ISSN 2611-0954
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Anno 26 (Nuova Serie) – n. 12
€ 5,00
- Dicembre 2018 -
ERRI DE LUCA IL GIRO DELL’OCA di Salvatore D’Ambrosio
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EMBRA alle prime battute che, in questo racconto, De Luca voglia affrontare con sentimentale rammarico la problematica dell’aborto. Ragioni personali lo tirano dentro questa storia. Per segno di democratico rispetto, verso una decisione dell’altro che doveva essere madre, accettò in silenzio la mutilazione di ciò che doveva e poteva essere una propaggine naturale di sé. Qualcuno potrebbe storcere il naso sapendo molto bene che la collocazione ideologica di questo scrittore è a sinistra. Ma ciò non vuole dire che chi è a sinistra è essenzialmente per
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All’interno: I segreti della dalia, di Giuseppe Leone, pag. 7 Un nuovo Natale per Norma, di Ilia Pedrina, pag. 9 Shakespeare era anche poeta, di Luigi De Rosa, pag. 11 Tra Tevere e Senna di Luigi Reina, di Carmine Chiodo, pag. 14 Franco Mosconi e la poesia come preghiera, di Ilia Pedrina, pag. 16 Tutte le poesie di Renato Filippelli, di Domenico Defelice, pag. 18 Storia patria chivassese, di Leonardo Selvaggi, pag. 21 Diversi o migliori?, di Anna Vincitorio, pag. 23 I Poeti e la Natura (Nazim Hikmet), di Luigi De Rosa, pag. 25 Notizie, pag. 40 Libri ricevuti, pag. 45 Tra le riviste, pag. 47
RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Alfio Arcifa Con i poeti del Tizzone, di Tito Cauchi, pag. 27); Isabella Michela Affinito (Camelot, di Giovanna Bono Marchetti, pag. 28); Anna Aita (Giovanna Maria Muzzu La violetta divenuta colomba, di Tito Cauchi, pag. 29); Elio Andriuoli (I canti dell’assenza, di Nazario Pardini, pag. 29); Salvatore D’Ambrosio (Giuseppe Piombanti Ammannati e “Pomezia”, di Domenico Defelice, pag. 30); Maurizio Di Palma (La poesia come organismo vivente. I Contemporanei, di Susanna Pelizza, pag. 31); Manuela Mazzola (Nuvole vagabonde, di Vittorio “Nino” Martin, pag. 32); Manuela Mazzola (Alfio Arcifa Con i poeti del Tizzone, di Tito Cauchi, pag. 33); Ilia Pedrina (Justice sans Châtiment, di Ethienne Jaudel, pag. 34); Laura Pierdicchi (Giuseppe Piombanti Ammannati e “Pomezia”, di Domenico Defelice, pag. 35); Liliana Poro Andriuoli (Omnibus, di Roberto Lachin, pag. 36).
Lettere in Direzione (I. Pedrina), pag. 47
Inoltre, poesie di: Elio Andriouoli, Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Antonio Crecchia, Tito Cauchi, Aurora De Luca, Luigi De Rosa, Salvatore D’Ambrosio, Gabriella Frenna, Duan Guang’an, Antonia Izzi Rufo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Manuela Mazzola, Wilma Minotti Cerini, Gianni Rescigno, Jiang Rui, Leonardo Selvaggi
l’aborto. Questo perché una società democratica, e non solo civile come si è soliti dire - la civiltà nella formulazione di leggi per chi ne ha bisogno c’entra relativamente -, deve dotarsi di leggi a cui possono ricorrere quanti più cittadini è possibile. È quasi intrinseco il fatto che una società” civile “debba essere anche democratica. E viceversa. In poche parole è la democrazia che ci fa civili e non il contrario. In alcuni paesi,
come per esempio la Turchia, non possiamo dire che la gente è incivile, eppure la democrazia è risicata e diventa ogni giorno sempre più stretta, evanescente; e ci auguriamo che non scompaia definitivamente. E non solo lì, poiché spirano venti contrari anche da noi e in tutto il mondo civile, ossia democratico. Torna, per ciò, anche in questo volume il De Luca della libertà. Del rispetto degli altri e soprattutto di quello che pensano gli altri. Parte dunque, da un colloquio con un ipoteti-
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co figlio per dire a se stesso tantissime cose della vita, e di come abbia trascorso la sua in particolare. Va a frugare, come è sua abitudine, nelle cose che hanno segnato la sua esistenza a partire dai primissimi anni di vita e quasi ci ammaestra, su cose anche molto semplici e all’ apparenza di una comune insignificanza: come fare “filone” a scuola. Il fatto ha per lui un senso profondo di libertà: perché non è fuga da lezioni non studiate. La scelta non implica forzatamente uno spreco di quel tempo, sottratto alla scuola, in inutili cose. Non attende il trascorrere dell’orario scolastico al bigliardino o fuori a un bar lontano da scuola e da casa per non essere scoperto. No, le ore di scuola le recupera, in un certo senso, andando per esempio allo zoo per una specie di conforto agli animali rinchiusi in quello spazio privo di libertà solo per ottusa vanità umana, o appartandosi in un posto tranquillo dove leggere libri, rigorosamente non scolastici. E questo per quel senso di libertà, dove a decidere cosa fare o cosa leggere deve essere solamente ognuno di noi. Non è difficile intuire che in questo libro come in tutta la sua produzione letteraria, lo scrittore è alla ricerca di ciò che si è perso nel cammino fino a ora intrapreso. Non è solamente la sua fanciullezza e la prima gioventù che, fin dal suo esordio letterario, ha cercato di recuperare attraverso il riscatto della memoria. È qualcosa di più. Qualcosa che forse non avrebbe voluto si portasse avanti nel modo in cui poi è andata. È la rabbia di una solitudine che non è stato capace di spezzare. È l’eccessiva comprensione delle libertà degli altri, che vuotandolo da ogni egoismo, non gli hanno dato in contropartita nessuna compensazione. È l’accadere di ritrovarsi un giorno in un’età che lo fa guardare indietro quasi forzatamente, portandolo a rilegge pagine, che avrebbe scritto in altro modo. Da questa specie di processo a cui si sottopone, comprenderà che spesso bisogna imparare a sapere dire anche dei no. Bisogna avere il coraggio di fare gesti forti, opporsi alla forza della violenza, restare uomo, per non esse-
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re grimaldello nelle mani di chi è avvezzo solo allo scasso. Si accorge che ha sacrificato molto di sé per gli altri e che poco o niente gli altri hanno sacrificato per lui. Ma questo non gli dà fastidio poiché ha un credo che gli fa dire: ”la libertà che ho conosciuto è stata andare e stare dove non potevo fare a meno”. Possiede l’uomo De Luca due cose fondamentali e rare che gli vengono dalla sua radice di figlio di Partenope: possiede l’umiltà e l’ascolto. Forse oggi un poco meno, ma tutti i figli di Napoli di una certa età, compreso me, hanno sempre amato ascoltare i racconti prima dalle persone di casa e poi dalla gente: per strada, nei pullman, nei posti dove si era gomito a gomito, dove si fraternizzava raccontando in tutta umiltà pezzi della propria vita e del proprio pensare. Tutto ciò rimane e consente di affezionarti alle cose semplici, alla gente semplice, che è piena di cose da lasciare con i loro racconti, che hanno il potere di costruire un castello di sentimenti inespugnabile. È per questo che ritorna sovente, sebbene non chiesto, il “fanciullino” pascoliano che è dentro di noi; che è dentro allo scrittore Erri De Luca che si dichiara “un iscritto al vocabolario”, per cui la vita svolta è piena di quelle parole ascoltate che, vivendo in lui, diventano racconto. Vita scritta. È un racconto a se stesso, al fanciullo che gli è rimasto dentro, perché quel fanciullo è stato felice, non ostante l’enorme peso della distaccata solitudine familiare di cui avrà coscienza in seguito. Contemporaneamente è la recerche di quella felicità che, volutamente appena passò la fanciullezza e non ancora trascorsa l’adolescenza, decise di rinnegare e che lo porterà in giro per il mondo a ficcarsi nelle imprese più ardue. Torna a galla, però, con costanza e nell’ evidenza di un continuo raccontarsi, l’ incombente bisogno di ritrovare quel suo felice periodo. Ritornano in tutti i suoi scritti le estati napoletane a Ischia, la vita abitata nel popolare quartiere di Montedidio, la timidezza del fanciullo non ricco ma di buona famiglia, che
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idealizza il suo primo bacio, fino a fare diventare l’immagine di quella ragazzina della sua stessa età un’icona alla quale inginocchiarsi. E non è la solita e scontata genuflessione maschile per la donna. È la metafora della vita. Egli si inginocchia al tempo che passerà e che deve essere custodito preziosamente in se stessi. Compare a un certo punto nel racconto un alter ego che egli connota con un grassetto. E per quella sua incapacità di autocelebrarsi, nasconde tutto sotto la presenza di un mancato o improbabile figlio. Ma è lui che si pone delle domande e si dà delle risposte. È il suo desiderio di dare un senso alle azioni che hanno caratterizzato la sua vita. Che è stata come il gioco dell’oca che gli ha fatto uscire sempre la casella che lo ha riportato ineluttabilmente a quella di partenza. Ha creduto di andare avanti girando il mondo in libertà: inseguita però e mai catturata; perché con il cuore e con la mente è rimasto sempre all’ombra della sua infanzia, che gli tiene ancora oggi calde le segrete stanze del cuore. E come il gioco dell’oca la narrazione ha tante caselle; ognuna è limitata dai ricordi e dalle sensazioni solo positive e gradevoli, poiché quelle amare cerca di tenerle lontano, pur non disconoscendole. Glissa infatti alle richieste dell’Io-Figlio di dare spiegazioni alla lotta armata in cui si era avventurato negli “anni di piombo”. Non nega, ma ne dà una valutazione soprattutto in funzione di una lotta per liberare e non sopraffare. Infatti, benché più volte fermato dalle forze dell’ordine, non ha mai subito condanne per fatti che hanno dovuto togliere cose a altri: soprattutto la vita. Le sue non erano mosse di odio, erano istanze per un popolo scarso di parole, che attendeva da millenni illusioni di riscatti. Applicava la cultura post bellica ricevuta da tutti i nati dal “45 al “60. Cultura che porterà alla rivoluzione pacifista del 1968. Le cui degenerazioni saranno il frutto poi, di un’altra visione generazionale. Affiora il De Luca che nel profondo conserva un’anima mistica, che è la conseguenza
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di avere ricevuto in dono “la grazia dell’ ascolto”. La qual cosa lo porterà a battersi per gli altri, in quanto la grazia dell’ascolto lo porta a amare il suo prossimo, e chi ama il suo prossimo, come ci narra l’evangelista Marco, ama anche Dio. Sotto le mentite spoglie di questo immaginario figlio ammette, in una sua ipotetica domanda, che è preferibile credere nell’operato di Qualcuno che sia stato l’autore di particelle nucleari e di galassie. Ha subito, però, un ripensamento nella risposta che dà al suo solitario uditorio. Ammettere un creatore, dice, gli si dovrebbe aprire anche un processo d’incriminazione per tutte le ingiustizie fatte e che il mondo deve sopportare. Vede solo con lo sguardo dell’ umano, diremo. Gli manca la fede, e lo ammette, perché è una sua rinuncia, ma dice anche che per comprendere il Mistero non è necessaria la fede. Ed è vero. Si interroga continuamente; è incapace di fare del male e la sua “fede” sta nella lettura ragionata e sistematica della Bibbia. Ma si comprende che non gli basta, anche se non lo ammette. Suo amico e coautore di alcuni libri è il parroco e teologo Gennaro Matino, con il quale ha molto discusso sulla distanza che esiste tra creatore e creature. Metaforicamente parla di lasciare una casa solida, dalle mura spesse; ma a chi lasciarla a un fantasma? A uno che non esiste? Direi che sta parlando dell’impegno civile a cui ha votato la sua vita; e probabilmente anche del lascito dei suoi scritti all’uomo: non necessariamente di cultura. Da conoscitore profondo di cose ebraiche antiche, sa del detto che nessuno muore definitivamente fino a quando ci si ricorderà di lui. E aggiungerei, soprattutto se si lascia una traccia. Ma invece poi ha un ripensamento e una premonizione che alla luce della confusione odierna, non sembra tanto peregrina. Crede e dice, che c’è una grande accelerazione verso una grande estinzione. La modernità con il suo parossismo crescente, ci sta portando verso una società che sarà archeologia in un tempo più breve di quanto crediamo. La sua scrittura come quella di tanti altri sarà dimentica, sorpassata, e ciò gli ag-
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grada. Perché per il resto, dice, ci saranno altri che racconteranno altre storie. E saranno storie vicine alle nuove mentalità che porterà questo nuovo millennio appena iniziato. Per un attimo il silenzioso isolamento a cui si è abituato lo spaventa, e soprattutto lo spaventa la sua incapacità di avere avuto azioni, che non siano state che conseguenze di mosse prese da altri. Incalzato dal figlio in “grassetto”, fa allora la riflessione che nessuno è mai solo: anche una pianta con il suo stormire è abitata dal Creatore. La risultante e che ci fa chiedere: ritorna ad una fede? A credere in un creatore? Spesso non lo si ammette, ma tutti abbiamo una fiammella che ci arde dentro. Il libro è un continuo “chiedersi”, a cui seguono risposte mai banali, molto convinte; brevi ma pensate. In questa auto-analisi, da persona molto aderente alla realtà, fa anche molta autocritica specialmente sulle sue doti di scrittore, e dice che scrive: ma che sa scrivere solo il suo vissuto.
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Inventare storie non è il suo mestiere: confessa con molta onestà. Ma le cose che ha vissuto sono talmente dense di eventi, che gli consentono di scriverne ormai da oltre venti anni. E poi, in fondo, uno che sa ascoltare le storie degli altri le sa anche scrivere. Qualche cruccio però gli rode. Non avere saputo trasmettere ai giovani la preziosità della solitudine, ma solo per fare in riflessione; e di essere rimasto chiuso in un passato fatto di altre regole. E si sente anche deluso della mancanza di voglia dei giovani di mettere mano ai guasti del mondo. Ma la sua natura riflessiva lo conduce, poi, ad ammettere che invece i giovani di oggi operano e anche molto bene, ma senza fanfare in piazza; pensando, sicuramente, alle grandi manifestazioni di piazza della sua generazione. Lo chiama, allora, “risanatore”, l’esercito silenzioso di giovani, che si muove in contrasto alla melma lasciata da barbari fuori controllo. C’è tra questi, anche tanta parte della sua generazione. Nuova casella, dunque, in questo strano gioco dell’oca che lui chiama “giro dell’oca”: perché la vita è una continua giostra e non tutti hanno le capacità per imparare a starci sopra. Le caselle sono tutte le tappe della sua vita nelle quali ha lasciato tanti se stesso, ma tutti diversi. Tira le somme davanti all’interlocutore fittizio, che in fondo è egli stesso giunto al fatidico punto in cui è bene fare una specie di tagliando della propria esistenza. La conclusione è delusione, rammarico forse di aver fatto cose che non rifarebbe, perché non le saprebbe rifare. Per contro se avesse rinunciato a farle si sarebbe sentito vuoto, avrebbe perso la cosa per cui lasciò la casa: la libertà di agire, di sbagliare, di essere al mondo. Rimpiazzare il vecchio Erri è cosa difficile, riflette. Nessuno in questo tempo di egoismi risponderebbe alla chiamata di altri come ha fatto lui; combatterebbe per ingiustizie che
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non gli appartengono; rischierebbe la vita per la libertà di altri, completi sconosciuti. Non gli va più di stare sul banco da imputato. Ora è dalla parte dove un banco lo divide da gente che vuole sentire le sue storie; vuole essere autografato il libro che lui ha scritto perché lo si legga; è dove deve idealizzare il mondo, per continuare a sopportarlo. Per questo materializza l’altro che è dentro di sé, per sentirsi dire se ha fatto bene o ha sbagliato; se ha amato in modo giusto; se è stato amato in modo giusto perfino da quei genitori che ha tanto idealizzato. Vuole conoscere se un figlio vero lo avesse amato come lo avrebbe amato lui, o se nel parlargli d’amore gli avrebbe risposto che l’amore è “vecchia storia”: come diceva Dalidà in Il venait d’avoir 18 ans, una stupenda canzone della sua, e della mia età. Le domande, gli applausi, gli onori, hanno un senso se c’è qualcuno, nato dalle tue ossa, che un giorno ne terrà sempre viva la memoria. Ma questo a lui non è stato donato. Lo spazio che poteva essere di un altro è un vuoto, un’illusione, un rientro in se stessi, un chiudere gli occhi e attendere. Salvatore D’Ambrosio
nel cielo e nell’officina.
ERRI DE LUCA - IL GIRO DELL’OCA - Feltrinelli – ottobre 2018.
Una cicatrice adesso, una smorfia di fame e di sete, sfregio di freddo, di caldo, fatica, dolore; sfregatura di vento e di sabbia. Serratura inceppata per raggiungere lo [stomaco, clausura di parole che non arriveranno mai da nessuna parte, sbaraglio contro le prepotenze del destino, nobiltà silenziosa di chi ha impugnato badili, roncole, mazze, mani nude per riscattare figli da una vita [ d’accovacciati, di periferici senza diritti o speranze di essere anch’essi centro nel mondo, e domani realtà di ossa e carne d’ una polvere nobilitata da un Dio, che tutti a volte credono che ci abbia dimenticati. Salvatore D’Ambrosio
ATTESA Luccichio di stelle filanti incollate alla vetrina della mia mente. Sogni innocenti di bimbi nell’attesa ansiosa del Natale. Desiderio di un bacio, di un sorriso, di una carezza, che forse non verranno mai.
Attesa. Attesa di un Bimbo che rinasca in una mangiatoia. Attesa di un giorno migliore. Attesa, ovunque attesa, di pace, di gioia e di amore. Antonio Crecchia Termoli
VENUTA DAL MARE Avesti in dono meravigliosa fessura: la bocca, per sospirarci dentro pensieri d’amore.
Caserta
Attesa sul mare,
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I SEGRETI DELLA DALIA Un romanzo moderno di Maria Luigia Longo di Giuseppe Leone
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ON un esergo di Cioran, che recita che la verità è in nostro possesso fin quando si ha speranza e voglia di cercarla - un concetto peraltro già appartenuto a Giordano Bruno - Maria Luigia Longo, già autrice di poesie e racconti come Contare le parole, Ritratto di un’attesa, Paesaggi di tempo, Salvami Giacomino, Per Andrea Zanzotto, ha pubblicato nella primavera del 2018, nelle Edizioni Il seme bianco di Roma, I segreti della dalia. Un romanzo, nel quale la scrittrice narra il viaggio dal nord al sud dell’Italia di Nicodemo Petraglia, detto Nico, discendente da una ricchissima famiglia di notai con rendite terriere in Basilicata, in seguito all’improvvisa morte del padre. Si tratta propriamente di una narrazione che, da un lato, ricostruisce le vicende di una famiglia d’alto lignaggio che vanta di-
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scendenze illustri; dall’altro, consente di far luce sulla sua tormentata evoluzione nell’ ultimo rampollo di stanza al nord negli anni Settanta del secolo scorso, passato attraverso esperienze d’una vita vissuta nel groviglio di doveri ora imposti dalle circostanze, ora liberamente scelti. Il tutto sullo sfondo di una regione aperta al mondo e alla vita, luminosa, in netta contrapposizione alla vulgata di una Basilicata segreta, misteriosa, nascosta, inaccessibile e selvaggia; e attraverso un fitto rimando di sensazioni e percezioni quali affiorano alla mente del protagonista, suscitati, ora, da incontri con parenti o vecchi amici; ora, alla vista di questo o di quell’altro posto; ora, dal profumo dei fiori, in particolare della dalia, a cui la scrittrice dà l’onore e l’onere della prima di copertina. Eccola, subito dopo l’arrivo di Nico nella casa paterna, scrivere che “davanti a ognuna delle colonne che seguivano il perimetro del cortiletto, c’erano i grossi vasi delle bellissime dalie di sua madre, coloratissime e profumate …”; che qui, Nico “si sedette su una delle panche e appoggiò completamente la schiena allo schienale, allargò le braccia e sospirò forte, appoggiando la nuca al muro. Chiuse gli occhi, respirò quel profumo intenso di dalia, e lasciò che il tempo passato lì e certe sensazioni si ripresentassero …” (35); fino a rivedere sua madre seduta nello stesso posto, “quando dopo cena si sedeva lì a chiacchierare con gli ospiti o con suo padre. Lì era come sentire forte ancora il suo profumo e il tepore dei suoi abbracci” (36); e sempre “seduto lì su quella panca, ripensò a quelle sere in cui, assonnatissimo, faceva di tutto per rimanere sveglio, da solo con lei” (36). E non solo le sensazioni di Nico, anche quelle della sua compagna Cherry, pure esse germinate dal respiro dello stesso profumo: “… fece il giro intorno alla casa e guardò ogni angolo, ogni oggetto, annusò quelle bellissime dalie e gli altri fiori” (132). Sensazioni, ma anche percezioni, si diceva, che porteranno Nico a ricercare e scopri-
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re verità, fino a quel momento gelosamente nascoste o solamente rimosse: così, quelle intorno alla paternità sua e di sua madre; così, quelle relative alla morte del piccolo Giorgino, suo fratellino minore. Quello che colpisce, allora, sfogliando le 146 pagine del romanzo, è come l’autrice, attraverso questo raffinato caleidoscopio del ricordo, giunga a scoprire, per conto suo, una via di sperimentazione linguistica che mira ad una riconsiderazione dei sensi e dei segni in chiave simbolico-allusiva, fino a rompere la consueta barriera fra poesia e narrativa, ma senza mai rinunciare all’uso comunicativo della parola, né al significato complessivo della pagina e, ancor più, del testo. Ne deriva un’opera agile e scorrevole nel contenuto, quanto fluida e dinamica nella forma, in uno stile essenzializzato, ellittico, persino disadorno; tanto che non è facile dire se essa sia un romanzo o un racconto, per il semplice motivo che la scrittrice ha prosciugato completamente il discorso narrativo, andando molto al di là degli avvenimenti e delle descrizioni, delle esplicazioni dei personaggi e del tempo stesso. Quel che rimane è il significato fulmineo delle situazioni e delle figure, neppure fissate in nomi e luoghi, ma soltanto in allusioni e in emblemi. Come avviene a Nico, messo al corrente della morte di suo padre: “tuo padre ci ha lasciati. È morto” (19); oppure, a Cherry e Nico quando si scambiano le loro rispettive perplessità sul matrimonio, in un momento in cui il lettore appena sa che lei ha avuto “un ritardo” (17), peraltro poi smentito (138) - “Ma sei sicuro di voler passare tutta la vita con me, adesso che non c’è neanche il bambino? E tu sei sicura di voler passare la vita con me, un uomo solo?” (139). Allora ben s’intuisce che quella che sembra una scrittura semplificata è frutto invece di una concentrazione estrema, che lascia gli eventi come in un’atmosfera di chiaroscuri, per far risaltare meglio i sentimenti segreti, le vibrazioni più intime: non l’azione in sé,
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ma la spinta propulsiva, non la cronistoria degli avvenimenti, ma l’impulso originario e il conclusivo approdo, senza troppi indugi sulle fasi intermedie. Ed è proprio per questa via che la trama del romanzo appare quasi sfuggente, si potrebbe dire addirittura sotterranea, costruita solo per accenni su personaggi vivi e veri, per nulla ingombranti sulla scena, anzi con la sensazione d’essere quasi assenti: una coppia di giovani, Nico e Cherry, che dialogano più per telefono che dal vivo; un bambino, di cui si annuncia solo la nascita, che poi non ci sarà; e due padri (l’uno effettivo, l’altro putativo). Un romanzo moderno, allora, questo di Maria Luigia Longo, come romanzo di un romanzo che c’è e non c’è, a esemplificazione di quello che potrebbe essere raccontato o solamente accennato, consigliato, sospeso e poi portato fin verso la conclusione, a lieto fine e tragica al tempo stesso, col quale l’autrice ha somministrato a Nico alcune verità sul suo conto, dolorosissime, riuscendo così a dare concretezza a quanto si leggeva già nell’esergo: “si può sopportare qualsiasi verità, per quanto distruttrice sia, purché surroghi tutto, e abbia la stessa vitalità della speranza alla quale si è sostituita”. E non solo a Nico, anche a Cherry, un personaggio che sorregge, quasi per magia, il peso di questa storia: simbolo della passione, sempre presente e insieme assente, verità senza maschera, che tutti e tutto trascina come e dove vuole. A Milano, dove ha già convinto Nico che potrebbero incominciare a vivere assieme; e in Basilicata, dove i suoi consigli l’aiuteranno ad affrontare la realtà della sua terra e con essa il suo passato in famiglia, portandolo nella condizione, non solo di non rompere definitivamente con quel mondo, ma di ereditarne pure le sue sostanze con tanto di firma notarile. Giuseppe Leone Maria Luigia Longo - I segreti della dalia Il seme bianco, Roma 2018, € 14.90. Pp. 146
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UN NUOVO NATALE PER NORMA di Ilia Pedrina ORMA Cossetto è bellissima ed il suo sorriso deve attraversare il tempo come luce che viene dall'anima. Con quel sorriso, con quella pulita semplice bellezza addosso, come può aver paura? 'Paura di che?' dice Lucia per bocca del Manzoni ed è proprio questa la realtà concreta di Norma: come non è possibile credere ai valori che ti accompagnano fin da piccola, quando ami la tua terra, i tuoi familiari, la tua vita? Come non fidarsi della propria intelligente curiosità che ti fa fremere di gioia perché stai scegliendo e scegliendo bene un percorso di studi che ti darà soddisfazione? Come si può pensare alla malvagia dura spinta assassina dell'odio che abita l'uomo e ne costruisce la sua perversa voce? Norma gira in bicicletta per le terre d'Istria rosse di bauxite, a verificare su archivi di comuni e parrocchie locali informazioni particolari, utili alla compilazione della sua tesi di laurea, perché si è iscritta a Lettere e Filosofia all'Università di Padova, il relatore è il prof. Arrigo Lorenzi, geografo. Il lavoro di ricerca ha già il suo titolo: 'L'ISTRIA ROSSA'. Norma ha 23 anni ed ha conseguito il diploma superiore al Regio Liceo Vittorio Emanuele III di Gorizia: in casa, a San Domenico di Visinada, si respira aria politica, ma questo fatto non deve rappresentare una colpa, visto che lei, Nor ma, nata il 17 mag gio del 1920 , si fida
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e si iscrive ai Gruppi Universitari Fascisti di Pola. Si, si fida come ci si fida del sole che sorge alla mattina. Si fida del padre Giuseppe, podestà di Visinada, che sa essere persona che fa il suo dovere; si fida dei suoi compaesani, che quasi conosce uno ad uno e con cui può scambiare parole giovani perché cariche di futuro; si fida di chi la governa perché ha frequentato il Regio Liceo intitolato al re d'Italia Vittorio Emanuele III, vivo e in carica, anche se al Parlamento si fa rappresentare da Mussolini. Paura di che? “...Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto, razziando ogni cosa. Entrarono perfino nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone. Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nell'ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capi banda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nell'ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo insieme ad altri parenti, conoscenti ed amici. Dopo una sosta di un paio di giorni vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma subì un vero e proprio martirio... Oltre due mesi dopo, il 10 dicembre 1943 i Vigili del Fuoco di Pola recuperarono la sua salma: era caduta supina, le braccia legate con il filo di ferro su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati.... La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier. Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e condannati a morte. Furono costretti a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero, obbligati a vegliare il corpo di Norma alla luce tremolante di due ceri, nel fetore acre della decomposizione di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima. Soli, schiacciati dal peso enorme dei loro rimorsi e dal terrore per l'imminente fucilazione, tre di loro impazzirono completamente, prima di cadere all'alba sotto i colpi del mi-
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tra...”(Carla Isabella Elena Cace, FOIBE ED ESODO – L'ITALIA NEGATA, ed. Pagine, 'I libri del Borghese', 2014, pp. 111-112). Parla Licia Cossetto: “Dopo l'8 settembre, i titini, appena arrivati nelle nostre terre, hanno cominciato a venire casa per casa, sapevano già dove e da chi andare. Non aspettavano che quel momento per vendicarsi, per razziare, per portar via tutto quello che volevano. Gli avvenimenti del '43 suscitarono in tutti noi grande apprensione, eravamo terrorizzati, ci chiudevamo tutti in casa, ognuno di noi temeva quei colpi alla porta, premonitori di morte. Invece Norma si mostrò calma e continuò le sue ricerche per la tesi di laurea. Il 20 settembre si recò a Cittanova per una conversazione col prof. Carlo D'Ambrosi, esperto dell'Istria e geologo di fama che le diede diverse indicazioni e materiali per il suo lavoro. Ricordo che subito dopo la tragedia, il professore mi raccontò come, nel congedarsi da Norma, sentì una stretta al cuore, uno strano presentimento lo accompagnò poi per tutta la giornata, era quasi tentato di richiamarla indietro, di dirle di andarsene da quei luoghi, ma poi ripensandoci capiva che non c'era alcuna ragione e che non sarebbe stato sicuramente ascoltato. Scrisse poi su Norma una meravigliosa poesia. Quando fu arrestata per la prima volta era domenica 26 settembre, di mezzogiorno, arrivò una motocicletta da cui scese un giovane che Norma conosceva e le chiese se poteva andare con lui perché al comando la volevano un momento per informazioni. Senza alcun timore Norma salì sulla motocicletta e via. Come poteva aver paura?...” (ibid. pp. 87-88). Tutto viene inserito nei progetti di quella volontà che odia senza sosta e senza respiro: l'altro che hai di fronte è della tua stessa specie, avete anche la stessa capacità di comunicare, la stessa età, la vita, non la gioia: chi odia non ha gioia, non la conosce, non vive perché è già morto per sempre, quando dentro ha lasciato crescere questa perversione che soffoca. Una volta per tutte. Perché l'altro non è il tuo nemico e il motto 'mors tua, vita mea' è ormai marcio, da estirpare subito se ancora
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ne sussistono brandelli: dare senso a queste parole è assecondare la violenza che dall'odio trae energia, anche se non la si mette in pratica in prima persona. Per Norma Cossetto nel 1949 Concetto Marchesi, allora rettore dell'ateneo patavino offre la laurea honoris causa e poi, via via nel corso degli anni altri riconoscimenti in suo onore: allora la memoria deve servire come funzione forte della mente, per consentire ai contenuti di realtà, una volta registrati, di essere trasferiti verso il futuro e di essere integrati nel tessuto della conoscenza dei fatti affinché nulla che abbia tratto la sua dinamica dalla malvagità ripugnante, quando è organizzata e definita 'politica', resti soffocato nell'oblio. Le foibe, spazi sotterranei, doline costituite da inghiottitoi in verticale, profondi, manifestazioni naturali legate al Carso ed alla sua morfologia rocciosa friabile quando l'azione dell'acqua, nelle differenti ere geologiche, vi lascia la sua impronta; le foibe, luogo di strazi indicibili scelti per raccogliere la sintesi del vilipendio di cadaveri ed il sommario lancio di Persone ancora in vita; le foibe, dal 10 febbraio 2004 terra che rappresenta i luoghi del Giorno del Ricordo, con Roberto Menia come primo firmatario della Legge 30 marzo 2004 n. 92, da quel momento istituzione nazionale commemorativa, per far luce sui fatti e restituire vita all'anima dei torturati. In apertura del testo Carla Isabella Elena Cace fa parlare il suo cuore: “Questo volume è dedicato a mio nonno, Manlio Cace, ufficiale medico esule da Sebenico e presidente dell'Associazione Nazionale Dalmata. Egli ci ha lasciato numerosi scritti e documenti fotografici che hanno contribuito a smantellare 'la congiura del silenzio'. A lui una promessa: non smetterò mai di raccontare la tua storia, che è anche la mia...” (ibid. pag. 5). Per far vivere a Norma un nuovo Natale tra luci intermittenti all'infinito e onde lunghe di fraterna, indelebile Amicizia, in quell'orologio della mente e del cuore che è senza lancette. Ilia Pedrina
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Dicembre 2018
SHAKESPEARE ERA ANCHE UN POETA. E NEI “SONETTI” CANTO' L'AMORE GAY di Luigi De Rosa
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ECONDO un recente softwaresondaggio su Internet praticamente tutti sanno (o dicono di sapere) chi sia William Shakespeare (1564-1616), collocandolo al terzo posto fra i personaggi di ogni epoca e di ogni luogo. Il suo nome figura subito dopo quelli di Gesù Cristo e di Napoleone, e precede quello di Maometto.. La maggior parte lo conosce come drammaturgo, anzi, come un genio del Teatro occidentale. E molti hanno anche assistito a qualche suo dramma, o almeno a qualche atto o scena di uno dei suoi trentasette (secondo alcuni trentotto) drammi, se non proprio in un teatro, almeno in un cinema o alla televisione. Ma non tutti sanno che lo stesso Shakespeare, parallelamente all'attività che lo ha reso celebre nei secoli, e cioè alla scrittura per la scena (a fini non solo artistici ma anche pratici, quotidiani) ha coltivato anche la Poesia nel senso stretto del termine, gratis e per il piacere dello spirito. William era figlio di John, un conciatoreguantaio di Snitterfield trasferitosi a Stratford
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upon Avon, in seguito datosi alla carriera politica, ma rovinato finanziariamente. La data di nascita di William è il 23 aprile 1564. Ma il 23 è un giorno convenzionale, perché dal registro parrocchiale di Stratford risulta essere nato il 26 di aprile. Questa, peraltro, non è l'unica singolarità della sua biografia, piena di ombre e di incertezze. Si pensi che, addirittura, c'è chi ne ha messo in dubbio l'esistenza. A noi basta “inquadrarlo” nel secolo d'oro di Elisabetta I, salita al trono nel 1558. Non ebbe una formazione sistematica e pubblica di livello universitario, ma fu comunque di cultura e sensibilità profonde, e studiò i classici e il latino, lavorando, nel contempo, come garzone, nella bottega del padre. Secondo alcuni cominciò la carriera di teatrante badando ai cavalli che gli spettatori, per godersi lo spettacolo, “parcheggiavano” fuori dei teatri. Poi, da aspirante attore, divenne attore professionista e cominciò a scrivere i testi da recitare. Testi che restavano di proprietà delle compagnie di attori, non del socio autore. Secondo la normativa del tempo gli attori, per non essere trattati da “ladri e vagabondi” dovevano associarsi in compagnie con formali atti notarili.. La concorrenza tra di esse era serrata. A 18 anni William sposò Anne Hathaway, di 26, rimasta incinta. Ebbero tre figli, due femmine e un maschio. Poi, a Londra, cominciarono i successi. La prima opera era dedicata ad Enrico VI. Vennero addirittura i trionfi. Non solo artistici, ma anche economici, tanto da consentirgli di comprare case e terreni nella sua Stratford. Ma ricordiamo che poc'anzi abbiamo detto di voler privilegiare la sua attività di poeta. D'altronde, molti suoi versi sono diffusi anche nei testi per il teatro, ma qui accenniamo solamente alle sue opere in versi, che si possono riassumere nelle seguenti: Sonetti – Venere e Adone (dedicata al conte di Southampton, e che ebbe molto successo fra i lettori) – Lo stupro (o il ratto) di Lucrezia (che di successo ne ebbe molto meno) – A Lover's Complaint (Il lamento di un'innamorata) – Il pellegrino appassionato – La fenice e la tortora.
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Come si vede anche dai soli titoli, i temi principali di questa produzione sono l'amore, il sesso, la passione erotica. La circolazione di questi manoscritti era limitata alla cerchia di amici personali del poeta. I Sonetti costituiscono il libro più conosciuto, più sofferto e intenso, di struttura unitaria, nella quale si possono individuare delle sequenze di sonetti afferenti, ciascuna, ad un tema comune. E ciò nonostante lo stampatore, Thomas Thorpe, nel 1609, lo avesse editato all'insaputa dell'autore che quindi non poté, fra l'altro, curare di persona l'esatta successione dei sonetti stessi. Il che è un peccato, se si pensa che essi costituiscono l'unica “autobiografia”, anche se parziale, scritta da Shakespeare. D'altra parte, Shakespeare non si curò mai di pubblicare le proprie opere, fatta eccezione per due sole operette, “Venere e Adone” e “Il ratto di Lucrezia”. La qual cosa ha in parte generato anche quel fenomeno, sconcertante, della marea di opere apocrife falsamente o incautamente attribuite al Bardo di Stratford. I Sonetti sono 154, e furono scritti nel periodo che va dal 1593/95 fino all'anno in cui furono pubblicati, e cioè al 1609, quando il poeta aveva 45 anni. Va anche ricordato che fra il 1592 e il 1594 Shakespeare come uomo di teatro era disoccupato a causa della chiusura dei teatri di Londra, flagellata da un'epidemia di peste. I 154 componimenti sono suddivisi in Due Parti. La prima, dal sonetto 1° al 126°, è dedicata ad un fair friend o lovely boy, e vede il poeta rivolgersi in prima persona, con passionalità irrefrenabile, ad un giovane bellissimo, sui 18/20 anni, per il quale soffre e spasima per le pene d'amore.. Secondo Anna Luisa Zazo, autrice dell'approfondita “Introduzione” del volume “Sonetti”, Oscar Mondadori, prima edizione 1993, ristampa 2013, traduzione di Giovanni Cecchin, il fair friend può essere Henry Wriothesley, conte di Southampton: secondo altri, il conte di Pembroke. Al contrario, per il famoso scrittore irlandese Oscar Wilde (1854/1900) noto anche per le sue vicende giudiziarie per accuse di omo-
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sessualità (sfociate nel 1895 in una condanna a due anni di carcere duro e nella rovina finanziaria) il dedicatario dei Sonetti è senza alcun dubbio un certo Willie Hughes, un nonaristocratico: “In Willie Hughes, Shakespeare non solo trovò il più delicato strumento per la presentazione della propria arte, ma la personificazione visibile della sua idea di bellezza. Mai sarà abbastanza detto quanto il movimento romantico inglese debba al giovinetto al cui nome i pedanti critici dell'epoca si scordarono persino di menzionare.”. La seconda Parte (sonetti dal 127 al 154) è dedicata a una dark lady (dama bruna, o donna misteriosa). Non manca neanche una sequenza dedicata ad un poeta rivale (rivale non solo in letteratura). I 154 Sonetti si presentano nella struttura del Sonetto inglese o elisabettiano. Il numero totale di versi di ciascun sonetto rimane di quattordici come nel sonetto classico, ma a differenza di questo, che è composto da due quartine e due terzine, i versi sono suddivisi in un modulo diverso, cioè in tre quartine seguite da un distico conclusivo a rima baciata. Essi furono scritti nel periodo culminante del Rinascimento inglese, ma da essi, che pur sono animati dalla filosofia del Neo-platonismo e che hanno una struttura unitaria che fa ricordare I Trionfi di Francesco Petrarca, si evincono presagi e anticipazioni di gusto, movimenti, sensibilità e stili che dovranno aspettare l'Ottocento per vedere la loro realizzazione concreta nella letteratura e nelle arti. D'altronde, questa capacità magica di Shakespeare di sentirsi ed esprimersi come “poeta del futuro” si evince anche dai testi del suo teatro. Il famoso monologo di Amleto non anticipa, forse, il pensiero e la sensibilità del Novecento o, comunque, dell'uomo moderno di fronte al problema del mondo e della vita umana? I temi ricorrenti nei Sonetti, a parte la predominante ossessione amorosa, ricalcano quelli grandiosi dal punto di vista poetico e filosofico (come, ad esempio, il “Tempo divoratore” della bellezza, della vita, di tutto) dei drammi e delle tragedie. Solo che qui si sno-
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da una vicenda particolarmente intima. C'è il Poeta, l'autore, che per 126 sonetti ripete, senza tregua, il suo amore per il bel giovane, a fronte del quale Adone sembra fosse un bruttino: c'è la Donna, la dark lady, che, con le sue arti “maligne” e astute, li ama entrambi e li tradisce entrambi. E c'è il poeta rivale che, roso dall'invidia, cerca di “approfittare” della situazione. Sembrerebbe una situazione, invero, piuttosto banale, se non squallida. Oscar Wilde parla di Musa minore...C'entra forse il Neoplatonismo in voga a quei tempi, in cui Shakespeare trovava la chiave della “falsa appartenenza”, dell'ipocrisia di una realtà illusoria, pura immagine, ombra ingannatrice. Non possiamo non ricordare Teseo che, nel Sogno di una notte di mezza estate, dice: “La vita non è che un'ombra vagante, un povero attore/ che si dimena e si agita, la sua ora, sulla scena...” Luigi De Rosa Alcuni versi dai Sonetti di Shakespeare: “Viso di donna, da Natura dipinto con la propria mano hai tu, signore-signora della mia passione; un cuore gentile di donna, ma senza la scaltra volubilità ch'è propria delle infide femmine.. Un occhio più raggiante del loro, meno perfido nel guardare, che rende d'oro l'oggetto su cui si posa...” (dal Son. 20). “Non sempre in pubblico mi mostrerò tuo amico per non esporre la tua reputazione. …....Tanto io t'amo che essendo tu me stesso, mio è il tuo buon nome.” (dal Son. 36) “Che tu lei possieda non è il mio gran tormento, ma che lei abbia te, è questo il mio supplizio” (dal Son. 42) “Il Tempo distrugge il fiore della gioventù,
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scava trincee sul fronte della beltà, divora le meraviglie del creato e niente resiste alla sua falce. Ma, nonostante la sua crudele mano, il mio verso, che ti esalta, sopravviverà.” (dal Son. 60) “quando lo specchio mi rivela quel che sono, piegato, pesto e concio dagli anni, leggo in me l'opposto della mia vanità. Sei tu, il mio altro io, ch'io lodo in me, che colori la mia vita con la bellezza dei giorni tuoi.” (dal Son. 62) _________________________________
RICHIAMO Il cielo che si schiude alla lusinga di un'altra estate ancora ci ridona le sue gioie più segrete. - Le avevamo dimenticate e incontro esse ci vengono col loro miele, colme di promesse e di fervidi inviti -. Ed è ventura di calmi mari e di ridenti soli che ci offrono e sprazzi di sereno sempre più intenso. Durerà la festa ancora un poco. Ancora un anno breve ci dirà le sue favole e i portenti dischiuderà della chiara stagione propizia ai dolci inganni ed all'amore. Mai resi saggi dal tempo, le andremo incontro, arresi al malioso richiamo. Ritroveremo i colli e le pinete, dei monti azzurri gli usati sentieri, ritenteremo le verdi scogliere. E nuovamente ci darà dolore vederli scivolare lentamente nel passato, vederli divenire immagini sbiadite della vita, simulacri ingannevoli dell'ieri, mentre furono immersi nella luce meridiana del mondo, cose vere. Elio Andriuoli Napoli
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TRA TEVERE E SENNA DI
LUIGI REINA di Carmine Chiodo
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L titolo del romanzo indica due luoghi distinti in cui si svolgono certi avvenimenti, storie, incontri. Il Tevere è ovviamente Roma, la Senna è altrettanto ovviamente Parigi. Invece <<Per arte e per amore>> rinvia a quello che è il protagonista dell’opera, e si tratta di un pittore di un genere tutto particolare che tenacemente vuole raggiungere l’arte e si impegna a farlo, passando attraverso varie fasi di operazioni e riflessioni. Accanto al pittore appaiono anche delle donne. Lisa, con cui si apre il romanzo, e poi Claudine, Greta, per esempio. Comunque va sottolineato che Roma e Parigi nell’opera non appaiono come due luoghi geografici ma sono, come ha già osservato Angelo Manitta in una recensione al romanzo, <<luoghi interiori, perché il protagonista, Filippo, nel passaggio da Roma
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[…] a Parigi [..] compie non tanto un viaggio geografico, quanto una trasposizione interiore>>. Difatti Filippo è in continua tensione e riflessione per trovare la via dell’arte che egli vuole esprimere nella pittura: Filippo ama l’arte e fin da giovane mostra una vocazione verso di essa, e a tal fine studia, frequenta l’Accademia di belle Arti ma egli è più noto, anzi diventa un celebre pittore di falsi d’arte, o dipinge alla perfezione opere di pittori famosi che sono richieste da un pubblico sempre più vasto. Seguendo questa sua attività Filippo ha una sua agiata esistenza e poi è anche noto e richiestissimo dai mercanti d’arte. Comunque Filippo non accetta la piega che ha preso la sua attività. Non vuole essere un pittore di falsi d’opere d’arte, ma un vero artista, e fa parecchi tentativi per esserlo. Egli ha pure una vita sentimentale e si innamora di Lisa, che è una donna <<maledetta>>. Lisa è anche la sua ispiratrice. Leggendo con attenzione le pagine narrative di Luigi Reina (già Professore Ordinario di Letteratura Italiana nell’Università di Salerno e poi anche Preside di questo ateneo) emerge subito il fatto che ci troviamo davanti a delle pagine molto raffinate, e la narrazione si svolge in modo fluido e nel contempo mette a fuoco tutta una serie di sentimenti vari, appassionati. In <<Tra Tevere e Senna>> non esiste una storia, anzi non va letta l’opera per sapere come va a finire la storia ma lo scrittore costruisce in una maniera sottile e incisiva un fatto, un avvenimento, un episodio. L’ opera si svolge simile a una composizione musicale e qui <<sta il fascino di aristocratica degustazione>> (Stefano Jacomuzzi). Il romanzo di Reina piace per temi e stile e tiene avvinta e desta l’attenzione di chi legge, Una lingua, uno stile che mettono bene in evidenza quella che è la <<crisi >> di Filippo che per lui non era certo un problema riprodurre un’opera d’arte. <<Sceglieva il modello dalla collezione di foto Alinari, ne studiava i particolari fino a impossessarsene>> (p. 11). Fin dalle prime pagine dell’opera compare la già
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nominata Lisa, la cui <<studiata spensieratezza metteva a dura prova la caratteriale malinconia di Filippo>> (p. 14). Egli conosce pure un’altra donna, Greta, ma poi il loro rapporto si spegne, si vanifica, e ciò contribuisce ad far nascere in lui l’isolamento, la solitudine, ma cerca di lenirla frequentando lo studio del centro storico di Roma. A guardare bene è un romanzo che poggia su ricordi, sulla memoria, su un tempo che è esclusivamente interiore e ciò permette allo scrittore di darci una narrazione sempre intensa e accurata, per cui sono ben focalizzati gli aspetti interiori ed esteriori dei personaggi, che hanno i loro percorsi, e in quest’opera sono ben descritti e analizzati, e quindi ecco i percorsi esistenziali di Filippo, di Lisa per esempio. Tutto sommato questa opera di Reina si configura come un romanzo analitico, ben strutturato e organizzato che tratta temi e fatti interiori, sentimenti vari, ma il tutto viene espresso con una lingua molto incisiva e immediata, aderente alla vita interiore dei diversi personaggi: <<Aveva rotto i rapporti con la vita da quando si era rassegnato all’idea che essa non fosse altro che finzione>> (p. 9); <<Tornò in albergo con animo confuso, abbandonò la cartella e si stese supino sul letto per perdersi nella contemplazione di lei che si animò, sulla parete, giocando a confondersi con i lineamenti della Gioconda. Tranne che per il sorriso!>> (p. 115). Pagine narrative, queste di Reina che richiamano alla mente quelle analitiche, psicologiche ed esistenziali del romanzo del ’900, ovviamente con le dovute differenze. La tecnica narrativa è perfetta e non presenta sproporzioni o disarmonie. Luigi Reina è scrittore che mette a fuoco subito la sostanza centrale del fatto, i sommovimenti interiori, le reazioni dei personaggi, i quali hanno una loro personalità e agiscono in determinate maniere. .Alcuni di questi personaggi parlano della loro vita <<di solitudine>>, oppure del lavoro che svolgono per tutta la giornata, dei loro amici, alcuni possessivi. Reina ci ha donato un romanzo di vita o, meglio di vite che presentano ognuna una loro configurazione che
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viene espressa con una lingua viva che mostra i problemi, le reazioni dei vari personaggi, delle varie persone di cui lo scrittore narra. Ogni personaggio si mostra per quello che è. Il romanzo piace per temi e stile e si legge con piacere in quanto ci fa assistere o, meglio pone davanti ai nostri occhi le varie azioni e reazioni degli uomini e delle donne che vivono, pensano, agiscono nelle pagine di <<Tra Tevere e Senna>>: una orchestra di varia umanità e vita. Carmine Chiodo Luigi Reina ,Tra Tevere e Senna: Per arte con amore: Narrativa Aracne, Roma 2017.
MY MOTHER’S FETE-DAY In my dream I go home in a hurry To eat jiaozi prepared by my mother To drink a bowl of hot tea To fondle my mother’s shoulders Mom Mom Mom Awake, nothing but hot Teardrops Teardrops Teardrops Duan Guang’an Tianjin, Cina L’ONOMASTICO DI MIA MADRE Nel sogno vado a casa di fretta per divorare i ravioli preparati da mia madre bere una tazza di tè accarezzare le spalle di mia madre mamma mamma mamma Sveglio, nient’altro che calde lacrime lacrime lacrime Duan Guang’an Da The World Poets Quarterly, n. 91, Agosto 2018 - Versione italiana di Domenico Defelice
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FRANCO MOSCONI E LA POESIA COME PREGHIERA di Ilia Pedrina
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RANCO Mosconi, monaco camaldolese ordinato sacerdote e per anni priore dell'Eremo di San Giorgio in Bosco a Bardolino, appartiene a tutti coloro che lo vogliono vivere come testimone della Parola, come compagno di viaggio che guida e orienta a penetrare nell'intimità, talora sofferta, della coscienza, anche quando i ricordi riaprono ferite mai cicatrizzate e spingerebbero al risentimento. Ha l'animo del poeta e la sua anima se ne nutre, quotidianamente, determinando scelte precise ed orientando la ragione a riflettere, a capire, a meditare. “Signore Gesù, che ci chiami a servire e ad amare, vogliamo guardare a te, per trovare in te il nostro modello di vita, per ricevere da te la forza e il coraggio di servire, per imparare ad amare come te senza limiti, sino alla fine. Insegnaci a stare in ascolto della tua Parola, perché sia essa a rivelarci il contenuto vero dell'amore. Insegnaci a contemplare i tuoi gesti, perché siano essi a ispirare i nostri. Insegnaci ad aprire il nostro cuore, perché possa essere riempito del tuo amore. Serviti di noi, Signore Gesù, per continuare ad amare, ancora oggi, i tuoi, sino alla fine. Amen Trascrivo questo canto poetico di un'anima ispirata dalla pagina 19 del testo Senza di te non ho alcun bene - Meditazioni bibliche, ed. Àncora, 2018, posto in apertura del primo e riproposto poi all'avvio del sesto momento. Amen: così sia per franco, fattosi minuscolo in nome di Gesù, che presenta la sua vita tutt'intera, innalzando questa preghiera; così sia per noi che, ascoltando e leggendo siamo
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colti nel suo vortice di riconoscenza verso Dio; così sia per tutti quelli che si lasciano affascinare da questo Amore che dà vita agli altri, raccogliendoli nella purezza dello sguardo. Già abbiamo imparato a capire che la Scrittura, per Franco Mosconi, è orizzonte esistenziale, permanente, nell'analisi del suo 'Oggi si è adempiuta questa Scrittura' (Lc. 4, 21), ora, dalle pagine iniziali dell'Introduzione conosciamo i primi quattro gradini della Scala Paradisi di cui parla Guigo II in una lettera ai suoi confratelli, quei passi in ascesa che costituiscono una 'lectio', per cogliere cosa attraversa la mente spirituale del Nostro quando medita e scrive: la 'lectio', cioè 'un primo rapporto diretto tra testo-parola e persona'; la 'meditatio', quando 'il testo - Parola di Dio – viene accolto in tutta la sua portata. Parla alla nostra intelligenza, parla alla nostra sensibilità, ci fa gioire, tremare, ci apre prospettive di bellezza inesprimibili, ci scuote, ci sprona, ci consola e deve essere assimilato in tutta la sua ricchezza...'; la 'oratio', il primo scalino del vero percorso di accoglienza del divino nel cuore umano: '...realizzo questo fervore immenso, un massimo di amore. Io sottolineo sempre: le nostre iniziative spirituali o ci portano a un massimo di amore o non servono a niente, perché Dio è amore...'; la 'contemplatio' per la quale egli, spiegando le parole di Guigo II, dichiara: '… L'accoglienza della Parola, gli effetti indicati dovuti al dinamismo trascendente della Parola che diviene, produce ...un certo innalzamento del suo livello interiore... Il suo rapporto di reciprocità con Dio cresce d'intensità, aumenta l'amore che permette di percepire una affinità stupefacente e che cresce con Dio che è amore...'. Poi egli ci spiega che la 'collatio', il bisogno di condividere questo grande arricchimento spirituale e la 'actio', la possibilità di agire nel rispetto di questa avvenuta crescita e differenziazione esperienziale, si sono aggiunte dopo, nel corso del trascorrere del tempo. Franco Mosconi parte dallo splendido Salmo 16 e ci regala nove momenti assolutamen-
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te semplici, originali e profondissimi, così come la superficie dei mari e dei cieli ci fa accedere con l'immaginazione interiore all'infinito, colto nel tratto d'un istante dal nostro sguardo: - Il Signore è la mia parte di eredità (pp. 19-35); - Esci dalla tua terra -La prima grande tentazione: la noncuranza/La seconda tentazione: la fretta/Che cosa c'insegna oggi Abramo?- (pp. 36-54); - Dalla paura al canto di giubilo (pp. 55-74); - Ne costituì dodici (pp. 75-90); - Che cosa c'è nel cuore dell'uomo? (pp. 91-101)?; - I fondamenti biblici del servizio (pp. 102-117); - Il mio salario è Dio (pp. 118-133); - Chi ha visto me, ha visto il Padre (pp. 134-150); - La lode autentica (pp. 151-163). Nel trascrivere il Salmo 16, dal quale prende l'avvio e si snoda tutto questo capolavoro spirituale, mostro come si possa andare oltre rispetto a ciò che ricevo: mi viene donata la pienezza, la totalità di ogni possibile bellezza sulla terra, accessibile ai miei sensi, per continuare a vivere e a bere la gioia del legame: “Proteggimi, o Dio, in te mi rifugio. Ho detto a Dio: 'Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene'. Per i santi, che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto il mio amore. Si affrettino altri a costruire idoli: io non spanderò le loro libazioni di sangue né pronunzierò con le mie labbra i loro nomi. Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità. Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio cuore mi istruisce. Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza,
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dolcezza senza fine alla tua destra”. (F. Mosconi, op. cit. pag. 20) La sosta più intensa, il cuore palpitante di tutto il libro si apre alle pagine 112-113, quando Franco Mosconi parla di Gesù, che ha rimesso tutta la sua vita, il suo destino nelle mani di Dio, prende tra le sue mani i piedi, la vita, il destino degli Amici, ai quali insegna come dare la vita, una volta per tutte, sino alla fine: “... Quante volte Gesù, nel Vangelo di Giovanni, afferma 'Chi vede me, vede il Padre!' Ecco perché il rischio è sempre quello di sbagliare sull'identità di Dio. È l'errore più grave che possiamo fare nella vita! Sbagliare l'identità di Dio. Questo è l'aspetto sorprendentemente nuovo che l'Antico Testamento, nel servo sofferente, aveva solo annunciato, ma che non era mai riuscito a esprimere così apertamente, così, direi, sfacciatamente: il fatto che Dio si faccia servo. Qui Gesù che si fa servo esprime la rivelazione del Padre, di Dio. È Dio che manifesta se stesso così...” (ibid.). La morte del giorno dopo diventa la vita intera di Gesù in un 'per sempre' che ci viene donato: egli è Dio della Rivelazione e dona a noi una dignità totale, della quale diventare consapevoli, anche attraverso la Poesia di un canto che si fa preghiera. Grazie a questa fascinazione Simone Weil si è posta in attesa di Dio. Ilia Pedrina
MISTERI Misteriose sono le tue parole, come lame di coltelli ed i tuoi occhi che, invece, disperati cercano i miei, supplicando amore. Solo nei tuoi occhi nasceva il mio amore; solo nel tuo cuore moriva il mio dolore. Manuela Mazzola Pomezia, RM
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RENATO FILIPPELLI TUTTE LE POESIE di Domenico Defelice
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L volume, di 528 pagine - con allegato un CD di liriche recitate dallo stesso autore nel 2001 -, contiene non solo tutte le poesie di Renato Filippelli, ma una esauriente “Cronologia”, una “Nota introduttiva”, la Prefazione di Emerico Giachery, la Postfazione di Francesco D’Episcopo, le Note, “Il percorso di vita e di poesia” firmato dal figlio Pierpaolo, la Bibliografia, la Biografia critica e l’Album fotografico. Inoltre, le otto opere, riprodotte integralmente, riportano le originali prefazioni (solo la prima ne è priva) di Edoardo Gennarini, Emerico Giachery, Fernando Figurelli, Rosario Assunto, Raffaele Nigro; in chiusura di ogni silloge, le attente “Riflessioni” di Fiammetta Filippelli, della quale è anche la “Nota introduttiva” a Spiritualità, l’ultima raccolta, edita da Guida due ani dopo la morte dell’autore, nel 2012. La prima bandella riporta, infine, quattro brevi giudizi critici di Romano Luperini, Raffaele Nogaro, Giuseppe Limone e Mario Sansone.
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Lavoro completo e sapientemente curato, dunque, il cui merito spetta totalmente alla figlia del poeta. Ogni silloge rappresenta un brano del cammino e del costante maturare poetico di Renato Filippelli e rispecchia credo e pensiero in ogni suo specifico momento. Così, alla fine, sistemando i vari tasselli, si ha completa la sua storia, non soltanto letteraria, ma umana e interiore e si coglie - come scrive la curatrice - “la compiuta grandezza del [suo] valore artistico. Leggendo di fila le singole raccolte, si averte con pienezza il delinearsi di una integrale immagine di vita del poeta, in cui ogni raccolta porta il segno degli eventi fondamentali dell’esistenza dell‘uomo e il loro trasfigurarsi in una nuova dimensione di poesia.” Filippelli è un poeta dolce e pietoso, macerato costantemente dal dolore verso l’umanità e la natura bella e aspra in cui si trova a vivere; un cantore dal “taglio del verso già sicuro, esemplare” fin dalla sua prima silloge, così come afferma Emerico Giachery. Sono tanti i motivi e i temi della sua poesia, ma a dominare sono la madre, il padre, gli altri familiari e la gente della sua città e dintorni; tutti insieme danno senso al territorio, al Massico natale, al fiume Liri, agli alberi, alla vigna, alla natura e al paesaggio in genere; natura e paesaggio mai protagonisti assoluti, ma sfondo e colore, aggettivazione di chi in essi gioisce o pena. La natura non domina neppure in Plenilunio sulla palude - sebbene qui sia presente più che altrove -, perché sempre come “metafora spirituale” e perché, anche qui, dove “Sono spiriti/preganti, quelle querce che s’intagliano/nell’orizzonte dove muore il sole”, i veri protagonisti son le persone, le donne che intessono sporte, il padre che muore, la madre che lo difende davanti a Dio, i vecchi che cercano il sole come una elemosina e il poeta stesso attraverso il suo continuo scavo interiore; la palude, più che di acque, è putrida di spirito e del vuoto che Filippelli rileva nella cultura in genere e nei poeti. La madre, per il figlio, è il solo riposo e il solo rifugio, il solo porto sicuro: “e tutto è
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vano fuor che il cerchio breve/delle tue braccia”. E la madre è consapevole delle difficoltà alle quali ogni giorno di più il figlio dovrà far fronte, vorrebbe proteggerlo rinserrandolo nel suo “povero grembo come un seme”. C’è un crescendo di protezione reciproca tra i due, un quasi rincorrersi nelle profferte amorose e il figlio vorrebbe fare alla madre quel che la madre gli ha già fatto, come “rimboccare ancora/le tue povere coltri/nel gesto che fu tuo”. Il padre è un uomo credente, onesto e generoso. Il figlio sente ancora, sul proprio capo, la mano di lui ruvida e calda, “trepida e buona”; un padre all’antica, però, allorché coccole, abbracci e baci erano considerati smancerie: “O padre misterioso,/che mai non mi prendesti sui ginocchi/io ti ricordo quell’ orgoglio cupo,/quasi un’ostilità”; “I figli li potrai baciare/soltanto quando dormono”. Quella del padre è, per Filippelli, figura centrale in terra e legame con l’eterno. In Ombre del Sud abbiamo tanti contatti e metafore che riportano all’ancestrale e al biblico. Il padre è uomo in carne e ossa, ma anche natura, albero, sensazioni stagionali; a volte è figura ambigua, quando è amareggiato dai cambiamenti, dagli operai che, trovando altri sbocchi di lavoro, gli ridono sfrontati (“Nessuno più che venga a lavorare;/gente che ti cercava ora ti sghigna/sul viso”); non rimpiange, per caso, un passato di sottomissione dei braccianti? La spia l’abbiamo in quel “e tu preghi col cappello/levato” che rimanda a quando, col cappello in mano, erano gli operai a implorare d’essere presi a giornata. Il padre del poeta è tipico soggetto di un Sud che, descritto com’è a tasselli, svela l’influenza che Filippelli ha avuto da altri poeti e scrittori meridionali, non ultimo il Verga. Un sud di guerre e di miserie, di sottomissioni e di slanci; un territorio che, per certi aspetti, ancora oggi non è del tutto mutato. Permangono in esso, infatti, troppe secche di povertà assoluta, qualcuno ritorna alla terra prima abbandonata (“la tua/vigna s’è tutta ordita nella luce”), ma la visione di quelle donne schierate dietro i secchi delle immon-
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dizie, “i gesti delle cagne timorose”, non solo è attuale (magari, ora, il soggetto è una emigrante), ma si allarga, si generalizza, se persino in città come Roma si incontrano giovani resi larve a scavare nei cassonetti in cerca di avanzi. Un presente che richiama il passato; un “presente - scrive Fiammetta Filippelli reso immutato dalle stesse vicende di pena”. E poi la fede, tema di ogni silloge. Il crescendo, però, si ha con Plenilunio sulla palude, per culminare nell’opera postuma, nella quale l’interiorità è manifestata già nel titolo. A nostro avviso, però, di spirituale ce n’è più e più sentito in Plenilunio sulla palude. Spiritualità, scrive Fiammetta Filippelli, è “un libro che rappresenta un testamento spirituale per tutti quanti amano ancora assegnare alla poesia un ruolo nella realtà contemporanea” e Raffaele Nogaro afferma che “ha come temi principali gli affetti familiari e il dialogo con la morte”. Colloquio con i cari, con la morte e con la divinità, ma senza rassegnazione. Il lettore, che forse lo crede “sereno sulle scale/ degli incontri con Dio”, viene disilluso dal poeta, che confessa “l’ira e il dispetto” che ha verso se stesso e i suoi inestinguibili dubbi, la sua velenosa ironia. Non c’è motivo o tema che sia appannaggio di una sola silloge, tutte ne sono fermentate, sicché ciò che emerge in Ombre del Sud scorre in Ritratto da nascondere e altrove. Tasselli che tocca al lettore cogliere e assemblare, rilevare, via via, i sottili cambiamenti, perché tutto in progress, contenuto e stile, tutto in maturazione. Un cammino a tappe, sotterraneamente e naturalmente influenzato dalle scuole, dalle avanguardie, dai mutamenti linguistici che Filippelli ha vissuto, sicché non mancano stilemi ed eresie, ermetici e non solo, ora da lui combattuti, ora involontariamente assimilati. Nelle ultime opere, la poesia di Filippelli diviene più stringata e traslucida; in Dai fatti alle parole è più musicale e non mancano le rime e le assonanze (“…Di un padre tratto in salvo”, “… Di un privilegiato dalla sorte al mare”) e più scoperti sono pure ironia e sarcasmo (“…Di un maligno frequentatore del
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mondo universitario”). Renato Filippelli: anima ferita, logorata da tragedie (il fratello, la nipotina) e affanni, ma energica e combattiva fino all’ultimo. Domenico Defelice RENATO FILIPPELLI - TUTTE LE POESIE A cura di Fiammetta Filippelli - Gangemi Editore, 2015 - Pagg. 528 + CD - € 24,00
PAIN mom is always tender with my step-brother impatient with me I feel so upset and ask her why she says my brother is often sick causing her pain but mom I also want to fall sick to cause you pain mom cries! I think I must have said something wrong! Jiang Rui Chongqing, Cina
DOLORE Mamma è sempre tenera con il mio fratellastro impaziente con me mi sento così arrabbiata e chiedo a lei perché Lei dice che mio fratello è spesso malato ma mamma anch’io ho bisogno di cadere ammalato per causarti dolore mamma grida! Credo di aver detto qualcosa di sbagliato! Jiang Rui Da The World Poets Quarterly, n. 91, Agosto 2018 - Versione italiana di Domenico Defelice
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È L’ESTATE Il primo dicembre È l’estate, un’estate sorridente a puntate, in questa Melbourne splendente. L’altro ieri 30, ieri 40 gradi, oggi 18 gradi e pioviggina. Domani 17 gradi e metteremo le giacche e le maglie per una settimana, poi di nuovo altri due – tre giorni di sudori e schiamazzi per il caldo e si corre al mare, o ci si rinfresca con l’aria condizionata e gelati per poter respirare. Melbourne, la più vivibile città al mondo per 7 anni di seguito, la più fantastica, la più bella, la più moderna, la più affascinante, basta correre in città e il cuore si riempie di meraviglie e di immensa felicità. Anche se pazzerella, la grandiosa città di Melbourne, è sempre la più bella! E che dire ora che è Natale? Uno schianto, tutti si corre al mare! BUON NATALE a tutti con tanto amore. Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)
VITA Sei legata alla morte, ma non la segui nella polvere d'una fossa, nel nulla, la scavalchi, e altera voli nell'alto dei cieli per riposare nell'eterno, il tuo regno. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volt. (IS
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STORIA PATRIA CHIVASSESE di Leonardo Selvaggi
S
IAMO grati ai professori Luciano Dell'Olmo e Rino Scuccimarra per la sincera passione ed entusiasmo prodigati nelle ricerche storiche intorno alla città di Chivasso e al Chivassese. Un riconoscente saluto al Sindaco e all'Assessore alla Cultura che sostengono con sensibilità e coerenza quelle attività promozionali che valorizzano sempre più le memorie patrie e creano un legame di amore e di venerazione attorno agli uomini illustri, testimonianze insostituibili del passato, vanto e gloria per le comunità presenti. Il volume che oggi presentiamo al pubblico costituisce il tributo più nobile di due valenti studiosi; essi hanno portato alla luce frammenti di codici antichi, che ci fanno scoprire Chivasso nei tempi del '400 e '500, quando esistevano numerosi conventi, veri centri attivi di studi. Vediamo Chivasso nel 1486, anno dell'introduzione della stampa, e negli anni successivi, floridi per la presenza di illustri umanisti: tra questi Ubertino Clerico da Crescentino, Battistino da Roasenda, laborioso repetitor scolarum. Luciano Dell' Olmo e Rino Scuccimarra hanno compiuto un lavoro di recupero delle più lontane tracce di storia; frugando fra i pochi documenti delle Biblioteche conventuali, dell'Archivio del Duomo, un tempo molto ricco di opere non solo religiose, ma anche classiche. Essi ci ricordano Giuseppe Augusto Lodovico Borla, insigne storico, nato il 13 giugno 1725, autore delle Memorie istorico-cronologiche della città di Chivasso, Padre Giovanni Battista Scaramelli, gesuita del 1700 che pubblicò l'opera Direttorio Ascetico, il Beato Angelo Carletti con l'opera Summa de casibus conscientiae. Questi illumina della sua personalità il secolo XV per la vastità di operato e la versatilità del suo ingegno. Nel 1491 Innocenzo III gli affida la missione di convertire i Valdesi che, cacciati dalla Francia, si erano rifugiati nelle Valli del Pinerolese. Un lavoro minuto, ricco
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di analisi quello dei nostri: espressione chiara di una dedizione, di una ostinata forza nel voler disotterrare materiale archeologico, di secolo in secolo attraverso le varie stratificazioni di una città che ha avuto una storia tormentata. Soprattutto ci troviamo davanti a imponenti risultati che denotano sentimenti puri di attaccamento alla propria terra, una testarda perseveranza a ricostruire il passato per meglio ritrovarci oggi con le radici storiche svelate nelle loro testimonianze più basilari. Chivasso, probabilmente da Clavasium, per indicare la sua posizione strategica tra la Gallia Cisalpina e la Lombardia. La ricchezza del suo passato, per le traversie patite, le invasioni, la volontà sempre tenace dei suoi abitanti nelle epoche di ricostruzione, ha indubbiamente ingenerato passione e curiosità negli illustri ricercatori che con spirito indomabile si sono mossi davvero in una intricata tessitura di avvenimenti drammatici per una città situata su una traiettoria di grande transito e di affari, sbocco naturale della Valle d'Aosta, del Canavesano e del Monferrato: sembrava destinata proprio alle continue avventure, esposta in mille modi ai pericoli di distruzione e di epidemie. I fatti storici che intessono la narrazione dell'opera che questa sera apprezziamo sono tanti. Dalla donazione di Chivasso da parte di Federico Barbarossa a Guglielmo IV dei Marchesi di Monferrato al governo di Teodoro I, principe colto e lungimirante, alla presenza di Ludovico, primo duca di Savoia. Si alternano gli Spagnoli e i Francesi, poi la pace di Chateau Cambrésis fa ritornare il dominio dei Savoia. Ecco un'epoca florida, sotto il regno di Emanuele Filiberto. La città rinforza le sue mura, risorgono attività e commerci. Non possiamo poi dimenticare l'eroica resistenza di Chivasso nella lotta contro i Francesi che portò alla gloriosa battaglia di Torino. Subentrò un lungo periodo di pace durato fino al periodo napoleonico. Chivasso prende finalmente respiro, si compiono imponenti opere di difesa, si riforma la Carta agraria ed edilizia, si fanno nuove strade di accesso al Po, si amplia l'ospedale civico. Un lavoro non
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facile di indagini, di studio e di ricostruzione storica di tutte le vicende passate. Epoche rovinose e intervalli di rinascita. In mezzo al fluire dei tanti eventi imperterrito fedele testimone, monumento che ha sfidato i secoli, sempre vediamo il Duomo di S. Maria, col magnifico portale di terracotta, ornato di statue di santi e abbellito da un rosone straordinario. Un monumento per tanta storia, un personaggio, il più grande, direi aere perennius, ossificato immobile, indistruttibile. Andando per Chivasso, oggi una città agricola, ricca di negozi, di commercio, piena di prosperosi abitanti, sempre una sensazione di timidezza desta la vista del Duomo, con la maschia torre del XV secolo. Esso significa la forza resistente del passato, una difesa sempiterna. È rimasto dimora sicura per tutti i chivassesi che sono passati. Una garanzia per l'avvenire. Un monumento e un libro di storia di mille pagine. Nomi illustri a caratteri cubitali: da Defendente de Ferrari a Giuseppe Basso, Giacomo Bosio, da Giuseppe Berruti a Giuseppe Giacoletti. Martino Alladio, Giovanni Francesco Arma, Baldassarre Stuerdi. Con la pubblicazione su Chivasso e il Chivassese parliamo di valorizzazione degli aspetti più autenticamente storici di una città, esaltandone le tradizioni più nobili e durature. L'importanza di amare la propria terra, di ripercorrere i passi di una volta, di avere legami concreti con le tracce più profonde. Ripercorrere la storia per riandare alle prime origini significa bisogno di recuperare i valori di fondo, base di una vita civile, oggi insopprimibili più che mai, significa rintracciare le fondamenta di una comunità e oltre tutto riscoprire la validità di antichi costumi, i principi essenziali di una cultura. Lo studio di vecchie carte, il recupero di codici in fondi di biblioteche in abbandono ci danno la forza di contemperare le assurdità e stravaganze. Quindi rivalutazione di costumanze semplici e sempre valide, ferme in una cornice di integrità morale. Andare alle origini della storia patria vuol dire soprattutto riscoprire la saggezza di un popolo. In quest'epoca si rende necessario ricostruirci e vedere tutto quanto ci
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appartiene attraverso le memorie antiche. Le tradizioni sono forti, vivono ardentemente nelle carte d'archivi, nelle immagini artistiche. Il passato ci restituisce l'autenticità della nostra storia, la fisionomia vera del nostro aspetto. Le persone si sentono in crisi, come disorientate, hanno il bisogno di ancorarsi, di ritrovarsi con gli altri accomunati dalle stesse origini. Davvero immutabile il desiderio di approfondire i significati delle testimonianze, con un istinto di tenerezza verso le vecchie storie. Se vitale è il processo di integrazione fra le varie comunità, fondamentale anche è la forza prima di identificazione con sé stessi; risentire da vicino il palpito intimo dei sentimenti. Naturale l'impulso a ricercare intorno alla storia della terra ove si vive: il passato dei nostri paesi è tanto forte, stratificato, straordinario quasi leggendario, insito in ognuno di noi, riemerge e pulsa sotto la livellata superficie dei tempi d'oggi, moderni e anonimi. La riconquista della tradizione. Fa procedere fieri all'ombra dei ricordi più persistenti, fa ridare all'uomo consistenza nel proprio ambiente di storia e d'arte. Illustri personaggi, anche evidenziazione delle cose più umili e vicine a sé stessi. Leonardo Selvaggi
Il mondo è soltanto questo? Un "manicomio" a cielo aperto giuridicamente "ordinato", pista per tutte le corse, arena per tutti i duelli? Forse riescono a salvarsi solo i diamanti dell'amore, gli affetti sinceri, e qualche incantesimo dell'adolescenza? Luigi De Rosa (Rapallo)
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Il Racconto
DIVERSI O MIGLIORI? di Anna Vincitorio un lungo pomeriggio; la pioggia incessante non invita a uscire. Potrebbe essere l’occasione giusta per riordinare qualche cassetto troppo pieno di carte. In ordinato disordine mi vengono tra le mani lettere, frammenti: scritti di persone lontane nel tempo o in altra dimensione. Adelina: “ogni giorno ti porti tutta la felicità che io ti auguro con tutto il mio affetto”. Mi sei stata vicina nella mia infanzia, hai cucito per me i vestiti che davano corpo ai miei sogni. La vita non ti ha ripagato. È tutto così lontano. Un sacchettino con incisa una data: gennaio 1959 – un ciuffo di stelle alpine venute da quelle inaccessibili montagne foriere per me di disinganni. Eppure hanno resistito alla corsa degli anni testimoni forse di un attimo di vero amore. Un altro foglio; è sdrucito…”in uno spazio senza tempo potremo fare i nostri giochi tutti insieme, momento per momento e vivere realmente di una natura dolce e non spietata, sazi completamente della perpetua luce solare, del mare e di ognuno nei confronti dell’altro. Ma questo mai potrà essere finché ci sarà anche un solo uomo che soffre di una sofferenza alla quale non c’è rimedio umano. Solo quando questo accadrà, saremo legittimati alla gioia”. Pensieri che turbano perché testimoni di un disagio esistenziale il cui positivo sanarsi è soltanto utopia. Eppure solo una forte sensibilità potrebbe avvicinarci e renderci disponibili all’ascolto. Leggo una pagina di Repubblica ormai ingiallita; risale al 10 dicembre 2000: nell’ultima foresta del Brasile i Kaiow, soprattutto i più giovani, si ammazzano per amore o per mancanza di amore. Gesti estremi in una realtà di abbandono sociale. Potremmo non soffermarci in quanto è per noi una realtà lontana. Ma lo è poi davvero? Antony a Firenze non ha retto allo strazio di non sentirsi compreso e si è impiccato a soli sedici anni. Eppure aveva
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una famiglia, un fratello adottato come lui ma evidentemente le maglie dell’amore che lo circondavano non sono bastate a trattenerlo e ha voluto andarsene. Si è voluto ricordarlo con una poesia di un anonimo brasiliano: “Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore…E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme/ le mie e quelle del Signore/ Ma, nei giorni più difficili della mia vita/ ho visto una sola orma…/ Signore perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti difficili?/ …Figlio…i giorni nei quali c’è soltanto un’orma sulla sabbia/ sono proprio quelli che ti ho portato in braccio”. Non è facile credere di fronte a questi eventi che appaiono ingiusti; ma la fede, che ci è compagna, nei momenti difficili potrà darci una ragione di conforto. Ho davanti a me un biglietto di Anna; l’essere sola e malata produceva in lei pensieri negativi, ma il suo modo di amare anche se irrazionale è stato per me motivo di profonda affinità che ha superato l’asprezza di parole sfuggite in qualche attimo al suo controllo. È facile dare il meglio di sé quando tutto va bene. Il banco di prova è il dolore. Accuratamente ripiegata l’immagine di Amedeo, la sua innocente vita stroncata dalla leucemia; tra le mani un pupazzo. Fulgido esempio di coraggio e di amore dei suoi genitori che alla perdita della sua vita hanno reagito creando nuove vite. Il mondo è una palestra e bisogna lottare per sopravvivere. Ognuno a modo suo. La lunga esperienza scolastica mi ha coinvolto e avvicinato al mondo dei giovani. Non è facile penetrarli e il nostro insuccesso ci rende talvolta distanti, avviliti, incompresi. Ricordo quel lontano inverno alla scuola delle Cascine. Lotte verbali quotidiane, risultati irrisori e un senso d’ impotenza. Quella classe turbolenta, isolata nel giardino incolto, la maniglia della porta finestra rotta e il silenzio che ci circondava. C’era la finestra attraverso cui poter uscire ma i due diversamente abili non potevano scavalcarla. Il mio chiamare ripetuto e inascoltato, il silenzio dell’edificio centrale. Ti senti sconfitto; tu vorresti proteggere quei ragazzi dalla banda di irresponsabili che ti beffeggiano.
