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ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Anno 26 (Nuova Serie) – n. 9

- Settembre 2018 -

€ 5,00

DIGRESSIONI DI UN DOCENTE A RIPOSO di Emerico Giachery RANDEZZA del Cristianesimo è riconoscere, e anzi sottolineare, l’infinita dignità, non soltanto degli sconfitti - sentita del resto anche dagli antichi mentre oggi contano solo i vincenti - ma la nobiltà e importanza davanti a Dio, la misteriosa utilità anche dei malati cronici, degli handicappati, dei colpiti dalla sindrome di Down, dei drogati, dei reietti, di esseri considerati, dai più, inutili relitti umani. Per chi aderisce a questa prospettiva, questi esseri che nulla sono in grado di dare alla società sul piano pratico, contribuiscono, per vie imperscrutabili, all’ evoluzione della città dell’uomo, alla sua “umanizzazione”. Su questo delicato tema, comunque, che tocca uno dei più dolorosi misteri, è meglio parlare il meno possibile, per non cadere nella retorica sempre in agguato o in cervellotiche teodicee. Non vuol essere un discorso edificante, da pulpito, da giornale parrocchiale. Molti che hanno avuto la forza d’animo e lo slancio generoso di opporre amore paziente e irriducibile alle imperfezioni assurde della natura e alle ingiustizie

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All’interno: L’anima è un mistero, di Luigi De Rosa, pag. 5 Giovanni Gentile scrive a Erminia Nudi, di Ilia Pedrina, pag. 7 Di sangue e di ghiaccio, di Giuseppe Leone, pag. 10 Francesco Leprino e la musica di Carlo Gesualdo, di Ilia Pedrina, pag. 12 Il debito pubblico (2), di Giuseppe Giorgioli, pag. 14 La ragnatela, di Antonia Izzi Rufo, pag. 17 Troppa informazione, nessuna informazione, di Manuela Mazzola, pag. 17 Sintesi di Storia della Letteratura Italiana, di Susanna Pelizza, pag. 19 La Magna Grecia, di Leonardo Selvaggi, pag. 20 I Poeti e la Natura (Teocrito), di Luigi De Rosa, pag. 23 Notizie, pag. 31 Libri ricevuti, pag. 34 Tra le riviste, pag. 35

RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Armonie nei giorni, di Loretta Bonucci, pag. 25); Isabella Michela Affinito (Gocce di sogni, di Paolangela Draghetti, pag. 25); Isabella Michela Affinito (Tra magia e memoria, di Maria Squeglia, pag. 26); Isabella Michela Affinito (La voce della speranza, di Giovanna Maria Muzzu, pag. 27); Elio Andriuoli (La stagione del mare, di Davide Puccini, pag. 28); Marina Caracciolo (Omaggio a Molfetta, di Ada De Judicibus Lisena, pag. 29); Liliana Porro Andriuoli (Il tempo delle parole, di Francesca Anselmi, pag. 30).

Inoltre, poesie di: Alexis Abreu Barizonte, Elio Andriuoli, Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Paul Courget, Luigi De Rosa, Nino Ferraù, Filomena Iovinella, Antonia Izzi Rufo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Teresinka Pereira, Gianni Rescigno, Franco Saccà, Leonardo Selvaggi

della società, ne hanno tratto profonde remunerazioni interiori. Non mi annovero, purtroppo, tra questi eroi e santi, per lo più oscuri e silenziosi, e sono tutt’altro che fiero di non avere avuto abbastanza fede, coraggio, altruismo, grandezza d’animo per entrare a far parte di questa schiera di giusti, la cui potenza di bene potrebbe, secondo alcuni, allontanare o ritardare lo scatenarsi sull’ umanità di collere divine. Tra parentesi, l’ immagine antichissima, “numinosa”, di una divinità in collera appartiene all’ antropomorfismo di una mitologia che sarebbe ormai tempo di lasciarsi per sempre alle spalle, e che va letta in una chiave diversa, come

pregnante metafora del turbamento di un ordine, dello scatenamento di forze negative (quella grande anima religiosa che è il priore di Bose Enzo Bianchi considera, con piena ragione, “perversa” la nozione di un Dio punitore, contraria a quella di un Dio di amore infinito). La sola testimonianza personale, senza dubbio molto limitata e modesta, che sono in grado di riferire a proposito di un’ esperienza vissuta anche da un gran numero di persone, si richiama a una serie di anni, ormai lontani, in cui ebbi ad occuparmi di una persona cara trovatasi in una condizione di demenza da ictus. Forse varrebbe la pena


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che ne scrivessi, una volta o l’altra. Avrei dovuto farlo a caldo, subito dopo gli eventi, quando era cocente l’intensità delle emozioni, e mi sentivo (lo fossi rimasto!) come rigenerato dalla sacralità dell’amore che sembrava dare senso (forse davvero lo dava) all’apparente assurdo; chissà che un inviato celeste non mi sia restato tacitamente accanto nei momenti più delicati. Queste considerazioni sono sopraggiunte mentre rileggevo il drammatico Soliloquio di Benedetto Croce, ormai alle soglie del trapasso, che invitava a continuare il lavoro sino all’ultimo istante in cui fosse possibile, e riflettevo sull’importanza dell’operare, per chi, pur avanti negli anni, è in condizione di farlo. Questa riflessione ha finito per richiamare l’idea del valore, in una prospettiva cristiana, dell’esistenza anche di chi non è in condizione di operare. Siamo al polo opposto della spietata costumanza del Monte Taigeto, dove venivano esposti i nati spartani non fisicamente perfetti, e perciò mi pare giusto che nessuna impronta vitale della presenza di Sparta sia rimasta nell’anima anche “ateniese” d’Europa (il nazismo, che mise in opera principi analoghi, nella coscienza europea fu solo un bubbone malefico, speriamo estirpato per sempre). Croce credeva nel senso e nel valore del suo tenace lavoro di continua revisione di pensieri e di scritti altrui e propri. Era il suo modo di realizzare una vocazione senza dubbio cogente e irriducibile, di inserirsi nel dialettico fluire della storia che si fa. Se siamo gente di studi e di penna, - molto lontani ahimè dall’arduo ma infallibile cammino di santità di un Cottolengo, di un Don Orione, di un Abbé Pierre - e operiamo non in luoghi di sofferenze umane, ospedali, carceri, bassifondi, ma in tranquille aule e biblioteche, per darci un po’ di ossigeno rileggiamo le appassionate parole di Fichte. Parole che oggi sarebbero fuori moda, e magari oggetto di stupida ironia, dell’ironia impotente e astiosa di chi è senz’ali nei confronti di chi è capace di volare. Ragione di più, ai miei occhi, e alle mie orecchie, per

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amarle. Per ridirle a voce alta: “Io sono un anello necessario d’una grande catena che si prolunga infinita a cominciare dallo sviluppo del primo uomo sino alla piena coscienza del suo esistere” (c’è dunque una continuità culturale non meno travolgente di quella biologica). Rispetto a quanti hanno lavorato per il sapere, a quelli noti e a “quei molti i cui benefici sussistono senza il loro nome”, io “posso riprendere il loro lavoro al punto in cui essi furono costretti a interromperlo, posso recare più vicino al compimento il tempio che essi dovettero lasciare incompiuto. So bene che anch’io dovrò interromperlo, ma se è mia destinazione assumere quel compito, io non posso mai cessare di operare e, quindi, non posso mai cessare di essere. Ciò che si chiama morte non può spezzare la mia opera. Poiché la mia opera deve esser finita e non può esser finita nel tempo, perciò in nessun tempo è circoscritta la mia esistenza. Con l’assumermi quel compito ho afferrato l’eternità”. Quante volte ci viene fatto di dubitare del significato del nostro lavoro. Alla nostra età il tempo che ci è ancora concesso sembra che voli e prema sempre di più. Utilizzarlo, questo scorcio, per raccogliere in saggi critici idee elaborate e maturate via via nel corso degli anni ha senso? Me lo sono chiesto anche in altre pagine recenti. Dopo macerata esitazione, risponderei di sì, anche perché troppo mi rattrista disperdere nell’ottusità vorace e spietata del nulla tanta messe, tanta esperienza. Direi, per cominciare, che conta anche come lo si fa, quel lavoro. Con amore, anzitutto. I cibi preparati con amore nutrono meglio. Una casa curata con amore è più accogliente. Forse non sarà del tutto vero. Tuttavia è bello, è ricchezza di vita immaginarlo. Un insegnamento irradiato con amore, con ben esercitato amore della disciplina insegnata, con amore verso i destinatari, è fecondo. Conta anche perché lo si fa, questo nostro affascinante lavoro di interpreti. Per concedere spazio, orizzonte, respiro, a grandi testi


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di poesia, che sono portatori di ondate e raffiche di esistenza; per offrire ad essi, nel massimo possibile rispetto della loro verità intenzionale, occasioni di vita, di quella vita seconda che è l’ ospitale e attenta ricezione comunicativa. Per entrare in un universo di linguaggio, di comprensione e comunicazione. Con amore, ho detto sopra. Per amore, qui dico. Amore di vita e di bellezza. Atto di riconoscenza verso la vita. Da offrire, ogni volta. alla Divinità, come un celebre danzatore indù, Uschwall Bole, disse di fare ogni volta che si apprestava a presentare al pubblico un saggio della sua arte. Nel nostro interpretare sgorga, e si va costruendo e precisando, un sentimento del vivere, che arricchisce chi scrive e potrebbe arricchire anche, perché no?, qualche lettore, magari giovane, che desidera credere nella vita e nella poesia. Cerco sempre, scrivendo interpretazioni letterarie, di immaginare uno sperato lettore giovane che sfoglia le mie pagine, e vorrei parlarne con lui, spiegare perché ho scritto certe cose e perché le ho scritte in quel modo. Anche le pagine interpretative hanno una propria storia e una motivazione storica in cui acquista senso e sapore la “vita seconda” della loro ricezione e fruizione. Aveva ragione Leo Spitzer quando diceva che uno studioso anziano dovrebbe raccontare la storia del proprio itinerario. Quando ho provato a farlo ne ho ricavato non già (almeno lo spero!) un compiacimento narcisistico, ma la gioia vitale di rievocare, conferendo struttura e senso, e partecipata verità, a momenti di storia culturale. Gioia, credo, pienamente trasmissibile, con la sua vissuta storicità, ad ascoltatori o lettori giovani. In ciò lo studioso anziano, e soltanto lui, può rendere testimonianze insostituibili. Emerico Giachery L’ALBERO E L’UOMO C’illudiamo che l’albero sia triste quando perde le foglie ad una ad una,

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ma esso invece non ha pena alcuna e le sconfitte sue muta in conquiste. Pur se spoglio riposa e fa provviste di forze e linfa per miglior fortuna e riavrà la sua chioma verde bruna ad ogni april che lo rinnova e assiste. Ma solo nostra è la tristezza vera poiché solo l’inverno della vita non dà la mano ad altra primavera. Ci resta una speranza tuttavia: che sulla nostra polvere svanita lampada eterna splenda la Poesia. Nino Ferraù Da: Immagine azzurra - Edizioni G. B. M., 1987.

APRILE Come giganti al suolo incatenati posano i monti. Chiaro si distende il meriggio d’aprile. Un nuovo sole filtra tra bianche nubi. E tu che vieni, attraversando secoli d’assenza, amica, com’è dolce la tua voce che varca profondissimi silenzi, che chiama da universi senza nome. È cieco il tempo. Ma se un lieve volo bussa alle porte del tuo cuore, ardita rinasce la speranza. Inventa giorni, suscita volti. Ancora una canzone in te perduta torna. E sei la stessa di quel che fosti. Sempre vicini gli anni, disperdi malefizi, leghi il drago, spezzi l’ali alle Furie. Io qui ti attendo, nell’ombra del mio nulla. Cade l’ora su riviere di perla. Si dirada la nebbia sulle alture. La leggenda ritorna che ci crebbe e ci condusse per illimiti aurore. Come allora ancora ci sorregge e ci consola. Inventa nuove favole per noi. Elio Andriuoli Napoli


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L'ANIMA È UN MISTERO NECESSARIO... di Luigi De Rosa

E mi rivedo per le strade andare...” (Così l'incipit di una mia poesia). Per tante strade di tante città diverse, nelle più varie circostanze di vita. Con il mio cuore ferito fin dall'infanzia per la separazione dei miei genitori e la perdita, per me irreparabile, di mia madre. Con il mio cuore ultrasensibile, sempre avido di amicizia e di amore. Più di darne che di riceverne. Con la mia anima affamata di Bellezza e di Chiarezza. Avida (nell'ingenuità dell'adolescenza e della giovinezza) di svelare i segreti e i misteri della vita. Instancabile nell'offrire solidarietà e conforto nelle più varie condizioni di solitudine o addirittura di isolamento (“Non c'è altra difesa che l'amore !”). Prima nelle multiformi città in cui ho vissuto al seguito di mio padre, cui ero stato affidato da parte del Tribunale. In una compagnia relativa, sporadica, perché lui era rappresentante di commercio, sempre via, con l'abbonamento all'intera rete ferroviaria, da Palermo

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a Zara. Io intanto andavo a scuola, e manco a dirlo studiavo come un matto. Non tanto per primeggiare, ma per sincerissima sete di conoscenza. Su una pagellina di allora, la scritta a mano in bella calligrafia : “ Ragazzo volenterosissimo”. Le elementari in minima parte a Napoli, dove sono nato ma non ho vissuto la mia vita. Il resto ad Artegna (Udine) dove eravamo sfollati fuggendo dai terrificanti bombardamenti anglo-americani sulle città. Poi scoprimmo che il paese pullulava di soldati tedeschi, mentre sulle montagne, tutt'intorno, erano appostati i partigiani... Poi la scuola Media a Milano. Il ginnasio e il Liceo Classico a Loano e Savona (Gabriello Chiabrera). La laurea a Genova, seguita dall'abilitazione ministeriale all'insegnamento di Filosofia, storia, psicologia e pedagogia, a Padova. (“Bei sogni azzurri dei vent'anni...”). Sento che è la Liguria che mi ha formato davvero per la battaglia della vita, in connubio col mio temperamento e sangue di uomo del Sud. Una delle mie sillogi, Approdo in Liguria, con prefazione di Maria Luisa Spaziani (Gènesi editrice, Torino) reca proprio la mia dedica affettuosa alla regione che mi si è rivelata il vero punto di partenza (e il punto d'arrivo...) della mia navigazione poetica... Poi, nei vari centri dove mi avrebbe portato il lavoro per il Ministero della Pubblica Istruzione. Dopo alcuni anni di insegnamento, la vincita di un Concorso ministeriale nazionale e l'ingresso nella carriera direttiva prima e dirigenziale poi, fino alla nomina a provveditore agli studi titolare a Trieste, poi – nel giro di una ventina d'anni – ad Alessandria, a Torino, Savona, Bergamo, e a Genova come Sovrintendente scolastico regionale per la Liguria. Quante amicizie personali, quante collaborazioni scolastiche e letterarie con Docenti e Presidi Poeti, Scrittori, Editori... Poi un giorno la pensione, per limiti di età. E il concentrarsi di tutte le energie solo sulla Letteratura e sull'arte, e su coloro che le praticano. Tutto il mondo del passato viene visto con altri occhi, a più ampio raggio. Del resto, tut-


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to cambia intorno a noi, in ogni campo, senza sosta, e non possiamo non cambiare anche noi. Viene in mente la durée, la durata, del filosofo Henri Bergson, che ha ispirato, com'è noto, Luigi Pirandello. “... Tutto il mondo del passato – ho scritto un giorno, e lo ribadisco in cui mi osservo camminare ed agire pullula di fantasmi vecchi e nuovi: si muovono, corrono, cadono nell'indifferenza assoluta degli Universi. Eppure ancora mi seduce un solidale sorriso di donna, una miniforesta odorosa, un sonno lieve di passeri condominiali, un tranquillo rumoreggiare di mare...” Ma ciò che mi premeva di dire è che sento consustanziata, in me stesso, la mia anima. Punto di riferimento fisso. Paradigma ineliminabile, nucleo immutabile, essenziale, perché io mi riconosca nella relatività ed imperfezione della mia natura umana. Molto, ma molto di più che la Personalità psichica individuale... Dovunque, nell'avventura di questa vita, è rimasta, sempre e soltanto, l'anima mia, a ricordarmi la rotta nonostante gli innumerevoli cambiamenti di percorso, e le apparenze diverse anche nella fondamentale galleria degli affetti. L'anima mia che è anche, concettualmente, quello spirito che ho più volte sospettato di... non sopravvivenza, ma che ora, in pieni anta, penso sinceramente che sarà l'unico che, nella necessità di cambiare la mia sede una volta per tutte, mi resterà veramente vicino, a tenermi compagnia nella solitudine dell'Eternità. O no ? Luigi De Rosa

NEL MANTO DEI PINI VOCE D’USIGNOLO Vado per viali di prati per sentieri d’ulivi. Incontro vecchi

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lenti a camminare a stringersi la mano a respirare sole. Sembra che se ne vogliano saziare. Forse domani non ci torneranno. Sorridono ai mandorli. Suggono ebbrezza ai fiori. S’accaldano, s’agitano come se avessero mandato giù nettare longevo di prim’uva. Sciolgono tristezze con logori racconti di mare. Muta la tortora accoglie la sera. Nel manto dei pini voce d’usignolo. Ognuno con gli occhi al tramonto ricorda l’amore. Gianni Rescigno Da Sulla bocca del vento, Ed. Il Convivio, 2013.

