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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 24 (Nuova Serie) – n. 3 - Marzo 2016 € 5,00

Intervista a

MARICLA DI DIO MORGANO a cura di Giuseppina Bosco Introduzione ARICLA di Dio Morgano vive a Calascibetta (Enna) e appartiene ad una famiglia di artisti, il padre era attore, scrittore e drammaturgo, la madre, Elisa Contoli, era attrice dell’omonima Compagnia, che rimase attiva fino ai primi Anni ‘60. Maricla più che la recitazione ha amato la scrittura e nonostante i successi teatrali ha preferito dedicarsi alla letteratura. È autrice di diversi romanzi: “L’ultimo giorno d’ estate”, “Il respiro del vento”, “Lena”, “Dalla parte del torto”, “L’isola”, e ha ricevuto numerosi premi letterari. Di notevole successo l’ultimo romanzo del 2015 “La siciliana”, che ha letteralmente conquistato Catena Fiorello. Molte sue opere sono state recensite da personalità di spicco del mondo culturale: Vincenzo Guerrazzi, Sveva Casati Modigliani, Rosa Alberoni, Catena Fiorello e tanti altri. Con l’ultimo romanzo “Donne di sabbia”, l’ autrice ha raggiunto una maturità espressiva analizzando con grande capacità introspettiva i personaggi, mettendo in luce i variegati →

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All’interno: Giuseppe Leone, Giacomo Leopardi e Carmelo Bene, di Luigi De Rosa, pag. 7 L’irresistibile passione, di Nicola Lo Bianco, pag. 9 Domenico Camera e La segreta sapienza, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 11 Anna Vincitorio: Bambini, di Nazario Pardini, pag. 13 Carlo Lucarelli e i Nuovi misteri d’Italia, di Giuseppe Giorgioli, pag. 15 Angelo Frignani: La strana morte di Wilma Montesi, di Giuseppe Giorgioli, pag. 19 William Shakespeare, di Giuseppe Leone, pag. 22 Natalie Babbitt: La fonte magica, di Marina Caracciolo, pag. 24 Tito Cauchi: Salvatore Porcu, di Leonardo Selvaggi, pag. 27 La giacca a quadretti, di Andrea Masotti, pag. 36 Lettera aperta ad Aida Isotta Pedrina, di Marina Caracciolo, pag. 38 Un sobrio Cicerone dialoga con Irzio, di Ilia Pedrina, pag. 41 Premio Città di Pomezia 2016 (regolamento), pag. 45 I Poeti e la Natura (Gianni Rescigno), di Luigi De Rosa, pag. 65 Notizie, pag. 60 Libri ricevuti, pag. 64 Tra le riviste, pag. 66 RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Imperia Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa, di Luigi De Rosa, pag. 48); Marina Caracciolo (E il mondo ha taciuto, di Giannicola Ceccarossi, pag. 49); Carmelo Consoli (Echi e sussurri, di Giorgina Busca Gernetti, pag. 50); Luigi De Rosa (Motivi vari, di Carlo Olivari, pag. 50); Salvatore D’Ambrosio (Probabilmente sarà poesia, di Isabella Michela Affinito, pag. 51); Salvatore D’Ambrosio (Emozioni sparse al vento, di Anna Trombelli Acquaro, pag. 51); Salvatore D’Ambrosio (Bambini, di Anna Vincitorio, pag. 52); Salvatore D’Ambrosio (Odi impetuose, di Filomena Iovinella, pag. 52); Andrea Masotti (Korean studios, di Maurizio Riotto, pag. 53); Laura Pierdicchi (Emozioni sparse al vento, di Anna Trombelli Acquaro, pag. 54); Laura Pierdicchi (Bambini, di Anna Vincitorio, pag. 54); Stefano Valentini (Echi e sussurri, di Giorgina Busca Gernetti, pag. 55). Inoltre, poesie di: Elio Andriuoli, Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Rocco Cambareri, Giuseppe Cosentino, Salvatore D’Ambrosio, Michele Di Candia, Nino Feraù, Béatrice Gaudy, Giovanna Li Volti Guzzardi, Adriana Mondo, Angiolo Silvio Novaro, Susanna Pelizza, Teresinka Pereira, Leonardo Selvaggi, Carlo Trimarchi

recessi dell’animo. Ma diamo a Maricla di Dio Morgano la possibilità di parlare del suo nuovo romanzo con questa intervista. D: Nei romanzi in cui l’io narrante ripercorre le tappe di un dramma personale, incentrato sul rapporto madre-figlia, il coinvolgimento emotivo è inevitabile, soprattutto se chi narra deve fare i conti con il più tragico degli eventi: il coma vegetativo della propria figlia (Carla) a causa di un

incidente . È su questa vicenda che si apre il romanzo di Maricla di Dio Morgano, “Donne di sabbia”. Il titolo oltre a sottolineare la diversa dislocazione geografica dei personaggi femminili, i quali hanno vissuto nelle città della costa africana (Egitto) attraversata dal deserto, potrebbe connotare la fragilità della condizione umana? R: La sabbia è sinonimo di aridità. Ma nelle profondità del deserto, scorre acqua. L’ apparente aridità è un tema fondamentale in que-


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sto romanzo, legato soprattutto al personaggio di Sonia (ma non solo). L’incapacità di esternare emozioni e sentimenti è una prerogativa di questa donna dalla vita non comune ed è la motivazione dalla quale scaturiscono i sensi di colpa che danno spessore all’intero tessuto narrativo. La pluralità del titolo in “donne” non è uno sterile riferimento a madre e figlia, ma l’estensione all’intero universo femminile e alle sue infinite sfaccettature e problematiche. D: Il personaggio di Sonia è ben delineato nella sua complessità: è una donna che lotta per mantenere il suo fragile equilibrio, messo a dura prova dalle situazioni della vita e soprattutto dal rapporto problematico con la figlia. Quanto è presente l’autrice nel carattere della protagonista del romanzo? R: Io e Sonia siamo diverse caratterialmente. Mentre le vicissitudini che riguardano il mio personaggio hanno plasmato una donna fragile e insicura, le mie vicissitudini, i grandi dolori della vita, le prove, le delusioni, hanno determinato una certa fermezza. In Sonia ho trasferito comunque cenni di un personale disagio subito in seguito a un capovolgimento del mio vissuto, scaturito nel momento in cui ho dovuto identificarmi con un luogo fisso di residenza. L’angoscia del senso di Appartenenza e Identità che tormenta Sonia e ne determina tutta la complessità del suo essere donna, ha riferimenti personali. Il mio felice mondo infantile e adolescenziale si è svolto nel cerchio di una straordinaria e inconsueta famiglia (provengo da intere generazioni di attori che con le loro Compagnie di prosa, giravano tutto l’anno in lungo e in largo l’ Italia). Nessuna origine territoriale ha disciplinato la prima parte della mia di vita. Ero (eravamo) totalmente estranei a qualunque concezione di appartenenza. Solo mio padre vantava origini “normali”, provenendo da una famiglia siciliana di piccoli tenutari da cui fuggì, lasciando gli studi, per rincorrere un ambizioso obiettivo: diventare un attore. L’ incontro con la Compagnia di prosa di mia

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nonna, fu fatale. Raggiunse i suoi sogni e si innamorò di mia madre (donna di straordinaria bellezza e bravura). Quando mia madre in seguito a dolorosi eventi culminati con la morte di mio padre, ha scelto stoicamente di lasciare il teatro e sciogliere la Compagnia interrompendo l’antichissima tradizione artistica e ritirandosi in Sicilia (unico posto in cui esistevano radici e proprietà immobiliari), la nostra vita è stata catapultata in una realtà lontanissima da quella in cui avevamo da sempre vissuto. Non è stato per niente facile inserirsi nella piccola, angusta ed emarginata realtà di un mondo colmo di consuetudini come quello di un piccolo paese del centro Sicilia. Non è stato facile riconoscerne le peculiarità, identificarsi in esso. Mia madre non ci ha neppure provato, chiudendosi in casa. Noi ragazzi dovevamo tessere la nostra vita cominciando un percorso sconosciuto e astruso. Ci sono voluti anni e anni… Adesso vivo serenamente in questo arroccato paese. Ho imparato ad amarlo e ad amare la mia Sicilia e se “l’identificazione” non è mai totalmente avvenuta per complessi misteri genetici, non ha più importanza. Non cambierei questo piccolo paese per nessun altro al mondo. D: La storia narrata fin dalle prime pagine richiama alla mente un altro romanzo: “Paula” di Isabel Allende. Ho riscontrato sul piano psicologico la stessa angoscia di una madre che tenta di comunicare con la figlia in coma per una incurabile malattia, ricordando i momenti più intensi della loro vita e sperando in un miracoloso risveglio. Anche se in Paula l’autrice unisce il dolore per la malattia della figlia ad un’ altrettanto dolorosa esperienza: il colpo di stato di Pinochet del 1973 e l’uccisione di Salvator Allende, che ne segnano la vita. Un’altra differenza consiste nel genere narrativo. Se il romanzo dell’Allende è costruito come un diario autobiografico, “Donne di sabbia” rivela la struttura di un giallo. Il lettore deve cogliere alcuni indizi nei vari capitoli del libro per trovare il filo che unisce la storia. Condivide tali parallelismi?


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R: Ho letto Paula tanti anni fa e non ho voluto rileggerlo durante la stesura del romanzo, (come non ho voluto leggere altri testi che trattavano la stessa amara realtà, come quello recente su Eluana Englaro), per non essere troppo coinvolta e influenzata da sensazioni ed emozioni realmente vissute sulla pelle degli autori. “Donne di sabbia” è pura invenzione. Nulla, dal punto di vista prettamente “umano”, che possa confrontarsi alla straziante partecipazione della Allende e del padre della giovane Eluana. La struttura narrativa di Paula- per quanto io possa ricordare- è sicuramente molto diversa. Il mio romanzo come Lei ben dice, a differenza del testo della Allende, non è un diario. E’ stato concepito come un percorso storicoesistenziale che elabora le tipiche caratteristiche del racconto. Non mi sorprende del tutto il riferimento alla struttura di un giallo. Anche il prof. Grimaldi ha iniziato la premessa del romanzo con la frase: “Si legge come un thriller.” Forse è insito, nel romanzo, una logica giallistica che riconduce un passo dopo l’altro - in percorsi necessari e strutturati- a verità e conclusioni ineluttabili, seppure in un contesto narrativo lontano dal classicismo giallo. Il tutto, comunque, non è una scelta programmata, ma casuale (per quanto possa essere “casuale” un indirizzo narrativo). D: Alla base dei conflitti tra Sonia e Carla vi è senza dubbio la loro distanza generazionale: quest’ultima non ha mai accettato la duplicità della madre, divisa tra l’ atavica rassegnazione delle donne meridionali, la mancanza di volontà nelle situazioni e la dinamicità di una donna moderna. Sonia, in realtà, ha avuto l’esempio di una madre forte e determinata come quelle del Sud Italia: lei era nata a Locri, in Calabria, terra intrisa di cultura greca e araba al contempo. Sonia nasce, invece, nella casa colonica di Gars Garabulli, un villaggio libico, insieme ai suoi fratelli, sostenuti dalle forti braccia materne e dipendenti dalla sua saggezza. È forse la determinazione materna ad indurre i propri figli ad accet-

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tare di vivere in quella terra straniera, in funzione di un futuro migliore, poco comprensibile ad una generazione come quella di Carla? R: Credo che ogni generazione abbia conflittualità in famiglia. E’ inevitabile. Ma la figura di Anna Greco, madre di Sonia, è del tutto diversa da Sonia stessa e diverse sono le dinamiche educative. Mentre Anna è la roccia alla quale tutta la famiglia si aggrappa, Sonia vive un ruolo condizionato dagli eventi senza la forza e la determinazione propria della madre. L’educazione che cercherà di impartire a Carla è plagiata dalla conflittualità e dalla nebulosa consapevolezza del proprio “io” nel quale non riesce a scindere i ruoli che la vita stessa impone: donna-madre-moglie. La sua incapacità scaturisce sempre dalla confusa “appartenenza” (origine italiananascita e infanzia in Libia dove assimila e subisce il fascino del Nord Africa- trasferimento in Egitto in seguito agli eventi bellici del ‘47 e infine –già donna e madre- l’approdo in Italia). “Ero senza un’identità precisa……” D: Le descrizioni dei luoghi vissuti si traducono in immagini di potente realismo, con uno stile lirico ed evocativo di atmosfere, soprattutto quando la protagonista descrive la città del Cairo, dove si trasferisce: <<L’Egitto aveva qualcosa della Libia, gli stessi odori, gli stessi tramonti. Scoprimmo un po’ alla volta tra stenti, fame, stracci, baracche, suk, fogne a cielo aperto, urla di bambini cenciosi, piaghe di malati e puzze, le infinite meraviglie di una terra colma di misteri.>> .Questo modo di scrivere ha come modello Cesare Pavese de “La casa in collina” o di “Paesi tuoi”? Si nota anche l’essenzialità e la semplicità della sintassi, con periodi breve e molto fluidi nella forma. È una particolarità della sua scrittura? R: Amo Pavese. Sono cresciuta con “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” che ha innestato in me il profondo interesse per la poesia e ho letto infinite volte “Prima che il gallo canti” “La luna e i falò” e altre opere del grande e


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sfortunato scrittore. Restano tra le più care letture giovanili che hanno lasciato in me il fascino della scrittura e l’incanto del “racconto” ma non ho mai avuto un modello che abbia determinato il mio stile. Condivido però il pavesiano simbolismo della campagna, la ricerca di radici, il mito della solitudine. La mia scrittura è piuttosto l’esito di un’infanzia trascorsa tra testi teatrali e letteratura. Una caotica, affascinante miscela di storie e personaggi in un vortice di sensazioni imbrigliate nella conoscenza. Da ogni autore ho attinto qualcosa, da ogni opera ho inconsciamente conservato embrionali essenze. D: Sonia è una donna che matura la sua affettività dopo il matrimonio con un archeologo italiano, che sposa perché è un’ opportunità da non perdere. La personalità dell’uomo viene analizzata attraverso il filo della memoria, a cui lei si aggrappa per comunicare con la figlia, sperando in un suo risveglio. In questa sequenza del romanzo Sonia rievoca le lunghe assenze di lui come quella volta in cui mancò per più di un mese dopo l’incarico ricevuto per la salvaguardia del tempio di Ambu Simbel dall’inondazione della diga di Aswan. Quanto la professione del padre condizionerà le scelte lavorative della figlia, sempre in viaggio per il mondo, e la sua instabilità psichica? R: La figura del padre, per Carla, (al di là di architetture edipiche freudiane), colma le lacune del rapporto madre-figlia. La professione avventurosa e per certi versi misteriosa dell’uomo, esercita un fascino inevitabile sulla complessa personalità di Carla che-in ogni caso- soffre enormemente per le eccessive assenze del padre. L’amore per l’ archeologia della bambina finirà quando questa provocherà la morte dell’uomo, ma resta in lei l’ ossessivo interesse per la conoscenza del mondo. L’instabilità psichica scaturisce dall’infanzia inquieta, carente di riferimenti affettivi e si acuisce con la brutalità degli eventi propri della professione scelta: corrispondente di guerra.

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D: Il tempo storico nella narrazione parte da quello del regime fascista in Italia e della colonizzazione della Libia del 1934, con riferimenti alla guerra del ‘43, fino ai nostri giorni. Anche la perdita delle colonie italiane del 1947 s’intreccia con le vicende dei personaggi e vi sono anche accenni alla rivoluzione del 1959, quando Gheddafi prese il potere e rese indipendente la Libia. Perché invece il riferimento al presente non è molto contestualizzato? R: Le vicende politiche italiane non coinvolgono Sonia e non ne condizionano la vita. La scoperta dell’Italia è un fattore emozionale puramente estetico. L’identità territoriale di Sonia non si rivela come aveva sperato, con il suo arrivo nel suolo di origine. A differenza degli eventi vissuti in Libia che hanno determinato la stessa esistenza della famiglia, l’ Italia non porta sconvolgimenti. Lei non ne interiorizza gli eventi socio-politici, non segue le dinamiche di un territorio che in effetti non sente totalmente suo. Continua a vivere “in superficie, nella schiuma delle cose”. D: Molti personaggi secondari, dai beduini del deserto, ai pastori, alle donne dei villaggi, con i quali Sonia e Carla si relazionano, fanno parte di un mondo diverso, con tradizioni, rituali, cultura, lontani da quelli occidentali. Ad esempio Zira è una contadina in cui è contenuta tutta la saggezza e al contempo tutta la rassegnazione delle donne arabe, considerate alla stregua delle bestie, schiavizzate prima dal padre e poi dal marito; condizione inaccettabile per una mentalità emancipata e moderna come quella della protagonista. La figura di Zira però è quella di una grande donna, dotata di un’incommensurabile forza morale, il cui ricordo costituisce un arricchimento interiore e un insegnamento di vita. Nel costruire questo personaggio, si è ispirata ad esperienze personali? R: Amo l’Africa e ho visitato molti suoi Paesi. Sono una viaggiatrice che “ruba ciò che vede e sente. Mi intrufolo nella vita degli al-


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tri, cerco di carpirne i desideri, le speranze, le difficoltà e le gioie. Questo mi è molto servito nell’elaborare romanzi e novelle anche se la mia esigenza non è professionale, ma puramente istintiva. Ho conosciuto diverse donne che potrebbero assimilarsi a Zina. Rappresenta l’anima della donna araba. Ne incarna tutta la fragilità e la forza, in un chiaroscuro di difficile comprensione per la nostra civiltà, ma di profondo spessore seduttivo. D: A proposito della narrativa dei grandi scrittori siciliani, quali Pirandello, Tomasi di Lampedusa e altri, Sciascia ha introdotto la categoria di “sicilianità”, che si rivela nella problematicità dei personaggi descritti, sempre alla ricerca di un “altrove” o di una possibile identità. In un passo del romanzo, e precisamente in uno dei tanti soliloqui di Sonia, c’è questa amara riflessione: <<Ero senza un’identità precisa: italiana, libica, egiziana […] io non ero una, ma tante, nessuna.>> In che modo la sicilianità è presente nella scrittura di Maricla di Dio Morgano? R: Tra i moltissimi autori con i quali ho condiviso infanzia e adolescenza, Pirandello era il mio idolo. La sicilianità è sicuramente presente in molti testi ambientati in Sicilia (Lena, L’Isola, La Siciliana, La coda del diavolo, Donne… e una moltitudine di novelle.) In “donne di sabbia” l’ambientazione e i profili dei vari personaggi sono molto lontani da quella che potrebbe essere la mia ormai dichiarata sicilianità, ma se ne riscontra la presenza proprio nel nucleo del racconto, ovvero, il tema dell’altrove nel paradosso fugaricerca esistenziale, ed è infine, dichiaratamente pirandelliana, la sintesi finale: l’ allontanamento dalla realtà e il progressivo accostamento alla follia. D: La conclusione del romanzo sembra aprire le porte alla speranza e rimanda ad un “altrove” come luogo non definito, in cui finalmente Sonia e Carla possano incontrarsi e restare per sempre insieme.

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Quale messaggio in realtà l’autrice ha voluto trasmettere ai suoi lettori? R: Vi sono dolori che la fragilità umana non supera e non trovano via d’uscita se non in quella sfera (maledetta o sublime), detta follia. La follia potrebbe essere il luogo dove rifugiarsi e ritrovarsi quando ogni altra speranza è vana. Un’opzione alla morte fisica (che Sonia rifiuta per la figlia, non accettando la possibilità dell’eutanasia). Cosa resta, quindi, se non la follia che già serpeggia nella povera mente di questa madre stremata da una inutile speranza, da anni d’insonnia, dall’ abbandono di se stessa? Follia come unico, estremo rifugio. Il mondo estraneo a ogni realtà nel quale portare con sé la sua creatura “ti porterò in un posto colmo di luce. E’ una strada facile. Dritta... Ecco il cerchio magico dove tutto è possibile. Anche trovare un’ assurda, impossibile felicità. Giuseppina Bosco

Dites-moi sur qui tombent vos bombes Dites-moi qu’elles ne tombent pas sur des enfants qu’elles ne tuent que des assassins faute de pouvoir autrement les empêcher de continuer leurs crimes Dites-moi que vos bombes ne sont pas les graines dont surgiront le fanatisme e la vengeance Ditemi su chi cadono le vostre bombe ditemi che non cadono su dei bambini che uccidono solo degli assassini per mancanza di potere altrimenti impedirli di continuare i loro crimini ditemi che le vostre bombe non sono il seme da cui sorgeranno il fanatismo e la vendetta Béatrice Gaudy Francia


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UNO STUDIO COMPARATO DI

GIUSEPPE LEONE SU GIACOMO LEOPARDI (1798-1837) E CARMELO BENE (1937-2002) di Luigi De Rosa

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IUSEPPE Leone, già docente di Letteratura italiana e storia nelle scuole Superiori, vive e opera a Pescate, in provincia di Lecco. Leone non è nuovo a originali studi comparati, come un “Silone-Machiavelli” del 2003, e, con la collaborazione del critico musicale Roberto Zambonini, un “Leopardi-Mozart” del 2008, un “Silone-Puccini” del 2009, un “Mazzini-Mozart” del 2011, e addirittura un “Gadda-Mahler del 2012. La comparazione fra i due “Geni” Leopardi e Carmelo Bene poggia le proprie basi sul contrasto tra oralità e scrittura, silenzio e voce significante e significato. Ben sostenuto da un'ottima conoscenza della vita e delle opere dei due personaggi, il saggio scorre fluente con un richiamo allo Zibaldone del recanatese a proposito del suono e al Sono apparso alla Madonna di Bene a proposito della voce, “ Ci si rende subito conto – afferma Leone – che i due non avrebbero potuto “cantare”

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“d'in su la vetta (della torre antica)” se un identico spirito di ricerca non li avesse orientati – l'uno nella poesia l'altro nel teatro – a trasferire emozioni, sentimenti e pensieri sul senso dell'udito...” Tra altri punti di contatto tra i due Geni, la consapevolezza orgogliosa della propria grandezza e originalità. Che in Bene può portare anche all'autoesaltazione fanatica, in reazione alla trascuratezza e alla ostentata insofferenza della maggioranza dei critici nei suoi confronti. Altro tratto comune, il dispregio verso gli appartenenti al cosiddetto ceto politico di ogni tempo ed ogni luogo (peraltro, più o meno subdolamente ricambiato nei loro confronti). Per non parlare dell'esercizio intenso della “professione” di chierichetto e servitore di messe durante l'infanzia e l'adolescenza, ancora immerse nelle fervorose pratiche cattoliche. E questo sia da parte di Leopardi (con compiacimento del padre conte Monaldo, bigotto e reazionario) che da parte di Carmelo Bene. Entrambi, poi, sarebbero diventati agnostici ed atei nell'età successiva. Ammesso che, come scriveva Goffredo Fofi (citato da Leone) “ Carmelo Bene ha buttato se stesso nella filosofia e nell'arte a partire dall'insostenibilità della società, del non-senso della vita. Lo scandalo è ricordarcelo, ricordare nella domanda obbligata, reiterata, inesauribile, sempre delusa, che solo i senza dio sono religiosi”. La serietà e ponderosità di questo studio non ne impedisce una lettura piacevole e sempre sorretta da curiosità, in quanto l'Autore vi ha inserito un gran numero di note, inserti, citazioni, aneddoti, che aiutano il lettore a proseguire nell'irto cammino, ulteriormente arricchendosi di nuove conoscenze. La comparazione fra i due Grandi della Letteratura e del Teatro è corredata, in fondo, da una Sezione sulle opere e la biografia su Leopardi, sugli scritti autobiografici e su quelli critici. In particolare, per quanto riguarda Carmelo Bene, vi sono paragrafi utili per il lettore che voglia approfondire la co-


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noscenza di un personaggio tanto importante quanto discusso e “antipatico”. Alludo ai paragrafi su Cinema, Discografia, Televisione, Libri, Radiofonia, Spettacoli (Teatrografia), scritti critici, articoli, giornali e altro. Quanto all'”antipatia” volutamente suscitata da Bene, ricordo, fra i tanti esempi della sua dura, ostentata “asocialità”, una frase a lui attribuita: “Il sociale ci sta franando addosso. Smettiamola con le ipocrisie, con la fratellanza, la solidarietà.” Magari una tale frase (per me comunque iperbolica e generica) contiene una dose abbondante di verità, ma ciò non toglie che venga profferita per polemizzare volutamente, senza sconti, senza lasciare spazio a nessuna precisazione. Indipendentemente dal fatto che a lettura (e rilettura) ultimata il personaggio di Carmelo Bene possa rimanere “antipatico” come prima, lo studio di Leone è serio, impegnato, valido sul piano della critica letteraria. Anche se qua e là l'Autore (peraltro “convertitosi” nei confronti di Bene, che anche a lui prima risultava antipatico e incompreso “per colpa di un liceo classico che lo aveva consegnato sordo ai suoni dell'età presente”) giunge ad affermazioni che non sempre sono condivisibili. Per esempio, quest'ultima sul liceo classico.

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Forse per il mondo scientifico-tecnologico, per le lingue straniere, d'accordo. (D'altronde c'erano anche altre scuole per questo, pur se, per alcuni versi, carenti anch'esse). Ma perlomeno il Classico, a chi vi abbia studiato bene, e con la guida di docenti veramente all'altezza, almeno alla pari con altre scuole, mirava non tanto alla sacralizzazione del passato e alla sordità nei confronti del presente, quanto all'acquisizione di un metodo critico per studiare e valutare, con autonomia di pensiero personale, personaggi e movimenti di ogni epoca e luogo. Non tanto contenuti datati, quindi, ma metodo, per potersi districare tra una selva di affermazioni e assunti contrapposti ed escludentisi reciprocamente. (Cosa che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi). Poi, è per lo meno discutibile che Leopardi sia un filosofo, a meno che non si intenda tale qualunque uomo abbia una visione generale del mondo abbastanza coerente . Ma qui si tratta di argomenti per i quali si potrebbe discutere all'infinito. Cosa che, anche per l'età raggiunta, ma soprattutto per i miei interessi non tanto “filosofici” ma squisitamente poetico-letterari, lascio fin d'ora volentieri ad altri, più motivati e meglio attrezzati. Luigi De Rosa GIUSEPPE LEONE - D’IN SU LA VETTA DELLA TORRE ANTICA - G. Leopardi e C. Bene sospesi fra silenzio e voce - Il Melabò, 2015 - 110 pagg. € 16,00

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 22/1/2016 Per pubblicizzare i Buoni Fruttiferi Postali uno dei loro “prodotti” (si badi: non servizi!), le Poste Italiane si servono di uno spot televisivo ambientato nel Far West dei pistoleri e simili. Banditi. Alleluia! Alleluia! Mai così vicina la realtà di un’azienda che, coi risparmi della gente media (i ricchi hanno ben altri canali) si è trasformata in finanziaria dai costi esosi e dai tanti balzelli, distruggendo i servizi per i quali era nata, tra cui la raccolta e la distribuzione della corrispondenza. Domenico Defelice


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Gaspare Cucinella, la grande maschera della drammaturgia palermitana se n’è andato all’età di 92 anni. Vogliamo ricordarlo riproponendo quanto abbiamo scritto esattamente due anni fa alla presentazione di una registrazione di alcune sue poesie

L’ IRRESISTIBILE PASSIONE di Nicola Lo Bianco

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L mio amico Gaspare Cucinella è una maschera teatrale indimenticabile, anche se non fosse mai stato “Aspanu”, lo struggente vagabondo compagno di “Binirì” nel “Pozzo dei Pazzi” di Franco Scaldati. La maschera di “Aspanu”/ Gaspare, per dire che la vita-vita di Gasparino, così lo chiamiamo gli amici, è sul palcoscenico: il teatro è stato, è, il senso, la misura, il valore, il ritmo della sua vita. “Fatemi almeno voltolare un sasso” scriveva Machiavelli, quando lo avevano relegato a S.Casciano, lontano da Firenze. “Datemi un palcoscenico per recitare” potrebbe dire oggi il nostro Gasparino. Oggi, Gaspare ha 90 anni, 90 anni che naturalmente pesano, ma se lo invitate a recitare, lui diventa “fanciullo”. Una raccolta di poesie di Gaspare Cucinella del 2004 si intitola propriamente “Poeta ru Teatru”. E dal teatro nasce la sua poesia, come un

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prolungamento, come un’estensione: Gaspare, quando scrive, non cerca la “bellezza” delle parole, ha in mente il palcoscenico, e le sue poesie, un po’ come quelle di Buttitta, sono fatte e pronte per essere recitate, e hanno sempre un grande successo: applausi, consensi, complimenti, prossimi appuntamenti, ecc.: nelle scuole, nelle piazze, nei raduni che hanno motivazioni sociali. Anche tra gli amici, se capita. Ho detto “valore sociale”, perché i componimenti di Gaspare, ironici, contestativi, di ripulsa di questo mondo, hanno un risvolto sociale verace, sentito, che nasce da una pulita sensibilità che lo faceva amico e poi cantore di Peppino Impastato. Ripulsa, e non a caso nelle sue poesie troviamo spesso la parola “suonnu” (sogno), in contrapposizione alla parola “munnu”: munnu/suonnu. In una delle sue composizioni che a me piacciono di più, “La fabbrica dei sogni”, dice: Nta na fabbrica di suonna Vogghiu iri a travagghiari I patruna nun ci sunnu Ca mi ponnu ncatinari E mi mettui araciu araciu Pigghiu i suonna silinziusu Poi li stennu dilicatu Nto linzuolu arricamatu … Non è il sogno inerte, onirico, è il sogno dell’arte, quel trasferimento trasfigurante che l’arte dà della realtà, anche la più dura, la più crudele. Così Gasparino vive il teatro come un sogno, e così le sue poesie sembrano scritte per preservare quel sogno. All’inizio ho usato la parola “fanciullo”, e qui la voglio ribadire. Chi ha visto l’attore Gaspare Cucinella nell’ interpretazione dei personaggi a lui più congeniali (penso anche ad “Aspettando Godot”), grotteschi, surreali, incredibili, può ben immaginare quello che sto dicendo. “Fanciullo” nel senso che l’attore/poeta si


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spoglia del carico della quotidianità, per ritrovare dentro di sé la genuinità, la spontaneità, l’ ingenuità che solo i “fanciulli” posseggono. E, a chi li ascolta, trasmettono entusiasmo e tenerezza. Ecco, ascoltare Gasparino recitare significa ritornare un po’ bambini, fare una pausa di entusiasmo e tenerezza, con in più la spontanea emotiva riflessione che nasce dall’ evidente stortura di come questo mondo è combinato. Ci viene in mente il Pascoli per il quale “la voce del poeta è la voce del “fanciullino”, per il quale non si può essere poeti, se non si ritrova dentro di sé il “fanciullino”. Il teatro di Franco Scaldati, che qui ricordiamo con ammirazione e affetto, ha certamente trovato nella “maschera” di Gaspare Cucinella l’espressione più compiuta del suo immaginario poetico, il personaggio più intrinsecamente e visceralmente poetico. Gaspare, come attore, non ha da pretendere di più, è quello impresso indelebilmente nella nostra memoria. Come poeta, ancora ci aspettiamo da lui tanta bella poesia. Nicola Lo Bianco

LE NOSTRE SCUSE A LETTORI E COLLABORATORI Per uno “scherzo” della stampatrice - di cui ci siamo accorti, però, a stampa e a confezione ultimate -, sul numero dello scorso febbraio, alcuni titoli di articoli sono stati pasticciati, parzialmente ripetuti su due pagine differenti. Dal momento che tutto il resto rientrava nella normalità, si è deciso di soprassedere alla ristampa, evitando una spesa non indifferente e un ritardo nell’ uscita di non meno 15 giorni. È la prima volta che ciò capita in più di 40 anni. La macchina, come noi, risente della vecchiaia! Abbiamo, comunque, il dovere di chiedere scusa agli Amici collaboratori e a tutti i lettori. Il Direttore Domenico Defelice

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MOMENTO Napoli, via Caracciolo. E’ questa un’altra estate che, rinata sul mondo, accende terra e mare. Noi tentiamo sentieri antichi, ove trovare ci sia dato il profumo di stagioni volate e una gioia segreta nel vento ci trascina. Come chi tutto ignora o forse tutto sa leggiamo nell’abbaglio di questa chiarità un segreto profondo che l’anima ci affina. Ce lo dischiude il fresco esitare dell’ora, ce lo dona la pura dolcezza di un sorriso e il lampo di uno sguardo che l’istante, diviso tra passato e presente, incatena e innamora. Noi andiamo. Intanto il tempo lontano ci conduce in regioni splendenti, su abbaglianti riviere. Al raggio dei mattini o al vento delle sere sempre avvinti ci tiene il volto della luce. Elio Andriuoli Napoli

CANNIBALI parole raccolte strette tra loro avvolte nei silenzi acuminati dei giorni felici e dolci oggi solo amaro succo masticato in solitudine: non consumarti in colpe tue di madre se il perduto valore se l’umana decadenza ti svuotò il grembo per altri a cui fu fatta richiesta di prove insuperate per acquisita arrogante certezza di denaro elargito a piene mani oltre ogni limite tenendo fuori dal calcolo ogni seppure minimo dolore; la ricchezza li fece spietati egoisti disposti a smembrare vite per ricomporne altre destinate quantunque nel breve a terminare. Salvatore D’Ambrosio


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DOMENICO CAMERA: LA SEGRETA SAPIENZA I FOGLIETTI DEL BESTIARIO di Liliana Porro Andriuoli

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A serie dei Foglietti del bestiario, cui è dedicato il recente libro di Domenico Camera: La segreta sapienza - I foglietti del bestiario (Edizioni L’Impronta, Sant’Olcese, 2015, € 16,00) ebbe inizio nel 1995 e si compone di diciannove “Foglietti”, di cui i primi dieci furono curati da Domenico Camera insieme a Manrico Murzi, mentre i successivi nove dal solo Domenico Camera. L’idea per queste pubblicazioni al Camera nacque, come d’altra parte anche egli stesso ebbe a dire più volte durante le varie presentazioni della raccolta dei “Foglietti”, dai Libretti di Mal’aria di Arrigo Bugiani, che conobbe personalmente nella sua casa di Sanpierdarena, dove andò a trovarlo. Si tratta infatti, in entrambi i casi, di semplici fogli di carta piegati in quattro; si viene in tal modo a realizzare la copertina di un vero e proprio “libretto”, che presenta al suo interno “due paginette e un secondo interno, con quattro paginette utilizzabili”. Ma sicuramente ebbe molta influenza sulla riuscita di questo progetto anche il grande amore del Camera per gli animali. In verità questi Foglietti del bestiario, ci avevano colpiti sin dal loro primo apparire: vuoi per la loro eleganza formale, vuoi per la qualità dei loro contenuti, vuoi per l’ originalità dell’idea di dedicare ogni singolo “Foglietto” ad un animale, scelto fra quelli che sentiamo a noi francescanamente più vicini. Di questi “libretti”, o più precisamente di questi “Foglietti”, di primo acchito risaltavano infatti le copertine, tutte illustrate da valenti pittori, quasi sempre liguri, con uno o più disegni che rappresentavano l’animale a cui era dedicato il “Foglietto”. Ognuna di queste copertine si presentava poi con un diverso colore, sempre intonato al contesto in cui viveva l’animale in natura o a quello in cui era stato rappresentato in una delle

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poesie contenute nel “Libretto”. Soprattutto però, a colpirci era il livello, spesso notevole, di questi testi, che erano sempre opera di poeti molto validi; e talvolta di fama internazionale. Dei diciannove animali presentati (come abbiamo detto la serie si compone di diciannove numeri) il primo a figurare è stato il “gatto”, il simpatico e intelligente felino, che convive felicemente con l’uomo, così da essere chiamato, da Manrico Murzi, uno dei due fondatori della collana, affettuosamente “nostro inquilino”. “Nostro inquilino” è anche il titolo che figura nella pagina di copertina del “Foglietto” (Anno 1995, I). L’ illustratore è Luigi Maria Rigon e il colore del foglietto è rosa. Tra gli animali successivi troviamo gli “uccelli”, in Memoria d’azzurro (Anno 1996, II), con un foglietto di colore giallo; il “delfino”, in Fanciullo del mare (Anno 1998, VI), di colore azzurro; la “lucertola”, in Da sasso a sasso (Anno 2003, XIV), di colore marrone chiaro. Non mancano nella serie le “farfalle” (Fiore dell’aria) e le “conchiglie” (Anima marina) e persino il “camaleonte” (L’ arcobaleno mangiato); il “cavallo” (Criniere e voci) e il “lupo” (E nessuno sparò). Non è purtroppo possibile in questa sede citare tutti i quarantuno autori presenti nei vari “Foglietti”, ma vorrei almeno ricordarne alcuni fra i più noti, come Giorgio Bárberi Squarotti, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Margherita Guidacci, Franco Loi, Mario Luzi, Roberto Mussapi, Giovanni Raboni, Silvio Ramat, Maria Luisa Spaziani, Wislawa Szymborska (in ordine alfabetico, e non di apparizione sui “Foglietti”); così come vorrei soffermarmi un attimo sui testi poetici di alcuni di loro. Si prenda ad esempio la poesia, L’ape sole (in Un grumo di sole, Anno 2002, XI) di Giuseppe Conte, che così inizia: “L’ape era in principio un grumo di sole” e cosi termina: “Nel miele c’è un sole vischioso / come le labbra appena distaccate / dal seno materno di un bambino, / c’è un sole di fiamma sulla cera / della candela dopo che accendi lo stoppino”. Si veda anche Falco (in


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…E zampe come mani, Anno 2000, X) di Mario Luzi, notevole per l’aprirsi di ampi spazi di cielo: “Montagne. Quella montagna. / Nubi, ora, le fioriscono / dal grembo / e dal costato, / … / ed eccolo / desiderava levarsi / lui falco / al mirabile sfacelo, / entrare in quel miscuglio / d’aria e luci…”. Legata alla terra, ma con uguale nitore e incisività ci viene incontro la Farfalla (in Fiore dell’aria, Anno 1998, VII) di Giorgio Bárberi Squarotti: “Anima, allora, lieve più del vento / che la trasporta sopra prati alti, / fra gli arbusti candidamente in fiore, / oltre fili spinati, ne colora / di azzurro e di scarlatto le avanguardie / della nera tempesta…”. Immediato e molto efficace è pure l’incipit della poesia di Roberto Mussapi, Bubo Bubo, dedicata alla civetta (in La notte fonda, Anno 2003, XIII): “Tu non conosci la selva, il buio, / non hai coscienza delle ombre intrecciate / che serrano il mondo trascorso l’imbrunire, / ti lasci avvolgere e cullare da loro, / scivoli adagio nel sonno, non le vedi / stringersi attorno a te con tutto il buio / che un giorno fu scisso nel creato…”, che molto bene esprime l’avvento delle tenebre e il timore che ad esse è associato. Originale per il movimento iniziale appare la poesia che Maurizio Cucchi ha dedicato alla tartaruga (in Bissa scudelera, Anno 1999, VIII): “Nel testone ha due occhi tondi, / gialli, ottusi. / E mi guarda come a chiedere: / «Ma cos’è? Cos’è?» / Poi si acquatta / nel corridoio, nell’odore. / Così la tartaruga / annega nel deserto, / si trascina fra tanti corpi di sorelle, / annaspa nell’opposto, / pesante alla sua fine”. Di grande impatto visivo è certamente la poesia di Wislawa Szymboska, tradotta da Manrico Murzi, Visto dall’alto (in …E zampe come mani): “Sta – steso morto su sentiero di campo, / ripiegate con cura sulla pancia / tre paia di zampette: scarabeo. / Al posto del disordine che porta la morte – ordine e pulizia”. Si veda inoltre, per l’atmosfera che sa suscitare, La conchiglia di Margherita Guidacci (in Anima marina, Anno 2004, XV): “Io compagna d’agili pesci e d’alghe / ebbi vita dal

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grembo delle libere onde, / e non odio né oblio, ma l’amara tempesta me ne divise. / Perciò si duole in me l’antica patria e rimormora / assiduamente e ne sospira la mia anima marina, / mentre tu reggi il mio segreto sulla tua palma / e stupito vi pieghi il tuo orecchio straniero”. Le poesie di Domenico Camera, presenti in ognuno dei diciannove “Foglietti”, rivelano il suo profondo amore per la natura e in particolare per gli animali, da lui considerati sempre con affettuosa simpatia. Citiamone una per tutte: Acqua dolce (in Naviganti sommersi, Anno 1996, III), che ci sembra tra le sue più riuscite: “Guizza il pesce nell’acqua, sfiorando le pietre / di un gelido botro, minuscolo oceano. Con lieve / remeggio di pinne, ogni tanto, riaffiora; disegna / cerchi allo specchio. La sua vita è appena un soffio, / un mite silenzioso richiamo. E io non saprò mai dove / giunge la sua sapienza. Lui interpreta ignaro / una storia effimera, elusiva, che vorrei meglio / capire. Intanto guardo, partecipo. L’amo”. Lo stesso è da dirsi per Manrico Murzi, che con lui ha collaborato per i primi dieci numeri della collana dei “Foglietti”, del quale ricordiamo una poesia particolarmente felice, Nostro inquilino, il gatto (in Nostro inquilino, Anno 1995, I, già citato), un sonetto che così inizia: “Altero, coniugando l’eleganza / del rango con l’alterco per la vita, / lascia i resti ai compagni di salita, / torna sul trono come a fine danza” e termina: “Ché, pur restando presenza all’esterno, / inquilino si fa di nostra mente, / dove biascica sogni e placa risse. La serie completa dei diciannove “Foglietti” è ora raccolta, come si è detto all’inizio, in un volume intitolato: La segreta sapienza, curato dallo stesso Camera ed edito in una raffinata veste tipografica da L’Impronta di Sant’Olcese nel 2015. La bella miniatura della copertina è presa da un codice miniato del XIV secolo, il Manoscritto Bodley 264, conservato alla Bodleian Library dell'Università di Oxford. Liliana Porro Andriuoli DOMENICO CAMERA: LA SEGRETA SAPIENZA - I FOGLIETTI DEL BESTIARIO - (Edizioni L’Impronta, Sant’Olcese, 2015, € 16,00)


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ANNA VINCITORIO:

BAMBINI di Nazario Pardini “E’ inutile per l’uomo conquistare la luna, se poi finisce per perdere la terra”. (François Mauriac)

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NA plaquette intensa, emotivamente umana, umanamente disumana, che, con versi brevi, secchi, apodittici, e di urgente concretizzazione ontologica, cerca di agguantare tutto il disagio di una scrittrice sensibile e inquieta davanti a: “Piccole schiere/ presto ombre di fanciulli alteri/ nudi d’ inerme giovinezza”. Sì, sono proprio i bambini che attraggono lo sguardo sconcertato e addolorato della Vincitorio. Ma non quelli che giocano allegri e spensierati su prati verdi, su spiagge profumate di salmastri, al sole ridente sui loro capelli, o rassicurati dallo sguardo delle madri. No! Questi fanciulli giocano alla guerra; la giovinezza è stata loro strappata; rubata senza pietà alle loro braccia, gambe, mani, ai loro cuori; le loro altalene o le loro fionde sono state sostituite da fucili di morte e di sangue. Magari storditi da droghe

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vanno spavaldi in prima linea incoscienti e ignari di quello che sono e non sono: “Ignare le rane/ sopra ninfee giganti/ ti osservano: soldato/ non ancora soldato/ ma con negli oc chi/ viva fame di guerra,/ forse anche di gloria…” (ibidem). I versi vanno svelti; devono correre per star dietro a sentimenti che fluttuano a cascata; persino la punteggiatura non rispetta la canonica grammatica; è d’intralcio per un cuore che palpita, che scalpita; per un cuore tutto vòlto a gridare al mondo nefandezze esiziali; per confessare agli uomini tutto il suo rammarico. Si tratta di bambini, spighe di grano non ancora imbiondate dai refoli degli anni; su costoro il tema si fa contagiante, straziante. Non si può scherzare su tanta indifferenza, su tanta disumanità. Ed è così che la poetessa ricorre a stratagemmi di alta valenza figurata; di palpabile significanza cromatica; di forte impatto significante ed epigrammatico: panici ausili, folgorazioni, potente creatività per rendere le scene più visive e scottanti: “Betulle dalle foglie ovate,/ lisce, verde traslucido/ nella campagna coltivata a grano/ Ancora non maturo il tempo/ per la sua chioma d’oro/…/ Nelle tue mani/ la mortale stretta/del kalashnikov/ Dove la tua innocenza…” (Bambino in guerra). Un tessuto narrativo che sgorga fluente e sonoro da un animo, addolorato e pietoso, verso primavere senza speranza: “Tu, primavera/ non porti con te/ la speranza/ Quello che resta/ è luccicore d’armi…” (ibidem). Un poetare dove una sola parola, scelta con acume e “onestà” sabiana, è sufficiente a se stessa per un verso; dove la penna va da sola verso Bambini invisibili, sofferenti Afriche, carestie di Niger, Mali, Mauritania; e dove interrogativi inquietanti ci lasciano di stucco: “quando, gli aiuti umanitari/ raggiungeranno le sofferte grida?” (Bambini invisibili). Ma l’indifferenza copre spesso immagini che farebbero tremare il mondo. Sì, è sufficiente un telecomando: si cambia canale, o si spegne il video, e il gioco è fatto! Si torna ai nostri solipsismi, ai nostri ego infradiciati dalla vita moderna fatta di consumo e occhi spenti: “Siamo sordi alle immagini/ non emettono suoni e/ invocazioni


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d’aiuto/ Basta interrompere il video/ e spegnere la luce/ Tutto torna eguale” ( ibidem). E sono proprio quegli interrogativi iterati che colpiscono, come frecce appuntite, tutti noi umani disposti ad essere bravi a chiacchiere, a spavalderie, ma distanti quando l’umanità ci chiede di esserci: “Cosa porti negli occhi, bambino?/ Cosa porti sul cuore?/…/ Ci sarà un domani,/ un ritorno?” (Bambini abbandonati). Immagini di calda stagionatura: fresche azzurrità; quiete silente; frinire di cicale; stoppie e giochi di luce; sì, tutto un ben d’ Iddio che dovrebbe fare da contorno a grida e guizzi gioiosi di bambini innocenti; ma qui si tratta di un ossimorico gioco piuttosto triste e desolante: “Per queste ali d’angelo recise/ non basterebbe il mare/ Solo pietà rimane/ alle sue sponde” (Cronaca); un deprimente gioco che chiama tutti noi mortali a una prece; a una meditazione; a un impegno attivo, costruttivo; un parenetico invito alto e sublime a ché l’uomo torni alla terra, ai suoi drammi, dopo le sue tante avventure spaziali: “E’ inutile per l’uomo conquistare la luna, se poi finisce per perdere la terra”. (François Mauriac) Nazario Pardini ANNA VINCITORIO - Bambini - Presentazione di Domenico Defelice - Ed. Il Croco/PomeziaNotizie, 2016.

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SUR LES PATINOIRES DE LA SAISON DE SANG Oblier le monde en guerre les terroristes qui errent parmi nous S’alléger sur la glace jusqu’à l’envol

SULLE PISTE DA PATTINAGGIO DELLA STAGIONE DI SANGUE Dimenticare il mondo in guerra i terroristi che errano tra noi Alleggerirsi sul ghiaccio fino a spiccare il volo Béatrice Gaudy Francia

A SUMMER NAME Quando gli alberi s' aprono in nuove foglie verdi perfettamente imperfetti o imperfettamente perfetti come le rondinelle che aprono già in volo le ali in mezzo al blu su alti papaveri rossi

IL FIUME L'acqua scorre lenta il giorno dirada. I frastuoni della città sono lontani. Il sole grida calore, il cielo sfuma colori chiari ed azzurri. Galleggiano barche tinteggiate di sole, attendono i barcaioli pronti a salpare. Riflessi di vita del fiume, il suono di un organetto trafigge l'aria da una via sgorga una dolce canzone, inondando quei momenti magici di solitudine, oltre l'orizzonte di quel ponte si profila la vita sognata, la bellezza cercata, dove tutto si mostra nel sussulto dell'anima, Adriana Mondo

dove l' aria schiarisce già in un boreale posto qualunque tra caldi raggi del sole e voli di farfalle perché è giunto il tempo dei frutti del grano e di gustare il fatto di dolci pesche mature ricordo a volte June. Una signora dagli occhi azzurri belli come cieli fioriti luccicanti e vivi di vita. Michele Di candia Inghilterra


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CARLO LUCARELLI NUOVI MISTERI D'ITALIA. I CASI DI BLU NOTTE di Giuseppe Giorgioli Durante il mese di agosto ho voluto leggere tre libri, fra loro collegati, uno sul Mostro di Firenze di Michele Giuttari, un altro su varie storie di cronaca italiana, fra cui anche quella del mostro (o mostri di Firenze) di Carlo Lucarelli ed il terzo “La strana morte di Wilma Montesi” di Angelo Frignani, che avevo in casa da qualche tempo. Ne fornisco una breve recensione per la gradevolezza che ho avuto nel leggerli. Questa è la terza puntata (la prima è uscita sul numero di gennaio 2016, la seconda sul numero di febbraio 2016), che tratta parte della recensione dei Nuovi Misteri d’Italia di Carlo Lucarelli, in particolare dei capitoli 7, 8 e 9 e del libro “La strana morte di Wilma Montesi” di Angelo Frignani.

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UCARELLI con questo libro ci ha regalato un bellissimo libro in quanto ci fa ricordare tanti momenti di storia recente. Sono i misteri ancora irrisolti dal dopoguerra ad oggi. Leggere queste storie fanno rivivere il passato specie per chi lo aveva rimosso. Le storie descritte sono nove, e precisamente: il bandito Giuliano, Wilma Montesi, la strage di Ustica, Alceste Campanile, i mostri di Firenze, Antonino Agostino ed Emanuele

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Piazza (recensite nel numero di febbraio 2016), Pier Paolo Pasolini, Beppe Alfano, la strage di Bologna. In questo libro Carlo Lucarelli torna a indagare la parte nascosta dell'Italia, gli intrecci tuttora inspiegati fra politica, crimine e società in un nuovo libro basato sulla trasmissione televisiva "Blu notte". La narrazione, attraverso gli strumenti letterari del giallo, consente di approfondire le storie rispetto alla sceneggiatura televisiva, ma mantiene costante la fedeltà ai documenti dando voce a tutte le ipotesi e a tutte le piste. La settima storia ha per titolo :”Pier Paolo Pasolini”, raccontata, come tutte le storie, in modo brillante da Lucarelli. Quest’anno ricorre il 40simo anniversario della morte di Pasolini, avvenuta il 2 novembre del 1975. Racconta Lucarelli: “Questa è la storia del mistero di un uomo, della morte di un poeta. Tutto inizia con un inseguimento all’una e mezzo di notte del 2 novembre 1975. Un’ Alfa Gt 2000 sfreccia contromano sul lungomare Duilio di Ostia. Non si ferma all’alt dei Carabinieri. Dopo un lungo inseguimento viene fermata ed il conducente Pino Pelosi, minorenne di 17 anni, viene portato al carcere minorile di Casal del Marmo. Scoprono che l’ auto è di proprietà di Pier Paolo Pasolini.“ Pino Pelosi sanguina alla testa, dice che l’ Alfa è stata rubata nel quartiere Tiburtino vicino al cinema Argo e che gli è servita per accompagnare un amico ad Ostia. Pelosi chiede ai Carabinieri di cercare nell’auto un pacchetto di sigarette, un accendino ed un anello d’oro giallo con una pietra rossa e con la scritta “United States Army”. (Questo anello verrà poi trovato a fianco del cadavere di Pier Paolo Pasolini). Alle 6,30 circa ad Ostia, vicino alle foci del Tevere, una signora scendendo dall’auto nota il cadavere di Pasolini. Si scopre che è stato massacrato con una ferocia incredibile: addirittura un auto è passata sopra il suo corpo! La notizia della morte di Pasolini ha rilevanza nazionale. Al suo funerale vi è un’ enorme folla. Lucarelli scrive:”Alberto Mo-


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ravia urla al microfono che abbiamo perso un poeta, ce ne sono 3 o 4 in un secolo!” Pasolini scriveva sul Corriere della Sera articoli contro la borghesia in quanto odiava il capitalismo, era vicino al Partito Comunista, anche se criticava anche questo Partito. Pasolini era un personaggio originale e scomodo. Diceva che un’analfabeta era migliore di uno con cultura in quanto l’analfabeta di solito non è corrotto e di solito è una persona semplice. Pasolini era anche regista, fra i suoi film si evidenziano Accattone, Mamma Roma, Uccellacci e Uccellini. Rappresenta nei film l’azione dell’uomo nella realtà. In sintesi Pasolini era un intellettuale, uno scrittore, un regista, un poeta. Lucarelli descrive la modalità dell’ uccisione di Pasolini, secondo la confessione di Pino Pelosi: alle 22,30 un’Alfa con Pasolini si avvicina a quattro ragazzi a Roma in piazza dei Cinquecento di fronte alla Stazione Termini. Pino Pelosi accetta di salire in auto e Pasolini lo porta a cenare “Al biondo Tevere”. Alle 23,30 dopo aver fatto benzina ad un self service Pasolini concorda una prestazione sessuale per ventimila lire e va con l’auto in zona idroscalo di Ostia. Lì per un disaccordo sulla prestazione sessuale Pasolini e Pelosi vengono alle mani, utilizzano anche travi di legno. Pasolini soccombe e viene massacrato. Il caso si chiude così. Ma la dinamica del delitto non convince molte personalità, fra cui la cugina di Pasolini, gli avvocati Calvi e Marazzita, Oriana Fallaci. Tornando alla sera del delitto, Pasolini alle 21,30 andò a cena al quartiere San Lorenzo presso il Ristorante “Il Pommidoro” insieme all’amico Ninetto Davoli e la moglie. Pasolini quella sera aveva una faccia cupa e al ristoratore Aldo Bravi disse:” Aldo. Vattene da ‘sto Paese!” E poi dopo che Aldo ha affermato:” E perché? Sto tanto bene qua a fare le pizze!”, Pasolini dice: ”perché i cretini gestiranno la tua vita.” Poi, altro particolare: Pasolini, prima di entrare nel Ristorante aveva parlato con quattro ragazzi. L’avvocato Calvi dichiarò che il delitto Pasolini fu un delitto politico, ma la sentenza del 4 dicembre 1976, confermata in Cassa-

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zione il 26 aprile del 1979, condannò per il delitto solo Pelosi! Caso chiuso! Nel libro di Lucarelli è descritta un’ interessante intervista di Enzo Biagi a Pasolini: Pasolini dichiara che la TV ci omologa e ci mercifica. Pasolini con trent’anni di anticipo ha predetto l’omologazione del consumismo e della globalizzazione! Io stesso nel mio periodo di lavoro a Milano nei primi anni ’70 ero colpito dagli articoli di Pasolini sul Corriere della Sera per il suo anticonformismo. E infatti è stato un precursore: per esempio io stesso ho scoperto che sui social network, per esempio face book, non si è liberi di esprimersi in quanto condizionati dal pensiero comune della gente, si può essere tacciati di qualunquismo, oppure di dire una verità scomoda per la società e del pensiero comune… Questo libro descrive un altro caso in cui le verità sono molte ma l’unica vera forse non si saprà mai. Questo libro è stato scritto nel 2004 prima della dichiarazione shock di Pelosi del 2005. Pelosi confessò in una trasmissione televisiva di non essere stato lui, ma tre o quattro persone aggredirono Pasolini con bastoni e catene! L’ottava storia ha per titolo :”Beppe Alfano”, raccontata, come tutte le storie, in modo brillante da Lucarelli. Il racconto inizia come un Thriller! Lucarelli racconta:” Questa è la storia di un giornalista. Inizia a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, l’8 gennaio 1993. E inizia proprio come in un film! Sono le 22,50. In via Marconi, accostata al marciapiede, c’è una macchina, una Renault rossa, è strana, perché è ferma da un po’, come se fosse parcheggiata, ma ha il motore acceso, che romba, su di giri. Dallo scappamento, nel freddo di quella notte d’inverno, illuminata dall’insegna di un’agenzia di pompe funebri che si trova di fronte, esce una nuvola di gas di scarico che l’ha avvolta, quasi avesse preso fuoco. La gente vede qualcosa di inquietante e chiama il 113. Vengono subito gli agenti e dentro l’auto vedono un uomo al volante che sembra essersi addormentato contro il sedile e col piede sta premendo l’acceleratore. Ma


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non dorme, è morto, gli hanno sparato in testa tre colpi di pistola! Cambiamo scena torniamo indietro. Pochi minuti prima un giornalista Beppe Alfano era rincasato con sua moglie. Mentre sta arrivando a casa vede qualcosa di strano. Dice alla moglie vai tu a casa che io torno fra poco! Perché? Dove va? La moglie a casa parla con la figlia, che non vedendo arrivare suo padre, telefona al cellulare del padre: squillava a vuoto. Chiama alla redazione del giornale e gli dicono che hanno trovato un morto ammazzato. Mentre la figlia era in linea un collega della redazione afferma che hanno trovato morto ammazzato a Barcellona il giornalista Beppe Alfano.” Beppe Alfano aveva 47 anni, non era iscritto all’Ordine dei giornalisti, ma aveva la passione per il giornalismo e, oltre ad essere un insegnante di educazione tecnica in una scuola media di Terme Vigliatore, collaborava con il giornale di Catania “La Sicilia”. Era talmente bravo che spesso arrivava alla verità prima degli inquirenti. Era anche schierato politicamente con il M.S.I. Beppe Alfano nei giorni prima della sua morte diceva spesso alla moglie e alla figlia che lo uccideranno prima di Natale. Era ossessionato per la sua morte perché sapeva di essere ucciso! La sua attività giornalistica era rivolta soprattutto verso uomini d'affari, mafiosi latitanti, politici e amministratori locali e massoneria. Dopo la sua morte seguì un lungo processo, tuttora non concluso, che condannò un boss locale, Giuseppe Gullotti, all'ergastolo per aver organizzato l’omicidio, lasciando ancora ignoti i veri mandanti e le circostanze che scaturirono l'ordine di morte nei suoi confronti. La nona ed ultima storia ha per titolo :”La strage di Bologna”, raccontata, come tutte le storie, in modo brillante da Lucarelli. Lucarelli comincia questo racconto con due descrizioni del giorno 2 agosto1980, ore 10,25: una descrizione poco prima dello scoppio della bomba ed un’altra subito dopo.

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Il racconto è commovente. Prima dello scoppio della bomba si descrivono i bambini che giocano, una donna Maria Fresu che gioca con la sua bambina di tre anni. Dopo lo scoppio della bomba la bambina muore e la donna rimane addirittura polverizzata! Si troverà solo qualche suo frammento alcuni mesi dopo! La descrizione dello scoppio della bomba è terrificante: un’intera ala portante della sala d’aspetto crolla, portando via con sé le pensiline ed il tetto in uno scenario di polvere, detriti, morte! Il boato si sente per tutta la città. I taxi presenti e l’autobus 37 si trasformano in infermeria viaggiante. I morti saranno 85 e 200 i feriti. E’ la più grande strage dalla fine della seconda guerra mondiale! Torquato Secci viene da Roma a trovare il figlio in ospedale, ferito grave. Muore dopo cinque giorni. Torquato Secci fonderà l’ Associazione dei familiari delle vittime della strage alla Stazione di Bologna. A Bologna il giorno dopo - 3 agosto - il Presidente del Consiglio Francesco Cossiga parla di “deflagrazione dolosa”. La perizia balistica dimostrerà che è stata una bomba di ventitré chili di esplosivo (18 nitroglicerina e 5 tritolo e T4), collocata sotto il muro portante dell’ala della stazione. Il 28 agosto la Procura di Bologna emette cinquanta ordini di cattura a carico di estremisti di destra con l’accusa di associazione sovversiva, banda armata ed eversione dell’ ordine dello stato democratico. Da qui in poi cominceranno confidenze di pentiti, depistaggi che porteranno ad indagare su più fronti. Un primo depistaggio fu fatto dal Sismi di Firenze, che in una telefonata attribuisce l’ attentato ai NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari). Panorama tira in ballo Francesco Pazienza del Sismi e collegato a Licio Gelli. Licio Gelli in persona parla di una pista internazionale. Lucarelli descrive tante piste, cita un articolo di giornale “La grande ragnatela”, dove si ipotizza che la bomba fu messa da due giovani neonazisti tedeschi del gruppo Hoffman per conto di Delle Chiaie. Il 15 settembre del 1981, presso il Tribunale di Bologna, vengono scagionati i cinquanta e più indagati! Ma Torquato Secci con l’ Associazione dei fami-


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liari delle vittime della strage alla Stazione di Bologna non ci sta ed il 2 agosto di ogni anno commemora la strage e ammonisce lo Stato perché faccia chiarezza. Il 14 giugno del 1986 vi è la svolta: vengono rinviati a giudizio per associazione sovversiva Licio Gelli, Francesco Pazienza, il vicecapo del Sismi, generale Musumeci ed il suo braccio destro colonnello Belmonte. Secondo la Procura furono loro a commissionare la strage ad un gruppo di estrema destra per sovvertire l’ordine democratico. Vengono accusati i due membri più attivi dei NAR Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Giuseppe Valerio Fioravanti, detto Giusva, è un nome noto. Per il grande pubblico perché ha fatto l’attore in uno sceneggiato televisivo di successo, La famiglia Benvenuti ed inoltre perché poi era diventato uno spietato terrorista dell’area di destra insieme con Francesca Mambro. Lucarelli descrive con dovizia di particolari le imprese dei due. Giusva commise il primo omicidio nel 1978: uccide in un raid punitivo contro la sinistra un giovane di 24 anni Roberto Scialabba. Numerosi altri delitti compie in nome della militanza politica nell’estrema destra. A luglio 1988 la seconda Corte di Assise di Bologna condanna all’ergastolo Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Massimiliano Fachini e Sergio Appicciafuoco. A dieci anni per calunnia pluriaggravata - il depistaggio - Francesco Pazienza, Licio Gelli, il generale del Sismi Pietro Musumeci ed il suo vice Colonnello Belmonte. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro giurano la propria innocenza: la mattina del 2 agosto erano a Piazza delle Erbe a Padova per incontrare un non meglio identificato zio Otto. Vi furono poi collaboratori di giustizia che riportarono affermazioni - allusive alla strage - di Fioravanti e di Ciavardini, ad esempio quella in cui quest'ultimo consigliava ad un' amica di non prendere il treno il 2 agosto. Le principali fasi processuali sono le seguenti:  25 ottobre 1989: inizio del processo d'appello;  18 luglio 1990: pronuncia della

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sentenza, gli imputati sono tutti assolti dall' accusa di strage. L’Associazione dei parenti delle vittime è sconvolta. Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ed alcuni esponenti del M.S.I. chiedono che venga rimossa la parola “fascista” dopo la parola “strage” sulla lapide di commemorazione;  12 febbraio 1992: le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione dichiarano che il processo d'Appello dev'essere rifatto, in quanto la sentenza viene definita illogica, priva di coerenza, non ha valutato in termini corretti prove e indizi, non ha tenuto conto dei fatti che precedettero e seguirono l'evento, immotivata o scarsamente motivata, in alcune parti i giudici hanno sostenuto tesi inverosimili che nemmeno la difesa aveva sostenuto;  ottobre 1993: inizia il secondo processo d'appello;  16 maggio 1994: pronuncia della sentenza che conferma l'impianto accusatorio del processo di primo grado;  23 novembre 1995: pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione che conferma quella del secondo processo d'Appello;  4 aprile 2002: la Corte di Appello condanna a trent’anni di carcere per strage Luigi Ciavardini, che all’epoca della strage era minorenne. Torquato Secci, primo Presidente dell’ Associazione dei familiari delle vittime, muore nel 1996. Comunque questa è una strage di matrice politica, anche se diversa da quella di Piazza Fontana per il diverso contesto sociale italiano. “Signor Presidente, da quella lapide dobbiamo togliere le parole “strage fascista”, perché ciò è riduttivo e fa parte del depistaggio operato sulla strage di Bologna, diversa dalle altre stragi e che ha molto più a che fare con Ustica e con i rapporti tra Italia, Francia, Stati Uniti, i servizi occidentali e le strutture segrete. Dire che sono stati Fioravanti e compagni è stato un depistaggio: su quella lapide bisogna scrivere “strage di stato”!” (Discorso parlamentare per il decimo anniversario della strage, 2 agosto 1990)


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Lucarelli conclude il suo racconto con la dichiarazione fatta nel primo anniversario della strage: “ Un Paese che rinuncia alla speranza di avere giustizia ha rinunciato non soltanto alle proprie leggi, ma alla sua storia stessa. Per questo severamente, ma soprattutto ostinatamente, aspettiamo”. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro erano autori di crimini politici ma non avevano motivo di procurare una strage, se non su Commissione. Commissione di chi? A quale scopo? Aspettiamo ancora! (dicembre 2015)

Manetti), e con Milonga Station. Nel 2008 è andata in onda una serie di quattro film tv tratti dai romanzi de Il Commissario De Luca. Nel 2008 ha pubblicato per Einaudi il romanzo storico L’ottava vibrazione. Ha fondato Bottega Finzioni, una scuola di scrittura creativa (sezioni: Fiction, Non fiction, Letteratura, Produzioni per Bambini e Ragazzi). Giuseppe Giorgioli

Carlo Lucarelli Carlo Lucarelli ha saputo rendere avvincente come un romanzo giallo tutte le storie riguardanti i casi più noti, come i grandi misteri d’Italia. Figlio di Guido, noto ematologo, studiò presso il Liceo Classico Torricelli di Faenza. Il suo esordio letterario avvenne con il giallo Carta bianca del 1990, il primo di una lunga serie di noir a sfondo poliziesco, genere per il quale è conosciuto anche all'estero. Tra gli altri, ricordiamo Almost Blue, suo bestseller da cui è stato tratto anche un film e il romanzo giallo-noir Laura di Rimini (2001). Ha collaborato con Dario Argento alla sceneggiatura del film Non ho sonno (2001). Scrive anche per diversi giornali o riviste (il Manifesto, L’Europeo, Il Messaggero, L’Unità) ed ha vinto numerosi premi letterari. Da 1999 conduce Blue notte – Misteri italiani (nella prima edizione si chiamava Mistero in Blu), programma andato in onda su Rai 3 in prima serata che analizza in modo approfondito fatti di cronaca, indagini su disastri e su omicidi seriali dell'ultimo cinquantennio della storia italiana. Ha fondato "Gruppo 13" un'associazione di scrittori di romanzi gialli della Romagna e cura la rivista telematica: Incubatoio 16. Insegna anche scrittura creativa alla Scuola Holden a Torino e nel carcere Due Palazzi di Padova. Dopo un breve periodo di pausa, nel 2006 è ritornato in televisione, ideando la fiction L’ispettore Coliandro (diretta dai Fratelli

ANGELO FRIGNANI LA STRANA MORTE DI WILMA MONTESI

CARLO LUCARELLI - NUOVI MISTERI D'ITALIA. I CASI DI BLU NOTTE - Versione brossura: Einaudi, Stile libero - Edizione 2004, pag 213, Euro 14,50 €, ISBN: 88-06-16740-5.

di Giuseppe Giorgioli

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RA i vari libri sul caso Montesi mi sembra interessante questo breve saggio. Si legge tutto d’un fiato in quanto coinvolgente. Se ne consiglia la lettura. Il libro è composto di 24 brevi capitoli. Nel primo capitolo “Prima ipotesi. Il suicidio” viene descritto l’ambiente familiare in cui vive Wilma Montesi: un’umile famiglia, abitante in via Tagliamento a Roma, viene descritta l’attesa durante la sera e i giorni successivi alla scomparsa di Wilma, che era uscita il 9 aprile 1953 da casa ad un’ora di cui si sono fatte varie ipotesi in quanto variabile dalle 16,30 alle 17,30 (secondo la portiera). Si fa strada l’ipotesi del suicidio: si presume che Wilma prima di uscire avesse litigato con la madre. Viene avvisato il fidanzato Angelo Giuliani, agente a Potenza, per farlo arrivare a Roma. Un operaio di 17 anni Fortunato Bellini nella mattina dell’11 aprile scopre a Capocotta, zona Torvajanica, il corpo di Wilma Montesi sul bagnasciuga. Vengono avvisati i carabinieri ed alle 9,30 arriva il maresciallo, accompagnato dal medico condotto del paese, il dottor Agostino De Giorgio. La causa della morte per il dottore è abbastanza evidente: la ragazza è annegata! Due giorni dopo la fami-


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glia riconosce Wilma all’obitorio dove nel frattempo era stata portata. Si susseguono strani episodi: l’autopsia viene fatta in ritardo (4 giorni dopo!), una professoressa Rosa Passarelli si fa viva in casa Montesi, dichiarando di aver fatto il viaggio sul treno per Ostia con Wilma Montesi, in coincidenza con la visita sempre a casa Montesi del funzionario della Squadra Mobile Morlacchi. Alla fine si fa il funerale (all’epoca se fosse stato suicidio la Chiesa Cattolica non avrebbe consentito la cerimonia in Chiesa) in quanto emerge che Wilma è morta per un malore durante un pediluvio al mare a Ostia per curare un arrossamento ad un piede. Poi il mare ha trascinato il corpo da Ostia a Capocotta. Il funerale ha luogo nella Basilica di San Lorenzo e verrà seppellita al Verano – zona Pincetto. Questo nei primi 5 capitoli, ma sembrava la fine del caso, invece è solo l’inizio! Si susseguiranno i colpi di scena: la madre di Wilma non è convinta della dinamica sulla morte della figlia in quanto mai la figlia si sarebbe tolto il reggicalze, che fra l’altro era sparito insieme ad altri oggetti (borsa, scarpe,…). Un testimone parla di un auto Alfa 1900 scura ferma a Piazza Fiume e che una ragazza somigliante a Wilma sia salita su quest’auto dopo essere scesa dal filobus 35 che proveniva da via Tagliamento il giorno 9 aprile (giorno della scomparsa della ragazza). Un giornalista Silvano Muto pubblica sul mensile “Attualità” un articolo dal titolo “La verità sulla morte di Wilma Montesi” in cui si ipotizza cha Wilma abbia partecipato ad un festino con uso di droga in una villa presso Capocotta, dove ebbe un malore. Qualcuno ha portato la ragazza sulla spiaggia dove questa ha trovato la morte per annegamento. Questa tesi fu fornita da una testimone, che sembra frequentasse Capocotta, Adriana Bisaccia. Un’altra testimone risulta essere Anna Maria Moneta Caglio, nominata il Cigno Nero, che in cerca di fortuna da Milano viene a Roma con una lettera di presentazione del padre per il Ministro Spataro. Nell’ anticamera del Ministro il segretario Savastano le presenta Ugo Montagna, che era amministratore

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della Società Sant’Uberto, che aveva in affitto da Casa Savoia una tenuta a Capocotta. La frequentazione della Caglio con Montagna permette di venire a conoscenza di fatti riguardanti la fine della Montesi ed il presunto coinvolgimento di Piero Piccioni, figlio del Ministro Attilio. Montagna al ristorante “Il matriciano” di via dei Gracchi tenta di avvelenare la Caglio in quanto a conoscenza di troppe cose. Montagna la costringe comunque a tornare a Milano, ma per poco perché fu richiamata a Roma in quanto Fanfani voleva essere aggiornato sul caso Montesi. I carabinieri costringono la Caglio a tornare a Roma dove viene interrogata dal colonnello Pompei, su richiesta di Fanfani circa la sua relazione con Montagna, le orge a Capocotta, etc..etc.. Però sono illazioni non prove concrete…Intanto il caso Montesi si stava sgonfiando ed il 3 gennaio 1954 il Tribunale archivia il caso sostenendo di nuovo la tesi della disgrazia. Ma la quiete durò poco: il 28 gennaio del 1954 si aprì il processo al giornalista Silvano Muto per “divulgazione di notizie false e turbamento dell’ordine pubblico”. Vengono rintracciate Adriana Bisaccia e Anna Maria Caglio e vengono interrogate. Il 3 marzo del 1954 si ha un’ulteriore archiviazione (terza volta!) con ipotesi disgrazia per un pediluvio! A questo punto per le rivelazioni emerse nel processo a Silvano Muto si ha un’ulteriore apertura dell’inchiesta che viene affidata al Giudice Sepe della Corte di Appello di Roma. Viene riesumata la salma di Wilma Montesi per ulteriori accertamenti. Tale salma era sepolta al Pincetto Vecchio del Verano (Cappella 11, numero 2, fila 4). Viene interrogata Adriana Bisaccia, che verrà arrestata per falsa testimonianza la mattina del 18 giugno in via Catania, n.80. Scagionata, viene liberata l’8 agosto e torna dalla madre ad Avellino. Nelle sue indagini il Giudice Sepe appura che Wilma non è morta la sera del 9 aprile, ma il giorno dopo e che sia stata gettata in acqua ancora viva a Torvajanica e non a Ostia. Se valesse la teoria del pediluvio Wilma è andata a farlo il giorno dopo a Torvajanica e non a Ostia! Viene, fra l’altro, accusato


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anche il Principe d’Assia, nipote di Vittorio Emanuele III. Il Giudice Sepe organizza un incontro a sorpresa fra Montagna e Anna Maria Caglio dove si parla di un famoso inseguimento per il centro di Roma della Caglio a Montagna, che aveva in auto una bella ragazza nel gennaio 1953. Ma si appurò che la ragazza cha stava con Montagna non era la Montesi. I colpi di scena si susseguono. Nel breve capitolo “Il Ministro si dimette” vengono descritte le dimissioni del padre di Piero – Attilio Piccioni –, dimissioni necessarie per poter avere il tempo di difendere il figlio in questa vicenda ormai di dominio pubblico. Attilio Piccioni era Ministro degli Esteri e si doveva dedicare alla questione spinosa di Trieste. Sulle dimissioni ci fu un dibattito del Governo, che fu costretto a chiedere la fiducia: si era rischiata una crisi di Governo! Però Piccioni e Montagna vengono arrestati e rinchiusi in una cella singola a Regina Coeli. Le prove non erano schiaccianti. Il 9 aprile del 1953 Piccioni era tornato a Roma da Amalfi con una forte tonsillite ed è stato 3 giorni a casa sua a via della Conciliazione seguito dal suo medico, che confermò l’alibi. Piccioni e Montagna, arrestati il 21 settembre del 1954, vengono scarcerati il 19 novembre del 1954. Si pensò allora che la vicenda si fosse conclusa con la tesi della disgrazia senza nessun colpevole. Ma non finì qui: “sarebbero invece passati altri tre anni soltanto per abbozzare una conclusione piena di dubbi”. Nel successivo Capitolo “La Partita Doppia” viene a galla uno scandalo che coinvolse l’avvocato Sotgiu, penalista di grido, amico personale di Togliatti e difensore del giornalista Silvano Muto. Il giornalista Piero Poggio del ” Momento Sera” riesce a scoprire che l’ avvocato Sotgiu portava più volte sua moglie in appartamenti dove lei intratteneva rapporti sessuali con un giovane di nemmeno 21 anni, ragioniere e figlio di un pizzicagnolo che aveva un banco al mercato coperto di Piazza Alessandria. L’avvocato Sotgiu assisteva alle oscenità fra sua moglie ed il ragazzo. Per lo scandalo l’avvocato Sotgiu dovette sospendere la difesa di Silvano Muto. L’11 giugno 1955 il

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Giudice Sepe depositò la sentenza di rinvio a giudizio, accogliendo in gran parte le richieste della Procura per Piero Piccioni, Ugo Montagna, Polito ed altre undici persone. Per ragioni di avere una maggiore tranquillità il Processo viene spostato da Roma alle Fabbriche Nuove di Venezia ed ebbe inizio il 21 gennaio del 1957. Fu addirittura indagato lo zio Giuseppe di Wilma Montesi in quanto donnaiolo e con solo dieci anni di differenza dalla nipote. Ma un alibi lo scagionò. Gli ultimi tre Capitoli “Alle Fabbriche Nuove”, “Lo zio Giuseppe”, “la lapide controcorrente” raccontano il Processo di Venezia con dovizia di particolari. Il processo si chiude con l’ assoluzione di tutti e la condanna di Anna Maria Moneta Caglio per aver continuamente fatto affermazioni false e tendenziose. Nello specifico si confermò che la Montesi fu buttata ancora viva ma in stato di semincoscienza sulla spiaggia non di Ostia, ma di Torvajanica. Lì annegò. Fu uccisa, ma non si sa da chi. Questo libro risulta interessante in quanto fa rivivere uno spaccato della società italiana e della politica degli anni ’50. L’Autore Angelo Frignani all’epoca del delitto Montesi era un giovanissimo cronista de “Il Tempo”. Ricostruisce con attenzione e imparzialità, basandosi sugli atti giudiziari, le tappe di un giallo che a distanza di tempo continua ad appassionare e a dividere. Fu anche uno dei primi giornalisti, inviato per il quotidiano Il Tempo, a raccontare all'Italia l'immane tragedia del Vajont. E dopo oltre 50 anni ancora parlava attonito di quel silenzio terribile e quel dolore immenso che aveva travolto anche lui, cronista poco più che trentenne. Si è spento la mattina del 5 agosto 2015 nella sua casa a Roma. Angelo Frignani ha passato una vita dedicata alla professione e una carriera trascorsa per oltre 30 anni nel giornale di Piazza Colonna. È stato tra le altre cose anche direttore del Giornale d'Italia. Giuseppe Giorgioli ANGELO FRIGNANI - LA STRANA MORTE DI WILMA MONTESI - Versione brossura: Adnkronoslibri - Edizione 2003, pag 125, 8 €, ISBN: 88-7118-157-3.


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WILLIAM SHAKESPEARE (nel quarto centenario dalla morte)

UN DRAMMATURGO PER BENE di Giuseppe Leone

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ON mi è nuovo parlare o scrivere di uomini illustri nella ricorrenza del loro anniversario. Ne ho ricordati tanti: da Verlaine a Seneca, Descartes, Balzac, Brecht, Buzzati, Lorca, Camus, Montale, Silone, Primo Levi, Leopardi, tanto per citarne alcuni; e ogni volta all’interno di una rubrica intitolata “Ricordati di me…”, che portai avanti fra il ’94 e il ’99 sul mensile Lecco 2000. E ora, allo scoccare del suo quarto centenario dalla morte non mi dispiace affatto riprendere quella felice abitudine per parlare di William Shakespeare (1564–1616), uno tra i più grandi autori di teatro mai apparsi sui palcoscenici di tutto il mondo. Ma non parlerò del drammaturgo quale è stato fra il Cinque e il Seicento, dirò di ciò che è diventato, nel Novecento, nelle performance di Carmelo Bene. Tutti sanno quanto l’artista salentino abbia attinto al teatro della tradizione e in particolare alle opere di Shakespeare, attraverso le quali poté mettere in atto le proprie soluzioni innovative. Cominciò con Hamlet suite nel 1961, da cui ricaverà anche una versione cinematografica Un Amleto di meno e una radiofonica Amleto da William Shakespeare; e via via con altre performance nel ’67, nel ’74, nell’87 e nel ’94; infine con due versioni televisive dal titolo Amleto (da Shakespeare e Laforgue),

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Hommelette for Hamlet. Da allora, prendendo spunto dal testo e riscrivendolo su di sé con rimandi da opere letterarie e filosofiche, Carmelo Bene opera riletture private, intime, in lotta contro il teatro di rappresentazione pieno di ruoli e di conflitti, con lo scopo di spostare in primo piano i personaggi secondari che hanno così la possibilità di realizzarsi in un divenire pieno, conscio, attraverso libere scelte. Eccolo portare allo stesso livello la psicologia di Otello, Jago e Cassio e visualizzare, di conseguenza, la degenerazione civile di Otello - Jago - Cassio nella relativa degradazione militare: generale – luogotenente – alfiere; e fare la stessa cosa con i ruoli femminili: Desdemona che trova la sua volgarizzazione in Emilia, Emilia la sua prostituzione in Bianca; ma anche con Romeo, che trova la sua dimensione popolare in Mercuzio che non muore, come in Shakespeare, ma rimane agonizzante fino alla fine dello spettacolo, consentendo allo spettatore di assistere alle variazioni del suo divenire personaggio in scena; e con Riccardo III, dove l’abolizione dei potenti riduce l’azione al duo RiccardoAnna, mettendo in risalto l’aspetto difettoso di lui e l’accettazione da parte della donna che con amore dà una ragione all’esistenza di Riccardo, anche se in tono a volte addirittura grottesco; per chiudere con Macbeth, “anzi con Duncan-Macbeth, Duncan che morendo precipita in Macbeth, che ne prosegue la vita”, nel ruolo di protagonista assoluto ricoperto dalla voce, con le sue molteplici variazioni, così come l’amplificazione e l’utilizzo del playback. Chiudere, per modo di dire, perché, a detta dello stesso Bene, “Macbeth segna la fine della scrittura scenica e spalanca l’avvento della macchina attoriale - in cui - protagonista onnivora … è l’attorialità automatica del corpo fisiologicamente inteso, in che la voce sola (la differenziazione dei ruoli è variazione fonetica-umorale) è senza lingua e l’interno del corpo è fragorio (salivazione, peto, rutto, gorgoglio etc.) amplificato dai resti della parolasuono masticata e vomitata, sbavata all’orlo


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della bocca”. Si chiami pure “massacro” dei testi, questa pratica teatrale, ma questo è il teatro di un artista che si è liberato del regista, dell’attore tradizionale e del copione imparato a memoria. Quanto a Shakespeare, Bene ha detto più d’una volta di non mettere in scena i drammi dell’autore inglese, né una sua interpretazione o lettura, ma un saggio critico su di lui. Shakespeare era entrato nel mondo di Carmelo Bene in perfetto stile barocco con al seguito tutto il sistema regale e principesco, per uscirsene con una nuova plasticità teatrica da cui Bene ha eliminato – sono parole di Deleuze - tutto ciò che fa potere, il potere di ciò che il teatro rappresenta (il Re, i Principi, i Padroni, il Sistema), ma anche il potere dello stesso teatro (il Testo, il Dialogo, l’Attore, il Regista), per far passare tutto, attraverso una variazione continua, in una lingua minore nel linguaggio, in un personaggio minore sulla scena; e per dare voce ai deboli, a Orazio, per esempio, che legge le parti che spettavano ad Amleto, compreso il celebre monologo. Un’operazione, questa, che trasforma il mondo shakespeariano da fiera delle vanità del mondo aristocratico e borghese in un palcoscenico degli ultimi dove sono protagonisti uomini e donne, vecchi e bambini, non in grado di decidere del proprio destino, che vivono il respiro dell’essere solo nel difficile momento del divenire, effimero, quello che gli concede Carmelo Bene, in quest’ora d’aria in che consiste il suo teatro. E questo è ciò che è diventato Shakespeare nel teatro di Carmelo Bene, un drammaturgo attraverso cui il genio leccese può rappresentare questo tipo di minoranze che sono pur vive e libere in certi momenti e che l’autore via via dipinge e sottolinea. Minoranze per modo di dire se è vero che sono minoranza anche centinaia di milioni di donne, quando esse non hanno potere di libertà e di decisione nelle impalcature delle strutture esistenti. È un modo di fare teatro, questo, che farà dire a Giuditta Podestà che Carmelo Bene ha dato voce alle donne dei seimila anni di storia, ai servi della politica come nell’amore, ai

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difettosi nel fisico o ai santi imbecilli, agli uomini non emancipati, ai deboli insomma, coloro che per l’estroso attore costituiscono le creature ancora degne di portare il nome di umane. E umane sono anche le dimensioni che Carmelo Bene restituisce a questo gigante del teatro, il più grande dell’epoca elisabettiana assieme a Marlowe, come ci tiene a precisare lo stesso Bene. Uno Shakespeare, mi piace ribadirlo, col saio francescano, questo di Carmelo Bene, che egli fa camminare fra persone umili, dopo avergli liberato la strada che lo stesso genio inglese aveva riempito di briganti. Giuseppe Leone Bibliografia essenziale: *Carmelo Bene, Opere, Bompiani, Milano, 2008. *Jules Laforgue, Moralità leggendarie Amleto ovvero Le conseguenze della pietà filiale, Traduzione di Nelo Risi, http://www.rodoni.ch/busoni /bibliotechina/laforgue.htm *Gilles Deleuze, da “Un manifesto di meno”, in Bene-Deleuze, Sovrapposizioni, Milano, Feltrinelli, 1978, su Carmelo Bene, Opere, Bompiani Editore, Milano, 2008. *Piergiorgio Giacchè, Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, Bompiani, Milano, 2007 (1ª ed. 1997). *Giuditta Podestà, L’avventura del realismo in Italia, Mondini e Siccardi, Genova 1982. *Giuseppe Leone, D’in su la vetta della torre antica. Giacomo Leopardi e Carmelo Bene sospesi fra silenzio e voce, Edizioni Il Melabò, Lecco, 2015. *Stephen Greenblatt, Vita, arte e passioni di William Shakespeare, capocomico. Come Shakespeare divenne Shakespeare, Einaudi, Milano, 2005. *Felice Altarocca, Tesi di Laurea: Otello il mo(st)ro di Venezia (Otello di Carmelo Bene, dal teatro alle televisione), Relatore: Antonella Ottai Correlatore Paola Quarenghi, Università La Sapienza di Roma, Anno Accademico 2003-2004.

È in uscita CLAUDIA TRIMARCHI LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERATRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DEFELICE Il Convivio Editore


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Un romanzo fantastico (non esclusivamente) per ragazzi:

NATALIE BABBITT LA FONTE MAGICA di Marina Caracciolo

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ON ha esagerato, per entusiasmo o per enfasi espressiva, il recensore del New York Times, quando ha parlato, a proposito di quest’opera narrativa, di «una scrittura incantevole per un libro bellissimo, impossibile da dimenticare». Natalie Babbitt, ritenuta una delle più importanti autrici americane di libri per la gioventù – dei quali è pure un’ottima illustratrice – pubblicò questo romanzo negli Stati Uniti, nel lontano 1975, presso il prestigioso Editore newyorchese Farrar, Strauss & Giroux LLC. Il libro, che probabilmente è anche il suo capolavoro, divenne ben presto un classico tradotto in molte lingue, vendendo milioni di copie in tutto il mondo. Alcuni mesi fa, nel settembre 2015, la Rizzoli l’ha riproposto in un’elegante veste editoriale, con la pregevole traduzione italiana della scrittrice Beatrice Masini. Come si è voluto sottolineare già nel titolo di questa recensione, il romanzo, pur essendo di fantasia, si rivolge a un pubblico ben più largo di quello costituito dai soli giovanissi-

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mi, tanto più che affronta – con la vellutata levità di una piuma – un mito antico quasi quanto l’Uomo: quello dell’immortalità e dell’eterna giovinezza. In questo caso particolare, viste, l’una e l’altra, non come un ambito e straordinario privilegio, ma – all’opposto – come un dramma che emargina e affligge; una sorta di maledizione, quindi, da tenere rigorosamente segreta. Protagonista della storia è la piccola Winnie Foster, fanciulla di circa undici anni, figlia unica di ricchi possidenti, che vive nella gabbia dorata di un cottage ai margini di un piccolo villaggio degli Stati Uniti, negli ultimi decenni dell’Ottocento. In una rovente giornata di agosto, annoiata da una vita scandita dai richiami e dai moniti assillanti della madre e della nonna, la bimba si sfoga con un innocuo rospo, che pare venirla a trovare di tanto in tanto, fermo sul ciglio della strada che separa la sua residenza dal mondo esterno e, soprattutto, da un misterioso bosco in cui lei non è mai entrata, sebbene appartenga da generazioni alla sua famiglia. Con la sua sorniona indipendenza, il rospo sembra invitarla alla stessa libertà di cui lui gode: ogni volta, infatti, dopo aver ascoltato, paziente e impassibile, i suoi discorsi, salta fra gli alberi della foresta e scompare. Winnie promette, a lui ma soprattutto a sé stessa, di seguire il suo esempio: un giorno bandirà le noiose disposizioni che riceve e fuggirà di nascosto dalla casa dei suoi per uscire, libera e sola, alla scoperta del mondo. E così, un mattino presto, quando il caldo non è ancora soffocante, si allontana non vista dalla protettiva sicurezza famigliare e si inoltra nel bosco. Lì scopre la bellezza stupefacente della Natura, le meravigliose voci degli uccelli, i colori incantevoli e vari delle erbe e dei fiori, il fresco stormire della brezza tra le foglie e i riflessi dorati del sole fra gli alberi… Ma una sorpresa ancora più grande l’attende. Un’ampia radura si apre all’improvviso davanti ai suoi occhi: là, all’ ombra di un albero maestoso, siede tranquillo un giovinetto, sconosciuto e bellissimo,


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che sta bevendo inosservato l’acqua di una piccola sorgente, nascosta da un cumulo di ciottoli ai piedi dell’enorme fusto. L’incontro con questo ragazzo cambierà per sempre l’ esistenza di Winnie. Il giovane, che si chiama Jesse Tuck, fa parte di una strana, incredibile famiglia: come suo padre, sua madre e il suo fratello maggiore Miles, lui è everlasting, è un semprevivo. Sembra avere diciassette anni, l’età a cui si è fermato molto tempo addietro; in realtà è nato ben centoquattro anni prima. Winnie pensa che voglia scherzare oppure che sia folle. Tuttavia è subito rapita dalla sua bellezza, dalle sue parole e dal suo sorriso pieno di simpatia e di dolce benevolenza. Immediatamente e segretamente gli consegna il suo cuore, che ora, per la prima volta, palpita per una viva emozione a lei del tutto sconosciuta. La vicenda a questo punto prende rapidamente una svolta. La madre di Jesse e suo fratello Miles sopraggiungono all’improvviso, e vedendo che la piccola Winnie per il gran caldo vuole dissetarsi lei pure a quella fonte, la portano via di forza, lontano, verso la loro casa distante molte miglia, per spiegarle con calma che se avesse bevuto quell’acqua non sarebbe cresciuta mai più, sarebbe rimasta per sempre undicenne… Nella loro vecchia dimora, malandata e polverosa, nascosta da una macchia di pini, i Tuck raccontano a Winnie la loro singolarissima storia, ma Angus, il padre di famiglia, accenna anche a un dramma esistenziale che, insieme al loro segreto, lei deve promettere di non rivelare mai a nessuno. Una sera, mentre il sole sta per tramontare, su una barca a remi che solca lentamente le acque oscure e fangose del vicino laghetto, lui le confida: «È così che siamo noi Tuck, Winnie. Bloccati, così che non possiamo andare avanti. Non siamo più parte della ruota. Siamo scivolati fuori, Winnie. Ci hanno lasciati indietro. E dappertutto attorno a noi le cose si muovono e crescono e cambiano. Tu, per esempio. Oggi sei una bambina, ma un giorno sarai una donna. E poi andrai avanti per fare spazio ai bambini nuovi. […] Ma morire fa parte della

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ruota, è lì, subito dopo il nascere. Non puoi prendere i pezzi che ti piacciono e lasciare il resto. Essere parte di tutta quanta la faccenda, è questa la benedizione. Ma ci mette da una parte, noi Tuck. Vivere è un lavoro pesante, ma stare da parte, come noi, è anche inutile. Non ha senso. Se sapessi come fare a tornare sulla ruota, lo farei subito. Non si può avere la vita senza la morte. Quindi non si può chiamare vita, quella che abbiamo. Noi siamo e basta, noi esistiamo e basta, come rocce al fianco della strada.» (pp. 68-69). Winnie ascolta, silenziosa e stupita, quel discorso così serio e desolato. Il mistero della vita e della morte non aveva mai sfiorato prima la sua mente di bambina… Per parlargliene, i Tuck l’hanno sequestrata: un gesto senza dubbio arbitrario perché contro la sua volontà, e pur tuttavia giustificato in quanto indispensabile al suo stesso bene. Con l’ intelligenza e l’intuito dei fanciulli non comuni, Winnie comprende tutto, e da quel momento diventa per loro un’amica affettuosa e fedele. Nel frattempo qualcun altro, uno straniero detto «l’uomo col completo giallo», che da molto tempo e per vie assai tortuose è venuto a sapere della magica fonte, la ritiene una prospettiva molto redditizia e decide di specularci sopra. Intanto ottiene col ricatto la proprietà del bosco dei Foster, promettendo loro in cambio di riportare indietro la bambina, poiché lui solo ha visto dove si trova e da chi è stata rapita. Ma quando poi giunge alla casa dei Tuck per trascinare via Winnie, dopo aver incautamente rivelato quale uso vuole fare di lei (obbligarla a bere quell’acqua per reclamizzarne utilmente gli effetti prodigiosi) viene scaraventato a terra da una bastonata in testa assestatagli da Mae, la madre di Miles e Jesse. Il cinico individuo rimane così stecchito. Per la donna si profila però un terribile destino: la condanna alla forca. Mae viene tratta in arresto in attesa che arrivi il giudice della contea. Winnie è restituita alla sua famiglia dal poliziotto del villaggio. La fanciulla, divenuta più adulta e giudiziosa nell’incontro con i suoi misteriosi amici, capisce che non può abbandonarli proprio in


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quel frangente: lei è in debito verso di loro, in certo qual modo in debito della sua stessa vita; senza contare che proprio per causa sua si sono messi nei guai. Quando una sera Jesse la raggiunge furtivamente per dirle addio, Winnie decide di collaborare al suo piano: a mezzanotte in punto uscirà ancora una volta di nascosto dal cottage e correrà con lui verso la prigione. Mentre Angus e i due figli aiuteranno Mae ad evadere dalla cella, l’audace Winnie vi entrerà di soppiatto per sostituirsi a lei. Il guardiano non potrà accorgersi di nulla fino al giorno seguente. A quel punto essi avranno avuto molte ore di vantaggio per darsi alla fuga e far perdere le proprie tracce. Il piano riesce, anche con la complicità di un provvidenziale nubifragio. I Tuck abbracciano Winnie con un affetto che né loro né lei potranno mai scordare. Jesse le ha già consegnato in segreto, quella sera stessa, una bottiglietta con l’acqua della fonte: dovrà berla quando avrà diciassette anni come lui. Allora potrà andare a cercarlo, allora sì che la sua eterna giovinezza sarà coronata da un amore imperituro… Il mattino dopo Winnie viene riportata a casa, non senza una solenne sgridata del poliziotto e i successivi inevitabili aspri rabbuffi dei suoi famigliari. Ma lei è fiera di sé stessa: ha compiuto qualcosa di veramente importante, ha saputo custodire un grande segreto, e per di più è riuscita a proteggere, sfidando il pericolo, gli amici che ama, permettendo loro di continuare a vivere, ignoti e lontani, ma sani e salvi. Un giorno, il rospo che spesso si fa vivo per venire a salutarla, corre il rischio di essere divorato da un grosso cane di passaggio. Winnie scaccia il cane e salva il «suo» rospo; anzi, fa molto di più: va a prendere la bottiglietta d’acqua della sorgente, la versa tutta addosso alla bestiola come al solito impassibile, e afferma tutta contenta: «Ecco! Sei al sicuro. Per sempre». Se tutto era proprio vero, se a suo tempo avesse deciso… Quando avesse avuto diciassette anni, c’era altra acqua nel bosco. Ce n’era tantissima. Semmai. Il romanzo poteva finire qui, come sospeso fra le

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corde del dubbio, con un punto interrogativo invece che un punto fermo. L’autrice, invece, aggiunge ancora un Epilogo (che nella struttura narrativa si allaccia non in forma speculare ma tuttavia in modo simmetrico al breve Prologo di apertura) in cui viene narrato il seguito e quindi il finale della storia…

La fonte magica è un libro delicato e profondo, ingenuo eppure mitico e simbolico. Un lungo racconto che si legge tutto d’un fiato perché avvince e meraviglia ad ogni capitolo, ad ogni pagina; mentre esige dai lettori, giovanissimi oppure no, la medesima capacità di meravigliarsi, di lasciarsi stregare dal sottile incanto di un’avventura che si rivela ad un tempo ilare e malinconica, sorridente e drammatica, spensierata e inquieta. Marina Caracciolo La fonte magica, di Natalie Babbitt (Tit. orig.: Tuck Everlasting. Trad. ital. di Beatrice Masini. Rizzoli, Milano 2015; pp.151. € 12,00).

COSA SOGNI? Riconoscano gli iracondi supremazisti la melma nella quale affondano insieme alla loro incompetenza. Notino gli pseudo-democratici il cielo che arde dei loro voli ipocriti. Guardino i codardi dalle tombe le impronte delle loro dita che pur senza premere grilletti hanno ucciso tanti esseri umani in inutili guerre causate dalla loro illimitata ambizione. Il desiderio di pace potrebbe porre tutti al riparo da ogni tormentoso conflitto e perfino interrogare gli iracondi, gli ipocriti e i codardi: Cosa sogni ora? Teresinka Pereira Adattamento in italiano di Marco Scalabrino


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TITO CAUCHI SALVATORE PORCU di Leonardo Selvaggi MONDIALISTI CON SALVATORE PORCU I on profonda analisi, coerenza, impulso esplorativo per tutti gli anditi della personalità dello scrittore mondialista, filosofo Salvatore Porcu, portata nella sua ampiezza ed estensione di percorsi infiniti alla nostra conoscenza. L’esame del suo immenso archivio fatto con capacità organizzative, passione, oltre che con entusiasmo dal critico insigne e scrittore Tito Cauchi. Salvatore Porcu, vita, opere, polemiche opera monumentale e complessa che ci conduce a vivere una ricchezza ideologica e tanto esteso pensiero sociologico con linguaggio costruttivo e chiarezza espositiva. Un lavoro di riordino portato avanti, con impegno e accanimento che solo il poeta, saggista Tito Cauchi poteva darci, di grande intuitività e di immensa esperienza critica. Vasta la sua produzione letteraria che lo fa essere molto noto ed emerito scrittore del secondo Novecento e di questi anni che viviamo del Terzo Millennio. L’archivio di Salvatore Porcu svela una ricchezza di attività svolte con combattività, di pensieri che nel profondo dell’animo trovano luce e sapienza, idealità che fanno vedere un mondo nuovo: comunità di fratellanze, un sempre più alto livello di moralità, popoli che vogliono un continuo progresso di bene comune. Si vuole una vita che si espande verso principi di spiritualità; in un tutto insieme con le cose create, in armonia di rapporti civili. Lo scrittore Salvatore Porcu ha pensieri che si esprimono in un panteismo, riscoprendo verità, sentimenti che si esaltano verso mete sublimi di giustizia, di pace, di amore. Orizzonti infiniti, visti con ansietà di giorno in giorno, sentendosi attivo e infaticabile vede il mondo come la sua dimora in una folla di uomini che

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si riconoscono con un unico sentire, inebriati in slanci di giovialità, in concretezza e in umiltà, in un amplesso che si fa afflato di divina esistenza. La sensibilità fine e lungimirante del filosofo sardo è fulgida, si irradia di luce, di spirito generoso. Contro le guerre che creano opposizioni fra i popoli, che non danno salvezza all’umanità e serena pace, ma infiniti travagli e continui sconvolgimenti. Un avvenire radioso si vuole, dignità e vicinanza fra gli uomini. II Lo scrittore, poeta Tito Cauchi, ordinando l’ archivio di Salvatore Porcu, ha aperto una visione di luce alla vita: essere mondialisti significa soprattutto unione fatta di cooperazione e livellamento, di volontà spontanee, partecipazione nella difesa degli interessi di tutta la collettività. Un processo di armonizzazione fra i singoli cittadini e l’intera popolazione che vive sulla terra. Un archivio che è una miniera di articoli, di recensioni, di giudizi dati da critici ai grandi principi umanitari di Salvatore Porcu, alle sue idealità che hanno dato vita ad una vera rivoluzione, quella sognata per tutta una vita, intensa di studi e di attività collaborative che con sentimenti attendono al conseguimento della pace e del benessere fra tutti i luoghi del pianeta. Tito Cauchi con la sua strenua capacità di ricercatore dal grande archivio, che nel suo insieme è una straordinaria opera di principi di vasta umanità, ha tratto e ordinato cronologicamente luminosi precetti esponendoli nella loro essenza che Salvatore Porcu ha fatto vivere nei maggiori periodici sociali, letterari, diffuso fra associazioni e istituzioni statali. Sempre un dualismo di attacchi contrapposti, il male e il bene, spiritualità emergenti e violenze distruttrici fanno un eterno movimento dinamico tra razionalità e istintivismi belluini. Sempre ascese metafisiche e stati tenebrosi lungo le accidentalità del cammino dei giorni. Nei tanti fogli di Ordinismo, nelle corrispondenze con studiosi sono evidenziati eloquentemente gli avvenimenti che si intrecciano attorno al grande protagonista che è l’


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umanità, attorno ai gruppi sociali compressi, meno fortunati che si muovono con passione di vivere, con instancabile volontà di lotta, sempre tormentati. L’opera di Tito Cauchi Salvatore Porcu, vita, opere, polemiche è un capolavoro con una intensità di dati che vengono fuori dall’ammasso delle carte archivistiche, in una chiarezza e profondità di concetti. La parte biografica, l’analisi degli scritti, l’esposizione critica dei tanti scrittori e studiosi presenti fanno un’opera complessa, maneggevole, ricca di idee che commentano in varietà espressive il pensiero del grande mondialista Salvatore Porcu. III Ogni pagina prende il tutto, illumina le idealità che vedono l’umanità: innalzata da ogni discontinuità, i popoli si vedono uniti, stretti in rapporti di giustizia, di comuni aspettative, sentendosi rinnovellati in una vita di corrispondenze e di intercomunicabilità. Per il mondialista non esistono fratture, ma organicità che fanno stare in pacifiche comunità. In Salvatore Porcu, vita, opere, polemiche lo scrittore Tito Cauchi ha un metodo espositivo che si fa sintesi e nel contempo analisi. Lo stesso stile di trattazione l’ha usato in una sua precedente opera Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici. Fa vivere nella unitarietà degli aspetti l’amore per la propria terra, le tradizioni e tutto ciò che insieme si armonizza, la forza delle idealità e dei sentimenti. In piena estensione la spiritualità dell’ artista che si fa personaggio in piena luce e la ricchezza di tutto ciò che intorno vive che in varietà di forme e contenuti costituisce per il lettore materia sufficiente per molteplici riflessioni. Nell’opera scritta sul pensiero e sulle aspettative di Salvatore Porcu splende sublime la vitalità che conduce all’amore verso tutti i popoli, tutti insieme con spirito di comprensione, ci si sente cittadini del mondo, parte attiva in una convergenza universale. Fuori dalle aberrazioni, dalle crisi morali, ciascuno deve contribuire alla pace fra gli uomini, superando ogni forma di egoismo e di supremazia. Il sentimento di giustizia e di uguaglianza de-

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ve sgorgare in impeti spontanei e naturali più dal cuore che dalla mente. Le carte d’archivio del mondialista Porcu sono state portate alla nostra conoscenza dallo scrittore, poeta di grande spontaneità, recensore Tito Cauchi. È stato dato modo di mettere in grande evidenza un pensatore lungimirante, umile e di infinita umanità. Le sue opere e i suoi scritti vari hanno avuto un’ampia divulgazione, esplicitati con ardore i concetti della moralità e le possibilità di raggiungere le aspirazioni sempre attese di benessere e di pace. Occorre la viva vicinanza l’uno con l’altro per creare rapporti di concordanza lungo cammini che assicurano successi, che facciano vedere vive speranze verso una vita di purezza al di fuori delle diffuse situazioni opprimenti, torbide e subdole. L’unione mondiale e la pace è un’opera che scaturisce generosità, volontà ferree e certezze. Tutte le opposizioni vanno superate, guerre e autoritarismi che portano condizioni di soggiogazione. Il bene, la giustizia sono resi possibili dagli animi propensi all’amore verso gli altri, lottando contro gli egoismi, le arroganze. L’uomo con le sue energie interiori, con i sentimenti e soprattutto con i lumi del pensiero, con l’entusiasmo e il senso di dignità rende la vita nobile ed elevata. L’ unificazione dei popoli, una saggia amministrazione dei governanti, una confederazione mondiale che distrugge ogni barriera di odio e di abusi creano benefici come il progresso culturale, delle arti e delle scienze che rendono immediato uno stato di evoluzione, vincendo miserie e conflitti di ogni genere. Si creerebbe una umanità vera, sostenuta, ravvivata non da viltà e da malvagità, ma dal senso di fratellanza, da benevolenza, da vicinanza spirituale. IV Occorre lottare, propagandando i buoni principi per ottenere la concordia universale. Saggezza e buone inclinazioni sono i mezzi essenziali per il perfezionamento dei rapporti internazionali. L’idealità dell’affratellamento dei popoli è un traguardo sempre auspicato da raggiungere. La pace dà serenità e la vita beata. La riflessione, la ragionevolezza portano a


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capire l’utilità delle condizioni di collaborazione, agiscono per il bene comune, combattive divengono le virtù, quali la laboriosità, l’ amore per il prossimo. L’opera L’unione mondiale e la pace richiama la raccolta dei racconti Cose del mio paese. Salvatore Porcu in ambedue le opere dall’attaccamento alla propria Sardegna giunge all’amore per la Patria, percorre un cammino sempre più vasto fatto di principi etici, sentendosi partecipe dell’intero mondo. Si ha un’intensificazione di vicinanza agli altri, ci si sente insieme a tutta l’umanità, presi da uguale fervore di vita, sempre perseguito il bene universale, gli uomini sono dominati dalla legge divina. Salvatore Porcu nella grandezza dei suoi pensieri, in ogni momento anela le eterne idealità che tendono a nobilitare le coscienze: ogni azione umana improntata al bene di sé e degli altri. La semplicità e la purezza dei costumi mantengono armonia, ravvivano pensieri comuni. Non ci sono discrepanze, tutti gli uomini formano una folla sterminata, in quantità continua. La felicità Salvatore Porcu la sente nell’ammasso di tutta la gente del mondo. Un flusso di getto continuo, una fermentazione di sentimenti degli uni negli altri. Scomposti castelli e tuguri, in un insieme di afflati senza differenziazione. Molti pensano di avere paradisi, sono solo angosce opprimenti di solitudine. Spogli di tutto, il mondo siamo noi nella folla. Gli occhi legati da profondità penetrate. Un mare di mani che si afferrano fra di loro. Lo sguardo in spinta magica afferra tutto insieme. Miracolo di un mondo unito, massa festante in multiformi aspetti, un pianeta di volti e di amore, di presenze diverse e uguali. Primigenio splendore, nulla è fuori né divisioni in parti. Le lontananze frantumatrici abbattute. Infinità di vita, infinità di bocche, si incontrano, ce le mostriamo, sono le stesse. La vita fatta di immediatezza, vi scopriamo valori della saggezza popolare. Nei racconti, nelle poesie troviamo gli stessi concetti delle opere sociali. Sempre abbiamo la dolcezza dei pensieri, linearità e semplicità della scrittura. L’ animo di Salvatore Porcu è pieno di celestiale

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religiosità, ha innalzamenti verso i sentimenti di bontà, si capiscono le sofferenze, le limitatezze dell’uomo, la labilità della vita. Si è fuori dell’automatismo, delle convenzioni che rendono vuotaggini e frammentazioni. V Si ritorna alle tradizioni, si è lontani dalle ambizioni e dalle prosopopee. Le pagine sono nitide, affinate, vengono dalla bonarietà dell’ animo, senza artifici e senza retorica. La verità e la morale proprie del filosofo Salvatore Porcu, ricercatore sociologo, che mira ad un avvenire di progresso, che esalta la vita di valori e di comunanza, di correlazioni, di edificazione delle coscienze. L’opera di Tito Cauchi Salvatore Porcu, vita, opere, polemiche ha un alto significato pedagogico, le tante recensioni svolte accanto alle opere mettono in rilievo in un coordinamento evolutivo tutti i pensieri del mondialista sardo, un autore di grande saggezza che vede l’umanità in una pace edificatrice, in essenzialità di idee primigenie. Con lo spirito di sofferto umanista Salvatore Porcu si lancia contro gli istituti sociali che non raggiungono gli obiettivi voluti per inettitudine. I precetti che si esprimono nell’opera Il pensiero dell’ordinismo con vigore e praticità aspirano ad eliminare le piaghe che affliggono il nostro tempo. Salvatore Porcu assertore di un ordine universale con egaltruismo, forte della propria fede è contro ogni forma di pessimismo, è un personaggio che con volontà ferrea per una vita intera ha sostenuto le idee del mundialismo non da stoico, ma con azioni combattive. L’uomo stesso deve servirsi delle energie interiori, deve liberarsi con le sue mani, con l’ ardore che lo infiamma dai suoi mali. Ogni persona deve riformarsi, deve guardare non alle piacevolezze materiali, ma a un benessere integrale: è soprattutto la spiritualità che la fa essere vicina agli altri, con l’umiltà, con le virtù connaturate. Sempre deve l’uomo farsi seguire dall’interiore, illuminato dalla luce divina, per non subire le lotte tra energie contrastanti. Occorre opporsi agli orrori, alla malvagità demoniaca che sempre affiora dal


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fondo dell’animo umano. C’è sempre un vaso di Pandora da cui tutti i mali escono portando infestazioni orribili. Occorre mantenere la purezza nei pensieri. Salvatore Porcu fa conoscere con i suoi scritti, con colloqui in sedi autorevoli le sue idee di ammaestramento, volte a ricostituire una società che agisca con le buone aspirazioni, vedendo solo il bene fra gli Stati. La pace e l’uguaglianza, le attenuazioni delle sofferenze, il sostentamento degli inermi si potranno avere quando gli uomini diverranno spogli di ogni avidità malvagia. Si conoscono bene i pregiudizi, l’orgoglio, le violenze razziali, piaghe che fanno piangere nelle solitudini e nelle incomprensioni, mali che dilagano da sempre, dal Medio Evo ad oggi, cancrene che rodono anima e corpo, le volontà di uomini schietti e semplici che non conoscono l’odio fra i simili. Razze dominatrici e razze serve, tutto un campo disseminato di tremende pene e di barbarie. Tito Cauchi saggista di intensa applicazione, interprete dei più intricati stati psicologici, poeta d’ispirazione con versi che sanno andare per lontane mete, seguendo esperienze vissute, sempre verso aspirazioni che fanno sentire necessaria una vita sollevata dalle tante turpitudini createsi nel tempo che viviamo. Nel lavoro di esame dell’archivio di Salvatore Porcu è un autentico ermeneuta, attraverso le sue pagine illustra in ampiezza incisiva l’ umanitarismo mondiale commentato da studiosi di varie riviste in contrapposizione all’ inefficienza burocratica, all’irremovibile egoismo delle sette privilegiate. VI Si rende necessario l’ordinamento di un codice internazionale dei diritti e dei doveri. Salvatore Porcu nello scritto Il pensiero dell’ ordinismo rivela con decisa irruenza e spontaneità la pomposità e l’astruseria che vengono dalla prosopopea e da ogni forma di acredine. Per il raggiungimento dell’ordine e della giustizia nel campo universale ognuno deve partecipare con le sue propensioni, evitando gli interessi di parte. Il mondialista è un rivo-

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luzionario, affronta tutti gli ostacoli e va con perseveranza verso tutte le avversità. L’ umanità va vista nella sua globalità, andando al di là delle rovine sempre presenti, di tutti i preconcetti che portano ai passati errori. È necessario che ognuno concorra secondo le sue energie spirituali allo sviluppo dell’ordine e della giustizia. Sappiamo bene che nel nostro animo esiste una luce divina che ci indirizza all’unità universale, all’armonia fra tutti gli uomini, seguendo questo imperativo morale ci proiettiamo verso comunità sempre più vaste. Il pensiero dell’ordinismo riguarda tutte le manifestazioni della vita individuale e collettiva e tutti coloro che aspirano ad un effettivo progresso sociale. I principi etici che propendono a realizzare l’ordine, la giustizia e la pace fra i popoli hanno una base religiosa che richiama la vita e la passione di Cristo. Vanno soppressi i nazionalismi che creano sperequazioni e contrasti politici. L’opera di Tito Cauchi con perspicace profondità riflessiva rappresenta per la sua grandezza un vero perenne monumento a un fenomenale maestro di vita che con i suoi postulati si rivolge a ciascuno di noi indicando i grandi impegni da realizzare in una società in piena attività e correlata in ogni sua parte. Siamo convinti senza ombra di formalismi che il pensiero sociale e le idealità di Salvatore Porcu con estrema intensità costituiscono un contributo di risanamento spirituale, una regola di vita per l’avvenire dell’umanità in un mondo caotico e turbinoso, dopo secoli di vacue e deluse aspettative. Attraverso l’opera Salvatore Porcu, vita, opere, polemiche Tito Cauchi ci ha reso con interezza la figura dell’accademico Salvatore Porcu, ha arricchito le limitate conoscenze che molti studiosi avevano avuto nei loro rari rapporti di amicizia. Vasta è l’intellettività di Salvatore Porcu, i pensieri scaturiscono da una intuizione inesauribile. Ha un limpido linguaggio che esce con irruente voracità senza soste, in infinità di estensione. C’è in Lui il filosofo, il poeta con la dolcezza e l’amore verso la natura. Il grande mondialista tutto preso dall’ansia ardente di bene, dall’ immen-


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so amore erompente per l’Universo che si vorrebbe riversato in una società affratellata in piena serenità e pace. Siamo in una crisi totale, persi i valori, le passioni sono sfrenate, il malcostume è in tutti i settori. VII Il 1° maggio 1980 esce come un appello al mondo intero il fascicolo Urge un generale ordine mondiale, uno scritto che come tutti gli altri viene dall’essenzialità dei principi dell’universalità, da forte senso di razionalità, da una filosofia che ha per lo più carattere pragmatico. La pace, la giustizia si avranno quando gli uomini saranno tutti buoni, quando si avvertirà sulla terra la presenza del Regno di Dio. L’opera di Tito Cauchi che ci dà vita analizza il pensiero del grande mondialista, andando in fondo dei suoi scritti, manifestando la lealtà delle sue concezioni, il suo umanesimo sempre in evoluzione, la sua morigeratezza. Salvatore Porcu giorno dopo giorno vive nelle meditazioni, rivolge a tutti gli uomini la sua convinzione che occorre per raggiungere la pace universale bonificare gli ambienti corrotti, rendere la specie umana sana, fuori da tutti i vizi, dall’indolenza, dalle immoralità che infestano in ogni luogo, ammorbando, togliendo ogni respiro alla vitalità spirituale che dà all’ uomo la forza primigenia esistenziale. Un mondo di pensieri che ci attornia, una vitalità indomabile, indistruttibile che mi prende. Incontro la semplicità dei modi, la modestia nella piccola abitazione di Salvatore Porcu. C’è tutto, la sua parola ardente, gli affetti della sua sposa, il ricco archivio che prende tanta parte, una grande quantità di faldoni accatastati che raccolgono articoli, recensioni, migliaia di pagine di giornali, corrispondenze. Il fondo archivistico occupa quattro metri di lunghezza e un metro di altezza. Salvatore Porcu ha una parola facile, dimostra con un sorriso aperto la contentezza di rivedermi. Ci incontriamo entusiasti in piena corrispondenza. I discorsi sono interminabili, un colloquio che ci fermenta per tutta la persona. Le discussioni prendono una coloritura di franchezza. L’archivio con i suoi innume-

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revoli documenti sembra seguirci, i pacchi che sono di fronte danno l’impressione che si aprono per dimostrare che le nostre idee sull’ unione mondiale, sulla giustizia, sulla disoccupazione, sulla convergenza, sui precetti dell’ordinismo sono in piena espressività come verità e come necessità di attuazione nel nostro tempo moderno, non siamo mai sazi di quello che abbiamo detto, una forza intuitiva ci infiamma. Il colloquio continua per le strade di Nettuno. Salvatore Porcu ha una parola amabile, appassionata, ci troviamo sullo stesso livello come facondia, calore espressivo. Lo vedo con passo svelto, mi precede sempre, ha una avidità di vedere e di sentire, un’ ampiezza di concetti che stimolano ad arricchire l’eloquio. Ci sentiamo mondialisti, le parole sull’uguaglianza ci esaltano, ci pare di essere in ogni parte del pianeta. Dominati da un senso infinito di comprensione, quasi spartiamo tutto quello che abbiamo con il prossimo, uguali possessi, gli stessi dolori, in un tutto insieme, in una comunanza totale. Brilla sul volto di Salvatore Porcu il candore interiore, le idee sulla pace e la giustizia non conoscono vanità, la sua energia viene da una salda volontà di collaborazione. Odia i monopolismi e il burocraticismo che soggiogano gli umili, le idee di bontà, i principi di amore cristiano, tutti gli impulsi di generosità verso le sofferenze. Vuole i popoli uniti al di fuori di egoismi e ambizioni. VIII Ha pagine ribollenti che sintetizzano tutti gli altri scritti il saggio che riguarda La convergenza universale. Mi sento in libertà, non più oppresso dal malumore delle idiosincrasie prodotte dalla collettività odierna. La voce del filosofo, umanista, sociologo Salvatore Porcu è sempre ansiosa e vibrante. Il tono suadente dell’affetto mi appaga, immagino le sue mani sempre protese verso di me come se arrivassi da lontano. La mia e la sua voce sono forti, s’ incontrano nelle lamentazioni che abbiamo, recriminando i tanti peccati che ci sono intorno. Mi sembra un bambino convinto di farcela per quell’entusiasmo e quell’accensione di


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ardore che gli passa per tutto il corpo. Un bambino allarmato per le malefatte che si spandono in tanta parte del costume sociale dilapidatore e violento. Ho in mano diversi suoi scritti, li vedo nell’insieme: con limpida espressività passano nella mente, irrorando balsamo di pace, rendendomi più vero nei miei ideali, scrostato dalle rudi patine che oscurano gli occhi offuscati dal tanto inquinamento diffuso. Abbiamo una politica dalle mani sporche e una cultura vuota baronale prepotente di cattedropoli. Le città divenute terreni incolti, i rovi dai tanti rami spinosi, ben nutriti serpenti legati alle istituzioni. Il nostro è un paese medioevale della peggiore risma nella confusione e disgregazione, è un intorbidato pantano dove rimestano infangati i più abili truffatori. La lottizzazione delle intraprese, i favoritismi che assicurano posizioni di privilegio ai più ragguardevoli manovratori del malcostume. Tito Cauchi, mettendo alla luce le varie parti dell’archivio, ha svelato le idealità di uno studioso sociologo che sempre uguale è andato per la stessa strada di sempre, è rimasto indietro come tanti altri vissuti all’ombra. Abbiamo gente nuova, avida e prepotente, quella rifiutata in passato, oggi ripulita si presenta pronta di bella figura nelle città anonime insudiciate. La convergenza universale mantiene nelle sue pagine i sogni e i progetti delle menti scontente, delle persone che vanno dimesse, sempre avulse dal contesto oggi in voga. La loro voce grida con sadismo contro i luoghi comuni, l’ignoranza crassa scambiata per cultura. Nelle idealità si muovono fermi i mondi di altra forma, sconosciuti e non capiti. I semplici concetti di Salvatore Porcu sono di facile comprensione, se si vuole, di immediata applicazione, basta svestirsi dei panni pesanti che ci rendono burberi e violenti. La linearità, l’ansia di vivere uniti, le parole di bontà dalla smagliante luce che emanano rendono la vita serena, contenti di quello che si ha, senza ambizioni e senza arroganza. Si pensa alle sofferenze, alle persone che appena sopravvivono. I mondialisti pensano al giusto, ad avere una comunanza di vita, fatta di

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incontri, di aiuti reciproci, senza retorica, guardano al necessario. I principi della convergenza universale sono radicati nella natura genuina, abituata al senso della misura. IX Siamo grati a Tito Cauchi per averci con il suo lavoro fatto conoscere il pensiero di un mondialista di grande saggezza, i suoi scritti che ribollono di entusiasmo con una dialettica e proliferazione di termini sempre nuovi senza mai ripetersi. Ci sentiamo dominati da un barlume di speranza e di nuova vita risanatrice: la frivola società la condanniamo sempre più, pare abbia smarrito l’orientamento, facendosi trascinare dall’automatismo tecnologico deformatore delle identità umane. I pensatori che denunciano la crisi del nostro tempo vedono in Salvatore Porcu una personalità decisa che combatte strenuamente contro gli avidi di potere, che con le sue riflessioni crea progetti costruttivi attraverso la valutazione morale della storia, attraverso la conoscenza intellettiva della realtà in termini di concretezza. Contro i limiti del finitismo sono positivi i confronti liberi e rispettosi, noi individui siamo limitati, occorre allargare sempre più le dimensioni delle comunità, gli Stati debbono dare luogo a confederazioni. Il mondialista ricorre alle leggi logiche e razionali, alla religiosità, vede gli uomini avvinti da volontà protesa a ricercare la pace e il bene universale. Guardo Salvatore Porcu sprofondato nei suoi pensieri, lo immagino ripercorrere per tutte le profondità delle sue ideologie, delle pagine delle sue opere, in una concentrazione meditativa, lo si sente riflettere mentre sostiene i dibattiti con i tanti assetati di ordine e giustizia. È preso in una fermentazione di pensieri, infiammato nelle polemiche, nelle sue concezioni umanitarie relative ai rapporti di correlazione fra gli Stati e i cittadini, fra il popolo, le leggi e i servizi sociali finalizzati con programmi che rendono sicura la rete di comunicazione e di scambio delle risorse. Sia come poeta che come sociologo le sue opere vanno per gli stessi cammini con meditazione


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e profondità intimistica. Fondamentale l’ amore per Dio, per la natura, per tutti gli esseri. La sua dialettica attrae l’interlocutore, è positivista, non ha parole vacue, ha una sostanzialità che si arricchisce con intelligenza critica dalle tante vastità, interroga e s’ interroga, il suo pensiero è esistenziale, spiritualità e problemi sociali insieme, tutto preso dai contrasti, tra l’essere e il non essere, tra l’io e il non io. C’è un richiamo alla filosofia di Cosentino, all’opera Tu sei me. Eternità e immutabilità dell’io, unicità in assoluto di tutte le creature. Da qui andiamo alle idealità che totalizzano tutte le riflessioni che corrono per la mente, arriviamo al mundialismo. Per Salvatore Porcu nella sua purezza e nell’essenzialità che concentra tutte le idee, cadono riflessi di divinità dal cielo che si estendono fino a dare luce all’organizzazione sociale. Senso di giustizia nell’animo e nei rapporti interpersonali. La bontà connaturata è il motore che sospinge l’uomo. Non abbiamo asperità né discontinuità, non abbiamo contrasti fra gli uomini dotati di generosità e di umiltà. I mondialisti sono spontanei, ci vengono incontro, non conoscono le iniquità sociali. Non si pensa a vanità e presunzioni, da un individuo all’altro passa un legame di rassomiglianza. Né altezzosità né prosopopea, l’uomo mondialista non si esalta. Carattere primario costituito da chiarezza di intendimento, da franchezza e da sentimenti. X Tito Cauchi nell’esame dell’archivio di Salvatore Porcu ha sbandierato tutto il pensiero di un grande maestro, ha letto nell’intimo suo, sfogliando i discorsi, le pagine di Ordinismo, le poesie, i dibattiti, sono venute fuori le caratteristiche degli assetati di ordine e di giustizia. I pensieri di Salvatore Porcu si stagliano, si evidenziano, vengono dalla riflessione, dalle natie qualità, dalle primigenie virtù. Naturale si fa la via della bontà, del sacrificio, della vicinanza al proprio simile. Il mondo siamo noi, quelli che prediligono la violenza, la superbia sono uomini dissolti, distrutti da se stessi. Vivono nel fango, vermi

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infossati dal muso avido. Tutte insieme le persone costituiscono un solo, complesso organismo dalle funzionalità sincronizzate. Si sono aperti gli spazi liberi dell’amore, della dolcezza, della pacifica comunanza che ci consente di stare felici. Le persone che si mostrano deformate sono prese da eterne illusioni, esulcerate, sono contro la volontà di azione, contro la legge del divenire che porta al benessere, allo sviluppo dell’umanità con le lotte e tutte le trasformazioni. Salvatore Porcu conduce con le sue idealità ad una vita fatta di equilibrio psicologico, alla diffusione del bene fra i popoli che versano in condizioni precarie. Mi fa pensare ai primi filosofi dell’ antica Grecia per la sua vicinanza alle leggi della Natura. La sua profondità spirituale conosciamo attraverso il lavoro di Tito Cauchi: l’ importanza del riordino dell’archivio sta proprio nel conoscere i suoi precetti morali, i suoi alti pensieri che indicano i cammini di lotta e di amore indirizzati alla pace e alla giustizia. Dagli scritti Come eliminare la disoccupazione, Con gli assetati di ordine e giustizia, La convergenza universale e da tutte le altre opere Salvatore Porcu ci fa andare ai concetti fondamentali che portano alle mete del Mondialismo. Il più gran bene che si abbia è l’ amore per gli altri: amare vale più di essere amati, dare val più che ricevere. L’uomo il più religioso, è colui che è pieno di amore e dà a tutte le sue azioni uno scopo sociale e umano. Verrebbe tanta pace in quest’epoca tempestata, irrequieta, insoddisfatta, spersa, assuefatta ai modi di essere anarchici e corrotti. Basta essere fermi nella volontà di fare del bene per arrivare a una convergenza universale, ad abbattere tutte le violenze e fermare le guerre. L’uomo stenderà all’uomo la mano fraterna per benedire e fecondare questa terra dalla quale dipende la comune esistenza, per migliorarla ed abbellirla, per farne un soggiorno di felicità ove ciascuno possa compiere degnamente il suo vero destino di concorrere liberamente alla conservazione e al perfezionamento dell’Umanità. Siamo grati a Tito Cauchi, uno scrittore po-


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livalente, ha fatto dell’archivio un libro aperto, ricco di saggezza, ogni pagina tende a ricostruirci con idee di rettitudine, ha ridato vita alla personalità di Salvatore Porcu, alla sua semplicità e spontaneità di cuore, alle sue continue battaglie condotte sul piano culturale e sociale, alle sue esigenze morali con rigorosi principi. Il filosofo del Mondialismo ci è penetrato dentro l’animo, le sue opere hanno spiritualizzato le nostre menti, hanno creato un attaccamento a tutto ciò che rimane in armonia con l’intera coscienza. Le opere dei mondialisti sono intercorse da fermenti interiori, da vibrazioni. Sono purificate, terse, geometriche. Flusso concettuale e lavoro di lima si accompagnano per avere uno studiato costrutto, completezza di svolgimento degli argomenti che si trattano. XI Ho conosciuto Salvatore Porcu l’otto novembre 1995. Sulla soglia di casa l’ho visto subito in faccia con l’ansia confusa, con il piacere di vedermi finalmente dopo le tante promesse fatte. La contentezza si vede su viso acceso. Salvatore Porcu si allarga nelle braccia e anche il suo fisico poco appariscente si amplifica. La voce calda e agitata. L’incontro di due persone che si sono sentite solo per telefono. Io lo vedo sulla testa e negli occhi, anche le mani erompono da ogni parte le sue idee. Lo vedo riflesso nel mio pessimismo; nel mio animo docile e acre. Di carattere intransigente per le cose compiute e per quelle da realizzare. Il mio pessimismo di ira e di rifiuto vede irreale e quasi un gioco di aberrazione l’attuale condizione politico-sociale e di costume. Più facile penso la via chiara e dritta perché meno complicata e non quella tortuosa fatta di lotte e di inganni dei nostri tempi. Salvatore Porcu entusiasta, immensamente felice, perché ben a ragione i principi dell’ Unione si possono attuare, già sono presenti e vivi in noi nella matrice esistenziale. Lo vedo uscire sottile, vigoroso dagli spazi liberi lasciati dalla catasta abbattutasi per terra di oggetti e di persone sovrapposte con la rovina del mondo d’oggi che vive di malessere, di

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crisi, ribellione, inerzia, di furti, di malaffari, di delitti, di droga, di violenza, di libidine, di egoismi, di orgoglio, di invidia, di teste quadrate asinine, di inimicizia, di anarchia, di paradisi terrestri, di lontananze, di astuzie, di presunzione, di svilimento della natura umana, di istinti selvatici, di disordine morale, di donne tigri, di matriarcato, di pervertimenti, di divorzi, di sadismo, di insoddisfazioni, di razzismo. Svelto e integro nell’incedere, non mostra disfunzioni organiche, circolazione sanguigna perfetta, mente dinamica, passo veloce, freschezza agile, novant’anni. Camminiamo nel boschetto all’ombra e dentro una tenue luce fresca e filtrata. La terra soffice e ricca di sostanze organiche, calda e intricata di radici, dentro una lievitazione fermentante. Ad un tratto vedo Salvatore Porcu fermarsi di fronte con lo sguardo in alto. Ha fissi i Precetti dell’ Ordine, freschi e sempre aderenti all’animo illuminato, alla gioia di vivere, ai desideri di quiete e di amore, di lavoro e di giustizia, di felicità, in sintonia col bene supremo. I Precetti irrorati come le piante dalla luce e dal benessere: ansia di vita organizzata, di autodisciplina, di pace nel cuore e nella mente, di collaborazione e di vicinanza con gli altri. Le norme della Convergenza Universale sono riscontrabili in pochi: si fa fatica a trovarli, vivono al di sopra di sé, liberi dalle ristrettezze mentali, orgogliosi della propria rettitudine e coerenza di carattere. Sono uomini generosi, felici e infelici, taciturni e facondi, chiusi ed estroversi. Uomini sofferti che hanno interiorizzato le insoddisfazioni, nemici soprattutto delle ambigue sovrastrutture che non fanno vedere il vero. I pochi benpensanti certamente possono diventare molti visto l’ardente ed esasperato impulso di volontà e di sentimenti che li anima. Di sicuro con la paziente e costante perseveranza possono contribuire senz’altro a smussare le angolazioni più ispide e nocive delle compagini statali, a moralizzare gli aspetti più deturpati dei costumi. Riprendo il treno per ritornare a Torino. Ho nella mente la figura amabile di Salvatore Porcu. Nostalgia dell’amico che ri-


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trovo in me, nelle mie disillusioni ed asprezze che sento presenti nelle mie fantasie e sogni, nelle immaginazioni e desideri che vanno vaganti senza corpo, legati solo alle sofferenze interiori, alle amarezze che stringono il cuore, alla solitudine che nasce nell’animo in questa società povera di sentimenti, duramente materialistica, tanto piena di incomprensioni.

QUEL TAGLIO OBLIQUO

XII Il saggista, scrittore Tito Cauchi con la pregevole opera Salvatore Porcu, vita, opere, polemiche ci fa sentire il più noto mondialista nel nostro animo, tormentato da ansie, tenute nei sogni e nelle illusioni per tutta la vita. Aneliamo la pace universale, seguiamo i grandi principi fondamentali corrispondenti all’intelligenza delle leggi della vita e della Natura. Ci sentiamo assetati di giustizia, vicini a tutti i paesi del mondo, presi dai pensieri umanitari, con solidarietà fuori da ogni sbarramento. Non intristiti negli angusti spazi, ma lanciati per le grandi superfici, tutti in un unico amplesso. I mondialisti si esaltano con il più alto senso di partecipazione, ardono di insofferenza, nemici dei contrasti e delle lotte, con serenità dell’animo, in felice comunione nelle moltitudini. Cosmopoliti nelle piazze piene di popolo, oltre i recinti e i confronti. Desiderio di avere un mondo diverso. Tutti allineati nella pace che tutto prende e avvinti come se in un solo corpo le membra dei singoli si ammassassero, circolando il sangue per flussi uniti, rimescolati nei ritmi interiori che si elevano, rendendo vive essenze ed essenzialità dei sentimenti e delle raffinate idealizzazioni. Con Salvatore Porcu assetati di ordine giustizia, legati ai principi umanitari che sono ampiezza e ricchezza spirituali. In grande rilievo le idee purificate dell’uguaglianza e della libertà: si combatte con la maturità arricchita dell’ animo, con fluidità intellettiva, con l’apertura mentale che porta a confluenze, a integrazioni per una sempre più vera convivenza umana. Leonardo Selvaggi

Con dita di piuma scosto un gruppo di capelli caduti dentro il sonno come tendina a coprire, quasi a dispetto, il mio piacere a godere di quegli occhi anche da chiusi.

TITO CAUCHI, SALVATORE PORCU, Vita, Opere, Polemiche; Editrice Totem, Lavinio (Roma) 2015, Pagg. 304, € 20,00

dalla raccolta inedita La Saison de Sang - La Stagione di Sangue.

Le sopracciglia nere, folte, ordinate e rastremate al fondo, incorniciano il taglio obliquo che si dice a mandorla degli occhi suoi chiusi dietro il sonno.

Guardo e sospeso nel silenzio vedo Il nervo del bulbo contrarsi di felicità nell’ immobilità apparente del suo sogno . Salvatore D’Ambrosio Je cherche dans le ciel les augures de la fin de la saison de sang Mais le sang n’est pas dans le ciel il est dans les hommes et les femmes qui s’entre-tuent d’un continent à l’autre Et sous les bombes les grenades les fusils il advient que le sang éclabousse jusqu’au ciel

Cerco nel cielo gli auguri della fine della stagione di sangue Ma il sangue non è nel cielo è negli uomini e le donne che si uccidono l’un l’altro da un continente all’altro E sotto le bombe le granate i fucili avviene che il sangue schizzi perfino il cielo Béatrice Gaudy


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Il Racconto

LA GIACCA A QUADRETTI di Andrea Masotti Quando esci? Ho quasi finito. La pasta si raffredda. Caterina, poi iniziare tu. Veramente sono già alla frutta. Sono stanca di aspettarti. Gli occhi non si vedono, e neppure la faccia se la tiro per bene. Sembro una tartaruga. Spero che non si buchi, queste calze Caterina le usa da più di un anno. Sotto però l’ orecchino fa un riflesso di luce. Accidenti, quante complicazioni. Poi il cattivo odore. Per me l’ ultima volta le ha messe nel cassetto senza lavarle. Allora te ne vuoi uscire da lì! Arrivo. Maria deve lavarsi i denti. Stasera… ma se non li lava mai! Il dentista ha insistito. Ha detto che le vengono dei buchini con tutte le caramelle che mangia e lei vuole lavarli. Sì papà. Altrimenti nascono i vermini. Lasciatemi finire! Due minuti e sono fuori. Devo tirarla di più! Se è tesa la faccia si vede ancora meno. Sempre che non si rompa sul più bello. Ammazza che puzza che fa! Solo che se vado a cercarne un altro paio Caterina mi nota subito. E stasera tolgo l’orecchino. No, meglio domattina quando nessuno mi vede. Adesso infilo le calze in tasca. Senti Renato, io vado fuori con Maria. Facciamo una passeggiata fino ai giardini. Tutta questa fretta... Lo sai che Maria domani consegna il tema di italiano. Deve ancora copiarlo. Perché ci sono anche dei temi in spagnolo? Quanto sei sciocco... Eccomi qui. Il bagno è libero, è quello che volete? O volete solo vedermi? Sono sempre

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io. Stasera sono io, perché domani sarò un altro. Risolveremo tutto. A cominciare dalle bollette arretrate. Perché dovrei farlo, altrimenti? Lo faccio per voi, anche se devo tenerlo ben nascosto. Però meglio spenderli un po’ alla volta. Se ripiano i debiti e compro regali subito, si nota troppo. Prendo un vestitino a Maria e andiamo al ristorante che non ci andiamo dal matrimonio di Filippo. Il resto un po’ alla volta. A cosa pensi? Dimmi, Caterina. No, tu dimmi. Te ne stai per conto tuo… non parli nemmeno con tua figlia. C’è qualcosa che va storto? Lo sai che qui va tutto storto. Un sacco di cose vanno storte. Ma non c’è niente di nuovo. Zio Ezio poi, l’hanno sfrattato o sta ancora in casa? – Forse è meglio non aggiungere altro, ma da domani andrà meglio. Ezio ? È in casa. Almeno per adesso. Ha detto che piuttosto che lasciarla si butta. Tutte scene. Devo riposarmi. E bere poco. Domani se non sono lucido è finita. Lucido e freddo. Non può far tutto Oreste. Lui chiede i soldi e io sto sulla porta, ma devo stare attento che non arrivi nessuno. Il guaio è che ci sono due strade ad angolo e controllare da due parti è difficile. L’ora migliore è a mezzogiorno, prima che la gente esca da scuola e dal lavoro. Prima non ci sono tutti i soldi e dopo rischiamo di intrappolarci nel traffico. Esco alle sette e mezzo. Poi rimango in giro, passo da Oreste che mi presta il taglierino e un giubbetto. Certo che non posso farmi vedere con la giacca a quadretti. Quella la conosce mezza città. In dieci minuti spariamo tutti e due, spariamo nel senso che non ci vedono perché coi taglierini non si spara. Oreste ha una moto rubata e nessuno lo trova perché ha cambiato la targa. A me non ci pensa nessuno, ma nessuno proprio perché faccio il supplente e un professore è insospettabile. Al massimo si sospetta di un dottore che conosce i veleni e sta vicino al sangue e alla morte, di un ingegnere che sa progettare una bomba, ma un professore è sopra ogni sospetto. Ah, se i ragazzi a scuola lo sapessero! Mi rispette-


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rebbero di più. La smetterebbero di fare casino a lezione. Con me poi se ne approfittano. Renato Capelli, ahah il prof che ha la giacca a quadretti, sempre la stessa d’inverno e d’estate… E che gli insegno? Caravaggio era un assassino. E Napoleone, Garibaldi, devo insegnare il loro eroismo, ma quanti ne hanno ammazzati o fatti morire? A me basta una calza in testa, sto sulla porta e tutto finisce lì. Sono anche un bravo papà, Maria lo sa. E se domani il tabaccaio reagisce? Io me la batto, ma Oreste? Si accende come un fiammifero. La testa l’ha chiusa con il lucchetto fin da quando andava a scuola. Carica e scarica, sta sempre solo in magazzino perché nessuno lo vuole vicino. Per questo ha cercato me. Sai che Ezio voleva parlare con te? Ti ha cercato due volte. Mi ascolti? Che vuole? Non l’ha detto. Per me cerca un prestito. Da domani sera devo stare attento, se cambio giacca, se comincio a spendere li ho tutti addosso. Ezio verrà qui tutte le sere. Per non parlare di Daniele che cerca lavoro da tre anni e ha due figli piccoli anche lui. I parenti di Caterina poi sono ancora peggio, pretendono anche da chi ne ha meno di loro. “Ah tu che sei un professore ci devi aiutare.” Ma che significa? Sono solo un supplente squattrinato. “C’hai anche l’orecchino d’oro. “ Chissà cosa ti compri con un orecchino! “Quello è un regalo di tua cugina” ho detto. Anche se non è vero. Renato, parli da solo? Non ho detto niente. Hai detto che qualcosa “non è vero”. “Non è vero” che parlo da solo. Ma cosa capisci? Ci sei? Batti un colpo! Papà! Mi leggi la brutta copia del tema? – Anche Maria ci si mette! Sì, Maria. Il tema di che tratta? “Un incidente dovuto alla distrazione.” Ho già scritto due pagine e domani a scuola devo consegnarlo alla maestra. E tu di cosa hai parlato?

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Di quando ti sei scontrato all’ incrocio. Quando hai litigato con uno che ti ha dato un pugno. Con quel delinquente! Sì, proprio quella volta. Così divento come lui. Ma stasera non lo sono ancora. Con la mia giacca a quadretti posso guardare mia figlia negli occhi. Se non fosse che c’è di mezzo Oreste… quasi quasi esco e gli telefono. Spero che non si incazzi. Ne può cercare un altro. Maria, hai ancora mal di gola? Sì – spalanca la boccuccia verso di me – aaaa. Posso stare a casa? – Renato, abbiamo detto che domani va a scuola. È meglio che non manchi la mattina del tema. – Mia moglie deve sempre contrastarmi! Sì, ma non bisogna trascurare il mal di gola. La nonna dice che può far venire i reumatismi. – Come può contraddire sua madre? Per la prima volta le do ragione io. Maria non ha la febbre. Vuoi proprio aspettare che peggiori? Domattina l’accompagno dalla dottoressa. Non la vede dall’anno scorso. Per quello che stasera sei così preoccupato? Sì, c’è anche dell’altro. Ma forse faccio ancora in tempo. Anche se discuto, anche se la notte nel dormiveglia ho delle preoccupazioni, stasera con Caterina e Maria sto bene. Domani non so. Andrea Masotti

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 1/2/2016 Gli ex brigatisti Adriana Faranda e Franco Bonisoli erano strati chiamati a dar lezioni alla Scuola della Magistratura. Alleluia! Alleluia! Con simili magistrati, Terrorismo, Camorra, ‘Ndrangheta e Mafia potranno mai in Italia venire debellati? Domenico Defelice


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LETTERA APERTA AD

AIDA ISOTTA PEDRINA a proposito del suo articolo L’Immortalità: viaggio nell’assurdità. (Pomezia-Notizie, novembre 2015, pp.32-34) di Marina Caracciolo Gentile Signora, I è capitato di rileggere, a distanza di mesi, il suo articolo apparso su Pomezia-Notizie a novembre 2015 e l’ho trovato così ricco di spunti di discussione che mi è venuto l’estro, per così dire, di un proficuo confronto di idee, quando Lei non voglia considerare questa mia replica semplicemente come una garbata polemica. Prima di tutto non riesco a capire perché Lei si affanni, in tutte e sei le colonne del suo lungo discorso, a convincerci – anche con qualche parola a caratteri cubitali –della totale assurdità di un concetto come quello di una possibile vita dopo la morte, designandolo sostanzialmente come frutto di ignoranza, di superstiziosa presunzione e di sciocche illusioni miste di speranza e di paura. Ancor più mi è difficile intendere perché mai, a suo parere, questa teoria riuscirebbe addirittura ad «offuscare» e a «deturpare» la nostra gioia di vivere. Vede, Signora, si tratta in realtà, secondo il mio modesto modo di vedere, di una sorta di postulato: è come se volessimo parlare della geometria euclidea e di quella non-euclidea. La prima (5° postulato) afferma, come Lei ben sa, che: data una retta e un punto fuori di essa, per questo punto può passare una retta, e una soltanto, parallela a quella data. La seconda sostiene l’esatto contrario: per quel punto possono passare non una sola ma infinite rette, tutte parallele a quella data. Quale di queste due teorie è scientificamente ineccepibile?… In ogni caso, sull’uno e sull’altro fronte, ci sono illustri matematici, non degli insipienti o degli sprovveduti. Analogamente, il concetto dell’immortalità dell’anima (preferirei dire dello spirito, distinguendolo dall’anima intesa come il soffio

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vitale che nasce e muore con noi) è antichissimo ed è presente nella stragrande maggioranza delle civiltà, sia primitive che evolute, ma si è sempre scontrato con la convinzione opposta, ossia con l’idea che tutto è materia e tutto ha fine con la materia stessa. Lei parla, per esempio, dell’antica Grecia e ricorda, giustamente, che gli stoici e gli epicurei negavano perentoriamente l’ immortalità; ma tuttavia pare dimenticarsi che Platone (come prima di lui Pitagora) sosteneva invece l’esistenza di un’anima immortale, addirittura preesistente al corpo, nonché la sua possibile trasmigrazione (metempsicosi). Quando poi Lei afferma che il Paradiso è presentato (non so da chi) come una sorta di «grandioso Resort cosmico», per usare le sue stesse parole, si esprime – mi consenta – in un modo un po’ ingenuo, all’incirca al pari di chi è convinto che ci si voglia far credere che l’anima se ne voli in cielo come una colombella con le ali spiegate e il cerchietto luminoso sul capino… Queste sono soltanto rappresentazioni pittoriche e comunque simboliche, o meglio, discorsi per bambini! – Vedo che Lei non cita mai Gesù Cristo, non lo nomina neppure di straforo. Però, se prova a leggere qualche pagina delle Sacre Scritture, non tanto dove è detto: «Chi crede in me, anche se morto vivrà», ma piuttosto quei passi dove Egli si riferisce espressamente al cosiddetto Regno dei Cieli, ebbene allora si renderà conto che non sta parlando di un immenso residence a cinque stelle nel quale trascorrere in allegria una vita senza fine!… Inoltre, se lo Spirito sopravvive (e sottolineiamo pure se) non giunge in un luogo concreto, fisico, in uno spazio siderale fra pianeti stelle e meteoriti, insomma in quegli intermundia, che, secondo il poeta Lucrezio erano le dimore degli dei; ma approda, caso mai, ad una dimensione altra, che non ha alcuna collocazione spazio-temporale come noi la intendiamo in questo mondo. Ecco perché fa sorridere l’idea del «buio pesto» e del «gelido silenzio» che Lei vuole prospettare, dove una povera animuccia sperduta va cercando a tastoni tutte le altre e non sa dove sono finite


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(ma, se non ci fosse proprio nessuno, allora quell’anima solitaria sarebbe stata l’unica a risorgere?…). Così pure, a meno che Lei non voglia fare dell’ironia, trovo invero stravagante che una delle «consolazioni» per non dispiacersi troppo dell’inesistenza di una vita oltre la vita, possa essere il credere di andare a fungere da concime per fiori, alberi ed erbe!… Veramente, mi creda, non riesco a pensare che i nostri resti mortali possano un giorno rendere più appetitoso magari, che so, un bel piatto di insalata o di legumi; oppure che le ceneri di un essere umano, se fossero disperse in un campo arato o in un frutteto, nella stagione successiva renderebbero più rigogliose le spighe di grano oppure più succosi i frutti di un pesco o di un ciliegio… Mentre invece Lei mi trova del tutto d’ accordo quando altrove dice che il potere religioso, nella Storia, si è spesso tramutato in un mezzo di controllo e di sopraffazione nei confronti di popoli schiavizzati, lasciati in una arretratezza sia culturale che sociale, e divenuti proprio per questo motivo sempre più imbelli e succubi dei loro tiranni. Ecco perché Karl Marx non aveva torto nell’affermare che «la religione è l’oppio dei popoli». Tutto questo, comunque, ha ben poco a che vedere con la questione dell’eternità dello spirito… E così sono assolutamente del suo stesso avviso quando Lei parla dell’altra, vera e propria eternità dell’Uomo sulla Terra. L’ immortalità di ciò che lascia in questo mondo rendendosi memorabile: i grandi artisti, gli scrittori, i poeti, i musicisti non muoiono mai nelle loro opere, poiché esse superano i secoli se non i millenni. Ma anche i comuni mortali possono andare oltre il limite del tempo loro destinato: ognuno di noi ha figli o parenti o amici a cui potrà lasciare il ricordo delle sue azioni, di ciò che la sua presenza nella vita, umanamente e affettivamente, ha avuto di significativo, di incancellabile. E finché resta qualcuno che ne ha memoria, non saremo mai veramente scomparsi. Infine, ho notato che a un certo punto Lei parla del sole: ebbene sì, è vero, anche il no-

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stro astro datore di vita, non è eterno; come le altre stelle, a suo tempo scomparirà. Gli studiosi di astrofisica gli hanno attribuito al massimo cinque miliardi di anni (e teniamo conto che si trova già a metà del suo itinerario). È chiaro che, una volta giunto alla sua fine, non esisterà più alcuna possibilità di vita sulla Terra e – se pure ci fosse mai stata – in nessun’altra parte del sistema solare. Tuttavia, Lei immagina a che razza di progresso scientifico-tecnologico l’Uomo sarà giunto fra duemilacinquecento milioni di anni?… Crede che starà lì a contemplare il sole mentre si sta spegnendo oppure mentre esplode come una Super Nova, sapendo bene, lui, che in tal modo o si trasforma in una statua di ghiaccio perenne o si scioglie come burro fuso?… Poiché la «morte» del sole non sarà improvvisa ma progressiva, è probabile che già da molto tempo i terrestri avranno perlustrato almeno una parte dell’Universo (ho letto di recente sui giornali che gli astronomi hanno individuato un pianeta «gemello» della Terra, ma per ora è troppo distante per supporre di poterlo esplorare. E ce ne potrebbero essere molti altri!…). Per cui, in quel tempo infinitamente lontano, l’Uomo – sempre che esista ancora, è ovvio, se non avrà rovinato del tutto un paradiso come la Terra stessa – saprà benissimo dove traslocare per proseguire la sua esistenza in luoghi più adatti e più ospitali di questo meraviglioso Cosmo. Carissima Signora Aida Isotta, mi perdoni questa lunga e polemica chiacchierata: se non altro le dimostra con quanto interesse ho letto il suo articolo e fino a che punto è attraente già di per sé la questione che Lei ha affrontato! Tra parentesi, mi permetta di ammirare il bellissimo doppio nome che Lei porta. Nella sua famiglia c’è sempre qualche nome «operistico»: Lei mi ricorda due meravigliosi (e immortali) capolavori del teatro musicale, rispettivamente di Giuseppe Verdi e di Richard Wagner. Mentre il nome della Signora Ilia, fa pensare subito all’Idomeneo di Mozart… A una cultrice di musica come me, questo non


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poteva certo sfuggire!. Riceva da parte mia un saluto cordiale e pieno di stima, in attesa di rileggerla con piacere sulle pagine della nostra bella PomeziaNotizie. Marina Caracciolo Torino, 18 febbraio 2016

EROS (sonetto acrostico) Sacri misteri di fuochi amati E singulti di sangue da are di cenere Niente avverto tra le oscure viscere Zampilli solo di zolfo mutati. Ara mio sacrificio rende polvere Ritorce, mi abbraccia, mi contorce, E purifica ciò che dolce tiene torce, Questa carne fragile al braciere Uggiola, tra la vampa la distorce In infiniti brandelli il corpo avanza E vano fuoco d’amore ad Eros porge.

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un manto che copre con il suo soffice peso di caldo. L’immagine viva per tanto covata nell’animo, il viso ampio come sorriso già conosciuto, pieno di parole, gli occhi profondi e fissi che vanno per la mente quasi pungiglione di ape con sadica immissione; come già incontrata e ravvisata negli anni volati. Sei venuta a trovarmi nelle solite ore di una mattina uguale alle altre, ritmo ripetuto che incrosta la persona di stanchezze. Lampo di luce piena espressione di candore sulle solite cose del giorno in questo cielo grigio ed umido che non ho mai voluto, che mi sta attorno come piovra odiata sul petto e le braccia, peso al respiro, nebbia al viso. Leonardo Selvaggi

OROLOGIO A te, che inesistente l’anima danza Mostra il vino e dà profumi soavi Ode e invano esce dalla mia stanza. Susanna Pelizza

Ti avvinghi al polso e batti i passi arsi dei giorni.

Roma

TANTE LE PRIGIONIE Il fantasma che mi seguiva e non trovavo il suo corpo. Evanescente immagine sempre come lume sull’acceso fuoco dei desideri. Sei venuta nell’organza per l’erta del sentiero che in alto sui ciottoli tra gli alberi arriva fino all’arco dell’orizzonte. Sei venuta pallida sembianza appena impressa passando pronta per la porta. Sei venuta per sciogliere le varie prigionie; l’amore

Il quadrante è arco e frecce le lancette puntate verso tutti i paralleli e meridiani. E conficchi al cuore marea altissima. Ma non ti odio, nemico invincibile, testimone muto e onnipresente: traverserò con te cieli e abissi fino al bivio di salvezza e dannazione. Rocco Cambareri Da Da lontano, Ed. Le Petit Moineau, 1970


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UN SOBRIO CICERONE DIALOGA CON L'AMICO IRZIO SUL DESTINO E LE SUE CARATTERISTICHE di Ilia Pedrina

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NO studio accurato del professor Stefano Maso porta alla luce nuove sfumature e profonde pieghe valutative su un testo poco noto di Marco Tullio Cicerone. Si tratta dell'opera 'IL FATO', pubblicato con introduzione, edizione, traduzione e commento per la Carocci Editore, di 193 pagine, nel marzo del 2014: la sezione del testo latino, con traduzione a fronte, va dalla pagina 44 alla pagina 79. Ecco l'apertura, l'incipit dell'opera, dalla lacuna al testo certo: “...quia pertinet ad mores, quod ethos illi vocant, nos eam partem philosophiae de moribus appellare solemus sed decet augentem linguam Latinam nominare moralem; explicandaque vis et ratioque enuntiationum, quae Graeci axiomata vocant; quae de re futura cum aliquid dicunt deque eo, quod possit fieri aut non possit, quam vim habeant, obscura quaestio est, quam perì dunaton philosophi appellant totaque est loghiké, quam rationem disserendi voco... Nam cum essem in Puteolano Hirtiusque noster consul designatus isdemm in locis, vir nobis amicissimus et his studiis in quibus nos a pueritia viximus deditus, multum una eramus, maxime nos quidem exquirentes ea consilia, quae ad pacem et ad concordiam civium pertineret. Cum enim omnes post interitum Caesaris novarum perturbationum causae quaeri viderentur iisque esse occurrendum putaremus, omnis fere nostra in his deliberationibus consumebatur oratio... Quibus actis, 'Quid ergo? Inquit ille, quoniam oratorias exercitationes non tu quidem, ut spero, reliquisti, sed certe philosophiam illis anteposuisti, possumne aliquid audire?' 'Tu vero, inquam, vel audire vel dicere; nec enim, id quod recte exi-

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stimas, oratoria illa studia deserui, quibus etiam te incendi, quamquam flagrantissimum acceperam, nec ea, quae nunc tracto, minuunt, sed augent potius illam facultatem...” (Cicerone, Il Fato, op cit. pag. 44). Ecco allora che il testo si concretizza come una ricerca anche linguistica sul rapporto tra i termini tecnici storicamente radicati nelle scuole filosofiche greche ed i loro corrispondenti in latino: Cicerone si sente il punto di arrivo dialettico di questo attento percorso impegnato a valutare parole e contenuti corrispondenti, avviando alla chiarificazione oratoria ed alla costruzione di convinzioni e di comportamenti. Nulla vale più di questa amabilissima conferma: '… nec enim id quod recte existimas, oratoria illa studia deserui, quibus etiam te incendi... /effettivamente, come giustamente supponi, io non ho abbandonato gli studi di retorica, per i quali ti ho fatto ardere di entusiasmo...' (ibid. trad. di S. Maso). Nella introduzione al suo lavoro investigativo ed esegetico, “La causalità, il destino e 'ciò che è in nostro potere'” lo studioso italiano Stefano Maso porta l'attenzione sul rapporto tra Cicerone e la filosofia, a partire da quei dotti che gli erano stati maestri a Roma e altrove, nella sua giovane età: “...L'obiettività critica che a noi deriva da più di due millenni di distanza, e dalle indagini della ricerca storiografica calibrata su di lui e sull'epoca di transizione tra Repubblica e Principato, ci permette oggi di formulare un giudizio complessivo attendibile sulla sua controversa personalità e sul suo carattere. Arriviamo a definirne le particolari doti e i difetti e a riconoscere, nelle sue scelte di vita, sia l'impulso di ideali patriottici ravvivati da una potente ambizione sia il prodotto di una costante e metodica applicazione, accanto alle conseguenze di una dubbia abilità nel mantenere la rotta tra contrastanti disegni politici, progetti militari e tensione morale e civile. Ma quel che è qui più interessante rilevare è la grande dedizione allo studio che Cicerone sempre mostrò e che seppe incanalare in un percorso formativo di altissimo profilo. Dalla retorica, alla poesia,


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alla letteratura e, soprattutto, alla filosofia. Cicerone, fin da giovane, ebbe per maestri filosofi di fede epicurea (Fedro e Zenone di Sidone) e stoica (Diodoto e Posidonio), e poi gli academici Filone di Larissa e Antioco di Ascalona; sempre fu consapevole dei limiti della tradizione filosofica di Roma e della lingua latina, che gli appariva inadatta e povera a interpretare la raffinatezza e la profondità dei contenuti proposti dalle scuole filosofiche ellenistiche; ben volentieri si offerse quale 'tramite' presso il mondo romano del sapere filosofico dei Greci. Tuttavia solo negli ultimi tre/quattro anni della sua vita, vale a dire dopo la vittoria di Cesare a Farsalo, in Tessaglia e poi in Egitto, allorché capì come ormai fosse inevitabile il suo ritiro dall'agone politico, Cicerone decise di votarsi alla filosofia. Tra il 46 e il 44 a. C. ecco dunque Cicerone in preda a un'instancabile frenesia, comporre il Brutus, i Paradoxa Stoicorum, l'Hortensius, gli Academica, il De finibus, le Tusculanae disputationes, il De natura deorum, eccolo tradurre il Timeo, scrivere il Cato Maior de senectute, il De divinatione, il De fato, il De gloria, il Laelius de amicitia, il De officiis. Opere tutte di notevole impegno compositivo nelle quali poté avvalersi, com' egli stesso fa capire, degli scritti dei suoi maestri o di quanto era patrimonio delle scuole filosofiche dell'epoca. Opere che erano anche il frutto di un sotterraneo e lungo suo lavoro preparatorio che risaliva agli anni della formazione giovanile e dei viaggi in Grecia, nella terra dei pensatori da lui ammirati. Opere che dunque oggi non possono essere spacciate come l'esito di un mero lavoro di traduzione...” (Cicerone, Il fato, introduzione, edizione traduzione e commento di Stefano Maso, op. cit. pp. 9-10). Siamo alle Idi di marzo del 44 a. C. e Cicerone è tra i testimoni dell'uccisione di Cesare: sembra che Marco Giunio Bruto, pugnale sfoderato e sanguinante in mano, abbia pronunciato il suo nome, mentre Cesare, trafitto dai molti e non ancora morto, ha la forza di coprirsi il volto con la veste, per non vedere proprio la faccia del giovane Bruto, il suo fe-

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dele protetto. Si, perché Cesare gli aveva fatto i ponti d'oro, nominandolo controllore della Gallia Cisalpina e non si aspettava certo questo tradimento ordito in pubblico stile, da tragedia reale! Anche Lucio Silla, pure lui amico di Cicerone, che lo segue nella guerra mitridatica, aveva fatto la stessa fine, allora al grande avvocato, che ha sfoggiato la sua oratoria nelle Catilinarie, possono essere tremate le vene ed anche i polsi. Ho affrontato questo prezioso testo sia nella stesura latina che nella traduzione, modernissima, del prof. Maso e ne sono rimasta affascinata, sia perché sto lavorando seriamente sulla Filosofia analitica e sulla Filosofia del linguaggio, sui fondamenti della Semantica e sul valore di verità da dare agli enunciati, sia per entrare direttamente nel ruolo di questa scrittura d'occasione e di riflessione come testimonianza di mascheramento, perché attraverso di essa Cicerone riesce a velare non solo la superficie, ma la profondità stessa dei propri turbamenti attraverso l'analisi filosofica e la logica consequenziale delle sue asserzioni, cosa questa che Cicerone, nel De Fato, è riuscito a fare in modo magistrale, concludendola agli inizi del giugno dello stesso tragico anno, il 44 a.C., nella sua villa di Pozzuoli. Cito ancora dall'Introduzione: “... Il De fato è sicuramente tra le più interessanti ed enigmatiche opere della letteratura filosofica latina. In essa, quasi in una sorta di confronto dialogico, Cicerone presenta le posizioni di alcuni degli esponenti delle scuole filosofiche classiche intorno al tema del destino. Dietro alla cornice dialogica, che vede impegnato, quale interlocutore dell'oratore, Aulo Irzio, ex luogotenente di Cesare, sono fatte rivivere le tesi degli stoici Posidonio e Crisippo, dei megarici Stilpone e Diodoro Crono; quindi è la volta dell'atomista Epicuro e soprattutto di Carneade, il fondatore della terza Academia... Va subito aggiunto che si tratta di un testo mutilo della parte introduttiva e di quella conclusiva, oltre che gravemente guastato da due lacune; per di più in quest'opera Cicerone intende fare sfoggio della sua abilità retorica,


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mascherando da dialogo tra maestro e uditore una vera e propria disputatio: una declamazione retorica che però, alla fine, potrebbe interpretarsi addirittura come un trattato...” (ibidem, op. cit. pag. 11). Come abbiamo letto, Irzio fa visita al maestro e gli dice chiaramente che ama farsi infiammare dalla sua arte oratoria, dalla capacità colta di esporre contenuti e di approfondirli scientificamente secondo il principio della verità o falsità degli enunciati, lo incita insomma a procedere. Così, magicamente, e grazie soprattutto alla potenza rappresentativa ed immaginativa del linguaggio, tutte le turbolenze storiche e personali del momento vengono lasciate alle spalle, vengono in altre parole tenute fuori da questo 'hortus conclusus' che è la villa di Cicerone a Pozzuoli. Mancano pochi mesi alla sua morte tragica, voluta da Antonio perché seriamente attaccato da Cicerone nelle Filippiche: allora questo testo, il De fato, che pone interrogativi chiari sulla differenza tra 'fato' e 'destino', rappresenta quasi un testamento spirituale, organizzato attraverso la consapevolezza della propria intelligenza e dottrina intorno alle più importanti teorie filosofico-etico-scientifiche, con a fianco una sorta di docile accettazione degli eventi, nei quali è saggio e razionale assumersi le proprie responsabilità. L'imponderabile della casualità non va tenuto in considerazione quando si ragiona di un futuro che è dato per certo nel passato, come quando si parla di divinazione o di profezia e fino a non molto tempo prima in Roma ed altrove gli auruspici, gli àuguri, i disegnatori degli eventi nel futuro avevano ottimo gioco tra i potenti. In quest'opera Cicerone affascina perché lascia che la scienza oratoria lo consoli in profondità e sistema così filosoficamente su questo argomento le più importanti tesi dal periodo arcaico omerico delle Moire fino ai suoi giorni, tenendo ben presente come dare definizione precisa ai termini tecnici che provengono dalla lingua greca e come illuminare dialetticamente sulle diverse tipologie di 'causa'. Sostiene Stefano Maso, in questa sua dotta

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e dettagliata introduzione: “... Nel corso della disputatio si assiste al variare delle tematiche e delle prospettive teoriche cui Cicerone si appoggia, anche se la tesi fondamentale che l' Arpinate intende sostenere - quella per cui esiste uno spazio per la libertà individuale – permane saldamente sullo sfondo e risulta saldamente confermata. È la tesi che Cicerone attribuisce all'academico Carneade, il quale, ricorrendo ad un'argomentazione fondata sul modus tollens, aveva dimostrato che 'non tutto ciò che accade accade per volere del fato' (par.31). Cicerone arriva a esplicitare la tesi carneadea solo dopo un lungo percorso che l'ha portato ad affrontare (a) il problema del vero e del falso rispetto agli avvenimenti futuri e, dunque, alla predizione; (b) le conclusioni di Diodoro relative al possibile e alla verità di ciò che è possibile; (c) la tesi atomistica di Epicuro che per un verso rifiuta il Principio di bivalenza rispetto al vero e al falso, per l'altro introduce il moto casuale: vale a dire concepisce l'evento incausato...” (op. cit. ibid. pag. 13). La causa naturalis è presente da sempre nelle cose del mondo e dell'universo e da sempre anticipa e segue senza sosta gli esseri umani, vera dimensione infinita dell'eternità cosmica e dovrà essere severamente distinta dalla causa sine aeternitate naturalis, quell'evento o serie di eventi che si verificano in maniera occasionale: in tutta questa forte tensione tra analisi dei termini tecnici, emozioni legate a fatti ed eventi presenti come macigni nella mente ma non rivelati, chiarificazioni e rimandi a scuole filosofiche sull'etica dei costumi e dei comportamenti, ci viene ancora in aiuto le studioso S. Maso: “... Ciò che è difficile per il lettore moderno è cogliere con chiarezza come tenere insieme l'ossatura centrale e gli sviluppi laterali, dato anche lo stato lacunoso del testo. In realtà, l'analisi della dottrina relativa al possibile e ai futuri contingenti, insieme alla disamina del Principio di bivalenza, costituisce la prima fase della più generale riflessione intorno a ciò che al singolo soggetto umano è possibile 'decidere' e 'compiere'. È come se fosse stato dapprima


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predisposto il terreno su cui ritornare poi per affrontare in modo efficace la discussione intorno al vero tema...” (op. cit. pag. 89). Forse Aulo Irzio, che qui osserviamo ed apprezziamo attento e silenzioso interlocutore di Cicerone, potrà pochi mesi dopo passare dalla parte di Antonio ed altrettanto silenziosamente acconsentire all'assassinio del Maestro, al quale verrà tagliata la testa e verranno amputate entrambe le mani, perché quelle mani hanno scritto contro Antonio? Sarà possibile tutto questo a causa di un destino già scritto e di una devota sudditanza rispetto al Potere, anche al di fuori della ragione? Cicerone, nel par. 45 sostiene: '...quae autem in nostra potestate sint, ab iis fatum abesse...', perché vuole che si capisca bene che una cosa è il 'fatum', ben altra cosa è tutto ciò che è 'in nostra potestate' ! Allora egli diventa gigante proprio in questo testo filosofico ed etico ad un tempo, che porta la dialettica ai vertici dell'ispirazione retorica ragionata a fianco del prezioso mascheramento protettivo della propria emotività appassionata e sofferente. Ilia Pedrina

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stende sul terrazzo. Il tuo corpo selvatico per le forti gambe mi fa andare la mente a quei pomodori provati densi di sapore dalle foglie arse, alle capre che a maggio odorano di latte cagliato. Leonardo Selvaggi Torino

NELLA CULLA DEL MIO CUORE EDITH Eri il rifugio preferito dei miei sogni smarriti. All’alba annegavo amore, nel riflesso dei tuoi occhi ancora oggi mi lusinga abbracciare il tuo ricordo, che come un vascello mi trascina nei flutti, dove il silenzio dimora nella culla del mio cuore. Giuseppe Cosentino Germania

IL TUO VISO Il tuo viso magro e gli occhi piccoli di fanciulla di paese mi fanno rivedere ancora gli sterpi secchi, appuntiti sul ciglio della strada quando la polvere fine imbianca di più col sole d’estate. La matrice della mia vite rimane attaccata alle siepi folte del rovo vicino alla vigna, lungo il viottolo alto sorretto dal frascame intricato tagliato nella terra spaccata d’argilla cocente per le lucertole nel silenzio della solitudine. La voce che si articola stretta fra le labbra mi fa ricordare le pareti di tufo delle case, i fichi aperti messi a seccare che una mano rugosa

TRASCENDENZE Utile e bella la domanda posta in quel film sulla trascendenza: "sai tu mostrarmi che sei consapevole di te stesso? " E nessuno lì diede risposta ma io la vidi dov'era: " Responsabilità della Comunicazione " per la vita l'umanità la nazione..... E la vidi anche più in là: " Responsabilità di essere causa - distanza - effetto " per me per te per lui per lei per voi ed essi tutti per ora e domani ed anche dopo ! Michele Di Candia Inghilterra


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Comunicato STAMPA XXVI Edizione CITTÀ DI POMEZIA L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM) - Tel. 06 9112113 – E-Mail: defelice. d@tiscali.it internet: http://issuu.com/domenicoww/docs/ - organizza, per l’anno 2016, la XXVI Edizione del Premio Letterario Internazionale CITTÀ DI POMEZIA, suddiviso nelle seguenti sezioni : A - Raccolta di poesie (max 500 vv.), da inviare fascicolata e con titolo, pena esclusione. Se è possibile, inviare, assieme alla copia cartacea, anche il CD; B - Poesia singola (max 35 vv.) ; C – Poesia in vernacolo (max 35 vv.), con allegata versione in lingua; D - Racconto, o novella (max 6 cartelle. Per cartella si intende un foglio battuto a macchina – o computer - da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1800 battute. Se è possibile, inviare, accanto alla copia cartacea, anche il CD); E – Fiaba (max 6 cartelle, c. s., lettera D); F – Saggio critico (max 6 cartelle, c. s.). Non possono partecipare alla stessa sezione i vincitori (i Primi classificati) delle trascorse Edizioni. Le opere (non manoscritte, pena l’ esclusione), inedite e mai premiate, con firma, indirizzo chiaro dell’autore e dichiarazione di autenticità, devono pervenire a Domenico Defelice – via Fratelli Bandiera 6 - 00040 POMEZIA (RM) - e in unica copia - entro e non oltre il 31 maggio 2016. Le opere straniere devono essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana. Ad ogni autore, che può partecipare a una sola sezione e allegare un breve curriculum di non oltre dieci righe, è richiesto un contributo di 20 Euro per la sezione A e 10 Euro per le altre sezioni, in contanti assieme agli elaborati (ma non si risponde di eventuali disguidi) o da versare sul c. c. p. N° 43585009 intestato a :Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM). Le quote sono in

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euro anche per gli autori stranieri. Sono esclusi dal contributo i minori di anni 18 (autocertificazione secondo Legge Bassanini). Non è prevista cerimonia di premiazione e l’operato della Commissione di Lettura della Rivista è insindacabile. I Premi consistono nella sola pubblicazione dei lavori. All’unico vincitore della Sezione A verranno consegnate 20 copie del Quaderno Letterario Il Croco (supplemento di Pomezia- Notizie), sul quale sarà pubblicata gratuitamente la sua opera. Tutte le altre copie verranno distribuite gratuitamente, a lettori e collaboratori, allegando il fascicolo al numero della Rivista (presumibilmente quello di ottobre 2016). Sui successivi numeri (che l’autore riceverà solo se abbonato) saranno ospitate le eventuali note critiche e le recensioni. Ai vincitori delle sezioni B, C, D, E, F e ai secondi classificati per ciascuna sezione, verrà inviata copia della Rivista - o del Quaderno Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro. Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, la Commissione di Lettura può decidere anche la non assegnazione del premio. La mancata osservazione, anche parziale, del presente regolamento comporta l’ automatica esclusione. Foro competente è quello di Roma. Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di P. -N. Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edizioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Ettore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Marabelli:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Menabò; Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli (USA): Canti del ritorno; Solange De Bressieux (Francia): Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Itinerario a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di Arthur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde la memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi; Giovanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Mancusi Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che ho scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni d’ amore; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgina Busca Gernetti: L’anima e il lago; Rossano Onano: Mascara; Fulvio Castellani: Quaderno sgualcito; Nazario Pardini: I simboli del mito; Rodolfo Vettorello: Voglio silenzio; Isabella Michela Affinito: Probabilmente sarà poesia.


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I POETI E LA NATURA – 53 di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

LA NATURA NELLA POESIA DI GIANNI RESCIGNO (1937–2015 )

I

l 13 maggio 2015 è avvenuta l'improvvisa, dolorosa scomparsa del caro amico poeta Gianni Rescigno. Nato nel 1937 a Roccapiemonte, in provincia di Salerno, risiedeva a Santa Maria di Castellabate. Ex docente, proseguiva nella sua prestigiosa carriera letteraria. Anche se appartato, e fuori (ingiustamente) dal giro della cosiddetta Grande Editoria e Stampa di Potere, era stato consacrato da una vita come poeta di valore assoluto da lettori, poeti e scrittori, critici letterari, primo fra tutti il notissimo Giorgio Bàrberi Squarotti (già cattedratico all'Università di Torino) con entusiastiche prefazioni, presentazioni, inquadramenti critici di prestigio. Per

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non parlare di numerosissimi altri critici e recensori, alcuni dei quali di chiara fama, convinti del suo valore, esplicitato nell'arco di un'intera vita con una trentina di libri di poesie, affermatisi in molti Premi letterari. (Di molti di tali critici e recensori, oltre che di Bàrberi, ho già parlato in un mio libro-saggio sui volumi di Gianni Rescigno, attualmente in corso di stampa). Nella poesia di Rescigno la Natura non è una componente esteriore e “ornamentale”, ma ne costituisce l'essenza, innervando e sostanziando tutto il vivere dell'uomo sulla Terra. La Natura ferace del Meridione d'Italia, della “terra faticata” dei contadini e pescatori di Rescigno, non è un semplice paesaggio o scenario, ma è la co-protagonista del dramma che dalla nascita alla morte accompagna l' uomo, la cui vita è un sogno che sosta tra acqua e vento caduta di foglie e festa di fiori. (“Un sogno che sosta”, dal volume omonimo, Gènesi Editrice, Torino 2014). La Natura non è soltanto un luogo materiale nel quale l'uomo nasce, si sviluppa e muore, ma è un'anticipazione dell'amore di DioProvvidenza, che prefigura, anche se in forma parziale e imperfetta, lo stato di nobile beatitudine in cui sarà immersa l'anima che avrà avuto, nonostante tutto, fede e speranza nel Creatore. ( E la fede di Rescigno, beato Lui, era granitica). Sandro Angelucci, poeta e critico che dimostra di conoscere bene il cammino e il significato della poesia rescigniana, ha scritto, fra l' altro, nella sua lucida e puntuale Prefazione al libro Un sogno che sosta : “...la sua fede è solida, incrollabile, perché non esclude la debolezza, la fragilità della natura umana dalla considerazione del mistero. E così non potrebbe essere se il suo sguardo non fosse rivolto a tutto il creato, ai pettirossi, ai boschi di carrubi, agli stormi delle rondini, alle canzoni dei cani, ai petali dei papaveri e, con lo stesso amore, all'amica luna, alle indicazioni dei venti, al fragore del mare.” Enorme importanza hanno, nelle liriche di


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Rescigno, il Sole e il Vento, i campi di grano e le distese del mare. Il Sud, e specialmente l' Agro nocerino-sarnese, e il Cilento, hanno in lui un cantore innamorato e instancabile. Le stagioni rappresentano il contraltare della psicologia e delle passioni dell'uomo-poeta. Pensavamo che la primavera non potesse mai finire e d'un tratto ci trovammo foglie d'autunno nell'acqua della sera. In particolare la primavera richiama il fiore della giovinezza, l'autunno e l'inverno si attagliano alla vecchiaia. L'estate è un febbrile e gioioso stato d'animo, prima ancora che una generosa sorgente di gioie sensuali e di frutti succulenti. Mattonelle della vita il pane, il vino e l'acqua. Perfino la Parola, lo strumento familiare del poeta e dello scrittore, deriva dal lessico della Natura, essendo definita un quasi inafferrabile fiore. Lo stesso incontro del giovane Gianni con la Poesia, con quella che sentirà come una missione per tutta la vita, avviene nel corpo e nello spirito della Natura: Un giorno partii per cercare qualcosa. Lo stesso giorno partì la poesia per cercare me. C'incontrammo sotto una quercia... Anche per il dopo-morte, il poeta ipotizza l' intervento “consolatorio” della Natura: Quando non ci sarò chissà quale vento muoverà le mie foglie. In ogni caso, la Natura è sentita come compagna intima del poeta, anche se questi si sente predestinato al cielo: Prima che l'ombra cali togliamoci le spine dai passi del dolore, offriamole come rose alla luce della luna: noi siamo gente fatta per il cielo.

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Anche gli animali fanno parte del mondo della Natura, che li avviluppa insieme all'uomo in un abbraccio solidale. E non solo gli animali che lo aiutano nel sopportare le fatiche dei campi, come cavalli e buoi, ma anche quelli che gli offrono compagnia ed aiuto, come i cani. Si veda l'originale poesia Le canzoni dei cani, già ricordata da Angelucci : “ Allora i cani/ abbaiavano al tramonto/ e la tramontana di febbraio/ lucidava il cielo/ specchio illuminato dalla luna./ Chiamavo Lola a squarciagola. Con un dito le mostravo/ uccelli in ritirata./ Lei cantava le canzoni dei cani/ che rispondevano dalle vigne/ con lamenti innamorati. Luigi De Rosa

IRRAGGIUNGIBILI Fiammeggiano le ossa e la carne ancora; adesso che dormiamo tu sei rondine caduta in volo, io quercia squarciata; l’azzurro è aperto sopra noi non temiamo il freddo: nessuno adesso può nulla, nulla adesso che siamo irraggiungibili. Salvatore D’Ambrosio Caserta

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 10/2/2016 Giustamente sono stati smerdati, messi alla gogna su tutti gli organi di stampa, i fannulloni che si facevano timbrare - e quanti continuano a farselo timbrare! - il cartellino rendendosi uccel di bosco dal posto di lavoro. Alleluia! Alleluia! Ma Senatori e Deputati, che lasciano il tesserino magnetico inserito in computer per riscuotere intera la diaria, mentre sono in tutt’altre faccende affaccendati, non sono ancora peggiori, visto il rango che occupano e l’esempio che danno? Domenico Defelice


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Recensioni LUIGI DE ROSA IMPERIA TOGNACCI e i suoi poemi in poesia e in prosa Ediz. Giuseppe Laterza, Bari, 2014, € 20, pagg. 259 E’ un’avventura speciale quella di tuffarsi nella lettura e rilettura dell’intero repertorio di un autore, visto attraverso la lente d’ingrandimento di un critico come il poeta, scrittore, pubblicista, di famiglia partenopea, Luigi De Rosa. E’ un’avventura ragionata, di sapore ragionieristico, dacché il patrimonio letterario dell’autrice Imperia Tognacci, di origini romagnole del paese che fu di Giovanni Pascoli (1855 - 1912), è stato così egregiamente ‘amministrato’ — nel senso di un maneggiamento responsabile dei testi dal critico De Rosa, da far scorrere le pagine quasi si leggesse il romanzo di una pragmatica esternazione attuata negli anni. Leggere questo saggio monografico è avvilupparsi ai motivi che hanno spinto l’autrice di San Mauro Pascoli, a comporre in prosa e in poesia. Con lei si riescono a capire le strade che portano alla scrittura nelle sue varie ramificazioni e con le sue divulgazioni diventa avvincente il viaggio saggistico, per l’appunto. La struttura dell’opera è stata pensata in maniera tale, da accompagnare per mano il singolo lettore nel mondo della Tognacci. ll lettore si troverà già padrone di una trama che, pochi attimi prima, non conosceva o ne aveva sentito parlare ogni tanto. Il lettore saprà fin da subito quanti libri di poesia e quanti libri di prosa sono usciti dalla penna della Tognacci; libri che adesso si raccontano per sfumature di altri che li hanno soppesati in momenti diversi; uno dopo l’altro, questi attenti giudici degli scritti hanno sviscerato l’arcano nascosto ora tra i versi, ora tra le righe della prosa di questa autrice,

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legata nativamente e indissolubilmente al grande poeta dell’Ottocento Giovanni Pascoli. Parlavo di sfumature, ebbene anch’io ne ho scritto una a proposito del volume " La notte di Getsémani " del 2004 e, al di là del libro in se stesso, ora quello che ha maggior peso è il rendiconto che ne hanno fatto gli altri, coloro che lo hanno apprezzato, valutato, prolungandone quella sensazione soggettiva al di fuori, dello spazio-temporale che si vive ogni giorno. Gli altri, i giudici dello scritto, se trovano qualcosa di straordinario, per dirla in maniera convenzionale, ci fanno una seconda patina sopra; ‘lucidano’ l’argento che hanno trovato per spiegare meglio al pubblico dei lettori di cosa si tratta, e in questo caso tutto il saggio monografico rappresenta una ‘rilucidatura’, o meglio una ristrutturazione dell’ impianto letterario di Imperia Tognacci. Una gigantesca ossatura che ha rivestito il fabbricato originario per sostenerlo ulteriormente ed ecco il miracolo di una rilettura avvincente, meravigliosa, attualizzata, affinché anche le opere pubblicate fin dal 2001, riemergessero sulla superficie di questo inoltrato millennio, più vive e più rilucenti che mai. Si raccolgono nomi più o meno echeggianti della critica letteraria contemporanea. Personalità che hanno anche prefazionato diverse opere dell’autrice emiliana, come l’indimenticabi1e direttore calabrese Francesco Fiumara, una figura storica della Poesia - appunto con la ‘P’ maiuscola - giacché è stato per mezzo secolo direttore della rivista ‘La Procellaria’, da lui fondata, in cui per anni sono transitati fra quelle pagine tanti autori che adesso risultano quotati; e storico perché è stato scrittore di dissertazioni sul personaggio politico italiano Giuseppe Mazzini, su Reggio Calabria capoluogo e sul paese di Serrata, suo luogo natio. Una straordinaria sintonia nacque fra il Direttore e l’Autrice, e da lì uno scambio di vedute che durò fino alla compianta morte del direttore. Francesco Fiumara è stato il prefazionatore di " Traiettoria di uno stelo “, il primo libro di poesie di Imperia Tognacci del 2001, quindi già quel primitivo disegno di un corpo nello spazio, di un filamento sottile che si allungherà fin dove vorrà arrivare, una sorta di voluta crescita sviluppata in mezzo ad altri steli, ad altri fiori che insieme saranno futura Poesia, prossima primavera letteraria di cui già si avverte il profumo. “ La notte del Getsémani ", secondo volume edito di poesie, ha in codesto saggio un mio pensiero promotore — e ringrazio vivamente l’autrice per averlo inserito - risalente all’anno dopo la pubblicazione dell’opera, e diffuso grazie all’Accademia: Internazionale " Il Convivio " di Castiglione di Sicilia, a cui è stato inviato; precisamente sulla rivista trimestrale fondata dal Presidente dell’Accademia


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Professore Angelo Manitta, aprile-giugno 2005. Ma tutto il lavoro di riordino e di impianto concettuale svolto dal docente pubblicista, Luigi De Rosa, per la realizzazione dello studio monografico sull’intera produzione letteraria di Imperia Tognacci, è il risultato di un ‘ricamo’ difficile, certosino, tipico del bibliotecario attento e catalogatore per eccellenza. Ogni pagina è un intarsio di sfumature intellettuali, capeggiate da nomi di critici che hanno dedicato il loro tempo a recensire le divulgazioni dell’autrice. Intarsio laborioso che attira alla lettura e dopo, quello che resta e resterà, sarà la nostra conoscenza superiore di questa ammirabile autrice così pascoliana, così se stessa! Isabella Michela Affinito

GIANNICOLA CECCAROSSI E IL MONDO HA TACIUTO Ibiskos - Ulivieri, 2016 In un’aiuola rigogliosa di erbe e di fiori, in un ridente quartiere di Ulm (la città tedesca in cui nacque l’ebreo Albert Einstein) su una grezza «pietra d’inciampo» si legge: NON C’È MIGLIOR VENDETTA DEL RICORDO. Birkenau, la più recente silloge di Giannicola Ceccarossi (col sottotitolo memoria) si propone appunto di ricordare; e non tanto nel significato etimologico di «riportare in cuore» (recordor) pensieri e avvenimenti, quanto piuttosto nel senso di rammentare a sé stessi e agli altri l’orrore di un delirio storico che non ammette né oblio né perdono. Scrive Emerico Giachery nella sua succinta ma penetrante nota critica in seconda di copertina: «E l’ abiezione suprema dei campi di sterminio non potrà né dovrà essere dimenticata: ne siamo, per così dire, indirettamente corresponsabili in quanto esseri umani». La prima questione che può porsi nel rappresentare poeticamente l’obbrobrio dell’ olocausto è quella del linguaggio da adottare per tradurre l’orrore dei fatti in pensieri, sensazioni, immagini, suoni. Osserva ancora Giachery: «Di quella immane tragedia, senza tradirla, non si può parlare con le parole del discorso quotidiano, e ancora meno con gli accenti di un’evocazione magari intensa, ma inevitabilmente retorica». Ceccarossi, invero, abolisce qui i versi intesi tradizionalmente come scansioni ritmiche di accenti e di pause, che si creano e si collegano fra loro in mutevoli e plastici avvicendamenti: in tale caso la poesia sarebbe, nel suo tentativo di realistica raffigurazione, assolutamente inadeguata a ciò che intende raffigurare. Si potrebbe dire, ricorrendo a una metafora specificamente musicale, che l’ovattata morbidezza degli archi e dei fiati di un

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immaginario ensemble cameristico qui scompare del tutto per far posto al rantolo profondo e ossessivo, martellante e cupo delle sole percussioni. Ben parla Antonio Bonchino, nel suo discorso introduttivo, di una «invenzione di scenari nudi, di luci rapide e “oscure″, di voci dette e urlate, spesso ripetitive, di ritmi come frustate, di silenzi angosciati come apnee». In quest’opera «prevalentemente sonora e visiva», non esistono veri e propri versi, ci sono soltanto singole parole oppure brevissimi sintagmi: sbreccati, spogli, ripetuti, assillanti come incubi scacciati e ricomparsi; e ci sono figure note o senza volto che, dal loro tempo concluso, ritornano in quei medesimi luoghi, ora muti e deserti, tra i fili spinati arrugginiti, nello «sterminato intrico di ferro, di cemento, di fango e di fumo»1 del Vernichtungslager2, risorgendo come spettri dolenti dalla bocca di ciminiere ormai spente. La poesia del nostro autore, dunque, vuole qui mettere a fuoco – e rammentare, si è detto – l’ orrendo, l’inimmaginabile, il vissuto da «tutti coloro che non ho conosciuto e il cui peso di morte grava anche sul mio cuore», come nota il poeta in uno degli eserghi che incorniciano la raccolta. Se si può sperare di ridurre almeno in parte un debito nella rievocazione, drammatica quanto essenziale, di un assurdo e smisurato disprezzo dell’umanità; se si può pagare un tributo nella raffigurazione del conseguente silenzio, assordante e ammonitore, che urla ancor oggi un dolore senza paragoni, ecco che la poesia di Ceccarossi si rivela un linguaggio produttivo di «cose altrimenti indicibili», come ancora scrive Bonchino, citando le Lezioni americane di Italo Calvino. Dalla prima all’ultima pagina le immagini passano di corsa, anelanti e spaurite, come consecutive inquadrature di un film girato in den Wohnungen des Todes3, mentre uno sguardo, ansioso e vago, continua ad aggirarsi su «Baracche /Legno /Altre baracche /Un inganno d’acqua /Carri carri /Fumo fumo /Grida /Altre grida /Disperazione /Sùbito i vecchi /poi i bambini /Strappati alle madri /Lacrime /Perché? /Perché? /Fosse e muro /Muro grigio /Corde al vento /Patibolo». Marina Caracciolo E il mondo ha taciuto4 - Riflessioni su Birkenau. Silloge di poesie di Giannicola Ceccarossi. (Ibiscos-Ulivieri, Empoli, 27 gennaio 2016; pp. 55, € 12).

1

Primo Levi, Se questo è un uomo Campo di sterminio Nelly Sachs, In den Wohnungen des Todes («Nelle dimore della morte»). 4 Un di velt hot geshvign, titolo della prima versione in lingua yiddish de La nuit (Buenos Aires, 1956) di Elie Wiesel. 2 3


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GIORGINA BUSCA GERNETTI ECHI E SUSSURRI Polistampa, Firenze 2015 Giorgina Busca Gernetti è senza dubbio un'autrice che nel panorama letterario nazionale contemporaneo si impone non solo per la sua raffinata parola, la quale attinge ad una solida formazione classica per proporre una poesia che alla fine volge verso una moderna e musicale tensione, ma anche per l'estrema sensibilità poetica, tale da permetterle di mettersi in ascolto, mediante gli accessi più reconditi dell'arte lirica, delle infinite sfumature tonali e cromatiche della natura e dell'anima umana. Un'arte che le consente di accedere alle isole del sogno, ai silenzi colmi di segreti, ai fremiti propedeutici alla percezione del divino o comunque di una aurea dimensione. Una scrittrice dunque del nostro tempo, il cui pregio sta proprio nel binomio cultura e poesia, alternanza di alta sacralità, canto di spoglia e diretta modernità dell'esistenza. “Echi e sussurri”, il libro che presentiamo oggi, rappresenta perfettamente la sua indole lirica che ha la grande potenza ricettiva di queste “onde sonore”, magici segnali che le provengono da un esterno quotidiano e da un'avventura esistenziale nel tempo e nello spazio. Una condizione vitale, la sua, che si pone tra l'aspettativa metafisica, il ricorso alla mitologia orfica quali orizzonti liberatori delle proprie angosce e la consapevolezza della difficoltà di esistere nel proprio contenitore materiale . Ma questa è la condizione ottimale per creare vera poesia arcana e profonda. E dunque la poetessa per sottrarsi dalla quotidiana materialità, dal senso dell'effimero e dal vuoto esistenziale che la circonda accede magicamente ad un verso complesso ed armonioso, dove l'endecasillabo e non solo, anche potenziato dai settenari o da versi di misura minore, dà voce alla sua interiorità spingendola verso mondi di classicità rivissuta. E qua veramente il retroterra culturale di Giorgina Busca Gernetti si fa sentire, si esalta e si fa motore di arte e vis creativa con le proprie soluzioni linguistiche, gli scarti semantici, le atmosfere che innescano magnifiche immagini elleniche e ricordano il canto di Orfeo, il canto dell'Erebo, l'Acropoli di Atene o la rocca di Corinto. Un libro ben composto con un suo percorso ideale e di crescente respiro lirico che si pone nella giusta direzione del lettore passando dai primi capitoli, dove la sua attenzione viene posta su piccole cose della quotidianità alle successive pagine che rappresentano un viaggio alla ricerca di territori, per

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giungere fino alle prode elleniche e rivisitare le fonti della poesia universale, quella di Saffo e Orfeo. Un universo lirico che si fa corrispondenza della filosofia dell'autrice e della sua ricca cultura, dalle molte sfumature umorali ma che è soprattutto, quello che conta, poesia vera dei conflitti del vivere quotidiano vissuti tra stupori di bellezza e dolorose introspezioni alla ricerca di una suprema ragione che acclari l'esistenza. Dunque ci troviamo di fronte ad una parola nuova, quella di Giorgina Busca Gernetti, di estremo interesse nel suo alternarsi tra classico e moderno, di grande originalità ed efficacia nei suoi molti significati. Carmelo Consoli Relazione critica - Camerata dei Poeti di Firenze, 9.12.2015

CARLO OLIVARI MOTIVI VARI Edizioni Tigulliana – Santa Margherita Ligure, gennaio 2016. Con la silloge “Motivi vari” il genovese Carlo Olivari prosegue felicemente nel suo cammino poetico. Il volume è introdotto da Marco Delpino, giornalista ed editore, per il quale “ Olivari predilige il passato e affonda in esso la sua nostalgia, che diventa anche il suo pathos. In fondo il suo mondo (che è fatto di sentieri di parole e di sentieri di anima ) non è un giocare con il presente, ma i luoghi della sua esistenza diventano i luoghi che fanno della parola un immenso universale...” L'Autore, nato nel 1940, laureato in filosofia, è stato per anni docente nel liceo scientifico di Genova “Martin Luther King”, ed ha al suo attivo sedici libri di poesie, dai Frammenti a Lidia del 1981 alle Poesie partigiane del 2014 e a questi Motivi vari del 2016. Tempo fa ho già recensito, di lui, Luce Tenebra Lampi, del 2010, e Momenti vari nel tempo, del 2011. In quei due libri mi avevano colpito, sul piano dei contenuti, un lirismo dolente eccezionale, un senso di sofferenza e di spaesamento che trova solo nell'espressione artistica un sufficiente sollievo. E sul piano della forma, la sua predilezione per il gerundio e il participio, sia presente che passato; l'abbondante uso delle virgole a spezzettare il discorso rendendolo spesso ansimante e angoscioso; l'iterazione, quasi esasperata, di certe parole; la pre- e la post-posizione, o la frase costruita alla maniera latina (o, se volete, quasi alla tedesca) ed altri accorgimenti di grammatica e di sintassi che si dimostrano quasi sempre felicemente utilizzati, rendendo il testo più gradevole alla fruizione perché


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“insolito”, o addirittura originale. In “Motivi vari” ho ritrovato tutto questo, oltre al dispiegamento di una raggiera di temi e argomenti superiore che nel passato. Vi si alternano sezioni che vanno da Metafore e ricordi a Metafore e stagioni, a Resistenza, a Per Linda, a Motivi religiosi. A proposito di questi ultimi, colpisce la resa senza condizioni, sconsolata presa d'atto, di fronte all'inconoscibilità di Dio, che pure è assolutamente indispensabile all'uomo, perché la vita e il Tutto abbiano un senso: “Scoprirti non può la mente, Dio, avida in briciola di mia umanità, infima, in vastità, immane, di tuo silenzio.” Non si può non pensare, anche, all'angoscia di Giorgio Caproni (e di altri poeti) di fronte al persistente “silenzio di Dio”. Rimane una perenne sofferenza di una sensibilità acutissima al cospetto di un mondo che appare quasi sempre urticante e deludente. Ma la voglia di proseguire è tanta, il coraggio resiste. Perché, in definitiva, a chi sa aspettare, Dio risponde: “I Tu per certo, mio Signore, udendomi, io allora, inerme, da abisso chiamando. II Tua luce nel povero Tu udendomi, quell'attimo, Signore, per del povero, su petrei gradini, parlantemi, profondità di Fede, in sua stupefacente semplicità. Luigi De Rosa

ISABELLA MICHELA AFFINITO PROBABILMENTE SARÀ POESIA (Iniziano tutte con la P) Ed. Il Croco/Pomezia- Notizie, Ottobre 2015,1° Premio Città di Pomezia 2015. La poetessa in questa raccolta classificatasi prima al concorso letterario città di Pomezia “2015, racconta gli anni più sentiti della sua vita. Ed è forse per questo che intitola la silloge PROBABILMENTE SARÀ POESIA, con una sottolineatura quasi scherzosa “iniziano tutte con la P”. Titola la raccolta con un “probabilmente”, perché il suo versificare, io leggo, è più prosa che verso, in cui racconta le strie profonde lasciate dai fatti a lei preaccaduti in giovanissima età e che l’hanno segnata. Il suo è un dire per significarci gli stati d’animo che percepisce nella meditazione delle cose della natura e della vita. Al contempo però, anche se i presupposti sono quelli di raccontare, la narrazione diventa poetica perché senza vergogna la Poetessa mette in mostra i profondi solchi che tutte le esperienze hanno lasciato nel suo sensibile animo. Una prima spiega-

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zione ci viene da questi semplici versi iniziali, nei quali sotto la metafora dell’albero e della sua struttura, si narra del cammino umano. “Bisogna recarsi/là dove essi si esprimono[…]e sanno disporre[… ]le loro pagine. Differenziati /fogli[… ]in pochi sanno capire. Frammenti che dicono, cuciti poi assieme, su quale strada si è incamminata la nostra Isabella Affinito. L’interrogativo che, la nostra Poetessa si pone attraverso le sue metafore, è questo: cosa è che si redige durante tutto il corso della vita? Forse, dice: Accastellate parole in scenografie barocche[…]. […] a reggere il peso di tutte le mie/parole, tempio dopo/tempio conoscerò/le loro sezioni,/vedrò l’anima di ogni colonna […] E il suo obiettivo è proprio questo: andare all’ anima delle cose, anzi più spesso raccontarsi è raccontarci che in ogni cosa vi è un’anima, anche dove non si riesce a scorgerla o non la si vuole vedere. Nella nostra lettura si scorge, per esempio, il ricordo di una persona cara, forse il padre, nella lirica “Petalo antico”. Si scorge la solitudine di un grande pittore come Picasso nella sua Guernica. Oppure il silenzio degli oggetti di comune uso domestico cristallizzati nel tempo da Giorgio Morandi nelle sue nature morte. Non vedo nulla di fanciullesco nella poesia dell’ Affinito e dei suoi ricordi; piuttosto, si c’è il dolersi di dovere abbandonare la giovinezza con le sue certezze, per andare verso il mondo adulto che è sempre pronto a rubarci qualcosa o a bruciarci le ali in volo, se non addirittura prima di partire. La poesia “Piccolo mondo lunare” negli ultimi sette versi, dà una risposta sullo stile di vita che ispira l’autrice, ma che dovrebbe ispirare anche i lettori, o universalmente l’uomo. Salvatore D’Ambrosio

ANNA TROMBELLI ACQUARO EMOZIONI SPARSE AL VENTO Ed. Il Croco/Pomezia- Notizie, Dicembre 2015,4° Premio Città di Pomezia 2015. Forse è facile e scontato dire che chi lascia la propria terra, soprattutto in età giovane, vive poi il resto della propria vita sempre con lo struggente ricordo delle sue origini. La storia ci ha dimostrato ampiamente quanto sia vero tutto ciò. Si vive, si lavora, si sogna per ritornare inevitabilmente dove, sebbene sradicate, le nostre radici hanno lasciato quel vuoto che attende sempre di essere richiuso, ricolmato, pareggiato. Tanti sono i modi per rinverdire e soprattutto le-


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garsi ai ricordi della propria origine. Anna Trombelli Acquaro lo fa attraverso il verso, usando con gioia la penna che è il tramite con la quale riempie fogli bianchi di colorate sensazioni mai sopite. Il racconto in versi è si semplice, ma di una efficacia che in alcuni tratti commuove, poiché alla base vi è l’amore, quel sentimento che è capace di fare breccia anche nei cuori più duri. Mille sono i ricordi,/una data scritta sul diario della vita/e quel tempo che ho dato a te/senza mai misurarlo era solo amore. Basta dare una scorsa all’indice per scoprire che quello che stiamo scrivendo sulla Trombelli è verità professata senza esitazioni. Il suo pensiero, che si traduce in versi, è rivolto all’odore della sua terra di Calabria, al suo mare, alla luce meravigliosa che taglia la pietra, i fiori, i volti della gente amata e dei compaesani. Sono come dice la Poetessa: Mille ricordi, un balcone fiorito/e la nostalgia dei vent’anni./Attimi che baciano la mente[…]. Si va avanti nella lettura e come si può dire di no ad “Emozioni sparse al vento”, che ognuno si porta con sé. Alla fine accade che” Il vento soffia sul viso tuo e ti ruba un sorriso”, come dice la stessa Autrice in uno dei suoi pensieri messi al piede di ogni poesia. Salvatore D’Ambrosio

ANNA VINCITORIO BAMBINI Ed. Il Croco/Pomezia- Notizie, Gennaio 2016, 2° Premio Città di Pomezia 2015. Nel terzo millennio non avrei mai immaginato , meglio dire che non avrei mai creduto, che si tornasse ad una barbarie. Anzi che la barbarie sarebbe stata o meglio: è la nuova frontiera. L’uomo tecnologico, che è così sensibile difronte alle onde gravitazionali e arriva a vette tecnicoscientifiche fino a quarant’anni fa classificate come fantascienza, ha perso invece quella che dovrebbe essere la sua essenza migliore, la più vicina al suo “umano”, al suo divino sentire: essendo stato fatto ad immagine e somiglianza di Colui che muove il sole e le altre stelle. È vero, buona non lo è stata mai l’umanità, ma non aveva però mai raggiunto i livelli di efferatezza di questi nostri tempi. Quando sono venuto al mondo io, tanti anni fa, il mondo che trovai era , dicono i giovani odierni,” meno civile”, ma immensamente più umano, meno inquinato, meno interessato al successo, più rispettoso di tutti, dal misero al ricco

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il quale, tra le altre cose, non ostentava mai. Nella mia città di nascita Napoli ogni abitante di strade o vicoli, esercitava una vigilanza costante e disinteressata sui ragazzini che erano spensieratamente a giocare su quei selciati, e anche su quelli che erano di passaggio o senza nessuna appartenenza. I bambini erano intoccabili. I “mostri”, che pure esistevano, non osavano. C’era una città, come in tutte le altre città del mondo che vegliavano e proteggevano il loro futuro: i bambini. Ecco la raccolta di Anna Vincitorio ci dice invece che oggi è tutto cambiato. I suoi versi sono un tragico documento della tragedia umana di cui si sta facendo carico questo terzo millennio. Tu,primavera/non porti con te/la speranza./quello che resta/ è luccicore d’armi. La morte non fa più pietà, fa notizia. Morbosamente si accendono televisori per “vedere” e far finta di indignarsi. Si mandano reporter a documentare: ma cosa? La morte in quanti minuti è avvenuta? Come è avvenuta? Di che colore è il sangue dei popoli diversi dal nostro? Rosso come il nostro di gente ricca e piena di proteine? E poi la magra o per meglio dire la cinica constatazione, che certe morti sono necessarie perché impediscono morti ben più numerose. Ma si può anche non morire fisicamente, di questo certuni dovrebbero tenere conto. È morire anche perché si è perduta una innocenza, una giovinezza, un seno da cui farsi allattare, un banco di scuola dove stupirsi perché si sa leggere e scrivere, una corsa fatta con un filo sotteso da un aquilone, una madre o un padre che non potrà insegnare mai a nessuno a pregare e come e a chi pregare. Ecco questo è il bel lavoro che la poetessa ha fatto, con l’invito ad andare oltre alla lettura e alla riflessione dei fatti, per impegnarci a essere migliori, a essere megafoni di qualcosa che non va più nella corretta direzione e aggiustare finalmente la rotta. Si deve e si può tornare alla vera civiltà che cresce e protegge i bambini, lasciandoli sguazzare esclusivamente nella loro innocenza. Salvatore D’Ambrosio

FILOMENA IOVINELLA ODI IMPETUOSE Ed. Il Croco/Pomezia- Notizie, Febbraio 2016, 2° Premio Città di Pomezia 2015. In questa silloge della Iovinella, vincitrice del 2° premio Città di Pomezia 2015, i componimenti intitolati ODI e per di più IMPETUOSE, hanno il sen-


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so non tanto riferito al metro dei versi, quanto a quello che è il “cantare”, ovvero il toccare l’ oltremodo, l’oltresenso, l’oltremisura del nostro vivere, come ella stessa dichiara nella breve premessa alla silloge. C’è intorno a noi, canta l’Autrice, un fuoco che è distruttore, purificatore, sacro ardore che parte da un petto dove possono albergare indifferentemente tutto il bene e tutto il male, non per mera superficialità ma perché alimentati da fiamme latenti che, anche se a volte ridotte a un lumicino, non si spegneranno mai. A vario modo queste fiamme la incendieranno, ci incendieranno, lasciando lacrime, abbandono, ma anche agognato rumore tra le braccia. In quasi tutti i componimenti la Poetessa si compiace, è felice, è paga: rasentando la lussuria, il godimento che il “cantare”, quindi l’Ode, le permettono di raggiungere. C’è la voglia di essere qualcuno perpetrando nel pensare/ che l’illusione fosse verità[…]. Le sue fiamme parlanti, che animano i versi in preda ad uno stato di allucinazione cosciente, ci dice che sono il frutto di quella che è la nostra anima che ci domina: scomodando qui Anassimene. Non nasconde nei suoi versi il suo carattere rivoluzionario, ribelle, anarchico, individualista, pur di raggiungere il sogno e la speranza di conquistare lo stendardo del marchio di poeta, che sventola e ancora sventola. Ma esiste comunque una distanza che in nessun modo si riesce a colmare. Paragona ad un certo punto la sua produzione poetica a fiori profumati che colmano oramai il suo vaso, ma che ciò nonostante sono anche il simbolo di meta irraggiungibile. Consiglierei però di non essere pessimisti. Nella vita bisogna anche sapere attendere e non demordere. È piena la Poetessa, a tale proposito, di sano e schietto desiderio di scrivere, di eruttare come un vulcano tutto quel magma di parole, di sensazioni, di fuoco che per natura le ribolle in corpo e che la penna, come il camino di un vulcano, le permette di versare come calda lava sui bianchi fogli di carta. La Iovinella è felice quando scrive e anche quando stanca, lascia la penna. Rivolta alla felicità che tale esercizio le comporta dice: ma tu resti con me e detti sapore/di un profumo evanescente/ che penetra nel senso/allora non scrivo, sento e per sempre ti mantengo. Il poeta è dunque chi non fugge, anche quando la penna si fa rovente, impetuosa. Salvatore D’Ambrosio

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MAURIZIO RIOTTO KOREAN STUDIES Volume 38. Edito dall’Università delle Hawaii a Manoa, 2014 Quando i poeti diventano maghi. I casi di Virgilio e Ch’oe Ch’iwŏn. In un interessante articolo Maurizio Riotto ripercorre le vicende di Virgilio e Ch’oe Ch’iwŏn, poeta coreano del nono/decimo secolo, prima funzionario in Cina alla corte dell’imperatore Xizong; poi, una volta tornato in Corea e dopo che le sue proposte di riforma sociale erano qui state respinte, ritiratosi in volontario esilio con i familiari sul monte Kaya. Due poeti, rappresentativi della cultura antica occidentale e orientale, entrambi perfetti conoscitori del linguaggio e venerati per la loro profonda conoscenza dai posteri. Tra loro corrono diverse analogie. Entrambi infatti secondo la leggenda sono stati dipinti come dotati di poteri soprannaturali, capaci di compiere magie e accordi con demoni e spiriti. Un letterato in estremo oriente ha una relazione familiare con l’arte divinatoria, considerata una branca delle scienze umane. E singolarmente anche Virgilio, mantovano, reca nella sua origine etrusca l’interesse per l’arte divinatoria. Ancor oggi in Italia viene usata la parola “vate”, derivata dal latino vates. Questa aveva il significato di indovino, profeta, e sua volta deriva dalla radice indoeuropea gvates, collegata a “cantare”, “annunciare”. Dalla remota antichità la capacità unica di utilizzare un linguaggio complesso ed estremamente variegato è stata percepita chiaramente. Il linguaggio è diventato strumento di potere per prendere possesso della realtà. Una successione precisa di suoni ha formato parole, comprensibili all’interno del gruppo, eppure grida insensate per altri. Le parole hanno un potere evocativo sulla mente. In cinese ming 名 che significa “nome”, è formato in origine dai caratteri che significano “sera” e “bocca”, e l’ interpretazione porta all’etimologia di “attingere dalle tenebre” quindi alla forza evocativa posseduta dal nome delle cose. Molte parole nelle società antiche sono segrete e accessibili solo ai sacerdoti, come un dono del Cielo. Nelle società antiche i poeti rappresentavano la memoria storica di un gruppo etnico, erano capaci di evocare immagini di dei, guerrieri, spiriti, difendendo la tribù. Considerati sacri, vivevano appartati dalla gente, rispettati e temuti. Un poeta attualmente non è un “creatore” ma un “cercatore” di ciò che già esiste ma non può essere visto a causa delle sovrastrutture culturali. Questo concetto è ancora for-


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te in Estremo Oriente, dove la ricerca dell’esistente è prioritaria rispetto alla “poiesis”. Se il poeta è capace di trovare la vera essenza delle cose, sarà capace anche di evocare ogni cosa tramite il mezzo dei suoi versi. Il ruolo è quello di anello di congiunzione tra Cielo e Terra a favore della comunità. Alla nascita dello stato centrale la funzione sacra dei poeti decadde e solo occasionalmente i letterati sono stati al servizio della propaganda nazionalista, ma in caso di crisi politica o sociale ancora ad essi veniva affidato il compito di difendere le tradizioni culturali con i loro poteri magici. In conclusione, analizzando la vita di Virgilio e Ch’oe, Riotto conclude che i poeti e i grandi letterati occasionalmente possono recuperare il loro ruolo precedente di santi/veggenti/sciamani per proteggere la cultura e l’identità originaria, quando una società complessa non offre soluzioni alle crisi e ai problemi. Andrea Masotti

no vivi come diamanti sempre splendidi.”. Anna Trombelli Acquaro coltiva giorno per giorno l’amore per la terra abbandonata e quello viscerale per la madre: “Mamma, / sei stata il faro della vita / per dare luce alla mia via, / sei stata quel raggio di sole / a riscaldarmi quando avevo freddo, / tu sei stata la mia malinconia / che in ogni istante della mia vita / mi hai fatto compagnia.”. La sua voce è semplice e chiara, ma soprattutto è sincera. Nei versi si respira l’aria particolare del nostro Sud, con i profumi e i caldi colori, il mare così diverso da quello dell’Australia, dove la poetessa poteva sognare: “… un canto che da lontano veniva / rallegrava l’atmosfera, / era il cinguettio felice di un usignolo, / colmava l’aria di festosità. / Immersa nell’atmosfera fantasticavo, …”. Anna Trombelli Acquaro ci ha regalato una raccolta densa di emozioni e velata di una certa tristezza. Laura Pierdicchi

ANNA TROMBELLI ACQUARO EMOZIONI SPARSE AL VENTO Ed. Il Croco – I quaderni letterari di Pomezia Notizie, 2015

ANNA VINCITORIO BAMBINI Il Croco – I quaderni letterari di Pomezia Notizie, 2016

La raccolta Emozioni sparse al vento di Anna Trombelli Acquaro, che ha meritato il 4° premio Città di Pomezia 2015, è pregna di nostalgia. La poetessa ha dovuto lasciare la sua Calabra per l’ Australia, una distanza immensa e un mondo totalmente diverso. Pur trovandosi bene nel nuovo territorio, il suo cuore è rimasto in Italia e non può recidere neanche un ramo delle sue radici, cosicché il ricordo diviene pressante e solo con la poesia riesce a far rivivere il suo passato. Una nota originale sono i pensieri con i quali Anna Trombelli Acquaro accompagna ogni poesia e che ne avvalorano il contenuto; sono essi stessi carichi di liricità. La madre emerge in tutta la silloge, un amore totalizzante: “Amare lacrime dagli occhi miei scendevano, / l’amore grande non c’era più ad aspettarmi, / quell’amore senza limiti o confini, / l’ amore di mia mamma non esisteva più/ ed il mio ricordo vola sperduto / nelle nuvole dell’infinito di quel tempo magico, / ancora colmo di trepida speranza.”. Questi versi sono scaturiti in seguito al ritorno della poetessa nella sua terra per visitare i luoghi amati, ma i dolci ricordi cullati hanno trovato un luogo diverso, tanto da farla sentire “forestiera” in una strada vuota: “… gelida mi accolse quella via / non c’era più nessuno della gente mia.” In ogni modo, in un “Pensiero” dice che “I ricordi bellissimi, rimango-

Il Quaderno letterario Bambini di Anna Vincitorio ha ricevuto il 2° premio al Città di Pomezia 2015. Già dal titolo si evince che il tema trattato riguarda la parte più importante della società, quella che dovrà delineare il futuro, ma nello stesso tempo anche la più fragile poiché può essere manipolata dagli adulti, e a volte addirittura sfruttata o calpestata. La silloge, se pur non corposa, incide nel profondo. Anna Vincitorio, prendendo spunto da fatti realmente accaduti e riportati nei quotidiani, ci mette di fronte a una cruda realtà. La lirica di apertura parla dell’armata dei piccoli soldati di Putin: dodicimila bambini addestrati per una possibile guerra; versi di una densità notevole che rilevano la perduta innocenza in un gioco di morte: “E’ un gioco di scacchi / la baby armata: / l’orgoglio la esalta, / il sogno la rimpingua, / la realtà l’uccide.”. Vi sono poi i “bambini invisibili”, quelli che scompaiono nel silenzio del grande continente africano: “Piccoli volti, / occhi immensi / pieni di domande / nessuna risposta”. Una quotidianità precaria che uccide con l’Aids molti genitori, e noi restiamo ormai insensibili di fronte alla loro invocazione di aiuto. Altri bambini sono invece abbandonati, cosicché il loro destino è tragicamente segnato sin dalla nascita. L’unica speranza è di trovare un po’ di pietà da parte di “altre braccia” che possano


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donare una parte dell’amore mancato. Anna Vincitorio continua a mettere il dito nella piaga considerando i bambini che emigrano e che muoiono innocenti nel tragitto. Corpicini senza nessuna colpa, come quello del bambino trovato sulla spiaggia, di cui parla anche Defelice nella prefazione. Tutto questo succede giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi che hanno perso ormai una giusta visione della vita. L’ingiustizia verso i piccoli forse esiste da secoli, ma nel tempo odierno il mondo è divenuto piccolo e con la rete le notizie volano; la grande massa che lo popola è in movimento e crea un grande disordine. Nascono odi e il terrorismo impera. In questo modo una catastrofe può essere sempre imminente. Laura Pierdicchi

GIORGINA BUSCA GERRNETTI ECHI E SUSSURRI Polistampa, Sagittaria, Firenze, 2015 L’ ottimo e colto saggio di Marco Onofrio, in apertura di volume, indirizza il lettore nel cuore stesso dell'opera di Giorgina Busca Gernetti, quando con perfetta sintesi afferma: "cerca l'eterno nel tempo, e questo è il movimento del suo sguardo". Sono questi, infatti, i cardini fondamentali di un'opera tanto sfaccettata quanto coerente e unitaria: non a caso un esperto come Franco Manescalchi ha scritto che Busca Gernetti "riesce a fare cultura e poesia nello stesso tempo". L'armonia del verso, classicamente formata e nutrita, e la (splendida) veste d'un pensiero ordinato e solido, proposta d'una visione del mondo fornita di radici profonde di conoscenza e prospettiva. "Echi" che ci vengono dai classici e dalle nostre radici identitarie, "sussurri" come suggestioni, segni, indicazioni, guide, intendimenti. II libro è trinato di riferimenti, rifusi però tutti in un contesto originale e personale, senza ombra né rischio di calco. Si apre con un esplicito omaggio alla sera foscoliana, cui seguono meditazioni di respiro metafisico. La vita umana è "un disperdersi vano / di lieve polvere che il vento ignaro / solleva e via con sé lungi rapina". Ne consegue un atteggiamento di fiera solitudine ("Essere soli. Averne il coraggio,/ resistere, serrati dentro un carcere") che non è sdegno, ma riparo "alle lusinghe del mondo ingannevole". Magnifiche le poesie dedicate a Cesare Pavese e capolavoro soprattutto quella ispirata alla sua tomba, tra le colline "dolci e rotonde come le mammelle / d'una donna che attende nella casa / cullando il figlioletto", immagine struggente se si pensa al destino del grande cantore delle Langhe. Ma l'intero libro è malioso ed evoca-

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tivo, teso tra esilio e appartenenza, tra amore per la vita e sofferto ritegno. I dubbi dell'autrice, devotissima alla sua arte, rinnovano quelli che hanno accompagnato molti grandi poeti e pensatori: "Dolente anima mia, / sola non sei in questa sofferenza / di tormentati esuli", secondo un gioco di specchi, corrispondenze e rimandi tra l'autrice e chi l'ha preceduta. La sezione "Seduzioni" racchiude gioielli dedicati a luoghi, innanzitutto marini, nei quali si fa più scoperto il vissuto biografico e affettivo dell'autrice e l'anima "forse si ridesta / alla serenità, alla dolcezza / smarrite nell'oscure traversie / dei giorni", tra "voci difformi in arcana armonia"; emerge, anche, una spiccata abilità descrittiva, quasi pittorica. II vento è "spirito vivente che riecheggia / ciò che ascolta nel suo vagare intrepido / di terra in terra, le voci iterando, / le parole d'amore e di lamento". Siamo al colmo della pace, ogni turbamento è sciolto: "Nel verde la mia anima s'immerge / e s'annulla in un magico naufragio", la mente germoglia nuovi pensieri "non più di luce muta / né deserta di gioia". Nel sonetto dedicato alla nebbia, può persino risultare "magico l'incanto" dovuto a "quest'assenza / di forma certa, salda, indubitabile", a valorizzare anche l'incertezza caratteristica di questi nostri tempi. Di fronte al Po, testimone della sua infanzia, "una goccia e un istante dell'eterno, / un nulla dentro il tutto immenso e vago", proprio come i nostri personali ricordi. Toccanti le poesie in memoria degli amati animali) - un canarino, un topolino, un cane boxer - intrise della "leale confidenza / tra esseri che mai si tradiranno". La sezione "Immagini elleniche" ospita dodici poesie ispirate dai luoghi classici greci con i loro miti, che consolano le angosce presenti e passate (la morte in guerra del padre dell'autrice, prima che lei nascesse): "dimenticare la disarmonia l della mia oscura vita l nell'armonia divina dell'Acropoli". La fantasticheria di (ri)vivere al tempo di "una gente / che forse è Ombra, ma in eterno vive" stabilisce un originale ponte tra Grecia antica e presente, in una riflessione che parte dalla culla della civiltà per approdare alle rive dell'oggi. Corinto con il mito di Medea, Micene e Ifigenìa, Olimpia e gli atleti in "gara con il Tempo / che le cose distrugge e non può spegnere / la voce del poeta", (Pindaro), l'amato mare di Hydra nuotando "felice tra le onde", Itaca e Ulisse, Lesbo e Saffo. II poemetto conclusivo "II Canto di Orfeo", elegante riscrittura del mito e forse più amato e struggente d'ogni epoca, culmina nell'idea del canto che valica il tempo ("Perenne il canto suo nella natura /…/ Ovunque è poesia. Eterno è Orfeo") chiosando un libro che merita di essere annoverato tra i più belli e significativi di questi anni. Stefano Valentini Da Nuova Tribuna Letteraria, Genn.-Marzo 2016.


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IL RUSCELLO C'era una volta un giovane ruscello color di perla, che alla vecchia valle tra molli giunchi e pratoline gialle, correva snello; e c'era un bimbo che gli tendea le mani dicendo: "A che tutto cotesto foco? Posa un po' qui: si gioca un caro gioco se tu rimani. Se tu rimani, o movi adagio i passi, un lago nasce e nell'argento fresco della bell'acqua io, con le mani, pesco gemme di sassi. Fermati dunque, non fuggir così! L'uccello che cinguetta ora sul ramo ancor cinguetterà, se noi giochiamo taciti qui". Rise il ruscello e tremolò commosso al cenno delle amiche mani tese; e con un tono di voce cortese disse: "Non posso! Vorrei: non posso! il cuor mi vola: ho fretta. A mezzo il piano, a leghe di cammino, la sollecita ruota del mulino c'è che mi aspetta; e c'è la vispa e provvida massaia che risciacquar la nuova tela deve e sciorinarla sì che al sole neve candida paia; e v'è il gregge, che a sera porge il muso avido a bere di quest'onda chiara, e gode s'io lo sazio, poi ripara contento al chiuso. Lasciami dunque" terminò il ruscello "correre dove il mio dover mi vuole". E giù pel piano, luccicando al sole, disparve snello. Angiolo Silvio Novaro

LA GUERRE JUSTE Je rêve d’une bombe grande grande comme des milliers de maisons Je rêve d’une bombe

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non à jeter du ciel pour tuer de pauvres gens mais à faire pousser du sol pour y loger tous les sans-abri de France Je rêve d’une bombe capable d’éradiquer le dénuement LA GUERRA GIUSTA Sogno una bomba grande grande come migliaia di case Sogno una bomba non da buttare dal cielo per uccidere la povera gente ma da fare spuntare dal suolo per ospitare tutti i senza casa di Francia Sogno una bomba capace di sradicare l’indigenza Béatrice Gaudy Dalla raccolta inedita La Saison de Sang- La Stagione di Sangue

E LA NOTTE... E la notte scappa via, con l’ululato del buio e la profonda malinconia. Dal buio sconsolato arriva il chiarore dell’alba che con la sua allegria il buio scaccia via. Quanti smaglianti colori che sorgono all’orizzonte! Il cielo è una tela colorata coi pennelli del Creatore! Splendono i raggi caldi del sole che irradiano il nostro cammino per la gioia della vita e dell’amore. E l’amore vola in alto, tra l’azzurro e il sole abbagliante!


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È festa, è nato un nuovo giorno, i suoi vagiti illuminano i nostri passi, fatti d’amore e d’incanto! Giovanna Li Volti Guzzardi A.L.I.A.S. - Accademia Letteraria ItaloAustraliana Scrittori, Melbourne, 16 – 6 – 2015

IL CANTO DELL’ISOLA Quella piccola isola che s'intravede canta insieme con il vento si unisce al canto delle anime dei pescatori morti nel mare, luci fosforescenti giungono dal profondo buio del mare, brillano e scintillano l'attimo dell'addio. Io accolgo questo respiro ed aspetto il domani nella certezza dell'oggi come un bimbo appena nato. Adriana Mondo Riano, TO

CITTÀ Città dai portici sonanti, attraversate nei radiosi mattini e nelle vaste sere, città dalle improvvise, esaltanti primavere, trascorrenti nei raggi della rinata estate o pensose nei torbidi reami degli inverni, a lungo vi conobbi e vi amai come un compagno fedele. Ma il vostro chiaro nome dimenticai, nell’ansia di miraggi eterni, di vite senza fine. Ora a tratti ritorna in me il vostro richiamo, riascolto le parole che mi diceste, ma più non mi arride il sole allo zenit, qualcosa l’anima mia frastorna. Così vado inseguendo la malinconia per strade senza tempo; e il cuore mi ridice le perdute leggende di un’età felice. Si popola di vani fantasmi la mia via. Elio Andriuoli

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IL SENSO DELL’ESISTERE Il senso dell’esistere qui, ora, in questo taglio di luce, tra la fuga dei millenni passati e di quelli che ancora premono, affioranti da ignote solitudini; emersi dall’abbaglio del divenire. E il volo delle generazioni degli uomini e degli astri, di galassie e comete. E sempre in noi l’eterna, inconsumata sete di dar senso alle tante smemoranti visioni che ovunque si dischiudono nelle pieghe del giorno. Ed ogni attimo ha un senso, ogni storia una voce che la narra; ogni gesto che si compie veloce un pensiero lo genera: una parola intorno alla quale s’impiglia. Ed è sempre la stessa meraviglia che ognora ci trascina e ci tiene. E’ l’ansia di miracoli dentro le nostre vene. E’ la fuga d’immagini che all’anima fa ressa. Elio Andriuoli

LE DELICATEZZE DI UNA LEGE Quando in Italia i ladri eran pochini la legge permetteva in ogni modo di cingere con ferri a lancia o a chiodo terreni, proprietà, case e villini. Or che di furti s’ode ad ogni passo, lo Stato non considera legale indurre ogni buon ladro a farsi male mentre varca un recinto e fa uno scasso. È male, infatti, che le inferriate non abbian cime a punta o a tridenti in modo che i signori delinquenti non trovino rischiose le scalate. Chi ha fatto questa legge, forse in petto nutriva anch’egli qualche vocazione verso la scienza della sottrazione ed ha trattato i ladri con rispetto. E poiché i ladri son più che gli onesti,


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egli ha pensato: “Per aver più voti mi conviene che i più mi sian devoti!” E allor protegge quelli e frega questi. Nino Ferraù Da Mosaico di luci, Ed. GBM, 2010

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Tornò ancora tra le sue mura, nonostante la sua andatura. La sua mente in agitamento, rinchiuso ancora in quel cemento... Carlo Trimarchi Frascati, RM

LA NEBBIA È scesa la nebbia, e tutto dintorno è coperto di malinconia, nessun rumore si sente dintorno, i passeri sono nascosti nel nido, nell’attesa che la nebbia

LE MADRI PIÙ NON DORMONO

si dissolva. Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, Mi

MURI DI CEMENTO Grida si udivano per le strade, ad ogni finestra c'erano grate. La paura era sempre costante, il suo sguardo era agghiacciante... Muri spessi formati da cemento, crollati in fretta per un lamento. La gente tacque per un sol minuto, per onorare l’ uomo caduto... Egli troppi problemi si faceva, ed il cuore ormai non batteva. Tutti rinchiusi tra le stesse mura, tremanti, stanchi, pieni di paura... Nessuna speranza nel loro cuore, solo un mondo pieno di orrore. Una stanza assai buia, fredda, che al sol pensare il cuore raffredda... Alla ricerca di una consorte, egli si diresse verso la morte. Alla perfezione egli puntava, un grande amore egli bramava...

Gli spazi aperti della città non sono più da tempo lo scenico impiantito per i tuoi chiassosi e spensierati giochi. Le grigie pietre freddo vomito di fuoco di vulcano più non risuonano dei felici passi persi a migliaia dietro palloni veri o improvvisati. Vigile c’era, sopra i tuoi gridi innocenti, una città. Per questo mai conoscesti l’arido di un cielo che si richiudesse per sempre sulla tua esistenza. Il vizio antico di pochi si cercava altrove: d’innocenze inermi non si faceva fuggevole non corrisposto pasto di cupa voluttà. Salvatore D’Ambrosio Caserta

GIORNO DI SAN VALENTINO Cari amici e fratelli, Cristiani, ebrei, buddisti, Umanisti, Monisti, i mormoni, Quaccheri, taoisti, islamici, persone di Voodoo, atei, e quelli che adorano Tupã*! Vi amo come i miei fratelli e sorelle, non importa la vostra nazionalità o religione, se siete onesti e rispettare i pensieri, sentimenti e credo delle altre persone, dando loro la libertà di essere e di vivere come vogliono.


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La nostra umanità è già sviluppata al punto di essere tolleranti ed ecumenici E possiamo come un individuo andare avanti e abbracciare la libertà di tutti. La globalizzazione deve iniziare con amore, come l'inizio della vita. Solo il rispetto e l'amore tra tutti può portare la pace! Amiamo tutte le persone senza pregiudizi di razza e religione. Io sono atea, ma nella solidarietà Sono anche cristiani, ebrei, Buddisti, Quaker, taoisti, Islamici, e io sono con le persone che professano la Voodoo e gli indiani che adorano Tupã. Teresinka Pereira Traduzione: Giovanna Li Volti Guzzardi * Tupã è il Dio Sole, degli indiani del Brasile.

Celebrazioni … verdiane I FALSI AMANTI DELLA NATURA (in difesa di una povera pianta maltrattata) I falsi amanti della natura protestano contro il taglio degli alberi, perché c’è poco verde – dicono – in città, ma non protestano quando la potatura delle piante non viene fatta in tempo necessario e per legge perché è così che si protegge l’albero e lo si aiuta a crescere in sanità.

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non si preoccupano del benessere delle piante e le lasciano per anni abbandonate a se stesse. Siamo forse anche noi dei falsi amanti della natura? Mariagina Bonciani Milano, 20 ottobre 2013

L’ALBERO POTATO Ho detto addio alle verdi fronde che alte facevano da sfondo al mio balcone e mi illudevano di vivere in un bosco. Ho detto addio alle verdi fronde che alte nascondevano il cielo alla mia vista e intercettavano i segnali che l’antenna mi portava da paesi lontani. Ho detto addio alle fronde alte che da tempo ostacolavano col loro peso la salute dell’albero, loro sostegno. Spero che questo addio sia solo per le fronde che poi rinasceranno, e non all’albero amico che –spero – d’ora in poi sarà debitamente e regolarmente potato. Mariagina Bonciani Milano, 8 maggio 2014

I falsi amanti della natura proteggono la loro convenienza, il fresco e l’ombra che gli alberi ci donano in estate e la protezione che con le loro folte fronde essi offrono alla nostra intimità.

POVERA PIANTA VERDE

I falsi amanti della natura

povera pianta verde, che in estate

Povera pianta verde, che in estate ci offrivi l’ombra e il fresco delle fronde tue rigogliose, e amica ne ospitavi passeri cinguettanti e dispettosi distruttori dei miei ciclamini;


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lambivi con le fronde il mio balcone e ne facevi un pensile giardino oltrepassando questo terzo piano; povera pianta verde le cui fronde rigogliose in estate, oggi tagliate, mostrano chiaramente un bianco segno prova indiscussa della tua salute; povera pianta verde, vecchia amica, sacrificata oggi sull’altare delle spese di condominio, ingenti per la biennale tua potatura, (ma anche per far spazio ad un capanno che ospiterà probabilmente un’auto…) Povera pianta quasi centenaria, e ancora verde, rigogliosa e sana, povera pianta amica, oggi ti piango: vorrei riaverti qui, povera pianta. Mariagina Bonciani Milano, 26 gennaio 2016

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE PERSONALE DI DAVIDE CONFORTI Nell’ambito delle attività culturali svolte dall’ Associazione Coloni Fondatori di Pomezia con il proprio settore artistico “La Spiga d’Oro”, è stata allestita la seconda edizione della mostra di poesie e disegni “Anime oltre l’Autismo”, di Emilia Bisesti e Davide Conforti. La mostra d’arte “Mamma-

Figlio” è stata inaugurata il 24 gennaio 2016 nella Galleria dell’Associazione Coloni di Piazza Indipendenza 25 a Pomezia, alla presenza di un folto pubblico, del Presidente dell’Associazione, della coordinatrice della Spiga d’Oro (che ha letto un suo giudizio sui lavori esposti) e dei tanti amanti dell’ arte e della cultura del territorio. Nell’occasione, Davide Conforti ha festeggiato il compimento dei 18 anni spegnendo le 18 candeline verdi, attorniato da tutti coloro che lo amano e hanno attraversato la sua vita, una vita fatta di autismo, ma anche di allegria, di gioia e di forza nel gridare al mondo “Autismo, non mi fai paura!”. La Madre, Emilia Bisesti - che di recente ha pubblicato con la Genesi di Torino la silloge di poesie Pagine erranti, con in copertina un disegno del figlio -, ha letto una sua poesia inedita. La rassegna è rimasta aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2016. *** PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA E NARRATIVA“GIOVANNI DESCALZO” CITTA’ DI SESTRI LEVANTE - Edizione 2016 Con il patrocinio del Comune di Sestri Levante (Genova) - Sezione A – Poesia inedita Inviare da una a tre liriche in sette copie. Una delle copie dovrà recare in calce dati anagrafici, indirizzo, numero telefonico, eventuale e-mail e firma originale dell’ autore. Sezione B – Raccolta di versi inedita Inviare una raccolta inedita di poesie (da 15 a 20 liriche, al massimo) in sei copie fascicolate con l’ indice delle


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liriche presentate. Una delle copie dovrà recare in calce dati anagrafici, indirizzo, numero telefonico, eventuale e-mail e firma originale dell’ autore. Sezione C1 - Racconto a tema libero e Sezione C2 – Romanzo Inviare un racconto edito o inedito a tema libero (lunghezza massima dieci cartelle – 40.000 battute) o un romanzo edito o inedito (senza limiti di lunghezza). L’opera dovrà essere inviata in sei copie per il racconto e in cinque per il romanzo. Una delle copie dovrà recare in calce dati anagrafici, indirizzo, numero telefonico, eventuale email e firma originale dell’autore. Sezione D – Poesia edita o inedita nelle parlate dialettali liguri Inviare in tre copie da una a tre liriche, con traduzione in italiano e l’indicazione della zona ligure a cui appartiene il dialetto utilizzato. Una delle copie dovrà recare in calce dati anagrafici, indirizzo, numero telefonico, eventuale e-mail e firma originale dell’autore. Sezione E – Poesia inedita giovani Possono partecipare i ragazzi di età inferiore ai 18 anni. Inviare da una a tre liriche in tre copie. Una delle copie dovrà recare in calce dati anagrafici, indirizzo, numero telefonico, eventuale email e firma (per consenso alla partecipazione) di un genitore. REGOLAMENTO Tutte le opere dovranno essere inviate al seguente recapito: Andrea Rossi – Via Mons. Vattuone 17 A/11 – 16039 SESTRI LEVANTE (GE) entro il 16 maggio 2016. Per le sezioni A, B, C1 e C2 è richiesto un contributo, per spese organizzative, fissato in euro 20,00 per ogni sezione, da inviare tramite versamento sul Conto Corrente Banco Posta Codice IBAN IT12U0760101400001023824103 intestato a Nuova Pen(n)isola-San Marco oppure mediante Assegno bancario non trasferibile intestato a Nuova Pen(n)isola-San Marco. Al plico dovranno essere allegati: - la ricevuta del bonifico versato quale contributo di partecipazione o l’assegno bancario di cui sopra; - una dichiarazione con firma originale in cui l’autore afferma, sotto la sua responsabilità, che l’opera presentata è di sua esclusiva produzione; - il consenso al trattamento dei dati personali è ai soli fini del Premio in base al Decreto Legislativo 196/2003. E’ possibile partecipare a più sezioni, versando la relativa quota, anche cumulativa. Gli elaborati partecipanti al Premio non saranno restituiti. Ai vincitori di ogni sezione verrà comunicato l’esito del concorso con e-mail o telefonicamente. I primi classificati dell’ ultima edizione di questo Premio non possono partecipare per la sezione in cui hanno vinto. Tutti i premi dovranno essere ritirati personalmente dai vincitori o da loro delegati con delega scritta. I premi in denaro saranno consegnati solo personalmente ai vincitori. La Giuria del Premio è costituita da Massimo Bacigalupo

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(Presidente), Danila Boggiano, Francesco De Nicola, Luigi De Rosa, Ivan Fedeli, Valentina Ghio, Danila Olivieri, Francesco Dario Rossi. Segretario del Premio è Andrea Rossi. L’operato e i giudizi della Giuria sono insindacabili e inappellabili. La cerimonia di premiazione avrà luogo a Sestri Levante, domenica 25 settembre 2016. I premi consisteranno in: Euro 250 per i primi classificati delle sezioni A, B, C1 e C2; medaglia grande d’argento per i primi classificati delle sezioni D ed E; targhe e/o opere pittoriche in miniatura per i secondi e terzi classificati di ogni sezione; medaglie d’argento per gli autori segnalati dalla Giuria e pergamene per i finalisti. Sarà inoltre assegnata una targa intestata a Carlo BO ad una personalità a livello nazionale nell’ ambito artistico-culturale. La partecipazione al Concorso comporta la totale accettazione del presente regolamento. Il Presidente del Salotto Letterario San Marco e Il Sindaco di Sestri Levante: Danila Olivieri/ Valentina Ghio. Per informazioni rivolgersi al seguente recapito telefonico 3482454470 (Danila Olivieri) e ad Andrea Rossi (ar1978 @libero.it). *** DOBBIAMO SMETTERLA! - Il nostro editoriale, apparso a pag. 5 del numero di dicembre 2015, ha ottenuto un successo oltre ogni aspettativa. Pubblicato da altre testate italiane, è stato tradotto anche in francese da Béatrice Gaudy. “Poète sensible et plein de conviction, prosateur, essayiste, critique d’art et de littérature, artiste, traducteur du français et de l’espagnol, Domenico Defelice est le directeur de la revue mensuelle “Pomezia-Notizie” foisonnante d’articles culturels et de textes. Le massacres du 13 novembre 2015 à Paris lui ont inspiré un article sur les résolutions à prendre pour éviter de nouveaux attentats dans de nombreux pays”, scrive la poetessa e pittrice francese. E prosegue: “Il suo articolo sarà vero a lungo, anche dopo attentati futuri. Quindi, lo farò circolare tra le mie conoscenze e lo proporrò al sito Web della rivista belga “Traversées” di Patrice Breno”. *** CONDOGLIANZE - Il 10 gennaio scorso, a Reano, in provincia di Torino, è deceduto il marito della nostra amica e poetessa Adriana Mondo. Condoglianze da tutto il nostro staff e dai tanti lettori che da anni la seguono sulle pagine del nostro mensile. *** Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Francesco Graziano” V Edizione - 2016 - L’ Associazione Culturale ilfilorosso, con il patrocinio del comune di Rogliano (CS), bandisce la quinta edi-


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zione del Premio Nazionale di Poesia e Narrativa dedicata a Francesco Graziano, ideatore e fondatore dell’associazione culturale ilfilorosso e della omonima rivista. Sono ammesse al concorso le opere inviate entro il 15 Aprile 2016. Il premio si articola in quattro sezioni: Sezione A: Poesia edita in lingua italiana: si partecipa inviando una raccolta edita di poesie. Sezione B: Raccolta inedita in lingua italiana: si partecipa inviando una raccolta inedita di poesie non inferiore a 200 versi. Sezione C: Poesia inedita a tema libero in lingua italiana: si partecipa inviando una sola poesia inedita, che costituisca un momento significativo nel percorso letterario dell’autore. Sezione D: Narrativa breve a tema libero in lingua italiana: si partecipa inviando un solo racconto breve inedito, senza nessun vincolo di contenuto. La prosa può appartenere a generi diversi: racconto, fiaba, dialogo, lettera ed ogni altra forma di narrazione. Il testo non dovrà superare le 10.000 battute (4 cartelle, spazi compresi). L’invio delle opere può essere effettuato avvalendosi di una delle seguenti modalità. - Spedizione postale, in un’unica busta regolarmente affrancata e indirizzata a: Associazione Culturale ilfilorossoPremio nazionale di poesia c/o Gina Guarasci Graziano, Via Dalmazia 11, 87100 Cosenza. Ogni opera deve essere inviata in sei copie, di cui una con i dati dell’autore (nome, cognome, indirizzo, numero telefonico, eventuale indirizzo e-mail, sezione di partecipazione). - Spedizione elettronica, con un’unica mail all’indirizzo premiograziano@gmail.com, a cui va allegato un file in formato word o pdf contenente le opere, in unica copia, unitamente ai dati dell’autore. Per informazioni: Scrivere all’indirizzo premiograziano@ gmail.com oppure telefonare al 340 6105021. Consulta il bando integrale del premio qui in allegato, oppure consulta il nostro sito http://ilfilorosso.it/?p=293 *** GIULIO REGENI, UN ALTRO MARTIRE

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DELLA LIBERTÀ - La morte del giovane friulano Giulio Regeni, per mano del regime di Abel Fattah al Sisi, in Egitto, va a sommarsi ai tanti crimini e ai tanti delitti che da sempre, nel mondo, il potere politico compie ogni giorno nei confronti della stampa. Il giovane collaborava a Il Manifesto ed è per i suoi scritti che è stato rapito, a lungo torturato e poi ucciso. L’ennesimo martire della libertà, dunque, davanti al quale ogni onesto giornalista s’inchina. Da oggi, continuando la nostra lotta per la verità e la giustizia, lo faremo anche in suo nome. D. Defelice *** ACCADEMIA DE’ NOBILI - Gentili Accademici Cavalieri e Dame, Poeti e Amici vi anticipo alcune date dei nostri EVENTI sia definiti che da definire affinché non prendiate impegni: Domenica 10 aprile 2016: Organizzata dalla Legazione dell'Italia Centrale per festeggiare il suo Protettore: la Beata Vergine Maria e nel giorno della Sua Annunciazione 25 marzo ne celebrerà la Solennità. Cadendo, però, nella Settimana Santa è stato deciso di spostarla al 10 aprile. Incontro a Firenze in mattinata, visita del Santuario-Basilica della Santissima Annunziata retta dai Servi di Maria, celebrazione santa Messa, visita guidata del santuario e del chiostro e pranzo in un ristorante della città. Riceverete email con programma definitivo. Sabato 23 aprile 2016 San Giorgio Martire: Presentazione dell'Antologia "Poeti Italiani del nostro tempo", Edizioni Anscarichae Domus, Accademia de' Nobili, Firenze Novembre 2015, nel pomeriggio alle Stanze Ulivieri di Montevarchi. Pomeriggio letterario e musica con apericena. Riceverete programma-invito dettagliato. Maggio 2016, data da definire: Conferenza sull'Acc. H.C. Prof. Adolfo Oxilia in Firenze presso Casa di Dante. Riceverete programma-invito appena tutto sarà definito. Giugno 2016, data da definire: Organizzato da Legazione dell'Italia Centrale, Gita-Pellegrinaggio a Roma per il Giubileo della Misericordia. Riceverete programma-invito appena il tutto sarà definito. 8 o 15 Ottobre 2016:: Cerimonia delle Investiture: S. Messa e Cena di Gala. Possibilità che la Messa Pontificale sia celebrata dal Gran Priore Accademico Honoris Causa S. Em.za Rev.ma il Signor Cardinale Paul Poupard. Programma tutto da definire. Il Gran Cancelliere Claudio Falletti di Villafalletto *** BUK FESTIVAL A MODENA - L’Accademia Internazionale Il Convivio e Il Convivio Edizioni hanno partecipato al Buk Festival che si è tenuto a Modena sabato 20 e domenica 21 febbraio 2016 al Foro Boario, dalle 09.30 alle 19.30. Le ultime edi-


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zioni de Il Convivio sono state esposte presso lo stand n. 20. I visitatori hanno potuto visionare i volumi delle varie collane: narrativa, saggistica, poesia e teatro. Si è trattato di una vetrina molto importante per i tanti autori che hanno affidato le loro opere al Convivio. *** UN PREMIO A GIORGINA BUSCA GERNETTI - Giorgina Busca Gernetti ha conseguito il 1° premio assoluto per il libro di poesia Echi e sussurri, Polistampa, Firenze 2015 nel Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa Emozioni e magie del Natale. Città di Piacenza 2015. La cerimonia di premiazione si è svolta il 12 dicembre 2015 nell’ Auditorium della Cassa di Risparmio di Piacenza. La motivazione del premio: «Questa raccolta di poesie è permeata da sogni, ricordi e dallo slancio verso l’ignoto e la dimensione metafisica dell’ essere. Ma anche dalla speranza di un’anima in divenire, mai stanca di cercare la verità». *** POMEZIA-NOTIZIE del Febbraio 2016 - Email da Roma, del Prof. Emerico Giachery, del 19.02.2016: Carissimo Domenico, mi è pervenuto il bel numero di febbraio della tua rivista, che ha accolto il mio articolo e ha gratificato Passione e sintonia con un'ampia, ricca, generosa recensione, di cui ti ringrazio affettuosamente, recensione che fa capire in pieno il senso e l'articolazione del libro, la varietà dei contenuti, la passione che vi ho profuso. Ho immediatamente segnalato la tua recensione all 'Ufficio Stampa dell'editore Carocci. Per mostrarti quanto rapida è la circolazione di "PomeziaNotizie", ti dico che mentre mi giungeva la tua rivista, cioè ieri, ricevevo una mail dal Prof. Fabio Dainotti che aveva letto il mio articolo. Mi congratulo per il successo di A Riccardo (e agli altri che verranno). Si vede che il libro è stato capito e "sentito" per ciò che intendeva essere, per i valori che intendeva ribadire. Un "libro-vita", a me piace dire, immerso in quella quotidianità positiva di affetti in cui si esplica il senso più vero, più "pio", del nostro umano esistere. Questo successo si aggiunge ai tanti tuoi successi accumulatisi negli anni, comprese le due tesi di laurea nella "mia" Tor Vergata, con il carissimo Carmine Chiodo e il valoroso collega L. Rino Caputo, che per alcuni anni è stato preside di Facoltà. Sono lieto di vedere apparire in fotografia una bella immagine di Vittoriano Esposito, gran galantuomo, lavoratore infaticabile, che ci ha lasciati troppo presto. La famiglia e gli amici trarranno gioia dall'affettuoso articolo di Giuseppe Leone che lo ricorda in modo così vivo. Ho letto con interesse il tuo dialogo con Leone, condividendo il rammari-

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co per il fatto che la sinistra massimalista non abbia mai consentito in Italia una socialdemocrazia simile a quella inglese, tedesca, scandinava. Il tentativo di Saragat fu un fallimento anche per la mediocrità degli uomini che ne fecero parte. Tu giustamente ricordi Craxi, che avrebbe potuto realizzarlo, ma fu mal circondato e commise errori, e forse fu anche boicottato dalla CIA per la faccenda di Sigonella. Ma aveva stoffa di statista come pochi politici italiani ( cioè De Gasperi, e forse Moro e Ugo La Malfa, che però aveva un piccolo partito dietro a sé). Anche ora il "fuoco amico" di uomini di sinistra peraltro molto rispettabili complica la situazione politica italiana in un'Europa, purtroppo, allo sbando. Ma sui giovani (non per esperienza diretta di quelli d'oggi ma per temperamento e per tante belle esperienze con giovani nella mia vita di docente) non sarei così pessimista. Non è colpa loro se non trovano lavoro. Molti di quanti vanno all'estero si fanno rispettare e stimare. Voglio chiudere con un piccolo raggio di speranza. Ancora grazie e un saluto a tutta la famiglia presente anche in fotografia (felice idea!) nel tuo libro Emerico Caro Americo, chi segue Pomezia-Notizie (ormai al 43° anno!) sa che non è mia abitudine dare spazio agli elogi. S’è l’ho fatto qualche volta e se lo faccio e lo farò, è per rispondere alla regola che la perla sia per lo sfoggio, che la bellezza vada esposta perché il mondo ne goda, che la lucerna mai debba essere collocata sotto il moggio (e qui mi fermo, perché sono già al Vangelo!). La tua, è una bella recensione del numero della rivista. Il tuo apprezzarla mi dà gioia, mi sprona a proseguire nel lavoro e si riverbera sui tanti amici che, come te, hanno impreziosito - o continuano a impreziosire - le sue pagine con gli scritti: centinaia e centinaia, oltre Dainotti, Chiodo, Leone e l’indimenticabile Esposito, che tu citi. Ora, però, non aspettare un altro anno e passa nell’inviarmi un nuovo tuo pezzo. Io non credo a chi dice essere peccato l’ingordigia della Bellezza. E son d’accordo con te per quanto concerne i giovani. Non è colpa loro se qui da noi manchi il lavoro; non è colpa loro se le nostre leggi son fatte per favorire delinquenti, assassini e corrotti e tenere sempre in scacco gli onesti; non è colpa loro se tutti gli apparati dello Stato sono nidi infetti e se la Costituzione, anziché applicata, è stata via via snaturata, peggiorata con interventi insensati: basterebbe far funzionare con onestà Stato e Comune, non c’è necessità di altri carrozzoni. Non è colpa loro, ma è giunta l’ora che si sveglino, per un nuovo quarantotto o sessantotto, senza, pe-


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rò, spargimento di sangue, perché tutto è possibile anche senza violenza. Domenico

LIBRI RICEVUTI EMERICO GIACHERY - Voci del tempo ritrovato - In copertina, foto dell’Autore; da pag. 93 a pag. 119, Album fotografico - Edilazio, 2010 - Pagg. 122, € 16,00. Emerico GIACHERY, già ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea nella II Università di Roma-Tor Vergata, dopo avere insegnato negli Atenei di diverse città italiane e straniere, tra cui Ginevra. Una trentina le opere pubblicate. Tra le altre: “Metamorfosi dell’orto e altri scritti montaliani”, 1985; “Nostro Ungaretti”, 1988; “Verga e D’Annunzio; Ritorno a Itaca”, 1992; “Dialetti in Parnaso, 1992; “Letteratura come amicizia”, 1996; “Luoghi di Ungaretti, 1998; “Ungaretti “verticale” “ (in collaborazione con Noemi Paolini), 2000; “La parola trascesa e altri scritti”, 2000; “L’avventura del sogno”, 2002; “Albino Pierro grande lirico”, 2003; “Gioia dell’interpretare. Motivi, Stile, Simboli”, 2006; “Belli poeta di Roma tra Carnevale e Quaresima”, 2007; “Abitare poeticamente la terra”, 2007; “Ungaretti ad alta voce ed altre occasioni”, 2008; “Voci del tempo ritrovato”, 2010; La vita e lo sguardo (2011); “Passione e Sintonia Saggi e ricordi di un italianista” (2015). Alcune “Lecturae Dantis (Inferno XIII, Purgatorio X, Paradiso I e III)” sono state pubblicate di recente con l’aggiunta di cd contenenti la lettura vocale dei canti fatta dallo stesso lector. ** GIOVANNA ROTONDO - Omaggio a Orlando Sora Artista del Novecento - Prefazione di Gianfranco Scotti; in prima e quarta di copertina, a colori, opere dell’artista, del quale ne vengono riprodotte, all’interno, sempre a colori, altre 77 - Ed. Book Time, 2015 - Pagg. 162, € 20,00. Giovanna ROTONDO vive in prossimità della parte lecchese del lago di Como. Ha compiuto studi linguistici e partecipato a numerosi corsi sulla linguistica e la didattica. Si è occupata di disagio giovanile e formazione. Ha insegnato all’Istituto Professionale Luigi Clerici e coordinato corsi di formazione presso la Sezione maschile del Carcere di Monza, svolgendo mansioni di tutor. Ha vissuto per anni in Inghilterra e negli USA, dove ha insegnato Italiano e Cultura italiana a Washington D. C. Ha lavorato come traduttrice presso la Berlitz School of Languages. Ama l pittura e ama scrivere. Ha pubblicato “Non è

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colpa di Pandora. La zona d’ombra delle dipendenze” (2014). Cura un suo blog su internet. ** MARIAGINA BONCIANI - Ancora poesie - Prefazione di Neuro Bonifazi - Edizioni Helicon, 2015 - Pagg. 76, € 11,00. Mariagina BONCIANI vive a Milano dove è nata nell’aprile 1934 e si è diplomata in Ragioneria nel 1953, ma ha sempre prediletto le materie letterarie e le lingue. Conoscendo il francese e lo spagnolo ed avendo perfezionato soprattutto lo studio dell’ inglese, ha lavorato, dal 1953 al 1989, come segretaria di direzione, capo ufficio e corrispondente presso tre diverse ditte nel settore import-export. Ama la lettura, i viaggi e la musica classica. In pensione dal 1989, per alcuni anni si è dedicata alla madre inferma, smettendo di viaggiare, ma studiando pianoforte, russo e greco antico. Non si è mai sposata. Da qualche anno ha iniziato a presentare nei concorsi letterari le sue poesie, ottenendo sempre riconoscimenti e premiazioni. Molte sue poesie sono state pubblicate in antologie e riviste. Nel 2010 ha pubblicato nei quaderni “Il Croco” della rivista “Pomezia-Notizie” la silloge “Campane fiorentine”, accolta con entusiasmo dalla critica e nel 2011, sempre per “Il Croco”, la silloge “Canti per una mamma”. Nel 2012 è uscita presso le Edizioni Helicon la sua raccolta “Poesie” e, nel 2015, “Sogni”. Sue poesie vengono regolarmente pubblicate nella suddetta Rivista e sulla Rivista “Silarus”. Vince il primo premio al concorso “Città di Avellino - Trofeo verso il futuro” 2013 con la silloge “Poesia e musica”, edita nel 2014. E’ presente nel volume “Poeti contemporanei - Forme e tendenze letterarie del XXI Secolo” (2014), a cura di Giuseppe e Angelo Manitta. ** BRANDISIO ANDOLFI - Intime annotazioni N° 1 (Quasi poesie) - Prefazione di Salvatore D’Ambrosio; in copertina, a colori, “Giganti” di Cristina Andolfi - Ed. Il Convivio, 2015 - Pagg. 62, € 10,00. Brandisio ANDOLFI è nato a Casale di Carinola nel 1931, ma vive a Caserta. Laureato in Lettere Moderne. Poeta, scrittore e saggista, ha pubblicato: “Riflusso” (1985), “Nel mio tempo” (1986), “Oltre la vita” (1988), “Ai limiti del silenzio” (1990), “Sulla fuga del tempo” (1991), “La voce dei giorni” (1992), “Aprire la finestra” (1993), “Come zampilla l’acqua” (1995), “Il diario della sera” (1996), “Alberi curvi d’acqua” (1997), “Il mondo è la parola” (1998), “Dentro la tua presenza” (1999), “Dettati dell’anima - poesie 2000 - 2004” (2005), “Ricordi e Riflessioni” (2007), “Alla donna” (2008), “La voce di dentro” (2012), “Nel tempo del giorno e della notte” (2015), “Poesie per caso” (2015). Ha pubblicato saggi critici su Vincenzo


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Rossi (1998), Gaetano Andrisani (2000), Rudy De Cadaval (2005), Muzio Attendolo Sforza - Un condottiero alla corte Giovanna II di Napoli (2001). Ha pubblicato ancora un libro di memorie personali: “I luoghi della memoria - Usi, costumi tradizioni e ricordi di guerra a Sessa Aurunca 1930 - 1970”, Corrado Zani, Sessa Aurunca (2005), “Letture critiche” (recensioni, 2010). Si sono interessati di lui numerosi critici e poeti, è presente in antologie e enciclopedie, ha vinto numerosi premi. Ricordiamo anche le monografie scritte su di lui: “La dimensione estetica di Brandisio Andolfi” di Antonio Creccia (1994), “Brandisio Andolfi cantore dei nostri tempi” (2003) eccetera. ** SALVATORE D’AMBROSIO - Storia Postale Italiana Annullamenti di Terra di Lavoro (1863 - 1889) con valutazioni - Ed. Pesole s.n.c., Napoli (1989 ?) - Pagg. 80, s. i. p. L’Autore nella Premessa scrive tra l’altro: “La storia postale italiana può essere scritta solo passando attraverso la storia postale delle singole regioni.// Questo è quanto ho maturato dentro me da diverso tempo ed anzi sono convinto che, più ancora, è utile, per ben costruire la storia postale nazionale, fare una quanto più esatta ricostruzione storico-postale della propria provincia. Ecco, quindi, il motivo principale per cui ho lavorato, per alcuni anni, alla ricostruzione della antica costituzione di Terra di Lavoro ed alla ricerca dei suoi annullamenti. Il presente lavoro considera, però, solo gli annulli della provincia di Terra di Lavoro adoperati tra il 1863 (anno in cui inizia il servizio delle collettorie rurali) ed il 1889 in cui termina ufficialmente l’uso dei numerali a sbarre. Con il 1890 inizia quell’interessantissimo periodo del così detto annullo “CERCHIO CON ARCHI”, che è da considerarsi per diverse ragioni l’ultimo degli annulli del periodo classico italiano”. Molti anni or sono abbiamo letto con vivo godimento “La medicina nei francobolli” di Luciano Sterpellone, la dimostrazione come tutto può divenire interessante se lo si sa organizzare e trattare. Nel volume di Salvatore D’Ambrosio non c’è nulla che si riferisca specificatamente ai francobolli, bensì ai timbri usati per annullarli, la cui storia non manca di spunti interessanti. D’Ambrosio non ama dilungarsi, mira all’ essenziale, a presentare il documento, la norma. Il volume contiene una Premessa, le leggi e i decreti riguardanti la Provincia di Terra di Lavoro, il Servizio postale e la sua struttura, la Tabella di valutazione e poi i Bolli usati nel primo, secondo, terzo, quarto e quinto Circondario che concernevano Caserta, Gaeta e Formia, Nola, Piedimonte d’Alife, Sora. Un libro, a nostro avviso, di stimolo e di base per chi volesse addentrarsi ancora in un mondo tut-

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to particolare e non esente da fascino. Salvatore D’ AMBROSIO è nato a Napoli nel 1946, ma vive e lavora a Caserta. Dopo gli studi tecnici, si iscrive ad Economia. Insieme all'attività di docente continua a seguire gli studi storici sul regno di Napoli e i Borbone. Negli anni '70 inizia la sua collaborazione con emittenti televisive locali e riviste. Su "La Tribuna del Collezionista" di Gaeta (Latina) pubblica alcuni studi sull'organizzazione amministrativa del Regno di Napoli. A partire dagli anni '90 partecipa a diversi concorsi letterari riscuotendo consensi e riconoscimenti, tra cui la lettura di alcune sue poesie in piazza a Caserta e alcuni premi. Alcune sue poesie sono inserite in raccolte poetiche e antologie. Ricordiamo un’altra sua opera: Barcollando nell’indicibile, edito dalla Bastogi. ** AA. VV. - Poeti italiani del nostro tempo - Premio Internazionale di poesia “Danilo Masini” (Poesia e Vita) 10a Edizione 2014 - Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto, Presidente dell’Accademia Collegio de’ Nobili - Ed. Anscarichae Domus, Firenze 2015 - Pagg. 166, € 10,00. Sono antologizzati i seguenti autori. Per la Sezione Poesia inedita: Rita Muscardin, Maria Cristina Renai, Ines Scarparolo, Luciano Fani, Giuseppe Barba, Anna Maria Olito, Maria Laura Ghinassi, Diego Sordi, Vittorio Morrone, Lolita Rinforzi, Cecilia Cesari, Paola Carmignani, Leda Biggi Graziani, Crocifissa Del Frate, Rossella Abortivi, Renato Arosio, Maurizio Bacconi, Roberto Baraldi, Giuseppe Baricchi, Nicola Baronti, Elisa Bassi, Claudio Belli, Alessandra Benassi, Carmelo Bianchi, Antonio Bicchierri, Bruno Bini, Daniele Boganini, Stefania Canteri, Michele Casella, Gaetano Catalani, Maria Cecchinato, Claudia Ciardi, Michela Cinque, Alessandro Corsi, Teresa Cuparo, Giuseppe Cusa, Milena D’Esposito, Vito de Leo, Ivana Dello Preite, Vito Dimola, Maria Rosaria Filangieri, Claudia Fofi, Antonio Costanzo Gallo, Antonio Giordano, Romualdo Guida, Giacomo Iannace, Giovanni Guido Ingino, Niccolò Andrea Lisetti, Carmine Maggio, Danila Marchi, Fulvia Marconi, Lorenzo Marra, Francesco Mazzitelli, Paolo Montaldo, Pippo Monteleone, Anna Maria Mustardino, Maria Luisa Orsi Sigari, Stefano Perissi, Fiorenza Perotto, Genoveffa Pomina, Marisa Provenzano, Aldo Ripert, Giuseppe Romano, Nicolina Ros, Francesco Rosaspina, Maria Elsa Scarparolo, Natale Scarpelli, Berenice Scasserra, Matteo Sugan, Patrizia Tansini, Giovanni Tavčar, Walter Tresoldi, Silvia Tunnera, Paola Viola, Anna Rosa Visani. Sezione poesia libro edito: Clara Bianchi, Stefano Martin, Duccio Corsini, Gennaro De Falco, Stefano Tonelli, Rita Muscardin, Liana Bachini, Mirco Del


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Rio, Salvatore Paolino, Roberto Maggi, Armando Giorgi, Fulvia Marconi, Franca Olivo Fusco, Renzo Piccoli, Lucia Ballerini, Adalpina Fabra Bignardelli, Maria Giovanna Bonaiuti, Maria Enrica Braggion, Franco Casadei, Rodolfo Cerinilogar, Nicoletta Corsalini, Alessandro Della Casa, Angela Maria Di Girolamo, Maria Grazia Ferraris, Monica Fiorentino, Stefania Fiorin, Lucia Gaddo Zanovello, Alberto Gatti, Claudio Guardo, Cettina Mangione, Imma Melcarne, Patrizia Muraca, Nicola Perasso, Francesco Perrucci, Anna Gertrude Pessina, Nunzia Salvatore, Elda Torres. Sezione poesia inedita giovani: Lucia Rostagno, Chiara Sabena, Mariapia Crisafulli, Eleonora Lorenzato, Valentina Barbieri, Marta Sola, Giulia Vannucchi, Martina Landini Tozzi, Beatrice Rizzoni, Alessio Arena. ** EDIO FELICE SCHIAVONE - LUCIA SCHIAVONE - Calendario 2016 - Presentazione di Cristiana Vettori - Edizioni Helicon - Il calendario contiene 12 poesie e altrettanti pitture a colori, poligrafie su tavole lignee, anche con fogli metallici. “Un artista della penna e un’artista del pennello celebrano i vari mesi dell’anno - scrive, tra l’altro, Cristina Vettori -, in un percorso parallelo in cui le varie opere trovano reciprocamente un incastro, un’armonia, fino ad esaltarsi a vicenda amplificando l’una i significati dell’altra.” ** GIANNICOLA CECCAROSSI - Birkenau (memoria) - Prefazione di Antonio Bonchino, in prima bandela nota di Emerico Giachery - Phalaenopsis Ibiskos Ulivieri Edizioni - pagg. 56, € 12,00. Giannicola CECCAROSSI è nato a Torino il 18 agosto 1937 e vive a Roma. Figlio d’ arte (il padre Domenico era un grande musicista solista), si dedica alla poesia da molti anni. Proprio con il padre realizza nel 1970 il poemetto “Per i semi non macinati” per corno (Domenico Ceccarossi), voce recitante (Arnoldo Foà), coro e orchestra d’archi, musica di Gerardo Rusconi. Nello stesso anno vince il “Premio Nazionale di Poesia Reggiolo”. Dopo un lungo periodo dedicato alla carriera manageriale, inizia nel 1999 a partecipare a concorsi letterari aggiudicandosi numerosi primi premi, tra i quali: Città della Spezia, Il Porticciolo, Histonium, Città di Portovenere, Apud Montem, L’ Aquilaia, Giuseppe Stefanizzi, Nicola Mirto, Il Maestrale, Santa Margherita, Poetico Musicale, San Valentino, Le Cinque Terre, Padre Raffaele Melis, Amarossella, Mario Tobino, Città di Santa Maria a Monte, Franco Bargagna, Aeclanum, Il Quadrato, La Gorgone d’oro, Città di Bitetto, San Domenichino, Olinto Dini, L@ Nuov@ Mus@, Nosside, Santa Maria in Castello, Raffaello Cioni, Antica Sulmo, Il Litorale. Inoltre

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Premio all’Eccellenza (“Voci” Abano Terme) e Premio alla Carriera (“San Domenichino”). Ha pubblicato: Poesie (1967), Ora non è più tempo (1970), Le dieci lune (1999), Frammenti (2000), I fiori nella schiena (2000), La terra dentro (2001), I gridi nella mano (2002), È appena l’alba (2008), Aspetterò l’arrivo delle rondini (2011), Ed è ancora così lontano il cielo (2012), Casa di riposo (diario) (2013), Dove l’ erba trasuda narcisi (2014), La memoria è un grano di sale (2015), Fu il vento a portarti (2015).

TRA LE RIVISTE IL PONTE ITALO-AMERICANO - Rivista internazionale di cultura, arte e poesia fondato e diretto da Orazio Tanelli - 32 Mt. Prospect Avenue, Verrona, New Jersey 07044, 973-857-1091, USA. Riceviamo il n. 3 (dicembre 2015) e ci complimentiamo per il raggiungimento del 25° anno di pubblicazione, augurando che la bella rivista del caro Orazio possa continuare a lungo a spargere nel mondo poesia e a divulgare la nostra lingua. Data l’ occasione, è giusto ricordare Mara Corfini (direttrice in Italia), Anthony Cece (Editore), gli Assistent Directors: Mattia Cipriano, Benito Magro e Joseph Torcivia, la Graphic Arts Director Carmela Pasqua Cohen, gli Art Consultants Ivo David e Maria Stella Rossi, gli Editorial Board Giovanni Cifelli, George Delmarmo, Sabatino Di Mascia, Maria Di Paolo, Giovanni Di Sandro, Silvana Fazio, Mario Fratti, Rosanna Imbriano, Giovanni Tolone, Maria Stella Torcivia. A pag. 6 il direttore Tanelli pubblica una sua nota sulle “Lettere” di Maria Grazia Lenisa, da noi recentemente stampate sul Quaderno letterario di PomeziaNotizie Il Croco del luglio 2015e a pag. 39 Anna Aita intervista Salvatore Veltre. * IL CENTRO STORICO - periodico dell’ Associazione “Progetto Mistretta”, Presidente Nino Testagrossa, responsabile Massimiliano Cannata - via Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME). E-mail: Ilcentrostorico@virgilio.it Riceviamo il n. 9-12 (settembre-dicembre 2015), dal quale segnaliamo: “Due eventi ad “alto potenziale” “, di Massimiliano Cannata; “La misericordia per un mondo tutto da ricostruire”, di Massimo Cacciari; “Statue d’ autore: una ricerca”, di Santino Cristaudo; “La cascia degli inediti di Ciccio Carrà Tringali”, di Maria Nivea Zagarella. E poi, due servizi fotografici per la cerimonia di premiazione del Premio Maria Mes-


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sina - organizzato dalla stessa Associazione Progetto Mistretta - e per “La serata con la Contessa Rosamarie Tasca d’Almerita”, seguito all’intervista alla stessa Contessa da parte di Massimiliano Cannata. Per la partecipazione alla edizione di quest’ anno del concorso Maria Messina, chiedere regolamento tramite e-mail su indicata. * SILARUS - rassegna bimestrale di cultura fondata da Italo Rocco e diretta da Pietro Rocco - via B. Buozzi 47 - 84091 Battipaglia (SA). E-mail: rivistasilarus@hotmail.it Riceviamo, inviatoci dall’ amica e collaboratrice Mariagina Bonciani, il n. 302 (novembre-dicembre 2015), del quale segnaliamo il lungo saggio “Rocco e i suoi “fratelli” “, di Alessandro Di Napoli e “Il cinema di Roberto Rossellini nella prospettiva didattica e psicopedagogica: cinema, televisione e scuola”, di Massimo Mirra. Poi le pagine 73, 74, 75 della “Galleria” dedicate alla poesia di Mariagina Bonciani. La rivista gestisce anche il Premio Nazionale Letterario “Silarus”. Per partecipare alla XVIII edizione, scadenza 30 maggio 2016, chiedere regolamento tramite l’e-mail su riportata. * FIORISCE UN CENACOLO - Mensile internazionale di Lettere e Arti, organo ufficiale dell’ Accademia di Paestum diretto da Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (Salerno). E-Mail: manzi.annamaria@tiscali.it Riceviamo il n. 10-12 (ottobre-dicembre 2015) del quale segnaliamo: “Con Carmine Manzi fede e poesia”, di Leonardo Selvaggi e le firme di Antonia Izzi Rufo, Orazio Tanelli, Anna Aita. * DOMANI SUD - periodico di informazione politica e culturale diretto da Fortunato Aloi, responsabile Pierfranco Bruni - via S. Caterina 62 - 89121 Reggio Calabria. Riceviamo il n. 1 (gennaiofebbraio 2016), con le firme di Fortunato Aloi, Domenico Ficarra, Amalia Michea, Giuseppe Femiano, Lino Di Stefano, Fabrizio Canale, Carmelo Bagnato eccetera. * SOLOFRA OGGI - la voce di chi non ha voce, periodico diretto da Raffaele Vignola - via A. Giannattasio II trav. 10 - 83029 Solofra (AV) - E-mail: solofraoggi@libero.it Riceviamo il n. 12 (dicembre 2015), dal quale segnaliamo “Solofra d’altri tempi: i carcarari” dello stesso direttore Raffaele Vignola e “Parigi, una follia disumana”, di Rosario Pesce. * ILFILOROSSO - semestrale di cultura diretto da Luigina Guarasci - via Marinella 4 - 87054 Rogliano (CS). E-mail: info.ilfilorosso@gmail.com

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Riceviamo il n. 59 (luglio-dicembre 2015) sul quale, tra l’altro, leggiamo “Il giorno dei morti”, di Anna Vincitorio e “Pasquale Emanuele: Poesie, l’ isola che non c’è (in interiore homine) da Olivetti a Peter Pan”, di Rossano Onano. * MAIL ART SERVICE - bollettino dell’Archivio di mail art e letteratura “L. Pirandello”, diretto da Andrea Bonanno - via Friuli 10 - 33077 Sacile (PN). Riceviamo il n. 92, dicembre 2015. * LA GAZZETTA DI BOLZANO - periodico di informazione arte cultura attualità, diretto da Franco Latino, responsabile Eugen Galasso - Casella postale 96 - Bolzano 1 - 39100 Bolzano. Riceviamo il n. 46 (giugno 2015), sul quale troviamo, tra le tante, le firme di Brandisio Andolfi che si interessa di “Senza l’Uomo” di Edio Felice Schiavone, mentre Eugen Galasso scrive su vari libri, tra cui “Là dove pioveva la manna” di Imperia Tognacci e “Amores” di Giorgina Busca Gernetti. * ntil LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivista di Lettere ed Arte fondata da Giacomo Luzzagni, direttore responsabile Stefano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - via Chiesa 27 - 35034 Lozzo Atestino (PD), C.P. 15 - 35031 Abano Terme (PD) - E-mail: nuovatribuna@yahoo.it Il numero 121 ci porta una novità: il “nero-verde”, voluto dal fondatore, viene sostituito dal colore e da una nuova impaginazione e siamo certi che questa nuova veste attirerà tanti nuovi lettori e collaboratori. Citiamo: “La reale evidenza Felice Casorati”, di Natale Luzzagni; “Svetlana Aleksievich”, di Luigi De Rosa; “George Gordon Byron”, di Liliana Porro Andriuoli; “Il Paradiso perduto: John Milton”,, di Elio Andriuoli; “Aimé Cèsaire”, di Anna Vincitorio. E poi, ancora, le firme di Fryda Rota e Stefano Valentini (del quale riportiamo una recensione a pag. 55). * L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili, diretto da Marcello Falletti di Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (FI) - E-mail: accademia_de_nobili@libero.it Riceviamo il n. 213-215 (X-XII-MMXV), del quale segnaliamo: “Una serata in fraterna amicizia”; “Attività accademica”; “23 giugno 1668???”, di Enrico Grassi; “Il meridiano di Roma”, di Antonio Simeone; “Immacolata Concezione di Maria Santissima”, intervista a Mons. Antonio Ciliberti a cura di Carlo Pellegrini e, non ultima, la rubrica “Apophoreta”, di Marcello Falletti di Villafalletto, che recensisce sei volumi, tra cui “Echi e sussurri” della nostra Giorgina Busca Gernetti.


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Qui sotto, alcuni vecchi lavori di Domenico Defelice: due particolari scorci di Via San Pietro a Mirabello Sannitico - CB - (pennarelli del 1974, il primo, e biro e matita colorata del 1987, il secondo) e una Natura morta (olio su cartone del 1981).

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AI COLLABORATORI Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione), composti con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio, attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (con copia cartacea) Annuo... € 50.00 Sostenitore....€ 80.00 Benemerito....€ 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia....€ 5,00 ABBONAMENTO solo on line: http://issuu.com/domenicoww/docs/) Annuo... € 35 Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 NO76 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio


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