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Devi solo aspettare… Una lunga carriera, momenti difficili che si ripetevano; per sopravvivere dovevo scordarli. Ho tra le mani un piccolo foglio sgualcito che prima non avevo notato; lo leggo: “Per Maria Anna, tanti auguri di Buona Pasqua da Manuela Consolati”. Ti rivedo con gli occhi della mente, piccola, grande bambina down che mi voleva bene e che mi aveva ricordato. Ti penso, sai? L’amore è più forte dell’intelligenza e scalda il cuore. Al mattino verso le dieci, in piscina arrivano i ragazzi diversamente abili. Vorrei abbracciarli tutti e fissare nel mio cuore il loro innocente sorriso, il loro essere diversi ma migliori perché senza malizia. Buon bagno, ragazzi! Vorrei concludere questo mio ripercorrere tempi lontani con le parole di Gerlac Petersz (mistico agostiniano olandese – 13781411). “Così fu preordinato dall’eternità; così deve accadere; così voglio che avvenga e non scelgo altra cosa. Il Signore mi ha dato infermità, aridità, passioni e tenebre: voglio esercitarmi in esse per amare molto poiché il Signore, con grande amore, dispose che mi sopravvenissero queste cose per aumentare il mio perfezionamento e per darmi l’opportunità della salute eterna”. 5 novembre 2014 Anna Vincitorio
ICARO RITROVATO Vola silente del mentale Ulisse l’onda muta del canto di sirene sulle corde disciolte alla procella torna il sospiro abbandonato e stanco Tu che scendendo dalla calda alcova che generò la mente di ricordi allontanavi dalla tua la mia carne per relegarmi nell’orto degli illusi. Figlia d’orto, di cavoli e di rape e vermi all’apparenza immondi sfilaccio tra le dita digerito oro nero dall’odore inconfondibile di muschio
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e ancora aspetto il principe dei sogni. Un giro a destra e l’altro alla mancina un inchino coi lembi della gonna una Pieride bianca che s’invola è il messagger del principe che sceglie Inizia il gioco, e tra le tante belle, scegli lo sguardo triste che mi è proprio, malinconia soffusa d’ironia, perché io vada dove Icaro è disperso, bruciante ancora al sole che lo arde: l’ali colanti cera d’alveari. Raccoglierlo nella braccia tremolanti per impastarlo di mammole odorose e porlo a rifiorire nel giaciglio infranto dove invocò e principiò l’antico volo dell’imbrogliata favola-bugia. Dov’è il filo di Arianna che conduce alla perduta quiete, su lombi doloranti nell’attesa? Ah, la favola bella non finita di Icaro che torna senza l’ali bruciate alla pira del suo orgoglio! Prendi le mani mie congiunte, coppieri di bruna ed odorosa terra, tieni! Basta una zolla per sognare alto. La penombra è migliore della luce se nel seno tieni ali di colomba. Wilma Minotti Cerini Pallanza - Verbania (VB)
SCAPPA Scappa, fuggi... lontano dal mondo, ma non illuderti di fuggirlo del tutto, perché il mondo è dentro di te. Gli attimi si susseguono come martelli nel mio cuore. Manuela Mazzola Pomezia, RM
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I POETI E LA NATURA - 86 -
di Luigi De Rosa
D. Defelice - Metamorfosi (particolare), 2017
I GIORNI BREVI DEL POETA NAZIM HIKMET (1902-1963)
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uello che viene considerato il principale poeta turco dell'epoca moderna, Nazim Hikmet, era nato da una famiglia aristocratica per poi diventare un rivoluzionario a tempo pieno. Padre poeta e narratore, nonno diplomatico, madre pittrice e letterata, parteggiò per il partito nazionalista di Ataturk ma poi se ne staccò, incappando in pesanti condanne al carcere, venendo privato della cittadinanza turca, e dovendo fuggire in esilio girando per tutta Europa. Ebbe quattro mogli, ma non se le poté godere davvero, costretto a vivere sempre lontano dalla famiglia. Scrisse quello che viene considerato il suo capolavoro, una silloge di Poesie d'amore. E anche questo gli valse l'appellativo di rivoluzionario romantico. Trovò il paese che cercava nell'Unione Sovietica, studiò a Mosca, si votò alla causa del Socialismo, ma ben presto si scontrò con la dittatura di Stalin, che secondo lui
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corrompeva in modo distruttivo l'ideale socialista. Così come era stato un grande ammiratore di Lenin ( nel 1924, a ventidue anni, era tra le guardie d'onore alla bara di Lenin) così si scontrò con la dittatura di acciaio del georgiano, trovando alla fine un po' di pace e di autonomia, come uomo e come scrittore, all'epoca di Nikita Kruscev, il “destalinizzatore”. Era stato sempre in fuga, e non solo per l'Europa, il Sud America e l'Africa (gli Stati Uniti gli vietarono il visto d'ingresso) sempre alle prese coi problemi duri e amari della sopravvivenza. Il suo incontro-scontro con la Natura si riduceva all'essenziale, all'amore per la vita su questa terra, come se fosse uno scoiattolo noncurante dell'Aldilà. Ma alla fine si ridusse a pensare alla Morte, al destino dell'Uomo. Amava gli alberi, i fiori, le “cose belle” e disinteressate, era un sognatore a modo suo, non era comunque un calcolatore. La conoscenza della sua opera letteraria in Italia è dovuta alle Edizioni Mondadori, che nel 2002 pubblicarono le Poesie d'amore nella collana Oscar classici moderni, per la traduzione di Joyce Lussu e V. Mucci. Le stesse poesie, nella stessa traduzione, uscirono nel 2005 con Newton Compton Editori. Mentre la narrativa, Gran bella cosa è vivere, miei cari uscì con la Mondadori (Milano 2011). Hikmet morì il 3 giugno del 1963, per una crisi di cuore ( aveva già avuto un infarto). Del poeta turco ( al quale, finalmente, nel 2002, il governo turco ha restituito la cittadinanza che gli era stata tolta nel 1951) sottopongo all'attenzione degli amici lettori una poesia intitolata “I giorni sono sempre più brevi I giorni sono sempre più brevi le piogge cominceranno. La mia porta, spalancata, ti ha atteso. Perché hai tardato tanto ? Sul mio tavolo dei peperoni verdi, del sale, del pane. Il vino che avevo conservato nella brocca l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
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Perché hai tardato tanto ?
d'una vicenda che parve infinita.
Ma ecco sui rami, maturi, profondi, dei frutti carichi di miele. Stavano per cadere senza essere colti se tu avessi tardato ancora un poco.”
Parole misteriose, senza tempo, mi ripete la vita. Elio Andriuoli
Non v'è chi non veda, sintetizzati in questi versi, alcuni dei motivi dominanti nella poesia di Hikmet. La voglia di vivere e di amare, di vivere in compagnia, d'amore e d'accordo. La paura del tempo che passa inesorabile, della pioggia che fa seguito ai raggi caldi del sole; l'attesa continua, in uno stato di sofferenza da privazione; la predilezione per i prodotti della Natura semplici e genuini, come ortaggi e vino, e pane; la preoccupazione per la mancata coglitura di frutti di miele, di occasioni d'oro per gustare la vita, la scadenza del termine (peraltro sconosciuto) fino al quale ci è dato di vivere. Non c'è tempo da perdere. Perché hai tardato tanto? Luigi De Rosa
LA LINEA DELLA VITA Guardo la mano; cerco inutilmente di leggere la linea della vita, l'andamento ne seguo, le spezzate, sino all'ultimo tratto che s'arresta perduto e indecifrabile. Il segreto non rivela della sua oscura corsa. Resta l'ansia, l'attesa che mi morde nel fondo e quel reticolo di segni ov'è inciso il destino. E son frammenti di un viaggio lungo ormai, che mi conduce verso una meta sempre più vicina. Ogni segno è un evento e del cammino una tappa. Ritornano stagioni a evocare visioni che vaniscono nel firmamento acceso dell'esistere (dal suo cielo mi fissa la grand'Orsa). Ed è portento, è luce essere stati. Vengono cari volti dagli andati anni per sussurrarmi dentro un vento di voci, strepitose profezie. Io le colgo all'incrocio delle vie
Napoli
L’INCONTRO
L’opera ammirata da tanti estimatori manifesta il pensiero dell’artista creatore Evidenzia l’armonia carpita dal creato col messaggio di pace impresso nel mosaico Un mondo di pace, di serenità, d’amore si coglie dall’estro dell’artista creatore La coppia nel mare abbraccia con enfasi gli squali e i pesci senza alcun timore ma percependo solo sentimenti d’amore. Amore per tutte le creature del mare per l’incanto provato nel verdino scenario. Gabriella Frenna Palermo
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Recensioni TITO CAUCHI ALFIO ARCIFA Con Poeti del Tizzone “ Editrice Totem di Lavinio (Roma), Anno 2018, e. f. c., pagg. 255. C’è da restare esterrefatti ogni volta di fronte ai lavori di notomia letteraria del professore, critico, poeta, saggista gelense, Tito Cauchi, residente ad Anzio già da diversi decenni. I suoi saggi sono nati dopo anni di frequentazioni con autori da lui ammirati, coi quali volutamente o per casualità ha ‘coltivato’ intensi epistolari, talvolta – ed è questa la sede giusta – trattasi di missive autografe da parte dell’ amico letterato entrato nel suo fascinoso approfondimento, il direttore dell’ex-testata “Il Tizzone” di Rieti, senza del quale noi lettori non avremmo mai saputo i particolari di uno scambio culturale così ricco di eventi di ogni genere, di speranze nutrite anche a lungo termine, di momenti di sconforto, per esempio, a causa della perdita di un amico comune, dalla cosiddetta tempra d’acciaio, come l’ illustre intellettuale Salvatore Porcu nel gennaio del 2005. Dalla lettera del 22 febbraio 2005 di Alfio Arcifa all’amico Cauchi, nel ricordare con toni carichi di rimpianto Salvatore Porcu così redasse «[…] Anche se non ci si conosceva personalmente, c’era tra noi una vera amicizia e frequenti erano i nostri rapporti epistolari che non cessarono nemmeno quando, a causa della debole vista, lui fu costretto a ritirarsi e a giovarsi di un suo nipote per rispondere alle mie lettere. La pubblicazione dell’ultima sua poesia che mi era rimasta lo colpì e fu tanto contento, che volle telefonarmi per ringraziarmi e dirmi che, non
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potendo fare il versamento per normale contributo, come faceva sempre, spontaneamente, avrebbe provveduto, tramite lei, al che gli risposi subito che non c’era proprio bisogno.» (A pag. 49). Non si può immaginare l’abbondanza dei fatti che possono venir fuori da una lunga corrispondenza fra due persone con interessi comuni facenti capo alla letteratura, alla cultura in generale, al senso della condivisione disinteressata, quale è stata, appunto, quella fra il professor Cauchi e l’oltre nonagenario, ex-insegnante elementare originario di Catania, Alfio Arcifa. Le lettere iniziano con la data del novembre 1993, quindi, negli anni Novanta l’autore Tito Cauchi editava la sua opera Prima di poesie dal titolo Prime Emozioni ed era desideroso di diffondere la crestomazia il più possibile, anche tramite conoscenze non propriamente dirette come avvenne col direttore Arcifa, segnalatogli dal direttore del mensile “Pomezia-Notizie”, Domenico Defelice. Riuscì ad inviare, in duplice copia, il suo libro fresco di stampa al direttore reatino d’adozione, il quale al cospetto del comportamento umile e riguardoso del poeta Cauchi, così si espresse in un articolo apparso sulla rivista “Il Tizzone del marzo 1994: «[…] Le persone veramente gentili e comprensive si comportano così, specie quando iniziano una relazione con una rivista come “Il Tizzone” che non ha dietro di sé uno sponsor, né un forte sostegno, palese od occulto. Bene, caro Cauchi, avrà spero soddisfazione, tanto più che non ha imitato coloro che mandano i loro scritti o volumi da recensire senza alcun rigo di accompagnamento, come dire ch’è facile sottintendere ciò che si vuole e si desidera e quindi basta.» (A pag. 16). La scintilla della vera affinità elettiva – per dirla alla maniera del poeta scrittore di nobile famiglia, Johann Wolfgang Goethe (1749-1832), autore del celebre romanzo del 1809 Le affinità elettive, in cui la sintonia fra due esseri non avviene attraverso unioni stabilite dalla legge, dalla famiglia o nell’ ambito del proprio credo religioso, bensì travalicano ciò poggiando le basi sul pregustamento di una beltà che non è di questo mondo – ebbene, si sono apprezzati nell’immediato Cauchi e Arcifa con stima reciproca e il direttore di Rieti ha fatto in modo che anche i successivi libri di poesia di Cauchi venissero recensiti da valenti critici di altre regioni italiane, come lo scrittore biellese opinionista della testata “Il Salotto degli Autori” di Torino, Guido Bava, che nel 2003 stilò un suo punto di vista sulla silloge poetica cauchiana dal titolo Amante di sabbia. «[…] Colmi di concetti pienamente condivisibili, i versi si susseguono avvalendosi di garbate metafore alternando motivi lirici a visioni cosmiche, significati e senso del vissuto a visioni oniriche
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dettate da desiderio. Una presenza umana nel sistema universale che si dibatte fra dubbi, sensazioni, interrogativi, sentimenti, problematiche esistenziali e ricerca della pace». (A pag. 22). Purtroppo, l’esistenza del direttore Arcifa è stata segnata di recente da due grandi disgrazie familiari, che soltanto Colui che è padrone della vita e della morte ne conosce le valide motivazioni. Nell’ agosto 2011 è venuta a mancare Agata Maria Arcifa, la figlia maggiore di Alfio Arcifa, e nel luglio 2015 è andata via per sempre anche l’altra figlia, Pina Arcifa, vicedirettrice della testata fondata dal padre. Così ha scritto il professore Tito Cauchi in una sua del dicembre 2015: «Grande e insopportabile è il dolore per la perdita, specialmente quando i genitori si vedono precedere dai figli. Niente e nessuno può sopperire al vuoto che si viene a formare. Esprimo il mio affetto all’amico maestro Alfio Arcifa, direttore de Il Tizzone, alla sua consorte e ai loro cari tutti». (A pag. 230). La rivista “Il Tizzone” nata nel 1980 si è interrotta da oltre un anno anche a seguito di questi luttuosi eventi familiari e il direttore Arcifa, che durante l’ ultimo conflitto mondiale è stato fatto prigioniero dai tedeschi, è alla soglia prossima di diventare centenario. Che il Signore lo conservi in salute ancora tra noi a lungo! Isabella Michela Affinito
GIOVANNA BONO MARCHETTI CAMELOT Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, Ottobre 2005, pagg. 24. Re Artù, la Britannia, Camelot, Ginevra, Lancillotto, Excalibur, Morgana, Merlino, la valle di Avalon, sono i nomi altisonanti di quella lontana « [...] società perfetta, fondata sull'onore e sulla vera giustizia, per il reciproco amore e rispetto di tutti.» (Dalla Prefazione di Marina Caracciolo). Vigeva la mistica geometria insita nell'Ordine dei Cavalieri di Artù, che nel riunirsi sistematicamente attorno alla Tavola Rotonda non facevano altro che esprimere concordi la negazione della forma gerarchica, secondo la quale sarebbero sorte in loro inevitabilmente l'avidità e la rivalità. Nutrirono elevati ideali e soprattutto il senso dell'equità, giacché formati secondo le direttive del loro re Artù, uomo dalle qualità eccezionali che arrivò a conquistare la Scozia, l'Irlanda, la Norvegia, l'Islanda, la Danimarca, la Spagna, la Gallia, fino ad intravedere anche l'espugnazione di Roma, ma rimase un sogno falcidiato dal veleno della corruzione penetrata, purtroppo, fin dentro le mura del suo castello a Camelot.
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Lui è passato alla storia per la rettitudine, innanzitutto, e finché essa circolò nei suoi intendimenti e in quelli dell'intera Camelot, tutto andò positivamente. Quando, invece, si insinuarono le voci (evidentemente vere) dell'adulterio di Ginevra sua consorte, le cose nel suo regno mutarono in peggio, con la riconsegna della spada Excalibur all'acqua e la dispersione del mito che aveva enfatizzato l'invincibilità di un re onesto, con l’esigente senso della perfezione (morale). La poetessa ligure Giovanna Bono Marchetti con questa crestomazia tra il chimerico e il fattibile dei nostri giorni, ha vinto il primo premio al Concorso "Città di Pomezia 2005"; di conseguenza la redazione del mensile di Pomezia-Notizie ne ha realizzato il Quaderno letterario della collana "Il Croco". Nel nome di Camelot è racchiuso il principio arturiano puro e irripetibile, ripreso in chiave moderna dall'autrice residente a La Spezia, per perpetuare nella contemporaneità le idee utopiche di un re, la cui esistenza è rimasta nel dubbio e quindi intrecciata alla leggenda. «Tra questi muri il cielo/ è un poligono lontano./ Aspetto che passi una rondine.// Basterebbe un volo/ a scuotere il grigiore/ dalla primavera dell'anima.» (Alle pagg. 4-5). La presente raccolta poetica è stata suddivisa sulla considerazione di un territorio geografico: in Periferia, Litoranea e Retroterra. C'è un chiaro riferimento al concetto di luogo che giustifica, appunto, la scelta della titolazione del florilegio. Ma pensando alla sua Liguria, il riferimento rasenta soprattutto la conformazione della regione, quale fetta di terra sottile ad arco che si affaccia, per abbondanti trecento chilometri di costa, sul mare. «Dove il colle digrada in breve piano,/ sottratti con fatica alla boscaglia,/ erano bei coltivi e sul confine/ Levantina lambiva gli alti pioppi.// Ora è tornato il tempo della macchia./ Guadagna spazio un invadente intrico/ di sterpi e di cespugli, una selvaggia/ anarchia vegetale rigogliosa/ che corre allo sbaraglio fino al fiume/ e solo il fiume, a modo suo, contiene.// In vent'anni d'incuria apro un varco/ per raggiungere il melo nel folto.» (A pag. 15). Poeticamente e in breve, l'autrice ha descritto la geografia del suo territorio con la riviera del Levante, oltre a quella di Ponente non menzionata. Riferisce della vegetazione fiorente, che a volte si presenta abbastanza selvatica, ma ugualmente bella a vedersi, perché fa parte di una cornice regionale in cui la salvaguardia dell'ambiente naturale è alquanto conclamata; basti pensare alle difese del Monte di Portofino, con le battaglie legali per metterlo sotto la tutela del Patrimonio dell'Umanità. Camelot rimane un posto da raggiungere, sep-
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pure con la fantasia versificatoria della poetessa che è nata e vive in Liguria. La circonferenza del regno integro, col suo castello-simbolo, resta il «[...] reame ideale, da sempre agognato dall'Uomo, deve - e come! - divenire concreto, con la volontà ferrea e giurata di tutti, con le parole sprizzanti ferro e fuoco dei poeti (piccoli e grandi), con la semplice mano con cui ogni individuo può brandire l'arma del soccorso e sollevare il calice della pace.» (Dalla Prefazione di Marina Carracciolo, pag. 2). Isabella Michela Affinito
TITO CAUCHI GIOVANNA MARIA MUZZU La violetta diventata colomba Ed. Totem, 2018 Tito Cauchi ci racconta la storia di Giovanna Maria Muzzu rilevata attraverso le sue raccolte di poesia Con un susseguirsi di pensieri srotolati insieme alle pagine di Giovanna Maria Muzzu, Tito Cauchi ci racconta la vita esemplare di questa sensibile poetessa, di origine sarda. Un'esistenza, riferisce l' Autore del testo, di sacrificio e di dolore. Questi sentimenti, racchiusi in alcune raccolte poetiche, hanno un titolo particolare in quanto, proposti al singolare, nascondono una pluralità di contenuto. Farò qualche esempio, dall'Autore stesso proposto: collana (di perle); rosario (di lacrime) e così via. Con garbo, vicinanza emotiva, e comprensione, il nostro Autore segue approfonditamente la sua storia e ce la trasmette: una vita, come già accennato, costellata di lacrime e di affanni, che trova la sua consolazione e, infine, la sua vittoria nella fede, una fede talmente forte ed irriducibile da diventare riscatto, testimonianza, insegnamento. La prima silloge “Una collana di perle”, appare quasi una presentazione dell'Autrice, in un progredire continuo di notizie che Cauchi sintetizza in tre sezioni. Nella prima viene fuori la semplicità di una ragazzina che, con tutta l'ingenuità di questo mondo, raccoglie conchiglie in 'riva 'al mare per farne una collana. Nella seconda, la serenità è distrutta dalla violenza del dolore; Maria viene privata' dell’ amore: l'afflizione è talmente viva e inconsolabile da portarla ad una vera 'e propria prostrazione. La donna è distrutta; non solo ha perso l'amato ma, di conseguenza, i figli hanno perso la figura paterna. Nella raccolta successiva, intitolata "Una pioggia di stelle", la protagonista ripercorre le vie del passa-
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to ritrovandosi una creatura non molto accettata da sua madre, una sposa che avrà di che soffrire e quindi nella veste di donna rifiutata; nasce di qui il pensiero pressante di riscattare la sua condizione di essere al femminile in quanto “donna figlia, sposa, madre, e ancora donna con tutte le sue accezioni”. Tutta la vita di Giovanna Maria viene, dunque, tratteggiata dall'Autore che ne penetra le sofferenze ad una ad una, fino al momento della profonda ribellione che le impone di diventare un po’ madre di se stessa. E, "contro ogni regola frantuma le barriere del tempo entrando ed uscendo da sé", un: miracolo, afferma Tito Cauchi, che "è possibile solo nella terra dei poeti”.' Del mondo speciale della Muzzu, che appare una figlia particolarmente gradita a Dio, ci parla non soltanto Tito Cauchi, ma altri critici illustri come Leonardo Selvaggi e Domenico Defelice che, insieme ad altri studiosi, lasciano il suo nome scorrere con plauso in diverse riviste letterarie. Credo che uno degli importanti inviti della Muzzu, recepito dalla sensibilità di Tito Cauchi, sia stato identificare il destino nella lotta e nelle divisioni dell'essere vivente, nelle quali gli uomini si smarriscono distruggendo il naturale impulso alla fraternità. Anna Aita
NAZARIO PARDINI I CANTI DELL’ASSENZA The Writer Editore, Milano, 2015, € 14,00 Poeta fecondo e dalla voce ben definita, Nazario Pardini ha pubblicato nelle edizioni Writer di Milano nel 2015 un libro dal titolo I canti dell’ assenza. Sono questi i canti del distacco da persone e luoghi amati, che ormai rimangono vivi soltanto nel ricordo, dove accendono ancora limpide immagini e suscitano amate voci. Così è di Elegia per Lidia, che subito si nota per l’ immediatezza dell’incipit: “Ritornerai tra gli alberi e sui campi / quando l’autunno / lacrime rubino / gocciola a terra”; così è per Quel Natale: “Mio padre levava il vino novello quel Natale” o di Come parole fresche di fontane: “Mi guardano i tuoi fiori questa estate / lucida e spavalda. Sento giungere / dalla siepe di casa il dolce aroma / del niveo gelsomino”. C’è in queste poesie un vivo sentimento della natura, come ad esempio, in Sera di casa mia: “L’ albero gemma. Inflorescenze candide / si aggrappano ai rami come i figli / ai seni delle madri. L’aria si apre / chiara nel cielo”; così come c’è gioia di ritmi, che si scopre, ad esempio, in Buca
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dei tassi: “Tra i monti incuneata e obliqua al cielo, / Buca dei tassi, ti ho rivista fertile di grappoli vermigli”, che diviene particolarmente evidente in certi veloci endecasillabi, come quelli di Presto ritornerò: “Presto ritornerò sull’imbiancata / strada di gesso ai meridiani soli / girovago nei campi”. Si veda anche come s’affaccia la magia dei colori nella poesia intitolata Il mare: “E venne il mare. / Eppure il sole comandava al blu / di ridere con gli occhi luccicanti / sopra i salmastri verdi”. Pardini sa cogliere inoltre sempre nuove occasioni di canto con estrema facilità e leggerezza, come avviene in Zufoli e fili d’erba e sa suscitare sempre nuove immagini, come quella della “donna / novantenne, coi fiori nelle mani / tremolanti e insicure” di Carso o quella della “vecchia zia Rosina”, di La vecchia zia, che il poeta va a trovare nella sua casa di città. Spiccano poi in questo libro vario e complesso i Poemetti onirici, che hanno per argomento degli incontri sia con persone defunte, come quello che avviene col padre in A colloquio con mio padre. In sogno: “Baluginò il suo volto. Che lucore! / Era simile il cielo a quei mattini / in cui andavamo ad erpicare / il profumo della terra. Era mio padre” o quello che avvenne con il giovane amico di Torna amico! Cerca di tornare o con la ragazza della poesia Alba”. Gli incontri di Pardini avvengono poi anche con personaggi del Mito, come quello che si svolge in uno stato tra veglia e sogno, con le Erinni (“Erinni siamo / o, se ti aggrada, Nemesi”) o con Ulisse, ne Il ritorno di Ulisse, dove si possono leggere questi versi: “È sempre aperta / la sfida tra l’eterno e me che cerco / con gli occhi indolenziti quella luce / che mi soverchia. Ma stasera il mare / riporta chiare voci di Calipso / e di Circe. E il canto di una vergine / intenta al suo corredo”. Ma qui s’incontrano anche Saffo, Anacreonte e Alceo, così come s’incontrano le Riflessioni di un uomo dell’anno 10.000, in una poesia intitolata Confronto e pure s’incontra “una gran truppa d’anime leggere / con in cuore la vita” nell’Isola dei morti. Seguono i Frammenti d’oltresera, con le traduzioni da Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, liberamente tradotti da Pardini, le sue Poésies scritte in lingua francese e le Traduzioni. Ne risulta un libro vario, scritto con quell’ eleganza di stile che è propria di questo poeta, classico e moderno ad un tempo, che sa affrontare con estrema facilità gli argomenti più vari, e con quella capacità d’intuito che gli consente di penetrare a fondo il senso di ogni cosa. Elio Andriuoli
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DOMENICO DEFELICE GIUSEPPE PIOMBANTI AMMANNATI E “POMEZIA” Il Croco settembre 2018 Un prezioso lavoro di Domenico Defelice in allegato al numero di settembre della sua rivista POMEZIA-NOTIZIE. Questa volta lo scrittore, il poeta , il saggista, rende omaggio consapevolmente alla città laziale che lo accolse tanti anni fa, fino a renderlo uno dei suoi figli prediletti. Pomezia è stata amata da Defelice, dopo ovviamente la sua Anoia, e Pomezia ha amato il suo cittadino che si è prodigato in tutto e per tutto per darle lustro. L’opuscoletto di circa 60 pagine edito per il Croco, con la scusante di parlare dell’artista toscano Giuseppe Piombati Ammannati, è un afflato tra lo scrittore e la Città, un abbraccio commovente che si manifesta nel leggere le pagine che il Defelice ha redatto. Il Nostro non ha intenzioni di fare storia o di vestirsi da storico, lo dice chiaramente nelle primissime righe del saggio, ma nel suo delicato omaggio alla Città, non si accorge che la sta storicizzando con fatti e ricordi di un territorio che ebbe la fortuna di conoscere ancora vergine o presso che intatto. Pomezia nacque è notorio, dalla bonifica della pianura pontina già iniziata secoli prima da Papi e ancor prima da imperatori romani, i quali dovettero fermarsi però di fronte ai grossi problemi di natura tecnica. Togliere acqua da terreni paludosi non era cosa semplice utilizzando solo canali di scolo. Il tempo, che porta innovazioni, lo renderà possibile solo con l’invenzione e la realizzazione di pompe idrauliche. Svestito il fascismo dalla sua connotazione politica alquanto discutibile, una delle diverse cose buone e vantaggiose per lo Stivale, fu la bonifica di un vastissimo territorio del basso Lazio, che partendo da appena fuori Roma, giungeva fino ai confini con la Campania. Mediante sistemi di canalizzazione e pompaggio, si prosciugarono ettari e ettari di buona terra sulla quale si impiantò una florida agricoltura e si fondarono moderne e razionali città. Nascevano così Ardea -Pomezia, Sabaudia, Aprila, Pontinia, Latina. Tra l’altro per creare la provincia di quest’ultima città, si smembrò l’antica Terra di Lavoro (attuale Caserta e provincia), usurpando gli antichi territori appartenenti al casertano che, in quel contesto storico-geografico, erano i più estesi d’Italia. Urbanizzazioni nate dalle esigenze dei coloni, a cui erano stati affidati i nuovi terreni strappati all’ acqua paludosa. Ci racconta il Defelice del prima
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del durante del dopo la fondazione. Elencando scrupolosamente tutte le iniziative e le manifestazioni messe in atto per dare lustro a Pomezia. Ci parla dell’Associazione Coloni Fondatori di Pomezia, che fin dai primi anni ha amato e creduto in quella nuova realtà. Non manca la citazione dei nomi di tantissimi personaggi o per meglio dire di personalità, come sindaci o operatori culturali, tra cui lo stesso Defelice, che hanno contribuito a rendere importante la città e il territorio. La città di Pomezia nasce come le altre citate, con un progetto ben delineato di città utopiche, sebbene non tutto sia andato sempre liscio come desiderava Mussolini. Il Duce aveva in mente la “città ideale” rappresentata nel dipinto quattrocentesco conservato a Urbino. Per cui gli architetti chiamati alla progettazione tentarono di tenersi su quella linea. Diciamo che Mussolini non fu il solo a tentare questa idea della città ”utile”. Anche in epoche precedenti si perseguì questa via, ma senza riuscirci. Lui fu un poco più fortunato, riuscendoci solo a metà. Le note vicende storiche interruppero, probabilmente, il cammino intrapreso. Vi furono contrasti, ci spiega il Defelice, tra enti, società, dirigenti coinvolti nella realizzazione dei progetti urbanistici voluti da Roma per la realizzazione di Pomezia, e aggiungerei anche per le altre succitate nuove terre da urbanizzare. Ciò non ostante Pomezia si solleva mano a mano dal suolo assumendo quella linearità del pensiero razionalista e che nell’architettura del ventennio ha lasciato molti segni fuori (Pomezia, Latina, Sabaudia …) e dentro il capoluogo (Roma Eur, stadio Dei Marmi …). E nel contesto della crescita e dell’ abbellimento di questa città, si fa avanti la figura dell’artista toscano Giuseppe Piombanti Ammannati. L’artista coglie subito il senso che deve connotare il corredo artistico da dare alla città. Formatosi scolasticamente presso le scuole di arti decorative sente profondamente la materia, che si trasforma nelle sue mani prendendo le forme che ha in mente. E in mente ha quello che Mauro Pratesi, nel catalogo per la mostra del decennale della scomparsa dell’artista, definisce “ruralismo magico”. Comprendendo subito e appieno il perché della nascita di queste nuove città e della loro destinazione a un mondo agricolo e contadino, anche se di alto livello, concepisce opere come la statua POMEZIA. Nella sua composizione l’Ammannati mette tutta quella simbologia che deve rendere palese la naturale vocazione territoriale, ma anche la ferma volontà politica di coloro che hanno voluto la creazione di questa nuova fetta d’Italia.
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Nell’opera c’è la frutta, il grano, la Terra simboleggiata da una donna che prodiga allatta i suoi figli, i quali a loro volta sono sostegno presente e futuro della terra e dei suoi frutti. L’Ammannati ci ricorda nel suo saggio il Defelice, fu anche, da ottimo ceramista, interprete di temi a carattere religioso. Questo tema lo espresse anche con xilografie e disegni, non che con pitture a olio. L’aspetto grossolano dei suoi manufatti, questi personaggi delineati con una solida corporatura, l’ abbondante rappresentazione di fiori e frutta, questa ruralità è voluta proprio per risaltare il mondo contadino. Interessante ancora il lavoro di Defelice, in quella parte che mette in luce la secolare incuria che il mondo politico ha nella valorizzazione dell’ arte, anche se è volta ad abbellire città indegne spesso dei loro sindaci. Ci dà lo spunto l’Autore per un approfondimento della questione per l’ acquisizione della statua “POMEZIA “ alle pagg. 28-29. Segue infine nel saggio defeliciano un’ultima parte, costituita da una corrispondenza tra L’ Ammannati e il Defelice, dalla quale si evince di come sia mortificante e demotivante essere artisti in questo nostro Paese, che pure si vanta giustamente di avere il più ricco patrimonio artistico - culturale del mondo. Riporta anche, nella sua meticolosità di scrittore e giornalista, una breve appendice nella quale sono riportate una poesia e un racconto di G. P. Ammannati, al fine di mostrare la poliedricità dell’artista toscano. Ancora una volta ci viene proposto dal Defelice, con questo suo lavoro sull’Ammannati, lo spunto per approfondire uno studio-ricerca su una personalità artistica del nostro tempo, e data l’ampiezza delle argomentazioni contenute anche la voglia di allargare le conoscenze su altri argomenti che apparentemente sembrano essere fuori dal contesto. Salvatore D’Ambrosio
SUSANNA PELIZZA “LA POESIA COME ORGANISMO VIVENTE” I CONTEMPORANEI Antologia di Autori Italiani Amazon.it “La presente antologia vuole porsi in maniera alternativa e non contrastante, con le nuove poetiche del post-moderno: è a favore, quindi, di un recupero “della poesia come organismo vivente” (su Le Muse, editoriale di Dicembre 2013, M. T. Liuzzo, “Poesia come organismo vivente”) dotato di proprie “molecole ereditarie”, le cellule parole che vi-
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vono riattivandosi nel tessuto connettivo, nella forma-struttura-corpo del poetico: come ha detto M. T. Liuzzo (direttrice della rivista Le Muse di Reggio Calabria, A.G.A.R. Edizioni) “il corpo poetico non è affetto da tumore esistenziale, vive e si nutre della cultura e solo ad essa fa riferimento” (idem) (dall’introduzione, “Il realismo culturale”, S. Pelizza, op. cit.). Ventiquattro sono i poeti presenti in quest’opera, che lo stesso G. B. Squarotti definì “imponente e grandiosa” in una lettera all’autrice “…ho ricevuto la grandiosa e imponente antologia poetica, efficacemente commentata” (G. B. Squarotti, Torino 15 settembre 2015) analizzati secondo le particolari caratteristiche di ognuno, così come appaiono nelle varie biografie esposte: si passa dal panteismo descrittivo nel verso sciolto di I. M. Affinito al lirismo intimistico di Fulvio Castellani per arrivare all’alto ermetismo di Luigi De Rosa o “All’idillio surreale di un mondo sorto nelle cenere del vecchio” di G. Ianuale, con una critica che si fa promotrice di ricerca per una rinascita del valore poetico, legato al messaggio trasmesso. Il valore Culturale presente nelle poesie analizzate dei ventiquattro autori (I. M. Affinito, A. Bertoncelli, F. Castellani, T. Cauchi, G. Chiellino, D. Cigarini, O. S. Cometa, S. Demarchi, L. De Rosa, G. Frenna, G. Ianuale, M. T. Liuzzo, F. Luzzio, S. Marzano, C. Olivari, P. Olivari, S. Pelizza, M. Pelle, V. Rossi, S. Siniscalco, A. Sisto, V. Sorrenti, M. Squeglia, F. Terrone) è trasmesso nella volontà di un “colloquio con la tradizione”, per cui il richiamo, senhal, topos, è visto come “un’ esperienza di sapere oltre la sensazione”. “In un periodo in cui manca una critica edificante, in cui la critica è stata sovvertita dalla gadameriana fusione di orizzonti, in cui la progettualità è stata trasformata nel bisogno di comunicare, questi poeti sperimentano, non il “disincantamento del mondo” (Max Weber), ma il bisogno di significare, credendo nel valore poetico, nel suo irremovibile perdurare del senso e nel suo impegno civile a portare valori e modelli di riferimento a una società incolta e priva di prospettive” (Dall’Introduzione, S. Pelizza, op. cit.). La ricerca analizza, attraverso quest’ottica, due poesie per ogni autore, dal punto di vista strutturale, linguistico e interpretativo, tenendo conto della metrica (sinalefi, dieresi, allitterazioni, endecasillabi ecc.), per cui dalle varie annotazioni (espresse in numeri) viene fuori un quadro complessivo del testo, del significato trasmesso e della sua particolarità formale. L’idea che ne viene fuori, è conforme a quella iniziale di una “poetica dell’essenza”, contro il banale quotidiano, il superficiale linguistico, l’ assenza di schemi e di significato (l’atto di sospensione di una poetica dell’assenza, tanto decantata
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dalla critica di parte), per cui lo stesso “sperimentalismo” viene visto, in questa prospettiva, come un atto di “sfinimento delle stesse risorse, o potenzialità liriche espresse” (“ripatiamo da zero: cosa si può fare con un secchiello e una paletta? Così è l’essere poetico” aforisma 127, S. Pelizza da Il Mestiere del poeta, Amazon.it) cercando l’originalità all’interno della sua stessa struttura, nei meccanismi aulici, metrici e poetici del genere, per cui anche lo stesso “divertissement palazzeschiano”, o disturbo, diventa un “disturbo culturale”. “Il plurilinguismo non è abolito nel Culturale, ma visto come arte delle relazioni e interrelazioni linguistiche e sociali, come espressione di presa di coscienza dei valori trasmessi dalla collettività riflesse, che cercano relazioni e non sconnessioni. L’endecasillabo non è, come in Albisani, “il ricalco di un’onda sonora” (in Dopo il Novecento, G. Linguaglossa, su Amazon.it) ma il calco di un intramontabile sapere, che ancora ci parla, come persistenza della memoria oltre il tempo (S. Pelizza, dall’Introduzione, op. cit.). L’autrice, alla fine, si scusa con tutti gli autori altrettanto bravi (e ce ne sono veramente tanti!) ma che per ovvie ragioni di metodo sono stati esclusi, e lo stesso curatore si ripromette, in un futuro spero non molto lontano, di corredare un secondo volume de I Contemporanei, solo se naturalmente il primo avrà un certo seguito e riscontro da parte del pubblico e della critica. Maurizio Di Palma VITTORIO “NINO” MARTIN NUVOLE VAGABONDE Ed. CenacoloAccademico Europeo Poeti Nella Società, 2018 - pagg. 94, e. f. c. La raccolta di poesie di Vittorio Martin è un inno alla natura e ai sentimenti legati al ricordo di una vita passata, oramai inesistente. La città, che è la Musa ispiratrice, è Stevenà, paese originario del poeta-pittore. Le atmosfere che si respirano tra i versi sono lontane, arrivano dalla memoria di un tempo nel quale la bellezza gareggiava con la Natura, “era un'atmosfera diversa”. I luoghi parlano di una storia che si è già conclusa “Una porta arrugginita sbatte/ oltre il vuoto della piana,/ aperta ai ricordi e valori”. Echi lontani di un mondo nostalgico. “Il dialetto parlato/ gestito con le mani […] dai toni alti e bassi/ di brillante musicalità”. Un mondo analogico che viene confrontato con un presente in cui la cultura attuale dello scarto, non ha più punti d'unione con i valori di una volta. Identificarsi con le usanze di un tempo, porta le persone alla confusione. L'essere umano non sa più chi è, pretende
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sempre di più e questo lo porta all'infelicità. Martin parla del suo paese che è molto cambiato e che non riconosce: la valle era tranquilla e silenziosa, ma il turismo ha portato gli echi di musiche rockettare a tutto volume. L'umanità ha perso il suo equilibrio con l'ambiente ed il paesaggio, “è fiorita questa civiltà/ di usare e abusare,/ minacce e lusinghe/ cariche ed onori”. Si percepiscono le difficoltà nel comunicare, ci sono muri che si innalzano tra gli esseri umani, che si perdono nella solitudine della realtà attuale. Si sono smarrite le sicurezze, le relazioni si cancellano con estrema leggerezza e la confusione prende piede nella vita dell'uomo. Il poeta, dunque, percepisce il bisogno di “far luce in questo buio totale”. La sua speranza rimane nell'antico gesto di alzare lo sguardo al cielo, un cielo che non ha confini e che non ne pone a nessuno. Nel cielo, le nuvole possono cambiare in ogni istante, creando uno “spettacolo del creato”, così le vicende umane possono, se gli uomini lo vogliono, trasformare la loro esistenza. Ecco, quindi, che nelle nuvole vagabonde del cielo, si possono rispecchiare le vicende degli uomini e delle donne. Leggendo i versi del poeta-pittore si intuisce che c'è qualcosa che manca, di precario, instabile, incerto, un qualcosa ancora da completare nella vita di ognuno. Mediante una scrittura profonda e priva di formalismi ed artifici, giunge al centro di molti problemi che affliggono questo nostro mondo: l'essere umano si è allontanato dalla sua dimensione naturale e cammina su questo pianeta ancora incerto, ma speranzoso. Manuela Mazzola
TITO CAUCHI ALFIO ARCIFA Con Poeti del Tizzone Editrice Totem 2018, pagg. 256 Questo volume è nato dall'intenso rapporto epistolare tra due importanti poeti ed educatori, uno docente negli Istituti superiori, l'altro insegnante elementare, Tito Cauchi ed Alfio Arcifa. E' un rapporto non sempre facile, dal momento che tra i due c'è una notevole differenza di età, ma anche dovuto ai temperamenti molti forti di entrambe. La raccolta epistolare è un modo per far conoscere ai lettori il mondo interiore ed anche intellettuale dei due artisti. La collezione di lettere va dal 1993 al 2017, attraversa un periodo lungo di 24 anni, nel quale si trattano vari argomenti come le recensioni pubblicate sulla rivista di Arcifa, “Il Tizzone”, i comportamen-
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ti delle persone, i sentimenti, il modo di affrontare il mondo e le relazioni in generale. Il ritratto che viene fuori del maestro, è quello di un uomo combattivo, forte che risponde a tono seguendo sempre le sue idee, le quali risultano ben chiare anche ai lettori. E' un uomo schietto e diretto, ma con una grande sensibilità: “Sono del parere che questa società sia molto malata ed abbia bisogno di un forte scossone per riaversi e mettersi sulla retta via della pacifica convivenza, eliminando ogni impulso d'odio e ricercando ad ogni costo l'amore, contrariamente a quanto avviene oggi in campo politico e sociale”. Non ama i presuntuosi, ma gli piacciono le persone che lavorano sodo senza dar fastidio agli altri. “Spero di aver chiarito quanto ho creduto bene di chiarire”. Un uomo schietto che vive la relazione con l'altro mediante la franchezza, un concetto che ha più volte ripetuto nelle sue missive. Le opinioni ed i pensieri che il maestro Arcifa dichiara nelle lettere sono effettivamente riscontrabili da tutti i lettori; infatti affermava, nel 2007, che esiste tanta ipocrisia, tante persone si lamentano senza, però, farsi un esame interiore; accusano gli altri, ma poi sono i primi a non voler cambiare. Si percepisce ad un certo punto, leggendo le sue parole, uno scoraggiamento, quasi che abbia perduto la sua forza combattiva poiché davanti ad una realtà presuntuosa ed indifferente afferma che: “E' meglio che io saldi presto il mio dovere con questo mondo”. Tito Cauchi, autore del libro, dice nella prefazione: “Comprendo da solo quanto possano sembrare eccessivi gli scritti e i toni; queste cose fanno parte della vita e l'esperienza di uno può servire ad un altro”. L'intento è quello di divulgare la conoscenza, la cultura perché l'arte deve circolare nel mondo, tra le persone. Per il professore la poesia è la più alta espressione dell'animo umano e del mistero della vita. Dalla corrispondenza privata dei due si capisce che Cauchi ha stima, una venerazione per il maestro, ed il suo temperamento, sicuramente più pacato e comprensivo, fa in modo che il loro rapporto sia maturato nel tempo. Ciò che condividono di più è la correttezza, la lealtà nelle relazioni umane. Scrive così all'amico Arcifa: “Non mi permetterei mai di mancarle di rispetto; ho stima delle persone che, come Lei, hanno dedicato la vita ad una missione culturale-popolare, consentendo a molte persone di cimentarsi nelle letture, come se la Rivista fosse una Palestra”. Il suo carattere lo porta a mediare tra gli artisti, per allentare le tensioni che a volte si sono create, però, anche lui ha momenti di sconforto poiché nello scrivere doveva preoccuparsi anche di non urtare la sensibilità degli altri. Ben-
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ché distanti dal punto di vista anagrafico, i due poeti si ritrovano in molte reazioni e comportamenti, d'altronde una così cospicua corrispondenza non poteva che essere sostenuta da forti analogie. Consiglia all'amico di non prendersela troppo se qualcuno non entra in sintonia con lui, infatti evita di scendere in polemica. I suoi sono toni sempre molto pacati, ma non per questo meno incisivi: “Serro la bocca e sto in silenzio, anziché urlare il mio sdegno per il capovolgimento dei costumi e per le disillusioni”. Il professore, nel corso del tempo, si rende conto che la società va avanti e non si può fare altro che seguirla; ha compreso che non si possono più ignorare certe cose come i telefoni cellulari ed il computer. Consiglia, infatti all'amico Arcifa di non scrivere a macchina, ma di utilizzare i programmi di scrittura del computer. Il loro rapporto è cresciuto e maturato nel tempo attraverso la correttezza, la sincerità ed il rispetto. Nelle ultime lettere pubblicate nel volume, entrambe terminano dicendo: “ Ti ammiro, ti voglio bene, oppure il tuo vero amico”. Inoltre, nel 2009 Cauchi scrive qualcosa di profetico sulla scuola e sui comportamenti che oggi per noi sono all'ordine del giorno; parlando di un ragazzo minacciato di bocciatura da un professore afferma: “Nel tempo di adesso, guai a fare una minaccia simile: sia l'alunno, sia i genitori 'menerebbero' l'insegnante”. Il poeta riesce ad avvertire i cambiamenti che stanno avvenendo nella nostra società, cambiamenti molto importanti sulle problematiche che riguardano le relazioni e la comunicazione tra le persone. Quello che emerge dall'intenso rapporto è uno spaccato della nostra società e delle sue questioni, ma emerge anche il profilo di artisti di grande levatura, attraverso i quali si possono conoscere e condividere i pensieri, i caratteri e le sensibilità. Manuela Mazzola ETIENNE JAUDEL JUSTICE SANS CHÂTIMENT Les commissions Vèrité-Rèconciliation Préface de Antoine Garapon - Odile Jacob, Paris, fevrier 2009. Per dar corpo a quanto è stato rilevato tra il nostro Direttore e me in scambio epistolare, questo testo mostra con chiarezza i percorsi che vengono seguiti in quegli Stati, in guerra e/o in dittatura, dove vengono perpetrati delitti, torture e malversazioni su soggetti inermi, indifesi, incolpevoli, affinché si riconoscano le violazioni che essi hanno subito e le forme giuridiche per restituire loro dignità e stato di diritto
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e di fatto, con corrispondenti riparazioni materiali e morali per i sopravvissuti e i loro famigliari. In 'Justice sans châtiment' Etienne Jaudel presenta sei capitoli dettagliati nei quali si prende carico di andare a ricostruire le situazioni storiche, pure recentissime, che hanno coinvolto anche l'ONU per costituire una CVR (Commission Vérité- Réconciliation), materiale che viene introdotto da una Préface di Antoine Garapon Les commissions Vérité-Réconciliation: une nouvelle forme politique (pp. 7-20): Prologue (pp. 21-24); Chapitre 1 Pourquoi une justice nouvelle? (Une justice impossible/Quels juges?/Une justice nécessaire/ Pourquoi une justice nouvelle? pp. 25-58); Chapitre 2 Histoire et typologie (Historique/ Typologie/ “Naming Names”/La vérité contre la justice pp. 5996); Chapitre 3 Rhétorique de la vérité et de la réconciliation (La vérité/La rhétorique de la réconciliation pp. 97-114); Chapitre 4 L'aveu et le pardon (Écouter les victimes/Réparer le tort fait aux victimes pp.115-138); Chapitre 5 Nunca mas (Le devoir de mémoire/Jamais plus pp. 139-156); Chapitre 6 “Délivrez-nous de la vengeance” (pp. 157168); Annexes (Liste chronologique des commissions Vérité/Aperçu de huit commissions pp. 169180); Notes (per ciascun capitolo pp. 181-188). Conclude l'opera un elenco di lavori dell'Autore che toccano temi complessi ed attualissimi: Le Juste et le Fort- À la Défense des droits de l'homme sur trois continents, Grasset, 1989; L'Aveuglement. L'affaire Kravchenko, M. Houdiard Éditeur, 2003; prix du Palais littéraire; Sur la peine de mort. Le théoricien et le militant, M. Houdiard Éd. 2004; La Malédiction du pouvoir. L'histoire tragique de Chaïm Rumkowski, président du conseil juif du ghetto de Lodz, M. Houdiard É. 2005. Ecco l'elenco delle otto commissioni, inserite nell'Appendice: Argentina, Cile, Sud Africa, Guatemala (sotto l'egida dell'ONU), Salvador (idem), Sierra Leone (idem), Timor Orientale (idem), Marocco, Perù, ciascuna delle quali viene sinteticamente analizzata in base all'istituzione della commissione d'inchiesta, con l'insediamento dei commissari, il mandato, la durata in carica, i poteri di controllo dei responsabili dei fatti, il rapporto specifico, con elenco di vittime, atti di violenza subiti, fattori che hanno reso possibili la violenza stessa e le sue conseguenze, elementi variamente presenti a seconda dello stato preso in considerazione e i costi, che talora gli Stati non sono in grado di coprire. Due citazioni tengono desta l'attenzione come scelte storicamente fondative: 'Le premier trait de la corruption des mœurs c'est le bannissement de la vérité.', tratto dagli Essais di M. de Montaigne (Chap. 3) e 'Dans nos sociétès contemporaines on
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ne sait plus exactement ce qu'on fait quand on punit et ce qui peut au fond justifier la punition', tratto da Dits et Écrits, vol. IV di Michel Foucault (Chap. 6). Mi soffermo proprio sul piano della retorica della verità e della riconciliazione, perché nel Chap. 3 l'autore fissa i compiti della CVR: stabilire la mappa delle violazioni dei diritti dell'uomo, dare ascolto alle testimonianze delle vittime, quando l'ONU è parte in causa per la copertura economica delle spese affrontate, affinché il pubblico venga a sapere la verità. Egli infatti dichiara che i totalitarismi contemporanei sono in grado di depistare e di manomettere le prove (massacri, sevizie, torture, scomparse di individui, negando fatti di cui si ritengono responsabili le forze armate o le divisioni paramilitari dello Stato in questione (Salvador, Argentina, Cile, Sud Africa). Se la verità è considerata l'obiettivo primario, se non è verità giudiziaria, non è nemmeno verità storica (arrivano i negazionisti!): “... Comme l'a écrit Pierre Nora, 'une histoire entièrement réécrite et jugée du point de vue des victimes et des vaincus est une négation de l'Histoire'. La commission de la Sierra Leone le souligne avec une remarquable objectivité: 'Il est illusoire de penser que des organismes comme les commissions Vérité pouvent établir un tableau historique complet. Elles peuvent pourtant discréditer certaines contrevérités, et elles contribuent ainsi à reconstruire un environnement social stable sur les ruines de conflits et de guerre'...” (E. Jaudel, op. cit. pag. 102). Le CVR sono limitate nel loro agire giuridico da molti fattori: ragioni diplomatiche, circostanze locali statali forti dei loro divieti, far riferimento a verità parziali legate a certe violenze perpetrate e non ad altre, divieto di rendere pubbliche le testimonianze. La prospettiva cambia quando la CVR ha come obiettivo di determinare la natura e i dettagli dei crimini subiti dalle vittime: dei criminali non si parla, solo dei crimini, allora l'Autore si sfoga e dichiara che nel Sud Africa la CVR è stata contestata perché incapace di superare le difficoltà di accesso agli archivi, per l'assenza dei testimoni, tanti per paura di presentarsi al processo, altri sconosciuti, morti o incapaci di trasferire, di trasformare le loro sofferenze in prove concrete! Perché, in fondo, i colpevoli hanno diritto alla difesa ed alle circostanze attenuanti, così le vittime potrebbero addirittura subire i rigori della Legge!!! Nella Preface Antoine Garapon presenta Etienne Jaudel avvocato e militante per i diritti dell'uomo e mette il dito nella piaga del sistema giuridico, con i suoi rituali fissi e limitanti i territori d'azione, elementi che dovrebbero mettere fine al sentimento di impunità sanguinaria dei violenti: una giustizia senza punizione, castigo, pena è ancora 'giustizia'? Egli
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insiste sulla differenza che intercorre tra il giudice, il quale fissa i limiti della sua investigazione a partire da una pre-qualificazione della realtà dei fatti, e lo storico che cerca di adattare il suo metodo alla specificità della sua disciplina. Ecco ora emergere la grande stima di Garapon nei confronti dell'Autore: Jaudel invoca la nozione di 'Perdono', nozione religiosa d'origine essenzialmente cristiana, che trova il suo fondamento nella gratuità di un gesto che non è ordinato da nulla se non dal desiderio di perdonare. Lo scopo però non riguarda solo la morale ed è quello di raccordare la storia individuale alla storia collettiva attraverso una nuova grammatica politica che presenti apertamente quanto le vittime hanno subito e quanto i colpevoli debbano evidenziare la loro responsabilità, unico modo per evitare la catena dei risentimenti, mai sopiti. Negli Stati presi in esame il nuovo patto politico potrebbe rappresentare quasi un contratto sociale, uscendo dalla spirale della violenza, non con le pene né con il perdono ma con un rilancio della capacità d'agire in modo nuovo, rispettoso della sovranità dei diritti individuali e collettivi. Un testo importantissimo, fortemente legato alla nostra contemporaneità, che insegna a scrutare a fondo, anche negli Stati a consuetudine democratica, l'agire della Giustizia civile e penale rispetto agli eventi problematici ed oggetto d'attenzione mirata. Ilia Pedrina
DOMENICO DEFELICE GIUSEPPE PIOMBANTI AMMANNATI E “POMEZIA” Ed. Il Croco, I quaderni letterari di Pomezia Notizie – Settembre 2018 Domenico Defelice ci propone un nuovo, ulteriore lavoro, riguardante la storia di Pomezia e, tra le altre, la figura del grande scultore e ceramista (nonché poeta e scrittore) Giuseppe Piombanti Ammannati. Defelice ha scelto Pomezia per vivere assieme all’amata moglie e creare una felice famiglia, quando era ancora un piccolo borgo rurale; un luogo piacevole, con un bel centro storico, dove si poteva stare tranquilli e passeggiare per le strade pregne dei profumi della vicina campagna. Erano anni di povertà ma anche di tanto entusiasmo e gli abitanti si riunivano spesso nelle feste indossando i costumi dei luoghi di origine. Egli ricordava senza dubbio il piccolo borgo in Calabria, dove era nato. Pomezia è stata fondata nel 1938 ed ha quindi una storia di soli ottanta anni. In questo tempo però il
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suo volto è molto cambiato e si è ingrandita, tanto da essere suddivisa in nord e sud (come sempre il nord con abitazioni di lusso e il sud con dimore più semplici). Il profumo della campagna è ormai un ricordo poiché il mondo agreste è andato scomparendo per il richiamo delle fabbriche, e il cemento ora fa da padrone. Il territorio circostante però è carico di storia, con luoghi antichissimi che risalgono ancor prima di Roma e ricchi di resti archeologici. Nel saggio Defelice indica alcuni personaggi che si sono interessati a far conoscere questa particolare Città. Fra questi, Antonio Sessa che ha cercato di farla amare con il suo volume “Pomezia”, nel quale ha svolto un’indagine dal linguaggio semplice ma esaustivo, rimanendo fedele ai dati storici. Anche Pietro Bisesti ha contribuito allo scopo raccogliendo migliaia di foto e altre testimonianze inerenti alla vita di Pomezia. Il suo libro è il risultato di una ricerca di quindici anni e racconta la storia mediante immagini che ben rendono la vita della città con gente umile, ma serena. Nei loro volti, infatti, non si scorgono né dolore né tristezza. Adesso, purtroppo, si vedono ovunque capannoni vuoti e i giovani hanno perso la speranza nel futuro. Un altro personaggio importante è la prof.ssa Daniela De Angelis, la quale ha composto un volume che tratta di Oppo, Delacroix e Piombanti Ammannati. Tre ricerche su questi artisti, collegati con le loro opere alla Città, e seguite poi dai suoi allievi dell’Istituto Artistico. Un altro suo volume tratta delle bonifiche fatte nel territorio e mette in luce il merito di Prampolini quale motore dell’importante lavoro svolto. Riguardo a Piombanti Ammannati e alle sue preziose ceramiche dedicate a Pomezia, Defelice aveva già scritto in Rivista e pure sul quotidiano Avvenire. Con l’artista ha avuto uno scambio epistolare quasi ventennale e in questo suo saggio appaiono appunto le lettere ricevute. Personalmente, si erano conosciuti nel 1974. Piombanti Ammannati, artista toscano, ha avuto nel 1918 la cattedra di Storia e Arte della Ceramica alla Scuola d’Arte della Ceramica di Sesto Fiorentino e dal 1934 al 1936 ne è stato il direttore. Ha continuato poi a insegnare in vari Istituti e nel 1940 è stato nominato Direttore della Scuola d’Arte di Urbino. Scultore, pittore e ceramista (nonché poeta e scrittore) ha prediletto i temi religiosi e quelli della natura. Per tale ragione, la sua ispirazione si è rivolta a Pomezia con bellissime opere riproducenti frutti, putti, api, ecc., quasi a far diventare rigogliosa la terra da lui prescelta come “mito”. Defelice si è da sempre interessato alla sua arte e si è adoperato presso le Istituzioni locali affinché dessero spazio e risonanza alle sue opere, special-
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mente la statua che Piombanti Ammannati aveva dedicato alla Città e che sognava di vedere esposta in qualche Palazzo. Tutto inutilmente, e Defelice è tuttora amareggiato che le Amministrazioni del tempo non siano state lungimiranti. L’epistolario ben evidenzia il rapporto che si era instaurato e l’attenzione che Defelice ha sempre avuto per le opere del grande Artista, il quale si affidava a lui per la divulgazione e il possibile collocamento nella Città. Diverse lettere sono inerenti alla Statua in ceramica di Pomezia poiché in merito sorgevano sempre degli ostacoli. Finalmente, il 18 ottobre 1987 il Sindaco di Pomezia si era recato a Grassina per osservare la statua da vicino e stabilire il relativo prezzo. Le trattative però non sono mai giunte a termine e il nuovo Sindaco della Città ha interrotto definitivamente le comunicazioni; per questo il rammarico di Defelice di non essere riuscito ad aiutare l’Artista nel suo intento. L’ultima lettera di Piombanti Ammannati risale al 1991. In chiusura di questo suo nuovo lavoro, Defelice ci propone sia una lirica sia un racconto di Piombanti Ammannati, per meglio farci comprendere il suo spessore artistico e la sua sensibilità poetica. A lui dunque va un ringraziamento per averci aperto uno spaccato sulla storia di Pomezia, non solo eventi del territorio ma cronaca di emozioni e di “sentire” diversi. Inoltre, l’augurio che questo saggio possa spronare l’attuale Amministrazione locale ad accogliere il sogno di Piombanti Ammannati. Laura Pierdicchi
ROBERTO LACHIN OMNIBUS Venilia Editrice, Padova, 2016, € 16,00 La fine di un amore costituisce il motivo ispiratore del libro di Roberto Lachin, intitolato Omnibus ed apparso per i tipi della Venilia editrice di Padova nel 2016. Il significato di questo titolo lo si ricava dalla poesia eponima, che inizia: “Si può anche salire in corsa. / E c’è chi pretende scendere al capolinea”, dove l’Omnibus diviene la metafora della vita, che sempre conduce al suo capolinea, rappresentato dalla morte. Qui però il capolinea raggiunto sta a significare piuttosto lo spezzarsi di un legame affettivo, che lascia l’animo di chi lo subisce immerso nella tristezza e nello sconforto: “Di lei avrebbe voluto il corpo / anziché i ricordi”; “Vorrebbe restare, ma deve scendere / perché è scritto che quel giorno / perderà l’amore”. La poesia così si conclude: “Come si fa a sapere / quando è il momento di scomparire”. A seguire l’itinerario tracciato da queste poesie, si
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attraversano tutte le varie fasi dell’esplorazione che l’autore fa del proprio animo, per individuare la profonda sofferenza che lo possiede e lo prostra. Ecco allora i soprassalti della memoria: “la spiaggia precipita contro gli scogli / a Tabarka” (Ines); ecco le pensose aperture, quali: “Non so dove sia cominciata la tristezza di noi due” (Abbandono); ecco le constatazioni dolenti di un male di vivere che ormai più non lo abbandona: “E la vita mi fa male da morire” (Metronomo); ecco le nostalgiche rivisitazioni del passato: “Ricordo un ricordo / quasi smarrito / … / riemerge incerto / un prezioso sorriso” (Porpora); ecco urgere la piena di remote visioni: “Quelle passeggiate tra gli alberi, / il tuo modo di volgere le spalle / la linea del tuo volto in controluce” (Patchwork); ecc. A tutto ciò si aggiunge il tarlo della solitudine: “… il racconto di una solitudine / screziata dalla vanità dei sentimenti” (Riflessione); “Parigi da solo” (Parigi); “Solo un avverbio di solitudine / questo amore…” (Fantasie); un sentimento questo cui si legano le immagini di luoghi che ritornano assidue alla memoria: “Un locale d’angolo / in un vicolo proprio dietro la chiesa” (Francesca) e l’affanno incessante dell’inquietudine: “Un’inquietudine che viene dal mare / con la salsedine” (Illusione) cui si unisce il rimorso che nasce dalla consapevolezza di non aver saputo cogliere la felicità che era a portata di mano: “… una vita in qualche modo sempre rinviata” (Abbandono); “… in frammenti e vibrazioni / un confuso rinvio” (Metronomo). Quello che Lachin adopera in queste sue poesie è un verso libero variamente modulato, ma sempre ben ritmato e fluido: “Corrono veloci le nuvole di Tunisia / nei mattini di fine settembre” (Pour Naouress); “Ora la musica tinge il silenzio / … / un morso nell’aria di questo novembre / che sa di bruma” (Tramonto); “Guardo una stella / a cui ho dato il tuo nome” (Indagine); “È questo assurdo intreccio, / cieco ed ostinato / che segna l’alba ed inchioda alla notte” (Tradizionale); ecc. La poesia che chiude il libro, Viaje, riprende il motivo dell’omnibus in corsa verso un’improbabile meta; omnibus in corsa che sempre più si rivela come una metafora dell’umana avventura: “Nel bus per Tehuacàn si viaggia stretti / … / L’autobus sbanda pericolosamente / insieme ai miei ricordi, / lungo la voragine del recente addio / … / Guardo afflitto l’unica lancetta rimasta del mio orologio, / che continua a segnare solo i minuti / e per intero assaporo la mia inutilità / di unico sopravvissuto alla fine del nostro amore”. Con questi versi dolenti e percorsi da un sommesso rimpianto termina il libro, comunicando appieno l’autenticità di un dramma che ha attraversato la vi-
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ta dell’autore, il quale qui come non mai ha messo a nudo la propria anima, rivelando i suoi più riposti sentimenti con quella sincerità e con quella schiettezza che soltanto la poesia, quando è tale, può esprimere. E di ciò gli va riconosciuto il merito. Liliana Porro Andriuoli
FERITO E’ IL CUORE … Ferito è il cuore, l’anima turbata. Parole dette, forse da non dire. Parole che in passato tacere è stato un male ? Soltanto il tempo saprà sciogliere il tormentoso dubbio, soltanto il vento di un prolungato e prudente silenzio dissolverà ogni attrito. L’oblio riporterà le cose al loro posto. Allora il cuore si risanerà e tornerà la pace nell’anima turbata. Mariagina Bonciani Milano
PRIMAVERA È arrivata la primavera, meravigliosa, sia di giorno che di sera. Mi coccola il fiammante sole con il dondolìo del venticello, il profumo dei fiori mi dà sollievo, mi fa dimenticare che a volte, sento freddo e sto male, ma è l’abbondanza degli anni sulle spalle, il loro peso ogni tanto si sente, ma al cinguettare degli uccelli si rinnova la pelle, si colma di brìo la mente e mi accorgo con stupore, che il mio fisico può ancora gioire
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e con il coro degli uccelli cantare. Arrivano le gazze nel mio giardino, sono eleganti e pazzerelle, ma il loro piacere è saltare e sulla testa atterrare, mi hanno deluso, perché mi hanno fatto male, ma quando si calmano è bello ammirarle. È splendente la primavera, sia di giorno che di sera, mi vesto di giovinezza e con allegria salto come una gazza. 22 – 10 – 2018 Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)
La curva tua mi pare un perfetto orizzonte una liscia fronte superba, avvolta d’una [verde peluria che ti fa chiara quando il sole sorge; e la rugiada, che ti bagna e che t’indora, pure ti consacra al passo armato . Sola la punterai contro uno scorrere schivo che non sente il tuo profumo – ma richiede le tue spine. I miei risvegli sono aspersi di docile febbre un viluppo in filigrana di sogno ed appena sotto passi di corsa per acquose strade capovolte: è il paesaggio frastagliato al bordo dei miei [occhi gravidi d’una luce tradotta a buio; del mio profondo petto l’espansione si dispiega, esce dalla forma, seminano le mie mani fari di stelle sulla terra che da basso il cielo illuminano. I miei risvegli sono stringenti terremoti di sogno e di rabbia , scossoni di vuoto e [ tempesta, dove il silenzio, che tutto mi svela, passa a suono e a fragore fino al terreno canto del mattino. Aurora De Luca Pordenone
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SOLTANTO LE PIETRE I passeri che a marzo a gruppi schiamazzano per lussuria, le cornacchie foriere di temporali. Le tortore che tubano per i pianori e le valli si rincorrono fino ai nascosti fossati. Il romantico in esilio nella città che si è fatta più disumana, rifiuto della gente relegata in lontananze psicologiche, la gente sadica in serie travasata da un anonimo flusso. Due generazioni smarrite, le radici di provenienza spezzate. La città serra nelle catene di giorni meccanici. Amo l’uomo tutt’uno con l’ambiente, l’uomo e la casa, la pelle che si fa dura e prende la patina del tempo. Il legno annoso di un tronco. Il modello levigato e metallico che viene usato come strumento; gli uomini che non si comprendono e non capiscono le differenze delle idee. Il colloquio sopraffattore, la confusione [ egoistica. Corpi contenitori che non si leggono in viso, belle le pietre riconosciute che risuonano uguali sotto il passo. Il romantico solitario che mangia veleno, sente il peso dei nervi esausti, roso dall’introspezione e dall’inquinamento che intorbida e rimescola tutto intorno. Passa nella sera dentro il viale, il sole abbacina lo sguardo, trapassa il fuoco del tramonto la rete verde dei rami. Il romantico che non sopporta il motore, le facce rabbiose che ruminano violenze. La malizia delle donne ha metallizzato il volto che ha perso il suo candore. Leonardo Selvaggi Torino
COMPLEANNO Se potessi fermare il tempo, come in una foto ricordo! Se potessi conservare integri, per sempre, la mente e l'amore per la vita e per le cose belle insite in essa! Se potessi godere, per l'eternità, della visione divina
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di questo mare meraviglioso, ripetere, senza interruzione, le mie passeggiate, solitarie ma salutari, lungo questo strato di conchiglie perlacee, vive, sotto questo sole un po' stanco ma sempre caldo! Se potessi congelare l'estasi, l'ottimismo e la felicità di questi attimi fantastici, ma fugaci [dell'esistenza! Se potessi realizzare... i miei sogni impossibili! Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno, IS
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“Alza il fiocco” mi dicevi e solo allora la grande vela gonfia di vento volava sulle onde nel silenzio, rotto solo dal rauco grido dei gabbiani Là in fondo, sulla sponda lombarda il nostro traguardo la prora puntata verso l’antico monastero di S. Caterina del Sasso. La nostra contemplazione mistica appagata. Wilma Minotti Cerini Pallanza - Verbania (VB)
GALIP KURDI PICCOLO MIGRANTE (3 settembre 2015) Splende il sole sulla pelle calda mentre la terra ha sete di pioggia ma le lacrime non riescono a saziarla. Il mare culla i bagnanti più ostinati mentre Galip, migrante siriano, naufraga senza clamore sulle coste turche. Aveva solo cinque anni, due in più del fratellino Aylan, che suo malgrado ne ha oscurato la memoria. Innalzate, voi che avete voce, un canto cogliete l’ultimo flebile lamento e date conforto alle migliaia di vittime. Rendete giustizia contro una morte così rapace e ingannatrice che annienta perfino la memoria. Tito Cauchi Lavinio Lido di Enea RM
BECCACCINO pagaiavo sino alla punta dell’isola di S. Giovanni, eremo musicale di Toscanini, dove iniziava una lieve brezza che scuoteva la vela
È IL PRIMO GIORNO È il primo giorno di primavera: un merlo a breve lontananza canta felice e piove: piove a piccole gocce sulla terra arida. Le rondini sono tornate e attendono con ansia che cessi di piovere. Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, MI
APPOGGIATO A UN BASTONE Appoggiato a un bastone che prima era ramo salgo le colline per naufragare senza odori di mare né di terra nell’acqua delle stelle. Gianni Rescigno Da: Sulla bocca del vento - In Convivio Ed., 2013
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D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE UN VOLUME DI POESIA di RUDY DE CADAVAL e PASQUALE MONTALTO - Dal Sud, forte testimonianza d’impegno culturale e d’ amicizia nella letteratura poetica contemporanea con Rudy DE CADAVAL e Pasquale MONTALTO. E’ appena edito, fresco di stampa, a cura delle Ed.ni Apollo in provincia di Cosenza, come numero quattro delle voci scelte a rappresentare lo stato della contemporaneità poetico-letteraria, Collana SabraChatila, il libro di Poesia Il Turbinio della Vita e Le Ragioni del Vivere dei noti poeti Rudy DE CADAVAL e Pasquale MONTALTO. L’editore, nella persona di Antonietta Meringola, giovane imprenditrice che crede nel valore della carta stampata, come veicolo culturale e di riscatto per trasformare gli ambienti e il territorio provinciale della terra di Calabria, venuta a conoscenza del lavoro che da quasi un anno stavano conducendo i Poeti, con testi inediti in Italia, si è subito proposta di stampare il libro, includendolo, in una Collana di Autori appositamente selezionati a fotografare l’attuale momento storico della poesia. Rudy De Cadaval è nome eccellente della poesia italiana contemporanea, e il fatto che all’età di ottantacinque anni abbia ancora voglia di sognare e segnare nuove tappe, di forte incisività culturale e poetico-letteraria, intervenendo nell’odierno dibattito sociale e letterario con novità di contatti e originalità di idee creative, è già di per sé un fatto da registrare e riportare al ruolo della funzione comunicativa della poesia, nell’attualità del dibattito poetico e relativi intrecci col mondo artistico. Nato a Ve-
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rona nel 1933, De Cadaval è stato apprezzato dai premi nobel André Maurois, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, Vicente Aleixandre e da Giuseppe Ungaretti (suo scopritore), nonché Bonaventura Tecchi, Raphael Alberti, Natalino Sapegno, Ignazio Silone, Guy Tosi, Henry Bresson, Julio Beprè, Solange de Bressieux (docente alla sorbona di Parigi). Egli ha esordito nel 1965 in poesia dopo che Carlo Betocchi lo chiamò presso la nuova accademia inaugurando la ‘Collanina Bianca’ con L’ultimo chiarore della sera (1965). Nella presente opera di inediti egli ripropone anche poesie tratte da Et après … , libro edito in Francia nel 1985, come a voler sottolineare il riproporsi di una particolare condizione esistenziale e spirituale della sua vita. Pasquale Montalto, nato ad Acri (CS) nel 1954 ha all’attivo una lunga bibliografia poetica. La sua comparsa in campo letterario è stata tenuta a battesimo nel 1981 da Antonio Coppola, direttore a Roma della rivista Poesia, I Fiori del Male, andando poi via via sempre più affermandosi per l’ originalità dei contenuti e la valorizzazione del mondo naturale e esistenziale nella sua scrittura poetica. Ha acquisito una conoscenza di respiro nazionale ricevendo importanti Primi premi e con la pubblicazione dell’opera presentata: valga per tutti ricordare il Primo Premio Assoluto alla sesta Ed.ne del Riccione Sathiagraha, con la partecipazione del settimanale Il Ponte di Rimini che ha curato la successiva pubblicazione del libro Luci e Ombre con Prefazione di Pierfranco Bruni. Si sono poi occupati della sua poesia: Antonio Piromalli, Tommaso Scappaticci, Carmine Chiodo, Giorgio Bàrberi Squarotti e Giovanni Bàrberi Squarotti, Giuseppe Addamo, Renata Laterza, Orazio Tanelli, Vincenzo Rossi, e ancora Bonifacio Vincenzi, Francesco Fusca, Pino Corbo, Gianluca Veltri, Gianni Mazzei, Carmelo R. Viola, Antonio Catalfamo e tanti altri nomi illustri della cultura e della critica letteraria. E’ soprattutto col poeta Rudy De Cadaval che Montalto ha portato avanti negli anni un’autentica e costante amicizia, per come testimonia la presente opera di poesia. Per la realizzazione del libro gli Autori si sono avvalsi della collaborazione di Claudia Formiconi, per la scelta dei testi poetici e le note biobibliografiche, la Pittrice di Bombay (India) Alice Pinto per la realizzazione della copertina e l’illustrazione di diverse poesie, Luciano Nanni per gli aspetti della tecnica poetica, Serena Pansini, giovane fotografa di Colonna (Roma) che ha partecipato con tre foto, Maria Daniela Cristian e David Montalto, per la traduzione in Romeno e Inglese di alcune poesie. Un’opera, quindi, che è risultanza d’impegno di una stretta collaborazione tra linguistica, creatività poetica e bellezza artistica. Certo un’opera da leggere e man-
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tenere come importante fonte documentaria di riferimento per affrontare e approfondire gli intrecci del mondo poetico odierno. Rudy De Cadaval – Pasquale Montalto Il Turbinio della Vita e Le Ragioni del Vivere, Apollo Edizioni, Bisignano (CS), 2018, pagg. 176, € 10,00. (Da Comunicato Stampa) *** È MORTA LIANA DE LUCA - La nostra cara amica poetessa, narratrice e saggista Liana de Luca, è morta a Torino sabato 3 novembre 2018 nella sua casa. I funerali si son tenuti martedì 6 novembre alle ore 9 alla Parrocchia Madonna delle Rose di Corso Unione Sovietica angolo Via Madonna delle Rose ed è stata tumulata al Cimitero Monu-
mentale. Liana DE LUCA, origine illiricopartenopea. Laureata in lettere, ha insegnato negli Istituti superiori. Dopo una lunga sosta a Bergamo, dove è stata fondatrice e primo presidente del Cenacolo Orobico di poesia, del quale è stata anche presidente onorario, si è trasferita a Torino. Giornalista pubblicista, ha collaborato a quotidiani e periodici, fra i quali “Arte-Stampa”, “Atelier”, “Città di Vita”, “Issimo”, “La clessidra”, “La Nuova Tribuna Letteraria”, “L’ Arena di Pola”, “La Rivista di Bergamo”, “L’eco di Bergamo”, “Le colline di Pavese”, “L’Umanità”, “Nuovo Contrappunto”, “Oggi e Domani”, “Ragguaglio Librario”, “Resine”, “Satura”, “Talento”. È stata redattrice della rivista “Vernice”. Opere pubblicate con la Genesi: “Luoghi
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e tempi” (1983), “Unica madre” (1988), “La magnifica desolazione” (1990), “La figlia dell’Olandese volante” (1991), “Il posto delle ciliege” (1995), “La grata” (antologia poetica, 2000), “Ragazze & Vecchiette” (2004), “Okeanòs” (2005), “Della buona ventura” (2008), in saggistica: “Donne di carta” (1999), “Uomini di penna” (2002), “Scrittoio” (2007), “Ubaldo Riva alpino poeta avvocato” (2013). Per la Genesi ha curato la collana “Check-in”. In essa ha presentato poeti come Parini, Tibullo, Poe, Tasso, Blake, Michelstaedter. Fra i numerosi riconoscimenti conseguiti, il “Fiorino d’oro” Firenze 2000 e i premi alla carriera Pannunzio 2008 e Murazzi 2009. Ha partecipato a convegni indetti dal Cenacolo Orobico, dall’Ateneo e dal Circolo Artistico di Bergamo, dal Centro di Studi Dannunziani e dalla Casa di Dante in Abruzzo a Pescara, dal Gruppo Poesia Attiva e dall’ Elogio della Poesia a Torino, dalla Biennale di Poesia di Alessandria, dal Festival di Poesia Civile a Vercelli. *** ADDIO A ADIRGE AMICI - Tra le care persone decedute di recente, non possiamo non ricordare Adirge Amici, vedova Vignaroli (14 luglio 1929, 6 novembre 2018), spirata nel sonno nella Casa di Riposo Parco degli Ulivi e i cui funerali si sono celebrati nella chiesa parrocchiale di S. Isidoro, nella frazione Santa Procula di Pomezia, gremita di parenti e amici venuti anche dalle Merche. Ecco quanto le ha rivolto, nella commozione generale, la nipote Emanuela Vignaroli: ”Ho voluto scrivere queste poche righe per ricordare a tutti la grande donna che sei stata. Per me sei stata anche una grande nonna, quella che mi ha insegnato a lavorare a maglia, a fare la pasta e la pizza fatta in casa. Sei sempre stata una donna forte, legata alla famiglia e ai valori cristiani. Non ti fermavi mai. L’orto e gli animali erano il tuo passatempo preferito. Quante volte ti abbiamo vista, nonostante i dolori alla schiena, piegata in due a lavorare la terra! Poi però i dolori si accentuavano e iniziavi a dirci: “E adesso chi ve li fa più gli gnocchi?” Ed invece ti rialzavi e andavi avanti con la tua vita. Questa volta però non ce l’hai fatta e gli ultimi mesi sono stati davvero difficili. I primi giorni che eri ricoverata, quando tornavo a casa istintivamente andavo sempre verso la finestra della tua cucina, che però trovavo chiusa. Quella finestra che per me e per tutti noi era il portone di casa. Tutti passavamo di lì e anche se di corsa, il saluto non mancava mai. A modo tuo ci coccolavi. Quando facevi le ciambelle, le frittelle o una delle tue prelibatezze, non le
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Ora non posso neppure abbassarmi - mi dicesti l’ultima volta e a Mario debbo tutto che vanga che trapianta e poi l’assiste. Nella cornice d’amici e parenti nella chiesa di Sant’Isidoro sole tiepido sulla tua bara dalle finestre chiare striate, a tratti, da nuvole bambagia. Fuori, il trifoglio fresco delle ultime piogge, le conifere, la magnolia, gli elci stracarichi di ghiande, la spennacchiata ed esile giuggiola nel giardino di fronte e gli ulivi, tanti, appena solleticati dalla brezza.
davi a nessuno, ma aspettavi che tornasse uno dei nipoti per darcele di persona. Sei sempre stata presente, con i tuoi figli, con noi nipoti e con i tuoi pronipoti e questi ultimi quando li vedevi ti riempivano di gioia. La tua casa era aperta a tutti e le persone con la scusa di un caffè, passavano a salutarti e a tenerti un po’ di compagnia. Ci mancheranno la tua risata, le tue parole storpiate, che ci facevano tanto ridere e ci mancheranno le registrazioni di Cristian mentre recitavi il rosario in TV. Eri una persona buona. Nella tua vita hai voluto e fatto del bene, e la dimostrazione sono le tante persone venute oggi a darti l’ultimo saluto. A nome della mia famiglia ringrazio tutti coloro che ci sono stati vicino, che ci hanno fatto sentire il loro affetto e che oggi sono qui presenti. Nonna ci mancherai, ma sono felice per te, perché non stai più soffrendo e perché sicuramente adesso sei di nuovo accanto a nonno. Ti voglio e ti vogliamo bene. Ciao nonna.” SOLE TIEPIDO SULLA TUA BARA Quasi d’obbligo il colloquiare di semine e di piante nei nostri incontri occasionali. Una lieve ed autentica preghiera.
Addio Adirge! Agevole ti sia l’estremo viaggio verso i giardini fioriti dell’eterno. Domenico Defelice *** COMMEMORATO TIBERIO GULLUNI Tiberio Gulluni, il poeta nato a Mammola, in provincia di Reggio Calabria il 19 maggio 1904, domenica undici novembre 2018 è stato commemorato a Colonna, in provincia di Roma, dove è stato medico condotto e dove è morto il 14 maggio 1968. La comunità lo aveva stimato e voluto tanto bene da non poterlo mai dimenticare e intestandogli anche delle scuole. Ora, una ennesima commossa e doverosa commemorazione, per la quale è intervenuto, tra gli altri, il professor Carmine Chiodo dell’Università di Roma Tor Vergata e Maria Grazia Amati. Speriamo di poter dare maggiori dettagli sul prossimo numero. Amico sincero e cordiale del nostro direttore Domenico Defelice, il quale ha scritto su di lui, per esempio, sul quotidiano La Voce di Calabria del 24 dicembre 1967 e del 7 luglio 1968, dedicandogli, inoltre, un medaglione nel volume Pagine per autori calabresi del Novecento, edito da Il Convivio nel 2005. Ecco una delle sue tante poesie: Vive l'Idea Se muore il torrente nell'arsura come il filo d'erba nella zolla se nel bosco muore anche la quercia e si spegne la fiamma di
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ogni fuoco se muore il giorno al buio della notte e anche il canto di ogni gioia umana come il dolore muore con la vita non muore mai la luce dell'idea. *** EMERICO GIACHERY E IL SUO MESSAGGIO DI TENEREZZA PER I LETTORI DI POMEZIA-NOTIZIE - E-mail da Roma del 9/11/2018: Carissimo Domenico, ho ricevuto, in duplice copia, il numero di novembre della tua, e un po' "nostra", rivista. Un bel numero, ricco di orizzonti. Tra gli altri valenti collaboratori, Ilia Pedrina dona sempre una speciale luce. Ottima cosa che ci sia una parte di colloquio con i lettori nella rubrica Lettere in direzione. Condivido la tua analisi del Sessantotto. Lo slancio era autentico e avevano le loro buone ragioni (a Macerata entrai nella Facoltà occupata e conversai serenamente e costruttivamente con gli studenti, e testimoniai poi in tribunale a loro favore). Ma era insensato accoppiare "l' 'imagination au pouvoir" col libretto di un feroce dittatore come Mao, che ebbe certo meriti storici nel contesto cinese, meriti non esportabili nella nostra cultura così diversa, e che avrebbe mandato tutti i nostri sessantottini, se fossero stati in Cina, ai lavori forzati o davanti al plotone d'esecuzione. Circa l'uso di "poeta" al femminile, lo trovo anch'io poco sensato (allora perché non "una pittore", "una attore"?). Strano che diffondere quell'uso stravagante e a difenderlo a spada tratta sia stata una donna molto intelligente, Maria Luisa Spaziani. Come è bello che dalla vostra copertina ci saluti sorridendo il grande Garcia Marquez. Afflitto da una grave forma di cancro e sentendosi prossimo a morire (quella volta invece guarì e visse ancora per pochi anni, lo scrittore volle lasciare questo messaggio: «Dio mio, se avessi un pezzo di vita, non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che le amo. Direi ad ogni uomo e ad ogni donna che sono i miei prediletti e vivrei innamorato dell’ amore. […] Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo, direi ‘ti amo’ e non darei scioccamente per scontato che già lo sai. […] Tieni chi ti ama vicino a te, amali e trattali bene, digli quanto bisogno hai di loro, trova il tempo per dirgli ‘mi spiace’, ‘perdonami’, ‘per favore’, ‘grazie’, e tutte le parole d’amore che conosci». Questo messaggio di tenerezza lo dedico a tutti i lettori di "Pomezia-Notizie" (ora felicemente in sintonia con "Pomezia città della cultura"). A te un abbraccio, a Leonardo il consueto bacetto Emerico Il Direttore ringrazia a nome di tutti i lettori. ***
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ACCADEMIA COLLEGIO DE’ NOBILI - Istituzione storico – culturale fondata nel 1689 - INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE - Dopo attenta lettura ed esame degli elaborati e libri ricevuti, la Giuria della 12a Edizione del Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini” dal tema La globalizzazione fra immigrazione e accoglienza e Tema libero, nonché una sezione speciale nella ricorrenza del Centenario della Grande Guerra (1915-18), la Giuria riunita in data 13 novembre 2018 a Montevarchi (AR), ha decretato che il 1° Premio per la Poesia Inedita andasse a Candido MEARDI di Pavia per la poesia “Tace il canto delle sirene”, il 1° Premio per il Libro Edito di Poesia a Alessandro INGHILTERRA di Genova per il libro “Il sole che verrà”, Aletti Editore, 2018 e il 1° Premio per Ultima Guerra d’Indipendenza Nazionale a Fabiola CONFORTINI di Limite sull’Arno (FI) per la poesia “Ancora e sempre”. Per la sezione Poesia Inedita giovani under 18, il 1° Premio è andato ai Bimbi di 4 anni Sezione Gialla della Scuola dell’Infanzia Grazia Deledda di Bologna per la poesia “Magia di stelle”. Gli altri premi assegnati per la sezione Poesia inedita sono i seguenti: 2° Premio a Loriana Capecchi di Quarrata (PT) per “Senza chiedere sconti al tempo avaro”; 3° Premio a Fulvia Marconi di Ancona per “Era vestito d’oro”; 4° Premio a Maria Laura Ghinassi di Arezzo per “Attendendo un altro domani”; 5° Premio a Lolita Rinforzi di Assisi per “Ricomincio da me”. Per il Libro edito di poesia sono i seguenti: 2° Premio a Evaristo Seghetta Andreoli di Montegabbione (TR) per il libro “Paradigma di esse”, Passigli Editori, 2017; 3° Premio a Alberto Gatti di Cossato (BI) “ad memoriam” per il libro “Nuove vie per le stelle”, Associazione Culturale Noialtri, 2010; 4° Premio a Maria Cristina Fineschi di Cavriglia (AR) per il libro “Dalla periferia del giorno”, Edizioni Helicon, Arezzo, 2018; 5° Premio a Roberta Bagnoli di Bagno a Ripoli (FI) per il libro “Il fiore matto”, GDS Editrice, Vaprio d’Adda (MI). Per la sezione Poesia inedita giovani under 18 i seguenti: 2° Premio a Melissa Storchi di Bibbiano (RE) per “Oltre la guerra”; 3° Premio a Maria Cristina Altavilla di Arezzo per “Hiroshima”; 4° Premio a Elena Sofia Serra di Roma per “La fenice”; 5° Premio a Giada Pasquinucci di San Romano (PI) per “Inverno”. Sono stati, inoltre, segnalati i seguenti poeti per la sezione Poesia Inedita: 6° classificato Berenice Scasserra di Tavarnelle V.Pesa (FI) per la poesia “La mia casa è sempre là”; 7° classificato Antonio Albanese di Bologna per la poesia “Infiniti inizi”; 8° classificato Alessio Pasquali di S. Donato Milanese per la poesia “Quella tua cartolina”; 9° ex aequo Ernestina Carrato di Montevarchi per la poesia “Immigrati”; 9°
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ex aequo Carmen Rega di Salerno per la poesia “Parole nuove”; 9° ex aequo Monica Saggioro di Legnago (VR) per la poesia “L’amore non ha riposo”; 9° ex aequo Fiorenza Perotto di Prato per la poesia “Aylan”; 10° classificato Rosella Lubrano di Melazzo (AL) per la poesia “I bambini di Aleppo”. I seguenti per la Sezione Libro edito di poesia: 6° cl. ex aequo Anna Maria Gargiulo di Meta (NA) per il libro “Amaritudine”, Aletti Editore, 2018; 6° cl. ex aequo Fulvia Diotti di Albissola M. (SV) per il libro “Erotica La finestra sui ricordi”, Europa Edizioni, 2017; 6° cl. ex aequo Mara Bachiorri di Lugo (RA) per il libro “Eternal roots (Radici Eterne)”, Albatros, 2015; 7° classificato Paolo Butti di Figline V.no (FI) per il libro “Nel fuoco vivo dell’amore”, Florence Art Edizioni, 2016; 8° cl. ex aequo Duccio Corsini di Scandicci (FI) per il libro “Fuochi di luce tra i limoni”, BastogiLibri, 2018; 8° cl. ex aequo Maria Giovanna Bonaiuti di Fermo per il libro “La panchina innamorata”, Writers Editor; 9° cl. Luigi Cristiano di Loro Ciuffenna (AR) per il libro “Rosa ardente – Amore gentile e amore profano-”, Youcanprint, Tricase (LE), 2015; 10° cl. ex aequo Rosaria Ines Riccobene di Licata (AG) per il libro “Le ali del cuore”, Edizioni La Vedetta, Licata (AG), 2010; 10° ex aequo Annibale Mandato di Rocca di Papa (RM) per il libro “Distanze incolmabili”, Editrice Totem, 2018. I seguenti per la Sezione Poesia inedita giovani under 18: 6° classificato Benedetta Cremonese di Legnago (VR) con la poesia “Sinfonia”; 7° cl. Valentina Zanchetta di Legnago (VR) con la poesia “Mille suoni ma io penso a te”; 8° cl. Silvia Attianese di Torremaggiore (FG) con la poesia “La neve”; 9° cl. Gloria Leopizzi di Taviano (LE) con la poesia “Amore non ti conoscevo prima”; 10° ex aequo Gaia Mizzon di Legnago (VR) con la poesia “Tre scorpioni e un gatto nero”; 10° ex aequo Sofia Siccardi di Pavia con la poesia “Dolcezza”. Gli altri premi assegnati per la Sezione Speciale Ultima Guerra d’ Indipendenza Nazionale sono: 2° Premio a Antonella Ammendolia di Reggio Calabria per la poesia “1915”; 3° Premio a Maurizio Bacconi di Roma per la poesia “Il nonno alla Grande Guerra”; 4° Premio a Mirco Bortoli di Mirandola (MO) per la poesia “Asiago 1918: un milite ignoto”; 5° Premio a Fulvia Diotti di Albissola Marina (SV) per la poesia “O surdato ‘nnammurato (24 maggio 1915)”. Sono stati, inoltre, segnalati i seguenti poeti per la Sezione Speciale Ultima Guerra d’Indipendenza Nazionale: 6° cl. ex aequo Enrico Cacciato di S. Giorgio in Piano (BO) per la poesia “La guerra”; 6° ex aequo Roberto Bigotto di Piove di Sacco (PD) per la poesia “Lettera di un trovatello della Grande Guerra”; 6° ex aequo Rosella Lubrano di Melazzo (AL)
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per la poesia “Il nostro canto libero”; 7° cl. Antonio Torino di Nocera Inferiore (SA) per la poesia “Il silenzio”. Premio Speciale “in memoria di Giovanna Ceccarelli (n. 24.6.1978 - m. 9.1.2018)” assegnato a Rita Muscardin di Savona per la poesia “Ti cerco ancora”. Premio Speciale “in memoria di Tiziana Pacchi (n. 24.1.1970 – m. 27.1.2009)” assegnato a Luciano Fani di Marciano della Chiana (AR) per la poesia “Piccola dolce creatura”. Premio Speciale Accademia de’ Nobili a Claudia Degli Innocenti di Cavriglia (AR) per la poesia “Notte di Maggio”. Premio Speciale Ultima Guerra d’Indipendenza Nazionale della Famiglia dei Baroni Spanò dei Tre Mulini di Reggio Calabria a Francesco Palazzolo di Udine per la poesia “Redipuglia”. Premio Speciale Ultima Guerra d’Indipendenza Nazionale della Famiglia dei Conti Falletti di Villafalletto a Vito Dimola di Scandicci (FI) per la poesia “Messaggio dedicato al nemico-amico”. La Cerimonia di Premiazione ha avuto luogo sabato 1 dicembre 2018 alle ore 17.00 presso il Circolo Ricreativo “Stanze Ulivieri” in Piazza Garibaldi, 1 a Montevarchi (Arezzo). È seguito un concerto di musica. Il Segretario del Premio Claudio Falletti di Villafalletto *** MOSTRA DEL PITTORE LUIGI NONO ALLA GIUDECCA - Nella sede della Fondazione Luigi Nono alla Giudecca il 16 novembre scorso lo studioso Nico Stringa, professore associato di Storia dell'Arte Contemporanea a Ca' Foscari in Venezia, ha presentato le opere del pittore Luigi Nono ( Fusina 1850-Venezia 1918) in mostra negli splendidi spazi dell'Archivio, in occasione dei cento anni trascorsi dal suo passaggio ad altra vita. Di morte si parla anche fin troppo e questo, che qui utilizzo, non è un garbato eufemismo ma una decisiva svolta in nome dell'arte, affinché un tempo come il nostro cominci a diventare meno duro, si parli di vita e di vita vera: morte della forma letteraria del carteggio manoscritto o a macchina, ma sempre su carta; morte definitiva di intere specie di flora, fauna e di interi gruppi etnici messi a rischio di sopravvivenza; morte di fiumi e laghi perché inquinati e di ecosistemi delicati e soffocati per sempre; morte auspicata dalla Lagarde per gli anziani onde lasciare posto ai giovani, a livello di finanze, s'intende, non di piena realizzazione delle loro potenzialità - e qui, per ragioni di spazio - mi fermo. Il quadro olio su tela inserito nella locandina della mostra, 'Le sorgenti del Gorgazzo' del 1872 presenta l'intensa maestria del pittore che ha appena superato i vent'anni nel gestire l'amalgama dei colori, con piccole spatole e pennelli, nelle infinite variabili del
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verde e dei suoi riflessi che si propongono modulati sulle superfici d'acqua dolce: in natura quelle sfumature si trovano sulle foglie di betulla, ora, in autunno, là dove una lamina è intrisa dei verdi che gialleggiano o rosseggiano, come ben spiega Leonardo il Vinciano e l'altra, il suo risvolto di 'copertina', è vellutato al tatto e di vario candore tra il bianco e il grigio e queste tinte si lasciano assorbire dalle rocce tutt'intorno, a proteggere la nicchia di sorgiva, luogo d'intime confidenze tra il barcaiolo e la sua amata, eleganti entrambi e l'ombrellino estivo di lei, altra differente gradazione del bianco, le protegge il volto. Ho calcolato che al minimo sono oltre ottanta, così, circum circa, i diversi microspazi visivi per dar vita a questo prodotto dell'anima, quindi il titolo dato alla Mostra, LUIGI NONO (1850-1918) - L'ANIMA DELLA PITTURA, l'ho verificato sul campo: lui che in completo di lino ha posto i remi a riposo, contempla lei, che si sente ammirata e che, nell'imbarazzo d'amore, dà moto all'ardore ricevuto nello sguardo lasciandosi attrarre dall'acqua sorgiva, che a sua volta è specchio delle rocce, grembo originario da cui scaturisce il Gorgazzo. Quando riuscirò a trovare tra gli scaffali in triplice fila il volume della Biennale di Venezia del 1932, che tra l'altro, oltre a Francesco Paolo Michetti presenta proprio il pittore Luigi Nono, allora ne darò più accurato profilo: il suo nipotino all'epoca aveva solo otto anni, ma in casa il nonno era presente, vivissimo, attraverso ricordi in parole e in colori e forme dell'arte. Allora capisco meglio lui, il GiGi veneziano, diventato 'Maestro di suoni e di silenzi': era come ipnotizzato dai riflessi dell'acqua di laguna, sempre cangianti in ogni istante del giorno e della notte e sempre là, di fronte al suo sguardo, a porsi per lui come matrice intatta di onde sonore, all'infinito. Siano benedetti gli occhi dei bambini e il loro sguardo sulle cose: in questa nostra dürftige Zeit, alcuni bambini di qualche Stato del Sud America e forse d'altre zone del mondo, perché poveri e bisognosi di ricovero ospedaliero, anche per un banale raffreddore, entrano e viene tolta la vista, donatori involontari obbligati di cornea e non mi si dica che questa non è la sede adatta: alcune madri hanno avuto il coraggio di denunciare, io sono con loro. Forse anche a nome dei Nono, nonno e nipote. Ilia Pedrina
IL CROCO I Quaderni Letterari di Pomezia-Notizie Prenotateli, rivolgendovi alla Direzione del mensile!
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LIBRI RICEVUTI VITTORIO “NINO” MARTIN - Nuvole vagabonde - Prefazione di Isabella Michela Affinito; in prima di copertina, a colori, un paesaggio dipinto dal poeta; in seconda copertina, a colori, foto di: Maria Teresa Ambroso, Marzia Martin Pavan e Luca Martin; in quarta, sempre a colori, foto dell’Autore con una nota di Francesco Galasso; all’interno, in bianco e nero, più di quindici immagini di opere di Martin. Ed. Poeti nella Società (manca anno di pubblicazione) - Pagg. 94, i. f. c.. Vittorio “Nino” MARTIN è nato a Stevenà il 10 agosto 1934. Pittore e poeta autodidatta (suo padre era un calzolaio). Artista poliedrico, dinamico, tecnicamente raffinato. Le sue poesie sono state tradotte in francese, spagnolo, inglese, tedesco, friulano. Gli sono state dedicate oltre 160 copertine su libri e riviste ed è stato recensito da centinaia e centinaia di firme importanti, su giornali, periodici e riviste specializzate. Tra le sue tante pubblicazioni, ricordiamo, alla rinfusa: “Scritti e Schizzi”, “Parole e Disegni”, “Carta e Penna”, “Versetti e Bozzetti”, “Ieri e Oggi”, “Storie e Memorie”, “’Na s’cianta dhe storia”, “Stevenà e dintorni”, “Oltre la nebbia”, “Contrasto”, “Stevenà luci e ombre”, “Intrecci”, “Briciole di fantasia”, “Capricci”, “Mosaico”, “Passato Presente”, “Una luce nel buio”, “Spiragli di Luce”, “Gocce di vita”, “Di segni e di versi”, La stanza dell’anima”, “Silenzio dei sogni”, “Itinerario passionale”, “Stevenà amore mio”, “Scorie”, “Dal guscio della memoria”, “La voce del Poeta” (CD), “Pause di vita” (CD), “...Il piacere di scrivere...” (2015), “fra dramma e sentimento poetico” (2016), “Ardita salita” (2017). ** FORTUNATO ALOI - Vaganti… frammenti di io - Posfazione di Pierfranco Bruni - Luigi Pellegrini Editore, 2017 - Pagg. 94, € 12,00. Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è nato a Reggio Clabria l’otto dicembre 1938 ed è stato per anni docente nei vari licei della Città. Sin da giovanissimo ha operato nel mondo della politica, da quella universitaria alla realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itinerario: da consigliere comunale nella sua Città ed in altri centri della provincia (Locri) a consigliere provinciale, da consigliere regionale a deputato. Come parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato temi di diverso genere ed in particolare si è occupato, con grande impegno, di scuola, cultura e di Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottosegretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale della Destra calabrese, ed anche
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Segretario per la Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Presidente dell’Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e la Lucania, è componente la Direzione nazionale del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attualmente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”. Autore di numerose pubblicazioni di storia, pedagogia, saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto riconoscimenti di valore scientifico come il “Premio Calabria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Caterina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio letterario “Nazzareno” (Roma) 1983 per l’ opera “I Guerrieri di Riace” (Ed. Magalini) ed il Premio “Vanvitelli” per la saggistica storica (1995) per il volume “Reggio Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto” (2004). Altri suoi lavori: La Questione Meridionale: radici, inadempienze e speranze (1985), “Cultura senza egemonia (Per un umanesimo umano)” (1997), Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004), “Tra gli scogli dell’Io” (2004), “<Neutralismo> cattolico e socialista di fronte all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale” (2007), “Riflessioni politicomorali e attualità dei valori cristiani” (2008), “Piccolo Taccuino di Viaggio” (2009), “La Chiesa e la Rivolta di Reggio” (2009), “Vox clamantis... Come può morire una democrazia” (2014) “Per lo Stato contro la criminalità” (2017). ** GIUSEPPE NAPOLITANO - Cartoline da Gaeta - Invito alla lettura di Sabina Metrano; Nota di Giuseppe Napolitano; in copertina, particolare a colori di un acquerello di Stefania Camilleri; all’ interno, disegni originali di Mario Magliozzi - Edizioni EVA, 2015 - Pagg. 80, € 8,00. Giuseppe NAPOLITANO è nato a Minturno nel 1949, poeta e saggista, vive a Formia. Si è laureato in Lettere a Roma con una tesi sul Teatro surrealista francese e ha insegnato nelle scuole superiori. Molte le sue pubblicazioni, tra le quali: Momenti (1970), Dentro l'orma (1978, antologia del decennio 1967-77), Maschera (1978, premio Casa Hirta), Il giardino di Afrodite (1984, tr. di lirici greci), Libro d'amore di Catullo (1986), Se rincorri un po' di ieri nel domani (1989, antologia del decennio 1978-87, che ha ottenuto i premi: "Anthos" Isernia e "San Valentino" Terni), Haiku (1990), E poi... / Et puis (1991, con tr. in francese), La novella del buon vecchio e della bella fanciulla (1991, saggio sulle novelle di Svevo), Insieme a una ragazza che ci stia (1993), Creatura (1993, premio "A. Gatto"), Orazio. Misura di vita (1993, tr.), Poesia / non poesia (1993, premio "Portico di Onofrio"), Cenere. Nicola Napolitano nel giudizio dei lettori (1994, saggi), Gaeta. 17 car-
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toline (1996, con disegni di M. Magliozzi), Parola di parole (1998, premio "Circe" Sabaudia), Ritornello di apparenze / Refren de aparente (1998, con tr. in rumeno), Cuore di sabbia (1998, premio "Fiera vesuviana" San Gennaro Vesuviano), Gaeta, ieri e oggi (1998), Partita (1999), Senza rimedio / Sin remedio (2000, con tr. in spagnolo), I nostri anni via in un sospiro / Our Years Vanish as a Sigh (2000, trenta poesie di John Deane), Equilibrio variabile / Equilibrio variable (2000, con tr. in spagnolo), Passi, pensieri di poesia (2001), Passaggi, cinque piccoli libri (2002, premio "Laurentum", Roma), Sextines de Campodimele / Sestine di Campodimele (2002, tr. dall'originale di Nicole Drano Stamberg), Insieme a te io sono nato ancora (2003, 25 variazioni per la figlia Gabriella), Alla riva del tempo (2005), Vita scoperta nel dire / Vie à travers la parole (2005, tr. in francese), Tempo letterario (2006). Ha fondato una propria etichetta editoriale “la stanza del poeta” nella quale pubblica testi suoi (La pietà del dire, Il treno dei poeti, Il tempo ritrovato. Poesie dell’adolescenza) e di altri autori: G. Drano, S. Cervone, N. Napolitano, C. Vitale, E Burgos, I. Di Ianni. È stato tradotto in spagnolo, francese, rumeno, tedesco, inglese, greco, esperanto. ** MARIA DEBORA BOVENGA - L’odore dell’ anima - In copertina: “Il dolore dell’anima”, di Antonio Notari; Introduzione di Flavia Weisghizzi Aletti Editore, 2004 - Pagg. 80, € 13,00. Maria Debora BOVENGA è nata il 12 febbraio 1968 a Sora, in provincia di Frosinone. Frequenta il Classico, il Centro sperimentale televisivo di Roma e si laurea in Giurisprudenza. Ha prestato servizio come assistente presso la Prima cattedra di Storia del Diritto Romano dell’Università La Sapienza di Roma e ha svolto pratica notarile. Sposata e madre di due figlie. Nel 2003 è seconda, su novecentoventi concorrenti, al Premio letterario internazionale “L’ arcobaleno della vita”. ** LILIANA UGOLINI - La marionetta vivente Fotoelaborazioni di Dario Caiani, intervento di Stefano Lanuzza, intervista di Serena Stefani - Florence Art Edizioni, 2017 - Pagg. 96, € 12,00. - Liliana UGOLINI è nata a Firenze nel 1934. Ha pubblicato 19 libri di poesia, 5 in prosa e 4 di teatro. Ha curato, all’interno dell’Associazione Pianeta Poesia, per 16 anni, le manifestazioni dedicate alla poesia performativa e multimediale promuovendo la conoscenza di questa particolare modalità del linguaggio poetico. Tale attività è documentata, in collaborazione con Franco Manescalchi, in tre libri intitolati “Documenti 1, 2, 3”. Ha realizzato il teatro da ca-
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mera di poesia e opere in versi e musica lavorando a fianco di attori, musicisti e performers. Fa parte dell’Archivio Voce di Poeti e del Gruppo performativo “Cerimonie crudeli” (Multimedia91). Ha pubblicato 11 drammaturgie, tratte da suoi libri, in “Tuttoteatro” (2008). Le sue opere e i carteggi sono depositati sia all’Archivio per la memoria e la scrittura delle donne “Alessandra Contini Bonacossi” sia nell’Archivio Voce dei Poeti settore multimediale alla Barbagianna, Casa per l’Arte Contemporanea. ** GIOVANNI DI LENA - Pietre - Nota critica in postfazione di Pino Suriano; in quarta di copertina, a colori, foto dell’autore; in prima bandella, nota di Lucio Attorre - EditricErmes, 2018 - Pagg. 48, € 11’00. Giovanni DI LENA è nato a Pisticci (MT) nel 1958, ove vive. Ha pubblicato: Un giorno di libertà (1989), Non si schiara il cielo (1994), Il morso della ragione (1996), Coraggio e debolezza (2003), Non solo un grido (2007), Il reale e il possibile (2011), La piega storta delle idee (2015).
TRA LE RIVISTE THE WORLD POETS QUARTERLY - Rivista mutilingual diretta da Zhang Zhi - P. O. BOX 031 - GUANYINQIAO, JIANGBEI DISTRICT, CHONGQING CITY 400020, P. R. CHINA. Emai: iptrc@126.com; iptrc1995@126.com; iptrc@163.com - Riceviamo il volume n. 91, agosto 2018. Foto a colori in prima di copertina, di Yan Jianwen (Cina); seconda di copertina, a colori, foto e poesie di Nora Bossong (Germania); terza di copertina, a colori, foto della pittrice Jing Li e di quattro sue opere; in quarta di copertina, foto a colori di: Kaye Voigt Abikhaled (USA), Jaydeep Sarangi (India), Jang Rui (Cina), Claudia Piccinno (Italia), Cao Youyun (Cina), Dominique Hecq (Belgio), H è di Bouraoui (Canada), Hai Jing (Cina). Tutti questi poeti sono rappresentati all’interno della rivista con una o più poesie. Altri poeti inseriti: Chryssoula Varveri-Varra (Grecia), Rubi Andredakis (Cipro), Nadia-Cella Pop (Romania), Hédi Bouraoui (Canada), Kurt F. Svatek (Austria), Anna Maria Bracale Ceruti (Italia), Shi Ying (Singapore), Robina-Olga Panaouta (Cipro), Lai Tingjie (Cina), Kerry Shawn Keys (Lituania). Poeti cinesi: Duan Guang’an, Choi Lai Sheung, Qin Chuan, Yan Jianwen, Zhu Likun, Yang Zongze, Li Zhiliang, Xu Chunfang, Hai Jing, Dongxiao, Yang Yunxia, Yuming Zhou, Fan
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Jianjun, Xu Jiantong, Mu Rong, Mu Lan, Shi Huang, Wang Quanan, Ben Shui eccetera. * ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivista di lettere ed arte fondata da Giacomo Luzzagni, direttore responsabile Stefano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - Via Chiesa 27 - 35034 Lozzo Atestino (PD) - Email: nuovatribuna@yahoo.it - Riceviamo il n. 132, ottobre-dicembre 2018 dal quale segnaliamo: Cesare Pavese, di Luigi De Rosa; Rabindranath Tagore, di Elio Andriuoli; Giovannino Guareschi, di Antonino Scuderi; Sylvia Plath, di Liliana Porro Andriuoli, Vito Sorrenti, di Pasquale Matrone, La guerra in minute lettere, di Rossano Onano; le tante recensioni di Stefano Valentini; le tante rubriche; la poesia “Per soddisfare l’abbraccio”, di Laura Pierdicchi eccetera. Rivista sempre ricca di foto e apprezzabile da ogni punto di vista. * FIORISCE UN CENACOLO - mensile internazionale di lettere e arti fondato da Carmine Manzi e diretto da Anna Manzi - 84085 Mercato San Severino (SA) - e-mail: manzi.annamaria@tiscali.it Riceviamo il n. 7 - 9, luglio-settembre 2018, dal quale segnaliamo i saggi di Leonardo Selvaggi, le recensioni e le poesie di Antonia Izzi Rufo, la recensione di Anna Aita. * POETI NELLA SOCIETÀ - rivista letteraria, artistica e di informazione diretta da Girolamo Mennella, redattore capo Pasquale Francischetti - via Parrillo 7 - 80146 Napoli - e-mail: francischetti@alice.it - Riceviamo il n. 91, novembredicembre 2018 e tra le tante firme segnaliamo quelle di Isabella Michela Affinito e Susanna Pelizza.
LETTERE IN DIREZIONE (Ilia Pedrina, da Vicenza) Carissimo, sono sospinta a portare l'attenzione sui tuoi lavori grafici, in punta di penna biro, di matita, di pennelli per colori ad olio e sulle tue mani a forgiare vasi in terracotta e quant'altro. Walter Benjamin mi è testimone, perché si tratta di capire che cosa rappresenta per l'occhio che guarda, dell'autore e dell'osservatore,
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il risultato che via via si ottiene quando si lavora a far oggetti che non han uso alcuno se non per orientare lo sguardo e coglierne il messaggio. Hai regalato a Claudia, meravigliosa creatura che conosce l'Amore e la vita vera, e ad Aurora, fluenti i capelli d'ebano e mediterranei i lineamenti, due diversi lavori che danno la misura della tua forza grafico-pittorica, a tracciare di rimando riflessioni problematiche rispetto al nostro tempo, duro, durissimo. Mi torna agli occhi il grottesco Gargantua di Daumier, che affascina il collezionista e storico Eduard Fuchs, così Benjamin ne trae emozioni che rende in ottimo stato di dialettica mai spicciola in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, per chi vuole capire e interpretare gli eventi artistici, facendo respirare le opere, facendole consumare da tutti perché tutti ne possano trarre visione di ben altro che uno statico stanco oggetto, avviando così ciascun osservatore fin dentro le risorse non del bene e del bello, ma del vero e del vero per sé e per gli altri: questo senz'altro è il meglio! Infatti egli scrive a pagina 112:
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“Quando Fuchs parla di Daumier, tutte le sue energie rinascono. Nessun altro oggetto ha suscitato tanti lampi divinatori della sua competenza. Il minimo spunto diventa significativo. Un foglio appena schizzato, al punto che sarebbe un eufemismo definirlo incompiuto, basta a Fuchs per vedere a fondo dentro la mania produttiva di Daumier. Il foglio rappresenta soltanto la parte superiore di una testa, in cui soltanto il naso e gli occhi sono parlanti. Il fatto che lo schizzo si limiti a questa parte della faccia ed abbia come oggetto unicamente colui che guarda, diventa per Fuchs l'indizio del fatto che proprio lì è in gioco l'interesse centrale del pittore...”. A fior di mente, che vaga da Ovest all'Est Europa, prendono spazio Imre Kálmán e i motivi ungheresi dell'operetta Die Csardasfürstin, un film in lingua tedesca con la bellissima Anna Moffo, soprano: l'ironico intreccio di incontri e fughe è il nuovo versante dell'eros in melodie ed arti sceniche fuse insieme, un
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grottesco vivace ma sempre gustoso, docile, talora commovente. Un modo ulteriore di andare dentro le immagini in movimento e viviverne musiche e fantasie simpaticamente variate a formare un'artisticità popolare e da portare, fischiettando, nel quotidiano. Allora pensare a certi lavori di sofferto grottesco come nei personaggi del 'Vagone di terza classe' porta Fuchs a ritenere Daumier un vero e proprio paladino della rivoluzione popolare ben più delle pagine di Marx, difficili da tradurre in pratica ed ancor più difficili da interiorizzare, a meno che non si ubbidisca appieno ad ordini da fuori gestiti da capi che sempre e comunque appartengono non certo alla terza classe sociale. Benjamin ci tiene a sottolineare che Fuchs si serve di Daumier per arrivare sodo sodo dove vuole, nel cuore fiacco della borghesia appiattita su falsi deja-vu che mandano odoraccio. Ora mi ti salta fuori dalle scaffalature, pendenti come il tuo schizzo, il volumetto Andreácula di Giorgio Forattini, una splendida Andreotti story che graffia veramente, con vignette dal 1976 al 1996, intatto, duecento pagine a far trionfare la Mondadori: in copertina l'inossidabile caricatura del politico draculianamente agghindato, con ghigno consapevole e canini sporgenti a goc-
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ce di sangue, cilindro e mantò dai risvolti fucsia, a mascherare la cifosi, il grosso muscolo scapolare con cui nella satira il geniale artista satirico l'ha raffigurato. Ti confido il risultato. Un viaggio incredibile di due ore, pagina dopo pagina, con immediate, doverose annotazioni e con una zona del cerebro sempre pensante a te e ai tuoi stiletti grafici, mi ha regalato risate d'ironia e grande distacco, che funziona sempre: dal patto De GasperiTogliatti (194446), rinfrescato tra Andreotti e Berlinguer nell'agosto 1976, i primi due a suonar cetra dal cielo, benedicenti, gli altri due sotto, in passi di danza, al nostro 'indiziato' in tenuta a strisce (le stelle se ne sono andate!), che sostiene 'E se poi risulto innocente, che fate: mi ridate l'Italia?'. In rete su Forattini ricche documentazioni di prima mano perché lui è della classe 1931 e la sa lunga, lunghissima sugli intrighi di palazzo,
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querelato addirittura 20 volte perché di fronte alla verità, con pochi tratti di matita, si potrebbe toccare il troppo: il troppo storpia il Potere e non è affatto vero che il Potere logora chi non ce l'ha! E poi dicono dei musulmani rispetto alla satira politicoreligiosa... 'Baffino', il soprannome popolare dato a D'Alema, responsabile alleato Nato per la guerra di pace a bombardare l'ex-Jugoslavia, è stato il più duro, perché l'ha querelato per 3 miliardi di vecchie lire nel 1999, ma la cosa è andata in sfinimento due anni dopo. Dal 1976 al 1996: vent'anni su una nave, l'Italia, con troppi nocchieri a voler prendere direzioni differenti e grandi tempeste opportunamente provocate, vent'anni nei quali rispetto a quegli eventi tu e tutti gli altri collaboratori dell'amata Pomezia Notizie avete dato riflessioni e testimonianze da riprendere in mano, perché va riconsolidata quella forza che ne ha determinato il successo
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di verità. In quel ventennio non ero ancora tra voi, ma non sono mai stata a guardare che l'acqua del fiume scorresse e ad osservare su di essa, galleggianti, le carcasse dei cadaveri. Prometto, in tempi lunghi, un curriculum che testimoni intanto il mio lavoro di allora con l'indimenticabile don Paolo Liggeri, siciliano di nascita, milanese per sempre, dopo aver sostato, lui, 'Triangolo rosso', come prigioniero politico, nei lager nazisti. Ti racconterò ed intanto ti abbraccio forte forte, soddisfatta perché, per i tuoi piccolini e per tutti noi, hai ripreso in mano la matita, la biro, la china e quant'altro: è lei la modella della splendida ungherese Silva Varescu, quella dell'operetta 'La principessa della czarda'! La trasposizione è tutta mia ma ben azzeccata: è nuda, in piedi, le fa da mantello e fasce ondulate l'albero stesso, vivo ed orgoglioso per l'erotica prossimità, così lei,
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finalmente, ha al fianco la bella 'Casa del Pipistrello', edizione 2018, diversa dall'eroina con maglietta a mezze maniche, quella di 'Metamorfosi' (1991), perché libera, sì, libera, in piedi, e nuda tutta. Di certo quest'inquilino mammifero non ha denti vampireschi di andreottiana memoria e si lascia af-
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fascinare dalle 'silvane' forme, uscendo nella notte a farle vento con le morbide ali... Ilia tua, in clima di doverosa ironia. Ilia Carissima, accennare a Walter Benjamin - come tu fai -, a Daumier, a Fuchs, a Kálmán e ricordare, nel contempo, le mie vignette o le mie grafiche in genere (che pure contengono sprazzi d’ilarità metamorfizzata), è vera e propria iperbole; esasperazione ancor maggiore se mi citi Forattini, maestro e umorista impareggiabile. Con la pittura e col disegno umoristico o no, o semiumoristico - ho smesso dalla fine degli anni settanta; se raramente ancora prendo biro e colori, è perché qualche amico insiste per avere
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una copertina, o perché mi tenta il diavoletto d’un tempo. Tuttavia, mi lascio coinvolgere per poco, reagendo subito con un Vade retro. Però fa piacere sapere che si apprezzino i miei disegni semplici e veloci: mi ricordano il tempo in cui credevo nella magia del disegnatore. Consapevole sempre di valer poco, mi definivo modestamente IL FIGURINAIO AI COLLABORATORI
Traeva con magici tocchi dalla boccetta di china esseri non veri ma vivi di un mondo di cose sognate. Da: Con le mani in croce, Ed. La Procellaria, 1962.
Aspetto il curriculum di testimonianza del tuo lavoro con Paolo Liggeri. Io, che negli alberi continuo a vedere la bellezza, spero d’ inventare ancora qualche altra metamorfosi, sempre condita di gocce d’ironia! Nel frattempo, …goditi questa carrellata d’immagini! Domenico
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