perché Pietro è scelto come capo degli apostoli da Cristo, nonostante sia persona di scarsa fede, che mozza le orecchie ai soldati, che tradisce al canto del Gallo? Perché è umile. Riconosce Gesù, sulla riva di Tiberiade, e si rivolge a lui spogliandosi delle sue sicurezze”5. Sarà. Fatto è che Giovanni racconta di Pietro che dice agli altri: “Io vado a pescare”. Pietro non chiede il permesso, comanda lui. Pietro è già un leader, Gesù lo sceglie come leader per questo. Gesù è persona pratica, ci mancherebbe. Cafarnao, unico luogo archeologico vero visitato fino ad ora. Merito di due francescani italiani, studiosi di archeologia biblica. I Francescani fiutano il posto, lo comprano, scavano. Trovano la Sinagoga del V secolo, costruzione bizantina con il candelabro a sette braccia sopra un capitello. I Cristiani del V secolo consentono quindi agli Ebrei di costruire una grande Sinagoga. Che sorge del resto sulle rovine della Sinagoga del I secolo, fatta edificare da un centurione romano. E' consolante sapere che i Cristiani dell'epoca siano stati tolleranti e generosi. Gesù, scappato da Nazareth dove i cittadini volevano ucciderlo, si rifugia a Cafarnao. Qui compare in pubblico dicendo: Io sono il pane, chi non mangia di questo pane eccetera. In cinquemila fra gli ascoltatori scappano, ad ascoltare restano in dodici, che diventano gli apostoli. Pietro, a proposito di leadership, parla per tutti: Va beh, noi restiamo. Non sono convinti, ma vogliono credere. La fede
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come atto volitivo. Credo quia absurdum, credo sia Tertulliano. Mai nominato fra i filosofi o i padri della Chiesa. Ingiustamente. 29.12.2013 Sabato sera dopo cena, Messa con rosario nella Chiesa dell'Annunciazione. Il rosario in 3 lingue, una delle quali l'italiano per via dei Francescani custodi del luogo. La funzione in latino, unica vera lingua internazionale, almeno in liturgia. La cadenza del latino ha qualcosa di solennemente logico. L'ho odiato, da studente, per via dell'ampollosità di Cicerone. Il latino medioevale, barbarico e forte, è stato un amore successivo. Gerico ha due primati: la città più bassa del mondo, - 400 m, questo primato è sicuro. L'altro, incerto: sarebbe in lizza con poche altre per essere considerata la città più antica del mondo, resti di 10.000 anni fa, mattoni polverizzati che formano colline artificiali6. Nelle botteghe, datteri buonissimi. I commercianti tengono aperti i bagni, così da attirare clienti. Diversamente dai nostri, che allontanano i clienti tenendo chiusi i bagni. Vox clamans in deserto. Ho sempre pensato: voce di chi parla e non è ascoltato. Invece, il deserto è il luogo dove Dio parla all'uomo; oppure, dove l'uomo parla a se stesso7. Vox clamans in deserto: voce prepotente, voce d'amore. Gerico nel deserto. Con quattro sorgenti d'acqua, era impossibile non passare da e per Gerico. Il Giordano. Tutti l'hanno trovato piccolino. Io più grande. Questione di aspettative. Soldato giordano sulla riva sinistra, soldatessa israeliana sulla riva destra. La soldatessa è una bella figliola. Possono sorridersi, soldato e soldatessa, nei momenti contrassegnati dall' assenza di turisti8. Gerico, Monte delle Tentazioni e Mar Morto sono la voce che declama nel deserto. Sulle rive del Mar Morto, in costume da bagno in dicembre, le donne guardavano il mare innaturalmente silenziose. Il bagno turistico è retto da palestinesi. Tutti quelli incontrati fino ad ora sono persone gentili, sembra abbiano tutti un'ottima predisposizione per gli affari. La
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faccenda “qui non si fanno sconti”, in uso fra i mercanti occidentali, qui non esiste. Il commerciante dice: “dieci”. Tu rispondi: “cinque”. Alla fine, se non è la via di mezzo, molto facile che sia “cinque”, segno che va bene così. Nelle “Mille e una notte” colpisce una frase, riferita a tutti i mercanti raccontati da Shahrazad: “aveva imparato l'arte di vendere e comprare”. L'arte del commercio è contrattazione. Come in politica. Peccato che in politica i Palestinesi non siano così evoluti come in commercio. La controparte, del resto, non scherza. Qumran è uno dei luoghi più suggestivi che io abbia mai visto. Ma i Rotoli del Mar Morto sono stati liquidati un po' alla sveltina. A Gabi gli Esseni non sono simpatici9. La Messa nel deserto offre uno scenario troppo suggestivo per essere sincero. “Liberiore spectaculo permotus, in me ipsum interiores oculos reflexi”. Ma quello era Petrarca. Incredibile come tutti quanti guardino le dune nel deserto e rivolgano a sé gli occhi interiori. Bisogna essere molto romantici, oppure abbastanza isterici. Don Antonio ha celebrato Messa con appunto il deserto sullo sfondo. Era, lui sì, trasfigurato. A fine Messa, un bambino astuto gli si è avvicinato per offrire la sua mercanzia. Il Don ha aperto il borsellino per dare del suo, non so se abbia preso qualcosa. L'ho ammirato molto. E' triste, in fondo, non potersi permettere un'icona bizantina originale, antica. 30.12.2013 Splendida l'Icona della Natività, nel Tempio di Betlemme, accanto alla porta che conduce alla Grotta. Fasulla, secondo il palestinese guida di Nazareth. Sembra di capire che fra Nazareth e Betlemme esista una certa rivalità, quanto a importanza cristologica. Comunque, l'icona bizantina raffigura Madonna Giuseppe e Cristo in fasce, di fronte alla grotta. L'apertura di questa grotta, spiega Gabi, assomiglia all'apertura della grotta del Sepolcro. A me sembra che assomigli all'imene lacerato di una vergine. L'artista bizantino non poteva usare coscientemente una simbologia così espressiva. Inconsciamente, però, sì. Se l'ime-
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ne di Maria rimane vergine, a lacerarsi è stato il velo del mondo, squarciato dall'avvento del piccolo Salvatore. Le donne hanno trovato più affascinante una leggenda bizantina, per la precisione russa. Una colonna della navata maggiore conserva tre buchi a forma di croce. Si tratta delle dita della Madonna che, colta dalle doglie del parto, si è appoggiata alla colonna, lasciando il segno delle sue dita. Il segno prefigura il destino del Figlio. Lo Status Quo deciso dopo la guerra di Crimea ha svantaggiato gli Ortodossi Armeni, che nella guerra specifica non hanno avuto peso. Capisco i cazzotti che qualche volta volano fra Armeni e Greci Ortodossi, sostenuti a suo tempo dallo Zar di Russia in persona. Fossi armeno, ci starei male anch'io nel vede-
re che i Greci hanno la gestione esclusiva dell'Altare Maggiore. I Francescani, silenziosi e discreti, non fanno a cazzotti con nessuno, e gestiscono i piani inferiori10. A otto Km da Betlemme c'è il sito dell'annuncio degli angeli ai pastori. I pastori in quel luogo si sono svegliati; io ho avuto la tentazione di addormentarmi, la tensione del viaggio si sta allentando. Ho resistito al sonno con molta buona volontà11. Giovanni Battista in prigione manda a dire a Gesù: “Sei tu quello che aspettiamo, o dobbiamo aspettare un altro?” E' assalito dal dubbio, sottinteso: che Messia sei, visto che io sono in carcere? Gesù risponde con una citazione, mi sembra di ricordare di Isaia, dove si parla di prigionieri che saranno liberati. O Gesù sbaglia previsione, oppure profetizza la
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liberazione di Giovanni tramite decollazione. Nella Chiesa di S. Giovanni Battista l'architetto francescano Barluzzi (da verificare il nome, cercare notizie biografiche) si fa affrescare ai piedi della Vergine, fra la folla orante, abiti moderni e volto rivolto verso il pubblico. Rinascimento. 31.12.2013 Nella notte, dall'albergo si sono sentiti spari, botti, canti, urla. Tutti hanno sentito, io no. Il vantaggio di essere ipoacusico. Anche, il vantaggio di dormire il sonno dei giusti. Al mattino ci hanno spiegato che Israele ha liberato alcuni prigionieri politici palestinesi. Gli spari erano quindi botti di gioia. E' interessante vedere come, ignorando le cose, tragedia e festa siano la stessa cosa. Gerusalemme vista dal Monte degli Ulivi è straordinaria. Nessun architetto superstar l'ha finora rovinata. La Basilica dell'Agonia, buia dentro per sintonia col dolore di Cristo, spetta ancora a Barluzzi12. Una signora chiede: “Dov'è la Mecca?”. Gabi non si scoraggia, e continua a parlare di Cristo, con grande fervore. La Tomba della Madonna è una bufala. Laudi, Messa mattutina e Compieta tutti i giorni, più devozioni e rosari improvvisati in itinere, sono una razione francamente improponibile. Troppe pratiche devozionali distraggono dal dialogo con l'Altro. Nel Santo Sepolcro Gabi rilegge il processo a Gesù. Mi sorprende perché cita Tertulliano, che aveva non dico santificato ma quasi Ponzio Pilato. Il Prefetto, in effetti, cerca in tutti i
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modi di salvare Gesù, il quale si condanna da solo non smentendo la voce che lo diceva Re dei Giudei. La lettura di Tertulliano è sorprendente. E' lo stesso Tertulliano che imposta il problema della fede con la formula “credo quia absurdum”. Dal momento che è assurdo, devo per forza esercitare la fede. La fede come atto volitivo. Tertulliano è più moderno di noi, che la faccenda del rapporto fra fede e ragione non l'abbiamo ancora digerita. Non so se Tertulliano sia Padre della Chiesa, credo di no. Del resto, non è santo. Il Tempio del Santo Sepolcro è sconcio o sublime, a seconda della lettura che la fede (la volontà) sceglie di esercitare. La cosa sublime, fra tutte: due monaci della Chiesa Etiope. Il più vecchio seduto come in trono lungo il passaggio dei fedeli. Guarda davanti a sé, immobile, senza guardare nessuno. Gli Ortodossi invece si danno da fare. I Francescani sono, al solito, presenti ma sobri. 1.1.2014 Festa di capodanno in albergo. Alla compieta, dichiarazione collettiva di ringraziamento. Assomiglia ai gruppi di autocoscienza in psichiatria, dove ciascuno confessa le proprie inquietudini. Qui, ciascuno ringrazia per ciò che ha ottenuto da Dio. Bisogna ammettere che funziona bene, ci si convince a vicenda che il mondo è buono. Sonia, a compieta ultimata, si avvicina ad Emy e a me per ringraziarci: “Mi commuovo ogni volta che vi vedo andare così insieme, così d'accordo”. Deve aver avuto problemi coi genitori. Oppure, opinione di Emy, col moroso che le ha dato dispiaceri. Emy si è commossa, mi ha chiesto poi per tre volte il nome della ragazza. La memorizzazione dei nomi non è il suo forte. Questa mattina, da solo, passeggiata fuori dall'albergo, in attesa che gli altri si svegliassero. Avevo bisogno di stare un po' da solo. Al Muro del Pianto, ho provato più fastidio che fascinazione. Troppa coreografia, troppi pianti. Un uomo che piange è già faticoso da reggere, un uomo che si sforza di piangere è sconcio, una folla che fa finta di piangere una cosa non sopportabile. I Giudei dicono di noi
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le stesse cose, di fronte alle nostre coreografie al Santo Sepolcro. E' il prezzo da pagare per l' identità di gruppo. Da noi, è perfino in discussione l'identità di genere, figuriamoci. Da quel che ho capito, il Muro del Pianto non è poi l'unica parte rimanente del Tempio, come dicono i nostri media. Ma la parte occidentale della spianata che sosteneva il Tempio. Sulla via d'ingresso, prima del controllo, una ragazza in veste lunga e rossa suona il violino, con la faccia rivolta al Muro13. 2.1.2014 Ultimo giorno. La stanchezza supera, ormai, la curiosità. Tommaso detto Didimo non crede alla Resurrezione. Gesù: “Metti la mano nel mio costato”. Lettura consueta: beati coloro che crederanno senza vedere. Non è il messaggio importante. Invece: per trovare Dio non bisogna aspettare la sua rivelazione, ma mettere il dito nel dolore del mondo. Altro che le processioni rituali. Non mangiare l'agnello nel latte di sua madre. Lettura ante Christum: non mangiare l'agnello quando ancora beve il latte della madre. Dio ecologista. Lettura post Christum: non mangiare le carni insieme al formaggio. Troppe proteine, Dio igienista. In ogni caso, Dio sa quel che dice, tu non sai perché lui lo dice, ma lui sì. Da S. Pietro in Gallicanto veduta della vecchia città di David. Case a terrazze degradanti verso una conca centrale. Si capisce come David, dalla sua terrazza, vedesse Betsabea fare il bagno. Si capisce anche come Betsabea, con la coda dell'occhio, vedesse di essere osservata. L'amore di Dio per David suo servo è inspiegabile. Oppure spiegabile benissimo: David è incontinente e ascetico, meschino e valoroso, guerriero e poeta. David è tutto fuorché ignavo, o monocorde. Sole e caldo a gennaio, verso Tel Aviv. La terra dove corre latte e miele, definizione molto generosa. Dove converge la storia dei secoli, del Figlio dell'Uomo, dell'uomo14. Rossano Onano 1 - Gabi è la guida turistica. Come arabo, simpatizza per i Palestinesi; come israeliano, simpatizza
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per i figli di David; come cristiano, simpatizza per il dialogo, in ciò critico verso i Palestinesi e verso i figli di David. Insomma, una personalità complessa. 2 - Padre Pietro Uccelli, missionario in Cina ai primi del '900 e successivamente rettore a Vicenza della Missione Saveriana, usava dire che San Giuseppe fosse l'economo dell'Istituto. Quando i suoi apostolini necessitavano di qualcosa, mettiamo di patate, metteva una patata ai piedi di una statuetta di S. Giuseppe dicendo: “Pensaci tu”. Subito dopo, garantiscono ancora i Padri Saveriani, arrivava in Istituto un camion carico di patate. Di Padre Uccelli è in corso il processo di beatificazione. 3 - Alludevo all'insana abitudine di celebrare davanti all'altare l'anniversario di matrimonio. 4 - I turisti giapponesi vestono all'europea. In ciò differenziandosi dai turisti cinesi, che vestono all' americana. 5 - Nel Vangelo di Giovanni, Pietro taglia l' orecchio destro al servo del sommo sacerdote. Negli altri evangelisti l'episodio è citato, ma non attribuito direttamente a Pietro. Quanto all' apparizione di Gesù, dopo la resurrezione sul lago di Tiberiade, Giovanni garantisce che non sia stato Pietro a riconoscere il Maestro, bensì “quel discepolo che Gesù amava”. Il quale si rivolse appunto a Pietro dicendo: “E' il Signore!”. 6 - Anche un vecchio cammello, paziente, che porta in giro i turisti. Soprattutto i bambini ne sono affascinati. 7 - Questione di temperamento. Rispetto alla smania attuale per la compartecipazione corale, inaugurata dai Papa Boys, a me torna più produttiva la tradizione monastica: il silenzio. 8 - Il Battista rimaneva assente dai miei pensieri, sostituito da una fantasia laica: il soldato e la soldatessa, di opposta divisa, che amoreggiano fra loro. La fantasia mi sembrava molto edificante. 9 - Ho provato a stuzzicarlo buttando lì un'ipotesi avventurosa letta non ricordo dove: “Uno storico dice che il Battista e Gesù fossero Esseni. “No!”, ha risposto Gabi, infastidito. 10 - Il pellegrinaggio è stato preceduto e accompagnato da una raccomandazione insistente. Il relatore dell'Agenzia: “Non dite a nessuno: non sarebbe meglio mettersi d'accordo?”. Don Antonio: “Non dite a nessuno: non sarebbe meglio mettersi d'accordo?” . Gabi: “Non dite a nessuno: non sarebbe meglio mettersi d'accordo?”. Di fatto, nessuno di noi aveva intenzione di rivolgere una domanda simile a chicchessia. Mentre trascrivo gli appunti è in corso la ripresa delle ostilità, con bombardamenti reciproci fra Striscia di Gaza e dintorni. 11 - Per la verità, mi ha sottratto al sonno la visio-
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ne di una coppia indecente: un uomo anziano, però vestito da giovane, affettuosamente accompagnato da una badante giovane, però vestita da anziana. 12 - Ho verificato. Antonio Barluzzi (1884-1960) apparteneva a una famiglia di architetti, che da diverse generazioni lavorava per il Vaticano. Seguì il fratello Giulio a Gerusalemme, dove questi aveva l'incarico di progettare l'ospedale italiano. Non trovo riscontro che fosse francescano, come vorrebbe Gabi: era, questo sì, persona d'intensa spiritualità, conduceva vita monastica e appartata. Negli ultimi anni di vita, perso un occhio durante un' operazione di cataratta, viveva nei conventi. 13 - Ho pensato al violinista di Chagall, a sua volta ebreo. La cupa concentrazione della ragazza mi ha dissuaso dall'identificazione. 14 - In aeroporto, il militare addetto al controllo dei bagagli mi chiedeva quale lingua io conoscessi, oltre all'inglese. “Latino!”, ho risposto. Così, per vedere l'effetto che fa. “Oh, latino!”, ha commentato il militare, con molto rispetto.
GAZA Agosto, 2014 Designada por un dios unilateral Gaza se vuelve arena y su gente es degollada como corderos sin altar. En cada bombardeo una multitud se muere sin la compasión del mundo. Sin embargo, los niños palestinos todavía alimientan el sueño de algún día ser libres en su propia tierra. Teresinka Pereira USA
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 16.8,2014 Delrio assicura che il Governo non metterà le mani nelle tasche degli Italiani. Questa volta - precisa - se ci sarà bisogno, a pagare sarà lo Stato. Alleluia! Alleluia! Ma, se non noi, chi sarà mai, per Delrio, lo Stato? Domenico Defelice
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MARIO SANTAGOSTINI Felicità senza soggetto di Giuseppe Leone RA il ’60, qualcuno / parlava di sterminate domeniche. / L’Olona non era stata / ricoperta. Si sentivano le radio / da argine a argine. / L’odore dell’acqua oleosa di benzina / arrivava fino a uno, due isolati / più lontano. Anche allora, vapori d’agosto nei cortili. / Pensavo: non amo me stesso, / amo questi anni, / la loro felicità senza soggetto” (34). Da questa breve poesia, che presta il titolo alla raccolta di Mario Santagostini ( Felicità senza soggetto, Lo Specchio Mondadori, Milano, 2014), è possibile ricavare quella che si dice giusta chiave di lettura per interpretare rettamente la condizione esistenziale dell’ autore. Condizione tipica, a guardar bene, del disagio di vivere dell’uomo d’oggi (il poeta), “coinvolto in una sorta di sinistra mutazione antropologica”, il quale, consapevole come mai dei mali del proprio tempo, in testa l’ inquinamento, si sente condannato a vivere un presente irrespirabile, che sopporta solo in nome di generose utopie, in un groviglio di
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contraddizioni che lo inducono a rinunciare al sogno di una personale felicità in cambio di un ideale storico più universale. E quel che è peggio, senza una ragione comprensibile, tanto che appare quasi assurdo cercare spiegazioni della realtà come dell’ ideale. Lo avverte bene il poeta: “Ancora adesso, non mi è chiaro / quale disegno stava / dietro all’occupazione delle case / nei primi anni Settanta. / E a tutte le forme di autoriduzione, / o d’esproprio” (10). Evidente, in tutto questo, il peso della cultura del novecento in genere, che Santagostini non nasconde agli occhi indiscreti di critici e lettori, citando i nomi di coloro che ebbe come maestri: da Pascoli a Sereni, a Sironi, a Hopper; e più segnatamente, della filosofia materialistica, se scrive che il novecento gli “ha insegnato / anche a pensare / a una seconda Milano. Con stadi, / casermoni con vite operaie” (43). Il libro è ricco d’immagini intrise di tristezza: “sono tornato a Cinisello… / un motocarro scoperto portava via un cane” (38), oppure: “La strada finiva nei campi. / Intorno, stavano / degli abiti logori, lasciati da chi era passato. / E sapevano di benzina” (38); ma anche di dolente e amara riflessione, come l’opinione che la politica abbia ormai lasciato tutto, “anche le case / Gescal, il quartiere, Lenin” (13); o l’idea che il futuro ci avrebbe riservato un mondo senza il lavoro, dove “… i corpi / ci sarebbero serviti a poco, / quasi niente” (9); oppure, ancora, la speranza sulla fine della circolazione delle merci, “… se il loro riciclo / non fosse l’ennesima, / rassegnata forma di resurrezione” (11). Non sono stilemi di un esercizio letterario fine a se stesso, ma spie attendibili di una psicologia tormentata, di una visione della vita senza prospettive consolanti, in un luogo, per di più, dove “anche la politica ha fallito” (45). Dicono molto a tal riguardo i versi con cui si chiude il libro: “Certo, qui una volta, si creava / poi si è passati al vivere. / Adesso, aspettiamo” (94). Dicono molto, ma forse non tutto. E infatti il poeta, in qualche verso prima, nota che o-
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ra, a Cinisello come a Sesto, “l’aria è… / buona solo per grilli”, e, al pensiero del mondo che ci attende, non si fa troppe illusioni. Si convince che bisogna aspettare e, pur nel travaglio del vivere quotidiano, li studia e li giudica in silenzio questi “ animali sciatti, e in fuga da tutto”, adatti per quell’aria “povera d’ ozono” e attaccati, oltretutto, al “loro mondo / che se lo tengono stretto”. Ripetere – d’accordo con quanto si legge in una nota sulla seconda di copertina - che Mario Santagostini ripercorra liberamente, in questa silloge, “il tempo della sua formazione”, non nascondendo il richiamo della “misteriosa forza della materia” che pure lo attrae, è dover ammettere che la sua ispirazione nasca in un rapporto osmotico fra storia e biografia, in una dialettica di spinta e controspinta tra occultamento e svelamento. Da una parte, un poeta che cede alla storia i suoi diritti d’autore disconoscendone la paternità delle proprie azioni; dall’altra un poeta, che facendo i conti col Novecento, ora alle spalle, giunge al suo incasso, si fa per dire, facendo uso di parole come capitalismo, merci, comunismo, materia, case Gescal, case Aler. Tutte parole che Leopardi avrebbe bandito dalla sua “repubblica”, perché troppo legate al reale, ma che non costituiscono un problema per Santagostini, consapevole, com’è, che le urgenze della poesia odierna sono di tutt’ altra natura. Sono quelle legate all’ interpretazione del cumulo di macerie che il capitalismo ha innalzato ovunque fino al cielo e che richiedono al poeta capacità d’inventario e nuovi lessemi perché sia in grado ora di “destare i morti” e “riconnettere i frantumi”: “Dalle ossa - egli dice - non capisco se è stato / una tortora caduta / oppure era un coniglio femmina. / se volava, non volava. / O se un miracolo/ ha voluto che fosse tortora / e coniglio, insieme. / Che passasse due vite” (93). Un rebus, ma solo apparente, dal quale il poeta, novello angelo della storia costretto a guardare il mondo col viso rivolto al passato mentre corre inarrestabilmente verso il futuro, presto se ne esce, intitolando Postcreatura l’ ultima sezione del libro, una parola con la
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quale può definire questa “nuova umanità” frutto di ibridismo e contaminazione. Definizione, oltretutto, di forte valenza simbolica che sembrerebbe rimandare, per contrasto, anche a Ungaretti, tanto a quella sua lirica Come una creatura, quanto alla sua opera più in generale concepita nel segno della “poesia pura”, verso la quale il poeta, ora, non fa trapelare alcun sentimento di nostalgia. Ne prende, anzi, le distanze, perorando, con lo stesso calore di Petrarca in confessione davanti a Sant’Agostino, le ragioni della propria ispirazione: “Ho amato la materia come un mio simile / e continuo a farlo. / Poi, un creare onnivoro / e sfasato m’ha portato qui, / dove anche Dio esiste” (92). Non idealizza, solo mette a nudo, qualora ce ne siano state, le sue debolezze, rivelando che la sua poesia è stata, in fondo, speculare alla realtà politica quale è venuta manifestandosi fino ai nostri giorni. “Qual meraviglia”, sembra volerci dire il poeta, se il mio canto s’è prestato a tanto? Giuseppe Leone Mario Santagostini - Felicità senza soggetto - Mondadori, Lo Specchio, Milano, 2014, € 17,00. Pp. 112.
RODOLFO LEIRO 1921-2014 "Vivir es caminar hacia la muerte" Rodolfo Leiro Fue amigo cierto tanto para el dolor como para un pedazo de alegría. Lloro su muerte sin lágrimas, gritando adentro para que el recuerdo sirva de consuelo. Rodolfo Leiro, te mando una rosa fresca y viva para celebrar tu victoria al final del camino, de la batalla honrada, de la magia de tu poesía. Teresinka Pereira
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UN BREVE RICORDO DI
MARIA LUISA SPAZIANI di Luigi De Rosa
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L 30 giugno 2014, a Roma, è mancata Maria Luisa Spaziani, nota poetessa , valente francesista e traduttrice, già docente all'Università di Messina, e con una carriera letteraria particolarmente brillante. Era nata a Torino il 7 dicembre 1922 da una famiglia agiata (il padre era un industriale) e fin da studentessa aveva fatto centro nell'ambiente letterario dirigendo una piccola rivista (Il Girasole, poi Il Dado) sulla quale aveva pubblicato anche inediti di Penna, Sinisgalli, Pratolini, Saba... A 27 anni poi, nel 1949, aveva conosciuto Eugenio Montale, che allora aveva 53 anni, e ne era nata un'affettuosa amicizia, e un sodalizio letterario. Nel 1956 il tracollo dell'azienda paterna l'aveva costretta a trovarsi un lavoro, e aveva cominciato col fare l'insegnante in un Collegio di Torino. Un giorno sarebbe arrivata alla cattedra di Letteratura francese all'Università di Messina... Quando si è spenta aveva poco più di 91 anni, ma fino all'ultimo ha conservato in pubblico quel piglio simpaticamente battagliero e giovanile che per tanti anni l'ha contraddistinta, “mascherando” l'età reale non solo “togliendosi” alcuni anni, ma anche con lo spirito, il trucco, la squisita eleganza, soprattutto con lo slancio del cuore tra il “fanciullesco” e l'”astuto” (era pur stata un giorno, per Montale, la “volpe”, e continuava ad usare, per la
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corrispondenza, anche cartoline con l'immagine di una superba volpe …). Si è addormentata nella sua casa di Roma, lasciando una figlia, Oriana, e una sorella, Bianca. I funerali si sono svolti nella Chiesa degli Artisti, a piazza del Popolo. Per parlare dei suoi libri di poesie occorrerebbero altri libri (o quanto meno un Saggio molto lungo e particolarmente approfondito) ma qui non si possono non ricordare almeno alcuni titoli : Primavera a Parigi (All'insegna del pesce d'oro, 1954), Le acque del sabato (Arnoldo Mondadori Editore, 1954), Luna lombarda (Neri Pozza, 1959), Utilità della memoria (Mondadori 1966), ed altri libri tutti editi da Mondadori, quali L'occhio del ciclone (1970), Transito con catene (1977), Poesie (1979), Geometria del disordine (1981, Premio Viareggio), La stella del libero arbitrio (1986), I fasti dell'ortica (1996), La traversata dell'oasi (2002), La luna è già alta (2006). Numerosi altri libri di poesie sono stati pubblicati da Editori diversi (Crocetti, Pironti, etc.). Così come anche da altri Editori (Feltrinelli, Einaudi, Bompiani, Garzanti, etc.) sono state pubblicate sue pregiate Traduzioni. La Spaziani ha continuato a scrivere fino all'ultimo, instancabilmente. Perché se è vero che la sua ultima raccolta di versi, L'incrocio delle mediane, era uscita nel 2009, edita dalla genovese San Marco dei Giustiniani, è pur vero che stava portando a termine un'altra silloge. Ricordo che negli ultimi anni (dal 2005/ 2006 in poi) aveva desiderato intensamente di poter vedere tutta la propria produzione poetica raccolta in uno dei preziosi Meridiani della Mondadori. Non pensava alla morte, non la considerava più di tanto; nelle sue poesie c'era piuttosto il trionfo della Vita, anzi della Bellezza nella vita. Però voleva provare la gioia di vedere finalmente riuniti i propri scritti, soprattutto le proprie poesie, in un unico volume, a partire dalla citata silloge Le acque del Sabato, che ave-
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va visto la luce nel lontano 1954. Questo Meridiano è poi uscito, nel 2012, intitolato L'opera poetica e curato criticamente da Paolo Lagazzi. Mi ricordo che un giorno, alle soglie del Duemila, lei mi aveva detto “ Se scrivi al dottor Riccardi, salutamelo e ricordagli anche tu che sto sempre aspettando di vedere il mio Meridiano...” Non so proprio perché mi chiedesse questa cosa, lei che aveva già pubblicato tanto con Mondadori, e che non aveva bisogno di chiedere niente a nessuno, tanto meno a me che di fronte a lei ero praticamente nessuno (pur non essendo più un esordiente, poiché avevo cominciato nel 1952, ancora da studente, per poi pubblicare una raccolta di poesie nel 1969 con un giudizio di Diego Valeri , un'altra raccolta con prefazione di Giorgio Barberi Squarotti, e così via negli anni...). Eppure insistette, io scrissi al “pezzo grosso” Riccardi, alla Mondadori, “approfittando”...della situazione per mandargli in esame un mio libro di versi dattiloscritto, “Approdo in Liguria”. Riccardi mi rispose con una bella lettera, garbatissima, lodò la mia silloge e la mia poesia, ma infiorò la risposta negativa dicendo che, per problemi di programmazione editoriale della Mondadori, avrei potuto risolvere meglio il mio problema con un editore di... medio calibro. Credo di sapere il nome del poeta che aveva opposto il pollice verso al mio manoscritto, ma devo dire anche che non me ne importò nulla, non ne feci assolutamente un dramma, anche perché da molto tempo avevo capito come funziona il “misterioso” mondo della Grande Editoria commerciale nei confronti della stragrande maggioranza dei poeti contemporanei. Ma qui il discorso ci porterebbe lontano. Mentre la Spaziani avrebbe visto il suo sogno coronato dopo un'altra attesa di alcuni anni, al mio libretto provvide parzialmente lei, nel senso che, nella sua casa di Roma, ne scrisse la prefazione. Il libro sarebbe uscito nel 2006, per i tipi dell'ottimo Sandro Gros Pietro, cioè per la Genesi Editrice di Torino (risultando poi talmente fortunato da vincere diversi Premi Letterari). La prefazione della Spaziani, mi permetto di ricordare, comincia-
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va così : “ Alla poesia di Luigi De Rosa auguro che nel tempo continuino le discussioni avvenute a casa mia fra cinque o sei amici – tutti allievi delle Muse, come si diceva un tempo – che avevano visto su un tavolo una sua raccolta di poesie fresche di stampa in seconda edizione, Il volto di lei durante. Secondo la grammatica come si doveva leggere quel titolo ? Si trattava di un volto duraturo ? O a durare era tutta “lei”? Oppure voleva dire: quel volto che splende, ahimè, per tutto il tempo dell'amore, prima che “si stacchi la spina”? Oppure ancora, in un gioco di aggettivi e di avverbi, si trattava di un'allusione assolutamente maliziosa, affidata a una delle forzature o violenze o troncamenti espressivi cui è giunta tanta poesia, prose e titoli degli ultimi decenni come “ Un paese senza” di Arbasino...Non so se quella sera si sia giunti a qualche conclusione, né saprei dire quale preferisce l'autore, né se ce lo spieghi in un' edizione recente , del 2005, della sua raccolta del '90. Non è una curiosità di superficie, perché quel bellissimo titolo ha la moderna grazia dell'ambiguo e dello sfumato. Nel frattempo l'autore ha scritto molto, in poesia e in prosa, ha avuto importanti riconoscimenti, e ora dà alle stampe le quarantasei poesie di Approdo in Liguria...”. Tutto questo l'ho ricordato semplicemente per tentare di dimostrare di che pasta fosse la Spaziani nelle sue puntualizzazioni di poesia, e di poesia d'amore per giunta. E di come attribuisse immenso valore alla poesia e a chi la coltiva, e di come nutrisse fiducia assoluta nell'arte. Un giorno arrivò a dirmi che, nell'entusiasmo creativo, era arrivata a scrivere diverse poesie nella stessa giornata. Al che io ribattei che no, forse una, non di più, e naturalmente non ogni giorno. Al che lei aveva aggiunto stupita che magari, di liriche, ne aveva scritte anche dieci in un giorno, ma poi nessuna per una settimana... Ricordo che la poetessa Spaziani l'avevo conosciuta di persona a Bergamo, alla fine degli Anni Novanta, in occasione di un importante Convegno Nazionale sulla Poesia organizzato presso l'Università di Bergamo
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dal Cenacolo Orobico di Poesia (di cui allora facevo parte, e che era allora presieduto da un simpatico Docente di quell'Università, Gianfranco Gambarelli, autore di un libro uscito da Campanotto col titolo Anche i matematici hanno un'anima ?). La poetessa era alloggiata in un elegante albergo della Città Alta e, nelle pause del Convegno, facevamo continue discussioni sul fare oggi poesia, e sul ruolo della Letteratura in questo mondo globalizzato (e, per buona parte, disastrato). E lei, nonostante la non più verde età, era instancabile nelle puntualizzazioni su questo o quel poeta, su questo o quel movimento. In ogni caso, guai a toccarle Montale (per il quale ha fondato anche un Premio Letterario ed una Universitas Montaliana, con largo spazio per i poeti giovani). Il momento...critico veniva quando bisognava alzarsi dalla poltrona e fare un po' di cammino per andare a riprendere i lavori alla sede del Convegno. Allora si apriva in uno dei suoi smaglianti sorrisi, accettava il mio braccio e vi si affidava con rara eleganza femminile. Camminavamo così, lentamente, nella solenne bellezza della Città Alta, e il tempo sembrava, per me, essersi fermato. Quando giungevamo nella severa aula universitaria, gremita di studenti pronti ad ascoltarla senza fiatare, lei si trasformava, e nella declamazione dei propri versi dava fondo a tutte le sue energie. Specialmente quando parlava d'amore, suo argomento poetico preferito, si accendeva tutta. Negli anni successivi l'ho rivista anche in Liguria, a pochi chilometri dalla mia Rapallo, e precisamente in occasione del Premio letterario Maestrale, organizzato a Sestri Levante (Genova) da Alberto Dell'Aquila (presidente, allora, del Salotto Letterario San Marco). Era sempre piena di vita, di curiosità, di amore per la poesia.. Ricordava in pubblico anche le “rose” liguri delle mie poesie, la rosa rosa nel vento di gennaio, la rosa bianca nel sole di febbraio...”Le rose di De Rosa !” esclamava ridendo. E io ringraziavo, facendole un...baciamano che in certi casi non sembra démodé, nonostante i tempi che corrono.
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Desidero ricordarla, infine, con una SUA bellissima poesia dedicata proprio a una rosa, al simbolo della bellezza fascinosa e precaria che ci allieta prima che il mistero della morte ci ghermisca. Qui c'è tutta la Spaziani. Fra il mistero dell'origine e quello dell'eternità, in mezzo, la Bellezza e l'Amore. “Una rosa che sboccia Ibernati, incoscienti, inesistenti proveniamo da infiniti deserti. Fra poco altri infiniti ci apriranno ali voraci per l'eternità. Ma qui ora c'è l'oasi, catena di delizie e tormenti. Le stagioni colorate ci avvolgono, le mani amate ci accarezzano. Un punto infinitesimo nel vortice che cieco ci avviluppa. C'è la musica (altrove sconosciuta) c'è il miracolo della rosa che sboccia, e c'è il mio cuore.” Luigi De Rosa Il CANTO DELL’AMOR J’aime darti un beso lo so molto bene ότι σου αρέσω. Vorrei diariamente chiamarti, j’ai la pasión de parlarti. Amore amore, dammi un bacione, sulla bocca mia, ho trovato la vera ευτυχία! I would like to give you un fiore. Cuando no te veo me siento dolore. Έχω για σένα αισθήματα πολλά, desidererei fare con te πράγματα τρελά. Amore amore, dammi un bacione sulla bocca mia, το φιλί σου είναι αμαρτία! Είσαι il mio grande amore. Notre amor puó diventare superiore. Όταν δεν με κοιτάς βαθιά στα μάτια, il mio cuore γίνεται κομμάτια. Amore amore dammi un bacione, sulla bocca mia, το κορμί σου είναι αμαρτία! Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal greco della stessa Autrice
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BRUNO ROMBI: IL VIAGGIO DELLA VITA di Liliana Porro Andriuoli ’ apparso, per i tipi dell’Editrice “Le Mani” di Recco (Genova) il libro ricapitolativo di tutta la produzione poetica di Bruno Rombi, dal titolo Il viaggio della vita, che subito si presenta come un libro di molto rilievo dal momento che ci consente di avere una visione panoramica di un iter poetico che dura ormai da più di sessant’anni e che ha dato frutti sicuramente pregevoli per varietà e compiutezza. Tale itinerario ha inizio (se si prescinde da due plaquette di esordio, non antologizzate dall’autore) con Canti per un’isola (1965), un libro nel quale Rombi esprime tutta la sua nostalgia per la Sardegna, la patria perduta, dalla quale partì giovanissimo per approdare a Genova, in cerca di fortuna. “Un nulla è la magia del mio paese. / Solitudine colora l’ esistenza” egli dice in Primavera e in Morte del tempo soggiunge: “Ma, se andiamo lontano, / nostalgia ci conduce / sul nostro mare”. E’ questo però anche un libro di impegno civile, dato che in esso è denunciata la triste condizione che spinge i Sardi ad abbandonare la loro Terra per trovare altrove migliori condizioni di vita: “I giovani se ne vanno / ad ogni alba” (Autunno).
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A Canti per un’Isola fece seguito nel 1975 Oltre la memoria, un libro nel quale ritorna il tema dell’esilio in poesie come Alla mia terra, ma nel quale la voce del Rombi si fa più assorta e pacata: “Noi siamo / come fili d’erba nel vento” (Noi siamo). E s’affaccia qui per la prima volta in maniera diretta anche la tragica realtà della morte. Particolarmente toccante è In memoria del figlio Paolo, una delle sue poesie più riuscite, scritta in occasione della perdita di un figlio morto al momento della nascita: “Quanto mi costa, figlio, / questa tua morte / che si dilata nel tempo / e dura ormai da giorni sconfinati”.
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Venne poi Forse qualcosa (1980), un libro dall’andamento poematico, nel quale il verso tende ad assumere un movimento narrativo, scritto dall’autore subito dopo un intervento chirurgico il quale, sotto gli effetti dell’anestesia, compie come un viaggio nell’ Aldilà, dove, attraverso varie avventure, scopre alla fine Dio e “Il tempo del nostro mutare nell’ immutabilità di Dio”. In verità il contenuto della raccolta (“la summa di intuizioni che mi hanno arrovellato negli anni, tra contraddizioni ed errori”, come dice lo stesso autore nel Post scriptum al libro) era stato oggetto di lunghe meditazioni già in epoca anteriore all’intervento, anche se la sua stesura definitiva avvenne proprio in seguito ad esso. Nello stesso anno (1980) Rombi pubblicò, Enigmi animi, un libro di serrata sperimentazione linguistica, specie per l’originale uso di neologismi, quali “velopaco”, “oscurolunghe”, “erbato”, “tramontalba”, “ombrepallide”, “ederati”, “zollati”, “mirtati”, “brillucente”, ecc.; ma contemporaneamente un libro in cui più prepotente si avverte l’ impegno civile del nostro poeta, come appare evidente sin dalla poesia introduttiva, Preistoria: “Nunc omnia dirada / il fumo d’industrie / che fila un rito estraneo / ad ogni nostro scongiuro”. Si vedano a tale proposito anche Albe, quali? e Situazioni. Ma in realtà questo libro è molto più complesso di quanto possa a prima vista apparire, dal momento che nella stessa poesia eponima troviamo alcuni delicati versi di stampo intimistico, dedicati alla moglie Rosalia (“Amore, Rosalia, / … / Spero tu ignori per sempre / i sentieri di fuoco / … / A separarmi dal consueto gioco / eccoti l’ombra di uno sguardo”) e alla figlia Natalia (“Introversa cadenza di parole / instauri, o figlia, coi libri / muti alla tua solitudine”). Come ho avuto infatti modo di chiarire altrove1, malgrado la complessità dei temi che 1
Liliana Porro Andriuoli, Poesia intimistica e civile
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Bruno Rombi affronta nella sua poesia e la varietà stilistica che li contraddistingue, due possono considerarsi gli aspetti che meglio lo caratterizzano come poeta: quello dell’ impegno civile e quello intimistico. E nel filone intimistico si possono inquadrare i tre libri successivi, pervasi come sono dalla tristezza e dal rimpianto per la perdita delle persone care che ha privato il poeta degli affetti più intensi, quello della madre e quello della moglie: L’attesa del tempo (1983); Riti e Miti (1991) e Un amore (1992). L’attesa del tempo è da Rombi interamente dedicato alla madre, con la quale egli stabilisce un fitto colloquio in versi di ampio respiro, che fanno assumere alla silloge un andamento poematico: “Te ne sei andata con l’ avvento della Primavera, / fiorita a nuova vita serenamente, senza rumore, con discrezione. Ed il mistero è nostro, così come l’ amore che ci unisce più di prima, finalmente puro, senza compromessi”. Riti e Miti è invece suddiviso in due parti, la prima delle quali (Riti) è dedicata alla moglie da poco scomparsa: “Ed ora eccoci soli / come cani randagi / per le strade del mondo, / senza scopo la vita, / perché chi colmava le ore / lunghe dell’esistenza / non più ci sorride” (Ed ora eccoci soli). Nella seconda parte del libro (Miti) Rombi fa invece rivivere come fossero attuali alcune figure mitologiche in poesie quali Orfeo oggi; Crono e gli uomini; Io, Pallante; A dispetto di Thànatos. Leggiamo l’incipit della seconda di queste poesie: “Il Cielo non s’accoppia più alla Terra / notturnamente / e Crono divora tutti i figli / appena generati dalla madre” (Crono e gli uomini), dove è chiaro che il poeta ha lo sguardo rivolto sul proprio tempo se la poesia così seguita: “In giorni quali i nostri senza amore / temiamo vendetta dal Padre / sempre più intorta / nella scaglia di notte / che ci stringe”. Il libro però nel quale Bruno Rombi si
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confessa con maggiore immediatezza, rivelando appieno il suo animo è Un amore (1992), interamente dedicato alla moglie Rosa, che egli accoratamente rimpiange dopo la sua scomparsa. La voce del poeta si fa qui più lieve e sommessa nella piena del ricordo, toccando le corde più fonde della sua anima: “Ed ora come faccio senza te / a fare lievitare una carezza / e ad accennare appena a un solo bacio?” (VII); “Ecco ora un segno / dell’esser tuo presente / alla mia vita / nonostante tu sia molto lontana” (XII); “Ora lentamente tu ti perdi / nel mio abbandono” (XX); ecc. Al versante prevalentemente intimistico fa seguito quello del versante civile del libro successivo, L’arcano universo (1995). E che si tratti di una poesia civilmente impegnata lo si scopre facilmente da testi quali Non più il Calvario; Il girotondo che non amo; Sulla piazza; Bimbi negati; ecc. Citiamo dalla prima: “Non voglio risalire il Calvario / dove si spense la gioia / del Cristo fratello / e s’ accese l’appello alla vita / perché oggi la vita non s’ama” e dalla terza: “Li vidi tutti quanti sulla piazza / armati, e con corazza, / i folli imperatori del momento”. Altre poesie rivelano invece un evidente ripiegamento interiore, come Un clown in piazza, che così si chiude: “Un uomo solo resta nella notte, / un uomo che resiste con rancore / al logorìo d’un pianto quotidiano / giammai esibito, sempre trasformato / in lazzo acuto che gli rode il cuore”. Si vedano anche a tale proposito altre poesie come E poi piange; L’ oscura nemica; Il mio amore; ecc. S’incontrano però anche in questo libro poesie estrose, ispirate dallo spirito faceto di Bruno Rombi, portato talvolta a stupire per la sua estroversa allegria, come A Pedro e Garcia o Tamburi e trombe, che così inizia: “Bandaradan, tamburi / cornamuse e tamburi / tamburi e trombe”, ecc. Venne poi Otto tempi per un presagio (1998), un poemetto nel quale Bruno Rombi
in Bruno Rombi (Sabatelli, 1999).
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riprende il tema del viaggio, che compie partendo da un luogo concreto, i portici di Sottoripa a Genova, per seguitarlo in un paesaggio sempre più tormentato e irreale, nel tentativo di pervenire ad un Eden dove, superato ogni dissidio, divenga possibile ricostruire su nuove basi l’umana convivenza: “Ricomporremo senza dimensione / in passato, in presente e nel futuro, / il tempo del non quando e del non dove: / l’Eden felice del nostro nuovo incontro” (VIII). Numerosi sono in questo poemetto i richiami della Commedia dantesca che ha evidentemente ispirato il nostro poeta; così come le epigrafi che precedono ogni Canto sono tratte dai Quattro Quartetti di Thomas Stearns Eliot. A Nivola, cantore della Madre mediterranea (2001) è ancora un poemetto, nel quale Rombi tesse le lodi di Costantino Nivola, uno scultore sardo che ci ha dato opere di indubbio valore, in particolare ispirandosi all’ immagine della dea Madre, divinità comune a molti popoli mediterranei. I versi del Rombi ci offrono un’idea abbastanza precisa del significato della sua opera. Nuovamente ispirato al tema del viaggio è Il battello fantasma (2001); e come sempre accade in Bruno Rombi, questo viaggio diviene metafora della vita. I testi che formano questo libro sono generalmente brevi, tranne l’ultimo che costituisce un vero e proprio poemetto, il quale dà anche il titolo al volume. La silloge è percorsa da un sentimento di rinnovata vitalità ed energia: “Così inizia il viaggio / la mia avventura” (Io, mare); “Si ridesta nell’anima l’attesa” (Mattina di febbraio); “Tre alberi sembrano d’oro / nel porto antico” (tre alberi); ecc. Ed è seguendo “le rotte della speranza” che Rombi può “trovare la forza” per “ricominciare / il viaggio della vita”. Tsunami (2005) è un nuovo poemetto composto in occasione del maremoto del dicembre 2004, che portò morte e distruzione
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sulle coste dei Paesi prospicienti l’Oceano Indiano. Tale evento offre il destro a Rombi per esprimere in versi tesi e vibranti il suo pensiero sul mondo attuale, fondato sulla disuguaglianza e sullo sfruttamento dell’uomo sull’ uomo. Un libro in altre parole di denuncia civile. Come il sale (2007) costituisce attualmente l’ultimo libro2 di versi dell’Antologia, Il viaggio della vita, di Bruno Rombi e ci ripropone il versante intimistico del nostro poeta, non senza però alcuni momenti di autentico sdegno civile, in testi quali Ho raccolto le belle parole o Il cielo aperto sull’ Irak, mentre momenti di schietto ripiegamento interiore sono costituiti da poesie quali Il gioco con Dio e Amare a settant’anni. Terminata la lettura de Il viaggio della vita ci si avvede di aver trovato un poeta certamente valido e un uomo autentico, con i suoi scatti d’ira e i suoi trasalimenti; i suoi momenti di sdegno civile e i suoi ripiegamenti sull’anima, ma sempre genuino nell’ espressione dei sentimenti e ognora dotato di quell’estrosità e di quella capacità inventiva che costituiscono le caratteristiche peculiari della sua arte. Liliana Porro Andriuoli Bruno Rombi:IL VIAGGIO DELLA VITA (Edizioni Le Mani, Recco, 2012, € 20,00).
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Dopo il suo volume antologico, Bruno Rombi ha scritto un poemetto intitolato La saison des Mysteres, pubblicato n Francia nella traduzione di Monique Baccelli e con una Nota critica di André Ughetto. Tale poemetto costituisce una denuncia dei mali del mondo moderno, che vengono da Rombi fustigati con violenza. Protagonisti ne sono il giovane e il vecchio, che appaiono un po’ le controfigure di Dante e Virgilio e che intraprendono un viaggio che porterà il giovane, attraverso una presa di coscienza delle brutture che ci circondano, al loro superamento e quindi alla salvezza. Il testo è scritto con un linguaggio elevato ed è ricco di riferimenti colti e di elementi fortemente simbolici.
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I BAMBINI TRA LE MACERIE DEI BOMBARDAMENTI GIOCANO ANCORA:
'LA TRILOGIA DELLA GUERRA' DI ROBERTO ROSSELLINI di Ilia Pedrina
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L film, la sua sceneggiatura, le riprese, i montaggi, i rifacimenti, i tagli. Il film come prodotto finito profondamente preparato ed atteso. Il film come testo e contesto ripetibile nella sua completezza, là dove le immagini e le scene, riprese da destra, da sinistra, dall'alto e da ogni altra possibile angolatura, intendono portare e riportare ancora, dal passato al futuro, la testimonianza dello sguardo che le ha legate ed avvolte insieme. Il film come fenomeno che traccia gli eventi nella loro cruda, schietta, quotidiana dinamica di drammaticità. La 'Trilogia della guerra' di Roberto Rossellini, testo edito da Cappelli nel 1972, contiene per la prima volta raccolti insieme, tutti gli elementi che compongono la sceneggiatura di 'Roma città aperta', sulla quale Rossellini ha iniziato a lavorare nel Gennaio 1945, incontrando difficoltà insormontabili per il reperimento delle pellicole e quant'altro ed ora restaurato nel 2013 da Fondazione Cineteca di Bologna: tutti ricordiamo Anna Magnani che corre verso il suo innamorato Francesco, catturato dai nazisti e viene freddata dai colpi, così, sulla strada sotto gli occhi del prete, un Aldo Fabrizi dolce e drammatico ad un tempo, e del figlioletto, con Romoletto e gli altri bambini, che ac-
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compagnano la trama fino in fondo, fino a quando osservano dietro la rete, in gruppo, l'esecuzione di don Pietro. 'Paisà', del 1946, strutturato in sei episodi, quasi volti differenti di una stessa realtà italiana, quella legata al territorio che passa da un occupante, in ritirata, ad un controllo di truppe d'altro genere: uno degli episodi riprende la vicenda del militare americano nero, ubriaco, che si fa guidare dal bambino che ha la fisarmonica a bocca ed accompagna lui mentre canta un lento blues. I bombardamenti, le esplosioni, le uccisioni, per rappresaglia, per violenza di faida e di intestino, per diritto d'odio sono parte integrante del discorso sulla nuova libertà, tema ad incrocio di tanti lavori di Rossellini, che anche con questa pellicola privilegia la spontaneità della relazione, quella vista dagli occhi dei bambini, dei giovani delle ragazze che s'innamorano, dei militari, dei partigiani e dei fascisti. Dalla Sicilia su su fino a Napoli, a Roma, a Firenze, lungo il Po. Si, quei bambini che presto, molto presto impareranno a capire e a sopravvivere. 'Germania anno zero', del 1948, poesia della sofferenza provocata, dettagliata in riprese indimenticabili, come quando il ragazzetto, Edmund, dopo essere stato rifiutato dagli altri coetanei che continuano a giocare a palla tra le macerie, ha il cuore gonfio, attraversa strade e percorsi di macerie, guarda in alto e ascolta il suono dell' organo che proviene da una cattedrale e tutto intorno segnala la violenza e la brutalità di una distruzione che per ora è senza alternative, e che può essere testimonianza uguale e ripetuta per tantissime città d'Europa. Edmund, che ha una croce troppo pesante per le sue fragili spalle, si sta dirigendo verso altri stabili disabitati, in silenzio, lo sguardo dall' alto su quel mondo distrutto. Sullo sfondo, nel sonoro, il suo nome gridato da chi lo cerca. Non tornerà più a casa perché sceglierà il vuoto. Durante un'intervista reperibile su 'youtube' il regista si spiega e ritiene che il cinema deve svolgere una funzione socialmente utile, sul piano educativo e su quello della vita civile di relazione; quel cinema che nel suo farsi esce dagli stabilimenti e si mette in azio-
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ne lungo le strade, nelle piazze, negli interni dei palazzi tra scale e ballatoi e stanze; quel cinema che intende essere strumento nuovo per dire la realtà, per interpretarla dal lato dei fatti, degli eventi, delle circostanze e che dà ai protagonisti un ruolo vero, indiscutibile, ciascuno osservato e ripreso secondo un intendimento ben ragionato: poi le industrie del cinema verranno ad impossessarsi anche di queste modalità innovative, non paludate, ma è con questi lavori che la strada viene aperta. Sostiene Roberto Rossellini: “...Quando faccio un film, per un certo periodo l'accompagno, sono capace, ma non per tutti, di vederlo e di rivederlo quindici, venti, volte, poi improvvisamente non ce la faccio più neanche a guardarlo...quando c'è la proiezione di un mio film e mi invitano, io sto fuori nel corridoio ad aspettare. Non ho la forza di vederlo, ed è ormai da tanti anni che non vedo più né Roma, città aperta, né Paisà, né Germania anno zero.... sono i sentimenti quotidiani quelli che occupano di più il mio spirito. Posso comunque non ricordarmi i film, ma sono intimamente convinto che tra quelli e tutta la mia attività successiva ci sia un legame logico perché gli interessi che mi hanno sempre animato sono strettamente connessi... Lo sforzo che facevo era di prendere coscienza degli avvenimenti nei quali ero stato immerso, dai quali ero stato travolto. Era l'esplorazione non solo di fatti storici, ma proprio di atteggiamenti, di comportamenti che quel certo clima, quella certa situazione storica de terminavano. Anche allora sentivo il bisogno di essere ben orientato a capire le cose; ecco, questo è il punto, questo è quello che mi
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muove ancora oggi: partire dal fenomeno ed esplorarlo e far scaturire da questo liberamente tutte quante le conseguenze, anche politiche; non sono mai partito dalle conseguenze e non ho mai voluto dimostrare niente, ho voluto soltanto osservare, guardare obiettivamente, moralmente, alla realtà e cercare di esplorarla in modo che da essa scaturissero tanti dati dai quali si potevano poi trarre certe conseguenze... E se ora mi fa piacere sapere che vengono pubblicate le sceneggiature di Roma, città aperta, Paisà, Germania anno zero non credo sia un piacere né mondano né superficiale, ma perché, bene o male, mi sono sempre battuto seriamente per le cose che facevo e di conseguenza, a volte, ho sopportato il peso di dure incomprensioni, ma non per questo mi sono ritirato da quelli che erano i miei ideali, quella che era la mia lotta, tutt'altro.” (Roberto Rossellini: 'La trilogia della guerra', Roma città aperta - Paisà - Germania anno zero. Dal soggetto al film - collana cinematografica - Ed. Cappelli, Bologna, 1972, L'intelligenza del presente, pp. 13-15) Questo testo consente di tenere tra le mani elementi di un canto di sguardi tra amore che è istinto a salvaguardia della continuità della vita e tremore, terrore che è istinto di fuga dalla morte provocata e che improvvisa scoppia da ogni lato: le immagini riportate servono da filo e traccia che conduce ai momenti dei film che ognuno di noi ha nella memoria e che più hanno segnato la storia del cinema italiano. E pagina dopo pagina si entra nel tessuto connettivo del film che si sta costruendo, in fotogrammi, con indicazioni dei numeri delle sequenze e delle modalità di ripresa che rinnovano l'interesse per questa decifrazione senza intermediari. Un solo esempio, da 'Roma città aperta'. “662. P.P. La pistola viene puntata a sin. Sul capo di Don Pietro e parte il colpo. 33 -1''9 663. M.F. I bambini abbassano la testa. Inizio musica. 65-2''17 664. P.A. Don Pietro, la testa riversa, è morto. Si avvicinano il prete e gli agenti, mentre il plotone esce di c. a d. 114-4''18 665. P.P. Marcello, triste, china lo sguardo.
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53-2''5 666. P.P. Altri bambini abbassano gli occhi 75-3''3 667. (come 664) I due agenti controllano se Don Pietro è morto. Poi lo slegano 160-6''16 668. M.F. abb. Quasi tutti i bambini, di spalle, cominciano ad allontanarsi dalla rete. 62-2''14 669. M.F. Solo Marcello e un altro ragazzo sono rimasti accanto alla rete. L'altro ragazzo abbraccia Marcello e si allontanano insieme, di spalle, seguiti in pan. A sin. 219-9''3 Dissolvenza incrociata....” (R. Rossellini, op. cit. pag. 114). È il 1972 e il giorno 27 Dicembre gli americani bombarderanno Hanoi, nel corso della guerra del Vietnam: ho incisa nella mente l' immagine della bambina vietnamita nuda che corre disperata, il terrore negli occhi, o l'altra dei soldati americani intorno ad un corpo di bimbo steso a terra, uno di loro ha il coltello in mano, la punta a contatto con la pelle di quel giovane torace innocente. Luigi Nono aveva già scritto tra il 1965 e il 1966, su testi scelti da Giovanni Pirelli, 'La floresta é jovem e cheja de vida' , ma in questa circostanza, con Maurizio Pollini, insieme, denunceranno senza mezzi termini le violenze di questa guerra, aprendo così, con lettura di un appello, il concerto. Concerto che non avrà luogo. Ilia Pedrina
APPENDICE (La Vita) Il cuore si sparpaglia tra speranze, eventi, versi... come del sensibile riverso, intenso, intriso del servire, del fare, dell’offrire... Dolore-amore - ancestrale cariàtide, colonna antica, portante d’Acropoli... di solenni strutture e di sofismi aperti a giochi genici, variabili di parole acrobatiche, magari futili... stretti ideali, compagni atavici, sublimi, ligi, fedeli assoluti del giorno fuggente, infinitivo, mascherato,
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oltre il Tempo informale, intrigante nel vuoto inavvertibile, cespuglioso, avvolgente, viscido, inestricabile, torvo della palude, dell’inimmaginabile pensiero. *** Briciola, cara e buona cagnolina; compagna accorta... Delicata poggia bavoso il muso al passo tardo, lento della stagione cadente, a guisa di saluto... intimo bacio urente, tacito augurio di vita... e cancellare l’ansia, l’attesa obliqua, trepida... Tarda l’ora, l’istante decisivo... irreversibile, totem lontano, magico, intravvedibile... - benché niente di troppo, assoluto, di nuovo... triste lasciarsi, Briciola, allontanarsi nel momento più bello... nel meglio... nell’acme del bene... quando più ancora profondo, istintivo... si vivono remote, misteriose bibliche piagge assuefatte, di là ed oltre l’orizzonte... Comprendere movenze superbe, fantasmatiche... e sguardi penetranti, fedeli, acuti, vigili, meravigliosi, taciti... come il magico buio di Luna inconfondibile sul sonno dei fanciulli... Immaginarti in attesa, distesa, accovacciata, o ansiosa, con lo sguardo fisso e lontano... incerto, chissà, ai piedi d’un loculo distorto e gobbo, disadorno; d’una lapide spoglia, desolata... sul filo sibilante d’Eolo millenario... sino all’Eternità, estremo appuntamento consonante. Edio Felice Schiavone
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IL DIALETTO: FONTE PRIMA DELLA VITA di Leonardo Selvaggi I ’ESSENZIALITÀ dei sentimenti umani che non hanno tempo. Gli umori, la vicinanza alle cose, ai sapori. Commissione con l’ambiente, il sapido, l’ amaro, il dolce, il miele. Le sensazioni prodotte dagli alimenti naturali. La natura delle cose, l’intimo nostro. Il dialetto è alle radici delle nostre espressioni, dei moti spirituali e fisici in un insieme inestricabile, con naturalezza, integrità di forma e contenuto. Il nostro vivo ambiente, non c’è copertura o camuffamenti. L’essenziale, acqua pura, il cristallo che riflette le nostre sembianze. La casa, l’odore e l’umido delle pareti che sembrano avere sangue e respiro, il fumo e le ombre delle persone attorno al focolare. Uniti, come tenuti insieme, dalla vischiosità che è nel dialetto, pieno di labbra, di palato, di saliva, a volte chiuso nella bocca. Il mio dialetto è di un paese agricolo in limiti ristretti, denso di modi semplici dei contadini, con echi lontani mi è rimasto nell’animo. Io mi diverto a trovare legami con il greco antico attraverso le etimologie. Il dialetto rende l’azione, i modi, le assonanze, fa andare vicino ai nostri luoghi, fa vedere le cose minute, tutto ciò che non può fare la lingua livellata, meccanica, sempre più arida, schematica, muta, senza occhi, standardizzata, ridotta a scheletro senza fisionomia, quasi voce inarticolata, astratta. Fa trovare le nostre tracce, fa andare in fondo alle sorgenti. Lo troviamo nel sangue, nelle ansie, in un senso di sospensione nelle viscere e in un certo viluppo fibroso dentro l’ addome. L’attesa angosciata fa parlare il dialetto, che vibra per tutta la persona. Il dialetto si esprime quando meno si parla, quando ci si addolora, ci si esalta, quando cadiamo in prostrazione. Nei moti interiori, nell’istinto, nei bisogni di soccorso, nell’attaccamento alla vita, nella materialistica attrazione verso il rude,
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aspro, nelle sovrapposizioni esistenziali. Nel dialetto troviamo le necessità, i nostri luoghi amati, i momenti quando siamo nati, guizzanti, nudi, di distacco dalla placenta. Il dialetto è inestirpabile come il quartiere dove si è vissuti di una grande città, come il piccolo paese natio in un tutt’uno con i ricordi. Non è nostalgia, è soltanto sentirsi nel flusso delle vene, con i significati intrinseci, legati, amalgamati come croste su di noi, ossificati con la terra che ci appartiene. II Il dialetto ci fa stare nel particolare, quasi massificati con l’inserimento nella complessità dei rapporti e nelle matrici. Minimizzati, ma diffusi, per rivoli diversi, allungati, spaziati. Il dialetto è profondità, è voce sotterranea, sa di liquido, di sostanza, di pane nero, di biade, di terre arate, tra siepi, che si stendono all’orizzonte, che nel silenzio hanno le loro fisionomie. Ci fa stare fermi, ossia pienamente vitalizzati, spogli, vivi, radicati con l’ essenza delle cose. Significa resistenza, corteccia dura, al’intemperie senza limiti, con tutto ciò che è di tutti. I dialetti si uniscono, in continuità, con richiami reciproci alle antiche lingue, alla classicità. Il dialetto è naturalezza, è istintivo, complessità espressiva. E’ come avere una matassa nella mente che si dipana, si pensi alle commedie venete di Goldoni, alle donne protagoniste in particolare, ogni parola reagisce ed emette altro dire. Colori, oggetti visibili, insieme pittura e rappresentazione. E’ arcaicità, ha il senso della mitologia, delle metamorfosi, è panteistico, vive di antropomorfismi, consonanze, suono, è la radice forte delle lingue. La poesia ai tempi nostri disamorati, alienati senza colloqui, con sterili linguaggi, adulterati trova vita all’aria aperta che si respira con il dialetto, eloquio fluido e fecondo, vibrante di primigenio. Il dialetto ti porta a pensare tutto, è dotato di intuizione, come dire di moto spontaneo, di fine penetrazione. La mente con le parole dialettali ha una freschezza che sa di giovanili impeti, in libero flusso, si esprime, con la lingua. Spesso ha delle forme di occlusione. Il dialetto conosce
