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DOMENICO ANTONIO TRIPODI DANTE E L’ARTE VISIVA Il 20 maggio 2016, Nell’Aula Capitolare di Palazzo della Cancelleria - Piazza della Cancelleria, Roma - L’Accademia della Fonte Meravigliosa ha presentato il Maestro Domenico Antonio Tripodi - pittore e poeta - che, con segni e parole, ha parlato di Dante e l’Arte visiva.
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A lunga fedeltà di Domenico Antonio Tripode a Dante Alighieri è stata ripagata dall’apprezzamento e dalla lode sia di eminenti storici e critici dell’arte, sia dal →
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All’interno: Crocifissione e ispirazione artistica, di Emerico Giachery, pag. 4 La storia di Taras Shevcenko, di Luigi De Rosa, pag. 6 Lo sciame delle parole di Guido Zavanone, di Nazario Pardini, pag. 9 Maria Grazia Lenisa e i temi dell’amore, di Ilia Pedrina, pag. 11 Viviane Ciampi: D’aria e di terra, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 14 Passionalità e nostalgia in Rino Cerminara, di Leonardo Selvaggi, pag. 16 Claudia Trimarchi e i mondi di Domenico Defelice, di Ilia Pedrina, pag. 21 Antonia Izzi Rufo e La casa del nonno, di Nazario Pardini, pag. 24 La poesia è la casa della cultura, di Susanna Pelizza, pag. 26 I Poeti e la Natura (Giorgio Caproni), di Luigi De Rosa, pag. 27 Notizie, pag. 42 Libri ricevuti, pag. 47 Tra le riviste, pag. 49
RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Arcobaleno, di Tito Cauchi, pag. 30); Isabella Michela Affinito (E scoppiò la resistenza, di Ernesto Papandrea, pag. 31); Elio Andriuoli (Incontri indecisi, di Gennaro Maria Guaccio, pag. 32); Tito Cauchi (Io e gli altri poeti nella società, di Isabella Michela Affinito, pag. 33); Tito Cauchi (Dieci x dieci, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 34); Domenico Defelice (Giacomo Leopardi Percorsi critici e bibliografici, di Giuseppe Manitta, pag. 34); Domenico Defelice (Boccaccio in Sicilia, a cura di Giuseppe Manitta, pag. 35); Filomena Iovinella (Il viaggio dell’elefante, di José Saramago, pag. 37); Antonia Izzi Rufo (La funzione catartica e rigeneratrice della poesia in Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 37); Susanna Pelizza (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag. 38. Inoltre, poesie di: Elio Andriuoli, Yahya Kemal Beyatli, Ilhan Berk, Mariagina Bonciani, Piera Bruno, Marina Caracciolo, Salvatore D’Ambrosio, Michele Di Candia, Caterina Felici, Béatrice Gaudy, Filomena Iovinella, Antonia Izzi Rufo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Eloisa Massola, Giovanna Maria Muzzu, Océlyane, Susanna Pelizza, Teresinka Pereira, Carlo Trimarchi, Guido Zavanone
pubblico vastissimo degli appassionati della Divina Commedia, pubblico destinato a non estinguersi mai, malgrado le trasformazioni e i capovolgimenti della scuola italiana. Nella lunga e complessa vicenda delle letture figurative di Dante, Tripodi ha saputo iscriversi da par suo, con una personalità spiccata e originale. Se si pensa alle antiche “trascrizioni” figurative della Commedia, da Domenico di Michelino nella Firenze umanistica, a Botticelli alla vigilia del Rinascimento, a Federico Zuccari in pieno manierismo per arrivare poi molto vicino a noi attraverso una schiera di
artisti italiani e internazionali che hanno posto Dante al centro dei loro interessi, va riconosciuta a Tripodi la capacità di parlare con un linguaggio moderno e nello stesso tempo ripieno di spiriti classici, per rappresentarci un Dante vicino alla nostra attuale sensibilità. Il linguaggio figurativo di Tripodi è aereo, trasparente, sensibile, meditato, delicatissimo e penetrante. Il pittore scende, in effetti , alle radici stesse dell’opera dantesca e ne rintraccia l’immane dottrina e la profonda e autentica spiritualità. Quel singolare equilibrio tra immediatezza e meditazione che caratterizza così bene la poetica dantesca, si rintraccia be-
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ne nella impostazione figurativa di Tripodi. A lui mai si potrebbe attribuire la qualifica di illustratore. Egli non illustra, infatti, ma rivive la vicenda dantesca, e la sua pittura è un bell’esempio di vicinanza tra nobili spiriti che pensano la stessa cosa in modi diversi e ritrovano una sintonia profonda a distanza di se-
coli. La finissima qualità della pittura di Tripodi ne è la migliore dimostrazione in un processo di costante arricchimento che l’ artista persegue ancora adesso con inesausto entusiasmo e dedizione all’arte. Claudio Strinati Manfredi (1232 - 1266), re di Sicilia e figlio naturale dell’Imperatore Federico II e di Bianca Lancia, nobildonna siciliana, alla morte del padre (1250) assunse il potere in nome del fratellastro Corrado IV, e, poi, nel 1258, divulgata la falsa notizia della morte di Corradino di Svevia, unico figlio di Corrado e ultimo Hohenstaufen pretendente al trono, si fece incoronare re nel duomo di Palermo. Politicamente, tenne alte le sorti dei ghibellini
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nell’Italia centrale e settentrionale. Nel 1260, Manfredi sbaragliò i guelfi a Montaperti, nella valle del fiume Arbia. Tale sonante vittoria sconcertò la curia romana e suscitò l’ira di Carlo d’Angiò che, ben remunerato, scese in Italia e uccise l’usurpatore nell’epico scontro di Benevento. Manfredi morì eroicamente e il suo cadavere, di re scomunicato con anatema, dopo il primo e affrettato seppellimento con l’onore delle armi, venne riesumato e, nottetempo, “sene luce né cruce”, venne gettato oltre il fiume Garigliano (ant. Verde) ai confini del regno. Manfredi, morente, volse al cielo
una preghiera: “Dio sia propizio a me peccatore”. Dante, nella Commedia, pietosamente lo pone nell’Antipurgatorio a ricordarci che il perdono divino qualunque sia la durezza e l’entità del nostro peccato può avvenire anche nell’ultimo istante della nostra terrena esistenza (“Orribil furon li peccati miei;/ma la bontà infinita ha sì gran braccia/che prende ciò che si rivolge a lei” - Purg. III, 121-123). L’episodio del Golgotha tra Gesù e il buon ladrone ne è l’esempio più splendente. Domenico Antonio Tripodi
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CROCIFISSIONE E ISPIRAZIONE ARTISTICA di Emerico Giachery AL Golgota, il Crocifisso è sceso nel cuore della storia. Chi ascolta la lettura del lungo Passio che apre la Settimana Santa, anche se non credente, difficilmente può sottrarsi al senso di cruda verità e di tragedia totale, assoluta, che ne promana. A quelle pagine si ispireranno il più alto (credo) spartito di tutta la musica europea (la Matthäus Passion di Bach), e il momentovertice del capolavoro filmico di Pasolini, memore di tanta grande pittura del passato. Icona centrale di secoli civiltà cristiana, la Crocifissione. Così essenziale nel cardine strutturale: su uno sfondo di cielo, due sinistri legni incrociati con appeso un uomo, anzi un uomo-Dio, anzi un Dio fattosi uomo, straziato e morente. Intorno, soldati indifferenti, donne e uomini oppressi dall’ angoscia. Per il credente, evento al centro della storia della sal-
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vezza, della Storia con la maiuscola. Il mondo stesso è stato crocifisso in Cristo. In una bella Ave Maria, messa più tardi in musica dal grande cantautore francese Georges Brassens, il poeta Francis Jammes (1868-1938) invoca Maria Vergine “per i quattro orizzonti che crocifiggono il mondo”, che è come dire “nel nome di tutto il dolore del mondo” : «Pour les quatre horizons / qui crucifient le monde », in nome, cioè «dei quattro orizzonti / che crocifiggono il mondo» . Per gli artisti figurativi, la Crocifissione è un tema inesauribile, dalle infinite possibili varianti, sempre però con l’impegno di non perdere il senso di quella centralità. Se ripenso alle opere pittoriche contemplate più a lungo negli anni verdi, penso soprattutto a tre quadri: alla Madonna di Brera di Piero della Francesca, scampata fortunosamente, con altri capolavori anche di Piero, alla ruberia nazista, ed esposta a Palazzo Venezia a guerra non ancora finita; qualche anno dopo, alla caravaggesca Decollazione del Battista della Cattedrale di Malta, in sosta a Roma per un restauro. Ma soprattutto a una Crocifissione di Antonello da Messina. Si trattava della più recente, sembra, delle Crocifissioni dipinte da questo artista che ha saputo indagare con tanta partecipe passione i segni del dolore umano nel volto dell’Ecce Homo: quella conservata nel Museo di Anversa, e da me vista per la prima volta in una mostra romana su “I Fiamminghi e l’Italia”. Mi affascinò, con quella croce snella e severa, alta sino alla sommità del quadro, la torsione bloccata e la sofferenza immobile dei due ladroni infissi agli alberi, il silenzio delle due figure assise, il fermo respiro dell’orizzonte concluso dalla linea marina del porto di Messina trasfigurato. Il senso dell’evento era reso perenne dalla stessa perfezione contemplativa di un’arte che assume il dolore e lo redime senza abolirlo. Rividi il quadro ad Anversa, ma senza più l’emozionata pienezza di quella prima rivelazione: esiste una “grazia della prima volta” anche per le opere d’arte. In un quotidiano degli anni Cinquanta, una forte pagina di Curzio Malaparte, che mi piacerebbe tanto ri-
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trovare, descrisse la celebre Crocfissione del polittico d’Issenheim di Mathis Grünewald come un emblema tragico dell’Europa. Ho appreso di recente che il giornalista e scrittore Massimo Fini, che da ragazzo aveva letto lo stesso articolo di Malaparte, ne era rimasto egualmente impressionato. Soltanto molti anni dopo, quando insegnavo nella Francia dell’ Est, mi fu donata l’”epifania” della gentile città di Colmar, allo spartiacque renano tra mondo latino e mondo germanico, in un’ irripetibile grazia di luce domenicale; e lì potei finalmente ammirare, al Musée de Unterlinden, quel capolavoro; apprezzando però, dello stesso polittico, non meno l’ardita e quasi medianica Resurrezione, mistico bilancia-
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bureau: era quasi un sosia di Hitler, soltanto più corpulento). Secondo i critici, nell’opera ricordata, Guttuso risente dell’arte di Picasso, che aveva dipinto, nel 1930, una Crocifissione non molto nota, e aveva detto al pittore siciliano «Non c’è tema più bello di una Crocifissione, tanto è vero che esso è affrontato per più di mille anni milioni di volte». Per l’ artista moderno, spesso dominata di una cultura intimamente profana e dissacrante, non è facile accedere all’arte sacra, ed esprimere il Sacro senza ambiguità mistificanti. La forza drammatica ed epica di Guttuso non bastò a rendere accetto il quadro alle autorità religiose in occasione della Mostra del “Premio Bergamo” (1943). Oggi il mondo cattolico, che ha molto meditato sul delicato e sfumato tema del rapporto tra arte e Sacro, accoglierebbe certo senza riserve il capolavoro di Guttuso. Emerico Giachery
VACANZE A Cecco Angiolieri Che cosa fa da queste parti il vento spazzino alacre di smog e umidori se tutto qua profuma d’erbe e fiori?
mento e riscatto del grido abissale di quella Crocifissione. Nel settore della romana Galleria d’arte moderna di Valle Giulia dedicato a Renato Guttuso, l’opera che più mi affascina è La Crocifissione. Precede di alcuni anni l’ adesione, che pareva allora quasi d’obbligo, di Guttuso e di molti “intellettuali” (detesto questa parola che evoca una divisione artificiale di funzioni, ma non è facilmente sostituibile) al verbo del realismo marxista sostenuto da Ždanov, che ha prodotto spesso opere retoriche e di dubbio gusto anche dello stesso Guttuso. (Tra parentesi, ho visto di recente una fotografia di Andrej Ždanov in divisa, con i suoi bravi baffetti, tra due membri del Polit-
Lontani i flutti indocili del mare che ‘l vento con la sua frusta rabbiosa usa spietatamente governare. Ma guarda come lieve si riposa scherzando tra i capelli e il foulard rosso e la maglietta della bella ritrosa. Lascia che le sollevi un po’ la veste e mostri a noi le sue gambe gloriose che danno gioia alle giornate meste. E rechi a me le sue dolci parole come petali vivi e profumati e gli altri pretendenti discacciati siano, e solo a me rida l’amore. Guido Zavanone Genova
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LA STORIA DI
TARAS SHEVCENKO, IL POETA PATRIOTA DELL'UCRAINA di Luigi De Rosa
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UANDO Taras Grigorovic Shevcenko nacque a Morynci, nei pressi di Kiev, il 9 marzo 1814, suo padre Gregorio era un servo della gleba. Quindi era un servo della gleba anche il futuro poeta e scrittore, che per amore della patria ucraina avrebbe poi trascorso gran parte della sua breve vita nelle prigioni di san Pietroburgo o in esilio, grazie alla polizia segreta e ai decreti dello zar Nicola, per essersi ribellato a una condizione umiliante per sé e per il suo popolo. Mandato a scuola, il piccolo Taras si era rivelato intelligente, portato per le lettere e con capacità non comuni di pittore e disegnatore. In seguito sarebbe stato un pioniere nell'arte della fotografia e, soprattutto, in quella dell' acquaforte (nell'intero Impero Russo) tanto da meritarsi il titolo di “accademico” dell'Accademia Imperiale delle Arti, grazie a questa nuova tecnica. Ma la sua frequenza regolare della scuola si era dovuta interrompere a causa dei morsi della miseria che affliggeva la sua famiglia. E aveva dovuto andare a fare il pastore, passan do intere giornate in triste solitudine e in un
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forte avvilimento, alleviato solo dalla passione per il disegno, che non lo lasciava mai. In seguito era passato, come servo, alle dipendenze di un gentiluomo che lo trattava con umanità e simpatia, un certo Pavel Engelhardt, che lo portò a vivere prima a Vilnius e poi a san Pietroburgo, e che, soprattutto, colpito dalle sue inclinazioni artistiche, gli fece frequentare l'ambiente degli artisti di san Pietroburgo. Fu così che conobbe il prof. Karl Briullov, che lo prese a lavorare nel suo laboratorio all'Accademia delle Arti, e un giorno, addirittura, comprò la sua liberazione . Era il 1838, Taras aveva 24 anni, e cominciava la sua vita da uomo libero. Nel 1840, a ventisei anni, gli fu pubblicata una prima silloge di poesie, Kobzar, che riscosse poi l'ammirazione del grande scrittore, filologo e storico ucraino Ivan Jakovlevic Franko (1856-1916) che lodò soprattutto la viva freschezza ed originalità del linguaggio di Shevcenko nell'ambito della storia letteraria dell'Ucraina, pur avendo scritto, lo stesso Shevcenko, anche opere in lingua russa. Lo scrittore, però, finì con l'incappare nella rete dell'Ochrana, la polizia segreta zarista . Nel 1847 fu arrestato perché tra le carte della società segreta Cirillo e Metodio, fu trovato il suo poema “ Il Sogno”, nel quale abbondavano le critiche aspre alla politica oppressiva dello Zar. Prima finì in carcere a san Pietroburgo, poi fu mandato in esilio come soldato nella guarnigione di Orsk, negli Urali, e, per disposizione dello Zar, “sotto stretta sorveglianza e col divieto di scrivere e dipingere”. La grazia imperiale gli fu concessa solo dieci anni dopo, nel 1857. Comunque non poté ritornare nella capitale, ma dovette accontentarsi di risiedere a Nizni Novgorod. Solo nel 1859 gli fu concesso di rimettere piede in Ucraina. In luglio fu riarrestato per blasfemia, ma subito rilasciato, purché abitasse a San Pietroburgo. Morì in questa città, dopo anni di intenso lavoro letterario, il 10 marzo 1861. Il suo fisico non aveva retto oltre, dopo una vita di strapazzi. Sepolto a Smolensk fu poi traslato dagli amici in Ucraina, dove l'8 maggio fu sepolto sulla at-
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tuale Tarasova Hora, o Collina di Taras. In tal modo, sarebbe stato esaudito un preciso desiderio dello scrittore-patriota, che così aveva scritto nella sua poesia Il Testamento (Zapovit), tradotta da Evgen Kracevic : “ Quando morirò, mi interrino sull'alta collina, fra la steppa della mia bella Ucraina. Che si vedano i campi, il Dniepr con le rive, che si oda il muggito del fiume stizzito. Quando porterà il fiume al mare azzurro il sangue nero, lascerò allor la tomba ed andrò da Dio per pregare...Prima di ciò non conosco Dio. Sepoltomi, insorgete, le catene rompete, che il sangue dei nemici spruzzi la libertà. Nella vostra gran famiglia nuova, liberata, vorrei esser ricordato con parola grata.” Secondo gli esperti di slavistica, è grande l'importanza dell'opera di Shevcenko, sia di quella in versi che di quella consistente in lavori teatrali di forte impatto popolare. Si ritiene che egli abbia contribuito in maniera determinante alla creazione e sistemazione della lingua ucraina (qualcuno lo ha definito il Manzoni dell'Ucraina), e che abbia consentito e alimentato, con passione e romanticismo, la formazione di una coscienza nazionale ucraina, influenzando, in certo modo, perfino le abitudini di vita dei connazionali. Sono numerosissimi i monumenti a lui dedicati, e non solo in Ucraina (a Kaniv, e nel centro di Kiev, etc.). L'Università della capitale è dedicata a lui, così come una stazione della Metropolitana (Tarasa Shevcenka), così come una città ucraina, Korsun Shevcenkiv-
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skyi, etc. A San Pietroburgo il primo a far erigere un monumento allo scrittore anti-zarista fu Lenin, nel 1918. In molte città dell'ex Unione Sovietica vi sono suoi monumenti, per la sua battaglia antizarista durata una vita, ma ce ne sono anche ad Orsk e nel Kazàchistan. Dopo l'indipendenza dell'Ucraina (che si festeggia in tutte le città il 24 agosto) monumenti a Shevcenko hanno preso il posto di altrettanti monumenti a Lenin. Ed oltre a quelli di Leopoli e di altre località, c'è un importante monumento a Shevcenko anche a Washington, per non citare una piazza di Parigi a lui dedicata, e un'altra piazza Shevcenko a New York. Del resto, l'amore dell'artista per la sua Ucraina non ha mai conosciuto soste o debolezze. L'Ucraina è il paese più grande d'Europa (dopo la Russia), e la sua terra è sempre stata fertilissima. Per secoli è stata dominata da popoli stranieri, a cominciare dagli Scandinavi (Rus) nell'882 d. C. , ma non ha mai perso il rispetto per la propria storia, il proprio paesaggio, la propria orgogliosa personalità. Cantava Shevcenko, in Ucraina , in un momento di desolato sconforto: “ Non mi importa ch'io viva o non viva in Ucraina, che rimanga o non rimanga memoria di me, sepolto sotto la neve, in terra straniera. Non m'importa. Ho vissuto in schiavitù, e in schiavitù morrò, morrò piangendo senza che nessuno mi pianga. E non lascerò traccia nella gloriosa Ucraina, terra nostra e non nostra. E non mi rievocherà il padre, parlando al suo figlio, non gli dirà: “Prega, o figlio ! Egli è morto, un giorno egli è morto per l'Ucraina !”. In una miscela inestricabile di romanticismo e di nazionalismo, peraltro tipici di buona parte del secolo Diciannovesimo e di Paesi costretti sotto il giogo di Imperi troppo vasti e oppressivi quali quello russo e quello austroungarico, si dibatte il “sogno” di Shevcenko,
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che non aspira ad un “abbraccio generale” quanto ad una concreta rivolta della coscienza nazionale e ad una indipendenza della sua Ucraina, conculcata da troppi poteri stranieri nei secoli. A questo punto, può accadere che il nostro pensiero corra ai giorni nostri, ai mesi, agli anni che si succedono in questo Ventunesimo secolo e che vedono “banalmente”, se non cinicamente, tra le cause principali dei conflitti tra i popoli (o meglio, tra gli Stati) campeggiare cose come petrolio, gas, elettricità...in altre parole, le fonti energetiche...per le quali qualcuno, purtroppo, non esiterebbe a mettere la pace mondiale a rischio tremendo. “Addio mondo, addio terra, paese ostile, le mie sofferenze, i miei mali in una nuvola nascondo. E tu, mia Ucraina, vedova infelice, da te io volerò per parlarti della nuvola...” Non è assolutamente consentito distorcere il significato delle parole del poeta, che a tutto pensava fuorché alle fonti energetiche, e difendeva ideali ben più alti di quelli che si agitano nei nostri giorni. Però non possiamo dimenticare che a Kiev, oltre ad affascinanti luoghi da visitare, c'è anche il Museo di Chernobyl, che nel sito dell' Ambasciata di Ucraina (www.amb-ucraina. com) viene definito “agghiacciante ma interessante”. Proprio sul territorio dell' Ucraina è accaduto quello che viene ricordato come “ il più grande disastro nucleare della storia”, aggiungendo che “...il disastro avvenuto nel 1986, e l'angosciosa lentezza della risposta ufficiale sovietica provocarono malcontento in tutto il Paese; due anni dopo, la chiesa uniate emerse dall'isolamento. Il Movimento del Popolo Ucraino per la Ricostruzione, un movimento nazionalista fondato a Kiev da intellettuali e scrittori, si diffuse in tutto il paese nel 1990. Nel luglio dello stesso anno, il Parlamento ucraino proclamò la sovranità della Repubblica (ma non la secessione), dichiarazione che non ebbe molto ef-
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fetto. Poco dopo il fallito colpo di Stato sovietico dell'agosto del 1991, il Partito Comunista Ucraino (CPU) venne dichiarato fuori legge e in dicembre la popolazione votò all' unanimità per l'indipendenza.” Anche così precipita la Storia. Luigi De Rosa LA BANDA DE COJONI Banda de deficienti, banda de ladroni, banda de purciari, banda de cojoni. A voi ve scrivo, a voi me riferisco: quanto siete patetici, e pure che n’la visto. Pe integravve in sta merda de società, pure la merda annate a magnà. Banda de burini, banda de scrocconi, banda de ignoranti, banda de cojoni. Non ve vojo più vedé, non ve vojo più sentì, me so rotto er cazzo de e storielle co udinì. Me so rotto er cazzo de e stronzate che sparate, me so rotto er cazzo de notifiche co Onedate; me so rotto er cazzo de e persone che spariscono, me so rotto er cazzo de e stronzate che nun finiscono. Volete sapere la verità? Mene sbatto ar cazzo pure de sta merda de città. Le persone di cui ti puoi fidare? Se contano co na mano, perciò non le lasciare. Sto posto de merda contiene più nozioni di quante ne sappiate voi, banda de cojoni! Carlo Trimarchi Frascati (RM), 29.04.2014
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 26/4/2016 L’Austria sta chiudendo il Brennero e pretende di controllare treni e auto sul territorio italiano. Alleluia! Alleluia! Inaudite tanta arroganza e sfacciataggine. E l’Italia che fa? Si lecca le ferite? Domenico Defelice
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LO SCIAME DELLE PAROLE
DI GUIDO ZAVANONE di Nazario Pardini
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N altra occasione ebbi a scrivere su Guido Zavanone: «Fenollosa Ernest Francisco affermava che la poesia è l’arte del tempo. Perché riportare tale affermazione? Perché il tema del tempo ha una funzione determinante nella poesia di Zavanone. Non solo da un punto di vista del memoriale, ma soprattutto da quello della realtà contingente: hic et nunc. In lui l’ieri, l’oggi e il domani si embricano indissolubilmente per dare energia espansiva al suo poema. È cosciente del tempus fugit Zavanone. E la realtà circostante la vive come frammento del suo essere mortale. Ma dall’altra parte sente l’urgenza di farne un accadimento perpetuo, di vincerne quel sapore di caducità, ricorrendo all’idea di arte/poesia; per proiettarsi oltre il breve tratto della vicenda umana. Oltre lo sfacimento degli autunni; per accostare le chant d’un chardonneret che sa tanto d’azzurro…». Iniziare da questo frammento testuale significa avvicinarci il più possibile allo spirito poetico di Guido Zavanone di cui Lo sciame delle parole segna, in maniera diacronica, le tappe fondamentali. Un testo corposo, di ben 350 pagine, che, dato alle stampe nel 2015 coi caratteri di Interlinea Edizioni, si presenta come tomo di grande fascino per la sua essenzialità editoriale ma soprattutto per il fatto che riporta a memoria volumi di grande pregio e di invitante livello contenutistico; consuntivo, nostos; il viaggio di una vita che ci pone di fronte alla valenza del poeta genovese, allo spessore del suo linguismo, alla polivalenza del suo verso e al proficuo entusiasmo per la scrittura. Sì, proprio così, una vita, un redde rationem, con tutto il suo rocambolesco andirivieni di sogni, di aspirazioni, di illusioni, delusioni, saudade, amore, memoriale e ignoto: «Vorrei cavalcare l’ignoto / e come un cavallo alato / allungare il collo nel vuoto / nel mai esplorato /…». Ma quello che più di ogni altra cosa incide sulla sua poetica è la
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coscienza della fragilità del vivere; dell’ esistere in questo mondo che lascia infiniti perché irrisolti e irrisolvibili. Tutte le questioni dell’esser-ci vi sono contemplate: abbrivi edenici, sobbalzi esistenziali, riflessioni ontologiche, scottature emotivo-vicissitudinali; e fughe verso l’oltre, verso una vetta da cui il Poeta possa abbracciare «… la (tua) sua croce nera / che affonda nella terra riarsa / e nel limpido cielo». Una vera spinta verso l’alto per sottrarsi alle deficienze della condizione umana: «Tu cercavi soltanto / un sorriso e lo trovi / nella foto sbiadita / della lapide accanto». Ed è proprio così: il fatto che più inquieta è il rapporto fra l’uomo e l’infinito; fra l’ uomo e la scadenza di una storia; fra l’uomo e le aporie del viaggio: «… / Perché fratello, /non è una montagna felice /da salire cantando tenendosi per mano, /è una montagna di rocce, d’abissi, d’agguati, / dove l’aria ti manca / nessuna corda che ti possa aiutare /e sulla vetta ad attendere forse / null’altro/ che un cielo chiaro»; dacché non sempre la religione può sopperire a tale travaglio, per cui, spesso, si ricorre alle memorie per costruire un mondo virtuale, vero, più vero del reale nel tentativo di prolungare magari il fatto di esistere o di trovare un rifugio alle sottrazioni della quotidianità: «L’anima (se esiste)/l’immergerei nella fontana della / ritrovata giovinezza /…». D’altronde la poesia non è mai solo realtà fenomenica; non è mai solo il prato, il mare, il colle, l’arancio di un tramonto, o l’oro di un’alba. È essenziale che queste configurazioni si traducano in immagini, occorre che restino in animo a decantare per ri-farsi vere, vogliose di ri-vivere. Tutto deve passare dal serbatoio dell’anima; tutto deve essere intinto nel calamaio del nostro esistere: «Lungo i sentieri squallidi del tempo / già si spengono i fuochi e s’allontana il canto / delle dolci fanciulle. / La grande notte passa e nel suo volo / l’ ombre dei morti»; quei sentieri, quei fuochi o quelle ombre devono farsi corpo dei nostri frammenti di vita; devono essere commisurati al tempo che fugge irrimediabilmente; un repêchage continuo a corpo a corpo con la voracità della clessidra. Questo, tutto questo è
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nella poesia di Zavanone che, pur partendo dalle piccole cose, dai piccoli accidents o dagli odeporici messaggi, sa elevarsi all’ universale; sa oggettivare ogni sensazione che si fa parte di un tutto in cui ognuno di noi si ritrova, ricorrendo, anche, in maniera estremamente simbolica, al mito dei miti, sempre e estremamente attuale: «… / Alla soglia della luce / Orfeo si volterà, perderà per sempre / l’ amata Euridice. / Serberà il canto», quello che, nell’animo dell’Autore, può farsi eterno. Opera vasta in diacronico movimento: Lo sciame delle parole. Poesia di una vita, il titolo. Un titolo emblematico e risolutivo; un’ opera di grande forza comunicativa, dove il verbo, trattato con tutti i crismi epigrammatici e euritmici, diviene corpo indissolubile della storia del Poeta; elemento portante, fiore profumato in piena fioritura dopo una lunga fecondazione su terricci sapidi di vita: la cultura, il senso dell’estetica, la profondità psicologica, il culto della parola, l’amore per il poièin, lo studio, la riflessione, l’inquietudine, la ricerca della luce, del bello, del verso compatto e plastico sono gli ingredienti di un excursus antologico che, partendo da La terra spenta, si protrae fino all’ultima silloge inedita Ultime. Ed anche se i tasselli dell’esistere sono tante stazioni di una via crucis; anche se alla fine permangono dubbi e insoluzioni, quello che sembra primeggiare in questo percorso è una dolce illusione di memoria foscoliana: affidare tutto noi stessi al canto nella speranza che vinca le ristrettezze del giorno, la futilità del nostro soggiorno, per prolungare una storia oltre i limiti dei nostri orizzonti: Come ti ha cambiato il tempo, mio piccolo usignolo! Di te è rimasto soltanto il canto che accompagna il tuo volo (Il tempo e il canto).
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SE COSTANTE È L’APPRENDIMENTO T’insegnano tante cose una madre, un padre: t’insegnano ad avere memoria di farfalla per le cose bieche, d’elefante per tutte le altre; t’insegano ad avere orecchio per i movimenti minimi del cuore; t’insegnano a vivere la vita senza affanno anche nella ferocia delle cose; t’insegnano ad avere coraggio di notte nelle strade solitarie; t’insegnano che come le formiche anche il poco è essenziale; t’insegnano che il mondo è una casa; t’insegnano a tollerare le albe e i tramonti di una città ottusa; t’insegnano a sentire con i cinque sensi e... un sentimento; t’insegnano i luoghi e la loro storia; t’insegnano a togliere la ruggine dalle cromature; t’insegnano a vedere e a camminare dentro il buio; t’insegnano il significato dei riflessi dei lampi della vita; t’insegnano che l’Amore stupisce più del Male; t’insegnano ad amare fino all’ultimo diluvio;
Sì, il canto e il volo. Nazario Pardini Guido Zavanone: Lo sciame delle parole. Poesia di una vita. Interlinea Edizioni. Novara. 2015. pgg. 350, € 20
t’insegnano… Salvatore D’Ambrosio Caserta
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MARIA GRAZIA LENISA E I TEMI DELL'AMORE COME PREDESTINAZIONE DELLA PAROLA IN CANTO di Ilia Pedrina
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INGRAZIO con tutto il cuore la gentile offerta di Marzia Alunni. Mi ha inviato 'AMOROSE STRATEGIE', pubblicazione curata dal Circolo Rhegium Julii nel novembre del 2008. Ed è allora con fraterna devozione che trascrivo alcune tracce della lettera che ha accompagnato il dono: “... mi accingo ad inviarle l'ultima opera di mia madre Maria Grazia Lenisa.... È un'emozione profonda, un ponte fra generazioni, unite dall' amore per la Poesia! A questo mi fanno pensare le sue parole, le riflessioni ormai irrinunciabili che a tutti i costi ci obbligano a rivedere molti aspetti del secondo Novecento frettolosamente storicizzati... mi impegno a sostenere il lavoro e l'esempio di cultura che ci è stato tramandato. C'è ancora molto da fare...”. Da allora questo volumetto appare e scompare, per riapparire poi nuovamente e farsi annotare, in differenti stratificazioni di tempo: dal novembre 2009, quando per oltre tre mesi ho avuto entrambe le braccia 'inservibili', mi è stato compagno di respiri e d'immaginario. Non potendo scrivere, registravo a caldo le mie interpretazioni dei testi poetici di questa Amica di sogno. Allora come ora la tensione illuminante i suoi percorsi e le esperienze in rimandi d'immaginario e di concreto vissuto
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mi hanno coinvolto su piani di crescita emotiva e conoscitiva di elevato livello ed i due tempi dunque, una miriade d'istanti durata quasi otto anni, si fondono senza sforzo, in trasparenza, allo scopo di cogliere il profilo di questa '...donna di versi/ che inventa l'amore..'. Quella di M. G. Lenisa è audacia sacrale ed il lato sacrificale è quello della parola poetica, che riduce un poco il circuito stesso delle emozioni che evoca e provoca: piaceva a Francesco Pedrina quella sua verginale sfrontata forza di affrontare la vita anche nei suoi lati più tenebrosi, facendosi scudo con una atavica riservatezza e purezza ctonia, la cui consistenza ella riserverà alla tensione spirituale. Infatti dirà ella stessa: “... La forma metrica armonizza con il mio studio dagli albori ad oggi, proponendo un possibile contrasto non privo di asprezze, sadismo, tenerezze inutili, forse. Quindi ispirazione, sperimentalismo si trovano uniti senza che abbia la pretesa di rivalutare il genere, ma di giungere ad un mio punto di arrivo... Non certo chiamo in causa il valore, ma la crescita della mia anima... grazie a quella lunga malattia che è la vita”. (da M. Alunni 'Maria Grazia Lenisa Scheda Autore, 16 maggio 2011, le interruzioni sono nel testo presentato). Utilizzo qui la fonte internet 'Poesia', un sito che ha come sua cifra il codice a barre, senza numeri e stracciato quasi al centro, in forma di foro, con gli sfilacci che vanno ad impedire ed a interrompere ogni tentativo di annullare la creatività originale, di imprigionare l'identità, affinché vinca in tutti i sensi, la nostra vera anima tangibile. A conferma di quanto aveva ben meditato il Pedrina, ella stessa detterà versi e riflessioni dalla profondità spirituale che andrà quasi a toccare i vertici dell'estasi mistica profanamente accordata, come in: Senz'armi Troverò chiusa la porta del cielo, Maddalena dubbia. 'Poco ti sarà perdonato perché poco hai amato.' Molto ho scritto - è vero -. Mi prende in giro Dio perché
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combatto senz'armi. (M. G. Lenisa, 'Amorose strategie', op. cit. pag. 44). Nel percorso esasperante della malattia allora il concreto in sfaldamento si gancia saldamente all'Assoluto, dimensione dell'esistere senza tempo, e lei detta versi d'incredibile orgoglioso abbandono: L'atteso parto Rimasi in senilità gravida nel sogno, i seni d'anatra distanziati, le ossa cave per i voli pindarici. È mia figlia la Morte, mi piscerà addosso, strana con quegli occhi fondi che sembrano cavi. Nata per il dolore, morrà senza latte. (M. G. Lenisa, op. cit. pag 37). La cruda, delirante vitalità lacerata dalla sofferenza si sofferma su ritmi d'antichissima, saffica memoria ed il dettare lenisce l'inerzia del soccombere a termine e consente la sfida, nell'ironia audace di un immaginario originalissimo quale è quello condensato nella chiusa a sigillo di questa lirica: '...Nata / per il dolore, morrà senza latte.' Marzia Alunni chiude la presentazione della Poetessa proprio annotando dati su questo testo. Cito: “L'ultima opera di poesia, edita da Maria Grazia, è 'Amorose strategie', essa allude, ad un tempo, ai farmaci, per bloccare la neoplasia, ed all'eros. La silloge, introdotta da Pino Bova, è stata premiata al Rhegium Julii 2008 (inedito), ma immediatamente seguente
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è il saggio critico sulla poesia di Corrado Calabrò intitolato La scrittura del mare: si tratta di un'opera che vuole essere al di fuori de gli schemi consueti (come l'intero percorso della scrittrice), sebbene accurata nella documentazione. Il 28 aprile 2009 a Terni si conclude l'esistenza della Lenisa, ma restano ancora da scoprire molti aspetti della sua poesia, non ultimo il suo capolavoro inedito, Il Canzoniere unico. Scettica sulla riproposta del genere letterario, l'autrice ammette di poter scrivere un canzoniere, ma dedicandolo solo al Cristo, è un testamento spirituale libero e anticonformista nel trattare il rapporto fra vita, poesia come 'vita altra' e fede.” (fonte internet: M. Alunni, op. cit.). Intendo testimoniare quanto Marzia indica nel suo profilo con due poesie, tratte da questa raccolta. Interessante ed aperta alla vitalità pura dell'immaginario collettivo, condiviso attraverso la lingua di Poesia, è l'insieme di emozioni che trasuda in esse, da differenti angolazioni, perché l'esperienza, nella memoria, si presenta come un tutto in sintesi da filigranare, da sgranare in parole, da sgrumare nel ritmo e nell'incedere orientato delle immagini, tutte volte ad evocare e a provocare un abbandono sul quale meditare in profondità. Il risveglio Morire d'amore per te è come svegliarsi, offrirti un giglio gonfio di polline, l'amore resuscita i vivi. Ma un'onda mi riporta indietro in un mondo di neve, posso baciare le sue labbra di 'polvere bianca'. Sanno di manna, di gesso, palpebre d'una sognatrice ebbra, gelosa di te. (M. G. Lenisa, op. cit. pag 31) Sì, è così: l'amore deve portare a resuscitare i vivi, affinché non lascino morire a poco a poco la loro anima, la loro forza interiore originale, la loro autentica identità, unica nell'essere a questo mondo, punto di partenza e di arrivo della nostra parola come voce e come segno, anche nel respiro fermo della scrittura. Qui l'altro, il doppio di lei è Gesù stesso. L'arcobaleno'
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Quanta pioggia su di te, bagnata la camicia traspare il tuo pelo morbido, dal boxer preme forte 'l'importuno', come radice che smotta il corpo tellurico. Dalla mia bocca celeste spruzza l'arcobaleno, apri la bocca riarsa dal salino del mare. Dentro t'avvolge una cintura di suoni... Ridammi ora l'arcobaleno che non piove. Non perderti tra la folla, siamo tu ed io in un calore bianco. (M. G. Lenisa, op. cit. pag 11). Quelli del Realismo Lirico, allora, e Maria Grazia Lenisa con loro, sono protagonisti senza tempo di un flusso di coscienza poetica ed esegetica che non si spegne mai, perché si aggancia direttamente alla dignità stessa del fare della parola voce e significante di Verità. Ogni Poeta è sacro ad Apollo e a Dioniso insieme, teatro circolare della terra e della luce che su di essa si irradia. Domenico Defelice è il vero erede del Realismo Lirico e la pubblicazione del suo 'Il Croco' con il profilo biobibliografico ed il Carteggio inedito tra lui e la Lenisa è opera centrale per comprendere il loro vissuto d'esperienza, di lotte, di poesia. Torno al canto di lei e qui l'arcobaleno dice l'alleanza tra tutti i colori, forti nel frangere il bianco che li riunisce in sé e li avvita. Allora il colore bianco si fa calore, luce stessa e principio del vivere. '...come radice/che smotta il corpo tellurico': è questa vera testimo-
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nianza di purezza ctonia, perché ha la forza delle tensioni che non possono essere se non visibili anche al buio, quando straripano. Ai margini incede l'Eterno: per me non può presentarsi lontananza da questa scrittura in canto, complessa e talora segreta come i geroglifici, segnali da comprendere solo nella sfera della 'vocazione', attraverso un apprendimento ed una disciplina da veri adepti. Mi piacciono le divinità che fanno della tragedia il loro fine, con Eros instancabile al suo interno, che fa palpitare il dramma e lo provoca: Maria Grazia Lenisa, nella Poesia come nel dettato critico-estetico, è questa nuova creatura prismatica, porosa, seduttiva, sacrificale, che varca il tempo del Tempio a balzi. L'opera porta una dedica: 'A Te, per sempre...Maria Grazia Lenisa' Ilia Pedrina
LA NAVE SILENZIOSA Se arriva il giorno in cui salpare le ancore del tempo, una nave parte da questo porto per l’ignoto. Va silenziosa quasi nessuno fosse a bordo, mano o fazzoletto non sventola a questa partenza. Addolorato per quel viaggio chi è rimasto sul lido guarda all’orizzonte nero, lacrima giorni e giorni. Chi è amato nel mondo, ed è rimasto, attende invano non vuole credere che l’amante non farà ritorno. Oh miseri cuori. Non è questa l’ultima nave che parte non è questo l’ultimo lutto della vita mortale. Forse ognuno dei molti che sono partiti è contento del suo luogo Passano anni e anni, nessuno torna indietro. Yahya Kemal Beyatli Coviren (traduttrice) Prof. Süheylä Öncel, già direttrice Dipartimento Letteratura italiana - Università di Ankara.
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VIVIANE CIAMPI: D’ARIA E DI TERRA di Liliana Porro Andriuoli OLPISCE all’inizio di questo recente libro D’aria e di terra di Viviane Ciampi, una data: “venerdì tredici novembre duemilaquindici”, che è quella degli attentati di Parigi, un fatto tanto sconvolgente e raccapricciante, che ha profondamente turbato gli animi di tutti noi. Ed è significativo che l’autrice concluda proprio la sua prima prosa lirica con un evidente accenno: “Non pensi ai passi solo alle lampade tenute in alto all’atomo di pietà all’avvenire che dovrà deviare da sotto la buia scala. E l’odio - lo vedi? - può essere questa belva”. Così com’è significativo che nella seconda di queste prose liriche si accenni ai “Ladri di sole [che] ci camminano a fianco” e che poco oltre si legga: “Non ci sarà un solo angolo del pianeta senza odore di bruciato sorrideranno i nemici nel vederci ballare con l’angelo della speranza nel salone degli spettri” (p. 12). Indubbia-
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mente una poetessa calata nel presente, Viviane Ciampi, la quale vive intensamente i problemi del suo tempo. Notevole è in ogni caso questo libro specialmente sotto l’aspetto formale, perché in esso la Ciampi rinnova la sua poesia, adottando la forma del poemetto in prosa di cui D’aria e di terra possiede il ritmo e l’ errabondo susseguirsi dei pensieri, secondo l’ insegnamento che già fu di Baudelaire ne Le spleen de Paris e di Rimbaud in Une saison en Enfer e ne Les Illuminations. È una poesia, questa più recente della Ciampi, che si presenta come un flusso di coscienza e come un rapido lampeggiamento di immagini, attraverso la quale l’autrice si confessa e racconta i suoi percorsi esistenziali esprimendo i suoi stati d’animo, che fanno parte della sua storia interiore, da lei narrata con disinvolta bravura, servendosi di una scrittura dagli immediati accostamenti, per la quale i pensieri nascono l’uno dall’altro, misteriosamente. “IL ROSSO scommette sul rosso. Amaro sole finge di scaldare a meraviglia il suo giardino poi le sorprese le metamorfosi. I volti ancora più assorti. Piccole bugie bianche per sopravvivere. Le mani stringono strumenti da lavoro: rastrelli seghe martelli e vanghe. Mani vivaci. Vivaci ancora quel tanto da accarezzare gli anelli delle querce. Non bada all’ uragano la foresta … L’eternità è un pensiero telescopico sospeso a picco sulla stessa eternità” (p. 23). “SE INVENTERAI un tempo nuovo – un tempo del senso vivo – scorgerai ogni colore scaverai solchi nella terra troverai le ossa dell’amore per poi ricomporle. Da lì comincerai” (p. 43). Il senso va qui ricercato nello stato d’animo che il testo racchiude, andando molto al di là delle stesse parole, le quali suggeriscono sensazioni ed emozioni, oltre il loro ordine logico e grammaticale. “CI VISITA l’ansia nuda e disarmante con sorriso da Gioconda. Forma che sta nell’angolo della stanza come una fiammella tesa al nulla. Per legittimarla non occorre cercarne i motivi nell’interno cortile a noi estraneo. Per la strada soffusi scampanel-
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lii. Può accadere di colpo una mattina o nell’ora azzurra di un sabato pomeriggio” (p. 35). Si aprono questi poemetti talora con degli incipit immediati e suggestivi, come “SE ALZI gli occhi al cielo vedi gli arcobaleni dissolversi” (p. 36) o “NELL’ARIA tiepida di novembre musica d’acciaio di novembre” (p. 22). Altre volte il loro abbrivio è più disilluso e drammatico: “GIORNO DOPO giorno il male impastandosi al bene lo feconda” (p. 20) o “NON VEDI quanto poco tempo per difendersi dal germe dell’accadere?” (p. 32). C’è sempre però la volontà della Ciampi di andare a fondo nel penetrare la realtà che ella vuol decifrare, anche se continuamente le sfugge: “Ma che ne sai tu del linguaggio del sole e dei muri delle voci degli assenti incastrate negli infissi e del loro chiacchiericcio?” (p. 30); “UNO SGUARDO trafigge la trama del mondo” (p. 71). Talora la parola della Ciampi tende a farsi lirica: “La memoria dissotterra pietre notturne” (p. 31); “Ognuno sa. Ognuno sa le fratture insanabili”. (p. 24). In altri casi invece è la dura realtà che prevale: “Si consuma da sé il diario dei giorni” (p. 33); “L’inverno è quella stanza che ti custodisce” (p. 37). Da notarsi è l’uso che l’autrice fa del pronome “tu” in questi poemetti, talvolta sostituito dal “noi”. Del resto un’alternanza di atteggiamenti di fronte al reale la s’incontra anche altrove in Viviane Ciampi, la quale se in DI COME LA TERRA parla di “conflitti gulag genocidi”, in ABBATTI SENZA spazi conclude dicendo “c’è sempre domani alla fine” (40-41). Molte sono in queste pagine le immagini incisive ed efficaci, quali: “le conchiglie degli occhi” e “Ladri di sole” (p.10); la “diga del tempo” (p. 21); “la nave del sonno” (p. 25); il “germe dell’accadere” (p. 32); l’“occhio dell’ ignoto” (p. 58); “la scommessa dell’alterità” (p. 63); la “voce di conchiglia dell’ora sommersa” (p. 64); le “sere all’acido bianco” (p. 69); “il suono [che] frusta l’aria” (p. 70); ecc. Ciò che qui maggiormente conta è però l’ andamento della frase; le pause e le riprese; la ricercata armonia dell’insieme.
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Emergono da queste pagine inoltre molte assorte meditazioni, quali: “Forse noi aspettiamo troppo ciò che ci aspetta” (p. 51); “TARDANO AD ARRIVARE i giorni della quiete” (p. 68); così come emergono le osservazioni che l’autrice fa su se stessa: “Sei rondine di mestiere creatura d’aria-terra fors’ anche un po’ maldestra” (p. 57). Si vedano pure le subitanee intuizioni, quali: “E improvvisammo nuovi paesaggi e improvvisammo la forma del tempo e la freccia del tempo” (p. 61). C’è in una delle ultime poesie di questo libro come l’intuizione della circolarità del tempo, che rinasce in ciascuno di noi per ripetere lo stesso miracolo: “Il sapere che tutto ricomincia. Allora accarezza il passaggio del tempo. Pensi alla dolcezza come a un fatto naturale. Pensi alla dolcezza che non ha fine. Al fatto che da stella stella ritornerai” (p. 77). Il che richiama alla mente la teoria dell’ “Eterno ritorno” di Friedrich Nietzsche. È in questa consapevolezza di essere un frammento del tutto che la Ciampi trova la sua ragion d’essere e il suo compimento. “VAI NON TANTO per andare. Vai perché sei tu per il gesto d’abbraccio per capire il tremore” sono le ultime parole con le quali la raccolta si chiude: e contengono anch’esse un profondo pensiero. Liliana Porro Andriuoli VIVIANE CIAMPI: D’ARIA E DI TERRA (Edizioni Fili d’Aquilone, Roma, 2016, € 13,00)
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 14/5/2016 Papa Francesco ha colpito ancora nel segno: prima di cani e gatti viene l’essere umano. Alleluia! Alleluia! Il suo illustre e santo alter ego ammansiva lupi, predicava agli uccelli, non nelle chiuse stanze cittadine, ma nella natura, nel loro ambiente. Amare gli animali, ma non abusare di loro, non violentarli ponendoli al posto dell’uomo, da uomo costringendoli a vivere. Domenico Defelice
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PASSIONALITÀ E NOSTALGIA PER LA BELLA E SOFFERTA CALABRIA IN
RINO CERMINARA di Leonardo Selvaggi I D Eboli senti di essere scrostato, ritornato con te stesso. L’asprezza dei luoghi, tutto pare risvegliarti: naturalezza di cose e di colori che vengono incontro, “familiari ti tornano le case/ balconi con ghirlande di cipolle/ e pomodori a grappolo”, I luoghi dove in libertà ci si slanciava, tutti presi nella vitalità dell’immediatezza. Correndo con una certa furia, quasi una fuga dalla città convulsa, anonima che ti imprigiona, che ti pesa con grifagni artigli su un corpo che pare svuotato, automa nella massa. Attratti dai luoghi che fermentano di ricordi, ove l’aria stessa, carica di delizie, è stimolante di richiami, di ritorni ad antiche sensazioni, a momenti vissuti, fissi nella mente. Per l’immensità dello spazio con solennità la Sila splendente, come animata, il poeta Rino Cerminara la esalta nel volume “Ultime nevi a Camigliati”. Con versi che si muovono ritmici, elegiaci, altisonanti, che balzano dall’ animo ardente di nostalgia. Di trine sottili, trasparenti i “…fiori/ di ginestra delicata di giallo/ e i cardi azzurrini” si colgono con sensibilità fine: lo sguardo reclinato con devozione, le mani leggere di seta sopra di essi. Un ritorno nel Sud è un rimuoversi di interiori energie, un ritrovare vecchi luoghi amati, è sentirsi rinnovato. Rino Cerminara con la sua poesia, cadenzata e scolpita con un linguaggio che si fa canto di vita, sente in tutta la persona il respiro ampio della Sila che è eterno brillio di primavera, fremente di luce e di verde. Tutta intorno la concreta, densa vita che prende a sazietà gli umori pieni delle piante. Si è alle fonti vere della bellezza naturale, incontaminata, “l’odore delle Sila penetra”. Tutto l’ambiente silvano tra ombre e luci rappresentato dall’accesa immaginazione poetica di Rino Cerminara. Pare che un’ am-
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pia figura di ninfa s’aggiri in vesti svolazzanti: la poesia è traboccante di ispirazione, va in genuinità di canto per le aperte celestiali altezze aurorali che sanno ancora di purezza primigenia. Tra terra e cielo un amplesso e una similarità di toni e di colori, sintetizzati in reciproci riflessi. II Piace del poeta di S. Giovanni in Fiore il forte substrato dei versi straripanti che portano a cogliere gli aspetti più deliziosi della Sila, in tanta parte rimasta un’isola felice, fuori dai miasmi diffusi della sconvolgente Era tecnologica. L’amore per la Natura è trasporto affettivo che si estrinseca con una poesia che si fa pittura in idilli di festosità di visioni. Rino Cerminara ha una passione per il suo Sud, tutta incarnata, che quando si esprime innalza l’animo trepidante in dolce, estesa esaltazione: “tra pini sereni e abeti fruscianti/ che giocano con le loro ombre/ ti apri ogni tanto all’azzurro/ di placidi laghi/ sparsi quali occhi abbagliati”.Si è presi da folle impeto verso plaghe di aspra bellezza del nostro Sud; ci ritroviamo lungo vallate apriche, rosseggianti di papaveri e smaltate di verde azzurrino. Tutto un sommovimento interiore, quasi un rifarsi in integrità e in essenza. La Sila, cuore di tutta la Calabria, stratificata di memorie. Tradizioni e leggende, fatti straordinari che si narrano. Sempre la vita degli uomini in tanti luoghi rimasta serrata in una immobilità di tempo senza conoscere trasformazioni. “Svettano di giallo i verbaschi/ nelle ristoppie dismesse/ confuse le danze di greggi e mandrie/ tra belati rotondi/ e latrati di cani da guardia”. Panorami unici in candida veste fanno l’esistenza della Sila, accerchiata da una beata solitudine nell’aria “incorrotta di pienezza estrema”. III Nel volume “Ultime nevi a Camigliati” poesia onomatopeica e antropomorfica che schiude varietà di aspetti della Natura in intrecci di compenetrazione, tutto rientra nell’ animo amplificato in effusione di oblio. Ha
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un senso la vita con la sua pienezza psicologico-realistica, in continuità di simbiosi con tutto lo spazio che avvolge riconfortante prendendo la terra e noi con essa in incontro di purezza e di simmetrie con”la freschezza delle…acque e la tenera luce della luna”. Tutta una giocondità di reconditi angoli che paiono fermi con forme di essere proprie. I versi si seguono formando cerchi, sentendo il poeta l’armonia della Natura in tormentoso afflato durante i brevi momenti di ritorno ai luoghi natii per ritrovare aperture all’animo compresso. La meravigliosa, inebriante Sila amata: “ questa terra che offre/ ai rassegnati/ sapore di vita/ non corrotto/ incolto come campo di pioggia/ spruzzato nell’estate:/ questa è la mia terra”. La poesia di Rino Cerminara ha uno stile classico-realistico con espressività dinamica, riempita di ampiezze figurative in netta evidenziazione che danno ai versi anarimi sonorità, compostezza elegante e raffinata forma. Si condensano arcano, arcaico e sublimità in un animismo sempre presente. Tinti di riflessi i rami degli abeti e dei pini, fasciati di ombre gli spazi felici che si prendono fra i tronchi, alzando lo sguardo alle cime piene di sole. La Sila di Rino Cerminara irrompente di germinazioni, esplodente di vitalità imperitura. Profondo il senso delle cose rudi e acri, attraenti gli umori del muschio, la dolcezza del miele, il profumo di resina, a gocce sulle cortecce spaccate. In “Ultime nevi a Camigliati” la Calabria è nel flusso delle vene, passa dentro con pietre e spine, fiumare e terre aride, tartassate da frane e alluvioni: giganteggia la Sila, un labirinto verde, immerso nel silenzio, attraversato da voci magiche, da echi in lontananza.”questa terra grumosa/ e mai fradicia/ dove i cani d’agosto in volo alzano la quaglia/ a gioco;/ questa terra ansiosa/ di nutrire groppi/ di abeti folti e pini/ a caprioli lepri cinghiali/ sicuro rifugio/ e volpi brune”. IV Nella poesia di Rino Cerminara, forte di significati, ricca di risonanze e di immagini, si risente il linguaggio stretto e duro calabrese,
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la presenza di un passato di stenti, l’ ostinatezza di una gente semplice, fatiche inesauribili, virtù e spirito di sacrificio, condizioni misere e avverse che non sono mai mancate. I versi prendono ampiezze mitiche e profondità di sentimenti, una terminologia che rispecchia realtà complesse, tormentate. La forma limata e netta afferra contenuti rappresi, pieni di umori e di pensieri rimeditati. Si ritrova l’ accanito attaccamento alla propria terra, amata come una persona, la passionalità di animi sensibili con tutto un fondo intricato di legami a usanze inveterate che hanno voluto dire bisogno di libertà e di estrinsecazione di connaturate energie e di capacità perseveranti. Una realtà spiritualizzata che si tiene ancora in tanta parte ferma, come fuori dal tempo. Rino Cerminara avverte che “L’aria è come allora/ sempre tersa/ da una brezza che arpeggia leggera/ alle corde del mattino”. Con musicale accento si sente viva l’atmosfera di un azzurro fine e trasparente: “Rotea a vista accesa il falco bruno/ in giri larghi sulla verde valle…” .La poesia va per ogni dove, si innalza fra i “…rami dei pini/ stillanti resine aspre”, ritrova i ricordi come pezzi sparsi: hanno messo le radici in mescolanza con quelle dei giganteschi alberi, piena di luce l’ esuberanza dell’infanzia che “ha passi ansiosi e folli corse/ nel candore della loro ingenuità”, la si vede vibrante alle ultime luci del tramonto, quando “le ombre della sera coagulano/ sui pendii dei monti…” . La Sila con il suo verde incanto ha immediatezza di movimenti, non conoscendo relegati recinti, ma indefinite “mete sempre più remote”. Si vivono momenti edenici, rifatti si è rinati alle fonti vere esistenziali, scorrendo simili ad acqua cristallina, inseguendo suoni impercettibili negli spazi frammentati fra le piante. Tutto è felice con i volatili, le farfalle e le api che ondeggiano con leggera bizzarria. Anche il poeta è in esplosione di lietezza con ogni manifestazione che si ha intorno. V I versi della raccolta “Ultime nevi a Camigliati” sono il respiro dell’animo in effusione
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panteistica, contemplazione, estasi, piena esaltazione dei sensi, “In questa solitaria libertà/ non servono canti di inutili sirene”. Con fine e pronta sensibilità si dipingono o brillii trepidanti dei mutati aspetti, di tutte le apparizioni del mondo puro, solenne, divino della Sila. Rino Cerminara tutto preso da un trasporto nostalgico che si fa drammatico, divenendo desiderio incontenibile di rivivere la nudità espressiva di fascino e di cantore dell’infanzia, la genuinità-innocenza di quegli anni circondati da serena espansività e da un alone di sogno. Presenze sfolgoranti e intatte che la mente con ossessione si costruisce, ritrovandole sull’assolato greto del fiume Neto e lungo i tratturi “dietro ai belati delle greggi”. Le località della Sila donano benessere rinfrancandoci dallo stato di sperdimento che si ha nelle città, stretti nelle strutture meccanizzate e nelle artificiosità che inaridiscono l’ animo. Vitalizzano i sentimenti rendendoci aperti e comunicativi. La vicinanza di una Natura florida ricrea freschezza di sensazioni, sentendoci ritornati a maggiori vigorosità, fuori da tutte quelle deturpazioni che i tempi moderni producono con l’invilimento dei valori morali e la perdita dei buoni principi di civile convivenza. Il poeta Rino Cerminara nei luoghi natii della Sila, ripercorrendo le tracce degli anni dell’infanzia, ritrova a rivivere quelle forme di essere che consentono rapporti più naturali, fatti di vitalità piena, con l’ambiente che ci sta intorno: spontaneità e immediatezza che generano corrispondenze, amabilità senza egocentrismi e contrapposizioni. Le doti più connaturate tenute integre, senza alterazioni, quelle della semplicità, della vicendevole comprensione. Le località della Sila come tutti gli abitati più circoscritti e a misura d’uomo offrono angoli di vita serena, un certo godimento fisico e spirituale. Osserviamo valli profonde con odorose praterie dal verde smeraldino. Dovunque aroma e aria ossigenata rigeneratrice. Belle le tinte gialloporporine dei faggi e degli aceri in autunno. Un quadro fastoso fra cielo,alberi e corsi d’ acqua. Un rapporto stretto tra le popolazioni e la terra nei luoghi meno aggrediti dai progres-
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si del nostro tempo, la gente contenta del loro ambiente, vittima nel passato di crudeltà e di disavventure. Gli antichi oggetti, gli arnesi di lavoro rudimentali mostrano ancora l’ autentico volto della Sila, l’umana millenaria civiltà contadina. VI Paesi fermi nel loro tempo non si vogliono, li chiudono nelle prigionie, infossati in lontananze di oblio. Dove il cemento ha massacrato il verde puro, aperto prima alla libera atmosfera,tutti corrono, scambiando il turpe per il bello, l’artificio inaridito visto come nuova bellezza. La poesia dell’aureo volume “Ultime nevi a Camigliati” di Rino Cerminara contrastata dalle contraddizioni ha venature di forte amarezza. Non mancano d’altra parte borghi legati a costumanze che paiono pietrificate, seguendo “regole fisse di una storia/ ch’è sempre compiuta/ e si conforma/ ai volti asciutti di pastori/ assisi sulle pietre lucenti di granito”. Tanti i versi che ho citato, sono epitaffi che balzano con significazioni intense, non possono non essere evidenziati per quel certo furore che hanno dentro riversato, imprimendosi nel lettore con una cadenza tagliente ed una icasticità non comune di immagini. Le rocce sono attorno ai ricordi che trovano ricetto sicuro senza mai sfigurarsi, sono ombre vaganti in eterna presenza spirituale. Il poeta, continuo esule, li vuole risvegliare e vestirsi del loro aspetto, pieno di amore e di entusiasmo: “Ho un luogo solo al mondo/ terra di fauni, di miti/ e della mia memoria/ dov’è rimasta l’anima…” Luoghi pieni di forre, di avvallamenti e di alture, attorno volteggiano rapaci. Tanti i quadri idilliaci in estesa pace bucolica, che donano uno stato di piena distensione, “L’umore di greggi/ al letargo meridiano/ nel ruminare a testa china…” Evocazioni che passano per tutta la persona, portano la ruvidezza delle piante e i sapori agresti: in ampiezze allegoriche si dilatano prorompenti con ardore e la passione di pensieri tormentati. Visioni che vanno sospese per l’aria, dimentiche delle ipocrisie e delle alienazioni di città. La Sila esuberante, fer-
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mentante nel cuore di Rino Cerminara, bellezza naturale, ispiratrice da lontano a Virgilio di alcuni tra i suoi più affascinanti passi. A Luigi Paolo Courier sembrò il più bel paese del mondo. Un mare di verde nell’azzurro che si immagina popolato di figure mitologiche. Con malinconia si lamenta l’abbandono di paesi interi da parte degli abitanti, partiti emigranti, prediligendo le città a questi luoghi calabresi che sono veri paradisi, dove la vita dell’uomo può avere ancora spazi tonificanti. La terra ribolle nelle profondità di dionisiaci slanci che si intrecciano tra radici e rami. Borghi attaccati alla nostra pelle, pieni di storie, con case linde cariche di calore umano, con aspetti primitivi, angoli come dolci nidi che vengono incontro. “Nelle valli circostanti/ si vedono ancora sentieri per muli/ scie di resina/ sui tronchi dei pini/ accerchiati nelle proprie ombre”. Noto pure un romanticismo nelle pagine del volume “Ultime nevi a Camigliati” che si accompagna a espressività di getto: la nostalgia è lancinante quando nella mente si fissano certi momenti inebrianti che vivono con partecipazione, tutta estasi e sublimazione dell’essere proprio: “Se mi riuscirà ancora di tornare/ sarà di sera/ quando i raggi ultimi al tramonto/ ornano in giallo/ le chiome compatte dei pini/ e un ultimo mandriano accende/ il fuoco della notte”. VII Nella raccolta “Ultime nevi a Camigliati” di Rino Cerminara la laboriosità dei contadini, che si affaticano per magri rendimenti, e gli artigiani, appassionati nelle loro applicazioni pazienti, rendono ancora vive vecchie tradizioni e sistemi di vita sobria. La loro abnegazione sempre espressione di attività continua con capacità di adattamento senza mai venir meno nelle difficoltà. Il senso umano tutt’uno con le fatiche e le sofferenze, sentimenti di affettività e di amore per le loro care appartenenze, tenute con cura assidua. Una vita che si esalta con speranza e spirito di sopportazione. Sentimenti di carità e di fede sono presenti nella gente misera e di modi semplici della Sila. Troviamo insieme la figura di Cri-
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sto con le pene infinite, sacrificato sulla Croce, martoriato, che simboleggia il dolore umano e la volontà di elevazione e di riscatto da condizioni di vessazioni e di tormenti. Non Cristo dipinto e falso, venuto da Torino con Carlo Levi, Cristo moderno della Fiat e di una città progredita, addobbata di luce e di benessere. Nella Sila abbiamo Cristo con le spine e insanguinato in comunanza con la gente che conosce le lacerazioni di carni scarne, consumate in una vita contenta di niente, avversata e contrastata, sorretta da indomabili energie interiori, in lotte estenuanti portate avanti con dignità e orgoglio. VIII I ricordi di infanzia del poeta Rino Cerminara riconfortano la vita stressata e disamorata di oggi, sono presenti sui massi del greto del fiume Neto” nella Sila, fanno ritrovare se stessi, non più smarriti e spaesati: l’animo in altezza di essenzialità e di spiritualità riacquista la sua libertà esistenziale, tutta la propria identità, la vera integrità, come una pianta radicata e vegeta in ferace terreno. “Remote le assolate marine/ che solo pochi conoscevano/ si stava nudi/ a godere del fiume/ spiati dalle ninfe del luogo/ l’estate era bagliore di vita”. I giorni vissuti in accensione il poeta li rivuole, con strappi di sospiro, sradicare dalle labili immagini vaganti e coprirle di carne per sentire “…le ansie della giovinezza/ e i lieti turbamenti/ del cuore smanioso di voglie…” Il poco che si ama con segreta passione: i contadini dalle mani nodose e dalla pelle raggrinzita. La Sila con la gente che senti vicina, quasi non ti accorgi, col fiato leggero fra le ombre della sera, che grevi di stanchezza paiono fra le piante, radendo la terra umida e soffice. Il poeta Rino Cerminara della Sila conosce tutto, erbe rugiadose, conifere svettanti nell’azzurro, “merli sempre filo terra”, gli spettacoli grandiosi di luce variata con mille colori in lenta metamorfosi del tramonto e dell’alba, “la solitaria dolcezza della sera”, “il volo felpato di civetta”, “…la ginestra/ avvolgente nel suo dolciastro profumo/ che invoglia a cantare le cicale”, “il fumo dei
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camini…acre sopra i tetti/ di tegole verdastre”. Sono queste immagini che la memoria tiene conservate in presenze animate, che si seguono ostinate con tristezza fonda quando si è lontani. Il paese natio in diafane visioni, illanguidito e nel contempo amplificato lascia lacerazioni nostalgiche nel momento della partenza. La luce della città è un’altra, è inquinata, è tenuta soffocata dentro la marea amorfa di case accatastate, non si vede il cielo andando come miseri involucri di metallo, svuotati di anima, col muso per terra, incolonnati, spersi nella folla lungo strade chiassose e assordanti. Rino Cerminara si lascia andare spinto da interiori spasmi, che non si contengono, alle esaltazioni del canto poetico, che sono liberazione da stati ammorbati: l’ animo è intessuto di momenti stratificati che reclamano con folle ardore di essere rivissuti. Leonardo Selvaggi
[Senza titolo] Hai ragione, c’è questa lentezza che marcisce dentro e questo dolore tutto sommato trascurabile dei graffi che porto alla base della schiena ma il mio è un malanno discreto, da piedi scalzi e cicatrici inflitte solo sulla carta. E pure so che è difficile perdonarmi e amarmi ancora quando ho la voce stridula e le porte sbattono, mosse dall’aria che sollevo con le mie sottane se passo veloce da una stanza all’altra è per non vederti fra le schegge di vetro immobili,
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sospese nel tempo, che sono le tracce ultime del mio strepito. Eloisa Massola Casale Monferrato, VC
DIO Luce abbagliante che indora l’anima e riscalda il cuore. Giovanna Maria Muzzu Telti
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 19/5/2016 Marco Pannella se n’è andato; se n’è andato in quel “mondo” nel quale lui non credeva. Alleluia! Alleluia! Non vogliamo, né siamo in grado di giudicarlo. È stato strenuo e cocciuto guerriero per tutta la vita; centinaia le sue battaglie, alcune condivise, altre meno, come, per esempio, l’ eutanasia e la liberalizzazione delle droghe. Una cosa è certa: ha sconvolto le acque stagnanti di una società profondamente ipocrita e basta questo solo merito per renderlo grande. Domenico Defelice
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La studiosa affronta i prismatici mondi dello scrittore e poeta
CLAUDIA TRIMARCHI: DOMENICO DEFELICE di Ilia Pedrina
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N un volumetto agile ed assai originale, sotto la guida del chiarissimo professor Carmine Chiodo, la studiosa Claudia Trimarchi ha presentato, a conclusione del percorso di studi universitari in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea, presso l' Università di Roma 'Tor Vergata', Macroarea di Lettere e Filosofia, l'opera 'LA FUNZIONE CATARTICA E LIBERATRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DEFELICE', edita da 'Il Convivio', diretto da Giuseppe Manitta e fresco di stampa. L'immagine di copertina presenta una rarissima, involontaria fusione tra fotografia e pittura: il volto del giovane poeta Domenico Defelice si presenta chino quasi su se stesso, ad interrogare l'altro senza guardarlo negli occhi, men-
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tre a tutto campo emergono i temi di un suo quadro ad olio che rappresenta donne in sciopero, che urlano in un silenzio assordante. L' involontarietà dello scatto dimostra fili invisibili intessuti dalle forze destinali che ci legano e ci sospingono là dove inconsapevolmente dobbiamo scoprire il nostro volto, la nostra forza, il nostro impegno in condivisione. Se il volumetto si apre con questa immagine tra il bianco ed il nero rarefatti e variamente fusi a declinare la complessità di questo particolare 'silenzio', la fotografia del retro di copertina mostra la giovane Claudia, in un sorriso che sigilla la relazione con il lettore, portata avanti nel testo, in modo trasparente, innocente, diretto, impegnativo: queste allora le caratteristiche del suo sguardo, queste le sfumature di investigazione e di ricerca che si incontrano nel testo. Giuseppe Manitta firma la Prefazione e sceglie il versante audace della posizione critica controcorrente, richiamando l'attenzione sullo studioso trevigiano Giuseppe Bianchetti, che pochi conoscono e che quasi due secoli fa impegnava il critico letterario a fare i conti
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non con la fama degli autori, ma con la loro aderenza alla realtà, alla vita condivisa, ai tempi ed ai luoghi che l'ispirazione stessa attraversa nell'esperienza, prima di farsi canto e dettato scritto. E Domenico Defelice mostra in tutto il suo complesso percorso d'Autore questa intensa, aperta e via via sempre più articolata capacità di dare volto e voce alle sue esperienze, alle sue riflessioni, alle immagini che accompagnano la sua vita, ai legami di vita e di lotta, di sogno e di solitudine, di tensione amorosa in palpito e di abbandono gravido di tristezza. Nel corso della trattazione la studiosa Trimarchi sceglie di entrare a pieno titolo nei differenti ambiti che il Defelice attraversa, con coraggio e determinazione: dalla Poesia all'attività giornalistica, dalla critica letteraria alla esegesi di testi poetici e pittorici, dall'organizzazione di profondissimi contatti nazionali ed internazionali alla guida sapiente, energica, consapevolmente reattiva della Rivista 'POMEZIA NOTIZIE', per arrivare a sottolineare 'l'autentico e sconfinato Amore per la Poesia e per l'Arte' (C. Trimarchi, 'La funzione catartica e liberatrice della Poesia in Domenico Defelice', ed. Il Convivio, 2016, pag,13). Con l'abilissima guida del professor Carmine Chiodo, la giovane studiosa ha trovato le giuste coordinate per affrontare con disciplina il vastissimo materiale a sua disposizione, arrivando ad operare delle nette scelte di campo, lasciando in ombra, ma questo dato potrà essere opportunamente modificato nei suoi prossimi lavori letterari, figure di critici che sul Defelice hanno scritto ampiamente, come l'insigne poeta e critico Leonardo Selvaggi. Da Vicenza a Ferrara, da Ferrara a Venezia, da Venezia nuovamente a Vicenza, con questo volumetto da leggere e da annotare, sui treni come sul battello verso il Lido. Allora in numerosissime pagine la sigla in cerchio 'C. T.' va a segnalare la presenza attiva e vigile della riflessione dell'autrice sui temi presi in considerazione, siano essi legati al portato etico-critico-estetico di Sandro Allegrini, abilissima penna di pensatore acuto e verace, studioso con il quale Claudia Trimar-
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chi sceglie di condividere importanti prospettive fondantive, o vincolati al testo stesso del Defelice critico ed interprete di poetesse e pittrici, di poeti e pittori in sintonia con le sue ispirazioni innovative, in pieno riverbero esistenziale. Questo è evidente, tra le altre occasioni che ho individuato, anche nella sezione 'Tra autobiografia e universalismo. Motivi lirici ricorrenti nella poesia defeliciana', quando ella cita il legame d'amicizia tra Defelice e Maria Grazia Lenisa, proprio sul piano dell'essere e del fare 'Poesia': “...Ma se è vero - come scriveva Maria Grazia Lenisa nella lirica 'A un poeta che tace', dedicata al Nostro – che Una vita sol vive in terra / l'uomo, / ma s'è poeta, può viverne mille / ed apre gli occhi / sopra un mondo nuovo', la vita reale non è che il punto di partenza, il trampolino di lancio da cui spiccare il volo, trasmigrando in compagnia dei luoghi e delle persone amate in 'un mondo di cose sognate'...” (C. Trimarchi, op. cit. pag. 34). Si, 'un mondo di cose sognate', sono parole del Defelice: Claudia sceglie di inserire citazioni ampie e dirette, sia nel corpo del testo sia nelle note, perché ci sia un costante rimando alla contestualizzazione dell'evento esperienziale preso in considerazione, riportando il piglio deciso del poeta stesso o le sezioni critiche sul suo poetare tratte dallo stile investigativo ed introspettivo di Sandro Allegrini o di Orazio Tanelli, di M. G. Lenisa o di Ada Capuana e di altri ancora. Le altre due sezioni del testo, 'Dalla Questione Meridionale all' 'Uomo grandemente feroce': la parola poetica al servizio di un'urgenza sociale' e 'Nell' Hortus: la concezione di una critica onesta e alcuni parallelismi tra l'opera pittorica di Gazzetti, Scutellà, Mallai, e l'opera poetica di Defelice' sono ricche di contributi ben articolati, che interessano sia sul piano dello stile e della procedura critica, semplice ma aderente alla sensibilità in tensione del Defelice, sia sulla modalità innovativa di aprire il discorso del legame tra poesia e pittura: infatti la terza sezione mi attende in avventura, perché andrò a verificare quanto la giovane Claudia ha segnalato con
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piena determinazione. Bello il ringraziare, sì, bello far conoscere almeno in traccia i supporti d'esperienza che le hanno consentito di condurre alla meta questa prospettiva interpretativa, con quelle scelte operative e di critica estetica che rendono il lavoro degno d'essere tenuto in considerazione. Ilia Pedrina
SENZA TITOLO Vecchio mendico, il mio cielo di notte rumina lustri e decenni, li sfalda li inghiotte. Se a caso talora un attimo si salva è bricia non significante, la spina infissa, il nonsenso che smemora insensibilmente Dove il braccio di mare, onda riavvolta e srotolato invito a lande adorne dell’oro che irraggiava un altro sole? L’ebrietà degli aromi dal deserto, i vaghi sogni al rezzo delle palme, il tintinnìo d’argento agli eucalipti da zefiro recatri, o i ghirigori da stella a stella stemmante laudario dell’usignolo? Il mio Eden disperso, ora mi restano il ruminio flottante della notte Nel cielo avverso, la fame del tempo, me stessa nel folto nero sospinta della dimenticanza. Piera Bruno
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And unrolled call to barren lands adorned With the gold that another sun was shining ? The rapture of the perfumes out of wilds, The hazy dreams in the cool of palm-trees, The silver tinkle of eucalyptuses Brought by the gentle breeze, or the doodles From star to star high emblazing laud book of the nightingale ? My lost Eden, at the moment I have The floating cogitation of the night In the hostile heaven, the hunger for time, I myself pushed into the black thickness of the oblivion. Ha tradotto Benito Poggio poeta e saggista
IL GOLFO (per Tony) In un ventoso pomeriggio di aprile ho portato in riva al mare il tuo ricordo. Grigio era il cielo, il vasto mare mosso era l’immagine dell’infinito, che non muta anche se è sempre in movimento, così come non muta in me quel sentimento che ormai per sempre a te mi lega. E nel parlare di te era più azzurro il mare e il tuo ricordo come un raggio di sole mi scaldava. Mariagina Bonciani Milano, al ritorno da La Spezia, dopo il premio, 17 aprile 2016
NO TITLE Old-age pauper, my own nocturnal sky Revolver five-year periods and decades, Flakes them away, absorbs them. If at times A bit survives it’s unimportant bit, The thorn being poked, the nonsense that does faint so imperceptibly. Where’s the arm of the sea, ware being rewound
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 4/5/2016 Incalzati dalle inchieste dei giudici, siamo i primi nell’anticorruzione, gridano nel PD. Alleluia! Alleluia! Gli brucia non potersi più dire immacolati, l’esser primi nella corruzione. Domenico Defelice
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ANTONIA IZZI RUFO E LA CASA DEL NONNO di Nazario Pardini
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NTONIA Izzi Rufo è nelle cose, e le cose sono in lei. Un connubio stretto di realtà, sentimenti, di tradizioni, di aria imbevuta di tempi, altri tempi, dipinti di gioie e colori, di incantesimi, di paesaggi memori “di paesini vicini e lontani che si adagiavano sulle coste tra il verde e l’ immensa vallata solcata da ruscelli e strade che s’insinuavano tra campi e boschi, che scomparivano e riapparivano ad intermittenza…”. Un crogiolo di memorie che sgomitano per tornare a vivere arricchite dal pathos di una vita. Un imperfetto che con il suo senso di continuità dice da sé di antiche primavere, di volti scomparsi, di case e fiumi di un’età che intrepida, torna per vincere le sottrazioni del tempo. La casa di mio nonno, il titolo, ed è il primo racconto, eponimo, ad avvicinarci da subito a quello che rappresenta il memoriale per la scrittrice. Motivo e focus dominante, linea rossa che fa da coagulante nel dipanarsi delle tematiche. Diciotto racconti che spazia-
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no dai ricordi alla realtà, dalla storia alla fiaba, dal ménage al dramma senile… Una vita, insomma, tante vite raccontate con una scritture elastica e sciolta, avvincente e con vincente per la pluralità espressiva, e soprattutto per la molteplicità di sequenze volte a dipingere, a rappresentare luoghi e paesaggi come concretizzazione di stati d’animo scortati “dal vento che giocava saltava sibilava con me e con le querce di S. Rocco”. Una narrazione ricamata di trine e merletti che con le sue polimorfiche intrusioni tanto ci dice di poesia; di un vero canto che Antonia si porta dietro per donarlo al racconto. Sì, c’è questo travaso nella scrittrice, e in certi momenti non è azzardato parlare di prosa poetica, soprattutto quando Ella è presa da input emotivi rievocativi che la ri-portano a stornelli di vendemmiatori, all’uva moscatella, alla semplicità di una società di scambio. Antichi usi, fresche vicinanze, natura in veste variopinta, aspetto poetico di un periodo che l’Autrice ri-vive con strappi di saudade e vertigini di panica quietudine: San Rocco, La vendemmia, La spannocchiatura, La raccolta delle ulive, l’ Uccisione del maiale, La befana, Pasqua e Natale, un succedersi di eventi tinti di un autobiografismo che, emotivamente cotto a puntino, dà tutto se stesso alla intensità lirica di una poesia determinante per il valore del testo: “… Eppure/ c’è sempre/ nell’animo mio/ impressa una foto,/ sebbene sbiadita,/ l’ immagine viva/ di una bimba che corre/ col vento, nel vento,/ in un viale/ s’immette di querce/ i cui rami/ fronzuti l’attendono,/ l’ abbracciano,/ la portano in volo/ sul “Colle”,/ a sedere la pongono/ sopra una pietra/ rosa dal pianto/ ma calda/ ancora d’amore.”, dove una foto sbiadita, e una pietra rosa dal pianto segnano l’imperscrutabile corsa di un tempo che tutto divora, meno le cose che restano; quelle che si sono guadagnate il fatto di esistere. Il dipanarsi delle vicende continua con “Laura e Stefano”, un racconto il cui contenuto ci dice della fine del pianeta per l’ ingordigia dell’essere umano votato al male e al mancato rispetto della natura, ad una nuova guerra devastatrice: “… Distruzione di
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paesi e città, campagne, di tutto quanto era stato raggiunto dal progresso in tre millenni e morte di quasi tutti gli esseri viventi…”. Ma l’amore salverà il mondo: “Stefano e Laura s’incontrano in uno spazio desertico…”. L’ uomo ritorna primitivo: “… Non hanno attrezzi agricoli e si servono di pietre… per zappettare intorno alle piantine… Quella vegetazione segna l’inizio della rinascita…”. Un diacronico succedersi di tasselli storici: dallo sconvolgimento totale alla vita, dacché: “la vita è eterna, quindi indistruttibile, e risorgerà ogni volta dal caos”. E’ essa che vince sempre per la scrittrice, questo è il segnale positivo del suo pensiero; sebbene l’ uomo faccia di tutto per distruggere il pianeta, per annullare l’esistenza di ogni essere vivente, è nel potere della natura la vittoria sul tutto; anche sulla strada del regresso intrapresa dal genere umano. Segue Ripiego, (Cristina, Mauro, Leandro) una storia di sentimenti contrastanti, di ritorno alle radici, di insoddisfazioni, di tradimenti e pentimenti fino al ripiego a una vita ecclesiale, o di meditazione e raccoglimento: “ la donna… era assente, tutta raccolta in se stessa, la sua anima vagava nell’infinito, si spingeva nell’Oltre, raggiungeva, con la fede e la fantasia, il regno dell’ eterna felicità e lì sostava estasiata”. Continuano gli altri brani a prospettarci vicende e accadimenti di una realtà a volte trasferita in spazi immaginifici, ma pur sempre presente, vicissitudinale, resa umanamente concreta da una penna viva e vivace; attenta e perspicace nel cogliere i subbugli dell’animo umano. E il cerchio sembra chiudersi col ritorno all’ autobiografismo narrativo: Una storia come tante, dove l’Autrice torna a rappresentare paesaggi da sogno, incontaminati, dalle strade bianche, con aurore da petali di rosa, tramonti con tavolozze iridate. E’ lì che si trova e si ritrova; ed è lì che il suo animo incontra la quiete; dove i ragazzi giocavano a nascondino; e dove gli ortaggi crescevano in abbondanza senza bisogno di concimi chimici; e dove Maria percorreva sei chilometri al giorno, per un viottolo di campagna fino al ruscello che attraversava saltando sui sassi. Sì,
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non la storia di una vita qualunque, di una qualsiasi vita; ma quella unica e inconfondibile, che ognuno vive e che la Nostra ha fatta sua, lasciandola in animo pezzo per pezzo; intingendola di tutti quegli intingoli che rendono saporiti i piatti; impreziosendola, insomma, con immagini arricchite da un tempo che ingrossa e sfuma, che indora e spigrisce, che orna ed adorna; da un tempo che inquieta, anche, non dandoci risposte sulla fine delle nostre storie: “(Maria) Risponde al saluto del cuculo, antico amico, contempla “la virgola” (il paese di fronte, di nascita di lei), freme all’abbraccio d’amore che Zefiro, per conto di “lui”, le prodiga, mentre l’accarezza, baci le imprime sulle labbra, sensazioni le provoca nell’animo, di tenerezza e calde emozioni”. Stati d’animo che trovano posto in versi finali e che sentono forte il bisogno di chiudere in poesia la loro potenzialità emotiva: (…) di nuovo è tornata primavera “Tu, amore mio, non torni”. Così Maria, lo sguardo lontano, oltre l’azzurro, oltre l’infinito. Nazario Pardini Antonia Izzi Rufo: La casa di mio nonno. Il Convivio Editore. Castiglione di Sicilia. 2016. Pg. 144. € 13,50
I MIEI GIORNI Passano, bigi, come il cielo piovoso d'autunno; non li illumina il sole né la speranza o il pensiero del futuro, scorrono nell'attesa scaramantica di "Quando sarà". Che lunghi essi siano, anche se "contati", e non dolorosi, che avvenga "l'evento" all'improvviso, e che io non me ne accorga. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno, IS
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LA POESIA È LA CASA DELLA CULTURA di Susanna Pelizza
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L David di Donatello, alla cerimonia di premiazione, tenuta il 18 Aprile 2016, Cattelan, riprendendo Sorrentino, dice che “il cinema è il soffitto del cuore” e se i film assolvono oggi come oggi una funzione importante nel renderci complici e partecipi delle nostre emozioni è purtuttavia doveroso constatare che, invece, in maniera differente alla Poesia è riservato il compito di far crescere e promuovere la nostra cultura. La poesia non inciampa nei Heideggeriani sentieri sempre interrotti e che non portano a niente dell’esistenzialismo moderno (e sappiamo oggi quanto epigoniche risultano certe esperienze poetiche) ma, invece, poggia sullo “zoccolo duro” di una tradizione sempre comunque presente e vigile, vissuta in chiave personale e diventando esperienza di vita da trasmettere alle nuove generazioni. Senza la poesia la Letteratura muore e attualmente è in pericolo come sostiene Todorov (Todorov “La letteratura è in pericolo”). Una lirica affidata solo alle nostre latenti emozioni è decisamente condannata all’ oblio: una parola che si fa portavoce di Speranza, educando intellettivamente in un’ atmosfera di rimandi espliciti o impliciti o che trametta valori in cui nuovamente credere, è destinata forse a avere un futuro. È questo lo dico a tutti coloro che continuano a considerare il Poeta come una sorta di “sciamano” che ha a che fare con la magia delle parole, quando, invece, è un cultore della tecnica e dello stile. Susanna Pelizza
PESARO, LA MIA CITTÀ Amo Pesaro, città che m’accolse da bambina. Ricordo me alunna,
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i bravi insegnanti che m’aiutarono nella mia interiore crescita, nella mia ricerca di radici ed ali. Amo di Pesaro i due ridenti colli, sembrano proteggerla ai suoi fianchi. Su di essi m’incanta l’armonia del verde e dei fiori, avverto il fascino dei piccoli paesi da cui domino il mare, suggestivo pei suoi colori, nei mutevoli quadri di quiete e di tempesta. Amo la spiaggia nuda o sgargiante di ombrelloni, nuotando raggiungere gli scogli, vestiti d’alghe lucide di sole; e dal mare osservo il riposante verde del colle, stagliato sulle tinte del cielo. Pesaro è scrigno di antiche strade e chiese, di famosi palazzi. È patria di Rossini; ama l’arte nelle varie sue espressioni. Nell’Ottocento chiamarono Pesaro “piccola Atene delle Marche”. Sono orgogliosa d’essere sua figlia. Caterina Felici Pesaro
MADRE Per una madre figli e figlie sono bambini per sempre perché l'amore non cambia con il tempo. Pieno di sogni per il loro futuro di successo la risposta ogni madre ha in mente per la sua persistenza in attesa di accadere la speranza infinita. Teresinka Pereira USA - Trad. Giovanna Li Volti Guzzardi, Australia
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I POETI E LA NATURA – 56 di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
LA “ROSA” E IL “SENTIERO POETICO” DI CAPRONI
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iorgio Caproni era nato a Livorno il 7 gennaio 1912 ma come poeta era vissuto sostanzialmente a Genova e, come afferma chiaramente nei propri versi, si sentiva un genovese. Anni fa ho dedicato a Caproni una mia poesia intitolata “Che cos'è una rosa?” ispiratami da quei suoi famosi versi (quelli, sì, notissimi) che dicono, a proposito della rosa : “ Buttate pure via ogni opera in versi e in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos'è, nella sua essenza, una rosa.” Perché il poeta, nella sua sensibilità e sincerità, riconosce apertamente la propria ignoranza (e quindi l'ignoranza dell'Uomo) nei confronti della Natura (qui simboleggiata dal
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fiore... per eccellenza). Non possiamo che ammirarla, la Natura. E magari viverci (ma non sfruttarla stolidamente e, troppo spesso, purtroppo, violentarla). Tutto questo, pur sempre, senza avere la pretesa di conoscerla nella sua “essenza”. Perché noi possiamo conoscere tutte le leggi e i meccanismi che sovrintendono alla vita di una rosa, dal punto di vista scientifico (cioè della chimica, della fisica, della biologia vegetale, etc.) ma non per questo possiamo dire che cosa sia effettivamente, sostanzialmente, nella sua peculiarità, una rosa (o qualsiasi altro organismo della Natura). La Natura rimane pur sempre, nel suo essenziale significato, una grande Sconosciuta. (Come non ricordare il famoso poeta americano Walt Witman, l'autore della raccolta “Foglie d'erba”, che confessava di non aver saputo rispondere alla semplice domanda di un bambino Che cos'è l'erba ?). Anche se, in sostanza, perfino l'Uomo (il Poeta) fa parte della Natura, a pieno titolo. Ma a sua volta lo stesso Uomo (il Poeta) rimane pur sempre un grande Sconosciuto, nonostante i trionfi dell'antropologia e nonostante tutte le Scienze che lo riguardano, dentro o fuori della Storia. E come può l'Uomo, che è indecifrabile mistero a se stesso, decifrare secondo i limitati poteri della Ragione, l'ancor più grande e tenebroso Mistero della Natura e dell'Universo? °°° Caproni amava molto la Natura. E non solo a livello teorico-intellettuale, ma anche e soprattutto a livello di benessere psico-fisico e spirituale. Amava fare camminate tra i boschi dell'Appennino, in Val Trebbia, a Fontanigorda, a Loco di Rovegno, dove è sepolto insieme alla sua amata moglie Rina Rettagliata, originaria di quei luoghi. E questo lo poteva fare prima di andare a vivere nella grande Roma, quando era ancora un giovane maestro elementare e incominciava la carriera di insegnante nella profumata Liguria, la terra della sua donna. E' rimasta famosa la sua poesia Ballo a
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Fontanigorda, dove alla gioia schietta dei contadini impegnati in un ballo campestre si mescola il profumo degli alberi e dei fiori, il fascino misterioso di una Natura genuina e amica. Infonde una freschezza d'animo meravigliosa il camminare lungo quello che si chiama ufficialmente Sentiero poetico Giorgio Caproni, un percorso che si perde nel folto dei boschi, infinitamente più bello e dolce di certe larghe strade e vaste piazze immerse nel traffico, nel fumo e nei rumori. Luigi De Rosa ___________________________________ ____________________________________
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rü’yâda/Sende çok yıl yaşayan, sende ölen, sende yatan).
PER OMERO I Omero visse in silenzio. Come le strade di montagna. E in silenzio - come l’acqua pronta a fluire preparò i principi della poesia. Come tutti i grandi poeti della terra cantò i lupi, gli uccelli, la furia del mare le prime fiamme i primi baleni del giorno. Perciò Omero somiglia solo ad Omero.
DA UN COLLE Ieri ti ho guardata da un colle, cara Istanbul! Non ho visto nessun luogo che io non frequenti e non ami. Finché io viva siediti sul trono del mio cuore! Amare anche uno solo dei tuoi quartieri vale una vita. Quante splendide città si vedono nel mondo, Ma tu soltanto hai creato il mito della bellezza. Per me chi più anni vive in te, in te muore e giace Vive nel più felice e lungo dei sogni. Yahya Kemal Beyatli (1885 - 1958) La poesia è compresa in un gruppo di brani dedicati a Istanbul e costituiti da quartine a rima baciata. Ceviren (ha tradotto), Piera Bruno (BIR TEPEDEN - Sana dün bir tepeden baktim azîz İstanbul!/ Görmedin gezmediğim, sevmediğim hiç bir yer./ Őmrüm oldukça, gönül tahtıma keyfince kurul!/Sâde bir semtini sevmek bile bir ömre değer.// Nice revnaklı şhirler görülür dünyâda,/ Lâkin efsunlu güzellikleri sensin yaratan./Yaşamıştır derim, en hoş ve uzun
PER OMERO II Sappiamo che Omero era esperto di lunga poesia e di lungo dolore Per questo andarono tornarono sulla terra il suo lungo mantello, la sua alta statura. Ilhan Berk Poeta e pittore (1918 - 2008) - Ceviren (Traduttrice) Piera Bruno
(HOMEROS İÇİN, I. - Sessiz yaşadı Homeros, Dağ yolları gibi./Ve hazırlandı sessizce - suyun/akmaya hazır oluşu gibi /Şiirin ilkelerine.//Dünyanın bütün iyi şairleri gibi/inceledi kurdu kuşu, azgın denizi /Günün ilk yalazlarını ilk balkımaları. // Burun için Homeros yalnız Homeros’a benzer. HOMEROS İÇİN, II. - Biliyoruz uzun şiir ustasıydı Homeros/Ve uzun acının//Böylece yerkürede/Uzun harmanisi, uzun boyu gitti geldi.) Ilhan Berk (1918 - 2008), poeta, saggista e traduttore - ha reso in turco tutta l’opera di Rimbaud - è stato anche un importante pittore. Per la grazia e la chiarezza espressiva è stato definito l’autore che trasforma in poesia ciò che sfiora. Infatti egli si riferisce sempre al reale e all’uomo; e la sua umanità non ha mai nulla di astratto, ma viene collocata nella storia e in definiti confini logistici come i nomi di Pera Galata Omero - nomi cari a
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noi genovesi e italiani - dimostrano. Piera Bruno
LIBERTÀ UGUAGLIANZA FRATELLANZA sono i fondamenti della nostra coscienza e della nostra volontà di essere francesi Che Libertà Uguaglianza Fratellanza siano svuotate perfino solo un poco della loro essenza quale scena di teatro e dei cittadini rischiano di accasciarsi su dei fondamenti di sostituzione quand’anche siano nemici di LIBERTÀ UGUAGLIANZA FRATELLANZA Béatrice Gaudy Francia N. B. “Libertà - Uguaglianza - Fratellanza” è il motto della Francia.
CECI N’EST PAS UN CHAT Si tu vois un chat ne dis pas que c’est un chat Dis que c’est un rat ou un serin ou un lapin ou n’importe quoi Mais surtout surtout ne dis pas que c’est un chat Si tu oses appeler un chat un chat tu cours grand risque de poursuites judiciaires QUESTO NON È UN GATTO Se vedi un gatto non dire che è un gatto Di’ che è un topo o un canarino o un coniglio o qualsiasi cosa Ma soprattutto soprattutto non dire che è un gatto Se osi chiamare un gatto un gatto
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corri davvero il rischio di procedimenti giudiziari Béatrice Gaudy Francia N. B. L’espressione francese “chiamare un gatto un gatto” significa “dire pane al pane, vino al vino”, ma con un’immagine diversa. Giacché l’ immagine del gatto si armonizza colle altre immagini del testo, l’espressione francese è stata tradotta letteralmente.
IL MUSICISTA Ogni mattina, il musicista Fa toilette con un FA; SI la musica è la sua passione, Egli non si sente mai LA (stanco); Legge le note sul RÉ (righe) Dei tanti foglietti Modellando il suo DO (dorso) Al di sopra del piano; Poi s’inclina verso il SOL per accogliere gli applausi; E a MI-notte sogna d’essere un genio, Creatore di future sinfonie... FA SI LA RÉ DO SOL MI! Océlyane Schengen Da: Le coeur en bandoulière, Edizioni Ippocrène, 2015. Trad. da francese di Domenico Defelice.
L’AMORE È UNA CULLA... L’amore è una culla In cui si rannicchia l’anima contusa Al riparo delle tempeste E delle ingiurie Sotto il cielo patrono Della felicità... Océlyane Schengen Da: Le coeur en bandoulière, Edizioni Ippocrène, 2015. Trad. da francese di Domenico Defelice.
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Recensioni TITO CAUCHI ARCOBALENO Editrice Totem, Lavninio (Roma) 2009, € 10,00, pagg. 76 Il fenomeno atmosferico dell’arcobaleno non mostra soltanto un’arcata di sette brillanti ed evanescenti colori, anzi al contempo infonde quiete. Una immagine biblica instauratasi in occasione della fine del diluvio universale al tempo di Noè, facente parte della “Genesi” nell’Antico Testamento. “Il mio arco pongo sulle nubi,/ ed esso sarà il segno dell’alleanza/ tra me e la terra./ Quando radunerò/ le nubi sulla terra/ e apparirà l’arco sulle nubi,/ ricorderò la mia alleanza/ che è tra me e voi/ e tra ogni essere che vive in ogni carne,/ e non ci saranno più le acque/ per il diluvio, per distruggere/ ogni carne./ L’arco sarà sulle nubi/ e io lo guarderò per ricordare/ l’alleanza eterna/ tra Dio e ogni essere che vive/ in ogni carne/ che è sulla terra.” (La Bibbia – Antico Testamento Prima parte, Collana ‘Le Religioni’ de ‘La Biblioteca di Repubblica’, Anno 2005, a pag. 53, Genesi 9, 13-16). Una trasmigrazione di sensi perché in quei colori eterei ci sono le nostre ricordanze di quando eravamo bambini e, senza andare tanto biblicamente lontano, in quel violetto, giallo, blu, indaco, rosso, arancio e verde – settori cromatici creatisi semplicemente per la rifrazione dei raggi solari attraverso le particelle di pioggia rimaste sospese nell’aria – ci sono anche e soprattutto le particelle dei nostri stati d’animo passati e presenti. È accaduto al professore di Chimica e Matematica, nonché avanzato critico letterario, poeta e non solo, Tito Cauchi di Anzio – ma lui è originario di Gela, provincia di Caltanisset-
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ta – di dare un invetriato valore e significato all’ insegna antichissima dell’ arcobaleno. Lui si è trovato prima e dopo questo fenomeno ottico, in un “Mondo di parole” e poi in un “Mondo senza parole”; in una situazione che poteva sembrare disperatamente piovosa e poi nella schiarita inaspettata, ma alquanto desiderata. “Parlare, parlare, parlare./ Quante cose ci son da fare!// Gli uni e gli altri si fan sentire/ mettendo il resto a zittire/ fanno mestiere della parola/ sì che padroneggia questa sola.” (pag. 38). Ritrovarsi così dopo un simbolico diluvio, che potrebbe essere di qualsiasi genere e non soltanto un innalzamento delle acque a causa di un’ abbondante caduta d’acqua dal cielo, e spingersi oltre la realtà circostante per cercare un rifugio, un’altra dimensione naturale, affinché si possa fermamente credere in quella divina alleanza di origine biblica, ed abbracciare quella speranza così tanto vaticinata. “Ho guardato tante volte/ le cose la gente/ eppure non ho saputo/ scorgere o leggere// il giusto significato/ che le mutevoli forme/ delle cose ci presentano.// Ho amato ho sofferto/ ho sempre pensato all’eterno/ alle cose che durano.// Gli anni si susseguono/ gli eventi si avvicendano./ Ho guardato invano?// Eppure ho sempre pensato/ alle cose che durano/ all’eterno.” (pag. 26). Ad un certo punto del libro, più o meno verso la metà, un’icona che rappresenta una donna che allatta tutto in bianco e nero, ossia l’immagine di stile primitivo della copertina del precedente libro dell’autore, dal titolo “Francesco mio figlio” del 2008. Stile primitivo perché c’è la rievocazione della donna tahitiana di Paul Gauguin (1948-1903) pittore francese, che permette al lettore di entrare in un altro programma esistenziale di Tito Cauchi, precisamente nei meandri del suo incolmabile dolore paterno per Francesco. Lui era una realtà, Francesco esisteva davvero e adesso il suo cuore continua a pulsare come prima, da quando è nata questa scelta di poesie scritte da un padre che non vuole e non può dimenticare. C’è stata una sentenza in relazione a quella tragedia; c’è stata una perdita mai più ricolmata, c’è stata una poesia composta nel trigesimo dalla sua scomparsa, quindi un mese dopo l’annullamento di una presenza che riempiva le stanze dell’intera casa, portando seco la brezza di una continua primavera, perché lui suonava la chitarra e il pianoforte, catturava e liberava le note musicali a suo piacimento, non conosceva l’inerzia … “Cigola il cancello, s’apre la porta/ e sei tu che rientri da scuola/ lasci cadere lo zainetto e canti/ dici di essere affamato e sgranocchi.// Non hai ancora finito di pranzare/ e già progetti gli impegni successivi.// Cigola il cancello, s’apre la porta/ e tu non ci sei. Ammutoliti
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sono/ il pianoforte, la chitarra, l’aria.// Eppure io sento la tua presenza/ il tuo respiro, la gioia tua/ riversarsi su di me./ E non oso dubitare.” (a pag. 59). Francesco è in quei colori dell’iride tanto sublimati dal poeta Cauchi e in quel segno che non sempre appare dopo ogni pioggia, lui continua a svolgere la sua vita di ragazzo pur non essendo più visibile ai mortali. È il destino di quelli che vanno oltre l’arcobaleno, che sono entrati nei suoi colori; mentre tra quelli che restano ogni tanto c’è qualcuno che per loro è riuscito a scrivere più di una memorabile poesia dai toni sfumati e cristallini. Isabella Michela Affinito Francesco non è figlio del poeta prof. Tito Cauchi, ebbene l’immedesimazione nei genitori reali, suoi amici, è tale, da fare credere il contrario (Ndd).
ERNESTO PAPANDREA E SCOPPIÒ LA RESISTENZA SALVO D’ACQUISTO L’EROISMO DI UN CARABINIERE Edizioni Universum, Trento, 2015 - Pagg. 28, € 6,95 Più che una carrellata di poesie sulle varie argomentazioni inerenti al Secondo conflitto mondiale, questo è un trattato di coscienza e per le coscienze, un resoconto personale svolto da un autore che non ha vissuto in prima persona l’ultima guerra, giacché nato diverso tempo dopo, ma l’ha udita raccontare anche soprattutto da chi si è distinto per determinate scelte eroiche prese sul campo, o sull’esempio di eroi-combattenti che per la frase gloriosa “sull’ arma si cade, ma non si cede!”, sono morti consapevoli della loro scelta. Fece questo il Caporal Maggiore, combattente volontario della Divisione “Acqui” in terra di Cefalonia, Luigi Lopresti, a cui si rivolge la dedica nelle prime pagine del volume, nato a Gioiosa Jonica quindi, concittadino seppure di un altro periodo storico del poeta Ernesto Papandrea, autore della toccante raccolta, ma principalmente della corposa prefazione in cui sono stati menzionati molteplici fatti salienti del periodo bellico in questione. Il poeta è ‘entrato’, documentandosi, nelle diverse scene drammatiche di quell’ epoca per poi mettere in versi le sensazioni provate semplicemente rileggendo le vicende da qualche parte. È entrato e poi ne è uscito drammaticamente cambiato, maturato interiormente, con una capacità di giudizio tale da non aver condannato nessuno, ma nemmeno ha perdonato facilmente. Lui è un poeta, un saggista attorno al suo territorio e non solo, e allora “mi sono solamente limitato a descrive-
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re con la forza della commozione del verso, avvenimenti, luoghi, stati d’animo, perché non posso in alcun modo forzare i fatti, parlare di un processo di reviviscenza di Cefalonia, di legami al filo del ricordo, in quanto non ho vissuto quei frangenti di vita o di morte per tutti” (a pag. 6). La silloge omaggia in primis la figura storica e l’azione compiuta dal Vice Brigadiere dei Carabinieri, Salvo D’ Aquisto, nato a Napoli il 15 ottobre del 1920 e morto a Torre di Palidoro il 23 settembre 1943, per una sua deliberata decisione presa sul campo; ovvero passato per le armi dalle truppe tedesche che, se non ci fosse stato lui ad offrirsi volontariamente, sarebbero morte oltre venti persone accusate di attentato contro i tedeschi. Salvo D’Acquisto è la fiamma centrale, la più luminosa e la più vibrante - Medaglia d’Oro al Valor Militare -, di un fuoco divampato con la parola “Resistenza” nel periodo, appunto, in cui l’Italia subì l’invasione nazista con tutte le sue relative prepotenze. Prima della fatidica data dell’8 settembre 1943, l’Italia era schierata dalla parte della Germania; dopo, invece, firmato l’ armistizio con gli alleati - firma dell’allora Maresciallo Badoglio e del Generale americano Eisenhower -, i tedeschi vennero considerati nemici e chi pagò le conseguenze furono quei soldati italiani in Grecia soprattutto, che si ritrovarono all’ improvviso con un nemico al fianco. Cefalonia non è soltanto il nome di un’isola, come Corfù, Zante ed altre dei dintorni, ma è rimasta il simbolo di una verità che tuttora sconvolge, scuote gli animi, perché lì migliaia di soldati dovettero scegliere se arrendersi ai tedeschi ed essere deportati in Germania, oppure di morire sterminati dalle truppe tedesche che si rinforzavano di numero ogni giorno di più sul suolo di quelle sperdute isole greche. “Il Caporal Maggiore Luigi Lopresti scelse la strada di non cedere le armi e, non quella della resa. Per questa coraggiosa scelta l’Associazione Nazionale Superstiti Reduci e Famiglie Caduti Divisione “Acqui”, gli ha conferito il diploma solenne con una significativa motivazione” (a pag. 6). Salvo D’acquisto, Luigi Lopresti, Anna Frank, il partigiano Rocco Jeraci anch’egli di Gioiosa Jonica, Giacomo Ulivi, gli sfollati a causa dei bombardamenti, i caduti di Marzabotto, i soldati morti sul Don, sono parte dei protagonisti delle poesie scritte da Ernesto Papandrea in questa occasione, dove non è stato facile comprendere l’oscura assurdità della guerra, qualsiasi guerra con le sue rovinose conseguenze. Nella coscienza dell’autore è avvenuta la miscelazione di tante altre coscienze di ieri e presenti; sono proprio i suoi veraci versi che hanno fatto rivivere gli incubi di quell’epoca, ricomponendo le strategie per la sopravvivenza umana nel quotidiano “E scoppiò la
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resistenza/dormendo nella paglia/per una patria libera/nell’armoniosa convivenza./I giovani gagliardi/sfidando la spietata rappresaglia/ moriranno ventenni/col radioso sole/partigiano/sulla terra italiana/ricoperta di viole” (a pag. 15). Ernesto Papandrea, con questa crestomazia, si è riconfermato poeta del verosimile e nonostante i sensi di commozione profonda, che hanno forato come una freccia la struttura letteraria di ogni poesia, è rimasto lucido e consapevole di quei giorni pieni di drammaticità da lui pigiati non per caso. Quando il Carabiniere Salvo D’Acquisto verrà beatificato, sicuramente avrà un peso maggiore la lirica, a lui dedicata, che l’autore ha composto riguardo al suo martirio non di carattere religioso, ma umano; un uomo soltanto sul piatto della bilancia per la fucilazione, al posto di oltre venti persone accusate di attentato, e il risultato sarà un santo con la divisa dell’Arma. “Risparmiateli/quei martiri di Palidoro,/fateli uscire via/dai reticolati/della vergogna./Immolerò la mia vita/per un’era democratica/con il cuore che batte/di speranza,/dentro questa divisa/di Carabiniere” (a pag. 26). Isabella Michela Affinito
GENNARO MARIA GUACCIO INCONTRI INDECISI Rolando Editore, Napoli, 2016, € 12,00 Un libro che ha per tema l’amicizia è questo di Gennaro Maria Guaccio, Incontri indecisi, nel quale l’autore ha raccolti ventuno racconti, oltre a un Prologo e un Epilogo. L’amicizia, che sta alla base di queste storie, è però considerata da Guaccio nelle sue diverse sfumature, che vanno dall’ amore (anche se, come dice Guaccio, “l’ amicizia non è amore o, almeno, non lo implica necessariamente. L’ amore, invece, è anche amicizia”) alla semplice simpatia; e viene trattata dall’autore con vivacità e freschezza di stile, disinvolto e sovente percorso da una sottile ironia. Si va così dal piacevole incontro che avviene in Una donna elegante, con la quale è possibile conversare di argomenti culturali (come quello riguardante la scoperta di preziosi manoscritti da parte dell’umanista Poggio Bracciolini o richiamare le dottrine di antichi filosofi, quali Aristotele e Epicuro), alla partecipazione ad una festa mondana di Un matrimonio di classe, che si celebra a Capri, durante la quale s’incontra persino il cantante Peppino, che da Capri prende il nome d’arte; dalle problematiche teologiche de Il seminarista, giocate sul filo dell’intelligenza e della cultura,
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all’assurdo delitto di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (un titolo d’ ispirazione pavesiana), nato dall’animo perverso di due balordi. In ciascuna di queste storie c’è però un rapporto umano, magari deviato, che può essere in qualche modo legato al concetto di amicizia, come accade a quello che nasce tra Mix e Abdullah, nel racconto intitolato L’elemosiniera di Abdullah, dove questo nigeriano immigrato in Italia cede il frutto della sua giornata di mendicante ad un altro immigrato più povero e sofferente di lui. Interessante è in questo racconto il rapporto che si stabilisce tra Abdullah e il monsignore con il quale scambia delle idee in materia religiosa. Ci sono poi nel libro di Guaccio i racconti nei quali si respira una sottile aria amorosa, come La mia storia è breve, nel quale la figura di Daniela s’affaccia in tutta la sua fresca bellezza: una bellezza spirituale più che terrena, che affascina e seduce. E ci sono i racconti inquietanti, come Il diavolo a primavera, nei quali l’atmosfera è tesa e si vive come in un gioco enigmatico di specchi. Il rapporto di amicizia che sta alla base di queste storie assume però sfumature diverse a seconda dei personaggi che si incontrano e si parlano. Un esempio lo è Incontri indecisi, il racconto eponimo, dove l’incontro tra l’insegnante ormai ottantenne e il suo vecchio allievo dà luogo ad un dialogo vivace e frizzante, che si conclude con un arrivederci, dopo una schermaglia sottile. Il racconto però nel quale Guaccio tocca i suoi maggiori risultati è Ansia metafisica, in cui si narra la vicenda di Terasia, una donna “nata in campagna quarantasei anni prima, in una masseria collinare a ridosso delle alture del maranese”, la quale ha subito un trauma quando era ancora una bambina, avendo assistito all’uccisione della madre da parte del padre, che l’aveva scoperta in un atteggiamento inequivocabile con uno dei suoi sottoposti, di cui la donna si era invaghita. Ciò aveva segnato indelebilmente il suo animo, facendo nascere in lei quell’“ansia metafisica” che le suggeriva delle tormentose domande sulla vita e sul male del mondo. Il che la portava poi a ribattere alle attestazioni in materia di fede del suo parroco, don Paolino, che, dopo la morte della madre, si era attivamente occupato della sua educazione, fino a farla diplomare in ragioneria. Ad interrompere il tranquillo scorrere dei suoi giorni, un fatto però era intervenuto che aveva ferito l’animo di Terasia, giunta al ventottesimo anno di età; e cioè la proposta di matrimonio fattale da un giovane del paese che sembrava dapprima mosso da vera simpatia e che poi si era rivelato interessato soltanto alle terre che avrebbe eredita-
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te alla morte del padre, ai fini della speculazione edilizia. Per fortuna Terasia si era accorta per tempo e aveva evitato l’errore di legarsi a lui, ma il fatto l’aveva profondamente amareggiata. Intanto, dopo trenta anni di carcere, scontata la pena inflittagli per il suo delitto, il padre di Terasia era tornato a vivere con lei, ma era ormai vecchio e bisognoso di cure, sicché la figlia l’ accudiva, benché facesse fatica a dimenticare l’ accaduto. Gli anni erano così trascorsi ad uno ad uno, quasi senza lasciare traccia. E pareva che il loro succedersi non dovesse aver fine, quando gli eventi precipitarono. Durante una festa paesana infatti, in occasione della quale venivano portati in processione dei “gigli” in onore del santo, uno di questi cadde pesantemente, avendo ceduto il sostegno che lo reggeva, ferendo mortalmente il padre di Terasia, che era lento nei movimenti e quindi non aveva potuto scansarsi in tempo. Gli rovinò addosso e non gli diede scampo. Il cerchio in tal modo si era chiuso. A Terasia non rimase che vendere i suoi beni e partire per l’ Argentina (meta ambita dalla madre, ai suoi tempi), per aggregarsi alle suore di Calcutta, che ivi compivano il loro servizio a favore dei poveri. Il tema dell’amicizia trova qui il suo sviluppo, specialmente nel rapporto tra Teresia e don Paolino, che le era stato affezionato e che l’aveva seguita negli anni. Decisamente negativo è invece il rapporto col prossimo che sta alla base di un altro racconto, Il professore di economia, che finisce tragicamente con la morte del professore, il quale non era riuscito, per la sua indifferenza verso il prossimo, a farsi un amico, avendo tentato di disfarsi persino del suo cane. L’ultimo racconto del libro, L’Annunziata, ha per tema la tenace ricerca da parte di Emilia (una donna che da piccola era stata abbandonata dalla madre, la quale l’aveva affidata al convento dell’ Annunziata, dove si accoglievano i trovatelli), della propria genitrice; ricerca che si conclude felicemente. L’Epilogo chiude il libro con una nota di pessimismo, perché in esso vi è la constatazione che ai giorni nostri “non c’è più amicizia da nessuna parte” e che “il demonio si è impossessato della terra e vi sta gozzovigliando”. La conclusione è amara, ma gli spunti che dal libro si ricavano sono molteplici e costituiscono piuttosto un invito a cogliere della vita anche l’ aspetto luminoso e a godere del pur piccolo bene che essa può dare. Elio Andriuoli
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ISABELLA MICHELA AFFINITO IO E GLI AUTORI DI POETI NELLA SOCIETÀ (Cenni critici), Cenacolo Accademico Europeo Poeti nella Società, Napoli 2005, Pagg. 52, f.c. La poetessa frusinate Isabella Michela Affinito racconta della sua conoscenza dello scrittore Pasquale Francischetti, Presidente del Cenacolo Europeo Poeti nella Società, con sede in Napoli, venendo a far parte del Gruppo Culturale dello stesso e rimanendo entusiasta delle pubblicazioni dei soci, edite dallo stesso Cenacolo. Ed è così che ha voluto riunire le sue considerazioni sulle trentuno opere stampate dal 2000 al 2005 (soprattutto di poesia), unendosi idealmente al Cenacolo, tanto che il titolo della raccolta non lascia dubbi: Io e gli Autori di Poeti nella Società. Gli autori, alcuni presenti più di una volta, sono: Salvatore Lagravanese, Adriana Mosca, Gianni Rescigno, Giuliana Milone, Rolando Tani, Ernesto Papandrea, Luisa Tocco, Maria A. Borgatelli, Pino Contento, Domenico Bisio, Prospero Palazzo, Giusy Villa Silva, Igino Fratti, Giovanna Mossa Trincas, Tina Piccolo, Carmela Basile, Angela Dibuono, Grazia Lipara, Rocco Raitano, Pasquale Francischetti, Ciro Carfora, Vinia Tanchis, Maria Colacino, Angela D’Acunto, Giovannina Bortolozzo, Maria Grazia Vascolo. In questa sede esporre il pensiero di ciascuno non è possibile per ragioni di spazio. Attrae la mia attenzione l’esergo della Nostra che recita: “Nel leggere gli altri scopro la mia verità!”, il che mi fa comprendere l’intento di ricerca di se stessa attraverso gli altri. Capisco da me che quel che affermo non è poi così originale; ma quello che intendo esprimere è che ciò che si espone sugli altri, spesso fa affiorare la nostra interiorità, i nostri interessi più impregnanti. Attraverso i Cenni critici presentati dalla Affinito, la stessa autrice, così attenta alla esplorazione, mette in luce il suo stile di vita, in senso letterario e filosofico. L’uso del lessico tradisce la sua attitudine all’arte figurativa, la sua formazione alle belle arti, il senso estetico. La sua scrittura procede a tratteggi pittorici, il suo interesse è quello anche di rilevare gli accostamenti fra gli Autori qui presenti e altri personaggi noti della letteratura e della pittura, come a volerne dare una chiave di lettura: come suol dirsi mette la ciliegina sulla torta. In questo contesto espositivo, facendomi prendere la mano dalle metafore, dico che la Nostra usa uno stile espressionistico moderato, cioè concreto e con leggere sfumature dell’impressionismo La Poetessa fa delle affermazioni, non fa allusioni vaghe che potrebbero
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rendere incerto il lettore. Isabella Michela Affinito avrebbe potuto amplificare quanto esposto per i singoli Autori, entrando nello specifico e lo scrivente fare la stessa cosa. Troviamo qualche venatura retorica della Nostra, quasi inevitabile in argomenti del genere, e qualche digressione di natura scientifica (p.es. formazione dell’arcobaleno). Mi pare che qui si rappresenti il poeta-pianeta, ma non in una accozzaglia di sentimenti e risentimenti, bensì con il distacco delle debolezze umane. La bellezza di questa raccolta sta nei toni sobri, misurati. La stessa ampiezza e impostazione grafica che riguarda ciascuna opera (riquadro della pagina e immagine di copertina) starebbero a rappresentarne un equilibrio. Il filo che collega i vari temi conduce ad un alveo dove trovano collocazione le tante aspirazioni dei poeti, nel segno del reale e dell’evasione che in una sola parola, possiamo sintetizzare, nel viaggio, reale e interiore. La natura offesa dall’uomo, le aberrazioni culminate con Auschwitz; l’invito a non cedere alla malinconia; l’amore della fratellanza; l’isola come distacco dalla terra-madre; il mendicante come disgregazione della società; la poesia come rimedio; la alterità o molteplicità esistente negli individui; ecc. La Nostra si riconosce nei temi trattati in Io e gli Autori di Poeti nella Società, nello spirito della condivisione. Il tutto viene esposto alleggerito da ogni scoria della quotidianità, con il buon gusto che fa apprezzare la poesia e la buona lettura. Tito Cauchi
porta, ciascuna formata da dieci versi (da cui il titolo). L’incipit recita: “L’alleanza è montagna da conquistare./ Solida è una montagna come la Legge/ che fa parlare la pietra o diventare acqua la roccia/ per dissetare un popolo.” Questa possiamo considerarla come la massima di base su cui poggiare la morale; ricorda che ogni conquista richiede fatica. Giungere alla sommità per poi ridiscendere, non basta, occorre perseveranza e le dieci chiavi consentono di comprendere il patto tra Dio e gli uomini, e tra gli uomini stessi. In questo percorso abbiamo la Rivelazione: Io sono il Signore Dio tuo. E proseguendo, apriamo man mano le dieci porte (Comandamenti). Mons. Raffaele Nogaro, nella nota critica in chiusura, mette in evidenza la struttura che ricalca linee geometriche che vagamente richiamano il viaggio dantesco della Divina Commedia; inoltre, da par suo, ci dà una rilettura e un riepilogo del Decalogo. Dieci x dieci di Salvatore D’Ambrosio, offre spunti per confronti con il Divino Poeta e diventa un’ opera pedagogica in chiave moderna sulla condotta di vita. Tito Cauchi
SALVATORE D’AMBROSIO DIECI X DIECI Sillabe incise a fuoco sulla pietra Brignoli Edizioni, Caserta 2016, Pagg. 32 (copertine comprese), € 9,00
Il corposo volume - come afferma lo stesso autore in Premessa - “è la prosecuzione ideale e fattuale” di un altro, apparso nel 2009: Giacomo Leopardi. Percorsi critici e bibliografici (1998 - 2003) “e si propone di tracciare un itinerario attraverso i contributi principali, dalle edizioni dei testi agli studi sulle opere e sul pensiero del Recanatese”. Si compone di cinque capitoli (pagine IX CLXIV) e una “Bibliografia leopardiana /2004 2008) con appendice (2009 - 2012)” suddivisa in varie scansioni tematiche (l’ambiente; le opere complete e parziali; atti e studi complessivi; studi sui Canti, sulle Operette morali, sulle opere varie e sullo Zibaldone; forme e temi del pensiero leopardiano; la religione; le scienze eccetera) per un complessivo di 458 pagine. Leopardi, che ha vissuto con difficoltà l’ambiente deprimente di Recanati (Manitta riporta, citando un saggio di Raffaele Urraro, il ritornello col quale i giovani sfottevano il poeta a passeggio per le strade del paese: “Gobbus esto/fammi un canestro: / fammelo cupo/gobbo fottuto”), ha costantemente so-
Dieci x dieci è un poemetto di Salvatore D’ Ambrosio, autore eclettico presente nel nostro panorama letterario. In copertina è rappresentato il Mosè di Michelangelo; nel testo incontriamo alcuni riferimenti, citazioni risalenti ai salmi, come le dodici schiere (tribù degli israeliti, Oreb e Elohìm), che creano l’ambientazione del grande evento biblico sul monte Sinai, che reinterpretano l’episodio del Patriarca e i Dieci Comandamenti. L’epopea inizia con una sorta di prologo denominato “(A)scendere” (con l’iniziale A entro parentesi) riguardante la salita e la discesa, a verso libero e a metro variabile; la parte successiva denominata Sillabe incise a fuoco sulla pietra, riguarda la scoperta del Decalogo ed è costituito da dieci composizioni, denominate dalla Prima porta, alla Decima
GIUSEPPE MANITTA GIACOMO LEOPARDI PERCORSI CRITICI E BIBLIOGRAFICI (2004 - 2008) Con appendice (2009 - 2012) Il Convivio - Pagg. CLXIV +294, € 35,00
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gnato di abitare e lavorare altrove, ma, ogni volta che è uscito fuori dal “borgo selvaggio”, ha trovato più amarezze e delusioni che conforti e stimoli. Attraverso l’esame delle sue tante lettere (che, secondo Costanza Geddes da Filicaia, confermano il “carattere di insincerità proprio, quasi per statuto, dell’epistolografia”) si possono seguire i soggiorni del poeta in Roma - nella quale ha goduto “Pochi (...) momenti piacevoli” -, Bologna - città che più l’ha affascinato, trovandola “quietissima, allegrissima, ospitalissima” -, Pisa - dove ha “proficui di incontri, tra i quali quello con l’ambizioso Giovanni Rosini” -, Imola - i cui abitanti gli appaiono “tutti scemi” -, Firenze e poi Napoli - dove il poeta muore - e si toccano temi come “l’infanzia e i suoi riverberi filosofici” e i “turbamenti d’amore”. Forse le delusioni più forti Leopardi le ricevette da Roma, perché “città dalla quale - scrive Manitta - Giacomo non solo si aspettava un gran rispetto intellettuale, ma anche una certa disponibilità nei suoi confronti”. Oggi più di ieri Leopardi è considerato “come filologo, come filosofo e come poeta”; è un antiromantico, ma, per alcuni, con tracce di romanticismo1. I suoi “Canti” debbono essere letti e interpretati solo come alta poesia o anche come filosofia? Riportando il pensiero di Nicola Merola, Manitta afferma che “l’opera poetica di Leopardi è sempre poesia e deve essere anche interpretata, secondo il desiderio del Recanatese, con fantasia e cuore di lettore”. Anche in fatto di religione c’è contrasto2; secondo Lionello Sozzi, per esempio, ne “L’ Infinito” la “dimensione leopardiana esula dall’ interpretazione religiosa di alcuni studiosi, ovvero si tratta di un infinito senza Dio”. Non c’è aspetto che venga trascurato, viene evidenziata anche l’ importanza che per la maturazione poetica di Giacomo Leopardi ebbero molti poeti antichi, tra cui Omero e Petrarca... e “Le canzoni con personaggio principale - evidenza Manitta - sono soggette ad una teatralizzazione”: siamo, cioè, in presenza di una poesia della voce, della quale di recente ha trattato Giuseppe Leone nel suo bel saggio “D’in su la vetta della torre antica”... Commenti, interpretazioni, proposte, contrasti, riguardano - come già accennato - non solo i Canti, ma anche le altre opere del Recanatese: lo Zibaldone, le Operette morali eccetera e centrale è sempre l’approfondimento del suo pensiero, sia nel rapporto con la scienza che con la Bibbia e il cristianesimo. Sebbene siamo in presenza di ricognizione di scritti altrui, il lavoro di Giuseppe Manitta ha il fascino della scorrevolezza e, perciò, il piacere di farsi leggere. C’è sempre il rischio di cadere nello
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stucchevole quando si è costretti a riferire e riportare giudizi innumerevoli su un autore per il quale si son riempite e si continua a riempire le biblioteche e che stimola incessantemente, giacché il genio è sempre più attuale man mano che si allontana dal tempo che l’ha visto nascere ed operare3. Leopardi - secondo quanto scrive Biancamaria Frabotta, riportata dal Manitta - è “un poeta in progressione cronologica, perché egli non ci appare mai interamente giovane, o vecchio, ma piuttosto sempre proteso in quel modo estremo di essere di chi è sempre più giovane e più vecchio della sua età cronologica e storica”; concetto ch’è di moltissimi altri, italiani e stranieri: María de las Nieves Muñiz Muñiz, per esempio, scrive che Leopardi “tiende hoy a ser visto como un contemporáneo” (la Muñiz Muñiz, scrive Manitta, “si attesta tra i commenti più importanti all’opera leopardiana e certamente il punto di riferimento principale per l’ italianistica spagnola”). Domenico Defelice 1 - Secondo Alessandro Camiciottoli, per esempio, Leopardi può essere avvicinato - scrive Manitta - “al romanticismo inglese e tedesco”. 2 - “Per Leopardi, in sostanza, la religione cristiana, pur non essendo vera in assoluto, è vera (e buona) relativamente al nostro ordine di cose” (Marco Moneta). “L’occhio di Dio, l’occhio della Provvidenza sono immagini che rimangono in Giacomo anche nell’ultimo periodo della sua vita, quando la critica lo vorrebbe già ateo convinto” (Loretta Marcon). 3 - “Leopardi non è moderno perché semplicemente sta al di qua della modernità”, scrive, per esempio, Lorenzo Tinti, sempre nel riporto di Giuseppe Manitta.
BOCCACCIO E LA SICILIA a cura di Giuseppe Manitta Interventi di E. Cavallaro, A. Cerbo, C. Chiodo, G. Manitta, L. Meier, N. Mineo, U. Piscopo, F. Rando, A. Tramontana, S. Villari Ed. Il Convivio, 2005 - 344, € 25,00 Forse al mondo non esiste isola così famosa, ricca di storia, di leggende, di miti, fermentata da tanti popoli e da tante civiltà come la Sicilia. Sopra di essa, Bene e Male del mondo hanno avuto, nel corso dei secoli, il tavolaccio ideale perché si svolgesse la vicenda della vita in ogni suo aspetto. Ad essa hanno guardato tutti i più grandi scrittori, i poeti, gli storici e quindi non è un mistero che anche Giovanni Boccaccio trovasse nell’isola terreno fertile e personaggi stimolanti per alcune delle affa-
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scinanti novelle decameroniane e per lo sviluppo di tante altre sue opere latine, il De Montibus, il Filocolo, con approcci interessanti anche in fatto di lingua. Perciò, “Considerare la Sicilia nelle opere di Giovanni Boccaccio - scrive in Premessa Giuseppe Manitta - significa non solo rivolgersi alla geografia dell’autore, ma anche e soprattutto valutarla in relazione al dato storico, mitico, intertestuale e culturale in genere”. Il primo intervento è di Susanna Villari, secondo la quale la Sicilia aiuta molto alla creazione di storie col suo enorme bagaglio di miti e leggende. “Oggetto di questo studio - scrive - è la verifica dell’incidenza di tali suggestioni, e del rapporto tra la realtà geografica siciliana e la sua trasfigurazione poetica, nelle opere di Boccaccio e nella novellistica post-boccacciana”. Segue il lunghissimo e assai particolareggiato saggio di Carmine Chiodo su Le novelle siciliane del Decameron. Il critico è d’accordo con quanti opinano che Boccaccio in Sicilia non ci sia mai stato e che tutte le novelle che riguardano l’isola son frutto di racconti e conoscenze che l’autore ha ricevuto da altri, specialmente negli anni trascorsi a Napoli: “Boccaccio, stando a Napoli conobbe la Sicilia e le novelle “siciliane” ci mostrano l’acuto e penetrante scrittore dell’uomo, del suo cuore, della vita italiana e della storia del suo tempo”. Non si deve dimenticare che, in quegli anni, gli scambi commerciali tra la Sicilia e i mercanti toscani erano intensissimi e che costoro avevano un gran peso anche nello svolgimento degli avvenimenti storici, influenzandoli con le loro immense ricchezze. Napoli era il centro di questi traffici essendo la capitale di un regno. Di recente, un romanzo che si svolge in questa geografia tosco-napoletana-calabro- palermitana è l’affascinante Il mercante di zucchero della romana Adriana Assini, edito nel 2011 da Scrittura & Scritture. È a Napoli che, secondo Chiodo, “il Boccaccio nacque intellettualmente” ed è nel tessuto sociale della Napoli di quel tempo che il giovane scrittore di Certaldo si immerge con passione, quasi dimentico degli affari commerciali e bancari per i quali nella città partenopea era giunto. Chiodo, a ragione, perciò, si sofferma parecchio su Napoli prima di trattare specificatamente delle novelle siciliane: “tutto ciò che è stato detto fin qui mi pare che sia necessario e importante per comprenderle meglio”, scrive. Ugo Piscopo, in Boccaccio e Napoli, La bella ciciliana, pone l’accento sulla vita di Boccaccio che, stando ai fatti, non fu così idillica come tanta critica e biografia agiografica ha voluto evidenziare nel corso dei secoli. Il critico scava nelle relazioni tra il ragazzo Giovanni Boccaccio e la famiglia, la madre
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del tutto sconosciuta, il padre che lo voleva mercante o ecclesiastico o studioso di diritto, il fratellino Francesco: “Con questo fratellino più piccolo e più nella norma, dovette essere allevato anche Giovanni - scrive Piscopo -, ovviamente nella casa paterna. Della sua madre naturale, egli non saprà più niente. Perciò, nel recuperarne la figura, da autore, cioè da utente e inventore di racconti, la riscatta sollevandola in quelle atmosfere parigine romanzesche”. Le storie che egli inventa, afferma il critico, “tradiscono la verità (...) che nelle profondità nasconde segreti di come macerare e metabolizzare veleni, per restituirli alla vita come contributi alla speranza, alla gioia, alla sorpresa”. L’allegria delle novelle decameroniane, insomma, non è altro che il tentativo di ribaltare e dimenticare una esistenza che ha avuto tante tristezze e traversie; “per studiare come vuole e quello che vuole lui, deve muoversi dapprima su un crinale di conflitti e deve in ultimo decidersi allo strappo definitivo” dai legacci paterni. Il saggio di Piscopo, tra quelli presenti nel libro, è il più accattivante e il più penetrante dal punto di vista psicologico. Seguono i saggi di Nicolò Mineao: Lisabetta da Messina e la quarta giornata del “Decameron”; quello di Lilith Meier: La novella di Salabaetto e Iancofiore (Decameron VIII, 10). Variazioni linguistiche e stilistiche tra le due redazioni del Decameron di Boccaccio; di Anna Cerbo: Storia, geografia e miti siciliani nelle opere latine di Boccaccio (anche lei accenna alle “amenità naturali della Trinacria, che Boccaccio, forse, non ha mai conosciuto direttamente”); di Alessandra Tramontana: La Sicilia nel De montibus di Boccaccio (che conferma punti già indicati da altri: “Della Sicilia, in particolare, Boccaccio non aveva una conoscenza diretta come per la Campania o la Toscana, ma tuttavia già negli anni giovanili Napoli doveva costituire per lui una prospettiva di osservazione invidiabile, soprattutto in virtù dei vivaci scambi commerciali che la città angioina era solita intrattenere con i maggiori porti dell’isola”); di Emilia Cavallaro: Le donne dei miti siciliani: Scilla, Galatea, Aretusa e Cerere nel recupero mitografico del Boccaccio; di Federica Rando: Figure femminili nelle novelle siciliane dal “Decameron” agli “Ecatommiti”; e chiude Giuseppe Manitta: La Sicilia del Filocolo: implicazioni dantesche e variaziones classiche. Tutti questi saggi hanno ciascuno particolare importanza e non andrebbero elencati così sbrigativamente come noi abbiam fatto per uno spazio sempre tiranno. Manitta, tra l’altro, precisa che “In ambedue i luoghi (Filocolo e Comedia) la Sicilia assume il punto d’incontro tra la geografia realistica del viaggio e quella mitica, dati e continui riferi-
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menti all’epos e al bagaglio classico” e conclude che “Il riferimento alla storia di Sicilia, così come le descrizioni geografico-mitologiche e quelle prettamente mitiche, conferma l’idea che nel Filocolo l’isola abbia una presenza pressoché letteraria...” . Domenico Defelice
JOSÉ SARAMAGO IL VIAGGIO DELL’ELEFANTE Feltrinelli, ottobre 2015, pag. 201, € 8,50 Ci sono due passaggi di questo libro che voglio usare come inizio, per descrivere in breve, parte di questo viaggio di Salomone l’elefante, un dono tra regnanti molto particolare. Perché l’istinto alla scrittura scintilla a volte da un particolare insolito, in questo romanzo Josè Saramago è un maestro nel prendere a prestito un evento mutandolo, investendolo di letteratura ed è stata gioia immensa, per me, che l’ho letto tutto di un fiato. “ Stanchi dopo una camminata cosi lunga, siamo arrivati a Innsbruck in una data segnalata nel calendario cattolico, il giorno dell’epifania, correndo l’ anno del mille e cinquecento cinquantadue” pag. 193. Sta per entrare nella città di Vienna la massima espressione dell’autorità pubblica: l’Arciduca Massimiliano secondo d’Austria. “All’improvviso, una bambina sui cinque anni, che l’età fosse questa lo si seppe in seguito, la quale assisteva con i genitori al passaggio del corteo….” pag. 197. Josè Saramago prende spunto da un episodio storico, come lui stesso afferma nella prima pagina di prefazione del romanzo: “Mi fu detto che si trattava del viaggio di un elefante che nel XVI secolo, precisamente nel 1551, sotto il re Don Joao III fu portato da Lisbona a Vienna dono del Re portoghese all’Arciduca Massimiliano secondo d’Austria”. Una miscela condita di metafora di vita attraverso la storicità di un periodo e la disamina di leggi e costumi raccolti lungo la strada . Esposizione di incontri bislacchi conditi di ironia, una fantasiosa essenza favolistica e scorre velocemente la lettura di questo scritto. Josè Saramago condisce di particolari e specifiche di riflessione ogni singola sosta della carovana. Citazione importante di questo romanzo è la Controriforma sull’editto di Lutero. Traccia due figure di sacerdoti, uno che esorcizza la presenza del quadrupede pachiderma, l’altro che invoca il miracolo davanti alla Basilica di Sant’Antonio da Padova. “Il reverendo continuava il suo lavoro e, a poco a poco, si avvicinava all’altra estremità dell’ animale, movimento che coincise con l’ accelerazione delle preghiere del cornac al dio ganesha e
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con la subitanea scoperta, da parte del comandante, che le parole e i gesti che il prete stava facendo appartenevano al manuale dell’esorcismo, come se il povero elefante potesse essere posseduto da qualche demonio” Per poi allontanarsi in un narrazione che cammina sulle ali della fantasia mentre si illumina la maestosa presenza del culto di Ganesha, l’ elefante indiano di nome Salomone che insieme al suo fedele cornac di nome Subhro attraversano mezza Europa: da Lisbona a Vienna. Per terre fredde e desolate persino su un’imbarcazione solcano i mari per raggiungere Genova. Attraversano valichi e frontiere, mari e terre per arrivare trionfanti nel corteo di benvenuto alla nuova destinazione e dimora con l’incontro ravvicinato di una bambina, che si stacca dal corteo e, le corre davanti tra lo spavento e l’incredulità della folla. Tutta la leggerezza di una lunga riflessione graffiante di analisi storico, politica e di potere: nel viaggio dell’elefante. Salomone muore due anni dopo il suo arrivo a Vienna. Filomena Iovinella CLAUDIA TRIMARCHI LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERATRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DEFELICE Il Convivio Editore, 2016 - Pagg. 134, e 13,00 Non ho letto tutte le opere di Domenico Defelice (solo qualcuna, me ne rammarico), ma ho avuto modo di conoscere, e ammirare, il Direttore di “Pomezia-Notizie” attraverso tale Rivista mensile alla quale sono abbonata da circa dieci anni. Il Periodico, di cui Defelice, coadiuvato dai familiari nella sua realizzazione, è anche editore, è puntuale ed efficiente e racchiude, nella sua veste modesta, firme eccellenti e contenuti ricchi, consistenti, “sostanziosi”. Non trascura, inoltre, e non delude, le aspettative degli abbonati i quali possono vedere pubblicato, ogni volta, il materiale da essi inviato. Defelice è una persona seria, umile e schietta, colta, pulita dentro. Nel suo sapere, che si dirama in molteplici direzioni, si concentrano prosa e poesia, arte, critica, tendenza alla solidarietà nei confronti dell’umanità trascurata e calpestata, ostinazione e perseveranza nello smascherare truffe e sotterfugi di politici disonesti, falsi e arrivisti. Nei suoi scritti prevalgono realismo, autobiografismo, riscoperta della tradizione. Tutto quanto suddetto, ed altro ancora, è ben delineato da Claudia Trimarchi nella sua tesi di laurea
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“La funzione catartica e rigeneratrice della Poesia in Domenico Defelice”. La neolaureata, con uno scrupoloso lavoro di studio e ricerca, ha svolto un’attenta disamina su quanto riguarda l’iter culturale del Nostro, la produzione della sua “Opera omnia” e, soprattutto, la sua Poesia intesa come funzione purificatrice e rasserenante, salvifica, come rinnovarsi del mondo interiore nella sua integrità. Perché la Poesia in particolare? <<Perché – la Trimarchi puntualizza – la Poesia è costantemente presente nell’opera dello scrittore, perché da tutto il suo vasto universo culturale emerge l’autentico e sconfinato amore per la Poesia>>. Tra le opere prese in esame, ella s’è avvalsa del volume “L’orto del poeta”, <<…una sorta di “hortus conclusus” nel quale gran parte delle opere affonda le radici ideologiche>>. L’impianto strutturale del saggio si compone di quattro capitoli. Nel primo sono definiti i tratti salienti della figura umana e letteraria di Defelice e vi sono introdotti gli elementi utili per la comprensione della sua poetica: <<La vita e l’Opera dell’ autore sono inscindibili; il vissuto esperenziale ispira l’ Opera e l’Opera lo restituisce alla vita rischiarato da una luce nuova>>. Ecco così spiegato il significato del titolo del libro, ossia della duplice funzione della Poesia: <<Quella catartica in quanto libera dalla mediocrità e dalle inconcruenze dell’umana esistenza, quella rigeneratrice poiché, lasciando intravedere realtà altre, oltre la pura fenomenica, edifica uno “spazio” nuovo in cui è possibile riscattare la pena di vivere in ben altre infinite possibilità di vita>>. Nel secondo e terzo capitolo viene effettuata una comparazione cronologica delle sole opere poetiche, dalle giovanili alla più recenti. Nell’ ultimo capitolo viene confrontato Defelice poeta a Defelice saggista. L’autrice spiega il motivo per cui ha riportato spesso versi del poeta: per <<impreziosire la sua trattazione>>, <<come fossero, tali, tante piccole gemme incastonate nel discorso>> (Bello il paragone! Fa pensare ad una corona regale, al diadema della regina delle fate ricoperta di pietre preziose che brillano, che abbagliano la vista). Condividiamo tutti la giusta opinione che la Trimarchi ha per Defelice: se un giudizio è unanime, la verità non può essere messa in dubbio. Non dimentica, la nostra saggista, la “questione meridionale” che tanto ha interessato Defelice. Questi soffre di nostalgia per la sua terra. Spesso fa riferimento alla sua Calabria, ne descrive la natura selvaggia e primitiva, la povertà e i disagi degli abitanti; racconta di sé, della sua infanzia, dei sacrifici affrontati e dei pericoli corsi nel periodo della seconda guerra mondiale: <<Sud è arretratezza, mise-
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ria, sfruttamento, persecuzione, abbandono>>. Dove ricercare le cause dell’ingiustizia sociale? Nelle ataviche organizzazioni mafiose in simbiosi col potere politico-amministrativo, ma anche giuridico, economico, ecclesiastico (Sembra di leggere i libri di Leonardo Selvaggi: anche questi rimpiange, dalla fredda e caotica Torino, la sua Lucania mentre ne descrive, con le bellezze autentiche del paesaggio, la miseria della popolazione e i soprusi di chi detiene il potere). Nell’ultimo capitolo del testo la Trimarchi espone parallelismi tra l’opera di Gazzetti, Scutellà, Mallai – il pensiero dei quali è in sintonia con quello di Defelice – e l’opera di questi e, quasi “dulcis in fundo”, ci parla dell’ ”orto-giardino” del Nostrouna specie di eden che riporta, ripeto, all’ ” Hortus conclusus” medievale - , un “locus amoenus” che ospita poeti e artisti, amici cari al poeta, i quali hanno fatto della Poesia “pane di vita”; in esso si gode della possibilità di <<rinserrarsi disgustati dal frastuono della città e si permette alla mente di inebriarsi nel “lavacro di verde e profumi” >>. Un plauso alla dottoressa Claudia. Il suo saggio rappresenta un’ottima guida per chi non conosce ancora Defelice, un incentivo a leggerne le opere per rendersi conto di quanto vasta sia la cultura del Nostro, quanto profondo il suo pensiero e quanto veritiere e stimolanti siano le sue affermazioni. Antonia Izzi Rufo
TITO CAUCHI MICHELE FRENNA NELLA SICILIANITÀ DEI MOSAICI EdiAccademia, Isernia 2014, Pagg. 192, a cura di Gabriella Frenna, e. f. c. Michele Frenna: un artista umano oltre l’esistenziale. Tito Cauchi esplora amabilmente la complessa matassa dell’opera musiva, in questo libro Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici con l’aiuto della figlia, Gabriella Frenna, cercando nella “Sicilianità” il motivo conduttore che accomuna critico e autore. “Sicilianità come paradigma della cultura mediterranea, poiché Michele Frenna, moderno nauta dello spirito approda sempre alla sua Sicilia” (T.C. pag. 10). Lo stesso Cauchi avverte “Adesso non intendo commemorare la morte del Maestro, né celebrare la sua grandezza, perché a farlo sono le sue opere musive” (idem). Il volume si sviluppa seguendo l’iter artistico esposto da critici di indubbio valore come lo scrittore A. Angelone, G. Maggi, V. Rossi, C. Manzi, G. Frenna, D. Defelice, L. Selvaggi, O. Tanelli ed altri con le aggiunte esemplari commentate dallo
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stesso Cauchi. Nel Cap. IV dedicato a “Umanità espressiva estetica”, Cauchi commenta: “I mosaici di Michele Frenna, libro di Carmine Manzi volto a scoprire e a rilevare l’Umanità espressiva dell’ Uomo che si fa tutt’uno con la propria arte” (pag. 49). Lo scopo dell’Artista è quello di fondere in una cosa sola “esperienza umana e esperienza religiosa” in una pittura come “relazione con gli uomini” volta alla riscoperta del quotidiano, come specchio del rapporto con Dio. Tesa, quindi, ad una spiritualità non esistenziale (di stampo sartriano) ma umana di riconciliazione con il Divino, verso la ricomposizione della frattura originale, verso la luce e la bellezza che l’uomo scopre nella vita. Queste “epifanie luminose” sono date anche dalla “nostalgia” verso la propria terra, verso le origini, le “cose buone di un tempo”, difficili oggi da trovare, ma comunque presenti come “forme latenti” di una sicilianità archetipa. Negli stilemi adottati vi è l’ ampia apertura filosofica e ontologica dove le tematiche, anche, di natura sociale sono svolte sempre, in una “linearità pittorica” non comune. La sfera naturale e culturale sono unite nell’incontro con il quotidiano. È una chiarezza che deriva dalla conoscenza del classico, dalla bellezza immediata che solo l’arte musiva, oggi, può ricreare. Pittore dotato di particolari antenne rabdomantiche con cui esplicitare spiritualmente momenti di vita, dove l’umano viene colto e introdotto nella sua relazione con gli altri, evitando il radicalismo ermetico per un’ immediatezza espressiva. La pienezza della terra e la pienezza dell’uomo, tutto è ricondotto alla natura dello spirito, nel cui seno si trova sicurezza e felicità. La chiarezza strutturale delle forme, ritorna in molte opere del Frenna, rivolta all’uomo immerso nella sua storia e nella rappresentazione idilliaca naturale, di una Sicilia incontaminata. “Tanelli impernia il suo discorso intorno al trans-espressionismo tanto del linguaggio, tanto della tecnica, facendone derivare un surrealismo moderato ‘in quanto egli parte dal particolare per raggiungere valori escatologici, spirituali e metafisici’…” (pag. 72). Il linguaggio evolve attraverso l’uso delle cromature mediante colori forti ed impulsivi con cui Frenna propone una visione della condizione umana in modo assorto: ma la sintesi operata dell’ Artista non deve essere intesa come stile eclettico: Frenna crede nell’onnipotenza del sogno come ci credevano i surrealisti (citati Breton, Aragon, Apollinaire, Artaud, Char, Desnos, Eluard, Duchamp, Ernst, Mirò, Dalì, Picasso). E così Tanelli spiega come la sua tecnica è dettata dalla fantasia e dalla ragione senza scomporre e ricomporre la stessa realtà dalla quale egli era partito. Credo che il libro
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di Orazio Tanelli “Sintesi dell’antico e del moderno nei mosaici di M. Frenna” (e mirabilmente commentato da Cauchi) sia quello più esatto per delineare questa arte volta all’essenziale oltre l’ esistenziale. Fantasie e ragione che non scompongono la realtà e fanno quel giusto connubio in cui si realizza l’ umano, oltre l’esistenziale apocalittico di un Pollock. Frenna supera il surrealismo e l’ espressionismo, dove l’esistenza è espressa nella sua “sartriana angoscia”, recuperando quegli stilemi (la visione dell’Antico, della Natura, la Sicilia, l’Uomo, ecc.) che servono a ridefinire, riqualificando un’arte nella sua più profonda pienezza spirituale, un’arte che ha ancora molto da dire sulla chiarezza delle forme e sul rapporto con il Divino. Susanna Pelizza
TASTIERE Con le dita use al piano simulavi sul mio petto le note di una sonata allegra, forse un minuetto, l’accompagnavi col canto un poco roco come venisse da un segreto loco del tuo corpo perfetto. Le tue dita percorrevano sapienti l’insolita tastiera, increspava la pelle quasi un brivido, una brezza leggera. Nella stanza era Cupido che guidava la danza. La sonata incantata intrecciava i suoi temi secondo collaudati schemi. No, non vi fu la musicale conclusione. Qualcosa, un sospiro? cambiò l’esecuzione. Guido Zavanone
L’AUTUNNO Ammiro i biondi capelli fioriti della giovane primavera e pure i capelli argentati dell’inverno operoso o quelli color grano e papaveri della splendente estate.
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Mi commuove l’autunno malato, coi radi capelli un po’ scoloriti, che m’ha imprestato. Guido Zavanone
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tevi abbagliare sempre, dall’eccesso di luce che vi inonderà. Salvatore D’Ambrosio Caserta
Genova
ANDARMENE, VAGANDO AL MIO CREATORE Sei Tu che mi hai donato tutto quello che ho e tutto quello che ho avuto nel passato. Tu mi hai donato la vita, la salute, la famiglia, i genitori e gli amici, l’intelletto e la casa e tutte le cose che essa contiene. Ed io che amo tanto le persone e un po’ anche le cose che Tu mi hai donato, quanto più dovrei amare Te, che dopo averle create tutte me le hai donate? Mariagina Bonciani Milano
DUE MARGHERITE a Veronica e Alessia Comparvero nel prato due margherite. Piantate, teneri splendori, radici forti nella terra bruna; non vi spaventi mai il rumore dei rastrelli, traete forza anche dal letame.
Quante volte sono restata e con me il cuore dentro un mare tempestoso in una stazione di via vai ferma ad aspettare nella hall di un albergo incartata dentro un involucro protetta mi teneva ad asciugarmi di cotanto mare mi pareva persino di vivere mi pareva persino di camminare pur restando immobile fino ad un lieto giorno una porta ho aperto dietro una tenda bianca, un suono. Ho intravisto il cielo ho ascoltato strimpellare la natura credevo di essere ancora fissa invece stavo andando. Nell’incedere i miei passi, movimento che viandante nel mistero incerto, scandendo la dimensione dello statico ed apparente si muoveva in me, l’amore quasi a condurmi lungo i bordi dell’incosciente vagare quei passi incerti raccontavano nuovamente di me. Smania di ritorno alla vita. Filomena Iovinella Torino
Guardate verso il cielo come riprendono colore le vecchie querce provate dall’inverno: sanno che ciò che è accaduto può riaccadere, la vita è sempre nuova anche se già vissuta. Rallegrate di colore il mondo vasto come quello che s’ impara. Non confondete il silenzio della primavera con quello dell’autunno, quando il vento abbatte gli aquiloni e non lascia traccia. Fa-
È TORNATA È tornata tra noi senza preavviso l’amica che da anni ci ha lasciati, inseguendo percorsi sconosciuti in regioni di tenebra. Il suo volto era quello di sempre, ma la voce afona, non diceva le parole che noi ci sforzavamo di carpire
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da labbra che un miraggio rese mute, smarrite in labirinti senza suono.
con tutte le forze che ho mio Dio Giovanna Maria Muzzu
In un attimo abbiamo rivissuto stagioni ormai remote. Ed eravamo stati felici. Abbiamo ripercorse le note strade. Poi è volata via, così com’era giunta. Gioia e dolore combattevano in noi come una volta.
DIO Alito di vento che profuma d’amore. Giovanna Maria Muzzu
Legati ci teneva la sepolta rispondenza del cuore.
Telti
Elio Andriuoli Napoli
A GIANNI RESCIGNO In devota memoria (13 maggio 2015 – 13 maggio 2016) Ora tu sosti lieto a rimirare le amate rive e il mare tuo lontano e verdazzurre curve di colline e cirri enormi di nuvole chiare… Nel manto del cielo che volge al turchino lieto sorridi ed intanto ti aggrappi a un esile spicchio di luna. Intorno si aggira un groviglio di voli trina preziosa di fili di seta ordito di candida piuma. In cerchio han preso posto i cherubini con liuti e flauti, con arpe e con violini, nei loro occhi splende un dolce riso: fanno concerto, intonano i tuoi canti mentre ascolta in silenzio il Paradiso. Marina Caracciolo Torino
LUMINO ACCESO SEI TU Appena una tenue luce Tu sei eppure ad essa mi aggrappo
PRIMO MAGGIO, FESTA DEL LAVORO LAVORO POETA È FATTO! Saluto i lavoratori agricoli, astronauti, professori, scrittori, musicisti, medici, pittori, lavoratori edili, babysitter, spazzini, lavoratori delle poste e postini, le persone che prendono la spazzatura e quelli che portano il latte. Saluto gli artisti sul palco e sullo schermo, i lavoratori di computer, gli scienziati, commercializzazione e scambi di lavoratori, custodi di casa, politici, spazzini, infermieri, istruttori sportivi. Saluto tutti i tipi di lavoratori, perché dipendiamo del lavoro di ogni altro. Auguri felice FESTA DEI LAVORATORI, Primo maggio 2016. Teresinka Pereira Traduzione Giovanna Li Volti Guzzardi
E LE ORE… La sabbia dei miei ricordi gocciolava lenta nella clessidra del tempo e le ore galoppavano veloci negli anni infiocchettati di giovinezza, quando la mente
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viveva tra le nuvole e il cuore non conosceva la tristezza.
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MOSAICO (Sonetto acrostico, contro la guerra) Trema la terra in ogni sua parte Rumori inquieti di anime mosse Atti determinati da cose tese Niente giustifica l’odio e la morte
Ora, le ore galoppano ancora, ma gli anni sono infiocchettati di grigio, si rischia di dar fastidio e la solitudine pesa più d'un macigno, per chi tiene la mente chiusa in uno scrigno.
Ogni ora passa produce scosse Invano le mani cercano salvezza Solo ghiaccio trovano, la brezza Odo voci che piangono sommesse
La solitudine è la mia più grande amica, galoppiamo insieme a tutte le ore, mandiamo il tempo che corre come il vento a cercar di farci compagnia inventando giochi che ci tengono in armonia e la tristezza non è mai entrata in camera mia. Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi
Lamento la loro dura tristezza Ordinano tregua al Dio che le uccide Periscono inermi, tra la mondezza Allora al mondo si chiede la pace Colori veri che l’amicizia incide E circoli d’amore dall’inferno che tace. Susanna Pelizza Roma
Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)
ALTERNANZE Tripudio di verdi distese, d’alberi in fiore nella luce tersa. Ebbra di bellezza, oggi appartengo alla terra: sono seme pulsante di vita, groviglio di radici in cerca di umori, ramo proteso alla luce, offerta di frutti. In altre occasioni, invece, avrò di nuovo ali per immaginarie fughe, per aneliti d’altezze.
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE Caterina Felici Pesaro
NUOVA COLLABORATRICE - Susanna PELIZZA di Palma è nata a Roma - dove è residente - il 24 novembre 1961.Ha una laurea in lettere moderne e insegna come supplente presso istituti statali. Nel 1986 vince a Stresa dalla casa editrice “La stanza letteraria” un diploma di segnalazione d’ onore come poetessa con la raccolta “Distrazioni”.
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Di guto tipicamente intriso di manierismo, alcuni testi che riprendono i paradigmi della tradizione classica escono nel 1997 su due riviste romane, Nuova Impronta e Orizzonti. Sempre nello stesso anno arrivano nella rosa dei finalisti al premio Ottavio Nipoti (Ferrere Erbognone, Pavia) e vengono pubblicati nella antologia edita dal Club degli Auto-
(1987), “Io e il mio Sud/Seconda Parte” (1990), “L’ uomo questo mistero” (1993), “L’ultima sera di carnevale” (Poesie tradotte in serbo-croato da Dragan Mraovic,1996), “Senza l’uomo” (1997), “Quasi un diario/Parte Prima” (2000). Presente in Antologie e Storie letterarie: “Chi scrive” (1962), “Golfo gruppo 1989” (1990), “Poesia Italiana del Novecento” (1992), “Poesia-nonpoesia-anti poesia del ‘900 italiano” (1992), “Storia della Letteratura Italiana del 2° ‘900” (1993), “Scrittori del tempo” (1994), “La poesia in Puglia” (1994), “L’altro Novecento nella poesia italiana” (vol. 1° - 3° - 5°, 1995), “Poeti e muse” (vol. 4° - 5° - 6°, 1996), “Amore e fedeltà alla parola” (vol. 2°, 1996), “Rassegna della poesia pugliese contemporanea” (1997), “L’erbosa riva” (1998), “Poeti e scrittori contemporanei allo specchio” (1999), “Storia della Letteratura Italiana del XX secolo” (1999) eccetera. Ecco due delle sue poesie: L’UOMO E LA MORTE Ambire i novant’anni ed oltre. Sono tanti, sono pochi? Morbosità dell’istante!... Con il malanno si teme la morte, con gli anni la si odia, rassegnati. Forse per la mania di cancellare chiaro chiaro anche il buio; avere ognuno una sorta di scheda e apporre sull’ardesia nuova nuova con calligrafia varia
ri. Nel 1998 vince due concorsi letterari: VI premio internazionale Penna d’Autore d’Oro, Torino, e Habere Artem (Orizzonti, Roma): alcune poesie vengono raccolte nelle rispettive antologie. In quell’anno il racconto “Il mare” riceve un diploma di partecipazione al concorso “Gerenzano incontra la cultura” (Biblioteca comunale di Gerenzano, Varese). Ha scritto anche testi teatrali, sceneggiature per cortometraggi e due opere di narrativa: “I racconti” e “Tra le rovine romane”. Attualmente collabora con le riviste: Le Muse, Il Cenacolo dei poeti, L’Attualità, Nuova Impronta, La Nuova Tribuna Letteraria. *** EDIO FELICE SCHIAVONE CI HA LASCIATO - Il poeta e scrittore Edio Felice SCHAVONE è morto il 19 febbraio 2016. Era nato a Torremaggiore (FG) il 30 agosto del 1927. Già primario pediatra ospedaliero, risiedeva a Santo Spirito, Bari. Tra le sue innumerevoli pubblicazioni, ricordiamo: “La morte non ha la smorfia del teschio” (1961), “Io e il mio Sud/Prima Parte”
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la scrittura della vita. LA MIA TERRA SANTA Giugno 2002 Una terra di pace dove ognuno cammini nel tempo, nello spazio con metro proprio, con occhio ridente all’altro, a chiunque e con le dita in alto nel saluto di ciao. Una terra di pace dove nessuna mamma accarezzi la bara della propria figlia uccisa... Laddove ognuno preghi il Dio che vuole, vero e grande. Una terra di pace dal cielo chiaro, libero di martiri, di vergini... Edio Felice Schiavone Le nostre condoglianze alla famiglia intera, alla moglie e al figlio, nonché alla figlia Lucia Schiavone - Artista, Dottoressa in Beni Culturali, specialista con qualifiche in Restauro e Sculture Lignee Policrome, Restauro di Dipinti Murali, Perfezionata in Diagnostica dei Beni Culturali su Materiali Ceramici, Lapidei e Musivi. *** PREMIATA IMPERIA TOGNACCI - VIII Premio Internazionale di poesia Don Luigi Di Liegro - Menzione speciale di merito Medaglia d’ onore a Imperia Tognacci per il libro “Là, dove pioveva Ia manna”. Motivazione: La terra dove pioveva la manna è quella di Giordania e il viaggio che Imperia Tognacci vi fa è un viaggio dello spirito, intimo e reale insieme, in simbiosi con il paesaggio e la sua magia: le oasi, il deserto, la luce e il vento. Nel suo poema gli oggetti restano tali ma si caricano di una valenza mistica, di un valore assoluto, di una identificazione simbiotica con la poetessa. I versi assumono un largo respiro, si nutrono di una immensità panteistica nella quale dio si nasconde e, insieme, si manifesta, ricordando a volte, per intensità lirica e comunione con la natura, quelli di Walt Withman. Il valore del poema sta proprio in questa capacità di andare oltre l’immediatamente percepibile e aprire spiragli mistici sul mistero e l’eterno,'senza abbandonare però la concretezza del viaggio, la sensibilità verso l’umano dolore, l’attenzione al quotidiano. (Renato Fiorito) Il presidente della giuria Manuel Cohen Roma, 30 aprile 2016
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*** METAMORFOSI MUSICALI - ROSELLA FANELLI - Il Direttore prof. Enrico Pisa, che guida egregiamente da anni il Conservatorio 'A. Pedrollo' di Vicenza, Istituto di Alta Formazione Artistica e Musicale, legato al Ministero dell'Università e della Ricerca, mi ha concesso agli inizi del suo secondo mandato, circa due anni fa, un'importante intervista, ancora inedita: il 20 aprile ha celebrato l' apertura del Forum Internazionale 2016 di EPARM (European Platform of Artistic Research in Music), con un evento definito 'Metamorfosi Musicali', nella splendida cornice del Teatro Olimpico, un insieme di esecuzioni degli studenti del 'Pedrollo' che portano la cifra della variabilità musicale nello spazio e nel tempo, in variazioni e trans-formazioni tra suoni, timbri, interpretazioni di partiture ed improvvisazioni, in continuo cambiamento, in 'metamorfosi', appunto. Riporto quanto indicato nella nota di presentazione del Concerto: “Gli allievi del 'Pedrollo' presentano i risultati del loro lavoro didattico di confronto, assimilazione e risposta a questa idea, stimolata dal desiderio di trasformazione e innovazione, come omaggio al tema della 'ricerca artistica musicale' indagato nelle giornate di lavoro in EPARM... Il concerto diventa quindi un itinerario,
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per gli allievi è stato prima di tutto un percorso di studio, che ci accompagna attraverso una 'collezione' di brani ed ensemble diversi, offrendoci una riflessione in musica sull'elemento della creatività nella performance: la creazione del fare musica che scaturisce dall'interpretare gli autori, la creazione che attraverso l'improvvisazione prende forma dall' esecuzione stessa....”. A partire da questo percorso innovativo, sperimentale, artisticamente pregevole, che ha visto il concorso di figure importanti della istruzione musicale italiana, europea ed internazionale, il 'Pedrollo' di Vicenza è stato aperto a studenti, visitatori, cittadini tutti il giorno sabato 7 maggio 2016: è questa una data da ricordare, per la contemporaneità di eventi nelle differenti dislocazioni degli spazi che lo caratterizzano, come la Sala Prove, acusticamente molto interessante, la sala 'Marcella Pobbe', auditorium interno al Chiostro, l'Oratorio di San Domenico, ambiente assai adatto a presentazioni corali, esibizioni liriche e strumentali, con un prezioso organo restaurato recentemente. In questo spazio si sono susseguite da mezzogiorno fino alla sera le esibizioni degli allievi di Musica Vocale da camera, Musica da camera, Fiati, clarinetti, Arpe, musiche eseguite all'organo costruito da Andrea Zeni di Tesero (Trento) ispirato agli strumenti costruiti da Gottfried Silbermann. E poi ancora musiche per Fisarmonica, un insieme di giovani agli Archi, Musica da Camera, Archi, esibizioni per Mandolino, per Chitarre, per Viole da gamba, mentre lungo il per-
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corso del Chiostro è stata allestita una mostra storica sul complesso del San Domenico a cura degli 'Amici di Don Orione' di Vicenza. Nelle diverse Stanze della Musica in presentazione le Scuole Suzuki, le percussioni l'arpa, la chitarra. Quando ha avuto inizio il tramonto, nella Sala Prove, la docente Rosella Fanelli, che guida il Dipartimento di Musica Indiana, ha accompagnato gli spettatori dentro un viaggio immaginario, dal Nord al Sud dell'India, tra polifonie strumentali, danze e ritmi rituali d'antichissima memoria: musica classica del Nord India, eseguita dall'ospite David Trasoff, studioso di raga della musica classica indiana e compositore californiano, al Sarod, con Federico Sanesi al Tabla e Patrizia Saterini alla Tampura, mentre le esibizioni delle allieve della Docente Fanelli hanno fatto contemplare la magia delle evocazioni in preghiera, con gestualità e preziosi linguaggi delle mani, dei piedi, del corpo tutto, esaltanti il connubio con la vita, la natura, le divinità e l'amore. Le danzatrici Shirly Cossettini, Valeria Vespaziani, e la giovane indiana Thusharani hanno interpretato il percorso di Danza Katak del Nord India. Nella presentazione del Concerto Rosella Fanelli ricorda che questa antichissima danza parla dell'India Sacra, dell'India di Shiva, di Vishnu, di Brahama: 'La prima coreografia sarà dedicata a questo aspetto, all'aspetto spirituale, all'aspetto sacro... la seconda coreografia presenterà una danza che ha un'origine islamica, perché nel Nord dell'India abbiamo delle influenze che ci arrivano storicamente dalle invasioni Mogul del Centro Asia... Abbiamo deciso di presentarla per la prima volta al pubblico perché l'occasione dell'OPEN DAY del Conservatorio è un momento importante, molto interattivo... Il 'raga' che accompagnerà la danza avrà inizio con delle note molto pro-
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fonde che introdurranno in un'atmosfera legata appunto al tempio Non vi voglio svelare tutto...Immaginiamo di stare in uno di quei templi in cui ci sono raffigurate queste divinità.... L'invocazione è totalmente in sanscrito... Nella composizione dell'orchestra abbiamo Riccardo Meneghini, studente di tabla, Barbara Zoletto, docente di Canto Indiano, Angelo Sorato diplomato in flauto Bansuri ed io, Rosella Fanelli, che eseguirò la parte ritmica perché in questa danza la recitazione ritmica è molto importante...”. La fascinazione si addensa tra le varie percezioni che mettono in tensione corde profondissime, ancestrali, originarie della nostra identità collettiva nelle differenti lstitudini ed anche la presentazione della Danza del Sud India, con alla guida Nuria Sala Grau svela aspetti audaci di un misterioso collante estatico tra i piedi nudi in danza ritmicamente accesa e la terra, che rimanda in eco il suo assenso. La notte si chiude all'aperto, intorno alle volte del Chiostro: Pietro Tònolo guida la Big Band in percorsi che lavorano sull'improvvisazione e sul dialogo, sul vario lavorio del 'provare insieme' che riempie di senso il tempo, trasformandolo in ritmo. Il passato delle strutture architettoniche si fonde allora con un presente in echi e ritmi Jazz, perché non ci siano confini all'immaginario creativo. Un ringraziamento devoto, nel pensiero, al Maestro Gianni Ricchizzi, che ha aperto, ancor prima di queste oc-
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casioni ufficiali, nell'Auditorium 'Marcella Pobbe' il percorso conoscitivo sull'antico strumento Vicitra Vina, presentandone i riverberi in un concerto indimenticabile e mostrando il suo lavoro di sintesi, primo in assoluto su questo strumento “108 Raga Mala - Benares e la musica classica del Nord India” (ed. Artemide, pp. 240). Ilia Pedrina
GOOD & WISE If you are only good someone will eat you ! But if you are wise too someone will feed you ! However in some way you will feed anyone you that are good and wise not against one's will or for love but only because Everyone Is. Se tu sei solo buono qualcuno ti mangerà ! Ma se sei anche saggio qualcuno ti nutrirà ! Comunque in qualche modo tu nutrirai chiunque tu che sei buono e saggio non per forza o per amore ma sol perché Ognuno È. Michele Di Candia Inghilterra
AZIONARSI E VERBARE *Passerò il passero volando con le rondini planando sopra gli alberi con le foglie che fogliavano. Il treno trenava sfilando sotto i rami saltando sugli scambi con le rotaie che rotaiavano.
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Il mare ammara tuffandosi le onde addosso e sulle coste. Il cielo ciela svelando dappertutto essendo ogni cosa e niente. Michele Di Candia Inghilterra *Passerò: voce del verbo PASSERARE, passato remoto, terza persona singolare (e non voce del verbo passare, futuro, prima persona singolare).
LIBRI RICEVUTI FORTUNATO ALOI - La difesa dell’Unità Nazionale per l’identità italiana - Luigi Pellegrini Editore, 2006 - Pagg. 64, € 10,00. Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è stato per anni docente nei vari licei della Città di Reggio Calabria. Sin da giovanissimo ha operato nel mondo della politica, da quella universitaria alla realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itinerario: da consigliere comunale nella sua Città ed in altri centri della provincia (Locri) a consigliere provinciale, da consigliere regionale a deputato. Come parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato temi di diverso genere ed in particolare si è occupato, con grande impegno, di scuola, cultura e di Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottosegretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale della Destra calabrese, ed anche Segretario per la Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Presidente dell’ Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e la Lucania, è componente la Direzione nazionale del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attualmente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”. Autore di numerose pubblicazioni di storia, pedagogia, saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto riconoscimenti di valore scientifico come il “Premio Calabria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Caterina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio letterario “Nazzareno” (Roma) 1983 per l’ opera “I Guerrieri di Riace” (Ed. Magalini) ed il Premio “Vanvitelli” per la saggistica storica (1995) per il volume “Reggio Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto” (2004). Altri suoi lavori: “La Questione Meridionale: radici, inadempienze e speranze” (1985), “Cultura sen-
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za egemonia (Per un umanesimo umano)” (1997), Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004), “Tra gli scogli dell’Io” (2004), “<Neutralismo> cattolico e socialista di fronte all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale” (2007), “Riflessioni politico-morali e attualità dei valori cristiani” (2008), “Piccolo Taccuino di Viaggio” (2009), “La Chiesa e la Rivolta di Reggio” (2009), “Vox clamantis... Come può morire una democrazia” (2014). ** OCÉLYNE - Le coeur en bandoulière - Poesie, illustrazioni di copertina e all’interno (ben 30 luminose e poetiche tavole) della stessa Autrice - Edizioni Hippocrène (collezione “Calliopé”), 2015 Pagg. 128, € 15. OCÉLYANE (Éliane CHARABOT) è nata il 5 gennaio 1950 a Marsiglia. Ha vissuto a Parigi fino ai vent’anni, poi in Spagna (1970 - 1984) e, dopo il 1984, nel Lussemburgo, a Schengen. Baccalauréat a 17 anni (1967) e poi altri studi: Diploma Universitario di Studi Letterari (1970), Diploma di professore di francese (Scuola Ufficiale di Lingua a Madrid), Diploma spagnolo di Puericultrice di Giardino d’infanzia. Ha insegnato francese e spagnolo, in Spagna e nel Lussemburgo. Ha ottenuto numerosissimi premi letterari e ha pubblicato: “Les fleurs de mon jardin” (edito nel 2012, 2013 e 2014). ** GIUSEPPE MANITTA - Giacomo Leopardi percorsi critici e bibliografici (2004 - 2008) Con appendice (2009 - 2012) - In copertina: “Giacomo Leopardi”, incisione di Ambrogio Centenari - Ed. Il Convivio, 2015 - Pagg. CLXIV + 294, € 35,00. Giuseppe MANITTA è il direttore editoriale de Il Convivio Editore e caporedattore della rivista “Il Convivio” e “Cultura e prospettive”. Per la prosa, ha pubblicato alcune antologie per la casa editrice Mursia del Gruppo Mondadori. Come critico, molti studi si sono rivolti all’italianistica, settore nel quale ha coordinato equipe universitarie su Boccaccio e su Carducci. Ha tenuto convegni in università italiane e in diverse università dell’Est dell’Europa. Su Leopardi ha pubblicato due volumi di storia della critica e bibliografia. Grazie a questi studi collabora a La rassegna della letteratura italiana (Università di Firenze-Accademia della Crusca) e cura la sezione di storia della critica e bibliografia leopardiane del Centro Leopardi dell’Università La Sapienza di Roma. ** GIUSEPPE MANITTA (a cura di) - Boccaccio e la Sicilia. Interventi di E. Cavallaro, A. Cerbo, C. Chiodo, G. Manitta, L. Meier, N. Mineo, U. Pi-
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scopo, F. Rando, A. Tramontana, S. Villari - In copertina, “Giovanni Boccaccio”, incisione (1822) di R. Morghen - V. Gorzini - Ed. Il Convivio, 2015 - Pagg. 344, € 25,00. ** CLAUDIA TRIMARCHI - La funzione catartica e rigeneratrice della poesia in Domenico Defelice - Prefazione di Giuseppe Manitta; in copertina, “Domenico Defelice davanti a un suo dipinto del 1967”, immagine frutto di una casuale sovrapposizione di scatti effettuati con fotocamera analogica” - Il Convivio Editore, 2016 - Pagg. 134, € 13,00. Claudia TRIMARCHI è nata a Roma il 26 febbraio 1983. Vive a Frascati (Roma) dove ha compiuto studi classici diplomandosi nel luglio del 2002. Presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, nel dicembre 2015, ha conseguito la laurea in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea con la tesi oggetto del presente volume. ** SALVATORE D’AMBROSIO - Dieci x Dieci Sillabe incise a fuoco sulla pietra - Nota critica di Mons. Raffaele Nogaro - In copertina, foto del Mosè dell’Autore - Brignoli Edizioni, 2016 - Pagg. 32, € 9,00. Salvatore D’ AMBROSIO - poeta, scrittore, giornalista, pittore - è nato a Napoli nel 1946, ma vive e lavora a Caserta. Dopo gli studi tecnici, si iscrive ad Economia. Insieme all'attività di docente continua a seguire gli studi storici sul regno di Napoli e i Borbone. Negli anni '70 inizia la sua collaborazione con emittenti televisive locali e riviste. Su "La Tribuna del Collezionista" di Gaeta (Latina) pubblica alcuni studi sull'organizzazione amministrativa del Regno di Napoli. A partire dagli anni '90 partecipa a diversi concorsi letterari riscuotendo consensi e riconoscimenti, tra cui la lettura di alcune sue poesie in piazza a Caserta e alcuni premi. Alcune sue poesie sono inserite in raccolte poetiche e antologie. Tra le sue opere, ricordiamo: “Storia Postale Italiana Annullamenti di Terra di Lavoro (1863 - 1889) con valutazioni” (1989 ?), “Barcollando nell’indicibile” (2009). ** SANTO CONSOLI - Tu, mia strada - Prefazione di Fulvio Castellani; in copertina, a colori, “Viale Romantico, Bronte (Catania)”, foto dello stesso Consoli - Casa Editrice Menna, Avellino, 2009 Pagg. 48, € 8,00. ** SANTO CONSOLI - Le nostre pagine - Prefazione di Fulvio Castellani; in copertina, a colori, “I Giardini di Ninfa (LT), foto dello stesso Consoli Casa Editrice Menna, Avellino 2009 - Pagg. 48, € 8,00. **
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SANTO CONSOLI - Il Cuore canta - Prefazione di Giovanni Amodio - Edizione “Peloro” - Messina, 2011 - Pagg. 48, s. i. p. ** SANTO CONSOLI - Il tuo riflesso - Prefazione di Giuseppe Manitta; in copertina, a colori, “Il riflesso della sera”, foto dello stesso Consoli - Ed. Il Convivio, 2011 - Pagg. 48, € 10,00. Santo CONSOLI nasce a Misterbianco (CT) nel 1946. Conseguita la Laurea, si trasferisce in Veneto e inizia la sua carriera di docente, insegnando per quasi un trentennio Lingua e Letteratura Inglese nel Liceo Scientifico di Dolo e negli Istituti Superiori di Mestre e Venezia. Dopo il ritorno in Sicilia, inizia la sua attività poetica e la partecipazione ai Concorsi, arrivando a conseguire ben 619 Premi, tra i quali son da menzionare 65 Primi Premi, 63 Secondi Premi, 58 Terzi Premi e 67 Premi ‘Speciali’. Tra le sue opere: Tu, mia strada (2009), Le nostre pagine (2009), Nel tuo Firmamento (2010), Il Cuore canta (2011), La tua presenza (2011), Il tuo risveglio (2011), Anelito d’Infinito (2015), Il Nostro Cammino (2015). ** CLAUDIA KOLL (a cura di) - Il Rosario. Contemplare Cristo con Maria nello Spirito Santo Introduzione di Manlio Sodi; all’interno, in bianco e nero, le immagini di due sculture del beato Claudio Granzotto: “Santa Bernadette Soubirous” (scultura in legno) e “Volto di Cristo” dal S. Sudario della Veronica e dalla S. Sindone; allegata corona del Rosario - Edizioni Messaggero, Padova, 2016 Pagg. 64, € 4,00. Claudia KOLL (Roma, 1965), affermata attrice, negli ultimi anni ha compiuto un cammino di conversione alla fede cattolica. Nel 2005 ha fondato la Onlus “Le Opere del Padre”, attraverso la quale si dedica a progetti di carità per i più poveri. Per le Edizioni Messaggero Padova ha già pubblicato “Coroncina della Divina Misericordia” (2013) e “Faustina Kowalska. La Divina Misericordia” (2015). ** MARIA ASSUNTA ODDI - Non lasciarmi andare - Prefazione di Romolo Liberale; in copertina, “L’Angelo”, composizione in ferro battuto di Mauro Petricca; all’interno, a colori, riproduzioni di opere di: Giuseppe Cipollone, Antonella Oddi, Stefano Lustri - GdC Editrice, 2010 - Pagg. 80, € 10,00. MARIA Assunta ODDI è nata a Trasacco (AQ) ma vive a Luco dei Marsi. Presso l’Ateneo dell’Aquila ha conseguito la laurea in Pedagogia nel 1984 e in Filosofia e Comunicazione nel 2014. Insegna materie letterarie nella scuola secondaria di I grado ad Avezzano. Più volte vincitrice del Primo Premio in concorsi regionali e internazionali, ha ricevuto il premio A.L.I.A.S. dal consolato australia-
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no per l’impegno nella diffusione della lingua italiana all’estero e il Premio della Giuria al concorso “Solidarietà tra le generazioni” (Milano). Per il valore artistico della sua opera ha ricevuto il Premio Speciale “Trofeo Lupa di Roma”, la medaglia “Autore selezionato” (conferitale dal Centro Studi per la ricerca e la documentazione sulla poesia italiana del 900) e il “Premio Leopardi” indetto per il centenario della nascita del poeta recanatese. Componente della giuria nel concorso “Buffoni-Di Pietro”, nel concorso “Patrizio Graziani”, nel concorso “Romolo Liberale”, in quello della “Comunità Montana Valle Roveto”, viene invitata da istituzioni culturali per conferenze e recensioni critiche, contribuendo alla riuscita delle varie manifestazioni. Ha pubblicato i volumi di poesia: Sensazioni (1990), Il Girotondo (1994), Le Stagioni (1996, Premio Rispetta), Tre Voci di Poesia (2000), Amore per Amore (2003), Parole e Immagini (2005), Non lasciarmi andare (2010). ** ERNESTO PAPANDREA - E scoppiò la Resistenza. Salvo D’Acquisto L’eroismo di un carabiniere - Edizioni Universum, 2015 - Pagg. 28, € 6,95. Ernesto PAPANDREA è nato a Gioiosa Jonica in provincia di Reggio Calabria. Ha studiato presso l’Istituto Statale d’Arte di Locri. Proseguì negli studi, seguendo i corsi di formazione in sociologia diretti dal Professor Umberto Melotti. È stato collaboratore della “Biblioteca di Lavoro” di Mario Lodi. Sue opere sono state pubblicate in Germania. Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fu incoraggiato a scrivere da Padre Ernesto Balducci. Già Deputato al Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace. ** AA. VV. - Mente e Disarmo a costume poetico “Cultura per la pace” Patrocinio Libera Coscienza - XLIII Rassegna Poesia Pace 2015 - Artecultura - Milano - Stampa Press Point, Abbiategrasso, MI. - Pagg. 146, s. i. p. Sono antologizzati e perciò ci troviamo le firme di: Giuseppe Martucci, Adriano Buzzati Traverso, Giuseppe Cianci, Nicholas Rolla, Alessia Mauro, Matteo Zurru, Chiara Perego, Davide Guidi, Laura Iuculano, Salvatore Mazzone, Matteo Caon, Matteo Zocchi, Andrea Roberto, Sara Bellelli, Edoardo Martino, Elena Govoni, Manuela Comito, Walter Escalante, Samuele Colombo, Andrea Borroni, Mirko Coraggioso, Alessandro Ciniltani, Giada Andreani, Filippo Brivio, Simone Carnevali, Andrea Cherubin, Alexia Luraschi, Lorenzo Macchi, Isabella Mazzola, Leonardo Bolossini, Nicola Scalco, Alessandro Muccini, Gioele Benetti, Isabella Michela Affinito, Maria Addamiano, Piero Airaghi, Alessio “Alias Primo”
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Colasanti, Vita Angileri Eid “Annavita”, Raffaele Antonelli, Daniela Balocco, Giacomo Belluco, Bruno Alessandro Bertini, Ermanno Bighiani, Loriana Bini, Rina Eugenia Bonanomi, Fiorenza Bonfili, Anna Maria Teresa Borrelli, Roseta Buscemi, Luciana Carmello, Dario Carrera, Franco Demetrio Caruso, Achille Castoldi, Marialda Ciboldi, Anntonio Conserva, Laura Crippa, Raffaele De Prisco, Clementina De Santis, Leopoldo Di Giovanni, Annitta Di Mineo, Antonietta Di Secli, Mario Ferrario, Valentina Fusè, Tiziano Maria Galli, Marco Gallucci, Silvia Giuseppina Gambarelli, Elda Maria Garatti, Fabio Gibillini, Anna Maria Giordano, Luigi Giurdanella, Ermanna Gussmaroli, Marisa Guttoriello, Chikhutina Halyna, Vincenzo C. Ingrasci, Remo Lana, Maria Assunta Leone, Antonio Giuseppe Malafarina, Andrea Manara, Liliana Marioni Boggio, Giuseppe Martucci, Olga Matera, Antonio Mazzamurro, Corrado Montalto, Maria Teresa Mosconi, Pietro Nigro, Sergio Osimani, Rosalia Pandolfo Bianchi, Tina Parotti, Gianfranco Pignaton, Anna Maria Piria, Erika Pisano, Alberto Pistilli, Anna Podda, Erminia Carla Porta, Alessandra Prat, Alberto Preda, Maria Chiara Quartu, Giovanna Redaelli, Maria Cristina Remondi, Anna Ricucci, Caterina Rovatti, Giuliano Sacco, Giovanni Salvemini, Nicolò Jacopo Suppa, Daniele Torelli, Silvia Torelli, Giovanna Turiano, Rosario Vesco, Antonio Visconte, Giuseppe Zanghi, Italo Zini, Adriano Arlenghi, Giuseppe Cianci, Leopoldo Di Giovanni, Pietro Salvini, Franca Trevisi, .
TRA LE RIVISTE ntl LA NUOVA TRIBUNA LETERARIA - Rivista di Lettere ed Arte fondata da Giacomo Luzzagni, Direttore responsabile Stefano Valentini, Direttore editoriale Natale Luzzagni, Vicedirettore Pasquale Matrone - C. P. 15 - 35031 Abano Terme (PD), e-mail: nuovatribuna@yahoo.it Riceviamo il n. 122 - Aprile-Giugno 2016, dal quale segnaliamo: “L’ inganno dell’acqua” di Natale Luzzagni; “L’ ultimo Montale”, di Luigi De Rosa; “Samuel Taylor Coleridge”, di Liliana Porro Andriuoli; “Juan Ràmon Jimenez”, di Elio Andriuoli; “Gli ultimi giorni. La caduta dell’Impero Romano d’ Occidente”, di Rosa Elisa Giangoia; l’intervista a Fiorella Borin, di Pasquale Matrone; “Pablo Solari, La canzone popolare”, di Natale Luzzagni. * L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili, diretto da Marcello Falletti di
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Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (FI) - e-mail: accademia_de_nobili@libero.it Riceviamo il n. 216/218 del gennaio-marzo 2016 dal quale segnaliamo: “Una inquietante storia del Secolo XIV (Filippo II di Savoia, signore del Piemonte e principe d’Acaia)”, di Marcello Falletti di Villafalletto; “Ma Dürer un rinoceronte lo aveva visto?”, di Gian Giorgio Massara; “A colloquio con Mons. Calogero Peri Vescovo di Caltagirone”, di Carlo Pellegrini; “Apophoreta”, rubrica di recensioni di Marcello Falletti di Villafalletto. * SENTIERI MOLISANI - Rivista d’Arte, Lettere e Scienze, direttore editoriale Antonio Angelone, responsabile Massimo Di Tore - Via Caravaggio 2 86170 Isernia - E-mail: sentieri.molisani @gmail.com Riceviamo il n. 1 (46), gennaio-aprile 2016, nel quale, a titolo diverso, troviamo i nomi di molti nostri amici e collaboratori, tra cui: Isabella Michela Affinito, Luigi De Rosa, Antonia Izzi Rufo, Leonardo Selvaggi, Tito Cauchi, Gabriella Frenna, Orazio Tanelli, Nazario Pardini, Imperia Tognacci, Anna Aita, Marina Caracciolo, Ciro Rossi, Rosa Elisa Giangoia. * DOMANI SUD - Periodico di informazione politica e culturale diretto da Fortunato Aloi, responsabile Pierfranco Bruni - via S. Caterina 62 - 89121 Reggio Calabria - Riceviamo il n. 2, marzo-aprile 2016, dal quale segnaliamo- anche per l’ampio servizio fotografico (ben 22 immagini) - l’ assegnazione, a Reggio Calabria, della XXVIII edizione del Premio “G. Calogero 2015”, con la commemorazione del prof. Franco Mosino e del dott. Antonio Gaetano. * IL CENTRO STORICO - Organo informativo dell’Associazione Progetto Mistretta, Presidente Dott. Nino Testagrossa, direttore responsabile Massimiliano Cannata - via Belverde 31 - 98073 Mistretta (ME) - E-mail: Ilcentrostorico@virgilio.it Riceviamo il n. 3-4 (marzo-aprile 2016), del quale segnaliamo l’incontro con Marcello Veneziani a cura di Massimiliano Cannata; l’editoriale di Giuseppe Ciccia (incontro con lo scrittore John Keahey); le tante pagine per Maria Messina, a firma di Anna Maria Crisafulli Sartori e Khadija Selmi; “Andrea Camilleri: il profondo legame con la propria terra” di Lucio Bartolotta eccetera. * SATURA - Trimestrale di arte letteratura spettacolo, direttore Gianfranco De Ferrari - Piazza Stella 5 - 16123 Genova - E-mail: saturanews@satura.it Riceviamo, inviatoci da Guido Zavanone che fa parte della Redazione, il n. 30 (2° Trimestre 2015),
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del quale segnaliamo: “Je pense a toi”, di Guido Zavanone, “Le salmonelle a Rado”, di Guido Zavanone, Quattro poesie di Angelo Manitta, “La via della verità”, di Rosa Elisa Giangoia, “Tre città”, di Rosa Elisa Giangoia (tutti nostri collaboratori), “Sulle tracce di Georges Simenon: Passaggio in Africa”, di Giuliana Rovetta, “Diritti umani nel mondo”, di Aldo Forbice, “Verisimile, diletto e giovamento”, di Franca Alaimo. Inoltre le rubriche di Critica (di Flavia Motolese), Vetrina, Mostre eccetera, arricchite di splendide fotografie. Una bella rivista tutta da leggere e da collezione, insomma. * IL PONTE ITALO-AMERICANO, Rivista internazionale di cultura, arte e poesia fondata e diretta da Orazio Tanelli - 32 Mt. Prospect Avenue - Verona, New Jersey 07044, 973-857-1091 USA. Riceviamo il n. 1, Spring 2016, con in copertina “The Deposition of Christ” di Ivo David, con una nota di Orazio Tanelli. Troviamo, tra l’altro, una poesia della nostra amica Teresinka Pereira. * FIORISCE UN CENACOLO - Mensile di lettere e arti fondato nel 1940 da Carmine Manzi, diretto da Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (Salerno) - E-mail: manzi.annamaria@tiscali.it Riceviamo il n. 1 -3 (gennaio-marzo 2016), del quale segnaliamo, a diverso titolo, le firme di: Anna Aita, Antonia Izzi Rufo, Orazio Tanelli, Leonardo Selvaggi, tutti nostri collaboratori. Anna Manzi, inoltre, nella rubrica “I libri in vetrina” recensisce “Il mistero Dickinson” di Isabella Michela Affinito. Anna Manzi, in “Domenico Antonio Tripodi una vita per Dante” (pag. 8), definisce il pittore calabrese, che Pomezia-Notizie presenta in prima pagina, “Un artista di grande levatura (...), per aver saputo fondere le sue potenzialità di poeta, pittore e musico in un unico, sublime, afflato artistico teso alla ricerca e alla rappresentazione dell’opera dantesca”. * LA VALLISA - Quadrimestrale di letteratura ed altro, diretta da Daniele Giancane - via Gen. De Bernardis, 23 - 70123 Bari - E-mail: daniele.giancane@cheapnet.it La rivista è edita da Gagliano Edizioni. Riceviamo, inviatoci da Renato Greco, il n. 103 (gennaio-aprile 2016), di pagine144, delle quali 52 sono dedicate proprio a Renato Greco, con un’intervista da parte del Direttore Daniele Giancane e interventi di Marco Ignazio de Santis, Gianni Antonio Palumbo, Lorena Liberatore, Valeria D’Ignazio, Anna Santoliquido, Giulia Poli Disanto, Enrico Bagnato, Enrico Castrovilli, Angela Giannelli, Nicola Accettura.
POMEZIA-NOTIZIE
Giugno 2016
Segnaliamo, inoltre, “La morte in cassa integrazione”, un atto unico di Teodosio Saluzzi, ma tutta la rivista va letta. * IL CONVIVIO - Trimestrale di poesia arte e cultura fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza Conti - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) E-mail: angelo.manitta @tin.it ; enzaconti@ilconvivio.org Riceviamo il n. 1 (64), gennaio-marzo 2016, del quale segnaliamo: “Guido Zavanone, Lo sciame delle parole. Poesie di una vita”, di Angelo Manitta; “Emerico Giachery Passione e sintonia. Saggi e ricordi di un italianista”, di Antonio Crecchia; “Aldo Marzi porta Pinocchio nelle scuole per erudire i giovani sul capolavoro di Collodi”, di Anna Aita; e poi, a diverso titolo, le firme di: Giovanna Li Volti Guzzardi, Loretta Bonucci, Leonardo Selvaggi, Mariagina Bonciani, Antonia Izzi Rufo, Giuseppe Manitta, Enza Conti, Aurora De Luca, Marcello Falletti di Villafalletto, Orazio Tanelli, Maria Vadalà (che recensisce Isabella Michela Affinito), Giovanni Cianchetti ( che recensisce Imperia Tognacci), Vittorio Verducci (che recensisce Tito Cauchi). Allegato, il n. 30 (gennaio-marzo 2016) di CULTURA E PROSPETTIVE, di pag. 200, con le firme di: Angelo Manitta, Emilia Cavallaro, Lucia Stefanelli Cervelli, Pietro Russo, Raffaella Iacuzio, Guglielmo Manitta, Linda Torresin, Franco Orlandini, Carlo Di Lieto, Pippo Virgillito, Antonia Izzi Rufo, Adalgisa Licastro, Leonardo Selvaggi, Carmela Tuccari, Antonio Crecchia, Maria Gargotta, Carmine Chiodo, Giuseppe Cappello, Anna Geltrude Pessina, Anna Salvaggio.
Sta per uscire, con le Edizioni EVA di Venafro (IS)
AURORA DE LUCA
ASPRA TERA E CREAZIONE FERTILE NELL’OPERA DI DOMENICO DEFELICE
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Domenico Defelice: Albero spoglio (penna, 1965) e, sotto: Pianta di ulivo (china degli anni settanta)
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AI COLLABORATORI Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione), composti con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio, attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è necessario un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________
Domenico Defelice: Ritratto (china e acquerello, 1960) e, sotto, I simboli di Pomezia: Chiesa di San Benedetto, la Torre civica e lo Stemma del Comune (china, pure anni settanta)
ABBONAMENTI (con copia cartacea) Annuo... € 50.00 Sostenitore....€ 80.00 Benemerito....€ 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia....€ 5,00 ABBONAMENTO solo on line: http://issuu.com/domenicoww/docs/) Annuo... € 35 Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 NO76 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio