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ISSN 2611-0954

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Anno 26 (Nuova Serie) – n. 8

- Agosto 2018 -

€ 5,00

PREZZOLINI PER VANNINI? UN FARO CHE ILLUMINA LONTANANZE di Ilia Pedrina

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L contesto è quello della recentissima pubblicazione del volume di Giuseppe Prezzolini STUDI E CAPRICCI SUI MISTICI TEDESCHI, nella Collana 'Letture di pensiero e d'arte' delle Edizioni di Storia e Letteratura, in Roma. Marco Vannini cura la Prefazione e tra questi lavori di Giuseppe Prezzolini si trova a casa sua: ne parla dando memorie d'adolescenza, che tracciano solchi indelebili a contemplare con distacco semplice, sornione, divertito, illuminato, tutta la propria strada percorsa, su Autori e temi che da lui ha appreso ad amare. Cito: “Scrivere una prefazione a Studi e capricci sui mistici tedeschi è per il sottoscritto un piacere, ma anche in un certo modo un dovere. Fu infatti proprio questo libro, trovato quasi per


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All’interno: Emerico Giachery: Abitare poeticamente la terra, di Marina Caracciolo, pag. 5 Silvio Lanaro: Patria, di Ilia Pedrina, pag. 6 Tanto vale vivere…, di Luigi De Rosa, pag. 9 La filosofia delle rondini, di Carmine Chiodo, pag. 10 Renato Filippelli: Tutte le poesie, di Anna Vincitorio, pag. 12 Anime al bivio di Imperia Tognacci, di Giuseppe Leone, pag. 15 Nazario Pardini: Cantici, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 17 Il debito pubblico, di Giuseppe Giorgioli, pag. 20 Dal pensiero debole alla forma arcaica, di Susanna Pelizza, pag. 22 Affetti reciproci, di Leonardo Selvaggi, pag. 23 Il lunedì del pesce, di Antonia Izzi Rufo, pag. 28 Il figlio della mondana, di Antonio Visconte, pag. 29 I Poeti e la Natura (Nico Orengo), di Luigi De Rosa, pag. 31 Notizie, pag. 54 Libri ricevuti, pag. 45 Tra le riviste, pag. 47 RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Battiti d’ali, di Siham Sfar, pag. 32); Isabella Michela Affinito (I preludi, di Pietro Nigro, pag. 33); Elio Andriuoli (Elogi, di Franca Alaimo, pag. 34); Tito Cauchi (Nella volta dell’anima, di Gianni Ianuale, pag. 35); Tito Cauchi (Una fragile eternità, di Francesco Salvador, pag. 36); Tito Cauchi (Giorno dopo giorno, di Antonia Izzi Rufo, pag. 37); Tito Cauchi (Tersicore, di Pantaleo Mastrodonato, pag. 37); Tito Cauchi (Davvero Costui era figlio di Dio!, di Marcello Falletti di Villafalletto, pag. 38); Tito Cauchi (Poeti italiani del nostro tempo, di AA. VV., pag. 39); Tito Cauchi (Varco armato - Canto di cuore, di Antonio Vitolo, pag. 39); Carmine Chiodo (Conoscere il Calabrese, di Michele De Luca, pag. 40); Domenico Defelice (Alfio Arcifa e i poeti del Tizzone, di Tito Cauchi, pag. 41); Domenico Defelice (Per vivere ancora, di Anna Vincitorio, pag. 42); Domenico Defelice (La filosofia delle rondini eleganti, di Francesca Romana Mancino, pag. 43); Pasquale Montalto (Dante Maffia: L’esercizio dell’ingegno, di Gianni Mazzei, pag. 43); Rossano Onano (Scarpe senza lacci, di Antonio Nesci, pag. 43); Ilia Pedrina (Seicento distici di sapienti, di Daniel Czepko, pag. 44). Lettere in Direzione (Béatrice Gaudy, Maria Antonietta Mòsele, Ilia Pedrina), pag. 49 Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Antonio Crecchia, Caterina Felici, Francesco Fiumara, Béatrice Gaudy, Antonia Izzi Rufo, Teresinka Pereira, Gianni Rescigno, Franco Saccà

caso nella Biblioteca Marucelliana di Firenze, a fargli conoscere Maestro Eckhart, la cui lettura apriva un universo nuovo, tanto sconosciuto quanto meraviglioso. L'universo che si dischiudeva era ignoto non solo per uno studente ginnasiale, ma anche per la scuola, l'università, la Chiesa, insomma per tutte quelle che oggi si chiamano orribil-

mente agenzie educative, come se l'educazione fosse una faccenda aziendale. Un universo meraviglioso, nel quale la religione cristiana usciva dalla superstizione e si coniugava intimamente con la razionalità, e, in parallelo, la filosofia cessava di essere repertorio di opinioni e recuperava la sua dignità antica di amore della sapienza, di


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'scienza della verità', come la chiama Aristotele... Gli sia consentito soltanto di esprimere l'ammirazione che, riprendendo in mano il libro a oltre cinquant'anni da quella prima lettura, dopo una vita dedicata appunto allo studio dei 'mistici tedeschi' ha provato di fronte alla lucidità con cui Prezzolini, tra i primi se non il primo in Italia, riconobbe l'importanza dell'argomento... Studi e capricci sui mistici tedeschi apparve a Firenze nel maggio 1912 come 'Quaderno decimoquarto e quinto' dei 'Quaderni della Voce raccolti da Giuseppe Prezzolini', stampato dalla casa Editrice Italiana. Nel frontespizio elencava i suoi capitoli: Saggio sulla libertà mistica, Maestro Eckehart, La Deutsche Theologie, Paracelso, Novalis, Giovanni van Hooghens... Il problema religioso tormentò Prezzolini per tutto il corso della sua lunga vita (1882-1982). Deluso fin dall'infanzia dal cattolicesimo, ma anche profondamente avverso alla irreligiosità di stampo positivista, lesse con attenzione i testi classici del cristianesimo, i modernisti, l'opera di William James sulle varie forme dell'esperienza religiosa, si accostò all'idealismo, restando però sempre disilluso da ogni teoria, e quindi sempre in ricerca. Ne è riprova il fatto che, dopo il rientro in Europa, ormai ottuagenario, pubblicò nel 1969 il libro dal significativo titolo Dio è un rischio, e non è un caso se papa Paolo VI, in quel medesimo torno di tempo, durante una omelia in San Pietro, esprimesse l'auspicio 'aspettiamo ancora Prezzolini!' probabilmente sperando che potesse seguire l'esempio del suo grande amico Papini, che aveva condiviso con lui il nichilismo della giovinezza, ma che era poi approdato al cattolicesimo...” (M. Vannini, Prefazione a G. Prezzolini Studi e capricci sui mistici tedeschi, op. cit. pp. V-VII). Nella Firenze d'inizio '900 i fermenti spirituali animano i giovani e ciò dà loro il coraggio di essere amici d'interessi e di percorsi, di motivazioni e di scelte, di opportunità e di espansioni conoscitive. Poi la lingua tedesca farà il resto! Qualche anno dopo il 1912, guerra mondiale permettendo, a Firenze ar-

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riverà all'Università anche il giovane Francesco Pedrina, ne respirerà l'aria feconda a partire da Maestri che, come fari, illuminano lontananze e trarrà frutti preziosi per la sua spiritualità ed il suo vigoroso intelletto. Il mio piacere in quest'avventura si dilata attraverso prospettive e memorie familiari, confidenziali e mi mette in grado di cogliere appieno, in tutti i suoi risvolti lo stile e la succosa competenza tecnica di Prezzolini. Preparata su questi temi dalle pubblicazioni di Marco Vannini, scandagliate in questi mesi con profondo, mai celato interesse, questo testo era quanto davvero lo spirito attendeva e ciò rende ragione di tanta passione intellettuale e spirituale dalla portata che sbalordisce. Allora intuisco che Prezzolini per Vannini è faro ancora acceso ad illuminare lontananze. Mi addentro nel testo, perché 'capricci' è termine anche musicale ed esprime la capacità d'invenzione e d'improvvisazione che l'esecutore mette in campo per portare a realtà ciò che prima era solo all'interno della sua anima. Parto proprio da Vita e leggenda di Giovanni van Hooghens (G. Prezzolini, op. cit. pp. 109-122), capriccio intellettuale, emotivo, esuberante, quasi alter ego mistico del suo creatore: ama la musica, improvvisa all'organo ed affascina quei maestri che stanno in ascolto della sua ispirazione poetica, spirituale, musicale, ai limiti del divino vas electionis: quando una giovane gli si presenta in chiesa, mentre sta suonando e gli dimostra la sua soggiogante devozione, le dice : “...La musica non ammette concubinaggi. Io rimpiangerei nel giorno le ore di sogno che avrei perduto con te, e porterei nelle mie notti la tristezza dei miei giorni senza musica. Addio. Tu hai una buona voce. Curala, che ti resterà ancora fresca quando le tue guance saranno vizze” (op. cit. pp. 120-121). Mi addentro negli altri profili ad originalissimo ed autonomo sbalzo tra ironia e profonda adeguazione alle componenti contestuali e così passo in rassegna Maestro Eckehart (pp. 21-41), Il libretto della vita per-


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fetta (pp. 43-59), in prima traduzione italiana del 1907, Sebastiano Franck - Antiscripturarius (pp. 61-73), del quale Prezzolini ama sottolineare: “... La mano di questo anarchico spirituale era certamente inoffensiva. Egli non prese parte alcuna ai famosi torbidi di Strasburgo. E son sicuro che mai malgrado la sua dottrina - ha commesso un peccato veniale. La carne era pura, lo spirito malato. È curioso vedere che razza di criminale ne han fatto i suoi contemporanei. Lutero dice di lui. 'Franck è un brontolone tale, che non può fare nulla, se non calunniare e disonorare, come se avesse la bocca di un diavolo... ecc.' Così Melantone 'De Franco quid dicam? Veneni et virulentiae plenus est'. Franck se ne era accorto... Oggi siamo stati più umani, troppo umani e freddi. Sebastiano Franck ha un'anima da giudicarsi, senza temperanza, senza freddezza, senza calma. Bisogna giudicarlo con ingiustizia, soltanto gli entusiasti e gli stravaganti come lui possono parlarne. Spero che questo saggio abbia giustificato questa teoria e che il lettore non vorrà disonorarmi col titolo di 'giudice imparziale'” (op. cit. pp. 72-73). A questo proposito Vannini lamenta che Prezzolini tiene conto solo dell'aspetto 'paradossale' di Franck, senza far emergere 'il suo profondo legame con la mistica medievale germanica' (M. Vannini, Prefazione, pag. XIV). Seguono i profili di Paracelso (pp. 75-80) e di Novalis (pp. 81108), morto giovane e morto innamorato, per il quale e proprio in questa occasione, per confrontare approfondimenti e note, mi sono volentieri scomodata a cercare nella mischia domestica i due volumi in cantiere fin dal 2007: Heinrich von Ofterdingen und andere dichterische Schriften (Band 1) e Die Christenheit oder Europa und andere philosophische Schriften (Band 2), Könemann, 1996. Per Novalis e per la sua scrittura poetica, aforismatica, frammentaria Prezzolini trova parole-faro che da sole illuminano lontananze: “... Sotto l'io giornaliero, empirico, c'è un io più profondo, trascendentale, più vero e più nostro, più geniale e creatore

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dell'altro; il ritrovamento di questo io, che detta al poeta le poesie, al filosofo le idee è il più grande problema della coltura umana, per potere un giorno ricuperare il possesso del mondo... La scoperta dell'io profondo genera l'ironia, il gioco con se stessi, e il bisogno di opere grandi ma incomplete, non finite a causa della loro stessa grandezza. Questa superiorità scherzosa dell'io è il principio fondamentale di una poesia romantica, che deve fondarsi su tutto ciò che è leggendario, mal definito, misterioso, nascosto, lontano...” (G. Prezzolini, op. cit. pag. 104). Da pagina 106 parte la IV sezione sul poeta tedesco, La traduzione, tutta da tenere accuratamente presente in quanto “... Sui suoi frammenti e sul valore che loro attribuiva quel modo di tradurre, ho raccolto subito in principio alcuni suoi interessanti giudizi, tanto per ritenermi autorizzato e giustificato dallo stesso autore contro quei pedantucoli amanti di piccinerie che trovassero qualche frase non esattamente voltata in italiano o qualche parola non canonizzata dalla Congregazione dei Puristi. Per Novalis le traduzioni erano secondo lo spirito, non secondo la lettera; e reputava i traduttori grammaticali come i peggiori, i mitologici come i migliori... Chiude il volume una parte dell'opuscolo Europa o la Cristianità, che mi è parso bene offrire al pubblico, perché non mai tradotto e perché è una delle prime apologie estetico-politiche della Età di Mezzo, che vanno ora facendosi sempre più comuni man mano che la 'età delle tenebre' comincia a diventare, perfino per i professori di storia, una 'età di luce'...” (G. Prezzolini, op. cit. pp. 106-107). Per Giuseppe Prezzolini, per le sue splendide metafore o similitudini, quasi che il Maestro si metta a raccontare storie ai bambini, per la competenza tecnica nell'amare la lingua tedesca e nel provarne malìa concretissima e coinvolgente, mi sono veramente sbilanciata e questi appassionati, gloriosi sbocchi esplorativi ne sono sincera testimonianza. Ilia Pedrina


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EMERICO GIACHERY ABITARE POETICAMENTE LA TERRA di Marina Caracciolo

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PLENDIDA serie di variazioni su un unico tema tratto da una frase di Friedrich Hölderlin (Voll Verdienst, doch dichterisch, wohnet der Mensch auf dieser Erde, «Pieno di meriti, ma poeticamente, abita l’uomo su questa terra»). O meglio ancora, una sequela di libere divagazioni, deliziosamente colloquiali, che portano l’Autore a disquisire su ciò che propriamente può significare “abitare poeticamente la terra”. La contrapposizione concettuale di Hölderlin – voll Verdienst, doch dichterisch «con pieno merito, ma poeticamente», direi presupponga una condizione involontaria, istintiva e del tutto naturale, proprio perché opposta al Verdienst, a quel merito che l’uomo acquista con il suo servigio (Dienst), con il suo operare studiato, voluto e rispondente a un intelligente progetto. Nel proseguire la lettura si comprende che l’Autore non considera indispensabile essere poeti e tanto meno filosofi per saper abitare poeticamente il nostro pianeta. Si tratta piuttosto di porsi in una condizione per così dire familiare e autenticamente simbiotica con la Terra, saperne percepire il battito vitale, ascoltare il ritmico e incessante rumore della risacca marina, il fruscio del vento fra gli alberi, contemplare stupiti il mistero della nebbia, del vento, della rugiada, dello stupefacente silenzio della montagna, ammirare il volo leggero degli uccelli e l’incomparabile bellezza della vegetazione. Certo non manca la presenza dei poeti in

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questo libretto: Leopardi – soprattutto – ma anche Ungaretti, Rilke, Trakl, Keats e altri. Passando per il prediletto filosofo Heidegger, il quale spiega il pensiero di Hölderlin come l’«essere alla presenza degli Dei ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose». I poeti – e i filosofi – hanno ovviamente una sensibilità particolare e superiore al comune; pertanto in questa percezione sono da questo punto di vista privilegiati. Abitare poeticamente la Terra è in sostanza sentire e comprendere tutta la magia misteriosa che si sprigiona dalla straordinaria bellezza di questo pianeta, forse unico nell’Universo. Un fascino tale da far pensare agli antichi che le pietre preziose, ad esempio, estratte dai suoi antri tenebrosi, possiedano la sua energia e insieme arcani poteri soprannaturali in grado di proteggere l’essere umano. Questo poetico abitare è imprescindibile da una fusione quasi mistica con la Terra. Qualcosa che attiene al senso, al sentimento e alla fantasia, più ancora che a un razionale volere: ecco perché l’Autore dice che ne sono capaci più i fanciulli che gli adulti. Ma, oltre alla Natura, questo abitare suggerisce inevitabilmente l’idea della casa e di tutto ciò che di sacro essa porta con sé. Piccolo regno personale custodito – per i Romani antichi – dalla dea Vesta (Ἓστία, che in greco è la divinità ma, per sineddoche, anche l’ abitazione e il focolare stesso) e dai Lares, benevoli spiriti protettori (dal’etrusco lar, padre). L’Autore dedica lunghe pagine alla cosiddetta casa con l’anima, che può non essere affatto la dimora in cui siamo nati, ma magari quella che eleggiamo a nostra sede privilegiata, quella abituale oppure quella presso cui ripetutamente ritorniamo come da un essere amato che non sapremmo mai abbandonare; una casa che col tempo si imbeve di una sorta di fluido impalpabile fatto di accenti, di memorie, di voci, di eventi dei quali i muri stessi sono stati specchio e di cui sembrano sempre riflettere vaghi barlumi. E così l’Autore non può non pensare anche ai pittori che nella storia dell’arte hanno saputo immortalare la dolce intimità, il silenzioso


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mistero della casa: uno fra tutti, il fiammingo Vermeer. Tra poesia, memorie personali, filosofia e pittura si snoda senza soluzione di continuità questo piacevole discorso privo di sussiego accademico, che sembra invece aver luogo in un salotto, accanto al fuoco, in una sera di tardo autunno, in compagnia di colti e buoni amici. Rivolto a lettori affini e congeniali, è «un umano messaggio – scrive Giachery – intriso di struggente affetto, saldo di persuasione e di testimonianza». Permeato però anche di fede e di una sovrana consolatoria speranza fondata su una bellezza non destinata a perire. Marina Caracciolo ABITARE POETICAMENTE LA TERRA di Emerico Giachery (Nuova Cultura, Roma, 2018; pp. 46, euro 9,00).

DESIDERIO DI DISORDINE A volte noia su calme, uguali vie del nostro vivere. In te linfe di primavera, corse sfrenate di puledri, nube e sole, imprevedibili tempeste. Credevi d’essere luce al mio buio, àncora nel mio mare di correnti. Eri per me desiderio di disordine. Caterina Felici Pesaro

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 1/7/2018 Sui prati di Pontida, Matteo Salvini promette ai suoi di voler governare l’Italia per almeno 30 anni. Alleluia! Alleluia! Sia generoso, ci faccia almeno uno sconto. Mussolini e il Fascismo han governato solo per 20 ! Domenico Defelice

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SILVIO LANARO PATRIA CIRCUMNAVIGAZIONE DI UN'IDEA CONTROVERSA di Ilia Pedrina

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ANTI i volumi pubblicati da questo importante studioso, alcuni, come questo, non acquistabili ma sicuramente presenti nelle biblioteche. Il prof. Silvio Lanaro, da me contattato nel 2012 per via del volume di Shlomo Sand 'L'invenzione del popolo Ebraico', che ho recensito su queste pagine, è stato gentilissimo ed è doveroso ora aprire un percorso a lui dedicato partendo da brevi annotazioni di sintesi, perché già sfogliare il suo catalogo in rete offre la misura della sua vastissima conoscenza storica di dati e fatti, ma addentrarsi nella sua scrittura, nel suo stile, nei suoi convincimenti chiari e sempre suffragati da prove di testi e di Autori, diventa misura primaria nel compito di investigare il nostro tempo e di viverlo con consapevolezza. Il testo si compone delle seguenti sezioni: Premessa, Padova dicembre 1995 (pp. 1315); Pensieri a capitolo (pp. 19-58); Tutte le patrie possibili. La Francia in guerra (in sette ambiti collegati tra loro e consequenziali alla prospettiva storica prescelta: Traslazioni e metafore; La voce di Marianna; Una guerra parallela; “Sombre connerie”?; Storia e geografia; La propaganda; Postilla pp. 59-135); Fine del periplo (pp. 137-152). Segue l'Indice dei nomi (pp. 153-157), ben ricco ed utile perché ad esempio Machiavelli è citato a pagina 80 per via di quel soldato semplice, certo Gaston Riou che pilota un'autoambulanza e che compila un particolare Journal d'un simple soldat del quale il Lanaro ci riporta queste righe: “...Qui leggiamo i vostri Maurras. Ci si racconta che da voi riescono a stregare la gioventù. Questo ci sbalordisce. Ci sembra un delirio questo baldanzoso atteggiamento di rinnegatori della tradizione, che vi ha reso illustri, che vi fa ancora adorare da quanto


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esiste di più generoso al mondo... È strano! Nel momento in cui vi manca la forza materiale, proprio voi, la nazione nobile per eccellenza, diventate gli apologisti forsennati del colpo d'ariete, della 'coda di tigre'; vi prendete per maestro Machiavelli, vi augurate un Bismarck francese, vi proclamate realisti, imperialisti, assolutisti...” (G. Riou in S. Lanaro, Patria, op. cit. pp. 79-80). Si sfogliano poche pagine e lo studioso ci introduce alle parole di Paul Cazin: “... Francia, che mi hai insegnato a parlare questa antica lingua, che sei impregnata dalla polvere delle ossa dei miei padri, patria, io ti amo. Ma non ti amo a colpi di sillogismi, come vorrebbero costringermi a fare i retori di mestiere che predicano l'amore con la collera. (…) Non c'è nulla di più dolce della patria. Questo è vero, sta scritto già in Omero. Ma che morire per la patria sia il destino più

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bello, questo non è vero affatto. Il destino più bello è vivere a lungo ed essere felici” (P. Cazin, L'humaniste à la guerre. Hauts de Meuse (1915), in S. Lanaro, op. cit. pag. 85). Bastano queste due citazioni a dare la misura della vastità della ricognizione storica che l'Autore porta in campo ed affascina lo stile semplice, dinamico, ironico la sua parte e strategicamente rivolto al futuro dell'Europa rispetto alle idee, alle storie, ai popoli, consolidando fondamenta di riferimento che sono solidissime e tutte da tenere in alta considerazione. Silvio Lanaro è stato professore ordinario di Storia contemporanea all'università di Padova e oltre a tutte le altre importanti testimonianze, ha fornito introduzione e cura al volume Che cos'è una nazione? di E. Renan, per la Donzelli di Roma e a La strana disfatta di M. Bloch, per l'Einaudi di Torino. Del Bloch Lanaro si riserva di scegliere, dopo aver dedicato l'opera che sto esaminando 'A Giovanna/In memoria', alcune righe tratte proprio da questo testo: 'Non ho mai pensato che amare la patria impedisca di amare i propri figli; né riesco a vedere come l'internazionalismo spirituale o di classe sia inconciliabile col culto della patria. (…) È un cuore ben povero quello a cui è vietato racchiudere più di un affetto.' (M. Bloch, La strana disfatta, 1940). Infatti egli ci avverte che, eccetto Céline, Barbusse e Cendrars, tutti gli altri Autori riportati sono in sua traduzione e che, in alcune riflessioni sono ripresi i percorsi presenti in altre sue precedenti pubblicazioni storiche. Il suo stile è schietto, dinamico, consequenziale agli obiettivi prismatici di fornire chiarezza su più fronti rispetto ai concetti di Stato, di Nazione, di Patria. Mi trovo a mio agio perché ricavo conferma inequivocabile ed attualissima di presupposti ed interpretazioni storiche già messe in rilievo da Giulio Caprin, quale corrispondente del Corriere della Sera a Ginevra durante la stesura degli articoli del Trattato di Versailles, che subito aveva colto l'ingiusta impostazione di tutta la normativa e che ho con vero orgoglio riportato a suo tempo su questa Rivista.


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Cito. “... Talvolta gli intellettuali più noti vengono impiegati per speciali missioni all'estero, dove la catechesi in partitibus s'interseca con compiti diplomatici di carattere riservato. Nel marzo del 1917, servendosi della mediazione dello storico Ernest Lavisse, il capo del governo Aristide Briand riesce a convincere Henri Bergson a recarsi negli Stati Uniti per tenere una serie di conferenze ma soprattutto per incontravi Woodrow Wilson. Vari sono i compiti di questo nunzio inconsueto. Comunicare al presidente che se il suo paese non entrerà subito in guerra egli non potrà sedere al tavolo della pace, e dunque contribuire alla creazione di quella Società delle Nazioni che gli sta notoriamente a cuore, avviare trattative con le banche per sbloccare il flusso dei prestiti e degli aiuti finanziari; informare il pubblico americano che non esiste contraddizione fra la sua parola d'ordine 'pace senza vittoria' e l'intento francese di aller jusqu'au bout, perché la 'pace senza vittoria' - vale a dire senza annessioni e indennità - non può essere raggiunta senza che la Germania sia definitivamente battuta. Il grande pensatore, che oltretutto ottiene un successo lusinghiero, è stato scelto per due motivi: perché con la sua autorevolezza culturale può soddisfare più di altri le ambizioni da re filosofo del presidente Wilson e perché la sua parola di uomo di verità può rappresentare gli indirizzi della 'coscienza' francese meglio dei prodighi giuramenti di politici e giornalisti...” (S. Lanaro, op. cit. pp. 126-127). Basta questo cenno per assaporare lo stile incisivo, scarno, affascinante che traduce passione e competenza ai massimi livelli. Per fortuna qualche giorno fa, da Vienna, qualcuno coraggioso ed autorevole ha detto che il Trattato Nato, che ricalca le orme a guida franco-anglo-americana del 1919-1921, non è scritto sulla pietra! Ci si incammini verso questo Autore, che non è più tra noi, con curiosità e temperamento, per scardinare idee fisse che danno stabilità ingannevole. In copertina, in primo piano, il particolare più significativo di Méditerranée - La Pen-

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sée, una statua di donna, il volto reclinato sostenuto dalla mano sinistra flessa sulla capigliatura raccolta, a seno nudo, semplice e stupenda, dell'artista A. Maillol che la eseguì su commissione del suo mecenate, il conte tedesco Harry Kessler, versione 1902/1905, che prepara quella definitiva del 1923-1927. Ad indicare la patria, l'eterno femminile del ritorno, nel versante dell'arte che fa superare ogni confine, affinché il culto del bello non abbia mai a subire amputazioni deviate, arroganti, invasive. Ilia Pedrina Silvio Lanaro - PATRIA - CIRCUMNAVIGAZIONE DI UN'IDEA CONTROVERSA - Collana 'Storia e Scienze Sociali' a cura di Luciano Cafagna e Silvio Lanaro - Marsilio Editori in Venezia, 1996.

4th of July La più grande festa d'America! Il ragazzo ha detto: Buon Compleanno, Madrepatria! Per favore, dimmi cosa fare con la tua libertà! Teresinka Pereira 4th of July America's greatest celebration! The kid said: Happy birthday, Mother Country! Please, tell me what to do with your freedom! Teresinka Pereira USA

Cerco la democrazia nelle carceri della politica e l’esilio degli oppositori pacifici La democrazia è fuggita da questi stati dove i Diritti Umani sono di carta stracciata Béatrice Gaudy Parigi, Francia


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TANTO VALE VIVERE... I CASI PIÙ CLAMOROSI DI SUICIDIO TRA POETI E SCRITTORI NEL PRIMO LIBRO DI

NATALE LUZZAGNI di Luigi De Rosa

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tutti coloro che frequentano il mondo letterario, come lettori o autori, studenti o docenti, sarà capitato – prima o poi – di apprendere che il tale poeta o scrittore non è morto di morte naturale ma si è ucciso il tale giorno e mese del tale anno, con tali mezzi e metodi e, apparentemente, per tali determinati motivi. Ora c'è un libro che raccoglie in modo sistematico e organico le storie di settanta Autori, fra poeti e scrittori, di ogni parte del mondo e di ogni orientamento filosofico, politico, culturale, che si sono tolti la vita. Non si tratta di una semplice ricerca, che pur già sarebbe estremamente qualificata e impegnativa, ma di una vera e propria opera di uno scrittore che studia, analizza, racconta l'esistenza di numerosi suicidi eccellenti e ne fornisce un vivido ritratto umano ed artistico-letterario. Un ritratto approfondito, a 360 gradi, che si deve alla mente e alla penna di uno scrittore padovano, Natale Luzzagni, direttore editoriale di una rivista trimestrale, Nuova Tribu-

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na Letteraria, edita dalla Casa Editrice “Venilia” di Lozzo Atestino (Padova). Il libro è introdotto da una Prefazione magistrale e illuminante, dovuta alla penna di Stefano Valentini, direttore responsabile della stessa Rivista. Natale Luzzagni ha centrato in pieno l'obiettivo, perché ha non solo cercato, coltivato, illustrato a tutto tondo il mondo dei suicidi, più o meno famosi e comunque tutti motivati e determinati. Ma l'ha fatto, anche, con una prosa narrativa ricca d'anima, oltre che di dati oggettivi, abbinando alla bellezza e all'efficacia dello stile del narratore moderno anche quelle del critico letterario e del giornalista. Si aggiunga che Luzzagni è un esperto di pittura e di illustrazione e si capirà ancora meglio l'utilità delle numerosissime immagini fotografiche di Autori suicidi con le quali ha corredato il suo libro. Ogni ritratto aiuta, anche nella sua espressività, ad intuire il pensiero, la psicologia e lo stato emotivo del poeta o scrittore infelice. Ed a ciò si aggiunga la riproduzione di versi o di brani di prosa dei rispettivi Autori, col risultato positivo di integrare, con una miniera di citazioni, sia la personalità dei singoli artisti della parola, sia i caratteri del contesto storico, filosofico, di costume, nel quale essi hanno vissuto e operato. Al valore esteticoletterario del primo libro di Luzzagni (felice inizio, ma un secondo libro, La grande illusione, è già in arrivo...) aggiungo, da parte mia, il valore umano ed etico dello scrittore che scandaglia le vicende più intime, personali, degli aspiranti suicidi, sempre con una serenità e un distacco morale ineguagliabile, astenendosi, nei riguardi dei suicidi, da pettegolezzi e da facili notazioni frivole o pruriginose, sempre senza pronunciare sentenze di condanna o assoluzione, senza accamparsi a giudice o interprete infallibile. Considerando, intelligentemente, anche la delicatezza e l'irripetibilità delle circostanze e delle posizioni, dei pensieri e dei sentimenti, degli uomini e delle donne che non ce l'hanno fatta a resistere fino in fondo alla voglia di farla finita


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con questa Umanità e questo Mondo. Il titolo del libro non chiarisce fino in fondo, in modo nettissimo, il giudizio e l'atteggiamento di Luzzagni uomo e scrittore nei confronti del suicidio interpretato da tanti come un mezzo per risolvere, definitivamente, problemi personali drammatici e senza soluzione apparente. TANTO VALE VIVERE, conclude Luzzagni, se per suicidarsi, come ha scritto Dorothy Parker, bisogna ricorrere a strumenti e materiali brutali, materiali e offensivi (sempre e comunque) della dignità dell'uomo, quasi sempre innocente e comunque imperfetto e limitato, messo alle strette da un destino cinico e baro. Ecco spiegato il titolo, facendo proprie le parole di una composizione di Dorothy Parker: “ I rasoi fanno male, / i fiumi sono freddi, / l'acido lascia tracce,/ le droghe danno i crampi,/ le pistole sono illegali, / i cappi cedono,/ il gas è nauseabondo.../ tanto vale vivere.” I casi di suicidio esaminati e narrati da Natale Luzzagni sono una settantina. Qualcuno, come quello di Primo Levi – gettatosi nella tromba delle scale a Torino o caduto accidentalmente – non è facilmente classificabile come suicidio...Il dubbio riguarda, oltre a Levi, anche Edgar Allan Poe e Sergéj Esénin. Comunque, com'è ovvio, non esauriscono il numero dei letterati suicidi. Per non parlare del grande numero dei tentativi più o meno intensamente ed efficacemente perseguiti dagli interessati. Tra i più famosi poeti e scrittori che ci sono riusciti non possiamo non ricordare anche Carl Michelstaedter, Emilio Salgari, Guido Morselli, Lucio Mastronardi, Franco Lucentini, Marina Cvetaeva, Virginia Woolf, Pamela Moore. Di questi ed altri sono raccontate le rispettive storie. Seguono, nella sezione “Parole e volti”, tra i più famosi: Paul Celan, Pierre Drieu La Rochelle, Ernest Hemingway, Arthur Koestler, Jack London, Vladimir Majakowskij, Cesare Pavese, Silvia Plath, Antonia Pozzi, Amelia Rosselli, Stefan Zweig. Luigi De Rosa

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LA FILOSOFIA DELLE RONDINI DI

FRANCESCA ROMANA MANCINO di Carmine Chiodo

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L titolo dell’opera è già svelante delle intenzioni dell’Autrice, che fa parlare garbatamente e delicatamente la sua anima (non per nulla, per sua stessa dichiarazione, la Mancino si definisce <<coltivatrice di anima>>). Come, dunque, qualificare quest’opera originale per pensiero e scrittura? Di essa si potrebbero dare diverse interpretazioni ma, forse la più calzante, è quella di una meditazione filosofica espressa con un linguaggio sempre controllato e sincero, che riflette il pensiero, la filosofia di vita della donna – rondine che fa volare i suoi pensieri, le sue riflessioni sulla pagina e raggiungono, meglio approdano nell’anima, nella mente di chi legge. Superfluo dire che l’opera è bella e calibrata; un’opera-meditazione che riflette la


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gentilezza d’animo della sua Autrice, il cui pensiero, e qui ha ragione Pierangeli, lo si può definire pensiero appunto poetante che mette in evidenza quelli che sono i guizzi dell’anima della Mancino che ci dà una prosa che benissimo si può definire poetica: << E, per tornare all’idea che sorride, è bene, molto bene, ricordare di sottrarre subito la culla del proprio spazio interiore a pensieri e sentimenti non piacevoli>> (p. 27); <<La linfa vegetale è sangue che non trattiene timore, fino a esprimersi e godersi come bellezza in fiore e come profumo d’essenza che si dona sfrontato e senza remore. <<I fiori insegnano senza invadere>> (p. 30). Appunto la scrittura della Mancino è molto profumata di pensieri bellissimi che non ci invadono ma che ci illuminano e ci riempiono di letizia; e poi un’ultima citazione (v, p. 52): << La falena non distingue la ferocia d’un falso calore nella sua innocente manipolabilità, ma noi abbiamo tempo per imparare a distinguere e trasformare la delicatezza in facoltà di elevata sensibilità e forza sottile>>. Scrittura di pensiero che con naturalezza e autenticità dice cose belle e toccanti: << Questo è il bel messaggio della mia amica: l’autenticità. E’ la più nobile forza e invincibile arma>>. Una scrittura che presenta diversi temi e situazioni che ci fanno vedere in quale direzione va l’anima, la mente, il pensiero della donna-rondine <<elegante>. Ed eccola ora alle prese con il volo, volo che <<ricorda l’esistenza dell’anima e il suo viaggiare attraverso il tempo e lo spazio; da sempre l’amore e non il buonismo a disposizione di chi lo cerca da sveglio mantenendo gli occhi aperti>> (p. 56). Si vede che la Mancino è tanto allenata, per riprendere una sua stessa espressione, alla bellezza e ci offre una linda scrittura nella quale troviamo cose belle che riguardano la vita, noi stessi, le meraviglie appunto della vita e i suoi molteplici aspetti. Da sottolineare un altro fatto, l’ intensità dei sentimenti e dei ragionamenti sulle cose della vita interna ed esterna, e ciò porta la scrittrice a darci una lingua fortemente comunicativa, diretta, ragionata, ben scandita

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nelle sue parti, e anche a tal riguardo si possono esibire varie citazioni: << Se vuoi amare qualcuno –diceva – sappi che lo rendi uno con te: se duci per con-durre e considerati responsabile poiché sui tuoi stessi disallineamenti poggiano le altrui disarmonie e lì scaricano, fino a sottoporli a prove sempre più esigenti>> (p. 55); <<Eco infinito in infinito propagarsi, attraverso strati di realtà in cui ogni punto di contatto crea un punto di partenza: da qui, la sua visione del mondo, a tralasciare pretese rigide e limiti già dati, in favore di obiettivi creativi dalle linee dinamiche e cangianti, come può esserlo la rotta del navigatore intelligente, appassionato e attento al vento, alle onde, al sole, alla fauna e allo stato della sua imbarcazione>> (p. 20). Debbo pensare che fin da bambina la Mancino si percepiva, si ascoltava, e ovviamente lo fa ancora, e lo fa esprimendosi con una prosa – lo dicevo prima -poetica, assai poetica, ed ecco che ancora si ammira la limpidezza linguistica di un’opera che è piena di grazia e di luce. Tutto ciò dà il battito di questa prosa che guarda ad esempio pure al corpo, alla mente. L’opera è dedicata in modo significativo alle figlie <<Ali ribelli e strepitose>> e queste figlie sono Chiara, Gioconda e Armanda. E poi la parola finale, ripetuta ancora in appresso, <<Nessun timore>>. E allora l’esortazione a fendere <<trame intorpidenti, mie raffinatissime guerriere>>. Orbene l’ opera è appunto o, meglio nasce dall’anima di una raffinatissima guerriera che è la Mancino. Carmine Chiodo Francesca Romana Mancino, La filosofia delle rondini intelligenti. Introduzione di Fabio Pierangeli, Roma Universitalia 2017.

Albero di ferro dai fiori di luce la Torre Eiffel dalla quale scaturisce il fuoco d’artificio del 14 Luglio Béatrice Gaudy Parigi, Francia


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Renato Filippelli TUTTE LE POESIE di Anna Vincitorio “E il mio silenzio ha voce…”

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A parola, il ricordo, le storie di uomini e di luoghi affiorano prepotenti dal silenzio. Ho affrontato la lettura del lungo percorso lirico di Renato Filippelli, partendo dalla sua voce. Voce che si fa vita forte e selvaggia del Massico natale. Voce, dei suoi vent’anni “dolcezza di frutti/ alla mia attesa avida…/ donna del sogno che scompari all’alba”. Voce che indaga nel profondo del cuore “dove/ sono brutture e menzogna e nel rimpianto delle cose perdute…” Nell’uomo, ma, soprattutto nel poeta, il ricordo assume corposità che ferisce perché ogni istante è rivissuto pienamente come la rondine ghermita dal suo pugno chiuso ma poi lasciata libera per le vie del sole. Occorre prima perdere qualcosa perché poi ci appartenga per sempre! Il poeta è fiume della sua terra che si gonfia

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all’improvviso; è ulivo avvinto alla terra ma trasudante dai rami luce, sogno mistico, pace sotto il cielo. Anche il mare è personalizzato: “il tuo grido che batte le scogliere. Di lontano/ ti dicevo parole…” La natura, le figure della sua terra, tutto è percorso verso un Dio sempre presente. La ricorrente figura della madre, più volte evocata che vive e vive ancora e la palma bianca delle sue mani accoglie le lacrime del bimbo e poi dell’uomo. La madre che amava l’ombra del fiume bianco di desideri: “porto una vita in grembo”. Questo biancore materno è purezza dell’ animo, stilla di vita offerta dalle madri che si snudavano agli occhi del poeta: “le poppe povere/ belle da offrire ai nati”. Ancora: sempre alla madre lontana – “E basta il poco bianco/ delle tue mani, la tua voce mite,/ un lampo delle tue iridi buone/ a raddolcire tutta l’amarezza/ disciolta nel mio sangue”. Nel poeta presente e tragico il suo abbandono della terra natia che assume corposità dalle descrizioni delle donne: “che possedervi non è conoscervi/ Conoscervi è come aprire all’improvviso un cielo: trovare intatti gli occhi dei nostri morti e leggervi dolore:/ lento dolore che scavò la terra/ nostra, come il giro mansueto/ degli antichi fiumi; conoscervi è sentire quel dolore”. Ancora: “Le mani delle donne arono stimmate/ sui ventagli di strame a monte Massico…Cantavano sull’aia l’ antica resa al destino, le canzoni/ pacare di lontane schiavitù...”. Le liriche di R. Filippelli riflettono nella loro dolce crudezza aspetti della scrittura di Curzio Malaparte nella Pelle e di A. Maria Ortese nel Mare non bagna Napoli. I poeti spesso nella donna esaltano l’ angelicità o l’erotismo, la bellezza. Nel Nostro, le donne sono immagini forti di rassegnato dolore, cinte di neri scialli e con negli occhi rinuncia. In questa pregnante raccolta abbiamo una visione fotografica o, ancora meglio, pittorica della realtà dura di un sud dolce nell’animo ma piagato da stimmate. Non solo però: traspare tutto l’amore e “la luce aspra e radiosa dalla finestra sopra il mar tirreno” per la nascita della figlia Fiammetta; il palpitare del


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suo giovanissimo cuore e “la certezza di Dio sopra quel mare”. Lo stesso mare per “noi del sud si distende e soffre la sua agonia senza la morte”. Il poeta è fortemente presente con la mente ai suoi morti e alla sua gente con cui spezza il pane crociato della fraternità. Risuonano in lui le loro voci “aspre e profonde” e porta in sé “la loro morte chiusa/ nella scorza, frutto che matura”. Si vede morto di fronte ai suoi morti e al giudizio di Dio “ombra macchiata di sangue, ciechi/ gli occhi dal pianto/ della vergogna di me stesso, la bocca/ senza il respiro di chiamarvi il nome,/ chiusa all’ ingorgo delle parole/ risorte dalle piaghe dell’ infanzia”. R. Filippelli ha una visione di sé e degli altri “vivi e morti” come i lumi sulla strada Casciàno – San Felice: “/esili lumi umiliati/ dalla lontananza del cielo… ma tuttavia trepidi di tutte le speranze di cui Dio seminò…/ la sera delle terre addolorate/ da Lui nel dolce Sud”. Direi fortemente significativa la figura del padre del poeta evocata sin dalla prima raccolta. Questa immagine riflette non solo l’ uomo nella sua presenza ma è anche parte integrante della terra di appartenenza e della sua gente: “Ripiegava i ginocchi sulla sabbia,/ ed il maestrale disperdeva al mare/ la preghiera concorde: Gesù Cristo,/ fa che scenda la pioggia…”; “Oh sovvenire padre della tua mano sul mio capo,/ …Prega mi dicevi, prega/ tu che sei innocente…” “…A notte,/ avviticchiati, sognavamo il grano/ rivivere alle stille, …ed i mannelli/ biondi, la battitura, il viso/ raggiante della madre”. Il paesaggio bucolico permeato “dalla fiamma sui focolai di pietra/ mai la luce torbida dell’odio, … mai…”. Quel padre fortemente amato e che lo amava di un amore primitivo, mai si era incurvato sulla culla. “O padre misterioso,/ che mai non mi prendesti sui ginocchi…nell’onda greve di quel tuo respiro/ che, sai, talor MI RITROVO IN CUORE/ a soffocarmi…” e il passare del poeta dal padre a Dio: “Troppo di Te, mio Dio/ resiste alla mia sete…Ed ecco che di-

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scendere/ odo passi di pioggia misteriosa/ nella mia notte, e sono il solco aperto./ La tua pietà, mio Dio, ha questa notte/ voce d’acqua piovana…e il mio silenzio ha voce”. Il testo è permeato da questa esigenza della presenza del Cristo; “Cristo notturno, Cristo/ vagante come luna. A Lui che sul Golgota morì, rivolgersi: “Un trovare più nudo anche il mio Golgota,/ senza un’umana voce/ levata per negare o benedire./ Notte – La luna al vento. Bisogna/ espiare d’essere un poeta/ senza infinito”. Singolare ho trovato il più volte accennare alle serpi, quelle d’acqua come l’agnone. Azzurrine e innocue che si spogliavano dell’ acqua. “Erano dolci, silenziose appena/ sfioravano la luce/ sapendo di dividerla con gli uomini./ E ripensavo la grazia leggera/ delle teste recline ai sorsi quieti/ e, innamorate alzarsi come fiori”. Incommensurabile la dolcezza nel ricordo del padre terreno fuso al padre celeste. Il forte legame riflette la malinconia del Sud, la fedeltà di sole e il quotidiano aprire a chi batte sui vetri di casa. Ricordi ricollegati a momenti diversi: “l’aspettare come un mendico/ la mia bambina uscire di scuola”. Padre, che resta per il poeta, nutrimento “col riso negli spazi degli occhi, quell’irrompere di luce,/ o le sorgenti mirabili del pianto”; e torna la similitudine del dolore dato al padre col dolore della rondine serrata nel palmo. Il padre che lui lasciò solo nella sua terra un giorno; lo stesso padre che piange tra la folla:/ gli viene messo sulle braccia un fascio di rose”. E poi presagi di morte: una bottiglia gettata in mare “un mare immobile e notturno/”. Ricordi anche giocosi legati al fulgore del luglio – bruciavano le stoppie – L’immagine del primogenito più legato alle gioie ma quando “più stoccava sul tuo capo/ la canicola e l’arciolo era vuoto,/ allora di me che domandavi”. In questa poesia significative immagini di una natura rimasta intatta nei suoi colori nel ricordo del poeta: “Mi mandasti alla fonte di campo di felci/ sulla strada battuta dalle ombre/ d’una cattedrale di verde…”. Ciò che mi ha affascinato in questa lettura


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è, sia la descrizione della profondità degli stati d’animo, quadri di paesaggi che riflettono immagini pittoriche del sud, sia anche il dipanarsi del tempo verso una morte consapevole che non è annientamento ma ricongiungimento a un Dio profondamente umano che assomma in sé la crudezza del destino dei poveri e lo splendore di una natura che è Pasqua di Resurrezione. “L’uomo che darà solchi/ e questo seme di parole/ vedrà il tuo volto in un accenno/ d’alberi moribondi della nostra/ terra di colli, accenderà una lampada/ sulle strade notturne che percorri/ sperso e demente per tornare a me”. Il padre terreno del poeta che dalla lontana America ritorna e si unisce alla donna “dall’umile sorte – portava/ due moggia di terra”. “E quando battevi il tuo grano,/ il vento portava la voce/ di quelle tue larghe canzoni/ dal monte alla casa materna./ Poi mi piantasti/ nell’umile donna, convinto,/ come un albero”. Sapientemente fusi il seme della vita alla natura agreste che segue tempi e stagioni. La parte finale del testo si proietta nell’ Oltre: “io Ombra,/ e Tu Persona,/ io silenzio contratto,/ e Tu Parola effusa per i cieli”. Il poeta infrange il silenzio nell’Oltre di Dio e ricorda la morte del padre: “Gli parlai come a un figlio bambino/ che s’avventuri nel buio./ Gli dissi piano, come preghiere,/ tutte le mie poesie/ scritte per lui, che un selvaggio pudore gli nascose per tanti anni/” e si rivolte al Padre nei cieli: “Io dissi a Te – Nel giorno/ della misericordia/ guardami con gli occhi di mio padre”. Nel poeta sempre immanente l’ombra paterna, uomo, figlio di quella terra generosa e amara, ricordi sparsi di guerra e di quiete soffusa nell’alternarsi delle stagioni ai sentimenti e ai silenzi senza mai spegnere i ricordi. “Figli che mi portate sulle spalle come il pietoso Enea portò suo padre, se voi non foste il filo che ricuce brandelli alla speranza della vita, mi getterei nel vuoto della valle come un fantasma in fuga dalla luce”. E, in chiusa il richiamo alla grande ospite ritardataria:

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“Ed ora so perché tardi a venire. Vuoi che ti venga incontro.” Firenze, 7 giugno 2018 Anna Vincitorio Renato Filippelli - TUTTE LE POESIE - Gangemi Editore International Publishing, 2015 - Pagg. 528.

TEMPO DI STASI Tempo di stasi. La mente vaga nella solitudine delle distese montane nell’ora che accoglie il sofferto passaggio del crepuscolo sulle cime dei monti adagiate nel mistero che si apre al primo fiorire delle stelle. Proverò ad aprire un dialogo con il turbine improvviso d’un vento scapigliato giunto da lidi remoti viandante senza meta nella distonia d’un’arsura che incendia l’anima. Antonio Crecchia Caserta

VITA NELLA VITA No, non morirai con me, pensiero, non puoi morire. Vivi in me sveglia, vivi in me immersa nel sonno, vivi senza interruzione: hai in te l'eterno. Vita nella vita, mi sopravviverai. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo


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ANIME AL BIVIO Un romanzo di

IMPERIA TOGNACCI tra storia e impressionismo di Giuseppe Leone

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ON dedica ad Anna Ferrari, prefazione di Francesco D’Episcopo e presentazione di Giuseppe Laterza, Imperia Tognacci ha pubblicato nell’aprile 2017 con i tipi delle Edizioni Laterza di Bari, nella collana “I Menhir”, Anime al bivio. Un romanzo nel quale l’autrice racconta - partendo dalla vita di Giacomo, austero e onesto magistrato costretto a dimettersi dalla carica di giudice per mancata adesione al fascismo (19) e a trasferirsi assieme alla famiglia, al Ministero dei Lavori Pubblici a Roma - le vicissitudini della sua ultimogenita Annunziata, la sua entrata in convento, i suoi trasferimenti fino in Belgio, la sua uscita definitiva dall’ordine, la decisione di fare la missionaria in Africa. E attorno a loro, amici e amiche di famiglia, ingegneri, professori, musicisti, contesse nonché religiose, le reverende Madri, Lina, Dina, Monica, e giovanissime insegnanti che fanno le loro prime esperienze nelle scuole cattoliche rette da suore. Il tutto, sullo sfondo di un’Italia fascista e repubblicana che vive i drammi delle leggi razziali, della guerra, delle deportazioni, dell’emigr azione, attraverso una fitta trama di episodi suddivisi in 51 capitoletti che la Tognacci de-

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scrive in uno stile sobrio ed elegante a un tempo e un lessico mai frutto di abusata e recidiva retorica, ma sempre risultato di fresca e zampillante vena. Eccola, iniziare il romanzo al tramonto di una giornata d’autunno, mentre Giacomo, perso con lo sguardo lungo i crinali dei colli che circondano la Valsesia, ricca di boschi e di vigneti, è riportato dal profumo di ragù che arriva dalla cucina al primo incontro con la moglie Rina, “che gli era stata consigliata come governante dalla baronessa Virginia” (12); e da lì, alla nascita di Tina e degli altri quattro figli, compresa Annunziata. Una narrazione in stile impressionistico, alla Proust si direbbe, anzi alla Pascoli, tenuto conto che l’autrice è legata a doppio filo al poeta romagnolo, per essere nata a San Mauro Pascoli (oltre che per studi a lui dedicati) e per il suo cognome che evoca quell’Erminia Tognacci, vicina di casa del poeta, morta in giovanissima età, che, secondo alcuni suoi biografi, gl’ispirò i versi de La tessitrice, la bellissima ode tratta dai Canti di Castelvecchio. La Tognacci non dice che il mondo da lei descritto è in declino, ma ha abbastanza talento per farlo intendere lo stesso. Lo fa, ora, caricando di senso metaforico l’ora del tramonto: Il sole finiva i suo pellegrinaggio dietro i colli che abbracciano Quarona (11); il fuggitivo crepuscolo era retrocesso di fronte all’incalzare della notte che cancellava … (29); Il sole scendeva all’orizzonte (57); Era l’imbrunire di un giorno di giugno (73); Cominciavano a scendere i primi veli del crepuscolo (138); ora, riferendo di madri superiore che negano il permesso a una novizia di andare a trovare a casa la madre morente; o di altre religiose, ancora, che ricorrono alle punizioni per impedire a Suor Annunziata il suo trasferimento ad altro convento. Quello che colpisce, allora, sfogliando le 256 pagine di questo romanzo insignito del Premio Superga, è la capacità dell’autrice di far convivere il genere storico e quello impressionistico: da una parte, la cornice esteriore dei fatti; dall’altra, la psicologia dei per-


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sonaggi, alle prese con avvenimenti molto più grandi di loro che sembrerebbero travolgerli, ma dai quali sanno difendersi con dignità e coraggio; e le loro idee, quasi mai automaticamente legate al tempo, ma sempre in un rapporto dialettico con esso. Innanzitutto le figure femminili. Non si dimentichi, e ha fatto bene il prefatore a ricordarcelo, che qui protagonista “è una donna che sceglie … una donna che … ama misurarsi con altri modelli femminili … ispirata da incontri reali o immaginari, con altre compagne del proprio sesso, le quali si muovono con una naturalezza e una verità particolarmente convincenti a livello letterario, proprio perché rispecchiano una sostanziale e spontanea adesione della scrittrice alle loro storie speciali, alle loro psicologie particolari” (8). Una donna libera, aggiungiamo noi, in un tempo in cui la libertà veniva negata senza distinzioni di sesso; che liberamente sceglie di entrare in convento e liberamente decide di uscirsene. Suor Annunziata è, senza dubbio, un documento umano eccezionale che non si può ascrivere a modelli ottocenteschi che il tempo ha ormai logorato e già fatto passare di moda: esso fa parte di una letteratura che nel frattempo ha fatto il salto nella “coscienza” del Novecento. Tant’è che il finale del romanzo sembrerebbe rimandare a Ignazio Silone, a quel suo aforisma che lo descrive cristiano senza chiesa e socialista senza partito, come cristiana senza chiesa diviene alla fine Suor Annunziata che si rende conto, dopo aver militato per lunghi anni in vari conventi, che “la fede non è imposizione, limitazione e divieti, non è schiavitù ma ricerca, serenità, luce … ; (che) non sono le mura del convento, né delle chiese, né delle moschee, o delle sinagoghe a racchiudere Dio e tanto meno la nostra piccola mente” (239). Una visione moderna della fede, questa della protagonista, libertaria, spirituale e profetica a un tempo, quale si addice a una donna che, non a caso, porta il nome di Annunziata. Ma più che a un semplice aforisma, parrebbe soprattutto rimandare a Suor Severina,

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protagonista dell’ultimo romanzo dello scrittore abruzzese, che trova nella società laica, durante uno sciopero operaio nel ’68, un palcoscenico più autenticamente vero dove sperimentare un tipo di fede che, ora, ha come aspettativa questo mondo, non “l’altro”, trattandosi di un cristianesimo più terreno, meno mistico e meno misticheggiante, più votato alle questioni del tempo che dell’eternità. Il paradiso può attendere, recitava il titolo di un vecchio film americano. Anime al bivio, allora, è sì - come scrive Nazario Pardini - un romanzo sospeso “fra temporalità e spiritualità; fra amore laico e amore profano; fra libertà e condizionamento; fra eticità e corruzione”, ma è anche un romanzo che si radica nell’attualità del nostro tempo, in un momento storico in cui la chiesa è anch’essa a un bivio: tra l’eredità filosofica greca che parlava di Cristo come Dio, così cara al papa dimissionario Benedetto XVI, e il culto del Cristo uomo, profeta di una religione sociale su cui Papa Francesco ha fondato il suo magistero. Giuseppe Leone Imperia Tognacci - Anime al bivio - Edizioni Giuseppe Laterza, Bari, € 20.00, pp. 256


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NAZARIO PARDINI: CANTICI di Liliana Porro Andriuoli

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ANTICI è il titolo che Nazario Pardini ha dato a un suo nuovo libro di versi apparso nel gennaio 2017, presso The Writer edizioni Ass., Marano Principato (CS), contenente 28 poesie e diviso in due parti: La barca (con 13 testi) e Anatomia della sera (con 15 testi). Il titolo della prima parte è tratto dal Cantico della barca, che così inizia: “Ho navigato incerto in queste acque” e seguita “sono una barca che s’inarca al mare, / una barca disfatta che non tiene / i suoi legni compatti”: una metafora, questa, che bene esprime lo stato d’animo dell’autore, come d’altra parte avviene in molte altre poesie della raccolta. Le poesie contenute ne La barca costituiscono infatti, come bene osserva Luciano Domenighini nella sua Prefazione al libro, “un’evocazione mitizzante degli anni di giovinezza”, mentre quelle raccolte in Anatomia della sera rappresentano “una rivisitazione” dei luoghi nei quali il poeta è vissuto e contemporaneamente “una meditazione sul tempo che trascorre e tutto travolge e muta”. Il verso di cui Pardini fa uso in questi Cantici è essenzialmente l’endecasillabo (a lui particolarmente congeniale), variamente articolato e con delle eccezioni ipertrofiche o ipotrofiche. L’andamento è limpido e schietto, come può constatarsi sin dalla prima poesia, Il cantico dell’aia, che ci viene incontro con immediatezza ed essenzialità, ma anche con la sua gaia festosità per l’abbondante raccolto ottenuto a premio delle fatiche: “È già festa sull’aia. Stamattina / ecco i canti di giovani fanciulle/ ai raggi luminosi sulle stoppie / dalle finestre aperte alle speranze”. Non manca qui la presenza degli antichi dèi e di fronte al loro indecifrato mistero la vita sobbalza e tutta s’illumina: “Venite dee dell’ abbondanza, dèi / delle cantine, dei granai, dei / forni! Venite ad immolare le fascine / al pane sacro delle antiche mense / … / Di già fa capolino sopra i tetti / il fumo del camino”.

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Il cantico del sole, quello successivo, ci offre un esempio di endecasillabo rallentato (“Ci si desta con in mente la luce”) ed anche quello di un verso ipermetro (“Si ritorna / la sera quando il sole rapina l’occidente”). Immediato anche qui è l’incipit della poesia, che coglie il sole nell’istante del suo primo apparire dietro il monte: “Eccolo il sole. Sbuca dal Pisano / con in mano una fresca serenata / per l’anima dei campi”. Una natura, quella di Pardini, sempre animata e partecipe; sempre in sintonia con l’uomo. Un’altra felice immagine naturalistica s’affaccia nel Cantico della campagna (“Tutti quanti / bevono primavera e la lucertola / verdeggia sopra il muro soleggiato”); così come un intenso profumo di bosco esala da Il cantico dei pini (“Si respira / aria di mare, odore di pinolo, / quando di ragia il fremito si aggrappa / alla ginestra in fiore se il maestrale / irrita la battigia luccicante di cielo. / Io cammino / sul viale fecondo di sospiri”); nel Cantico del mare sono invece i corimbi dell’elicriso, “fiorito al dir di maggio”, a creare “un tappeto giallo” e ad avvertirci che l’ estate è ormai prossima (“Le dune incoronate / mi parlano di estate”). Appare evidente dalle tre poesie appena citate come la natura susciti nell’animo del poeta una miriade di sensazioni differenti: da quelle olfattive del respirare “aria di mare” e “odore di pinolo”, a quelle visive con “la battigia luccicante”, con il colore “verde” della lucertola e con il “tappeto giallo” dell’elicriso ed ancora a quelle cenestesiche1 con il tepore del “muro” scaldato dal sole. Si tratta, come con evidenza si deduce sin anche da una prima lettura, di Cantici nei quali pulsa la vita vissuta con i suoi ricordi, 1

Cenestesiche in quanto il termine deriva dal greco koinos (comune). La cenestesia si occupa infatti di quelle sensazioni non riferibili a percezioni sensoriali ordinarie (come vista, udito, tatto), ma a quelle che traducono in sensazione cosciente il funzionamento vegetativo dell'organismo (quali le sensazioni di caldo, freddo, ecc.). È un termine usato in psicologia, soprattutto nella Programmazione Neuro Linguistica (PNL).


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che ovunque s’incontrano. Si vedano in particolare versi quali: “Ho ritrovato i semi ed i sapori, /ho ritrovato i voli, e i solchi aperti,/ … /… È là che splende / con frustate di sole la mia casa” (Cantico della campagna); oppure: “Dammi pineta i giorni trafugati/dei tremiti di pini. È là che il vento,/…/… mi ingannava/col simulare cieli inesistenti” (Cantico dei pini); oppure ancora: “A te, lembo di terra, che contieni / tutti quanti i miei sforzi disperati/per restarti aggrappato/… /Sopra te, / lembo di terra, crebbero i miei anni, / scontai la vita mia…” (Il cantico della vita). Più agili ritmi sono contenuti in poesie quali Il cantico del fiume (“Nascono le tue acque / dove rampolla il gorgo, / o pura fonte”), mentre il verso tende nuovamente ad allungarsi, assumendo la sua naturale dimensione endecasillabica, in poesie quali Il cantico dell’alba (“Scialo di luce in albe traforate / da rondini irrequiete. Ed è già giorno.”) e Il cantico dell’amore (“La ricordi la neve; il suo brillare / di cui non c’è confine. Quello è amore”). È presente in queste poesie la costante ricerca della perfezione formale, raggiunta attraverso la felice novità delle invenzioni verbali e il giro sapiente del movimento ritmico, che sale o si placa a seconda dell’andamento veloce o lento del periodare: “Eterna meraviglia, Bella immagine / che il tempo non trasforma. Tu fanciullo / dai riccioli increspati e dalle labbra / tumide e aperte, leste al desiderio, / resterai sempre vago e inappagato”. Sono questi i versi iniziali del Cantico della Bellezza (ecfrasi), con il quale si chiude la prima parte del libro. La stessa misura endecasillabica la ritroviamo nella seconda parte della raccolta, Anatomia della sera, dove si possono leggere versi quali: “Era d’estate quando della vita / riflessero i bagliori. Allora vissi / la fantasia che esplose lucentezza” (Ottobre); “Dagli azzurri capelli è la mia sera” (Dagli azzurri capelli); “Di me voglio teniate nella mente” (Di me); ecc. Da un punto di vista tematico poi, le poesie contenute in questa seconda sezione costitui-

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scono una rivisitazione dei luoghi amati durante l’infanzia e danno luogo a scatti evocativi di notevole efficacia, quali: “Portami sera, quando i gridi neri / delle rondini in croce vanno a radere / l’acqua arrossata dai ricordi a sera / una memoria buona” (Portami sera) oppure: “Ritornato / sono per rivedere il primo verde / … / … degli aprili / voglio vedere il volto e respirare / l’aria buona di casa” (Sera di casa mia). E sempre più numerosi i ricordi s’affacciano alla sua mente: “L’autunno mio trabocca di ricordi / che evadono invecchiati all’imbrunire” (Ottobre); “Ed è un profumo caldo che trasale / d’arrostite che torna a farmi male. / Porta con sé il ricordo di mia madre” (Anatomia della sera); La casa, il prato, il maggese: sono questi i luoghi delle prime età della vita, nei quali il poeta è stato felice e nei quali il mondo gli ha spalancato i suoi teneri albori. Si vedano versi come: “Appena ieri / udivo giovinezza” […] “Eppure ieri / era d’estate ed oggi è già d’autunno” (Sera d’autunno); oppure come: “E una scintilla sola / ti chiederò nel tuo serale gelo; / sempre in ricordo il volto di colei / ch’io amai ventenne e sempre fino a sera” (Sera mia sera). Si vedano inoltre i versi in cui il suo ricordo risale a persone a lui molto care: “E i passi di mio padre ammorbiditi / dai tappeti terragni ormai sbocciati / alla vita novella”; “una casa / attendeva alla sera il mio ritorno / con guance affaticate”; oppure ancora “ed io gridavo/ litigioso con te fratello mio / paziente per la luce che spegnevo” (Sera di casa mia). Una sottile malinconia s’insinua così nell’ animo del poeta, che va ricercando le tracce del suo passato e di esso al contempo tutto s’illumina; e si tratta di una malinconia alla quale egli tenta di reagire talvolta con un leggero sorriso: “Di me voglio teniate nella mente/solo il ragazzo che si divertiva/a bussare alle porte. O nella via / a rincorrere il cane del paese / che ci abbaiava dietro” (Di me). Ora la sera si arrossa (Anatomia di una sera) e si ode la campana del vespro (È vesperale il suono). S’inazzurra il cielo sui campi (Ormai di sera) ed è tempo di tirare i remi in


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barca e di far cessare la piena dei ricordi. Gli ultimi canti si spengono con una musica sommessa. Ma nel cuore del poeta la loro eco ancora perdura. Liliana Porro Andriuoli NAZARIO PARDINI: CANTICI - (The Writer Edizioni, CS, gennaio 2017, € 10,00)

LE MONTAGNE Le montagne sono rossastre, in questo tramonto d’estate, in questa sera silenziosa di luglio; e ondeggiano le foglie degli alberi, baciate dagli ultimi bagliori del sole, pian piano i fiori si addormentano per risvegliarsi all’alba quando la rugiada bagnerà i loro occhi con slancio d’amore.

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dentro la musica, io sono musica, e mentre quest’onda hokusakiana mi travolge mi lascio andare senza timore, perché so dove mi condurrà la meravigliosa onda musicale. Ecco: ora giunge l’adagio, con le dolci note del pianoforte, ora morbide, ora cristalline, e allora torna la calma, e poi gioisco immersa nell’allegro finale e mi ritrovo fatta nuova, quasi purificata, su questa terra, in questa sala di concerti. La serata è finita. Mariagina Bonciani Milano

TRAMONTO

Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, MI

MERAVIGLIOSI SUONI (ascoltando Beethoven) Meravigliosi suoni scaturiscono dall’orchestra e si fondono con le impetuose note del pianoforte. Si diffonde la musica nell’aria e sale ad occupare l’alto spazio della sala. Balza, danza, s’innalza, e come onda potente di agitato oceano mi avvolge, mi travolge e mi trascina ed io mi trovo

Illanguidisce in un fulgore di colori la luce del sole. In cielo, drappi rossi, d’arancione, d’azzurro. Sanguina l’onda sullo scoglio. Io, alla ringhiera imporporata del balcone. Malinconia della fissità violacea dei monti, del giorno che si prepara al grigiore della sera. Caterina Felici Pesaro


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IL DEBITO PUBBLICO di Giuseppe Giorgioli

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O appreso che il debito pubblico a giugno ’18 è arrivato alla stratosferica cifra di 2.300.000.000 €, che convertita in lire sarebbe di L. 4.500 miliardi!! Incredibile!! E pensare che all’epoca di tangentopoli (anni 1992 – 94) quando lo Stato introdusse l’I.S.I. (Governo Goria) e poi l’I.C.I. perché eravamo alla bancarotta il debito era di circa L. 1.500 miliardi, corrispondenti a 700 milioni di €, cioè circa un terzo del debito attuale. Allora sembrava di essere sull’orlo del fallimento dello Stato! Il sottoscritto pensava che avevamo, come tuttora, una classe politica numerosa e super pagata. Si pensi che avevamo un Parlamento di 900 fra deputati e senatori per una popolazione di circa 60 milioni, mentre negli U.S.A. si avevano 400 deputati e senatori meno pagati dei nostri per una popolazione di circa 400 milioni di abitanti. Poi abbiamo il Quirinale, più costoso (fino a quattro volte!!) di Buckingham Palace, e le Regioni e così via. Dovevamo cambiare, è stata mandata via la Prima Repubblica per sostituirla con la Seconda, costituita da due poli di sinistra e di destra. Ma cos’è successo in circa vent’anni di Seconda Repubblica il debito Pubblico si è addirittura triplicato!! Si è perciò arrivati al populismo attuale. Nel 2007 è uscito un interessante libro denuncia di tutto ciò: SERGIO RIZZO – GIAN ANTONIO STELLA - LA CASTA Così i politici italiani sono diventati intoccabili (Rizzoli, 2007, 5,90 €, pagine 288, ISBN 978-88-17-01714-5). Questo libro, scritto da due giornalisti del Corriere della Sera, può essere considerato una pietra miliare per capire gli sprechi della politica da ottenere un debito pubblico così alto e che non accenna a diminuire. Il libro ebbe così tanto successo che da maggio ad agosto 2007 furono fatte ben 17 edizioni! Il libro è composto da un capitolo introduttivo ( Una oligarchia di insaziabili bramini), da 18 capitoli e da un’Appendice, che presen-

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ta varie tabelle sui costi dei vari enti pubblici. Nell’Introduzione si citano le più grosse storture relative agli sprechi e cioè: 1) l’Italia fra i paesi occidentali ha il numero più alto di parlamentari eletti; 2) stipendi più alti; 3) i parlamentari europei italiani hanno stipendi tre volte quello dei portoghesi, quattro volte quello degli spagnoli, il doppio rispetto agli inglesi e ai tedeschi; 4) pagano stipendi in nero ai propri collaboratori (alla faccia dell’ evasione fiscale di cui fanno sempre menzione pubblicamente!). Si legge a pag. 46: ”Nel 1947 il Governo non aveva una casa tutta sua. Nei primi anni del 2000 le due Camere più la Presidenza del Consiglio occupano insieme almeno 46 edifici!”. Il libro è pieno di aneddoti e cifre riguardanti gli sprechi della politica: ad esempio per le 115 auto blu di Palazzo Chigi nel 2005 si ha una spesa di 2.152.000 euro, più del doppio rispetto al 2001!! Aerei di Stato che volano 37 ore al giorno, pronti al decollo per portare Sua Eccellenza anche a una festa a Parigi. Palazzi parlamentari presi in affitto a peso d'oro da scuderie di cavalli. Finanziamenti pubblici quadruplicati rispetto a quando furono aboliti dal referendum. "Rimborsi" elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute. Organici di presidenza nelle regioni più "virtuose" moltiplicati per tredici volte in venti anni. Spese di rappresentanza dei governatori fino a dodici volte più alte di quelle del presidente della Repubblica tedesco. Indennità impazzite al punto che il sindaco di un paese aostano di 91 abitanti può guadagnare quanto il collega di una città di 249mila. Candidati "trombati" consolati con 5 buste paga. Presidenti di circoscrizione con l'autoblu. La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia insaziabile e abbia allagato l'intera società italiana. Storie stupefacenti, numeri da bancarotta, aneddoti nel reportage di due famosi giornalisti. Si cita anche che le Province continuano ad aumentare nonostante da decenni siano con-


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siderate inutili.1 Di attualità il capitolo sulle pensioni baby: “Baby pensionati di 42 anni”, dove viene illustrato che, nonostante le varie denuncie e tentativi di riforma, i privilegi non si riescono ad estirpare. Nei primi anni ’90 un parlamentare poteva andare in pensione a 60 anni se aveva fatto una legislatura, a 55 anni se ne aveva fatto due, a 50 se ne aveva fatto 3, a 45, se ne aveva fatto 4 e così via. Era troppo! Da qui si è fatta la riforma Dini del ’97: in pensione a 65 anni anche per i parlamentari! C’era il trucco: valeva solo per i parlamentari futuri, per quelli attuali valeva il diritto acquisito e poi se si faceva dieci anni in Parlamento si poteva andare a 60 anni, se si faceva vent’ anni si poteva andare a 50 anni. Insomma i privilegi rimanevano, solo con qualche modifica peggiorativa. Il capitolo successivo riguarda il conflitto di interessi: per esempio, all’epoca della vittoria di Berlusconi nel ’94, la Fininvest aveva 5.000 miliardi di debiti. Con l’elezione di Berlusconi l’Azienda non fallì e i beni di famiglia, che nel 1994 erano valutati in 3,1 miliardi di euro, ne valevano nel 2005 ben 9,6. Tutto il libro descrive varie situazioni di sprechi e privilegi sfacciati. Per esempio, nel capitolo 15 si parla della Regione Calabria: si cita che a Reggio Calabria si hanno ben 19 uffici sparsi per la città oltre un immenso palazzo regionale! Ogni uomo – partito può farsi uno staff personale a spese della Regione. Il capogruppo dell’UDC Gianni Nucera assume come collaboratrice la moglie Felicia e i due figli Carmelo e Francesco!! (pag 200). Ma tutte le Regioni italiane sono fonte di sprechi: addirittura a spese della Stato ogni Regione ha una sua sede a Bruxelles con i suoi centri di costo!! Per finire nell’ultimo capitolo si parla dei bilanci in rosso di diversi comuni italiani. Ad esempio il Comune di Taranto nel marzo 2007 aveva un buco di 700 milioni di euro! Il buco veniva creato anche per fini elettorali in quanto nelle varie campagne politiche si prometteva ai cittadini l’esenzione di alcune tasse o relativi sconti ( sui rifiuti, sui sevizi

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comunali). In un’intervista pubblicata su L’ Opinione il 5 maggio Gianantonio Stella esprime alcuni semplici ma importanti concetti. «Nessun qualunquismo e nessun moralismo da parte mia e di Rizzo nel voler scrivere il libro sugli sprechi». La prima cosa che il giornalista del Corriere della Sera, Gianantonio Stella, tiene a precisare a proposito del libro scritto a quattro mani con Sergio Rizzo, è che «l’intento con cui abbiamo lavorato non è stato né moralistico né qualunquistico». «ll problema è quello del contribuente che paga per mantenere con le tasse sempre più elevate un apparato burocratico elefantiaco con troppi enti locali che si sovrappongono e con troppi stipendi parassitari. Non è possibile – dice Stella - che un presidente di consiglio circoscrizionale guadagni 5 mila euro al mese o che una Asl abbia più centralinisti di Buckingam Palace, e se la politica non si fa carico di correggere queste cose, allora deve subentrare la denuncia giornalistica e l’ inchiesta». In Appendice sono riportate varie tabelle indicanti i costi della politica, aggiornati al 2007, che purtroppo al 2018 sono ulteriormente aumentati! A titolo di esempio ne riporto un paio (Tabelle 1 e 6). Tabella 1 L’esercito degli eletti Deputati e senatori Consiglieri regionali Assessori regionali non consiglieri Amministratori provinciali Amministratori comunali Sindaci e vicesindaci Consiglieri circoscrizionali TOTALE

952 1.129 125 3.933 152.155 14.242 6.949 179.485

Tabella 6 Gli stipendi (stipendio e diaria) dei parlamentari dal 1966 Anno Totale 1966 7.002 1973 6.190 1981 7.187 1986 7.756


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Atti di teoria poetica:

13.484 12.755 13.81 15.706

DAL PENSIERO DEBOLE ALLA FORMA ARCAICA di Susanna Pelizza Giuseppe Giorgioli

(1 - Continua) 1 - Le Provincie hanno d’altro canto la loro funzione, sono a mio avviso più inutili le Regioni.

SPERGIURO Sono l'unica a non riuscire a portare a termine una promessa d'amore? Tanta vendetta hai messo nel mio giorno, falsificando la mia infinita inquisizione sulla povertà mentale dell'animale umano! La mia fame di tempo si nutre di assoluto. Ingrandisci il tuo desiderio per vederlo Io sono quello giusto. Teresinka Pereira USA - Trad. Giovanna Li Volti Guzzardi, Australia

Sotto le finestre del convento delle donne col costume da bagno si godono il sole Le donne col costume da bagno non sono tuttavia delle monache sempre molto cristianamente velate e vestite di bianco di grigio di scuro nel costeggiamento per le strade degli atei delle musulmane velate delle Africane col boubou dei giudei colla kippa dei buddisti con la kesa Placida e laica è a Parigi la tolleranza Béatrice Gaudy Parigi, Francia

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A forma arcaica rappresenta la risposta più esauriente al “Pensiero debole” di G. Vattimo: pertanto, in questo contesto, s’intenderà dimostrare come il minimalismo rimandi a una trascendenza (come pensiero forte) mentre la forma arcaica manifesta tutta la sua caducità e mortalità, rispondendo, quindi, in pieno al pensiero debole. La “realtà cultura” non è una realtà arricchita dalla sovrastruttura, bensì “il molteplice complesso della forma culturale, con cui si legittima la cosa”. Ad esempio “l’aratro” è una forma arcaica: in sé mantiene la realtà culturale del mondo contadino dei primi anni del ‘900 (ciò che è stato, l’importanza dell’arnese) ma, anche, la realtà culturale della tradizione poetica, nonché la materialità, la struttura oggettiva dell’arnese. Nella molteplicità di queste vedute, l’ aratro agisce come opera di “sfondamento” sul presente e nel corpo linguistico manifestandosi come “nucleo problematico”, totalmente indipendente dall’interpretazione soggettiva dell’autore (quindi debole e non trascendente) e dalla sua collocazione nel testo. Ma la cosa in sé appare senza sovrastruttura, un arnese, un oggetto caduco e mortale. “La “forma arcaica” nel suo apparire è essenzialmente “la cosa in sé” che agisce come nucleo problematico nell’inconciliabilità con il soggetto e il moderno. Nel “realismo terminale” (Oldani) le cose non manifestano questa problematicità e perciò si pongono al di fuori del pensiero debole. Nella visione dadaista e situazionista di G. Oldani della “Lavatrice” (poesia apparsa su Capoverso, Catanzaro, Dicembre 2010) c’è un rimando all’oggetto in sé non problematico: la lavatrice si concilia con il pensiero interpretativo, riflessivo dell’autore, in una sintonia concordante che va verso l’ assolutizzazione, cioè verso un Pensiero Forte.


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Perché ci sia pensiero debole “occorre ricreare lo scacco, l’inconciliabilità tra universo-molteplice e soggetto-autore- interprete, ricreare quella tensione verso un’unità taciuta” (Da “Il pensiero debole” G. Vattimo, Feltrinelli) che è condizione necessaria perché non ci sia assolutezza bensì libertà (nel Realismo terminale “sono le cose che alla fine hanno il sopravvento”, il molteplice è superiore al soggetto, pensiero assoluto, Oldani, Ponge, Sereni). Nella “nudità, caducità, mortalità” della forma arcaica, la realtà esplode per via empirica, è l’oggetto che s’impone nella sua “nudità-mortalità”, è la forma oggetto, oggettivante di una realtà incompatibile. La forma arcaica, empiricamente e sincretisticamente presuppone un’ oggettività concreta e non taciuta, indicante, però, un molteplice come possibilità di sconfinamento sul presente e come elemento antiassoluto di libertà espressiva: per esempio se consideriamo la macchina da scrivere, o la macchina a vapore, l’oggettività della forma esplode parallelamente con la sua dimensione culturale (l’attività del redattore e dello scrittore a metà del 900 sulla macchina da scrivere ecc.) in un rimando inconciliabile che mantiene viva la tensione nella collocazione del testo e con il moderno con cui si sconfina con la realtà culturale del tempo. (…) Nella distanza tra realtà, cultura, soggetto il testo diventa “luogo del pensiero debole”, di ciò che non può essere appiattito, amalgamato e interpretato se non nell’ inevitabile inconciliabilità (se si fa luce sulla realtà si uccide il culturale e viceversa). Susanna Pelizza da “Sulla Poesia e sull’Arte” (Amazon.it)

DOPO LA PIOGGIA Nessuno è più felice del ragazzo che dopo la spiovuta passa cantando fra le case, e i campi brillano e i colori dell’arcobaleno. Franco Saccà Da Il vecchio battello, Ibico, 1968.

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AFFETTI RECIPROCI E SPONTANEITÀ DI VITA AL PAESE di Leonardo Selvaggi I OLTE le spine, tante le catene; l’animo libero ad ogni passo è fermato dalle contraddizioni. Le pietre capiscono le parole rimeditate più volte meglio delle persone che non sanno sentire. Un continuo affanno, quando si cerca un po’ di vita in questa società civile divenuta selvaggia. Ogni giorno che passa una conquista, le sofferenze travagliano la solitudine di chi combatte l’ipocrisia. Foglie secche sotto gli ippocastani; una freschezza elettrizzante per i viali. Passeggio pestando pensieri franti e seguo il sentimento della mia persona nell’ ampia periferia. Molte cose disprezzo e mal sopporto gli istinti degli uomini, le forme abbellite e legalizzate che coprono rudezze ed ostentano un improvvisato costume civico. Spoglie umili, nudi frammenti dei robusti alberi, voi commentate la mia essenza. Nemico mi sento della retorica che inneggia agli ideali di democraticità; si abborraccia una costruzione artefatta di livellati gradi sociali. Gli intelletti sono trattati come elementi indecorosi nella struttura materialistica. Dappertutto si vuol portare ad ogni costo il principio della libertà repubblicana. Superficiale candore; tutto risolto con un’ indoratura sopra la difettosa sostanza. In un paiolo aromi ed alimenti dal mestolo intorbidati: cuoce il minestrone che fumigante si riverserà nel truogolo di tutti. Se ne stanno per conto loro, sono in tanti. Se si potesse svellere quella corteccia di terra, una fiera di ossa. Il viale ha lunghezze solitarie; un freddo cammino nella sera rossastra piena di gente. L’autunno soltanto ha le sere per la città industriale; le foglie precipitate al suolo riscoprono le pareti ferrigne. Dopo il cimitero s’allungano spazi senza case, quasi la morte ha infestato molti luoghi intorno. C’è un sole di ferro che scintilla da una fucina, un cerchio di sangue splendido sulla terra spogliata, che si proietta rincorren-

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do il fiume fradicio di acqua grigia. Un indugio e poi con fretta a sommergere di terra la fossa: le cose sopra ad ammassarsi. Tutto pulito e disteso, non c’è un segno che ricorda la giornata caduta. Il caseggiato popolare, un labirinto di abitazioni; non ti accorgi di nulla. Chi è andato via è arrivato in fondo in un baleno, nell’oscuro silenzio dell’altro regno. Superficie fluida di fiume, inarrivabile e intatta, meandri sconosciuti, sprofondamenti. Non vedi chi ci ha abbandonato; l’alveare è assordante e pieno di bimbi che riempiono le rampe delle scale di chiasso. Dove la terra alluvionale sotto le piogge frana scivolando per i pendii. Una parte cede per i canali, un’altra flagellata, dispersa dall’acqua. Dove la terra è con poche piante e il tempo del presente non esiste: un lontano leggendario s’irradia per la cima dei monti, ad occidente tinto di rosso e di grigio. Gli uomini statici, mimetizzati con la terra arcaica. Dove sotto i raggi infocati rimane inerte e stanca: non vuole nemmeno l’aria fresca delle ombre né lo zampillo sorgivo. Gli sterpi si spezzano sotto le dita. Dove la terra si frantuma ai soffi del vento, e sotto la pioggia autunnale le sue membra si sfaldano, il suo tempo fuori dalle viscere è un relitto mostruoso. Si spogliano le pietre: la polvere dei morti, una fanghiglia frammista all’argilla millenaria. Trovare le posizioni più comode perché il tarlo roda sottilmente. In piano sul letto, disteso con il lusso del vestito uniforme, lungo fino alle nerissime tomaie. A passeggio nella metafisica unione con l’orizzonte, leggero peso su un punto del mondo. L’intelletto nelle emanazioni si costruisce il suo fortino spirituale con le forze dell’assoluto; i confini non ci sono, si va con magia all’infinito. Tutto una linea retta, che è raggio al di sopra dei contatti. La frase illumina ed è cristallina perché una lama sottile taglia gli strati del pensiero. Questa luce che si fa più corposa e lontana nei giorni immensi di luglio. Anche se l’aria è afosa e greve di calura, c’è una dilatazione delle ore, uno spazio intoccabile. II Quando è sera, tra le lontananze delle strade

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si accende la solitudine: ritorna il profondo io indipendente. La nostalgia fa vedere i fiumi di giovinezza sparsi vero l’orizzonte. La sera è luminosa perché è soggettiva nascosta; nell’ostrica rosea di una purezza ansiosa. La transizione viviamo soffrendo il male che ci fanno i tempi che corrono. La violenza di questi anni ha deturpato tante cose che ci appartenevano. Abbiamo smarrito la casa antica dove il nostro ritmo andava con lenta e doviziosa armonia. Le piante svelte, sconcertato il nostro ambiente. La transizione è uno stato infelice, passiamo sul rullo livellandoci nel corpo. Una figura strana di stile picassiano: stralunati gli occhi giustapposti gli elementi sradicata l’anima. Le mie pagine che ricreano varietà di stati d’animo, pervase da dubbiosi ripensamenti, portano un impasto di idee e sensazioni, voluttà dell’inesprimibile: cose e sentimenti che passano entro la matrice del mio essere. L’espressione viviseziona la persona, divide le mie membra, parole ed umori vanno insieme. Ritrovo frammenti venendo da lontano, e tra le cose lasciate c’è un legame che il cuore riconosce. Le figure di allora si consumano: sotto la patina di questi anni trascorsi paiono pietrificate oggi che le rivedo. Sono indurite nei loro tratti. Il tempo tiranno batte sulle dure rive dei giorni, avaro padrone: sono fuggiti dalle mani i desideri più voluti. Il viso della luna è quello della nostalgia, chiaro e lontano. È uno specchio su cui mirare le cose rimaste legate al cuore, le vedi immobili con l’ultima voce ascoltata. La luna nella notte è la nostalgia che invade l’animo deserto e dilatato per dove passano i pensieri di sempre, solitari errabondi che non giungono alla loro meta. Il passato, cosa magnifica, è andato via quasi distratto senza amicizia: ora riconosco in esso le persone amate, i luoghi felici. La luna che fissa in faccia i suoi taciti riflessi ha uno strato profondo di evanescenze; tante cose smarrite, tante cose incontrate, ora meravigliose nella memoria: cristalline, dalla figura impalpabile, come se un velo cingesse le gote diafane in mezzo all’etere. Il meridionale è più astioso, fa a gara con il suo conterraneo per sfoggiare la parte miglio-


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re di fronte al torinese. Il nemico non è questi, poiché l’immigrato non si contrappone al cittadino della nuova residenza: invece sono in contesa fra di loro le diverse provenienze che concorrono nello stesso spazio. E si sta insieme come accampati; quello che manca è l’adesione naturale all’ambiente. Chi è partito ha dato un taglio barbarico agli anni precedenti e si trova ad essere un profugo senza possibilità di stratificare le esperienze sulla prima base. Per chi è lontano dal suo paese la città ampia e annegata nel vuoto. Indeterminati e vaghi i rapporti. I lunghi viali messi in mezzo ad ostacolare la visione dei luoghi interiorizzati dalla nostalgia. Una distanza geografica che ha bloccato il tempo dell’animo. È sempre il primo giorno; ciò che è intercorso ha lasciato tracce labili che non affondano. Oggi ancora sono aperte le lacerazioni di quel mattino nebbioso, quando le cose abbandonate divisero la mente in due. Il fratello e la madre, due trame persistente nel tuo tessuto. Nessun altro porta il nome schietto della propria carne, il grido delle ferite che tagliano il tuo cuore. Il fratello è il tuo essere che cammina; la madre, la tua storia, gli anni fermi intorno alla tua nascita. Nessun altro si riconosce sul tuo viso, nessun altro può entrare nello spazio della tua vita che non può mutare cambiando luogo e andando con persone nuove. Se entri in un’altra casa, sono anni sovrapposti che non hanno una fusione sulla tua identità. È una instabile dimora, vuoi ritornare al posto naturale che chiama con la voce intima nella pelle. Quando le case si fanno alte, i piedi rimangono recisi; l’uomo sollevato nel suo piano è in una costretta recinzione. Giù si vede la strada come un desiderio represso. L’ancestrale uso di vivere insieme sulla piazza e nella giornata misurata dall’ora naturale: oltre i palazzi la collina rimasta verde si rannicchia fra le ombre. Se piove, dalla ringhiera nell’aria dardeggiata poche gocce stillate. L’intemperie e i fenomeni di fuori vengono filtrati dall’occhio distante, in un quadrato di spazio riducendosi le dimensioni vitali. È una decantazione delle persone che perdono l’aspetto di prossimo e si spostano

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strumenti etichettati nell’ingranaggio della collettività. Con lo sguardo in alto verso il cielo, quando annotta. Siamo all’intemperie: le case sono fragili, le travi traballanti, al gelo si sgretolano le coperture. L’umanità battagliata dalle cose avverse spinta sempre fuori. III L’aria obliqua arriva con le gocce fredde, le raffiche di vento violente sulla faccia, grondanti le membra tempestate. La volta del cielo ci si allarga intorno e non si sa in quanti siamo ad abitarla, c’è un formicaio umano alla ricerca di ripari per tutte le strade che esistono. Paiono sempre le stesse persone in giro, ma nelle tenebre molti cadono giù nei baratri, mentre altri sbucano dall’intricata massa inavvertibile. Anche i palazzi di marmo sono tende, niente le dimore di lusso. Gli uomini dentro le cavità si rifugiano ed escono attratti dall’illusione della luce. Il cielo è un vuoto pauroso che sprofonda e la terra un argine immiserito lungo il quale accodati ci teniamo giocando a stare ritti. Il caldo scioglie la terra e le foglie, per l’aria c’è un profumo denso di colori. Le ginestre snelle e civettuole, piante silvestri come la malva e il finocchio sommerse dalle giornate di sole, dalla roccia s’incanalano per la strada scoscesa. I ciottoli divelti e poi allineati dal corso precipitoso dell’acqua. Dalle fenditure taglienti i fiori gialli la bocca assetata spalancano: la terra del sud ha una voce costretta nella morsa rappresa ferrigna della pietra. Vent’anni di poesia. La transizione. Frammenti: Desiderio di vivere. Le ombre. Lo sradicato e altri scritti. Pagine di un anno sono i volumi più significativi; in essi vado alla ricerca di soluzioni e di concezioni che possano definire l’essenza delle cose osservate. Immagini, di incidenza morale e umana, nate per un gettito di immediatezza realistica. Si preferiscono quelle brevi, dense di concetti per esprimere voci sentite, sincere. Contrasti emozionali filtrati attraverso una realtà vissuta tra visioni e balenii d’anima. Qua e là qualcosa d’antico, di georgico, ma ancora nuovo, specialmente utile oggi che da tutti si sente il bisogno di tornare


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alla terra e alle cose vere e genuine. Un gioco delle metafore; la corposità dell’immagine: un’immagine spiraliforme o specchiata come in una prospettiva. Lo stile rappresentativo va nella direzione di un linguaggio che si amplia. Determinatezza espressiva che gioca sull’effetto immediato della sensazione. La nostalgia del passato profuso di tristezza riesuma lontane rimembranze. Le tante voci che si incontrano e si confrontano fanno un dialogo, perché si sentono i problemi comuni, si sfronda l’apparato artificioso che snatura l’ uomo. A nudo la realtà dell’io, in un rapporto di spontaneità con quanto costituisce la vita essenziale dell’essere. Si guarda alla realtà battagliata, al fatale meccanico destino delle cose; linguaggio forte; le immagini e le parole sono scolpite come epitaffi. Le sofferenze, la felicità di qualche momento sono ferme nell’ animo; come fiamme alimentate di continuo bruciano l’interiore rappresentazione vitale di se stessi. Dalla memoria e dal vero che ci circonda l’emozione prende l’avvio, allaccia insieme passato e presente. E così siamo nei luoghi dove tutto è bello, dove tutto è fragranza, ove la natura mantiene la sua originaria vitalità, e l’uomo si ritrova nella sua dolce fanciullezza. Una musica delicata di parole sopisce le ansie e i tumulti del nostro vivere quotidiano: sfondi arcadici, lunari, vaporosi in una visione di poetico abbandono. Predomina il componimento frammentario che ha una vigoria e una comunicativa abbacinanti più delle pagine dense e voluminose; l’anima esulcerata, lo strappo degli addii profondamente sentito. Immagini nervose e un linguaggio asciutto in cui si raccolgono i doppi fondi. IV Abbiamo gli intensi ritorni dei ricordi, l’ ancestrale amore alla propria terra con tutta la forza dell’anima in una esaltazione mistica: Ci sentiamo prendere dall’ansia dei voli che supera la barriera della materia per sconfinare nell’azzurro del sogno. La schietta effusione di dolci sentimenti. Il ritorno alla propria interiorità, alla ricerca di quel vero che appare oggi così dimenticato. Una richiesta di impe-

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gno, di buona volontà perché il domani non sia come l’oggi, ma migliore, più fatto a misura d’uomo. La fascia rossastra spande riflessi negli strati di sopra, sollevandosi lo sguardo trascina con sé il chiarore fin dove rimane il punto più fondo e più oscuro. La sera fa trasparente l’animo; un velo impalpabile si distende per l’aria, mentre, la mano sulla fronte, il corpo adagiato segue l’ultima luce; come in un antro dentro gli occhi socchiusi passano gli spiriti delle cose trascorse. Una folla di figure che arrivano in un baleno, pare un luogo del purgatorio dove vagano a confronto i pensieri antichi e nuovi. È proprio limitato il nostro tempo, in questa sequenza di segmenti si contano i tratti. È questa l’ora che quasi slega il nostro esistere dal fluire della consumazione. Canti corali che la distanza modulava, spandendoli in echi prolungati dalle ultime case del paese. Le voci nelle tarde ore di compagnie allegre lasciavano una scia di flebili ondeggiamenti nella mobilità dell’ aria. La sensazione dei versi leopardiani sul tempo della gioventù che svanisce lasciando sulla pelle le pieghe delle illusioni. Le carte scritte, in una catasta frammista, vengono rivoltate per cercare degli appunti. Una gran fatica, si vogliono eliminare alcuni fogli, ma tutto è una sequenza di mesi e di anni. Se togli un pezzo, senti strapparti di dosso qualcosa che è dentro con legame indissolubile. I libri tenuti vicini, visti ingiallire mutati di volto come fossero cose vive, le note impresse che hanno lasciato il segno forte e le date scolpite in cima ai frontespizi. Il passato affonda in basso, rimane disseccato, senza parola, morto con le ossa imbiancate; tante bare e croci disseminate lungo una parete che si perde lontano. E il presente sembra una coda che si trascina avanti, tirata da quel fondo pieno di materiale scaricato. Ogni giorno un pezzo si sfilaccia dal tessuto infiacchito. Se l’amore non c’è gli uomini sono frammenti pazzi di superbia, periscono in una battaglia di nemici, sono il peso delle necessità per un meccanico movimento di vicissitudini distruggitrici. Anche gli uomini come gli esseri felici del mondo animale debbono poter mantenere intatti


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gli istinti puri che legano alla matrice cosmica, alla sintonia delle leggi naturali. Diversamente si è sempre nella solitudine artificiosa con una razionalità fredda che alimenta le ipocrisie. Gli istinti dell’essere sono profondi e vanno ai legami armoniosi, sono quelli dell’ amore e della comunanza con il tutto. L’ istinto essenziale, unica molla che, natura e uomo concatenati, spinge a sopravvivere, a formare la continuità di esistenze. L’istinto è bisogno di comprendersi per l’interazione materiale per eternare la scintilla che ha fatto il mondo e le creature. L’istinto natio è purezza di cuore, è lineare ed unico. L’istinto è la forza del creato che si innalza dalla terra e si estende su di essa per avvincere tutto ciò che fermenta e vive. La vita, tutto ciò che si muove e si rinnova, volontà di esistere, antico e sempre nuovo messaggio di creazione. La terra si stratifica di rifiuti, tutto cade su di essa consumato dopo il compimento del ciclo; una continua massificazione di spoglie. Dal vecchio il nuovo; crisalidi al volo, rondini librate a gruppi festosi, teschi sbiancati a bocca aperta con sdegno solidificato per aver perso tutto. Pietre della creazione disseminate per le strade di campagna, una solitudine piena di ombre che vagano, persone svanite dopo il loro tempo vissuto. Il sole dalla nuvolaglia ancora appare una chiazza rossastra impigliata tra i rami nell’acacia per farmi risentire i vuoti dell’animo. Autunno, lungo la siepe svestita le spine dure del rovo, rami eretti di colore verde violaceo come serpentelli ti strappano il vestito; soltanto loro sono rimasti dopo la festa estiva della piante. Si sono bruciate tutte le voglie, spente le luminarie. Mi piace vedere il giorno morire, le sfumature si aggiungono, strati su strati diventa carico il cielo fino a precipitare, perdendo ogni chiarore. La sera ha tutto il suo velame sparso per terra, cammini senza rumore, è il silenzio che vuole un nascondimento per tutte le cose. Escono gli spiriti; un popolo di ombre che vagano. Nei giardini le statue aprono gli occhi nel buio, escono dall’involucro di pietra, il viale ne è pieno. Ci siamo appesantiti, sempre insoddisfatti anche quando i momenti di vita erano ben costruiti come fatti apposta. Tutta la vo-

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lontà usata giorno dopo giorno, sempre uno sdoppiamento fra lo stato psicologico e le realtà duramente esigenti. A puntellare di continuo le parti in crisi, per resistere e rispondere a quanto l’intimo imponeva coerentemente. Leonardo Selvaggi

Domenico Defelice: Case di paese↓


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Il Racconto IL LUNEDÌ DEL PESCE di Antonia Izzi Rufo piccolo il paese ed è, ora, anche spopolato. Un centinaio di persone, all'incirca, lo abitiamo ancora e siamo, in maggioranza, ultraottantenni, quasi tutti (strano!) autosufficienti. Non ci sono più scuole né negozi, neppure c'è la farmacia e l' ufficio postale è aperto (non sempre) una volta la settimana. Per tutto quanto ci occorre dobbiamo recarci nel paesino vicino, a tre chilometri di distanza (spesso vi andiamo a piedi). L'unica struttura che funziona, adesso, è il bar della piazza, davanti al quale si vede sempre qualcuno giocare a carte o oziare. Il lunedì, però, il locale resta chiuso per l'intero giorno e tutto cambia: la piazza appare deserta, non si vede anima viva, non arrivano né partono macchine se non, di mattina presto e di sera, e sono di coloro che vanno a lavorare fuori sede. E' un vero squallore, sembra di stare nel paese dei morti. Questa mattina (lunedì), appena alzata, ho aperto, come d'abitudine, la finestra per salutare il giorno, per rinnovare l'aria, ed ho visto Peppino, al centro della piazza, che si guardava intorno stupito, insoddisfatto, deluso. L'ho chiamato: <<Peppì, buongiorno! Perché quell'espressione triste? E' una bella giornata e ciò dovrebbe indurre all'ottimismo>>. <<Hai ragione>> ha risposto <<ma qui c'è da impazzire: questa solitudine, questo silenzio, quest'assenza di vita mi deprimono, mi rendono insofferente>>. Io di rimando: <<Ma c'è bisogno di stare in mezzo alla gente, alla confusione per essere allegri, sereni? Tu sei nato qui, non dovresti stupirti, o hai dimenticato le tue origini? Cerca di ricordare... Non siamo soli, anche se non si vedono esseri umani in giro; guardati intorno e osserva: la natura, meravigliosa, s'impone con tutto il suo incanto, ci fa compagnia, ci ristora con la sua pace e i suoi suoni melodiosi, la sua aria pura, i suoi colori, la sua armonia, la sua poesia. Abbiamo di fronte, ovunque volgiamo

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lo sguardo, uno scenario mozzafiato: un'ampia vallata, rigogliosa di verde, che si stende, come l'arena di un anfiteatro, fino ai piedi dei monti che ci circondano, quelli della Falconara a sud e del Matese, la catena delle Mainarde a ponente e a nord, i monti di Roccaraso a levante. Dalle alture scendono ruscelli che attraversano la valle, innaffiano gli orti e scorrono fino al fiume Volturno che, dopo lungo percorso, si riversa nel mar Tirreno. Sui fianchi dei monti si scorgono paesi e contrade (il nostro borgo è arroccato sul monte omonimomonte Castelnuovo- e sembra un presepe) e le strade che tra essi si snodano come nastri d'argento. E s'incontrano boschi di querce, di faggi, uliveti, frutteti, cespugli intrigati e tante ginestre che, da maggio ad agosto, trasformano l'ambiente in un paradiso. E non solo le ginestre, abbondano i fiori delle acacie, dei tigli, i fiori campestri, le erbe aromatiche (timo, menta, rosmarino, maggiorana) e tutti, nell'alternarsi delle stagioni, riempiono l'aria dei loro effluvi soavi. Non i rumori delle macchine avvertiamo, ma la musica dei rivi, il canto degli uccelli, lo stormire dei vento i quali, in coro, rappresentano l'orchestra della natura. La nostra è una natura ancora vergine, non ci sono fabbriche né altri mezzi che inquinano l'aria. Ti ho "rinfrescato" la memoria. "E' proprio vero che siamo soli, che ci sentiamo impazzire, come tu affermi?">> ribadisco. Peppino è mortificato, ma è tornato in sé <<Avevo rimosso il tutto. Ora tu me lo hai fatto riscoprire, riportare alla luce, ti ringrazio. Sono venuto da Torino proprio per godere di questa pace, per disintossicarmi dei rumori e dello smog della città. Scusami se mi sono lamentato ingiustamente, senza riflettere, non ero più abituato alle cose belle e genuine>>. Decidiamo per una passeggiata fino al lago di Castel San Vincenzo. Durante il percorso Peppino non ha fatto che parlare, che ricordare la sua infanzia: <<...Con i miei coetanei mi recavo, durante l'estate, a fare il bagno nel "Gorgo dell'inferno", nel ruscello che scorre presso la chiesetta di santa Lucia... Ci spingevamo fino ai fianchi del "Monte" per raccogliere mazzetti di origano che anda-


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vamo a vendere - all'insaputa dei nostri genitori - nel paese vicino... Ci arrampicavamo sui ciliegi per fare scorpacciate di ciliegie che inghiottivamo con tutti i noccioli - e non ci facevano male- ...In prossimità del Natale andavamo a raccogliere vischio, pungitopo, agrifoglio, muschio per ornare il presepe e l' albero di Natale... Ci piaceva la musica, e siccome non avevamo strumenti, con fischietti, casseruole, un vecchio mandolino, una fisarmonichetta scordata formavamo una piccola banda e percorrevamo la strada e i vicoli attirando l'attenzione degli abitanti e divertendoli... Non c'era il campo sportivo allora e andavamo a giocare a pallone (anche con i nostri papà) su uno spiazzo, tra querce e pietre, alla "cappelluccia di S. Antonio", ai piedi di monte Castelnuovo... E poi, dopo anni, un nostro concittadino fece costruire un vero e proprio campo sportivo, a sue spese, all'entrata del paese. Io ero già un giovanotto, ma vi ho giocato tante partite...>>. Siamo di ritorno dalla lunga passeggiata. Eccoci di nuovo in piazza, non proprio deserta in questo momento: due cani dormono saporitamente al centro dello spazio e alcuni gatti si rincorrono per gioco. Ci salutiamo soddisfatti e ognuno si dirige a casa propria. Antonia Izzi Rufo

IL FIGLIO DELLA MONDANA di Antonio Visconte

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ASQUALINO chiedeva con insistenza alla madre chi era suo padre e la povera donna ogni volta gli indicava un personaggio diverso. “Conosci mastro Pietro il falegname?” “Sì, lo conosco”, rispondeva il ragazzo. “Ebbene, quello è tuo padre”, affermava la madre. Pasqualino si precipitava nella sua bottega e gli riferiva ciò che la madre gli aveva confidato. “Dì a quella battona di Ninetta”, aggiun-

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geva mastro Pietro, “che se non la smette di venirmi a molestare, prendo questa sega e ti taglio il musetto”. Un altro giorno Pasqualino domandava notizie intorno al suo papà e la misera donna gli faceva il nome del mastro Raffaele il sarto. Pasqualino contento correva da lui e mastro Raffaele gli gridava: “Vuole scherzare con il fuoco quella troiaccia di Ninetta, ma se non te ne vai, prendo queste forbici e ti spezzo il pisellino”. Più mortificato che mai l’orfanello ripeteva la minaccia del sarto e continuava a sperare in una paternità. “Vedi cosa ti dice Peppino il portiere”. Pasqualino lo incontrava nella guardiola e Peppino mormorava sottovoce che lui usava sempre il profilattico. Dopo inutili peripezie andate a vuoto, il ragazzino aveva perso ogni possibilità di rintracciare un genitore, ma un bel giorno si accodò ad un gruppo di coetanei, che andavano in chiesa per servire la Messa e poi giocare a pallone nel cortile dell’oratorio. Il parroco chiese notizie di quell’ultimo arrivato e gli commentarono la grave storia. Don Addelio si commosse e chiamò in disparte il ragazzo, mostrandogli un affetto molto particolare. “Caro Pasqualino”, gli disse, “mi hanno descritto la tua condizione ed io sono disposto ad aiutarti, ma non ne fare una tragedia. Anche Gesù dovette accontentarsi di un padre putativo. A volte i genitori adottivi risultano migliori dei genitori naturali ed io sarò il tuo padre putativo”. “Ma perché proprio a me doveva capitare una sorte simile?” “Capita a tutti, ragazzo caro”, ribatté don Addelio, “perché la natura così ha disposto. La madre è certa e il padre si presume!” “Però mia madre potrebbe conoscere chi la mise incinta”. “Non rivolgere a me tali domande, ché non ti posso rispondere”, rintuzzò don Addelio, “io sono un prete e tu sei un minorenne. Tuttavia ho sempre ritenuto che la verità


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è superiore alla menzogna, che lascia spazio alle indiscrezioni. E allora sai cosa ti dico: tua madre faceva l’amore con molti uomini e va a distinguerlo quell’embrione che la fece germogliare”. “Ho inteso” disse Pasqualino. “Ora devi sapere”, continuò don Addelio, “che gli dei sorgono per volontà divina e perciò sono immortali, ma tutto ciò che deriva da un seme, diventa effimero e caduco. La Madonna concepì per un eccesso di spiritualità e tua madre partorì per un eccesso di mondanità, ma in entrambi i casi la figura del padre risulta declassata”, concluse il curato. “Ho capito”, replicò Pasqualino. I figli delle prostitute suscitano profonda compassione nella pubblica opinione. Le loro mamme o per vizio o per miseria sono costrette a battere i marciapiedi e i bambini innocenti ne subiscono le conseguenze. Il buon sacerdote si fece interprete dei comuni sentimenti della gente e mantenne quanto aveva promesso. Mandò il ragazzo a studiare nell’istituto dei padri Scolopi, gli pagò la retta e appena Pasqualino conseguì il diploma di ragioniere, provvide ad impiegarlo in un ufficio della regione Campania. Il giovane ormai incominciò a mostrare i segni dell’agiatezza. Viaggiava sopra una macchina di lusso, comprò l’appartamento, dove nel frattempo la sua indimenticabile mamma era scomparsa e vestiva secondo la moda. Ogni tanto qualcuno bussava alla porta, dichiarando di essere suo padre. Venne mastro Pietro il falegname, corse mastro Raffaele il sarto, si precipitò Peppino il portiere e tutti a chiedere scusa e a rammaricarsi per aver rifiutato un figlio d’oro. Pasquale il ragioniere, che adesso chiamavano dottore, li accompagnava sull’uscio, ripetendo il proverbio del Manzoni: volete aver molti in aiuto? cercate di non averne bisogno. Alla fine, dietro il consiglio della fidanzata, non aprì più a nessuno, si sposò, ebbe dei figli, e rammentando le umiliazioni patite nella sua triste fanciullezza, volle diventare un padre esemplare a tutti gli effetti. Antonio Visconte

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COMPLEANNO Se potessi fermare il tempo, come in una foto ricordo! Se potessi conservare integri, per sempre, la mente e l'amore per la vita e le cose belle in essa insite! Se potessi godere, per l'eternità, della visione divina di questo mare meraviglioso, ripetere, senza interruzione, le mie passeggiate, solitarie ma salutari, lungo questo strato di conchiglie perlacee, vive, sotto questo sole un po' stanco ma ognor caldo! Se potessi procedere, all'infinito, col mio fantasma ideale che m'ispira e mi sconvolge e rende magici i miei giorni! Se potessi congelare l'estasi, l'ottimismo e la felicità di questi attimi fantastici ma fugaci dell'esistenza! Se potessi realizzare... i miei sogni impossibili! Antonia Izzi Rufo Castelnuovo (IS)

LE FOGLIE SARANNO PAROLE Quando pioverà le foglie saranno parole. Soltanto l’acqua le udrà morire. Gianni Rescigno Da Sulla bocca del vento - Il Convivio, 2013.

Ogni terra aveva la sua voce non solo una voce di alberi e di rii di pecore e di uccelli la voce degli umani anche il cui accento le cui intonazioni la cui lingua variava da una contrada all’altra E questa molteplicità era il viso stesso del nostro paese Béatrice Gaudy Parigi, Francia


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I POETI E LA NATURA – 82 di Luigi De Rosa

Disegno (1960) di Domenico Defelice

IL MARE “SEMPLICE” DI NICO ORENGO (1944-2009)

I

n questa carrellata mensile, iniziata nel novembre 2011, ci siamo imbattuti in poeti di ogni parte del mondo, di ogni epoca, famosissimi o meno noti. Alcuni anche “cattedratici”, come Giosuè Carducci... Ma non sarebbe male intrattenerci un poco anche con un poeta più... a portata di mano, come Nicola (Nico) Orengo, nato a Torino nel 1944 e morto a Torino nel 2009, all'ospedale Le Molinette, per problemi cardiaci. E' stato prevalentemente un prosatore, è vero, ma non mancano le opere che lo fanno appartenere senza ombra di dubbio anche al mondo della poesia (per non parlare di quello del giornalismo). E' noto anche come au-

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tore di filastrocche dichiaratamente per bambini, conte, ninnenanne, idilli, motivi per canzoni popolari. Quasi tutti i suoi scritti sono usciti per i tipi della Casa Editrice Einaudi, presso la quale ha lavorato dal 1964 al 1977, e per circa vent'anni è stato direttore dell'inserto settimanale del quotidiano La Stampa intitolato Tuttolibri, una rassegna qualificata e aggiornata dei libri più o meno freschi di stampa e comunque sempre interessanti. L'origine della famiglia Orengo affonda nella storia del patriziato di Genova. Egli stesso aveva il titolo di marchese, ma non lo ha mai ostentato. Come molti torinesi aveva una predilezione per la Liguria, specialmente per la Riviera di Ponente, in particolare per Imperia. Vi soggiornava alcuni mesi all'anno, e vi aveva dedicato anche due romanzi, La curva del latte e La guerra del basilico. Aveva anche attaccato la speculazione edilizia per il deturpamento, a scopo di profitto esagerato, di paesaggi bellissimi in Liguria (vedi Gli spiccioli di Montale). Altri luoghi da lui prediletti erano le Langhe (vedi Di viole e liquirizia). La sua predilezione per la spiaggia ed il mare d'estate gli ha ispirato libri e poesie. Rileggiamo con gli amici lettori una sua


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poesia: “Dove comincia il mare E' lì che ci sono alghe da scoprire, canali da scavare, conchiglie da ascoltare. Con la sabbia costruiamo un castello, poi la sabbia si scioglie e il castello scompare. Dalle rocce guardiamo le onde: non sono mai uguali, davanti al mare anche il tempo scompare. Con tutto quel blu un pensiero che sia brutto non c'è più.” Sembra quasi un discorso riduttivo e fin troppo semplice, per bambini e adolescenti. Ammesso che i bambini e gli adolescenti (?) di questa nostra società si lascino ancora attrarre dalla alghe, e dalle conchiglie da avvicinare all'orecchio, dai canali da scavare nella sabbia più o meno bagnata, dal gioco delle onde, dallo strapotere del colore blu. Ma contemporaneamente viene proposta, anche se in forma semplicissima e quasi per gioco, la tradizionale, antica (quasi inevitabile) istanza metafisica, interpretativa, in una parola: poetica! Perché non può che essere poesia quella rievocazione di musiche misteriose e lontane; quel “castello” esemplare, simbolo della precarietà ed instabilità; quelle onde tutte diverse e dalla vita di un attimo, inconsistente; quella sostanziale immobilità nella irrequietezza permanente; quell' effetto di rasserenamento del cuore e del pensiero sotto l'effetto magico del colore e della bellezza... Si può parlare del mare (e della Natura in generale) in tanti modi, a diverse temperature stilistiche, lessicali e creative. Il rapporto è binario (poeta... Natura...). E le variabili sono infinite. Luigi De Rosa

Recensioni SIHAM SFAR BATTITI D’ALI Edizioni Eva di Venafro (IS), Anno 2017, € 8,00, pagg. 53. Un incontro prima a livello umano e conseguentemente di due culture differenti, per un risultato letterario leggero e rapido come quello di un battito d’ali. Il direttore della collana di poesie la stanza del poeta dell’Edizioni Eva, che ha curato la stampa di questo volumetto, Giuseppe Napolitano, nell’ ambito di un convegno internazionale di “poesia breve” di un paio d’anni fa, ha avuto modo di incontrare la poetessa tunisina Siham Sfar, insegnante di lingua francese al Liceo nel suo territorio, persona abbastanza riservata che ha iniziato a comporre ad un’età più che matura. In effetti le sue poesie – perlopiù due in una stessa pagina a sinistra del testo, mentre a destra c’è la traduzione in francese curata dallo stesso direttore Napolitano – appaiono sfuggenti, agli occhi di chi magari vorrebbe penetrare di più nel mondo misterioso dell’autrice, che respira l’aria di un’altra realtà. Lei sembra sia stata educata all’essenzialità, alla trasparenza, alla sensatezza, con la pazienza che non vuol dire rassegnazione; soprattutto lei che nella sua cultura, che sa di orientale, non dimostra di aver combattuto chissà come per arrivare a mostrare il suo talento. È una donna consapevole di saper versificare con la stessa fugacità con cui i volatili fuggono da un ramo per librarsi nel cielo aperto, senza tentennamenti, senza pause troppo lunghe. « Coccolando la faccia celeste/ le dita ramose di un albero/ strappano brandelli lattiginosi/ abbrac-


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ciano la piuma di un uccellino/ e fissano il cammino disteso/ che dorme. » (A pag. 41). Diciamo che lei, Siham Sfar, si è guardata molto attorno immagazzinando molte sensazioni, anche turbamenti, stupori, e poi il suo senso (chiamiamolo) pratico ha stabilito il da farsi per esternare tutto in maniera sintetica e decisa. Non ama ripetere e ripetersi, bensì va oltre l’oggettività per illuminare atmosfere che albergano nelle profondità dell’ anima. « Dalla vetta dell’euforia/ una pietra di tristezza/ si stacca./ Urta una terra fertile/ di speranza –/ poco a poco affonda/ nella mano di un dolce benessere./ È la mia libertà. » (A pag. 17). Non bisogna chiederle di più. Ogni suo verso è stato concepito per rivelare l’indispensabile e tutto il suo sistema lirico non rivela più del comprensibile, così l’autrice si assicura la conservazione del seme misterioso che ha fatto germogliare il prodigio letterario. « Nella mia testa/ di notte/ è tutto un formicolare di idee./ Si nutrono di briciole/ di immagini/ del giorno passato./ La cicala del sonno sarcastica:/ pensare è un po’ morire. » (A pag. 33). In quarta di copertina c’è il suo succinto curriculum, in cui ha accennato al terzo libro in preparazione, mentre i primi due di poesie sono stati Luce del sole e questo di Battiti d’ali. Forse nel suo ingegno di poetessa ‘breve’ sussiste il fatto che nell’immediatezza e nella laconicità si mantengono ‘calde’ le vibrazioni del poeta, le quali, viceversa, andrebbero a perdersi se il testo poetico risultasse oblungo. Comunque sia, lo stile di Siham Sfar attrae moltissimo anche se dovesse trattarsi di una semplice Illusione. « Io abito il cielo./ Fisso il mio volto da un abbaino./ Vedo la terra –/ mi manca. Guardandomi/ gli occhi spalancati/ lei si crede eterna. » (A pag. 29). Isabella Michela Affinito

PIETRO NIGRO I PRELUDI (dagli “Scritti giovanili”) - Volume II (PensieriRacconti-Poesie), Cenacolo Accademico Europeo “Poeti nella Società” di Napoli, Anno 2005, pagg. 57, e. f. c.. È incredibile venire a sapere che un ragazzo di appena sedici anni, nel 1955, ha scritto e conservato diligentemente dei lunghi pensieri filosofici, e non solo, attorno all’Essere. A quell’età certo iniziano le perplessità, le domande interiori ed esistenziali, le prime acerbe angosce per qualcosa che non si può ottenere subito, il guardarsi attorno e davanti a sé

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per constatare la quasi impossibilità nel poter cambiare qualcosa a proprio piacimento. Eppure, guardando attentamente il giovane nella foto d’epoca in bianco-nero che appare sulla copertina di questo volumetto, traspare una maturità anzitempo impressa soprattutto nello sguardo penetrante, tipico di chi va oltre la superficie delle cose, di chi vuole capire di più su tutto. Lui, è Pietro Nigro, docente d’inglese nei Licei, poeta con alle spalle numerose raccolte pubblicate, saggi e presente in altrettante Antologie e volumi della Letteratura italiana contemporanea. Ha imparato da solo a suonare il pianoforte e in lui « […] è innata la passione per l’arte in genere, ma in special modo per la musica e la drammatica, di cui mi professo umile, ma esigente seguace. […] Parecchi sono gli interpreti di questa nobile arte: ma i più, per l’ardente desiderio di emergere sugli altri, distruggono il motto “arte per arte” e le loro stesse capacità che un fine più disinteressato avrebbe migliorato. » (Alle pagg. 11-12). Comprendere e apprezzare Pietro Nigro è un po’ come ripassare il Leopardi, nel senso che si assomigliano per il loro modo di guardare la natura, le persone, il bene e il male, il fluire del tempo e il filosofare su di essi. Man mano che passavano gli anni, quindi dal 1955 al 1959, i pensieri filosofici di Nigro sono diventati degli sfoghi liberatori, confessioni di un animo che non accettava egoismi, inganni, sopraffazioni, desideroso di nutrirsi di vera Armonia sotto tutti i punti di vista. Si è persino immedesimato nel celebre compositore tedesco sfortunato, per via della sordità prematura, Ludwig van Beethoven (17701827), che morì ad appena cinquantasette anni in preda oramai alla sua acuta misantropia (la sordità lo aveva reso estraneo verso tutti). « […] Si deve riflettere quando si esprime un giudizio. Grazie alla sua forza di volontà riuscì a vincere il destino che l’aveva eletto emblema del dolore e a creare quel capolavoro che è l’Inno alla Gioia. La sua vita ha dimostrato che anche dal dolore può germinare la Gioia. Già nel lontano 1815 aveva scritto: “Durch Leiden Freude” “Attraverso il dolore la gioia”. » (A pag. 10). Animo, dunque, sempre in esondazione – quello di Nigro – per i tanti perché che si è sempre posto e al contempo desideroso di pace. Anche il poeta e filosofo Giacomo Leopardi (1798-1837) amò osservare il mondo, gli uomini, gli animali, dalla finestra della sua anima e dalla finestra della sua stanza, per raccontarli poeticamente e allo stesso tempo rispondendo in versi ai tanti suoi quesiti interiori. « […] Il pensiero del poeta sogna e rappresenta con il linguaggio sensitivo ciò che il pensiero del filoso-


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fo immagina concettualmente. Ma i due sono tanto stretti parenti, che Giacomo è l’uno e l’altro, filosofo e poeta. Quando egli parlava del nodo antico intrecciato tra poesia e filosofia, parlava di sé, come colui che aveva indagato e immaginato le potenze originarie della materia o natura: la materia che pensa, la natura che soffre (pur provando qualche piacere)… » (Dall’Introduzione di Alfredo Giuliani al volume Giacomo Leopardi della Collana Cento Libri per Mille Anni, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato di Roma, Anno 1995, a pag. XV). Il tempo per Leopardi costituiva l’origine della sua malinconia, poiché lo avvertiva come incessante frantumatore e leggendo, nel volume esaminato, i tre racconti di Nigro si nota nel primo la conservazione di un fatto accaduto, ovvero di un amore interrotto tragicamente e messo per iscritto in un album finito poi dentro una cassapanca di una casupola nascosta dalla vegetazione e ritrovato, l’album, per caso da un caporedattore che stava trascorrendo un periodo di riposo nei pressi. Del diario ne fece un libro che pubblicò poco più tardi. Nel secondo racconto il tempo è quello da trascorrere su un treno diretto a Parigi da parte di due giovani amici universitari, che per ragioni di studio, per impratichirsi con la lingua francese, stavano diretti in quella Capitale. Nel terzo ed ultimo racconto c’è la vicenda del ragazzino Toni, il quale non poteva andare a scuola per motivi economici e il padre gli insegnò a leggere. L’elemento tempo servirà a Toni per revisionare ancora una volta il libro di Pinocchio e crescere, per poi andare a cercare un lavoro in città dopo la morte del padre. « […] Tutto ciò che cade sotto i nostri sensi ha una vita più o meno lunga, è soggetto cioè alla distruzione, ma non al totale annullamento. […] Tutto ciò che esiste, a noi noto o ignoto, è sempre esistito ed esisterà per sempre. Non esisterà quell’ essere nell’attuale aspetto, ma mutando continuerà ad esistere e non si annullerà. » (A pag. 12). Isabella Michela Affinito

FRANCA ALAIMO ELOGI Giuliano Ladolfi Ed., Borgomanero, NO, € 10,00 Una poesia della ricerca del tempo perduto può definirsi quella che Franca Alaimo ha raccolta nel suo nuovo libro, Elogi, che sono poi gli elogi del Niente, del Tutto, del Tempo e dell’Amore. Ecco allora il volo dei ricordi che affiorano nitidi alla mente dell’autrice, come quello della madre, morta giovanissima: “Quando lei è andata via / la vita mi aveva appena / illuminato il viso” (Sola, a

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quattro anni) o come quello del padre che, per farla star buona, faceva balenare alla sua mente infantile l’immagine del “lupo” o quella dell’“uomo nero”. Dominante è in questa prima sezione il sentimento del Nulla, che violentemente s’affaccia in poesie quali La dimensione del vuoto (dedicata a Bruno Galluccio), che così termina: “… la leggerissima felicità del niente: / carta velina che palpita nel vento” o Stampa cinese, che ha questo exit: “Sull’ immenso foglio di neve / piccoli passeri affamati / scrivono la lingua crocifissa / del Nulla”. La seconda sezione del libro, Elogio del Tutto, è ricca di felici esiti, che si notano, ad esempio, in poesie quali Il peso dei nomi (“Io dico, sapendomi minuscola /… / tu, vita, sei tutto e io ho fame di nominarti”); Infanzia (“Come silente e immota si mostra / la remota vertigine degli astri”); Al mattino, di nuovo (“Sono tornata come una barca / carica di pesca d’argento”); Con altri occhi (“E a tutti vorrei dire: io vi amo”); ecc. Ma ecco l’elemento memoriale che si riaffaccia con prepotenza in poesie come La promessa, dove leggiamo: “Quando ero bimba / devotamente supplicavo il tempo: / non essere crudele, / e tu non distrarti, madre, / non vacillare sui margini / … / Ma il tempo è una pietra, una spada, / che sguscia dalle mani e recide”. Ci sono poi in questo libro le felici aperture al canto, che valgono a fermare preziosi momenti di vita, come quella di Il mondo colorato: “Ora che so sempre più breve / il tempo che mi resta / ogni cosa che vedo / mi sembra più bella di un miracolo”; così come ci sono i momenti di pensoso ripiegamento interiore, quali quello che leggiamo nella chiusa di Metamorfosi dei morti: “Il bello della morte è essere vissuti. / E noi non siamo più remoti / di quelle stelle che rilucono ancora / dopo essersi disintegrate / in chissà quale remotissima era”. Il compenso, per Franca Alaimo, sta nei Doni che pure riceviamo dalla vita e che a volte ci vengono elargiti senza un perché, come ella felicemente dice nella poesia che reca questo titolo: “C’è sempre qualcosa d’aperto: / una porta, un cuore, / un campo di papaveri. / … / Non è così triste questo giorno / ora che senza rumore entra / dalla finestra un raggio di sole”. La seconda sezione della silloge, Elogio del Tutto, si chiude con una poesia che ha per titolo Benedetto sia il Tempo e in qualche modo ci introduce alla terza sezione, intitolata appunto Elogio del Tempo. La poesia inizia con un verso che suona: “Benedetto sia il tempo, padre – amico – amante” e seguita con altri versi esprimenti gratitudine verso il Tempo (e quindi verso la vita), quali: “Benedetto il tempo che mi ha cresciuta, / imboccandomi con


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cucchiaiate di dolore / … / che mi ha cullata e avvolta / nelle bende della consolazione”, in un alternarsi di momenti lieti e tristi di cui è di continuo intessuta l’umana esistenza. Una delle poesie più significative di questa terza sezione della raccolta è Lo scarso Tempo: “Era la luce così chiara e troppa / da fare male agli occhi / quell’ultima estate lungo il muretto / dove appoggiavi, stanca, la mano”; una poesia nella quale si riaffaccia l’elemento memoriale, che tanta importanza ha in questa silloge. E si leggano anche poesie quali Brefotrofio, Padre e figlia, Orientamento, La foto virata a seppia, Morte di un bambino, Risveglio dal coma, ecc. Ma tutta questa terza sezione è ricca di poesie intense e felicemente risolte, come Padre e madre adottivi, che così si conclude: “Tu, Madre senza maternità, / io figlia della rabbia e della solitudine. / Noi due: un’ombra sola / infinita” o Niente etichette, per favore, che così inizia: “Non so più dove posare il capo / e non ho pensieri, sogni, ricordi / che non si porti il vento / delle parole che mi attraversano la mente / come flussi e riflussi di maree”. È questo un libro che sa di vita vissuta, della quale raccoglie gli eventi e le stagioni, i rovelli e le speranze, le esperienze dolorose e le poche gioie con disinvolta bravura, senza inibizioni, ma con sincerità e con un assiduo scandaglio interiore. E veramente notevole è la penetrazione psicologica che s’incontra in poesie quali Amori a confronto, La sposa, Troppo giovane, Le trombe degli angeli. Leggiamo dalla seconda: “Ora sono qui e poggio i miei gomiti / su una scrivania di un metro per settanta / e sto scrivendo con la febbre addosso. / Scrivo solamente per salvarmi, / mentre la notte si alza come un’onda / fino ai bordi e ai dormienti dice: / Affondate nel buio come i morti, / che ricordano tutto alla rinfusa!”. Elogi dell’amore è la quarta sezione di questo libro, ma in essa si parla in realtà della fine di un amore, che l’autrice canta con discrezione e con finezza di tocco in poesie nelle quali l’analisi della vicenda è compiuta con sincerità e con estrema acutezza d’introspezione psicologica. Parole mancate per orgoglio, nostalgie e rimpianti: tutto vale a comporre la trama di un canzoniere breve ma intenso, che trova in una poesia, Dopo tanto silenzio, il suo culmine: “Tra poco sarà inverno: / già splendono come fiammelle / i frutti del mandarino. / … / Ascolta Mozart, concerto numero 23, / ovvero le parole non dette”. Qui tutte le fila dell’avventura si ricongiungono, ma non sanno trovare il loro compimento. Qualcosa ha spezzato l’incanto. Resta l’amaro del ricordo e in fondo all’anima, la gelida tristezza dell’addio.

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“È il mio mestiere quello di traghettare / parole” dice Franca Alaimo in una delle poesie di questo libro, Destino. Ed è certo che le parole da lei traghettare in Elogi, per la loro autenticità e la loro efficacia, sono destinate a durare. Elio Andriuoli

GIANNI IANUALE NELLA VOLTA DELL’ANIMA Stampato in aprile 2018, Pagg. 224 Nella Volta dell’Anima è rassegna di autori ordinati alfabeticamente, realizzata da Gianni Ianuale, scrittore e promotore culturale napoletano di lunga esperienza, le cui opere sono tutte di ottima fattura. Il libro ha l’elaborazione artistica di Emilia Altobelli, in copertina sono rappresentate le foto di Tina Piccolo, Silvio Giudice Crisafi, Francesco Terrone e Livia De Maria (fra i 21 partecipanti); all’interno opere pittoriche di Eli Sammartino e in quarta copertina opera di Susanna Giannoni. Il sottotitolo, all’interno, recita: Spirito e Creatività del Ventesimo Secolo. I singoli autori sono rappresentati con loro fotografie e sono presenti in pagine di numero variabile: con breve profilo critico e loro scritti. Varie pagine contengono in fondo un aforisma nell’ idioma napoletano. Biagio Di Meglio nelle bandelle afferma che dalla esperienza quotidiana dei poeti e degli artisti nasce la funzione educatrice di questa rassegna evidenziando il rafforzamento dei sentimenti verso la natura e le riflessioni teologiche. Gli ‘eletti’, come li definisce Ianuale nella premessa, sono gli attori del palcoscenico della vita che indossano maschere alla maniera dei miti greci, nella sacralità dei valori essenziali. Mentre Susanna Pelizza, nella prefazione, affermando che gli scritti rappresentano percorsi e testimonianze, rileva come i linguaggi poetici oggi si assottiglino fino a sembrare, a volte, ‘enigmi da decifrare’. Inoltre abbiamo alcune note critiche all’ interno, come quelle di Carmine Iossa, Gianni Rescigno e il vescovo Salvatore Giovanni Rinaldi. E perché le parole non siano solo flatus, cercherò di fare la conoscenza dei nuovi amici e rivederne dei vecchi, così da rilevarne elementi utili: un minimo per non appesantire questa esposizione e nel contempo per rendere omaggio agli autori stessi. Isabella Michela Affinito, di Fiuggi (Frosinone), che ho il piacere di apprezzare da tempo, è un’ affermata e raffinata poetessa, esperta delle arti, saggista e scrittrice ha maturato una poetica dello spirito, per mia conoscenza personale, indico i due suoi poli: Emile Dickinson e Vincent Van Gogh. Antonio Arpaia, sacerdote presso la Basilica di Pompei,


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per la sua fede riesce a trovare nel silenzio la “Luce della Provvidenza”. Maria Bartolomeo, messinese abitante a Nettuno (Roma), che ho il piacere di conoscere, ha una spiritualità che diffonde nella natura e nelle piccole cose quotidiane proprio delle anime genuine ed elevate. Rita Bongiorno, di Castellana Sicula (Palermo), “proiettata verso la natura dei sentimenti” invita a proporsi per il bene del prossimo. Mario Casotti, è tutto volto ai frammenti di vita cittadina nei vicoli e nelle piazze della Napoli antica, regalandoci profumi delle eccellenze gastronomiche. Livia De Maria, romana, si indirizza alla socialità e alle attività filantropiche. Enrico de’ Martino, napoletano, fonde esperienza quotidiana e poesia, persona e società, “valori di un’esistenza legata alla fede”. Silvio Giudice Crisafi, palermitano, impegnato su più fronti culturali, sollecita a spaziare nel pensiero, volto alle virtù dell’anima e dell’intelletto. Guida Clara Iorlano, napoletana, impregna i suoi scritti dell’amore profondo e del senso di umanità, riuscendo a sciogliere il dolore per le perdite che l’ hanno colpita. Gianni Lembo, di Bagheria (Palermo), ama la natura, ravviva il passato e riprende lo sprint della giovinezza. Ausilia Loffredo, napoletana, usa i linguaggio della natura, della fede e della filantropia. Barbara Lo Fermo, palermitana, scrive una poesia che si libra tra la natura e le “sfaccettature” della vita. Liliana Mamo Ranzino, di Cefalù (Palermo), impregna la poesia del pathos per la perdita prematura dei figli e del marito, rifugiandosi nella preghiera. Anita Marchetto, di Chiomonte (Torino), ama i suoi luoghi toccando temi metafisici con ricchezza espressiva. Livio Chirgi, di Castelvetere sul Calore (Avellino), è un giovane vegliardo che ho avuto il piacere di conoscere nel 2016 a Mercato S. Severino (Salerno) in occasione del Premio Nazionale Paestum, molto devoto alla Madonna, al quale l’ amico poeta Mario Senatore ha dedicato Fermenti di vita e poesia che ho avuto il piacere di recensire. Assunta Ostinato, residente a Capua (Caserta), indirizza la sua vita alla Madre Santissima. Tina Piccolo, fondatrice del “Salotto Letterario” con sede a Pomigliano d’Arco (Napoli), pluripremiata, nota nel panorama internazionale; non vorrei ricordare male, ma mi pare d’averla incontrata un paio di volte, in vesti di attrice intorno al 1975 a Roma (quando non mi occupavo di libri) e nel primo decennio del Duemila a Pomigliano d’Arco (salvo omonimia). Paola Sabatino Mora Medea, di San Rufo (Salerno), appassionata del teatro di Scarpetta, De Filippo, Totò, ecc., aperta alla cultura, spazia per ogni dove. Irene Saggese, credo sia napoletana, nella sua intervista immaginaria a Edoardo De Fi-

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lippo fa dire al Maestro, all'incirca, che la vita è un palcoscenico e gli attori sotto la maschera dicono la verità. Eli Sammartino, forse napoletana, è presente con opere pittoriche su paesaggi caratterizzati da alberi aggrovigliati. Infine Francesco Terrone, di Mercato San Severino (Salerno), l’ingegnere poeta, che ho conosciuto di persona nel 2016, dopo averne letto alcune opere; è poeta che diffonde il suo credo religioso e il vangelo adattandoli ai nostri tempi. Nella Volta dell’Anima, di Gianni Ianuale, è antologia e rassegna insieme che ha il merito di riunire tante voci e che una volta diffuse fra i lettori, danno l’esempio di un metro di misura e di riconoscersi od anche semplicemente di rivedere amici, come ha fatto lo scrivente, entrando così in un cenacolo virtuale. Le vite si intrecciano come si può osservare. In quanto alla appartenenza geografica dei partecipanti, prevalgono i partenopei, a distanza ci sono siciliani, poi due laziali e un piemontese (salvo errore). Sembra che tutti i nostri autori siano legati alla natura, alla fede e al prossimo; ma ciò che li accomuna è una profonda passione che li muove. Tito Cauchi

FRANCESCO SALVADOR UNA FRAGILE ETERNITÀ Casa Editrice Menna, Avellino 2018, Pagg. 64, € 10,00 Francesco Salvador è nato a Vittorio Veneto nel 1957, vive a Padova, insegnante in scuola primaria, ha all’attivo numerose pubblicazioni. Una fragile eternità è la raccolta più recente, con copertina di Vittorio N. Martin, ‘Casa con Torre’. L’incipit annuncia una sua amarezza: “Più non posso guardare/ la dalia che doveva sbocciare”; ma poi volge lo sguardo anche al mare, simbolo di infinito, di solitudine, evasione. L’Autore all’avanzare delle ombre, si raccoglie nella interiorità portandosi alla riflessione e alla nostalgia; egli non sta a crogiolarsi, ha un atteggiamento oggettivo. La sua è poesia intima ma non intimista; poesia dalle molteplici sfaccettature che si pone in modo conversevole, con animo meditativo che osserva gli eventi del mondo, esprimendosi con toni sommessi. Dice di fantasticare e di essere aperto all’amicizia e qualche volta di farsi prendere dalla malinconia. La sua è una voce sussurrata, che sembra seguire le scansioni stagionali e le fasi del giorno, perciò troviamo a ogni passo la metafora. Commenta, riguardo alla natura, che essa: “non può essere/ benevola o matrigna/ perché ignora del tutto/ la nostra esistenza.” (pag. 20). Francesco Salvador sa essere ironico, per esem-


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pio, dice che grazie ai suoi digiuni di tanti anni prima si è mantenuto in salute; e sa essere scanzonato nei riguardi di un amore dall’esito incerto poiché, alle sue istanze, lei gli risponde mostrandogli “il dito medio”. E, ancora, diventa fustigatore dei politici venditori di chiacchiere; tenero nei riguardi del padre, evocato, che lo disapprovava di “diventare un semplice maestro.”; ed anche degli amici scomparsi. Osserva stralci di vita quotidiana, per esempio in un vecchio che fatica a trascinarsi; le contraddizioni della vita, le iniquità esistenti. Dice di avere la vita segnata da cicatrici, di essere cresciuto nella palestra del sacrificio. Commenta che occorre porsi una meta per dare senso alla vita e di consolarsi: “Ho la fortuna/ di saper guardare/ oltre vetri appannati/ e vedere immagini più nitide.” (pag. 27). Ha piena consapevolezza di sé, tanto che spassionatamente confessa di sentirsi solo, come un gatto o come un cane, ma aggiunge: “Ho creato un mondo/ nella mente/ dove trovo rifugio” (pag. 37) e la Poesia gliene offre occasione. Sente, ma sembra estraniarsi. Tito Cauchi

ANTONIA IZZI RUFO GIORNO DOPO GIORNO e Donne Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT) 2018, Pagg. 96, € 12,00 Antonia Izzi Rufo è nata a Scapoli (Isernia), già insegnante, ha all’attivo oltre sessanta pubblicazioni guadagnandosi la stima dei critici con giudizi superlativi. Giorno dopo giorno e Donne è raccolta poetica dal titolo trasparente. Interessante è la prefazione di Giuseppe Manitta che spiega: «La poetessa si immerge nelle manifestazioni dell’io che si relaziona di continuo con il mondo… possiede in sé una profonda dialettica esistenziale che affonda nel dolore e nella solitudine» attribuendo il suo stato d’animo alla sofferenza per gli affetti venuti a mancare. E l’Autrice, nella sua premessa, aggiunge di trarre ispirazione dalla natura e di rifugiarsi nel ricordo del tempo andato e, aggiungo, delle persone presenti come, per esempio, in Yuki e Piera, il figlio e la sua sposa indicati nella dedica. Meraviglia come l’Autrice riesca a stare, pressoché, sullo stesso tono e sugli stessi contenuti, con spirito rinnovato. Si rivela innamorata della Poesia, varie volte denominata, invocata; ma dalla quale si sente pure abbandonata. Usa un linguaggio ben costruito, mostra buon gusto, classicità espressiva, forse anche virtuosismi letterari. Innamorata dello spettacolo celeste, dei colori cangianti, dei suoni armoniosi, in essi vede l’opera Divina; cita i ‘so-

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vrumani silenzi’ e la quiete che ‘nel pensier si finge’ del memorabile Infinito leopardiano. Mentre gode di tutto questo, sente il peso degli anni e che il filo della vita è nelle mani di “Atropo alle porte,/ armata di forbici.“ (pag. 13). Comincia a patire la solitudine e a condividerla con un ciclamino “spuntato” nel suo giardino e a prestare attenzione a “le voci/ e i colori degli emigranti/ dalla fame costretti/ a lasciare la terra natia.” (pag. 19); a rimpiangere il tempo che non torna, il Natale, i paesi che si svuotano. Si frappongono desideri e realtà, ma ha la gioia di vedere il figlio Yuki “dottore” o Maestro di musica. Antonia Izzi Rufo con Giorno dopo giorno scrive una sorta di diario, ma infine vuole rivelare l’animo più intimo e che riassume nella sezione Donne chiarendo: “Penelope e Andromaca/ sono i modelli cui m’ispiro” (pag. 73). Penelope, triste per l’ assenza dello sposo, “moglie esemplare e tenerissima madre”; e Andromaca, vedova di Ettore, resa schiava. Ma pure Eva, Maria addolorata madre di Gesù, la bellissima Melisenda, Arianna liberata da Teseo e poi abbandonata andata in sposa a Bacco, la divina e infelice Saffo morta per amore, Elena vinta dall’amore per Paride che fu causa di una guerra, Beatrice la musa di Dante, Silvia la musa di Leopardi, Lucia la sposa promessa di Renzo, Anita la “eroina dei due mondi”. Tutte donne segnate o causa di sofferenza che stanno a significare la sensibilità della Poetessa e la sua capacità di transfert. Tito Cauchi

PANTALEO MASTRODONATO TERSICORE Symposiacus, Bisceglie (BT) 2018, Pagg. 40 Tersicore è raccolta poetica di Pantaleo Mastrodonato, comprendente 23 componimenti polisillabi di lungo respiro. Non riporta alcuna notizia sull’ Autore, né nota d’apertura, che potrebbero tornare utili al lettore per favorirne la comprensione; per esempio non tutti possono sapere cosa rappresenti il titolo, che evidenzia la sua cultura classica. Da altre fonti sappiamo che il Nostro è direttore del periodico Symposiacus. Ha un lessico bene strutturato, elevato e semplice nel contempo, ed anche metaforico come si potrà convenire. Il componimento d’apertura s’intitola ‘Preludio’, che recita: “Fra trine celesti e marmoree,/ fremente l’anima del mondo s’involucra./ Bella, alma, diafana, amorosa/ su soffici pensieri si riposa./ […]// Uno splendido viso di donna/ sulle ali del vento si mostra./ L’anima del mondo, casa regina/ tra le onde del mare ci mostra Iddio”. Il Divino è nomi-


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nato in tutti i componimenti nei suoi vari appellativi, ora è invocato, per sé, ora per gli altri, per tutto il mondo, perciò sono costanti la presenza dell’ anima intima (l’Io dell’Autore) e quella del mondo, le rovine e i lutti, i corrotti e i corruttori, soggettivo e oggettivo. Il tema è monocorde dai motivi ricorrenti. Il Poeta si pone interrogativi esistenziali, ma sconfortato e avvilito, si rinchiude nella sua solitudine: “Mi rifugio in cielo/ tra le ali della Fede,/ mi rifugio in casa/ quando ridono i pazzi.” (pag. 18). Ha indossato la maschera del mendicante di Luce Divina, si fa carico di tutte le pene del mondo, tutte le preoccupazioni, ma è anche un fustigatore dei potenti, dei politici e dei profittatori, dei mistificatori e predicatori di falsa carità, che agiscono solo per il proprio tornaconto dimenticando i bisogni dei fratelli. Pantaleo Mastrodonato riesce a mantenere toni e contenuti sullo stesso registro, senza dare segni di stanchezza, tanto che Tersicore è come il libretto che prevede molti attori, ma il teatrante è uno solo. Difatti Tersicore è il nome della musa del canto corale e della danza. Già in precedenza l’Autore aveva pubblicato una raccolta intitolata a Calliope, musa della poesia epica ed elegiaca; entrambe sono impregnate pressoché dello stesso spirito. Perciò mi sono immaginato un palcoscenico, quello della vita per niente incoraggiante, visto dal Poeta. Tito Cauchi

MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO DAVVERO COSTUI ERA FIGLIO DI DIO! Anscarichae Domus Accademia Collegio de’ Nobili Editore, Scandicci (FI) 2017, Pagg. 112, € 10,00 Marcello Falletti di Villafalletto ha formazione umanistica, è poeta, saggista e storico, direttore del periodico L’Eracliano, organo dell’Accademia Collegio de’ Nobili. Oblato benedettino secolare, è autore del saggio Davvero costui era Figlio di Dio! scritto in modo conversevole; in qualche passo immagina di dialogare con il Signore. Il tascabile si articola in quattro capitoli, ai quali seguono sei componimenti religiosi, oltre alla bibliografia dell’ Autore. Nella prefazione, l’abate Dom Bernardo Francesco M. Gianni OSB, come si può comprendere, ne sottolinea la “connotazione cristologica” scaturita dal “desiderio di conoscere il vero” a proposito del mistero dei misteri: Gesù era davvero figlio di Dio?, ed era Dio fattosi uomo? Così riferisce che subito dopo la morte di Gesù sulla croce, il centurione e i soldati di guardia, esclamarono: “Davvero costui era Figlio di Dio!” Così passa a spiegare la nascita dell’idea

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avuta dall’Autore durante il ritiro spirituale (triduo pasquale) poiché si chiede se, nella Settimana Santa, i cristiani si rendono conto veramente che si rinnova la “Rivelazione”. La ricerca della verità non deve scoraggiare se ad ogni traguardo raggiunto se ne aggiungano altri da conquistare; in ogni caso deve assisterci lo Spirito Santo. Non esita a definire lavoro “quasi di indole pastorale”. Segue la nota dell’Autore che conferma tutte le spiegazioni date sopra e che perciò non ripeto. Egli nella Introduzione prende le mosse dal diluvio universale, dal patto avvenuto tra Dio e Noè; patto che si è rinnovato con Abramo sottoposto a prova di ubbidienza avendogli ordinato il sacrificio di sangue, cioè porre sull’altare il proprio unico figlio Isacco; si è rinnovato pure con Mosè. Il Nostro, pare, ne giustifichi la mancata osservanza attribuendola alla fragilità umana, perciò sarà Dio stesso a pagare con il sacrificio del sangue immolandosi attraverso suo Figlio. Marcello Falletti di Villafalletto sostiene che la verità sula Rivelazione ci è stata trasmessa dagli evangelisti (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) oltre che dagli antichi profeti e da Giovanni Battista; anche se alcuni uomini di cultura asseriscono che le Scritture siano state create ad arte e comunque non ne sono convinti. Sostiene, pertanto, che l’uomo non ci si deve vergognare o stupire se non si giunga alla “verità”; il dubbio stimola ulteriori ricerche. Filosofia, scienza e religione tendono alla ricerca della verità; tuttavia ci soccorre la fede che è “abito della mente” come insegna il santo Tommaso d’ Aquino e come spiega Joseph Ratzingher teologo papa Benedetto XVI, o Danilo Masini poeta. Il Nostro narra di Gesù, del suo ingresso trionfale iniziale a dorso di un asino in Gerusalemme, dichiarandosi Re di un regno dei cieli, ma lo ritenevano re temporale, potente che avrebbe riscattato il popolo. In più luoghi delle Scritture, Gesù preannuncia la distruzione della città e la propria fine. Qui il Nostro immagina di dialogare con il Signore e ammette che nemmeno i suoi discepoli lo compresero, tranne Giuda, nell’ultima cena, che dopo avere incassato trenta denari viene colto da rimorso. Episodio, questo, simile ad un altro tramandato nell’Antico Testamento. Le azioni del Messia vanno interpretate come simboli che si comprenderanno molto più tardi (per esempio il lavaggio dei piedi, segno di umiltà, di servizio; il condividere il pane e il vino, segni della transustanziazione del corpo di Cristo). Dopotutto gli Apostoli erano persone semplici, senza cultura e nelle Antiche Scritture abbiamo esempi di “vistosissime testimonianze di illimitate infedeltà”. L’uomo si interroga sulla fine di Cristo,


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chiedendone ragione a Dio senza comprendere che si tratti di due piani differenti di valutazione, la sapienza umana e la rivelazione divina. D’altronde l’uomo ha tentato di continuo di darsi delle spiegazioni piegandole alla sua dimensione umana, più confacente con il tempo che vive. Così è accaduto, ricorda l’autore, con il “Sessantotto”, del secolo scorso, che, ritenendo di “liberare le menti”, ha innalzato invece una “novella Babele”. Sottolinea che “L’infinita misericordia divina trova il massimo dell’espressione proprio attraverso un simbolo d’infamia com’era stata la croce, prima della morte di Cristo” (pag. 81). Tutte le domande che l’uomo odierno si pone sono state già formulate dallo stesso Gesù rivolgendosi al suo seguito, Egli ne aveva rivelato le risposte, solo che non si comprendevano; era ritenuto un uomo comune e non tutti credevano alle guarigioni da Lui operate. Il centurione ha dovuto ammettere “Davvero costui era Figlio di Dio!” Fin troppo nota la vicenda umana di Gesù, raccontata dagli evangelisti, ha ispirato artisti, scrittori e filosofi nell’arco di duemila anni; la cinematografia, con suggestive interpretazioni, ne ha dato ampia diffusione, ciononostante il mistero si ripresenta e tutti vorremmo accertarcene di persona come il discepolo Tommaso o ascoltare le ultime parole di Cristo in croce, come il centurione Longino che poi fu ritenuto pazzo. Credulità e incredulità non smentiscono la natura umana. Potremmo fare scorrere fiumi di inchiostro, ma non credo che aggiungeremmo qualcosa in più. Ragione e fede non vanno d’accordo, ma richiedono di essere conciliati, senza vergogna. Il credente trova sollievo in questa lettura, mentre il dubbioso o l’agnostico forse riceveranno un nuovo stimolo a continuare a interrogarsi. Oggi siamo troppo distratti per raccoglierci in noi stessi. Marcello Falletti di Villafalletto, forse non ha detto nulla di nuovo, ma di sicuro ha il merito di rinnovare il mistero dei misteri e di farci riflettere. Tito Cauchi

AA.VV. POETI ITALIANI DEL NOSTRO TEMPO (a cura di Marcello Falleti di Villafalletto) - Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini” (Sogno o Realtà), 11a Edizione 2016, Anscarichae Domus Accademia Collegio de’ Nobili, Scandicci (FI) 2017, Pagg. 146, € 10,00 Marcello Falletti di Villafalletto, direttore del periodico L’Eracliano, organo dell’Accademia Collegio de’ Nobili, è fondatore e presidente del Premio

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biennale di Poesia “Danilo Masini”, di cui al libro Poeti italiani del nostro tempo. L’opera costituisce l’antologia di 98 autori con un rispettivo componimento, presentati in prima o in terza persona, alcuni con brevi cenni biografici e altri senza; precisamente classificati secondo la sezione: 70 per la Inedita, 22 per il Libro Edito, 6 per la Inedita Giovani. Il Presidente, nella prefazione, che trovo interessante, dichiara quanto sia viva l’ispirazione poetica, “ma, allo stesso tempo, non è altrettanto facile poter definire l’intrinseco valore”. L’antologia non è solo un modo per fermare il tempo e il luogo della circostanza e compiacersene, è anche un modo per ritrovarsi. Un elemento che accomuna, mi pare, si rintracci nella rievocazione degli affetti, soprattutto di quelli venuti a mancare; ma non mancano le aspirazioni e le fantasie; non per niente il sottotiolo del Premio è “Sogno o Realtà”. Il poeta vive entro questi due stadi, ma ha sempre la sua dimensione umana, nel bene e nel male. Potremmo soffermarci a rilevare altre caratteristiche. Credo che i poeti rappresentino lo spirito, l’ humus, dei nostri tempi, tanto per i contenuti che risentono dei fatti quotidiani, tanto per i registri linguistici usati che risentono delle contaminazioni delle lingue straniere e qualche volta anche del gergo tecnico. Tuttavia penso che sarebbe stato illuminante riportare le singole motivazioni per rendere il volumetto maggiormente formativo (tranne che non mi siano sfuggite); comunque è sempre una buona occasione per mettere a confronto le varie voci e per ritrovare vecchi amici e conoscerne di nuovi. Tito Cauchi

ANTONIO VITOLO VARCO AMATO – CANTO DI CUORE Edizioni “Centro Culturale Studi Storici”, Eboli (SA) 2018, Pagg. 56, € 8,00 Antonio Vitolo, classe 1961 poeta di Olevano sul Tusciano (Salerno), è cittadino onorario di San Mauro Cilento, paese dove ha svolto la sua attività di medico, ha pubblicato molti libri, ha ottenuto tanti premi letterari ed ha avuto l’attenzione di numerosi critici. Autore che ho avuto il piacere di leggere in più occasioni (dalle quali ho appreso che è molisano nato a Tavenna). Varco amato – Canto di Cuore, con sottotitolo Livelli e bolle d’aria, è raccolta di 41 poesie scritte soprattutto nel corso del 2016, generalmente brevi e di metro variabile, ha due presentazioni. Enzo Fauci afferma che ciò che muove il Nostro è il Cristo Signore segno di misericordia, è il tempo che si manifesta attraverso la scansione delle sta-


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gioni, delle manifestazioni meteorologiche, del ciclo delle fioriture; sua fonte di ispirazione è anche il paese dove ha svolto la sua attività professionale. E Noemi Manna, oltre a confermare la nota precedente, spiega che l’Autore dà voce “alle immagini che narrano e lodano il Cilento, in particolare San Mauro”; la raccolta è vincitrice del primo posto al concorso “Il Saggio, Città di Eboli”. La lettura risponde alle aspettative, perciò confermo quanto riferito sulle due precedenti note; comunque desidero evidenziare qualcos’altro ancora. Piacevolezza della costruzione tendente tutto alla interiorità del Poeta, così fin dall’incipit recita: “Filari di pensieri, cortei e litanie della mente,/ attendono le impronte della sera/ con lento passo del respiro”. Difatti il lessico fa attendere paesaggi agresti che coinvolgono l’intelletto (la mente) e il cuore (il respiro); mentre l’incanto delle infiorescenze che possiamo immaginare, equivale a un nastro trasportatore (i filari) su cui si muovono sentimenti non sempre gioiosi; e solo pensando al volto di Cristo, il Nostro trova rassicurazione. La natura pulsa di vita (come nel brulichio di un’arnia) e manifesta la sua bellezza in vari modi, donando il sorriso. Fra tanta bellezza il Poeta si sente librare in alto come un “passero, una rondine,/ un pettirosso, un usignolo” ed elevare i suoi pensieri al Divino, sommo Creatore. “Ma il pianto dell’animo/ - uggioso dipinto cenerino di primavera -/ sospende d’improvviso i pensieri/ nella gola si serrano salate le lacrime.” (pag. 19). Osserva il lavoro dei campi, rileva la fatica nelle mani callose dei contadini, la cura che si prendono delle piante rivela la loro religiosità. In tutta questa cornice Antonio Vitolo è un tassello del disegno dell’Onnipotente, caricandosi delle pene che affliggono i suoi fratelli, causate dalla cattiveria dei Caini e dall’età che avanza con il suo peso, perciò un velo di sfiducia offusca i suoi pensieri, tanto da fargli confessare: “Sono io ormai un relitto che senza tempo/ va verso l’infinito oblio.” (pag. 28). Gli artigiani che lavorano, i bambini che giocano, i vecchi che si accompagnano con il bastone e il rosario in mano, raccontano, vivacizzano vicoli e piazze. Noi condividiamo le immagini campestre, rilassanti, bucoliche; ma evidenziamo anche un lessico feroce riferito a “terre aride”, ad “acquitrini”, comunque resi fertili dalla laboriosità dell’uomo (è il medico che cura le malattie). Osserviamo la chioma di un fico che ha “braccia aperte” come in preghiera o come segno di accoglienza; sentiamo gli effluvi che emanano le rose o la brezza salmastra che carezzano il viso. Troviamo compostezza e misura nel registro espressivo di Antonio Vitolo, così è nei filari di ce-

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ri, di fiori, di alberi e di grani del rosario; e nonostante glorifichi la bellezza del suo Varco amato – Canto di Cuore, e trovi rasserenamento, mi sembra che abbia l’animo straziato. Commenta, infine, che il destino dell’uomo sarà segnalato dai rintocchi di una campana. Tito Cauchi

MICHELE DE LUCA CONOSCERE IL CALABRESE Grammatica e sintassi per imparare a scrivere i dialetti calabresi Associazione Culturale <<La Radice>> di Badolato, 2018 Come è attestato ampiamente dalle sue innumerevoli pubblicazioni, Miche De Luca è uno studioso accurato, preciso del dialetto calabrese, sul quale si registrano giorno dopo giorno molti studi. Orbene, qui Michele De Luca offre - come si legge nella <<Presentazione - <<al lettore un insegnamento graduale sui dialetti calabresi, in modo che una volta fatta propria la lezione di base, egli possa inoltrarsi in argomentazioni più complesse>> (p. 3). Da questo punto di vista il saggio è veramente utile e prezioso, Inoltre qui viene esposta in maniera simbolica ,<<priva di fronzoli>>, ma basata su argomentazioni significative, la materia che di volta in volta viene trattata, lasciando a chi legge <<la possibilità di valutare l’applicazione delle ’regole, in base alla conoscenza che ha del proprio dialetto’, che ha del proprio dialetto, perché non bisogna dimenticare che ogni dialetto ha una propria grammatica e sintassi, con le dovute eccezioni>> (sempre cito dalla <<Presentazione>>). Giustamente De Luca avvisa che l’apprendimento non è sufficiente per poter scrivere in dialetto; è necessario attenersi ad alcune indicazioni che nella <<didattica delle lingue, sono chiamate regole grammaticali. Altro punto importante toccato è quello della trascrizione e qui si avvisa e si sottolinea che quella basata solamente sull’impressione acustica non è quasi mai scientifica. La trascrizione si deve invece basare su delle norme, si deve avvalere di una buona audizione e <<di una rigorosa indagine dell’articolazione dei suoni, in modo da cogliere i fenomeni simili tra loro>>. Tutto ciò si trova qui, in queste pagine molto chiare, ben documentate e scientifiche. Il dialetto non muore ma si trasforma in continuazione, si evolve nelle forme dell’italiano come ancora capita che, certe volte il dialetto vince sulla lingua nazionale, che deve subire appunto il dialetto, come nel caso del neologismo <<dialèttu >>, ora <<tanto in voga che ha sostituito le antiche voci


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pàrra e pàrrata, ma con un’accezione molto più estesa>> (p. 5). Michele De Luca illustra molto bene la grammatica e la sintassi del dialetto calabrese ed ecco per quanto attiene a quest’ultima, sono trattati argomenti quali il <<raddoppiamento consonantico>>, quello fonosimbiolico, le reiterazioni, l’ allungamento di ragione sintattica. Per quanto invece interessa la grammatica viene, per esempio, trattato in modo esaustivo e chiaro, l’ argomento degli accenti che sono il <<male oscuro >> della lessicografia calabrese. Cosi, sempre per fare un esempio, viene detto che più complessa è l’accentazione nei dittonghi. In linea di massima i lemmi dittongati sono quasi sempre costituiti da dittonghi consonantici (l’accento cade sulla prima vocale), altre volte discendente ( sulla seconda vocale) (p. 13). I dittonghi consonantici sono quelli più frequenti e si hanno tutte le volte quando la semiconsonante ([i] o [u] viene prima della vocale>>. Sono chiamati ascendenti per essi il tono della voce sale, passando dal primo al secondo elemento: << pacènza/ pacenzia/pazienza; carriolàta /karriolata/’carrettata>>. Altri argomenti trattati sempre con chiarezza e scientificità sono quelli che attengono all’alfabeto calabrese, alla <<J>>, <<lettera dell’indefinibile>>, per esempio. Il saggio di De Luca contiene anche un utile <<Glossarietto>> in cui sono spiegati termini come <<accento fonico>>, <<diacritico>>, <<fonema>>, <<grafema>>, <<trascrizione fonetica>>, per citarne alcuni. Veramente utile - lo ridico - questa pubblicazione di De Luca, per chi volesse cimentarsi nella scrittura e nella lettura del dialetto. Infine per chi ancora volesse <<sperimentare le proprie competenze nelle trascrizioni in dialetto>>, non gli resta che trascrivere foneticamente alcuni versi dello scrittore di Badolato Antonio De Rosi (Badolato 1899 - Crotone 1985), tratti dall’opera Il Medico Tropeano, indicando quelli che sono i segaccenti e i raddoppiamenti fonosintattici (v. p. 38). È arcinoto che vastissima è la bibliografia sul dialetto calabrese, e De Luca nella Nota conclusiva segnala alcune recenti indagini e studi. Carmine Chiodo

TITO CAUCHI ALFIO ARCIFA Con i Poeti del Tizzone Editrice Totem, 2018 - Pagg. 256, e. f. c.. Non è - come si potrebbe pensare - una monografia su Alfio Arcifa e poeti gravitanti sul periodico Il Tizzone che da anni si pubblica a Rieti, bensì un libro di testimonianze (“carteggi epistolari”) e re-

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censioni, tra l’Autore Cauchi, il direttore responsabile di quella rivista e altri (Alfredo Giacomelli, Aldo Maria Calandra, Nicola Venanzi, Carmine Spitilli eccetera), abbraccianti il periodo novembre 1993 - 2017. Alfio Arcifa è un anziano poeta e scrittore quasi centenario (è nato il 28 aprile 1920) e merita di essere omaggiato per la sua umanità, la sua cultura, le sue opere e una vita di tribolazioni: la guerra e la prigionia; la morte prematura delle sue uniche due figlie: Agata Maria (o Marina della dedica? Nomi storpiati se ne incontrano altri: l’indimenticabile amico romano Ferdinando Banchini, per esempio, diventa Fernando) e Pina; le tante traversie che la vita dispensa a chiunque. Da uomo forte, però, temprato dalle sofferenze, Arcifa è riuscito sempre a vincere, ha alzato sempre la testa e ancora oggi conduce le sue battaglie, giustamente riverito e osannato. Ricordiamo la bella cerimonia del 16 maggio 2016, nella quale Rieti ha voluto insignirlo di un “Riconoscimento ufficiale”, con l’intervento di diverse personalità e l’offerta, da parte del Sindaco, di una Targa personalizzata: “COMUNE DI RIETI IL TIZZONE Ad Alfio Arcifa, POETA, SCRITTORE, MAESTRO D’ARTE E DI VITA. Nel cuore animato dal sacro fuoco della divina poesia, educatore, senza compromessi fedele a valori immortali, vivo mantenne nel tempo un prezioso “tizzone” da consegnare a chi del futuro intravede i bagliori Rieti, 16 Maggio 2016 IL SINDACO Simone Petrangeli”. Arcifa ha lavorato indefessamente per tutta la vita, specialmente in campo culturale, pubblicando libri di poesia (ricordiamo “Foglie sparse”), di memorie (“Numero contro numero”), di critica (“Novecento inquieto”) e dirigendo riviste. Il Tizozne, si è presentato sempre ai lettori col motto: “Ardo e produco calore/se non mi manca dell’uomo/la cura, il soffio, l’amore”; e noi gli auguriamo che tali elementi non gli manchino mai, divenendo, così, quasi fuoco perenne, metafora di quello di biblica memoria. Tito Cauchi è riuscito, assemblando materiali brevi e contingenti, a comporre un volume snello e godibile, nel quale, puzzle dopo puzzle, si completano tra le tante, fra loro intersecandosi, due figure in particolare, entrambe siciliane (di Gela, l’autore; di Catania, l’omaggiato): lo stesso Cauchi, cioè, e l’Arcifa, personaggi dai contorni variegati e dominati dall’amore profondo per la Cultura in generale. È un alternarsi di lettere e recensioni, di e per i


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diversi soggetti. A tenere unito il tutto, la capacità, il dosaggio dell’amalgama dei diversi elementi, che trasforma il dettato in una specie di colloquio a più voci. Il rapporto tra noi e l’Arcifa non è stato sempre idilliaco, anzi. Arcifa ha un carattere ben marcato e le sue lettere spesso contengono una buona dose di acredine, derivata, forse, dalla sua vita non facile. In questo libro di Cauchi, noi, per esempio, siamo accusati di scrivere, su Pomezia-Notizie, citando Il Tizzone, sempre dei nostri amici, facendoci - bontà sua! - “ambita pubblicità a buon mercato”. La verità è che la pubblicità l’abbiamo fatta noi a Il Tizzone, presentandolo sempre a lettori e collaboratori (P. N. tiene, tuttora, la rubrica “Tra le riviste”), citando, sì, i nostri amici (e ci mancherebbe che non lo facessimo!), ma anche altri, oltre l’Arcifa, riportato il suo indirizzo, mentre egli, sul suo Tizzone, Pomezia-Notizie praticamente l’ignora. Noi ci siamo spesso abbonati a Il Tizzone; lui, a PomeziaNotizie, mai. Il suo lamentarsi, perciò, è quanto mai patetico e farnetica quando scrive che eravamo dispiaciuti, cioè invidiosi, perché lui ha avuto da Solange De Bressieux poesie tradotte in francese e noi no, volutamente dimenticando come lui ha avuto i contatti con la poetessa e scrittrice francese, nostra amica di famiglia e come di noi lei abbia tradotto molto, per esempio, tutti i Canti d’amore dell’uomo feroce. Perciò, in noi, non c’è stata, né c’è, “Gelosia di mestiere” (p. 103) - si rassicuri l’amico Arcifa -. I suoi, non sono che vaneggiamenti. Alla luce di quanto riportato in questo volumetto, forse Cauchi non aveva torto quando scriveva di trovare in lui del “livoroso”. Domenico Defelice

ANNA VINCITORIO PER VIVERE ANCORA Prefazione di Giuseppe Panella, Postfazione di Franco Manescalchi; in copertina, “Paesaggio”, di Giuseppe De Nittis - Guida Editore, 2012 - Pagg. 136, € 10,00. È e non è un diario. Vogliamo dire che è caratteristica della scrittura di Anna Vincitorio, sia in versi che in prosa, ispirarsi a fatti veri, personali e di cronaca, ma raccontati con eleganza e proprietà di linguaggio, spesso con sospensioni improvvise che momentaneamente sviano e confondono: veri e propri vuoti, salti, che seminano mistero. Salti e vuoti che solo apparentemente fanno parte della natura, perché essa “è l’unica realtà che non delude: infrange i vuoti dell’esistenza con la prepotenza dei suoi odori. L’essere è soltanto parte del

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cosmo alla ricerca di una sua dimensione; forse vivere non è poi così difficile. In tutte queste elucubrazioni ti ritrovi con due fermate di troppo e torni indietro moccolando”. Salti tra brani e vuoti, ma, alla fine, tutto si allinea, la trama si completa, ogni personaggio e ogni disegno realizzati in pieno. Fan parte - ripetiamo dello stile, della personalità dell’Autrice. A volte, anche i luoghi son reali e vaghi: Napoli? Firenze? Ci son differenze sostanziali tra le due città ma certe strade, certi soggetti, possono appartenere indifferentemente a entrambe e la scrittrice si muove a suo agio, consapevole che l’esistenza stessa sia un buco nero: “Non si può dare una logica al corso dei pensieri come alla vita”, scrive. Anna Vincitorio non racconta scene complete, le accenna, implicitamente chiedendo al lettore di illuminarle ed estenderle con l’immaginazione, come quel donarsi della donna con passione in una giornata memorabile e in un luogo penetrato dalla luce, ma non identificabile: “Forse a Pasqua non si dovrebbero rivivere ricordi carnali di passione esplosa nella complice penombra di un cavalletto e di una finestra spalancata sulla luce. Ma, era veramente tutto così bello e perfetto, oppure è la mancanza, che dà valore diverso al ricordo?”. Pure, di questo memorabile incontro ci sembra di rintracciare il prologo in un’altra intensa, poetica pagina: “Le scale”, nella quale è come se la scrittrice ci svelasse la radice dell’incontro e l’avventura. Accenna, mischia, anticipa, ritorna, riparte. Sta a chi legge non perdersi nei labirinti, collegare, cucire, sistemare puzzle. Così, l’opera sembra perfezionarsi in itinere e se meglio lavoriamo in assemblaggio, più ne assaporiamo la poesia e l’intima saudade, che è nostalgia tendente al rimpianto, un misto per natura inconsolabile e inconciliabile. All’impasto persona-cosa-oggetto-parola non sfuggono neppure i “Ritratti”. Le figure spesso hanno del torvo e dell’atavico: scombussolano, come “Adua e le carte del tempo”. Spesso si tratta di artisti, pittori, con misteri, penombre, sprazzi improvvisi di luce, riverberi di ricordi, marionette e sguardi beffardi, strani profeti dal “fascino torbido”. Elisa arriva a inventarsi la malattia e la morte della madre pur di stare “in campagna”, in solitudine, dominata da turbe incontrollabili e inspiegabili. Siamo alla presenza di una galleria pietosa e, per certi versi, spietata di vecchi, pazzi, disadattati, ammalati, maghi. Vera cronaca e diario e giustamente Manescalchi scrive che, quella narrata dalla Vincitorio, “è la storia di una vita”, la sua, ma “attraverso gli altri”. Domenico Defelice


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FRANCESCA ROMANA MANCINO LA FILOSOFIA DELLE RONDINI ELEGANTI Introduzione di Fabio Pierangeli - Ed. UniversItalia, 2018 - Pagg. 64, € 10,00 Si tratta di prosa o di poesia? Diciamo di entrambe. Prosa poetica, insomma. Un cammino d’anima e di crescita, un “percorso di apprendimento”, attraverso il quale avviene, gradatamente, “il cambiamento interiore (…); cambi la tua stessa percezione così da permettere un aggancio diverso dall’esterno”. Un vangare l’anima, leggero e delicato come di Natura che sa trasformare, quasi impercettibilmente, attimo dopo attimo; come d’ “I fiori (che) insegnano senza invadere”; come di musica, capace, anche quando saldamente legata al quotidiano e al terrestre, di “origliare fra le stelle”. Domenico Defelice

GIANNI MAZZEI DANTE MAFFIA: L’ESERCIZIO DELL’INGEGNO Ferrari Editore, Rossano (CS), 2014, pgg. 32, sip.) Calabresi che si fanno onore nelle lettere e che si fanno dono della loro creatività Gianni Mazzei, nell’ambito della sua assidua e costante azione culturale, per omaggiare l’ingegno letterario di Dante Maffia, mette in atto tutta la sua bravura di scrittore unita alla creatività del poeta, e il risultato è veramente eccellente, in un susseguirsi di ventidue poesie che, come dice Carmine Chiodo, docente di Letteratura Italiana presso l’Università Tor Vergata di Roma, nella Prefazione al libro, edito da Ferrari: ripercorrono, uno per uno, i mondi di quei poeti o scrittori a cui Maffia ha legato il suo fiato. Mazzei fa un omaggio a quei mondi e a Maffia … fino a portare il “messaggio” a una dimensione che investe significante e significato. Compaiono così Autori della letteratura mondiale da Mazzei cantati pensando alla persona di Maffia, e con un’arte di estrema originalità e sensibilità, che produce versi delicati e eruditi, creativamente costruiti, e che la grande passione letteraria di Gianni Mazzei fa rivivere, facendo venire fuori lati inediti e inesplorati e di Dante Maffia e dei celebri Autori del passato oppure a noi contemporanei, poggiandosi proprio sull’energia dell’universalità del verso e della poesia, per come nata dal dato ispirativo. Ritroviamo così rispondenze e risonanze che vanno da Ulisse a Saffo, da Shakespeare a Goethe, a Borges e Eliot, dall’Ariosto a Tasso, Petrarca, e da

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Leopardi a Montale, Benedetto Croce, Valery, e tanti altri grandi del pensiero letterario mondiale. E ogni canto celebra e l’Autore famoso e l’arte creativa di Dante Maffia, così da avere, come ancora propone nella sua densa e chiara nota critica il Prof. Chiodo, il Maffia/Ariosto (E, quando amandoti,/ scrivo nei tuoi occhi chiari/ più del cielo al sorgere dell’alba,/ impongo al quotidiano il mutamento/ … lanciando ogni volta/ che sembra che la storia si concluda e mai avviene), il Maffia/ Campana (Mi piace di te quello sguardo che io ebbi,/ dei profeti antichi/ che nel baluginio del vento del tramonto/ vedevano e non vedevano le sillabe del futuro/ e si ingegnavano a decifrarle/ nella fatica della loro debolezza/ …), il Maffia/Dickinson, e per vederlo ancora accanto a Kavafis e Marina Cvetaeva, a Saffo (Tu sei più fortunato di me,/ se hai colto la mela rosseggiante in alto,/ anche se forse lei, benevola,/ ti ha piegato il ramo dov’era …), Ulisse (Oltre l’inganno della vita,/ m’intriga in te l’ebrezza del mio mito/ che tu rigeneri con acque nuove), e Croce, Canetti … nell’eco che Il poeta vero vive nel nascondimento, voragine di luce che esplode senza dirlo. Una poesia vibrante, forte, sapientemente dettata dal cuore e dalla mente liberata, sul filo del dialogo amichevole, di Gianni Mazzei, in quest’ occasione in veste di poeta, titolo appieno meritato. Poesie dedicate, libro omaggiato, approfondite conoscenze del mondo della critica e delle lettere, Autori scelti, preferiti da Mazzei ma perché si muovono nel mondo di Maffia, preferenze e sottolineature di viatici presenti ma pensando al futuro, sfumature mitiche e esistenziali che si attualizzano nella problematicità drammatica dei nostri tempi, una lettura profondamente meditativa concentrata in un piccolo testo: proposte letterarie che dal Sud risalgono verso il Nord e perché la poesia possa rivivere nella fenomenologia quotidiana a vantaggio della democrazia e della pace sociale. Grazie a Gianni Mazzei di questa sua fatica, svolta con impegno e leggerezza, a Dante Maffia che l’ha ispirata … grazie a quanti avranno il buon senso di confrontarsi con testi di questo genere, benevolmente accolti dall’Editore Ferrari, di Rossano Corigliano, in provincia di Cosenza. Pasquale Montalto

ANTONIO NESCI SCARPE SENZA LACCI puntoacapo Editrice, Pasturana (AL), 2018, pp. 84, € 12,00 Antonio Nesci ha, da sempre, un rapporto speciale con la luna. L'amico mi ha fornito il suo ultimo


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libro, Scarpe senza lacci. “Questa volta, hai nominato la luna soltanto una ventina di volte”, gli ho detto per canzonarlo. Antonio ha sorriso. Antonella Jacoli, in prefazione, rimanda alla produzione antecedente di Nesci: “La quotidianità dell'infinito” di dieci anni prima scorre di nuovo nei polsi del fuggiasco: tornano i leit-motiv del fiume, delle stelle, della luna... Una specie di pastore errante dell' Asia, insomma. Per conto mio, avevo invece paragonato l'amico a Cyrano de Bergerac, che approfitta del lume ambiguo della luna per parlare d'amore alla dolce Rossana. A dieci anni di distanza dal libro citato dalla Jacoli, il nostro autore in veste postmoderna (Avvolto nel bavero di velluto) ragiona con la luna del vuoto che avanza, consegnando all'astro d'argento il carico dei propri sogni andati nel tempo infranti. Nel caso specifico, Nesci parla alla luna partendo da una confessione di umiltà: Ho incompletezza di mente e cuore... La poesia eponima (Sono senza lacci, senza freni / senza poter scagliare la pietra / per primo, eppure addito / pungo graffio chiedo la giusta / dimensione per tutti i dispersi...) è confessione di un'intima dissociazione: la tensione “verso i dispersi” e, al contrario, il senso dell'incombente (oppure in atto) disfacimento personale. Porta soccorso la piccola Viola, la nipotina di Antonio, lei sì ancora in grado di sognare la luna, contro il pragmatismo dubbioso del nonno: Io, dentro di me, avverto / una sorta di voce, qualcosa / che non so spiegare, sembra un colore / di cipria tanto è leggero... Immaginare l'amico incipriato è cosa che dapprima mi fa sorridere; poi capisco: Antonio come Kant (“sopra di me il cielo stellato”), avverte la vastità che non si può spiegare, la tensione che lentamente m'oscura / sino a smarrire / me e la verità. L'unica idea è la “tensione verso le stelle”. Laddove, oltre la vita, Nesci si addentra come Odisseo nel paese delle ombre. Nell'ombra, ritrova il padre nella più arresa e stupefacente poesia della raccolta: “Avrà freddo”, diceva mia madre, / parlando di mio padre, appena morto, / mostrava quale maglia era giusta / per non farlo soffrire, io non sapevo / dell'oltre della vita, / dell'oltre dell'amore che vorrebbe / sanare ogni ferita... Il papà di Antonio è morto quando il figlio era ancora troppo piccolo per soffrire la necessità, freudiana, di “ucciderlo”. E allora, il padre rimane “dentro”, è la voce che “viaggia leggera verso l'idea” (Kant, appunto) dell' immenso eterno, fascinoso e panico. Ivan Fedeli, in postfazione, riconosce una svolta significativa nella produzione dell'ultimo Nesci: un forte richiamo alla dimensione intima, privata. La comprensione della propria debolezza porterebbe

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Antonio all'accettazione dell'umano, con tutte le zeppe, le imperfezioni, le irrequietezze che l'umano comporta. Con tutta la bellezza, mi sento di aggiungere. Antonio parla alla luna senza essere il pastore errante dell'Asia, senza essere Cyrano de Bergerac. E' invece Astolfo, che cavalca volando verso la luna dove ritrova, insieme alla follia, tutta la dolorosa irrisolta bellezza dell'uomo. Rossano Onano

DANIEL VON CZEPKO SEICENTO DISTICI DI SAPIENTI Traduzione di Giovanna Fosser, Introduzione e note di Marco Vannini - Lorenzo de' Medici Press Firenze 2018 - € 12,00 Nel campo della ricerca testuale sui documenti legati al filone della Mistica Tedesca lo studioso Marco Vannini è sicuramente il più dotto ed affidabile. Ora porta a conoscenza del pubblico questo materiale ignorato dai più, i SEICENTO DISTICI DI SAPIENTI, a firma di Daniel von Czepko, nato nel 1605 in Slesia, oggi territorio polacco. Di lui egli così ci informa: “... Era figlio e nipote di pastori protestanti, per cui la teologia cristiana gli fu familiare fin dall'infanzia. Non sappiamo dove abbia avuto la prima formazione scolastica, ma è certa la sua padronanza perfetta del mondo classico. Studiò medicina a Lipsia poi diritto a Strasburgo ove prese parte al gruppo del giurista Mattia Bernegger, sostenitore di una religiosità al di sopra dei dogmi, cui aderivano persone di diverse sette e confessioni...” (M. Vannini, Introduzione in D. von Czepko, Seicento distici di sapienti, pag. 5). L'avvio è in latino, lingua sacra, nobile tanto quanto sono nobili gli uomini che si legano fortemente e liberamente ad essa e a questi temi, perché l'Introduzione (pp. 523) ci trasporta senza sforzo, riccamente documentata, nei climi intellettuali, sociali, geografici di questo studioso che viaggia, porta con sé il manoscritto dei Monodisticha, si fa apprezzare e conosce pure Johannes Scheffler, il quale prende proprio lo spunto da questo materiale originale per dar vita e vigore spirituale al suo Pellegrino cherubico, con il nome di Angelus Silesius. Leggere più e più volte queste pagine d'avvio diretto al testo dei Distici consente di penetrare in modo efficace tra le radici vigorose della cultura poetico-letteraria tedesca: vengo a sapere infatti che Daniel von Czepko non viene accolto nella Fruchtbringende Gesellschaft, prima accademia tedesca di letterati che dan frutto, insomma, pur avendo dedicato al suo fondatore e presidente, il principe Lodovico di Anhalt-Cöthen, proprio i Monodisticha!


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Infatti il Vannini ci accompagna per mano e prova la gioia del sapiente che condivide le sue esperienze dopo aver ben meditato e selezionato forme e contenuti: “... Nel 1655 viene pubblicata l'opera che qui presentiamo in traduzione italiana Sexcenta Monodisticha Sapientum, frutto più maturo, tanto dal punto di vista poetico quanto da quello misticospeculativo, della meditazione czepkiana. Il titolo rimanda al concetto di 'sapienza', una sapienza che è innanzitutto quella del mondo antico, dei sapienti greci e latini, rivissuta da quei maestri cristiani che non furono in opposizione alla classicità, ma che, anzi, ne trassero ispirazione, come è evidente al massimo grado negli autori più cari a Czepko, da Eckhart a Sebastian Frank. La mistica cristiana dunque, come vera e unica erede della filosofia antica, della filosofia che era distacco, 'esercizio di morte', secondo la bella immagine platonica: la tesi cara a Pierre Hadot innerva dall'inizio alla fine anche l'opera di Czepko... I distici czepkiani si comprendono sullo sfondo della Scrittura, della filosofia classica e della tradizione mistica medievale tedesca...” (M. Vannini, Introduzione, in op. cit. pag. 13 e pag. 23). Poi arriveranno le Centurie, sei in tutto, di cento versi ciascuna, suddivisi in gruppi di due, in distici appunto; ogni centuria verrà introdotta da una amichevole indicazione dell'anima e dell'intelletto che illumina attraverso la scrittura. Riporto: PRIMA CENTURIA Richiamo / A chi legge / più pensare che leggere Cento libri, cento vite Ti porgo, caro lettore Nelle cento rime, Se ad esse vuoi fare attenzione. Libri: tendere alla fine È cercare l'inizio qui. Vita: pura gioia e decoro Aleggeranno intorno alla tua intelligenza. Ma questi libri siano Pace e quiete nella coscienza: Questa vita sia splendore e luce Che consenta di gustare Dio: Entra: voglio aprirti Seicento volte questa porta NULLA SUPERFICIALMENTE ….. SESTA CENTURIA Richiamo/Ai beati/Santifica il sabato Qui si conclude la sesta Centuria, ormai viene il Sabato: Sprofonda sensi, anima e spirito nel tuo Dio, Così la sua gloria riempirà il tempio del tuo cuore. La Trinità stessa vi sarà presente.

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Già ripieno di splendore e di grazia canterai il tuo triplice Sanctus, Lassù i Cherubini e anche i Serafini si velano la bocca, Questo Sabato ti farà tacere più di seicento volte: O Altissimo - voglio così chiudere - donaci solo lo splendore del Sabato. Rendi questi distici comprensibili ai cuori, alle Chiese, Troverai qui tante chiavi, quante sono le rime e i precetti. Ma devi amare Cristo, altrimenti perdi la strada, Lui è la chiave, la porta e la Chiesa: lui deve infiammarti a pregare. Lascia da parte Pitagora: qui è l'Uomo della trasfigurazione, Salvezza e vita tutti possiamo trovare nella sua morte. PENSA AL SETTE (D. von Czepko, Seicento distici di sapienti, op. cit. pag. 27 e pag. 118) In copertina di questo prezioso volumetto che mi è stato donato dal Professore, Ermete Trismegisto che accoglie due saggi, un particolare della pavimentazione del Duomo di Siena datato circa nel 1488 ed attribuito a Giovanni di Stefano: il grande studioso è in piedi, riccamente vestito, con grande copricapo a cupola conica e la sua mano sinistra poggia su una scultura a stele, sostenuta da due sfingi alate, con scritta in latino 'DEUS OMNIUM CREATOR ... SANCTUM VERBUM'. Ho accettato l'invito e ne sono entusiasta. Ilia Pedrina

LIBRI RICEVUTI DOMENICO ANTONIO TRIPODI - Il colore nella Divina Commedia -In copertina, a colori “Libro della Sapienza”, del Maestro Tripodi - Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis, 2018 - Grande formato, pagg. 72, s. i. p. Si tratta di un catalogo con molti contributi: Don Giuseppe Galbusera (parroco), In. Luca Durè Sinda (Corbetta), On. Francesco Prina (Presidente del Comitato Scientifico, Corbetta), Alberto Trivellini, Antonio Bonchino, Claudio Strinati, Nunzia Orza Corrado, Rosetta Migliorini Fissi,


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Mons. Gabriele Caccia (della Segreteria di Stato del Vaticano), Antonio Paolucci (direzione Musei Vaticani). Sono riprodotti, a tutta pagina, ben 22 lavori dell’Artista di origine calabrese, definito “L’ Aspromontano”. Domenico Antonio TRIPODI è nato a Sant’Eufemia d’Aspromonte il 9 giugno 1930. All’età di 17 anni si trasferisce in Toscana ed ha inizio il suo periodo ecologico, l’ amore verso la natura in genere e gli animali, uccelli in particolare. Poi va in Lombardia dove, oltre a frequentare la Scuola Superiore d’Arte del Castello Sforzesco di Milano, la Scuola d’ Arte “F. Faruffini” di Sesto San Giovanni ed altri istituti d’arte, collabora con valenti pittori e restauratori, quali: A. Albertazzi, F. Milani, G. Fiume, operando su moltissimi monumenti del Piemonte e della Lombardia. Opera nel campo dei Beni Culturali ed è stato Libero Docente di Restauro presso l’Istituto Superiore di Restauro “Aldo Galli” di Como. Pluriaccademico - già Direttore Artistico Accademia Internazionale “Città di Roma”. Ha esposto le sue opere in Italia e all’Estero: Milano, Firenze, Roma, Bologna, Genova, Courmayeur, Asti, Como, Pompei, Sanremo, Bergamo, Ferrara, Brescia, Trasimeno, Sant’Eufemia d’ Aspromonte, Corbetta, Torino, Catanzaro, Palmi, Los Angeles, New York, Dallas, Tokio, Victoria (alle Seicelle), Seul, Parigi, Londra, Madrid, Stoccolma, Nizza, Malta, Las Vegas, Washington. Invitato dal C.E.I.C., è stato presente all’Esposizione Mondiale di Toronto e Vancouver, in Canada e, poi, a Tokio per la Japanese Culture Day. Tra i tanti premi: Premio Internazionale “Drach 85”, Palma di Mallorca (Spagna); Premio Internazionale “Kowloon”, Hong Kong (Cina); Premio Internazionale “Topkapi”, Istanbul (Turchia); Premio Internazionale “Ciudad de Mexico”, Città del Messico; Premio Europa Cultura 1988, Bologna; Premio Internazionale I Biennale San Marco, Venezia; Gran Coppa Europa - VIII Biennale Europea, Palazzo Polverosi, Roma; I Premio Internaziona-

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le “Giorgio Vasari”; Premio Mondiale per l’Arte Contemporanea “Salvador Dalí”, istituito dalla nobile Sociedad de editores y artistas de España, a Figueras, paese nativo del grande pittore catalano (Tripodi è stato candidato al Premio, dal centro Europeo di Iniziative culturali di Roma), con la seguente motivazione: “por los valores de estilo, composición y color contenidos en su expresión artistica”. Si sono interessati di lui e della sua arte: V. Bendinelli, C. Bertelli, R. Bossaglia, R. Buttafava, D. Cara, O. Caslini, L. Ghinelli, D. Manzella, E. Marcianò, G. Martucci, G. Mascherpa, M. Mazzeo, G. Mulazzani, C. Occhipinti, R. A. Piperno, M. Portalupi, L. Prada, G. Traversi, C. Volontieri; all’Estero: Antonio Fedele, in America; Martin F. Louis Gerbaud, in Francia; Leopoldo Marin de la Riva, in Spagna; Mister Thomas Ho Kit, in Cina. Nel 2005, Domenico Antonio Tripodi è stato invitato a Mosca, dove ha esposto i suoi lavori su Dante durante “una settimana di pittura e di poesia, di musica e di critica d’arte, di grafica, di editoria e di giornalismo (...) sotto lo sguardo lieto e benevolo di Dante e di Aleksander Sergeevič Puškin”, organizzata dalla dottoressa Marina Millerova. La sua più recente personale, a Corbetta, è del marzo 2018, per la quale il presente Catalogo. Tutte e tre le Cantiche della Divina Commedia ispirano a Domenico Antonio Tripodi opere acquarellate dominate dalla luce e da una gamma variegata di colori. Antonio Bonchino, a proposito della sezione Inferno, dopo aver elencato alcuni dei grandi artisti che nei secoli hanno illustrato Dante, afferma: “Tripodi non “illustra”: dalle sue letture della Commedia, “a occhi chiusi”, è nata una nuova poesia. Poesia di Tripodi dalla poesia di Dante”. Nella sezione Purgatorio, Nunziata Orza Corrado afferma: “Domenico Antonio Tripodi è il pittore della speranza e della salvezza, ma è soprattutto un uomo col peso del suo corpo e il bagaglio delle sue esperienze umane. (…) di conseguenza egli sente tutto il fascino


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lacerante di una sofferenza non inutile perché non è quella dei dannati ma quella dei penitenti”. Infine, per la sezione Paradiso, sentiamo il bisogno di lasciare la parola allo stesso artista. Afferma, infatti, Domenico Antonio Tripodi: “La mia pittura, nel suo farsi, eludendo retorica e falsa saccenza, si è manifestata in tono dimesso, ma vibrante come lo stato di un animo felice”. ** AA. VV. - Settimane musicali al Teatro Olimpico, XXVII edizione 2018 - Si tratta del Catalogo - speditoci da Ilia Pedrina - dell’ annuale appuntamento musicale al Teatro di Vicenza. In esso troviamo interventi e schede di numerosissimi artisti: Giovanni Battista Rigon (direttore d’orchestra), Sonig Tchakerian (violinista), Alberto Triola, Giorgio Appolonia, Almerighi Giuliano, Adriolo Nicolò, Apolloni Nicolò, Babbini Damiano, Baglini Maurizio, Bellocci Eleonora, Barreto Damiano, Birro Paolo, Cammarano Alessandro, Caputo Daniele, Carta Silvia, Chiandotto Luca, Chesa Silvia, Consonni Martina, Cosaro Giuseppe, Dal Cortivo Luca, Foresti Segio, Fumanelli Clelia, Gasparoni Tommaso, Grante Lorenzo, Lopez De Munain Basevi Xabier, Telser Franziska, Ponzanelli Valentina, Kryzhko Sofiia, Kabongo Patrick, Kessisoglu Paolo, Marcucci Sara, Mintz Shlomo, Montaruli Gianluca, Nefedova Elena, Nicoletta Federico, Nocerino Andrea, Nodari Elisa, Pepini Costanza, Pupo Federico, Scimeni Akiko, Scimeni Ettore, Scimeni Pietro, Scimeni Pietro, Scimeni Tommaso, Shek Gabriele, Redaelli Stefania, Roi Daniele, Rumici Elisa, Pantani Nicola, Ruocco Andrea, Sammicheli Simone, Stelluti Libero, Tagliamento Paolo, Tedesco Fabiola, Trio Saudade, Lisa Calamosca, Luisa Zin, Roberta Pennisi, Vaccari Leonardo, Volpato Bruno, Zaltron Federico, Zamarra Alfredo eccetera. Inoltre, l’intero libretto de “L’inganno felice”, di Giuseppe Maria Foppa, musicato da Gioachino Rossini. ** FRANCESCA ROMANA MANCINO - La filosofia delle Rondini eleganti - In copertina, a colori, “Face and body painter: Caterina

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Papa”, di Elisa Di Bartolomeo; Introduzione di Fabio Pierangeli; all’interno, opere di Pietro Lofaro - Ed. UniversItalia, 2018 - Pagg. 64, € 10,00. Francesca Romana MANCINO è nata a Roma nel 1967 ed è definita Coltivatrice di anima. Interpreta ancora liberamente la donna e la madre. Il suo curriculum è tutto qui.

TRA LE RIVISTE KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia diretta da Amedeo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26845 Codogno (LO) - E-mail: amedeo.anelli@alice.it -Riceviamo il n. 53, giugno 2018, dedicato alla memoria di Angelo Genovesi. La sezione dedicata alla Filosofia reca le firme di Angelo Genovesi e Paolo Bussotti; la sezione Poesia (a cura di Lidija Vukčević e Milica Marinkovič) riguarda Lidija Vukćević; Letteratura e giornalismo/Vladimir V. Majakovskij reca le firme di Amedeo Anelli e Vladimir Majakovskij. * L’ERACLIANO - Organo mensile dell’ Accademia Collegio de’ Nobili - fondata nel 1689 -, direttore responsabile Marcello Falletti di Villafalletto - Casella Postale 39 50018 Scandicci (Firenze). Riceviamo il n. 243/245 del IV/VI - MMXVIII. In prima pagina, il lungo articolo “Straordinario evento culturale” riguardante la presentazione del volume “Poeti Italiani del Nostro Tempo” (su questo numero di Pomezia-Notizie recensito da Tito Cauchi). Da segnalare, ancora: “Attività Accademica”; “Passi echeggiano nella memoria. Gentildonne e contadine nelle valli di Lanzo”, di Gian Giorgio Massara; “San Bartolomeo apostolo”, di Carlo Pellegrini e la rubrica recensiva “Apophoreta” a firma di Marcello Falletti di Villafalletto. Da notare, infine, tutte le belle fotografie a colori. * MAIL ART SERVICE - organo informativo dell’Archivio di Mail Art e letteratura “L. Pirandello” di Sacile (PN), diretto da Andrea


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Bonanno - via Friuli 10 - 33077 Sacile (PN). Riceviamo il n. 102 del giugno 2018, dal quale segnaliamo “Il significato del tragico e l’ipotesi della “Verifica trascendentale” “, di Andra Bonanno. Altra firma rilevata, quella di Susanna Pelizza. * LA RIVIERA LIGURE - Quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, diretto da Maria Novaro - Corso A. Saffi 9/11 - 16128 Genova. E-mail: info@fondazionenovaro.it -. Riceviamo il n. 85, Gennaio-Aprile 2018, dedicato a Elio Lanteri, con le firme di Fabio Barricalla, Franca Anfossi, Luigi Berio, Sergio “Ciacio” Biancheri, Marco De Carolis, Piero Falco, Francesco Improta, Matteo Lanteri, Giorgio Loreti, Marino Magliani, Lorenzo Muratore, Claudio Panella, Gian Luca Picconi, Bruno Quaranta. Rubriche varie e, infine, Pino Boero: “Ricordo di Giuseppe Cassinelli”. * L’ORTICA - direttore responsabile Davide Argnani - via Paradiso 4 - 47121 Forlì - Email: centroculturalelortica@gmail.co -. Riceviamo il n. 19/120 del 31 maggio 2018, con tante firme, tra le quali: Claudia Bartolotti, Viera Prokešová (nella traduzione di Giulia Cavazzuti), Giulia Monti, Davide Argnani, Laura Pezzi, Giovanni Spagnoli, Vitaliano Angelini, Gianni Donaudi.