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la povertà, la semplicità, non gli abbellimenti, la contentezza del poco, la gelosia, l’ attaccamento alle cose, è legato alle consuetudini, noi siamo lieti di quello che vediamo, che ci passa per le mani. E’ voce che si porta in lontananza. Naturalezza sostanza pura, contiene visioni ampie sulla realtà, questo spiega la scorrevolezza delle parole confacenti ai propri pensieri. III Ha aspetto silvestre, flessibile come il giunco, diritto come un pollone, furtivo, agile, snello, scorazza all’aperto, coprendo superfici e rendendo feraci i luoghi di dimora. Il dialetto, terra e piante in una commistione di lingua e germogli. E’ la terra nei crepacci, negli avvallamenti, nell’umido degli anfratti, ove muschio ed erbe minuscole vivono ancora i momenti della Creazione. Esprime l’uomo sprofondato nell’amarezza, in quelle circostanze che sanno di tutto, di ilarità e di mestizia, di pianto e di visioni che ci incatenano. Avverte con la sua sensibilità i moti magici e la trasmissione di flussi magnetici, vede le relazioni tra sentimenti, persone e luoghi. Paura, superstizione, miseria dell’uomo, felicità e dolore insieme. Il dialetto ama la vita. I sentimenti di amore si tengono con lussuria in esultanza vitale: senza età è il dialetto, una primavera persistente che ritorna, nelle forme una morbidezza che si dilata e si sviluppa intorno. Predilige la gente semplice, i modi della immediatezza, conosce i patimenti e le privazioni, le pietre dei sentieri e i passi affaticati. I giorni stretti come catene che non lasciano passare i mutamenti voluti. Una figura amabile, lieta e melanconica, viene attorno, come un capriolo sui pendii, sollazzevole, fremente si affaccia dalle rupi. Non è soltanto il limitato, ha una intensità, una presenza discontinua, non ha la linearità della lingua, lo vediamo incolto, per lo più nelle campagne e nei paesi, ma anche nelle città, nei centri studi che ne esaminano la ricchezza, la sintesi e le capacità esplicative. Lo si sente nel fruscio fra le canne, vestito sulla sponda di un fiume di ruvidi panni di fustagno. Per i campi assolati, attratto dalla bel-
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lezza della Natura, in libertà, zampilla come acqua di sorgente. Il dialetto non ha cambiamenti, non si fa influenzare dai neologismi, come i ciocchi del focolare, tronchi resistenti con vecchia vita, indurita, pietrificata. IV Non si nasconde, appare con espressione modesta, sottovoce, fugge ostentazioni, lo avvertiamo nella sua sostanza vera con multiforme presenza. Come un reperto conosce tutto, passato e presente. Non è ipocrita, ti spinge a dire i fatti come sono, a scrivere come si parla, addensa nella sua natura espressiva coerenza e carattere, prende dall’uomo la parte più vera, superando i modi moderni, di aberrazione, di tergiversazione e di sotterfugi. E’ di coloro che spassionati dicono senza reticenze. Sembra una persona negletta, umile, va a rintanarsi in luoghi appartati. Immutabile, nato con un’esistenza uniforme, tutto d’un getto, è in parallelo e in unicità di costrutto con l’uomo, Il dialetto nella sua autentica esistenza, senza coperture falsificate, con la sua vitalità e il suo mondo di virtù, di laboriosità, con mezzi costruiti dall’uomo di intelligenza pura, al di fuori di adulterazioni. Il dialetto è spazio, vita insita in noi. E’ l’uomo nella sua integrità, con la lingua si hanno modi livellatrici, di sotto scopri la voce naturale, quella che si estende dappertutto, la trovi vivida, come germinazione spontanea. S’infiltra, si fa squillante in tutta la sua trasparenza. Il dialetto, come volontà e riflessione, è passionale, si accalora, si eccita, viene con dolcezza attorno, conosce di molti la parsimonia e l’ordine, vede gli oggetti come persone, li dispone collocandoli in posizioni vive, in modo che ti guardano fissi, immobili ti seguono. Schietto, pare con grinze, faccia scarna con sofferenze e giudizi pieni e nel tempo stesso con gote rosee, riso luminoso. Fa scrivere con sfumature, va per il sottile, con ritorni, con avidità espressiva, sempre non contento di quello che si fa. Mai soddisfatto, pensa di non aver detto tutto, di quello che viene afferrato dalla mente. L’eloquio abbondante che sa di floridezza, ha respiro ampio e la generosità delle mani
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che vanno incontro, detesta le parole aride, chiuse che adombrano un corpo privo di moti liberi, pallido, illanguidito. Si pensa che io scriva in dialetto, invece, porto il dialetto nella lingua, rendendola rigogliosa, con contenuti allungati e debordanti, come per rinsanguare e togliere la limitatezza dei movimenti. Il dialetto scorre come fiume straripante, tutta l’ acqua per i campi, tocca la superficie intera. Copre tutto, non c’è un posto che rifiuta. Il dialetto si espande, ha suoni ed assonanze, esprime con facilità tutti gli aspetti della vita, viene a trovarsi in ogni piegatura, è sottile, passa nelle strettezze, si rende flessibile. V Tra miserie, sentimenti forti che non hanno paura, fracassamenti, lotte sociali vive la storia dell’umanità nelle generazioni, tradizioni e costumi. Umorose le parole, dentro c’è tutto, amore, paziente attesa, tanta piacevolezza, briosità, pronti i detti proverbiali che vengono fuori nel momento, una saggezza ammassata, la vedi nascosta, tacita, ma salta subito, sveglia sulla bocca. La rettitudine, vuole che ci si comporti bene, si mantenga intatta la parola data. Il dialetto è la voce viva e attiva che non ha infingimento, che sente dentro la vicinanza con gli altri, tutta la naturalezza dei tempi passati, gli affetti la famiglia, il paese, la campagna e la Natura con gli animali e gli uomini. Ti spiattella, ridendo, tutto quello che c’è da dire, meglio essere maltrattato e avere insegnamenti che non considerato con modi falsi. La voce dialettale come un gesto, una smorfia, riesce a dire tutti i pensieri, è la voce del cuore, delle spaccature del nostro corpo, viene da ogni dove. Tutto l’insieme, l’uomo con le sue virtù, con l’amore verso il prossimo, con le debolezze, con le certezze. Noi parliamo, si può dire sempre in dialetto, anche se ci esprimiamo in lingua: quando siamo in noi, in solitudine, spersi, angosciati. E’ poesia dell’essenzialità, dei rapporti fra noi e il Creato. Va con le pulsazioni, corre nelle vene, passa per tutto il corpo ed esce come insaporito. La mente come un sacco si svuota, tutto dice il dialetto. Scintillante al sole, con
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la gente, con i fatti, leggende, caratteri, trova quello che desidera, non è laconico né ermetico. Mi vengono in mente le figure di Plauto, i visi ingenui e vivaci, sempre amabili. Si sentono voci per le strade, si vedono persone nei vicinati. Il dialetto tira tutto fuori, fa sentire, vibrare le radici. Cambiamo subito veste e aspetto se dalla lingua passiamo al dialetto, si lascia la posizione rigida per prendere quella disinvolta e sciolta. Il discorso si fa lungo rappresentativo, con gesti e sorriso, le formalità abbattute, un modo franco e gioviale. Dalla pelle che è pura sottile corteccia traspare sempre il semplice, il denudato. E’ scorrevole e limpido, pare ruscello fra le pietre nel silenzio del mattino fra i pini e i passeri lussuriosi in fermento. Un modo cordiale spinge a parlare: colloquio, intercomunicabilità, ascolto, insegnamento si prende da chi sa di più. VI Il dialetto nei paesi, nei borghi, nelle città perde sempre più vigore. L’immigrazione di stranieri ha prodotto sconvolgimento, sovrapposizioni che sminuiscono le varie identità locali. Il dialetto del tempo passato che continuiamo ad amare, rimasto in poche tracce, rispecchia le doti di umanità in tutti gli aspetti, sentimenti, rispetto per le persone, reciprocità di generosi apporti. I dialetti e la lingua si tenevano in un certo parallelismo, si rafforzavano a vicenda. L’uomo si ritrovava dentro con rettitudine e lealtà. Oggi con l’epoca tecnologica l’automazione porta via ogni forma di naturalezza, genera malevolenza che tiene irritati gli animi. Tanti divorzi fanno disgregamento. La violenza impera con diffuso materialismo e malcostume. Il disamore per la Natura rende svigoriti, dà solitudine e senso di frammentazione. Si vuole ricostruire l’ uomo con le sue antiche attitudini, le connaturate esistenzialità di vita. Il recupero dei dialetti che fa riavere interezza e immediatezza di sentire. Non si amano gli artifici, le parole dicono quello che si pensa quando hanno incisività, al di là della labilità della lingua che viene a mancare di radici, che si manifesta volubile, non tenendo quelle fondamenta
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fatte profonde di materiale misto, ammassato con ogni forza. La finezza di pensiero in lingua si rende spesso difficile, se si esprime viene con costruzioni studiate. Il dialetto trasporta pensieri con agilità, con un certo piacere, non ci si stanca di colloquiare, diversa la lingua è quasi traduzione, non è voce spontanea che arriva dalle latebre del nostro io. Arcaico, arcano, fatto di intrecci, essenziale, interiore, s’immette nei flussi che non si sanno da dove arrivano e dove terminano. Come una pianta con matrici e ramificazioni nel limo denso, un corpo sano e florido senza schematismi. Il dialetto che fa viva l’ espressività contribuisce molto ad alimentare la nostra lingua. Ha una istintività pura, senza dottrina e sovrapposizioni, sa indovinare, presagire, orientarsi. Il buon senso, la saggezza diffusi. Non c’è materiale metallico, fuso con più elementi, è omogeneo, limpido, una sola natura possiede, quella che fa parte della vita di comunità intere, in consustanzialità e in comunanza di intenti. Ha forti legami con la nostra identità, si è creato un luogo ridente, una felice oasi nel deserto, vivendo sperdimenti. In un tutto armonico ha raccolto la vita piena e fragrante. Denso di saggezza di popoli nel tempo e nello spazio, è la voce vera dell’uomo con il suo ambiente e le sue passioni. Oltre alle caratterizzazioni di costume predominano in gran parte nei dialetti del passato la sopportazione, il senso dell’ equilibrio, la speranza, il sapersi industriare nei momenti critici della vita. Tanta giocondità negli animi, non si abbattono mai, sempre una forza interiore li sorregge. Nella espressività dialettale tanto esteso l’ amore per la Natura, ci si sente aperti alla bellezza dei paesaggi, lo spazio è tanta vita. La passione di vivere è serenità, saper vedere lontano. Sempre lesti, con ordine si svolgono le attività di ogni giorno. Intelligenza fine dei contadini, contentezza, applicazione infaticabile nei mestieri. Il dialetto resistente nei secoli, oggi con il mondo rurale sfiorisce sempre più, in languide, sminuzzate tracce. Altre virtù, le vere, l’inganno, l’egoismo, l’ambizione che vedono il prossimo come preda da abbattere. La
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vita della gente di una volta, gran parte aperta e schietta, sapeva di genuinità, rara la negligenza come l’arroganza e le sconcezze trionfanti nei nostri giorni. Solarità, momenti idilliaci, sfolgoranti di amore e di briosità, pieni di aria frizzante e di cielo azzurro, La pace e la quiete sostituite da chiasso confusionario stanno per perdersi nel nulla. Abbiamo paesi che paiono reclusioni sperse in orgoglio e avvilente senso di noia. Con il dialetto parlato nella sua pienezza e originalità senza adulterazioni renderebbe la nostra lingua vivificata con espressività ricca, morigerata, priva di qualsiasi involgarimento. La vita ritornata rigogliosa, ampia, virtuosa, con dignità limpida e chiara senza ibridismi, senza decadimenti né disarmonicità nei modi di essere, sempre più vivo il senso di comunanza e di reciprocità, con rispondenze connaturali che fanno ritrovare imperative, le fondamentalità dei principi umani. Leonardo Selvaggi APPUNTO... GENETICO Assoluta vergogna, menefreghista e chiara, eccellente egocentrica la Scienza inoppugnabile, quando giustifica, facilita, promuove catastrofici mali, atroci sevizie, dettagliate, minute, inutili, cocciute, làide vivisezioni malvagie, incivili, selvagge, barbare, ferocemente strazianti: vile assassinio verace a Tavolino, allo Studio inumano, maramaldesco, torturante, sadico, storico... in nome dell’Homo Sapiens. Scherzo. Gioco ridicolo (o maligno?!) accettare, discutere l’inverosimile “Quid” della Scienza imprevedibile, oltre l’assurdo... Oppure, ...nel bisogno egemone - ahi noi! del saggio Homo Sapiens “Necessitate est”. Edio Felice Schiavone Santo Spirito - Bari
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CURIOSITÀ CULTURALI:
GLI AMERICANI E IL MAIALINO di Aida Pedrina
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A maggioranza degli americani ha sempre avuto una grande passione per le tenere e succulenti carni del maialino e in particolare per una delle sue parti più grasse: il Bacon (qualcosa fra lardo e pancetta). Da secoli il Bacon è essenziale componente della prima colazione Americana; il Bacon affumicato e soffritto fino a diventare croccante, è buonissimo e spande un aroma intorno da far venire l’acquolina in bocca: fin qui tutto bene.
Ma come al solito, quando certi americani sentono una grande passione per qualcosa, nessuno li ferma: si buttano a pesce per far conoscere, elevare, promuovere e soprattutto, marchetizzare l’oggetto della loro passione. Naturalmente, dato che qui si tratta di semplice carne di maialino, le cose diventano un po’ bizzarre; ma che importa, milioni di persone adorano il Bacon e allora perché limitare e soddisfare questo struggente desiderio solo alla prima colazione? Perché non fare gli appassionati del Bacon ancor più felici facendo possibile che il sapore e l’aroma del Bacon siano sempre presenti da mane a sera e perché no, anche di notte durante incontri romantici? E qui gli ingegnosi americani, abituati da secoli non solo a soddisfare sempre e senza
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indugi – o scrupoli – le loro passioni, ma anche a trovare modi inverosimili per godere ancor più delle cose amate, e soprattutto, per ricavarne un mucchio di soldini, impongono immediatamente il Bacon sul mercato. Prima di tutto arrivano le magliette stampate sul petto a caratteri grandi che vanno dal moderato: “I love Bacon”. Al più drammatico e angoscioso: “Eat Bacon or die” cioè: “Mangiar Bacon o morire”. Poi si pubblica un libro di ricette che pone questa sublime grassosità del maialino a un livello quasi artistico: “Fifty shades of Bacon“ cioè, “Cinquanta Sfumature del Bacon” (di Ben Mayre e Jenna Jonhson). Allo stesso tempo, sono creati il “Bacon Vodka” e cioccolatini ripieni di ganache al Bacon (Vosges Haut Chocolat). Dato l’ enorme successo di questi prodotti, il Bacon si fa sempre più strada spronato dagli interpreneurs americani che con grande iniziativa, si domandano: perché limitare il Bacon a solo cibo, bibite e dolcini? Ed ecco apparire in negozi specializzati “Archie Mcpee Bacon soap” ( saponette con profumo di Bacon); “Mr, Bacon’s Bacon flavored toothpaste” (dentifricio con sapore al Bacon); “Accountrements Bacon Lip Balm” (pomata per labbra al Bacon); ovviamente non può mancare l’ Acqua di Colonia: “Bacon fragrance by Fargginay” (profumo con fragranza di Bacon). E adesso viene il bello. Come se non bastassero queste stranissime prove della loro passione sfrenata, gli amanti e promotori del Bacon tutti presi da sublime intuizione e alata creatività, decidono di estendere il fascino del Bacon non solo alle dimore: “Boss Baconscented Candles and Air Fresheners” (candele e profumo rinfrescante per le stanze all’aroma di Bacon), ma anche — e qui si cade nel grottesco — all’intimità personale: “J &D’s Baconlube Massage oil and personal Lubricant”, cioè: “Olio per Massaggio e per Lubrificazione intima”… Se lo sapesse il maialino! A questo punto, salterà senz’altro agl’occhi che, per la maggioranza, il buon gusto, la dignità e la moderazione non hanno posto onorifico nella cultura Americana: VERISSIMO!! Per fortuna, il successo delle iniziative
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pazzesche e i loro assurdi e inutili prodotti come questi del Bacon - e ce ne sono a migliaia!- è di brevissima durata; gli americani, in generale, sono molto volubili e si stancano presto di qualsiasi cosa: in men che non si dica, si sentono annoiati a morte di tutto ciò che era e faceva parte della loro GRANDE PASSIONE; se a qualcuno venisse in mente di chieder loro: “E il Bacon?” questi amanti appassionati direbbero: “What bacon?” “Oh, that is old already!” (Quale bacon? Ah, ma quello è già cosa vecchia!), e subito ricomincia la perenne corsa verso il nuovo; nuove idee bizzarre, nuovi prodotti inutili, nuove struggenti passioni. Addio maialino! Aida Pedrina
LA BELLA POESIA La bella poesia quando la leggo mi scorre nelle vene come il buon vino, che mi scalda quando lo bevo e mentre il vino genuino mi scalda il corpo, la bella poesia mi scalda l’anima e mi fa bene al cuore. Mariagina Bonciani
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GUERRA CIVILE
Guerra senza un pizzico di romanticismo. Paure dentro le trincee. Le parole escono morte, spente dalle labbra. Gli elmetti e le armi buttati fino al punto di non vederli più. Topi enormi, sporchi, neri, divorano le carni dei soldati feriti che sono moribondi dentro lo smog. Mosche cavalline sputano veleno nelle ferite di quelli che aspettano soltanto la morte. Guerra! Orrore! Paura! Le reti metalliche legano strettamente i miei sogni. Vogliono strangolarmi. Visi illividiti e sudati, sotto la luce del grande sole che copre tutta la volta celeste. La mia bocca è secca! Non riesco ad articolare nemmeno una frase semplice. Chiedo solo un papavero tenero e tutto rosso, dentro il grigio orto del mio cuore. Misericordia!
Milano
CITTÀ DI NEVE Arabeschi grigliati imbrigliano i tetti tu bella ed elegante ti rivesti di luce come una sposa. Attendi l'ora più bella. Le tue guglie svettano preziosi gioielli ricamati di cristalli. Sei nel cuore o città di neve. Adriana Mondo Reano, TO
Il vento boreale pieno di freschezza, tira fortemente per scacciare per sempre la guerra civile della mia anima. Porta la promessa della regia della serenità in una pace eterna. Chi vorrebbe parlare adesso in modo prolisso degli avvenimenti brutti dell' età dell'adolescenza? Dobbiamo per sempre essere grati dell'oblio dei brutti istanti passati! Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di: Giorgia Chaidemenopoulou
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AL SIGNORE SCONOSCIUTO di Raffaele Cecconi Sconosciuto Signore a cui dobbiamo ciò che è stato e forse sarà quando sarà giunta infine l’ora di partire lascia ch’io porti con me il sorriso delle persone amate come un ricordo da serbare per l’ultima volta nel paese del freddo. Con un bacio a chi resta.
IL POETA GRACILE Mi piacerebbe ogni tanto vedere i poeti, soprattutto coloro che si considerano tali, non in giacca e cravatta, maglione e blu jeans, quando parlano davanti a un microfono con l’aria di sacerdoti ispirati. Mi piacerebbe vederli a casa quando sono in mutande e si lavano sotto la doccia non più superbi dispensatori di eloquenza ma poveri pennuti privi di ali. Ridotti al minimo i loro discorsi, spesso conditi da vane sonorità, potrebbero finalmente mostrarsi per quello che sono: dei semplici uomini ricoperti di stracci buoni spesso a nascondere miserie. Mi piacerebbe insomma vedere il poeta nudo. E’ forse così che ha voluto dipingerlo Luca Signorelli nel notissimo inferno del Duomo di Orvieto. Anche se qui, uomini e donne, appaiono forti e muscolosi nella loro dannazione. Mentre il poeta nudo, privo di questo vigore, io lo sento diversamente debole e gracile. A volte lo vedo addirittura smarrito in un proprio inferno. Oppure se preferite, in un paradiso di parole pronte a disperdersi.