CONSUNTIVO DI POETA - 1 Ho assaporato un mare di libri, specie di poesia, di poeti grandi e meno grandi (ma veri ), fin dagli anni del Liceo. Di moltissimi ho scritto la recensione, affidandola al vasto gorgo della carta stampata. Ho pubblicato miei libri di poesie, e volumi di saggi, vivendo in sintonia, di volta in volta, con l'anima dei rispettivi Autori. Ho partecipato, volutamente, a pochi Premi Letterari, Qualcuno l'ho anche vinto ( pochissimo denaro, era l'ultima cosa che mi interessava...). Ho avuto tante soddisfazioni, condite di inebrianti delusioni. Ho voluto essere, e vivere, sia da poeta e scrittore che da “uomo normale”. Ho voluto vivere da artista in una Società che li fraintende e li sfrutta succhiandone il miele e poi li butta. Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)


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GIOVANNI GENTILE SCRIVE A ERMINIA NUDI, LA SUA FUTURA SPOSA di Ilia Pedrina

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ENGO a trattare di un testo di recentissima pubblicazione, quasi necessario contributo a delineare il profilo di un giovane studioso siciliano, qui colto nelle sue più intime confidenze ad Erminia Nudi, di Campobasso, la sua futura sposa: lui le scrive, ai primi passi della loro intesa amorosa, dandole le missive a mano, quando si incontrano, per comprensibile timidezza, poi inviandole dai differenti luoghi, dove arriva nel periodo delle vacanze estive, da Castelvetrano, poi da Campobello o da Napoli a quell' indirizzo che ha sempre nel cuore, in Corso Nuovo 8, a Campobasso, dimora dove ha pre-

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so alloggio perché insegnante di Filosofia al Convitto Nazionale Superiore della città. Ecco dunque l'opera: Giovanni Gentile, LETTERE ALLA FIDANZATA 1898-1900, Introduzione di Hervé A. Cavallera, nella Collana Opere complete di Giovanni Gentile, Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici - Serie inediti e rari 4, per le Edizioni Le Lettere di Firenze, in copia anastatica. Così mi trovo di fronte, quasi contemporaneamente alla mia 'Lettera al Direttore', pubblicata nel mese di maggio, in onore di questo gigante della cultura italiana contemporanea, perché meno di un secolo è un soffio nel divenire della storia e della progettazione intellettuale, etica e politica di una Nazione, ad un lavoro di prestigio, stampato in centotrenta esemplari ed il mio porta il numero 113. Le lettere vanno dal 31 dicembre 1898 al 21 novembre del 1900, la scrittura del Gentile, che ha appena compiuto ventitré anni, è chiara e facilmente interpretabile, così colgo subito dalla prima la testimonianza sicura di un sentimento forte e caricato di profondità emozionali coinvolgenti: “CBasso, 31.XII.98 Mia ottima Erminia... ho tante cose da dirti. Tante! Forse è una cosa sola; ma così grande, così potente nell'animo mio, che mi appare immensa e ineffabile. Quando il nostro amore ancor sonnecchiava nel fondo dei nostri cuori, e io, leggendo nei tuoi occhi la tua bontà da angelo, sospiravo quasi inconsapevolmente il momento in cui esso si svegliasse, quasi per punzecchiarlo e destarlo ti venivo raccontando (e ora me ne pento) certe storie di amori passati. E raccontando interrogavo ansiosamente il tuo sguardo, se mai vi sfolgorasse qualche lampo d'amoroso dispetto. Così è che tu, quando un giorno mi confessasti che il mio amore era corrisposto dal tuo, già conoscevi tutta la storia


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dell'anima mia... Ma che amori, buona regina del cuor mio, che amori! Sento ora io che significhi amore... comincio soltanto ora a comprendere questo divino linguaggio dell' anima; e tu mi hai insegnato a capirlo. Sento una nuova vita risvegliarsi dentro il mio spirito; e ne sono infinitamente grato a te che la susciti. Questa nuova vita, questo nuovo mondo mi era ignoto; e tu me ne hai fatto dono. È dono celeste; e proviene dalla celeste bontà, che fu la prima radice dell'amor mio, ed è e sarà il fuoco che lo terrà sempre acceso... Tu stai al centro anche del mondo del mio pensiero, e vi spargi attorno la tepida aura del tuo alito virtuoso e vivificatore. Io mi sento felice! E mi sento ora forte abbastanza per affrontare qualunque avversità, che possa per avventura interrompere il caro idillio di questa nostra vita... Amore mi regna nell'anima; ed esso è gioia sempre e in ogni luogo; non può esser dolore... Scusami della fretta e non sdegnare come suggello a questa prima protesta scritta dell'amor mio un affettuoso bacio dal Tuo Giovanni” (G. Gentile, Lettere alla fidanzata 1898-1900, op. cit. pp. 3-7). Una strategia amorosa sottile, investigatrice, dolcissima, affascinata dagli sguardi di lei che lui scruta ugualmente sospeso nelle aspettative e nei delicati, fuggitivi, silenziosi consensi che intende interpretare: essa sfocia in una sincera dichiarazione d'amore vero, duraturo, che dà gioia, non dolore, proprio perché nella sua radice vi è anche forza per nutrire il pensiero. Ecco perché, in tantissime lettere e con spontanea concatenazione di contenuti, il giovane Giovanni parla del suo lavoro, dei suoi studi, dei suoi scritti in cantiere o già completati, da Spaventa a Marx, da Rosmini e Gioberti al Parini, oltre che dei suoi maestri come Donato Jaja, conoscenti e confratelli di studi, come Salza e Spirito, o studiosi assai abbienti e di livello, come Benedetto Croce a Napoli. Ma non solo! In effetti egli confida alla fidanzata, la sua Erminiuccia, eventi della quotidianità familiare, quando per le vacanze estive va a Castelvetrano: come la grande sofferenza di fronte alla durissima malattia della

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sorella Rosina, una febbre tifoide che sta togliendo speranze in chi la cura, e della quale dà sempre dettagliato resoconto, quasi che stesse conversando con l'amata e qualcuno registrasse, in un vibrare segreto e dai futuri profili di realtà; o come la pudica titubanza nel confidare, soprattutto alla madre, del loro fidanzamento, e quando ciò avverrà tutto si scioglierà tra lacrime di gioia ed un forte lungo abbraccio; o come i penosi e pensosi giudizi sulla situazione sociale e politica degli abitanti delle sue zone che sono infestate dalla malaria e dalla febbre tifoide e sono in pochi a preoccuparsene, così che il suo pensiero va subito al caro fratello Gaetano, morto giovanissimo proprio di tifo; o come il ringraziarla per avergli donato Le confessioni di un Italiano del Nievo, che sta leggendo; o come le altalenanti preoccupazioni per l'assegnazione futura della cattedra d'insegnamento della filosofia che gli spetta per diritto e concorso superato positivamente, in quanto ben conosce le spire delle raccomandazioni e della burocrazia pesantissima ed imperante nella vita della scuola e degli insegnanti in Italia; o come l'ansia amorosa per la salute della sua


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Erminiuccia, che soffre di mal di denti o che lavora troppo come insegnante, anche nel caldo mese di agosto, o che sta dimagrendo perché messa a dura prova dalle circostanze: lui la vuole bella e florida e deve fare lunghe passeggiate con le 'comari' per ricavarne distensione e beneficio concreto. L'Introduzione del prof. Hervé A. Cavallera (pp. 5-38), in sedici sezioni brevi ma illuminanti e ben concatenate tra loro, senza che ne emergano, nella stesura, vuoti o lineamenti a singhiozzo, letta dopo aver concluso il mio appassionato attraversamento di questa testimonianza d'amore e d'intelletto, d'Eros e di Logos ad un tempo, ha il merito di offrire una dotta e coinvolgente supervisione interpretativa di tutto questo percorso epistolare, con ricche note di riferimento e, sopra ogni altro approfondimento, anche coerentemente elogiativo, di aver inserito anche la voce in scrittura, netta, determinata, innamorata, di Erminia Nudi, quasi necessario, sincero controcanto in sintonia con i sentimenti, i progetti, le emozioni e le motivazioni di cui Giovanni Gentile le dava via via prove e rilievi. Cito. “... Da parte sua Erminia ascolta con interesse quello che le scrive il suo Giovanni e gli palesa le sue preoccupazioni, il suo affetto. Anche lei è una donna premurosa e pronta a reggere la casa, disposta a far tutto per quel giovane altissimo e dai capelli a spazzola. Gentile le può scrivere di tutto ed ella è consapevole della valentia del giovane professore ed è disposta a seguirlo ovunque. Un legame esemplare che vincolerà le due esistenze destinate a chiudersi nel medesimo arco temporale. Erminia, che era nata il 3 gennaio 1874, non sopravvive a lungo alla morte (15 aprile 1944) del marito e lo raggiunge il 9 gennaio 1945...” (H. A. Cavallera, Introduzione a G. Gentile, Lettere alla fidanzata 1898-1900, op. cit. pag. XXXVII) Penso alla dottrina profonda acquisita dal Gentile fino ai massimi livelli della cultura italiana, europea, internazionale, punto d'arrivo dell'epoca sua e punto di partenza di quella a lui successiva, fino ai nostri giorni e oltre: queste Lettere alla fidanzata già preannun-

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ciano in tutto il futuro svolgimento di un intelletto assolutamente indipendente da qualsivoglia servilismo, pur accettando talora scelte di cui presentiva la pesantezza storica ed etica ed è quindi doveroso citare, proprio in questa occasione, del resto di differente natura e stile, quanto nel commemorare Giordano Bruno egli ha pronunciato il 20 marzo 1907 presso la sezione della Fnism di Palermo, affinché quel rogo in Campo dei Fiori non venga mai dimenticato e non se ne snaturi il peso e l'obbligatoria eredità etica da mettere in atto, oltre quella della libertà di pensiero: “Ma un altro trionfo egli aspetta: quello che i maestri liberi delle nuove libere generazioni devono celebrare, insegnando con lui, che c'è un Dio da riconoscere nel mondo che ci sta dinanzi e nel mondo che noi facciamo, in tutto ciò che è reale o dev'essere reale per noi, verità della nostra scienza e norma della nostra volontà: un Dio, dunque, che bisogna realizzare con salda fede nella legge della coscienza e nella legge dello Stato” (G. Gentile, citato in G. Turi, Giovanni Gentile – Una biografia, ed. Giunti, 1995, pag. 167). Pare proprio che il giovane Giovanni, bello e intelligente, generoso ed innamoratissimo, siciliano ed italiano ad un tempo, abbia già interiorizzato la tensione di ciceroniana memoria '...quae autem in nostra potestate sint, ab iis fatum abesse...', perché vuole che si capisca bene che una cosa è il 'fatum', ben altra cosa è tutto ciò che è 'in nostra potestate' ! Per questo, poco più che ventenne, è deciso a schierarsi contro ogni interpretazione fatalistica degli eventi e della storia. Allora egli diventa gigante proprio in questo percorso confidenziale, non solo di quotidianità ma già testo dagli orientamenti chiari, filosofici ed etici ad un tempo, che porta la dialettica del dire la verità sui fatti e del metterne in tensione i contenuti, anche per quegli Autori che egli sta studiando e sui quali pubblica i risultati ottenuti, ai vertici dell'ispirazione retorica ragionata, a fianco del prezioso mascheramento protettivo della propria emotività appassionata e sofferente. Ilia Pedrina


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Opera prima di un giovane talento

DI SANGUE E DI GHIACCIO

MATTIA CONTI di Giuseppe Leone

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ON una dedica ai propri genitori e un esergo di John Steinbeck, Mattia Conti, già vincitore del Premio Campiello Giovani nel 2011 con Pelle di legno e due anni più tardi del Premio Prada Journal con il racconto Gli occhi di Malrico, ha pubblicato recentemente, con i tipi della casa editrice Solferino di Milano, Di sangue e di ghiaccio. Un romanzo, a sua detta, scritto a margine di letture dei racconti di Antonio Ghislanzoni; di centinaia di lettere, biglietti, cartelle cliniche negli archivi dell’ex Ospedale psichiatrico Provinciale San Martino di Como; e dell’immagine di una Lecco piena di vita e di colore sul finire dell’Ottocento (331), nel

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quale l’autore racconta le avventure picaresche di un giovane, Ranocchia, che lo vedranno passare da mentecatto nel manicomio di Como ad artista di teatro a Vienna con il nome di Osvaldo Conti. Il tutto nel segno di una provocazione, se sia meglio curare le malattie mentali con il teatro e la magia oppure in manicomio, attraverso un andirivieni di eventi e imprevisti fra artisti da teatro, pazzi e malefȋci che rimbalzano dal manicomio comasco al Teatro della Società di Lecco, e viceversa; e in una scrittura briosa, brillantemente giornalistica, attenta tanto al bozzetto umoristico quanto ai colpi di scena, quale si addice a una narrazione che ha come sfondo Lecco al tempo di Ghislanzoni e degli scapigliati, in cui particolarmente sentito è lo scontro fra arte e scienza, se il primato della conoscenza spetti all’una oppure all’ altra. Già il titolo, prodromico a tutto il testo, contiene un’esplicita connotazione che lascia intuire come il dualismo proprio degli scapigliati detti i tempi di giudizio su tutte le situazioni del romanzo. Ecco, allora, l’autore – mentre, ancora nel prologo, cerca di definire se Ranocchia sia veramente un artista da teatro o meno - iniziare il racconto, partendo da una messinscena di Otello, non proprio fortunata per la compagnia diretta da Baldo Bandini, capo poco comico cialtrone e vagabondo, sia


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per i pochi spettatori presenti, sia per l’ assenza forzata del giovane attore, a causa di una di quelle crisi che l’avrebbero portato alcuni giorni dopo a curarsi in un ospedale psichiatrico; e proseguire, poi, attraverso altre antinomie: la buona maestrina Bianca Gonzalo, anch’essa attrice, e pure essa finita in manicomio e poi evasa, e la perfida infermiera Clementina; lo stimato scrittore e critico Antonio Ghislanzoni e lo scienziato Dottor Lucio, la cui lettera iniziale sembrerebbe rimandare proprio a Lombroso, espressione di una psichiatria tutt’altro che scienza di ricerca e di progresso, ma fucina di idee negazioniste della dignità della persona umana. Tutte queste contrapposizioni, per sostenere che l’arte-terapia, se non superiore, è un’ azione almeno parallela ai metodi della scienza psichiatrica nella cura dei malati di mente. Una tesi, a cui sembrerebbero aderire gli attori di questo romanzo con le messinscene, ora, di Otello, ora, di Orlando furioso, coscienti di utilizzare i personaggi, fossero anche marionette, come “trampolino”, ovvero come uno strumento che li aiuti a capire ciò che sta dietro la maschera. Quello che colpisce, allora, sfogliando le 338 pagine del libro, è come l’autore, puntando su letture così eterogenee e per di più di cronaca locale: da quelle poetico-letterarie di Ghislanzoni a quelle relative ai referti dei matti nel manicomio comasco, all’immagine di Lecco negli ultimi decenni dell’Ottocento, se ne esca con pagine di assoluto valore universale. Per cui, il romanzo è, sì, uno spaccato della vita culturale a Lecco sul finire del secolo diciannovesimo, ma diviene presto una discussione aperta e appassionata su un momento cruciale del panorama culturale italiano e, perché no, anche europeo, in un momento in cui le concezioni positivistiche hanno abdicato a favore di una cultura che la vulgata definisce come decadente, dominata dall’idea che non spetti più alla filosofia o alla scienza il compito di spiegare la realtà, ma all’arte e alla poesia; e che, non lo scienziato, ma l’artista sia, ora, il solo “veggente” in gra-

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do di comprendere la vita e le cose. Contravvenendo ai tanti luoghi comuni che facevano vedere gli attori teatrali come guitti, privi di valori etici e civili, Conti sembrerebbe affidare proprio a essi il compito di mettere a nudo le pecche e le lacune dei manicomi nella cura dei malati di mente. Lo fa, a metà strada, fra storia e metafora: da una parte, raccogliendo informazioni negli archivi del già citato ospedale psichiatrico comasco e dando corpo a personaggi nel segno della verisimiglianza, estranei perciò a qualsivoglia identificazione reale; dall’altra, assegnando all’arte teatrale virtù terapeutiche, fino a candidarla come valida alternativa nella cura delle anomalie psichiche. Un romanzo nuovo, allora, fresco, bello e, perché no, anche giovane, come giovane è il suo autore, cantore delle vicissitudini del protagonista Ranocchia alle prese con un innegabile diaframma tra arte e ego e una dimensione quasi magica e quindi non quotidiana delle vicende vissute. Per cui, se da un punto di vista storico, il romanzo attinge a vicende legate al tema della follia e alle strategie per combatterla nei manicomi in un dato momento della nostra storia, da un punto di vista più strettamente estetico sembrerebbe raccogliere l’eredità di stili vecchi e nuovi in una mescidanza fra improvvisazioni proprie della commedia dell’ arte rinascimentale e certo realismo magico novecentesco. Romanzo storico? Certo. Non si può negare che esso si nutra della mentalità, degli umori, della moda, della cultura in generale del territorio lecchese alla fine dell’ Ottocento, ma il gusto dell’avventura che domina nel testo, unitamente all’ansia di superamento di quelle problematiche da parte del suo autore, lo fa apparire più vicino ai canoni cavallereschi dei poemi antichi, soprattutto quando lo scrittore affida alle peripezie di una compagnia di guitti che si incrociano con quelle del “mondo cupo dei folli” il risanamento dei mali in una regione dell’Italia di allora. Giuseppe Leone Mattia Conti: Di sangue e di ghiaccio - Casa editrice Solferino, Milano - € 18,00. Pp. 338.


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FRANCESCO LEPRINO INTERPRETA LA VITA E LA MUSICA DI

CARLO GESUALDO, PRINCIPE DI VENOSA di Ilia Pedrina

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N melograno tagliato a metà da coltello affilatissimo impugnato con sicurezza, osservato con occhi lucidi, che non si vedono; dita che vi penetrano con forza a massacrarne i chicchi; violenza dello scontro che genera succo color sangue, tanto, che cola: i grani schizzano, quasi cellule ingrandite in sofferenza, mentre l'attore che interpreta Gesualdo, Pasquale D'Ascola, incarna un travaglio che arriva alle radici della visione, dentro l'emozione empatica del soffrire. Questa la scena centrale del lavoro 'O dolorosa gioia', una produzione filmica in DVD senza precedenti, la cui realizzazione va dal 2013 al 2015, per 'Al Gran Sole', in occasione del FESTIVAL GESUALDO 2013 DI MILANO, grazie alla consulenza storica di A. Cogliano e le esecuzioni dell'Hilliard Ensemble, de I Solisti del Madrigale (dir. Giovanni Acciai), l'Ensemble De Labyrintho (dir. Walter Testolin), l'Ensemble Sincronie (dir. R. Rivolta) e S. Cappelletto come voce recitante. Le musiche sono di Carlo Gesualdo, Principe di Venosa (1566-1613), con frammenti musicali, quasi intersezioni in rimando, di Luca Francesconi, Silvia Pepe, Donato Biscione, Gyorgy Ligeti e, nella finzione scenica, con le mirabili interpretazioni di Elena Casoli all'arciliuto, Paul Beier al liuto e Ruggero Laganà al clavicembalo. Francesco Leprino ne cura l'iniziazione, l'ideazione e la regia. Egli stesso sottolinea, nel retro di copertina: “Carlo Gesualdo, Principe di Venosa, uno dei massimi musicisti del

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tardo Rinascimento e di ogni tempo, nipote di san Carlo Borromeo e del cardinale Alfonso Gesualdo, appartenente ad una delle famiglie più in vista del tempo, fu uomo tormentato, omicida per ragioni d'onore della moglie e dell'amante, sposo in seconde nozze di Leonora d'Este, musico eccelso che trascese il proprio tempo... Musica profana e musica sacra s'intrecciano indissolubilmente e costituiscono la rappresentazione delle inquietudini, delle angosce, della disperazione della speranza, del dubbio, dell'attesa dell'al di là di un uomo che vive la crisi esistenziale delle certezze rinascimentali, dell'aristocrazia della seconda metà del '500 e anticipa l'inquietudine e la soggettività dell'uomo barocco...” Il tempo si fonde in contesti di presenze e di assenze che fanno girare la testa, affinché si possa concretamente capire perché si ama senza misura, fino a diventare assassini; perché il pensiero musicale possa diventare l'unica fonte di spasmodico tormento che orienta oltre l'armonia, facendone uscire il privilegio dell'osare, contro ogni legge; perché sia necessitante questo passaggio artistico sulla vita e sulla musica di Carlo Gesualdo. Efficace per chi non conosce ancora questo gigante della musicalità trasgressiva, che invade tutti i sensi e da essi, contorti e flagellati da amore che squassa, fa prender vita e forma ad una originalità compositiva tardo- rinascimentale e già oltre il barocco, cui hanno attinto schiere infinite di musicisti d'ogni tempo. Novanta minuti che fanno accedere ad una iniziazione intimamente collegata con l'abbandono delle norme del dire musica, parole, poesie, fatti e narrazioni che abbiano l'ordine come loro misura: Francesco Leprino è entrato per primo in modo diretto e da musicista, senza cornici e d'altissima scuola, nella vita e nell'opera di Carlo Gesualdo, coinvolgendo con passione tutti coloro che hanno con lui dato vita e forma a questo capolavoro dell'arte filmica contemporanea, che illumina il passato e ne annulla lo iato rispetto a noi, alludendo all'innovazione perenne della capacità d'invenzione e del vibrato che la rende infini-


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ta, arte che dall'aria e dal respiro prende ed avvia il senso alle parole, nella voce e nel canto. Così i suoi madrigali si fanno esperienza; così questa esperienza cancella il peso del sangue, fatto scorrere copioso, e lo sublima; così la memoria intensifica il suo portato e si abbandona all'arte. Gesualdo è pieno esempio di potenza passionale creatrice e distruttiva ad un tempo: perché le passioni tendono così in profondità le corde della mente, del cuore, dell'immaginazione e dei suoi tormentosi progetti che risulta quasi nullo l'opporvisi. Così è accaduto per il giovanissimo Gesualdo, con il dono d'Orfeo nella modalità del comporre lavori rivoluzionari per strumenti e voci ma con a fianco Plutone, dio delle tenebre e della morte, nella giustizia d'onore che regna anche là, nell'oltretomba. Forse non si tratta solo di amorosi affanni che vengono troncati violentemente da una volontà determinata a difendere l'onore della casta principesca, ma di una tensione che vuol farsi intendere piena, totale, sanguinante anche del dolore e della morte provocati fuor d'ogni misura sui due amanti, complici e d'una felicità rubata al silenzio ed all'autentico riserbo. Maria d'Avalos, giovanissima e splendida, già due volte vedova, diviene sua sposa nel 1586; lei, che sa amare; lei, che sa tradire; lei che sa far innamorare fino a che morte non colga i due amanti, annegati nel sangue delle carni lacerate più e più volte, da un lato all'altro delle forme, con impietosa furia. Il duplice omicidio premeditato, di Maria e del suo giovane amante, il duca Fabrizio Carafa, che indossa la sua sottoveste, avviene nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590: le scene che riprendono il processo, attualizzato, sono tutte in bianco e nero, mentre a far da sfondo alla passione riprese d'arte di corpi in viluppo, coloratissime. Tanti i madrigali a cinque voci, intonati ad intensificare l'effetto delle vicende narrate e si cita anche Gioseffo Zarlino, che nel 1573, ne spiega la funzione: il I°e II° Soprano, cattura maggiormente le orecchie di chi ascolta; l'Alto colora ed orna il carme apollineo, ma il Tenore è il Mentore delle voci, la guida dei

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cantanti; il Basso alimenta le voci, le ingrassa ed accresce. Un breve esempio, da ascoltare nella lettura e nello sguardo: “Io tacerò Ma nel silenzio mio Le lagrime i sospiri Diranno i miei martiri Ma s'avverrà ch'io mora Griderà poi per me la morte ancora...” (fonte: 'O dolorosa gioia', DVD di F. Leprino, ed. Al Gran Sole, 2015). Il Tasso stesso, affascinato dalla personalità e dal vigore creativo del Principe, a processo avvenuto, gli scrive il 19 novembre 1592: “Le mando ancora 10 madrigali appresso gli altri, pregando che scusi la povertà dell'ingegno, l'infermità della natura e l'infelicità della fortuna, per la quale, per compiacere a Vostra Eccellenza, mi sforzerò di trasmutarmi in nuove forme...”. Dei 40 madrigali che il Tasso gli invierà, il Principe ne musicherà uno solo. Il lavoro di Francesco Leprino, gestito con competenza intorno al tema ed alla contorta personalità del compositore di Venosa, apre ad una conoscenza della trama di vita e dei suoi risvolti, processo compreso, che spinge la conoscenza oltre i limiti della documentazione, per approfondire individualmente ed in successive tappe di ricerca le differenti e complesse tematiche affrontate nelle 14 sezioni. La musica di Gesualdo Principe di Venosa ne esce vitalissima, caoticamente scomposta e con un suo rigore, ricercato ed inesauribile e ne risulta come protezione interna al dolore stesso e dal dolore stesso nascente, per farsi poi frammentazione armonica in particelle vocali e strumentali tenute a lungo, mantenute come rottura del silenzio e sua articolazione di compromesso. Dall'infinita sofferenza che provoca malattia e disordine di relazione, Carlo Gesualdo si carica di quell' infinito di cui ha bisogno per trarre poi a sé ispirazione e sua concertazione armonica: stasi senza quiete; immobilità in respiro, senza pietrificazione; vigore sorgivo che non annichila. Ilia Pedrina


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IL DEBITO PUBBLICO di Giuseppe Giorgioli OPO aver letto il libro “La casta” ho seguito spesso sui giornali, sui vari dibattiti televisivi e sul web se ci fosse un ripensamento della politica per far sì che gli sprechi venissero limitati al fine di ridurre il debito pubblico. Ma invano! E poi ci si meraviglia del fatto che cresce l’ antipolitica! Di seguito presento vari riferimenti nel tempo (dal 2008 a tutt’oggi) che illustrano come gli sprechi non vengono ridotti e le relative denunce. Gian Antonio Stella successivamente non si è limitato alle denuncie, presentate nel suo libro “La Casta”, ma ha scritto vari articoli sul Corriere della Sera, ha scritto altri libri su queste tematiche, come ad esempio: “Lo spreco. Italia: come buttare via due milioni di miliardi” e “La deriva”. Il Giornale di Vittorio Feltri: in data martedì 18 marzo 2008 esce con il titolo:”Papponi di Stato”. Si descrive come un giornalista di successo Roberto Poletti nel 2006 entri in politica con l’intento di poter fare un po’ di pulizia in Parlamento. Il giornalista Poletti, ormai onorevole, vede in prima persona gli sprechi e i privilegi e li denuncia su vari numeri del Giornale. Il giornalista Mario Giordano pubblica vari libri sugli sprechi della politica e sui privilegi sia in Italia (“Spudorati”, “Sanguisughe”, ecc…) che in Europa (“Non vale una lira”). Nel 2009 io stesso scrissi la seguente mail a Roberto Gervaso per la sua locandina, presente sul Messaggero: Caro Gervaso, tempo fa sull’Espresso uscì un articoletto che spiegava che recentemente il Parlamento ha votato all’unanimità e senza astenuti (ma va?!) un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa 1.135,00 euro al mese. Inoltre, la mozione è stata camuffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali. Stipendio euro 19.150,00 al mese, stipendio base circa euro 9.980,00 al mese, portaborse circa euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o

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familiare), rimborso spese affitto circa euro 2.900,00 al mese, indennità di carica (da euro 335,00 circa a euro 6.455,00) tutti esentasse, telefono cellulare gratis, tessera del cinema gratis, tessera teatro gratis, tessera autobus metropolitana gratis. Francobolli gratis, viaggi aereo nazionali gratis, circolazione autostrade gratis, piscine e palestre gratis, Fs gratis, aereo di stato gratis. E ancora: ambasciate gratis, cliniche gratis, assicurazione infortuni gratis, assicurazione morte gratis, auto blu con autista gratis, ristorante gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto per euro 1.472.000,00). Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in Parlamento, mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (per ora!!!) Circa euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera (ad esempio: la signora Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l’auto blu ed una scorta sempre al suo servizio). La classe politica ha causato al Paese un danno di 1 miliardo e 255 milioni di euro. La sola Camera dei deputati costa al cittadino euro 2.215,00 al minuto!!! Giuseppe Giorgioli g.giorgioli@libero.it Roberto Gervaso mi dette la seguente risposta nella sua locandina atupertu del Messaggero in data 19 marzo 2009: Caro amico, tutto, o quasi (ha controllato bene?), ciò che esce dalla sua penna, cioè dal suo computer, è oro colato. Né potrebbe non esserlo ché la casta la conosciamo, e conosciamo i suoi scandalosi privilegi, le sue inammissibili franchigie, i suoi inauditi benefit, le sue oltraggiose prebende. Non ne possiamo più, anche perché negli altri Paesi dell’Unione europea dubito che i rappresentanti dei cittadini si siano impudentemente e impunemente elargite tante concessioni, alle spalle, sulla testa, con i quattrini di chi li ha voluti. Spesso se le sono elargite senz’altro merito che quello di lecchini o lecconi del Capo o in virtù d’inconfessabili


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maneggi. È ora di dire basta a tanto sconcio, siamo stufi, arcistufi, non ne possiamo più. Non ci vengano a dire o, almeno, non lo vengano a dire a me che non sono arrivato a Roma con la piena del Tevere o dell’Aniene, che anche loro lavorano e il carico di oneri che grava sul loro groppone è spesso ai limiti della sostenibilità. Non è, tanto per essere chiari, ai limiti della sostenibilità. È ai limiti della nostra sopportazione. Il guaio è che se la cantano e se la suonano fra di loro. Se litigano su tutto, su una cosa sono sempre plebiscitariamente d’accordo: nell’assegnarsi nuovi benefici e nuove sinecure, nell’aumentarsi lo stipendio e le indennità, per sé e per i propri portaborse, che sono spesso parenti o amici. Lei mi dirà che tanti miei colleghi hanno messo sotto processo e alla gogna gli arbitrii e l’improntitudine di questi parassiti (l’ ultimo, e il migliore, “Sprecopoli” di quei due assi del giornalismo che sono Mario Cervi e Nicola Porro). È vero, non sarò io a negarlo, io posso solo confermarlo, ma a che cosa, mi dica, a che cosa è servito? Non è, e lo dico con rammarico, con rabbia, con vergogna, servito a niente perché i destinatari non hanno occhi e orecchie per chi li ha votati. I nostri parlamentari, con l’eccezione di pochi galantuomini, sono, come si dice a Roma, dei gran paraventi, che puntano solo a fare ciccia per sé e per i propri cari, sodali, famuli, agit-prop. Per difenderci, per liberarci di loro, abbiamo una sola arma, purtroppo spuntata dall’usura. Ma un’arma che, se estratta e lanciata al momento giusto, cioè, quando si aprono le urne, può ancora metterci nelle condizioni di decidere. Altro da fare non abbiamo. Non dimentichiamo niente, appuntiamoci tutti nel nostro cahier de doléances e, al momento buono, inalberiamolo contro di loro. Non meritano altro. Se faranno orecchio da mercante, bocciamoli alle urne. Finalmente ce ne libereremo ridando dignità alle istituzioni e credibilità ai suoi rappresentanti. atupertu@ilmessaggero.it Successivamente nella locandina di Gervaso del Messaggero del 27 ottobre 2009 Ger-

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vaso risponde ad una domanda di Francesco Degni, di cui ne riporto una parte: Signor Gervaso, il declino dell’Italia procede inesorabile. Basta leggere i giornali. La nostra prima università, quella di Bologna, è al 174° posto nelle graduatorie internazionali; la Sapienza, una volta fiore all’occhiello della cultura italiana, è al 205° posto. La Spagna ci ha superato come reddito pro capite. In Italia, tre milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà. Sfogliando la relazione della Corte dei Conti apprendiamo che: 1. Tra mazzette e consulenze spendiamo sessanta miliardi di euro l’anno; 2. Ci sono nel nostro Paese 5.128 consiglieri di amministrazione che percepiscono uno stipendio di almeno cento volte superiore alla pensione di milioni di persone al minimo…Omissis In sostanza, l’Italia è in declino a causa di una classe politica, di destra e di sinistra, unita e compatta che, assieme ai suoi fiancheggiatori, conta quasi due milioni di persone, che godono di privilegi impensabili in altri Paesi europei, per cui non ci sono fondi per nessuno, soprattutto per le fasce più deboli. …Omissis Questa classe, per disattenzione, o per incompetenza, ha poco tempo per i problemi del Paese. Essa sta distruggendo il più grande patrimonio d’Italia, i “cervelli dei giovani”, che fuggono all’estero sempre più numerosi, dopo che tutti abbiamo sostenuto i costi della loro istruzione. Non è quindi la riduzione del Pil la causa delle difficoltà, ma l’assorbimento di una percentuale di questo Pil da parte della “nuova aristocrazia”. Percentuale abnorme che arricchisce, anche in tempi di crisi, la classe suddetta a scapito di chi non detiene il potere Francesco Degni Gervaso così rispose: Ho riprodotto quasi integralmente la sua e-mail augurandomi che ciò che è uscito dal suo computer sia oro colato. L’Italia è questa, come lei, con dovizia di dati e di percentuali, l’ha rappresentata,


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mettendola sotto accusa. È un andazzo indegno di un Paese civile, ammesso che il nostro ancora lo sia, che fa torto a una Nazione che è stata (pensi al dopoguerra e allo strepitoso boom economico) una grande Nazione. Una Nazione che ora è degradata a greppia e a trogolo, dove i “nuovi aristocratici”, spesso vecchi e plebei, mangiano e grufolano. C’è un limite a tutto questo e questo limite noi l’abbiamo da un pezzo superato… Omissis atupertu@ilmessaggero.it Sul Giornale di sabato 08/02/2014 Cristiano Gatti rileva che grazie ad un trucco i deputati pagano solo il 18% di tasse!! Ho letto sulla rivista “Uno magazine” di aprile 2014 che il responsabile di Demos Ilvo Diamanti, per sostenere le ragioni dell’ indipendenza del Veneto, cita alcuni costi della politica. ”I dipendenti regionali in Veneto sono 2.500, mentre in Sicilia 20.000! Un pasto in ospedale in Veneto costa 6,50 euro, mentre al Sud fino a 80 euro! Sul Messaggero a pag. 11 del 27 luglio 2016 esce un articolo con il seguente titolo: “Rai, stipendi sei volte più alti del premier”. Il Direttore generale Campo dall’Orto guadagna 650.000 euro all’anno! E’ riportata una tabella dove risulta che i circa diciotto del Consiglio di Amministrazione guadagnano stipendi superiori a 300.000 euro all’anno, circa 40 dirigenti e circa 30 giornalisti hanno stipendi oltre 200.000 euro all’anno!! Sul numero 444 del Caffè di Aprile 2018 è riportata una tabella con l’elenco dei vitalizi di 257 ex Consiglieri della Regione Lazio, con importi che arrivano fino a 6.000 euro mensili: più che l’ammontare del vitalizio a mio parere non ritengo accettabile il numero elevato, che ha questo privilegio. Giuseppe Giorgioli (2 - Continua)

UN’ALTRA DIMENSIONE I sogni arrivano quando appaiono le stelle

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e la luna ti accarezza. Col sorriso sulle labbra t’immergi nei ricordi e li culli, donandogli il profumo delle notti odorose di tranquillità. E poi arriva il sogno, soffice come una piuma, candido come i cirri che si rincorrono ad ogni alito di vento; il sogno blocca la realtà e vivi in un’altra dimensione. Tutto appare naturale, segui gli amici, le ore e i minuti in un pathos che continua a martoriarti l’anima anche quando ti svegli e pensi a ciò che hai vissuto nel sembrar tutto vero. E sogni ad occhi aperti ancora per un po’, poi butti via le coperte e abbracci tutto ciò che ti circonda con il cuore che naviga sulle nuvole. Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)

DA CIAMPINOI, m.1560 (Selva di Val Gardena) La linea lontanissima dei monti ora si scopre, ora si nasconde, secondo lievi nubi muove il vento. Circonda questo spiazzo posto in vetta grigia di immobili montagne una corona, maestose e tranquille sotto il sole. Certo paurose sotto un temporale, quando lampeggia, e dopo il tuono giunge la pioggia a raffiche col vento. Ora d’erbe la vetta è profumata mentre di verde è tutta rivestita e tutto intorno tace, ed invita questo silenzio a pensieri di pace. Mariagina Bonciani Milano


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LA RAGNATELA di Antonia Izzi Rufo

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ro fuori di casa, seduta su una sdraio, tra piante verdi, qualche albero e cespi qua e là di fiori vari, a prendere sole, a godere della splendida giornata estiva, sotto un limpido cielo azzurro. Rimossi avevo pensieri e preoccupazioni e in un sereno riposo sostavo rilassata. La bocca atteggiata ad un esile, spontaneo sorriso, gli occhi che a tratti si aprivano per fissare l'aria immobile, sono stata attratta da una ragnatela, poco estesa, sospesa, come un'amaca, tra due rami. L'ho fissata curiosa, ammirata, ed ho esclamato: <<Che bella! E con quale precisione è stata tessuta! Sembra che l'abbia realizzata un ingegnere o un architetto>>. Mi sono meravigliata di me stessa, del mio insolito comportamento, del mio modo di pensare: altre volte, alla scoperta di una tela di ragno, ho provato ribrezzo, schifo, e l'ho subito eliminata con la scopa. Con altri occhi l'ho guardata questa volta: non ho scorto in essa "la sporcizia invadente da eliminare" ma un ricamo bellissimo, fine, preciso, da esposizione. E non mi stancavo di osservarla, resa, essa, ancora più attraente dai raggi del sole che ne attraversavano le maglie e la rendevano magica. Ho rimosso, in quel frattempo, come d'incanto, l'aracnofobia ed ho avuto apprezzamento per i ragni (Per caso l'uomo ha imparato dai ragni l'arte del ricamo? ). Mi sono detta: <<Non è solo l'uomo a possedere l'intelligenza, lo sono, anche se non in egual misura, tutte le creature dell'universo. L'intelligenza, così come la vita che l'ha in sé connaturata, è in tutti gli esseri animati (Ma ciò lo sapevo, non c'era bisogno di 'ribadirmelo'), però nell'uomo c'è qualcosa in più che lo distingue: la ragione. E' proprio grazie alla ragione che egli, "re dell'universo", quando si scontra con esseri irrazionali, riesce a spuntarla, a riportare la vittoria>>. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo -

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TROPPA INFORMAZIONE NESSUNA INFORMAZIONE di Manuela Mazzola

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L saggio di Paolo Pagliaro è un interessante viaggio alla scoperta delle fake news, ossia delle bugie digitali che imperano in rete, ma anche in televisione. “Colonizzato dai social network, il terreno dell'informazione è minato da post-verità. Contano più le bugie […] che il racconto veritiero dei fatti. E' un virus che infetta la rete, l'informazione, la politica – ridotta a comunicazione – e l'etica pubblica.” Paolo Pagliaro, giornalista, è stato redattore capo de “La Repubblica” e vicedirettore de “L'Espresso”. Ha diretto “L'Adige”. Nel 1996 ha fondato l'agenzia giornalistica “9colonne”, di cui è direttore. E' coautore , dal 2008, con Lilli Gruber della trasmissione “Otto e mezzo” per la quale cura l'editoriale “Il punto di Paolo Pagliaro”. L'autore ci introduce nel mondo dell'informazione attuale o meglio della cattiva informazione (disinformation o misinformation), che inizia ufficialmente nel 2006 quando la rivista “Time”, pubblica una copertina con un


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monitor a specchio nel quale c'è scritto “you” (tu); in quel tu ci sono tutte le persone che hanno partecipato all'esplosione della democrazia digitale, usando Internet per diffondere parole, immagini e video e contribuendo così al successo di siti come 'YouTube' o 'MySpace'. Ognuno di noi può fare informazione grazie alla rete. Si inaugura così l'era dell' informazione che passa dai professionisti al popolo della rete. Il declino della verità ha inizio. Secondo Pagliaro vi è un eccesso di informazione sul canale della Rete che è diventato incontrollabile, indipendente e facilmente manipolabile. La realtà sembra sfuggire. Non si distingue il vero dal falso e c'è un abuso della credibilità popolare. Pare che in Italia, inoltre, le bufale siano manipolate con l'intento di generare odio razziale e religioso, indignazione, terrore, ma anche far transitare soldi con gli introiti pubblicitari. “Ciascuno di noi è diventato scrittore, fotografo, editore, comunicatore e lettore. Sicché ora abbiamo molte immagini di auto che esplodono e tir che investono la folla, di naufraghi e fuggiaschi, di torture e impiccagioni, abbiamo gli hurrà di chi vince. Oggi la velocità, l'immediatezza è alla base di ogni cosa, anche dell'informazione, non serve il racconto, la storia vera, l'importante è catturare l'attenzione dell'utente. In Italia, inoltre, afferma Pagliaro, c'è un analfabetismo funzionale, cioè l'incapacità di comprendere, valutare e farsi coinvolgere con testi scritti per interagire attivamente nella società e per far sviluppare le proprie conoscenze. Si interpreta la realtà su idee preconcette ed opinioni prese in prestito. Ma l'autore del saggio è positivo e propositivo perché dà alcuni suggerimenti pratici per far fronte a tutto ciò: bisogna investire sull'informazione di qualità, mettere sanzioni per ogni bufala che non viene cancellata oppure l'antimalware, un app che segnala e avvisa su schermo gli utenti . Il columnist del “Corriere”, Beppe Severgnini ha chiesto ai grandi inserzionisti come American Express, Vodafone, ecc di ritirare

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la loro pubblicità dai siti che falsificano i fatti. Il quadro che ci suggerisce Paolo Pagliaro non è del tutto negativo se le autorità riconoscessero la situazione e dessero un aiuto non solo a chi vuole fare informazione libera e seria, ma anche per gli stessi utenti che non sono in grado di difendersi da una parte della Rete che viene usata per secondi fini, come quelli economici, ma soprattutto per generare odio che credo sia la maniera più infima, subdola e più pericolosa da poter gestire. Manuela Mazzola Punto. Fermiamo il declino dell’informazione, di Paolo PAGLIARO, Editore Il Mulino, 2017.

UNA MUCHACHA Una muchacha Con los senos AL aire Domina la vanidad De los curiosos,.. Al final es solo eso... Una Muchacha con los Senos AL aire. Alexis Abreu Barizonte Nace 27_9-53 en Calabazar, Cuba. Pintor poeta músico. Labora actualmente como instructor de Arte.

IMPLICITA Implicita, la mia arte coperta e scoperta di petali tra il vento e la rugiada nei vicoli bui e solitari su di un palco luminoso e chiassoso e poi, riscoperta dopo tempo nel cassetto antico dei ricordi a notarla, bella ed esplicita come non lo era mai stata nel suo passato remoto, brilla di quell’allora implicito reminiscenza sempre costante nel ritorno di poetica ed io ritrovata nel passato, più che nel presente, modificata, evanescente. Filomena Iovinella Torino


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Sintesi di STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA: DALLE ORIGINI FINO AI NOSTRI GIORNI di Susanna Pelizza

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A Sintesi di storia della letteratura italiana si presenta come un libro unico per l’intero ciclo dei corsi scolastici di ogni ordine e grado, di facile consultazione, accessibile, quindi, allo studente che vuole avere un quadro generale della letteratura in ogni sua fase storica. I periodi sono suddivisi in 5 paragrafi: dalle origini al trecento, dal quattrocento al cinquecento, dal seicento al settecento, dall’ottocento al novecento, da metà novecento fino ai nostri giorni. Essenzialmente costituita da un senso portante, che ne delinea il significato, le epoche possono essere lette e apprese anche da chi non è del mestiere, o da chi è alla ricerca di una “conoscenza globale” sul significato della nostra letteratura, perché deve affrontare un esame universitario, o il dottorato. La sintesi permette di spaziare: l’analisi non si ferma alle singole voci portanti che hanno costituito un periodo. Il dinamismo di una “cultura in movimento” permette di capire che insieme all’Ariosto e al Tasso vi sono “figure minori” ma comunque importanti poiché complici dell’Umanesimo e del Barocco, come G. Stampa, I. Morra, V. Colonna ecc. che parallelamente alle grandi riviste di un periodo come Lacerba, l’Hermes, La Voce ecc. vi è un pullulare di altre meno rilevanti, ma comunque necessarie per la comprensione di quella particolare fase storica. La Sintesi, quindi, si sforza di capire il senso generale della Letteratura; tale generalità potrebbe peccare di mancanza di approfondimento, di esilità nella trattazione, con i dovuti e relativi difetti di brevità. Ma tale giudizio risulterebbe superficiale e dato da una prima e facile lettura. In realtà la Sintesi affronta la Letteratura con la convinzione che essa vada inquadrata nella totalità della sua

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espressione, nella molteplicità delle sue manifestazioni, nella complementarità dei suoi movimenti. Prescindere da questo, dalle voci minori che hanno determinato costituendo un certo periodo, significa uccidere quel senso generale che la genera, limitare il processo di conoscenza che prevede e auspica una “visione globale”, limitare il suo percorso di trasformazione movimento. In un periodo in cui lo stesso concetto di Letteratura sembra minacciato dalle facili comunicazioni dei massmedia e dalle vuote speculazioni dei critici, votate, sempre di più a esigenze di mercato e insufficienti a creare teorie che ne possano garantire la sopravvivenza, la Sintesi propone una base necessaria per ulteriori analisi d approfondimento, essendo un primo, ma non ultimo mattone per la costruzione di svariati e molteplici edifici letterari nati con la coscienza di un perdurare del sapere e da una visione ciclica, Vichiana, che si ripete nel tempo e si caratterizza nel movimento stesso della sua forza dinamica, nella sua continua e inarrestabile trasformazione”. Susanna Pelizza (Dall’Introduzione, op. cit.)

QUASI ADDIO Con voce debole senza l'energia necessaria per dire non è vero né una bugia ma un difficile "addio" con lettere stressate grattarsi la gola, borbottando un "non so" e partendo dal sentiero senza guardarsi indietro. "Arrivederci" è sempre un assalto alla nostra emozione più intima. È come fermarsi nel mezzo della strada non sapendo dove andare. Teresinka Pereira USA - Traduzione di Giovanna Guzzardi, Australia


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LA MAGNA GRECIA di Leonardo Selvaggi

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I sono occupati della Magna Grecia molti scrittori portando chiarimenti su questa regione che tanta influenza ha esercitato sulla civiltà. Importante parlare delle parti geografiche che la comprendevano, del suo sviluppo commerciale e scientifico. Inoltre si mettono in risalto le colonie greche che raggiunsero una certa potenza da superare la madrepatria. Rilevante lo studio antropologico relativo alla psicologia dei coloni greci in rapporto agli antichi abitanti di questa terra, rallegrata da uno splendido cielo, da una natura ridente, che ispirò tanti poeti, creò tanti geni e tanti guerrieri, che diede all'Italia, al mondo una scienza, della quale sono rimaste ferme le tradizioni. Quella antichissima sapienza degli Italiani, che secondo il Vico dava l'impulso a tutto il movimento intellettuale europeo, che divenuta filosofia romana, tutta conforme a quella pitagorica dava vita alla giurisprudenza romana, grande, completa, eccellente da meritare una sorte unica al mondo, da divenire cioè il diritto romano della umanità civile. Sul nome di Magna Grecia, già in uso fin dal IV secolo, ha inciso molto la forte vitalità del Pitagorismo, considerato non soltanto Scuola in cui si discutevano tesi filosofiche, ma anche centro di formazione di legislatori e di uomini di governo. Il nome di Magna Grecia deve essere sorto per opera di uno della regione stessa. Solo l'amore per la grandezza della Patria può far pensare a questa denominazione immortale di Graecia magna. Pare sia stato lo scrittore Aristosseno, filosofo, poligrafo e teorico musicale greco di Taranto. Ha esercitato una forte attrattiva il clima salubre, come il numero degli abitanti. Si parla pure di Graecia maior e magna con riferimento alla regione che va dal seno locrese al Tarantino, piena di città ricche, grandi, fiorenti per cultura. Certamente discordanze ci sono nelle spiegazioni delle origini del nome di Magna Grecia, dato alle poleis greche sorte sulle coste dell'Italia meridionale tra l'VIII e il VI sec. a. C. i cui abitanti erano detti Italioti. Erro-

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neamente esteso anche alle poleis elleniche della Sicilia. Per queste è da escludere il carattere di una vera e propria colonizzazione, la loro esistenza ha avuto piuttosto natura commerciale. La Magna Grecia avrà molto dalla Scuola pitagorica come istituzione scientifica e politico sociale cui facevano parte filosofi, poeti e statisti. Le città della Magna Grecia acquistarono una grande rinomanza per la influenza su di esse esercitata da leggi savie, efficaci e da norme di ordinamento della vita pubblica. Importante, tra l'altro, l'educazione dell'elemento dirigente per quanto riguarda la guida delle masse. Un effettivo e consistente stanziamento di genti greche si ebbe, come si è detto, solo a partire dall'VIII sec. con la fondazione di Cuma in Campania da parte di Calcidesi ed Eretriesi che con gli Achei furono tra i più attivi nell'opera di colonizzazione. Secondo i grandi scrittori Marco Catone, Strabone, Tolomeo, Plinio l'antica Magna Grecia si estendeva dal promontorio di Leucopetra, oggi Capo delle Armi, all'imbocco meridionale dello stretto Di Messina fino a Taranto, lungo le belle coste dello Jonio, fra gli Appennini e il mare. Dal fiume Alece sui confini dei Bruzi fino ai campi salentini. Sorsero Locri Epizefiri, poco a Nord del capo Zefirio, fondata dai Locresi intorno al 700 a. C, Caulonia fondata nel VII sec. e scomparsa nel I, nella cui zona archeologica si trovano tratti delle mura ellenistiche, un tempio dorico, case e la necropoli databile dal VI al III sec. a. C, Scilacio, l’attuale Squillace, Crotone; Sibari, fondata dagli Achei ebbe splendore nel VII-VI sec. Leggendarie divennero l’eccessiva raffinatezza e la mollezza dei costumi sinché nel 510 a.C. fu distrutta dalla rivale Crotone. Turi, colonia panellenica sorta nel 444 per volere di Pericle al posto della distrutta Sibari. Eraclea nell’attuale territorio comunale di Policoro, fondata da Taranto; Siri sul golfo di Taranto, colonia achea sorta nel 700 a.C. fornita di un fertilissimo entroterra, la Siritide tra la foresta di Policoro e il corso del Sarmento, distrutta intorno al 530 a.C. dalle forze riunite di Cro-


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tone, Sibari e Metaponto. Taranto, fondata dagli Spartani, poté affermarsi incontrastata come la maggiore potenza della Magna Grecia nel V sec. quando Crotone cominciò a decadere. Intanto vediamo farsi sempre più grave la minaccia delle popolazioni indigene, Lucani, Bruzi, Messapi, Sanniti. Inoltre !a straordinaria Metaponto. Paestum è l'antica Posidonia fondata intorno al 600 a.C. dai Sibariti. Occupata all'inizio del IV sec. dai Lucani che la chiamarono Paistom. In loro possesso finché i Romani non vi dedussero nel 273 a.C. una colonia latina. Gruppi di esuli dalla Ionia si insediarono poi a Siri e a Elea. Altre città ancora furono fondate, tutte assurte a grande potenza e splendore. Avevamo così otto principali repubbliche con città e regioni distinte: la Locride, la Cauloniate, la Scillettica, la Crotonitide, la Sibaritica, la Eracleotide, la Metapontina e la Tarentina. Sia per i traffici commerciali che per la fertilità del terreno le poleis italiote raggiunsero una grande floridezza. Svilupparono una originale civiltà che, pur essendo essenzialmente greca, si distingueva da quella della madrepatria e manteneva presenti le influenze delle varie culture indigene. Quindi caratteri propri ebbero le Arti figurative, la Letteratura, la Religione, la Filosofia (Pitagorismo e scuola eleatica ad Elea, città sul Tirreno). Italiota fu anche il più famoso atleta greco, Milone di Crotone. Molte le cause che determinarono lo sviluppo delle Colonie greche. Le influenze sono tante che agiscono sui popoli specialmente nelle immigrazioni. Da considerare soprattutto il carattere degli Elleni stessi, quelli che raggiunsero le coste ioniche erano spinti dal bisogno di migliorarsi, poi le condizioni ottimali dell'ambiente colonizzato. I buoni rapporti con i popoli che precedentemente vi abitavano e lo spirito di adattamento. Certamente la lingua e il carattere nazionale dei Greci esercitarono una specie di potenza magica sui popoli che vennero a trovarsi in contatto con loro. Gli antichi popoli della Calabria, i Bruzi, serbarono l'uso del greco, malgrado che la lingua osca si fosse diffusa dappertutto. Lun-

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go la riviera la natura mediterranea, meravigliosa, provvista di golfi, baie, di colline e fertili pianure, numerosi fiumi. I costumi semplici, le tasse moderate, le leggi vigorose permisero alle colonie greche di raggiungere subito prosperità e ricchezza. Tra metropoli e colonia sussisteva una pacifica subordinazione, ognuno si muoveva con una certa libertà, secondo i propri interessi, con buon senso e spirito di collaborazione. I popoli immigrati conservano i propri caratteri, gli indigeni gradatamente si uniformano ai nuovi costumi che presentano certi vantaggi. Si hanno fusione di elementi omogenei, processi di trasformazione e di evoluzione. Una integrazione di forme di vita e di culture, ancora oggi, a distanza di secoli, si tiene viva fra gli abitanti della Calabria marittima. Naturale fierezza, elevato sentimento di ospitalità, l'amore per il bello, l'inclinazione all’ indagine scientifica. La colonizzazione ellenica non è determinata da spirito di violenza e di dominazione. I coloni importavano gli elementi essenziali della civiltà greca. Erano uomini dotati e virtuosi, spinti da alti ideali, nemici della tirannide che imperava nei paesi di origine. Venivano attirati, otre che dalla natura del territorio, dalle situazioni politico-sociali che si adattavano alle loro aspirazioni. Nella Magna Grecia arrivarono spiriti eletti, quali Archiloco, Saffo, Pitagora, Xenofane precursori di Epicarmo. di Pindaro, di Eschilo e di Erodoto. I centri maggiori erano autonomi, animati da sentimenti di patriottismo; gli abitanti dotati di uno spirito acuto di osservazione, rispettosi delle leggi dettate da Zaleuco, legislatore greco di Locri Epizefiri cui la tradizione attribuisce il primo codice scritto del mondo greco, e da Caronda supposto autore delle leggi della natia Catania. Le città che raggiunsero il massimo sviluppo, quelle fondate dagli Achei del Peloponneso. Attorno all'ottavo secolo a.C. le nascenti repubbliche giunsero ad eguagliare se non a superare la floridezza e il potere della loro metropoli. Crotone, Sibari, Caulonia, Metaponto si distinsero per sviluppo economico. A tutti concessi gli stessi diritti di cittadinanza, tutti dominati da spirito di nazionalità, educati


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all'amore per le patrie istituzioni. "Nunc quidem deleta est, tum vero florebat" dice Cicerone nell'opera "De amicitia'". Il periodo aureo a lungo andare cominciò a crollare. Si ebbero la decadenza dei costumi, discordie interne, lotte feroci tra le varie repubbliche. La caduta di Sibari e di Crotone, la guerra contro i pitagorici portarono alla dissoluzione di tutto un passato glorioso. I difetti degli ordinamenti per un certo tempo furono compensati dalla forza dell'unione federativa. Predominava la forma aristocratica che in genere portava ad un accentramento di poteri. Le forme di governo democratico vacillavano, non tutti erano preparati a tale istituzione. Il governo misto, quello dei pitagorici forse era il migliore. Le città italiote vennero assalite e domate da Dionisio. I tiranni ebbero la meglio. I Lucani occuparono Eraclea e Turi. Altre città che si erano conservate indipendenti erano stremate. Roma alla fine annientò le otto potenti repubbliche, assimilando istituzioni, arti, scienze. Tutte le energie accumulate da secoli dalle regioni italiche diventarono forze della Roma eterna, centro del “ foedus gentium", maestra del diritto universale. I Dori hanno lasciato sulle terre della Magna Grecia tracce incancellabili: colonne, are, mosaici, monete, vasi pregevoli. La potente Sibari spenta nelle orge di una vita voluttuosa rimase sepolta sotto le onde del Crati. I resti delle città della Magna Grecia sono documenti di grandezza, ricordano tutta una civiltà, tutto un Pantheon di grandi, la loro sapienza rivive nel pensiero moderno. Leonardo Selvaggi

LE IDEE LIBERE SONO VENUTE I Non più correrò da te come un bambino con le ginocchia rotte a piangere il dolore della caduta. Quel pomeriggio delle esequie al paese d’infinita tristezza avevo molto da dire, sono stato con la testa dolorante, un muro davanti.

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Solo profonda voragine la scomparsa della tua persona; è stato un discorso muto tra singhiozzi a voce inarticolata, fatto nel mio cervello arrovellato, parole e lacrime soffocate insieme. Ormai non ho dove andare, i giorni senza [ fondo, le sere tagliate, mi sento la bocca chiusa. I sentimenti erompenti si fanno a pezzi, più non si riversano nell’ampio cuore di mia madre. Certo si è chiuso il mondo, le partenze sono monche, non hanno i saluti al ritorno. Smantellato pure il vero archivio prezioso, i particolari scavati dalla memoria, non si è smarrita una carta: tutto allineato e conteggiato, mia madre con bella grafia metteva in ordine, annotando quanto riferivo puntuale. E lei ripensa e mi porta le sue riflessioni; rifinitura e aggiustamento alle mie parole, il deciso tocco della sapiente pazienza. II Ho avuto il mio fortino per costruire le idee genuine che dalla immediatezza di sentire libere sono venute. Sono andato risollevato da terra, uno stato di [ decantazione, purificato dalle scorie; lungo tempo ci vuole a capire l’indole subdola degli uomini. Oggi pieno di rabbia, l’orgoglio mi difende la struttura avuta. Mi trovo errabondo entro ferraglie e fatti contorti, ripetizioni ed erbacce. Manca per inquadrare la sua prestezza intuitiva. Mi pensavo che non dovesse mai finire, tutt’una con le pareti di casa, con i mobili e gli oggetti al loro [ posto. Automatizzato il corpo nei movimenti bloccato il ritmo della consumazione. Tanta costruzione, tradizione di fatti e [ricordi, figure ferme di pietra balzano dai racconti vestite linde e chiare, veri significati di vita. Leonardo Selvaggi Torino


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I POETI E LA NATURA – 83 di Luigi De Rosa

D. Defelice - Metamorfosi (particolare), 2017

TEOCRITO (310-260 avanti Cristo) E L'INVENZIONE DELLA POESIA BUCOLICA

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ol poeta Teocrito siamo in piena Letteratura Greca, alle radici della civiltà occidentale. Le notizie sulla sua vita sono vaghe e contraddittorie. Ma di abbastanza certo possiamo dire che la sua vita si svolse fra il 310 e il 260 avanti Cristo, che era nato a Siracusa, e che poi si era recato a Cos e ad Alessandria d'Egitto, riuscendo a trovare nel tiranno Tolomeo Filadelfo quel generoso mecenatismo che non aveva trovato in Ierone di Siracusa. Il mio interesse per Teocrito, e per il suo inserimento in questa rubrica mensile (che dura dal novembre 2011...) nasce da un fatto preciso, quello per cui egli è famoso nella storia della Letteratura perché ha inventato gli Idilli Bucolici e la Poesia cosiddetta Bucolica o pastorale. Lo stesso Teocrito rivendica a se stes-

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so il ruolo di creatore del nuovo genere letterario, quello bucolico, che esalta la Natura, o meglio, il Paesaggio, subito imitato da Mosco di Siracusa e Bione di Smirne, e che avrà tanta fortuna e tanto spazio nella produzione poetica dei secoli successivi in Europa, a partire dal poeta latino (di origine mantovana) Virgilio in poi. Passando, naturalmente, per Giovanni Boccaccio, il Barocco, e l'Arcadia. In realtà questo movimento letterario ha esaltato una campagna puramente immaginaria, abitata da improbabili pastori giulivi che si danno a scrivere e a recitare poesie. Negli Idillii parlano spesso, è vero, pastori, caprai, mietitori, ma si parla di feste campestri nelle quali lo sfondo è rappresentato da una campagna molto rigogliosa, sovraccarica di frutti. La campagna di Teocrito è a tinte forti e “faticose”, soffocata dalla calura, nelle ore in cui il sole trionfa, lungi dalla delicatezza e dalla stremata soavità che troveremo, tanti secoli dopo, in composizioni pascoliane e dannunziane che pur si richiamano alla poesia bucolica. La Natura di Teocrito è ferace, forte, copiosa, traboccante di gusti e di sapori, che richiede al contadino sforzi fisici anche durissimi. Al massimo tali sacrifici possono essere alleviati da gare di canto fra pastori-poeti, o da vicende d'amore e di desiderio. Per un tale concetto di Natura la poesia di Teocrito pretenderà di assurgere a poesia della “Verità”, in contrasto polemico con Aristotele e con la sua teoria della “mimési”, cioè col suo concetto di poesia come simbolo o come imitazione astratta del reale. Si leggano, ad esempio, questi versi di Teocrito: “...Molti sul capo al di sopra di noi s'agitavano al vento pioppi ed ontàni; e vicino la sacra sorgente dall'antro sacro alle Ninfe sgorgava con lieve sussurro. Sui ramoscelli ombrosi le cicale bruciate dal sole senza riposo frinivano, e là se ne stava lontana a gracidare la rana nel folto intrico dei rovi. Cantavano allodole e cardellini, gemeva la tortora,


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bionde volavano in giro presso le fonti le api. Tutto odorava d'estate ben pingue, odorava dei frutti: pere ai nostri piedi, ai nostri fianchi anche mele rotolavano copiosamente, ed i rami a forza piegati dal peso delle prugne scendevano giù fino a terra. (Talisie, VII, 135 e ss.) In questo paesaggio lussureggiante trovano sollievo pastori e mandriani, che spesso intonano canzoni amorose, e le immagini contadine e da stornello popolare nascondono a malapena una tecnica letteraria di prima qualità. La Natura rappresenta per l'essere Umano tanta salute fisica e mentale, e con la sua sincera ruvidezza aiuta l'animo dell'uomo a trovare la sua indispensabile “quiete”: Per esempio, a tenersi lontano dalla pederastia... Nel bukoliasmòs di Simichida, il poeta consiglia vivamente al suo amico Arato di non farsi più tentare e tormentare... dall'amore per i fanciulli: “ Non stiamo più di vedetta dinanzi alle soglie, o Arato, non logoriamoci i piedi: il gallo che canta al mattino

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altri consegni all'addiaccio di queste sgradevoli veglie. Solo Molone schiatti, carissimo, in tale palestra: per noi conti solo la quiete ( asukìa) e una vecchia vicino ci stia che con i suoi scongiuri allontani le cose non belle” Luigi De Rosa

LUNGHI INTERVALLI Con fumo di tabacco mi dimeno a buttare rena nel vulcano dei perché; vulcano fumigante ad alto cono. Ma non ho altra arma per uccidere il tempo. Rocco Cambareri Da Versi scelti, Guido Miano Editore, 1983.

EMPATIA Immobile mattino d'agosto velato di sole intriso di fresco, nel silenzio immerso, sublime! Una tela m'appari, nell'azzurro esposta del cielo, d'un pittore impressionista. Statici gli uccelli in volo nell'aere e le farfalle che frullano in fila e i fiori gli alberi le erbe, i monti i rivi, e una donna, l'anima afflitta, che un punto fissa, d'infinito, statua anch'ella di pietra: l'immagine cerca, dal Nulla carpito, del compagno appena scomparso. Dall'incanto mi lascio fagocitare del Tutto, d'un mondo irreale, eppur vero, d'una tristezza m'avvolgo gioiosa, tenera, idillica, mentre una lacrima l'emozione mi dipinge sul viso. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno, IS


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Recensioni LORETTA BONUCCI ARMONIE NEI GIORNI Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2001. L’armonia è una parola che già in sé contiene melodia, che riconvoca nella mente cose piacevoli, proporzionate, immagini di quadri, il ritornello di una canzone, la pace naturale, i colori dell’ arcobaleno, un accordo musicale, l’equilibrio dovunque si trovi. La poetessa che ha lasciato Milano per Triginto di Mediglia, dove l’armonia, appunto, è più avvertibile e si lascia catturare facilmente, Loretta Bonucci, ha rintracciato le sue eufonie nei giorni che di molto si sono allontanati da lei; giorni ricchi di concerti interiori; giorni sotto l’arco dei mesi e poi transitati, ad uno ad uno, sulla carta per lasciare le proprie impronte successivamente rimarcate dall’estro poetico della Bonucci. La gradevolezza annunciata in questa raccolta è subitanea: il lettore sin dalla prima poesia entrerà nella consonanza giornaliera bonucciana, sfiorando, per così dire, il soffitto del cielo con le sue vetrate al di là delle quali c’è l’incostanza delle nuvole. «Una nuvola bianca/ alta come una montagna/ navigava nel cielo:/ era bella e fragile/ come i miei sogni,/ andava pellegrina/ verso ignote lontananze. » (A pag. 18). Stonature, quindi, non ce ne sono in questa breve ma corposa selezione di versi, che sembrano accompagnare il cerchio solare per tutta la sua ascesa e caduta dietro l’orizzonte, fenomeni antichissimi che scandiscono la venuta e la conclusione del giorno. «E’ sera:/ il cielo è coperto/ di nuvole,/ gli alberi/ si svestono/ della loro veste/ verde./ Un pic-

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cione/ tuba solitario/ sopra il tetto:/ dintorno/ è silenzio:/ è il silenzio/ autunnale. » (A pag. 6). Lo stile della Bonucci quasi stordisce per la sua troppa semplicità, come un mobile d’arte povera così essenziale e pulito nei dettagli, facile da inserire in qualsiasi posto della casa e con qualsiasi altro arredamento dissimile. Oltre al fattore tempo, la vera espressione dell’ autrice, natia di Serravalle Pistoiese, si sofferma su un certo tipo d’eleganza che ha rivestito i suoi trascorsi. Sì, perché l’armonia è anche soprattutto una manifestazione di raffinatezza al cospetto di chi la sa carpire, così come potrebbe essere la varietà degli abiti che possiede la natura nel suo armadio diviso per stagioni. Armonia, come abbiamo accennato all’inizio, è anche canto, quando nel giusto accordo ci sembra di riudire una canzone che, ad esempio, ha contrassegnato un momento bello della nostra esistenza. Una musica scaturita dalla ‘autunnalità’ di settembre, o dalla ‘invernalità’ di dicembre, o dalle trombe dei venti, o dalla trascendenza del Verbo cristiano. C’è una sua lirica a tema religioso che sa di mirabile supplica: « O mio Gesù/ aiutami:/ aiutami/ nel cammino/ faticoso/ della mia vita,/ e non farmi/ perdere la speranza,/ che sei vicino/ a me/ quando sono affranta. » (A pag. 3). Ogni tema trattato da Loretta Bonucci, in questo Quaderno, risulta coeso con le ore della giornata, con i mesi, con gli anni, che in qualche modo contrastano o meglio deteriorano, purtroppo, la bellezza dell’armoniosità. Ma la poetessa dei dintorni di Milano, ha rese imperiture tutte le Armonie dei giorni suoi, con l’eleganza sobria del suo versificare. Isabella Michela Affinito

PAOLANGELA DRAGHETTI GOCCE DI SOGNI Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2006. Esserci, da adulti, nel posto suggestivo dove si narra ancora una fiaba vuol dire che non è scomparsa quella scia di curiosità primigenia, tipica del mondo infantile. Il desiderio di sapere, da bambini, riconoscere le buone azioni dalle malefatte nasce e si fortifica con le leggende, avidamente ascoltate dacché sanno inscenare ambientazioni palpabili ad occhi aperti nel mezzo di un prato o davanti all’ antico caminetto della casa dei nonni. E comunque ogni angolo di casa o della natura si prestava e si presta, a trasformarsi per incanto nel regno di cui si parla nel bellissimo racconto.


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Oggi le fiabe continuano, nonostante il fenomeno audiovisivo e multimediale a cui anche i bambini non sono sfuggiti, a fare pedagogia così da tramandare quella consuetudine che ha avuto il suo inizio allorquando la fantasia ha ‘usato le mani’ per mescolare il mondo medioevale ircocervo – ma già ai tempi di Platone esistevano le novelle allegoriche per i bambini – pervaso da incantesimi, draghi, principesse smarrite nel bosco degli animali parlanti, fate buone e fate cattive, regni di mezzo colpiti da maledizioni a breve o a lunga durata. Il Medioevo è stato un periodo, secondo la maggioranza degli scrittori d’infanzia, che meglio degli altri s’è potuto adattare a fare da sfondo ai racconti fiabeschi, forse per il fatto che per certi tratti è rimasto inesplorato, poiché avvolto nella tetraggine degli avvenimenti barbarici e perché in quel lontanissimo tempo si ebbe l’idea evolutiva di costruire le fortezze, i castelli col ponte levatoio per renderlo maggiormente inespugnabile, e la riservatezza di cui era circondato il fortilizio concesse all’immaginazione popolare l’occasione di girovagare oltre i confini della verità e del tangibile. Ora, anche in questo supertecnologico terzo millennio, la fantasia molto spesso gioca a ricuperare i suoi otto cavalli bianchi per sbizzarrirsi con le trame delle fiabe e la scrittrice poetessa, della provincia di Modena, Paolangela Draghetti, è stata gratificata col 3° premio al concorso letterario internazionale “Città di Pomezia 2005”, indetto a suo tempo dalla redazione del mensile Pomezia-Notizie, per essersi interessata ad incrementare questo genere di scrittura proiettata in versi. Così è nato codesto Quaderno con le sue « […] filastrocche piacevoli e ingenue, garbate e sorridenti, intelligentemente educative. Leggendo queste belle poesiole, indulgenti spesso alla semplice e musicale rima baciata, si immaginano allegri e vorticosi girotondi di bambini spensierati che, senza accorgersi, impareranno a dar valore alla pace, alla modestia, alla amorevole cortesia, alla gratitudine e a tante altre virtù. » (Dalla prefazione di Marina Caracciolo a pag. 2). Sono in tutto otto brillanti racconti composti in forma poetica, che ripercorrono il consolidato fine buono dell’archetipa struttura fiabesca, ossia della fiaba col suo intreccio di personaggi buoni e cattivi, divieti, tranelli, partenze, prove da superare e ritorno dopo la vittoria conseguita, ovvero il bene che trionfa sulle malvagità di ogni genere. Ma queste sono alcune delle cosiddette funzioni individuate, a suo tempo, dallo studioso russo Vladimir Jakolevič Propp (1895-1970) linguista ed etnologo, che si mise ad analizzare l’anatomia della fiaba per spiegare le varie parti che l’articolano, arrivando alla stesura

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del suo giovevole libro pubblicato nel 1928, dal titolo Morfologia della fiaba. Tornando, invece, alle fiabe della Draghetti, i soggetti che appaiono tra le sue righe sono La brocca fatata, Il principe allegro, Il carnevale degli animali, La leggenda del Vino Passito ed altri ancora, tanto per citarne qualcuno e pensati per diventare veri, in carne ed ossa, nell’ambito di drammatizzazioni per ragazzi. Vale la pena riportare un raffigurante stralcio de Le quattro stagioni, composta da quattro strofe alternate di posizione, due a destra e due a sinistra. « […] Dama Estate, coi suoi raggi,/ or cocenti or più saggi,/ delle spighe i campi indora/ ed i frutti li assapora./ Poi, col contadino stanco/ miete indomita al suo fianco,/ e deterge il suo sudore/ con le brezze e il buonumore.// Giunge Autunno, il pittore,/ a ogni cosa dà colore./ Ocra, Giallo, Rosso e Blu/ sono quei ch’ama di più./ Con le brume va pei boschi,/ poi nei tini pigia i mosti,/ coglie l’olio, assai giulivo,/ dalle fronde dell’ulivo. […] » (A pag. 14). Isabella Michela Affinito

MARIA SQUEGLIA TRA MAGIA E MEMORIA Uff. Pubbliche Relazioni della Provincia di Caserta, Anno 2004, Edizione fuori commercio, pagg. 77. Chissà perché la poesia della pittrice poetessa illustratrice croata, Maria Squeglia, possiede la forza di suscitare la sensazione della diafanità relativa anche soprattutto al suo stile pittorico, dove i corpi perlopiù femminili sembrano lasciarsi attraversare dalla potenza della luce, tanto che hanno la carnagione eburnea. Infatti, sulla copertina della crestomazia in questione, appare la mitica Alcesti, la figlia innocente del re Pelia che non partecipò all’uccisione del padre e che preferì morire al posto del marito Admeto. Per questo fu premiata, la sua azione arrivò a commuovere Persefone moglie di Plutone, e rimandata così tra i viventi. L’opera originale è un olio su tela, autentico omaggio alla lirica omonima del poeta di Praga, Rainer Maria Rilke (1875-1926), il quale durante il periodo parigino fu segretario privato dello scultore Auguste Rodin, e della celebre lirica riportiamo il seguente stralcio: « […] Nessun morente più di me, che vengo/ perché tutto, sepolto sotto quello/ che è il mio sposo, svanisca, si dissolva./ Prendimi dunque: prendimi per lui.// Come la brezza che si leva al largo,/ il dio s’avvicinò, quasi a una morta/ e fu lontano subito dall’uomo/ a cui in un breve gesto egli donava/ tutte le cento vite della terra./ Admeto, vacillante, li rincorse/ per aggrapparsi, come in sogno. E loro/


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erano già dove le donne in pianto/ gremivano l’uscita. Ma una volta/ ancora egli le vide il viso, indietro/ rivolto, in un sorriso chiaro come/ una speranza, una promessa: a lui/ tornare adulta dalla cupa morte,/ a lui vivente... […] » (Dal volume Poesie di Rainer Maria Rilke, Giulio Einaudi editore di Torino, Anno 2006, a pag. 29). Diciamo che l’intero corpus poetico della Squeglia è di chiara ispirazione altruistica, esperienziale di nuovi sentimenti, sulla scia del grande gesto di Alcesti che pronunziò uno struggente addio prima di spirare tra le braccia del marito. Ma Alcesti non fu destinata all’Avèrno, Eracle di passaggio tra un’avventura e l’altra, venuto a conoscenza del fatto affrontò Thanatos per restituire Alcesti al marito. Il tragediografo di Eleusi, Euripide, compose l’ omonima tragedia nel 438 a.C. e lei, la protagonista, è rimasta l’emblema dell’amore vero, quello che dà senza pretendere nulla in cambio. « Quando te ne andasti/ Nel cielo/ Fuggivano nuvole/ Di lucente broccato/ Ed il crepuscolo/ Copriva il giardino/ Di pallide muffe.// Restavo,/ Nel mistero dell’ora/ Congelata dal silenzio/ E tastavo l’ombra/ Come il cieco/ Cercando l’eco/ delle ultime parole. » (Da L’addio a pag. 45). La memoria di cui parla l’autrice si riferisce giustappunto all’antichità, dove sono accadute vicende talmente straordinarie che sono sopravvissute nei millenni, fino a noi, e tra i versi della poetessa artista croata, residente a Caserta, si avverte la presenza della madre di tutte e nove le muse, Mnemòsine che fu amata da Zeus, la custode dell’anamnesi, grazie alla quale perdurano i ricordi, il passato, l’ evoluzione artistica e sapienziale, le immagini delle persone care che non ci sono più impresse per sempre nel cuore di chi le ha amate. « Fu dolce, quel tuo/ Volgerti a me,/ Nella deserta sera/ Ebbra di riflessi.// Quel tuo volgerti/ Con lo slancio muto/ E il fremito nel cuore.// Può il tempo camminare./ Ho in me raccolto e chiuso/ Il tuo lucente sguardo/ Che sparge la sua segreta luce. » (Da Quel tuo volgerti a pag. 54). Il volto lunare della mitologica Alcesti, interpretata artisticamente da Maria Squeglia, apre orizzonti nascosti dove non esistono né tristezza né felicità, bensì soprannaturalità rivestita di tutta la cognizione umana, cosicché s’intravede il mondo superiore abitato solo da esseri superiori che non intendono egoismo, vendetta, macchinazioni di ogni genere, limitatezze. « Acque di un mare viola/ Inquieto/ Di arcani sortilegi/ Che sabbie sterminate/ Accendono/ Di paesaggi favolosi.// Idoli tempestati/ Di coralli/ Abitano grotte abbandonate.// Variopinti serpenti/ Svelano scogli insidiosi.// Desideri turbinano/ Allo spazio dei passi.// Rifrange l’aurora/ Un

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abisso amaro.// Astri accendono/ Le prigioni del cuore.// Piccolo è il mondo/ Ai viaggiatori in fuga/ Da una sorte certa. » (Da I viaggiatori a pag. 22). Isabella Michela Affinito

GIOVANNA MARIA MUZZU LA VOCE DELLA SPERANZA Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, Gennaio 2006. È volontà di ognuno, al di là del modello religioso, vivere nella speranza di qualcosa, che avvenga qualcosa per renderci felici e per rendere l’esistenza in generale più accettabile. Sperare è già di per sé un’attesa che riempie la vita perché si pensa al positivo, al miglioramento che parte dal desiderio del singolo per sfiorare confini più grandi, linee di demarcazione collettive. Giovanna Maria Muzzu è una poetessa, diarista, scrittrice originaria della Sardegna ove vi continua a vivere, di preciso a Telti in provincia di Sassari. Ha alle sue spalle numerose pubblicazioni, tra cui sillogi poetiche come Uno scrigno di gemme del 1989, Una cascata di diamanti del 1990, Rosario di lacrime ugualmente del 1989, Sospiri di vento del 1991, Peana del 1992 ed altre ancora. Nel 2004 era stata già inserita in un Quaderno letterario della collana “Il Croco” con una raccolta di sue lettere dal titolo Messaggi dall’alto o dal profondo dell’io?, con la mirabile prefazione della professoressa del nord Marina Caracciolo. Stavolta, invece, la presentazione a questa sua scelta di poesie l’ha redatta il Nostro direttore Domenico Defelice, altrettanto esemplare. Nell’evidenziazione iniziale sta la ravvisata semplicità di cui si nutrono i versi della poetessa sarda; linearità che viaggia sul medesimo binario della fiducia nella volontà del Padre Celeste. Molte sono le liriche nel Quaderno che contengono lo spirito devozionale a Dio e di conseguenza l’augurio di eventi futuri migliori per sé stessa e per il mondo completo, che in fondo rappresenta la cornice del quadro in cui vediamo avvicendarsi i nostri giorni. «Camminare vorrei/ come Gesù/ sulle onde del mare!/ Ma il mio corpo/ è pesante/ e affonderebbe,/ così, mi limito/ a riempir di parole/ un foglio bianco/ con la speranza/ che un domani/ degli Angeli/ possano raccontare/ la favola vera/ della mia vita. » (A pag. 4). Immaginando di poter conferire una sagoma alla fiducia nutrita dalla Muzzu, potrebbe essere essa, ad esempio, un dardo che è stato capace di attraversare cieli persino mitologici, bellezze astratte di epoche lontanissime come la Venere dai capelli d’oro, personaggio accattivante e pericoloso per chi


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rimaneva naufrago nei pressi della sua dimora sulla costa. La sua leggenda si mescola coi fenomeni meno belli del mare e forse è per questo motivo che l’autrice ha scritto Temo il mare perché. « […] Maremoti/ ricordano la collera/ di questo dio/ vecchio e potente/ che col tridente/ infilza l’onde/ che con dolore si scagliano/ sulle coste e seminano/ rovine e morte./ Città fantasma/ ancora noi vediamo/ che la storia ricorda/ come fiorenti/ e di soldati armate. » (A pag. 21). È così che i versi di Giovanna Maria Muzzi vengono simbolicamente scagliati come frecce verso il Cielo, le quali tutte intrise d’ardore s’incendiano per fondersi con l’amore divino, facendo scaturire nuove espressioni poetiche accostate perlopiù ad antichi detti, come Chi si accontenta gode, diventato intestazione di un’altra sua lirica posta verso la fine della raccolta. « Da piccola/ molte volte ho pensato/ chi fossi e come/ in terra capitata./ Intorno a me la vita/ cantando ringraziava/ Colui che un dì mi ebbe/ senza pene e dolori/ partorita./ Ma nel mio cuore/ non c’era gioia/ ma solo morte./ Con lo sguardo piangente/ sfioravo il mio Limbara/ e avrei voluto/ essere come lui/ forte e potente. […] » (A pag. 21). Accomiatandoci da questa selezione poetica, La voce della speranza proseguirà in cerca di altre voci conformi intrise di ottimismo verso scenari inossidabili, dei quali solo chi sta col cuore vicino al Padre avrà piena cognizione. Isabella Michela Affinito

DAVIDE PUCCINI LA STAGIONE DEL MARE Giuliano Landolfi Editore, 2018, € 15,00 La storia della maturazione di un ragazzo attraverso il suo rapporto con un uomo maturo, che appaga in qualche modo il suo bisogno di affetto, costituisce il contenuto del nuovo romanzo di Davide Puccini, intitolato La stagione del mare. La narrazione avviene qui in prima persona, ma non bisogna credere che l’autore parli di sé, dato che nella sua Nota al libro dice esplicitamente che “il romanzo è opera di fantasia e non ci sono riferimenti a persone realmente esistite”. Ciò che invece riguarda la vita reale di Puccini è l’amore per il mare, che egli ha in comune con il protagonista del romanzo, Renato, il quale si reca insieme ai suoi compagni a pescare, facendo la conoscenza delle varie specie di animali marini che abitano le acque da lui frequentate. In quelle acque però agiscono anche dei pescatori di frodo, come Marino, del quale Renato diviene amico e che in

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qualche modo sopperisce per lui alla mancanza della figura paterna, avendo Renato perso il padre in giovane età, in seguito ad un incidente sul lavoro. Essendogli poi morta anche la madre, egli vive con la nonna materna, Marcellina, donna semplice e addirittura analfabeta, ma attaccatissima al nipote, che alleva e fa studiare per offrirgli (anche assecondando il desiderio della madre espresso poco prima di morire) un migliore futuro. l’incontro tra Renato e Marino avviene un giorno per strada, allorché il ragazzo tornava dalla scuola, e non tarda a diventare una salda amicizia, dato che anche l’uomo ha avuto una grave perdita, essendogli morto un figlio dell’età di Renato; e per questo guarda al ragazzo con particolare tenerezza. Iniziano così i loro incontri, durante i quali renato apprende dall’uomo a fumare e a giocare a carte e soprattutto a guardare alla vita in maniera concreta, senza farsi illusioni e senza debolezze. Da Marino Renato apprende anche un senso di maggiore libertà e un più schietto amore per la natura. Tra gli insegnamenti che Renato riceve dal suo nuovo amico vi è anche quello di come comportarsi con le donne; insegnamento che egli mette in pratica, legandosi a una compagna di scuola, che poi diventerà sua moglie. La separazione tra Renato e Marino avverrà a causa di un’altra donna, Angela, la nuova amante di Marino, la quale agisce in maniera da provocare la discordia tra i due. L’amore per Elena, la sua futura moglie, attenuerà comunque per Renato il dispiacere della rottura con l’amico. Ciò che veramente affascina di questo libro è però la magia dello stile, fresco e accattivante, specie nelle descrizioni naturalistiche, come quella che apre il libro: “Da molto tempo non posso vivere senza il mare. D’inverno se il cielo è sereno, riscaldarmi al sole mentre leggo un buon libro, sistemato alla bell’e meglio eppure comodamente su un sedile improvvisato tra gli scogli, significa godere un sostanzioso anticipo di primavera…”. E ancora: “Il vento portava con sé il buon odore del mare. Le onde piccole e uguali lambivano timide la spiaggia e subito si ritiravano. All’orizzonte l’isola mostrava le sue montagne grigioazzurre, dai contorni ineguali e tormentati”. Qui evidentemente il mare la fa da padrone, restando come un motivo di sottofondo; ed è naturale, dato che Puccini il mare lo ha sempre sentito come il suo più caro amico. Anche i dialoghi, molto frequenti in questo libro, sono spontanei e di grande efficacia, così da offrirci mille sfumature dell’’animo dei personaggi, con freschezza e verità. Eventi insoliti, come un’eclissi di sole o un’alluvione disastrosa, come quella che allagò Firenze il 4 novembre del 1966, divengono


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inoltre materia per arricchire la narrazione e suscitare nuovo interesse da parte del lettore. C’è poi lo studio del ragazzo, che a poco a poco diventa uomo, compiuto sempre con sagacia e assidua penetrazione psicologica, che ben vale a darci l’esatta misura delle capacità di narratore di Puccini, che sa creare romanzi compiuti ed avvincenti. L’ultimo incontro tra Renato e Marino, con il quale il libro si chiude, avviene per caso e pone fine a una vicenda che ha avuto molti risvolti, ma che appare esemplare per la sua coerenza e il rigore espressivo che sempre la regge. Elio Andriuoli

ADA DE JUDICIBUS LISENA OMAGGIO A MOLFETTA Presentazioni di Giovanni De Gennaro e Gianni Antonio Palumbo. Edizioni Nuova Mezzina, Molfetta, 2017; pp. 200, s.i.p. (In copertina: Marisa Carabellese, Labirinto di scale, olio su tela). “Gioiosa delle nuvole, compagna degli uccelli”... Più di centocinquanta poesie sono raccolte in questo bel libro di Ada De Judicibus Lisena: un amoroso omaggio a Molfetta, la sua città, ma soprattutto un inno elevato ai ricordi e ai sogni della giovinezza, con quel meraviglioso potere della memoria che tutto dilata, trasfigura e tramuta in mito. Poesia che prende vita e quasi forma pittorica dall’ala azzurra del mare, da irti scogli o sbuffi di vento, da notti quiete e misteriose o da conche di mandorli e ulivi... Nel suo rammentare i passati tempi, Ada ritorna la giovane, snella ragazza che si aggirava per i vicoli stretti del Borgo Antico, per le vie del porto o fra siepi di gerani e gelsomini; fanciulla i cui sogni intatti svolazzavano alla brezza come vele sul mare o panni colorati stesi al sole. Trapuntate da visioni e riverberi lucenti, le sue liriche sono anche un canto appassionato rivolto alla Natura (Io non ho chiese, liturgie: / vibro, mi esalto in te / che assoluta ti manifesti / che chiaramente potentemente vivi, / Natura). Versi che a volte, all’improvviso, si fanno invece racconto, per rievocare usanze antiche o solenni processioni o leggende ascoltate nella casa avita. Una scrittura poetica sempre armoniosa, “limpida e nitida” – come la definisce Gianni Antonio Palumbo nella sua presentazione – più volte animata da un immaginario attinto all’antica Grecia, come il domestico interno con le fanciulle promesse chine su elaborati ricami, che vagamente ci rammenta un passo del carme “Aléxandros” di Giovanni Pascoli, là dove le giovani sorelle del condottiero macedone

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“A tarda notte, fra le industri ancelle, / torcono il fuso con le ceree dita”; oppure la lirica intitolata Settembre, dove l’ultimo fico, dimenticato sul ramo più alto, evoca immediatamente, pur nel diverso contesto, un celebre frammento di Saffo. In questa complessa e sottile filigrana di memorie, in questo trasognato divagare della mente, Ada, un tempo giovinetta, diviene ella stessa mito, favola bella irripetibile e rimpianta, vaghissima fata Loreley che contempla da lungi i naviganti: Acqua salmastra azzurra scorreva nelle mie vene, ero una ragazza marina che giorni abbaglianti viveva sugli scogli alghe intrecciava ai capelli e al largo invidiava le vele. Poi la campagna mi prese mi avvolse come un mallo. E la ragazza-onda che ancora mi oscilla dentro rimpiange l’incanto antico, l’amore quasi tradito oggi quasi rimorso. Una fantasia esuberante e insieme malinconica avvolge i versi della poetessa: una sorta di languore pensoso che può prendere forma nei colori dell’ imbrunire o nell’evanescenza delle nebbie, negli occhi di un bambino che per la prima volta contempla il mare o nel cielo vuoto di novembre, ma anche nella sagoma di una nave lontana, che pare ferma sulla linea dell’orizzonte: Lento crepuscolo al Porto. Sull’orizzonte è ferma una nave; sembra un’isola viola, forse è l’isola sempre lontana l’altrove il luogo sognato che non c’è. Ha una magica luce quest’ora, un’aria che trascolora e scivola nell’irreale. Potrebbe avvenire un miracolo. Ogni poesia di Ada ha visioni diverse, pensieri ed emozioni sempre differenti, ma tutte sembra tenere insieme un filo segreto, un invisibile nastro di seta che le unisce ed intreccia: è il senso dolce e sognante di un mistero pudicamente non svelato eppure palpapile ad ogni pagina, una sorta di tenero incanto, un sortilegio dalla bellezza suggestiva e imperi-


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tura, che come una chiave fatata spalanca i cancelli / e intreccia ellissi di spazio, / gioiosa delle nuvole / compagna degli uccelli. Marina Caracciolo

FRANCESCA ANSELMI IL TEMPO DELLE PAROLE Gazebo Editore, Firenze, 2018 Ciò che caratterizza la poesia di Francesca Anselmi è la perentorietà del dettato, che subito si nota ad apertura di questo suo libro d’esordio, Il tempo delle parole, dove leggiamo versi di sicura incisività, quali: “Immersa nel silenzio mi ascolto” (1); “Nel sonno / resta il respiro” (2); “Tutto tace. / Nessun riecheggio nella notte” (3); ecc. Ma quella di Francesca Anselmi è anche una poesia di assorta meditazione, se in essa leggiamo: “Siamo e saremo / corpo e anima, / sostanza e spirito, / pesantezza e leggerezza” (4); “Muto corpo, / corpo che muta, / che nel tempo trasmuta” (5). E si vedano anche altri versi nei quali s’affaccia il soprassalto di fronte all’enigma del trovarsi “gettati nel mondo”, come direbbe Heidegger, senza sapere il perché, né quale sia la meta da raggiungere: “Non so dire / cosa rincorro ogni giorno, / verso cosa io mi diriga” (7). La poetessa si ascolta e registra i propri sentimenti e le proprie sensazioni che formano il tessuto della propria giornata terrena e ne coglie gli attimi privilegiati, che ferma con leggerezza nel verso: e ciò le dà pace e l’appaga. “Ancora mi ritrovo a rincorrere / un ineffabile desiderio di gioia” (12); “Io che spesso mi fermo / alzo lo sguardo e m’incammino. / Nel mio poco che posso, esisto” (13). Sovente l’Anselmi è “spettatrice” del “mutare” delle apparenze (15), nel continuo gioco della vita e del tempo che si dipana (“osservo la vita che scorre”) e ne percepisce il misterioso fluire (“Sono l’enigma del mio passo / che si ricrea / nell’ignoto di se stesso”, Ivi). “Sono stata questa e quella” scrive l’Anselmi nella sedicesima poesia; e ciò fa ritornare alla mente le parole di Empedocle, il quale in un celebre frammento afferma di essere stato in altre vite una ragazza, un uccello e un pesce (ecc.), seguendo la teoria della trasmigrazione delle anime. E così ella si contempla vivere, vagando senza perché in un universo indecifrabile: “Senza una meta percorro strade, / immersa tra volti e sguardi” (19); e ciò avviene in contrasto con il suo desiderio di pace e di quiete: “Vorrei fermarmi, / vorrei restare / e non andare. // Vorrei non correre / dietro a qualcosa” (20). C’è inoltre nell’Anselmi un’ insanabile scissione dell’io, se può dire: “Tra me e me /

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una somma imperfetta, / … / Se pur resto ferma / le due parti non convergono” (21). Un motivo che sempre si agita in lei è quello dello scorrere incessante del tempo: “Il tempo ci modella, / a suo piacimento ci crea” (24). Ed è nella misteriosa fuga degli attimi che ella si sofferma a meditare sulla vita e sul suo mistero. Ma non soltanto del mistero dell’esistere si nutre la poesia dell’Anselmi, bensì anche dei fatti della Storia, come la Shoah, alla quale ella dedica una poesia perché, come dice in epigrafe, è doveroso “non dimenticare” affinché quanto è accaduto non si ripeta mai più: “Se ometti sarà paura. / Se non ti volti / sarà per timore / di dover ascoltare, / di non poter negare” (26). Un dramma che non può lasciare indifferente nessuno. Talvolta l’assale il dubbio e si domanda se nella sua vita “sia stato più il bene / o il male vissuto” (27) e avverte in lei come “un grido soffocato” (30), mentre “resta l’inquietudine, / prevale la resa” (31). Ella sa comunque che “L’assenza è perdita / una ferita che duole” (33) e si chiede: “Quando tutto questo finirà / cosa saremo?” (36). Ciò che però di positivo l’Anselmi trova al termine della sua ricerca è l’incontro con l’altro da sé, nel quale si rispecchia e che forse la salva, se ella può dire: “Quanto vorrei trovarti / nelle parole” (41) e, rivolgendosi a Mariella Bettarini, soggiunge: “Nella casa del poeta / i muri muovono parole” (42). È nella parola dunque, cioè nel rapporto umano, che l’Anselmi trova il suo compimento ed è nella parola poetica che ella scopre il suo bene. Una prova riuscita questo libro di esordio di Francesca Anselmi che, nel difficile cammino della vita, ha saputo felicemente trovare “il tempo delle parole”. Liliana Porro Andriuoli

LES ROSES Les roses, dans un coin de verdure éclatante, Pour toi semblent s’offrir. Ne leur résiste pas: Et quand tu partiras, effeuille sur tes pas Les pétales neigeux, à la fraicheur tentante. Je veux que mon amour suive le cheminblanc Où le vent portera l’exquise odeur des roses. Alors seul, pour bercer mes heures trop [moroses, Je revivrai nos soirs, assis sur le vieux banc.


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L’ombre sera si bonne à ma tête pensive Que je m’endormirai, le coeur empli [ d’espoir, Grisé par leur arôme au merveilleux [pouvoir, Enveloppant mon corps d’une étreinte [lascive. Paul Courget (Da: Au coeur de la vie – Ed.ac, 2005)

LE ROSE Le rose, in un angolo d’un verde esaltante, Sembrano a te offrirsi; tu per loro ti rilassi: E allorché partirai, dispoglia sui tuoi passi I petali innevati, dalla freschezza invitante. Che il mio amore segua il cammino bianco Dove il vento porterà l’odore sublime delle [ rose... Allora soltanto per addolcire le mie ore [soporose Rivivrò le nostre sere, seduti sul vecchio banco. L’ombra, sulla mia testa pensosa, sarà così [ giuliva Che mi addormenterò, con il cuore [speranzoso, Stordito di profumo dal potere meraviglioso, Il mio corpo avvinghiante in una stretta [lasciva. Trad. Antonio Crecchia

AQUILONI Di nuovo i ragazzi nel vento della primavera lanciano per il cielo i loro aquiloni. Mi ricordo di quelle mie stelle di carta, del tempo ricolmo di gioia sulle verdi colline. Franco Saccà Da: Domenico Defelice - Franco Saccà poeta ecologico - Ed. Pomezia-Notizie, 1980.

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE Lettera a SERGIO MARCHIONNE, nell’agonia della sofferenza e nel coraggio per affrontarla - Noi che abbiamo creduto in te, nelle tue ardite scelte per il bene, che ti abbiamo stimato, in cuor nostro sostenuto in silenzio ma con passione, apprezzato non solo per le straordinarie capacità manageriali e imprenditoriali ma anche per l’autenticità che ci hai mostrato: essenzialità e determinazione quando ci sei apparso sugli schermi vestito di semplicità ed eleganza (con i tuoi maglioni scuri girocollo) proprie dei grandi uomini, insomma per tutto ciò che con parole e azioni ci hai manifestato e comunicato nell’essere Fratello vicino, l’Altro con noi, per noi, molto speciale. Sentiamo il bisogno di sederci accanto a te al desco del calore e della presenza, compagnia amica, stringerti forte la mano. Luciana Vasile 22 luglio 2018 *** FEDERICO HOEFER CI HA LASCIATI - Il poeta, scrittore e giornalista Federico Hoefer è morto a Ragusa giovedì 2 agosto 2018; era nato ad Empedocle 88 anni fa. I funerali si sono celebrati a mezzogiorno del 4 agosto nella chiesa di San Giovanni Evangelista di Macchitella. Abitava a Gela (Caltanissetta) in viale Cortemaggiore, ma negli anni ha fatto la spola tra questa cittadina e Ragusa, dalla quale proviene la moglie, Carmela Ottaviano, e dove, se non erriamo, abitano figli e nipoti. Poeta di taglio tutto particolare, nei cui versi sono cantati amori, sentimenti vari, aspirazioni, angosce,


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amarezze d’ogni genere che la vita riserva a tutti; versi che si distinguono per il fascino del linguaggio e per il racconto esplicito o sottinteso, ricco sempre, comunque, di spiritualità e di valori. La Sicilia perde, con lui, uno dei più riconosciuti esponenti della sua cultura. Hoefer è stato amico - e li ha frequentati - di autori di gran fama come Ignazio Buttitta, Geraldo Bufalino, Sarah Zappulla Muscarà, Leonardo Sciascia e, in particolare, Andrea Camilleri, al quale è stato legato fraternamente fin dall’infanzia. Di questo periodo favoloso tra lui e Camilleri, Hoefer racconta in un recente libro scritto a due mani dai giornalisti Andrea Cassisi e Loredana Scimè: Hoefer racconta Camilleri (2016), tanto apprezzato dal papà del Commissario Montalbano. Tema particolarmente rilevante e felice del poeta Federico Hoefer, a nostro parere, è la natura - il paesaggio, il mare -, che scorre silenziosa quanto turgida nelle vene di ogni isolano ed è lo specchio e l’ingrediente di ogni bellezza. Tra le tante sue opere, ci piace ricordare La terra e il tempo del 1982 - e le due più recenti: Breviario salmastro (2014) e Ludibrio sibi habere (2016). Ci scriveva da Gela il 25 ottobre 1995, a proposito del nostro volumetto Nenie ballate e canti (la lettera, oggi, è nel Fondo Defelice della Biblioteca Comunale Ugo Tognazzi di Pomezia): “…una silloge particolarmente felice ove le tematiche, variegate nel loro complesso, attingono alle esigenze interiori in simbiosi con particolari momenti della quotidianità./Ne scaturisce una poesia-dialogo accattivante, essenziale, coadiuvata da un classico, sotto certi aspetti, che valica il consuetudinario.” Scrittore e poeta conosciutissimo e però ancora tutto da scoprire. (D. Defelice) *** ERRATA CORRIGE - A pag, 28 del n. 8 di "Pomezia-Notizie" il titolo del pezzo di Antonia Izzi Rufo non è "Il lunedì del pesce" ma "Il lunedì del paese". Ce ne scusiamo con i lettori e con l’autrice. “L’errore tipografico - scherzosamente troviamo scritto da qualche parte - è una cosa maligna:/lo si cerca e perseguita,/ma esso se la svigna./Finché la forma è in macchina/si tiene ben celato,/si nasconde negli angoli,/par che trattenga il fiato./Neppur il microscopio/ a scorgerlo è bastan-

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te;/ma dopo diventa un elefante./Il povero tipografo/inorridisce e freme/ed il correttor colpevole/abbassa il capo e geme,/perché seppur dell’ opera/tutto il resto è perfetto/si guarda con rammarico/soltanto a quel difetto”! *** PREMIATA MARIAGINA BONCIANI - Riceviamo la comunicazione che alla nostra collaboratrice milanese Mariagina Bonciani è stato assegnato il primo premio ex-aequo alla 50a edizione del Concorso Letterario Nazionale "SILARUS" per la poesia "TORREMOLINOS". Complimenti! *** È MORTA ELENA CORBELLETTA-COSTA - Il 26 luglio 2018, a Parma, è morta Elena CORBELLETTA, moglie del gioielliere di Torvaianica Ettore COSTA. Entrambi originari del Nord Italia. Ettore Costa è venuto per la prima volta a Torvaianica il primo maggio 1961. Insieme alla Signora Elena - sposata il 20 settembre 1964 - ha aperto la gioielleria in viale Francia il 15 ottobre 1964 e da allora è stato sempre crescente successo. Alla fine degli anni sessanta, ingrandita, la gioielleria si è tra-


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sferita nell’attuale sede di viale Spagna. A distinguerla, sono state sempre, in particolare, la qualità dei prodotti e la cortesia di tutto il personale. Alla gioielleria Costa si è sempre ricorso anche per avvenimenti pubblici di rinomanza nazionale, come il famoso Colapasta d’Oro, organizzato per tanti anni dall’attore Ugo Tognazzi. La Signora Elena è stata sempre presente con la sua competenza e la sua signorilità, stimata e voluta bene da tutti. Il 9 agosto 2018, alle ore 20, nella chiesa di Torvaianica, è stata celebrata in suo suffragio una Santa Messa, con la presenza del Signor Ettore Costa, i familiari e una folla di amici e conoscenti. A Ettore Costa, ai numerosi componenti le famiglie Corbelletta e Costa, le condoglianze della Direzione e della Redazione di Pomezia-Notizie (D. Defelice). *** UNA STATUA IN BRONZO A BENITO JACOVITTI - Mercoledì 8 agosto, a Termoli, lungo il centrale Corso Nazionale-incrocio con via Frentana, è stata inaugurata una statua in bronzo al grande disegnatore fumettista Benito JACOVITTI (1923 - 1997). La città ha voluto così degnamente onorare uno dei suoi figli più illustri, autore di centinaia di personaggi che hanno rallegrato generazioni di giovani e non solo, perché essi hanno rappresentato tutti gli Italiani, con le loro virtù e i loro difetti. Studiare questi personaggi e le loro tante storie, è affondare nelle rughe di tutto un popolo,

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perché Benito Jacovitti ha descritto con la matita e col pennello le stesse caratteristiche degli Italiani illustrate diversamente da attori comici e drammatici come Totò, Aldo Fabrizi, Carlo Verdone, Alberto Sordi, i De Filippo eccetera: personaggi concreti, insomma, non vuote marionette, capaci di dare messaggi forti, di lasciar tracce indelebili nel cuore dei lettori anche se attraverso la battuta (a volte al vetriolo) e la risata. Siamo stati letteralmente innamorati dei suoi fumetti; lo seguivamo elettrizzati sulle pagine de Il Vittorioso, inquieti se il settimanale tardava ad arrivarci. Benito Jacovitti è un artista tutto ancora da scoprire e lo dimostrano gli studi che si annunciano sempre più numerosi. Intanto è necessario citare lo Speciale televisivo dedicatogli da Paolo Mieli; gli scritti e altro di Simona Fasulo (autrice di un documentario con narrazione dell’ attore Giovanni Sorenti); di Goffredo Fofi, già innamorato lettore del già citato Il Vittorioso, settimanale sul quale Jacovitti ha sempre lavorato; Gianni Brunoro, Luca Salvagno (che colorava le tavole del fumettista) e, infine, Edgardo Colabelli, che a Roma ha istituito il Museo Jacovitti. Il personaggio più noto del disegnatore termolese è, comunque, Cocco Bill ed è quello che lo scultore ha voluto immortalare nel blocco Notes sul quale Jacovitti lo sta disegnando. Autore del bronzo è Michele CARAFA, nato a Termoli nel 1972. Dopo aver frequentato il Liceo Artistico Statale di Termoli, ha ottenuto il Diploma in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, in un corso tenuto dal maestro Augusto Perez. Tra i tanti suoi lavori, ricordiamo il monumento alle vittime dell’olocausto che si trova dinanzi alla Chiesa di San Giuseppe Lavoratore di Auschwitz (1998); il Crocifisso bifronte della Cappella della Conferenza Episcopale Italiana; il Monumento al Dolore, nel Convento di San Giovanni Rotondo. Carafa ha prima realizzato in creta la statua di Jacovitti, fusa in bronzo, poi, dalla Fonderia artistica Magnifico di Bari. Il luogo ove il monumento è stato collocato, è in fase di ulteriore qualificazione. Vi saranno istallate, infatti, almeno altre due statue dedicate a cittadini illustri di Termoli. La prima sarà per il prof. Gennaro Perrotta e sarà realizzata dallo scultore Vanni Macchiagodena e la seconda a Carlo Cappella, dello scultore Gianluca Spanu. (D. Defelice) *** TEATRO OLIMPICO DI VICENZA - Conversazioni 2018-71° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza. Franco Laera, già noto ai nostri lettori, ha portato a compimento per il terzo anno consecutivo il suo progetto di rendere in dinamica presa diretta i contenuti che dal passato delle terre dell'Europa Medi-


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terranea arrivano fino a noi, non partendo certo solo dalla Grecia, perché tutti i suoi miti hanno lontanissime radici indoeuropee. Il programma, ben rappresentato in rete, prevede l'esecuzione al Teatro Olimpico, come Prologo a tutti gli eventi, della stupenda opera di Monteverdi Il ritorno di Ulisse in patria, eseguita dal teatro Armonico con la direzione di Margherita Dalla Vecchia (22-23 settembre). Nella progettazione del Laera ecco allora che Robert Wilson sarà a Vicenza, con il suo OEDIPUS (4-6 e 7 ottobre), un'opera concepita sulla traccia della prima esecuzione inaugurale del Teatro Olimpico, avvenuta la sera del 3 marzo del 1585: ad interpretare Oedipus e poi, nello spettacolo Tyresias. The double life of the mantis (Teatro Astra 26-27 ott.), Michalis Theophanous, danzatore e coreografo greco che si interroga sul ruolo di Tiresia, visionario cieco, precursore di eventi che mettono a disagio, e sulla capacità catartica della sua sofferenza individuale, estrinsecata nel dire verità spesso inascoltate. D'eccezionale importanza il doppio ruolo da lui interpretato, di Edipo e di Tiresia, per lasciar emergere la drammaticità del sapere e del fare senza sapere, secondo una invisibile necessità che, se disvelata, sfianca ed opprime. Tra gli altri importanti eventi in programma, da rilevare la novità scenica, esecutiva ed interpretativa del Falstaff di G. Verdi messo in atto da Ivàn Fischer a guida della Budapest Festival Orchestra Opera e il dramma Elettra di Euripide, prodotta da Tib Teatro con la regia di Daniela Nicosia e la traduzione di Caterina Barone, in prima assoluta (2021 ottobre). Questo è l'ottimo risultato d'una sinergia d'intenti e di fondi tra il Comune di Vicenza, la Fondazione del Teatro Comunale e quella di Cariverona. Mi riserverò, dopo gli eventi, interpretazioni ed approfondimenti che andranno ad accendere ulteriori interessi su queste attualissime contaminazioni ed attraversamenti di campi e ruoli, tra danza, recitazione, scena, interpretazione dialettica ed esecuzioni ad intarsio. Ilia Pedrina

LIBRI RICEVUTI TITO CAUCHI - Giovanna Maria Muzzu La violetta diventata colomba - Editrice Totem, 2018 - Pagg. 78, e. f. c.. Tito CAUCHI, nato l’ 11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività professio-

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nali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005), “Il Calendario del poeta” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2015). Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone” (2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Angelone” (2010), “Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (monografia a cura di Gabriella Frenna, 2014), “Profili critici” (2015), “Salvatore Porcu Vita, Opere, Polemiche” (2015), “Ettore Molosso tra sogno e realtà. Analisi e commento delle opere pubblicate” (2016), “Carmine Manzi Una vita per la cultura” (2016), “Leonardo Selvaggi, Panoramica sulle opere” (2016), Alfio Arcifa Con Poeti del Tizzone (2018). Ha inoltre curato la pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha partecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’aperto. E’ incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013), in “World Poetry Yearbook 2014” (di Zhang Zhi & Lai Tingjie) ed in altri ancora; collabora con molte riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ottenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (International Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. E’ presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini, giungo alla quinta edizione (2015). Ha avuto diverse traduzioni all’estero. ** PIETRO NIGRO - I Preludi (dagli “Scritti giovanili)” Volume II (Pensieri - Racconti - Poesie) Prefazione di Francesco Galasso - Cenacolo Accademico Europeo Poeti nella Società, 2005 - Pagg. 58, e. f. c.. Pietro NIGRO è nato ad Avola (Siracusa) l’undici luglio 1939 e risiede a Noto (SR). Ha insegnato Inglese nei Licei. Presente in Dizionari di Autori Italiani, in Storie della Letteratura Italiana e in molte Antologie. Ha vinto Premi importanti e di lui si sono interessati qualificati critici, come Giorgio Bàrberi Squarotti, Leone Piccioni, Lucio Zinna eccetera. Tra le sue opere: Il deserto e il cactus (1982), Versi sparsi (1960 - 1987) (1988), Miraggi (1989), L’attimo e l’infinito (1995), Alfa e Omega (1999), Altri versi sparsi (2001), Riverberi e 9 Canti parigini (2003), Astronavi dell’anima (2003), I Preludi (vol. I, 2003 ?). ** MARIA SQUEGLIA - Tra magia e memoria Testimonianze di Riccardo Ventre, Anna Giordano,


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Giorgio Agnisola - Stampa & CO.,m 2004 - Pagg. 90, s. i. p. ** SIHAM SFAR - Battements d’ailes/Battiti d’ali Introduzione di Giuseppe Napolitano - Edizioni EVA, 2017 - Pagg. 56, € 8,00. Siham SFAR è nata a Mahdia (Tunisia) il 16 maggio 1964. Vive a Hergla. Ha conseguito un Master per l’insegnamento del francese nella scuola secondaria superiore. Ha pubblicato: Luce del sole (2012), Battiti d’ali (2016, da cui è tratta la presente silloge). ** GIANNI IANUALE (a cura di) - Nella Volta dell’Anima - Antologia, Premessa di Gianno Ianuale e Prefazione di Susanna Pelizza; nelle bandelle, nota di Biagio Di Meglio; in prima di copertina, a colori, le foto di Tina Piccolo, Silvio Giudice Crisafi, Francesco Terrone e Livia De Maria; retro copertina, a colori, “Madonna col Bambino”, di Susanna Giannoni; all’interno, numerose foto in bianche e nero e riproduzioni di opere pittoriche di Eli Sammartino - GF Grafica, Srl, San Paolo Bel Sito (NA), 2018 - Pagg. 224, s. i. p. Risultano antologizzati: Isabella Michela Affinito, Don Antonio Arpaia, Maria Bartolomeo, Rita Bongiorno, Mario Casotti, Livia De Maria, Enrico de’ Martino, Silvio Giudice Crisafi, Clara Iorlano Guida, Gianni Lembo, Ausilia Loffredo, Barbara Lo Fermo, Liliana Mamo Ranzino, Anita Marchetto, Livio Nargi, Assunta Ostinato, Tina Piccolo, Paola Mora Medea Sabatino, Irene Saggese, Eli Sammartino, Francesco Terrone. ** RENATO GRECO - Un nuovo aprile - In copertina, a colori, “Un aprile sul mare di Puglia: Polignano a Mare, Bari” - Ed. L’artedeiversi, 2018 - Pagg. 52, s. i. p.. Renato GRECO è nato nel 1938 a Cervinara (Av) e vissuto fino alla maturità classica ad Ariano Irpino. Nel 1955/56 a Matera istitutore del Convitto “Duni”. Dal ’57 al ’67 a Milano dove lavora alla Olivetti di Adriano e dove abita con la moglie dal ’66. Dal ’67 tre anni a Napoli un anno a Firenze e due anni in giro per l’Italia con tappe a Firenze e a Milano. Nell’ intanto si laurea in legge. Dal ’71 a Bari quadro nella filiale di questa città. Nel ’77 è di nuovo a Milano dopo altri periodi a Firenze. Fino al 1987 a Milano quadro marketing centrale. Ritrasferito a Bari va in pensione nel 1992. Ha vinto molti concorsi in Italia e legge poeti del ‘900 presso due Università Popolari a Modugno e a Bari. Redattore della rivista “La Vallisa” dal 1997. Ha scritto più di 46 volumi di poesia, oltre che numerose Raccolte Antologiche, alcune pubblicate anche all’estero. Ricordiamo, per esempio, i volumi dal 2005 in poi: “Barlumi e altro” (2005),

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“Memoria dell’acqua” (2006), “Fermenti immagini parole” (2006), “In controcanto” (2007), “Ma quale voce da lontano” (2007), “Poemetti e sequenze vol. I” (2007), “Di qua di là dal vetro” (2007), “Quaderni palesini - Poesie dell’estate 2001” (2008), “Poemetti e sequenze - vol. II” (2008), “Se con trepide ali” (2008), “Favole per distrarsi” (2009), “”Per scenari di-versi” (2009), “Piccole poesie” (2010), “Inventario” (2010), “Dintorni di Nessuno” (2011), “Contiguità, distanze” (2011), “Vicinanze” (2012), “Un brusio d’anime” (2012), “Colloqui e amabili fraseggi” (2013), “Il vero dello sguardo” (2013), “La parola continua” (2013), “Finzioni e altri inganni” (2014) “Variabili geometrie” (2014), “Mattinali e tramonti dell’opera compiuta” (2015). Autore anche di molti saggi su Salvatore Quasimodo, Vittorio Bodini, Cristanziano Serricchio, Enzo Mandruzzato, eccetera. Tante le antologie in cui figurano sue poesie. Tra i critici che si sono interessati di lui, citiamo solo alcuni: Pasquale Martiniello, Michele Coco, Enzo Mandruzzato, Stefano Valentini, Vittoriano Esposito, Daniele Giancane, Lia Bronzi, Donato Valli, Sandro Gros-Pietro, Renzo Ricci, Giorgio Bárberi Squarotti, Giuliano Ladolfi, Emerico Giachery, Roberto Carifi, Gianni Antonio Palumbo, Daniele Maria Pegorari, Roberto Coluccia, Ettore Catalano.

TRA LE RIVISTE IL CONVIVIO - Trimestrale di poesia arte e cultura fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza Conti - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - E-mail: angelo.manitta@tin.it; enzaconti@ilconvivio.org - Riceviamo il n. 73, aprile-giugno 2018, dal quale segnaliamo: “Giuseppe Manitta: Gli occhi non possono morire”, di Carmine Chiodo; “Carlo Di Lieto e il lato oscuro della mente”, di Emerico Giachery; “Giuseppe Mario Tufarolo: La memoria, Kantana, l’Utopia”, di Angelo Manitta. E poi, le firme, a vario titolo, di: Giuseppe Manitta, Filomena Iovinella, Vittorio “Nino” Martin, Mirco Del Rio, Caterina Felici, Gabriella Frenna, Antonio Crecchia, Loretta Bonucci, Enza Conti (schede dedicate a pittori), Gianni Rescigno, Antonia Izzi Rufo (varie recensioni), Isabella Michela Affinito (recensioni), Giovanna Li Volti Guzzardi (recensione a “Canti per una mamma e altri ancora”, di Mariagina Bonciani) eccetera. Allegato, il n. 39 di CULTURA E PROSPETTIVE (aprile-giugno 2018), di ben 192 pagine, con gli interventi di: Fa-


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bio Russo, Monica Ramò, Rocco Agnone, Claudio Guardo, Guglielmo Manitta, Claudio Tugnoli, Alberto Corigliano, Antonio Crecchia, Domenico Cara, Giuseppe Gianpaolo Casarini, Silvana Del Carretto, Angelo Manitta, Carlo Di Lieto, Massimiliano Pecora, Silvana Serafin, Nazario Pardini, Carmine Chiodo, Lorenzo Rocco, Isabella Michela Affinito, Lucia Paternò eccetera. * ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivista di Lettere e Arte fondata da Giacomo Luzzagni, Direttore responsabile Stefano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - via Chiesa 27 - 35034 Lozzo Atestino (PD) - C. P. 15, 35031 Abano Terme (PD) - E-mail: nuovatribuna@yahoo.it - Riceviamo il n. 131, luglio-settembre 2018, dal quale segnaliamo: “A cosa servono le mani”, di Natale Luzzagni; “Hartmann von Aue”, di Elio Andriuoli; “Giuseppe Garibaldi”, di Pasquale Matrone; “The Canterbury Tales”, di Adriana Porro Andriuoli, “Fernando Pessoa”, di Luigi De Rosa eccetera. Inoltre, firme a diverso titolo di: Laura Pierdicchi, Guido Zavanone, Rossano Onano e, poi, le recensioni di Stefano Valentini. Varie rubriche. * FIORISCE UN CENACOLO - mensile internazionale di lettere e arti fondato da Carmine Manzi, direttore responsabile Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (Salerno) - E-mail: manzi.annamaria@tiscali.it - Riceviamo il n. 4-6, aprile-giugno 2018, sul quale troviamo le firme di molti nostri collaboratori, tra cui: Isabella Michela Affinito, Orazio Tanelli, Antonia Izzi Rufo, Anna Aita, Leonardo Selvaggi, Tito Cauchi. * TRACTION-BRABANT 79 - Diretta da Patrice Maltaverne - Association Le Citron Gare, Appt 245, 1 rue des Couvents 57950 Montigny Les Matz - E-mail: p.maltaverne@orange.it - Riceviamo il n. del 29 giugno 2018, ricca di poesie, prose, disegni. Si invitano i nostri lettori s contattarla e a parteciparvi. A pagina 11, la nostra collaboratrice parigina Béatrice Gaudy traduce un brano sulla poesia del nostro Direttore Domenico Defelice, tratto dal volume L’orto del poeta. Da rilevare, però, è che la copia, in nostro possesso, ha una impaginazione, a dir poco, stramba: Prima di copertina; la seconda di copertina è contrassegnata dalla pag. 49; poi, a seguire, le pagine: 9, 13, 25, 36, 18, 11, 15, 33, 17, 42, 48, 52, 29, 30, 23, 54, 50, 34, 24, 45, 46, 51, 5, 19, 26, 1, 3, 43, 14, 47, 53, 12, 39, 32, 41, 10, 38, 37, 2, 55, 8, 21, 20, 27, 6, 31, 40, 22, 56, 28, 35, 44; la terza di copertina è la pag. 4; infine, la quarta di

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copertina… Un vero rompicapo, insomma. Qualcuno ci darà una spiegazione? * SOLOFRA OGGI - Il Comprensorio: M. S. Severino, Montoro, Fisciano, Calvanico, Solofra, Serino mensile del Centro Culturale Orizzonte 2000, direttore pro tempore Raffaele Vignola. Riceviamo il n. 6-7 del giugno-luglio 2018. Non reca indirizzo postale, né indirizzo elettronico. AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio


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