LA LETTERA DEL FANTE Sono stanco, mamma, sono tanto stanco. Mi hanno inchiodato qui stanotte a guardia di polveri e questo fucile mi pesa più che una croce. Mi dissero: Uccidi! E a questo detto abbrividì il mio sangue, perché io non so uccidere, o mamma! Ed è per questo ch’io tremo

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e per il tuo schianto, se il Sindaco venisse alla tua porta a listare di lutto i margini sfioriti dei tuoi giorni. Dimmelo tu, o mamma stanca, chi è il mio nemico? Se penso alla madre di lui io vedo te vestita di nero e d’angoscia. Se guardo in alto la pietà vedo di tutte le madri specchiarsi ad ogni squarcio di nuvola. Che ala di morte non copra questo spiraglio d’azzurro ancora aperto sul cuore; che io non uccida stanotte, prega che io non uccida! Ricordi quando fanciullo tremavo al bagliore dei lampi? Eccomi: sono il tuo bimbo d’allora che trema, in attesa dell’alba! Francesco Fiumara Da Le favole hanno occhi di pietra, Ed. Pagine, 1960 D. Defelice: Le favole hanno occhi di pietra ↓


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LETTERE IN DIREZIONE (Béatrice Gaudy, Maria Antonietta Mòsele, Ilia Pedrina) …LE TARIFFE PER L’ESTERO SON GIÀ

DA TEMPO PAZZAMENTE AUMENTATE! - Ci scrive Béatrice Gaudy il 9 luglio 2018: Parigi, tempo di stagione, non caldissimo, ma piacevole Buongiorno caro Domenico, Che piacere di scoprire “Pomezia-Notizie”! Apparentemente le tariffe dei francobolli per l’estero non sono ancora pazzamente aumentate. Possa la Posta italiana rinunciare a questo progetto di aumento! Grazie per avere pubblicato i miei poemi nel numero di giugno. Ne sono felicissima. La compagnia poetica vi è, come sempre, ottima. “Oltre le ombre della sera” di Gianni Rescigno, “Sera estiva” di Franco Saccà, “Improvviso” di Mariagina Bonciani e “La Signora Befana” di Francesco Fiumara sono forse quelle che tra tutte le poesie mi emozionano di più. Gli articoli di Liliana Porro Andriuoli sulle poesie di Christina Rossetti e di Isabella Michela Affinito sull’”Orma sulla sabbia” di Heinrich Heine danno la voglia di scoprire questi poeti. Sono famosi, ma non li ho ancora letti. Pare seducente anche il libro di Rosa Elisa Giangoia: “Magna Roma - L’alimentazione al tempo degli Antichi Romani”. Uno volta, un’amica professoressa di latino e di francese, dopo l’avere tradotta in classe, ha cucinato una ricetta degli antichi Romani cogli alunni. È un’ottima professoressa! Le sue chine sono magnifiche. La fine dell’articolo “Novità Librarie” di Salvatore D’Ambrosio mi fa pensare che è avvenuto, in Francia, che un libro sia annunciato e “commentato” da numerosi giornalisti prima di essere stampato. Certo, l’autore era famoso, ma davvero tanta pubblicità per un

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libro che nessuno ha letto, tranne l’editore, pare incredibile! Il momento per pubblicare “Ermanno Olmi, Poeta della sacralità della terra e delle immagini” non poteva essere meglio scelto. Mi fa piacere che Ilia Pedrina dedichi un articolo ai libri di Giuseppe Leone su Silone e sul confronto tra Machiavelli e Silone. Giuseppe Leone ha probabilmente ragione di trovare un poco burlesco il risultato della nuova legge elettorale italiana. Ma a dire il vero, la legge migliore è ancora da trovare, anche in Francia. Ora, è il comportamento di certi capi di Stato o capi di governo ad essere alla volta comico e triste. Si pensa al “Tartuffe” di Molière davanti al divorzio tra le parole e gli atti di certi. Per di più, criticare l’Italia solo perché non vuole proseguire ad occuparsi da sola dei migranti non è idoneo. Viviamo un’epoca un poco triste e inquietante… Ora l’estate inizia. A Parigi, siamo stati fortunati quest’anno: ci sono state alcune bellissime giornate in aprile e in maggio, ed anche, meno numerose, in giugno. Non avviene tutti gli anni a Parigi! Io approfitto del bel tempo per andare a scrivere nel vicino giardino pubblico. Sono in ritardo nella dattilografia dei miei testi, ma in questa stagione preferisco scrivere al sole troppo raro a Parigi. Le auguro di assaporare anche il frequente bel tempo estivo. Con amichevoli saluti. Béatrice Gaudy Cara Béatrice, Le tariffe postali per l’estero son già “pazzamente aumentate”. Le pazzie, a volte, però, ne attirano altre, come nell’ingordigia a mangiar ciliegie. Giacché con una tariffa estera, qui, in Italia, di copie se ne possono spedire quasi dieci, di tanto in tanto faccio la …pazzia, mediante francobolli a tariffa piego libri, di spedire più di una copia alla stessa persona, confidando che qualcuna sfugga al controllo del molosso postale e giunga a destinazione, e qualche volta ciò avviene! Sarà pure un peccato, il mio, ma veniale: a tariffe


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draconiane rispondo con un piccolo sotterfugio! Grazie, anche a nome dei tanti collaboratori, per la sua attenzione nel leggere il mensile: son tutti valorosi e, in particolare, coloro che da anni son volati in cielo: Francesco Pedrina, Franco Saccà, Francesco Fiumara, Gianni Rescigno e tanti altri. Continuo a pubblicare i loro versi e a ricordarli, perché loro, per me, son più vivi che mai. Le leggi elettorali son tutte mendaci, perché tutte ideate con lo scopo di distruggere l’ avversario del momento. Non c’è onestà negli attuali politici e meno che mai onestà intellettuale. La Francia che critica l’Italia e la offende in fatto di accoglienza di chi scappa dall’Africa! La Francia! Una delle nazioni che, a proposito, ha chiuso le frontiere! La Francia che, a Ventimiglia, con la sua gendarmeria ha violato i confini italiani per riportarci e perquisire indesiderati (in altri tempi sarebbe scoppiata una guerra)! La Francia che ha grandinato di bombe la Libia con la scusa di abbattere un tiranno, ma, in verità, per sporchi tornaconti economici e di petrolio! Insomma, una Francia dalla carità pelosa e prepotente, che certamente non le fa onore. In fatto di accoglienza, la Francia non può dare lezione all’Italia. In Italia, in Francia, nel mondo, purtroppo, oggi “il comportamento di certi capi di Stato o capi di governo” non è soltanto “comico e triste”: è triste e criminale. Si goda una serena estate, Amica carissima, confortata dalla Poesia, che, almeno, sembra, non abbia mai tradito. D. Defelice *** Gentile Direttore, è la terza volta che assidui collaboratori della rivista PomeziaNotizie – precisamente il prof. Luigi De Rosa e Ilia Pedrina – parlano di illustri personaggi, ultimamente scomparsi, della mia amata Asiago - città dove sono nata e vissuta fino al matrimonio (ho sposato un romano che ha trovato lavoro a Pomezia: ecco perché abito

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qui!) - e che spesso vado a rivedere! Di Mario Rigoni Stern voglio ricordare che, nella seconda guerra mondiale, aveva fatto la campagna di Russia camminando a fianco del mio allora giovanissimo zio paterno Vittorio Mosele Pöslen (dell’albergo Europa, nonché tipografo) il quale poi, essendosi i due persi di vista, diversamente dal Rigoni, purtroppo, non è più tornato… Solo dopo molto tempo, è stato dichiarato ufficialmente “disperso” … E, quando ho letto “Il sergente della neve”, che mi ha molto colpito, ho pensato proprio a loro due! (Nella stessa guerra, più tardi, quando ho conosciuto mio marito, ho potuto sapere che anche il suo unico zio è risultato disperso: purtroppo sono stati tanti!) Di Rigoni ho tutti i libri, a cominciare da “Storia di Tönle” che, da subito, mi ha molto appassionato. Però di lui mi piace anche dire che è stato papà di Alberico il quale ha sposato Adriana Carli, mia eterna compagna di scuola: noi tre coetanei! Tutta Asiago, e ancor di più da quando è mancato, parla di Rigoni ovunque, attraverso targhe con suoi scritti, situate lungo alcune vie cittadine, su sentieri boschivi e tra rocce di montagna. Il Liceo classico è intitolato a lui e organizza premi e borse di studio a suo nome. Continui sono i Convegni nazionali ed internazionali a lui dedicati, naturalmente presenziati dai famigliari e da varie Autorità civili e della cultura. Il regista Ermanno Olmi, pur essendo di origine lombarda, ha scelto Asiago come sua dimora stabile, ai margini del bosco, proprio accanto alla casa/villa di Mario Rigoni Stern. Di lui ho potuto apprezzare i vari ed impegnati films, i cui attori - specie nei primi films - spesso erano gente del posto. Ricordo soprattutto “L’albero degli zoccoli”, “La leggenda del Santo bevitore”, “Il mestiere delle armi” e ”Il sentiero del bosco vecchio” quest’ultimo egregiamente interpretato da un inedito Paolo Villaggio. Circa il più recente “Torneranno i prati”, ho visto non solo il film, con tanto di back-stage, ma anche la trincea/avamposto (costruita ap-


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positamente per ambientarvi le scene) durante una visita guidata, organizzata dall’Ente Turistico di Asiago. So che Olmi ha istituito una Scuola di Cinema a Bassano del Grappa e vi ha insegnato; e i suoi figli hanno studiato Fotografia a Roma (fotografie da usare anche nei films). Olmi: regista dall’animo gentile e sensibile, dal cuore di poeta che i suoi scritti rispecchiano (vedi il suo ultimo libro) e dalla parola erudita e brillante, pur nella semplicità e nella modestia della sua persona. Rigoni e Olmi, pur essendo due eminenti esponenti della Cultura, si distinguevano soprattutto per l’affabilità, la cordialità, la naturalezza nel rapportarsi anche con la gente comune che, incontrandoli fosse pure per strada, li fermava, scambiando loro parola, gradevolmente. Cordialità al Direttore e ai lettori. Maria Antonietta Mosele Pöslen 21 giugno 2018. Ps.: “Stern”, come “Pöslen” sono soprannomi ufficiali riguardanti i ceppi delle molte famiglie originarie di Asiago aventi lo stesso cognome: questo, per distinguere i numerosi Rigoni, Mosele, e i tanti altri cognomi tipici del posto. Carissima Amica, Con piacere pubblico la Sua lettera, quasi meravigliato della Sua meraviglia, perché, in 45 anni, Pomezia-Notizie, del territorio del Veneto e dintorni e dei suoi tantissimi alti ingegni, ha scritto più e più volte. La mia Testata, pur essendo nata locale, fin dai primi numeri ha avuto rapporti stretti con il Nord dell’Italia, Veneto ed Emilia Romagna in particolare. Il caro e indimenticabile Francesco Pedrina, autore della Storia e antologia della Letteratura Italiana sulla quale mi sono formato assieme a migliaia e migliaia di altri giovani del tempo, era di Vicenza e a Vicenza, ancora oggi, vi abita la figlia Ilia, di P. N. valentissima collaboratrice. Eleuterio Gazzetti, pittore, poeta e scrittore, da me valorizzato attraverso tanti scritti, era parroco a Sozzigalli di Soliera, in provincia di Modena,

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dove mi sono recato tantissime volte a organizzargli e presentargli le mostre personali. Ne ricordo una memorabile, perché solo durante il mio intervento, alla presenza del Vescovo e di molte autorità, s’è venduto per 48 milioni di lire, denaro che il sacerdote pittore impiegava per mettere su l’asilo, la canonica e tante altre opere sociali. Dal Veneto e dall’Emilia Romagna - come dal Piemonte e dalla Lombardia -, sono, e sono stati, centinaia i collaboratori e le collaboratrici; a Mestre, per esempio, risiede Laura Pierdicchi, una delle attuali e valenti poetesse e scrittrici; a Sacile (PN) c’è Andrea Bonanno - pittore e acuto critico -, fondatore e direttore dell’Archivio di Mail Art “Luigi Pirandello” e della testata Mail Art service; da Abano Terme giunge la preziosa e bellissima rivista La Nuova Tribuna Letteraria, fondata dall’indimenticabile amico Giacomo Luzzagni; a Verona sono stato più volte anche per conferenze; Venezia, Verona, Padova sono state, a suo tempo, tappe indimenticabili del viaggio di nozze e a Caorle (VE), qualche anno fa, sono stato per il matrimonio di un nipote con una ragazza del posto (pranzo, poi, a Torre di Mosto!)... Questi, però, son divagazioni, ricami d’amore, se vogliamo. La verità è che il Veneto - come tutte le regioni italiane - è ricchissimo di artisti, poeti e scrittori di prestigio e Pomezia-Notizie si è sempre trovata a suo agio, rispondendo con orgoglio e piacere agli stimoli. Apprendere, poi, che Mario Rigoni Stern sia legato a Lei e alla sua famiglia, mi rendono più preziose - se così posso dire - la nostra conoscenza pluriennale e la nostra salda amicizia. Domenico *** Carissimo Direttore, Poeta ed Amico, Pirmasens e la ghigliottina. Un coccio di bicchierino da liquore con lo stemma della città interna al land della Renania-Palatinato mi presenta un castello a due torri e corpo centrale, sormontato nella cupola da doppio fulmine sul quale un leone rampante mostra tut-


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to il suo vigore (guarda che non ci vedo bene e qui è tutto da verificare: con la zampa destra inartiglia l'elsa d'una spada e la sua punta va in direzione retrospettiva. Ti prometto che ne investigherò la matrice!). Nel Parco della città, nel 1998, è stata posta una scultura di Villi Bossi Fiume di lacrime sulla Storia, blocco in pietra arenaria Sandstein alto due metri e mezzo: 'Storia' è scritto proprio maiuscolo, due lacrime a goccia posano sul tappeto verde dell'erba ma la provenienza, anche se distaccate, è visibile da quel fiume simbolico trattenuto da due blocchi quadrati: l'uno sormonta l'altro, quasi ad indicare che la storia umana, proprio due millenni di tempo dalla nascita di Gesù, si vuole rigida, squadrata, impenetrabile, sorgente di sofferenza e di dolore senza misura, a far sgorgare, matrice iniqua, lacrime che non si possono più asciugare attraverso la consolazione. E la pietra, queste lacrime di pietra sul prato, la struttura tutta e il fiume di lacrime da lei generato saranno bel difficili da sciogliere. Mi piace questo scultore, classe 1939, perché studia bene i materiali, i loro luoghi di provenienza ed esercita su se stesso quasi un'operazione liberatoria d'incredibile attualità, interpretando, con specialissima capacità di interiorizzazione, gli eventi ed i segni del tempo. Altra pietra con incise lettere greche, venuta alla luce dagli scavi di Olimpia, forse risalente al III secolo dopo Gesù; altro fulmine, quello di Zeus, altro mondo, quello dell'aedo Omero, cantastorie solo, cieco o con altri al fianco che musica versi e immette nella Storia un eroe di nome Ulisse. Ci dicono che i versi forse appartengono al canto XIV dell' Odissea, quando Ulisse pensa alla sua patria e vi intende far ritorno. Itaca è solo un luogo geografico di quella Nazione, la Grecia, provocatrice di seduzione e da poco 'strigliata' da Bruxelles e costretta a vendere ai Cinesi il Porto del Pireo e chi sa mai quant'altro? Per fare cassa in un bilancio che tiene conto solo dei numeri e non delle persone? Perché non si scava intorno all'etichetta rispetto alla quale quasi bisogna che le idee e le parole, le riflessioni facciano marcia indietro e provino orro-

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re, l'etichetta appunto di 'populista'? Misti di sangue e di tradizioni, di provenienza e di prospettive, sempre di popoli si tratta, di gente che ha bisogni primari e d'intelligenza e il prezzo da dare alla dignità, un assegno insomma, è quanto di più umiliante possa essere stato inventato, per evitare che si pensi a ben altro precipizio, quello di prosciugare le nostre risorse materiali, d'intelletto e di creatività e far vivere senza dignità, appunto, in un accontentarsi artificiale che ti rende solo consumatore. Se Ulisse vien prima di Edipo, è figlio della creatività di Poesia e pensa alla terra che ha lasciato ed alla quale far ritorno, la Terra vien prima dell'uomo: il rispetto delle relazioni con la Terra e con i suoi popoli vien prima d'ogni frantumazione arbitraria del tempo e degli spazi, operata con guerre provocate ad arte per far emergere solo l'animale che è in noi e che vuol sangue senza che ciò abbia alcun senso naturale, se non quello del predare e depredare le risorse altrui, come sta accadendo alle infinite ricchezze del sottosuolo africano, oro diamanti e quant'altro, che appartiene solo a loro, agli Africani: non un solo oggetto da loro prodotto là trova sbocco commerciale in Cina e la giustificazione sta tutta nei rapporti con i ministeri degli esteri dei differenti Stati, perché i Cinesi chiedono, pagano, poi agiscono in fretta. Allora la ghigliottina è il punto di partenza, lo strumento di tortura laico e borghese, finita l'epoca dei religiosi Torquemada, con la sua quota d'intelletto all'interno, per far scorrere lacrime e sangue nelle piazze, convincere all'immediato che si stanno cambiano le regole del gioco, che i poveri a culo nudo potranno comprarsi le mutande, che tutti avranno pane e brioches, come prometteva la regina Maria Antonietta. Ma la ghigliottina ha preparato il terreno al Generale Bonaparte predatore assoluto e poi... avanti tutta, a costruire sempre nuovi supporti perché non si arresti il fiume di lacrime provocato consapevolmente, non certo artificiale. Mi vado a rileggere i versi dell'Amica Béatrice Gaudy, che in tutto


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riscatta le pesanti sfumature predatorie del Bonaparte e di quelli a lui simili venuti dopo: Catalano Com'è bello questo popolo che empie le strade della sua capitale come pulsa il sangue nel cuore della patria Com'è nobile questo popolo che supera le sue divergenze di opinioni e di aspirazioni per unirsi nella difesa della libertà Com'è grande questo popolo che non ha nessun'arma se non il pacifismo (Béatrice Gaudy) Essere popolo, essere popolo bello, nobile, grande: ciò è vero per il Popolo Catalano e per tutti gli altri grandi e piccoli popoli, come quello degli Himba della Namibia, popolo che sta subendo una sconvolgente devastazione territoriale ed identitaria, di cui pochi parlano, perché i loro usi, costumi e tradizioni devono essere cancellate al più presto, basta indebolire un poco la memoria ed anche questo gioco è fatto. Non si è populisti se si difendono i diritti alla propria identificazione e appartenenza a partire da tempi e spazi della Storia, necessari a dare identità e spessore, collocazione geografica a popoli e al loro parlare nella differenza, al loro pensare nella creatività che dà dignità. La patria come terra della vita, del ricordo in immagini e frammenti e come spazio, prima concreto e tangibile, poi mentale, della memoria che vi ritorna ripetutamente e che profila progetti tenuti in vita dalla speranza. Perché, è vero, il sangue di ognuno di noi pulsa nel cuore della patria. La tua Patria è Anoia, anche se il Mondo è tutto il resto. Ti abbraccio, senza mezze misure. Ilia Carissima Ilia, Stringo e riduco la tua lettera a un solo tema e a un solo concetto: la ghigliottina dell’ economia che stronca milioni di teste e insanguina tutto il pianeta. Monumenti, opere letterarie… Arte e Cultura

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non hanno più l’ importanza che dovrebbero possedere e parole, pietre, tele, note hanno rilievo solo e soltanto se rispondono alle esigenze di questo novello Giove e delle lobby, consorterie, mafie, caste, che affollano la sua corte. Ulisse non viene prima di Edipo e sempre più si alzano ammonimenti che con Ulisse non si mangia. Tutto è ridotto al qui e al subito, niente prospettive con crescite lente e viaggi che durano decenni. Così la terra non ha tempo di rigenerarsi? Importa poco, categorico è che il ventre di pochi, di una banda di caimani, sia sempre più pieno e il portafoglio da scoppiare. Se, per alimentare questo orrendo e immane tritacarne sono sacrificati miliardi di innocenti, non è peccato e non fa scandalo. Un esempio di come, invece, dovrebbero pensare e vivere le genti e le nazioni lo suggerisce proprio Omero: Nausicaa e il re Alcinoo non approfittano di un Ulisse naufrago e malconcio: lo accolgono, lo rifocillano, lo caricano di doni e l’ accompagnano a casa. Oggi? Nessun rispetto e pietà per l’altro e per le diversità. Tutti dobbiamo stentare omologati, standardizzati all’interesse di pochi mafiosi e delle loro consorterie. Poche lobby dominano gli Usa, l’Asia; pochi caimani e dittatori l’ America latina e l’ Africa. Non fa eccezione casa nostra e l’Europa. Ho già scritto dell’ arido rigorismo economico di una Germania che, riavutasi dopo l’immane disastro dell’ultima guerra mondiale, vorrebbe i Paesi europei tutti proni e omologati ai suoi untuosi bulloni, quando, invece, “È nella diversità che le Nazioni trovano ognuna il proprio interesse a stare insieme, le compensazioni necessarie e le pacifiche competizioni. Se si usasse ovunque il criterio che la Germania pretende (…)”, sarebbe come mettere sullo stesso piano una fabbrica di bulloni e la Pietà di Michelangelo”.(P-N., marzo 2012). Michelangelo, Omero, Beethoven sono messi dopo Edipo e hanno ancora un qualche valore solo se economicamente ridotti alla stregua di bulloni. Quanta amarezza nell’animo, Carissima. Domenico


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D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE LA RASSEGNA ANNUALE DEGLI SCRITTORI LIGURI - E' uscito il Quaderno n° 36 de “L'Agave” - E' dal lontano 1982 che il Centro di Cultura L'Agave di Chiavari (prov. di Genova) pubblica, ogni anno, dopo un'attenta selezione dei testi pervenuti, il Quaderno degli scrittori liguri. Si tratta di un'Antologia di scrittori liguri, o scrittori che comunque risiedono in Liguria o vi lavorano da molti anni, perciò liguri di adozione. La suggestione offerta agli amici collaboratori (poeti, narratori, saggisti e disegnatori) per dare vita al Quaderno n° 36 verteva sull'argomento “anima”. Pagg. 103 – Copertina di Pier Luigi Curci. Gli Autori presenti quest'anno sono 38: Guido Zavanone (con Mutazioni), Roberto Torre (Anime e buoi), Massimo Bacigalupo (Whitman, l'animaamante), Isabella Tedesco Vergano (Spirito vitale), Adriano Sansa (Famiglia in primavera, Padre), Graziella Corsinovi (Ricordo di Sbarbaro), Francesco Dario Rossi (Spirali), Andrea Rossi (L'amore profondo del mondo), Luigi De Rosa (Autobiografia di un'anima), Franca Pissinis (Chi sei?), Simonetta Parassole (Frammenti), Rosa Elisa Gian-

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goia (Certezze infrante), Paolo Paganetto (Ho insegnato all'anima), Angela Moggia (Cielo), Giovanni Frasconi (Notturna tristezza), Gabriella Gilli (Anima), Silviano Fiorato (Dalla finestra dell'anima, Anima mia che voli), Goffredo Feretto (All'anima dolente di Alvaro De Campos), Elvira Landò (La polena racconta il mare), Mariangela De Togni (Ti parlo dentro il cuore), Guido De Marchi (Cimitero di guerra), Enrica Maestro (La casa di Sori), Viviane Ciampi (Per l'anima di un cane), Elvio Chiappe (Ladri di paradiso), Danila Olivieri (Non volare via), Carla Caselgrande Cendi (Sono solo parole), Francesco Brunetti (Distonie), Liliana Porro Andriuoli (Il cantar di mio Cid), Mirna Brignole (Il cuore la spina della vita), Danila Boggiano (Anime morte...), Nicola Rossello (Il detenuto), Maria Grazia Bertora (Solo ora, Temo...), Lorenzo Beccati (Monte dei Pegni delle Anime), Enrico Rovegno (Anima persa?), Elio Andriuoli (L'anima), Liliana Vagge Saccorotti (Brundibar), Maria Rosa Acri Borello (L'effimero e l'eterno), Carlo Vita (La cruna e il cammelloalla luce delle scienze sperimentali). L'Antologia è stata presentata pubblicamente e inviata a Biblioteche Pubbliche e librerie della Regione. Tra gli Autori, segnaliamo i Docenti dell'Università di Genova Massimo Bacigalupo e Graziella Corsinovi, nonché nostri Collaboratori fissi come Luigi De Rosa, Rosa Elisa Giangoia, Elio Andriuoli, Liliana Porro Andriuoli. Tra gli altri Autori sono numerosi quelli delle cui opere si è parlato nelle pagine di Pomezia Notizie. (ldr) *** PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE CITTÀ DI POMEZIA - Si ricorda che il 16 settembre prossimo scade il termine per l’invio dei lavori alla XXVIII Edizione del Città di Pomezia 2018. Quest’anno, al contrario del passato, non c’è tassa di lettura. Il regolamento completo è stato da noi pubblicato sul numero di luglio scorso, alle pagine 34/38 e lo si può leggere sul sito: www.comune.pomezia.rm.it; e-mail: premioletterario@comune.pomezia.rm.it -


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Agosto 2018

Indirizzo postale: Centro Studi Sisyphus Biblioteca-Museo - c/o Comune di Pomezia, Ufficio Protocollo, Piazza Indipendenza 8 00071 POMEZIA (RM). Sezioni: A - Raccolta inedita di poesie, massimo 500 versi; B Poesia singola, massimo 100 versi; C - Poesia in vernacolo, massimo 35 versi; D - Racconto o novella, massimo 6 cartelle per complessive 1800 battute; E - Saggio critico, massimo 6 cartelle, come sopra. Ringraziamo le testate che lo hanno integralmente riportato, come Il Ponrtino nuovo del 1/31 luglio 2018; La Nuova Tribuna Letteraria, n. 131, del lugliosettembre 2018; il sito Literary, Premi letterari; il sito: www.solofraoggi.it; il sito: News 24 (http://www.news-24.it) eccetera. *** AUGURI AGLI SPOSI! - Lei dalla Sardegna, Lui dalla Sicilia: due isole che s’incontrano! Matrimonio di Maria Carmen Iannitto - nipote del nostro Direttore - con il giovane Antonio Scimeca. Cerimonia, il 26 agosto, alle ore 11,30 nella straordinaria cornice della Cattedrale di San Nicola di Sassari.

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Poi, festeggiamenti tra parenti e amici, giunti da ogni parte d’Italia, presso il Ristorante “Villa Loreto”, Strada dei Mari 77, in Alghero. Agli Sposi, ai loro genitori e ai parenti tutti, gli Auguri più sinceri di una vita felice, serena e prospera, da parte della grande famiglia di Pomezia-Notizie! *** PREMIATA MARIAGINA BONCIANI La nostra collaboratrice milanese continua a ricevere apprezzamenti e premi. La sua poesia "All'ultima ombra", ha meritato, di recente, un 6° premio al concorso "Città di Avellino" 2018, con diploma e medaglia di bronzo. Complimenti! *** FESTA DEL GRANO A POMEZIA L’Associazione Coloni Fondatori di Pomezia, il primo luglio 2018, in piazza Indipendenza a Pomezia, ha festeggiato la Festa del grano nella sua ventisettesima edizione, con un folto programma e il concorso di un pubblico numeroso e attento. Di tutto, specie dopo la morte del suo mentore Pietro Bisesti, biso-


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gna ringraziare la figlia, signora Emilia, che ha organizzato tutto a puntino, aiutata anche da persone volenterose e in gamba come quelle dell’Associazione La Spiga d’Oro. C’è stata la mostra di pittura, la recita delle poesie “Immensi Campi di grano”, il corteo al monumento dei Coloni, la Santa Messa nella chiesa parrocchiale di San Benedetto Abate, la proiezione di filmati storici eccetera. Una cerimonia riuscitissima, che ha superato difficoltà ogni anno sempre più complesse (si diceva, per esempio, tra il pubblico, della quasi impossibilità, oggi, a reperire un mannello di grano!) e burocrazie che, invece di aiutare e stimolare, tarpano le ali. Molte le poesie lette, molte sul tema grano - che, nel nostro territorio, quasi non si semina più! - e sul pane, il prodotto del grano che ogni giorno viene consumato sulla mense di tutto il mondo. Pensiamo di fare cosa gradita alla brava e tenace Emilia Bisesti suggerendogliene una per la prossima edizione: PANE Pane, ti spezzan gli umili ogni giorno, lieti se già non manchi alla dispensa. A lor quale più sacra ricompensa di te che giungi fervido dal forno? Come biondeggi al desco disadorno, così tra vasi d’oro, in te si addensa ogni ricchezza, e la più bella mensa di tua ruvida veste non ha scorno. Figlio del Sole, tu ne porti un raggio in ogni casa, e a chi di te procaccia onestamente, illumini la fronte. Ma più risplendi, quando nel viaggio, stanco, il mendico dalla sua bisaccia ti trae sedendo al margine di un fonte. Un indimenticabile sonetto, dovuto al poeta

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Francesco Pastonchi.

AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio


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