VENEZIA IN AGRODOLCE Per molti aspetti Venezia dà spesso l’idea di una vecchia prostituta. Ricca di mirabili palazzi, di musei e opere d’arte, è anche imbruttita da una quantità di negozi che vendono
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paccottiglia ad uso turistico accanto ad altri che offrono abiti firmati destinati a una minoranza di tacchine di lusso. Boutiques e pizzerie, ristoranti e agenzie di viaggio, fanno di Venezia una vetrina dove ogni tanto per ragioni di quattrini, più che di cultura, s’inseriscono manifestazioni internazionali. Lo straniero infatti a Venezia è di casa da sempre. Eppure nonostante l’ internazionalismo la sensazione è che questa città sia dominata da una mentalità ristretta. Sarà colpa dell’insularità. Certo i veneziani sono isolati da secoli e questo si riflette parecchio nel loro carattere. Gli uomini più dell’amicizia praticano un’epidermica bonarietà che si esaurisce di solito con la sosta all’osteria. Si beve un’ombreta insieme, cioè un bicchiere di vino. E molto più in là non ci si spinge. I rapporti umani sono spesso superficiali e nella casa di un veneziano non si è invitati facilmente. Il popolo nel parlare ama la scurrilità e manda volentieri a ramengo i morti o li mortacci tuoi come dicono a Roma. Se poi osservate le veneziane quando fanno gli acquisti mostrano spesso, non tutte naturalmente, modi e toni sfiziosi. Gli stessi negozianti veneziani dicono dei loro clienti che sono rognosetti. E questo giudizio sentito tante volte è significativo essendo un voto dato da cittadini a concittadini. Dopo cinquant’anni che vivo qui devo riconoscere che questa città mi ha dato molto non solo con le sue pietre e i sortilegi prospettici. Si tratta di una città che amo anche perché è sull’acqua. Perché nelle sue calli per fortuna non vedo automobili. Anche se poi, malgrado questi lati per me positivi, non mi riesce sempre di essere indulgente nei confronti del veneziano medio. Perché dal mio punto di vista il veneziano medio pecca sovente di faciloneria. Erede di una tradizione e di consuetudini che nei secoli fecero di Venezia un grande emporio, una città di mercanti e meretrici, gli è rimasta nel sangue un’apatia levantina insieme a una grandeur ostentata e a volte gigionesca. Al di fuori di Venezia, dicevano i nobili di una volta, i signori, tutto il resto è campagna. E davano a questa parola un senso
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chiaramente spregiativo. Il buon Goldoni, e lo nomino con rispetto, credo che perdonerebbe queste mie osservazioni. Io penso infatti che il veneziano medio, per il temperamento e la chiacchiera, fraternizzi abbastanza agevolmente con un napoletano, ma meno facilmente con un dalmata come me. E qui, parlando appunto da dalmata, devo dire che Venezia in questo senso, la Serenissima Repubblica, non solo ci ha dato molto ma moltissimo. Perché i veneziani, al di là dei loro difetti, hanno avuto certamente anche tanti meriti. Nessuno lo nega. Infatti per aver creato tanti palazzi, tanta ricchezza d’opere d’arte, significa che sono stati molto abili e intraprendenti. Evidentemente hanno saputo amministrasi e lottare. Hanno saputo sviluppare i loro commerci e i loro traffici: rubando talvolta, a piene mani, come del resto facevano anche altri perché con la sola modestia e parsimonia nessuno si arricchisce, nessuno cresce, nessuno brilla e passa alla posterità. Se accade è solo raramente. Ma questa, possiamo concludere, è la storia di tutte le conquiste e di qualsiasi grande civiltà d’Oriente che d’Occidente. Raffaele Cecconi
PER GLI ALTRI CHE VERRANNO Emanuela, Clelia ed io, al tuo annuncio, “Gran gioia!” abbiamo saputo solo dirti. Non un bacio, un abbraccio. Blindati, come sempre, alle effusioni, al canto degli affetti. E’ stato ed è così con i figli, con Riccardo, per i quali darei anche la vita. Ho pregato e prego Dio per gli altri che verranno. Domenico Defelice
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LA VITA SPACCATA A METÀ Al razionale rimani attaccato, sei dentro il filo spinato: non passi avanti chiaro e deciso, tanto spazio possibilità tagliate. L’irrazionale fa andare di soppiatto, tergiversando nei luoghi attorcigliati come verme sottile. Non ti vedi, sfuggente tra ombra e luce camaleontico. Questa vita spaccata a metà, nel razionale rimane ferma, uguale sottile, condotta ordinata, spostamenti non si fanno. Paradosi non ci sono che portano ai fatti colpevoli. Sopra lineari superfici naturali azioni. Tutto entro i limiti che contornano il cammino sempre voluto. All’aperto, ai confronti la parola estesa. Il razionale riafferma la sua natura, non muta il carattere, la forma non si scompone. Non esiste varietà di anni vissuti, resistenza a dare quello che si vede. Con presenza subitanea si amplifica l’uniforme comportamento. Tutto dentro travasato, insieme unito deterso, atti combaciati in cerchio coprono le fosse. Contatti giusti senza occhi bianchi di felino. Il seme sulla terra a prendere il suo sviluppo, ci si incontra, ritornati a vedersi di fronte. Leonardo Selvaggi
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 2/8/2014 Sulle spiagge, la gente si indigna se un bambino gioca sollevando sabbia o facendo un po’ di rumore; nessuno si scompone se, a correre e a sollevare sabbia, è un animale. Alleluia! Alleluia! Veramente un’estate da cani! Domenico Defelice
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I POETI E LA NATURA - 35 di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
VITA E POESIA IN SANDRO PENNA ( 1906-1977) LA CONSOLAZIONE DELLA NATURA
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er la maggioranza degli uomini la vita e la letteratura (meglio, la poesia) sono due cose diverse, anche se a volte possono incrociarsi, o addirittura abbracciarsi. Ma per alcuni la vita e la poesia coincidono a tempo pieno. Il primo esempio che mi viene in mente è quello del famoso critico letterario Carlo Bo (Sestri Levante 1911 - Genova 2001). Secondo Bo, Autore della Storia della Letteratura Italiana edita dalla Mondadori, e collaboratore del Corriere della Sera fino alla morte, la Letteratura senza la Vita non ha a-
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nima, e la Vita senza la Letteratura non ha nessun senso (Diario aperto e chiuso 1932/ 1944). Anche Sandro Penna, nato a Perugia il 12 giugno 1906 da famiglia borghese, avrebbe voluto fortemente che poesia e vita andassero d'amore e d'accordo. Ma per lui tra le due cose c'era un vallo invalicabile. Quando scriveva poesie ( o ne parlava) era felice. Ma nella sua vita di tutti i giorni dominavano tristezza e delusione, solitudine e angoscia. Il fatto è che il ragioniere di Perugia non riusciva a far andare d'accordo le due cose come avrebbe fatto il ragioniere di Genova (Montale). Anche se non è affatto sicuro che per Montale tutto filasse liscio. Anzi. Il fatto è che Penna non era soltanto un poeta di primo piano, ma anche un omosessuale dichiarato che voleva essere accettato per tale in ogni circostanza, e poiché la società del tempo (e non solo quella degli Anni Trenta) non lo accettava, egli rifiutava sdegnosamente di integrarsi in una società che lo respingeva. Non era certo un bel vivere. Solo la Poesia lo aiutava a stemperare il dolore quotidiano. Ed era già molto, anche se per lui era sempre troppo poco. La storia è piena di poeti, scrittori e artisti di fama omosessuale (basterebbe citare Saffo, Shakespeare, Oscar Wilde, Pasolini...e tanti altri). Ma forse pochi hanno sofferto come Penna per il rifiuto sociale di un certo “ostentato” erotismo (in poesia) nei confronti di giovanissimi (come se la poesia e l'arte greca non fossero mai esistite...). Ne conseguiva che lavorava poco e straccamente, scrivendo saltuariamente e precariamente per qualche giornale o rivista, o addirittura facendo vari mestieri. Arrivò perfino a provare la miseria, tanto che qualcuno, impietosito, giunse a chiedere un sussidio economico pubblico che lo sollevasse da tale stato. Un esempio del potere consolatorio che sul suo animo ipersensibile veniva esercitato dalla poe-
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sia lo troviamo in queste due liriche. Volutamente brevi, ma intense, non ermetiche ma chiare e intelligibili (come quelle del suo poeta più ammirato e sincero amico, il triestino Umberto Saba) : “ Il mare è tutto azzurro Il mare è tutto azzurro. Il mare è tutto calmo. Nel cuore è quasi un urlo di gioia. E tutto è calmo.” “Notte : sogno di sparse Notte: sogno di sparse finestre illuminate. Sentir la chiara voce del mare. Da un amato libro veder parole veder sparire...- Oh stelle in corsa l'amore della vita ! “. Luigi De Rosa ___________________________________ ___________________________________
COME OCEANO Come oceano mormora e s'increspa strana sinfonia. Tesse il sogno fanciulla ignara bianca regina. Luce e gemme da lecci e platani perduti sensi. Una farfalla blu é morta nella pioggia un triste giorno. Raggi dorati trafiggono alberi breccia sui rami. Piccola onda attratta dalla viva lambisce sabbia. La brina scioglie gocciolano le foglie
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gelida neve. Notte d'agosto ebbra di guizzi scalda la luna. Nuvole nere sfarinano in cielo briciole d'oro. Adriana Mondo
LA PUREZZA DEGLI OCCHI Siamo rimasti come prima. Nulla ci ha toccato, l’orgoglio e l’inflessibile contegno. I malevoli hanno riso sulle lacrime cadute nella polvere e dove più le amarezze erano secche e bruciate. Escrementi buttati sopra le mani rotte e doloranti per tutte le angustie passate e i malesseri di anni lunghi. L’indolenza ha tenuti quelli venuti dopo, spinti da nessun movimento, fermi hanno dormito per terra, ora sono avanti. Tutto hanno saputo afferrare dai mutati costumi, vuoti l’intestino, il cervello e la faccia dura. Non ho trovato gli asini, amici allora degli uomini. Contenti di essere nati, i tempi usciti da albe primitive sapevano di purezza del viso e dei pensieri il candore. Le strade con le fosse di terra battuta. Gli occhi si guardavano rimirando legati, fermi con vicinanze in cerchio alle appartenenze intorno. Lucentezza nell’aria, in noi attoniti e felici una sola anima correva dentro. La vita ci era limpida e leggera, quasi l’uno dietro l’altro si andava insieme. Smembrati si vive, l’angoscia miseria morale e solitudine porta, l’uomo che muore, nell’aspetto individuale non lo incontri negli occhi, neppure lo vedi vicino. Leonardo Selvaggi Torino
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(Disegno di Serena Cavallini)
Recensioni LUCA CANALI ANTICLIMAX Biblioteca dei Leoni, Treviso, 2014, € 12,00 L’otto giugno 2014 è morto a Roma Luca Canali, noto latinista, poeta, narratore e saggista. Era nato in questa città il tre settembre 1925, dove si era laureato con una tesi su Lucrezio, relatore Ettore Paratore, di cui è stato assistente. Profondo studioso dei Classici, ha scritto saggi molto importanti su Cesare e Lucrezio ed ha ottimamente tradotto Virgilio. E’ stato anche un valente poeta, autore di numerosi libri di versi, scritti con differenti stili. Le sue principali raccolte sono: Un’ altra stagione (1959); La deriva (1979; Il naufragio (1983); Toccata e fuga (1984); Giuro di dire (1985); Fasi (2002); Alla maniera di (2006); Lampi (2011); Su di me fuoco amico (2012). Molti sono anche i suoi romanzi, più direttamente autobiografici, di cui ricordiamo: La Resistenza impura (1965); Il sorriso di Giulia (1979); Autobiografia di un baro (1983); Spezzare l’assedio (1984); Amate ombre (1987); Diario segreto di Giulio Cesare (1994); Nei pleniluni sereni (1995); Pietà per le spie (1996); Cronaca di follie e di amori impossibili (2004); Fuori dalla grazia (2008); L’interdetto (2009). Ha pubblicato inoltre La dismisura (1993), uno studio di poetica letteraria e nello stesso anno, ha curato una imponente Antologia della poesia latina. Ha insegnato, dapprima a Roma e poi, per quindici anni, letteratura latina a Pisa, prima di abbandonare la cattedra per una grave forma di nevrosi.
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Di lui è da poco uscito nella Biblioteca dei Leoni, con prefazione di Paolo Ruffilli, un libro di versi dal titolo Anticlimax che costituisce il suo canto del cigno e sul quale perciò vogliamo un poco soffermarci. E’ questa una silloge composta da testi che fermano vari momenti di vita dell’autore, da lui trascritti sulla pagina con singolare abilità e che paiono espressione di una difficile condizione esistenziale. Si tratta comunque di una poesia che s’ impone alla nostra attenzione per la sua ferma pronuncia e per la lucida forza del dire. “Non illudermi con fiabe di girifalchi / su rotte dalle larghe scie..” (Un’allegra disperazione I); “Turbina il caos nel candore / d’una magnolia” (Ivi, V); “Tentazione è la falsa umiltà / di guizzare come trote fra i ciottoli / nell’acqua d’un torrente” (Ivi, VII). Particolarmente efficaci sono in questo poeta, che è anche un validissimo studioso del mondo classico, certe poesie che a quel mondo si ispirano, come Enea, che viene presentato con brevi tratti significativi: “Prigioniero dell’involucro dei doveri / … / con le dita del figlio in pugno / … / Solo nelle tempeste / … / credette di essere / libero di scegliere il rito / dei gesti…”. Si veda anche Turno che nasce dalla stessa radice ispirativa. Con un simile linguaggio, quanto mai incisivo e convincente, affiora qui la natura, nelle sue crudeltà e nei suoi momenti di calma: “La vipera striscia con tenerezza / a guardia dei suoi nati”. E c’è anche la frase che assume il valore di una sentenza: “La morte / non conosce grandezza se non nella sua solitudine” (Ivi, XII). In questo libro dalla varia tematica trova posto anche l’invocazione a Dio: “Signore risparmiami il calor bianco / della follia, concedimi le basse tensioni / tra l’omicidio e l’ascesi…” (XV); “Signore, aiutami a vivere / nell’assenza d’oblio e nell’oblio / della consapevolezza” (XVI). Poeta colto, Canali rivela talora l’eco delle sue molte letture, come avviene nelle poesie di Un’ allegra disperazione, la sezione in esame, che trae il titolo dalla poesia XXI, la quale inizia: “Piove con allegra disperazione / sui binari della STEFER” e che subito richiama alla mente la “serena disperazione” di Umberto Saba, nonché la “straziata allegria” di Giorgio Caproni. Nuove e corpose sono inoltre in lui le immagini, come: “Meduse assonnate dalle rosse palpebre” (XXII); “davanzale in un linguaggio / di seleniti” (XXV); “angelo dei buldozer” (XXVI); “mattutine / serenate della morte” (XXIX). Talora poi il suo verso si fa più agile e fluido, come avviene in Alla notte, dove leggiamo: “Nobile notte dal materno / grembo / … / Tu patria / dei
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sogni e degli insonni / rovelli dello spirito e dei sensi. / Anche morire in te è più facile / che nel tuo estroso, berciante, / carnevalesco fratello, / il giorno”. E’ questa una poesia della sezione Ultimi versi agli uomini, dove troviamo anche un’altra poesia dal contenuto più lieve, Tramonto: “Grigie coppie di anziani / a brevi lenti passi / s’avviano – l’uno al braccio / dell’altra – su vie diverse / che tutte conducono a un’unica, imminente / fine”. Le amanti è una sezione nella quale s’incontrano donne volitive e impudiche, dotate di una prorompente vitalità, caratteristica che le contraddistingue e in un certo modo, pur con le dovute differenze, le accomuna. Personaggi, animali, piante contiene poesie dalle quali emergono figure di uomini di Lettere o piante e animali di cui è colta la peculiarità, come avviene di Pietro Aretino, che “fu unico … / a trasformare in cristallo / purissimo il fango / dell’osceno, passando al / calor bianco di una / travolgente catarsi / verbale” o di Giuseppe Gioacchino Belli, “allucinato, / atrabiliare genio della lingua”, il quale si servì di uno “stupendo” dialetto “che mai / nessun volgo ha parlato”. Vengono poi gli animali, come la starna, spiata dagli “occhi cupidi” del cacciatore, “lo scarabeo suicida” che “zigzaga sull’asfalto” e gli “splendidi fiori” che agonizzano “recisi e stretti in un / vimine” per la delizia degli uomini; ecc. E per finire chiude il libro, con forti, vivide immagini, come quella di un incidente automobilistico avvenuto durante una gara: “Al penultimo giro / di pista sulla / dirittura proprio sotto / il palco d’onore il pneumatico / sinistro esplode…” o quella dell’ amico creduto vivo e che era invece “trapassato da due / anni suicida” o ancora quella del feretro che “buca / l’assolato mattino di gennaio”. Ma si veda anche: “Oh il bacio rapito dietro / un capitello corinzio…”, che tocca corde più lievi. Sono questi i suoi ultimi versi e si può ben dire che egregiamente lo rappresentano nella sua intima personalità, complessa e tormentata, lucida e ironica, pietosa e crudele; capace di vedere con acutezza di sguardo nel groviglio misterioso della vita per trarne con arte sottile alte parole e profondi pensieri. Elio Andriuoli
COLLABORATE E ABBONATEVI SOLO ON LINE, senza, cioè, la copia cartacea. In periodo di crisi, risparmiamo carta e denaro.
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ROCCO CAMBARERI PENSIERI DEL SABATO Antonio Carello Editore, Catanzaro 1983, Pagg. 48, Lire 5.000 Pensieri del sabato è raccolta del poeta calabrese Rocco Cambareri, 36 componimenti senza titolo, ma numerati, quasi per lasciare al lettore di scoprire il non detto. O forse, chissà, sarà stato per scoprirsi egli stesso, poiché fin dall’inizio sembra non partire ma essere giunto ad una considerazione: “da quando sciacquo e risciacquo/ pensieri in un lavabo.” Egli procede descrivendo le sue riflessioni in pochi versi, con tinte che rivelano stati psicologici di chi affronta la quotidianità preso da ansie; si vorrebbe interrogare il futuro, ma occorre essere concreti. Sembra che attanagliati da pensieri ispidi fra le strade di Madrid, desideroso di quiete naturale, gustata da bambino, in cui si vede rinascere. La felicità sembra a portata di mano, ma è fuggevole, qualcosa lo impedisce, come una pena mortifera che ci portiamo dentro. Ne dà la motivazione: “M’annero perché vivo,/ mi rodo perché amo.” (20) un passo razionale, quanto lirico, che rivela la chiave di lettura della sua poetica, ma anche una sottile verità sul comportamento umano rassicurante, pur nella propria sofferenza. Una caratteristica versificatoria è l’uso dilettevole delle parole che servono come contrappeso agli “specchi deformanti” dei pensieri. Come un ritrovarsi nello stadio di Santiago Bernabeu o alla corrida nell’arena; forse insegue un’ombra sulle Ande o tra le Sierre, luoghi che lo separano da Lisbona: “È vespero e m’è dolce/ tracciare sillabe d’amore,/ caparbio interesse stuolo/ di sogni o versi straziati,” (31). Ma i sogni volano e svaniscono diventano parole che volano come quelle sigle bisillabi trasmesse dalla radio Nato ed Onu, Eni, Iran e Ira; egli invoca una parola semplice rassicurante, altrimenti preferisce il silenzio su questa Terra che definisce uno “sbadiglio dell’Universo.” velato e confuso, con sprazzi di luce in cui rivede “Gesù/ che roso sanguina/ nell’orto del Getsemani.”, e la vita continua. Tito Cauchi
DOMENICO DEFELICE GEPPO TEDESCHI Le petit moineau, Roma 1969, Pagg. 74 Domenico Defelice nella premessa al saggio Geppo Tedeschi, dichiara che in occasione del 60mo compleanno (1967) del “più grande poeta della Calabria”, scrittore fecondo di opere poetiche e di
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prosa, ha riunito propri articoli, precedentemente pubblicati su riviste, in sei capitoli. E, in seguito, vi ha aggiungendo una trentina di pagine riguardanti “Cento e più giudizi” sulle proprie opere. Riferisce che Nino Pensabene giudica la poesia del Tedeschi “vitale sostanza, ricerca e mezzo di espansione spirituale” (pag. 9). Il Nostro svolge uno studio che meriterebbe, dico senza esagerazione, di essere riproposto, unitamente al Poeta, suo conterraneo: ottime le analisi, struggenti le poesie. Riflettere sul libro, comporterebbe una maturazione interiore, educazione ai sentimenti e, non meno, farebbe formazione poetica. Domenico Defelice apre intrattenendosi su tre momenti lirici, dei quali non posso privarmi di citare almeno gli inizi, a pag. 10: “Il vecchio mandriano, curvo più de l’orizzonte, avanza sulla strada
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maestra e polverosa. Avanza mugolando ordini a l’ armento che, spesso, si sbranca” (G. T., Nuvole e polvere); “Il vasaio, disteso supino sul vuoto carro, torna, lieto, al paese.” (G. T., L’anfora incrinata); e “Un contadino, dalla testa calva e lucida come un sasso di ruscello, zappetta un filare di melanzane.” (G. T., Salire, salire). Così da meritare, Geppo Tedeschi, di essere definito “l’usignolo dell’ Aspromonte”. Domenico Defelice con ammirazione dichiara di non avere timore di ripetersi nell’ affermare che “nelle sue liriche v’è tutta la purezza incantata di uno sguardo innocente” (13) di un animo capace di mantenersi fanciullo. Spesso i suoi soggetti sono animali come a significare la sua “repulsione a rivolgersi all’uomo” (14), le cui descrizioni li fanno saltare dalle pagine stampate, come nel caso rivolto all’amico pittore scomparso Lorenzo Viani: “Singhiozzarono/ i tuoi pennelli,/ fatti di piume d’angelo,/ dietro spesse tendine di ricordi./ Poi si accesero, come ceri,/ per vegliare il tuo corpo/ d’atleta del colore.” (16, Tedeschi). Geppo Tedeschi gode la stima di validissimi critici italiani e stranieri fra cui Giovanni Bitelli che lo definisce “un macchiaiolo sintetico e polposo”; così Giulio De Rossi, Sandro Venturini, Luigi Vita, il sopracitato Nino Pensabene. Altresì Francesco Pedrina ne richiama le doti oratorie, su cui Domenico Defelice si sofferma ampiamente in nota, riferendo che Geppo Tedeschi non ha ceduto alle lusinghe di F. T. Marinetti, “pur ve-
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nendo dal Futurismo, ha saputo poi riaccostarsi alla tradizione” (21, certo Erbi). Il Nostro prende in esame la lirica ‘Oro di ricordi’ che, dice, essere forse la più conosciuta, ove è palese la nostalgia del Poeta che si immerge nella natura; considera la poesia ‘Fanciullo solo tra i campi’, in cui il Poeta si immedesima nei semplici animali come l’uccello, imprigionato in una trappola, mentre egli lo è della poesia. Stupenda analisi in cui il Defelice rileva l’ effetto provocato dagli stornelli che il volatile riprende nonostante tutto, come “ascoltare una voce per non sentirsi smarrito”, un comportamento simile a quello umano, soprattutto dei bambini, poiché ciò serve per sfatare il male in tutte le sue forme, “non fa che dimostrarci come l’animo del Tedeschi sia pieno di candore, com’egli sia rimasto fanciullo.”(25). Il Nostro ne sente l’affinità spiegando che “La Calabria non può essere considerata al di fuori dei suoi paesi arroccati sui monti del suo sole e dei suoi pomeriggi arroventati.” (26), che stimolano il pensiero. Può accadere che sognare troppo renda infelici; come può accadere, a chi viva di ideali, di invidiare la vita semplice perfino di un bifolco, pur di allontanarsi dalle molestie della città. Ecco perché si è mossi da compassione verso i mendicanti, il Poeta ama spaziare l’infinito, ama il silenzio che gli parla più dei suoi simili. C’è prevalenza dei colori e dei suoni naturali, in armonia con l’essere umano, come per es.: “Mugolò il cane./ Cadde qualche frutto/ da l’albicocco./ Si destò una rana./ Cantò una nota./ Ripiombò nel sonno.” (31); commenta Domenico Defelice che in questi versi c’è la rapidità dell’azione e la serenità che accompagna le immagini. Geppo Tedeschi, come si è detto, si immedesima nella natura, nel senso di sentirsi come essa, così con la fine dell’estate “piange la misera fine dell’ uomo”. Domenico Defelice commenta che la vita è come la primavera, è come il volo delle rondini che ritornano; come il “pianto del grillo indifeso”; è come “le cicale che cantano roche”. Infine, conclude: “La poesia di Geppo Tedeschi è senza fronzoli, senza cerebralismi e d’una straordinaria sintesi” (35); è un autore del suo tempo, semplice ed equilibrato, una misura che gli proviene dalla classicità dei luoghi in cui ha vissuto, e, simile a Leonida di Taranto, si rivolge agli umili, a cose e persone, come specchio della natura. Mi prendo la libertà di commentare quanto Domenico Defelice si senta apparentato a Geppo Tedeschi, nativo di Oppido Mamertina (Reggio Calabria) l’11 agosto 1907, oltre che per l’appartenenza al territorio anche per essere accomunato agli stessi interessi naturalistici, tanto da ricordarlo in varie
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occasioni, considerandolo un valido rappresentante della sua Calabria e nutrendosi di questo cantore insieme ai suoi amici della gioventù, come Rocco Cambareri. Ecco perché il Nostro giudica che “Accompagnarci ai poeti significa realizzare il regno dello spirito.” (pag. 7). Mi immagino il Poeta, bambino in un periodo storico particolarmente delicato, soffrire i rigori della Grande Guerra prima e vivere gli effetti del Secondo Conflitto. Il desiderio di un ritorno alla natura primigenia, semplice e degli umili, doveva impregnare tutta la sua esistenza, di un paesaggio antropomorfo. Tito Cauchi Immagine: Una delle 15 lettere di Geppo Tedeschi da Domenico Defelice donate all’ “Associazione Geppo Tedeschi” di Oppido Mamertina, in occasione del Convegno tenuto in quella città il 28 dicembre 2013.
MARCELLO BORGESE L’OBAYIFO DI ROSARNO Ediz. Città del Sole Reggio Cal. 2014, pp. 267, €15. Marcello Borgese è nato a Polistena. Laureato in Economia e Commercio, per vari anni ha collaborato con la cattedra di economia Politica presso l'Università di Reggio Calabria. Poi ha lavorato presso vari enti pubblici territoriali come dirigente e revisore dei conti. Il suo primo romanzo, Rosa canina, venne pubblicato nel 2006, e ha avuto una menzione speciale al premio letterario "Procida Isola di Arturo - Elsa Morante" nella XXI edizione dell'anno 2007. Protagonista di questa nuova e interessante opera narrativa dello scrittore calabrese è il giovane africano Abeiku che vive tra i rifiuti tecnologici ai margini di una discarica di Accra, non ha nessuno, dorme in un vecchio freezer e si sfama rimestando tra i rifiuti in cerca di qualcosa di utile da rivendere. E' solo un ragazzino, che desidera ardentemente il calore di una famiglia e che nel sonno ha ancora paura dell' "obayifo", minacciosa figura mitologica da sempre agitata come spauracchio dai più vecchi. Dimenticato dal mondo come tanti suoi coetanei, con loro condivide la stessa esistenza di miseria, solitudine e fumi velenosi esalati dalla discarica, che mietono ogni giorno vittime giovanissime. Abeiku sa perfettamente che quei fumi lo uccideranno, perciò sogna l'Europa e un lavoro: una occupazione qualsiasi, sufficiente a mangiare tutti i giorni e avere un posto dove poter dormire. Cosi, dopo anni passati ad accumulare i soldi necessari, decide di fare il grande passo e quindi affrontare il viaggio attraverso il deserto e il canale di Sicilia. Comincia allora il suo peregrinare di clandestino, spostandosi
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di città in città, ovunque gli venga offerto un lavoro, incontrando amici e perdendone altri, finché non approda a Rosarno, dove parecchi sono gli africani che vivono nelle baracche di cartone nella speranza di racimolare qualche spicciolo con la raccolta degli agrumi e assicurarsi un pasto. Qui Abeiku conosce un anziano rom che fa il robivecchi, detto appunto Ferrovecchio non mafioso ma amico e a distanza della mafia. Questo rom si guadagna la vita rimestando trai rifiuti della fiumara come appunto faceva il ragazzo ganese Abeiku ad Accra (Abeicku è in patria uno scavanger, uno spazzino). Il giovane africano e il rom italiano diventano subito amici. Vivono nella stessa baracca, dividendo le spese. Ma il destino però è dietro l'angolo e presto a Rosarno si alzeranno le barricate e si accenderanno - come è ben noto - quelli che sono i fuochi della rivolta. Comunque tra pregiudizi e soprusi, 'ndrangheta e istituzioni sorde e indifferenti, una storia in cui la condizione umana "si declina nelle sue svariate forme di disperazione, stupidità, orgoglio e vendetta". L'opera narrativa si presenta articolata su due quadri ben fusi tra di loro. Il primo che attiene al giovane africano e al suo viaggio da Accra in Italia e poi il suo arrivo a Rosarno (secondo quadro) e qui l'africano conosce lo zingaro, qui agisce la mafia ma ci son pure, anche se pochi, persone che cercano di aiutare questi poveri africani. Il romanzo è una vera e propria testimonianza, ma pure denuncia di ciò che è avvenuto a Rosarno. Tutti dovrebbero leggere e meditare ciò che ha scritto Marcello Borgese. L'opera per come è scritta e per la sua materia e argomenti si lascia leggere tutta d'un fiato, ed è introdotta significativamente da alcuni versi di Quasimodo, quelli che si riferiscono a Uomo del mio tempo (poesia che appartiene alla silloge poetica "Giorno dopo giorno): "Sei ancora quello della pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,/con le ali maligne, le meridiane di morte,/ t'ho visto - dentro il carro di fuoco,/ alle forche, alle ruote di tortura". Orbene, ecco l’inizio dell'avvincente e interessante romanzo di Borgese: "I rumori metropolitani si perdevano sordi nell’aria ovattata. I ragazzi si aggiravano tra scocche di computer, carcasse di frigoriferi e acque luride della laguna, muovendosi accorti nella fuliggine che offuscava lo spiazzo senza alberi e senza Dio" (p. 9): Con linguaggio sempre chiaro e ben aderente agli argomenti di volta in volta trattati vengono presentati fatti, avvenimenti tragici, caratterizzati da miseria, sopraffazione, da sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Affiora un quadro mosso da violenza, da miseria, squallore. Il giovane africano cerca disperatamente di salvarsi e prima di arrivare in Italia ne passa di tutti i colori. Tutto sommato ci troviamo di
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fronte a un romanzo ben amalgamato, ricco di situazioni, di personaggi, di situazioni contrastanti tra di loro che mettono bene in evidenza la condizione tragica in cui vivono gli africani non solo nei loro paesi ma pure quando vengono in Italia e capitano a Rosarno. Un romanzo complesso ma che vuole essere come un monito per le istituzioni a fare veramente qualcosa di concreto per queste persone che vivono una vita veramente poverissima e degradata. Perciò l'unica preoccupazione del giovane africano, l'unica sua aspirazione è quella di avere un posto di lavoro, un decente posto di lavoro per poter vivere in modo decente appunto. Abeiku è solo e non "conosceva l'Italia, non conosceva suo padre e immaginava Dio come un vecchio seduto sulle nuvole. Sì! Un arzillo vecchietto che dall'alto li osservava e arrabbiandosi rispediva a terra i vapori fetidi sotto forma di ceneri sulle teste degli scavanger, sulle baracche e sulle strade sterrate dello slum Old Madama della periferia di Accra” (p. 9). Abeiku sa solo che è un africano solo e disperato, che vive in mezzo alla miseria e in un ambiente squallido e letale per la sua salute: certamente Abeiku è il personaggio principale di questa opera ma leggendo ci si imbatte in altri - il già citato rom Ferrovecchio che solidarizza con i poveri come lui, siano essi africani o bulgari o italiani: essi si incontrano nella sua baracca e qui ognuno porta qualcosa da mangiare: qui si raccontano le loro pene e la loro vita. C'è la figura umanissima del dottore di Bertolino che aiuta tanto, per quel che può fare, questa povera gente, e ancor altri volontari. Ma ciò non è sufficiente. Le istituzioni latitano e poi la mafia imperversa: fa in negativo la sua parte. Non mancano i caporali, non mancano quelli che sfruttano gli africani, facendoli lavorare tanto e pagandoli poco e se si ribellano subito vengono messi con minacce e modi brutali a tacere. Poveri da un lato ed emergenti mafiosi dall' altra parte che menano una vita ricca e ogni sera bevono champagne e commettono soprusi e si divertono a prendere a mitragliate le lampade del paese oppure gli africani che son sorpresi a fare i loro bisogni lungo la strada. Però essi poi si ribellano e succede ciò che si sa. Di cui han parlato tutti i giornali: la rivolta di Rosarno. La colpa di tutti. Comunque, leggendo l'opera si vengono a conoscere fatti e vicende veramente dolorosi e tragici. Un'opera, questa di Borgese, intrisa di miseria, di povertà, di tragedia ma che presenta pure una umanità veramente ammirevole, una umanità, quella dei poveri che tra di loro si comprendono e cercano di capire dove va la società, il mondo. Marcello Borgese con linguaggio sempre chiaro e penetrante presenta fatti e situazioni. Eccone alcuni: "Dai prendiamolo, così li saliamo il miccio". Il nero si impaurì e cercò
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di scappare, ma lo afferrarono in due mentre un terzo gli scese i pantaloni. Melo prese una manciata di terra e gliela cosparse sul pene mentre lo sventurato si dimenava, "laissez-mois s'il vous plait" implorò con le lacrime agli occhi. "Ah ah Ah" rise Melo. “Basta, lasciatelo” disse Roy. “Vattene! Dai! E non pisciare più per strada, hai capito?" (p. 196: I due, Roy e Melo sono mafiosi); "Il dottor Mario (...) visitò un bambino bulgaro e rilevò un'asma bronchiale, allora si mise a rimescolare tra le confezioni messe alla rinfusa finché trasse due prodotti antiasmatici di quei campioni gratuiti per i medici e li consegnò alla donna dagli occhi neri come olive. Questa li fissò, poi scrutò il bambino e ancora il medico come se volesse interrogare. "Sì, vai tranquilla, vanno bene" (p. 197); "Si fermò un pulmino e senegalesi e nigeriani si accalcarono e si spintonarono per afferrare le maniglie degli sportelli che non si aprirono perché c'era la sicura. Il caporale scese e ad alta voce disse: "Io ne prendo dodici, però voglio cinque euro ciascuno. Il proprietario ve ne dà venticinque". Serpeggiò un malcontento e qualcuno gridò: "C'est un vol! C'est un vol!" Quattro o cinque si avventarono su quelli che stavano per montare e li bloccarono: "Il ne faut pas monter|Il ne faut pas monter!" "Non volete salire?" disse il caporale. "Allora col cazzo che lavorerete, né oggi né mai. Va bene?" (p. 213); e infine: "Una sera all'imbrunire arrivò il biondino su una macchina sportiva. Il vecchio e Abeiku erano nella baracca e sentirono chiamare. "Chi è?" disse Ferrovecchio. "Amici, amici, compare Damiano, sono io, Antonio". “Ahhh! Entra pure, ti offro un bicchiere di chiarenza, lo vuoi?" "No, no, compare senza offesa, ma devo andare subito. Sono venuto a dirvi che il vostro compito è finito, l’amico si è trasferito". "Va bene, io qua sto, se volete qualcosa, all'esposizione. Scusami, posso farti una domanda? A noi ci ha presentato il nipote di zì Tuti ma, se è lecito,tu a chi appartieni?" "Io sono il figlio della benedetta anima di Mico Diportuvalli, come lo chiamavano, ve lo ricordate? Quello che l'hanno sparato proprio al ponte del Boccio", (p. 185). Il romanzo presenta termini specifici e particolari che afferiscono e alla vita africana e alla parlata delle cosche mafiose. Cosi si incontrano sovente termini, che poi son spiegati nel Glossario che figura al termine dell'opera. Come "spiritaro" che era un lavorante che toglieva lo spirito dalle bucce di arance e mandarini; "schiticchiata" che significa ce-
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na tra amici; "scarpe lucide” che è nomignolo per indicare i giovani mafiosi che ostentano vestiti firmati e gioielli; "scavanger" è lo spazzino; "sherba" è un piatto libico di carne in zuppa di verdura molto pepata; "cedi" è la moneta ghanese; "casanza" è nel gergo della 'ndrangheta il carcere; "drinn" è la pianta del deserto di cui si nutrono i dromedari; "e waste" sta per "eletronic waste " vale a dire rifiuti dell'elettronica; "complimento" è il regalo; "adinkra" è una stoffa ghanese; “Ashanti" è un grande gruppo etnico dell'omonima regione Ashanti del Ghana. Ecco ancora "banku" per pastone di manioca con sugo; "batick" è il tessuto colorato con una particolare tecnica; e infine, solo per segnalarne alcuni di questi termini, ecco "attivare (partecipare attivamente e assiduamente alla vita della società onorata) e "accavallare" che significa nel gergo della mafia armare. Marcello Borgese si riconferma uno scrittore non prolifico ma significativo e di prim'ordine. Per credere leggere e meditare su quest'opera, felice e per lingua e per argomenti. Un romanzo di denuncia e di altissimo significato umano. Carmine Chiodo
PAOLANGELA DRAGHETTI GHERLA E CRIS L’Autore Libri, Firenze, 2013 Molto graziosa è la favola scritta da Paolangela Draghetti intitolata “Gherda e Cris” (L’Autore Libri Firenze, 2013, pagg. 72, € 10,00) che, come suggerisce fin dall’Introduzione l’Autrice, può essere drammatizzata o realizzata in cartone animato – grazie ai dialoghi, alle didascalie e ai canti inclusi – non solo, ma vengono date indicazioni sullo scenario, sull’ambientazione e sulla suddivisione delle scene. La trama consiste nella storia di un amore bello ma impossibile tra la cicala Gherda - che è attiva di giorno, mentre di notte dorme – verso il grillo Cris il quale invece è di notte che rimane sveglio a cantare. E’ infatti nell’imbrunire che Gherda vede e subito si innamora di Cris, il quale entra nella casa dell’Uomo, e purtroppo ci rimane rinchiuso anche il giorno seguente. Poiché Cris sarebbe morto soffocato per mancanza di aria, non riuscendo da sola a liberarlo, Gherda chiede aiuto a vari animaletti, pure suoi nemici, in cambio di propri favori, e così riesce a farlo uscire dalla casa, salvandogli la vita. Ma Cris non sa per merito di chi è stato salvato, e la sua contentezza la esprime abbracciando una bella grillina. Gherda li vede e ne rimane male. Provvederà la Luna a spiegare a Gherda che gli animali
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preferiscono quelli della loro stessa razza; ma come la consolerà – anche se si tratta di una consolazione piuttosto misera! - lo lascio scoprire a voi quando sarete giunti a leggere la fiaba fino in fondo. Una canzone finale riassume l’intera storia. Questa favola vuole mostrare fin dove riesce ad arrivare un cuore innamorato, anche se poi verrà deluso dovendo sottostare alle rigide leggi della Natura. Vengono inoltre elogiate la generosità d’ animo e la collaborazione. Maria Antonietta Mòsele
GIORGIA CHAIDEMENOPOULOU 7 FAVOLE... 7 COLORI DELL’ARCOBALENO Aletti, 2013 La scrittrice greca Giorgia Chaidemenopoulou ci presenta “7 Favole… 7 Colori dell’arcobaleno” (Aletti Editore, 2013, pagg. 70, € 12,00), fiabe tutte vincitrici di primi premi a concorso, le quali – pur ambientate in un mondo di fantasia - esaltano i reali valori morali, la Natura e il rispetto dell’ambiente, la cultura e la salvaguardia della salute. Ad esempio, ella si serve del racconto di un cavallino per invitare i figli ad obbedire ai genitori e a metterli in guardia da quelle persone malvage che li possono portare al vizio e alla droga. Esalta la bontà e l’amore che valgono più della bellezza, e che sanno superare ogni forma di invidia. Nel terzo episodio – alquanto originale - che parla di un libro dalle pagine vuote, invita i ragazzi ad istruirsi e ad impegnarsi nello studio, così da poter arricchire le proprie conoscenze culturali e riuscire ad esprimere, anche per iscritto, le proprie idee. Altre fiabe illustrano lo sconvolgimento della natura e del clima (con descrizioni anche cruente) a causa dell’uomo il quale, però, poi si ravvede e tutto rinasce e rifiorisce nel migliore dei modi. La Scrittrice, inoltre, attraverso il racconto di una gara fra animali, ci tiene ad indicare una sana educazione alimentare, in modo che i bambini vincano la tendenza ad essere golosi. Come già detto, raccontando favole e sogni così immaginifici, l’Autrice però ha un intento didascalico altamente positivo e concreto. E, per essere ulteriormente incisiva verso i lettori, umanizza animali ed alberi facendoli parlare; non solo, ma nei loro discorsi diretti, li fa esprimere con versi poetici, spesso rimati. Le illustrazioni - tutti disegni di ottima fattura – rappresentano i momenti più significativi di ciascuna fiaba. Maria Antonietta Mòsele
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VITTORIO “NINO” MARTIN STEVENÀ AMORE MIO Cenacolo Accademico Europeo, 2014 Vittorio “Nino” Martin, il poeta pittore che già conosciamo, ci fa ora pervenire la silloge poetica “STEVENA’ amore mio” ( Cenacolo Accademico Europeo, 2014, pagg. 54, e.f.c.), dedicata al suo paese d’origine che ha sempre tenuto nel cuore e, dopo l’emigrazione all’estero per lavoro, è ritornato ad abitare, trovandolo però, trascurato. E da subito, amaramente, ne spiega il perché: <il cuore intorpidito/ dal benessere,/ fa smarrire/ le radici e valori>. Egli ricorda con nostalgia il passato: la vita semplice e bonaria della gente, ma ricca di sani princìpi; la nonna che accudiva i bisnonni e i nipotini; le belle feste paesane; il ponte “gioiello di bomboniera”; l’osteria sempre animata dalla varietà degli avventori; i ricami delle merlettaie; i duri lavori dei muratori e degli agricoltori; l’allevamento dei bachi che producevano ottima seta: tutte memorie della giovinezza, alcune rimaste in qualche fotografia. E subito l’Autore, considerando il suo paese di ieri “borgo gioioso” e quello di oggi divenuto, dopo la guerra e dopo il terremoto, un “rudere meraviglioso”, abbandonato da quasi tutti, si domanda come sia possibile provvedere a tanta rovina: neanche i migliori professionisti riescono a capire se è preferibile abbattere tutto, ricostruire o ristrutturare. Oltre al degrado, oggi, c’è corruzione fra le persone; “ora, al ponte degli innamorati/ faccio incontri indesiderati”; perfino le feste tradizionali sono finte, falsate. E dilagano consumismo e spreco di mobili ed interi arredi. Ora Martin è pensionato: si improvvisa casalingo e giardiniere; raramente viene richiesto dai compaesani, se non per far fare a loro bella figura; ma egli serba sempre nel cuore l’onestà, il senso del dovere, la solidarietà, gli affetti famigliari. E poi parla del dialetto ”sentimentale/ arabesco musicale,/ acquerello pittoresco/ malizioso furbesco” che attualmente viene parlato soltanto da nonni e bisnonni, mentre è un modo per identificarsi, un vero patrimonio linguistico, un “pezzo forte da salvare”. Sono tutte poesie scritte in rima, con qualche espressione anche scherzosa; ma proprio usando l’ ilarità, Martin denuncia l’attuale degrado materiale e morale del suo paese che lo fa rattristare. Alcune recensioni con giudizi di vivo apprezzamento chiudono la silloge. Le sue opere artistiche qui raffigurate – sia quelle a colori che quelle a carboncino – fanno risaltare la rilevante vena pittorica e l’immediatezza - associata alla sicurezza – del tratto della mano. Maria Antonietta Mòsele
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ANTONIO IADEMARCO IL RONZIO DELLE MOSCHE Prima Comunicazione Sociale, 2013 La figura di un bimbo dalla folta chioma bionda, tagliata in modo “stravagante”, fa da copertina al libro di Iademarco Antonio “Il Ronzio delle Mosche” (Prima Comunicazione Sociale, 2013, pagg. 86, € 12,00). E’ questa un’autobiografia in prosa, in cui l’ Autore vuole ricordare i fatti più salienti della sua fanciullezza e come viveva la gente allora. Era il periodo successivo alla 2^ guerra mondiale: gli adulti provvedevano alla ripresa della vita svolgendo tutti i lavori: di muratore, di fabbro, di boscaiolo, di falegname, di coltivazione dei campi (di cui l’ Autore fornisce dettagliate e simpatiche spiegazioni ed informazioni) e dei vigneti, e della cura del bestiame (preso in prestito da altri); alcuni lavoravano alla ricostruzione della galleria ferroviaria; ma “tanto lavoro, poco guadagno”. Tra la gente c’erano solidarietà e collaborazione, per cui spesso si barattava lavoro con prodotti pronti. Molti emigravano all’ estero: Venezuela, Belgio, Argentina, Germania… I neonati dormivano in culle di fortuna, ottenute da oggetti raccattati qua e là, e poi adattati allo scopo (la culla dell’Autore era di latta ritagliata, e quella del fratello era una vecchia sella d’asino). I bambini aiutavano come potevano: sorvegliavano gli animali al pascolo, davano una mano nei lavori agricoli, andavano alla fontana varie volte al giorno per rifornire di acqua la famiglia. E il figlio maggiore (è il caso dell’Autore) doveva aiutare più degli altri fratelli. Come detto, i bambini si dovevano accontentare di giocattoli semplicissimi, trasformando oggetti e materiali recuperati chissà dove. Però, riuscivano a trovare un po’ di spazio per divertirsi, per fare qualche marachella e scherzi anche cattivelli. La scuola era lontana e, per non consumare le scarpe, si andava a piedi nudi; inoltre, non c’era tempo per studiare a casa, e i maestri erano severi, quanto i genitori stessi. L’Autore, per non gravare di spese scolastiche la famiglia, si ritira dalla Scuola di Avviamento, ancora più lontana, e fa domanda per diventare carabiniere. Se all’inizio il “ronzio delle mosche” - che lo Scrittore da piccino sentiva tutt’attorno all’albero di ciliegie mature – gli ricordano la guerra, ora invece, il finale “ronzio delle api” gli risulta di consolazione dall’avere costruito per questi utili animaletti una bella arnia. Inoltre, se nell’Introduzione l’Autore ci preannuncia il proprio trasferimento “Oltre Confine” – che durante tutta la suggestiva narrazione del libro il lettore dimentica – alla conclusione dell’opera,
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quasi inaspettatamente esso viene ribadito: egli parte per l’estero con “la valigia di cartone”. Maria Antonietta Mòsele
GIANNI RESCIGNO ANIME FUGGENTI Genesi Editrice, 2010 IN GIANNI RESCIGNO “IL CAMMINO DELLA VITA IN UN MINUTO” - Eterno “il cammino della vita/ raccolta in un minuto.”(p.16) Un minuto in cui, Gianni Rescigno riesce a far rivivere il proprio passato, l’unità intima del passato, collocandolo nella sfera magica del tempo ritrovato, con immagini turgide di realtà, nella cui profondità il diviso e il disunito si dischiudono insieme alla rinascita e alla resurrezione. Solamente colui il quale s’immerge nel ricordo può restare, perché il suo ricordo si trasforma nel profondo della contemporaneità. Solamente colui il quale vive nel ricordo può fermare anime fuggenti e ascoltare il suono di quell’istante in cui l’elemento terrestre deve aprirsi all’infinito e all’ignoto. Solamente chi si ferma nel ricordo può pensare alle vicende quotidiane intrise di orrore a volte, disumano ma, anche a coagulare visioni liberatorie sotto la spinta psico-emozionale dell’esistenza a ritroso. Versi d’incantevole ariosità sono quelli in cui Gianni Rescigno rivive con struggente malinconia le illusioni e le delusioni della sua esistenza e trova conforto contemplando “uomini seduti/ in cerchio sotto i noci” e le “donne a mezzogiorno” mentre “tiravano su dal pozzo il vino”. (p.39), oppure quando “ all’alba/ ci chiamava la campana/ E si andava a ritrovar le stelle.”(p.71) Tratti di realismo e di significati mistici si conciliano perfettamente in “Requiem” per Ninì e la sua “croce lasciata su una strada qualunque” (p.38) e per Norberta mentre in coma profondo ascolta “celeste voce” e fissa “una luce che a noi sfugge.”(p.32) Ed il tutto espresso con lucida analisi psicologica ed il fervido slancio dell’anima, che anela a trasformarsi in canto. Innocenza Scerrotta Samà
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Allegria di naufragi, allora, come ammoniva il poeta. Un abbraccio, (...), Giuseppe
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE PREMIATA MARIAGINA BONCIANI - Apprendiamo che la poesia TRAMONTO, di Mariagina Bonciani, pubblicata nel numero di Maggio di P.-N., ha vinto il primo premio alla XLVI Edizione del concorso SILARUS. Complimenti vivissimi. *** L’ITALIA DI SILMÀTTEO - E-mail del 13.08.2014 da Giuseppe Leone, Pescate (LC): Caro Domenico,ti faccio avere questa mia recensione [vedere pag.12 - n.d.r.], mentre qui a Lecco piove come in pieno inverno, a suggello di una stagione climaticamente anomala, un po’ come quella politica che tu stai descrivendo magistralmente nella tua “Italia di Silmàtteo”. Permettimi di farti i complimenti per questo tuo poemetto eroicomico, forse l’ unico genere letterario rimastoci per descrivere la nostra italietta. Il tuo Renzusconi, per il suono e la sua ibrida composizione etimologica, ma non solo, anche per il senso del grottesco che lo ispira, mi rimanda al Bonito Napoloni di Charlie Chaplin, immortalato nel suo Grande dittatore. “Se tutto va bene (per l’ eroe del nostro tempo, il corsivo è mio), siamo rovinati”, recitava il titolo di un filmettino di qualche anno fa. Non ci resta che piangere? No, neanche. Perché qui, ora, in Italia c’è la sospensione del tragico e tutto è volto in parodia. Non sembra tragica neppure questa pioggia, che nonostante stia venendo giù quasi ininterrottamente da questa primavera, non crea più i disagi di una volta: i fiumi non esondano, le montagne stanno dove sono, i mari non rimandano indietro l’acqua.
Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI ENRICA GNEMMI - Requiem - a cura di Paolo Zoboli - In copertina, a colori, “Cristo giudice e la Vergine”, affresco nella Cappella Sistina di Michelangelo Buonarroti - Ed. Interlinea, 2014 - Pagg. 108, € 12. Allineando le parti di un’ideale Messa di Requiem (negli occhi il grande affresco michelangiolesco, nell’anima la musica di Mozart e di Verdi) la Gnemmi conduce una dolorosa, straziata meditazione sul male della storia, con lo sguardo tuttavia rivolto allo sfolgorante ritorno finale del “giusto indifesa follia che disarma, apre i cuori, perdona ai fratelli caini, sacrificio riparatore”. ** GAETANO DONIZZETTI - Don Pasquale Dramma buffo in tre atti, libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizzetti. Ricostruzione della versione per mezzosoprano (San Pietroburgo, 1845). Prima esecuzione in tempi moderni. Don Pasquale Lorenzo Regazzo; Malatesta - Gabriele Nani; Ernesto - Emanuele D’Aguanno; Norina - Federica Carnevale; Un notaro - Yiannis Vassilakis; Orchestra di Padova e del Veneto, Coro Dodecantus (maestro
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del coro Marina Malavasi), Direttore Giovanni Batista Rigon. Teatro Olimpico di Vicenza. Regia di Franesco Bellotto. Bongiovanni, 2014. ** LEONARDO SELVAGGI - Il percorso letterario di Vincenzo Vallone - Saggio - Edizioni Eracle, 2014 - Pagg. 124, € 13,00. Leonardo SELVAGGI è nato a Grassano (Matera) e risiede a Torino. E’ stato dirigente superiore del Ministero per i Beni Culturali. Scrittore, poeta, saggista, ha ottenuto numerosissimi premi ed è collaboratore d’importanti testate editoriali. Ha curato sei antologie di poesia contemporanea. Della sua attività letteraria hanno scritto centinaia di critici su giornali e riviste. Il Centro di Studi e Ricerca “Mario Pannunzio” gli ha conferito il Premio Speciale del Presidente della Repubblica per la letteratura 1988. Il 13 giugno 1989 gli è stata conferita l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Tra le opere, in versi è prosa, si ricordano: Le Ombre (1955); Diario poetico (1964); Frammenti (1970); Desiderio di vivere (1973); Vent’anni di poesia (1975); La transizione (1978); Lo sradicato ed altri scritti (1986); Pagine di un anno (1988); Le radici del’essere (1990); L’ultimo dei romantici (1991); La croce caduta (1993); Le feste degli altri (1993); Il mattino dell’ufficio (1993); Franti pensieri d’autunno (1994); Poesie in due tempi (1996); Eterne illusioni (1997); I giorni del baratro (1998); Realtà e poesie (1998); Michele Martinelli, La terra di Lucania e la sua gente negli anni cinquanta (1998); La poesia nel Dialogo Serale di Francesco De Napoli (1999); Stimolazioni e colloqui (1999); Arpeggi di mare - Saggio etico su “pensieri di sabbia” di Graziano Giudetti (1999); Sugli assetati di ordine e di giustizia (2000); Francesco Lo Monaco (2001); Saggi sulle “Poesie di Francesco Brugnaro” (2001); Brandisio Andolfi in “Alberi curvi d’acqua” (2001); Lontano è il tempo della notte (2001); Andrea Bonanno pittore e saggista dell’ uomo nella sua essenzialità primordiale (2002); L’amore sopra il precipizio (2002); Vita e pensieri (2002); Poesie nella tempesta (2002); Nicola Festa il classicista sommo della Basilicata (2002); I tempi felici (2002); Iddio non conosce gli uomini (2002); L’altra valle (2003); L’anima e gli echi lontani (2003); Il divorzio e l’amore (2003); Storia e autobiografia (2003); La poesia di Carmine Manzi nella sua ultima evoluzione (2003); Ruggero Bonghi (2003); Brandisio Andolfi cantore dei tempi nostri (2003); Il nostro tempo (2004); Alle fonti dell’essere (2004); La terra tutta ci prende (2004); Poesie di sempre (2004); Sui sentieri del cuore di Maria Teresa Epifani Furno (2004); Tra crisi di transizione la poesia di Amerigo Iannacone in sti-
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molazioni etico-sociali (2004); AA. VV. Rino Cerminara nel secondo Novecento letterario italiano (2005); L’indignazione poetica (2005); Luigi Pumpo - Poeta della vita e della Natura (2005); Gli Italiani eterni immigrati (2005); Letteratura di ieri e di oggi (2005); Personaggi e storia umana (2005); La costante lunare e spirituale nell’ars poetica di Isabella Michela Affinito (2005); Polvere di ossa (2005); Vincenzo Rossi voce rappresentativa del ‘900 (2005); Lo specchio del cielo - Poesie 19962005 (2005); Bruno Giordano cantore dei nostri tempi (2005); La poesia di Amerigo Iannacone (2006); La critica di Leonardo Selvaggi sull’arte e sulla letteratura frenniana (2006); Estrosità immaginativa e Armonia poetica di Anna Aita (2006); Dalle poesie di Antonio Vitolo: il cuore antico dell’uomo in sentimentalità ed eterno amore (2007); Natura ed umanità (2007); Dalle opere di Antonio Angelone ritornano i pensieri e le amarezze dei grandi meridionalisti (2007); Umanità e grandezza lirica di Carmine Manzi (2008); Le dolcezze della vita (2008); Dai mosaici alle poesie (2009); Il mio esilio (2009); Domenico Defelice e le sue opere etico-sociali (2009); Giudizi critici “Le avventure di Fiordaliso” di Antonio Angelone (2009); Poesia e tradizione nelle opere di Antonia Izzi Rufo (2009); Le poesie di Giovanni Cianchetti (2010); Alle fonti dell’essere e della vita - saggio sull’opera di Vittorio Martin (2010); Vittorio Martin poeta e pittore (2010); Nunzio Menna; Opere e attività culturali (2010); Il fantasma e altre poesie di Vincenzo Rossi (2010); Nel Diario di Domenico Defelice giovinezza e poesia (2011); Pantaleo Mastrodonato nella vita e nell’arte - Profilo critico dello scrittore-poeta (2011); La poesia di Francesco Terrone (2012); Il dissolversi dell’uomo moderno (2012); Luce e saggezza nella poesia di Pasquale Francischetti (2012); Le commedie dialettali di Antonio Angelone (2012); Antonio Angelone e il suo mondo ideale (2013); Le opere di Nunziata Ozza Corrado (2013). ** LEONARDO SELVAGGI - Lontano è il tempo della notte - Tipografia La Fenice, 2001 - Pagg. 200, s. i. p. ** LEONARDO SELVAGGI - Realtà e Poesia - In copertina, a colori “Figura in nero di Gigi Chessa Edizioni Cronache Italiane, Salerno 1998 - Pagg. 144, s. i. p. ** LEONARDO SELVAGGI - I giorni del baratro In copertina, a colori, opera di Renzo Enrione - Edizioni Cronache Italiane, Salerno 1998 - Pagg. 190, s. i. p.
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** LEONARDO SELVAGGI - Le radici dell’essere EDS, 1990 - Pagg. 182, L. 10.000. ** LEONARDO SELVAGGI - Nicola Festa Il classicista sommo della Basilicata - In copertina, a colori, Matera, Piazza Vittorio Veneto; all’interno, numerose foto in bianco e nero - Edizione dell’ Unione di Convergenza Universale, Nettuno 2002 Pagg. 112, € 7,75. ** LEONARDO SELVAGGI - Le ultime pagine del Duemila - Prospettiva PE Editrice, 2001 - Pagg. 68, L. 10.000. ** LEONARDO SELVAGGI - La poesia di Francesco Terrone - I.R.I.S. Edizioni, 2012 - Pagg. 102, s. i. p. ** LEONARDO SELVAGGI - Ruggero Bonghi In cinquant’anni di storia italiana - Prospettiva editrice, 2003 - Pagg. 46, € 7,00. ** LEONARDO SELVAGGI - Il mattino dell’ufficio - In copertina, a colori, Biblioteca Nazionale di Torino - Edizioni Tigullio-Bacherontius, 1993 - Pagg. 156, L. 12.000.
TRA LE RIVISTE SETTIMANE MUSICALI AL TEATRO OLIMPICO - XXIII Settimane Musicali al Teatro Olimpico - 25 maggio - 25 giugno 2014, Vicenza Teatro Olimpico. Il volume (ché tale deve essere considerato: 178 pagine) contiene, fra l’altro, l’intero libretto di “Così fan tutte” di Wolfgang Amadé Mozart (Salisburgo 1756 - Vienna 1791). Le pagine da 160 a 172 riguardano “I Protagonisti”, con le esaurienti schede di ben 26 artisti: Giorgio Appolonia, Luis Bacalov, Giancarlo Bianchetti, Mario Brunello, Alberto Boischio, Marco Bussi, Alessandro Cammarano, Pierluigi Comparin, Alexander Gadjiev, I Polifonici Vicentini (coro), Oksana Lazareva, Andrea Lucchesini, Raffaella Lupinacci, Claudio Marino Moretti, Angelo Nasuto, Orchestra di Padova e del Veneto, Giorgio Pugliaro, Lorenzo Regazzo, Giovanni Battista Rigon, Adelina Scarabelli, Christian Sebastianutto, Sonig Tchakerian, Pietro Tonolo, Arianna Vendittelli, Alvise Vidolin, Daniele Zanfardino. * IL CONVIVIO - Trimestrale di poesia arte e cultu-
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ra fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza Conti - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Riceviamo il n. 57 (aprile-giugno 2014), ricco, come al solito, di articoli, recensioni, poesie, notizie. Tra le moltissime firme, segnaliamo quelle di nostri collaboratori: Orazio Tanelli (“Manfredi: La salvazione dantesca”), Angelo Manitta (“Tommaso Romano. Tempo dorato”), Nazario Pardini (“Angelo Manitta: Volubile cosmo. BIG BANG La vita dello Zodiaco II”), l’ indimenticabile amica Maria Grazia Lenisa (“Canzone XIV”). E poi, ancora, Antonia Izzi Rufo, Andrea Pugiotto, Leonardo Selvaggi, Giuseppe Manitta (“Michele Frenna”), Enza Conti (“Aldo Cervo: Antonia Izzi Rufo tra soggettivismo lirico e neorealismo”), Maria Vadalà (“Vittorio “Nino” Martin - Stevenà, amore mio”), Domenico Defelice (“Antonia Izzi Rufo - Paese”). Allegato, il supplemento CULTURA E PROSPETTIVE, n. 23 (di 192 pagine), con le firme di: Giuseppe Manitta, Bruno Bartoletti, Giuseppe Sergi, Giuseppe Cappello, Leonardo Selvaggi, Maristella Dilettoso, Franco Pignotti, Rossano Onano (sul saggio di Anna Aita per Domenico Defelice), Antonio Crecchia, Salvatore Agati, Silvana De Carretto, Nazario Pardini, Anna Aita, Biagio Scrimizzi, Anna Salvaggio, Sandro Angelucci eccetera. * VERNICE - Rivista di formazione e cultura, diretta da Claudio Giacchino - Genesi Editrice - via Nuoro 3 - 10137 Torino -Riceviamo il n. 50 (aprile 2014), di pagine 352. Tra le tante firme, non possiamo non rilevare quelle di Sandro Gros-Pietro (che intervista Nevio Nigro), Luigi De Rosa, Adriana Mondo, Piera Bruno (Ieri e oggi: un antieroe turco, il Novellino, l’Italia), Nazario Pardini, Aurora De Luca, Domenico Defelice, Elio Andriuoli, Liliana Porro Andriuoli, Marina Caracciolo, Innocenza Scerrotta Samà, Liana De Luca (Personaggi bergamaschi negli scritti di D’ Annunzio), Anna Vincitorio, Edio Felice Schiavone eccetera. * RASSEGNA SICILIANA DI STORIA E CULTURA - Dr. Tommaso Romano - ISSPE, via Messina Marine 445 - 90123 Palermo - Riceviamo il n. 37 (gennaio-aprile 2014) di pagine 160. Tante le firme: Maria Patrizia Allotta, Pietro Attinasi, Umberto Balistreri, Domenico Bonvegna, Salvatore Bordonali, Manuela Coniglio, Franco D’Angelo, Luigi Antonio Fino, Michelangelo Ingrassia, Saverio La Paglia, Giuseppe La Russa, Gaetano Marabello, Antonio Martorana, Vito Mauro, Antonino Palazzolo, Francesco Paolo Pasanisi, Domenico Passantino, Gianfranco
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Romagnoli, Tommaso Romano, Antonino Sala, Maria Antonietta Spadaro, Franco Trifuoggi, Piero Vassallo, Lucio Zinna. * MAIL ART SERVICE - dr. Andrea Bonanno via Friuli 10 - 33077 Sacile (PN) - Riceviamo il n. 86 (giugno 2014), del quale segnaliamo: Andrea Bonanno (Brevi considerazioni sulla 55esima edizione della Biennale d’arte di Venezia). * NUOVO CONTRAPPUNTO - Trimestrale di poesia ed arte, diretto da Silvano Demarchi - via della Zecca 9 - 39100 Bolzano. Riceviamo il n. 2 (aprilegiugno 2014). In copertina, grafica di Vanna Verdi - All’interno: Elena Bono, Giuseppe Cassinelli, Davide Puccini, Bruno Bartoletti, Rosa Elisa Giangoia, Piera Bruno, Leopoldo Gamberale, Rita Muscardin, Elio Andriuoli. * L’ERACLIANO - Organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili - Dr. Marcello Falletti di Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (Firenze) - Riceviamo il n, 195-197 (aprile.giugno 2014), ricco anche di belle fotografie a colori. Ci piace segnalare: “Al lupo, al lupo” di Gian Giorgio Massara; “Lorenzo Casamenti, una vita spesa per l’arte”, di Mariagrazia Orlandi; “Intervista al vescovo di Carpi S. E. Mons. Francesco Cavina”, di Carlo Pellegrini; “Apophoreta”, di Marcello Falletti di Villafalletto. * BRONTOLO - mensile satirico umoristico culturale fondato e diretto da Nello e Donatella Tortora via Margotta 18 - 84127 Salerno - Riceviamo il n. 222-223 (giugno - agosto 2014), sul quale, tra le tante vignette e racconti allegri, troviamo le firme di Elena Mancusi Anziano, Nello Tortora, Monica Fiorentino. * IL CENTRO STORICO - organo dell’ Associazione Progetto Mistretta, Presidente Nino Testagrossa, responsabile Massimiliano Cannata - via Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME) - Dal n. 5 - 6 (maggio - giugno 2014), segnaliamo: “Viaggio in Cina”, di Fabrizio Di Salvo; “Nebrodivesi, l’ osservatorio privilegiato del poeta”, di Ida Rampolla del Tindaro; “Gabriel García Márquez (1927 2014)”, di Gaetano Di Bernardo Amato; eccetera. Belle le foto, per lo più a colori. * LA GAZZETTA DI BOLZANO - periodico di informazione arte cultura attualità, diretto da Franco Latino, responsabile Eugen Galasso (che firma gran parte degli articoli) - Casella postale 96 - Bolzano 1 - 39100 Bolzano - Riceviamo il n. 44, sul
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quale troviamo i nostri amici Tito Cauchi, Luigi De Rosa, Silvano Demarchi, Innocenza Scerrotta Samà. * NUOVO DOMANI SUD - periodico di informazione politica e culturale diretto da Fortunato Aloi, resp. Pierfranco Bruni - Via S. Caterina 62 89121 Reggio Calabria. Del n. 4 (luglio - agosto 2014) segnaliamo: “Cultura e storia italiane nel messaggio lirico-futurista del poeta Geppo Tedeschi”, di Fortunato Aloi. * ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivista fondata da Giacomo Luzzagni; direttore responsabile Stefano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - Casella Postale 15C - 35031 Abano Terme (PD). Riceviamo il n. 115 (3° trimestre 2014), del quale segnaliamo: Can che abbaia (il pittore Natale Bentivoglio, nome d’arte Cagnaccio di San Oietro), di Natale Luzzagni; A 200 anni dalla nascita: Taras Shevcenko, di Luigi De Rosa; Ted Hughes: Lettere di compleanno, di Elio Andriuoli; Percy Bysshe Shelley e l’elegante lirica del dolore, di Liliana Porro Andriuoli; Intervista a Simonetta Agnello Hornby, di Pasquale Matrone; eccetera. Inoltre, ancora, le firme di: Stefano Valentini, Rosa Elisa Giangoia, Rossano Onano, Laura Pierdicchi, Sandro Angelucci, Liana De Luca.
L’ITALIA DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice Settima puntata*
E’ scontro. Alla Procura di Milano si sbranano fra loro i magistrati. Alfredo Robledo s’è scagliato contro il suo capo Bruti Liberati perché il processo Ruby fu assegnato a quella kamikaze Boccassini. Un processo condotto senza prove dall’Ilda e i suoi delfini, sicché quel bunga bunga, che svergognò l’Italia in tutto il mondo, il 18 di luglio1, immantinente, è stato capovolto a tutto tondo.
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Berlusca viene assolto sia dall’aver corrotto funzionari, che dall’aver scopato minorenni: netto ribalzo della prima istanza che gli è costata fiumi di denari. Ora i tanti Formigli ed i Travaglio, che su libri, TV, quotidiani, a lungo e duro hanno battuto il maglio, dovrebbero scusarsi e non affastellare pali e frasche, continuando a fare i caimani. Silmàtteo sul cammino ha meno sassi in vista di riforme al gattopardo che lo vede affiancato a Berlusconi. Province riciclate2, Senato dei trombati e dei corrotti col patrocinio dell’immunità, pasticcio della legge elettorale, sembrano più vicini, non gli danno pensieri. Ora è dall’Europa che pare gli provengano bordate. Molti sono gli Stati ad osteggiar la nostra Mogherini3, sicché la votazione è rimandata a settembre, mese del ripescaggio, come da noi avveniva nel passato per certi nostri allievi birichini.
dei veti e dei distinguo (e non solo al Senato ormai in trasloco). Il governo fa il duro, alza la voce perché si sente debole, né sa come abbassar la disoccupazione. L’assai scarso lavoro che rimane è senza dignità, in sfregio netto alla Costituzione. Non esiste lo Stato. Ad Aprilia, in provincia di Latina, due padri di famiglia, di luglio, una mattina, asfissiati son dal percolato4.
Intanto è un’ecatombe d’immigrati nel bollente Mar Nostrum; le carrette stracolme di donne e di bambini, di tanti cristi in croce, disperati, calano a picco. Ormai, son più di mille morti all’anno. Trenta euro spendiamo ad immigrato al giorno e senza porre fine al dramma. Ma che siamo, minchioni? Perché non cambiare strategia, fermare alla partenza quei barconi e chiudere i fondi a chi ci specula mungendo a questo fiume di milioni? Purtroppo, in Parlamento si continua il gioco
* Riassunto delle precedenti Puntate - Una notte d’estate, Berlusca erutta, attraverso un suo attributo, per una condanna definitiva. In Germania, Angela Merkel è in sofferenza per una perdurante stitichezza (in senso economico e specialmente nei nostri confronti). Silmàtteo Renzusconi, nominato Segretario del PD., il quale, vuol combattere contro l’ austerità dell’ Europa a direzione teutonica. Ai primi di febbraio, un altro terremoto scuote la politica italiana: Alan Friedman rivela che, sei mesi prima delle dimissioni di Silvio Berlusconi, Napolitano e Monti avevano tramato per defenestrarlo. A febbraio, Letta è sostituito da Renzi. L’inizio sembra travolgente, ma è tutta una manfrina in attesa delle elezioni europee, che assegneranno al PD il 40,8%. Ma anche dopo, nei confronti dell’Europa a guida Merkel, Renzi appare fin troppo ... conciliante: l’ Italia ingoierà ogni medicina che le verrà proposta! Berlusconi è condannato ai servizi sociali. Roma, simbolo della Nazione, è nel caos. Anche per una
Per fare almeno un po’ di sacrificio la Camera rinuncia a tre palazzi disdicendo l’affitto. Ma, essendo noi un popolo di pazzi, ecco che gli straccioni deputati invocano l’indennità d’ufficio! A quanto pare, a questi poveretti, per tenere i contatti con la gente non bastano lo scranno in Parlamento, lo smartphone, il personal computer, il telefono ed il telefonino che li tengono schiavi ogni momento. Domenico Defelice (7 - continua)
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partita di calcio ci son pistolettate. Esplode il caso dell’ExPo milanese e viene enfatizzata la decisione del Sindaco di Pomezia di diversificare la merenda ai giovanissimi allievi delle scuole pubbliche. Il Parlamento, a dispetto della crisi, spende denari pubblici in corsi per parrucchieri messa in piega al servizio di deputatesse e senatrici. La mobilità nella pubblica amministrazione è una farsa, le leggi non hanno valore, la Nazionale di calcio si sbraca e, nelle processioni, Madonna e Santi si ... inchinano davanti alle case dei mafiosi. NOTE 1 - 2014. 2 - Dal Decreto Legge n. 90, fine luglio 2014: “...gli oneri contributivi, i permessi retribuiti, i rimborsi spese per la partecipazione alle riunioni degli organi provinciali, nonché delle associazioni di rappresentanza, per gli incarichi di presidente di Provincia, di Consigliere provinciale e di componente dell’assemblea dei sindaci sono a carico della Provincia”! Capito? Le Province non saranno abolite, ma trasformate in carrozzoni peggio di prima e più onerose! E’ l’esperienza a confermarlo. 3 - Federica Mogherini, attuale Ministro degli Esteri italiano, è stata candidata, dal nostro Governo, ad Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. Ad osteggiarla sono, in particolare, i Paesi dell’Est europeo, che la giudicano troppo filo-russa. Ma il filing che oggi Matteo Renzi ha con la Francia di Hollande, fa ben sperare in una soluzione a favore dell’italiana. 4 - Il 28 luglio, nell’impianto Kyklos di Aprilia che produce compost, Roberto Papini e Fabio Lisei, entrambi di San Lorenzo Nuovo (Viterbo), sono soffocati dalle esalazioni del percolato mentre lavorano sulle autobotti.
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LETTERE IN DIREZIONE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice) Carissimo Direttore, oggi è mercoledì 16 Luglio e mi trovo a Milano, in partenza in treno, sul così detto 'Regionale Veloce', con destinazione Vicenza. Dovrò scendere a Verona e cambiare ancora per arrivare a casa perché, da qualche mese, anziché percorrere la linea Torino-MilanoVenezia senza tanti problemi, tra regioni non si sono messi di comune accordo per favorire i clienti, che sempre pagano. Se uno ha fretta, deve prendersi le frecce, arrangiarsi a spendere, avendoli in tasca, o subire un caldo infernale ed aver la netta sensazione che, dato l'affollamento di questo mezzo, di soldi per permettersi una 'Freccia' ce ne siano ben pochi: adesso puoi pagarti anche questa e sederti per terra, forse ti faranno qualche
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sconto. Ho tra le mani, e mi ristora non poco tra l'afrore sudoroso mio e di tanti miei simili, con bimbi e non, il libro che il prof. Roberto Mordacci mi ha donato, congedandomi con gentilezza dopo il nostro colloquio, nel suo ufficio di via Olgettina. La dedica la scopro soltanto ora, così tutto il contesto che mi sta intorno quasi magicamente scompare e rifletto. La dedica era già stata preparata, perché non l'ho visto scrivere; qualcosa di me già sapeva, perché la sua segretaria Marzia De Masi, affabile e graziosa la sua parte, gli aveva indicato le mie intenzioni e richieste; certamente il ruolo che egli svolge al 'San Raffaele', come Preside della Facoltà di Filosofia, provenendo da originalissimi percorsi interni alla Filosofia Morale, alla Bioetica, alle Scienze Umane associate ai recentissimi traguardi raggiunti nelle Neuroscienze, lo rendono particolarmente aperto e dinamico, efficiente e dall'intelligenza in fermento, in prospettiva. Sul suo testo: 'Ragioni personali' - Saggio sulla normatività morale - , Carocci Editore, Roma, 2008, leggo la dedica: “A Ilia Pedrina con gratitudine e stima. RM”. Sono termini questi, come tu ben sai, carissimo Direttore, che non si usano senza pensarci su, così, con quella consuetudine piatta che li priva di senso. Provo meraviglia e mi apro al dettato che caratterizza il testo. Sono 10 Capitoli e si muovono teoricamente, praticamente e storicamente intorno all' essere umano che agisce in circostanze pratiche, concrete, esprimendo tutta la sua umanità, fatta di razionalità, di emozioni, di desideri e di intenzioni volte a realizzarli, per essere 'felici': da Aristotele a Hume, a Kant, a Hobbes, fino ad arrivare a Hegel e a Nietzsche. Questi i passaggi necessari per raggiungere i due ultimi centri di chiarificazione del percorso messo in atto: il Capitolo 9 - 'Natura, intuizioni, sentimenti e procedure. Il dibattito contemporaneo' ed il Capitolo 10 - 'Ragioni personali, realismo morale e pratiche di personalizzazione' complessi e dettagliati come richiede questo nostro tempo, che attraverso la globalizzazione, non
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solo delle merci e dei denari, impegna ad assumere responsabilità di livello intenso, non certo previste a tali quote d'ansia oppure a sottostare ad una sorta di appiattimento indifferente, accada quel che deve accadere.... Con il tuo impareggiabile lavoro drammaturgico 'Silvina Olnaro' hai sottolineato il drammatico intreccio di intenti soggettivi, emozioni, ragioni del cuore e ragioni della ragione, obblighi e procedure del Potere costituito che si inseriscono nel più privato ed intimo territorio del 'fine vita', quel momento atteso per tutta la vita che, consapevolmente, gli antichi saggi, non solo d'Occidente, amavano prefigurare nella mente e preparare coscientemente. 'Morire dopo Harvard', scrive Hans Jonas, sottolineando come le tecnologie degli espianti d'organi siano andate di pari ampio passo insieme con quelle del mantenere in vita la persona che è in coma e che, senza l'ausilio delle macchine, morirebbe subito dopo, facciamo alla grande dopo una manciata di minuti. Certo i trapianti non avvengono da cadavere, come si suol dire, ma non tutti lo sanno e mio marito, il caro 'Humbert', infermiere professionale, ha patito non poco nel Reparto Rianimazione dell'Ospedale di Vicenza, quando gli 'esperti' arrivavano in elicottero con la 'valigetta' e l'organo da espiantare, insomma, non era fresco fresco di giornata! Facciamo alla grande una manciata di minuti, dico: non è stato così per Eluana Englaro, che è morta di fame e di sete perché la sua agonia, staccate le prese di corrente delle macchine, è stata vissuta ancora per giorni.... Ed il tuo lavoro va a toccare, in modo coraggioso e spietato, tutte le trame ed i risvolti più segreti dei personaggi che ruotano intorno a Silvina, ormai senza coscienza vigile ma sempre 'in vita'! Dobbiamo riprenderlo in mano e metterlo in scena, carissimo: anche al prof. Mordacci piace il teatro e scrive lavori e li presenta, il prossimo a Bergamo, con pochi elementi ma con temi di forte attualità. Gli manderai il tuo 'Silvina Olnaro? Si, si. Lo farai, perché lui ha alle spalle anche tutta questa precisa consapevolezza dell'agire
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umano e delle tensioni ad esso sottese che, attraversando i secoli, ci hanno preparato ad affrontare la nostra quotidianità ed inoltre è sensibile nel guidare le emozioni verso una concreta costruzione di senso, quella che rende la vita dignitosa e degna d'essere vissuta. In Svizzera si sono aperte le porte per chi vuole autonomamente gestire il proprio 'fine vita', come ha scelto di fare l'indimenticabile Claudio Magri. Tempo prezioso, infinito, quello dalla tua casa alla tua tomba, in conflitto tra ragione che ha deciso e tensione emotiva che spinge sempre a tornare sui propri passi: in quei momenti basterebbe la carezza e lo sguardo di uno sconosciuto che incrocia il tuo, e questo gesto ti fa rinascere, se lo lasci agire. Sullo sguardo e sul suo potere taumaturgico, carismatico, di vera grazia, Roberto Mordacci ha scritto le sue pagine più belle, più cariche di verità e di desiderio, anche se interne alla cornice teoretica. Nell'altro suo libro 'Rispetto', che mi son fatta arrivare, a conclusione del paragrafo 'Ringraziamenti' leggo: '...A Monica grazie per avermi sostenuto con discrezione in questa ulteriore fatica. E a Francesco un grazie speciale per l'entusiasmo contagioso con cui ha seguito questo strano lavoro del papà.' Torno indietro con il pensiero a Povolaro e mi rivedo bambina mentre correggo le bozze dei libri di papà... A Milano volevo fermarmi dalla mia zia egittologa, Carla Cartone, che sempre assai volentieri legge la tua cara creatura e che mi ha promesso di lasciarsi intervistare: con la filovia si passa per Piazzale Loreto, là dove due corpi di ammazzati appesi a testa in giù sono stati violentati dalla folla con ogni mezzo. Sandro Pertini ha pianto, era tra la folla, ma ha pianto. Sfogo della folla inferocita su corpi che non sentono più niente. C'era il piede straniero sopra il cuore ed altri morti erano stati abbandonati nelle piazze, là dove l'erba era dura di ghiaccio e nelle orecchie avevi l'urlo nero della madre che andava incontro al figlio, crocifisso sul palo del telegrafo, spinto, sfracellato fino a lassù dal boato delle bombe che hanno distrutto Mila-
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no, nell'Agosto del 1943. E poi ancora, quella stessa mano, ragionante contro l'umano, va a bombardare Dresda, a guerra finita, una città illuminata a giorno, proprio perché la guerra era finita, il peggio, si diceva, era passato.... Le ragioni di una ragione disumana, contro l'essere umano: come individuarle? Come sradicare questo veleno infernale che ha sua matrice nell'arrogante diritto di gestire la così detta democrazia su tutto l'orbe terraqueo, che trova ossigeno nella sopraffazione e nella programmazione non mascherata di eventi nefasti? Dopo la distruzione ecco che arriva la ricostruzione e la dipendenza economica, gli Stati ed i loro popoli, affranti e decimati, devono essere orgogliosi di ricevere gli 'aiuti umanitari' ma Luigi Nono a Darmstadt aveva ben capito con invidiabile chiarezza che il denaro del Piano Marshall nel gestire anche le attività culturali nella Germania del Secondo Dopoguerra e altrove, doveva soprattutto servire a tacitare le coscienze e a far sì che la musica, l'arte tutta e quant'altro fossero espressione di singoli egoismi autoincensantisi, piuttosto che si validasse un'esperienza collettiva, comunicativa e significativa proprio perché costruita in condivisione. Questa forza ha messo in campo Luigi Nono e questa tensione ancora arricchisce chi intende essere e rimanere umano. Ti ho detto, e non in segreto, che voglio un'Europa da Lisbona a Vladivostok con la Russia al suo interno, una preziosa architettura di popoli e di idee, 600 milioni di persone, circum circa, come dice Leporello nel 'Don Giovanni' mozartiano, con autosufficienza energetica fino a chi sa mai quando, grazie alle ricchezze del sottosuolo russo. Ma no, no di certo, l'Europa deve essere suddito fedele depresso e represso, silenziosamente, degli Stati Uniti e da Cameron parte l'obbligo per tutta Europa di rivedere il Trattato Nato, perché con la Russia non si deve avere a che fare! Per la questione dell'Ucraina. E la Cortina di Ferro, dal Baltico al Mar Caspio, non dimentichiamolo, l'ha disegnata Wiston Churchill, perché ci sia una separazione efficace, stabile, volta
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a far perdurare guerra e conflitto, a partire da una volontà imperiale, coloniale che non si è ancora diluita un poco! Ci sarà un summit a Newport nel Galles il 4 Settembre 2014 e gli Europei devono decidere compatti, ma Michael Dummett, grande, gigante della Filosofia Analitica, mi dice nel suo 'On Immigration and Refugees' Thinking in Action, che mi è arrivato per posta e che è del 2001, nel Capitolo Terzo che: “British politicians, negotiating with other members of the European Union, are accostumed to say, 'We are doing this because it is good for Britain', or 'we shall decide whether to support or veto this according as we conclude that it is or is not in the interest of Britain...” (pag. 47). Certo i loro politici sono soliti considerare quanto sia vantaggiosa questa o quest'altra decisione e firma per la Gran Bretagna, guai però se gli altri ragionano alla stessa maniera: l'Europa Unita deve essere tale, non a partire dai popoli grandi o piccoli che siano, ma a partire dalla finanza! Ciò rende ragione e dà pieno vigore a tutto il lavoro accuratissimo di quei due eroi che hanno scritto 'Il Golpe Inglese', Cereghino e Fasanella, che prima o poi arriverò ad incontrare. Putin rimane molto perplesso ed intanto chiude la borsa alle commesse industriali che erano già state concordate per circa un miliardo di Euro con le industrie italiane e prende accordi con Xi Jinping per gas e quant'altro.... Allora tutta l'analisi storica portata avanti con serio scrupolo ed annose ricerche dal prof. Aron Shai sull'Imperialismo Inglese e Francese dal 1949 al 1954, rispetto alle loro industrie in Cina, che dettaglia le caratteristiche di un 'Imperialism Imprisoned', mi aiuta a capire tante cose che hanno attanagliato l'attenzione e la penna del nostro Machiavelli e che ora mi ritrovo sotto tiro, perché questo è il mio tempo e ci devo essere dentro, consapevolmente. Carissimo, son passati giorni, mi son messa a studiare i testi del prof. Mordacci, quello di Dummett, la 'Trilogia della guerra' di Roberto Rossellini e altro e proprio ieri, il 3
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Agosto ho incontrato il giovane pittore Giapponese che si firma Cokkun Vich, ospite del Vergilius Resort, in territorio vicentino, dove trovano riparo ricche famiglie di arabi e arabo-israeliani e ortodossi, con tutta la loro prole: i suoi lavori, in lucida lacca coloratissima, chiamano la gioia a partire dal disastro del terremoto di Kobe, del 1995. Tutto viene spazzato via ed allora lui, diciottenne, costruisce dei ventagli e vi dipinge le immagini delle zone della città che non ci sono più e li regala proprio a quelli che abitavano quelle zone così loro, facendosi vento nelle case di latta, perché manca l'aria, possono respirare e ricordare. Allora gli ho parlato subito della giovane Giapponese Atsuko, ma questa è un'altra storia, intensissima, che ti racconterò. Le sue strade bianche, nette, che attraversano il quadro dal basso verso l'alto, tra agglomerati di case coloratissimi e cuoricini sulla bianca traccia del fumo dai camini, quel simbolo universale del cuore che batte, perché prova emozioni: interpreto di netto e a voce alta che il bianco pieno è il percorso del vuoto Zen, che serve a cogliere la tua interiorità più profonda, per metterti in cammino ed incontrare l'altro, gli altri, il loro sguardo... pensa, carissimo, che Vik si è messo in cammino da Shanghai e dopo un anno è arrivato ai confini del Pakistan, da solo, per trovare se stesso, quel se stesso che è sempre davanti a lui, affinché il cammino continui. E ancora Luigi Nono mi parla da dentro e mi indica come avere nostalgia del futuro. Eventi naturali, come questo di Kobe, o come lo tsunami che ha spazzato via Sendai, là dove viveva Atsuko con la sua famiglia, e poi disastri provocati, come i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, che hanno stravolto, con il concorso della ricerca scientifica sofisticata sulla scissione dell'atomo come su armi chimiche batteriologiche e quant'altro, il rapporto tra gli esseri umani, le guerre e le armi da guerra. Non vorrei più smettere di dialogare con te ma è proprio pensando a te, alla tua vita, alla tua forza interiore nelle avversità, alla tua sincera e piena capacità di
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amare e di lottare, anche perché viva d'ossigeno puro questa 'nostra' creatura di carta, alla tua Poesia, è proprio pensando a tutto questo che trovo ancora l'audacia indomabile di mettermi in cammino. Ti abbraccio. Ilia Carissima Ilia, il problema del trasporto locale è drammaticamente all’ordine del giorno e a nulla valgono le tante inchieste sulla carta stampata e le televisioni. Il Governo e le Ferrovie dello Stato forse neppure le leggono e le vedono, perché a capo di tutte le Istituzioni non ci sono uomini e geniali, ma soltanto burocrati buoni a nulla, preoccupati d’incassare, mensilmente, favolosi stipendi, alla faccia dei veri lavoratori che con la magrissima paga non riescono a sbarcare il lunario; retribuzioni, le loro, che sono più che schiaffi in faccia, feroce umiliazione per coloro che, addirittura, un lavoro non ce l’hanno. Al Governo e nelle Istituzioni c’è gente che mira solo al proprio tornaconto, che non ha idea dei veri bisogni dei cittadini e non progetta. Che senso ha l’ alta velocità se poi, i viaggiatori, per spostarsi dalla propria abitazione alla stazione della Tav, debbano impiegare ore e ore e spendere molti soldi? In un “Alleluia”, su queste stesse pagine del luglio 2013, l’ amico scrittore Rossano Onano ironizzava sul fatto che, utilizzando il treno veloce, un abitante di Reggio Emilia possa raggiungere Bologna guadagnando 10 minuti. Infatti, non è una vera e propria presa per i fondelli se, per raggiungere la stazione dell’alta velocità, il reggiano, rispetto al vecchio tipo di trasporto, ne debba impiegare in più 34? Ma, a ben riflettere, il reggiano si trova in uno stato di privilegio se rapportato a uno del Sud. In Calabria, per esempio, non esiste l’alta velocità, né altro. Perfino le frecce provenienti da Roma, arrivate a Battipaglia, spesso si trasformano in treni lumache, con fermate di fronte ad ogni casa che incontra e, spesso, anche davanti a un campo di cavoli. Diventano, cioè, lentissimi treni locali e, tutto
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ciò, lungo la costa tirrenica. Perché nell’ interno non ci son ferrovie, ma, solo in qualche zona, scassate e sporche corriere con una corsa al giorno, che non si sa quando arrivano né quanto ripartono, sicché un povero disgraziato, per fare dieci km., impiega, se gli va bene, una mezza giornata. Ha senso l’alta velocità? Ed anche tu sei una privilegiata rispetto a una tua collega del Sud. Tu puoi sederti per terra e scordare, per un po’, la drammaticità di “tutto il contesto che (ti) sta intorno”, leggendoti il libro ricevuto in dono dal tuo amico Roberto Mordacci. Sì, perché sui pochi treni del Sud, non sempre trovi lo spazio per startene su due piedi; lì, nulla è cambiato da più di cinquant’anni. Era così quando ne avevo dodici e son venuto per la prima volta a Roma. Ricordo di aver fatto tutto il tragitto precariamente appollaiato sulla grossa valigia ancorata vicino allo sportello. Chi saliva, spesso mi dava un buffetto a mo’ di carezza. Giunto a Termini, non solo il mio collo era tutto indolenzito, ma le mie spalle e pure la mia testa. Dovresti leggere, a proposito, la prima scena del mio dramma La mania del coltello. Francesco aveva l’incubo delle manate sul collo e sulle spalle dategli in segno d’ affetto. Perché ricordarmi Silvìna Òlnaro? Quel dramma è stato tale per me anche scriverlo e indignazione dopo. Molte richieste da parte dei lettori, due edizioni nello spazio di pochi mesi. Articoli elogiativi, solidarietà, promesse... All’improvviso, più nulla. Le compagnie teatrali si guardano bene, oggi, dallo scommettere sui nuovi autori. Nessun teatro si arrischia. Tutti puntano sul sicuro, sulle opere già collaudate dei soliti Grandi. Ma, così facendo, non ci sarà mai rinnovo, ricambio e l’odierno scrittore di teatro la messa in scena se la sogna. A meno che non abbia agganci, denari, legami di sangue con le persone che contano, con le lobby che dominano l’ universo intero. Forse è stato sempre così, ma, di certo, non a un tale livello. Tu sai come la penso in quanto a fine vita. Sono un credente. Per me non può essere interrotta a piacimento e non posso condividere
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la vera e propria industria che si è sviluppata in proposito. In Svizzera è già fortissima. E poiché, nel mondo, chiudono i grandi stabilimenti metalmeccanici, chimici, le attività commerciali; poiché le nuove tecnologie e l’ informatica non hanno dato i posti di lavoro prospettati, possiamo ugualmente fregarci le mani e sorridere: ecco, finalmente, la nuova e vera fonte di lavoro: la gestione delle nuove imprese “dalla tua casa alla tua tomba”, con prevedibili, sostanziosi sconti per i tanti dipendenti. Alleluia! Alleluia! Saranno aziende votate all’espansione continua, se è vero che in Svizzera - dove, come già detto, esistono -, i soli Italiani, che vi si recano a morire, negli ultimi anni son quintuplicati. Piazzale Loreto è simbolo della bestialità umana. Alla morte, bisognerebbe portare rispetto, anche a quella del più feroce nemico, che si combatte, che si deve combattere con tutte le forze e, all’occorrenza, con tutti i mezzi, ma non più quand’è cadavere. Ogni violenza - sull’uomo, sugli animali, sulle cose - è già oscurantismo, ma quella sull’ essere morto è autentica barbarie, retaggio di primordi. Anzi, allora, forse si era meno feroci, se è vero che Achille, dopo aver ucciso Ettore
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e, nel pieno dell’ira, trascinatolo intorno alle mura di Troia, ne ha consegnato il corpo al povero padre e senza pretesa di riscatto. In lui, cioè, c’era un barlume di luce, la pietà ch’è mancata e che manca sempre in coloro che, a freddo, ammazzano o si abbandonano allo strazio di cadaveri. Ed ecco, cara Amica, senza volerlo, io e te siamo debordati in poesia: io ricordando Omero, tu il nostro Quasimodo: E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Insomma, l’eterna malattia dell’uomo, la guerra e la sua innata ferocia, la sua bestialità; l’uomo dal “Ramo nudo” di geriniana memoria, così magistralmente commentato dal tuo Papà: Tanto pieno diluvio di ferocia mai disciolse barbarie: per quanto scenda nei tempi più foschi.
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Dove ti volgi è sangue. (Giuseppe Gerini, “Dentro celeste sponda”) E l’Europa, per secoli immenso campo di battaglia, nulla ha imparato dalla storia e non ha attenuato il suo egoismo. Se da più di sessant’anni gode una relativa pace, non è perché ha capito la lezione impartita da milioni di morti, ma per un effimero benessere economico, che ogni giorno si fa sempre più labile. Una pace che non è maturazione di coscienze, cioè, la sola che porterebbe a una vera e duratura unione di popoli; “un’ Europa da Lisbona a Vladivostok” è difficile realizzarla finché sono vivi i tanti egoismi. Ricordo il generale De Gaulle, che voleva non un’Europa, ma la sola Francia, da “Dunkerque a Vladivostok”! Più egoismo di così? E, se a dominare le nazioni del nostro vecchio continente è un tale spirito, come possiamo pretendere che altri, Stati Uniti compresi, possano avere a cuore l’ unione europea, la vera, al di sopra del solipsismo dei singoli Stati? Non è assurdo, agghiacciante, che si continui a uccidere e a distruggere per poi far finta di ricostruire? Non è bestiale? Ma, a voler tutto ciò, son solo gruppi di feroci caimani, mai sazi di accrescere il proprio potere e la propria ricchezza, dimentichi che anche per loro ci sarà il “fine vita”. Scatenano odio, insanguinano la terra, si affaticano “a far perdurare guerra e conflitto”. Solo un pugno di ingordi criminali, capisci? Il mondo, tutto il mondo, deve unirsi per definitivamente emarginarlo. Sta qui l’ essenza della tua e della mia lotta. Domenico Immagini: Pag. 46, Roberto Mordacci “ 51, Salvatore Quasimodo e la copertina del volume Giuseppe Gerini di Francesco Pedrina, stampato nel 1964 dalla Casa Editrice Trevisini di Milano. Questo autentico cimelio reca la dedica di tutto pugno: “A Domenico De Felice, il cui demone poetico non impazza né traligna. Francesco Pedrina. Padova, 21 giugno 1968”.
Pag.52 AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione), composti con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio, attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (con copia cartacea) Annuo... € 50.00 Sostenitore....€ 80.00 Benemerito....€ 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia....€ 5,00 ABBONAMENTI (solo on line: http://issuu.com/domenicoww/docs/) Annuo... € 40 Sostenitore ... € 60 Benemerito ... € 100 Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 NO76 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio