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LEOPARDI, MACHIAVELLI E IL TERREMOTO DI AMATRICE di Giuseppe Leone
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O messo una accanto all'altra le immagini di alcuni paesi italiani dopo un terremoto: dal sisma di Reggio e Messina del 1908 a quello della Marsica del '15, del Belice del '68, del Friuli del '76, dell'Irpinia dell' '80, dell'Aquila del 2009, dell'Emilia del 2012, fino a quest'ultimo di Amatrice del 2016, e con mia grande sorpresa ho potuto notare che queste foto si somigliano a tal punto che una qualunque di esse potrebbe riassumerle tutte. In tutte, la stessa tipologia di macerie, lo stesso panorama di rovine. Evidente che dal terremoto di Reggio e Messina a oggi (son passati più di cento anni), non sono stati mai usati sistemi antisismici nelle zone ritenute a rischio, o, se sono stati usati, non nel modo dovuto. Eppure Reggio e Messina sono state ricostruite con sistemi antisismici, tanto che i giapponesi vennero in queste città per studiare il modo come ricostruire nel loro stato dopo un terremoto. Il risultato è che oggi, anche dopo scosse del massimo grado della Scala Richter,
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All’interno: La morte non va banalizzata, di Domenico Defelice, pag. 3 Dal buon selvaggio all’ambiguo Dott. Jekill, di Rossano Onano, pag. 6 Bruno Rombi e L’acquiescenza del padre, di Luigi De Rosa, pag. 9 Francesco Pedrina scrive a Giuseppe Gerini, di Ilia Pedrina, pag. 11 Colloquio con il mare e con la vita, di Franco Campegiani, pag. 14 Intorno alla seduzione come aspettativa di vita, di Ilia Pedrina, pag. 16 Poesia etico-sociale in Pasquale Martiniello, di Leonardo Selvaggi, pag. 22 Immortalità: viaggio nell’assurdità, di Aida Isotta Pedrina, pag. 28 La notte delle erinni, di Filomena Iovinella, pag. 31 Il trapianto, di Antonio Visconte, pag. 32 Oltre l’esistenziale il culturale, di Susanna Pelizza, pag. 33 I Poeti e la Natura (Ines Betta Montanelli), di Luigi De Rosa, pag. 34 Notizie, pag. 44 Libri ricevuti, pag. 46 Tra le riviste, pag. 47
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Un ventennio per una catarsi 1925... 1945, di Ezio Starnini, pag. 36); Tito Cauchi (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 37); Antonio Crecchia (Carmine Manzi una vita per la cultura, di Tito Cauchi, pag. 38); Aurora De Luca (La funzione catartica e rigeneratrice della poesia in Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 39); Aurora De Luca (Dieci x dieci Sillabe incise a fuoco sulla pietra, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 39); Antonia Izzi Rufo (Aspra terra e creazione fertile nell’opera di Domenico Defelice, di Aurora De Luca, pag. 40); Laura Pierdicchi (La funzione catartica e rigeneratrice della poesia in Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 41); Liliana Porro Andriuoli (Madre terra, di Monia Gaita, pag. 41).
Inoltre, poesie di: Elio Andriuoli, Daniele Boganini, Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Domenico Defelice, Luigi De Rosa, Michele Di Candia, Béatrice Gaudy, Filomena Iovinella, Antonia Izzi Rufo, Adriana Mondo, Susanna Pelizza, Teresinka Pereira, Leonardo Selvaggi
le loro costruzioni restano ancora in piedi. Un secolo è passato inutilmente, invece, per il nostro paese, dove si registra la totale immobilità di una storia che non vuole cambiare la sua narrazione e di una mentalità che non intende allargare le sue vedute. I sistemi antisismici, ideati da noi, funzionano altrove con risultati eccellenti. Non da noi, però, dove il terremoto è ancora un agente di distruzione e di morte. Perché? Perché... ndringhete ndrá, recitava una vecchia canzone napoletana; perché da noi nulla è serio, ammoniva Flaiano; e perché gli
italiani hanno piuttosto usanze e abitudini che costumi, asseriva Leopardi nel lontano 1824. Tra cui l'abitudine di ridere di tutto... della vita, (gli italiani) ne ridono assai più, e con più verità e persuasione intima di disprezzo e freddezza che non fa niun'altra nazione... Per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli altrettanto e più filosofi di noi, ma con più vita, e d'altronde con più società, ridono piuttosto delle cose che degli uomini... Ma che c'entra il fatto che gli italiani ridono di tutto con la questione della ricostruzio-
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ne dopo i terremoti? C'entra perché una società stretta (le elites che governano uno stato) – scrive ancora Leopardi - non può durare tra uomini continuamente occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere rispettati e risparmiati essi stessi. Ora, da noi, si ride anche durante un terremoto e, con cinismo, persino dopo la ricostruzione, soprattutto dopo che i controlli hanno attestato che tutto è avvenuto nel pieno rispetto delle regole, in modo particolare riguardo agli edifici pubblici. Ma al primo terremoto (che poi è il primo controllo onesto e veramente serio), tutto crolla. E crollano, per primi, il municipio e l'ospedale, le uniche due costruzioni che non dovrebbero per nessuna ragione cedere, perché essi sono i luoghi della memoria storica e della scienza medica di un paese, atti a testimoniare che lì la vita c'era anche prima e continuerà ad esserci anche dopo il terremoto. Che non sia la Natura la causa di tutto ciò, ci illumina a chiare lettere ancora Giacomo Leopardi, sostenendo che essa non provoca i terremoti per danneggiare gli uomini, ma che sono gli uomini, per loro insipienza, a farsi male da soli, soprattutto quando governano le cose del mondo con la fortuna e non con la virtù, come nell'Italia primottocentesca, dove non si è ancora formata una società stretta, un'elite... capace di creare un teatro nazionale, un pubblico italiano, una letteratura nazionale, la quale è un grandissimo mezzo e fonte di conformità di opinioni gusti costumi maniere, quali il bon ton, l'onore, la stima. E oggi, nell'Italia unitaria, si è formata questa elite, questa classe sociale esemplare, autorevole? È imbarazzante rispondere di no nel paese di Leopardi e Machiavelli che, con infinita chiarezza, ci hanno detto come fare contro terremoti e inondazioni, con quanto segue circa le virtù per prevenirli. Ce l'hanno detto - eccome! - che una buona e sana politica potrebbe mettere l'umanità
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al riparo dai mali altrui e propri. Ma l'Italia è un paese dove si legge poco e male e perciò non sono stati ascoltati. Continueremo a non ascoltarli ancora? A noi la scelta, questa volta, però, coscienti che «dobbiamo un gallo ad Asclepio. Si paghi questo debito e non dimentichiamolo». Chissà che, leggendoli, non colmeremo il divario che ci separa dalle nazioni cosiddette civili. Forse saremo al loro livello quando un terremoto, come questo da poco verificatosi, sarà materia soltanto per i sismologi. Solo allora, si potrà dire che le cose sono cambiate, perché non tutti ancora sanno che i terremoti non uccidono e che sono le case e le opere costruite dall'uomo le trappole da cui bisogna proteggersi. Eppure vogliamo continuare a credere che contro la natura non si può fare nulla. Si può, invece, fare e tanto, sempre che l'uomo abbia la volontà di perseguire il bene. Giuseppe Leone
LA MORTE NON VA BANALIZZATA Anche Pomezia ha pagato il suo tributo di morti al terremoto del 24 agosto: almeno 12 vittime tra coloro che, quella tragica notte, si trovavano nelle località di Pescara del Tronto e Amatrice. Si tratta di Gabriele Pratesi, appena 9 anni, che frequentava pure gli scout; di Elisa Cafini, 14 anni, cugina di Gabriele, la quale, all’apertura dell’anno scolastico, avrebbe iniziato a frequentare il nostro Liceo Artistico “Pablo Picasso”; di Irma Rendina e Rita Colaceci (69 anni), nonne del piccolo Gabriele: tutti e quattro sono periti nel crollo della casa di Pescara del Tronto, dove stavano in vacanza. Sempre a Pescara del Tronto sono morti: Arianna Masciarelli (15 anni, figlia unica), che frequentava il Liceo Artistico; Egidio Valentini (85 anni) e Pasqua Gianni (anni 82) che risiedevano nella nostra frazione di Torvajanica; Andrea Cossu (48 anni da compiere il 3 di settembre), imprenditore del legno nella nostra città, Wilma Piciacchia (49 anni), Paolo Dell’
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Otto (50 anni), Federico Ascani (60 anni), Giuliana Cellini (64 anni) e altri ancora. I funerali di Gabriele Pratesi, Elisa Cafini, Irma Rendina, Rita Colaceci, Adriana Masciarelli e Andrea Cossu sono stati celebrati dal vescovo di Albano Marcello Semeraro, coadiuvato dai sacerdoti delle parrocchie, alle ore 17 del 26 agosto, all’aperto, in piazza Indipendenza, sotto un sole implacabile. Una folla immensa si accalcava anche nelle strade limitrofe. I negozi avevano le saracinesche abbassate ed erano presenti diverse associazioni con relativi stendardi, i Vigili urbani con numerosi mezzi, le ambulanze, i Carabinieri, Polizia di Stato, la Guardia di Finanza, gli Scout, il Sindaco di Ardea Luca Di Fiori, tanti Consiglieri, il Sindaco di Pomezia Fabio Fucci che ha decretato il lutto cittadino, i Vigili del Fuoco, fotografi, la RAI e altre televisioni private. Le bare erano allineate intorno al sagrato della Chiesa di San Benedetto sul quale si è celebrava la funzione, aperta dalla tromba che scandiva le note del Silenzio. Nella nostra vita, dovremmo tenere costantemente conto dell’imprevisto - ha detto Semeraro -. Questa dolorosa vicenda dovrebbe scaturire in noi un tesoro di sentimenti, affinché lo scoraggiamento non abbia il sopravvento e ci spinga sempre più alla solidarietà reciproca, verso tutti, senza eccezione alcuna. C’è stato pure l’intervento del Sindaco. La cerimonia è stata ripetutamente intercalata da scrosci di applausi. Giudicateci come volete, dite di noi quel che vi pare, ma siamo assolutamente contrari a tali esibizioni da stadio durante la celebrazione di un funerale, qualunque siano le motivazioni che spingono a un tale comportamento. Le esequie dovrebbero tornare ad essere momento di raccoglimento e di preghiera, non sagra di paese, con giovani sorridenti a cazzeggiare, gente a chiacchierare; abbiamo visto pure qualcuno sorbirsi il gelato, trangugiare bibite fresche, cani ad abbaiare e a correre tra la folla. Un vero sconcio, per noi, che ci ha richiamato quello più grave, ammannitoci dalla TV nel giugno del 1981 a Vermicino, nei pressi di
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Roma, mentre Alfredino Rampi moriva nel pozzo. In quell’occasione, anche la presenza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini è stata, per lo meno, inopportuna. C’è molto da lavorare sull’educazione del nostro popolo e bisogna farlo in fretta e ad ogni livello, giacché questi comportamenti non sono indice di civiltà, ma di vuoto interiore, nichilismo, tentativo di nullificare qualunque tipo di sofferenza; il dolore non deve essere ad ogni costo esorcizzato; deve, invece, servire a farci riflettere sulla nostra pochezza (siamo polvere), sulle nostre tante fragilità, a interrogarci sulle nostre miserie e sulle nostre responsabilità, visto che tanti mali, anche quelli che si addossano alla Natura, spesso hanno origine dal nostro errato comportamento. “Il terremoto non uccide disse volutamente esagerando Monsignor Domenico Pompili, Vescovo di Rieti, il 30 agosto ad Amatrice celebrando il funerale di numerose vittime -, uccidono piuttosto le opere dell’uomo”. Occorre ridare ad ogni cosa, ad ogni avvenimento, ad ogni parola la loro verginità, togliere ad ogni cosa, ad ogni av-
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venimento, ad ogni parola il velo d’ipocrisia che li fascia ormai e li nasconde. Solo l’uomo schietto, onesto, sa dare a tutto il vero valore, non costruisce le case con lo sputo per la brama di riempirsi il portafoglio e, dopo i disastri inevitabili, sa correre in aiuto ai fratelli nella ricostruzione perché non rimangano sotto le tende o nelle baracche per decenni e per secoli; sì, anche per secoli: noi, infatti, abbiamo vissuto, finché siamo stati in Calabria, in una baracca di legno1 (costruita con criteri eccellenti, ben strutturata e ben verniciata da durare così a lungo, ma sempre baracca) risalente al terremoto di Messina del lontano 1908! Questa baracca è stata abitata fino a qualche anno fa e penso lo sia ancora. Forse al mondo non c’è altra Nazione peggiore della nostra in certi campi. Terremoti e alluvioni ci saranno sempre e perciò ci saranno sempre morti inaspettate. Ma la morte non va mai banalizzata essendo parte della vita; è la campanella che scandisce di essa i momenti più salienti, perciò deve farci prima ben vivere per farci, poi, anche ben morire. Domenico Defelice 1 - Maropati (RC),distante da Anoia qualche kilometro, ha avuto, di esse, un intero quartiere, che continua a chiamarsi Le baracche, titolo anche di un fortunato romanzo (1934) di Fortunato Seminara, scrittore di quella città. Immagini: Pag. 1 Macerie ad Amatrice; pag.4, Domenico Defelice nel 1969, seduto sulla soglia di una delle porte finestre della casa baracca di Anoia (RC), un vero e proprio cimelio del disastroso terremoto del 1908.
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desiderio di giungere a un traguardo che ognora fugge. Quando tu lo tocchi svanisce ogni visione dentro il cielo fondo degli occhi. S'apre lieve il volo delle tue braccia. Ascolti la parola che distrugge l'angoscia e che rischiara. Elio Andriuoli Napoli
NELLA TUA CAMERA Nella tua camera il profumo di rose si confonde con il profumo della mimosa fiorita nel giardino che vedo questa mattina dalla tua finestra aperta. Riposati con la testa appoggiata sul guanciale! No, non voglio svegliarti. Mi piacerebbe molto vedere i tuoi sogni, sogni di donna, accompagnati con la melodia del nostro amore Daniele Boganini Prato
AVVENTURA
ALA DORATA
Una traccia nell'Essere, un barbaglio nella trama dei giorni: è questo il senso dell'avventura? Corrono stagioni, si consumano eventi. Ti trascina il loro moto; e sempre più discendi nel vortice che lega ogni tuo gesto, ogni tua attesa. - Trema nell'istante una strana speranza, un'ansia, un fuoco che ti rinnova. - E nulla ti conquista, nulla ti appaga se non quell'arcano
Di colori delirano alberi, grido d’amore è primavera. E bevo puro cielo, azzurri meridiani d’infanzia riscopro e te, fanciulla festiva, mia dorata ala di rondine. Rocco Cambareri Da Azzurro veliero, Ed. Grupo “Fuego”, Santiago del Cile, 1973.
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La natura umana è naturalmente buona o cattiva? DAL BUON SELVAGGIO ALL'AMBIGUO DOTTOR JEKILL Le bizzarre manovre della psicologia sperimentale di Rossano Onano
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L buon selvaggio e l'uomo lupo. Quale sia la sostanziale qualità della natura umana è questione tuttora controversa, attorno alla quale da secoli si sono arrovellati filosofi molto autorevoli. Senza citare, c'è stato chi ha pensato di coltivare il mito del buon selvaggio: l'uomo sarebbe originariamente buono e gentile, purtroppo rovinato in età adulta dalla cattiveria delle istituzioni. Sempre senza citare, altri hanno coltivato l'idea dell'homo homini lupus: l'essere umano è naturalmente feroce ed avverso ai propri simili, però fortunatamente ammansito da leggi funzionali ad una passabile convivenza. C'è poi chi ha pensato di togliersi d'impiccio in questo modo: la mente dell'uomo non sarebbe di per sé buona o cattiva, bensì una tabula rasa spalancata ed onnivora, pronta a ingurgitare quanto di buono o di cattivo le si conficchi dentro. I cucchiaini di Melbourne. Visto che sull'argomento i filosofi hanno idee tanto confuse, si sono messi all'opera gli psicologi sperimentali. La natura umana è naturalmente buona o cattiva?, è spontaneamente portata ad essere onesta e rispettosa del prossimo, oppure incline a comportamenti disonesti? Nel 2005, un team di ricercatori del Medical Research di Melbourne effettuò un esperimento, nell'intento di scoprire come mai i cucchiaini delle cucine collettive dell'istituto sparissero con stupefacente regolarità. I ricercatori del team erano forniti di un discreto senso dell'umorismo, e infatti corredarono l'inchiesta col titolo: “Dove sono finiti tutti quei maledetti cucchiaini?”. Il team contrassegnò di
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nascosto 70 esemplari, che collocò in una delle cucine collettive dell'istituto, seguendo così lo spostamento dei cucchiaini per un periodo di 5 mesi. Risultato: nei primi 81 giorni la metà delle posate si era dileguata; al termine dei 5 mesi, i cucchiaini scomparsi erano nella misura dell'80%. La ricerca era corredata da un questionario: all'interno del quale solo il 36% dei frequentatori confessò di aver trafugato almeno un cucchiaino nel corso della sua vita. Viene da pensare: che razza di gente lavora all'istituto di ricerca di Melbourne? A questo punto entrò in azione Richard Wiseman, il più bizzarro e geniale psicologo sperimentale, che si pose questa domanda: come si comporta la gente davanti a un Bancomat quando, al momento di inserire la tessera, dallo sportello spunta fuori una banconota da 10 sterline? Wiseman ottenne la collaborazione di una nota banca britannica, ove un ingegnere sostituì le normali apparecchiature con un dispositivo che erogava 10 sterline ogni volta che un cliente si posizionava davanti allo sportello. Il tutto sotto l'occhio vigile di telecamere segrete. Con grande sorpresa dello smaliziato Wiseman, la prima cliente in azione si dimostrò onestissima, perché consegnò la banconota al cassiere della banca, spiegandogli come qualmente ci fosse un bizzarro difetto nell'apparecchiatura. Stai a vedere che la gente ruba i cucchiaini, però di fronte a un Bancomat diventa onesta, si disse Wiseman. Ma la brava signora risultò essere un'eccezione. Più di due terzi degli individui si tennero la banconota; alcuni ritornarono più volte per sfruttare al massimo la fortunata opportunità; il più brillante in questo senso fu un signore che si ripresentò in 20 occasioni. Magari si tratta di persone che vogliono regolare i conti con la banca, istituto che notoriamente commette errori sempre a proprio vantaggio, disse fra sé il sospettoso Wiseman, che si propose di ripetere l'esperimento in altra maniera. Il ricercatore piazzò i propri collaboratori in una catena di edicole del Nord dell'Inghilterra, con questo preciso compito: chi avesse comperato giornali consegnando 5 sterline, avrebbe ricevuto il resto di 10; chi
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avesse consegnato 10 sterline, avrebbe ricevuto il resto di 20. Il risultato dell'esperimento fu inequivocabile: tutti, assolutamente tutti, intascarono il resto in eccesso ed uscirono dal negozio; alcuni, puntualizzarono i ricercatori, con un sorriso malignazzo stampato sulla faccia. Il risultato dell'indagine darebbe un'immagine piuttosto fosca circa la qualità della natura umana. Wiseman non si scoraggiò, e organizzò lo stesso esperimento utilizzando, in luogo delle filiali di una grande catena, i piccoli negozi di gestori privati, quelli che noi chiamiamo “il negozietto all'angolo”. Anche qui, chi pagava 5 sterline riceveva il resto di 10, chi pagava 10 riceveva il resto di 20. Sorprendentemente, la metà dei clienti rientrò nel negozietto per restituire il resto ricevuto in eccesso. Come dire: è lecito sottrarre denaro a una grande azienda, ma non a un negozietto di quartiere, dove il gestore è percepito come un onesto lavoratore che ci rassomiglia, insomma “uno di noi” (“teoria della somiglianza”). Il cerone di Kennedy. Siamo tolleranti e gentili verso chi ci rassomiglia, mentre diffidiamo verso chi non è simile a noi. Si tratta di
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una teoria facilmente comprensibile, che infatti piace parecchio. Qualcuno pensò di applicarla a ritroso, ritornando al primo dibattito televisivo della storia, nel 1960, per le elezioni presidenziali americane. In quell'occasione, Richard Nixon rifiutò di farsi truccare, la cosa gli appariva sconveniente, perché poco virile. J.F. Kennedy, al contrario, si fece imbellettare. Nella resa radiofonica, Nixon surclassò l'avversario. In televisione, le luci dello studio conferirono ombre piuttosto cupe al volto di Nixon, il cui indice di gradimento risultò inferiore a quello di Kennedy, il cui volto appariva luminoso e rassicurante. John è uno di noi, pensarono i telespettatori. Sarà, a me la spiegazione sembra tirata per i capelli. Forse è più giusto interpretare così: l'uomo è condiscendente non tanto verso chi è simile a lui, quanto verso l'uomo cui vorrebbe, anche fisicamente, rassomigliare. Il test del Maggiolino. Incomprensibilmente soddisfatti dei risultati ottenuti, gli psicologi sperimentali pensarono di allargare le ricerche ponendosi questa domanda: quali sono i popoli naturalmente tolleranti e gentili?, quali quelli al contrario intolleranti e scorbutici? Joseph Fargas dell'Università di Oxford progettò una ricerca molto semplice, i cui risultati furono pubblicati nel 1976. Un uomo e una donna ebbero il compito di viaggiare attraverso la Germania, la Francia, la Spagna e l'Italia a bordo di un Maggiolino Wolkswagen. Incomprensibile la ragione per cui l'uomo e la donna non dovessero scarrozzare anche attraverso l'Inghilterra. Consapevole di quanto le nazioni europee siano solite definirsi fra loro attraverso stereotipi, Fargas pretese che il Maggiolino fosse dotato di una targa neutra, australiana. I due collaboratori attraversarono diverse città di dimensioni più o meno equivalenti, facendo di tutto per mettersi in testa alle fila di automobili ferme al semaforo rosso. Quando scattava il verde, fingevano distrazione e mantenevano immobile il Maggiolino. Bisogna ammettere che un comportamento di questo tipo è appunto ido-
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neo a scatenare l'aggressività. Gli automobilisti tedeschi in coda al Maggiolino si mostrarono i più pazienti, strombazzando il clacson dopo 7 secondi e mezzo. I francesi impiegarono 7 secondi, gli spagnoli 6. Una particolare menzione toccò agli italiani, che strombazzarono il clacson dopo soli 5 secondi. Francamente, pensavo peggio.
(1886). Gli artisti arrivano sempre prima, rispetto agli psicologi sperimentali. Se è per questo, anche prima degli psicoanalisti Rossano Onano
Il buon samaritano. A questo punto gli sperimentatori si sono posti un'altra domanda: il comportamento dell'uomo è influenzato, soprattutto, dall'educazione ricevuta? La cultura occidentale, avendo alla radice la figura di Cristo morto in croce per amore dell'uomo, dovrebbe coltivare persone molto sensibili alla sofferenza altrui. Bene, verifichiamo, si sono detti John Darley e Daniel Batson , a Princeton nel 1973. I due psicologi invitarono i ministri tirocinanti di una istituzione cattolica ad un seminario, ciascuno con l'obbligo di preparare un sermone basato sulla parabola evangelica del buon samaritano. Secondo la quale un uomo è aggredito dai ladri, che lo picchiano lasciandolo malconcio per strada. Alcuni sacerdoti gli passano accanto, guardano e passano oltre. Soltanto un bravo samaritano, come dire un mezzo eretico, si ferma per fornire assistenza. I ministri tirocinanti compilarono i rispettivi sermoni, per essere poi avvertiti che avrebbero dovuto trasferirsi in un altro edificio, dove i sermoni sarebbero stati filmati. Fra un edificio e l'altro, i due ricercatori avevano piazzato telecamere nascoste (ormai, senza telecamere, non si fa psicologia), nonché un attore malconcio stramazzato al suolo che tossiva e gemeva per chiedere assistenza. Più della metà degli aspiranti buoni samaritani vide l'uomo e passò oltre, senza degnarlo di uno sguardo. Qualcuno, per non deviare di tragitto, arrivò a scavalcarlo. Vero è che quasi la metà dei tirocinanti ministri si fermò mostrando compassione. Insomma, la natura umana è capace di tutto. Ma questo si sapeva. Conviene consigliare agli scienziati del comportamento la lettura dell'istruttivo racconto di Robert Louis Srevenson: Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde
Oltre la linea d'orizzonte, dove l'acqua è più fonda e più vibra l'azzurro d'inusitate trasparenze, corro spesso col cuore. È là l'intatto regno dell'avventura; è là la patria e il tempo fermo degli anni giovani. Se ancora con la mente vi giungo, ardenti soli scorgo e felicità senza tumulti d'illimitati spazi ed una fuga infinita di giorni. Un lieve vento gonfia le vele. Sulla prora ride un candore di spume. Tra le spume il balzo inseguo dei delfini. È quella la meta che sognavo. Mi ha condotto la vita altrove, su sentieri tinti di greve loto. Mi deviò un miraggio avverso. Dissipai per esso il cielo e il cobalto del mare. Oggi mi punge acre il rimpianto di quei giorni e invano ne inseguo la dolcezza. Mi confondo nelle pieghe di un sogno senza gioia. Elio Andriuoli
ALTURA A Umberto Saba
Napoli
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 8/9/2016 In Onda, a La7, Alessandra Moretti (PD) afferma, con il candore della ipocrisia, che il doppio pesismo dei 5Stelle, che gridano dimissioni! dimissioni! per gli indagati mentre lasciano al suo posto Paola Muraro della Giunta Raggi, derivi dal sentirsi moralmente superiore. Alleluia! Alleluia! Ma da che pulpito viene la predica, da una Sinistra che la millantata superiorità morale l’ha praticata per decenni? Domenico Defelice
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BRUNO ROMBI E “L'ACQUIESCENZA DEL PADRE” Un altro forte romanzo dello scrittore sardo-genovese di Luigi De Rosa A casa Editrice “Condaghes” di Cagliari (www.condaghes.it) nella Collana di “Narrativa tascabile” comprende 17 titoli, di cui ben 4 fanno capo a Bruno Rombi, regolarmente sardo (della cagliaritana Calasetta) anche se trapiantato da una vita a Genova. Si tratta dei romanzi Una donna di carbone, Un oscuro amore, Il labirinto del G8, L'acquiescenza del padre. Bruno Rombi non è solo un narratore robusto e profondo, ma è anche, da sempre, un poeta forte sul piano della poesia civile e delicato su quello dei sentimenti, nonché un pubblicista documentato, ed un critico letterario competente e scrupoloso. Oltre a saggi e studi mirati, ha anche curato, per molti anni, la pagina letteraria del giornale quotidiano di Genova Il Lavoro. Infine, è un pittore di fervida fantasia a mala pena imbrigliata dalla camicia della realtà. Una delle caratteristiche positive della sua produzione è rappresentata dalla rubrica Poesia nel mondo, in cui da tempo presenta, sulle pagine di “Nuova Tribuna Letteraria” di Padova, poeti che vivono e operano nelle più disparate regioni della Terra. Egli, a sua volta, è uno scrittore decisamente poliglotta. E suoi scritti sono usciti, oltre che in italiano, in latino, francese, inglese, spagnolo, polacco, maltese, romeno, macedone, sloveno, catalano, corso, urdu, arabo e albanese. Oggi volevo parlare del suo ultimo romanzo, il sopra citato L'acquiescenza del padre. Un'opera che mi ha “intrigato”, e che mi sembra estremamente impegnativa non solo per il proprio Autore ma anche per i singoli lettori, per quanto smaliziati e rodati possano essere. Dalla prima all'ultima delle circa duecento
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pagine c'è una voce narrante, quella dell'Autore (in prima persona o per bocca di Ido). Il protagonista è, appunto, Ido, di cui viene narrata tutta la vita, da quando era bambino e suo padre, fascista, era andato via da casa per fare la guerra in Africa Orientale (senza più tornare a casa) fino a quando diventa uomo, sempre frustrato dalla mancanza di un padre vicino, cresciuto nell'amore soffocante della madre che d'altronde vede sfiorire sempre di più nell'inutile attesa di un marito e padre che ha delegato tutto a lei lavandosi le mani dell'educazione del figlio. Ido soffrirà per tutta la vita per questa “acquiescenza” del padre, cioè per questa rinuncia di lui ai propri dirittidoveri di padre in cambio della tranquillità e delle mani libere sul fronte pubblico, sociale, politico. In Italia, secondo l'assunto del libro di Rombi, che non esita a lanciarsi con coraggio nello scavo delle proprie e nostre origini, si è verificata una gigantesca “disattenzione” di una generazione nei confronti di un' altra generazione, che è cresciuta senza la guida di un padre in cui identificarsi. Un'intera generazione è passata da una dittatura (crollata nel modo che tutti sanno, sotto il peso delle proprie implosioni e dei bombardamenti alleati) ad un sistema democratico imperfetto, ed avendo sofferto per la mancanza di padri non ha voluto imporli alla generazione successiva, cioè ai propri figli, in modo che questi, a loro volta, si sono venuti a trovare a vivere in una democrazia difettosa e contraddittoria, per giunta vistosamente tradita in più punti e da più parti. Tanto che molti giovani l'hanno contestata, con pretesti diversi e obiettivi di parte, anche scendendo in piazza in anni di piombo e di violenza. L'acquiescenza del padre, più che una narrazione di fatti e di avvenimenti (peraltro materia che dovrebbe essere indagata da freddi studi storici, ma sappiamo che una storiografia serena e obiettiva al cento per cento non esiste...) è la narrazione di un dramma individuale psicologico, di una sofferente ricerca di identità personale. Il romanzo nella sua singolarità di impianto è originale, in quanto la narrazione e il meto-
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do letterario servono per sorreggere una ricerca nelle profondità della psicologia individuale. Un romanzo a tesi. Un'opera in cui viene esaminato, studiato, approfondito il rapporto educativo genitori-figli, e a loro volta, di questi con i propri figli. Proposizioni di ipotesi e dimostrazione della veridicità di tali ipotesi avvalendosi dell'autorità dei fatti storici verificatisi. Ricerca che può non fermarsi mai...Siamo sicuri che, in seguito, non si possano ripresentare problemi analoghi dopo altri sconvolgimenti di massa come guerre, rivoluzioni più o meno violente, contrasti economico-finanziari, politici, religiosi, migrazioni di massa incontrollate, etc.? Il nostro mondo contemporaneo non sembra poterci riservare un futuro di relativa tranquillità... Come detto sopra, Bruno Rombi è un narratore poderoso, e non si tira indietro dall'affrontare e giudicare gli avvenimenti sociopolitici succedutisi dal 1946 in poi in Italia. Esattamente come dovrebbe fare uno storico culturalmente e tecnicamente ferrato. Che lo faccia in prima persona come narratore, o per bocca del suo protagonista Ido, non fa una gran differenza. Forse l'importante è che lo scrittore, il narratore, non si lasci influenzare, o addirittura imbrigliare, dall'altezza di tono della materia trattata. La temperatura morale, storico-scientifica del libro è altissima, quasi al calor bianco. Forse l'unico rischio potrebbe essere che a tale temperatura potesse non corrispondere, costantemente ad altissimo livello, una temperatura “romanzesca”, letteraria, altrettanto alta ed efficace. Ma a parte il fatto che questo non sarebbe affatto il caso di Bruno Rombi, che domina la materia trattata a suo totale piacimento, anche se, da artista, ne viene preso alla gola, qui occorrerebbe chiarire, preliminarmente, che vi sono tanti modi di concepire ed intendere il romanzo contemporaneo..., sia nelle tecniche compositive che nella scelta dei modi e dei timbri espressivi. A puro titolo di esempio, per alcuni può essere esteticamente più interessante una dilatazione o proliferazione dei dialoghi tra personaggi, mentre per altri una serie di considerazioni, ragionamenti, induzioni e deduzioni di
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natura etica, filosofica, psicologica, può aiutare meglio un certo tipo di lettore. Ogni scrittore ha un proprio metodo e un proprio linguaggio. In una parola, ha il proprio stile. E ciò che piace ad un lettore può piacere di meno ad un altro. Anche qui, come lapidariamente dicevano gli antichi romani: Tot capita, tot sententiae. Luigi De Rosa
CONTAGIO La tristezza è semplice debolezza, è angoscia e il fallimento, quasi temuto. Tuttavia può offrire un'opportunità a cercare il coraggio, alla scoperta di un nuovo respiro e una direzione ottimista. E' urgente uscire da te stesso e di investire gli sforzi per aiutare qualcuno che può aver subito la stessa cosa. La tristezza è contagiosa, ma lo è anche il coraggio. Teresinka Pereira Traduzione Giovanna Li Volti Guzzardi
Depuis que tomate et pomme de terre miel et confiture sur pain par les bons soins d’une main amie elles ont tout ce qu’elles aiment dans le bouchon d’une bouteille d’eau de source les petites fourmis noires respectent la nourriture que les humains se destinent Elles ne prétendent pas la leur disputer elles ne réclament pas la leur assiette elles ne veulent qu’avoir de quoi vivre en bonne intelligence avec eux Ainsi sans doute de maints peuples Béatrice Gaudy Francia
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“C'EST EN ROUTE QU'ON ÉQUILIBRE LA CHARGE”:
FRANCESCO PEDRINA SCRIVE A
GIUSEPPE GERINI.... di Ilia Pedrina il 15 Giugno 1965, siamo nel periodo degli anni torbidi di defeliciana memoria e Francesco Pedrina è intensamente impegnato nel commentare il testo de 'I Promessi Sposi' di Alessandro Manzoni. Contemporaneamente affronta i sonetti di Carlo Delcroix, per dar loro vita più completa con un accurato commento assai ispirato e partecipe, perché anch'egli è stato 'soldatino in grigioverde' nel corso del primo conflitto mondiale: al suo fianco, nello studiolo dell'appartamento in via Rolando da Piazzola, al numero 18, ora 24, io passo giornate di lavoro senza distrazioni, perché ho scelto il percorso di laurea in Filosofia e perché devo tener testa al Casanova, lo scrittore veneziano di cui ora il Pedrina si sta prendendo a cuore stile e destino. Allora si profila il progetto di 'VELA D'ARGENTO. VIAGGIO SENTIMENTALE ATTRAVERSO LA MIA VITA', un sus-
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seguirsi di racconti e lettere tracciate sul filo dell'ironia, sempre pedagogica, quando è la memoria a filtrare luci d'esperienze soffuse di realtà e di sogno. Ma anche il quotidiano entra con tutta la sua forza in queste preziose documentazioni e le lettere ed i compagni di viaggio prescelti ne sono conclamata testimonianza. Ecco dunque un INTERMEZZO, nella traduzione francese di Solange de Bressieux, carissima Amica del Pedrina e che Domenico Defelice ha così degnamente ricordato nella sua raccolta di LETTERE, pubblicata nei QUADERNI LETTERARI 'IL CROCO' associati a questa Rivista. Il testo della lettera è quello che il Pedrina ha inviato allo scrittore e poeta Giuseppe Gerini, da lui soprannominato una volta per tutte 'Cefas'. “C'est en route qu'on èquilibre la charge. Padove 15 Juin 1965 Cher Cefas, Massimo d'Azeglio commença 'Ettore Fieramosca' sans la moindre idée de quel diable 'd'embrouillamini' sortirait son roman, et il se consolait en disant: 'c'est en route qu'on équilibre la charge', et il l'equilibra au point de faire dire à son beau frère, qui était Manzoni, 'Etrange, notre métier d'ecrivain: n'importe qui le fait du jour au lendemain! Par exemple, voilà Massimo: il lui prend la fantaisie d'ecrire un roman et il ne s'en tire pas si mal'. Il s'en tira très bien avec une invention fougueuse et un désordre pittoresque. J'espère d'en faire autant moi qui ai commencé cette oeuvre sans même m'en apercevoir, écrivant à un ami (à Cefas précisément) dans le but de l'amuser un peu et de contenter son long désir de m'écouter, et je m'apercevoir pas ce faisant, que je dictais l'ouverture de mon livre d'évocation fantaisiste et hasardeuse. Mais le proverbe: 'c'est en route qu'on équilibre la charge' doit valoir aussi pour moi. Je m'aperçois maintenant que, limité aux simples idylles, le tableau de ma vie spirituelle serait beaucoup réduit, que j'ai des intérêts et des sentiments qui dépassent notablement le plaisir amoureux pour gracieux et varié qu'il soit
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(varié selon les sujets recontrés et les circonstances qui le rendent tel et non autre) et j'en suis venu à la décision, aussi pour l'exigence artistique de la variété des arguments et du ton, de rassembler mes souvenirs autour de plus vastes tableaux, à commencer par celui de ma famille où certains ont noté des motifs ou des personnages dignes d'une représentation artistique. De cette manière, j'obéis au précepte, sur lequel me semble-t-il s'arrête aussi Croce, que toute oeuvre d'art doit être 'un petit cosmos', une représentation 'en miniature' de toute la vie. Et puis il y a dans mes aventures sentimentales des idylles qui ont abouti aux 'drames matrimoniaux' et le chagrin que j'ai souffert, le drame que j'ai véçu, la damnation que j'ai effleurée, se comprendraient mal sans le contraste lumineux de ma primière vie familiale. Du reste au vocable 'idylle' s'annexe depuis des siècles le sens de 'tableau vivant'. Ainsi les 'Idylles' de Théocrite bien que le poète sicilien des 'Talisie' (Fêtes d'été en honneur de Demetra. Il s'en profitait pour des promenades) et des 'Syracusaines' aît plutôt pensé à leur naissance et à leur contenu: comme
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'chants nés un à un', 'petits poèmes bref'. On dit de même pour les comédies goldoniennes d'observation familiale et sociale ('I Rusteghi', 'La casa nova', 'Il Campiello', 'Le baruffe chiozzotte') qui sont idylles de la vie domestique chez les bourgeois et le petit peuple de Venise et de Chioggia, tableaux délicieux, d'un pittoresque éclatant. Je n'attendrai pas ce résultat, mais j'ai aussi tant d'autres choses à dire, idylles qui par l'atmosphère et les tendres sentiments qui les nourrissent, sont de vraies expériences de l'âme, des rencontres qui marquent des étapes dans l'ascension de la vie, qu'on le veuille ou non. Que ceci soit clair, sinon pour toi, cher Cefas, qui me connais bien, mais pour les autres qui ne me connaissent pas: je suis avant tout un travailleur, ensuite, un peu au second plan, un amoureux de la vie à qui les évasions fréquentes ont apporté toujours une nouvelle ferveur pour les travaux quotidiens. En réalité, chaque époque de mon pélerinage humain, qui se fait déjà longuet, est marquée par la présence d'une femme, et moi je n'ai travaillé de bon grè que lorsque j'était en état de léger enchantement amoureux (je croix que c'est là l'état de grâce pour les coeurs délicats). Mes commentaires qui s'étendent à toute la littérature italienne (sans parler de la grecque) sont nés ainsi et l'arome qui les sauve (du moins à en juger d'après les nombreuses réimpressions) est peut-être dans cet enchantement dont j'ai parlé. 'Avoir pour commentateur Francesco Pedrina - m'écrivit cet hiver Lionello Fiumi, et je lui laisse la responsabilité de l'éloge - est un don des dieux'. Je parlerai des femmes que j'ai, au fur et à mesure, sinon aimées, cela est un trop grand mot, courtisées en rêve. Après ce petit discours, il me semble avoir équilibré la charge. Maintenant je puis avancer, plus rapide et plus sûr; quant à toi, cher Cefas, résigne-toi à être laissé de côte, au moins pour les tableaux de famille que je vais tracer. Te nommer toujours, comme j'ai fait jusqu'ici, me référer à toi, t'apostropher, deviendrait, à la longue, ennuyeux. Pour cela dispose-toi tranquillement à m'écouter
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comme les autres vingtcinq lecteurs (qui sait si j'en aurai autant!); puis je reprendrai de toi le prétexte de naviguer sur des nouvelles eaux. Attends-moi sur le môle. F. P.” (fonte: archivio personale, inedito) Anche il poeta Ovidio, nella sua 'Ars Amatoria' ha pregato la divina Venere di dar giusta forza all'ispirazione ed ottimo vento per guidare la sua piccola imbarcazione al giusto dettato pedagogico, ecco il mio invito a rinnovare l'incontro con questo poeta latino ed a tenerlo come Amico. Darà soddisfazione piena: “... Et mihi cedet Amor, quamvis mea vulneret arcu Pectora, iactatas excutiatque faces. Quo me fixit Amor, quo me violentius ussit, Hoc melior facti vulneris ultor ero ... Usus opus movet hoc: vati parete perito; Vera canam: coeptis, mater Amoris, ades! (fonte: Internet, P. Ovidius Naso, 'Ars Amatoria', R. Ehwald, Ed.) (“...Anch'io sottometterò l'Amore, benché il suo arco ferisca il mio cuore ed egli agiti su di me la sua torcia fiammeggiante. Più i suoi tiri sono pungenti, più i suoi fuochi bruciano, più mi incitano a vendicare le mie ferite... L'esperienza è la mia guida: obbedite al poeta che conosce a fondo l'argomento. La verità presiede al mio canto: tu, padre degli Amori, asseconda i miei sforzi...” (da Ovidio, 'L'arte di amare', Ed. Ferni, Ginevra, 1975, pag. 10). Andrò a fondo su questa differenza: nel testo latino, scaricato da Internet, è scritto: '...mater Amoris...', nella traduzione mi ritrovo '… padre degli Amori... '. Sia chiaro: Venere è madre di Cupido, di Amore come
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giovane e scanzonato, indomito ragazzaccio in cerca di dar guai agli altri, mai stanco del suo vagabondare curioso; a sua volta però Cupido può essere inteso come padre, origine prima di tutti gli Amori dell'intero mondo. Vedremo se si tratta di una 'licenza' del traduttore, il cui nome, nel librettino da borsetta e da collezione, non è citato. Torno al Pedrina, anche lui allievo dello scanzonato Cupido: si presenta a Cefas ed a coloro che lo leggeranno come un lavoratore, innamorato della vita e dell'esperienza della scrittura, della famiglia d'origine e di quella costruita tra non poche difficoltà e contrasti nel tempo, non senza tragedie di percorso. L'amicizia e l'amore sono il frutto sempre e comunque vero di questo incandescente crogiolo. Ilia Pedrina
AMATRICE Massi scoscesi Dirupano a valle Mani incarnate in Pianti dimessi Polvere che avanza dentro Briciole di mattoni. Chi può piangere le nostre sciagure? Chi può risorgere dalle nostre rovine? Chi può insabbiare le nostre colpe? Dalle rovine emerge la visione di quell’Italia che Seppur solidale, non previene. Susanna Pelizza Roma
CIELO CELESTE ATTRAVERSO I VETRI Cielo celeste attraverso i vetri e trasognate grida di gallo in lontananza; un autocarro romba nel polverone. Ogni mattino è un sole di speranza Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)
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A Nazario Pardini il Premio Libero De Libero COLLOQUIO CON IL MARE E CON LA VITA: UN TUFFO NEL MISTERO DEL CREATO di Franco Campegiani
L
E Edizioni Confronto hanno pubblicato a dicembre del 2013 "Colloquio con il mare e con la vita" di Nazario Pardini, silloge vincitrice della Sezione Opere Inedite nella XXVIII edizione del Premio "Libero De Libero" (anno 2012). Questa la motivazione della Giuria: "In una sinuosa linea melodica, sorretta da una padronanza metrica, la raccolta di Nazario Pardini "Colloquio con il mare e con la vita" esprime tematiche esistenziali, senza retorica e con immagini suggestive. È un abbraccio sincero quello di Pardini, come sincera è la sua poesia, tra il mare e Delia, in una intesa di dolore condiviso e custodito per sempre in questi versi". La golosa primizia - corredata da sei foto ispirate al paesaggio marino scattate dall'autore (di cui una in copertina), nonché arricchita da motti e dotte citazioni (Catullo, Eraclito) propone un tuffo nel mistero del mare e del creato, come è consueto nella poesia del poeta toscano. Un'avvertenza è d'obbligo: lo sguardo sulla natura non è di tipo arcadico o idilliaco, georgico o pastorale. Non è esteriore o superficiale, ma scava nelle viscere profonde per cercare le leggi fondamentali della vita. Così il mare diviene uno specchio dove si riflette l'animo umano in cerca di rispondenze con gli arcani sensi dell'essere universale. È questo che da sempre fanno i poeti e gli artisti più autentici, ponendosi con le loro opere sulla scia della creazione universale. La creatività umana non può che trarre origine dal fondo originario del creato, dalla potenza creatrice della vita. E il mare... tutto ingoia e tutto genera, il mare! È un laboratorio immenso di morte e di vita, di dolori agghiac-
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cianti e di ineffabili esultanze. In esso si consumano tragedie e si accendono speranze, si conservano i misteri originari ed essenziali, si svolge e si propaga l'orgia dolcissima e crudele della vita. Tutto ruota intorno al principio dell'armonia dei contrari: quella legge che troviamo poeticamente espressa nelle liriche pardiniane. Si pensi al sogno e al dramma dei migranti che muoiono in mare: "Come era bello! Come era bello il cielo!". Si pensi al "singhiozzo di un settembre stanco" che suscita nel poeta "un senso di distacco dalla vita": c'è forse un inno alla vita più esaltante di questo struggente "singhiozzo di stagione morente"? Quando Pardini nomina il nero, è al bianco che pensa e che fa pensare. Viceversa, il bianco evoca il nero, perché negazione e affermazione sono l'una nell'altra, come il Tutto e il Nulla, il Vuoto e il Pieno, il Finito e l'Infinito, il Bene ed il Male. È all'Assoluto che potentemente alludono questi versi, tenendo presente che nell'Assoluto risiede il Relativo (come è pur vero il contrario). Così le stagioni sfumano l'una nell'altra, in metamorfosi perenne, in un processo inesausto di rinnovamento e consunzione: "È febbraio. Non vedi per i campi / traccia di paesani; tutto è fermo / ... / Ma è il mese che si avvia / a promettere speranze; la mimosa / staglia il suo giallo sopra la campagna / e ricorda il colore di ginestra / che gonfierà l'estate". Il poeta si immerge nel mistero di trasformazione e di ciclicità della vita. Mistero che lo porta a ritroso nel tempo, "tra i fiordi del passato", a salutare una persona amica per poi di nuovo andare... ma dove andare? "Davanti a me c'è un guado, / un guado che riporta / quest'uomo ormai attempato / all'altra sponda". È tutto un peregrinare, un divenire, un viaggiare verso mete sconosciute e lontane. La vita è come l'andirivieni del mare, come il mulinello di sabbia di vento e di onde che il poeta osserva attonito sull'arenile. E i ricordi non sono memorie ma visioni, bolle di vita vissuta, immagini di vita reale che l'occhio (non la mente) coglie come astronavi fantasma nel loro volare infinito. Tutto è nella
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realtà: "Che cosa sia vero, poi non sai più: / o se la vita reale che ogni giorno / consumi senza rendertene conto / o quel bel senso di malinconia / che ti è compagno / in questa ricordanza". Ed il tempo è un eterno presente: "il suo futuro è là col suo passato; / e il divenire continua nel vasto / mistero che torna sorgente". Non di memorie quindi si deve parlare, ma di evocazioni. La differenza è abissale, perché si ha memoria solo di cose assenti, mentre ciò che si evoca viene ripescato dall'invisibile e si presenta vivo di fronte a noi. Così è per il ricordo del padre, cui il poeta chiede perdono per non avergli saputo esprimere in vita tutto il suo amore. L'assenza si trasforma in presenza, il distacco in unione. Ed ecco i "Canti per Delia": undici tempi per evocare amori giovanili amaramente trascorsi, in struggente unione con il mare e con la terra, con la selva e con l'orto, con la pineta e l'arenile. Il sogno è più vero della vita reale: "Non ho tempo di vivere,/ voglio solo rivivere con te / nei miei pensieri. Franco Campegiani
PICCOLO ZEUS per Stefania e Zeus Piccolo Zeus, batuffoletto di bianco pelo lanoso, come quello di mite pecorella, piccolo Zeus, dolce cagnetto che tranquillo riposi, disteso al fresco fra due porte aperte, o ti trascini lento per la strada nell’ora della passeggiata… Piccolo Zeus, chi mai l’avrebbe detto ? Appena rientri in casa ti abbandoni a corse pazze intorno al tavolo, a sfrenati e ripetuti balzi e salti di gioia e di allegria. Piccolo barboncino, ormai vecchietto, ma ancora pieno, pare, di energia … Piccolo Zeus, dolce diavoletto ! Mariagina Bonciani Milano
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L’ALBA Il sole è fuggitivo sulla tettoia della casa, e il chiarore dell'alba fa risplendere la tua camera, resteranno solo le parole non dette proiettarsi verso le onde del mare, come i nostri gesti gettati al vento, con i passi leggeri della memoria. Rapisco ancora i tuoi occhi come rami spogli che si levano al cielo, le nostre anime sole nell'autunno dell'amore. Ecco spuntare l'imprevedibile mormorio del nostro passare oltre. Adriana Mondo Reano, TO
NELL’AGOSTO 2016 Una donna su una spiaggia un mattino Fa dolce non ancora davvero caldo La donna ha il costume da bagno addosso per più tardi per quando la temperatura sarà al suo zenit e lei si bagnerà Per ora Conserva sopra la sua tunica per sonnecchiare al sole Giungono dei poliziotti che le piombano addosso “Signora, una donna vestita su una spiaggia è un oltraggio alla laicità. Si spogli!” Benvenuti nel paese liberticida del grottesco! Béatrice Gaudy Francia N. B. Il 26 agosto 2016, il Conseil d’Etat ha invalidato un’ordinanza municipale che vietava il porto di vestiti di stile religioso sulla spiaggia. Il burkini musulmano era il bersaglio di questo genere di ordinanze, ma la formulazione imprecisa di queste ha apparentemente condotto dei poliziotti a multare delle donne che avevano solo un foulard sui capelli od un tunica sopra il costume da bagno mentre non stavano bagnandosi.
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INTORNO ALLA SEDUZIONE COME ESPERIENZA DI VITA di Ilia Pedrina “... Vaghe donne e serene, il fato che su questa nuda spiaggia d'arene ci strinse a breve festa, or ci disgiunge...” Il mio carissimo Amico d'altri tempi, dopo il commiato con le sue belle e piacenti signore, le due Marie, cordialmente sincere, l'Antonietta, che ha brio spontaneo e festoso, la Nina, che possiede davvero una ridente bontà, la Mary che affascina con il suo affettuoso raccoglimento, si ritrova il cuore scolpito a sbalzo e, per qualche traccia, in profondità, da questa confusa mistura tra desiderio, che, vero e proprio oceano, può esser pieno di tempeste, di nuvole talora cupe e talaltra rosate, quando predispongono al sereno, e la speran-
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za che, simile all'alcione dalle verdi piume, si predispone a sorvolare l'onde dei gemiti, delle promesse, dei pensieri che disegnano rappresentazioni magiche: tra desiderio e speranza, allora, i battiti del cuore si susseguono in palpito e la scrittura raccoglie questo tesissimo errare dei pensieri, tutti assemblati in punta di penna o di matita. Punta della quale si ha però bisogno, per trasferire agli altri ed al loro immaginario appunto questa confusa mistura, in altro modo nulla passa. Oh la donnesca magia! Oh l'intelletto e la volontà che vanamente si sforzano di tenerle testa! Un altro mio ancor più caro Amico, di tempi lontanissimi, mi insegna a capire giochi e tranelli ed ironiche prese in giro che devono essere conosciute e ben mandate a memoria, se si vuol metter in atto una certa capacità di sedurre. “... Novella recluta, che vuoi arruolarti sotto le bandiere di Venere, preoccupati dapprima di cercare quella che ami; la tua seconda preoccupazione sarà di piegare colei che ti è piaciuta; la terza di fare in modo che questo amore sia durevole. Questo è il mio piano, questa è la strategia che il mio carro seguirà; questa la meta che deve raggiungere... La tavola e i festini offrono anch'essi un facile approccio con le donne, e il piacere di bere non è il solo che vi si trovi. Là spesso l'amore, dalle gote imporporate, stringe con le sue deboli braccia l'anfora di Bacco. Non appena le sue ali sono imbevute di vino, Cupido, appesantito resta immobile al suo posto. Ma ben presto scuote le sue umide ali e sfortuna a colui il cui cuore è colpito da questa bruciatura color di rosa! Il vino dispone il cuore alla tenerezza e lo rende pronto ad infiammarsi... Venere nel vino è fuoco nel fuoco... La speranza, quando vi si aggiunge la fede, fa guadagnare molto tempo, è una dea ingannatrice, ma ci piace essere da lei ingannati... Abbi sempre l'aria d'esser sul punto di dare, ma non dare mai nulla... La grande arte, il punto difficile è quello di ottenere i primi favori da una donna... Giovani romani, seguite i miei consigli. Dedicatevi allo studio delle lettere...
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Il tuo stile sia naturale, il tuo linguaggio semplice ma insinuante; e che, leggendoti, si abbia l'impressione di sentirti. Se essa rifiuta il tuo biglietto e te lo restituisce senza leggerlo, continua a sperare che lo leggerà e persisti nella tua iniziativa... Ella teme quel che chiede e desidera che tu persista, pur pregandoti di non farne nulla. Persisti dunque e ben presto sarai al colmo dei tuoi desideri...”. Ecco, si, evitare di entrare nelle sottili, strategiche maglie di una seduzione femminile costruita allo specchio, con il favore ed il fervore di ancelle e forse di compiacenti servitori, ma mostrare con sicurezza di saper padroneggiare gli spazi, a teatro, ai festini ed ai conviti nei quali il vino scorre copioso nelle coppe ed arrossa di tenero, focoso ardore le gote, questo sì è da apprendere bene. Da queste preziose indicazioni, tracciate ad arte per offrire, quale allievo consapevole del giovane Amore, dettagli utili per ottenere i suoi favori e la sua compiaciuta, silenziosa alleanza, passo le parole e le immagini ad altra penna, che disegna profili differenti. Lui si è appena fatto il bagno nei raggi del sole, indossa la vestaglia e si rimette a giacere, ozioso, nel letto: pensa ad Anita e lei entra nella sua camera da letto, indossando una
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camicia di pizzo trasparente. Anita si prende gioco del suo innamorato perché si sa bella e consapevolmente ama beffare! Amor con amor si paga? Non sempre è vero perché chi gode della sconfitta dell'altro o del suo spasimare, mantenendolo in stato di ebbra dipendenza guidata, è tout court prigioniero del proprio sé reiterativo e clone di se stesso nelle circostanze della relazione. Si, Anita colleziona spasimanti e fa spasimare. Si studia allo specchio e dentro, autisticamente, gode del suo doppio che è maschile perché si guarda con gli occhi di chi lei andrà a sedurre e tutto è già predisposto. Lei ha alle spalle due figli nati entro il termine dei ventidue anni da un marito che la considera un animale bello, piacente e da trascurare e quando si accorge di cose da non dire comincia a farsi degli amanti. Il protagonista del racconto le vuole bene, la osserva nella sua bellezza, pur sempre verginale perché leggera e piena di sé, autentico modo soggettivo di essere a questo mondo, per sé e per dare negli occhi, per darsi attraverso gli occhi, lo sguardo dell'altro, a quel suo sé desiderante che la fa fremere: lui desidera di lei il suo sguardo ed il suo ridere di lui, sincero. “... È alta e forte, gli occhi bruni sono pieni di scherno e ha una pelle morbida dal colore caldo, brunastra, intonata al nero dei capelli... E penso che, forse, sia afflitta dal fatto di non aver realmente amato. Non ha mai avuto l'autentico rispetto - Ehrfurcht – per un uomo...” Prendo testo e pretesto da uno scritto del Defelice: egli, si, Domenico Defelice non sarebbe mai caduto in questa trappola, qualsivoglia fosse la bellezza di lei, di Anita! Nelle relazioni d'amicizia e d'amore ha forze sane e comportamenti mirati a non mai mettere a disagio l'altra, pur dando sfogo talora al proprio rabbuiarsi: egli la sa cogliere in un tutto prismatico che poi farà trascendere, trascolorare di senso, dirigendolo nelle maglie del linguaggio: “... Contro ogni previsione, tempo splendido per tutta la giornata. Di pomeriggio ho incontrato Lisetta, ma solo per un attimo. Do-
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veva uscire col proprio 'fidanzato' ed io stesso l'ho accompagnata all'appuntamento. È ora di chiudere con lei, dunque. Forse ci rivedremo ancora, ma da buoni amici. Ora occorre che mi indirizzi altrove per una compagnia domenicale... Improvvisamente ho sentito l'impulso di litigare con Lisetta. Pretesto? Perché ieri è uscita col fidanzato e non con me! Ma potevo litigare benissimo ieri, no? Niente affatto, ci siamo lasciati entrambi scherzando e ridendo... E oggi il litigio, a scoppio ritardato! Le ho telefonato stamattina coprendola d'improperi, a tal punto che, confusa, la poveretta non faceva che chiedermi scusa... Da ridere. Ma proprio da ridere? Son proprio matto!...”. Poi, più oltre, a poche ore di distanza: “Per la seconda volta da quando ci conosciamo, ho accompagnato in macchina Lina, una delle commesse del nostro negozio (che sta sopra il magazzino dove lavoro)... è carina, alta, esile, capelli lunghi lisci e corvini, labbra sottili, colorito chiaro, quasi pallido, occhi neri. Tra me e lei, fino a pochi giorni or sono, non c'è stata che burrasca, anzi veri e propri temporali. Da parte mia non ho fatto che disprezzarla e dirglielo apertamente. Lei, invece, ha cercato quasi sempre di apparire gentile con me e più di una volta mi ha anche dimostrato di portarmi un po' di simpatia. Un giorno mi chiese, imporporandosi, se lei mi piaceva. Io, stupido, le ho risposto di no. Da ieri sto cercando di essere meno duro con lei: le sorrido di tanto in tanto e lei ricambia. Le ho persino detto che potrebbe diventarmi simpatica! Per tutta la giornata è stata come smemorata. Ora cerca qualsiasi scusa per venirmi a parlare, mi fa domande sulle cose più banali... Sono certo però che con lei non farò niente (ma in verità, faccio forse qualcosa con le altre?). Mi conosco,
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non so giocare all'amore e arrivo a rovinare tutto sul più bello. Se devo essere sincero, lei mi è sempre piaciuta, e la mia rudezza nei suoi confronti era solo una difesa, il timore che, conoscendo il mio cuore, potesse approfittarne e prendersi gioco di me. Che le sono simpatico è certo. Ma finirò col perderla, farò le solite mosse false, non sono mai stato un Casanova, né mai lo sarò. Oh, Lina, ti prego, non farmi innamorare!...”. Lascio passare qualche giorno, tracciato in scrittura, e mi ritrovo un dettato schietto, una quotidianità filtrata da uno sguardo doppio sulle esperienze, il proprio e quello delle ragazze, ma senza veli di perturbazione del carattere: “... Ho chiamato Gisella, incontrata un giorno ch'ero in compagnia di Carmela e di Lisetta. È una ragazza assai simpatica - non bella -, molto più di Lisetta. Sembra una bambina - ma quanti anni avrà?-, tiene un visetto pulito e colorito, senza un filo di trucco, capelli tagliati alla maschietta, neri come le piume di un corvo. Gisella è simpatica, anche perché spiritosa. La prima volta, appena ci siamo visti, ha detto rivolta a Lisetta: 'Uh! Ti sei fatto veramente un bel ragazzo!' Oggi, per telefono, mi disse ch'era contentissima di sentirmi e che volentieri uscirebbe con me la domenica...”(D. Defelice, Diario di anni torbidi, Edizioni Associate, 2009, pp. 46-51). Per dovere di ironico, scanzonato confronto, pur sempre rispettoso però, torno ad Anita ed al suo raccontarsi a lui, disegnando profili di seduzione da protagonista originale e ricettiva, quando vuole stare al gioco ed ampliarlo a dovere in quella descrizione che tiene stretto a sé l'ascolto e lo sguardo su di lei per chi l'ama: “... (Anita si racconta al suo attuale amante n.d.r.-) 'In quell'ultima mezz'ora di attesa -
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così bizzarra - mi parve di non provare alcuna sensazione, alcuna consapevolezza. Giacevo al buio, stringendo per conforto contro al corpo la mia bella vestaglia di crêpe de chine azzurro pallido. Ci fu un tramestio alla porta; trattenni il respiro! Rapido, fu dentro, chiuse a chiave la porta e accese tutte le luci. Eccolo lì, al centro di ogni cosa, la luce che splendeva sui bruni capelli lucenti. Sotto il mantello reggeva qualcosa. Si avvicinò a me e di sotto al mantello mi gettò addosso un'intera bracciata di rose rosa e rosse. Che delizia! Alcune erano fredde, quando caddero sopra di me. Si tolse il mantello. Mi piaceva la sua figura nell'uniforme azzurra; e poi, oh si! Mi sollevò dal letto, rose e tutto quanto, e mi baciò... come mi baciò!' S'interruppe al ricordo. 'Potevo sentire la sua bocca attraverso la vestaglia sottile. Poi si fece calmo e intenso. Mi tolse il saut-de-lit e mi guardò. Mi tenne lontana da lui, la bocca dischiusa per la meraviglia, e ancora, quasi che gli dei lo invidiassero... meraviglia, adorazione e orgoglio! La sua venerazione mi piacque. Poi mi fece sdraiare nuovamente sul letto, con delicatezza mi ricoprì e dispose le rose accanto a me in un mucchio vicino ai capelli, sul cuscino. Senza nessuna vergogna e privo d'ogni consapevolezza si svestì. Ed era adorabile... così giovane, piuttosto magro, ma con un corpo ricco che davvero avvampava d'amore per me. Rimase a guardarmi con grande umiltà; e gli tesi le mani. Ci amammo per tutta la notte. Quando si alzò, su di lui c'erano piccoli petali di rosa frantumati e schiacciati, simili a rosso sangue! Oh ed era pieno di ardore e nello stesso tempo di tenerezza!' Le labbra di Anita tremarono leggermente e tacque. Poi, molto lentamente, proseguì: 'Quando al mattino mi svegliai, se n'era andato; e soltanto poche parole appassionate sul suo biglietto d'invito al ballo con una corona d'oro, sul tavolino accanto a me, m'imploravano di rivederlo alla Brühler Terrasse nel pomeriggio. Ma io presi l'espresso del mattino per Berlino...'. Restammo in silenzio entrambi... Si cinse con le braccia un ginocchio radioso e lo carezzò amorevolmente, quasi malinco-
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nicamente, con la bocca. I lucenti draghi verdi della sua veste sembrarono ringhiarmi addosso. 'E tu lo rimpiangi?', dissi infine. 'No', rispose quasi senza prestarmi attenzione. 'Ricordo il modo in cui si slacciò la cintura della spada e le decorazioni dai lombi, e come con un tintinnio gettò il tutto sull'altro letto...''. Adesso ardevo di collera contro Anita. Insomma amava un uomo per il modo in cui si sfibbiava la cintura! 'Con lui', rifletté, tutto dava la sensazione d'essere inevitabile'. 'Persino il fatto di non averlo più rivisto', ribattei. 'Si', disse lei con tranquillità. Continuò meditabonda e sognante ad accarezzarsi le ginocchia. 'Mi disse: ''Siamo come le due metà d'una noce''. Rise piano piano. 'Mi disse delle cose adorabili... ''Stanotte tu sei una Risposta'' E poi: ''Qualunque pezzetto di te io tocchi è come se ogni volta trasalissi di gioia''. E disse che mai avrebbe dimenticato la sensazione vellutata della mia pelle... Mi disse una quantità di cose stupende'. Anita andava pateticamente pescandole nella propria mente. E io mi mordevo le mani dalla rabbia. '...E gli mettevo rose tra i capelli. Se ne stava così fermo e buono mentre lo adornavo, tutto intimidito... Aveva una figura simile alla tua...'. Un complimento che per me suonava come un insulto. 'E aveva una lunga catena d'oro nella quale erano incastonati dei piccoli smeraldi, che avvolse torno torno alle mie ginocchia legandomi come una prigioniera, così, senza pensarci'. 'E vorresti che ti avesse tenuto prigioniera...' 'No', rispose, 'non poteva!'. 'Capisco! Non fai altro che conservarlo in qualità di modello secondo il quale misuri la quantità di soddisfazione che ricavi da ciascuno di noi'. 'Si', disse con tranquillità. Allora mi resi conto che ci provava gusto a rendermi furioso...” Cogliere il profilo di Anita e di questo suo teso amante in dialogo, mentre lei si racconta attraverso il piacere provato con l'altro e portato lì, a disposizione dell'amato del momento, dell'aria, delle pareti della stanza e del panorama del Tirolo all'esterno tra loro, è come avere a disposizione filigrane d'oro puro che questo giovane, bravissimo scrittore mi ha of-
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ferto in scrittura, qualche giorno fa, non prima. Anita tiene cose nella tasca: “... (L'amante ad Anita, -n.d.r.-) 'Hai mai amato i tuoi uomini?', le ho domandato. 'Li ho amati... ma me li sono messi in tasca tutti', con appena un'ombra di delusione sul suo buonumore. Ha fatto spallucce al mio sguardo serio. Giacevo lì, domandandomi se anch'io sarei finito nella tasca di Anita assieme al borsellino, al profumo e ai dolcetti che prediligeva. Sarebbe stato quasi delizioso, se così fosse accaduto. Una specie di voluttà mi spronava a lasciarmi prendere da lei, a lasciarmi mettere nella sua tasca....”. Defelice, come scrittore e poeta, come pensatore ed attore nelle proprie scelte di vita e d' amore, non sarebbe finito nella tasca di Anita, per quante parti in quel tutto di fascinosi tranelli e malie avesse lei messo in atto. Forse, questo si, si sarebbe lasciato guardare da Juliet, dopo averla intravista, nuda, nel sole in un luogo senza nome del Sud, distesa in abbandono tra gli alberi d'ulivo e le pietre in declivi che lasciano la loro fronte immobile ad osservare il mare dall'alto, non lontano: “ ...Un mezzogiorno, mentre nella sua nudità se ne tornava lentamente a casa attraverso i cespugli del cupo dirupo, improvvisamente dietro una roccia s'imbatté nel contadino del podere vicino che, con l'asino accanto, era chino a legare un fascio di ramaglia appena tagliata indossava dei pantaloni estivi di cotone e, così curvo, le dava le natiche. Nel buio del piccolo dirupo tutto era immerso in una segreta quiete. Fu colta da una debolezza e per un istante non riuscì a muoversi. L'uomo sollevò con le potenti spalle la fascina e si voltò verso l'asino. Trasalì e restò di sasso vedendola, quasi fosse una visione. Poi i suoi occhi incontrarono quelli di lei; e lei sentì il fuoco azzurro scorrerle per le membra, raggiungerle l'utero, che si apriva, si estendeva nell'inerme estasi. Continuavano a guardarsi negli occhi e il fuoco fluiva tra loro, come l' azzurro flusso di fuoco dal cuore del sole. E lei vide il fallo ergersi sotto il vestito... Il mare era azzurro, azzurrissimo e docile e immobile; e l'utero dentro di lei era spalancato,
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spalancato come un fiore di loto o un fiore di cactus, in una specie di radiosa impazienza. Riusciva a sentirlo, lo sentiva: esso dominava la sua coscienza... Conosceva di vista il contadino; un uomo poco più che trentenne... Juliet rimase sveglia quella notte, guardava la luna sul mare. Il sole le aveva aperto l'utero e adesso non era più libera. La pena del fiore di loto sbocciato le era piombato addosso...”. Il mio primo Amico? È Ippolito Nievo: “...ogni passione pura e gradevole nel suo germe canticchiava nella nostra voce, traluceva dagli sguardi, e temperava i moti, e animava il brio sempre rinascente, senza parlare troppo aperta o richiamar tutto l'animo a sé; e così in quella timida e ignara discrezione d'affetti si compieva la massima felicità umana, che sta appunto nella temperanza e nell'oscuro muoversi dei desideri e delle speranze; non nel loro pieno sbocciare al quale conseguita o subita nausea o dopo breve ebrietà misero disinganno...” (da: Ippolito Nievo: 'Le maghe di Grado', a cura di Andrea Barbaranelli, Collana 'Le Conchiglie 2', Istituto Editoriale Veneto Friulano, 1995, pag. 65). Il mio secondo ed ancor più caro Amico? Si tratta di Publio Ovidio Nasone: “Chiunque tu sia, non avere che una debole fiducia nel fascino ingannatore della bellezza; aggiungi altri meriti a quelli del corpo. Quel che conquista soprattutto i cuori è un'accorta compiacenza... Le parole gradevoli sono l'alimento dell'amore... Non è ai ricchi che io insegno l' arte di amare... io sono il poeta dei poveri, poiché, povero io stesso, ho amato. In mancanza di doni ho pagato le mie amanti di belle parole... Seguendo con precauzione il filo dell'acqua, si attraversa un fiume a nuoto...” (Ovidio, L'arte di amare, Edizioni Ferni, Ginevra, 1975, pp. 60-61). E le parti citate, che riguardano Anita e Juliet? Vengono tutte da un altro Amico, David Herbert Lawrence, che mi si è rivelato da poco, attraverso il libretto 'Tre racconti', allegato a 'Ilsole24ore' di domenica 11 settembre 2016: per Anita dal racconto 'Una volta', pp. 15/18; pag. 7; e per Juliet dal racconto 'Nel
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sole', pp. 63-64. La sua voce in canto si è spenta troppo presto: è stato scrittore dall'animo delicato e dalla fantasia in doppio, femminile come lo è la giovane allo specchio, in quella confusa mistura di desiderio e di speranza che abita sempre chi sa sognare e ne sa valutare la vitalissima portata. Dalla sua scrittura senza veli emergono profili di seduzione natura e di vita limpidi ed acuti, talora in silente torpore, dati all'immaginazione ed alla sua forza mai esausta. Di lui parlerò con maggior onore, richiamando alla memoria questo mio lavoro e ringraziando il nostro Amico di sempre, Domenico Defelice, che
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Siamo venuti dal cielo e noi siamo lampi metallici rimanendo sulla Terra che abbiamo imparato a trasformare. Un giorno esploderemo di nuovo e torneremo nell'Universo da dove siamo venuti. Teresinka Pereira Traduzione de Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi
CATARSI Catarsi movimento quasi fermo e lento di ignota origine non si spiega ma si piega nelle viscere per riemergere strada, che costruisce nell'uso di te. Filomena Iovinella Torino
IMPAREGGIABILE SCULTURA VIVENTE
guida con vera, piena competenza ogni nostro passo in scrittura. Ilia Pedrina
ESPLOSIONE Una stella è esplosa luminosa e ardente e cadde sulla Terra. Ogni atomo di essa è stato iniettato nell'essere umano.
Sono belli i fiori, bellissimi, ma c'è un bimbo che vince in bellezza il fiore più bello del mondo: se t'avvicini per baciarlo o accarezzarlo o stringerlo al seno, apre la bocca e aspetta che tu gli dia qualcosa da suggere. Un uccellino sembra, affamato, che aspetta impaziente, da mamma uccello, l'imbeccata. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volt. (IS)
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POESIA ETICO-SOCIALE DI ALTA RAPPRESENTATIVITÀ IN PASQUALE MARTINIELLO di Leonardo Selvaggi I E incertezze fanno andare a tentoni agguati e assalti non mancano nei giorni che corrono, portandoci come automi per traiettorie determinate dai meccanismi infidi della politica, dai perversi modi di essere che si hanno spesso nei rapporti sociali. Si è superstiziosi, cerchiamo i rari momenti che consentono ripari. La ragione si rinvigorisce alle opposizioni che arrivano da ogni parte. “Lo scontro è subito dai controcorrenti/ traditi dal chiaro di luna/, Pochi scampano alla forca degli orsi”. Il poeta Pasquale Martiniello nel volume “La zanzara” con la sua caustica e profonda parola, che si esprime sicura, ricca di verità e di fatti, esposti da una coerente, lineare forza di pensiero, fa una attenta disamina del nostro tempo, pieno di contraddizioni e di malgoverno. Siamo in un’epoca di transizione. Vanno riconfermate le strutture e ricostruiti i comportamenti nelle forme della trasparenza e della credibilità tramite un processo di risanamento, smussando tutti quegli eccessi egoistici che portano alle contese interpersonali, per giungere ad aspetti di genuinità e alle capacità di rispetto reciproco oltre a quelle di collaborazione che rendono migliorate le qualità individuali. Ironia, evidenziazione della corruzione diffusa in Parlamento, “La destra dà l’esca e l’estro alla sinistra/. Sulle piste i soliti compari amari di giorno/ e di notte a luna di miele”.
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II Aspri versi che vanno furenti come lance al bersaglio. Il poeta ha segni di disgusto che vengono dal fondo del cuore: esperto conoscitore di intrighi e sotterfugi, come una ossessiva zanzara ronza attorno per scoprire le magagne e punzecchiarle, esacerbato buttando veleno sulle losche figure della vita politica, inerti, sempre in contrapposizione di lotta, senza programmi definiti e finalizzati. Pa-
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squale Martiniello ricorre al suo crudo linguaggio che è sostanza pura, concretezza nel saper intravedere le arretratezze, i problemi insoluti, gli strati di miseria ancora presenti nonostante i moti evolutivi degli ultimi anni. Incomprensione e incuria del governo che declama benessere e tanta falsità demagogica. ” È amara sorba incappare/ in un branco selvatico di cani/ che vive di agguati/. Sono litigiosi e vocianti…” “Incendiano l’aria di urli e tamburi”. Di alto timbro è l’espressione della poesia del volume “La zanzara” , abbondante di pagine e di contenuti di vita. Condizioni tristi, fatiche dure per sopravvivere, stato di abbandono per tanti, quasi alla deriva senza alcuna protezione legislativa. Sono tempestivi i provvedimenti che accrescono ricchezze per chi diguazza nei vizzi e negli sperperi. Non si soccorrono realtà che gridano sofferenze e lacerazioni. La legge è ambigua, va dove c’è ingordigia, non dove si sta come in deserti senza luce di speranza. Pasquale Martiniello è consapevole dio quanta povertà si osserva persistente in tanta gloria sbandierata di progresso civile, sensibile alle situazioni “… d’ una vita da mulo carcerato/ da rigidi confini e viottoli obbligati”. III I miseri all’intemperie; fradici, hanno il volto rigato da lacrime che scrosciano come pioggia. Questi eterni esuli, assetati, dall’ animo trafitto, spossati in sforzi di Sisifo, con gli arti spezzati che non reggono per le tante lunghe peregrinazioni, le accidentalità e le attese sempre sterili e abbattute. “La legge è un mostro che atterra/ e la si sente come un ruggito che sfreccia/ con astuzia in erbe alte e orecchie sveglie”. I versi del poeta sono mordaci, si addensano come nugoli di zanzare che non danno tregua, infestando i luoghi impantanati ove si tramano tresche, ove il torbido offusca senza sapere nulla di quello che si agita in fondo. Le poesie della raccolta “La zanzara” colme di satira acidula, lanciano aculei, gonfie come ricci sdegnati che scoppiano di rabbia, vogliono difendersi ad ogni costo. Zanzare che turbano la quiete di esseri
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melensi, turgidi di grasso, rammolliti, parassiti che spadroneggiano dentro morbide poltrone. Imbellettati e lustri deputati in villeggiature esotiche, ospiti di lussuose dimore, accompagnati dalle consorti smaglianti con pellicce e sottane lussuriose pagate dallo Stato. Avvistati luoghi tenebrosi, malsani, inquinati, “Siamo dove non è più giorno di verità/ per densità di ombre che aggrovigliano./ Troppe corde di burattini e gazze ladre./ troppi misteri nel potere e troppa pece/ di tangenti e storie maligne di faccendieri”. Poesia dell’azione persecutoria, si rinfacciano tanti mali diffusi: violenza, terrorismo, scandali in ogni settore imprenditoriale, avidità insaziabili, sopraffazioni a danno dei deboli, sempre tenuti nei lacci e negli irretismi. Il dilagare dell’ ipocrisia e delle fanfaronate sulla faccia dei semplici che pensano tutti gli altri uguali a se stessi, che non concepiscono l’inerzia dei loro rappresentanti alle vette del potere. IV Il volume poetico “La zanzara” di Pasquale Martniello sembra prosastico, ha tanta profondità di sentimenti, con l’indignazione va in espansione, ingenera polemiche ed emozioni. Le pagine sono piene, le espressioni si movimentano con irritazione, hanno pluralità di aspetti, per il lettore efficaci e grande valore, scorrono amplificate, ricche di metafore. Il poeta non ha mani delicate né flebile voce, ma ardore che viene da carattere impulsivo, i suoi pensieri maturati e ingigantiti sapendo vedere tutto: arti come metalli, schiena forte, tutto un corpo incrostato che tiene saldi principi, fattosi resistente e perseverante in fatiche inesauribili. “Nodosa zappa in terra avara/ presto stirasti le mie vene/ addolorasti la tenera schiena/ sotto il peso di ceste di pietre./ Allora prima del sacro boccone/ si tirava forte la cinghia rendendo/ più stretto lo spazio e più stanca/ la fame”. Si vogliono annientare mafia e camorra, infiltratesi ovunque,, il protagonismo, le ruberie che si considerano fatti normali entro la cerchia dei malfattori che con baldanza vanno altezzosi e sicuri dell’ ambiente politico costituito da anarchia. Tur-
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pitudini, deformazioni e trasgressività, edonismo, facce proterve che non sanno più gli aspetti genuini e la onorabilità. “In ogni orto fiorisce la rogna”. Il poeta ha sguardo profondo, intravede da lontano tutto quello che si muove: tergiversazioni, illealtà, incoerenza. Occhio esperto che indovina ogni insano comportamento, i furtivi passi che si fermano per appostamenti contro che a viso aperto si fa accusatore di irrazionalità, di infingardaggini, cause di rovine sociali a catena. Non si crede a vivere in una società in gran parte disgregata, senza valori, frenetica, insoddisfatta. Non si sa che cosa si vuole con il dilagante consumismo che fa disamorare, non apprezzandosi nulla. Quello di oggi non vale domani. Regresso con l’era tecnologica e l’arrivo del nuovo millennio, che avrebbe dovuto essere correttore di guasti sul piano della democraticità, aggregando con modi giusti i rapporti tra gli individui, tessendo legami di continuità, idee di coordinamento per togliere asprezze egocentriche che danno solo ostilità ingannevoli. V Pasquale Matiniello fa capire che occorre sanare le strutture pubbliche traballanti, rinvigorire la collaborazione. Oggi difficile colloquiare: l’interlocutore sfugge selvatico, non ascolta e diventa logorroico, fanatico, dando l’impressione di essere distratto. Le parole si sovrappongono, si urtano tagliandosi, non si traccia una via chiara di discussione per dove andare insieme. Il dialogo si fa vortice di parole dirupate, che cadono precipitando, non si articola né dà risultati logici d’incontro. Realtà proteiformi e mascherate senza occhi e limpidezza, stralunate, simili a massi arrotondati, non sai da dove vederle. Infingimenti, mistificazioni e discorsi camuffati, ermetici, spezzettati, fanno parte delle nuove virtù dei nostri tempi. La verità tutta luce genera odi, “…è una vipera che morde/. La si trova inchiodata alla croce/…Nessuno la vuole sulle spalle proprie”: Ci si aggira in un ginepraio che tutto tiene, una mescolanza di disparità di elementi, l’uno contro l’altro, gareggiando
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indispettiti e arroganti. Ci si allontana dal buon senso, con strappi violenti dalle tante radici che abbiamo, dai legami e comunanze di rispondenze e simmetrie. L’era tecnologica e la meccanicità diffusa hanno portato scissioni, tutto in una stravaganza di forme, si è quasi in uno stato di sospensione. Si è distrutto, travolgendolo, quello che apparteneva al passato. I piccoli paesi, i borghi, le campagne con i contadini e l’artigianato hanno perso il loro volto. Si è sfigurata la civiltà rurale con una vita più umana, fatta di virtù, di laboriosità, di perseverante volontà e di fede. Non si vedono animali e uomini in reciproca intesa né i rudimentali strumenti di lavoro, forti e maneggevoli. Macchine mostruose hanno creato solitudine, l’armonia di voci per i campi pieni di luce e l’appassionata solerzia si sono tramutate in tristi monotonie. VI La civiltà dei tempi moderni “ Ha spento voci millenarie di stalle/. Da colline a valli non vibra nota/ di raglio e muggito. È morta la vita penosa/ del contadino sposo aggiogato alla terra”. I versi dell’opera “La zanzara” sono scolpiti con materiale duro: l’erompente slancio, tolte le tante schegge, ha fatto venire fuori figure nitide che balzano davanti al lettore in tutta la loro prominenza significativa. La poesia di Pasquale Martiniello non ha nulla della declamazione vuota, altisonante, è voce risentita, amara interiorizzata e gridata con vorace spinta intellettiva. Non abbiamo la pura sonorità, è realtà rappresentata, quella che si vive sempre in consostanziale unione con la propria carne ferita. Il poeta, sensibile ai fatti sociali, è vicino alla gente umile, alle sue esigenze che non vengono seguite dai parlamentari in gran parte incompetenti e presi da interessi personali. I problemi di carattere generale non sono trattati: mancano impegno morale, volontà di intervenire a causa di una confusionaria politica polipartitica, che non riesce a intraprendere un cammino fattivo di realizzazioni. “ Mai cupi e rissosi i tempi come/ questi malati e urlanti./ Mai tanti capi senza sciabole/ e preti senza stole” . Una con-
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nivenza tra personaggi privi di autorevolezza, di dignità patria: burocratizzati, politicizzati tutti, compresa la giustizia, non c’è un piano di lavoro concordato, ma un sovrapporsi reciproco per difendere la propria clientela con sperperi e corruzione. La terminologia poetica ha capacità espressiva di rara ricchezza. Non ho mai letto versi di tanta virulenza. La poesia di oggi è artificiosa, formalistica, vuota, priva di originalità, avulsa dalle realtà che ci sono intorno, non le interpreta e non sa dare dei contenuti capaci di fronteggiarle. “ I mille frantumi si aggregano/ e fanno un coccio sinistro/ con dentro germi letali/ col vizio dei lupi”. VII Tanta parte della poesia contemporanea non sa trovare fonti salutari cui attingere, è senza sostanza intellettiva, non ha sensibilità di compenetrazione, ermetica procede stentata, fredda non fluisce dai precordi, solo apparenze che non rivelano interiorità né emozioni né pensieri sofferti. I versi di Pasquale Martiniello sono sotterranei, hanno larghi spazi, legami con la storia, il culto dell’arte e delle tradizioni, fermentano per entro passioni connaturate. Martiniello si serve di un linguaggio stratificato che esplicita vita vissuta, che arriva da osservazioni ed è di forte spiritualità. Nella concretezza espressiva fluisce con continuità portando cose, figure e situazioni, ha una prontezza intuitiva che corre a prendere di qua e di là mediante riferimenti, individuando similarità, venendo fuori una poesia ricca di simbiosi e di antropomorfismi: verità polimorfa, organica, i particolari si uniscono al tutto, non si hanno spaccature e aridità o eterogeneità, ma naturalezza piena, evidenziata. “Radici non hanno i sermoni/ brillanti dei politicanti. Sono scintillanti come stelle di gennaio/ o dorati come di calabroni il saio/ o i calici di ghiande lucidate/ con stracci di lana da sedurre l’occhio/ del mercante…”. Le pagine del volume “La zanzara” sono aliene da retorica, scorrono come acqua di fiume, prendendo colori e sapori dei luoghi che attraversa, in lunghe estensioni coprendo terre, appianando
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scoscendimenti, tutto riempiendo, come fasciando il reale che ci contorna. Si rivelano fatti andando in profondità, tutto vedendo e sentendo. Poesia eloquente, poiché tiene fissa la realtà, squadrandola e sezionandola con ricco e variato frasario, in compostezza di svolgimento logico-morale. Caustica, satirica, affrontando gli aspetti politico-sociali dei nostri tempi, valutando costumi, modi di agire, caratterizzazioni dell’epoca tecnologica, che crea alienazioni in una società disgregata, classista, aggressiva con una vita politica che non mira agli interessi di tutti né genera pacifiche convivenze. VIII Pasquale Martiniello epigrammatico. L’ indignazione scrive versi densi, con irruenza portando fuori materiale prezioso, legato a riflessioni e a momenti di meditazione. L’opera “La zanzara” realistica, con vitalità complessa prodotta da osservazione e dai sentimenti, con ordine e ritmo, cadenzata in sequenze che con geometrica precisione, incisività, completezza descrivono quadri chiari di vita e di ambiente. Inquadra idilli e rievocazioni che riportano a luoghi, tempi ed emozioni del passato. Una ricchezza di figurazioni, di opere e giorni che vanno lungo il cammino segnato con il loro fardello. I ricordi sono ricorrenti, riemergono luminosi con virtù e industriosità, capacità di resistenza, affetti. Tracce del mondo contadino, esemplare per coerenza e dignità, lineare agire si ritrovano ancora ai nostri giorni. Il poeta le mette in risalto in contrapposizione con gli ammorbamenti portati sul costume dalla tecnologia e dalle aberrazioni della modernità. Il lavoro appassionato della gente di campagna del passato aveva architettato caratterizzazioni di metodicità e di perseveranza, un alcunché di religiosità che stimolava a collaborare, a sentire le sofferenze degli altri. “Chi lavora non di lingua penna o matita/ ma di braccio e schiena e sente il sudore/ uscire dalle gonfie vene e penetrare giacca/ e pantaloni dovrà scuotere il Dio della croce”. Siamo nei luoghi aprichi, all’aria brillante della Natura, sui campi movimentati da
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uomini e animali, in armoniosa convivenza. La Provvidenza, le stagioni favorevoli fanno pensare una ricompensa alle dure fatiche. La memoria in evanescenti immagini pulsa nostalgica in chi ha amato quei tempi passati, visti oggi in piena felice atmosfera, in spontaneità di contatti, tutti presi nelle maglie forti delle tradizioni tramandate da generazione a generazione e di una cultura della vita fatta di saggezza e di esperienze ataviche. Oggi la tecnologia cambiamenti e alterazioni hanno scomposto le parti più vere della natura umana, materializzandosi tutto, interiorità e modi di vedere. Una estesa coltre di inquinamento sulle qualità individuali: oscurata la volontà, negati i principi fondamentali morali e sociali. La civiltà odierna inaridimento ha gettato in tutti i sensi, ha “…seminato il silenzio e rotto il tempo”, ha…corrotto la terra di veleni e spogliato siepi/ vestendole di cemento…”, ha “…creato solitudini/ nel cuore e recinti di ville inabitate e cicalecci/ di trattori nei campi muti allo sguardo fugace/ di trebbie- mietitrici/. Piangono aie affogate/ da erbacce./ Spaventano bocche slabbrate di forni/ guasti e occhi tetri di pozzi puzzolenti. La tecnica l’ anima antica ha ucciso dei rurali/ sfossati dalle catapecchie…”. IX Abbiamo un terreno infestato in mille modi da demagogia, da ipocrisie, da confusioni ideologiche, ampiamente ricoperto da spaccature, da acquitrini, frane dovute a disboscamenti, da aree verdi smantellate. Pasquale Martiniello percuote con una specie di nenia ossessiva, inasprito per i mali diffusi nelle varie amministrazioni: troppi scandali e rovine da arpie perpetrati sui beni pubblici. Esacerbazioni covate da tempo fuoriescono con voli di zanzare pronte a inoculare veleni sulle parti malsane, su inettitudini, abulie, sulle trame insidiose che tessono malesseri economicomorali. Il terreno è ammorbato, le zanzare si addensano in gruppi turbolenti, attirate dal lercio, da acque marce, da vischiosità, da aggregazioni di incorreggibili furfanti. Individuate tutte le forme morbose che rodono le
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strutture istituzionali per assenza di impegno operativo, per losche macchinazioni che corrompono tutti i punti dell’apparato politico. Il trapasso dal dopoguerra alla nuova civiltà cosiddetta moderna è stato fortemente coinvolgente, una specie di invasione di cavallette: alluvioni, disastri fatti dall’indolenza e dall’ avidità di denaro, dalle ambizioni e dalle voracità belluine degli arrivisti. Pasquale Martiniello segue con animosità le disarmonie e le frantumazioni di una società caratterizzata da grandi progressi: “Tanti vuoti e buchi nel tessuto delle coscienze sono croci dolenti/ che restano nei depositi dei rottami”…”Oggi tutti strapagati con mille privilegi/ questi baroni delle ville d’oro”. Una specie di medioevo che ha buttato la classe dei poveri in recinti che sono ghetti, lontani dai gangli oscuri del potere. Denaro speso male, in gran parte andato in spartizioni nelle mani di abili e astuti amministratori per opere che al paese non hanno prodotto i miglioramenti attesi, costruzioni di vere cattedrali nel deserto. Le zanzare pestifere le vediamo pure sulle ipocrisie di propagande ecumeniche: siamo sempre lontani dalla sospirata uguaglianza fra i popoli, abbiamo accorciato le distanze, ma stimolato nel contempo razzismi e guerre. Le argomentazioni portate nel volume “La zanzara” vengono da un poeta battagliero che con instancabile forza sa additare al pubblico assennato i luoghi mefitici, infetti dello Stato. L’opera che leggiamo è di forte impronta civile, di grande interesse, va diffusa per il suo valore didascalico: ci presenta confrontati tempi diversi, l’involuzione e i processi di dissoluzione subiti che hanno sradicato i principi fondamentali per una vita pubblica morigerata. X Ci si ricorda di Tommaso Hobbes, il filosofo dell’Homo homini lupus, del suo Leviatano, bestia mostruosa che oggi sarebbe di grande utilità, la sua terrificante presenza incuterebbe timore, mettendo freno al caos politico. Il Leviatano con le sue regole che hanno tanta vicinanza con il Vangelo, “Quod tibi fieri non vis, alteri non faceris”. I patti con-
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cordati vanno rispettati, occorre restituire i benefici ricevuti, sempre adattarsi agli altri. Per quanto riguarda le punizioni non si deve pensare al male ricevuto, ma ai vantaggi futuri. Non mostrare odio verso gli altri, riconoscere l’altro uguale, non bisogna pretendere di avere dei diritti solo per sé, si sarebbe arroganti. L’uomo deve escludere quelle azioni che non permettono di preservare la propria esistenza. Riconoscere l’obbiettività dei valori morali. Abbiamo nel nostro tempo un’ anarchia imperante, uno stato di natura che non mette limite alle voracità, ai libertinaggi e spadroneggia menti. Andrebbero bene insieme per risanare i punti malati le zanzare e il Leviatano per stimolare e avere leggi correttive e disinteressate contro la delinquenza organizzata, per mitigare il materialismo eccessivo, lo sgretolamento delle famiglie, l’ esasperata modernità che induce all’automazione e all’anonimato, per eliminare le rovine procurate da “furbi e trasgressori e asociali”. Una politica di raggiri e di loschi comportamenti contrasta molto con gli sviluppi considerati civili, con le ricche e nobili tradizioni. Così la diffusa connivenza fra i mafiosi e “legulei di grande coppola” che si dimenano con vivacità teatrale, farse e discorsi astuti, logorroici che corrono come scoppi di “incendio di boscaglia in colori e vibrazioni eclatanti”. Mi sembra di leggere, scorrendo le pagine del poeta Pasquale Martiniello, autore fra i più rappresentativi della letteratura del Novecento, per complessità e profondità di pensiero Dostojevskij con le sue lacerazioni, il suo realismo che supera tutte le realtà. XI Va difesa la gente che è andata sempre con presenza schietta, alla luce del sole, che conosce accidentalità di ogni tipo, che si è difesa con le proprie energie, lungo cammini erti con indipendenza e umana sensibilità verso gli altri. La poesia di Pasquale Matiniello è espressione di vita sofferta e tenuta forte con orgoglio, senza cedimenti, con carattere adamantino, innestato su saggezze e intelligenza pura. Una vita costruita con gli esempi di la-
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boriosità, tramandati dall’ambiente a lui vicino, con gli affetti e convinzioni radicate. Vicino alle esperienze della gente rurale sana, in stretta colleganza con le fonti di vita integre, corroboranti e alimentatrici. Risuonano nella mente ricordi di altri tempi, luminosi e sfavillanti di semplicità e di abnegazione. “Tu nel duro cavo della sinistra/ stropicci la spiga fulva e con l’altra/ la mulini./ Spogli i chicchi d’oro trituratane/ la veste e con soffio la pule balza/ dall’aia della mano”. Visioni splendenti nello spazio aperto, vicino alla Natura provvida. Siamo distanti dalle speculazioni, dagli intrallazzi che danno illeciti guadagni. L’uomo e la terra, alma nutrice, generosa che distribuisce le sue ricchezze, “madre dolorosa che da sé si veste regina/ e si fa poi pezzente cibando il buono/ e il cattivo con rito di pellicano”. La passione per il lavoro: il contadino del passato, onesto, contento del poco, le sue esperienze maturate in una vita intera e le sue applicazioni assidue “con parole d’amore per sogni colmi/ di biade in aie operose nei cieli estivi”. In spazi salubri si viveva la vicinanza fra terra e cielo, quella che con la civiltà tecnologica non si ha: lo sguardo in basso frugando come vermi i rissosi politicanti, parassiti infangati nei vizi e nelle perversioni. XII Cristo “Non ama i fanatici ubriachi di chitarra/ i frastuoni di stormi di campane”, ma guarda nel silenzio “intenso dell’anima” il pianto dei miseri e degli umili, degli affaticati, degli idealisti che vogliono giustizia e uguaglianza. Odiati sono “Gli avanzi di galera”…,”gli eroi/ che modellano questa società”. I malfattori, nemici del prossimo, dilapidatori del bene pubblico, hanno il capo riverso nel calderone, sono infossati, non vedono il cielo. Dio non li conosce, questi esseri insolenti e vanagloriosi, coperti da carne flaccida, attorniati da zanzare avide di umori tetri. Pasquale Martiniello con la sua poesia raggiunge i punti più alti, le cime che svelano colore, luce e l’azzurrità degli spazi. Estrinseca la consuetudine avuta da sempre, per dovere morale, spirito di partecipazione e sensibilità
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di profondo critico, di osservare il nostro tempo nei suoi vari aspetti: di lati positivi ne vede pochi, tante le estrosità che fanno rumore con scarsi frutti. Indagatore acuto, va nei luoghi del potere e in tutte le parti istituzionali che amministrano la vita sociale, ove la realtà quasi sempre viene vista con occhio de formatore, non compresa nelle sue carenze, non raggiunta con tempestivi interventi, secondo quelle norme di impegno operativo che mirano al vero progresso dello Stato. Leonardo Selvaggi Comuni fiorellini gialli malva bianchi nel tappeto erboso del giardino Mi ci sono seduta in mezzo alle api per bottinare il giorno La poesia sarà il mio miele Béatrice Gaudy Francia
↓D. Defelice: Fiori in giardino (acquerello, 1970)
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Risposta alla Lettera Aperta di Marina Caracciolo a proposito del mio saggio:
“IMMORTALITÀ: VIAGGIO NELL’ASSURDITÀ” (M. Caracciolo, Pomezia-Notizie, Marzo 2016, pg.38; A. Pedrina, PomeziaNotizie, novembre 2015, pg.32) di Aida Isotta Pedrina
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entile Signora, La ringrazio per la sua bella lettera, che ho trovata ricca di sentimenti autentici e di significato; apprezzo sinceramente il suo interesse e la sua partecipazione emotiva, tuttavia, confesso che alcune parti di questa lettera mi hanno lasciata piuttosto sorpresa e un po’ perplessa. Forse nei miei scritti non si nota, ma il mio modo di essere è tutto l’ opposto di ciò che lei sembra pensare, cioè, che io abbia cercato d’influenzare i lettori persino con parole “a caratteri cubitali”; parole che invece, sono semplicemente dovute al fatto che quando scrivo su qualsiasi soggetto interessante, mi lascio prendere dall’ entusiasmo che a sua volta, genera nuove idee, immagini, e pensieri. Ciò non vuol dire che tutte le idee o i concetti presentati facciano parte del mio credo personale; in verità, scrivo solo perché è bello, e perché mi piace e non mi sono mai affannata per convincere nessuno. Sono molto timida (ma non quando scrivo!), e ho per anni, coltivato un certo distacco dalle discussioni e polemiche letterarie; anche se interessantissime, preferisco non partecipare ma tenere la mente aperta a tutte le possibilità. Vorrei anche chiarire che non è stata certo mia intenzione tacciare i credenti d’ignoranza e superstizione; questa idea non ha mai fatto parte del mio pensiero, e ora le spiegherò il perché: da giovanissima ero molto religiosa; i miei primi studi furo-
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no al Convento del Sacro Cuore a Bassano, e poi al Convento delle Dame Inglesi a Vicenza; avrei voluto farmi suora, ma il Papà non volle permetterlo. Ora, malgrado i dubbi e la consapevolezza della corruzione ecclesiastica, non rinuncerei mai alla mia religione cattolica, e ho un grande rispetto per coloro che mantengono viva e operante la loro fede; di qui la mia sorpresa nel leggere questa parte della sua lettera. In quanto al “deturpare’’ e “offuscare”, non ho detto che erano dovuti al concetto dell’ immortalità, ma alle umane emozioni di Paura e Speranza, cioè, la paura della colpa, del peccato, delle punizioni divine e non, etc., e l’ eterna speranza di una vita migliore, di bontà, di protezione, di amore e di conforto spirituale; queste profonde emozioni che fanno parte del nostro essere e del nostro sentire fino alla morte, sono state sfruttate al massimo dal potere religioso per ragioni di ambizione, di avidità, e di controllo, come lei stessa dice nella sua bella lettera aperta. Sostengo che il corrotto potere religioso non solo ha deturpato e offuscato la mente e la gioia di vivere di milioni di esseri umani, ma ha anche tolto loro la vita: e per millenni. In un’altra parte della sua lettera, ciò che mi ha perplesso è che lei abbia scritto: ”…Lei non cita mai Gesù Cristo, non lo nomina neanche di straforo….”; il mio non è un saggio su Gesù né sulla religione; è semplicemente un saggio libero, e, se si vuole, un po’ pagano, senza motivi né intenzioni, che, dopotutto, non parla di convinzioni personali, ma di concetti universali che esistono da millenni; è anche uno scritto che parla di assurdità umane, che contiene tocchi di umorismo, d’ironia, di benevolo cinismo, e persino di finzione scientifica; immischiare Gesù Cristo in questo saggio sarebbe stato non solo fuori luogo, ma anche una gran mancanza di rispetto per l’Altissimo da parte mia. E qui, gentile signora, mi perdoni se digresso
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brevemente dalla mia risposta: dato che sto parlando di Gesù, a quei lettori che leggendo il contenuto piuttosto controverso del mio saggio, hanno chissà, supposto che sia dovuto al fatto che io non sia credente, o che non abbia “…ancora bene introitato…” Gesù, vorrei dire che da quando avevo otto anni, ho sempre avuto e ho tuttora, un grande amore per il Sacro Cuore di Gesù, per la Madonna, e per Sant’Antonio; infatti, ho ancora il piccolo libro di preghiere della Prima Comunione — con la copertina di pelle bianca ormai ingiallita e consumata in più punti — con dentro i loro Santini. Un libricino questo che mi fa sentire tanta nostalgia quando lo tengo fra le mani, e che contiene “Inno allo Spirito Santo” la cui musica mi è così cara, e mi commuove a tal punto, che a volte ancora lo canto con le lacrime agli occhi. E nel cuore porto il vivo ricordo della bella Chiesa profumata d’ incenso, dell’organo prorompente, della musica sacra, del coro che innalzava a piena voce questo bellissimo Inno, e il tutto pervaso da quella purezza spirituale, e da quella sublimità di emozioni che non ho mai potuto trovare altrove. Ritornando al mio saggio, lei avrà certamente notato dei passaggi che richiamano il panismo, il buddismo, l’induismo e alcune tradizioni filosofiche dell’antica Grecia; ebbene, mi trovo completamente a mio agio non solo con la mia fede Cristiana, ma anche con l’ethos di varie e antiche religioni e filosofie, e spesso ne condivido il pensiero e i valori spirituali. Ora, meditando su questo, grazie al suo interesse e alla sua viva partecipazione, mi sovviene un passaggio che ho copiato anni fa da un libro di filosofia orientale, e che mi sembra pertinente al tema del mio saggio: ”… Quei concetti che cercano di esprimere o riducono l’Inespressibile in parole, provocano spesso dubbi. In ultima analisi, la nostra vita dopo la morte è al di là dell’umana comprensione. Discussioni e supposizioni sopra il mistero dell’essere e dello spirito dopo la morte, potrebbero essere sbagliate o inutili perché sono solo un tentativo di dare un significato terreno e umano a un mistero insondabile….
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(“Light from the East”: a gathering of Asian Wisdom”; “Luce dall’Oriente: una raccolta di saggezza orientale”, tradotto dall’inglese da Aida Pedrina). E ora, gentile signora Marina, veniamo al mio modo “un po’ ingenuo”, come lei dice, di descrivere il paradiso come “un grandioso Resort cosmico”; facevo dell’ironia, però so di che parlo, e in questo caso, non sono “discorsi per bambini”. Ho vissuto, e sono stata per anni aiutante volontaria nel getto di Honolulu; per queste centinaia di famiglie poverissime che vivevano in condizioni orribili, che pativano la fame tutti i giorni e dormivano per terra, e alle quali erano stati tolti anche i diritti umani, il paradiso era presentato proprio così, come un grand-hotel di lusso, e non solo dai sacerdoti e dalle suore, ma anche da noi volontarie per dar loro sollievo e speranza e per incoraggiarli a tenersi lontani dal male. Era cosa di tutti i giorni, dunque, il parlare del paradiso come un bellissimo luogo nel cielo, dove tutti potevano andare se erano stati buoni e se avevano amato Gesù. Si diceva che nel paradiso le malattie non esistevano, che tutti erano belli e sani, serviti dagli angeli, con tanto buon mangiare tutti i giorni e un bel letto soffice per dormire; inoltre, tutti avrebbero potuto vedere Gesù, la Madonna e i Santi tutti i giorni e parlare con loro. Ricordo che questa bella (e ingenua!) immagine del paradiso era importantissima per questa povera gente, era il loro sogno, e ne parlavano spesso, particolarmente gli anziani devastati dalla povertà e dalle malattie, che avevano anche passato la vita intera sopraffatti e oppressi dai soprusi e dal razzismo. Sì, perché a quei tempi alle Hawaii, oltre ai dolorosi pregiudizi dei bianchi, il razzismo da parte degli orientali era feroce e non solo verso i poverissimi. Si pensi che mettevano addirittura annunci sul giornale per lavoro, per affittar case, per vendite, etc., con scritto sotto in grande: “Japanese preferred” o “Oriental preferred” e anche “ Japanese only”, cioè: “Diamo la preferenza ai giapponesi” o “agli orientali” o “solo per giapponesi”. Era cosa tremenda l’odio di questi razzisti e ne sono stata vittima anch’io; ma
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questo è materiale per un altro saggio! A proposito di un altro particolare da lei citato, quando parlo dell’anima sperduta nel “buio pesto e gelido silenzio”, dovrebbe invero far sorridere perché è solo “science fiction”. Mi è piaciuto il suo commento sul “concime del futuro” che ho presentato nel mio saggio come una delle possibilità del nostro destino dopo la morte; anche se facevo dell’umorismo, forse questa non è un’idea tanto stravagante come lei pensa; infatti, devo dire che le belle immagini nella sua lettera del campo di grano e del frutteto, mi hanno fatto pensare che non sarebbe male provvedere con “le nostre ceneri” o “resti mortali”, “un bel piatto di insalata o di legumi” a qualcuno che potrebbe avere tanta fame, o rendere “più rigogliose le spighe di grano” e “più succosi i frutti di un pesco o di un ciliegio”; grano solare e succosi frutti: cose meravigliose queste che potrebbero portare tanta gioia e salute ai viventi! Gentile signora Marina, le sono oltremodo grata per avermi dato l’opportunità di dar voce ai miei sentimenti e di chiarire alcuni punti del mio saggio; ciò che ho avvertito maggiormente nella sua bella lettera aperta è la sua profonda sensibilità, la sua saggezza, e il suo grande amore per la nostra fede; leggo sempre molto volentieri i suoi articoli in Pomezia-Notizie; la sua bellissima poesia : “A Gianni Rescigno” nel numero di giugno, mi ha commossa e, particolarmente i due ultimi versi: “…Fanno concerto, intonano i tuoi canti/mentre ascolta in silenzio il paradiso.” Mi commuovono anche ora mentre le scrivo! Ringraziandola per i suoi bei complimenti sul mio nome, colgo questa occasione per esprimerle tutta la mia stima. Tante cordialità. Aida Isotta Pedrina
CARA, IL PESCO Cara, il pesco che divorò il vitello più vellutati frutti
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ha maturato. Non è mistero la morte: eredità perenne a noi perviene dalla foce materna. Respiro, ecco, respiri! Eppure zolla siamo, albero, acqua. Domenico Defelice
BEI SOGNI AZZURRI DEI VENT’ANNI Bei sogni azzurri dei vent'anni quando ci bastava un sorriso visto e non visto tra un mare di volti a lievitare il cuore di vane speranze... Speranze labili come gocce sui vetri fragili come bolle iridescenti che una lama di vento mette in fuga. Accendevamo fuochi in riva al mare... Cenere resta delle nostre bugie cenere calda che un soffio disperde... Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)
Domenico Defelice: Il sogno del nonno (china, 1960) ↓
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Il Racconto LA NOTTE DELLE ERINNI Corto tra mito e realtà di Filomena Iovinella
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ON era ancora buio, i capelli coprivano il volto mentre il fantasma tentatore cercava, senza trovare, quel sonno che non sopraggiungeva. Tentatore di spine, quella notte, che, invece, si osservava attraverso quei lunghi e lisci capelli, almeno loro addormentati, e pungeva i minuti lasciando la visione di un sangue troppo caldo per mettersi a dormire. Non era altro che un passaggio nella notte delle Erinni. Il corpo stava fermo, immobile fin troppo immobile per un moto ematico forte. Endemico era quel passaggio lunare. Gli astrologi, quella nottata la riassumevano e la dipingevano come un transito sfavorevole di pianeti contro, le case astrologiche sbagliate, le stelle in opposizione e roba così (non me ne intendo di oroscopo), ma come i meteorologi, costoro, oramai sono seguiti ed interpellati quotidianamente. Nel mondo il meteo che riporta la pioggia o il sole e l’oroscopo il transito della luna sono, di ogni sacrosanto giorno, materia fondamentale. Malattia endemica, che bolle lascia, su tutto il corpo per quel sangue ribollito tra insetti infetti in terre disinfestate dal sapore dell’ amore. Le Erinni giungevano a conquistare il chiarore lunare e riempivano il corpo di quella luce che creava mitica l’abbronzatura di immortalità notturna. Infatti, sonno non giunge, e tu con la tintarella dell’argenteo satellite, roteante intorno a noi, ti crogioli in un lungo malanno notturno di lancette del tempo, maledettamente lente… loro le ore, tu il tormento. Poi arriva che vanno via, le indomite, sghignazzando con la pancia piena d’ aria e di ribollo e tu il risveglio e la vita. Terra, riprenditi l’umanità Ci sono umanità disarmate e indifese prive di ipocrisia e rivolte verso il sole. Ci sono umanità armate e in lotta per il potere, costantemente, che vivono di strategia e ipocrisia insita nell’essere in scalata perenne e
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rivolto verso le tenebre e l’oblio. C’è una sola umanità che vive di queste entrambi anime e da sempre i celebratori esperti mettono insieme il dualismo esistenziale del bene e del male per cercare di venirne a capo. La terra è un’altalena bella su cui dondolarsi e di tanto in tanto ricordarselo è davvero un gesto intelligente. L’altalena è tra le cose più intellettuali, all’avanguardia, moderne, persino percussioniste di un tempo che qui è al futuro. L’altalena è tra le cose che ancora ci resta a qualsiasi età. Si! A qualsiasi età, anche alla nostra! Amabilità. Filomena Iovinella NON ESISTE L’AMORE Lo strato orizzontale marciscente, la Natura al ricambio degli esseri che cadono. Le radici vive dal terreno primaverile rispuntano. L’ala della fantasia si innalza contro gli angoli ispidi dell’egoismo. Sovrapposizione nello scontro, i passi che percorrono la strada hanno l’assillo di afferrare l’altro. L’amore senza sublimazione, e neppure le mani che vanno dirette all’incontro. Non esiste la follia dell’uomo romantico, non ci si volta indietro per un furtivo sguardo, non c’è un cuore trafitto, un cuore assente che dentro ha le trepidazioni. Impegni affettivi in successione, i rapporti di piacere hanno una trattativa, tutte le ore sono buone. I corpi si legano negli amplessi, si nutrono insieme: facile scambio di contatti per essere sazi, si ritorna ancora insieme, altro travaso di voglie di nuovo ribollenti. La persona sensibile ai sogni, pure l’aria sollecita la pelle e i pensieri diversi vanno da soli vaganti, sono farfalle felici in alto librate. Le mani fredde di innamorati, gli occhi stanchi di cercare nella folla, di stare fuori nelle attese per intravedere nell’ombra il volto pieno chiaro la pupilla che ferisce il cuore. Leonardo Selvaggi Torino
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IL TRAPIANTO di Antonio Visconte
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A signora Amalia, come si dice in gergo volgare, era una santa donna, sempre dedita alla casa e a portare avanti la famiglia, composta da due figli. Il primo, di nome Aniello, bravo sonatore di clarinetto nella banda musicale di Casapulla, si era tolto dai guai e arruolatosi nell’esercito, mangiava un pane sicuro, il pane del governo. Un bel giorno il marito Demetrio chiamò in disparte il secondo figlio e gli disse: “Caro Peppino, ho speso tanti quattrini, per mandarti a Formia, alla scuola di taglio e cucito, e non mi hai deluso, diventando il migliore sarto del paese, come lo ero io, prima di cederti la bottega. Purtroppo il nostro mestiere è finito e l’automatismo ci ha mozzato le ali. Non possiamo convivere solo con gli aggiusti e con i pancioni. Con le mie amicizie ti ho procurato un posto nel personale civile presso l’ Aereonautica Militare di Caserta”. “E tu cosa farai”, gli domandò Peppino, “con questa modesta pensione di artigiano”. “Ho pensato anche a me”, aggiunse mastro Demetrio, “aprirò un bar al centro della città”. “Un altro bar”, esclamò il giovane, “non bastano quelli che già ci sono”. “E qua ti volevo”, precisò il padre, “bisogna lavorare di fantasia, con una bella polacca in minigonna, tutta la clientela sarà mia”. Il sogno di Demetrio si avverò nel migliore dei modi e oltre alla ragazza di nome Barbara, ingaggiò anche la madre di nome Monica. Ci rimise le penne la povera signora Amalia. A causa della promiscuità che regna nei bagni, prese un’infezione e aveva bisogno del trapianto di un organo importante. Si recarono a Milano, ma non trovarono la misura giusta e furono costretti a ripiegare a Parigi. Demetrio si lamentava e la segretaria dell’ospedale lo riprese. “Non siamo indietro a nessuno”, argomentò la donna, “è soltanto questione di malcostume. In Francia la scienza risulta a servizio del popolo e qui da noi è solo un privilegio delle persone ricche. Teniamoli nelle cliniche pri-
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vate quei due luminari, che riescono a trapiantare, il nostro ospedale è già pieno di denunzie”. Mastro Demetrio si accese di orgoglio. La salute della moglie passò in secondo ordine, dopo che aveva allacciato una relazione amorosa con Monica. La sua ambizione mirava a conoscere personalmente i luminari, ricevere un autografo ed esporlo all’interno del locale. Mentre Amalia giaceva in ospedale per le analisi, i due amanti passeggiavano per Parigi, ammirando i monumenti della città. Presero alloggio in periferia e si trovarono puntuali alle otto del mattino, ma non si vedeva ancora nessuno. L’anticamera appariva deserta. Demetrio divenne impaziente e montò su tutte le furie. “Stai tranquillo e non ti agitare”, gli sussurrava Monica. “Ma che paese è questo?” strillava il povero uomo, “dove sono i luminari, dove stanno gli scienziati, dove risiede l’ equipe, chi deve operare mia moglie?” Afferrò il telefono e chiamò con rabbia. “Vi ho mandato il chirurgo”, rispose la segretaria, “è mezz’ora che attende”. “Qui non si vede nessuno”, ribatteva Demetrio. “Mi sembra strano”, aggiungeva la segretaria, “aspettate che vengo”. Demetrio diventava sempre più furioso. “Eccolo là il chirurgo”, indicò la donna. “Quel misero ragazzotto, con le scarpe rotte e la camicetta bucata è il chirurgo?” “E non sapete che in Francia i ragazzi al quinto anno di medicina già praticano i trapianti?” Demetrio batteva i pugni contro le pareti, perché il suo sogno si era infornato e i luminari stavano in cattedra ad insegnare ai giovani gli ultimi traguardi della scienza medica. L’intervento riuscì a perfezione, ma non concedeva che dieci anni di vita. La notizia si sparse in Campania e migliaia si pazienti partivano per la Francia, per trovare in quella nazione una soluzione che l’Italia non poteva offrire. Antonio Visconte
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OLTRE L’ESISTENZIALE IL CULTURALE di Susanna Pelizza più noti critici di oggi affermano che c’è una complessità strutturale e linguistica, “scenografie sintattiche e verbali” nella nuova produzione poetica di oggi, per cui la nuova ricerca di mezzi espressivi riproduce epigonicamente meccanismi neo- sperimentali. La ripresa culturale parte dal presupposto di una necessità di ricerca di nuovi mezzi espressivi non disgiunta da un’esperienza che si fa cultura. L’arte è un processo interminabile e non descrivibile come diceva l’autore dei Holzwege: ma in questo processo si fa esperienza di una formatività che consiste nel trasmettere, nell’educare a un messaggio, a un richiama culturale. “Nel bosco ognuno procede per il suo sentiero e per suo conto” (L’uno sembra sovente l’altro, M. Heiddegger “Sentieri interrotti” Adelphi) ma i sentieri fanno comunque parte di un bosco e, quindi, procedono all’interno di una dimensione. I sentieri sono dipendenti dal bosco, dentro il quale solo esistono e si autogiustificano. Per cui se il sentiero s’interrompe e se l’opera risulta indecifrabile per sua natura, tale indecifrabilità è vincolata sempre, da un’ esperienza culturale. Ora l’esistenzialismo pone tale esperienza nella sconnessione sensoriale, nell’amalgama e nell’oggettività, il culturale nello stilema e nel rimando. Il primo produce il vuoto, il secondo cultura. Il primo sperimenta nuovi linguaggi interpretativi di una realtà caotica e complessa, l’altro affronta la realtà direttamente con lo “scudo crociato della cultura che si fa esperienza di vita”. L’espansione di senso non è nell’inciampo intimistico ma nella vastità dell’apertura del rimando, non è il fecondo arricchimento semantico, ma il molteplice rilievo dei significati culturali, dove l’io diventa un Noi e la trasmissione stessa acquista una sorta di viva e complessa coralità. L’io non è ancorato in maniera epigonica a presupposti esistenziali,
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promotore di vedute personalizzate, ma il senso corale e comune di una Sapienza acquisita che spinge verso un’informazione formativa. Susanna Pelizza L’URGENZA L'uomo non ricorda il passato, cancella i fiori, nega gli alberi, nega la vita. Il concetto dei monti che era stato l'amore dei padri, è vuoto come cielo che si spoglia e riflette su quello che siamo ora. Non c'è ,paesaggio, i prati languono, niente rinasce. Ovunque l'incubo di secoli bui, che verranno senza di noi portati da venti di guerra, nel sangue di quel cosmo già oltre lo spazio del presente. Resta solo una foglia caduta dal rugoso albero già scomparso. Nulla di umano sarà il nostro futuro. Adriana Mondo Reano, TO
FELIZ CUMPLEAÑOS, TITO 11 de agosto, 2016 A ti, que te preocupas con el querer y la libertad del momento, te deseo una montaña mágica, que al subir, encuentres a cada paso un triunfo de amor. Que en tu mundo, los proyectos sean alcanzados en realidad y que las fantasías se completen en tus manos con nítida presencia y te hagan feliz para siempre. Teresinka Pereira USA N. B. - Tito è il nostro collaboratore Tito Cauchi.
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I POETI E LA NATURA - 60 di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
LO “SPECCHIO RITROVATO” DI INES
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nes Betta Montanelli, che Giorgio Bàrberi Squarotti chiamava semplicemente Ines in una sua nota critica del 2004, è una poetessa gentile nata a La Spezia, che vive a Prati di Vezzano (Sp), scrive poesie da sempre, ne ha pubblicato sette libri (o più), è pluripremiata, pluri-antologizzata, e nonostante tutto è riuscita a conservare la propria poesia musicalissima e limpida, semplice e comprensibile ma eccezionalmente profonda. In una parola, incisiva. Scriveva, tra l'altro, Bàrberi, che il suo “è un esempio intensissimo e altissimo di discorso della memoria: racconto, evocazione, vicenda, luoghi di esperienze del tempo perduto che tenacemente e lucidamente sono fatti esistere di nuovo per il tramite della parola luminosa, limpidissima, sicura ed essenziale, ed è davvero raro il caso
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di una scrittura al tempo stesso incisiva e profonda che tutto fa esistere ancora nella sua esattezza e verità, e lucida, serena, precisa come se il tempo non fosse per nulla trascorso...” Sono invero numerosissimi i critici e poeti che, oltre a Bàrberi, si sono occupati della poesia di Ines Betta Montanelli. Qui posso solo ricordare alcuni nomi, Mario Luzi, Giuseppe Benelli, Marina Caracciolo1, Elena Bono, Sandro Gros Pietro, Maria Grazia Lenisa, Pasquale Matrone, Elio Andriuoli, Vittoriano Esposito, Nazario Pardini, Paolo Bertolani, Ninnj Di Stefano Busà, Gianni Rescigno, Anna Ventura. Quanto a me, confesso che il titolo di una delle sue sillogi mi è rimasto confitto nella sensibilità e nell'immaginazione : “Lo specchio ritrovato” (Casa Editrice Bastogi, Foggia 2012). Anche perché quella donna che era sensibilissima e forte al contempo, la direttrice della Collana Il Capricorno della Bastogi, Maria Grazia Lenisa, mi ha trovato concorde nell'interpretazione dell'espressione “Lo specchio ritrovato”: “Lo specchio perduto è la Natura, per quello iato che si è venuto creando, nella seconda metà del secolo scorso, tra natura e cultura, fino a quell'espediente che è poi parte della letterarietà e si configura in assurdi sperimentalismi. Da tempo Ines Betta Montanelli lavora da certosina alla conciliazione fra natura e cultura, avendo rischiato, certamente, di essere fuori moda in tempi più sperimentali. Con la forza della sua costante ispirazione ha guarito non poche delle ferite della poesia che nella natura ha avuto in passato il suo specchio, quello specchio ritrovato che lei oggi ripropone assai energicamente.” Io, più che di iato, parlerei di tradimento della Natura da parte di una civiltà umana troppo entusiasta prima e troppo disperata poi: con le conseguenze disastrose di inquinamento globale, sia sul piano chimico che su quello psichico, che tutti conosciamo. E' anche per questi motivi che ho scelto la poesia di Ines Betta Montanelli a far parte idealmente, e in parte, della “filosofia” di
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questa mia rubrica, che nella presente puntata n° 60 compie cinque anni precisi, ospitata signorilmente da quell'eccezionale uomo di penna e di pennello (sì, è anche, da una vita, pittore e critico d'arte) che risponde al nome di Domenico Defelice. La “battaglia” portata avanti con coraggio e determinazione da Ines Betta Montanelli è il motivo principe di questo “inserimento.” Mi sarebbe troppo facile citare versi di Ines che comprovano l'importanza determinante della Natura nel rapporto con l'Umanità e la Poesia. I suoi libri sono ricchi (e fertili) di immagini, concetti, sensazioni, accostamenti più che illuminanti. Ce ne sarebbe una miniera. Forse mi sarà sufficiente (solo simbolicamente e parzialmente) citare alcuni titoli di poesie: “Gli alberi aspettano”, “Il rosso delle foglie”, “Quel giovane fiume”, “L'alba”, “Un geranio rosa”, “Un mutare di foglie”, “La luce della luna”, “E' notte”, “Ogni fiore”, “Un volo la vita”, “Una rosa rossa d'amore”, “Luna”, “Bambini sul fiume”, “Il sole”, “Dai rami del tempo”, “ Più fresca è l'aria”, “Quel volo di uccelli”. Ma la guarigione, per le anime molto sensibili, se ci sarà, sarà lentissima e lontana, negli anni futuri. Perché la constatazione della poetessa è amara: “Quel volo d'uccelli / che a trapezio remano l'aria/ verso l'Orsaro azzurrino// non sanno che tra le rupi/ e gli erbini rasati dal vento/ è rimasto il rimpianto// di un gioco finito”. (Quel volo d'uccelli). E il consiglio finale è troppo triste per poter essere accettato (con o senza riluttanza): “Non restare alla finestra del cuore./ Quello che scorgi sono solo ombre.// Case vuote.//Non ci sono più i bambini di allora./ La vita li ha gettati allo sbaraglio/ e i vecchi sono pietre” (Non restare). Per fortuna c'è un'aria di armonia, di consenso e di speranza in altre liriche: “Bambini giocano sulle rive del fiume/aspettano legnetti di acero sul filo della corrente/per farne case nane.//Giocano nell'acqua con mele rosse./Nudi innocenti rincorrono barbi argentati/nascosti tra i sassi./Lieti fino ai richiami di
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casa nella sera.” (Bambini sul fiume). Luigi De Rosa 1 - Siamo lieti di comunicare l’uscita imminente del saggio di Marina Caracciolo su Ines Betta Montanelli: Oltre i respiri del tempo (n. d. d.).
MATTINATA SUL MARE S'è levata dal mare una colomba in un cielo incolore. All'orizzonte una nave bianca, delicata come un'ave. L'acqua tremula fra le mie palme riflette il sole nascente. L'anima corre, inebriata, ed il mare, rosso rumoroso fanciullo, vuole ghermirla. Natura e mondo umano, un miracolo precario di armonia... Si levano stormi di gabbiani e fiochi gridi per l'infinito azzurro. Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)
E SOFFIARE SULLE NUBI Espando questo spazio anche tra lontane nubi che ostentano altezza dove senza alcun rumore vanno sereni gabbiani attraverso questo cielo dove percepisco immenso ed altissimo silenzio. Qui la pace par che sia come musica silente per pensieri che non ho. E' quassù che mi ritrovo alle volte ad ascoltare della pace l' armonia e soffiare sulle nubi assillate dall' eppoi. Michele Di Candia Inghilterra
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Recensioni EZIO STARNINI UN VENTENNIO PER UNA CATARSI 1925 … 1945 Edizioni Tigulliana, Santa Margherita Ligure, 2015 Nelle Edizioni Tigulliana di Santa Margherita Ligure è recentemente apparso il libro di Ezio Starnini Un ventennio per una catarsi 1925 … 1945, che aveva visto la luce nel 1978 e che è da considerarsi la sua opera di esordio, essendo stata preceduta soltanto dalla pubblicazione di alcuni racconti sulla “Gazzetta di Parma” e su “Il Rinnovamento” di Napoli. La nuova pubblicazione di questo libro è avvenuta per festeggiare i cent’anni compiuti dall’ autore il 22 luglio 2016. Il libro ha un andamento autobiografico, essendo stato scritto in prima persona, ma rispecchia al contempo il clima di tutta un’epoca, della quale l’ autore si fa spettatore partecipe e valido interprete. Il primo episodio è quello di La rivista militare, dove si narra di una parata alla quale partecipavano truppe di varie armi, cui Ezio, ancora bambino, volle assistere, nonostante la proibizione paterna, e durante la quale gli accaddero inattese avventure, come quella della caduta dal palco sul quale si era arrampicato. Ferito a un ginocchio, venne curato da una bella signorina lì presente, la quale si rivelò poi essere un’amica degli Squadristi, i giovani fascisti che sfilarono al termine della parata, la quale si chiuse col “pestaggio” di un medico “socialista”; il che valse a far comprendere al giovane Starnini che qualcosa di pauroso si aggirava nel mondo in cui viveva (siamo nel 1925). Sensazione che trovò conferma nell’ arresto della sua maestra, accusata di essere un’ “antipatriota” e una “sovversiva”.
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Questo libro descrive pertanto la lenta presa di coscienza da parte del giovane Ezio Starnini dei mali della dittatura, che sempre meglio si vengono chiarendo alla sua mente. Tutto ciò è espresso però in quella maniera spontanea e avvincente che è propria del vero scrittore, il quale non vuol dimostrare una tesi preconcetta, ma racconta con naturalezza i fatti cui ha assistito. È quanto emerge, ad esempio, da capitoli quali Memento audere semper (Ricordati di sempre osare), nei quali la retorica del Regime appare evidente, specie negli atteggiamenti dei capi, che lanciano frasi d’effetto per indottrinare i giovani e legarli alla loro causa. Lo sguardo dell’adolescente Starnini è però piuttosto critico e riesce a discernere, seppure a fatica, quanto vi è di falso in quei messaggi e in quegli atteggiamenti, che propongono (e impongono) un certo modo di vita (al che non sono estranei tuttavia gli insegnamenti del padre, convinto antifascista). Si veda, ad esempio, come egli dipinge la figura dell’ufficiale della Milizia, al campeggio delle Colonie estive, che emerge in tutta la sua burbanza o quella del Federale che fa il suo discorso con voce stentorea. Maggiormente volti ad evocare episodi d’infanzia e della prima adolescenza sono capitoli quali Per una moneta d’argento, dal quale emergono nette le figure di alcune delle coetanee dello scrittore, quali Gianna e Pierina, nella loro ancora acerba capacità di seduzione e Il naufragio, gustosa descrizione di un infortunio occorso all’allora imberbe marinaio. Marinaio vero invece Starnini diventa in Navigare, il capitolo che narra del suo primo imbarco, come “piccolo” addetto alla “riposteria di seconda”, cioè addetto alla pulizia dei piatti e delle stoviglie di bordo. Qui la gravosità del lavoro, anche se coadiuvato dalle macchine, e soprattutto i modi rudi del suo capo, mettono in uno stato di grave disagio il giovane Ezio, solo a fatica superato dalla sua forza d’animo. La descrizione del viaggio da Genova a Rio de Janeiro e poi a Buenos Aires è ricca di episodi che tengono col fiato sospeso il lettore, come quello della caduta in mare di un marinaio, poi a fatica salvato, o quello della descrizione di una violenta tromba marina che ad un tratto cresce nel cielo. Molto riuscita è anche la descrizione dell’ iniziazione alla vita del giovane Starnini, allora di solo quindici anni, da parte di alcuni marinai più anziani, che l’introducono nel mondo notturno di Buenos Aires, dove ha la sua prima vera avventura sentimentale con Olga, una genovese lì trapiantata, il cui marito, un valente avvocato, era stato ucciso dagli emissari del Regime perché “fuoriuscito antifascista”.
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Ben diversa e maggiormente ricca di pericoli è l’ avventura narrata nel capitolo intitolato New York, nel quale si racconta del viaggio compiuto da Starnini sul Rex, la nave ammiraglia della nostra marina di allora (siamo nel 1932) e del suo ingresso nella vita notturna americana, che termina con un omicidio, ma dalla quale egli esce fortunosamente indenne. Nel capitolo successivo, Il Conte di Savoia, Ezio narra del viaggio da lui compiuto su questa nave, che era uno dei gioielli della nostra flotta mercantile; viaggio che lo condusse ancora una volta in America e durante il quale conobbe il pugile italiano Primo Carnera, uno dei più famosi della storia del pugilato. Intanto nel 1940 era scoppiata la Seconda guerra mondiale e Starnini venne imbarcato su un dragamine, sul quale ricevette il battesimo del fuoco durante l’incursione di un aereo inglese, rimanendo ferito leggermente a una caviglia. La ferita era di poco conto, ma essendo stata trascurata, gli procurò un’infezione, per la quale venne ricoverato in un ospedale genovese, dove conobbe un’assistente sociale, Flora, che divenne presto sua moglie (era l’ agosto del 1943). Al nostro scrittore venne riconosciuta un’invalidità di guerra di VI categoria, per cui fu congedato. Durante la sua esperienza militare egli poté però constatare quanto deleteria fosse la propaganda del Regime, causa per molti giovani di un acritico fanatismo, che li induceva a comportamenti inconsulti e violenti. Con Brutti tempi al Nord e con Poi Genova insorse il libro si chiude, narrando le peripezie dell’ autore e della sua compagna durante gli ultimi due anni di guerra, tra brutti incontri in città e peggiori incontri nell’entroterra ligure, dove trascorsero un breve periodo di riposo nel paese natale di Flora, Valditacca. Verrà poi il rientro a Genova, già prossima all’insurrezione contro i nazifascisti, cui faranno seguito il cessare delle operazioni militari e quindi la fine del conflitto. Tra barbare uccisioni e salvataggi inattesi, si conclude così il ventennio di Ezio Starnini, il quale perviene, con la ritirata delle truppe tedesche con la sconfitta del Fascismo, alla piena consapevolezza del valore della libertà, che sola rende la vita degna di essere vissuta. A questo libro altri ne seguirono, quali Fuggiasco in Valcedra (1986) e Genova dentro (1991), che diedero l’esatta misura delle virtù di narratore possedute da Ezio Starnini; ma quel suo primo libro, dedicato agli anni della giovinezza e della sua formazione spirituale, resta il più genuino, per la freschezza e l’amore per la vita che vi traspare: ed è
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per questo che è stato opportuno riproporlo in un felice anniversario, quello dei cento anni di vita del nostro scrittore. Elio Andriuoli
AURORA DE LUCA CELLULOSA Il Croco/ Pomezia-Notizie, Novembre 2014 Dopo avere dedicato una immediata presa visione, come è d’abitudine, Cellulosa, raccolta poetica vincitrice del 2° Premio Città di Pomezia, si era nascosta, è il caso di dirlo, sotto una pila di carte, insieme con altri scritti sfuggiti alla mia attenzione, finché tra un soffione e l’altro, riprende corpo. Mi sono fatto prendere la mano da questo svolazzo retorico, perché mi sembra di essere entrato in osmosi con Aurora De Luca, la giovane promettente di Rocca di Papa (Roma) che ha già dato prova delle sue qualità letterarie. L’Autrice, identificandosi con la cellulosa, ne recepisce la natura materica, ma soprattutto le parole che vi si possano scrivere e ancor di più con quelle che si possano intendere nel loro più intimo significato. Si sa, i poeti, quando esprimono i propri sentimenti, si denudano; o se si preferisce, diciamo che sono vestiti della propria pelle; ebbene la Nostra, con la sua pelle ricuce una storia interiore che non è dato a tutti comprendere; variegata quanto sia, è fatta di un solo impasto, come cercheremo di chiarire più avanti. Lo stesso Domenico Defelice, nella presentazione, avverte di questa sorta di “identificazione assoluta tra lei e la terra, la carta, l’albero” ecc., quindi con la città e i suoi problemi sociali, con le persone e i propri sentimenti d’amore che definisce “la violenza dolce del sesso”. La metafora è presente fin dall’incipit: “Oltre le parole di carta pesta/ ci sono campi di soffioni intatti/ pieni di fiato e di vento,” (ecc.) che richiamano fioriture ed anche parole, sia pregne di significato, sia vuote come puri sbuffi. E nel seguito si presentano le due facce contrastanti od ossimoriche: dolore e luce, dolce e amaro, gemma e schianto; sintomi di un travaglio interiore e di lunghe meditazioni. Nel linguaggio figurato della comunicazione, troviamo il muro bianco e l’impronta di una mano, il foglio bianco e la scrittura, l’inchiostro che si fa sangue venoso: immagini che richiamano la purezza virginia e una macchia rossa. Per non indugiare su queste parvenze lo sguardo si posa sui senzatetto per i quali “La casa dei viandanti/ è mura di notte e soffitto di luna” (pag. 9). Così è sulla incapacità degli esseri umani di com-
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prendere l’infinito pur tentando di varcare i confini della volta celeste, lontana o vicina, od anche di sondare i recinti dei propri luoghi o di navigare dentro se stessi. Si scopre di tutto, una vorticosa realtà materica e sentimentale con cui occorre convivere, se non si voglia cedere al disfacimento. Qui ci soccorre la parola, quella giusta, che bisogna trovare o inventare. Aurora De Luca sa che è concesso usare tutte le parole che si vogliono liberamente, nel sogno e nelle fantasie. “Non sappiamo contare noi/ che amiamo e soffriamo,/ l’anima nostra è fatta di due zeri/ e si porta dentro la nascita e la morte,/ ogni giorno.” (20). La Nostra si abbandona ad una sorta di estasi assaporando le bellezze primigenie che la natura offre (l’alba, il tramonto, frutti e fiori); ma fra i colori, aggiungo, il più bello è rappresentato da quello di cui porta il nome. E si congeda ricordandoci dello strumento potente di cui disponiamo e a farne uso: “Non resisteremo un attimo oltre il soffio,/ noi che neppure montagna siamo;/ eppure qualcosa ci erige,/ qualcosa si fa pietra buona/ nelle nostre mani.” Tito Cauchi
TITO CAUCHI CARMINE MANZI Una vita per la cultura Editrice Totem, luglio 2016 Fresco di stampa, mi giunge il saggio di Tito Cauchi dedicato a Carmine Manzi (poeta, scrittore, saggista, direttore della rivista trimestrale internazionale di Lettere e Arti “Fiorisce un cenacolo” per oltre settant’anni, promotore e presidente del Premio letterario “Paestum”), nato a Sant’Angelo (frazione di Mercato San Severino) il 18 settembre 1919,deceduto il 3 aprile 2012, all’età di 93 anni. La monografia di Cauchi fa seguito alla mia, pubblicata nel 2009 sotto il titolo: Carmine Manzi: esemplarità e fertilità di una vita dedicata alla cultura. Nelle prime 75 pagine il noto saggista di Lavinio (Roma), raccoglie la summa dei suoi interventi critici relativi a 14 volumi di poesie e a 3 libri monografici pubblicati da Manzi, volti ad illustrare le personalità di tre famosi personaggi: Michele Frenna, mosaicista siciliano; Carlo Bianco, poeta, scrittore e pensatore; il papa Giovanni Paolo II. Nelle pagine successive (81-102) sono esaminati gli studi critici sul poeta-scrittore di Mercato S. Severino, pubblicati sotto forma di monografie all’ alba del Terzo millennio, da Domenico Defelice, Leonardo Selvaggi, Gabriella Frenna, Luigi Pumpo, Aldo Marzi, Anna Aita, Antonio Crecchia.
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In Appendice (pagg. 105-115), troviamo una postilla critica a “Luci e voci” di Anna Manzi in “Calendario 2008”; una poesia dell’autore (Cauchi) scritta per il novantesimo compleanno di Carmine; una bibliografia di riferimento ai libri maggiormente noti di Carmine Manzi e un inventario dei saggi a lui dedicati; a seguire, una biografia essenziale per conoscere meglio attività, pubblicazioni e collaborazione a riviste letterarie di Tito Cauchi. Tutto sommato, il libro di cui si parla è un significativo omaggio ad uno scrittore prolifico (ha scritto oltre cento libri) umile ed esemplare, che ha navigato sull’onda della notorietà per oltre settant’anni, manifestando un’ammirevole continuità di intenti e di opere, un tenace attaccamento alla vita, agli affetti, ai luoghi della memoria e alla voce della poesia. Osservatore attento delle turbolenze sociopolitiche, gli va riconosciuta la capacità di preveggenza in ordine agli eventi futuri. Remote intuizioni circa il depauperamento dei valori umani e lo stravolgimento di principi che per natura dovrebbero essere inalienabili e validi per sempre, sono oggi realtà osservabili e misurabili con il metro della statistica, che può comodamente quantificare e valutare i segni di distruzione, morte e rovina che signoreggiano sotto qualsiasi cielo, in ogni angolo della terra. Carmine Manzi, uomo vissuto nel calore della fede, nella compiutezza dei sentimenti, nell’ aspirazione forte e costante alla pace, nella serena coscienza di svolgere opera di edificazione morale e culturale, si è guadagnato, nel corso della sua lunga vita, l’amicizia, la stima e l’ammirazione di una sterminata schiera di intellettuali e operatori culturali, italiani e stranieri, bene messa in luce ed evidenziata da Tito Cauchi, il quale, con l’oculatezza del saggista consumato, sa trarre materia e motivazione per le sue riflessioni e gli spunti critici dalla lettura meditata delle opere che vengono offerte alla sua sagacia di cultore delle belle lettere a tempo pieno. Questo testo sulla vita e le opere di e su Carmine Manzi, oltre a vivificare la fama del Grande scomparso, conferma il suo costante impegno a tenere viva la fiaccola della sua attività interpretativa delle opere di autori, noti e meno noti, che onorano la fertilità della cultura italiana. Antonio Crechia
IL CROCO di questo mese è dedicato a: ANTONIA IZZI RUFO SENSAZIONI Presentazione di Domenico Defelice
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CLAUDIA TRIMARCHI LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERATRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DEFELICE Tesi di Laurea edita da Il Convivio, 2016 È stato un vero piacere conoscere il saggio di Claudia Trimarchi – e Claudia stessa - su un autore contemporaneo, Domenico Defelice, che stimo profondamente e da molto tempo. È stato un vero piacere sapere che, quel Dicembre 2015, la commissione di Laurea avrebbe potuto apprezzare ben due tesi su Defelice. Un vero piacere, perché non se ne parla mai abbastanza di quegli autori contemporanei che sono nella massa ma non sono la massa. Approvo quanto Giuseppe Manitta scrive in prefazione al saggio di Claudia Trimarchi, «[…] spesso la critica si dedica, con fervente passione alle volte, solo ed esclusivamente ad autori ‘noti’ per mediazione, ovvero a scrittori che hanno delle qualità intrinseche non spiccate ma per mediazione (editoriale o di altri critici ancora) hanno raggiunto una buona nomea». Prosegue poi Giuseppe Manitta presentando gli obiettivi del saggio di Claudia Trimarchi ovvero un progetto di recupero – o di riconoscimento - della buona letteratura, progetto sorretto dal professore Carmine Chiodo, critico attento unicamente alla qualità delle opere più che al nome del loro autore. Scrive ancora Manitta «Claudia Trimarchi riesce, attraverso una ben consolidata conoscenza della critica e delle opere, a fornire un quadro dettagliato, in particolare inserendo l’opera dello scrittore lungo due versanti […]: i luoghi e il tempo. Defelice è uno scrittore che dialoga con il tempo biologico e con quello generazionale, ma anche un uomo radicato nei luoghi». Non posso non gioire scoprendo che entrambi i nostri lavori si accomunano, certamente sull’autore, ma soprattutto sul metodo e che tale metodo ci ha poi portate alle stesse conclusioni; che quindi dalla lettura, dall’analisi e dalla riflessione sui testi e sulle parole autentiche dell’autore siamo giunte a vederlo nello stesso modo, come un uomo del tempo e nel tempo, di terra e nella terra, di poesia e nella poesia. Mi domando quindi se queste similitudini, di scelta di metodo e di conclusioni, non siano sempre opera di Defelice, il quale, attraverso la sua stessa produzione letteraria, ci ha dato una lezione: di aderire al testo, conoscerlo, comprenderlo, poiché entro quelle pagine vi è il poeta e l’uomo, in qualità e quantità, e dunque la vita. Porgo i miei complimenti a Claudia Trimarchi per questo suo lavoro, completo e approfondito, per la
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sua capacità ‘organizzativa’ delle parti, poiché so, avendo avuto anche io la scrivania sommersa di ‘Crochi’, libri, articoli, di che vastità di materiale si tratti. Un lavoro quindi ben congegnato e ben corredato da note esplicative, bello nell’esposizione dei contenuti, connessi ai testi poetici – e non solo riportati, come gemme, tanto a impreziosire quanto a fare da fondamento. Aurora De Luca SALVATORE D’AMBROSIO DIECI X DIECI Sillabe incise a fuoco sulla pietra BrignoliEdizioni, 2016 Antefatto: A(scendere) Il motivo di fondo sono le mani, un motivo che ha dieci dita, quante bastano a fare ogni cosa. È la poetica del fare: conquistare, ossia fare proprio con qualsiasi mezzo e contrastando e affaticandosi. Conquistare, attraverso le mani (ma anche attraverso i piedi e i polmoni), porzioni di strada verso la somma luce. Mani e piedi devono essere ben saldi nella ascesa ma soprattutto nella discesa; si scende infatti prima di poter assurgere a questa luce che tutto rivela. Ci si trova di fronte alla montagna divina, che però prima d’essere tale, è una montagna tutta umana, fatta di paure e tradimenti, insidie e follie che gettano lunghe ombre tali da oscurare la via verso la vetta. Il poeta parla di una alleanza solida più della roccia, un patto sottoscritto con cuore innocente, ma torna poi a parlare di ‘cose che si toccano’, di difficoltà tangibili, ‘a portata di mano’ per l’ appunto: gli appigli sfuggono da sotto le dita e da sotto i piedi; la roccia sarà anche salda per sua stessa natura, ma non altrettanto l’uomo. Ci si domanda ben presto il perché di cotanta fatica. Perché l’uomo non è essere saldo, però è essere d’amore e l’amore spinge a disvelare (e, prima ancora, a disvelarsi). E dunque per questo il poeta parla di comandamenti, che non sono altro che leggi d’amore, di cura, di rispetto: rendono possibili quelle felicità, quei godimenti, umani e nel contempo divini. Sillabe incise sulla pietra Bella l’idea di una scalata attraverso porte, che si aprono su sempre nuovi orizzonti. La simbologia e i richiami a ‘voci alte’ o a voci che vengono dall’alto sono fitte e alle volte complesse. La costruzione stessa delle frasi non fa che
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evocare i proclami divini e così un’idea di grandezza e solennità. Ma il poeta usa parole semplici: polvere, cose, ginocchia, legno, ferro. Sono queste le cose che appartengono agli uomini, e come può un essere fatto di consistenze portare questo peso fin sulla vetta? Con entusiasmo: ossia con il Dio dentro, solo nei sensi. L’uomo attraversa quindi dieci porte, dieci gradi di sé, dieci visioni di Dio, per cui disvela, per cui ama, fino a conquistare l’alleanza, un patto di fuoco: ciò che è tuo non è mai poco […] senza avere tolto o bramato niente che non sia tuo. Dalla Settima alla Decima porta si assiste ad un vero e proprio monologo, come un figlio in ascolto delle raccomandazioni di un padre: «sarai un uomo se saprai onorare la vita, rispettare la terra, amare la carne e lo spirito, senza porti brame ed idoli ma perseguendo la verità, le gioie primizie». Per far questo il poeta si è spogliato di tutti gli orpelli, aderendo alla parola nella sua sostanza, l’ha resa possente, di pietra. Parola che basta di per sé a significare, parola che è nel contempo simbolo, porta che si apre, passaggio. Aurora De Luca
AURORA DE LUCA ASPRA TERRA E CREAZIONE FERTILE NELL’OPERA DI DOMENICO DEFELICE Edizione Eva, 2016, pagine 150, euro 10, 00. Bella la tesi di Aurora De Luca, bellissima. Si legge con la stessa disposizione d’animo d’un romanzo, si seguono con fervore ed interesse le “avventure” del protagonista, un personaggio reale ma che la nostra fantasia trasforma, nel corso della lettura, in mito, tanto prende il suo rapido crescere e formarsi, con inizio in un ambiente primitivo, vero eden della natura, il suo evolversi ed esplodere come poeta scrittore pittore, il suo esemplare, invidiabile “modus vivendi”. Quale lo scopo della scrittrice? Da tutta una “coterie” di scritti “tirare fuori il volto dell’uomo e il volto del poeta” (Ci riesce, grazie al suo profondo e tenace scandagliare nel cuore della scrittura). Quale il metodo? Ripercorrere la vita del nostro personaggio dalla nascita ai tempi attuali, eseguire un’attenta disamina delle opere da lui pubblicate, estrarre da esse quanto di utile e salutare egli trasmette ai lettori, gioire della melodia della voce della sua anima. In un volo a ritroso nel tempo, l’autrice approda ad Anoia, luogo di nascita di Domenico Defelice (sì, è di lui che stiamo parlando). Anoia è un “aspro” paese della Calabria, abitato da gente semplice che si dedica
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all’agricoltura e alla pastorizia e che vive dei prodotti della terra. E’ una zona selvaggia, incontaminata, costellata di agrumeti, uliveti, fichi d’India, variopinti fiori campestri che riempiono l’aria d’ effluvi soavi. Il piccolo Nico si sveglia alle cinque del mattino per dar da mangiare al maialino e per condurre al pascolo il gregge di capre e pecore. Si dedicherà, quando sarà più grande, anche ai lavori dei campi. Gli piace scorazzare nei boschi e nella vasta campagna colonica, arrampicarsi sugli alberi, sedere alla loro ombra e lasciarsi cullare, nella calura di luglio, dallo “stridore delle cicale”, andare in cerca di nidi, estasiarsi alle voci delle piante delle acque della terra, al sibilo del vento, contemplare le albe dipinte di rosa e i tramonti iridati. E’ in seno alla natura che si scopre poeta, che prova le prime emozioni, che è colpito dalle prime folgorazioni. Scrive versi sulle foglie, ritrae le sue pecorelle ed esegue i disegni sui sassi, proprio come Giotto. Frequenta la Scuola Primaria, le Scuole Superiori, l’Università, cresce in esperienza, ma è costretto a lasciare il suo borgo natio e a trasferirsi in altri posti. Si stabilisce infine a Roma dove studia e lavora; comincia a pubblicare i suoi primi scritti su riviste letterarie, stringe amicizia con persone del mondo editoriale e letterario, collabora con validi autori, rifiuta le platee e i battimani, si sottopone a dure restrizioni, fa un solo pasto al giorno. Soffre la fame, ma non si esime dallo spendere quei pochi soldi di cui dispone per acquistare libri. E’ con la lettura che sopperisce alla scarsità di cibo. Ammirevole la sua indefessa attività, la sua forza di volontà; scrive senza interruzione e pubblica opere poetiche, opere in prosa, saggi, recensioni, articoli vari; apre una piccola casa editrice, “Le Petit Moineau, nel 1973 pubblica la rivista “Pomezia-Notizie, che esce puntualmente una volta al mese, lettere; si cimenta anche in opere teatrali, bandisce il “Premio Internazionale di Poesia e di Prosa città di Pomezia”. E’ un uomo instancabile. Encomiabile il lavoro compiuto dalla De Luca: esegue una esegesi profonda e accurata di tutte le opere, ne esprime, di ognuna, giudizi obiettivi, mette a fuoco i tratti più salienti. Evidenzia, e sottolinea, l’amore di Defelice per la sua Calabria e le sue preoccupazioni per i problemi del Sud; esalta la sua onestà, la sua obiettività nell’esprimere giudizi, la sua lotta per la giustizia, il suo senso di umanità, il suo ripudio dell’ipocrisia, la falsa politica e la corruzione, la sua alta Poesia e, spesso, la sua prosa in versi. “Dulcis in fundo”: chiude il testo l’intervista dell’autrice al Nostro, dal titolo “A passeggio con Domenico Defelice”. Domande intelligenti, sagge risposte: sull’autunno, sulle opere, sugli amici, sull’onestà intellettuale, sulle frequentazioni letterarie, sul “vademecum” da lasciare ai
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giovani. Defelice risponde a tutte le domande, tranne che all’ultima: <<Cosa scriverebbe su uno spazio bianco?>>. Egli la giudica una trappola, una provocazione e così risponde: <<Riempilo tu, Aurora, dei tuoi colori, dei profumi dei tuoi alberi… Lasciami riposare. Ricorda sempre che come me tu possiedi un dono mai alterabile e sublime: la Poesia, luce eterna che ci unisce a Dio>>. Antonia Izzi Rufo
CLAUDIA TRIMARCHI LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERATRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DEFELICE Il Convivio – 2016 Pag. 136 € 13,00 Domenico Defelice è ormai personaggio di rilievo della vita culturale italiana ed estera, in veste di artista poliedrico: poeta, scrittore, saggista, critico, pittore, giornalista, direttore della rivista Pomezia Notizie dal 1973. Claudia Trimarchi ha svolto la sua tesi di laurea in letteratura italiana e moderna sulla scrittura di Defelice, pubblicata da Il Convivio, con il titolo La funzione catartica e rigeneratrice della poesia in Domenico Defelice. Ha approfondito l’analisi sulla produzione dagli anni 1958 al 1989, mettendo in rilievo pure il volume L’orto del Poeta del 1991. La neodottoressa ci svela un mondo nel quale la figura del poeta si delinea a poco a poco. Dai primi lavori dove l’animo di Defelice si apre alle emozioni della natura, dei luoghi mai dimenticati della sua infanzia (l’amata Calabria), delle presenze femminili, degli amori, gioie e dolori, per arrivare all’ impegno civile e politico. Un autore serio, schietto, che non teme critiche per quello che sente di dire. La tesi è talmente estesa che non possiamo soffermarci su ogni opera esaminata, ma la Trimarchi è riuscita a conquistare il lettore proponendo le varie opere con un interessamento veramente sentito, cogliendone ogni sfaccettatura. Inoltre, ha inserito spesso versi di Defelice così da avere un impatto emotivo diretto con la scrittura poetica e una possibile comparazione con la sua analisi. Dallo studio della Trimarchi emerge il percorso di Defelice, il quale si differenzia dai tanti per la ricerca di un colloquio con il lettore e il voler tenersi lontano dai clamori; così il suo canto, dai primi versi d’amore e di nostalgia, si fa sempre più impegnato dando alla poesia uno spessore profondo e universale. Infatti, l’ultimo Defelice propone temi che incitano la nostra coscienza a superare l’ egoismo e a ritrovare i valori sociali, compreso l’amore verso il prossimo.
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Claudia Trimarchi amplia la sua analisi considerando pure il Defelice saggista, facendone risaltare l’abilità di interessarsi sia di poeti sia di artisti. Non dimentichiamo che egli è anche un artista perciò può captare al meglio le opere pittoriche (Eleuterio Gazzetti, Saverio Scutellà, ecc.). La Trimarchi è la seconda laureanda che si è interessata della scrittura di Defelice. La prima è stata Anna Aita con la tesi Un poeta aperto al mondo e all’amore del 2013. Ciò sottolinea come la sua poesia tocchi le corde anche dei più giovani. Per ultimo, a Defelice si riconosce il merito di dar voce a tanti scrittori e artisti, soprattutto attraverso la Rivista Pomezia-Notizie, dando loro modo di farsi conoscere ed apprezzare. Ora non possiamo che attendere che qualcuno gli dedichi un’altra tesi di laurea (non c’è due senza tre), con i complimenti più sentiti per il suo valore, l’umanità e riservatezza. Laura Pierdicchi
MONIA GAITA MADRE TERRA Passigli Poesia, Firenze, 2015, € 12,50 Nativa di Imola, ma residente a Montefredane, in Irpinia, Monia Gaita si ripresenta a noi con una nuova silloge poetica: Madre Terra, pubblicata nel 2015 presso l’editore Passigli di Firenze, nella collana fondata da Mario Luzi, il che è già garanzia della bontà del suo lavoro. D’altra parte ella ha al suo attivo altri sei libri (Rimandi, Montedit, 2000; Ferroluna, ivi, 2002; Chiave di volta, Montedit, 2003; Puntasecca, Edizioni Istituto Italiano di Cultura, Napoli, 2006; Falsomagro, Alfredo Guida Editore, Napoli, 2008 e Moniaspina, Edizioni L’ Arca Felice, 2010) che hanno ottenuto numerosi consensi. Tra i pregi rilevati nella poesia di Monia Gaita da gran parte della critica vi è quello di un’assidua musicalità, da lei stessa evidenziata durante una breve intervista rilasciata a Mario Fresa, l’autore dello Scritto introduttivo alla sua silloge precedente, Moniaspina. Citiamo queste le sue parole: “Per me la poesia largheggia e si incrementa anche nell’impasto sinfonico di una partitura musicale invisibile ma presente. Ciò avviene, e con l’ apposizione degli accenti acuti e gravi, e con un’accurata scelta lemmatica che eleva ogni parola a unità infungibile e necessaria. Il ritmo interiore echeggia nell’eiezione fonico-espressiva delle strofe e ad essa coerentemente si combina sotto l’egida del gioco elementare significante-significato-suono. La parola ha delle note ben precise, bisogna solo cercarle,
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dando loro flauti, voce e combustibile vitale”1. Di lei è stata inoltre più volte evidenziata anche la vivacità della scrittura, capace di improvvise aperture, con le quali compiutamente si esprime, manifestando pienamente la propria urgenza interiore. Una poesia intimistica, dunque la sua, che tuttavia conserva sempre una propria dignità formale che le impedisce di scadere a pura espressione di un sentimento non decantato per virtù di forma. Ed è ciò che d’altra parte appare evidente anche leggendo le liriche di questa sua nuova raccolta, Madre terra, dove troviamo questi versi: “Pago alla notte / il mio tributo di stanchezza, // trivello i desideri / in cerca di una favola / che duri” (Molecola di secoli); “E qualche tralcio d’edera / ancora piove arcobaleni / sulla mano. // Con lingua spedita / mi parla di te / e si attorciglia ai miei mattini” (Io straripai). Senza dubbio quella di Monia Gaita è una poesia d’amore; ma soprattutto è una poesia di assiduo scavo nei recessi dell’io o meglio ancora una poesia come strumento adoperato dall’autrice per superare i propri quotidiani dissidi e i propri tormenti d’anima. Ma è al contempo una poesia ricca di immagini, sempre efficaci, come può rilevarsi da versi quali: “le tempie pulsanti dell’inverno” (Sono le tempie) o “la folla delle nuvole” (Argilla). Anche se è poi sempre il sentimento amoroso che le detta i versi più compiuti: “Accetta / la trapunta d’oro / di questo mio parlarti, // trifoglio che trasemino / nel buio” (Accetta). Accanto a tale sentimento, si scopre inoltre in Madre Terra un costante amore per la natura, che a tratti emerge, come avviene nell’incipit di Striscia di tuono: “Il bosco / ha un pronunciato aroma di foglie, / di funghi / e terra morta”; o in La pace dei pini: “L’azzurro ha dissolto le nuvole / decimando pioggia, / vento / e lampi informi. // Ora infuria la pace dei pini”. Un sentimento questo che a volte può tingersi anche di vaghe reminiscenze montaliane: “il mare ha scaglie bianche / sotto lo schematismo fisso / delle rocce” (In questa terra). Monia Gaita è in particolare innamorata della natura del territorio dell’Irpinia, dove ormai da lungo tempo vive. Ciò appare, ad esempio, da una poesia come Il mio paese, che si apre con questi versi: “È circondato il mio paese // da una corona incalcolabile / di venti crepitanti, // una corona di spine, / un corpo armato di stelle, // un ampio indizio / di corse di cinghiali // che impongono tributi di paura coa-
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G.Cerrai, 8 giugno 2011, in Libri ricevuti sul Sito: http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/537Monia-Gaita-Moniaspina.html.
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gulata / alle campagne”. La poetessa ancora soggiunge: “È qui che voglio stare, // al largo delle coste dei rumori / d’altri luoghi, // dentro Magliano mia / pure da morta”. È evidente che nel parlare della sua terra la voce della nostra poetessa si fa più suasiva e vibra in essa come l’eco di antichi ricordi di anni e stagioni che da sempre l’ accompagnano. E costituiscono un patrimonio inalienabile della sua vita. Poetessa pronta e sensibile nel cogliere i messaggi che le giungono dai propri simili (“Io conosco l’ umano / quando sprigiona da uno sguardo”, Conosco), Monia Gaita si volge anche con assorto rimpianto verso coloro che non sono più. Si legga a tale proposito la poesia da lei dedicata a nonna Carmela: “La morte, pensavo, / non ci ha diviso. // È solo per un inciampo postale dell’aldilà / che la tua voce, / dispersa in altri fogli, / non mi giunge” (Superstite remare). Il che rivela in lei anche un’ ansia religiosa, evidente in poesie quali Sono lontana: “Ho provato a cercarti / mio Dio / … / Sei nell’insegna provvisoria / di questo vento che m’assedia” e Gesù: “Gesù, / il figlio di Dio, / sentiva gli echi multipli / del mondo / tra poveri pastori e contadini…”. Talora la sua scrittura diviene un po’ barocca, come in Grotta salmastra (“il remo d’uva pergola d’un bacio”) o assume colorazioni espressionistiche, come in Il tuo volto: “il tuo volto ha un’eco, / spinge le carriole del suo grido lungo il cuore”. (E seppure di sfuggita lo nota anche Davide Rondoni nella sua Prefazione al libro2). Resta però in ogni caso evidente l’esigenza di canto che da queste poesie dovunque traspare; un canto nel quale la Gaita si realizza e compiutamente si esprime, specie in liriche quali Dettato eterno, dedicata a zio Mario: “Non sei / nelle costole del marmo / che ti chiude, / sui crinali di fermo del respiro / quando parte // o dentro il cronico chiarore / di altri paradisi. // Sei nella pace, / cucita come un filo, / sopra i campi”. A conclusione di queste brevi osservazioni sul suo nuovo libro di versi, mi sembra possa dirsi che
Scrive infatti Davide Rondoni, forse in senso un po’ provocatorio: “Dove metteranno i critici la poesia della Gaita, in quali schede del loro frastagliato, inutile dizionario? Tra le espressioni della poesia meridionale? Dell’espressionismo neo-barocco? La porranno vicino a voci di poetesse più in voga, forse più astute letterariamente ma meno maledette, cioè assolute? Da quelle posizioni la voce di Monia Gaita sfugge. Sta altrove, in quell’altrove che è difficile fissare e da cui, appunto, sorgono voci di donne così, che si mettono nelle penombre dell’alba e del vivente comune”. 2
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nella scrittura essenziale ed asciutta di questa poetessa c’è quel ritmo e quell’armonia da cui ogni volta nascono improvvise intuizioni liriche, come questa: “Rientri / nel novero dei sogni / all’ improvviso” (Azzurro). Ma è anche da dirsi che ella meglio si realizza e si esprime nelle poesie d’ amore, quali Io non so come accadde, dove leggiamo: “Io non so come accadde, / semplicemente accadde / che congiungesti la tua / alla mia riva”. È qui che Monia Gaita dà il meglio di sé, ed è qui pertanto che bisogna cercare il significato più vero della sua poesia. Liliana Porro Andriuoli
I VIVI I MORTI Dal buio mi balzano i morti e a fruscio di vento trasalivo - ultraterreno. Mi era sconquasso subitanea ombra o se me fanciullo sorprendeva tocco fatale: “A mezzanotte e all’Ave Maria i morti sono per via”. In passo usuale udivo sull’acciottolato scalpiccio di processione bianca e interminabile in tremoli ceri. (Avessi te pure intravisto, padre, e i tuoi mustacchi alteri e lo sghembo cappello sul tuo capo: m’eri tanto caro in vestigi di fotografie).
MA IO CI PROVO ANCORA Quanti anni son passati tra gli affanni per sciocchezze ma alcuni son volati con applausi e carezze. Quanti volti son cambiati sempre a far le stesse cose ma alcuni sono amati per gli aiuti e le gioiose.
Ora te pure in oltretomba, aede d’Ellade, nonna, non più narri, a noi intorno, del braciere - bocca d’inferno dove un maniscalco demone ardeva in un tizzone.
Quanti posti sono andati nel cercar -La Via Che Libera-. Quando poi l' ho trovata rimiravo ancor l'effimera non mi sono manco accorto... eppoi il mio corpo è morto. " Ma IO ci provo ancora ! " Michele Di Candia Inghilterra
↓Domenico Defelice: Sintesi d’autunno (china, 1954)
Riparlerei coi morti ora che uccidono favole rumori di guerra e motori e cannoni e trapianti e cemento cemento cemento; ora che inaridisce la luna e fasci di luce che filtrano da vetri sono solo barbagli di vulcani secolari. In cielo ti disintegri, volto buono di zucchero e miele; anche tu, un tempo irraggiungibile a occhi fissi nell’incanto.
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Riparlerei coi morti ora che pulsanti animano e palpiti e noi, allineati in retta tracciata sull’acqua; ora che labili attese sono vetro che pencola da mani di cieco in cunicolo. Ora che lo sguardo non ha dove sereno posarsi né punto-fermo che dilati la sfera terracquea che noi circuisce. Allora vivevano i morti, ora muoiono i vivi. I morti sanno di quieti riposi e il fluire dell’ore è abbandono dolcissimo sul petto dell’Eterno; e gli ansiti sono vani a loro che bevono luce amore.
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D. Defelice: Il microfono (1960)
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Non ridete se attendo bisturi che affondi nell’anima inesplorata; attendo lievito per la vita che amo quanto me stesso, la vita dei vivi dei morti. Rocco Cambareri Da Da lontano - Ed. Le Petit Moineau, 1970.
IL MONDO Ho rivisto me stesso fanciullo in un monello roseo di giuoco. Tra una e altra capriola stringeva forte una palla, una grande grandissima palla. Recava fra le mani calde il suo mondo, il mio mondo. Rocco Cambareri Da Azzurro veliero , Ed. Grupo “Fuego”, Santiago del Chile, 1973
RETTIFICA Pomezia-Notizie, agosto 2012, pag. 35, in basso - Caro Domenico, mi sono accorto di avere commesso un errore, avendo scritto: “Marco Polo che detta il suo Milione in francese a Martin da Canal”. Ebbene l’estensore fu Rustichello da Pisa, compagno di cella, durante la prigionia a Genova (sembra intorno al 1198). Martin da Canal, veneziano, probabilmente ne avrà parlato nelle sue Storie Veneziane, anche esse scritte in francese. Mi scuso per la confusione. 8 settembre 2016, Tito Cauchi Caro Tito, d’acqua, da quel tempo, n’è passata tantissima sotto i ponti. Le errata corrige hanno valore se inserite nel numero successivo, non dopo anni e anni e numeri 49! Domenico *** CONVEGNO A POMEZIA DEL 22 APRILE Il 22 aprile u.s. si è svolto a Pomezia presso l’Hotel Antonella un interessante Convegno sulla teoria Gender “Le leggi di Dio ovvero la morale e la questione – ideologia gender “. I relatori e gli argomenti trattati sono stati: Dott. Raffaele Cavaliere: “Il giusto sviluppo sessuale, identità di genere e la crescita della persona”; Avv. Alberto Veccia: “Verso il transumanesimo. Le leggi dell’uomo non sono più quelle di Dio”; Padre Giorgio Carbone: “Uniti nella diversità: Dio li ha fatti uomini e donne”; Don Amelio Cimini: “Vita, famiglia, educazione dei figli o invenzioni?”; Pastore Marco Vantaggio: “L’E (Esatto) G(Giusto) G (Giudizio) E (espresso) da Dio – la follia dell‘Uomo Gender”.
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Faccio un breve riassunto di alcuni interventi: il pastore Marco Vantaggio chiarisce la sua posizione sulla questione "Gender": "Parlare di diffamazione vuol dire parlare contro qualcuno e noi abbiamo parlato contro la "pratica" che se non corretta diventa "stile di vita" (gli avvertimenti cristiani parlano contro l’omosessualità e relativo comportamento “gender” ). L’ intenzione del Pastore non è quella di incitare all'odio, ma dire la Verità nell'AMORE per il prossimo e la società in generale. Padre Giorgio Carbone parla delle origini delle rivendicazioni incalzanti della gender theory (è falso dire che non esiste, molti l’hanno pensata e divulgata; papa Francesco l’ha chiamata “colonizzazione ideologica”), di come tutta la cultura gay friendly sia frutto di una ben oliata operazione studiata a tavolino e che ha raggiunto risultati egemoni nel panorama internazionale. Si scopre quale visione della persona umana è propagandata e quanto essa sia lontana e contraria all’antropologia della Creazione e Redenzione, non meno che alla evidenza quotidiana. In sintesi lo scopo del Convegno è stato quello di sensibilizzare il pubblico riguardo il problema dell’ insegnamento della teoria “gender” nelle scuole: con il comma 16 della legge 107/15 “buona scuola”, nelle scuole pubbliche di ogni grado, è stata introdotta l’educazione sessuale secondo i parametri indicati nella direttiva emessa dall’Ufficio Regionale per l’Europeo dell’OMS e BZgA tedesca: “Standard per l’educazione sessuale in Europa” (in seguito SESE) che sono stati pienamente adottati dall’UNAR e diffusi attraverso i vari corsi nelle scuole grazie al sostegno del M.I.U.R. (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). La storia dei corsi di educazione sessuale che insegnerebbero l’omosessualità va avanti ormai da un paio d’anni ma tra la fine dell’anno scolastico e quella delle vacanze estive molti genitori si sono visti recapitare messaggi via Whatsapp, Facebook e quant’altro inquietanti messaggi riguardanti la nuova offensiva dei cosiddetti “corsi gender” nelle scuole. Ultimo, in ordine di tempo, è l’invito a non firmare il Patto di Corresponsabilità, un documento che secondo alcuni servirebbe per autorizzare l’ introduzione delle “lezioni gender” nella scuola di vostro figlio. Giuseppe Giorgioli Caro Giuseppe, ti pubblico, ma ti ricordo che le “Notizie” hanno efficacia se inviate in tempo, prima o subito dopo che avvengano, non quando son trascorsi mesi e mesi. Domenico *** PARIGI, TEMPO GRIGIO/SUI FOGLIAMI
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GIÀ/ AUTUNNALI DEGLI ALBERI - 8/9/2016. Buongiorno caro Domenico, grazie tante per il numero di agosto di Pomezia-Notizie (...). Interessante, il saggio “La leggerezza e Petrarca” di Emerico Giachery. Leggere dei poemi italiani sulle stragi avvenute in Francia è commovente perché questi testi testimoniano che gli attentati sono stati risentiti fortemente anche oltralpe. Ora è l’Italia a soffrire, per il terremoto, per la difficoltà di costruire delle case resistenti alle scosse sismiche, e forse anche per la volontà di guadagnare sempre di più da parte dei costruttori edilizi. Tanti morti! Tanti feriti! Compiango anche i sopravvissuti la cui casa è ridotta a un mucchio di calcestruzzo. Questa catastrofe è terribile! Adriana Mondo ha ragione nel suo poema “Migranti”. Siamo troppo egoisti. Ma non tutti i paesi sono così colpevoli. L’Italia e la Grecia non sono abbastanza aiutate da altri paesi europei. Non possono fare tutto. (...). Béatrice Gaudy Cara Amica, Va bene il conforto reciproco (noi per gli attentati in Francia, voi per il terremoto in Italia), ma senza dimenticare che il più delle volte le tragedie dipendono dagli egoismi dell’uomo: le case che crollano perché - come lei giustamente scrive -, qualcuno ha voluto guadagnarci di più; le stragi degli attentati perché, da imbecilli, vogliamo “esportare la democrazia”, facendo, a nostra volta, stragi, bombardando “intelligentemente” le povere case e la povera gente incolpevole! Il terremoto non uccide, lo scriveva persino Leopardi, e ogni popolo se ne starebbe a casa propria se tanti non si comportassero da predoni e non fossero i primi a recare violenza. A noi poeti il compito di educare; la poesia non può essere querulo ripiegamento su se stessi, ma fiamma che brucia tutte le insane voglie dell’uomo. Domenico *** L’OPERA SANTA RITA - L'Opera Santa Rita è una fondazione privata (Onlus) promossa dalla Diocesi di Prato (Piazza S. Rocco 3 - info@operasantarita.it). La Fondazione svolge attività educative a favore di minori con difficoltà personali, familiari e sociali, per assicurare loro una crescita armoniosa ed un inserimento adeguato nel contesto sociale. La Fondazione svolge anche un'attività sanitaria a favore di minori e di giovani portatori di handicap psicofisici per favorirne la riabilitazione, il potenziamento delle capacità residue ed il loro inserimento nella società, sostenendo i familiari e facendosi carico della situazione complessiva. Lo stile con cui opera la Fondazione si basa sull'attenzione alla persona ed alla sua valorizzazione, al
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fine di uno sviluppo armonico ed in sintonia con le potenzialità soggettive. La Fondazione collabora con gli enti pubblici in una logica di complementarietà e sussidiarietà nell'individuazione dei bisogni e delle risposte possibili. Grazie a questo rapporto di collaborazione ed al sostegno economico di tanti privati cittadini, la Fondazione Santa Rita conta oggi 21 servizi tra le province di Prato e Pistoia ed oltre 240 ospiti assistiti secondo i più moderni ed adeguati standard di qualità. Daniele Boganini Presentiamo ai nostri lettori un nuovo giovane collaboratore: Daniele BOGANINI, nato a Firenze il 08/06/1975 abitante a Prato. Lavora come impiegato nella ditta CDR ITALIA – LA CASA DEL RADIATORE SRL. Scrive da qualche anno poesie e racconti e frequenta il corso di teatro e scrittura creativa alla Nuova Colmena di Prato. *** L’IMPRENDITORE DA SOGNO - LA CASA DEL RADIATORE SRL - VIA PISTOIESE 763 L - 59100 PRATO - www.cdritalia.it Nella realtà pratese scossa dalla crisi, un imprenditore si differenzia da sempre nel percorso di crescita aziendale. La sua forza sta nelle risorse umane. Gaetano Balsamo, insieme al fratello Michele, ha seguito le orme del padre diventando un punto di riferimento per le officine di manutenzione mezzi e per le aziende di trasporto in Italia. I fratelli Balsamo hanno saputo attuare una filosofia di vita che sta alla base dei rapporti con il personale aziendale, una filosofia che si basa sui rapporti con i collaboratori, che sono quotidianamente motivati ad esprimersi al meglio delle proprie capacità, spinti dalla forza dei propri sogni. “I sogni sono la cosa più reale che ci sia”. Gaetano sostiene e invita tutti i suoi collaboratori a sognare, a fare progetti e soprattutto a realizzarli. L’ultima iniziativa dei fratelli Balsamo è stata quella di pubblicare un libro di poesie scritto dal loro collaboratore e impiegato Daniele Boganini, “Sogni e Ricordi”, edito da il Masso delle Fate. Il libro sarà venduto al modico prezzo di dieci euro, dei quali il 30% del ricavato verrà utilizzato per rifinanziare il libro, mentre il 70% sarà devoluto all’ istituto di Prato Opera Santa Rita Fondazione onlus, per sostenere i loro impagabili impegni a sostegno dei minori socialmente disagiati. Vorremmo far sapere il più possibile a livello nazionale che si può fare sempre qualcosa per uscire dall’impasse bloccante della paura e credere e creare nuove realtà piacevoli e costruttive sia a livello aziendale che umano e sociale. Daniele Boganini ***
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PREMIO SPECIALE A MICHELA DI CANDIA - Complimenti vivissimi al nostro collaboratore dall’Inghilterra, Michele Di Candia, il quale, con la sua silloge inedita “Cieli incarnati”, ha ottenuto il “Premio Speciale della Giuria” alla XVII Edizione del “Premio Città di Empoli - Domenico Rea”, indetto dalla Casa Editrice Ibiskos-Ulivieri.
LIBRI RICEVUTI GIUSEPPE LEONE - D’in su la vetta della torre antica - Giacomo Leopardi e Carmelo Bene sospesi fra silenzio e voce - Saggio, seconda edizione, Grafiche Rusconi di Bellano (Lecco), 2016 Pagg. 174, € 16,00. Dopo il saggio “Silone e Machiavelli” (2003) e altre composizioni poeticomusicali scritte in collaborazione con il critico musicale Roberto Zambonini, fra cui: “LeopardiMozart” (2008), “Silone-Puccini” (2009), “Mazzini-Mozart” (2011), “Gadda-Malher” (2012), Giuseppe LEONE propone, in seconda edizione (la prima è del 2015) un confronto fra Giacomo Leopardi e Carmelo Bene. Partendo da un luogo emblematico come la torre (quella Campanaria di Recanati che rimanda al “Passero solitario” di Leopardi e degli Asinelli di Bologna che evoca la “Lectura Dantis” di Carmelo Bene), Leone legge l’opera dei due grandi attraverso i contrasti “scrittura/oralità, silenzio/voce, significante/significato”, che furono alla base delle performance teatrali dell’ artista salentino, ma che non sono stati meno determinanti nello sviluppo dell’opera leopardiana. Una lettura attenta e puntuale che il critico conduce attraverso un andirivieni di comparazioni fra analisi testuali e testimonianze biografiche e autobiografiche, che rivelano inaspettate similitudini fra due geni che perseguirono l’identico fine di orientare la poesia e il teatro nel segno della voce, nel tentativo di strapparli al silenzio della scrittura. Giuseppe LEONE si è laureato a Pavia nel 1973 in Lettere Classiche, ha insegnato letteratura italiana e storia nelle scuole superiori. Ha pubblicato i saggi: “Ignazio Silone scrittore dell’intelligenza” (1978), “Silone e Machiavelli. Una scuola che non crea... principi” (2003), “La poesia di Carlo Del Teglio” (2003), “L’ottimismo della conchiglia. Il pensiero e l’opera di Giuditta Podestà fra comparatismo e europeismo” (2011). Ha curato: “Carlo Del Teglio, Il ricamo della Regina” (2012), “Carlo Del Teglio, Tutte le poesie” (2014). È autore anche di romanzi e opere teatrali. Vive e lavora a Lecco, dove collabora con riviste letterarie nazionali e internazionali e con
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il Centro Studi Ignazio Silone di Pescina. È direttore artistico dell’associazione culturale “Il Menabò”. ** JAIME KOZAK - Abrázate fuerte - Poesia, Prefazione di Teresinka Pereira - In copertina, a colori, “Detrás del espejo”, di Miguel Oscar Menassa, del quale sono anche il disegni all’interno del testo; in quarta, fotografia a colori di Kozak eseguita da Lucy Lencinas, mentre quella del quadro in prima è di Carmen Salamanca - Editorial Grupo Cero, Madrid, Spagna, gennaio 2016 - Pagg. 90, s. i. p. Jaime KOZAK nasce in Germania nel 1947. Psicanalista e poeta del Grupo Cero, dal 1972, in Buenos Aires, Argentina. In Spagna dal 1979. Risiede a Madrid. Il Centro Biografico Internazionale di Cambridge, Inghilterra, lo designa quale “International Men of the Year” nel 1991, per i suoi contributi alla Psicanalisi e alla Poesia e lo include in “Who is Who in Poetry and Poets Enciclopaedia”, alla lettera “K”, nella 7a edizione 1993-1994. È stato selezionato come: “Mejor Poeta del 2007”; “Mejor Activista Cultural” nel 2010; Mejor Personalidad” nel lavoro per i principi e le proposte della IWA (Associazione Internazionale degli Scrittori e degli Artisti), Ohio, USA, 2013. Fa parte del gruppo di editori del diario digitale: Long Island al Día, New York, USA, nel quale pubblica un articolo settimanale dal titolo generico “Psicoanálisis y Educación”. Ha pubblicato otto libri di Psicanalisi, cinque con la Editorial Grupo Cero, uno con la Ed. Biblioteca Nueva, e gli altri due, recenti, con Long Island al Día Editori: “Jugar, Jugar hasta crecer “ e “Claves del buen vivir”. Ha pubblicato anche cinque libri di poesia con la Editorial Grupo Cero. Inoltre è stato inserito in diversi libri collettanei, sia di psicanalisi che di poesia.
TRA LE RIVISTE KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia edita da Libreria Ticinum Editore, direttore responsabile Amedeo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26845 Codogno (LO) - Email: amedeo.anelli@alice.it Riceviamo il n. 49, giugno 2016, con le firme, per la filosofia/Giuseppe Rensi, di: Ernesto Buonaiuti e Giuseppe Rensi e, per la Poesia/Ana Paula Tavarez (a cura di Luísa Marinho Antunes), di: Ana Paula Tavarez, Luísa Marinho Antunes e Celina Martins; per Letteratura e giornalismo/Piero Gobetti (a cura di Caterina Arcangelo), le firme di Caterina Arcangelo e Piero Gobetti. *
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SENTIERI MOLISANI - Rivista di Arte, Lettere e Scienze, direttore editoriale Antonio Angelone, responsabile Massimo Di Tore - via Caravaggio 2 86170 Isernia - E-mail: sentieri.molisani@ gmail.com Riceviamo il n. 2 (47), maggio-agosto 2016, che reca in prima di copertina un’opera mosaica di Michele Frenna, copertina, a sua volta, del volume di Gabriella Frenna: “La ragione e il sentimento nelle opere di Leonardo Selvaggi”. Tra gli articoli di Letteratura segnaliamo quelli di Rosa Elisa Giangoia “Davide Puccini”), Silvana De Luca (“Antonio Angelone”), Vincenzo Vallone (“Antonia Izzi Rufo”), Isabella Michela Affinito (“Leonardo Selvaggi” e “Antonio Angelone”), Antonia Izzi Rufo (“Leonardo Selvaggi”), Mario Landolfi (“Imperia Tognacci”) e Luigi De Rosa su “L’orto del poeta”, di Domenico Defelice, uno dei migliori articoli apparsi su questo libro ormai vecchiotto, del 1991. Tante pure le poesia, alcune di nostri collaboratori come Leonardo Selvaggi, Antonia Izzi Rufo, Isabella Michela Affinito, Ciro Rossi, Imperia Tognacci, Giovanna Li Volti Guzzardi. Una rivista alla quale invitiamo i nostri lettori ad abbonarsi e a collaborare. * IL CENTRO STORICO - Periodico dell’ Associazione Progetto Mistretta, Presidente Nino Testagrossa, direttore responsabile Massimiliano Cannata - via Libertà 185 - 98073 Mistretta. (ME) Email: Ilcentrostorico@virgilio.it Riceviamo il n. 7-8 (luglio-agosto 2016), ricco, come sempre, di servizi, articoli, foto, poesie. Eccone il sommario: “Dopo Brexit. Un’Europa più piccola ma più ricca di valori. A colloquio con Giorgio Pacifici”, di Massimiliano Cannata; “Le vacanze degli dei”, di Francesca Maria Spinnato Vega; “Nicola Tesla: scienziato e inventore che la storia ha obliato”, di Massimo Albani; “Verso l’architettura sostenibile”, di Massimiliano Cannata; “Al di là del qui o dell’altrove. La nuova mostra di Enzo Salanitro”, di Daniela Vasta; “Anima mia”, di Nazim Hikmet; “<Viva Sammastianu> la nostra festa di agosto”, di Santino Cristaudo; “Mistretta e la sua Valle delle 11 cascate”, di Filippo Giordano; “Mistretta in fotografia 1. Giuseppe Ciccia - Davide Ciccia: <per le vie dell’infinito>”, foto di Davide Ciccia; “La bellezza in fiore. Serena Baglione”; “Mistretta in fotografia 2. Giacoma Chiella: <La mia Terra in un Cerchio>”; “L’internet delle cose una “rivoluzione” nella rivoluzione”, di Salvatore Pettineo; “Il caciocavallo sotto il letto”, di Filippo La Porta; ”Maria Messina, Primavera senza sole (il dramma dei sogni spenti)”, di Lucio Bartolotta; “Nebrodi occidentali: emergenza emigrazione”, di Filippo Giordano; “Solo 50 anni (sono trascorsi)”, di Lu-
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ciano Liberti; “Sans soleil”, di Alberto Giordani; “La mia solitudine”, di Rosaria Ines Riccobene; “Coltivo la rosa Bianca”, di José Martì; “Araba Fenice”, di Giuseppe Ciccia; “Mistretta e Maria Messina: un legame secolare”, di Filippo Giordano. ___________________________________
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Nella colonna a fianco: Domenico Defelice, “I fidanzati” (acquerello, 1961) e “Uomo grandemente feroce” (1977). AI COLLABORATORI Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione), composti con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio, attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (con copia cartacea) Annuo... € 50.00 Sostenitore....€ 80.00 Benemerito....€ 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia....€ 5,00 ABBONAMENTO solo on line: http://issuu.com/domenicoww/docs/) Annuo... € 35 Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio