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ANNA ACHMATOVA: IL SILENZIO DELL’AMORE di Elio Andriuoli

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LLE molte traduzioni in italiano delle poesie della poetessa russa Anna Achmatova, se ne è recentemente (ottobre 2014) aggiunta una ad opera di Manuela Giabardo e Paolo Ruffilli, apparsa nella Biblioteca dei Leoni di Treviso, che appare di molto interesse per l’accuratezza delle scelte e per la resa stilistica. La disinvolta leggerezza del verso e la novità delle immagini proprie di questa autrice qui emergono infatti a prima vista; così come emergono la vivacità del dettato poetico e l’autenticità del sentire. Com’è noto, l’Achmatova riesce a cogliere i più sottili moti dell’animo e le pur minime sollecitazioni dei sensi con disinvolta bravura: ed è ciò che meglio la contraddistingue. Brevi ma intense sono le sue poesie, che riescono a dire molto di lei in pochi versi. “Il petto senza forza raggelava, / eppure leggeri erano i passi. / Ho infilato il guanto di sinistra / nel posto della destra. / … / Questo è il canto del nostro ultimo incontro. / Ho guardato la casa buia all’ultimo istante. / Solo nella camera ardevano candele, / di una luce gialla, indifferente” (Poesia dell’ultimo incontro). Quelle che Anna Achmatova evoca sono scene di vita reale profondamente sofferta e descritte con un linguaggio piano ma intenso, che mette a nudo profondi →


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All’interno: Ragione e fede di Paola Ruminelli, di Giuseppe Leone, pag. 5 Francesco Pedrina, Cefas, Fiumi, di Ilia Pedrina, pag. 7 Realtà e trasfigurazione, di Nazario Pardini, pag. 10 Giovanni Frasconi e “Quell’antico suono di chitarra”, di Luigi De Rosa, pag. 15 Una satira rinnovata sulle storture italiche, di Andrea Bonanno, pag. 17 La “Mimosa” di Paola Insola, di Luigi De Rosa, pag. 19 Roberto Ardigò, di Leonardo Selvaggi, pag. 21 Rosa Elisa Giangoia e La vita restante, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 24 La lingua ufficiale, di Aida Pedrina, pag. 26 Guardare all’infinito, di Rosa Elisa Giangoia, pag. 29 La fantasticheria di un poeta, di Themistoklis Katsaounis, pag. 31 I Poeti e la Natura (Guido Gozzano), di Luigi De Rosa, pag. 32 Notizie, pag. 45 Libri ricevuti, pag. 49 Tra le riviste, pag. 51 RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Necessaria è l’ironia, di Marilla Battilana, pag. 34); Giorgina Busca Gernetti (Florilegio Web Blog L’ombra delle parole, di Pasquale Balestriere, pag. 35); Gianfranco Cotronei (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag. 35); Salvatore D’Ambrosio (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice, pag. 36); Salvatore D’Alessandro (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorello, pag. 36); Salvatore D’Ambrosio (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 37); Luigi De Rosa (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 38); Elisabetta Di Iaconi (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 40); Filomena Iovinella (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 40); Elena Milesi (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 40); Elena Milesi (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag. 41); Laura Pierdicchi (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice, pag. 41); Andrea Pugiotto (Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 41); Andrea Pugiotto (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag. 42); Innocenza Scerrotta Samà (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 42); Innocenza Scerrotta Samà (Elogio alla mimosa, di Paola Insola, pag. 43). L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 51 Lettere al Direttore (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 53

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Lorella Borgiani, Giorgia Chaidemenopoulou, Corrado Calabrò, Colombo Conti, Domenico Defelice, Michele Di Candia, Andrea Masotti, Adriana Mondo, Teresinka Pereira, Leonardo Selvaggi

conflitti interiori. Le sue sono essenzialmente poesie d’amore e dell’amore hanno gli esaltanti rapimenti e i dolorosi risvegli. La poetessa racconta come in un diario lirico le proprie esperienze di vita; e le sue poesie contengono sovente delle domande che restano

per lo più senza risposta. L’amato al quale ella si rivolge è infatti collocato nell’ombra, dato che la sua figura ha un risalto minore rispetto a quella della sua interlocutrice, che l’ incalza, con l’urgenza della propria passione. Quella della Achmatova è inoltre una poe-


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sia ricca di immagini, oltre che di forti contrasti; di abbattimenti e di slanci, di delusioni e di rivalse; ma specialmente è una poesia di ardenti passioni, che investono anche la Patria Russa e la stessa poesia, oltre che gli uomini ai quali la poetessa fu di volta in volta legata: Nikolàj Gumilëv, Vladimir Šilejko, Nikolàj Punin furono i suoi tre mariti. Ella fu pure amica di alcuni tra i maggiori poeti russi del Novecento, tra i quali Osip Mandel’štram, Boris Pasternak e Marina Cvetaeva. Ciò che fa della Achmatova una grande poetessa è la naturalezza con la quale confessa le pene che agitano il suo animo, da lei totalmente messo a nudo. Spontaneità e disinibizione caratterizzano il suo dire, che colpisce per l’autenticità con la quale si esprime: “Ho pianto, piena di rimorso, / se solo giù dal cielo precipitasse un tuono! / Sta confuso il cuore ed è estenuato / nella tua casa vuota. / Conosco l’insostenibile dolore, / la vergogna del ritorno… / E’ terribile andare da chi non si ama più, / terribile essere accolti dal silenzio” (Ho pianto, piena di rimorso). Certo, per l’Achmatova la poesia è stata un efficace antidoto coltro il dolore dei giorni, se ella ha potuto dire: “… una speranza è persa / e una canzone nuova è nata” (Ho smesso di sorridere). La poesia le ha dato inoltre la gioia di poter esprimere i suoi più intimi sentimenti, come l’amore per la città in cui aveva a lungo vissuto e alla quale ella si sentiva inscindibilmente legata; il che si evince ad esempio in una lirica di Stormo bianco: “Eri la culla del mio stare più beato / … / città amata di un amore amaro. // Eri l’altare delle mie preghiere / così tranquilla e severa nelle tue nebbie” (Eri la culla del mio stare beato). Le parole che l’Achmatova adopera sono quelle di ogni giorno, ma in lei assumono nuove risonanze e nuovo valore. I sentimenti che la muovono sono quelli di tutti, ma ella sa renderli eterni. Si legga, ad esempio, Separazione: “Davanti a me, un sentiero / che sale nell’ombra. / Soltanto ieri, innamorato, / mi implorava: «Non mi dimenticare». / Solo i venti restano ora / e le grida dei pastori, / i cedri scossi / accanto al fresco delle fonti”.

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Dominante è in questa poetessa il tema dell’addio, che segna il temine di un amore e per questo la sua lirica è in genere triste e senza gioia; espressione di un animo ferito e in preda a malinconici pensieri: “Non riusciamo a dirci addio / vagando fianco a fianco senza meta. / E intanto si fa buio, / tu pensieroso, io zitta” (Non riusciamo a dirci addio). Come si vede queste poesie costituiscono la testimonianza di una vita sentimentale tumultuosa e intensamente sofferta. La tematica di Anna Achmatova non comprende però soltanto la problematica amorosa, perché oltre al tema della città, di cui abbiamo già fatto cenno, c’è in lei quello della guerra civile, i cui tristi effetti emergono dai suoi versi e quello delle feroci persecuzioni staliniane a danno degli intellettuali dissidenti, che colpirono duramente la nostra poetessa sia nella persona del figlio Lev, che fu imprigionato e rischiò la fucilazione, tramutata all’ ultimo momento in deportazione nei Gulag siberiani, dove trascorse molti anni, sia nella persona del suo primo marito, Gumilëv, che la fucilazione non poté evitarla. Per quanto riguarda il tema delle distruzioni provocate dalla guerra civile, si legga ad esempio MCMXXI: “Ogni cosa fu rubata, venduta, tradita, / e balenò la nera ala della morte, / fu divorato tutto da un’insaziabile angoscia / … / E alle sporche case che giacciono in rovina / si avvicina la nostra meraviglia… / non che di noi nessuno ignori, / ma per un secolo sognammo…”. Per quanto riguarda la tematica delle brutali persecuzioni staliniane contro veri o presunti oppositori del regime, si legga Requiem, il poemetto che ebbe origine nell’arresto del figlio Lev, avuto dal primo marito, che la costrinse a trascorrere lunghe ore in fila davanti alle carceri di Leningrado per avere notizie di lui. Durante una di queste attese, come ella stessa racconta, una donna le si accostò e le disse sottovoce: «Ma questo lei può descriverlo?» e la poetessa rispose: «Posso». Da ciò nacque il poemetto di cui qui riportiamo l’ Introduzione: “Fu quando soltanto i morti / sorridevano, lieti ormai d’essere in pace. / E co-


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me inutile appendice dondolava / Leningrado, accanto alle prigioni. / Quando pazzi di dolore, / andavano schiere di dannati, / e il fischio del treno / era un breve canto d’addio, / su di noi c’erano stelle di morte / e la Rus’ si contorceva innocente / sotto stivali insanguinati / e sotto le ruote dei marusi neri”. (I marusi erano i furgoni con i quali gli oppositori del regime erano condotti nei luoghi di detenzione: Nota del traduttore). Tra scoppi di brevi, improvvise allegrie e rigurgiti di abissali tristezze Anna Achmatova ha così trascorso i suoi giorni, lasciandoci un segno indelebile non soltanto della sua storia privata, ma anche di quella di milioni di vite travolte dalla guerra e da una delle più crudeli dittature della Storia. Per virtù d’arte il suo messaggio ha travalicato così il contingente, toccando l’universale: il che ha reso duratura e capace di parlare al cuore di tutti la sua parola. Le traduzioni di Manuela Giabardo e di Paolo Ruffilli rendono con efficacia i tumulti e le passioni dell’autrice, dando un’idea abbastanza precisa del valore e delle virtù d’arte dell’originale. Elio Andriuoli ANNA ACHMATOVA: Il silenzio dell’amore (Biblioteca dei Leoni, Treviso, 2014, € 14,00)

DÉSHABILLÉE Ti svestirò di luna sulla grande terrazza. Ottenebrata sotto noi la notte rapprende collosa gli umori di corpi grevi che russano con le finestre aperte. Ti svestirò di luna sulla grande terrazza fino alla tua più intima bellezza e ti denuderà così svestita, mentre la luna impallidisce, l’alba. Corrado Calabrò

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MEGHI a Riccardo Ogni tanto mi parli di Meghi a mesi dalla morte. T’è rimasta nel cuore. Gli occhi ti si appannano. Dirotto, allora, il discorso su Briciola e Schizzo - incontrati in casa di parenti e ti rimetto allegria con il racconto del cane ironico che defeca sul tetto di una casa accanto alla nostra campagna. Quando andiamo a passeggio, è un continuo fermarti: Ciao cagnolino, ciao cane! Li vorresti tutti accarezzare. Non ami altrettanto Gertrude, la tua gatta; dici ch’è dispettosa, che se la ronfa sopra le tue cose. Sempre al centro dei nostri giochi gli animali: la scimmia, il coccodrillo, Topolino, il grillo verde, la nera formica... Ma, sopra tutti, un cane peluche da te posto a guardia di un club segreto (non permetti lo si chiami Meghi, come a dissacrarne la memoria). Domenico Defelice


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RAGIONE E FEDE Il nuovo saggio di

Paola Ruminelli di Giuseppe Leone

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ECENSENDO un anno fa La natura, l’uomo e il sacro di Paola Ruminelli, avemmo ragione di dire che, per gli esiti formali raggiunti e per le riflessioni teoriche che lo accompagnavano, si trattava di un pamphlet col quale l’autrice esortava il lettore a riflettere per il nostro tempo, mostrandogli, provocatoriamente, nella metafisica e nella fede, in difficoltà in momenti come questi di globalizzazione, gli strumenti efficaci per far rinascere nell’uomo d’oggi la capacità e la voglia di tornare a guardare lontano, fuori dai prodotti della tecnica. E sembrava che proponesse tutto questo in senso apologetico. Ovviamente facevamo, come si usa ripetere, i conti senza l’oste. E infatti, appena pochi mesi dopo, la Ruminelli dà prova - attraverso questo saggio dal titolo Ragione e fede. Note di filosofia e di religione dal Novecento al Duemila, edito dalla Ecig di Genova nel novembre 2014 - di avere ancora ben altro da esibire sul versante della sua ricerca: vi ritorna sempre su temi relativi alla metafisica e alla fede, ma, questa volta, ridiscutendoli e rivi-

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sitandoli alla luce del nichilismo e della secolarizzazione, due espressioni culturali tipiche del nostro tempo, che sembrano preoccupare, e non poco, il suo prefatore Luciano Malusa. Tanto che, scrivendo di non capire bene, dalle pagine di Paola, “se la sua sia una contrapposizione al nichilismo, oppure una sostanziale accettazione di esso ai fini di aprire un orizzonte religioso non escludente”(7), chiede e si chiede quante prospettive di successo possa avere una filosofia così contaminata che dialoghi con la fede religiosa cristiana e quanto alla fine sarà rispettata la prospettiva classica che prevedeva di fare della filosofia la mansueta ancella della teologia (8). Non sembrerebbe darsi alcun pensiero, invece, la Ruminelli, nonostante abbia coscienza dei rischi che corre la metafisica al cospetto di un mondo che, dal dopoguerra a oggi, sta assistendo – sono parole sue - “al declino dei valori tradizionali, alla perdita della memoria storica, all’aggravarsi dei disastri ambientali…, al progetto di globalizzazione con l’incontro diretto di culture e tradizioni diverse, allo sviluppo della scienza che è in grado di modificare i momenti più intimi della vita dalla nascita alla morte” (10). Ne è cosciente, eccome, mentre si destreggia con agilità fra pagine ricche di riferimenti alla filosofia e alla religione, nonché alla teologia contemporanea, attraverso richiami a personalità e ad eventi significativi al fine di cercare di intendere la genesi dell’attuale momento storico. Eccola, allora, passare dagli esistenzialisti Husserl, Heidegger, Jaspers, Marcel, Caracciolo, e altri come Buber, Rosenzweig, Levinas, critici dell’idea di totalità della filosofia occidentale e sostenitori di un principio dialogico, agli strutturalisti De Saussure, Levi-Strauss, Barthes; a Derrida; alla Scuola di Francoforte; al ’68; al pensiero debole di Vattimo. E poi, a interpreti del pensiero religioso: da Barth, sostenitore dell’assoluta trascendenza di Dio; Tillich, per il quale “la fede è un dono di Dio, ma richiede anche la partecipazione dell’ uomo”; Bultmann, che si rende conto, “sulla base della visione scientifica del mondo, che l’ uomo di oggi necessita di una demitizzazio-


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ne delle scritture antiche (39), a Giovanni Paolo II e alla sua Fides et ratio, fino a Meister Eckhart, san Giovanni della Croce, Böhme, nichilisti ante litteram “che collegarono il concetto del Nulla con Dio, aprendo grandi profondità di pensiero"; ad artisti come Dürer e poeti come Leopardi, del quale la Ruminelli scrive che non si possono dimenticare le meditazioni del Cantico del Gallo Silvestre sull’ “arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale”(34). Che la studiosa faccia questa apertura di credito filosofico all’opera leopardiana, è cosa già di per sé sorprendente, ma che si auguri che la metafisica vada anche nella sua direzione, fa assumere alla sua ricerca un impegno a metà strada fra scommessa e profezia, soprattutto quando scrive: “Forse” la critica del ’68, il declino dell’arte del Novecento che denuncia una crisi di creatività, la revisione dell’etica in nome di una spontaneità degli istinti, la riduzione dell’uomo a prodotto storico, che hanno segnato e segnano l’epoca attuale possono anche insegnarci la necessità di liberarci da ogni dogmatismo e da ogni pregiudizio… per una visione anti- intellettualistica, orientata fenomenologicamente ad aderire alle ragioni esistenziali più autentiche.” (37). Proprio come era nei voti e nei desideri di Giacomo Leopardi, il filosofopastore, azzeratore dei fasti della civiltà del pensiero, nonché autore, fra le altre cose, di aforismi come questi: “la nemicizia della natura e della ragione (è) ridotta in concordia dalla religione”, oppure: “la filosofia indipendente dalla religione, in sostanza non è altro che la dottrina della scelleragine ragionata; e dico questo non parlando cristianamente, e come l’hanno detto tutti gli apologisti della religione, ma moralmente”; oppure, ancora, pensieri come questo: “Tutto è o può essere contento di se stesso, eccetto l’uomo, il che mostra che la sua esistenza non si limita a questo mondo, come quella dell’altre cose”. Per cui, ha ragione Malusa quando scrive che il libro della Ruminelli “va(da) letto come un atto di fiducia, una fiducia in quella tensione metafisica che è ormai speranza o cer-

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tezza per pochi, ma della cui perdita molti si dicono dispiaciuti, pur nulla più facendo perché divenga operativa” (8). E poca importanza ha se la metafisica non sia un esclusivo esercizio della ragione, ma questa leopardiana, frutto dell’incontro fra poesia, arte, religione, scienza, fede e filosofia del nichilismo. Risultato di contaminazione, si direbbe, come del resto tale è oggi la cultura della globalizzazione, con la quale bisogna pure fare i conti. E la Ruminelli pare che ci voglia dire proprio questo: che il recupero della ragione e della fede è possibile qualora rivedute alla luce della “scienza” di oggi, non più alimentata da un’unica fonte, ma espressione di un sapere più dinamico e diversificato, alla cui formazione hanno contribuito anche i poeti - e di qualsivoglia estrazione, materialistica o spiritualistica - come Giacomo Leopardi, appunto, che la studiosa ammette, dopo la scelta di Emanuele Severino, nella repubblica dei filosofi. Giuseppe Leone Paola Ruminelli - Ragione e fede. Note di filosofia e di religione dal Novecento al Duemila. - Casa Editrice Ecig, Genova, 2014. € 8,00. Pp. 96.

VERRÀ L’AMORE E AVRÀ LE TUE LABBRA Sì, sì, ci credo, ma come Tommaso. Credo alla luna solo se la vedo. Proprio così: la luna esiste solo se la guardi. Non ci credi? Togliti le lenti d’ogni giorno sciogli i capelli e metti gli occhiali da luna. Vedrai venire – lo vedrai tu sola – venire a te lungo un binario ignoto l’amore entrato in fase con la luna e senza che lui dica una parola tu gli offrirai tremante le tue labbra. Corrado Calabrò


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FRANCESCO PEDRINA confida all’amico CEFAS dettagli e gustose improvvisazioni critiche su LIONELLO FIUMI di Ilia Pedrina

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N salto indietro nel tempo, per arrivare all'Italia letteraria degli Anni '50: il Pedrina vive a Povolaro, in provincia di Vicenza, con tutta la famiglia e la villa ha il parco, la fontana al centro con i quattro mostri che sputano acqua ferruginosa e al centro i cigni che sostengono la conchiglia, adatta a raccogliere gli zampilli, che gocciolano giù nuovamente. Poi, in alto e dalle linee agili, un puttino: evidentemente al giovane Francesco Pedrina, studente all'Università di Lettere a Firenze negli Anni '20 del secolo scorso, il Giardino di Boboli e tutte le altre infinite sollecitazioni estetiche della città sono state di certo l'elemento artistico ispiratore per queste architetture d'esterni, che nella Villa di Povolaro, acquistata sventrata nel 1939, saranno da lui richieste e realizzate e daranno profili, percorsi e contenuti alla sua vena artistica, quale materiale infinito per la sua contemplazione. Dopo lunghe e complesse vicessitudini, di cui darò dettagli in un futuro lavoro, Giuseppe Gerini si è portato con la famiglia a Firenze, mentre Lionello Fiumi, dopo il soggiorno parigino durato non pochi anni, vive con la

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moglie Marta Leroux tra Roverchiara e Verona. Allora vado a raccogliere con grande emozione i contenuti di quest'analisi che getta una intensa luce sull'Amicizia e la vera stima che Francesco Pedrina nutre per Giuseppe Gerini, sensibile poeta e cantore dello spirito, quando si accende di luce divina e trascolora, ma anche scrittore, critico letterario finissimo e saggio. Con Lionello avrà dimestichezza piena, sincera, talora furbescamente goliardica ed allora i toni delle confidenze si caricano di piacevole attrattiva. Trascrivo, ricordando che i nomi delle opere e delle poesie sono tutti sottolineati. “Povolaro 31 . X . '50 Caro Gerini, mi rileggo anch'io di tanto in tanto i realisti lirici nel 'IV Voci d'Italia' e, come se si trattasse di altrui fatica, me li gusto nel testo e nel commento. Forse mai un nuovo indirizzo poetico è stato lanciato in un testo scolastico con tanto amore e tanta cura. Fiumi ne è entusiasta: si dichiara conquiso dal mio equilibrio, dal mio gusto, dalla larghezza del mio giudizio, per cui tutti appaiono in giusta luce, ermetici e realisti lirici, senza odiosi esclusivismi. Chiama addirittura imponente il libro e vuole ch'io lo mandi ai quattro venti, agli Italianisti d'America e di Francia, agli spocchiosi d'Italia..... Io gli ho risposto che non è questo il momento di dar battaglia, ché al fuoco c'è dell'altro che meglio si presta alla bisogna..... Insomma siamo lanciati e il realismo lirico s'imporrà... tuo F. Pedrina”. A questo 'letterone' denso e dettagliato, faccio seguire una testimonianza precisa di quanto abita nel cuore e nella mente e nella penna del Pedrina. “Povolaro 10 . XI . '50 Caro Gerini, tu sei Pietro e sul tuo fiordaliso io fonderò la mia Antologia, dove tu apparirai tutto tratto con la tua voce assorta a richiamare il lettore a intimità dolorose. Se ti capita di rifoggiar qualche verso, comunicamelo senz'altro. E rimandami 'Usignuolo',


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che s'è imboscato tra i miei libri e non lo ritrovo più. Capasso mostra di credere che la presentazione e il commento dell' 'Ultimo canto di Saffo' sia di Zambon: ma non è chiaro che le parti di Zambon sono tutte firmate? (…) Fiumi è il più convinto di tutti che io abbia fatto tutto bene. Non sa consolarsi perché io non voglia inviare per ora il libro (…) e dire che mi hanno bocciato, bocciato per la libera docenza. Come se questo non fosse un argomento ch'io non mi chiamo Pietro e come non si sapesse di che nepotismo siano ammalati i titolari di cattedre universitarie. Fiumi mi dà del 'Maestro' e io gli ho dato sulla voce, dicendo che sono più giovane di lui... Scrive tutto serio, rispettoso: non par affatto lo scapigliato di questi quattro decenni. Gli ho proposto di prestarmi il suo nome per un connubio: 'Lionello Fiumi – Francesco Pedrina – Fiordaliso – Antologia Italiana per la Scuola Media'. Ma egli s'è schernito, non vuole vestire le penne del pavone; e ha fatto il tuo nome e quello di Jenco. E non ha pensato che tu ti chiami Giuseppe e Jenco Elpidio. Ahimè! Per le professoresse d'oggi ci vuol dell'altro (e nelle Scuole Medie son tutte professoresse). Che Giuseppe, che Elpidio! Non provano alcun brivido: ma innanzi a Lionello si sentono attanagliare da una forza che le scuote dal profondo (…) A tutti gli altri fascini del libro aggiungi anche questo e vedi se posso rinunciare alla collaborazione di Lionello Fiumi. Scrivigli, convincilo (…..) tuo Francesco P”. Per il nome 'Giuseppe' avrà proprio un rifiuto a pelle e lo spiega all'Amico: gli ricorda un certo Josip Stalin....Poi, quasi in un esultare di gioia, da Povolaro, il 19 novembre del 1950 il Pedrina per la prima volta scrive: “Mio Cefas, ho concluso ora, il viso inondato di lagrime e con qualche singhiozzo, il commento a 'Usignuolo'. Non ti dico altro. Tu apri il becco e agiti le alucce, ma questo è 'pane transustanziale d'anima' che non deve essere affidato all'inchiostro ma alla viva voce. È ciò che ti attende alla prossima di-

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scesa a Povolaro; è il dono che l'ospite ti riserva. Ancora pochi ritocchi al commento del 'Fiordaliso' e anch'io, salito in groppa al tuo Pégaso, trasvolerò con te verso le sere plaghe dell'eterna poesia. A Capasso ho scritto e riscritto, mettendogli in cuore un po' di fuoco (….) E poi l'ho informato del corso del mio lavoro (…)In questo modo il Realismo lirico apparirà come la corrente che incanala la maggior parte della poesia moderna tra precursori, corifei seguaci. In questo allineamento è implicita la mia certezza che il Realismo lirico sarà la scuola poetica dominante della seconda metà del secolo (ti prego di conservare le mie lettere nel caso che avessi da riprendervi concetti e frasi quando pubblicamente esporrò il mio pensiero. Non sempre la frase ci soccorre pronta e immediata). (…) Arrivederci, caro Cefas. Per questo bel pseudonimo, che io ti ho provocato, un giorno o l'altro, quando saremo in brigata, pagherai da bere. Tuo Francesco P.”. A pochi giorni di distanza, per Capo d'Anno 1951, gli scriverà: “Cefas, eccoti il mio augurio e il mio regalo per l'anno 1951. 'Un vento ignoto' Siamo nella sfera delle meditazioni foscoliane: dell'oblio, forza torpida e pur possente che tutto involge nella sua notte; del tempo che traveste l'uomo e le sue tombe e l'estreme sembianze della terra e del cielo. Ma nel poeta moderno non c'è l'attonimento dei ' Sepolcri', non c'è quel colore impassibile. L'oblio e il tempo diventano un fiato che spira uguale ed eterno sospingendo uomini, animali, la natura vegetante e gli stessi astri ad una sorte. E quale sia questa sorte per i figli dell'uomo che non si quietano al possesso della terra, sospinti da una forza ignota a valicarne i confini per vie senza ritorni, ce lo dice al fine, affidandosi alla credenza cristiana d'un comune approdo nell'al di là, dove Iddio attende la sua messe per destinarla forse a nuove fioriture. Religiosa catarsi che toglie al mistero della morte la caligine pessimistica e persuade ad accettarla senza superbe quanto inutili ribel-


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lioni. Un vento ignoto e altamente quïeto ci sospinge tutti a una sorte. Cede, andrà il filo d'erba con la farfalla bianca che volteggia: cede, andrà la rupe con la sua quercia e quel fringuello che di su gorgheggia: cedono, andranno gli astri che scintillano. E i figli dell'uomo non quïeta il possesso disteso della terra! Ma gl'impenna l'ignoto sulle strade senza ritorno. E quali, lo sai Tu che ne raccogli e ci riposi. Siamo la tua messe, Signore. E di noi forse seminerai tutt'altri campi al di là degli spazii, oltre il tempo per fioriture nuove e senza morte.” Segue il commento, in più pagine, delicato e profondo, cadenzato nella misura interpretativa ed appassionato nel convergere delle emozioni evocate. Cefas, Giuseppe Gerini sarà per il Pedrina e per tutti gli altri 'modulato poeta'. Anche nelle lettere successive i nomi della corrente letteraria del Realismo Lirico ci saranno tutti ed il Pedrina raccomanderà all' Amico Cefas di preservare le sue missive con cura perché ha in mente di raccogliere in una pubblicazione tipo 'Epistolario' queste e quelle inviate ad Elena Bono, a Lionello Fiumi, a Giulio Caprin, a Federico De Maria, ad Aldo Capasso e ad altri ancora. Ce ne sono a centinaia, in giro nelle diverse case, dice, e non si cura della censura, dato che scrive sempre di getto. Vorrei trascrivere senza esitazione e con reverente tremore tanti dettagliati aspetti di questo interessante progetto, ma questo sarà percorso intenso del mio prossimo tempo, mentre forse si potranno rinvenire proprio le tante, tantissime lettere del Pedrina al Fiumi. Ilia Pedrina Pag. 6: Francesco Pedrina e i nipotini Italohawaiani.

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LUNA PIENA Impareggiabile bellezza, immagine splendida. La sua mente è illuminata dalla luce stellare. La sua anima desidera pensare, ricordare... Segue con brama lo splendore della Luna. Il suo sguardo ammaliato dalla stellare combinazione. il suo pensiero viaggia in profonda meditazione. La Diana e le Pleiadi le fanno compagnia, Sente la Luna che le sorride. Pianeti, stelle, cielo chiaro, sfolgorante la Luce dell'Universo abbagliante. Davanti a sé si svela un mistero, e lei, serena, si abbandona... I suoi occhi chiusi strettamente, mentre un venticello accarezza i capelli leggermente. La Terra dal velo luminoso della Luna è abbracciata, e la Luce ovunque si è sparpagliata. Alla Finestra del Cielo immenso, la Luna è apparsa timidamente, e come la Luna il suo percorso celeste ha finito completamente, così, anche lei, il suo cammino ha tracciato, e nella vita il suo dovere ha terminato. Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal Greco della stessa Autrice

ALI DI FARFALLA Non lasciarmi con in mano le ali della farfalla: voglio anche il corpo della farfalla, voglio che torni ancora a me vicino, voglio che ancora continui ad aleggiare a me dintorno per portarmi il tuo saluto e l’eterno tuo ricordo. Mariagina Bonciani Milano


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REALTÀ E TRASFIGURAZIONE La filosofia dell’essere e l’arte dello scrivere di Nazario Pardini

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NA tematica che si può francamente riassumere in quella annosa quanto mai disputata questione fra arte e realtà oggettiva; fra arte e natura. Argomentazioni che hanno determinato il flusso filosofico-culturale-aristico da sempre: Dolce Stil Novo, Umanesimo, Barocco, Manierismo, Illuminismo, Neoclassicismo, Romanticismo, Verismo… E Saffo? e la grecità? e la romanità? Chi più ne ha più ne metta. Ogni corrente si è distinta dall’altra per una diversa interpretazione del rapporto fra l’io e il mondo circostante. Fino all’originalità Baudelairiana che vede nel poeta colui che può auscultare la realtà col sesto senso. Sì, uno in più. Perché riesce a percepire quella musicalità insita fra le pieghe del reale, che l’uomo comune non riesce a udire. Ed è proprio quella “sinfonia”, secondo lui, a creare una simbiotica fusione fra le cose che all’occhio comune appaiono divise. Ma, per farla breve, secondo me, l’arte non è ragione, né realtà scussa, l’arte è fantasia, immaginazione, passione. La ragione, semmai, tende a frenare quegli slanci onirici tesi a superare il gretto verismo. L’arte ha bisogno di un serbatoio a cui attingere. E quel serbatoio è alimentato dalla memoria. E’ lei che plasma la realtà mutandola in immagine. Ogni piccolo fatto, ogni sguardo, percepiti e degni di storicizzarsi, una volta decantati nel nostro animo, si fanno alimenti indispensabili per la resa estetica. Conosco tanti poeti che hanno creduto di fare della poesia un annuncio politico, una rivoluzione sociale. La poesia è altro. Si potrebbe partire addirittura dai presocratici, per non dire di Socrate, Platone, di Aristotele per tracciare una linea sommaria che tenga di conto dell’evolversi di tale rapporto, considerando che sono certe condizioni a

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permettere che tale tema della filosofia si sviluppi proprio in Grecia nei secoli VII-V a.C. A determinarne l’esordio contribuiscono la visione dell'arte, della religione e le condizioni socio-politiche di quel periodo. E sopratutto Omero, Esiodo e la poesia lirica. Omero, pur rifacendosi a ragioni mitico-storiche, tenta di rappresentare la realtà nella sua totalità. Ed Esiodo cerca di venire a capo del «principio primo» da cui tutto ha inizio, ma rifacendosi sempre al mito. E Socrate, quanto al rapporto dell’io con la realtà, giunge al concetto di limite, di giusta misura: quel «conosci te stesso» del tempio di Apollo. Ma mi piace aprire una parentesi su Saffo la grande. Il suo rapporto con Pan è vario, e piuttosto conflittuale. Nei suoi frammenti ci sono chiari di luna, e scoperte di paesaggi serali veramente moderni. Ma la sua ricerca è sempre volta ad una Natura tormentata e violenta che faccia da specchio al suo essere abnorme, al suo involucro imperfetto, e “brutto”. Riesce a soddisfare il suo spirito solo davanti a mari che sbattono le loro onde fragorose su scogli dissestati, o in mezzo a temporali forieri di lampi paurosi. E bramerebbe che la morte la raggiungesse nel momento del maggior godimento erotico, perché tale beatitudine, tale sperdimento dell’essere non venisse profanato dalla vita: “… Proprio qui,/ ove tu siedi, stette il piede tenero/ dell’infelice Saffo che Faone/ abbandonò. Nel cielo di quest’isola,/ lucido ed armonioso, riscontrava/ solo dolore; andava su altre sponde/ ove il mare violento tormentava/ gli scogli dissestati per rivivere/ il suo triste destino. Dalla cima/ di pietra accarezzata dalle mani/ della dimenticanza, si gettò/ in quest’onde fatali…” (Da Nazario Pardini: Alla volta di Léucade: Fuga da settembre, Viareggio, 1999); “Volevo/ che tutto il mio sentire si spegnesse/ nella notte soffusa e che l’immagine/ non guastasse la luce. Era la morte/ ch’io bramavo nell’attimo superbo/ di eternare la gioia dell’amore./ La poesia e il canto il grande dono/ furono degli dèi per il deforme/ involucro dell’anima. Nessuno/ pronuncerà di certo il verbo furono/ per i miei versi. Aleggiano con piume/ verso l’Olimpo


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in questo nostro incontro./ Moriranno gli eroi, le bellezze/ di cortigiane effimere e procaci,/ ma un cantico se eccelso volerà/ oltre gli spazi frali degli umani./ E se restò il ricordo di un’achea/ bellezza o ancor di più di gesta eroiche/ di un teucro si deve al grande aedo./ Il luccichio del mare accompagnato/ dai trilli lamentosi dei colombi,/ il frangersi dell’onda sulle rocce/ logorate dagli anni, le tempeste/ che spruzzano la bava della schiuma/ sui volti scoloriti e poi i riposi/ delle bonacce sulle vele ai porti/ saranno giuste note che stasera,/ incise in poesia, legheranno/ il convivio all’ eterno” (Da Nazario Pardini: Alla volta di Léucade: Agape di vino e poesia, Viareggio 1999). Quanto al rapporto fra l’ego e il reale negli artisti greci tende alla trasfigurazione: non si riproducono mai le forme del corpo; e i volti delle statue greche non tradiscono mai un sentimento ben definito. Questi artisti utilizzano i movimenti per esprimere quelli che Socrate aveva chiamato “i travagli dell’ anima”. Lo scopo principale, in relazione al conosci te stesso di Socrate, era quello di coglierne il moto. Platone critica la poesia; e Socrate afferma che non è un vero sapere, ma una forma di conoscenza infusa dalla divinità: il poeta infatti quando compone è divinamente ispirato, la divinità si serve di lui per comunicare (Omero canta sotto dettatura della Musa). Non significa comunque che la poesia non valga nulla per Platone: lui stesso può essere considerato poeta. Basta citare lo "Ione", un dialogo platonico considerato "minore", dove ben emerge che fondamento della poesia non è la scienza, bensì l'ispirazione. Protagonisti sono Socrate e Ione, un rapsodo. Ione si dichiara espertissimo di Omero e di tutte le sue opere, e ne dà prova recitando a memoria i pezzi più svariati. Ma Socrate gli dimostra che il suo sapere non si basa su conoscenza e scienza: è un'ispirazione divina. Ci sono alcune differenze sostanziali tra arte greca e romana: i Greci rappresentavano un logós immanente, i Romani la res. I Greci trasfiguravano in mitologia anche la storia contemporanea (le vitto-

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rie sui Persiani o sui Galati diventavano quindi Centauromachie o lotte fra Dei e Giganti o ancora Amazzonomachie), mentre i Romani rappresentano l'attualità e gli avvenimenti storici nella loro realtà. Passando ai primordi della nostra letteratura, con lo Stilnovo avviene una vera sublimazione dell’amore e una vera idealizzazione della donna. Un rapporto completamente diverso fra l’amante e l’amata, fra l’io cogitante e la realtà. Si afferma un nuovo concetto di amore impossibile, che aveva i suoi precedenti nella tradizione culturale e letteraria trobadorica e siciliana, nonché un nuovo concetto di donna, concepita adesso come donna angelo, donna angelica. Parlare di lei è pura ascesa e nobilitazione dello spirito, puro elogio e contemplazione descrittivo-visiva che consente al poeta di mantenere sempre intaccata e puramente potente la propria ispirazione in quanto diretta ad un oggetto volontariamente cristallizzato e, ovviamente, giammai raggiungibile. Ma è l’età dell’ Umanesimo a segnare la linea di demarcazione fra il vecchio e il nuovo nelle visione del rapporto fra l’uomo e la natura. Nasce un’idea del tutto innovatrice e cambia completamente questo raffronto. Di conseguenza cambia la concezione dell’arte, della vita, della morte, della religione, della scienza e della politica. Mentre nel Medioevo tutto dipendeva dall’ordine divino e la teologia era a capo di ogni attività umana (basta citare Dante e la Divina Commedia per notare che l’Aldilà era a capo di ogni pensiero filosofico. La punta più alta della conoscenza era considerata l’incontro con la luce eccelsa e abbagliante del Supremo), ora è una massima ripescata dagli antichi romani - Appio Claudio Cieco - a condensare in sé la filosofia dell’essere e dell’ esistere: “Faber est suae quisque fortunae”, “ognuno è artefice del proprio destino”. Per cui l’uomo si ritiene, sì, figlio di Dio, ma in quanto tale deve dimostrare di esserlo dandone prova colla sua azione e la sua creatività. E non pensare passivamente di far parte di un universo immutabile. L’essere umano diviene, così, l’artefice primo del suo progresso in


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terra; nasce l’uomo nuovo, fattivo, operativo, scopritore che cerca di penetrare nei meandri del creato e della Natura. Una filosofia di vita che si trasmetterà all’Illuminismo tramite le discours sur le methode di Cartesio col suo Cogito ergo sum, che spingerà l’umanità alla scoperta, al miglioramento del suo vivere, alla Rivoluzione industriale, al Positivismo, e a tutte le fasi del progressismo scientifico, fino ai nostri giorni, con un grande input per il settore della medicina e della statistica. Al contrario, nella seconda metà del ‘500, nel periodo della Controriforma, comincia ad andare in crisi la sicurezza spirituale e filosoficoletteraria dell’Homo faber. Il primo a darne un esempio è lo stesso Tasso. Con tutte le sue irrequietezze e insicurezze, che lo avrebbero portato in manicomio. Cambia il rapporto fra l’essere e la realtà. Ci si chiede il perché della vita, dell’esistere, del quando, del dove; ci si interroga su tutti quei dubbi escatologici che portano l’io a meditare e a riflettere sulla fragilità della sua permanenza: malum vitae post-rinascimentale. Spleen esistenziale che sarà prodromico innesto per un Preromanticismo foscoliano o per un Romanticismo leopardiano. Per un Decadentismo pascoliano o pirandelliano e per quel filone di tutta la cultura occidentale contemporanea che avrebbe rispecchiato un animo inquieto alla ricerca di una verità improbabile, e forse mai raggiungibile. Si cercherà di reagire a questa psicosi di impatto sottrattivo, ma in che modo? Con sperimentalismi che il più delle volte portano a spegnere l’io in un oggettivismo massacratore della personalità dell’artista, e di dubbia resa poetica. Sì, perché non vedo l’arte come semplice rappresentazione dell’oggetto che ci sta di fronte. E credo che il vero artista non si debba far intrappolare da propagande politico- sociali. L’arte è qualcosa di più. E’ trasfigurazione, è slancio, è azzardo, è ricerca, è metafora, è allusione, è manipolazione, tutto ciò che va oltre la parola, oltre il nesso, oltre la cruda realtà che ci condiziona. Montale è grande perché soffre nel sapersi vincolato a un quando e a un dove strettamente limitati

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per il suo sentire. Non è certo la ragione a spingerlo a considerare gli ossi di seppia metafora della vita. Ma il suo palpito esistenziale. Quell’abbrivo che va contro ragione e che ci porta a vedere nelle cose tutto ciò che in esse è nascosto. Ed è giusto considerarlo come il più fedele continuatore della poetica leopardiana. E Calvino è un vero artista in Marcovaldo, perché è lì che esplode con eleganza e semplicità comunicativa la sua indagine. C’è già presente, se si vuole, il rifiuto di una civiltà invasiva, di un progresso che avrebbe sovvertito l’ordine naturale delle cose; e che avrebbe fagocitato l’individualità dell’ umanesimo; e lo fa con ironia, con garbo, con il sorriso sulle labbra, anche, spedendo Marcovaldo a fare la villeggiatura nella piazza di città e facendogli scambiare il semaforo con la luna. Facendo una apologia della campagna, della naturalezza, dell’uomo che è integrato con la terra. Sovvertendo i dati concreti. Una satira di contrasto, quasi pariniana, tipo L’incipriatura, o La vergine Cuccia. Secondo me si preannuncia già, con sottigliezza e verve calviniana, quel realismo terminale di cui si sarebbe abbuffato Oldani o chi per lui. Vera indagine, la sua, dello sdoppiamento dell’animo umano; servirsi delle cose per adattarle alle sue emozioni. Tutto frutto di un amore per la madre primigenia, in tutte le sue manifestazioni; di un’anima che trova la sua identità in certe avventure iperboliche tipiche dell’autore. Definirle irrazionali non è azzardato. Ed è giusto il riferimento al Parini. Lo definirei proprio l’iniziatore del filone lombardo che, secondo me, poi, si stravisa mutandosi in avventure sperimentali che niente hanno a che vedere con la poetica pariniana. Voglio dire, a parte i tempi, che le tematiche si fanno forzatamente realistiche, motivate più da una necessità di rappresentare oggetti e questioni, di propagandare idee, che da una vera ispirazione. Intendendo per tale la vera passione che dentro urge, irrazionalmente, e porta ad esprimere sentimenti che precedono lo stesso pensiero. La poetica del Parini, sì, è volta ad un discorso sociale, è inconfutabile. Soprattutto in certe odi, come La caduta, e


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più ancora in Il giorno; ed è vero che si scaglia contro una società di cicisbei e fannulloni, di corrotti, e “gozzovigliatori”, ma lo fa con motivazioni che gli sgorgano impetuose dall’animo, con quella passione che sente l’ urgenza della poesia. E lo fa con uno stile nuovo, portatore di una vera narrazione rivoluzionaria: la satira di contrasto; è sufficiente leggere Il risveglio del giovin signore per rendersi conto del capolavoro davanti a cui ci troviamo. L’ultima voce satirica della nostra letteratura era stata quella dell’Ariosto. Una satira cosiddetta bonaria, oraziana più che giovenaliana. Con il Parini la satira è conseguenziale, frutto di un confronto di due poli contrastanti. Mai diretta: la bellezza dell’alba descritta con una partecipazione bucolica, unica ed affascinante; il giovin signore che, al mattino, rientra dalle solite sue feste preceduto da due ordini di teofori; dall’altra il plebeo che lascia le calde coltri, e si alza per andare al duro lavoro della terra; alla fatica dei campi; proprio alla stessa ora. Quindi, tirando le somme, questo filone ha perso la sua originalità. Ha preso tutt’altra strada fino a convertirsi in un realismo squallido ed omologante, vòlto solo a raziocinare, senza alcuna invenzione personale. Lo direi quasi un oggettivismo spersonalizzato il cui solo merito è quello di distruggere la vera anima della poesia: fantasia, immaginazione, sentimento, musicalità, creazione, voli di grande portata metaforico allusiva, dacché ogni argomento è valido per trarne ispirazione - politico, sociale, erotico, satirico… - basta che non sia frutto di un processo razionale; deve essere il sentimento lì in agguato a captare il suggeritore esistenziale, deve essere lui poi a consegnarlo all'anima; sarà lei a tradurlo in poesia. E la parola? quell'involucro indispensabile a contenere il tutto? Non sarà mai sufficiente a definire compiutamente la massa delle emozioni che un artista ha dentro. E tanto meno il pittore giungerà definitivamente all’atto supremo della perfetta creazione visiva. Perché siamo mortali e in quanto tali deboli, fragili. E se da un lato la nostra fragilità è motivo di ispirazione, dall’altro è anche il circuito entro

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cui noi siamo condizionati. Quel breve spazio che ci limita e ci rende imperfetti. Quindi esprimere la trasfigurazione è la maniera migliore per avvicinarsi il più possibile all’ inarrivabile. Insomma, alla fin fine, vorrei che ogni artista sentisse l’urgenza di travalicare il fatto crudo, e di non restarne invischiato, in quanto egli stesso è un uomo e come tale ambisce a superare il contingente e scavalcare quella siepe che è strettamente vincolante e vincolata al fatto di essere umani. Ed è proprio questo il nocciolo per cui non è sicuramente vero che tutto è buono per far poesia. Nella stessa Divina Commedia bisogna saper distinguere i momenti di alta espressione artistica da altri di pura retorica. Soprattutto quando Dante si cimenta in argomenti di carattere astronomico, legislativo, o scientifico in genere. Si potrà parlare di concetti tradotti in metrica, ma non sicuramente di grandi slanci artistici. Come giustamente afferma Luigi Malagoli in “Stile e linguaggio nella Divina Commedia”: ci sono argomenti che la ragione assimila e ne fa teoria, ma che l'anima non riesce a rendere suoi per tradurli in arte. Né tanto meno si può parlare di Poesia quando la si vuole ancella di propaganda politica, o la si vuole declinare in manifesto tipo futurismo del Marinetti o gruppo '63 del Sanguineti. Lo stesso che si sarebbe poi pentito di avere prodotto scritti di uno sperimentalismo fazioso e partigiano. E' possibile che la poesia possa ridursi solo a forma? E' quello che voleva. La Poesia ha bisogno di libertà, di armonia, di passione, di inventiva non di farsi strumento. Deve essere lei a scegliersi la materia. E una formula di matematica non sarà mai soggetto per un'anima disposta al canto. La ragione fa scienza, filosofia; l'anima e il sentimento fanno arte. Insomma posso creare un poema con tutto ciò che la mia anima riceve, digerisce, trasforma e traduce. E questo può accadere anche con un ingorgo su una autostrada; basta che quell' ingorgo sia vissuto come esperienza esistenziale di un momento, di un tempo particolari, adatti a scatenare emozioni. Ma se mi ripropongo di limitare lo sguardo solo a quell' og-


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getto, no!, non ci siamo! Per essere più precisi, quindi, diciamo che ogni argomento può essere valido, basta che abbia il consenso dell' anima. Ma una cosa è sicura, lasciamo da parte la ragione, e facciamoci trasportare dalla musica. E per dire del realismo terminale di Oldani o degli epigoni della “linea Lombarda” credo che in questi casi si cada in un oggettivismo assillante e trito, carente di quelle spinte emotive indispensabili ad una vera resa artistica. E a proposito mi trovo d'accordo con Pasquale Balestriere e vorrei concludere col suo pensiero: "Per il resto, con tutto il rispetto dovuto alla “linea lombarda” e ai suoi maggiori rappresentanti, non mi appaiono convincenti i suoi epigoni, ridottisi ad un oggettivismo pseudofilosofico, denotativo e minimale, proprio di chi, pur non avendo fiato e voce, intende cantare. Perché, come scrive Pardini “l’arte non è ragione, l’arte è fantasia, immaginazione, passione”. Né mi appassiona il “realismo terminale” di Oldani, con gli oggetti veri protagonisti di ogni realtà, ” tanto che è l’oggetto ad essere l’artefice primo del nostro vivere; ed è esso a pilotarci, e a impossessarsi di noi: è esso che ci invade, impedendoci l’ attuazione di una ricerca: la conoscenza stessa dei nostri desideri”. Nazario Pardini LA MORTE Netto è il passaggio delle ombre quando decade la forma in cenere di consumazione. Superato il limite, si scioglie l’annodata energia dell’essere che ieri univa gli arti e il volere. La vita è momento magico che si spezza se l’olio non alimenta la fiamma, se da mattina a sera il ritorno non riaccende il presente. Le membra fragili non hanno un tempo, soltanto gli istanti se il flusso rinnovato di sangue

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si trasmette e la pelle calda ancora vince la stasi delle cellule morte. Spazio profondo scava il ricordo che rende la pallida effige più leggera del sogno. Inafferrabile il cielo, con dilatata trasparenza ha una fissità nuova ed incontra la terra in immensità parallele; la terra che è viva sotto i cipressi, mescolata con gli ossi minuti quasi un sudario per i corpi supini. Dentro la sua superficie c’è l’odore di fosforo che si lega ai fiori marciti. La terra lievitata fermenta con le spoglie cadute ed attorno alle radici feconda gli altri semi. Nell’azzurro ascende lo spirito che dal bozzolo consunto si stacca come farfalla per l’eterna luce. Leonardo Selvaggi Torino

PARADOSSO Statua di Tony Cragg esposta nel Duomo di Milano 4.11.14-31.3.15 E’ tutto un attorcigliarsi rotondo di morbide curve questo luminoso blocco di lucido marmo bianco scintillante sotto la luce dei faretti. E’ tutto un intrecciarsi di strani motivi tendenti con forza a raffigurare immagini umane vogliose di uscire all’aperto. E’ tutto uno sforzo a salire, a superarsi, a librarsi più in alto. A liberarsi. Mariagina Bonciani Milano


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IL NARRATORE GIOVANNI FRASCONI E “QUELL'ANTICO SUONO DI CHITARRA” di Luigi De Rosa

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IOVANNI Frasconi è uno scrittore ligure di novantacinque anni (è del 1920) che ancora svolge, e bene, la propria opera culturale a Chiavari (Genova) anche come socio fondatore del Centro culturale “L'Agave”. Originario di Dèiva Marina (La Spezia), giornalista pubblicista, ha scritto per giornali e riviste e ha vinto numerosi Premi letterari. Tra i suoi libri ricordo I dialoghi del signor Palocchi, Quell'antico suono di chitarra, e un libro di Enigmistica classica, Giochi di parole, pubblicato dalla casa editrice De Vecchi di Milano, che pubblica la notissima rivista La settimana enigmistica (tra i suoi collaboratori, da tanti anni, anche Frasconi). Le caratteristiche più satiriche e ironiche, didascaliche e gnomiche di questo autore le troviamo nel protagonista dei “Dialoghi del signor Palocchi”, mentre quelle più intimamente poetiche le troviamo in Quell'antico suono di chitarra, una raccolta di 24 racconti, uno dei quali in particolare, quello epònimo, racchiude la “filosofia” di Frasconi uomo di penna. Che comunque nella sua vita non ha vissuto soltanto di penna quanto di lavoro e di fatica esercitando i più disparati mestieri, compreso quello di commesso in un negozio di abbigliamento (Si legga il racconto Chi porta i calzoni e chi li fa portare).

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Ed ha sempre considerato il lavoro come una cosa molto seria, che afferisce non solo alla sfera economica dell'uomo, ma anche, e soprattutto, a quella etica. In questi 24 racconti (molti brani dei quali sono autentiche prose liriche) risultano particolarmente affascinanti le descrizioni della Liguria di Levante e dello Spezzino. Anche se attraverso la lente “deformante” della memoria, ci restituiscono il gusto e il profumo dell'infanzia e della giovinezza sana e serena, trascorsa in un ambiente sano e sereno, non ancora così deturpato e inquinato (sia all' esterno che nelle coscienze) come da troppi anni a questa parte. (Bello il racconto C'era una volta un Torrente). E qui, si badi bene, non si parla di una giovinezza vissuta nella bambagia, in mezzo alle comodità. Lo scrittore ci ricorda, infatti, che “...la giovinezza, anche quando la si percorre in salita e coi denti, stentando a trovare il proprio gradino, ha in corpo una magia che lascia il segno. Chi l'ha trascorsa poi in piccoli paesi, nel silenzio colorato di nubi e di azzurro ritmati sulle albe e sui tramonti, se la ritroverà un giorno come sostegno alla vecchiaia...” (Falò e cenere). “Quell'antico suono di chitarra”, il racconto sopra citato, ci presenta il personaggio di Meneghèn: “ Meneghèn viveva d'un bicchiere di vino e di un saluto. Era un uomo mite e quando aveva un bicchiere di vino cantava qualcosa sottovoce, appena sopra il respiro. Salmodiava parole oscure portate dall'estero dove aveva vissuto a lungo, finché si appisolava. Ripeteva sempre lo stesso motivo, una nenia desolata che impregnava l'aria d'una assurda malinconia...”. Dove Meneghèn può essere l'alias dell'Autore, e l'”estero” può rappresentare la massa degli anni trascorsi, che velano gli antichi sogni giovanili; e la chitarra può simboleggiare lo strumento poetico- letterario, amato e gelosamente custodito. Nessuno dei presenti, quella sera sulla piazza Colombo di Dèiva Marina, immaginava che Meneghèn sapesse suonare con tanta maestrìa, eppure...tra la diffidenza generale egli ...” aggiustò la posizione, sistemò meglio la


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chitarra sul petto (una chitarra non sua) e le dita presero a muoversi in ordine a una tecnica precisa. E la chitarra cantò. Cantò come forse mai. Pareva che ne uscissero due, tre voci legate a un unico tema squisitamente accordato. Mentre le dita minori seguivano un filo melodico di infinita dolcezza, il pollice stimolava i bassi in sottofondo pacato, dove l' armonia acquistava solenne cadenza. Piazza Colombo, investita di magia, perse i connotati: la sua struttura, l'odore della notte e delle colture recato dal corridoio delle strade, la ragazza, tutto soggiacque alla magistrale esecuzione...L'uomo era partito via, oltre i confini del presente, tornato con la mente in una realtà tutta sua e priva di intrusi, beata o amara secondo i tratti del ricordo...” Il racconto si conclude con una descrizione fatata della notte e dei presenti, in questo paese natìo “ dove le distanze parevano enormi ma si percorrevano in un baleno...”. Frasconi racconta a cuore aperto, con stile semplice e schivo di “trucchi del mestiere”, così riesce a catturare la sensibilità del lettore il cui gusto non sia stato ancora “rovinato” da certa narrativa commerciale e insincera. Sono molte le descrizioni felicemente riuscite di torrenti, campagne, piante, piccoli animali, bambini, personaggi “minori” intrisi di freschezza e di poesia. Non mancano anche stupende descrizioni di burrasche di mare. Così come non mancano le rievocazioni di usanze di paese, e di abitudini di vita in cui si respira pace, onestà e rispetto per le persone, gli animali e l'ambiente. Oltre a Meneghèn, non posso non ricordare, anche se brevemente, la bambina Angelina che con una canna si arrampica di notte su un monte per toccare il cielo (Angelina e la canna); la suora infermiera de I colpi di martello; il siciliano immigrato Pileggi di Lepre o coniglio ? che gioca una saporosa burla a una brigata di buontemponi facendo balenare alla mente, anche se alla lontana, una scena di stile boccaccesco; il maestro elementare (l'Incorruttibile) del figlio di Palocchi, che riempie il genitore di attenzioni e di rispetto credendolo una persona importante; lo stesso signor Palocchi del

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racconto Ora che non fai niente, che dopo appena un mese dal pensionamento dopo cinquant'anni di lavoro, torna disperato dal principale perché lo riassuma. Non ne può più di essere vessato dalla moglie, che lo carica di lavori domestici in quanto non ha più nulla da fare. Preferisce tornare a lavorare in ufficio. (Persino a fare il facchino) Luigi De Rosa Giovanni Frasconi – Quell'antico suono di chitarra – Rupe Mutevole Editrice – Bedonia (Parma) – pagg. 136 – euro 12 - ( Illustrazione di copertina di Elvio Chiappe).

CHISSÀ QUANDO È quasi un momento d'avventura per gli altri starsene a guardare qualcuno ch'esce fuori dai binari (brevissimo supercontenuto momento d'avventura). Poi tornano all'apatia su binari morti quasi morti. Contato hanno già tutte le tegole dei palazzi di fronte dopo aver legato tutti i fili d'erba nella strada d'ogni giorno. Chissà quando perderanno d'essere altrove la speranza. Chissà quando vinceranno un ventriloquo di plastica con cui comunicare. Chissà quando creeranno una spada immateriale per trafiggersi lo Spirito riconoscendo d'esseNe Uno d'Essere Anima. Michele Di Candia Inghilterra


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Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta di

ROSSANO ONANO DOMENICO DEFELICE: UNA SATIRA RINNOVATA SULLE STORTURE ITALICHE di Andrea Bonanno

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DITO, nel settembre del 2014, da

“Il Convivio”, con prefazione di Giuseppe Leone e nota di Angelo Manitta con il titolo di Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, il volumetto di Rossano Onano e Domenico Defelice presenta le pubblicazioni della rubrica satirica, comparse nella rivista Pomezia-Notizie dall’ aprile 2012 fino allo stesso mese del 2014. Nel libro ogni “Alleluia” presenta una ripresa innovativa della satira basata su un raffronto o contrasto menippeo a connotazione commisurativo-dialogica tra gli input prosastici, pungenti e provocatori dell’Onano e le risposte ironiche in versi del Defelice. In effetti, il raffronto, non si offre come un duello oratorio e neanche come un talk show uggioso di un sollecitatore importunante ed un poeta non sempre consenziente, in quanto se il primo rivela subito dei fatti un diffuso utilizzo delle contraddizioni e delle diverse interpretazioni ideologiche, poniamo fra vescovi anglicani e cattolici, fra l’insegnante e il Vescovo di “Alleluia del parlare chiaro”, p. 39, ecc., l’altro, temperante e bonario, nei suoi versi, densi di sale italico, rifuggendo dalle smaniose manifestazioni dell’ira e da qualsivoglia ambiguità, dà luogo ad un’ironia oscillante tra il serio ed il faceto per poter placare lo sdegno e il suo corruccio per gli innumerevoli casi di corruzione e per poter scoronare le implacabili ottusità, le perduranti ipocrisie, i vizi e le mistificazioni dei potenti, che hanno portato al collasso la società e la vita del nostro tempo. Il libro si presenta come un amaro caleidoscopio di casi problematici, pedestri e contraddittori della realtà italica, divenuta caotica ed illeggibile per via delle interpretazioni fal-

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laci e le azzardate e assurde risoluzioni proposte ad ogni serio problema, secondo l’ Onano, mentre i versi del Defelice, assumendo il tono del linguaggio parlato della quotidianità, sono indirizzati a sferzare personaggi ed istituzioni, utilizzando l’ironia ed il sarcasmo tesi al massimo, riuscendo talora un po’ mordace, ma spesso smuovendo il riso, consapevoli che il suo spirito di poeta è sorretto da un’alta moralità (“incorrupta Fides, undaque Veritas”), che di certo è la prioritaria condizione di nascita di qualsiasi forma di composizione satirica. Il libro offre una nutrita raccolta di varie composizioni vertenti su molti temi come le tasse, la discriminazione, la pari opportunità, il rapporto matrimoniale, il risparmio energetico, la protezione civile, ecc. Tra i personaggi vengono alla ribalta un fischiato Celentano che “dall’alto della spocchia/ dà lezioni al mondo intero./ Lui si crede già il Messia” (p. 13), il Monti che ha peggiorato la crisi colmandoci di tasse e arricchendo le banche, uno dei tanti esemplari politici, che al pari di “voraci iene”, continuano a succhiarci il sangue, il comandante Schettino, additato come l’unico responsabile del disastro della “Costa Concordia” con più di trenta morti, ma benemerito alle Agenzie turistiche per avere invogliato quel fitto stuolo di improvvisati turisti soliti sempre a trasformare qualsiasi tragedia in un narcisistico spettacolo fotografico. Tra gli argomenti trattati vi è l’Imu maggiorata, che dovrebbe essere pagata dai vecchietti ma non dalle banche perché sono esse delle istituzioni benefiche, ma così benefiche da non credere, tanto che, dovendo contribuire ad aiutare le diverse aziende sull’orlo del fallimento, i soldi prestati dall’Unione Europea invece sono serviti alle stesse per poter speculare acquistando dei Titoli di Stato. Si parla anche della nuova stazione AV di Reggio Emilia, progettata dall’architetto Santiago Calatrava a Mancasale di Reggio Emilia con grave spreco di denaro pubblico, in quanto, afferma il Defelice, “La TAV è fatta per le lunghe distanze/ per le brevi non vale”; si ar-


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gomenta pure del “bandire il corpo della donna da qualsiasi pubblicità”, anche perché certi cartelloni pubblicitari hanno creato imbarazzo e causato degli incidenti automobilistici, ma sembra al poeta un’idea balorda e da talebani, facendoci ritrovare la Venere del Botticelli e le altre figure femminili dell’arte con le mutande. In “Alleluia della creatività” si parla di uno scimpanzé artista, di nome Brent, che ha vinto in un concorso di pittura, usando la lingua al posto della zampa. Ma non c’è da meravigliarsi, risponde il Defelice, se il critico Palma Bucarelli “col mio e col tuo denaro, / comprava per esporre un po’ di stronzi:/ l’ ormai celebre assai Merda d’Artista!”, p.33. Per un’allerta climatica poi La Protezione Civile è solita giocare allo scaricabarile, tanto che essa “E’ un posto per politici e volponi, / non certamente un luogo deputato / per sagge strategie e per le azioni…”, continuando con brio a ricordare le escortine di lusso… i massaggi ed un certo massaggiato. Il libro accattivante spinge sovente al riso per certe situazioni inverosimili e facete, anche se offre delle amare considerazioni sull’ Italia di fronte al mondo, che è un’ “immensa tartufaia,/di tuberosi e funghi-ipocrisia:/ buoni, i primi, a condir molte vivande;/mèntori gli altri di bacchettoneria”, p. 24. Il poeta è come “Benedetto,/schifato di banche e di pedofilia,/una rondine stanco ad aspettare” e in “Alleluia della speranza”, alla fine, riesce a dire che “ mai siam fuori tempo per sperare” (p. 27). Di contro alla dissolutezza e perversione dei costumi dell’italico suolo, il Defelice usa un’ ironia garbata fatta di asserzioni facete, riprendendo in modo innovativo alcune caratteristiche salienti della menippea come la sincrisi (ossia il raffronto delle idee), anche se non basata sulle questioni ultime del mondo, ma sulla problematicità delle situazioni ideologiche della quotidianità per un più autosufficiente assetto della verità, contro gli interventi inopportuni e le interpretazioni fallaci di parte, in forza di una scoronazione e ribaltamento ambivalente, che mirano alla prospettazione di un diverso ed opposto punto di vi-

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sta, di fronte a quanto ci viene proposto dai giullari di una pseudo democrazia come valore assoluto, che in realtà si rivela ormai molto discutibile. Non per nulla il Bachtin ha scritto che la fantasia di un poeta nella satira menippea “serve per la ricerca, provocazione e, soprattutto per la sperimentazione della verità”1. Nella luce di questa rinnovata satira menippea risaltano del Defelice la sua fantasia inventiva, il brio e la vivacità delle immagini che concorrono nel rilevare, avvalendosi di incisivi ed efficaci versi, il tremendo torpore di un presente arido e vuoto, non rischiarato da alcuna pur flebile luce di un necessario rinnovamento politico, sociale ed etico, ma che invece mostra già molti sintomi di un incombente futuro, turbinoso e cupo. Andrea Bonanno 1

Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 1968, 3a Edizione, p. 149.

PAROLE DI FANGO Ai tuoi piedi un cuore disprezzato, a bruciare il gelo dell'inverno fradicio il mio volto di pianto. Triste strumento è il mio destino, non sostengo la mia stella, oggi sento l'ansia che lacera l'anima e cerco di annullarmi in occhi straziati di dolore, la pena sovrasta questo giorno, irrompono diluviando parole di fango su questo amore fatale. Questo amore così distante, cosi vicino a noi. Mentre camminiamo lentamente lungo la strada illuminata di giallo, di questo tracciato vi sarà solo un ricordo? Si cancellerà come il tempo, svanirà al di là di ogni speranza, solo con l'ultimo bagliore della notte noi vivremo per sempre. Adriana Mondo Reano, TO


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LA “MIMOSA” DI

PAOLA INSOLA di Luigi De Rosa noto che la mimosa, quell'acacia dai profumatissimi fiorellini gialli, simboleggia la donna moderna, o meglio, la lotta della donna per l'emancipazione e l'eguaglianza, per la dignità personale oltre che per il benessere comune. E questo dagli Anni Cinquanta, quando i suoi rametti vengono offerti alle donne l'8 marzo (Festa internazionale della donna). Questo mannello di poesie (14) di Paola Insola (di origini vercellesi ma abitante a Torino, non nuova a successi in Concorsi letterari) si è classificato, col titolo di Elogio alla mimosa, al secondo posto nel Premio Città di Pomezia 2014, e potrebbe rappresentare un richiamo importante al femminismo, ma a mio parere si pone soprattutto, e realisticamente, come un omaggio augurale alla Donna nell'ambito delle società attuali. Cominciando dalle nipotine dell'Autrice, Gaia e Adele, “virgulti di vita” che nel suo cuore sono già “solenni fronde”. Per continuare con tutte le donne che, in condizioni materiali e psicologiche difficili (quando non disperate) lottano per il “riscatto da una vita di stenti” e comunque per il benessere della propria famiglia e di se stesse. Risultando benefiche, preziose, per la stessa comunità sociale, anche se questa non sempre lo riconosce o lo apprezza adeguatamente. Pensiamo all'operaia bengalese intrappolata da ore tra le macerie/ del Rana Plaza, alla periferia di Dacca, crollato per colpevole speculazione e brama di profitto alle spalle della salute e dell'incolumità degli operai. E pensiamo alla sua compagna di sventura, anch'essa imprigionata tra le macerie, che strisciando, faticosamente la raggiunse. E pensiamo ai tram di notte, che sferragliano nostalgie/ lungo strade diffuse di luci...I cieli sono vegliati dalla stessa luna, ma gli appartenenti a razze diverse, anche se seduti accan-

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to, sono mondi ostili che scoprono/ snodi di parole esauste d'una storia/ ostinata a forgiare distanze: anziché affrontare un dialogo ritenuto difficile (o addirittura inutile) si preferisce attendere la propria fermata per rifugiarsi tra solide mura/ setacciando timori peregrini... Queste sgorgate dalla sensibilità e dalla vena poetica di Paola Insola non sono comode liriche intimistiche quanto sofferte espressioni di “poesia sociale” o impegnata. Sgorgano non solo, e non tanto, da sentimenti “privati”, ma anche da generose e dolenti esortazioni alla solidarietà sociale e umana. Trovando, forse, maggiori ostacoli sul proprio cammino, proprio dal punto di vista della resa letteraria e artistica. E come si sa, tra i pericoli che il “poeta sociale” deve affrontare, può esservi quello della prosasticità e del didascalismo, se non della retorica di cervello o di cuore. Ma la Insola, scrittrice esperta anche di saggistica e critica letteraria, dimostra a chiare lettere di essere anche una sensibile, equilibrata e raffinata poetessa. Si legga, ad esempio “Simbiosi” (in cui, stavolta, l'”omaggio” è rivolto a se stessa): “ Sono mare in empatia di luna complici di un moto che respira la terra. Sono goccia nel grembo dell'onda che tracima versi su scogli indifferenti. …................... Sono naufrago quando indago i recessi dell'anima sconvolti dal rombo grondante tra due istanti consecutivi.” Si pensi ad un altro significativo testo “impegnato”, tratto anch'esso dalle cronache dei media, intitolato Ri-nascita (riferito al tifone Haiyan, che ha colpito le Filippine nel novembre 1913). Si racconta (sì, perché quella della Insola è anche una poesia “narrativa”) di una bambina, Bea Joy, la “gioia di un miracolo” che nasce in mezzo al caos e alla distruzione su una tavola di legno lercio/ nell'aeroporto semidistrutto/ adibito a sala parto d'emergenza. Ha sfiorato la tragedia sua madre già in balìa delle acque tra le macerie


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afferrata appena in tempo dal marito... Uno squarcio di luce, il vagito di Bèa... …......... Urla ancora, piccola Gioia per dire alla nostra distrazione quanto costa, in numero di vite inquinare il pianeta. Resisti ancora, popolo minuto sull'ipocrisia dei governi che ignorano vincoli stabiliti per risanare la terra... Sono poi da segnalare I violini di Cracovia città dove la storia ha scolpito tutto il bene e tutto il male del mondo. Ma diciamo che tutte le quattordici poesie meriterebbero di essere citate, perché trattano, con passione e partecipazione culturale e letteraria, di alcuni dei problemi più spinosi e importanti nella vita del mondo attuale. Luigi De Rosa Paola Insola – Elogio alla mimosa – Il Croco - I Quaderni letterari di Pomezia-Notizie - n° 116 (dicembre 2014). Prefazione di Domenico Defelice ( Un fiore per tanti drammi).

UNA TAZZINA DI CAFFÈ Salite incredibili cercano il vuoto fatale attrazione di giovani uccelli, rimirando il paesaggio entro in me e scopro l’ io nell’inconscio nascosto. È come penetrare una tempesta, nuvole nere con le bianche si fondono, il vento ti porta nel vortice, emozioni riflettono l’ anima. Perché son rimasto solo? Me lo chiedo da tempo… Io che ero molto amato dell’amore adesso son spoglio. Mondo come mela matura di cui non ricordo il profumo. Giallo ginestra davanti al mio sguardo nelle sere di giugno. Corpus Domini tra le vie del paese. Lo accompagna una nenia, fanfara a passo cadenzato che trasporta tristezza. Mio Dio dammi la gioia! Prendendo a calci una zolla.

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La cavalletta impaurita salta….Si sono pazzo… Pazzo di vivere nell’incertezza. Solo l’ortica lenitiva rimane allo stropicciar delle mani. Dona la grazia non punge, non irrita… Non è come l’ enfasi inebriata dagli effluvi di primavera, da dolci e remote nostalgie di un tempo caduto a terra come foglie d’autunno, che hanno perso la speranza di vibrare nel vento. Questo stato mi esalta e mi affligge. Trovo temporaneo ristoro in una tazzina di caffè… L’aroma evoca momenti felici intorno a quel tavolo… Dove mi fecero compagnia, scaldandomi il cuore, gli affetti più veri di un vissuto rimpianto. Colombo Conti Albano Laziale, RM

EUROPA L'urlo dei corvi aleggiò lontano quasi il pianto di una libertà sovrumana, mentre moriva il canto di questa Europa senza poemi, muta di spirito degli uomini, poi all'improvviso s'udirono i passeri cantori di questa terra saccheggiata; I chiurli, i fringuelli il loro richiamo di fine inverno, cantori dei bucaneve e delle primule a consolare questa Europa caduta nella galassia dell' indifferenza, per una morte quasi annunciata. Dove sono le canzoni dei confini, delle foreste, le voci delle onde e dei fondali, che tu Europa non sai più ascoltare, dove sono? Nella tua carne si dissanguano gli dei,, si inchiodano le stelle nel tuo cuore, Potrai essere terra che nella luce rinasce, paradiso perduto al ritorno della vita, potrai se lo vorrai con la tua anima, nella fede dei tuoi uomini indomiti e guerrieri, per una nuova generazione di speranza e futura felicità. Adriana Mondo


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ROBERTO ARDIGÒ Vita e opere di Leonardo Selvaggi I OBERTO Ardigò nasce nel 1828 a Casteldidone in provincia di Cremona. Filosofo positivista, sacerdote. Insegna nel seminario e nel liceo di Mantova. Canonico nella cattedrale della stessa città. La messa all’indice del Discorso su Pietro Pomponazzi (1869) e la sospensione a Divinis determinano una crisi religiosa che lo costringe a deporre l’abito ecclesiastico nel 1871. Il positivismo si impone in Italia dopo l’ unificazione. Fondatori sono due discepoli del Romagnosi: Giuseppe Ferrari (1812 - 76) e Carlo Cattaneo (1801 - 1869) che integra la psicologia individuale con la psicologia sociale. Importanti i risultati criminologici con Cesare Lombroso (1836 - 1909), nella pedagogia con Aristide Gabelli (1830 - 1891), nella storiografia con Pasquale Villari (1820 - 1918) e nella medicina con A. Murri (1841 - 1932). La formulazione sistematica, che ha una ricca influenza su tutta la cultura italiana negli ultimi decenni del secolo, la troviamo nella dot-

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trina di Roberto Ardigò. Avversi allo spiritualismo di Rosmini e Gioberti e all’Idealismo che va diffondendosi nell’Italia meridionale, i positivisti italiani si collegano come filosofi allo sviluppo delle teorie scientifiche, criticano la metafisica e approfondiscono gli studi antropologici, giuridici e sociologici. Il positivismo italiano, vicino alla cultura europea, coinvolge anche intellettuali che hanno promosso il movimento operaio, come Enrico Ferri (1856 - 1929). II Roberto Ardigò si afferma sempre più. Pubblica “La psicologia come scienza positiva” (1870), “La formazione naturale nel fatto del sistema solare” (1877), “La morale dei positivisti” (1879). Nel 1881 il ministro Guido Baccelli lo nomina professore di storia della filosofia per meriti straordinari all’ Università di Padova, dove insegna fino al 1908. In questo periodo attivo del pensiero italiano abbiamo “La rivista di filosofia scientifica” (1881 - 1891), diretta da Enrico Morselli che sostiene il metodo sperimentale e la congiunzione della filosofia e della scienza. Inoltre l’ ”Archivio di psichiatria, scienze penali e antropologia criminale”, fondata nel 1880 da Lombroso. Il positivismo di Ardigò o meglio il naturalismo prende molto dal ‘500. Riafferma l’autonomia della ragione, richiamandosi a Pomponazzi e la divinità dell’ Universo, facendo riferimento a Giordano Bruno. Altre opere: La trilogia “Il vero!” (1891), “La scienza dell’educazione” (1893), “La ragione” (1895), “L’unità della coscienza” (1898), nel 1899 “La dottrina spenceriana dell’ inconoscibile”. L’Ardigò è tenace e coerente, debella, come tutto il positivismo, le astrazioni della vecchia metafisica, divenuta con non pochi autori arbitraria, fantastica e molte volte stravagante. Avverte sempre il bisogno di un’indagine rigorosamente scientifica. Il positivismo cerca il valore della realtà nella realtà stessa, senza trascenderla. Si richiama all’ immanenza. L’importanza consiste nel vedere il valore del mondo nel mondo stesso, nel fatto, nel concreto. Roberto Ardigò è esempio di


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una vita mantenutasi austera anche dopo le nuove convinzioni positivistiche che gli hanno fatto abbandonare la fede religiosa e l’ abito talare. È un liberale, critico del marxismo nella sua concezione materialistica che dà importanza al fattore economico, trascurando tutti gli altri elementi. Il fatto economico non è l’unico che condiziona il formarsi di un certo modo della società, abbiamo altri fatti concorrenti. Vede con interesse il socialismo. Lavoratore infaticabile, dà vita ad una solida scuola. Seguono la sua opera Giuseppe Tarozzi, Rodolfo Mondolfo, Alessandro Levi, Giovanni Marchesini, Ludovico Limentani, Giovanni Dandolo. Roberto Ardigò muore suicida, a Padova il 15 settembre 1920. In questi anni il pensiero filosofico italiano è orientato decisamente verso quell’Idealismo che l’Ardigò aveva avversato. Alla fine del secolo in tutta Europa si affermano vari movimenti che reagiscono al positivismo. Questi movimenti sono l’espressione di esigenze irrazionalistiche, idealistiche e spiritualistiche, tenute soffocate precedentemente dalla fiducia nel progresso scientifico e sociale di cui il positivismo si è fatto promotore. La rapida affermazione di questi movimenti fu favorita dal venir meno della fiducia nel progresso. I principi del positivismo nel campo del pensiero filosofico e scientifico vengono riproposti negli anni venti e negli anni trenta dalla nuova corrente del Neopositivismo. III Il positivismo di Roberto Ardigò da Herbert Spencer prende il principio dell’evoluzione, considerando però il processo evolutivo in termini psicologici, come passaggio ad un ritmo costante dell’indistinto al distinto. La realtà viene interpretata alla luce della legge di evoluzione, estesa a tutti i fenomeni dell’ Universo. Tutto è formazione naturale, dal sistema solare secondo l’ipotesi di Laplace alle idealità umane. Abbiamo un indistinto originario che è una realtà psico-fisica che si rivela nel fatto primo che è la sensazione. Base della conoscenza è la sensazione, la quale è unità indistinta di soggetto e di oggetto, di spirito e

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di materia, da questa unità originaria vengono a distinguersi gli stati psichici stabili che per autosintesi formano l’idea del soggetto e gli stati psichici accidentali che per eterosintesi formano l’idea dell’oggetto. Materia e spirito non sono che astrazioni, la realtà è sentire. L’ Ardigò concepisce l’evoluzione con un processo di distinzione, dall’indistinto emergono i distinti. Questa teoria ha applicazione sistematica in ogni campo. Le sensazioni sono qualcosa di indistinto in cui si rilevano sensazioni relative all’anima e sensazioni relative al corpo. Le sensazioni sono elementi di un ritmo comune in cui tutti confluiscono. Ogni ritmo particolare si unisce con altri ritmi particolari, creandosi un ritmo più ampio. Da ciò l’ordine dell’Universo in cui domina il principio della causalità. Accanto alla quale è da riconoscere qualcosa di accidentale o casuale, qualcosa di contingente da cui deriva la varietà infinita dei fatti. Causalità e varietà infinita si osservano in tutti i distinti. Risalendo dai distinti all’indistinto che ne è il presupposto permanente, si giunge a qualcosa di ignoto. IV Nel “Discorso su Pietro Pomponazzi”, letto il 17 marzo 1869 nel liceo di Mantova, vede un precedente del positivismo nel naturalismo rinascimentale del Pomponazzi. Nel 1870 all’ Accademia virgiliana di Mantova legge la pubblicazione “La psicologia come scienza positiva”. Siamo all’affermazione organica, alla presenza del pensiero dell’Ardigò. Contro la psicologia spiritualistica si sostiene la necessità di fare uso nello studio della psicologia di strumenti scientifici e di indagini statistiche. Come elemento essenziale della ricerca filosofica è considerato il fatto, che ha una sua propria realtà inalterabile che va presa come è data senza nulla togliere o aggiungere. Il fatto è divino, l’astratto lo formiamo noi, come l’ideale è umano. Le idee, le teorie, i principi sono provvisori, il fatto è certo, costituisce un punto di partenza, il principio è un punto di arrivo, che può essere rivisto, tralasciato. Ardigò parte dalla sacralità di Dio per giungere alla divinità del fatto. L’unica


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conoscenza è quella scientifica. Tutta la realtà è natura. Ci si avvicina alla natura con le diverse scienze particolari, la filosofia, scienza generale, non è la scienza dei primi principi, come per Spencer, ma scienza che superando i limiti delle scienze particolari attinge mediante l’intuizione la natura, che tutto abbraccia, matrice indeterminata e reale di tutte le determinazioni. V Roberto Ardigò vicino ai naturalisti del Rinascimento, che vedono unitarietà. La realtà è tutta natura conoscibile, anche se costituisce il limite mai raggiungibile dell’azione conoscitiva. Non si parla di inconoscibile, come affermato dallo Spencer, ma di ignoto, di ciò che non è ancora diventato oggetto di conoscenza distinta, ma che lo può diventare. Nulla che trascende l’esperienza, siamo con l’ immanentismo. Mentre Herbert Spencer parla di evoluzione biologica, passaggio dell’ omogeneo all’eterogeneo, Ardigò guarda all’ evoluzione psicologica, sostenendo che l’ evoluzione universale della natura è passaggio dall’ indistinto al distinto. Nel dato originario della sensazione non c’è contrapposizione tra soggetto e oggetto, esterno e interno, io e non-io. La sensazione è l’indistinto originario, di questo sono dei risultati le distinzioni tra spirito e materia, soggetto e oggetto. La realtà tutta evolve, come la sensazione dell’ indistinto al distinto. Dall’unità originaria che non è né soggettiva né oggettiva, cioè dall’ indistinto derivano gli indistinti l’io e il nonio e altri infiniti fenomeni del mondo psichico e del mondo fisico. L’indistinto rispetto al distinto è solo relativamente, poiché un distinto che dà vita a un distinto successivo è anche un indistinto. In questo processo c’è un elemento casuale che origina eventi imprevedibili. Lo stesso pensiero umano è un prodotto causale dell’evoluzione cosmica. L’uomo è natura, il pensiero è originato dall’evoluzione della natura, la volontà umana ha la stessa libertà di un evento naturale. Altro aspetto importante, dopo i principi di conoscenza, la morale. Anche in questo campo Ardigò è

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contro le affermazioni religiose, spiritualistiche e metafisiche. Si avvicina al pensiero di Filippo Turati. Le idealità e le norme morali sono reazioni degli uomini legati alle azioni dannose e si imprimono nella coscienza come doveri obbligatori che comportano responsabilità e se infranti subiscono sanzioni. La morale ha come base l’evoluzione della società. La giustizia è la legge naturale della società. Alla giustizia del diritto positivo si contrappone la giustizia espressa dal diritto naturale. Il diritto naturale è l’ideale che vive nella coscienza sotto la spinta del diritto positivo da cui non è realizzato. Leonardo Selvaggi

LIBERA DI AMARE Ho visto il corpo crescere andare più in là del tempo soffrire e gioire esser giovane e appassire in un sentimento stanco rifiorire e maturare attraversare strade bagnate di dolore inseguire e raggiungere perdere e ritrovare il calore di un sogno. Lasciarsi cullare da braccia confortevoli e sguardi impavidi celarsi tra la paura di ogni goccia di pioggia che impassibile riempie vecchie prigioni di velate malinconie venerando l’orizzonte. Lorella Borgiani


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ROSA ELISA GIANGOIA:

LA VITA RESTANTE di Liliana Porro Andriuoli ELLA Collana “Chiaro/Scuro” dell’ Editore De Ferrari di Genova, diretta da Guido Zavanone, è recentemente apparso un libro di Rosa Elisa Giangoia intitolato La vita restante, che reca una prefazione acuta e puntuale dello stesso Direttore della Collana e che costituisce una raccolta di versi stilisticamente compatta e di molto interesse. Il libro si apre con un poemetto, Emigrante, ove si narra, con ricchezza di immagini e con scioltezza di versificazione, nonché con profonda simpatia umana, la storia di Salî (Salvatore), un giovane il quale, all’inizio del secolo scorso, parte da Genova per l’ America, in cerca di fortuna, stabilendosi a New York e raggiunto, dopo anni di dura fatica, un soddisfacente benessere, fa ritorno in patria, per “ritrovare” se stesso e le sue radici. Qui subito s’avverte che l’ispirazione è genuina, e che autentica è l’immedesimazione dell’autrice in colui che soffre in solitudine il distacco dagli affetti più cari, sicché le sue parole trovano il tono giusto e le espressioni più efficaci per rappresentare lo stato d’animo del protagonista: “… la notte gelava tra le braccia”; “Sotto i suoi piedi le pietre / risuonavano di solitudine”; “… bisognava guadagnarsi l’aria e la luce, / lungo le banchine dell’East River”; “Nei mattini ingialliti l’ autunno / nascondeva le angosce del vivere”; ecc.

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Con molte fatiche e molte sofferenze, Salî riesce tuttavia a conquistare il suo posto nel mondo e, dopo anni di duro lavoro, giunge per lui il tempo di “ritrovare” il senso vero della vita nella sua Terra di origine, dalla quale era dovuto partire, spinto dalla necessità: “Capì che era partito solo per tornare, / che aveva dovuto perdersi nell’ignoto / per potersi un giorno ritrovare…”. Ed è questo che ora Salî vede con chiarezza, dopo tanti anni vissuti in un paese straniero. Nelle sezioni successive del libro la Giangoia affronta diverse tematiche, che emergono dagli stessi titoli: A Mino; Domus picta; In viaggio; Vita; Scrittura; Memorie; Femminile e che vengono da lei sviluppate in maniera coerente ed efficace. Nella prima sezione tre poesie fanno idealmente seguito alla bella plaquette Sequenza di dolore (Fara 2010), scritta in occasione della scomparsa del marito, si aggiungono qui ora, sull’onda del suo ricordo, altre tre poesie che ne evocano, con accenti affettuosi e toccanti, la figura: “Certo, sarebbe bello saperti / dietro l’angolo della strada / seduto su una panchina, / ad aspettarmi. / Invece capiti nell’ abbaglio / di un lampo di sole…” (1); “Per questo sei stato: / perché io ti potessi ricordare / ora che appartieni alle profondità / delle memorie mute” (2); “Tu ed io / ci ritroveremo nel nostro giardino / tra il melo e il ciliegio / quando saranno fioriti” (3). Sincero è il sentimento e felice l’ evocazione di colui che non è più. Domus picta, la sezione successiva, ha per argomento la casa, come luogo in cui si è gioito e sofferto ed in cui ogni cosa ci parla con la voce sommessa dei ricordi; dove ovunque ritroviamo le vestigia di coloro che abbiamo amato e che non sono più, ma di cui ancora avvertiamo la tangibile presenza: “Scegliere una casa / è ipotecare il futuro: / … / La vita mi riporta le persone / che ho amato, tutte qui, / già sognate nell’illusione / dell’assenza” (Casa nuova con giardino). Ed a distanza di anni, le immagini di quel passato, riaffacciandosi alla mente della poetessa, si tingono dei suasivi colori del ricordo e, pur


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tenendola sempre legata al tempo che fu (“Una luce rosata / sta nascosta dentro casa / nella malinconia della polvere, / ospite affettuosa in attesa. / Ora bisogna decidersi / ad uscire dal passato”, Casa in vendita), non le impediscono di guardare al futuro con rinnovata fiducia: “Voglio bene al melo del mio orto: / guardare l’azzurro del cielo / attraverso la tramatura / dei suoi rami in fiore / conferma la fiducia / nella vita che ritorna / dopo il gelo dell’inverno…” (Il melo). La terza sezione, In viaggio, raccoglie poesie che parlano di viaggi compiuti dalla Giangoia in diversi paesi del mondo, come la Grecia, di cui sono evocati gli “ulivi di Delfi, / dove la luce diffusa e tagliente / rivela il passato / e ridisegna la storia” e le Meteore, un luogo “fuori dal mondo” in cui vive “chi ha cercato / la purezza dello spirito” (In Grecia). Così come vengono evocate le immagini di un viaggio in Russia, paese dalle immense pianure, attraversate da grandi fiumi, come il Volga, a navigare sul quale ci si sente trascinati “Tra passato e futuro” (Navigando sul Volga). Si vedano anche L’albero di Douze, località tunisina alle soglie del Sahara, sulla cui piazza campeggia un albero enorme, sicché chi vi giunge a sera, subito ne avverte la presenza e Santiago di Compostela, luogo di grande serenità, in cui già solo la vista della “pietra scolpita del grande portale / rasserena” il pellegrino che vi giunge e lo fa entrare come in una nuova dimensione. Vita è la più nutrita di queste sezioni. Vi compaiono poesie aventi per oggetto l’ esistenza umana e le problematiche che essa suscita, sospesa com’è tra passato e futuro, essere e non essere; tra l’effimero e l’eterno, il finito e l’infinito. “Poco fa era mattina / e già di nuovo è sera. / … / Solo la sapienza del cuore / riconosce il senso / degli attimi oscuri / quando nell’azzurro luminoso / risuonano passi sicuri / verso il futuro” (Momenti). E ancora, in un crescendo di pensieri che investono il destino stesso dell’uomo, si leggano i seguenti versi: “Non sappiamo quel che ci porteremo / al di là dell’oblio / nell’eternità della memoria” (Quel che resterà); “Fuori del

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tempo c’è soltanto il sogno. / Chi lì si è incontrato / non può riperdersi” (La vita e il tempo); “In una di queste notti d’inverno /… / verrà il Dio che nasce / e che dovrà morire / … / Pregalo per la pace / tua e di tutti” (Notti d’attesa). Le sezioni Scrittura e Memorie sviluppano delle tematiche abbastanza frequenti in poesia: quella dell’arte dello scrivere (“Per scrivere rincorro / col desiderio le parole in fuga / ed inciampo nei sogni. / Scrivo pagine d’ombra / che vestano il silenzio della vita / e sovrastino il rumore”, Scrivere) e quella delle memorie che evocano stagioni perdute e care consuetudini di vita: “Mio padre e mia madre / seduti sul masso nel bosco / sono solo più una fotografia / in fondo ad un cassetto. / … / Ci si può ancora parlare, / in un linguaggio tutto nostro: / serve per resistere / nella speranza, / senza troppo soffrire” (Parentum memoria); “Le parole che non vi ho detto / non si sono perse / nel tempo che mi è mancato. / … / Le parole che non vi ho detto / stanno qui ad aspettarvi, / sul bordo dell’anima…” (Ai miei genitori). L’ultima sezione, Femminile, contiene due poesie: L’ape regina e Vorrei scrivere un poema. Nella prima è descritto con grande efficacia il volo nuziale dell’ape regina; un volo che, pur nell’esaltazione della vita, ha il suo risvolto tragico, dal momento che il fuco muore. Né vale a compensare quella morte il fatto che le altre api vengano incontro all’ape regina, in “un volo di scintille d’ oro”. Nella seconda poesia, Vorrei scrivere un poema, c’è l’aspirazione di ogni poeta di compiere l’opera perfetta, che duri a lungo nel tempo: “Vorrei scrivere un poema / che somigliasse ad un albero altissimo / vivo e sempreverde / … / un poema che si potesse percorrere / con gli occhi e con il cuore”. Si tratta in fondo di un’aspirazione legittima; e noi crediamo che alla nostra autrice non manchino le attitudini per realizzarla. Liliana Porro Andriuoli ROSA ELISA GIANGOIA: LA VITA RESTANTE - (De Ferrari Editore, Genova, 2014, € 12,00)


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La Lingua Ufficiale1 di Aida Pedrina

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RA i cittadini di un paese molto grande e molto lontano, famoso per le sue ricchezze e prepotenze, vivevano persone venute da varie parti del mondo. Anche se tutti questi stranieri dovettero imparare la lingua ufficiale, era per loro gran sollievo e gioia parlare il loro idioma natio il più possibile, particolarmente con familiari e amici. Un bel giorno, il presidente di questo paese, cattivo, arrogante, e con la mente ottenebrata dal Potere, l’ingordigia, e il tedio, non avendo nessun dovere e annoiato a morte dagli affari di Stato, decise di viaggiare in incognito fra i suoi soggetti; così tanto per far qualcosa, e non certo per mettersi al corrente dei problemi e delle necessità del pubblico. Camminando fra la gente, si rese subito conto che moltissimi non parlavano la lingua ufficiale. Incominciò a sentire un gran fastidio, rabbia, e anche sospetto dato che aveva la coscienza assai sporca e non capiva quello che dicevano. “Bisogna metter fine a questo orribile problema dell’idioma straniero al più presto”, disse fra sé, mentre ritornava al suo palazzo arrabbiato e pensoso. Il fatto di dover pensare gli causava sforzi incalcolabili e dolorosi chiodi alle tempie; come tanti altri poderosi non lo faceva quasi mai: dopo tutto, perché perder tempo a pensare quando c’era un gran numero di soggetti pronti a farlo in qualsiasi momento? Ma questo della lingua straniera era cosa molto seria: e chi potrebbe PENSARE alla soluzione migliore se non il celebre presidente di una sì grande Nazione? Pensò intensamente per dieci minuti, stropicciandosi gli occhi, massaggiandosi le tempie e sbadigliando dalla noia, e poi si disse: “ Meglio dormirci sopra!” Alla mattina seguente, stanchissimo ma orgoglioso della sua decisione, (la soluzione gli era venuta in sogno), fece dichiarare una nuova legge: “ D’ora in avanti, tutti gli stranieri in questa nazione, adulti e bambini, in casa e fuori, dovranno parlare solamente la lingua

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ufficiale e mai più il loro idioma natio sotto pena di decapitazione.” In seguito, mandò migliaia di guardie per tutto il paese perché arrestassero gli stranieri che non ubbidivano alla nuova legge. Però il presidente, con la densità propria di coloro in potere, e occupatissimo com’era a ingrandire la sua ricchezza e a perfezionare menzogne per il pubblico, non si era mai accorto che le sue guardie, anche se parlavano sempre la lingua ufficiale, erano tutte straniere. Invece di arrestare i ribelli, diventarono loro amici e si divertirono moltissimo; inoltre, fecero tutto il possibile perché le lingue straniere fiorissero ancor più all’insaputa del presidente. Dopo alcuni anni, vedendo che le guardie non gli portavano nessun straniero da disprezzare e decapitare, il presidente, pieno di rabbia e di sospetti, incominciò a pensare di nuovo. Ah, ma quanto male gli faceva il pensare! E che noia e che disgusto doverlo fare così spesso per colpa di questi maledettissimi stranieri! Dopo mezz’ora non ne poté più: smise con gran sollievo di pensare e decise di andare lui stesso a vedere se gli stranieri ubbidivano alla sua legge. Si vestì da mendicante e si mise in cammino. Era appena passato fra la gente di due piccole città e già si sentiva morire di rabbia. Dio mio! Il costante suono di lingue straniere gli arricciava i nervi; e dov’erano le sue guardie? Gli era parso di riconoscerne alcune mentre passava fra la gente: “Ma no! Come potrebbe essere? Ci mancherebbe altro! E come osavano questi stranieri recalcitranti e sovversivi a parlare il loro idioma come se niente fosse? Cosicché la nuova legge e la lingua ufficiale non avevano alcun significato per questa gente incolta e refrattaria? Che fegato! Che sfacciataggine!”, si diceva il presidente completamente inferocito: “Ah, lo vedremo dopo se saranno tanto coraggiosi e menefreghisti davanti alla ghigliottina quando si renderanno conto che avrebbero perduto le loro testacce di zucca! “ Sempre colmo di rabbia feroce, il presidente continuò andando per tutta la nazione senza che nessuno lo riconoscesse. Sfortunatamente, il fatto di essere in inco-


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gnito,vestito da mendicante, senza poter capire di che parlavano centinaia di stranieri, incluso le poche parole che gli dicevano dandogli l’elemosina, cominciava a dargli sintomi di apoplessia, cosicché il suo viso era sempre di un rosso congestionato con chiazze violacee; infatti, le poche parole che gli dicevano - e che lui non capiva - erano quasi sempre le stesse: “ Ubriacone! Smetta di bere e si trovi un lavoro!” Dopo un’ennesima elemosina data con le solite parole, il presidente consumato dall’odio represso, tornò al suo palazzo. Chiamò immediatamente le guardie che sembrarono sorprese oltre ogni dire per le accuse e rimostranze del presidente; poi, parlando perfettamente la lingua ufficiale, gli dissero che gli stranieri erano incredibilmente furbi e che, naturalmente, quando vedevano guardie intorno, si GUARDAVANO bene di parlare il loro idioma! Il presidente non sapeva che fare; per giorni neppure dormì pensando con sforzi tremendi al modo migliore per vendicarsi e far soffrire questi selvaggi che non volevano ripudiare e dimenticare il loro idioma natio. L’agonia del pensare e l’odio feroce per gli stranieri gli aveva gonfiato talmente il fegato, che i suoi dottori gli consigliarono di andare a riposarsi in questo lontanissimo paese senza stranieri, dove si parlava solamente la lingua ufficiale, e con un presidente esattamente come lui con cui fare amicizia. Sempre sognando (il pensare gli fu proibito) vendette e decapitazioni per TUTTI gli stranieri, il presidente si mise in viaggio. Quello che non sapeva, era che i suoi dottori, come le sue guardie, erano tutti stranieri, e che il paese da loro consigliato era anch’esso famoso per l’ignoranza e crudeltà del suo presidente. Dopo settimane di viaggio arrivò al Paese sconosciuto. Quando incominciò a dar ordini per il suo bagaglio e per essere portato al palazzo del presidente, fu un disastro. Tutti parlavano solo la lingua ufficiale e non capivano quello che diceva. Il presidente, con tutta la sua poderosa arroganza, continuava a parlare guardando tutti con rabbia e disprezzo. Alla gente intorno, il suo tono di voce, la sua faccia contorta e violacea, e

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i suoi occhi scorbutici, non facevano certo una buona impressione; inoltre, non parlava la lingua ufficiale e si dovette chiamare le guardie che lo presero e lo trascinarono a forza verso il palazzo. Il presidente, interamente sommerso in un furore vulcanico, lanciava insulti roventi intorno fra l’assoluta indifferenza della gente, finché non si trovò davanti a quest’altro presidente. Con grande sforzo ricuperò la sua pochissima dignità, dichiarò il suo nome e la sua altissima posizione, chiedendo che coloro che lo avevano maltrattato e trascinato per le strade fossero subito condannati a morte. Il presidente straniero lo lasciò parlare per lungo tempo guardandolo dall’alto in basso con disprezzo senza dir nulla. Poi alzò la mano e incominciò a parlare con tono minaccioso e assai tagliente. Non si capirono. Le guardie lo presero di nuovo e il presidente incominciò a sentire una grande paura: e quest’immensa paura lo fece pensare senza il minimo sforzo: “ ….Ma cosa staranno dicendo? Dio mio, con tanto tempo libero che avevo e tante lingue straniere a portata di mano, come non ho potuto impararne almeno qualcuna? E perché non ho mai aiutato e rispettato gli stranieri nel mio Paese? Quando torno, cancellerò subito la legge della Lingua Ufficiale.” Purtroppo, questa rarissima scintilla di rimorso e consapevolezza si spense immediatamente senza lasciar traccia. “….E dove mi staranno portando? Ma non hanno un’interprete in questo maledetto paese?.... Calma, calma!” si diceva, “se no ti si scoppia il fegato! Oh, ma non importa: appena torno a casa darò ordini di sterminare tutta questa gentaglia con bombe nucleari! Quando sapranno che sono il famoso presidente della più potente nazione del mondo, allora sì verranno tutti ai miei piedi a implorare inutilmente perdono! E quante belle risate mi farò vedendoli saltar tutti in aria!” Dopo un po’ si sentì molto meglio, sostenuto e rincuorato com’era da questi vivissimi sogni di distruzione. Assaporando con odio profondo la sua futura grande vendetta, il presidente non si rese conto di quello che stava succedendo finché le guardie non gli fecero tendere il col-


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lo sotto a una ghigliottina.

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SOLTANTO TU Aida Pedrina

Nota: 1- Questa mia fiaba-allegoria è basata su fatti reali: negli anni 1970-1990 qui a Tucson nell’ Arizona, Stato controllato dal Republican Party ( Partito repubblicano), che negli USA molto spesso significa razzismo, malvagità e ignoranza, il Potere voleva passare una legge che proibiva ai messicani – più della metà dei residenti qui a Tucson – di parlare il loro idioma natio, lo spagnolo, in casa e fuori, al lavoro e a scuola, e parlare solamente la lingua ufficiale dell’USA, cioè l’inglese; naturalmente, la minaccia sottintesa era: “O parlate l’inglese, o niente lavoro e ancor più emarginazione”. Manifesti per incoraggiare il pubblico a votare per questa legge così sfacciatamente razzista furono messi per tutta la città, causando grande costernazione e furore non solo fra i messicani, ma anche fra molti liberali. (Fino al 1990, qui nell’Arizona e anche in molti altri Stati repubblicani dell’USA, essere liberale era considerato come essere immorale o essere un “Bleeding Heart“, cioè un “Cuore Sanguinante“, epiteto altamente sprezzante per molti nell’USA - e assegnato anche a me - che significa aver troppa compassione e troppo desiderio di aiutare i poveri, gli immigrati, i sofferenti, etc.). Dopo innumerevoli proteste e vergognosi “Expose’”, questa legge fu annullata prima di essere imposta al pubblico. Scrissi appunto “La Lingua Ufficiale” come espressione simbolica di gravi problemi sociali: il razzismo, l’ingiustizia e l’oppressione che malgrado tutte le lotte, assassinations, e le dimostrazioni di appoggiare, aiutare e rispettare i diritti umani, continuano silenziosamente e ben coperti da una tolleranza micidiale, a infettare lo Stato di Arizona. Tucson è a circa quaranta chilometri dal confine con il Messico.

STASERA Le campane suonano per aria in quest’autunno caldo mentre un uccellino canta al vento che l’aiuta a spiccare il volo verso il nido. Loretta Bonucci

Cerco il tuo volto negli altri volti, il tuo sorriso negli altri sorrisi e la tua voce nelle altre voci. Ma non li trovo e allora non mi resta che la memoria. Dentro di me ritrovo il tuo sorriso, il tuo volto, la tua voce. Ma gli altri no. Non sono niente. Non sanno di nulla, non esistono. Soltanto tu. E tu, soltanto, ormai, nel mio ricordo. Mariagina Bonciani Milano

STAGIONE DI VACANZA 2014-2015 Non dobbiamo dimenticare nel 2015 le lezioni apprese negli anni precedenti: che in una guerra, né vivi né soldati morti hanno vinto; che i nostri pensieri positivi sono potenti armi contro la presa di un brutto progetto; che ridere è più soddisfacente che piangere di tristezza; che follia, paranoia, paura, proprio come cicloni, passeranno se siamo abbastanza pazienti di espellerli dai nostri pensieri. Ogni anno è come un cerchio all'interno del quale possiamo costruire nuove amicizie e rafforzare fratellanza e bontà con le persone che sempre abbiamo amato. Il 2015 sarà un anno straordinario per noi, i nostri amici, la nostra famiglia. Teresinka Pereira USA - Traduzione di Giovanna Li Volti Guzzardi


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GUARDARE ALL’ANTICO di Rosa Elisa Giangoia

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DEA indubbiamente originale quella di Giacomo Ribaudo e Giovanni Dino di proporre ad altrettanti autori contemporanei la riscrittura dei 150 Salmi biblici, con l’aggiunta di altri quattro testi, tra cui una rivisitazione del Magnificat, opera mirabile di Karol Wojtyla. La proposta letteraria fatta dai curatori ai poeti di oggi vuol essere un tentativo di stabilire un rapporto diretto con la liricità presente nella Bibbia, tradizionalmente offuscata dalla poesia classica e anche in ambito cristiano sopraffatta fin dai tempi antichi dall’ innologia, inaugurata dai Padri della Chiesa (Prudenzio e Agostino). Come nota giustamente Giorgio Bárberi Squarotti nella Prefazione, nella nostra tradizione letteraria i Salmi sono entrati prevalentemente dal punto di vista contenutistico, soprattutto per l’ostacolo che ha rappresentato «la radicale diversità delle lingue ebraica e romanza e, di conseguenza, delle regole metriche e compositive» per la loro integrale fruizione poetica. Alte testimonianze di quest’uso dei Salmi ci vengono fornite soprattutto alle origini della nostra letteratura nazionale, da san Francesco d’Assisi, Jacopone da Todi e Dante. Ad appianare le difficoltà metrico- linguistiche contribuisce oggi l’uso ormai dominante del verso libero, che permette a ciascun poeta di adattare il ritmo alla sua personale sintonia con il testo biblico. E’ nata così una sequenza di testi modulati su individuali letture dei Salmi, ma tutti rivissuti ed espressi secondo la personale ispirazione poetica di ciascun autore, che ha anche individuato forme e modi per attualizzare il messaggio spirituale antico alla luce dell’esperienza contemporanea e renderlo più facilmente funzionale alla fruizione del lettore moderno. Ad accomunare tutti i testi è la tensione spi-

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rituale che, anche se non sempre si esplica in forme di vera religiosità personale o tradizionale, dimostra pur sempre un desiderio di oltrepassare il limite dell’umano, un’ aspirazione all’oltre che si fa desiderio e speranza. In questa sostanziale unità di base di tutti i testi si manifesta una ricca sfaccettatura di posizioni, che vanno da una semplice riscrittura del testo biblico, con parole ed immagini che lo attualizzano, a forme più libere ed elaborate di rivisitazione del nucleo essenziale del tema antico alla luce di un sentire più fortemente condizionato dall’esperienza attuale. L’atteggiamento più comune resta comunque quello dell’orante, in quanto il poeta si fa orante per rendere lode a Dio, per invocarlo, per chiedere aiuto contro quello che è in ogni tempo il limite ontologico dell’uomo, rappresentato dal dolore, dalla sofferenza e dalla morte. La netta linea di demarcazione tra i Salmi biblici e questi Nuovi Salmi è data dalla vicenda dell’Incarnazione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo, che porta gli autori moderni ad avvalersi di questo arricchimento di Rivelazione, che si fa anche consolidamento di Fede, per un atteggiamento diverso nei confronti del divino, in cui la grazia fa intravvedere la possibilità di superare il male ed il dolore, fino a trasformarlo in una prospettiva di gioia, secondo una dimensione teleologica. Il valore poetico dei testi presentati nel volume è mediamente piuttosto buono, anche se si avvertono capacità espressive differenziate: emergono poeti di consolidata attività creativa (Giovanni Dino, Guido Zavanone, Anna Ventura, Franco Loi, Sandro Gros-Pietro, Marco Scalabrino, Luigi De Rosa, Massimo Sannelli, Antonio De Marchi-Gherini, Gabriella Maleti, Mariella Bettarini, Ottavio Rossani, Elio Andriuoli, Antonio Spagnuolo, Silvano Demarchi, Lucianna Argentino, Alessandro Ramberti, Gianni Rescigno) che dimostrano buona tenuta per tutto il corso del testo, mentre in altri la validità creativa ed espressiva è più episodica, come capita spesso quando ci si cimenta occasionalmente con un percorso poetico prestabilito. Il merito di tutti


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è comunque quello di aver espresso alti valori pienamente umani, che diventano cristiani anche per chi non dichiara espressamente questa fede religiosa. Rosa Elisa Giangoia

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ARMONIA CELESTIALE

quello

Quasi guida celeste, come fosse per me di Dante la sua Beatrice, la Sinfonia di Franck in re minore mi conduce verso spazi celestiali. Il canto suo intensissimo degli archi mi prende con l’incanto di un discorso sereno eppure un poco travagliato come di chi cercasse un chiarimento, una luce, un’assicurazione di conforto, e in un crescendo di purissima tensione senza umane passioni mi accompagna con un lungo e difficile cammino sempre più su, più su, più in alto e infine con una grande e gioiosa esplosione mi mostra il fine ultimo, la meta d’ogni mio desiderio, la bellezza gloriosa dell’estrema conoscenza: la Verità Suprema, il Vero Amore. Mariagina Bonciani

sempre disponibile ad aprire le sue braccia al mondo

IN UN BATTITO DI VITA

NASCE UN SORRISO Tra le lacrime del cielo nasce un sorriso di donna quello che non dispera quello sempre pronto a battersi per la vita a cercare un rispetto che non ha a reagire ad incontrollabili oppressioni

ad offrire dolcezza a chi spesso non la merita. Donna si dilegua e si riveste di mistero quando non vuole essere ferita ma poi sorge di nuovo come il sole caldo dell'estate ad asciugare quelle gocce di un bagnato amaro a manifestare quell'esistere quell'esserci incondizionato con quella sua voglia infinita di amare. Lorella Borgiani

Viaggerò con te nel sorriso degli abbracci tra gli aquiloni come uccello tra stornelli d'emozione in un battito di vita in un miraggio di tepore lontana da inutili temporali saccheggerò l'anima con quel profumo che dona saggezza ad ogni inchiostro del cuore stordita tramerò un folle gesto tenero di parole prossimo di sentimento confuso tra le nuvole di un tramonto che brucerà ad ogni lacrima spesa senza ragione. Lorella Borgiani Ardea, RM


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LA FANTASTICHERIA DI UN POETA di Themistoklis Katsaounis

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ON voglio e non posso dormire! L'unica cosa che mi importa è andare via, viaggiare dappertutto, come la luce, in tutti i luoghi della terra, del passato, del presente e del futuro, lontano, molto lontano, al di là delle pareti della camera! C'è qualche modo? Semplicemente, bighellonare la carta universale e il mio spirito, un po' stordito a causa della malinconia della notte e un po' stordito dal veleno della salvezza, di nuovo viaggia. Ai miei occhi è rimasta questa visione mirabile, la splendida giornata invernale piena di sole, con la nebbia mattutina e la sua rugiada sull'aiuola, come una signora bella e melanconica. Adesso la ricordo meglio, camminava spensieratamente lungo la spiaggia al sorgere del sole e anche molto tardi la sera, ha affondato e ha perso, senza rendersene conto la sua gioventù, nel labirinto della sua superbia. Le sue rughe hanno lasciato sulla Terra un Angelo invecchiato! Che sta fantasticando! Che sta andando sempre lontano! Che sta viaggiando da un raggio del sole direttamente sulle foglie secche dell'autunno! Essendo il cortigiano del Re, l'amante segreta del cavaliere ricco, l'assistente dello scienziato celebre, un buon atleta ma non il campione, un ufficiale valoroso che non si riferisce nei punti importanti della storia e non viene onorato come il comandante supremo, un uomo splendido che viaggia e fa amicizie, raccoglie francobolli, si innamora, conosce nuove civiltà, si chiede per gli enigmi del passato, adora le lingue straniere, la grammatica, l'alta marea e la bassa marea, gli piace essere fotografato accanto ai monumenti importantissimi, vuole sentire la forza dei terremoti e dei vulcani, scoprire di nuovo l'architettura antica, i segreti del bosco africano, i fondi degli affluenti del fiume delle Amazzoni, la rappresentazione del futuro al presente.

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Questo è l'uomo: IO!!! Forse è uno che sogna, uno che si trova dappertutto. Può essere chiunque, entro il cronotopo. Però sempre solo al secondo posto, è una comparsa della storia e mai il protagonista! Allora, resto totalmente da solo entro tutto questo mondo che ho costruito io. Corro per aprire la porta della chiesa e comincio con intensità la mia preghiera sacrilega, senza poter finire e senza sapere quando è necessario finire. A un Dio che mi immobilizza nella nullità di conoscere ogni giorno, tramite tutte le mie vite, un po' della Sua Maestà. La mia preghiera risuona con forza enorme nel tempio!!! Gli Angeli si gettano dal precipizio, con fracasso, dalla cupola della chiesa, nel momento in cui elogiano beati, con la loro voce paradisiaca, con pudore, il Cristo. Attraverso le mie vene scorrono fiumi di sangue, di tutte le persone che io avevo immaginato di essere oppure di tutte le persone che io ero ed entrano nel mio cuore. Andando via, lasciano piano piano, poco a poco, il mio corpo sciupato, in un gioco che sembra che non abbia fine, senza poter distinguere la verità dall'illusione. Solo nei miei occhi non invecchiati si specchia come una fiamma che soltanto divampa: la COLLERA!!! Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di Giorgia Chaidemenopoulou

ANAGRAMMA Volgi il tuo volto adolescente Aliena di tutti gli altri volti e del mio sono stanco Due palmi sopra l’orizzonte è Venere La fisso a lungo da un altro pianeta Anagrammo, supino, i tuoi silenzi poi guardo l’orologio e prendo un Tavor. Corrado Calabrò Roma


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I POETI E LA NATURA - 39 di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

IL CREPUSCOLARISMO E L'OCA DI GUIDO GOZZANO

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om'è noto, il poeta Guido Gozzano, nato ad Aglié Canavese nel 1883 e morto a Torino nel 1916, fu sempre un ammiratore della Natura del Canavesano e un amico appassionato della città di Torino, una Torino antica, di altri tempi. Gozzano fu il principale rappresentante di quel movimento poetico detto dei Crepuscolari. Non è il caso che qui approfondiamo il concetto di caposcuola, ammesso che lo fosse o fosse ritenuto tale. Cominciò con l'emulare e imitare proprio l'oggetto delle sue critiche, D'Annunzio e il dannunzianesimo, ma poi contestò il poeta pescarese radicalmente, avvicinandosi a Giovanni Pascoli, finendo con l'approdare ad un intimismo piccolo-borghese amante, fra l'altro, delle buone cose di pessi-

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mo gusto. Confessava che alla sua Musa non erano care le cose magnanime di un Carducci e di un D'Annunzio ma il ciarpame reietto. Il Crepuscolarismo contestava sia il Superuomo che la civiltà industriale. A questi opponeva una vita quotidiana piatta e grigia, senza “eroi”, privilegiando l'ambiente della campagna. Ma, si badi bene, di una campagna tipica del passato, del buon tempo antico, con giardini non troppo curati, col “tranquillo” respiro del mondo pre-industriale. In genere, i poeti crepuscolari non riuscivano ad accettare la vita del tempo presente. Ed erano anche nostalgici di una società senza mescolanze di razze, di classi, di culture... Per tornare a Gozzano, diciamo pure che non era stato uno studente-modello. Ma svogliato e incostante, era stato bocciato al Liceo classico torinese Cavour, e mandato in un Collegio di Chivasso. Dopo altri cambi di scuole, a vent'anni era riuscito a conseguire la maturità classica al Collegio di Savigliano. Benché si fosse iscritto alla Facoltà di Legge (che avrebbe abbandonato nel 1908), aveva preferito seguire i Corsi di Letteratura extrauniversitari di Arturo Graf. In definitiva, seguì la strada della Poesia. E anche se subì gli influssi sia del Pascoli e del Graf che di poeti belgi e francesi (come Sully Prudhomme (Nobel 1901), Maurice Maeterlinck (Nobel 1911), Francis Jammes ed altri) trovò una sua via personale e originale. Si professava ateo, non credendo nella troppo umana favola d'un Dio, ma non rifuggiva da sentimenti di amore per il prossimo. Il successo de “ I colloqui”, il suo libro più importante, gli valse un anno intero (il 1911) di collaborazioni con poesie e prose a giornali e riviste importanti come “La Stampa” di Torino, “La Lettura”, “La Donna”. La tragica scoperta di essere consumato dalla tubercolosi lo portò a viaggiare continuamente, in cerca di mare e comunque di aria pura. Nel 1912 viaggiò anche in India. Le sue “Lettere dall'India” uscirono su La Stampa dell'annata 1914, prima di essere pubblicate in un libro dai Fratelli Treves nel 1917. Morì a soli trentadue anni.


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Per quanto riguarda il rapporto di Guido Gozzano con la Natura, non possiamo non andare col pensiero – anche se con la velocità di un lampo – al suo ambiente natale, quello del Canavese. Gozzano si sente disperatamente vicino al mondo della Natura, più che a quello degli uomini. E' teneramente affascinato dalle cose che vivono, dalla Natura che è “la sola verità buona a sapersi”, popolata “dell'archenio del cardo, la selce, l'orbettino, il macaone, e tutte le altre farfalle...”, cui dedicò un poema incompiuto, “Le farfalle”, appunto. Quanto agli organismi del mondo animale, l'uomo si distinguerebbe da essi solo perché possiede la facoltà del pensiero. A tal proposito, mi fa piacere richiamare, per gli amici lettori, una poesia di Gozzano intitolata “La differenza”: “ Penso e ripenso: - Che mai pensa l'oca gracidante alla riva del canale? Pare felice! Al vespero invernale protende il collo, giubilando roca. Salta starnazza si rituffa gioca: né certo sogna d'essere mortale né certo sogna il prossimo Natale né l'armi corruscanti della cuoca. O pàpera, mia candida sorella, tu insegni che la morte non esiste: solo si muore da che s'è pensato. Ma tu non pensi. La tua sorte è bella! Ché l'esser cucinato non è triste, triste è il pensare d'esser cucinato.” Anche qui ci può essere chi la pensa diversamente. Nel senso che è tutto da dimostrare che gli animali non pensino ( A parte Esopo, Fedro, Jean de La Fontaine, che li fanno addirittura parlare e filosofeggiare...). Luigi De Rosa

DOLCE INETTITUDINE Una dolce inettitudine

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non ci separa da lei. La donna sempre uguale accanto, contiamo i giorni della lontananza, la sua assenza ci tormenta dentro. Il tempo ristagna, l’ansia scava in noi anfratti. Sotto la lampada della cucina tutti presi in cerchio attorno al tavolo. Il connubio riempie la vita, è una fortuna, una ricca base ai giorni regolari. Le forze antiche delle virtù e dei costumi dell’amore fermentano. Frutti rigogliosi di sostanza e di colori. La felicità non si vede: dove si muove tutto uguale ricoperto, mimetizzata, raccolta. La donna è nutrimento di ogni momento, dominante amalgama rende emolliente ciò che è rappreso. Immoti accodati l’una dietro l’altro, la donna è mediatrice quando scissioni aperte tolgono simmetrie e rispondenze. Il corpo annichilito, divelto se le dolci attrattive accensioni non danno. Leonardo Selvaggi CREVALCORE - CARPI 26 SETTEMBRE Amo questa campagna disarticolata tra vecchi pioppi e segnali stradali zolle rivoltate e cartelli di pubblicità. E’ come noi cresce tra i rottami, fornisce spiegazioni che un altro ha suggerito. Le foglie gialle dei platani hanno ombre arrotolate ognuna ha il suo segreto che lascia cadere. Andrea Masotti Bologna


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Recensioni MARILLA BATTILANA NECESSARIA È L’IRONIA Hammerle Editori in Trieste, 2014, € 14,00 Necessaria è l’ironia è il titolo del nuovo libro di Marilla Battilana, che ha per sottotitolo Racconti del Nord Est. Quella di cui la Battilana si serve è un’ironia sottile e talvolta un po’ surreale, che troviamo sin dal primo di questi racconti, La sveglia frustrata, nel quale questo oggetto meccanico, nato per destarci dai nostri sogni mattutini, magari in maniera un po’ brusca, si anima e soffre perché la sua proprietaria le impedisce, arrestandone la suoneria al primo trillo, di esprimere appieno le sue potenzialità canore. Condotto come un’indagine poliziesca è Il delitto di Calcutta, che rivela alla fine una soluzione piuttosto ovvia, ma carica di umorismo. Il racconto è condotto con disinvoltura e ben disegnati sono i personaggi, ciascuno con la sua personalità. Frutto di una sottile analisi psicologica è Ponso, che prende il nome da un piccolo centro della campagna situata tra Padova e Verona, dove viveva una ragazza infatuata del principe Umberto, erede al trono di Casa Savoia, del quale raccoglieva i cimeli fotografici e al quale arrivò persino a scrivere una lettera che, intercettata da un ufficiale postale, provocò una contraffatta risposta. La ragazza, la quale vide da lontano durante una cerimonia ufficiale il suo principe, pensò che egli le facesse un cenno, comprensibile soltanto per lei. Fu soltanto un sogno, ma a quel sogno Rosita rimase legata per tutta la vita. Un’attenta descrizione naturalistica e acute osservazioni sul comportamento dei personaggi sono al-

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la base di Terra, una novella che della terra appunto contiene tutti gli umori e la segreta ricchezza. Georgica è la storia di un amore finito male per un destino avverso che si è accanito contro Albino, un pastore rimasto senza lavoro e che perciò la sua donna abbandona. Anche qui accurata è la descrizione della natura, ricca di colore e di terrestri sentori. Le virtù di narratrice della Battilana si manifestano però specialmente nel lungo racconto Il litopedio, che occupa la parte centrale del volume, nel quale viene narrata la vicenda di una giovane donna, Francesca, che muore per una gravidanza interrotta in maniera maldestra. Qui ciò che maggiormente conta è la descrizione d’ambiente, fatta attraverso le parole di Luisa, la governante della famiglia gentilizia alla quale Francesca apparteneva. Emergono dal suo racconto le figure del padre di lei, don Calò, della madre, donna Clara, del medico Baracco e di altre figure, come quella di Giorgino Ficarra, il giovane medico che si fidanza con Francesca, avendola in cura. L’autrice riesce ad entrare efficacemente nell’ animo di tutti questi personaggi, indagandone le segrete passioni e a renderli con compiutezza e verità. La casa nuova è formato da una serie di lettere nelle quali Marcella, che le spedisce, racconta all’amica Alessandra le sue esperienze di vita, essendo ella un’insegnante che lotta con gli impegni scolastici e con quelli familiari, dato che ha anche un marito da accudire, Enrico, a sua volta preso dai problemi del’insegnamento. Marcella vorrebbe “amicizie, amore, conforto di arte o poesia, cultura soprattutto cultura e studio elevato e gente intelligente intorno”; ma tutto ciò non le è dato ottenere e ella ne soffre. Anche la sua salute vacilla. L’ultima lettera all’amica, a distanza di molto tempo dalla precedente, è un triste messaggio che ha il sapore dell’addio. L’abbandonata è un racconto breve che tratta di una partenza senza ritorno e quello di un relativo abbandono dolorosamente sofferto, che verso la fine s’intuisce essere quello di un cane. Piccolo diario raccoglie i pensieri di un bambino il quale, con la spontaneità e la freschezza proprie della sua età, racconta del suo menage familiare, rivelando quelli che sono i difficili rapporti tra i suoi genitori; e le sue annotazioni sono esemplari per verità e intuito psicologico. Regalo per Hermann è un racconto incentrato sul desiderio di una bambina, Vicki, di avere un presepe tutto per sé; desiderio che viene esaudito, per ironia della sorte, a causa della morte del cugino Hermann, cui un presepe, che ora va a lei, era stato


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destinato. Frase per una crisi è il racconto di una battuta mancata al momento giusto per risolvere una situazione imbarazzante. Conclude il libro I trafficanti di speranza, un racconto in cui un Paese dall’economia disastrata si salva in virtù dei suggerimenti di un gruppo di saggi venuti da lontano, i quali propongono di far rinascere nel popolo la speranza in un avvenire migliore. Qui il confronto fra quel lontano regno, situato nell’antico Egitto, e la nostra situazione economica attuale appare evidente. Ed è evidente l’ironia e il lucido distacco con i quali la Battilana si esprime. L’impressione che si ricava da tutti questi racconti è quella di una disinvolta capacità di scrittura, unita a un’attenta osservazione del comportamento umano, considerato con disincanto, ma anche con simpatia e con fraterna solidarietà per le quotidiane sofferenze che ci vengono inflitte e per l’ indecifrabilità del nostro destino. Elio Andriuoli

PASQUALE BALESTRIERE FLORILEGIO NEL WEB BLOG L’OMBRA DELLE PAROLE La poesia intimistica è sempre stata coltivata da poeti di grande valore, maestri nell’esprimere le proprie emozioni scaturite da eventi personali o di esseri amati senza cadere da un lato nel mero palesamento di fatti privati, dall’altro nel sentimentalismo più affettato se i fatti sono dolorosi. Sarebbe troppo lungo enumerare gli esempi, dalla Classicità al tempo presente, per entrambi i temi, soprattutto il secondo, su cui si snodano i versi di Pasquale Balestriere pubblicati nel blog “L’ombra delle Parole”; versi coltissimi e ricchi di allusioni dotte (non citazioni) ma classicamente semplici. Il ritmo è perfetto sia negli endecasillabi sia negli altri versi variamente accostati con grande abilità. Giova, piuttosto, volgere l’attenzione alle poesie, di cui tredici composte come stazioni di una “Via Crucis” nella malattia, unite sotto l’evocativo titolo Il sogno della luce, l’ultima come un “epicedio” per il genitore dal titolo pregnante Ultimo canto per il padre. In quest’ultima, sotto forma di confessione, di colloquio con chi non può più rispondere, il padre, oltre al profondo amore filiale espresso con classica misura, sono presenti immagini, metafore e sinestesie create da una mente feconda d’invenzioni poetico-pittoriche come “da questa nave che batte a fatica / le tenebre”, “grida un sottile silenzio”, “il mare

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vede del grano”, “sotto cieli d’infanzia -azzurri, dunque”, “tumido lacerto detto / cuore” e altre che evocano l’isola, il mare, i campi coltivati e la vigna, ambiente ben noto al poeta che vi è nato e vissuto, facendone un elemento imprescindibile del proprio immaginario poetico. Difficile è parlare poeticamente di una propria grave e lunga malattia senza scadere nel privato di cui si diceva sopra. Pasquale Balestriere ha superato con abilità questo rischio strutturando la propria composizione Il sogno della luce come un dialogo con se stesso, una confessione al proprio io, in modo che la sofferenza fisica agli occhi e quella spirituale per il timore dell’eventuale cecità non si trasformino in una descrizione clinica della degenza in un letto d’ospedale. Anche qui immagini, traslati, sinestesie pregevoli: “Muto d’occhi”, “alti schiamazzi d’uccelli e di sole”, "l’addio ai campi / di verdi aromi e loquaci silenzi”, “cieco cigno” e così via. Il contrasto fra la sua isola felice e la grande città, Napoli, è a danno di quest’ultima: “Tu vedi come il grigio / prevalga sull’azzurro”. In quel letto di sofferenza e di timori lo possono sostenere le immagini dei cari defunti, presenti nell’animo e nella memoria di tanti poeti, seppure evanescenti perché ombre. Ma lo anima soprattutto “il sogno della luce” che sembra baluginare nel fondo di un cunicolo buio, poi gradatamente più chiaro fino all’approdo nel porto della luce. Giorgina Busca Gernetti Florilegio pubblicato nel web blog L’Ombra delle Parole - Poesie tratte dai libri: Il sogno della luce, Edizioni del Calatino, Castel di Judica (CT) 2011 e Del padre, del vino, ETS, Pisa 2009

TITO CAUCHI MICHELE FRENNA NELLA SICILIANITÀ DEI MOSAICI a cura di Gabriella Frenna – Roma, 2014. Dentro questa biografia riverbera un patrimonio genetico di sicilianità difficile da cancellare e talmente avvolgente da costringere ad una lettura fra le righe laddove la memoria che scarta il presente e guarda al futuro come una minaccia fa finta che quello che c’è stato è caduto nell’oblio. Un modo per ricominciare ignorando da dove veniamo, quello che siamo stati. E, forse, Tito Cauchi in questo suo saggio tiene conto del vissuto che gli appartiene e che in maniera ingombrante si fa spazio nella memoria perché pretende di essere raccontato, di venire fuori ad ogni costo.


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Infatti, solo quando i ricordi perdono la loro ossificata consistenza e diventano cangiante materia per inaspettate prese di coscienza, il ricordo diventa qualcosa di vivo, capace ancora di emozionare, specie laddove quello che è solo nostro è il senso di inadeguatezza verso il vissuto che ci appartiene e il rimpianto di non aver mai compreso bene quanto ci stava accadendo. Tito Cauchi, sottoponendo a un procedimento di montaggio e rimontaggio una serie di appunti, frammenti testuali, micro narrazioni – a volte prelevati da bibliografie preesistenti – ci offre con Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici un originale saggio di “storia scomposta”, ove le schegge della biografia, sezionate e ricomposte con cura amorevole, si riaggregano in forma metamorfica. Ed allora l’Autore accosta, assembla, cerca assonanze e sintonie di segno, colore e parola, cercando un’armonia tra detto e non detto, sottinteso e garbata sollecitazione a trovare altri significati. Un lavoro concreto e realista nella proposta di qualcosa di scritto che è stato preso e messo sulla carta attraverso un aspetto intimistico, scarno e disadorno, in favore di un’autenticità delle cose. Il momento più alto del libro è il primo incontro a casa del mosaicista quando una magica misteriosa telepatia sembra presiedere ad un trovarsi che diventa un ritrovarsi quasi epifanico in un’atmosfera calda e senza tempo, possibile – come dicevamo prima – solo nella terra dei ciclopi. Chiudiamo qui, prima che la scure implacabile del direttore di Pomezia Notizie, che supplica sempre a tutti noi massima stringatezza, tagli qualche capoverso. Gianfranco Cotronei

ROSSANO ONANO DOMENICO DEFELICE ALLELUIA IN SALA D’ARMI PARATA E RISPOSTA EDIZIONE IL CONVIVIO-CATANIA Felice idea quella di Giuseppe Manitta, patron della rivista IL CONVIVIO di Castiglione di Sicilia, di raggruppare in un volumetto le ventisei Parate e Risposta che per due anni il direttore della rivista Pomezia Notizie Domenico Defelice e il suo amico e collaboratore Rossano Onano, si sono scambiate in una ipotetica sala d’armi, che ha avuto come pavimento le pagine della rivista. In questo felice lasso di tempo seguitissima, anche dal sottoscritto, la singolare tenzone tra i due duellanti. E proprio come nella letteratura medievale la disputa, che è intorno ad argomenti di vivissi-

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ma attualità come la questione morale, i costumi, la politica, è andata avanti a colpi di versi. Colpisce subito, al primo apparire nel mese di aprile del 2012, la freschezza e l’acutezza dei due autori nel cogliere i lati deboli del carattere italiano. E questo soprattutto per il fatto che i due scrittori mostrano, non ostante la non più giovane età, una non estraneità ai fatti della vita giornaliera, come in genere avviene a chi, rotto ormai dalle vicissitudini di una lunga ed operosa vita, con la senescenza tende a vedere le cose come avvolte da una nebbia di indifferenza. Fortunatamente questo non è avvenuto per i nostri due amici letterati, dato il loro spessore culturale e l’ impegno che ancora oggi essi mettono al primo posto nel loro quotidiano trascorrere del tempo. È vero che ad un certo punto il loro botta e risposta è venuto meno, ma questo è accaduto non per l’ esaurirsi di una vena poetico-satirica, o di un venir meno di argomenti, bensì è accaduto proprio per la ragione opposta. Troppi gli argomenti di una realtà critica più forti della critica stessa e a volte di una forza satirica più della stessa satira. E poi come accade sovente nel mestiere di scrittore, la penna si rifiuta di scrivere. Sembra che la fonte si sia disseccata. Allora è inutile andare a tentoni, ne uscirebbero cose imperfette, claudicanti, prive di quella forza di cui sono cariche le cose che vengono dettate direttamente dalle nostre più nascoste e misteriose sensazioni. È a questo punto che Defelice ed Onano, quasi tacitamente hanno interrotto la tenzone. Senza rendersene conto, o forse rendendosene bene conto, ci hanno lasciato però delle pagine di costume incise in modo indelebile e pronte per essere consegnate alla posterità. Quella posterità, penso causticamente, che non si meraviglierà poi tanto quando le leggerà e se le leggerà, perché fino a quando ci sarà umanità non vi sarà mai legge o civiltà evoluta non che modernità, che cambierà l’uomo al punto da renderlo consapevole che non esistono titoli, ricchezze o altre umane diavolerie a renderlo diverso e a farlo privilegiare da Colui che ci attende con pazienza e senza indifferenza. Il libretto per pensare e da tenere per questo, sempre a portata di mano. Salvatore D’Ambrosio

RODOLFO VETTORELLO VOGLIO SILENZIO 1° Premio Città di Pomezia 2014 Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Ecco, con questa raccolta premiata al concorso Città di Pomezia 2014, il vero segreto che ogni uo-


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mo si porta dentro. La pace, il silenzio, la voglia di stare raccolto e pensare, riflettere sulla vita sul suo senso e sul suo non sense. I critici più spocchiosi definiscono, con un certo disgusto, questo modo di scrive, di raccontare, di riflettere sul passato e perché no sul futuro, come stile intimistico. E dalla loro alterigia, che ne proviene non tanto dalle loro eccelse qualità di critici, quanto da fortunate coincidenze o per meglio dire “amicizie”, distruggono o quanto meno tentano di farlo, quanto di più prezioso e non barattabile esiste nella vita di un essere umano: la memoria delle cose vissute. Cosa resta di un momento vissuto caoticamente, nel frastuono, nella fretta senza significato? Niente, non resta niente. Nemmeno il ricordo per poter fare la differenza con il dopo, l’attuale: il secondo che si sta vivendo. La vita ed il mondo sono sempre uguali da millenni, questo è vero, e lo saranno ancora per altri millenni, ma la ragione che ci fa procedere attraverso i secoli sta nel fatto che “ lascia ch’io resti a guardare / le cose di fuori/ da un angolo nuovo/ così che le possa riamare”. Ecco bisogna reinventare la realtà con i nostri occhi, con il nostro modo di vedere, sentire, di amare, di odiare: dice il poeta. Bisogna essere unici così come ha voluto chi ci ha creati. Nessuno è uguale a un altro. Ognuno è uno scrigno di preziosità. Non è malinconia quella che pervade la poesia di Vettorello, quanto un esempio di cosa è la serenità, la calma che è in ognuno di noi per fatto naturale, per semplicità, per povertà di fango dalla quale siamo stati innalzati. Si riflette allora sulle aspettative della vita quando si era giovani, per meglio dire quando si procedeva nella quotidiana rappresentazione senza conoscere le battute del copione. E a mano a mano che si procede è forte a volte il desiderio di strappare quelle pagine che non ci sono piaciute e che mai avremmo volute nel nostro copione. Purtroppo non è così. Ma fortunatamente per il Poeta i sogni che crollano danno/soltanto un rumore da poco. Non è rassegnazione; è serena presa di coscienza. L’accettazione di una realtà diversa dal sogno è fatto positivo, è quella visione da angolo diverso che non demolisce, ma che anzi porta nuove prospettive, architetture per soluzioni non previste o prevedibili. Apre quegli orizzonti che porta ad amare la vita, anche se per strada si è perso o si sta perdendo qualcosa. È vero c’è in lui, come cita Defelice nella prefazione, il Pavese e il Gozzano con i loro struggimenti. Ma il Vettorello non se ne compiace, ben sì riesce a farne base per una poesia nuova, anche se nella narrazione il Vettorello non è inventore di nessuna

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forma nuova. Egli non va alla ricerca di novità linguistiche, di invenzioni, di forme che deviano da canoni della poesia. Egli è di per sé già poeta nell’ esprimersi. I suoi versi trascinano, fanno musica dolce all’orecchio e al cuore. Ci si sente presi in nostalgie, rimpianti, emozioni vissute e anche perse. Che non sono sdolcinature, ma presa d’atto che è il mondo a fornirci tutto il bene ed il male di vivere. Poesia lirica, fluida nella lettura, musicale, dal ritmo che non cede e ti porta alla fine dei versi con la voglia di rileggerli per risentire la musicalità che è dolce fonte di ispirazione. Nella ricognizione oggettiva del suo mondo agricolo e metropolitano, e del suo mondo soggettivo fatto dalla sua biografia interiore, particolare interesse racchiudono i versi che per definizione psicologica contengono ricordi infantili e familiari. Contemporaneamente altri versi che appartengono alla fase della maturità e del limo che essa lascia stratificandosi sull’ anima, gli forniscono quella ricchezza di visione delle asprezze (Tornano sempre) e della dolcezze della vita (Fammi l’amore), che in una sorta di languore sono accettate in quanto rinnovellatrici dell’ amato silenzio, frutto di insegnamenti familiari che hanno seminato la considerazione che la vita è stupenda, anche se è vissuta lontana da qualsiasi clamore. Salvatore D’Ambrosio

AURORA DE LUCA CELLULOSA 2°Premio Città di Pomezia 2014 Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Sostanza organica bianca, solida, fibrosa, che è il costituente principale delle membrane cellulari vegetali. Ma tale sostanza è anche la principale componente della carta. Non esiste foglio di carta che non abbia utilizzato la fibra di cellulosa per essere realizzato. Aurora ci dice , quindi, che questo elemento chimico naturale è per la sua attività poetica elemento da cui non può prescindere. E il legame tra lei e la cellulosa sulla quale scrive le sue poesie, una volta trasformata in bianchi fogli di carta, è così forte che vive e muore per esso. Muoio. Su questa terra di cellulosa… Vivo. Da questa terra di cellulosa… Si comprende allora che in questa nuova raccolta la poetessa ci racconta perché ha scelto la via dei versi per raccontarsi e raccontarci il mondo che sta scoprendo con l’avanzare degli anni. Bisogna pur dire che di anni davanti ne ha ancora


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tanti, data la sua giovane età, per cui diciamo scherzosamente che ha ancora tanta cellulosa da mangiare. Non tutti sanno però che la cellulosa entra anche nell’industria dei tessili, delle vernici e degli esplosivi. Cosa c’entra questa considerazione con la raccolta di Aurora è presto detto, anzi lo dice lei stessa: il filo dei poeti cuce con tessuti che lasciano spogliato il sarto… Quindi l’arte poetica tra ordito e trama tende a costruire tessuti da leggere o da lasciare a chi magari se ne vuole fare vestito. Ecco quindi questa certosina pazienza nel costruire filo dopo filo un pezzetto di mondo denso di sensazioni, di ricordi, di esperienze, di prospettive nuove o di sogni vecchi. Ecco la cellulosa, l’umile elemento che raccoglie e serba, come in un immortale scrigno, tutto quello che un inchiostro venoso è stato capace di regalargli. Il tessuto dal quale scaturirà poi il vestito, va prendendo forma. Tra alti e bassi, tra entusiasmi e scoramenti si procede e la stoffa cresce, dilaga, diventa tanta, sempre più perfetta, compatta. È liscia e aspra nello stesso tempo. Ma il tempo darà ragione a chi ogni volta riprende l’ago e cuce. È buona filatrice la De Luca, ma anche tenace nel perseguire i suoi obiettivi che sono, per ogni tempo, la primizia e la fioritura. Dicevamo che la cellulosa è anche tra i componenti delle vernici, e le vernici sono fondamentalmente colorate. Il colore: è questo l’altro elemento che caratterizza la poesia della De Luca. Si potrebbe obiettare che non potrebbe essere altrimenti, data la giovinezza della poetessa. Ma non è affatto così, ci sono tantissimi giovani più grigi e spenti della cenere. Ma non è di questo tipo di colore che si vuole intendere. È bensì del colore musicale che è presente nei versi di Aurora De Luca. Distinguere il rosso dal giallo, il verde dal celeste o il nero dal grigio non richiede essenzialmente la conoscenza del nome del colore. Allo stesso modo distinguere tra do e re, o tra mi bemolle e un fa diesis non richiede conoscenza delle note. Occorre invece avere un orecchio tale da sapere distinguere tra il “colore sonoro” per esempio del do dal “colore sonoro” del do. A questa cosa puoi dargli il nome che vuoi, rimane sempre “quel colore”. Bisogna cioè avere la percezione del suono, la percezione delle sfumature o dei colori del suono, riconoscere la differenza tra nota e nota. Per saper fare questo bisogna, come dice Burge, sentire la differenza di colore tra un mi bemolle e un fa diesis. Abituare l’ orecchio a sentire le emozioni, il mood, il feeling di ogni singola nota. Tutto questo bel discorso rappor-

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tiamolo ai versi di Aurora De Luca. Una volta abituato attraverso la lettura, magari ripetuta più volte, l’orecchio al suono dei suoi versi potremo percepire le sfumature e con esse il colore di ogni singolo verso o dell’intero componimento. Ecco questo accade nel leggere la silloge CELLULOSA. Ecco questo è l’elemento colore. Infine, dopo l’uso della cellulosa nell’industria della carta, di quella dei tessuti e del colore, esaminiamo quella del mondo degli esplosivi e facciamo il nostro parallelo. In questo settore industriale il prodotto che ne viene fuori è la nitrocellulosa, composto altamente deflagrante. Nel leggere questi e altri versi della De Luca sentiamo delle vere e proprie deflagrazioni nella mente. La spontaneità, più che la ricerca artificiosa del fenomeno, è di un effetto così dirompente da assomigliare ad una vera e propria esplosione. Tutto in questa silloge esplode: la natura, la carne, il tempo, le promesse , la poesia, qualcosa che si fa pietra buona/nelle nostre mani. Tutta la raccolta è scoppiettante di versi oserei dire fulminanti : …. Cappelli volanti di semi di idee.. …. inchiostro venoso.. …. Pilastri di dita frementi.. …. Va sfilando maglie dagli occhi.. …. Passiamo sopra la schiena del cielo.. … Defluisce la pietra pomice d’anima.. Invitiamo il lettore della silloge CELLULOSA a proseguire nella ricerca e a provare gli stessi schioppi interiori che ci hanno preso senza scampo, arrendendoci felicemente all’evidenza. Altro elemento che comincia a comparire nei versi di Aurora è il non banale, il non scontato; il mondo che, anche se è sempre lo stesso, con i suoi occhi diventa nuovo con dei risvolti che solo lei riesce a farci percepire. Salvatore D’Ambrosio

TITO CAUCHI PALCOSCENICO Editrice Totem –Anzio, RM, giugno 2014 – 62 pagg. € 10 Lo scrittore siciliano di Gela (Caltanissetta) Tito Cauchi , già docente ( quindi sempre docente), vive ed opera a Lavinio di Anzio (Roma), diventata la sua seconda patria. Poeta e recensore letterario, promotore culturale ed editoriale, amico dell'arte e degli artisti, a un certo punto Cauchi si è “reso conto” che la vita dell' uomo è come un “arruffato” copione teatrale che viene recitato su un “palcoscenico”, quando non è essa stessa un palcoscenico. Che


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quindi uomini e donne recitano, più o meno consapevoli, una propria parte che non sempre è chiara. Anzi, spesso recitano a soggetto, senza un canovaccio o testo scritto, al massimo con una scaletta buttata giù alla svelta. Tutti concetti, questi, suggestivi e affascinanti, che affondano le proprie radici fin nell'antichità e nelle maschere del teatro greco. Non è il caso di scomodare, poi, il genio di Shakespeare, sia come autore di testi che come attore, né la fantasia allucinata di un altro siciliano, Luigi Pirandello. Che la realtà non sia sempre la stessa, sic et simpliciter, ma soprattutto che non sia solo ciò che si vede e si percepisce coi sensi (alla Condillac) è pacifico da secoli, senza riandare al divenire di Eraclito di Efeso. Ma che vi sia una forza occulta e irresistibile che guida e muove gli accadimenti umani lasciando che gli uomini si illudano di esserne gli autori, è una scoperta che può lasciare senza fiato. Per gli antichi era il Fato a dominare la scena del mondo, per Machiavelli è la Fortuna, che influisce per il cinquanta per cento sulle vicende umane, mentre l'altro cinquanta può dipendere dall'uomo (dal Principe). Sull'onda di questa “constatazione” Tito Cauchi ha scelto con cura le proprie poesie più belle e significative apparse finora, negli anni Duemila, in numerose e interessanti Riviste letterarie o Antologie, poesie tutte legate, o legabili, da quella metafora onnicomprensiva e perfetta del “palcoscenico”. Ve ne ha aggiunte di inedite e di tradotte in inglese, in greco, in russo... Quelle inedite sono Fratelli del mondo, Filari di viti, Lacrime e risa, Vita da pendolare, Natale sempre uguale. Quelle tradotte sono Esaurimento, Prima di morire, Vivere. Ha riunito il tutto in un bel libro di 63 pagine, con un bel titolo (e un accattivante sipario rosso in copertina); ne ha scritto l'Introduzione (disquisendo efficacemente di lettore e di autore, di attore e spettatore). Ancora prima del frontespizio, quasi in luogo delle pagine di rispetto, ha inserito un “esergo” chiarificatore (“Alla nascita si apre un sipario sul palcoscenico: spesso assumiamo un ruolo, recitiamo un copione, e rimaniamo soggiogati e imprigionati dalla maschera; ma avviene pure che ci sia chi non ha di che coprirsi”. Il libro è dedicato ufficialmente dal poeta alle donne della sua vita: la moglie Concetta, Carolina e Alessandra. A tutto ciò fa seguito una calzante Prefazione di Gianfranco Cotronei, che pone l'accento sui punti essenziali : “ Tito Cauchi è uno dei poeti che meglio sa dar vita e coerenza all'impulso ispirativo, e la sua versificazione, solo apparentemente piana e di penetrazione immediata, coniuga, in una sorta di enunciazione insieme palese e allusiva, una forma

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“classica” a complessi percorsi analizzati sul versante esistenziale dell'esperienza...” . Mi associo a tale giudizio, così come mi associo a quello successivo, secondo cui “ per tutto il percorso lirico della silloge, si afferma la volontà di sollevare il sipario, di scendere attraverso il segno della parola al ritmo segreto del linguaggio poetico pervaso da una connotazione malinconica e dolente che scaturisce dal sentire la vita tragicamente frantumata. Resta per l'Autore, però, come solido canapo di salvezza, il ripiegamento verso il mondo degli affetti, dei ricordi, dei sensi.” Specialmente per quanto riguarda i contenuti, la poesia di Cauchi è ricca e fertile, perché trae spunto sia dalla vita degli affetti che da quella della cronaca, di cui il mondo attuale ci fornisce esempi più angoscianti che edificanti. Il mondo degli affetti, in lui, è semplice e complesso al contempo, così come è generoso e delicato. Dal viluppo dei sentimenti e delle riflessioni scaturiscono poi le gocce del miele amaro di una malinconia di fondo (come a dire, sì, ho capito il gioco di questo teatro, ma non è che mi piaccia tanto...). Tito Cauchi è un poeta dal cuore generoso, amante della pace e della fratellanza. Lo spettacolo della società e del mondo d'oggi lo delude, come uomo, nelle fibre più intime, ma egli, come artista, non rinuncia a credere nell'uomo e nella Poesia, nonostante la permanenza e la moltiplicazione di Caino. Se non bastano l'amore e l'affetto, mette in campo l' ironia, a volte bonaria, a volte graffiante. Un discorso a parte potrebbe essere fatto sul linguaggio, sulla forma espressiva con cui si appalesa, attraverso la poesia, una tale visione del mondo e della vita. Insomma, sul linguaggio poetico. Argomento, quello del necessario vaglio o crivello, che secondo me vale per tutti i poeti, nessuno escluso. Ma anche in questo, dopo aver letto e riletto tutte le composizioni, alla fine non posso che concordare con Cotronei quando afferma, tra l'altro, che “le immagini di Tito Cauchi assurgono a simboli attraverso l'uso di un linguaggio volutamente scarno ma singolarmente costruttivo, che rielabora il carattere transitorio e sbiadito della realtà...”. Aggiungo che Tito Cauchi, mentre coi “contenuti” e le storture del mondo prova dolore e sofferenza, con la forma espressiva si “diverte”. Col verso libero, con le parole, le immagini, i costrutti, etc. Tito Cauchi non dico che ci giochi, però si diverte. Se lo ritiene necessario, ricorre anche alla “vecchia” rima (baciata, alternata) ed anche all'assonanza, in modo massiccio . Si veda Il tuo viso inespressivo (a pag. 14). Così come, per il trionfo giocoso della rima, si distingue Allegra ti vedo (pag. 35). Tra le poesie artisticamente più riuscite segnalerei


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Natale incerto e invisibile, una di quelle poesie nelle quali, con un linguaggio piano e quasi discorsivo, Cauchi ci ritrae a tutto tondo per quello che siamo, una civiltà in crisi perché ha smarrito la sostanza pura del messaggio evangelico o comunque di quello veramente umano, socialmente solidale. Una umanità che recita (bene o male, a seconda dei casi) e che entra ed esce senza sosta attraverso un sipario, salendo e scendendo in continuazione da un palcoscenico. Ed anche questo è un grande merito della poesia “semplice”, ma sincera e autentica, di Tito Cauchi. Luigi De Rosa

AURORA DE LUCA CELLULOSA (2° Premio “Città di Pomezia 2014”) - Ed. Il Croco, I quaderni letterari di POMEZIA-NOTIZIE, 2014 Il titolo della silloge (2° Premio “Città di Pomezia 2014”) ci suggerisce subito l’idea della carta, sulla quale la giovane poetessa verga le sue liriche. Il foglio bianco, che proviene dalla natura, non può comunque sostituire lo splendore della natura stessa. In tutto il volumetto la natura è presente come similitudine e metafora, con i suoi campi, i sui alberi, i suoi frutti, i suoi raggi di sole, anche quando il tema ispiratore è drammatico (leggasi “La casa dei viandanti”). In tutti i versi è presente una ricerca sul quid esistenziale (ad esempio “La schiena del cielo”). Anche in “Disatteso”, l’immagine del fiore “sbocciato e presto marcito” ci pone una domanda “spersa come una voce fioca”. Man mano che si procede nella lettura, apprezzando la tecnica compositiva, con l’uso di ossimori, anafore, similitudini, si aprono spiragli dell’anima di Aurora De Luca, “Conchiglia satura e vuota” che però vive nell’incontro con la parola (“il mazzo con tutte le chiavi del mondo”). E intanto, mentre il fato e il caso governano “il conto dei giorni”, l’autrice si sorprende a scoprire se stessa e la sua posizione nel mondo. Così ella dice: “in questo spazio e questo tempo / che sta tra me e il mio mai più / io sono qui e ne faccio colore”. Perciò, a buon diritto, può confermare: “qualcosa si fa pietra buona / nelle nostre mani”. Elisabetta Di Iaconi

AURORA DE LUCA CELLULOSA Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Io donna scrivo ad un’altra Donna. Mi piace ini-

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ziare così, riportando ciò che di me ho intravisto in lei. L’autrice, la poetessa Aurora De Luca compone i suoi versi per espandersi. Essere donna è avere la luce accesa sull’anima, manovrare i brandelli di sentimenti e sventolarli al fresco profumo dell’aria. Donna, poetessa, che di te della tua natura emotiva fai versi di “ cellulosa”, tocchi la carta, la materia vivente, la natura, esprimi il senso intoccabile che di ogni donna deve essere legge. Un passaggio illuminante “ persino nel nero fu luce”. Poi la dimensione della casa e il calore delle mura, tutto continua a ricondurre ad un grandissimo senso femminile che attraversa e pervade, lasciando il significato delle radici di un’esistenza “ come piante di pero alle sue radici ti chiedo mantienimi”. Dalle radici allo sguardo. Anch’io spesso mi rivolgo allo sguardo, per ricordare che lo sguardo di una donna deve lasciare impronta ed eccola, l’ autrice, la poetessa “ dove ci conduce il verde nostro sguardo?”. Si! Mi piace, mi è piaciuta la lettura di questa opera, che per volontà emotiva, ha fatto entrare anche me in questa analisi recensiva, per innalzare il significato femminile che ho intravisto tra le pieghe di questa delicata e profondissima raccolta di liriche; che ha incantato il mio pensiero e ha esteso una dedica, da fare a tutte le donne, alla luce dell’ anima, a partire da quella visione meravigliosa, che mi giunge ora, accanto al calore del focolare delle nonne. Da donna a Donna. Tutti i miei più vivi complimenti, un bellissimo sguardo sul mondo e una netta percezione dell’animo femminile. “Ogni opera d’amore fatta con il cuore avvicina a Dio” Madre Teresa di Calcutta. Filomena Iovinella

TITO CAUCHI PALCOSCENICO Editrice Totem, Lavinio (RM) 2014, Pagg. 64, € 10 Palcoscenico, storia di cantieri e di povertà, di pace e di vita dove scarseggia l’amore (purtroppo!). Sono versi scorrevoli e intensi di sentimento, di anelito alla serenità e alla concordia. Sul palcoscenico della vita, tutti indossiamo una maschera che non sempre riesce a celare l’infelicità umana. Vorremmo recitare, forse, da primi attori e non siamo che figuranti, modeste comparse, poveri guitti nella molteplicità delle interpretazioni in commedie e drammi dell’esistenza. Orrori di guerre, ingiustizie e indifferenza, silenzi, solitudini e pianto, scorre la vita con tutto il male del mondo e la realtà del dolo-


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re. In Palcoscenico, l’attore Cauchi va ad interpretare, con la propria, le storie degli spettatori (lettori/spettatori): la perdita di un amico, l’intimità della famiglia (La mia chiesa). Nelle riflessioni, anche amare sull’amore (Amiamoci) la creatura solitaria si trasforma in lupo selvaggio (Lupo solitario). Mentre le Moire filano e tagliano il filo della vita, benevoli appaiono figure femminili. Si risveglia la tenerezza di Tito: per Giovanna d’Arco, per Concettina; la carezza per ogni donna con la mimosa, alla quale l’otto marzo, Cauchi volge sguardo affettuoso. Grazie! Elena Milesi

TITO CAUCHI MICHELE FRENNA NELLA SICILIANITÀ DEI MOSAICI EdiAccademia Isernia, 2014, Pagg. 192, Ediz. f. c. Voglio dire BRAVO a Tito Cauchi per il suo volume, per avere dato senso all’amicizia ed esaltato il valore di un artista. Da “una visita memorabile” in data 19 agosto 2008, ecco sbocciare un’amicizia con la maiuscola e poi un intero volume di recensioni ed articoli sull’artista di un particolare mosaico a tessere vitree, Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici. Una storia molto bella che dice di sensibilità e generosità squisite e rare che qualificano lo scrittore e poeta Tito Cauchi (e che ben si colgono nei contatti telefonici!). Elena Milesi

ROSSANO ONANO -DOMENICO DEFELICE ALLELUIA IN SALA D’ARMI Parata e risposta Il Convivio 2014 – € 6,00 Per un lettore assiduo di Pomezia Notizie, bene hanno fatto Domenico Felice e Rossano Onano a raccogliere in volume i loro “botta e risposta” apparsi per lungo tempo in Rivista. La loro rubrica era un momento piacevole di satira, un dialogo in prosa e poesia che s’intrecciava a meraviglia tra ironia, puntigliosità, acume, sino a cogliere i punti più critici e a volte paradossali della nostra società. Alla prosa di Rossano Onano, Defelice rispondeva sempre con dei versi che ne avvaloravano il contenuto; il risultato era sempre garantito e a volte rasentava la comicità. Ora, con il volume Alleluia in sala d’armi, il momento si è dilatato e possiamo goderci una lettura sequenziale che nell’assieme ben definisce le

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problematiche della vita odierna. Onano, con la sua qualifica di medico specialista in psichiatria, ha tutte le carte in regola per addentrarsi negli ingorghi della mente umana ed evidenziarne le aberrazioni. Nondimeno, Defelice, da sempre attento alla vita sociale e provvisto di un acume singolare, ha retto superbamente alle provocazioni dell’amico, e solo la satira poteva dar loro modo di aprirsi senza remore. Nel volume, infatti, troviamo un potpourri di accadimenti: dalla cronaca alla politica, dai disastri ambientali ad azioni poco etiche da parte di ogni ceto sociale (gente comune, politici, preti, ecc.). Un ampio ed esaustivo quadro di una parte della società che ha perso i valori più importanti: socialità, solidarietà, altruismo, ecc. Tutto ciò che dovrebbe distinguere la razza umana. Tra i tanti, ad esempio, l’Alleluia Costa Concordia, dove Onano dice che “E’ in aumento il flusso di turisti all’Isola del Giglio. Tutti in fila per la fotografia con la carcassa della nave sullo sfondo. La Giunta pensa di conferire la cittadinanza onoraria a Francesco Schettino.”. E Defelice replica “…La nostra società massificata / sente la libidine del dramma; / la strage l’emoziona / e, se partecipar non può in diretta, / va bene anche una foto!... ”. Una raccolta preziosa, dunque, da riprendere spesso per non farsi ammaliare dai tanti blabla dei mass media che ci assillano. Laura Pierdicchi

TINO CAUCHI PALCOSCENICO Editrice Totem, 2014, pagg. 53, € 10,00 Oggi per farsi notare ed apprezzare è necessario collaborare a più riviste culturali. Non c’è altra scelta! O così o è l’oblio assoluto! Ma a volte, magari per la gioia dei propri lettori, non è male riunire la propria opera, sparsa qua e là su questa o quella testata, per poter offrire a tutti un ritratto, il più completo possibile, di sé stessi. Tino Cauchi (classe 1944, nato a Gela [Sicilia]), che vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma), ha svolto varie attività professionali, l’ultima delle quali è stata quella di docente presso l’ITIS di Nettuno. Questo è quanto riportato in quarta di copertina., Da parte mia, aggiungo che Cauchi appare fra i tanti Autori dell’ottima antologia di A. Arcifa Chiare e vive testimonianze del nostro tempo, ancora una volta come Poeta. Il presente volume, Palcoscenico, è un compendio delle numerose, bellissime poesie del Nostro, quale pubblicata su Il Convivio, quale su Pomezia-


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Notizie, quale nell’antologia Reality e Poesia… alle quali vanno aggiunti alcuni carmi, inediti!, che chiudono stupendamente questa silloge meravigliosa! Non è Poeta da sottovalutare Cauchi. La varietà dei temi da lui trattati e la levità di stile che ne caratterizza l’esposizione non necessitano certo di commenti. Un esempio? In fondo al libro, ultime ma non disprezzabili, vi sono alcune mini poesie, dalla raccolta Amante di sabbia (edizioni Pomezia Notizie) tradotte poi anche in francese, inglese e greco, quale prova indiscutibile dell’universalità dei temi trattati. E considerando che, da una lingua all’altra, i significati delle singole parole e le frasi idiomatiche possono cambiare radicalmente, non è cosa da poco. Da leggere per credere! Ed è solo un esempio banale, questo! Ci sono poi carmi inediti, come Natale sempre uguale oppure come Lacrime e risa, tutte da scoprire e che ogni lettore, vecchio e nuovo, di Cauchi dovrà commentare da sé. Perché ognuno di noi, per fortuna!, è diverso da tutti gli altri e ciò che incanta me potrebbe annoiare un altro (e viceversa). Un tesato che darà un’idea molto precisa del valore dell’ars poetica di Cauchi e che lo farà riscoprire nelle sfumature più varie poiché qui c’è davvero la sua opera omnia poetica o, se non tutta, una gran parte e non disprezzabile. Buona lettura a chi verrà dopo di me. Andrea Pugiotto

TITO CAUCHI MICHELE FRENNA NELLA SICILIANITÀ DEI MOSAICI EdiAccademia Isernia, 2014 -179 pagg. Michele Frenna ci ha lasciati il 5 ottobre 2012 e il tomo che qui presento è un omaggio postumo ad un Maestro che ha avuto il merito non piccolo di resuscitare e di valorizzare al massimo grado, mercé tecniche e temi nuovi, un’arte oramai scomparsa da secoli, e che pure fu importantissima in Oriente e in Roma antica: il mosaico. Il Maestro si serviva di vetri variamente colorati, applicati a cartoni, e i temi da lui messi in evidenza sono tutti nuovi ed attualissimi, dei veri J’accuse della realtà odierna: Scuola cantiere; i ginnasti; Il bibliotecario… solo per citare tre titoli. In essi, la realtà odierna si scontra con verità che si vorrebbero negare, annullare in un modo qualsiasi, ma che pure esistono (Ne I ginnasti, un ragazzino sulla sedia a rotelle è in una palestra, assieme ad altri ra-

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gazzi intenti agli esercizi). Frenna, figlio della Trinacria ed autodidatta (specie quanto al mosaico), ha avuto molto da dire e da dare, ad onta degli ignoranti, dei critici imbecilli, dei galleristi meschini… imponendo infine uno stile ed una tecnica non disprezzabili in questo nuovo Medioevo, dominato dai nuovi barbari (comunisti in testa), bravi solo a distruggere ciò che disprezzano perché non lo capiscono. Molti, in passato, hanno avuto a che fare col Maestro Frenna, direttamente o indirettamente, commentando la sua opera, come uomo e come artista, e scrivendo commenti o monografie sui suoi mosaici. Vincenzo Rossi, Orazio Tanelli, Leonardo Selvaggi (solo per citare tre nomi rinomati) ebbero la fortuna di scrivere pezzi interessantissimi sull’ opera di questo figlio del Sud che, attualmente, sta pigliandosi una sonora rivincita sul Nord e sul Centro (e, a ben considerare, è anche giusto!). Tito Cauchi, autore eclettico dei nostri giorni, si presenta stavolta come semplice curatore, mettendo insieme un’antologia preziosa di giudizi dalle penne più diverse intorno al Maestro Frenna ed alla sua arte, pigliando per sé poco spazio e lasciando parlare soprattutto gli altri. Un omaggio postumo, peraltro dovuto, a chi non ha mai chiesto nulla agli altri né ha preteso di essere un Raffaello essendo nato Michele Frenna. Ed è in questo la vera forza del Maestro: l’umiltà, la semplicità con cui ha offerto il proprio cuore al mondo attraverso le sue opere meravigliose. Cauchi, dal canto suo, è stato davvero ammirabile. Non è facile mettersi da parte e lasciar la parola agli altri, essendo un Autore non disprezzabile. Ma stavolta è stato solo un curatore, offrendo un testo ammirabile e degno di nota. Un ennesimo saggio monografico su un Artista che, vivo o morto, non finirà mai di stupirci per la bellezza delle sue opere, sia nel senso più superficiale che nei significati più profondi delle immagini da lui creati. Il mondo è bello perché è vario, recita un proverbio vecchio e saggio. È vero e questo testo lo prova ampiamente. Da leggere con attenzione, per gustarselo fino alle virgole meno evidenti. Andrea Pugiotto

AURORA DE LUCA CELLULOSA Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014 Della poesia di Aurora De Luca mi ero già occupata una volta e oggi, pur non avendo motivo di modificare le mie impressioni, debbo evidenziare


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che in “Cellulosa” le rappresentazioni del sogno e del reale, della gioia e del dolore, dell’ansia e della fede sono diventate più sorvegliate, più mature. Il titolo “Cellulosa” offre una pista indicativa: la vita colta nel suo ambiente naturale coinvolto nel mistero del tempo e del suo mutamento con un punto di partenza molto significativo: “La fioritura” (pag.3) legata ad un’esistenza di valori interiori profondi, religiosamente avvertiti come essenza feconda dell’essere umano nel mondo. Il canto si avvia spesso all’introspezione, alla denuncia, alla protesta, al vuoto esistenziale ma anche alle meraviglie della natura, che consentono alla sensibilità della poetessa di assaporare cose, affetti, vicende lontani, colti nello spazio di un presente che si fa emozione. La silloge si chiude con “Il nostro verde sguardo” (pag.31) aperto alla rinascita e alla resurrezione senza fine. “Saremo bosco sulle macerie/ campo fiorito in inverno” (pag.25) e forse, nel momento in cui la vita e la morte si intrecceranno l’una nell’altra, potremo ascoltare il suono di quell’istante in cui l’ elemento terrestre si aprirà all’infinito e all’ignoto. Innocenza Scerrotta Samà

PAOLA INSOLA ELOGIO ALLA MIMOSA Ed. Il Croco/Pomezia notizie, 2014 Poesia cercata e trovata nella semplice mimosa, carica di un giallo, che rivela la realtà dell’amore e della bellezza in tutti i germogli della primavera, in ogni filo d’erba, in ogni creatura nascente. Tale giallo scivola dentro, crea bagliori e divampa col preludio di un’apertura di luce sull’indifferenza, l’ipocrisia, lo sfruttamento, il caos dentro il quale l’ uomo vive e non lascia vivere. Purtroppo in questo “spazio giallo”, attraversato dal bisogno della poetessa di proiettarsi nella bellezza e nella pace, s’aprirà un varco “dove si annidano vespe/ con l’insidia del pungiglione/ che penetra ed infetta” (pag.17). Questo oscillare fra opacità e luce (bisogna riconoscerlo e accettarlo) fa parte della vita che non cesserà mai di esplodere nelle sue opposte, svariate forme creando l’armonia dell’universo. Vivere eternamente nell’Eden, sarebbe stato oltremodo noioso. Il Creatore con l’esilio ha concesso all’uomo la libertà di attraversare vie luminose, oscure, dolorose e, nonostante tutto, aperte alla speranza, ultimo bene. Innocenza Scerrotta Samà

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ENTANGLEMENT Fredda la tua guancia e struccata sul traghetto, di prima mattina. Un gabbiano ci segue come un drone senza un battito d’ali. Si poserà su Reggio o su Messina? Quanto sono vicine le due sponde! Si può scorgere forse la casa con tante stanze in cui mia madre è morta. Quello ad angolo sembra un suo balcone. To leave or not to live? Così vicina e non ci son tornato. Corrado Calabrò

...È TUTTA ROBA PROPRIA... E non metto più i miei pensieri il mio sentire nella tua testa. È tutta roba propria. Quella nuvola lassù quelle case proprio lì questo mondo che c'è qui ieri o mercoledì è tutta roba propria. E non metto più supposti pensieri del tuo pensare nella mia testa. È tutta roba propria. Questo spazio fin laggiù quella gente proprio lì l'atmosfera che c'è qui domani o venerdì è tutta roba propria.


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Sol comunicare apre gli universi sol comunicare ci avvicina a saperci. Il resto è tutta roba propria. Michele Di Candia

RINTOCCANO LE CAMPANE Rintoccano le campane: sono le sei di sera una sera d’autunno e piange il cielo. Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, MI

Quasi il latte che nutre della mamma, come unguento risanatore sulle bende che fasciano le patite voglie d’amore, tenerezza e profumi di prima stagione nell’aria diversa che avverto vicino. Amore per il particolare espandendosi la superficie delle cose; una leggerezza che è animo libero, l’introspezione si scioglie. La tua figura fluisce, rinnovo dei giorni; simbiosi l’appartenenza che è sovrapposizione. Io come svuotato, io ampio involucro per pensieri sublimati che trapassano dentro di te. Lucensea, il tuo nome; luce carezzevole seta fine sotto le dita. Strofino le foglie dell’alloro, metto il muso nel fondo delle labbra delle corolle per sentirti. Leonardo Selvaggi

GIORNATA IMBRONCIATA Giornata imbronciata, giornata silenziosa. Tutto sonnecchia in attesa del sole che tutto risveglia all’amore.

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Torino

IL CORAGGIO DI VIVERE

Loretta Bonucci FERITE DELL’ANIMO Sei passata attraverso le asperità del terreno, sulle angustie che non fanno essere libero, le lunghe malinconie serrano la gola. Per entro i fossati presi dalle tenebre, sopra le onde gelide spumose sei venuta come un gabbiano. Sopra i fumi delle riarse lande fino ai limiti di questo giorno che mi trova resistente alle attese di sempre. Sento la tua voce nei profondi tagli ricuciti, distilla dolce liquido; fragranza di parole balsamo per tutta la mia persona. La voce calda al telefono suasiva.

Mi acceca il sale appena spalato, bianchi cristalli screziati di rosa, non sono musica tra le mie mani piagate dal duro lavoro. La luce mi abbaglia, non vedo più nulla, né sento il dolore, le grida sommesse di chi sofferenza nasconde. Si…lo rubai quel tozzo di pane. Servì per sfamare i miei figli… Non lo avrei mai fatto se fosse stato per me… Sarei andato a scorticar le ginocchia, a raccogliere terra e chicchi di grano tra spighe ormai muffe, scomposte dalla pioggia e dal vento. La necessità mi forzò… E per questo non provo alcun pentimento. Lo rifarei mille volte…. Mille bocche nutrirei, come fanno gli uccelli dall’alba al tramonto, seguendo l’istinto ancestrale che il futuro contempla. In questo mondo difficile,


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la tenue speranza ti porta a sopraffare le regole di una società che non coglie e distingue il bene dal male… La dignità… di chi stremato ricerca il coraggio di vivere. Colombo Conti

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Ma la voce sussurra il mio pianto… Voglio tornare a casa. Colombo Conti

1°Premio di Letteratura “Ponte Vecchio” VOGLIO TORNARE A CASA L’aratro aprì il solco, Tagete apparve con le sue virtù che tramandò alle genti contadine. Polvere negli occhi, profumo di humus sulle mani. Incerto è il cammino col sole in faccia il cappello di paglia non mi riparerà. Nemmeno il vento sarà clemente. Rughe profonde solcano il viso non è cosa facile guadagnarsi il pane. Ma io l’ amo questa terra che mi fa soffrire. La bacio, la sgretolo tra le mani fino a lanciarla lontano a coprire i semi. E’ natura madre, ancestrale saggezza, che si prende cura di me, dei miei figli. Lo sguardo assorto tra le nuvole attende un segno di pioggia. Il naso in su avverte già l’odore di ozono che annuncia il temporale. E’ vita e distruzione ctonia paura che gela il cuore. Ancora una volta risuonan dall’Averno i pensieri. Mi accarezza la morte mentre tutto è vita. L’acqua mi purifica, mi lava le ferite, trasporta l’armonia della risacca ancor lontana. Non tradirò mai il mio amore per le mie radici. Non me ne andrò neanche un attimo da questi luoghi, dove ancora cammino sopra le stoppie a piedi nudi. Simulacri divini avanti ai miei occhi, tumuli coperti di ghiande ed asfodeli. E’ il passato che è presente. Il tempo è stato clemente non l’ha cancellato. Sono ancora tuo figlio Etruria mia, anche se esule tra orizzonti lontani. Rivivendo il sogno mi sento già meglio.

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE ACCADEMIA COLLEGIO DE’ NOBILI - Istituzione storico – culturale fondata nel 1689 - Prima di iniziare i lavori che si sono protratti dalle 15 alle 21 abbiamo fatto alcuni minuti di silenzio per ricordare gli Amici Marchese Avv. Luigi Ottavio Borzone de Signorio Sabelli di Luni, che ha fatto parte della Giuria fin dalle prime edizioni, e ci ha lasciato il 19 luglio e il Presidente Onorario del Premio Dott. Ottavio Matteini, giornalista de La Nazione, Presidente per diversi anni dell’Ordine dei giornalisti della Toscana e Consigliere Nazionale, deceduto il 5 novembre e che, insieme al fondatore del Premio, è stato grande amico ed estimatore del Poeta Danilo Masini. Dopo quasi due mesi di lettura e disamina delle poesie inedite, inedite sotto i 18 anni e libri editi di poesia, la Giuria della 10a Edizione del Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini” dal tema Poesia e Vita e Tema libero, riunita in data 20 novembre 2014 presso il Circolo Ricreativo “Stanze Ulivieri” di Montevarchi, ha decretato che il 1° Premio per la Poesia Inedita andasse a Rita Muscardin di Savona per la poesia “La storia di noi due… (A mio figlio)” e il 1° Premio per il Libro Edito di Poesia a Clara Bianchi di Firenze per il libro “Cristalli di luce… Gocce di poesia”, Montedit, Melegnano (MI). Per la sezione Poesia Inedita giovani under 18, il 1° Premio è andato alla sedicenne Lucia Rostagno di Fossano (CN)


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per la poesia “Sui primi cespugli del cuore”. Gli altri premi assegnati per la sezione Poesia inedita sono i seguenti: 2° Premio a Maria Cristina Renai di Sinalunga (SI) per “Aria nell’aria”; 3° Premio a Ines Scarparolo di Vicenza per “Il bianco della tenerezza”; 4° Premio ex aequo a Luciano Fani di Marciano della Chiana (AR) per “Ti sento”; 4° Premio ex aequo a Giuseppe Barba di Gallipoli (LE) per “L’anima e il Sud (Libecciata al mio paese di mare)”; 5° Premio ex aequo a Anna Maria Olito di Firenze per “Ti cercherò”; 5° Premio ex aequo a Maria Laura Ghinassi di Arezzo per “Portati via dalle stelle”. Per il Libro edito di poesia sono i seguenti: 2° Premio a Stefano Martin di Udine per il libro “IL BUCANEVE Quando l’amore per la propria terra diventa poesia” Silloge poetica, Designgraf, Udine; 3° Premio a Duccio Corsini di Firenze per il libro “Il vento dell’anima”, Ibiskos Ulivieri, Empoli (FI); 4° Premio a Gennaro De Falco di Milano per il libro “Panchine d’inchiostro”, Magia Libri, Novara; 5° Premio a Stefano Tonelli di Milano per il libro “Una luce dal cielo”, Montedit, Melegnano (MI); Per la sezione Poesia inedita giovani under 18 i seguenti: 2° Premio a Chiara Sabena di Savigliano (CN) per la poesia “Pomeriggio d’estate”; 3° Premio a Mariapia Crisafulli di Messina per “Fenice”; 4° Premio a Eleonora Lorenzato di Vicenza per “Sfumature”; 5° Premio a Valentina Barbieri di Piacenza per “A Saffo”. Sono stati, inoltre, segnalati i seguenti poeti per la sezione Poesia Inedita: 6° classificato ex aequo Diego Sordi per “Dachau”; 6° classificato ex aequo Vittorio Morrone per “Vorrei”; 6° classificato ex aequo Lolita Rinforzi per “Un abito su misura”; 7° classificato Cecilia Cesari di Lucignano (AR) per “Cadi come neve calda”; 8° classificato Paola Carmignani di Altopascio (LU) per “L’ arcobaleno”; 9° classificato Leda Biggi Graziani di Arezzo per “Alba primaverile”; 10° classificato Crocifissa Del Frate di Priverno (LT) per “Come foglie al vento”. I seguenti per la Sezione Libro edito di poesia: 6° classificato Rita Muscardin di Savona per il libro “La memoria del mare”, Bacchetta Editore, Albenga; 7° classificato Liana Bachini di Pontedera (PI) per il libro “Nulla in cambio”, Edizioni Nuovastampa; 8° classificato ex aequo Salvatore Paolino di Modica per il libro “L’ultima falce di luna”, Caffè Letterario “Salvatore Quasimodo” Modica; 8° classificato ex aequo Mirco Del Rio di Reggio Emilia per il libro “Oasi della speranza”, Tipolito L’Olmo; 9° classificato ex aequo Roberto Maggi di Brescia per il libro “Frammenti di un caldo respiro”; 9° classificato ex aequo Armando Giorgi di Genova per il libro “Tra il serio e il faceto”, Vitale Edizioni, Sanremo; 10° classificato ex

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aequo Fulvia Marconi di Ancona per il libro “Amore che d’amor si nutre e sazia”, Di Felice Edizioni, Teramo; 10° classificato ex aequo Franca Olivo Fusco di Trieste per il libro “I tre nomi della vita”, Biblioteca dei Leoni. I seguenti per la Sezione Poesia inedita giovani under 18: 6° classificato Marta Sola di Biella per la poesia “Mestizia”; 7° classificato Giulia Vannucchi di Viareggio per “Neve”; 8° classificato Martina Landini Tozzi di Arezzo per “Disordinate visioni”; 9° classificato Beatrice Rizzoni di Serra de’ Conti (AN) per “L’ Anima vola lontanissimo”; 10° classificato Alessio Arena di Palermo per “Ritratto”. Il Premio Speciale della Giuria con targa del Moto Club Brilli Peri è stato assegnato a Renzo Piccoli di Bologna per il libro “Il canto del mare”, Armando Arrmando, Roma. La Cerimonia di Premiazione ha avuto luogo domenica 7 dicembre 2014 alle ore 17.00 presso il Circolo Ricreativo “Stanze Ulivieri” in Piazza Garibaldi, 1 a Montevarchi (Arezzo). Alla fine della Cerimonia di Premiazione alle ore 18.00 è seguito il Concerto del Gruppo da Camera dell’ Orchestra a Plettro Senese “Alberto Bocci”. Sono stati presenti alla Premiazione, oltre al Presidente del Premio Marcello Falletti di Villafalletto e al Presidente del Circolo “Stanze Ulivieri” Elisabetta Benini, i Giurati, il Sindaco di Montevarchi e l’Assessore alla Cultura. Ringraziamo l’amico Coordinatore Ettore Burzi che instancabilmente e con grande dedizione ci regala delle Premiazioni con degli Eventi unici e irripetibili. Il Segretario del Premio Claudio Falletti di Villafalletto *** PREMIO BRONTOLO - XIX Concorso Nazionale “Brontolo” di Satira, Umorismo, Poesie, Pittura, Scultura, Foto, (nell’occasione del Ventesimo Anniversario della Rivista) che dà diritto all’ Inserimento nella Speciale Antologia Annuale. Sez.A) Disegni umoristici, Caricature, Foto artistiche. Sez.B) Racconti satirici o umoristici o Sillogi di Barzellette o Romanzi umoristici. Sez.C) Poesia satirica o umoristica in lingua. Sez.D) Poesia satir. o umor. vernacola (con traduz. se non napoletana). Sez.E) Teatro umoristico Sez.F) Liriche in lingua (edite o inedite). Sez.G) Liriche vernacole (edite o inedite, con traduz. se non napoletane). - Inviare, meglio se per Computer o con CD, disegni, foto e testi inediti o pubblicati, in unica copia firmata, con breve curricolo, recensioni e foto personale, entro il 30/Giugno/2015, alla Redazione: Via Margotta, 18 - 84127 Salerno. Tel.089/797917 - E-mail: brontolo8@libero.it - L’abbonamento alla Rivista (Ordinari 20 euro; Sostenitori 30; Benemeriti 50) dà diritto alla partecipazione gratuita al Concorso. - Il


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versamento può essere fatto a mano, con lettera o con vaglia, sul ccp N. 20456844, al Mensile “Brontolo”- Satirico Umoristico.Culturale - 84100 - SA. I Premi:Inserimento nell’Antologia (che verrà spedita gratuitamente) - Pubblicazioni sulla Rivista Libri umoristici. *** È TEMPO DI LEGGERE - PIÙ LIB(E)RI - Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria - 13a edizione/4-8 dicembre 2014, Eur, Palazzo dei Congressi - Roma - Si è svolta l’annuale Fiera del Libro di Roma, con la partecipazione di migliaia di editori medi e piccoli e con una grandissima affluenza di pubblico e tantissime presentazioni di libri nelle varie sale al piano superiore. Non potevamo non visitarla, come ogni anno; ci siamo stati sabato 6 dicembre, incontrando tanti amici e assistendo a vari interventi, tra cui, nella Sala Corallo, alla presentazione del libro “Come dentro un sogno. La narrativa di Dante Maffìa tra realtà e surrealismo mediterraneo” di Marco Onofrio (Città del Sole Edizioni). Sono intervenuti, in ordine, il prof. Rino Caputo Università di Tor Vergata Roma, il prof. Carmine Chiodo, della stessa Università con il prof. Andrea Gareffi e, infine, lo stesso Autore. Interventi calibrati, senza fronzoli e senza retorica, penetranti e fervorosi, che hanno saputo galvanizzare l’uditorio con l’esaltare i tanti pregi del libro e, non ultima, la messa in evidenza della capacità dell’autore di far risaltare, tra gli aspetti della narrativa di Dante Maffìa, anche la semplicità del dettato e l’ironia. In sala, tra i tanti altri, la poetessa Livia Naccarato. Nella Sala Ametista, invece, abbiamo ascoltato Luigi Manzella nella presentazione del corposo libro (1100 pagine, 60,00 Euro), edito dalla Genesi di Torino, “Leopardi e il mal di Napoli”, di Carlo Di Lieto, professore dell’Università di Napoli. A presentare gli ospiti è stato l’editore e caro amico, poeta, scrittore e saggista, dr. Sandro Gros-Pietro; sono intervenuti, poi, Antonio Rosso e il corrispondente del quotidiano La Repubblica Antonio Filippetti. Ancora un intervento di Luigi Manzella e, infine, quello dello stesso autore prof. Carlo Di Lieto. Tra gli altri amici incontrati, citiamo la giovane Aurora De Luca (presente con la madre), della quale è appena uscita, con la Genesi, la bella silloge “Materia grezza”, che reca, in copertina, un suggestivo acquerello, “Risvegli”, di Giampiero Pierini e, all’interno, interventi - in ordine - di Sandro Gros-Pietro, Domenico Defelice, Franco Campegiani e Sandro Angelucci. (ddf) *** PER IL PANNUNZIO DI LEONARDO SELVAGGI - E-mail di Giuseppe Leone, del 18.12.2014: Caro Domenico,

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eccoti questa mia recensione,(...). Si tratta di uno scritto su un bel testo di saggistica di Paola Ruminelli, della quale avevo già scritto qualcosa lo scorso anno. Nel dirti che P. N. di dicembre m'è già arrivata, colgo l'occasione di augurare a te e alla tua famiglia, da parte mia e di Emanuela, un sereno Natale e un buon Anno Nuovo. Buon Anno anche alla nostra Pomezia-Notizie, che si congeda dall' anno che sta per finire con un elogio al giornalismo di Mario Pannunzio, per il quale - scrive Leonardo Selvaggi - "la parola giornalismo ha un significato altissimo, vuole dire impegno civile, cultura, coraggio di intervento con impeti polemici quando si ritiene necessario, battagliando contro gli scandali con un tono d'inquietudine e di sofferenza." Complimenti a Selvaggi per aver ricordato una firma così illustre e alla nostra rivista per la libertà e il coraggio di poterla pubblicare. Un abbraccio e a presto, Giuseppe. Caro Giuseppe, grazie per la tua squisita collaborazione. Sono le firme come la tua che fanno ancora apprezzare il nostro mensile in tutto il mondo. Troverai il tuo pezzo sulla Ruminelli a pag. 5. E ricambio con affetto gli auguri per te, per la tua Emanuela e per tutti i tuoi cari. Sono grato pure alla sensibilità di Leonardo Selvaggi per l’averci permesso di ricordare Pannunzio. Non era soltanto un giornalista di vaglio e uno scrittore; era principalmente un uomo, onesto, integerrimo, aperto agli altri fino a far fare agli altri, per dare loro la gloria, ciò che egli avrebbe fatto benissimo e meglio di loro. Quanti giornalisti si sono formati sotto la sua protezione! Figure come la sua oggi sono più che rare, forse non è una bestemmia dire che manchino del tutto. PomeziaNotizie non potrà mai eguagliare testate da lui create e fatte vivere, ma ha cercato almeno di seguirlo e di seguirle nel coraggio. Grazie ancora, caro Giuseppe, e anche a te un abbraccio. Domenico *** DVD: Archipel – LUIGI NONO Un film de Oliver Mille (Artline Films) - Questo prodotto multimediale è frutto di una co-produzione 'La SeptArtline Films-Centre National de la Cinématographie, con la regia di Oliver Mille, che lo ha portato a realizzazione nel 1988 ed è stato presentato a Parigi, durante il Festival d'Automne 2014-2015, Portrait Luigi Nono, 3 ottobre-18 novembre 2014, proprio il giorno 18 novembre: Laurent Feneyrou e Lionel Esperza hanno presentato una relazione sull'impegno militante di Luigi Nono negli anni Sessanta e Settanta e la visione del film ha concluso


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il loro intervento. Il DVD evidenzia una raccolta scrupolosa di conversazioni con differenti fondali veneziani, dalla Giudecca alla Piazza del Mercato alle vie d'acqua e di terra, riprese volte a dare visibilità e spazio, senso e significato alle parole. Luigi Nono viene colto nella spontanea pienezza di gesti tutti tesi a sottolineare i suoi più complessi e più profondi convincimenti. Le prime immagini lo riprendono, di spalle, mentre cammina in un vicolo veneziano stretto tra due alte murature in mattoni: pronuncia quelle parole antiche che ha fatte proprie da quando le ha viste incise sulla pietra di una chiesa a Toledo, perché esse hanno all'interno la vera essenza del destino, immettono in un divenire senza sosta che deve sempre lasciarci sbigottiti 'Caminantes - no hay camino - hay que caminar'. Con le riprese fatte a Freiburg, il regista evidenzia Nono al lavoro, ben consapevole che la strumentazione elettronica consente di dilatare al massimo le possibilità della voce umana e ciò corrisponde proprio ai percorsi di ricerca e di investigazione compositiva che egli sta esplorando. Importante è senza alcun dubbio cogliere nelle parole stesse del musicista veneziano la dimensione del vivere i suoi spazi, riferimenti iniziatici alla complessa matrice della vita. Di ogni vita. L'acqua, nel sole e nel suono, negli spazi e nei movimenti, nell'aria come sulla terra. E il fuoco emerge da dentro e si fa opera d'arte, perché sia resa visibile l'impronta del divino. Ritornare a Prometeo per far nascere un modo nuovo di essere al mondo e di ascoltarne gli effetti. In divenire. Questo ho capito, questo mi porto dentro, in maniera indelebile. Nel cogliere in presa diretta le prove del 'Prometeo. Tragedia dell'ascolto', nella versione del 1985, sotto la direzione di David Shallon e di Friedrich Goldmann, un ruolo importantissimo ha anche André Richard ed il regista si sofferma spesso su di lui mentre dirige i Cori o dialoga con Nono o mentre si sorridono e si abbracciano soddisfatti: 'Super' è il verdetto sul risultato della prova! Poi è la volta di Emilio Vedova con i suoi grandi 'Tondi' in vetro, spostati da lui, alto e barbuto, con disinvoltura, mentre al suo fianco è ripreso il filosofo Massimo Cacciari, colui che ha scelto l'insieme dei testi dai Greci antichi, da Hölderlin, da Walter Benjamin: la voce fuori campo di René Farabet, in un francese quasi recitativo, elegante e calda, sottolinea che cosa significa per Luigi Nono l'Amicizia. Vedova sostiene: 'Lui si mette qui, da questa parte... Il mio lavoro lui lo vede come onda, onda di energia....'; poi è la volta di Massimo Cacciari: 'Nono è sempre affascinato da Venezia.... ha studiato come pochissimi altri lo spazio veneziano e quello lui ha capito come si ascolta. Lui dice che va alla Salute, a San Marco

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e non le vede, le ascolta. Gigi Nono è veramente veneziano non perché sente l'armonia tra questi elementi, ma perché ne sente la dissonanza. La sua opera cerca -e qui sta la quadratura del circolo e in questo è anche il problema del 'Prometeo..' -, cerca di dare forma alla dissonanza...'. Riflessioni intensissime, quelle che Nono confida a noi tutti attraverso questa documentazione con la regia di Oliver Mille: esse spingono nell'incertezza dell'infinito e del possibile, prima che l'opera si manifesti, alla radice stessa del fare musica, in quella ignara innocenza che si forgia nel canto delle cose e delle memorie. Una testimonianza che porta luce piena sull'eredità etica, politica, spirituale ed artistica di questo protagonista indiscusso della musica contemporanea, orgoglioso e fiero di essere veneziano, dignitoso, originale, in ricerca. 'Caminantes - no hay camino - hay que caminar'. Ancora ripreso di spalle, la mano destra di Luigi Nono, a conclusione del film, accarezza più volte i mattoni rossi del muro, mentre cammina. Per la collaborazione artistica questo importante DVD si avvale dell'esperienza di Philippe Albera, mentre nelle riprese a Freiburg è protagonista la Soprano Alto Béatrice Mathez-Wuthrich, in esercitazioni della vocalità proprio sotto la guida del compositore veneziano. Ilia Pedrina

IL CROCO I Quaderni letterari di

POMEZIA-NOTIZIE il mezzo più semplice ed economico per divulgare in tutto il mondo le vostre opere Il numero di questo mese è dedicato al saggio

MARIA GRAZIA LENISA di

DOMENICO DEFELICE indimenticabile nostra amica e collaboratrice, a 80 anni dalla nascita e a 9 dalla morte


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Domenico Defelice - Scaffale (1964)

LIBRI RICEVUTI ANNA MANNA CLEMENTI - L’Illimite - Incontro con Corrado Calabrò - In copertina, a colori, “Futur-Venezia”, acrilico su tela (cm 120x 100), 1999, di Antonio Fiore - Aracne editrice, 2014 Pagg. 232, € 13,00. Anna MANNA CLEMENTI è scrittrice, saggista, poetessa e cultural promoter. Bibliotecaria per molti anni presso La Sapienza Università di Roma ha presentato progetti culturali presso la Biblioteca della Camera dei Deputati, presso la Regione Lazio, presso la Biblioteca Angelo Monteverdi, la Facoltà di Lettere e Filosofia, la Facoltà di Ingegneria nell’ottica di un accostamento multidisciplinare alla conoscenza. Ha pubblicato molti libri di poesia, un romanzo, due saggi, due libri di racconti di cui “Una città, un racconto”, dedicato alle città italiane. Pluripremiata a livello istituzionale, i suoi libri sono stati presentati dai più noti critici in sedi prestigiose. Ha pubblicato il libroinchiesta “Il gatto di Schrodinger sonnecchia in Europa” (2014). È Presidente e fondatrice del Premio “Europa e Cultura”. Il libro “Umili parole e grandi sogni. Cinque poesie per tre pontefici” (2013) ha ricevuto la Benedizione di Papa Francesco. ** AURORA DE LUCA - Materia grezza - Poesie, Nota di Sandro Gros-Pietro, Prefazione di Domenico Defelice, Introduzione di Franco Campegiani,

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Postfazione di Sandro Angelucci - Genesi Editrice, Torino 2014, collana Le Scommesse - Pagg. 66, € 12,00. - Aurora DE LUCA è nata nel 1990. Risiede a Rocca Di Papa. Dopo la maturità classica è trascorso un periodo di ricerca personale, avendo frequentato la facoltà di Giurisprudenza, per poi approdare alla facoltà di Lettere. Nella sua vita si è sempre dedicata allo sport, praticando nuoto agonistico fino a divenirne a sua volta istruttrice. Inizia presto a scrivere. Nel 2004 partecipa ai suoi primi concorsi letterari, ricevendo ottimi risultati ed interessanti motivazioni nelle sezioni studenti e dei giovani, con poesie singole. Molti sono stati i premi e i riconoscimenti ricevuti, la maggior parte delle poesie vincitrici è stata edita nelle antologie dei vari premi, il primo “Marengo d’oro” a Genova, “Publio Virgilio Marone” a Roma, “Agostino Venanzio Reali” a Cesena, “Marillianum” a Napoli, “Città di Forlì” come il più giovane valido concorrente e “Città di Mesagne” Puglia, a Mattinata “Santa Maria della Luce” e con il “Convivio” ai Giardini di Naxos in Sicilia, “Luigi De Liegro” Roma, “Akery” ad Acerra come premio assoluto giovani, con il “Parco dei Castelli Romani” e tanti altri premi grazie ai quali ha avuto l’occasione di viaggiare su tutto il territorio nazionale. In seguito, nel 2006, si avvicina alla sezione narrativa giovani, guadagnando anche in questo ambito l’attenzione delle giurie con premi e attestati. Nel 2007 compone la prima silloge poetica “Indice di idee al caleidoscopio” partecipando al premio “Città di Pomezia” e ottenendo un buon piazzamento, pubblicherà a gennaio 2008 nei Quaderni letterari “Il Croco” supplemento alla rivista, con un grande successo di critica. Si sono interessati infatti molti scrittori, con recensioni edite sulla rivista “Pomezia-Notizie” diretta da Domenico Defelice, con la quale collabora assiduamente. Nell’ aprile 2010 pubblica sempre su “Il Croco” anche la sua seconda silloge “Questi occhi miei” e la terza “Il tuo colore mare blu” nel 2011. Nel 2012 esce “Sotto ogni cielo”, nel 2013 “Primizie” e nel 2014 un altro Quaderno Il Croco: “Cellulosa”. E’ presente, con un’opera poetica, nell’antologia “Le altre forme delle donne”, curata dalla scrittrice Anna Bruno, edita nel febbraio 2009 da Albusedizioni. Scrive e collabora anche con la rivista letteraria “Il Convivio” di Castiglione di Sicilia (CT), diretta dal professore Angelo Manitta e dalla scrittrice Enza Conti e con “Vernice” di Torino, portata avanti da Sandro Gros-Pietro. Affascinata da tutto ciò che è arte, nel tempo libero le piace creare, disegnare, dipingere e non ultimo leggere. “Sotto ogni cielo” è stato presentato, il 15 dicembre 2012, nell’Aula Consiliare del Comune di Rocca Di Papa, alle ore 16,30 dal critico d’arte, poeta e scrittore Franco


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Campegiani, col l’intervento della professoressa Carla Giorgetti, moderatore Valeria Quintiliani, attrice Ilaria Tucci. Presenti, oltre a un qualificato pubblico, il sindaco Pasquale Boccia ed il presidente della Pro-Loco. Ma anche gli altri suoi lavori hanno avuto, qua e là, varie presentazioni. ** FORTUNATO ALOI - Vox clamantis... Come può morire una democrazia - Nuovo Domani Sud, Seconda edizione, 2014 - Pagg. 40, s. i. p.. Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è stato per anni docente nei vari licei della Città di Reggio Calabria. Sin da giovanissimo ha operato nel mondo della politica, da quella universitaria alla realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itinerario: da consigliere comunale nella sua Città ed in altri centri della provincia (Locri) a consigliere provinciale, da consigliere regionale a deputato. Come parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato temi di diverso genere ed in particolare si è occupato, con grande impegno, di scuola, cultura e di Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottosegretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale della Destra calabrese, ed anche Segretario per la Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Presidente dell’Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e la Lucania, è componente la Direzione nazionale del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attualmente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”. Autore di numerose pubblicazioni di storia, pedagogia, saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto riconoscimenti di valore scientifico come il “Premio Calabria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Caterina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio letterario “Nazzareno” (Roma) 1983 per l’ opera “I Guerrieri di Riace” (Ed. Magalini) ed il Premio “Vanvitelli” per la saggistica storica (1995) per il volume “Reggio Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto” (2004). Altri suoi lavori: “Cultura senza egemonia (Per un umanesimo umano)” (1997), Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004), “Tra gli scogli dell’Io” (2004), “<Neutralismo> cattolico e socialista di fronte all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale” (2007), “Riflessioni politico-morali e attualità dei valori cristiani” (2008) “Piccolo Taccuino di Viaggio” (2009). ** ALDO CERVO - Pasquinate al peperoncino Disegno di copertina, a colori, di Raffaele Silvestri - Edizioni EVA, 2014 - Pagg. 48, € 8,00. Aldo CERVO è nato nel 1944 a Caiazzo (Caserta), dove vive. Ha pubblicato più di una quindicina di libri, prevalentemente di narrativa e di critica letteraria.

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Alcuni titoli: “Ipotesi narrative” (racconti), “Nient’ altro che la verità” (racconti), “L’autunno di Montalba” (romanzo), “Le testimonianze di Amerigo Iannacone”, “Cronica delle cose occorrenti in Caiatia ne’ suoi anni ‘70”, “Gli aneddoti del vescovo” (racconti), “Carichi pendenti” (racconti), “Giovanni Papini nel ‘900 letterario italiano”, “La Cinciallegra” (romanzo), “Frequentazioni letterarie”, “Le radici della memoria”, “Profilo di un irregolare”, “Caiatini contemporanei”, “Antonia Izzi Rufo tra soggettivismo lirico e neorealismo” (2014). ** GIAN PIERO STEFANONI - Da questo mare - In copertina, a colori, fotografia di Gabriella Maleti; Postfazione di Franca Alaimo - Edizioni Gazebo Libri, 2014 - Pagg. 94, s. i. p.. Gian Piero STEFANONI è nato a Roma nel 1967. Laureato in Lettere moderne, ha pubblicato nel 1999 la raccolta “In suo corpo vivo”, vincendo, nello stesso anno, il Premio internazionale Thionville (Francia) e, nel 2011, per l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del Comune di Spoleto. Nel 2008 ha pubblicato “Geografia del mattino e altre poesie”, cui son seguiti “Roma delle distanze” (2011), “La stortura della ragione” (2011), “Quaderno di Grecia” (2011). Del 2013 è il poemetto “Da questo mare”. Incluso in volumi antologici, suoi testi sono apparsi su periodici specializzati e tradotti e pubblicati in Argentina, Malta e Spagna. Già collaboratore di “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada”, nonché redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè” e della rivista teatrale “Tempi moderni”, dal 2013 è recensore di poesia per LaRecherche.it. Tra i riconoscimenti ama ricordare i premi “Via di Ripetta” e “Dario Bellezza”, entrambi nel 1997 per l’inedito. ** LORIS MARIA MARCHETTI - Il laccio, il nodo, lo strale - Poesie; in copertina, a colori, acquerello dalla serie “Well together” (1996) di Mirjam Bijvank - Edizioni Achille e La Tartaruga, 2012 Pagg. 56, € 8,00. Lori Maria MARCHETTI, torinese di residenza e di studi, dal 1976 ha pubblicato numerose opere poetiche, volumi di racconti e di elzeviri, saggi su argomenti letterari e musicali per lo più otto-novecenteschi (e con particolare riguardo alle relazioni degli scrittori con la musica), ricevendo importanti riconoscimenti (tra cui il Premio “Bergamo - Cenacolo Orobico” per la poesia, 1981, e il Premio “Goffredo Parise” per la narrativa, 2008). Attivo nel giornalismo culturale e nell’ editoria fin dagli anni dell’Università, dal 1989 dirige la collana di letteratura “La linea d’ombra” per le Edizioni dell’Orso di Alessandria e dal 2007 è condirettore degli Annali del Centro di Studi e Ricerche “Mario Pannunzio” di Torino.


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** PANTALEO MASTRODONATO - La force du divin dans le monde - Symposiacus, 2014 - Pagg. 80, s. i. p.. Pantaleo MASTRODONATO ha studiato in molte città italiane ed estere. Compiuti i suoi studi in Linguistica e Filosofia classica presso l’ Università di Montpellier, ha in atto dei lavori di studi e ricerche presso la stessa. La sua insaziabile sete di verità e di giustizia lo condusse nel 1972 ad una profonda crisi religiosa, propugnando da allora in poi i valori di un cristianesimo genuino scaturito da un sistematico approfondimento biblico per una imparziale valutazione dell’epoca presente. Dirige la rivista “Il Symposiacus”. Tra gli ultimi suoi lavori ricordiamo “Leucotea (Mimologia)” (2014) e “Enciclopedia Palatina” (antologia, 2014). ** PANTALEO MASTRODONATO - Nimrod Dramma - Symposiacus, 2014 - Pagg. 112, s. i. p.

TRA LE RIVISTE KAMEN’ - Rivista di poesia filosofia diretta da Amedeo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26845 Codogno (LO). Riceviamo il n. 46, gennaio 2015. * MAIL ART SERVICE - dr. Andrea Bonanno via Friuli 10 - 33077 Sacile, PN - Riceviamo il n. 87 (settembre 2014). * NUOVO DOMANI SUD - periodico di informazione politica e culturale, diretto da Fortunato Aloi - via S. Caterina 62 - 89121 Reggio Calabria. Riceviamo il n. 6 (novembre-dicembre 2014). * FIORISCE UN CENACOLO - forse il più vecchio mensile oggi esistente, fondato da Carmine Manzi nel 1940, diretto da Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (SA). Riceviamo il numero con la nuova veste tipografica, ma non ci sembra sia indicata alcuna data, nel quale rileviamo, tra le altre, le firme dei nostri amici e collaboratori Orazio Tanelli e Leonardo Selvaggi. * L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili, dr. responsabile Marcello Falletti di Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (FI). Riceviamo il n. 198-199-200 (luglio/settembre 2014), che si apre con l’omaggio a “Tre donne: un solo desiderio, obbedire servendo Dio!”: Juliette (Giulia) Colbert de Maulévrier, Teresa Verzeri, Maria Domenica Brun. Nella

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rubrica “Apophoreta”, Marcello Falletti di Villafalletto si occupa di ben sei pubblicazioni: 5 libri e una rivista, con linguaggio chiaro ed esame approfondito. * IL SAGGIO - mensile di cultura diretto da Geremia Paraggio, editoriale Giuseppe Barra - via don Paolo Vocca 13 - 84025 Eboli (SA). Riceviamo il n. 224 del novembre 2014, con l’allegato Il Saggio libri, poesia, arte n. 107/224. A pag. 29, la Redazione intervista l’amico Lucio Zaniboni. * ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - rivista della Venilia Editrice, fondata da Giacomo Luzzagni, diretta da Stefano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - Casella Postale 15C - 35031 Abano Terme (PD). Riceviamo il n. 116 (4° Trimestre 2014), al solito straordinario per contenuto e veste tipografica. Tra le tante firme, tutte di rilievo, segnaliamo i nostri amici e collaboratori Rossano Onano, Laura Pierdicchi, Elio Andriuoli, Luigi De Rosa, Liliana Porro Andriuoli, Maria Luisa Daniele Toffanin, Rosa Elisa Giangoia, eccetera.

L’ITALIA DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice Undicesima puntata* Tutti componenti di quel lievito che fermenta da sempre la Nazione, che, se, a volte, pure inconsapevole, l’ebola nutre di consorterie, metastasi in perenne evoluzione. 37 arresti solo a Roma appena l’altro giorno e più di 100, inoltre, gli indagati, che nel mondo ci bollano di scorno, legati da una solida catena al boss nero il guercio Carminati, a Salvatore Buzzi gran cassiere, tra affidamenti e bandi pilotati, a Ernesto Diotallevi, tra droghe, riciclaggi e cose varie che rendon sempre viva la cancrena. C’è tutto dentro e dentro ci son tutti,


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compresa la sporcizia, che ben s’attaglia a questi esseri immondi con macchine di lusso, ville e piscine e grossi conti in banca, e l’animo stracolmo d’immondizia. Entro il sociale e nelle istituzioni regna sovrana immensa Ipocrisia. Si grida fuori i negri e i baraccati; non più sul nostro suolo i clandestini; si buttino nel mare i rifugiati! Ma sia color che invocano accoglienza e chi li vuole morti poi mescolan farina con il loglio, spalancano all’estremo le ganasce per mangiare e per bere a più non posso, gonfiandosi ogni giorno il portafoglio. Nessuno che controlli veramente. Si spendono milioni in Antimafia, si pagan le prebende anche alla Bindi e poi ciascuno dorme e, nel mortorio totale, avanzano le consorterie, palmo a palmo invadendo il territorio, mettendo a libro paga manager, poliziotti ed impiegati, politici e banchieri, ecologisti, chi specula con i gatti e con i cani e qualche volta pure magistrati. Poi, per rendere torbide le acque, sì che la gente non si raccapezzi, le coloran di crema puzzolente: “Son nere! No, son rosse!” Ognuno accusa l’altro e se ne frega di metterci riparo; invadono ogni sera i talk show solo per depistare appartenendo tutti alla congrega. La guerriglia civile non si placa nel cuore del PD; un’assemblea infuocata: “Dicci se andare vuoi subito al voto urla a Renzi Fasssina; non scaricarci addosso i tuoi disastri, non farci notte e giorno la manfrina. Non stiamo in Parlamento per gufare, né per mettere a lustro la latrina, mentre che l’Europa gira a vuoto”. Ma Silmàtteo non molla

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e getta sopra il fuoco la benzina: “In vero, strana è la democrazia che propugnate! Piegarmi a ciò che vuol la minoranza! S’è discusso per anni e s’è votato, perciò di libertà c’è in abbondanza. Siete degli sfascisti screanzati. In mano non avrete più il partito perché ritorni ad essere sfasciato. Non si affossa un Governo che sostieni, o Stefano Fassina, facendo il gioco dell’opposizione; sei tu che fai la solita manfrina. Non si gioca in Parlamento agli Indiani coi segnali di fumo, tra cena e pranzo e pure a colazione, ma per cambiar l’Italia e al mondo far sentire il suo profumo. Civati ghigna e pensa alla scissione? Sul fiume sosta Massimo D’Alema che passi tra le acque il mio cadavere e Bersani neppure si presenta dicendo di soffrire il mal di schiena? S’è ubriacato forse di polenta?” Schermaglie di bottega e l’asta dell’Italia segna zero: zero flessibilità, zero miglioramento della vita, zero occupazione, zero crescita, zero su zero l’industria tradita; langue pure l’EXPO ed ogni innovazione è ormai fallita; l’emigrazione preme alle frontiere. Solo la corruzione è in gran vantaggio e delle strida ormai non se ne cale. Comuni dissennati e disastrati; province mai abolite; regioni, ministeri, enti amorali, son tarli velenosi e una gruviera è divenuto tutto lo Stivale. Domenico Defelice (11 - continua) * Breve Riassunto delle precedenti Puntate - Una notte d’estate, Berlusca erutta, attraverso un suo attributo, per una condanna definitiva. In Germania, Angela Merkel è in sofferenza per una perdurante stitichezza (in senso economico e specialmente nei nostri confron-


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ti). Silmàtteo Renzusconi promette, tra l’altro, di combattere contro l’ austerità dell’ Europa a direzione teutonica. L’Italia è nel caos. Anche per una partita di calcio si arriva alle pistolettate. Esplode il caso dell’ExPo milanese. Il Parlamento, a dispetto della crisi, spende denari pubblici in corsi per parrucchieri messa in piega al servizio di deputatesse e senatrici. Le riforme sono una farsa, le leggi non hanno valore e, nelle processioni, Madonna e Santi si ... inchinano davanti alle case dei mafiosi. Il Mediterraneo è sempre più una tomba di immigrati. Le Camere fanno finta di fare sacrifici: disdicono l’affitto di tre palazzi, ma, in compenso, i parlamentari pretendono... l’ indennità d’ufficio! La gente continua a perdere fiducia nella politica. I talk show sono in calo di ascolti, il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, prova invidia per chi si droga. Unico faro è Papa Francesco, che ha fatto mettere in galera pure un porporato accusato di pedofilia. L’Europa, che ci bacchetta, spreca denaro peggio di noi. Intanto si è aperto il toto Presidente della Repubblica, giacché Napolitano ha quasi annunciato le dimissioni.

LETTERA AL DIRETTORE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice) Carissimo, chiedo indulgenza e venia a te ed a tutti i lettori, telematici e non, di Pomezia Notizie per il risultato sfocato della foto apparsa in copertina lo scorso mese di Dicembre 2014: scattata con il cellulare, ritrae il prof. Aron Shai, Rettore dell'Università di Tel Aviv al fianco della prof. Tiziana Lippiello, direttrice del Dipartimento di Studi di Cina e del Nord Africa all'Università Ca' Foscari di Venezia. Il loro sorriso è carico di serena e franca Amicizia ed un raggio azzurro arriva alla bocca di Tiziana, senza che vi sia alcuna macchia nel cellulare. Purtroppo, prima di arrivare a te, i passaggi sono stati tre a tutto detrimento della

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qualità. In questi casi va colto nel suo insieme il tuo impegno a dare piena evidenza all'intervista, la mia determinazione a proseguire sulla strada dell'investigazione seria e severa intorno ai temi di etica politica nazionali ed internazionali che ci riguardano tutti così da vicino, il profondo e chiaro punto di vista dello storico Aron Shai, che ha analizzato senza mezze misure l'attuale situazione storica. Tu spieghi con precisione ciò che si realizza quando le relazioni tra soggetti che svolgono ruoli e funzioni apicali si guastano. Mi scrivi: “... Il vero coraggio è ribellarsi, contro gli strozzini, contro le tante mafie in guanti, cravatta e colletto bianco e contro lo Stato, perché l'Italia è uno dei paesi più corrotti del mondo. Ma la corruzione vuole che siano almeno due i soggetti: i corrotti e i corruttori. Se mancasse uno di essi, respireremmo meglio, credimi. Allora, il vero coraggio è dire no a ogni forma di disonestà, compresa quella delle tasse esagerate che strozzano ogni iniziativa, non quello di togliersi la vita. Non è che quando qualcuno, perché vessato, decide di andarsene all'altro mondo, gli strozzini, i mafiosi, lo Stato parassita e disonesto cessano di esistere!...”. Parole vere, parole sacre e sante, perché tu hai capito la santità della vita e la sacralità delle azioni tutte volte a preservarla: Papa Francesco, che vuole vivere fuori dal Vaticano, quando è andato a Campobasso e ha visto povertà e disoccupazione tra la popolazione, ha detto che non c'è dignità per il lavoratore nel tornare a casa senza avere di che sfamare la propria famiglia. Questo è un Papa che viene da oltre Oceano, là dove la povertà è tanta e nei suoi occhi tutto è rimasto intatto, perfettamente presente, a far da pietra di paragone con quanto ora, qui, in questa parte del mondo i suoi occhi vedono. Allora vuole che si realizzi, anche attraverso il suo impegno, la rivoluzione del cuore e della mente, fatta ad occhi aperti, intrisa ed intersecata a gesti non nobili perché calati dall'alto di quelle mani che dentro hanno il molto, ma resi nobili perché permettono di riconoscere nell'altro e nella sua sofferenza quella umanità alla quale tu stesso appartieni e che ti fa


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degno di rispetto. Se nel cuore e nella fede dei Musulmani c'è l'obbligo di agire per chi non ha mezzi, delegando lo Stato a pensare a loro attraverso la tassazione equa sui propri averi, nel cuore e nella fede dei Cristiani c'è l' invito alla 'pietas', alla dolce presa in carico morale, nelle azioni, e spirituale, negli intendimenti, di coloro che soffrono la povertà, la malattia, la sopraffazione. È un invito, non un obbligo, è un imperativo categorico alla Kant, non un dovere assoluto di fronte a tutti gli altri ed allo Stato che li rappresenta. Sulla questione del 'perdono' abbiamo dialogato io e Virgilio, mio fratello, per ore e ore e ore al bar della Dorina a Caldogno, nella Piazza proprio sotto il Campanile, noi due, puntualissimi alla tedesca via: chi concede il perdono lo mette in atto dall'alto di una giusta ed integerrima posizione, quella della perfezione e della incorruttibilità, doti queste che sappiamo bene essere caratteristiche di Dio stesso. Poi arriva Gesù e cambia tutte le carte in tavola: ti fa diventare, se lo vuoi, Suo fratello e Suo amico, mette la tua vita nella carne e nel corpo che sono Lui stesso. Chi lo incontra veramente, non può più tornare indietro e fare a meno di Lui; chi lo incontra veramente è come se vivesse dentro di un doppio che rappresenta la sostanza della vera Umanità; chi si prende addosso la luce della Sua Resurrezione sa e dimostra con i gesti che questa luce passa attraverso il buio della condanna, della passione nelle carni del corpo, della morte. Sabato mattina, 13 Dicembre 2014, nella Sala della Villa 'Elena da Persico' ad Affi, in provincia di Verona, nell'incontro a scadenza mensile che è come una lezione battesimale, il monaco don Franco Mosconi ha sottolineato che il momento della sua vocazione è stato un gesto che ha colto il suo cammino con Dio all'ingrosso, ma ora Dio stesso si vuole far cogliere, differentemente, nei gesti e nelle parole, al dettaglio. Ci ha fatto capire che Gesù vuole entrare nella Storia attraverso i nostri gesti, quelli che vanno a distribuire, qui ed ora, gli 'avanzi', le tante ceste di pani e pesci che sono rimaste dopo che ognuno dei presenti ne aveva avuto al bisogno, secondo le

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sue necessità. Il mio Amico ha deciso di portarmi con lui ed era seduto vicino a me, pensoso. Gesù è il nostro vero problema, è un interrogativo che non si risolve mai se non te ne appropri 'storicamente', nel tempo che ti è dato da vivere. Quando al capezzale di Virgilio, in ospedale, la signorina gli ha chiesto -stava compilando un questionario interno- di che religione è, lui ha risposto 'Sono cristiano cattolico', allora ho riflettuto e mi sono detta che il Battesimo in lui ha dato buoni frutti, nella lucidità e nella capacità critica consapevoli della forza e della piena rivoluzione che questa scelta, ribadita al confine ultimo della vita con la morte, comporta se portata avanti coerentemente. Lui l'ha fatto. E nel ricordare, con tutta la commozione che mi è possibile, il tuo lavoro, ancora inedito, il tuo canto di cuore bambino innalzato per i bambini, ti riporto una sua filastrocchetta in versi della raccolta 'Per i più piccini', ancora inedita: GIULIA L'ETERNA INDAFFARATA “Come un morbido pulcino che ha il velluto sul capino, non appena vien destata Giulia è bell'e pettinata: basta qualche carezzina, sulla gaia testolina. Un po' d'acqua sugli occhioni per salvar le tradizioni e comincia la giornata che s'annuncia indaffarata. Trasbordar dalla credenza tanti oggetti, con pazienza, fare quindi l'inventario a favor del proprietario trattenendo qualcosina per la nuova mansardina nata nello scatolone che dà gran soddisfazione. Se si rompe qualche oggetto non si tien la colpa in petto ma s'accusa la vicina o l'ignara sua bambina: tutti; pur di seguitare a spostare, trafficare. Tutto questo movimento brucia tosto il nutrimento:


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e la mamma ad implorare, tagliuzzare, cucinare! La compensa l'allegria e la grande maestria con cui lascia lì il boccone per provar la sensazione che nel circo ha il trapezista od almen l'equilibrista. “Non pensate ai miei capelli cresceranno lunghi e belli come questi miei dentini quasi troppi, per due annini: per adesso ogni energia è votata all'allegria! Vi ha convinto il mio sermone? Ecco allora un sorrisone!”.” Virgilio Pedrina, Torreselle, (2003) La gioiosità di questo semplice canto in danza, a passettini, mi richiama senza sforzo IL TUO RUOLO NEL TEATRO DEL MONDO a Valerio Defelice “Sei atteso a primavera, nel sorriso di aprile. Quale sarà il tuo ruolo nel teatro del mondo non è dato sapere; esso, però, sta scritto già dal Fiat nei disegni divini. Sono tanti i santi col tuo nome sparsi nel calendario; ma ricordo pure un Valerio partigiano, assai discusso, che la vita spense a Mussolini! Privilegia, ti prego, Amore e Libertà sopra ogni cosa il rispetto dell'altro, del forte la clemenza; sprezza la servitù delle passioni. Ricorda che il Poeta ci ammonisce: 'Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza'” Domenico Defelice, 6 novembre 2014 Tu stai in attesa della sua alba, perché il suo

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giorno continui assai a lungo, perché il tramonto si presenti lontano, perché le prove della vita gli tengano celata ogni notte, ogni vigilia dell'anima; lui, Virgilio, sapeva immergersi nella gioia piena della vita dei bambini e tutti lo accolgono, ancora adesso nella memoria se non più nella concreta realtà, come l'ospite più caro con il quale condividere al desco famigliare le gioie della vita e della terra. E tra loro c'è anche tutta la famiglia dei Chiumento e dei Fortuna e del prete don Amodio, che nel Cimitero di Torreselle ha già pronta la sua lapide, manca solo l'ultima data. Si, Torreselle di Isola Vicentina, le sue famiglie tutte, la sua terra. Con te, per i bambini, per quel Bambino che la tradizione ci invita a tenere sempre dentro di noi come appena nato, per tutti quei bambini ai quali è stata soffocata la gioia: per tutti coloro che hanno violato i bambini in ogni tempo quel Bambino diventato Gesù non trova parole di perdono. Abbraccio in te il tuo Amore per i bambini. Ilia Carissima Ilia, non tutti possiamo far tutto. Le foto, un’altra volta, fattele fare da altri, giacché, finora, mi hai inviato solo foto scadenti - non dal punto di vista dei soggetti, s’intende! -, poco adatte alla stampa. Gli affetti sono come la fede. Sono la stessa cosa. Sono, come noi li viviamo, differenti e profondi secondo come ci stanno radicati dentro, secondo la nostra cultura ed il fermento che provoca al loro contatto. Giacché è la cultura il lievito del nostro manifestarci, dei nostri comportamenti; tutte le nostre azioni si sviluppano e si concretizzano solo in rapporto ad essa. Bella la filastrocca di Virgilio. L’augurio è che la sua raccolta “Per i più piccini” trovi al più presto un editore. Anche se cerco di nasconderlo, sono intimamente inquieto, vivo con ansia l’attesa di Valerio. Ho sempre amato la famiglia e soprattutto i bambini. Sono convinto che sono loro il nostro vero futuro, perché sarà solo per loro tramite che non moriremo del tutto:


POMEZIA-NOTIZIE

Gennaio 2015

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SARETE IL MIO FUTURO Non morirò del tutto. Vedrò la luce con i vostri occhi, i colori, le forme, le tante meraviglie strepitose; suoni ascolterò, rumori ed armonie col vostro udito; organi sparsi sulla vostra pelle lo stato mi daranno delle cose, le qualità esteriori, i polpastrelli delle vostre dita per me il pentagramma suoneranno di quel che vi titilla e brama e cuore; sarà la vostra lingua le sensazioni a darmi ed i sapori. Sarete il mio futuro. Alberi voi sarete a porgere frescura alle mie ossa, a coprirmi di odori. I tanti drammi di bambini sono stati sempre per me lacerazioni intime, incancellabili; ferite che giammai rimargineranno, da Alfredino Rampi - per non andare troppo lontano - al più recente Lorys, all’ecatombe in una scuola del Pakistan ad opera di fanatici. Uno strazio continuo e infinito, un dolore così tagliente da farmi rasentare la pazzia. Può darsi che anche in passato di drammi del genere ce ne fossero a iosa, ma per i mezzi di comunicazione di allora, hanno avuto, di certo, meno risonanza pubblica; adesso ci cadono addosso ad ogni ora del giorno e della notte e ci schiacciano come montagne. Non riesco a capacitarmi come una madre, un padre, possano uccidere figli piccoli, come possano sentire la necessità di sfogare su di loro le loro tante crisi, le loro debolezze, le tare, le incapacità di vivere e reagire alle tante traversie della vita; come si possa uccidere una creatura in nome dell’ “amore”; come combattenti, ribelli, delinquenti privati e di Stato possano rivolgere le armi contro queste creature indifese. L’uomo è stato, è e sarà sempre sulla terra la belva peggiore. Domenico

AI COLLABORATORI Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione), composti con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio, attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (con copia cartacea) Annuo... € 50.00 Sostenitore....€ 80.00 Benemerito....€ 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia....€ 5,00 ABBONAMENTO solo on line: http://issuu.com/domenicoww/docs/) Annuo... € 35 Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 NO76 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio


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