50ISSN 2611-0954
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Anno 27 (Nuova Serie) – n. 10
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- Ottobre 2019 -
Duecento anni fa, L'Infinito...
RECANATI E LE MARCHE CELEBRANO IL BICENTENARIO DEL FAMOSO IDILLIO DI
LEOPARDI di Luigi De Rosa
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EL 1819, quando scrisse L'Infinito, Giacomo Leopardi aveva solo ventun anni. Era nato, infatti, a Recanati, nel 1798. E sarebbe morto a Napoli (per un attacco d'asma) nel 1837, a soli 39 anni. Lo scrisse nella casa del padre, il conte Monaldo, che era
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All’interno: Gianni Rescigno, Il vecchio e le nuvole, di Elio Andriuoli, pag. 5 Antonio Pigafetta, di Ilia Pedrina, pag. 7 Anime al bivio di Imperia Tognacci, di Antonio Risi, pag. 9 Duan Guang’an, di Domenico Defelice, pag. 11 Domenico Defelice, Le parole a comprendere, di Carmine Chiodo, pag. 14 La casa si è riempita, di Leonardo Selvaggi, pag. 16 Non dimenticare Palermo, di Anna Vincitorio, pag. 19 “Tu, luce tra i miei pensieri…”, di Ilia Pedrina, pag. 22 I Poeti e la Natura (Leopardi e Montale), di Luigi De Rosa, pag. 24 Notizie, pag. 32 Libri ricevuti, pag. 34 Tra le riviste, pag. 35 RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Alla riva del tempo, di Giuseppe Napolitano, pag. 26); Elio Andriuoli (Quando muore un poeta?, di Bruno Rombi, pag. 27); Maria Luisa Daniele Toffanin (Il vecchio e le nuvole, di Gianni Rescigno, pag. 28); Salvatore D’Ambrosio (Camminerò, di Elisabetta Di Iaconi, pag. 28); Liliana Porro Andriuoli (I vuoti del mosaico, di Gianfranco Jacobellis, pag. 29). Lettere in Direzione (Gianluigi Bellin, Vicenza), pag. 35 Giulio e Luigi Ciccarone, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 37 Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Domenico Defelice, Ada De Judicibus Lisena, Patrizia De Rosa, Salvatore D’Ambrosio, Elisabetta Di Iaconi, Francesco Fiumara, Giovanna Li Volti Guzzardi, Manuela Mazzola, Ilia Pedrina, Gianni Rescigno, Franco Saccà, Leonardo Selvaggi, Luciana Vasile dotata di una biblioteca fornitissima di testi al pubblico in Recanati (Villa Colloredo classici. Attraversando il parco, il poeta po- Mels) dal 20 dicembre 2018 in poi. Per l'inteva giungere ad un'altura, un colle, chiama- tero anno 2019 il Comune e la Regione to Monte Tabor (che oggi si chiama Colle Marche celebrano il Bicentenario del manodell'Infinito). scritto con studi, mostre, spettacoli e, in parIl manoscritto di questo capolavoro fa par- ticolare, con un Convegno Internazionale di te di un corpus leopardiano (documenti, ci- studio sul tema l'Infinito. meli etc.) di proprietà della Collezione del Le iniziative marchigiane si inseriscono Museo civico di Recanati e resta in mostra nel contestuale progetto del Comitato Nazionale, i cui lavori sono iniziati il 21 marzo 2019, giornata mondiale della poesia. Sono previste anche traduzioni della poesia in molte lingue, nonché iniziative nelle scuole. Anzi, queste possono contribuire con i loro lavori. La casa editrice Einaudi ragazzi ha dedicato all'idillio una ristampa per i più giovani in un albo illustrato. Leopardi usciva assai di rado di casa, non amando camminare per il “natio borgo sel-
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vaggio”, e passava la gran parte del suo tempo a studiare i testi classici contenuti nella biblioteca del padre. A volte però attraversava il parco, saliva sull' “ermo colle”, e si sedeva davanti ad una siepe di alberi che limitavano la vista del paesaggio. E, sedendo e “mirando” con l'intelletto immaginava (si fingeva nel pensiero...) tutto il resto del paesaggio e tutto quello che proseguiva al di là del paesaggio stesso, senza i limiti impostigli dai sensi). Anche se aderiva alla corrente filosofica del Sensismo, per cui è vero e sperimentabile soltanto ciò che percepiamo con i nostri sensi il poeta di fronte alla magnificenza della Natura anche per la forza immaginativa del suo intelletto, si spingeva assai oltre il percepibile e lo sperimentabile. E veniva colto da un'emozione fortissima, inoltrandosi, con lo spirito, nel regno miste-
rioso dell'Infinito, dimostrando così una sensibilità acutissima, da poeta “moderno”. Proprio partendo dal contingente, dalla Natura, dal Finito, egli superava di slancio l'Illuminismo settecentesco e la concezione meccanicistica della realtà, decisamente oltre l'angusta e asfittica visione della Ragione (deificata dall'Illuminismo) che pretende di spiegare tutto mentre in realtà spiega solo una parte dell'Uomo, della Natura, dell'Universo (figuriamoci dell'Infinito!). Tornando alla composizione “L'Infinito”, Leopardi avrebbe potuto, alla stregua dei suoi predecessori, ricavarne un sonetto con i suoi
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classici quattordici versi, due quartine, due terzine e con tanto di rime. Invece no. Vi ha aggiunto un quindicesimo verso, ha utilizzato solo endecasillabi sciolti, ha eliminato le rime. E ha preferito un linguaggio vago, indeterminato, suggestivo e allusivo. Il linguaggio preferibilmente adottato dai veri poeti moderni che rifuggono dalle definizioni quasi fotografiche, nette, matematiche. Non dicendo tutto di tutto, ma lasciando anche alla sensibile interattività del lettore il piacere di “completare” la poesia a suo gusto personale. Ne è scaturita quella sua celebre composizione sulla quale dal 1826 (cioè da quando L'Infinito è stato pubblicato nel complesso dei Canti) si stanno esercitando studiosi e appassionati con commenti, esegesi, parafrasi (e, ahimè, “spiegazioni” non sempre centrate!) Tendendo a vivisezionarla (a volte in modo troppo formalistico) per strapparne chissà quali segreti, per capire più a fondo possibile la posizione di Leopardi (ritenuto “ateo”) nei confronti della Natura, dell' Universo, del destino dell'Uomo. Ed è noto che nei riguardi della natura Leopardi nutriva un duplice sentimento di amore e di risentita avversione nello stesso tempo. Amore per la bellezza di fiori e piante, animali e corpi celesti ma risentimento per la delusione e il dolore derivanti all'Uomo dal crudele ed inarrestabile scorrere del Tempo, oltre che dalle infermità e deformità. “...Questo è quel mondo? Questi i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte delle umane genti? La natura, per esempio, delude il Poeta quando permette che muoia una fanciulla innocente nel fiore degli anni, quando i sogni e le attese della gioventù vengono spietatamente ingannati dalle trasformazioni nel corso della vita. Con questo atteggiamento dolcemente pessimistico (leopardismo) come è noto il grande Poeta di Recanati ha esercitato e
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continua ad esercitare un potente influsso su generazioni di poeti. L'Infinito “Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.” Luigi De Rosa
HO LASCIATO DIETRO DI ME Ho lasciato dietro di me il pagliaccio imbrattato di farina, l’acrobata, la cavallerizza, le voci, le luci del circo. Ho vergogna dei pochi soldi dati per stordire la noia, per essere un altro. Se mi troncasse la notte avrei questo rimorso. Maschere mi inseguirebbero, risate. Franco Saccà Da Tutto è memoria, La Procellaria, 1957. NON DIRE CHE L’UOMO È SOLO Splendore di plenilunio penetra i rami della quercia grande: magìa di braccia protese dall’alto della collina…
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Chi dice che l’uomo è solo? Se ascolti il respiro del vento, il tuo più intimo anelito si fa natura e un coro di vita s’accende dentro ciascuno di noi come luce d’un Dio che si nasconde. E senti ch’è tuo l’amplesso della quercia grande, senti ch’è tua la luce della luna… Oh non dire non dire che l’uomo è solo! Francesco Fiumara Da Da queste ombre, Rubbetino, 1995.
SARETE IL MIO FUTURO a Riccardo Valerio Leonardo Mattia Non morirò del tutto. Vedrò la luce con i vostri occhi, i colori, le forme, le tante meraviglie strepitose; suoni ascolterò, rumori ed armonie col vostro udito; organi sparsi sulla vostra pelle lo stato mi daranno delle cose, le qualità esteriori, i polpastrelli delle vostre dita per me il pentagramma suoneranno di quel che vi titilla e brama e cuore; sarà la vostra lingua le sensazioni a darmi ed i sapori. Sarete il mio futuro. Alberi voi sarete a porgere frescura alle mie ossa, a coprirmi di odori. Domenico Defelice
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GIANNI RESCIGNO: IL VECCHIO E LE NUVOLE di Elio Andriuoli
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UANDO muoiono i poeti sovente lasciano dei versi ancora inediti, che andrebbero perduti se qualcuno non li riordinasse e ne curasse la pubblicazione. Così è avvenuto anche per Gianni Rescigno, poeta di ricca e limpida vena, il quale, morendo nel 2015, ha lasciato parecchie poesie ancora inedite che Franca Alaimo, su richiesta della moglie del poeta, ha riordinate, secondo “il criterio della “molteplicità tematica”, come ella stessa dice nella sua prefazione al libro, cui ha dato il titolo di Il vecchio e le nuvole. E la scelta è stata quanto mai felice perché Franca Alaimo è a sua volta una fine e incisiva poetessa, che ha saputo trascegliere i testi più riusciti, suddividendoli in sei sezioni, intitolate I poeti; Legami d’amore; Il tempo dell’attesa; La natura; La Fede; Memorie. Poeta dalle molte immagini, Rescigno è un innamorato della vita e della scena del mondo, che continuamente descrive nelle sue poesie con indubbia efficacia. Ecco allora la
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meraviglia che ogni volta desta in lui lo spettacolo della natura: “L’alba al mondo / consegna la luce. / Il merlo sveglia le foglie / bussa alla porta dell’anima” (Il merlo sveglia le foglie, dalla sezione La Natura); “Dondolano a grappoli le mimose / sotto la tramontana di gennaio / … / Già i mandorli festeggiano / il sole che appare e si nasconde” (Mimose a gennaio, Ivi). Ma il suo amore per la vita si rivela specialmente nelle poesie della sezione Legami d’amore, nella quale l’affetto per la compagna dei suoi giorni si manifesta con la veemenza di un giovane che per la prima volta prova questo sentimento: “Hai il volto di ieri / creatura di mattini / in fiore” (Il volto di ieri); “Le carezze ce le regalavamo con gli occhi / i baci nel sonno / con le punte delle dita” (Le carezze i baci); “Avevi addosso / un aroma d’erba cedrina” (Erba cedrina). Non potevano poi mancare tra queste poesie che Rescigno ha lasciate quelle che meditano sul declino della sua avventura terrena, come avviene nella sezione Il Tempo dell’Attesa: “Che pensa il vecchio seduto sul balcone / se vede le nuvole in cammino / spinte dal soffio invisibile del vento?” (Il vecchio e le nuvole); “Mi osservo: / dentro sono primavera, / fuori autunno inoltrato” (Mi osservo). Né potevano mancare le poesie che riflettono sulla stessa arte dello scrivere in versi, le quali trovano largo spazio nella prima sezione del libro, intitolata I poeti. Qui si leggono infatti versi quali: “Se non ci fossero i poeti / non sentiresti danzare le ore. / E i gridi del vento / non sarebbero canzoni” (Le Magie dei poeti); “Ci siamo ancora noi / a scrutare oltre il nulla, / a bussare a porte sconosciute” (A scrutare oltre il nulla). Ed in effetti Rescigno è uno di quei poeti che maggiormente avvertono il mistero della parola che sale dal profondo, per esprimere i più riposti sentimenti dell’animo. Tra questi estremi testi lasciati dal nostro poeta a testimonianza del suo passaggio sul mondo ci sono anche quelli nei quali egli esprime il suo slancio verso l’Eterno e la sua sete del Divino: “Sono vissuto di speranza / con tremiti d’anima e di sangue. / Ho rubato a
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Dio quanto / più cielo ho potuto” (Ho rubato a Dio); “Ricordati di me, Signore, / che per te feci quasi niente. / Non sempre aprii il tempio / del mio cuore e non lo inghirlandai / di rose e biancospini… “ (Salmo 132); “Tu che non conosci notte / né minuti né ore / … / preparaci una capanna / nella tua luce” (Intorno a una sola tavola). Con Memorie il libro postumo di Gianni Rescigno volge al suo termine. Qui la tematica è quella dei ricordi che tornano insistenti alla mente, con la loro magia e il loro tormento: “I venti erano fiumi / in quelle strade impolverate. / Là c’erano le nostre voci / disperse…” (Fiumi di venti); “Cantavano le ragazze / e salivano la montagna: / freddo il viso, bianca la pelle, / piedi scalzi sulle pietre” (Festa in montagna); “Su un poggio di pietre / ti rivedo accanto a me / in Villa delle Anfore, / covo di tortore e di merli” (Villa delle Anfore). Ritroviamo in queste poesie il Rescigno che abbiamo da sempre conosciuto, dalla parola schietta e franca, che nasce spontanea e suasiva dal profondo. La caratteristica della sua voce è stata infatti sempre quella della necessità, senza alcun artificio o volontà di costruire a freddo i suoi testi poetici. È per questo che egli ha saputo cogliere sul nascere le sue emozioni ed è per questo che egli ha saputo ogni volta trasmetterle a noi. Elio Andriuoli GIANNI RESCIGNO: IL VECCHIO E LE NUVOLE (Bastogi, Foggia, 2019, € 13,00)
IL RESPIRO DEL VENTO Sento su di me il respiro del vento, lo stesso che nelle ossa mi penetra, che mi cambia, che mi rinnova. Il respiro del vento che accarezza i prati dove sono nata, che trascina l'amore da un cuore all'altro. Quello stesso respiro che mi porta da un mondo all'altro e che mi fa assaporare la vita. Manuela Mazzola Pomezia, RM
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I POETI E DIO Fate sedere intorno a me tutti gli uomini che si chiamano poeti dirà un giorno Dio. E lento il passo destra al petto di ciascuno segnerà la fronte, ma di pochi sentirà cantare il cuore sotto l’occhio della mano ch’è di fuoco. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole - Bastogi, 2019.
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! Ogni giorno è buono per i pennivendoli della politica, che vanno particolarmente in calore quando c’è un subbuglio o il cambiamento di Governo. I “vili pennivendoli scriveva Oriana Fallaci in Un uomo - che in regime di democrazia si presentano come maestri di coraggio e di libertà ma appena piomba una dittatura ci vanno a letto come puttane, e per servirla calunniano gli stessi che prima esaltavano, esaltano gli stessi che prima condannavano, sicché via a descrivere con compiacimento le adunate oceaniche di piazza Venezia, le virtù sportive del dittatore che a settantaquattr’anni nuota ancora nel fiume Yang Tze, e quando la paura è passata, la democrazia ritornata, ricominciano daccapo impuniti, senza che gli succeda mai nulla visto che c’è bisogno di loro quanto dei calzolai e dei becchini. Cosa farebbero senza di loro i nuovi padroni? Come se la caverebbero senza di loro i santoni del potere che comanda, che promette, che spaventa?”. Alleluia! Alleluia! Andava bene Movimento 5 Stelle e Lega, per questi pennivendoli; oggi, van bene Movimento 5 Stelle e Pd; in mezzo, neppure il tempo che la merda si freddi! Domenico Defelice
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ANTONIO, IL NOBILE VICENTINO
PIGAFETTA DI 500 ANNI FA, IN VIAGGIO INTORNO AL MONDO di Ilia Pedrina
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HE io abbia frequentato per cinque anni il Liceo 'A. Pigafetta' di Vicenza è cosa verificabile ma che conoscessi lo stile e gli scritti del nobile vicentino a cui il famoso istituto superiore è dedicato, questo all'epoca, negli anni '60 del secolo scorso, non è affatto accaduto. Per questa e per tante altre ragioni ho apprezzato veramente la pubblicazione in due volumi raccolti in ampio cofanetto di delicato azzurro mare, con disegni di 500 anni fa, da lui stesso eseguiti con tratti e colori che ancora meravigliano. Eccone la sintesi. Volume Primo: ANTONIO PIGAFETTA Il primo viaggio intorno al mondo con il Trattato della Sfera, Edizione a cura di Mario Pozzi, finito di stampare nel mese di di-
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cembre 1994 da La Grafica & Stampa editrice s.r.l., Vicenza per conto di Neri Pozza Editore (pp. 7-313). In copertina cartonata spicca il riquadro del disegno a colori delle 'ysole de' li Ladroni'. Esso è costituito da una Presentazione di Giovanni Luigi Fontana, presidente della Biblioteca Civica Bertoliana (pp. 7-8), che farà entrare nel vivo del lavoro del Pigafetta, grazie all'indubbia, appassionata competenza del curatore. Il prof. Mario Pozzi, infatti, nella Premessa (pp. 11-16), affascina subito il lettore, inserendolo nel vivo del Mundus Novus e della questione di altri mondi abitati oltre i confini di quello già conosciuto, là dove avevano pontificato con sicurezza e dottrina Aristotele, Averroè e pure qualche profeta. Poi arriva il campo centrale del prezioso lavoro: Antonio Pigafetta. La famiglia e il grande viaggio (pp. 17-20); Il ritorno in Italia e la composizione della Relazione (pp. 20-25); Manoscritti e stampe della Relazione (pp. 26-30); La Relazione fra letteratura e scienza (pp. 30-38). Mi soffermo un poco sulla pagina 35: “... Il catalogo delle 'meraviglie' che Pigafetta riferisce si potrebbe anche aumentare; ma piuttosto mi pare opportuno osservare che nella Relazione il 'meraviglioso non è un ingrediente buono a tutti gli usi ma è precisamente collocato nello spazio. Pochi scritti della letteratura di viaggio emanano un sapore di verità come questo, in cui il meraviglioso ha sembianze di vero, almeno nel senso che veramente è stato raccontato o veramente è stato visto...”. Il viaggio intorno al mondo. Fonti (pp. 3942); Ideazione e preparativi della spedizione (pp. 42-51); Nell'Oceano Atlantico (pp. 5156); A Puerto San Julián (pp. 56-62); Lo stretto (pp. 62-65); Nell'Oceano Pacifico (pp. 65-70); Nell'Arcipelago delle Filippine (pp. 70-76); Morte di Magellano e fuga da Cebu (pp. 77-82); Alla ricerca delle Molucche (pp. 82-90); Alle Molucche (pp. 90-94); Il viaggio di ritorno della Victoria (pp. 94-98); Le peripezie della Trinidad e del suo equipaggio (pp. 98-102); Dopo la circumnavigazione del globo (102-106). Dopo questo dettagliato percorso, si entra
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nel vivo del Testo Manoscritto ambrosiano L103 Sup. IL PRIMO VIAGGIO INTORNO AL MONDO, costituito da 208 paragrafi (pp. 109-209), di cui il primo, in corsivo, evidenzia: 'Antonio Pigafeta, patrisio vicentino e Cavalier de Rodi, a l'Illustrissimo e Esellentissimo Signor Filipo de Villers L'isle Adam, inclito Gran Maistro de Rodi, signor suo osservantissimo', e nel secondo il Pigafetta dichiara: 'Perché sono molti curiosi, Illustrissimo e Eselentissimo Signor, che non solamente se contentano de sapere e intendere le grandi e ammirabili cose che Dio me ha concesso de vedere e patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione, ma ancora vogliono sapere li mezi e modi e vie che ho tenuto ad andarvi, non prestando quella integra fede a l'esito, se prima non hanno bona certeza de l'inizio...' (Antonio Pigafetta, op. cit. pag. 109). Segue la sezione Appendice (pp. 211-313), costituita da sezioni chiave per interpretare bene tutto il lavoro esegetico ed investigativo: Abbreviazioni bibliografiche; Apparato; Nota al testo; Nota sulla grafia e criteri di trascrizione; Glossario e indice delle cose notevoli (pp. 231-313), che, come spiega il curatore, rappresenta una raccolta di termini che hanno interesse linguistico, per far comprendere meglio il contesto originale del Manoscritto: “...Non si pensi, dunque, a una trattazione linguistica: qui offro ai lettori un materiale grezzo e sommariamente classificato nella speranza che qualcuno voglia correggerlo, elaborarlo, integrarlo... Sono in corsivo le parole presenti nella Relazione; in maiuscoletto le 'categorie' sotto le quali, quando è stato possibile, ho raccolto le 'cose notevoli'...” (M. Pozzi in op. cit. pag. 231). Volume Secondo: Antonio Pigafetta. Il primo viaggio intorno al mondo - Riproduzione in facsimile del Manoscritto Ambrosiano L103 Sup. di circa 186 pagine, che presentano facciate con disegni a colori di grande efficacia! In prima facciata, con scrittura chiara, a volute e ad inchiostro seppiato chiaro, il Pigafetta presenta tutto il percorso dello straordinario evento: “Notizie del Mondo
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nuovo con le figure/de paesi scoperti da/Ant.° Pigafetta vicentino cavaglier di Rodi/Vi sono aggionte nel fine alcune regole per/sapere la Longitudine e l'altura/da Levante a ponente...” (A. Pigafetta, op. cit. prima facciata in facsimile). La stesura, nello stile e nei contenuti, è veramente coinvolgente e fa riflettere tutto l'insieme delle considerazioni che, con secco tratto da relatore che esige credibilità, il Pigafetta elabora in questa avventura senza precedenti sul Potere costituito anche tra i Popoli intercettati, sul ruolo e sulla funzione del rendere cristiane quelle genti, che Magellano aveva ben fissi nella mente, sulle motivazioni, gli studiosi, le merci, gli operativi, la ciurmaglia quella che, pur decimata, una volta rientrata in Occidente, ha ben dovuto aspettare prima d'essere pagata! Perché, a dirla tutta, la partenza è avvenuta il 10 agosto del 1519 da Siviglia e il rientro della Victoria, sul quale viaggia il Pigafetta accade il 6 settembre del 1922 nel porto di Sanlúcar de Barrameda, diciotto gli uomini e la maggior parte infermi, poi, il giorno 8 settembre 1522 le ancore del veliero vengono calate nel molo di Siviglia. Ilia Pedrina
LA REALTÀ La pura pioggia scende nei campi e si fa terra, salito da grigi grovigli il fumo diventa spazio. È legge che ancora m’incanta questo mutare di cose e di stagioni. È l’anima dell’uomo questo variare di oscurità e di luce. Paludi e cieli, aquile e daini: metamorfosi osmosi convivenza la realtà. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta - Edizioni La nuova Mezzina, 2017.
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Continua il successo di
ANIME AL BIVIO DI IMPERIA TOGNACCI di Antonio Risi L romanzo, che “da saga familiare si trasforma nella storia, mai individuale ma sempre corale, di una donna” (Francesco D’Episcopo, p. 7), si sviluppa in 51 brevi capitoli numerati, raccontando, con una “fluida e scorrevole scrittura” (Giuseppe Laterza, p. 10) la storia di Annunziata, una donna che ha ereditato dal padre il senso di giustizia, onestà e generosità, sicché matura in lei la vocazione religiosa. Ma la vita in convento non le è congeniale. Per le sue buone qualità molte suore la invidiano, ostacolandola in tutti i modi. La protagonista sembra tesa alla ricerca di tutte le sfumature dell’amore, anche di quello profano per Franco, il padre di un’ alunna. Con la storia di Annunziata s’ intrecciano quelle di altre donne. Lara, Giulia, Luciana, tutte caratterizzate da un’ansia di ricerca, da insoddisfazioni spirituali che condizionano le loro scelte di vita. Anche Annunziata, che dopo varie peripezie vive da protagonista la tragedia di Marcinelle, in Belgio, matura
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una vocazione diversa e più libera dalle imposizioni clericali e decide di lasciare, segretamente e per sempre, il convento. Francesco D’Episcopo, nella Prefazione, sintetizza molto efficacemente trattarsi del “racconto di un amore e della formazione di una famiglia” (p. 7). Imperia Tognacci, in quest’opera narrativa, dal “linguaggio proprio e raffinato” (Giuseppe Laterza, p. 10), non tradisce la sua anima di poetessa. L’autrice, “Scrittrice di grande spessore” (Giuseppe Laterza, p. 9), dotata di un “sicuro possesso degli strumenti umani e letterari” (Francesco D’Episcopo, p. 8), nata a San Mauro Pascoli, vive a Roma, dove si è dedicata all’insegnamento. Nel 1996 inizia la sua attività letteraria, collaborando assiduamente con saggi e poesie alla rivista calabrese “La Procellaria” (cfr. p. 249). È lei stessa ad esprimere il suo pensiero in alcuni passi del libro che fungono quasi da dichiarazione di poetica: “Sull’ispirazione iniziale bisogna lavorare molto, fare un lavoro di limatura, evitare come il diavolo con l’acqua santa le frasi scontate, l’intimismo, il sentimentalismo. E anche se si usano versi liberi la poesia deve essere musicale, avere un ritmo interno” (p. 136). Altrove parla dei libri, dove conta più il messaggio umano che lo stile letterario: “Ogni libro è come un amico che riesce sempre a suggerirmi un’idea, ad ampliare la mia conoscenza, a farmi riflettere o a confermare un’opinione. Al di là dello stile personale di ogni scrittore, è il contenuto, è il messaggio che vuole comunicare che conta” (pp. 164165). Fedele a questo assunto contenutistico, il romanzo non trascura la storia politica, sociale e culturale che si snoda sullo sfondo delle peripezie dei personaggi. La visione della storia che la Tognacci propone è, tuttavia, intrisa di pessimismo. È vero che la storia è maestra di vita, ma il suo insegnamento è vano, visto che gli uomini commettono gli stessi errori facendosi sempre guerra fra loro. Alla guerra segue la pace, che i potenti non hanno interesse a promuovere, sicché di nuovo la morte attraversa la terra. Il pessimismo storico si allarga all’intero cosmo, sicché il male –
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inteso, direi, in senso pascoliano – diventa quasi una punizione divina per le colpe degli uomini nella storia. È un pessimismo cosmico “leopardiano”, che si esprime nell’amara consapevolezza del dissolversi del tutto. Imperia Tognacci si muove tra Pascoli e Leopardi, trovando nella natura motivi lirici di pessimismo: “Come foglie d’autunno cadono le umane certezze. Resta il senso d’impotenza di fronte all’ ineluttabile, e anche Dio sembra assente, lontano, muto di fronte alle umane tragedie” (p. 62). Il silenzio di Dio, esperienza provata anche dai più grandi mistici, è anche connesso alla particolare visione, espressa dall’autrice, di una fede libera, attuale e gioiosa, vissuta non nelle costrizioni, ma nell’autenticità di una vita che è tensione senza limiti verso la luce. Un ruolo importante ha, nel romanzo, il paesaggio, che funge quasi da estensione psicologica dei personaggi, tanto che Francesco D’Episcopo sottolinea la “capacità del personaggio di farsi paesaggio” (p. 7). Sono frequenti i riferimenti e i collegamenti strettissimi fra il pensiero e l’ambiente circostante. Annunziata, osservando le onde del Tevere, stabilisce un paragone fra il loro fluire e la storia umana. Oppure introietta in se stessa la tristezza degli alberi spogli. In un passo l’autrice è molto esplicita sul ruolo psicologico dei paesaggi. Essi “inconsapevolmente risvegliano nell’essere umano echi primordiali e un richiamo a quell’infinito che è in ogni uomo. bellezze della natura non scalfite dalle miriadi di sguardi e millenni che si sono posati su di esse, con muta meraviglia” (p. 199). Ma il paesaggio non è fine a se stesso: esso serve all’autrice come fondale dove proiettare la psicologia dei personaggi. Imperia Tognacci si rivela finissima psicologa, capace di entrare nell’animo umano per sviscerarne le complesse motivazioni comportamentali, che dipendono da molteplici fattori storici, familiari, ambientali. La finezza dell’analisi psicologica condotta da Imperia Tognacci tocca il suo acme nella trattazione del tema amoroso. Secondo Francesco D’Episcopo, la Tognacci “si rivela [...] specialista dell’amore” (p. 8).
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L’essere umano è visto a tutto tondo, nei suoi elementi costitutivi di corpo e di spirito, che sono l’uno il riflesso dell’altro, completandosi a vicenda. Com’è chiaramente specificato anche nel titolo, il simbolo del bivio tocca la tematica della libertà e delle scelte, dove le scelte individuali sono condizionate dalle scelte sbagliate, perverse, compiute dagli uomini nel corso della storia. La libertà umana è quella di poter fare delle scelte pur nel contesto in cui ci si trova a vivere, in mezzo a una infinità di limitazioni che ci provengono dal corpo, dalla società, dalla famiglia, dalla fragilità e dalla superficialità. Libertà è lotta interiore, riuscire a respingere le ombre e mantenere la propria luce. L’esperienza anche drammatica che comporta scelte difficili, ma rende più vera la libertà, dona forza spirituale e luce, sole condizioni possibili perché possa manifestarsi l’immateriale: “Perché la proiezione dell’ immateriale si manifesti occorre saper accogliere la luce” (p. 102). Gli ostacoli, forze negative della vita, devono e possono diventare stimoli positivi per rafforzare il nostro spirito: “Gli ostacoli, tutto ciò che ci si presenta come forza negativa che vuole farci arretrare dalla positività e dalla bontà del nostro cammino, devono essere un motivo per rafforzarci interiormente, rafforzare la nostra volontà e il nostro spirito”(p. 141). Imperia Tognacci è consapevole della forza della libertà interiore, che nessuno ci può togliere. Dalla natura e dall’uomo la Tognacci trae insegnamenti preziosi che la portano ad una consapevolezza spirituale matura e forte. Questo romanzo si legge come un percorso di formazione a più strade e percorsi: ogni personaggio ha qualcosa di formativo per tutti gli altri, perché non si cresce mai da soli, ma si compie un cammino corale che forma la vera storia dell’umanità, contrapposta a quella che scrivono i potenti della terra. Antonio Risi IMPERIA TOGNACCI, Anime al bivio (romanzo). Prefazione di Francesco D’Episcopo, Presentazione di Giuseppe Laterza, Bari, Edizioni Giuseppe Laterza 2017, pp. 256
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DUAN GUANG’AN di Domenico Defelice UAN Guang’an, nato nel 1956 a Tianjin, è un famoso poeta e lavoratore scientifico della Cina contemporanea, è presidente dell’ Associazione di Tianjin LU Li Study, vicedirettore e segretario generale della Tianjin July Poetry Society, associato caporedattore di Tianjin Poets, e membro della Chinese Writers Association. Ha pubblicato oltre 600 poesie su giornali e periodici, tra cui Poetry Periodical, Selected Poems, The Star Poetry Periodical, The Forest of Poetry, Digest, e Xinhua Wenzhai (oppure New China Digest) etc. Ha pubblicato due raccolte di poesie: The Poems of DUAN Guang’an e Selected Poems of DUAN Guang’an. Ha vinto numerosi premi per le sue poesie, alcune delle quali sono state inserite in varie antologie e altre sono state tradotte in Inglese, Russo, Arabo, Rumeno, Italiano, Giapponese, Bosniaco etc.. Di Duan Guang’an sottoponiamo, al giudizio dei nostri lettori, tre brani, apparentemente differenti per quadro d’immagini e sugge-
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stioni, in realtà, accomunati dal soggetto pietra, esplicito nei primi due, sottinteso nel terzo, perché mascherato dalla montagna spruzzata della luce violacea - d’inchiostro, scrive il poeta - del sole al tramonto. In “Queste pietre”, troviamo un paesaggio bello e primordiale e le pietre possiedono un’anima ardente e tagliente di creature infantili, ancora non smaliziate; con atteggiamenti, cioè, e intime pulsioni nel farsi compagnia, nel riconoscersi come fanciulli imprevedibili, sorprendenti, pieni di vitalità, nel crescere e rendersi tutte uniformi e lisce, aguzze fino a ferire, sprezzanti del pericolo (“Rushing/Rushing/Rushing”), precipitando fino a sfracellarsi e a rivelare la loro bellezza interiore proprio nell’atto di spezzarsi. In “Tavoletta di pietra”, l’impressione è di essere di fronte a un reperto archeologico, per niente statico, però, sul quale è raffigurato un vecchio con le braccia spezzate (scalpellato o semplicemente dipinto col “pennello da scrittura”?), non per questo dolente; vecchio ieratico e indifferente a tal punto da non poter essere smosso da niente e da nessuno (“Qualsiasi discorso appassionato”, “Any impassioned speech”, refrattario a qualsiasi lusinga, cioè). Non si è in grado di fargli mutare atteggiamento proprio perché pietrificato, simile a uno scatto fotografico che immortala un particolare istante della storia. Eppure, è proprio in questa sua apparente staticità di pietra che risiede tutto il suo fascino, in quanto solo così egli ci spinge a dilatare la nostra immaginazione, a crearci noi la storia. Il vecchio, allora, rappresenta l’arcano poetico che, tramite una semplice immagine, ci dà agio a penetrare in mondi segreti. Bella pittura, infine, “Sole al tramonto in montagna”, allorché il violaceo via via s’infittisce fino ad avvolgere e cancellare ogni cosa, compreso il poeta. Quel momento è talmente magico, che l’unica concretezza rimangono gli occhi scintillanti come costellazioni (mentre valle e montagna scompaiono, il cielo s’intensifica di luce). Abbiamo voluto tradurre l’ultimo verso con una ripetizione, per esprimere l’intimo tra-
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sporto dell’uomo estasiato da tanta arcana bellezza, anche se “glittering” e “twinkling” in italiano hanno una diversa e leggera sfumatura: il primo essendo aggettivo (scintillante, splendido, brillante), sostantivo il secondo (scintillio, balenio, bagliore). Fondere entrambi non è facile, si perde sempre qualcosa. Le traduzioni, si sa, sono un po’ tradimento; ma proprio nella ripetizione abbiamo voluto esprimere l’estasi del poeta, il suo stupore, il suo quasi ammutolirsi, la sua difficoltà a trovar le parole. Ecco i testi nella traduzione in inglese di Zhang Zhizhong e nella nostra libera versione in italiano. These Stones The hillside is interspersed With sharp and angular stones Who are familiar with each other like village boys An unexpected mountain torrent Engulfs them in a debris flow Which flows downward into rivers Rushing Rushing Rushing Until they are same and similar Smooth and slick Yet these stones still retain Their sharpness which reveals Upon breaking Stone Tablet The stone tablet is an old man with broken arms Indifferent Yet his grace and vigor persists The tip of a writing brush Is bold and vigorous like the beard Any impassioned speech Fails to move him History plays about him A mere instant The Setting Sun in the Mountain
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In a deep mountain Solitary sitting To appreciate the setting sun splashing ink Which dots and fills the boundless valley While stealthily wiping me out At the moment My eyes are constellations Which are glittering and twinkling QUESTE PIETRE La collina è cosparsa Di pietre taglienti e angolari Che si conoscono a vicenda come ragazzi del villaggio Un inaspettato torrente di montagna Le avvolge in un flusso di detriti Precipitando Precipitando Precipitando Fino a quando non sono uguali e simili Uniformi e lisce Eppure ancora queste pietre conservano La loro nitidezza che rivelano Nello spezzarsi TAVOLETTA DI PIETRA La tavoletta di pietra è un vecchio con le braccia rotte Indifferente Eppure la sua grazia e il suo vigore persistono La punta di un pennello da scrittura È audace e vigorosa come la barba Qualsiasi discorso appassionato Non riesce a smuoverlo Sopra di lui la storia gioca Per un semplice istante SOLE AL TRAMONTO IN MONTAGNA Sopra una impenetrabile montagna Seduto in solitudine Per gustare l’inchiostro che il sole spruzza al tramonto Che punteggia e riempie la valle sconfinata Mentre mi cancella di soppiatto
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In quello stesso istante Costellazioni sono i miei occhi Scintillanti scintillanti Domenico Defelice
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IL GRIDO 14 agosto 2018 C’è un grido straziante (Oh Dio, oh Dio !) registrato in diretta e trasmesso più volte in tivù : “Oh Dio, oh Dio, non c’è più il ponte ! “. Questo grido racchiude tutto l’orrore e la disperazione di fronte al tragico avvenimento. Il ponte non c’è più. “Non c’è più il ponte ! Oh Dio, oh Dio ! “. Questo grido, solo, per sempre ormai scolpito nel mio cuore racchiude tutto il mio muto dolore per l’evento.
La lettura di un tale volume non è per nulla stancante e neppure monotona, (…) per la varietà di argomenti e per lo stile coinvolgente e appassionato. (…) vengono trattati temi come la morte, il dolore, ma anche l’amicizia e gli affetti, dove elemento amalgamante spesso sono la memoria e il tempo. (…) Nella poesia di Domenico Defelice, sempre profonda, attenta, sensibile e piena di carica emotiva, gli aspetti naturalistici sono speso termine di confronto delle emozioni e dei sentimenti. La natura non è passiva né anonima, ma è parte integrante della vita. (…) Defelice sa comunicarci le sue emozioni e le sue espressioni, sa coinvolgerci attraverso la parola e attraverso l’immagine, sa farci comprendere i misteri della vita e della natura, sa farci capire il senso del dolore e della morte, ma non lo fa con parole altisonanti, bensì con parole semplici che riescono a penetrare l’animo di ogni lettore. Ci fa capire attraverso la parola il senso dell’esistenza. Angelo Manitta Da Il Convivio, aprile giugno 2019
16 agosto 2019 Mariagina Bonciani Milano
LONTANO Il suono delle tue parole è così lontano. Tu sei lontano, lontano da me e da tutto quello che mi circonda. Mi chiedo il perché, ma la mia domanda rimane senza risposta, muore prima di uscire dalle mie labbra. Fino a qualche giorno fa eravamo una sola cosa, meravigliosa unione di corpi e di suoni. Ora non mi rimane più nulla ed il suono delle tue parole rimane lontano. Manuela Mazzola Pomezia, RM
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DOMENICO DEFELICE LE PAROLE A COMPRENDERE di Carmine Chiodo
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NCHE questa nuova silloge poetica di Domenico Defelice è caratterizzata da originalità tematica ed espressiva, oltre che da una lingua molto limpida e comprensibile e, quindi, poetica. Defelice è un poeta concreto e non astratto. Inutile dire che nella sua poesia, e non solo in questa, si riflette ampiamente la sua vita, le sue idee, le sue polemiche e, talvolta, il suo sarcasmo e ironia, ma anche la sua <<delicata e dolce gentilezza d’animo: una devozione solida agli affetti più cari dell’esistenza [,,,]>> (Cito dalla <<Prefazione>> di Sandro Gros-Pietro alla silloge che sto esaminando). Il libro porta come <<Postfazione>> quella di un noto ed eccezionale interprete-scrittore che è Emerico Giachery, che coglie i temi profondi della raccolta. Definisce questa rac-
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colta poetica di Defelice <<libro di vita>> (v. p. 133 dello scritto). Tutta la poesia di Defelice, in un certo qual senso, si presenta come <<libro di vita>>. Vediamo ora più da vicino come è organizzata la raccolta che presenta, anzi si snoda, in quattro parti distinte: la prima <<Le parole a comprendere>>, la seconda <<Ridere (per non piangere)>>, la terza <<Epigrammi>> e, infine, la quarta <<Recensioni>>. Il libro poetico risulta molto compatto e unitario e svela i diversi sentimenti del poeta e dell’uomo Defelice. Già il prefatore Sandro Gros-Pietro ha colto molto bene la fisionomia tematica e stilistica del libro e sono d’accordo con lui allorquando – alla fine del suo scritto scrive che la poesia di Domenico Defelice è una delle più importanti di questi anni, e ciò anche per i valori che trasmette, <<valori fondanti di vita>>, i quali sono gli affetti e le amicizie, e ancora perché sa mettere a fuoco la precaria condizione umana, e lo fa senza indulgere ad atteggiamenti lacrimosi, oppure <<rancorosi verso la sorte che incombe su tutti noi >>, per citare ancora il prefatore.
Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma Tor Vergata, 24 aprile 2015: il Prof. Carmine Chiodo presenta un'opera di Domenico Defelice
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Ciò che mi ha sempre colpito della poesia di Defelice è il garbo, la perizia, la chiarezza espressiva con cui ci vengono presentati situazioni e momenti esteriori e interiori. Una poesia lontana, lontanissima da sperimentalismi inutili che lasciano il tempo che trovano, e anche in questa silloge, per provare ciò che ho detto prima, si leggono versi quali i seguenti: <<La gioia non è piena /- a quando pare - / senza la sofferenza>> (<<Perché tu venga>>); <<Dicembre, nell’inverno ci conduci /ma di luce desiderio sei, speranza./ Oh, le alzate fredde dell’infanzia /la capra a pascolare ed il maiale>> (<<Dicembre delle filastrocche>>). Orbene, quella di Defelice è una poesia essenziale e vera, autentica che mette da parte cerebralismi: <<Oggi nella mia casa è festa grande./Lasciamoci irretire dai profumi /che versano i boccali /e s’odino soltanto risa e canti>> ( <<Oggi ,nella mia casa, è festa grande>>); <<Ora nella vecchiaia /di lenzuola e coperte/ spesso muro ci separa>> (<< Il nostro letto>>). Il libro è fatto di parole che, appunto, ci fanno comprendere o intendere qualcosa che riguarda non solo il poeta, ma pure noi e, perciò, queste parole si aprono in diverse direzioni: vanno dalle note sentimentali, esistenziali, a quelle ironiche, sarcastiche, epigrammatiche, che dicono come il poeta vive certi momenti odierni e pure come egli fustiga certi costumi e tendenze sia esse politiche o sociali. Si sa, il poeta si serve, sa le parole, e le parole che usa Defelice sono tantissime ovviamente, alle quali conferisce un tono poetico variegato che dice sentimenti e idee del poeta. Parole che nel loro insieme danno vita a organismi poetici, a versi altamente umani, significativi, dagli esiti più diversi e, al riguardo, vorrei ancora effettuare delle citazioni: <<Si indagan commercianti,/preti e politici. Un vortice immane,/tra tecnologia, denari e orchi /adulti e minorenni. /A scavar, tutti siam sudici e sporchi,/Quando la mamma è mamma alla lontana,/ la figlia non è figlia, ma puttana>> (<<Siamo tutti sudici e sporchi>>); <<Donne belle e gentili,/ perennemente affannate alla cerca/ d’amanti[..], alti e viri-
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li!/Amore, il vero, non sapete,/ è soltanto un bambino con lo stelo piccino che s’ingrossa /solo e quando deve andare alla riscossa!>> (<<Alle donne belle>>); <<Dal panico mi salvi la Tua voce./Oh, Dio, Ti prego, non abbandonarmi>> (<<Dal panico mi salvi la tua voce>>); <<Fammi giungere in pace /e fiori fammi coltivare / nelle Tue luminose praterie>> (<<Quando hai deciso ,aspirami>>). Gli Epigrammi e le <<Recensioni>> sono composizioni ben riuscite e sono - per citare parole di Gros-Pietro - <<autentici benevoli scherni letterari>>: <<Ho navigato ,indenne, […]/senza incappare mai in un fortunale./Funesti mi furon libri spermateche e quelle all’Umberto Eco ed ai Montale>> (<<la pulce cartacea, morendo>>; <<Il parto d’un cacasodo./Asfissiante montagna / di pestifero strame,/stupidaggini,/ stramberie,/ sciocchezze/ in un linguaggio grottesco/ strampalato,/oscuro,/ pazzesco./ Un prodotto da neuro/ e lo spreco di tanta ricchezza: /migliaia e migliaia di euro!>> (<<Canti della storia e del mito>>). Anche con questa nuova e avvincente, solida e ben costruita silloge, Domenico Defelice si riconferma un poeta di primo piano nel sempre affollatissimo Parnaso contemporaneo. Carmine Chiodo Domenico Defelice, Le parole a comprendere Torino, Genesi editrice 2019.
SE AVESSIMO OCCHI PER VEDERE Cozzo di stoviglie, cibo in abbondanza, qualcosa anche nella pattumiera. Briciole infinitesime agli acuti occhi dei passeri furono raccattate. Volando via sapevano che gli sarebbero bastate. Nel frullio delle fragili alette la muta lezione sul senso dello spreco. Salvatore D’Ambrosio 29 luglio ore 11,35 spiaggia di Vasto
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LA CASA SI È RIEMPITA di Leonardo Selvaggi
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ORRÒ prendere in te un nuovo luogo ove ritrovare le mie cose. Voglio vedere i punti di arrivo dei miei sentimenti che sono andati oltre la terra, trasmutati in parvenze. Desiderio di incontrare i giorni di quando mio padre era con me nei pomeriggi della speranza. Voglio vedere nella tua esistenza combattiva e testarda meglio la sintesi di me stesso. Questi occhi imperlati che non riescono a credere al vero; punte di pini, arbusti fradici nel mese di novembre nella corsa del treno verso il Friuli. La superficie si allarga, ma l'intimo si restringe in un nucleo di pura essenza personale. Dal cielo secco pieno di luce il sole ferisce i binari; ovunque il mio pensiero riflette l'immagine ossessiva, come le linee dell'amata immobile in ogni punto proiettata il tuo viso gelido dell'addio. Quanti peccati mi pesano in questo fenomeno maliardico della tua dipartita. Tante parole non dette, tanti i silenzi che potevano aprirsi. Sei andato via senza lasciare neppure un filo della tua traccia. A casa il vuoto ha slargato le pareti; i mobili più allineati fanno vedere più grande il pavimento. Le donne sanno riempire lo spazio che si è fatto, portano via i panni che non servono, fanno spostamenti. L'istinto femminile si riprende; una pagina che si volta, lavano gli indumenti, si mettono a fare le maglie. Dalle nuvolaglie tempo nuovo si apre, sprazzi di chiarore filtrano. Le mattonelle della cucina paiono più numerose. Per me il vuoto è una sottile caligine che si espande per tutte le camere dove tu sei stato. Il tuo corpo si è dilatato divenuto atmosferico. Mi ripeto i tuoi gesti, mi rodo il cervello o fermo il respiro per avvertire qualcosa di te presente ancora. Unisco dei momenti di vita, li seleziono per connetterli, per esaminare significati prima trascurati. Quante mie cattiverie, il malumore ostinato del carattere. Potevo tenerti per mano, vedere di più la pelle fredda e molle, penetrarti: con la mia
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stretta, fermare le ore. Sorvegliarti vicino attimi dopo attimi. Dar forza alle pulsazioni, sorreggere le poche forze per non farlo ancora retrocedere. La casa scarna, i passi trascinati, la voce debole e gentile; dicevi grazie per un nonnulla come se non ti spettasse il doveroso comportamento mio. Indovinavi con lesta fantasia soddisfatta i volti umani che facevi con la combinazione casuale delle pietre nere con le bianche delle mattonelle levigate. Sono stato un matto quando mi adiravo per un po', erano solo momenti di abbandono. Sono stato costante, la mia tristezza mi faceva pronto e correvo da te per guadagnare tempo. Sarà stato il tuo ultimo saluto, non finivi di agitare la mano, ho rifatto le scale per averti ancora sul pianerottolo; presentimento, non ti ho più visto in piedi, eri davvero al finestrino del treno in partenza. La tua malattia ha dilaniato i giorni, non era mai tanta la mia vicinanza. Le ore si arroventavano, il pomeriggio si faceva sempre più corto. La casa non ti ha lasciato, con la mano palpo il velluto del divano per ritrovare il leggero tatto delle tue dita. Una megera ha fatto volatilizzare il corpo consumato, stretto alle spalle, smagrito e si è aggrappata al collo di mia madre immiserita dal marcato colore delle vesti del lutto. Ma il vuoto non lo vedo fra le pareti, il tuo ritratto è sempre lì attaccato della tua giovinezza; la casa si è riempita, la mie lacrime vanno alla tua ricerca: inarrivabile immagine, ombre della tua persona svanita. Il vuoto è in me, le interiora si sono gonfiate, il cuore senza sangue ha reso ii mio corpo freddo. Giro per il giardino che è pieno di foglie; le scarpe fanno risuonare i frammenti secchi. Desolato per tutte le direzioni, nessun segno della tua faccia attraverso l'aria solitaria; agitato nello sguardo che rimane asciutto nei diversi ritorni a vuoto per i viali. Quelle radici che mi legavano alla tua vecchia età tenevano in circoscritta solitudine, ora si sono frantumate con la visione del tuo corpo chiuso nell'oscuro immobile tempo. Sono slegato peregrino diluito nello spazio, se il pianto prima era nostalgia per i miei luoghi ora è abbandono, frenesia e noncuranza; mi butto in ogni circostanza, non so
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se è disperata fuga da me stesso per poterti ritrovare. La morte ha dato al tuo sorriso arcaico e alla faccia sapiente di poche ed essenziali espressioni il connubio fra terra e cielo. Prima tutto più consistente, vedevo lo spazio pieno del cielo, la coltre umida della nebbia mi faceva gonfia la città in più stretti confini. Il cielo era l'etere che allargava il giorno accanto alla notte. Ora non so, mi pare che la terra sia più fuggitiva ed evanescente. Gli alberi isteriliti, le case quadrate, quasi disegni astratti in simmetria, i fiumi solchi azzurri che serpeggiano per il piano. Sono nel Friuli per un giorno, il treno mi fa osservare la campagna autunnale e il sole che si slarga in circonferenze a fisarmonica. La gente moderna e genuina, pronta a darti le indicazioni; i viali puliti contornano ambienti rifatti, l'antico è il passato tenuto ordinato, è un'isola che il tempo dei secoli lontani ha conservato con una freschezza simile alla gelida aria, imperitura atmosfera del mondo. I freddo puro del terso mattino, pietrificata e bianca la città; le donne pesanti negli indumenti fanno intendere che hanno spoglie a più strati. Scopri un caldo corpo dentro l'involucro della pelle azzurrina e lattea da riversare subito colto nel nido di un letto soffice di lana; il silenzio dell'intimo ha una veloce impazienza di vedere in quale angolo di terra nuova ti trovi. Dai cespugli il gioco della velocità, un misto di acqua e di campi rossi, lamina argentata sulle fasce che si susseguono, gli spazi di luce al tramonto, sfumature delle nuvole tra viola e grigio. Mi riempivi sentendomi pago, i momenti di ogni respiro saziavano le vene. Tutto decade come foglie autunnali, strato di terra che livella. E si sente volatile l'immagine dalla trasformazione attorno agli oggetti che erano tuoi; sale dal basso, dalla polvere che sento alle labbra quando bevo ai tuoi bicchieri. Un significato di vita, un passato che rimane indelebile testimonianza. Una vita che se ne è andata; un costume senza piegamenti, costante dignità mantenuta. La sofferenza di un intimo schiet-
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to, pulito con la faccia sempre uguale, con occhi misti di amarezza e sorriso. Le radici di un passato che scompare, resistente in poche tracce ancora nel paese in quelle case di intonaco rustico e di pietre, in quei vicoli chiusi gelosi di antiche storie di persone; le radici di un passato in quei visi di vecchi amici e di donne che ho conosciuto da bambino sempre nelle vesti nere, in quelle figure dal tempo coperte di scorza come tronchi annosi che mi sono comparse chiare scrostato il peso della lontananza. Le radici in quelle donnette gracili, fatte come pietre all'intemperie, indistruttibili mamme, figure ferme come le case rurali con gli asini. Mio padre è tornato fra loro, l'ultima coerenza del suo animo di uomo di parola. È tornato al paese per essere vivo allo sguardo di chi ricorda; è ritornato per rimanere afferrato alla sua terra, come disteso su di essa, nudo con l'essenzialità di tutto l'essere. come dilatato corpo per coprire tanta superficie; coperto da un semplice manto. La stessa nudità quando ti sei avviato agonizzante tra le ultime immagini della vita, pellegrino per il lungo viale, tra voci flebili ed ombre, un cammino faticoso, le ossa stanche e la leggerezza dello spirito verso il grande spazio. Per dormire, la faccia sulla dura argilla sotto un grande cielo profondo, eterno azzurro di stelle. È piombata giù una colomba, non è stata vista da quale direzione né si è avuta lontana sensazione del suo arrivo, in mezzo all'ambiente fermo che sento sul petto come stretta fascia. Intorno nella greve aria i soliti uccelli che girano da un albero all'altro, moscerini quasi pulviscolo che in alto si vede simile ad un mulinello. Un altro destino, forza nuova che soppianta le sopportazioni, che hanno tolto le azioni programmate, il piacere di fare le proprie cose in una continua successione. Il sole gira intorno a sé stesso irradiando un mare di luce. Aria lucida per i campi aperti; strisce di neve resistenti nelle zone d'ombra. Per il morbido verde dei pianori una voglia di correre con un paio di scarpe vecchie per uscire dal solito meccanico binario. Un metallico ripetersi di giorni impigliati. Una paura di superstizioso se si pensa di cambiare il trat-
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to di strada della stagnante abitudine. Le calze nere di moda che scoprono l'angolo di rosa e le piegature lattee in contrasto. Una fiammata improvvisa ai sensi. Un letto preparato per andare a nozze; l'età verginale ai primi boccioli primaverili matura, si fa cogliere ancora aspra nei sapori. Quando il presepe era costruito con la creta, figure tozze appena sbozzate; le calze di lana di pecora vestivano le nudità femminili che sprofondavano, quasi strati sovrapposti. Scrigni serrati, fenditure di roccia profonde sopra le quali a larghi voli la fantasia si muoveva. Il cane va dietro le toppe di chi strascica il passo debole, visi di pianto senza lacrime, flebili eroicamente pazienti; una morbida dolcezza generosa che sbriciola se stessi a piene mani. L'anima sensibile pronta ad offrirsi, fattasi quasi diafana, trapassata da frecce di dolore, lampi e tempeste senza lasciare segni di ferite, carezze sulla carne flagellata, raffiche di vento violento morbidi soffi sulla faccia impietrita. Il tramonto passava tra i pampini rossi, una sera al paese. I pensieri si sfogliavano dove più la meditazione apriva angoli reconditi. Il chiodo delle trafitture appunta nella carne l'appartenenza di sé. La vera infelicità quando non sarà dato neppure soffrire. Leonardo Selvaggi
PER VALERIO E I MIEI POETI Non ti lascio la lettera lungo la strada te la porgo (perché è il nostro tempo le nostre nuove riviere e siamo insieme). Avevamo ragione amore avevamo ragione noi la vita non è quel vortice inaridito che è seguito dai più è davvero ricolma di bellezza infinita dolore straziante
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incapacità inconsistente energia che rinnova condivisione. Il nostro porto di saggezza inquieta ora sa scrutare l'orizzonte e costruire velieri per ogni viaggio. E i tuoi occhi di cielo nei miei di terra bruna possono rifiorire. Patrizia De Rosa (Genova)
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! Sul comportamento di Salvini, è meglio stendere un velo. Ma, caduto il Governo gialloverde e costituitosi quello giallorosso, per l’Italia sembra che debbano piovere miracoli! L’Europa sembra voglia abbracciarci e prometterci flessibilità nei conti e posti di prestigio e il nuovo Esecutivo ci prospetta il miglioramento del Paese, con riforme; stop all’aumento dell’IVA; taglio al cuneo fiscale; uno sguardo attento all’uguaglianza in tutti i campi e donne e uomini compresi; cantieri aperti; immigrazione solidale e controllata; asili nido per tutti gli aventi diritto; un aiuto al Sud perché finalmente si possa sollevare dall’eterna miseria; lotta alla disoccupazione; lotta alla criminalità piccola e grande; riconoscimento di Roma e della sua alta funzione di Capitale. Gli Italiani sono scettici, è vero, non credono più di tanto a questi radicali cambiamenti. Sono le solite chiacchere, dicono. E se ci sarà veramente qualche miracolo? Vuoi vedere che, alla fine, occorrerà ringraziare Salvini per aver spaventato agitando le acque, costringendo tutti a più miti consigli e a svegliarsi dagli eterni sopori? Domenico Defelice Dal quotidiano Il Messaggero, del 13 settembre 2019.
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Il Racconto
NON DIMENTICARE PALERMO di Anna Vincitorio ELL’intensa luce che ti penetra mentre l’aereo plana, sei sovrastato sul lato destro dal Monte Pellegrino: montagna sacra dove visse da eremita S. Rosalia, monaca basiliana (mancano su di lei notizie di valore storico; quelle pervenute sono posteriori al 1624. Fu inserita nel Martirologio Romano da Urbano Ottavo – 1603). Le sue reliquie sono venerate nella cattedrale di Palermo. Montagne in cui si intrecciano picchi, sporgenze, anfratti che sfidano il cielo serrandoti col loro sanguigno abbraccio. Sei avvolto e coinvolto da quest’aria carsica: Monte Gallo, Monte Cuccio, Grifone. Il violento calore sprigionato dai monti fa agognare l’acqua. Con la mente vado ai numerosi kamat (percorsi scavati dagli arabi dall’anno 800 fino al 1100) dove l’acqua scorreva. Lucide e scivolose pietre del selciato segnano il cammino. L’occhio si perde nella maestosità dei palazzi barocchi. Portoni immensi sormontati da teste di pietra. Ampi balconi dalle persiane chiuse. Occhi che non vedi sembrano fissarti e seguirti nel silenzio. Si sprigiona un’atmosfera misterica e di disagio. Puoi solo immaginare l’interno ma non sai quei muri cosa celano. Ti accoglie in assolata penombra, l’oratorio di Santa Cita. Elegante barocco con ampio chiostro e all’interno dell’oratorio, statue in gesso di Giacomo Serpotta (Palermo 1656-1732), esponente di una famiglia di stuccatori siciliani. La sua arte può considerarsi punto di ar-
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rivo della scultura barocca italiana. Nel silenzio, all’interno, una sacralità mistica e avvolgente emerge dal latteo biancore degli stucchi e delle statue. Nel fondo dell’oratorio aleggia una tenue brezza da un balcone aperto sul verde verso l’infinito impigrito dal caldo. È invitante percorrere questi luoghi; si raggiunge l’oratorio e poi la chiesa di San Domenico, Pantheon degli eroi da Finocchiaro Aprile a Francesco Crispi. Nel 2015 viene traslata la salma di Giovanni Falcone. Sulla sinistra del tumulo in alto, i nome della scorta e della moglie Francesca; sulla destra è ricordato Paolo Borsellino e quelli che erano con lui. La silente solennità, il nitore dei marmi, attestano il coraggio e il fulgore di quelle anime che sfidarono e combatterono la mafia; mitici, moderni eroi sempre vivi nella memoria dei giusti. Il cammino prosegue tra spazi lussureggianti di beniamini giganti e palme frondose, agognato riparo per l’ombra, verso La Martorana propriamente detta Santa Maria dell’Ammiraglio – Giorgio D’Antiochia. Il santuario è squadrato; la cupola arabeggiante e l’elegantissimo campanile ornato di bifore, colonnine angolari, tarsie policrome. Sei circondato dalla luminosità dell’oro dei preziosi mosaici e la mesta e intensa fissità dello sguardo del Cristo Pantocratore. Intorno arcangeli, la Natività di Gesù e il transito di Maria. Puro stile bizantino e il culto è orientale. La chiesa si affianca a San Cataldo – periodo normanno. Affascina la sua nudità, le colonne antiche. È sovrastata da tre cupolette rigonfie, rosso scuro. A seguire, il chiostro e la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria. Impegnativo barocco forse di eccessiva preziosità con statue di marmo del Gagini, maestro di grande abilità tecnica nel panneggio. Splendide madonne dalle seriche vesti con decori azzurri e oro. La città s’impone per i suoi contrasti: grandiosità, ricchezza e degrado; confusione e i corposi silenzi dei chiostri. Si attraversa la zona della Vucciria (baccano). Più propriamente deriva dal francese boucherie, botteghe dove si macellavano le carni tra bancarelle del mercato arabo che ora si trovano a Ballarò. Il fascino degli anni ‘70
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purtroppo si è perduto. Adesso è zona affollata di localetti turistici; movida e violenza nella notte. La città per penetrarla, va percorsa a piedi. Si raggiunge il Palazzo dei Normanni e dal cortile seicentesco si raggiunge al 1° piano, la Cappella Palatina, splendido monumento fondato da Ruggero II nel 1132. Gioiello di architettura e decorazione musivo (latino tardo musivus; greco mìseios derivazione di Musa). Archi dividono le tre navate che poggiano su colonne antiche; il soffitto ligneo ad alveoli e stalattiti di stile arabo. Si resta poi abbacinati dai mosaici su fondo oro – puro stile bizantino del XII sec. Scene evangeliche scritte in greco; il Cristo Pantocratore nell’abside e gli Evangelisti. Questo oro mosaicato ci segue anche negli appartamenti reali fino alla sala di re Ruggero II con scene di caccia. Poi una lunga corsa in auto verso Monreale; il caldo incalza. Ci accoglie la maestosa penombra del duomo serrato da due torri. Magnifico il portale di Bonanno Pisano – 1186. Lungo il fianco sinistro corre un elegante portico del ‘500 (F. e V. Gagini). Siamo al 14 luglio, festa di Santa Rosalia e, ahimè, il chiostro è chiuso. Negli occhi, uno sfocato ricordo legato agli anni ‘70. La città è in attesa che calino le ombre sul profilo barocco delle piazze, sulle pietre corrose dal sole e dal vento, sulle statue dei Quattro Canti. Dentro, il pulsare della vita notturna con le sue voci, i suoni. Il sole è calato, ma la notte si illumina di fiaccolate, luci. Fumi intensi nell’aria, di pesce arrosto. Palloncini pronti a spiccare il volo. La città ha cambiato aspetto come un mostro a più facce; ti seduce invitandoti alla corsa e al tempo
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stesso, t’impaura. Può succedere di tutto quando la massa di folla s’infittisce. Persone di ogni età tra lo stravolto e il festante. È importante conservare un’identità propria pur nella confusione di quella erranza che urla nell’attesa. Un sordo rullare di tamburi, prima in lontananza, poi, sempre più vicino. La fiumana umana avanza urlante. Tra loro, con la fascia tricolore, anche il sindaco di Palermo. Alto, primitivo, illuminato a giorno, il carro, con al culmine Santa Rosalia con la testa infiorata. Davanti, più in basso, una figura, forse pagana, con corona. La festa assume sempre più carattere profano. A ogni sosta, musica, rullare di tamburi; vengono cantate storie. Al termine del percorso, sotto un grande arco decorato e luminoso, da una altissima gru sulla sinistra, appare un gigantesco uccello luminoso, inquietante nella sua ingenuità. Sospesa una donna angelo con una bianca veste che accenna una danza nel vuoto avvolta da fumi colorati. Cala il silenzio e dal mare si levano i fuochi. Fragore incalzante, babilonia di colori, miscellanea di urla; colori e fragori di una eterogenea folla impazzita. All’improvviso un temporale e fulmini dal cielo. L’ira di Zeus? Fuga indiscriminata in cerca di riparo. Larghe pozze sul selciato. Al frastuono dei fuochi si unisce lo scoppiare intenso di fulmini sinistri nel cielo livido. Quale il presagio? Breve il residuo della notte; necessità di silenzio e sonno. Verso l’alba al dormiveglia mi sembra di vedere un carro della forma di un galeone spagnolo d’oro barocco con sopra una statua simile a Demetra, trainata da buoi bianchi. Sogno o realtà di un tempo lontano legato al 1974. Ancora: mi sembra di intravedere Porta Felice: al solstizio di estate il sole sorge dal mare e passa attraverso il Cassero…Corso Vittorio Emanuele. Ma dove vanno a finire i carri dopo la festa? Nel Museo Pitré (storico dell’800), si conservano i modellini dei carri e le Santa Rosalia. Al mattino, il sole avvolge nuovamente la città; con passo veloce giungo al palazzo Abatellis. Ha forme miste gotico catalane e
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rinascimentali. Intagli, rilievi, sculture tra cui il famoso busto di Eleonora D’Aragona. Nell’antica cappella: Il trionfo della morte – metà secolo XV – che riveste l’intera parete. Descriverlo sarebbe sminuirlo. Rimane indelebile nella memoria. Alla fine del percorso L’Annunziata di Antonello da Messina; il velo di un pallido azzurro accompagna il volto mistico e attento, consapevole del futuro che l’attende. Sono quasi al termine del viaggio che si chiude col Palazzo della Cuba e La Zisa. Il paesaggio intorno è periferico, con piccole case, un educandato da cui partono grida di ragazzi, musica. Occorre attivare la fantasia e andare molto indietro nel tempo. La Cuba, dall’arabo Qubba – cupola –, risale al 1180 con re Guglielmo II; era immersa in uno specchio d’acqua profondo più di due metri, ampio e circondata da un ampio parco. Ja-
mat al-ard – Il Paradiso in terra – luogo di delizie. L’epigrafe con le notizie relative al committente fu ritrovata nel XIX secolo scavando ai piedi della Cuba da Michele Amari, studioso della Sicilia Arabo-Normanna: “Nel nome di Dio clemente e misericordioso – Bada qui, fermati e mira! Vedrai l’egregia stanza dell’egregio tra i re di tutta la terra, Guglielmo II, re cristiano. Non v’ha castello che sia degno di lui… Sia lode perenne a Dio. Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita”. Questa epigrafe è scritta in arabo. Attualmente il grande edificio è malridotto e sgraziato nelle proporzioni; occorre con la fantasia pensarlo nella sua ricostruzione ideale. Fontane mormoranti e limpide acque intorno; circondato da ampi spazi verdi. La fama della Cuba si era diffusa ben lontano dalla Sicilia. Giovanni Boccaccio nel Decamerone, ambienta qui la sesta novella:
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L’Amore tra Gian di Procida e Restituta, bellissima ragazza di Ischia rapita dai Siciliani per offrirla in dono al re di Sicilia Federico II d’Aragona. La Zisa, dall’arabo al-Azisa – la splendida, sorge fuori Palermo all’interno del parco reale, il Genoardo dall’arabo Jamat al-ard – Paradiso in terra. La costruzione ha inizio intorno al 1165 sotto Guglielmo I detto Il Malo e dopo la sua morte terminata da Guglielmo II detto il Buono. Data di completamento dei lavori a detta degli studiosi, il 1175. Nel muretto d’attico del palazzo, è conservata un’iscrizione in caratteri cufici da cui si è ricavata la data di completamento. Era dimora estiva del re. Architettura normanna: doppia torre cuspidata e decorazioni e ingegnerie arabe per il ricambio dell’aria all’ interno. L’edificio era orientato verso il mare investito da brezza notturna attraverso i tre grandi fornici della facciata. Distribuito in tre ordini. Raffinati e preziosi decori (muqarnas), che si notano soprattutto nella grande sala della Fontana dove il re riceveva la corte. Ancora visibili, affreschi nelle pareti. La bellissima Cappella Palatina della SS. Trinità. Il palazzo è vuoto. Poche le voci. Signore, il silenzio, quello originato dalla grandezza che serra il petto e accorcia il respiro. La Cuba e la Zisa, sono inserite nell’ elenco dell’Unesco come patrimonio protetto. L’ultimo ricordo prima del volo: la chiesa dello Spasimo, a cielo aperto. Le nude navate e le bifore trafitte da lame
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d’azzurro. Sterpaglie, incuria intorno ma si respira un alito di abbandono che sprigiona purezza. Potrebbero negli ampi vuoti, vedersi volare angeli che ne custodiscono i resti intonando un canto simile a quello gregoriano che aleggiava nella chiesa di Santa Caterina. Non voglio dirti addio, Palermo anche se non so se ci sarà un ritorno. Tu vivi nella tua immortalità di violenza e di fede, di vendette e di amore. Anna Vincitorio Firenze, 21 luglio 2019
“Tu, luce tra i miei pensieri...” Dialogo a due con tutto il resto intorno. di Ilia Pedrina
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UI, nato sotto il segno del Cancro, ama l'avventura e indaga sempre, nell'aria, sott'acqua e sotto terra, tra cunicoli che hanno millenni, mentre i cieli gli servono per andare. Oltre e in fretta. Sì, da anni va per aria e per mare e la sua pelle è unta di storia e di salsedine: gli hanno creduto e l'hanno affiancato, nelle sue stranezze, sempre importanti, sempre determinate, sempre portate a compimento, cambiando spesso il corso della Storia. Lei lo affascina perché gli accende il cuore e glielo fa palpitare in petto, come quando lei si mette in ricerca, scruta, intuisce; lei lo asseconda ed ama la sua scrittura, in forme fitte, in segni agili e sfuggenti, in sensi che vanno oltre la norma; lei non lo fa ammalare più perché lui in lei ha trovato salvezza. Lui conosce i percorsi profondi della poesia, ne traccia ghirigori che abbiano un senso, da stracciare subito dopo perché surreale, ironico, appassionato, delirante: perché la bellezza fa delirare, come quando lui si mette in alto mare a registrare il canto d'amore della
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balena azzurra che ha il cuore grande quasi come un'aula magna. I parchi letterari per lui, le montagne per l'Amico, le parole e le fotografie sui volumi da vendersi in coppia.... Se ne intendono loro due, lui e l'Amico, di Natura e di Bellezza, che quando si mescolano insieme fanno nascere Armonia e lei, che ora ha lui di fronte, con quel sorriso che vince su ogni malvagità, perché lei, sì, lei ha l'anima infuocata dalla gioia, lo ascolta facendolo vibrare d'entusiasmo. “Questa volta ho viaggiato fin su, in alto, in Siberia, terra aspra e magnifica: ora ci sono erbe e fiori e zanzare...” Lei riflette e il suo sorriso si spegne un poco, ma per poco: “Perché alla terra, ai luoghi, agli Stati si associano sempre le grandi tinozze di sangue che i violenti hanno fatto scorrere in gran misura, sì, sangue e non vino a fermentare ebbrezza in quelle tinozze?” “Sangue e Suolo! Hai toccato il vertice della costituzione di uno Stato e del Potere che lo deve guidare: uno Stato fatto dai vincitori, da coloro che hanno provocato lo scorrere di quel sangue, talora da far assorbire alla terra, talaltra da trattenere nelle grandi tinozze, ad memoriam violentiae, usque ad mortem et ultra, per i posteri che vanno in visita, a camminar per corridoi con immagini appese alle pareti, di volti, di sofferenze, di esistenze e la tinozza tutt'intorno a mo' di contenitore. E tu vaghi in questa cloaca, non capisci o non vuoi capire, ti circondano il sangue e la puzza e non hai scampo, perché qualcuno ha fatto della spiritualità marciume. Dante aveva ragione, quella volta, ad inveire contro Bonifacio VIII, per bocca di san Bernardo...” “Hai ragione: al grido 'Dio è con noi!' si sono formate coorti e si sono ammassati cadaveri massacrati a fecondare luridamente una terra che vorrebbe solo trattenere semi, anche sotto la neve, da far germogliare. Fino a quando? Fino a quando non nasceranno erbe e fiori ed arriveranno le zanzare?” “Si, fino a quel segno oltre il quale il ciclo arriva al suo compimento!” Lui l'ama sempre,
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anche quando non respira, dalla tensione profonda che lo invade: “Dammi di nuovo la tua luce, tu, luce tra i miei pensieri: non fare che soccomba in me il Poeta che ti ha offerto in pegno la sua Anima, affinché tu la custodisca nella tua purezza!” Lei, che vuole diventare una Siberiana adottiva, abbassa lo sguardo, si commuove e ignora tutto il resto intorno: sa che il profilo di lui, tutt'intero, attraversa la grande sagoma del baobab, passa oltre, nell'Emisfero delle Ombre, a garantire l'Eterno e le resta sempre al fianco, anima senza tempo, il suo volto ora a sfidare il Cosmo. Ilia Pedrina
Una fra tante mi pareva la tua: mormorio di preghiere ogni tanto spezzate da colpi di tosse bagnate da lacrime inghiottite dal cuore.
ATENE, LA META
Da Il vecchio e le nuvole - Bastogi, 2019.
E mi sono ritrovato ad occhi aperti fino al mattino in un groviglio di giorni: quelli che più non ci sono al posto di questi che tocco con mani e mi scotto. Gianni Rescigno
Di notte la città silenziosa, aveva da poco lasciato i Colonnelli; Piazza Omonia- con nostra meravigliasfavillava nelle vetrine, di luci e di giallo dell’oro. Il tassista silenzioso seguiva la strada; noi anche silenziosi, il profilo delle colline verso il Partenone. Docili come le vergini alla prima notte, seguiamo il labirinto di strade per l’albergo. Ci perdiamo, mani nelle mani, nel pensiero delle antiche vestali, che quella notte-forseci verranno a trovare. Luccicano agli anulari gli ori freschi; profuma l’aria fuori di antiche storie, dentro della novella sposa, che fiore bianco risplende nella notte, mentre petali, le sue labbra, dicono che è ora. Salvatore D’Ambrosio Caserta
IL DISCORSO DEL VENTO È stato lungo stanotte il discorso del vento. Non aveva una sola voce.
QUANDO MARINO È IL VENTO Nella conca silenziosa degli ulivi quando marino è il vento la casa ascolta suoni. Scendono dall’inquieta città, voci d’ansia che intrecciano folate di metallo. Ma le intride lo spazio le incanta l’ala azzurra del mare sull’onda degli alberi. E l’ora si estranea, gli àmbiti si sciolgono da convulse occasioni: senza tempo, placato, risuona l’affanno. La casa è assorta: da sentieri di scogli da torri abrase, nel nomade vento ascolta la sua città. E in sussurro l’accoglie. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta - Edizioni La nuova Mezzina, 2017.
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I POETI E LA NATURA - 96 di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
SUL RAPPORTO FRA L'UOMO, IL POETA E LA NATURA IN LEOPARDI E MONTALE
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lla fine, dopo una lunga e macerante riflessione sul rapporto fra il Poeta, cioè l'Uomo, e la Natura, non possiamo che porre l'accento sulle conclusioni raggiunte in merito da Giacomo Leopardi prima e da Eugenio Montale poi. Per il grande Recanatese la Natura è addirittura ostile all'Uomo, e lo inganna, lo delude, causandogli disagi, malattie, pericoli anche mortali, e difficoltà di ogni genere. Ricordiamo tutti la composizione “A Silvia”, dove campeggia il grido di Leopardi “O Natura, perché di tanto inganni i figli tuoi ?” Quanto a Montale, non v'è chi non ricordi la secchezza dolorosa, l'aridità di quel famoso “meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d'orto” che è la metafora del fru-
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strante, e penoso, viaggio esistenziale dell' uomo. Quando non si parla apertamente di ostilità della Natura, si parla di indifferenza. Per Montale Dio, artefice della Natura, dimostra una sovrana indifferenza nei riguardi della vita dell'Uomo e dell'Umanità. Di fronte a tali atteggiamenti ostili o, per bene che vada, indifferenti, secondo Leopardi all'Umanità rimane una sola possibilità, quella della collaborazione reciproca, della solidarietà, dell'aiuto scambievole. E in effetti su questo mondo vediamo la solidarietà all'opera, in modo più o meno organizzato sul piano giuridico, sociale e morale. Però assistiamo anche a uno sfoggio continuo di potenza e crudeltà, allo scambio reiterato di minacce di guerra o di violenza privata, spesso seguite da aggressioni più o meno patenti, e alla difesa tenace di privilegi di parte, magari brandendo le armi di “simboli religiosi”. Quanto a Montale, è talmente scioccato dalla mancanza di saggezza dell'uomo da restare senza parole: “Questo soltanto possiamo dirti/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo“.
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Scappare da se stessi resta impossibile Sperare in una svolta impegnarsi per essa Da un lungo rumoroso silenzio passare alle parole può servire Luciana Vasile Roma 13 agosto 2019
I SORRISI DELLE FESTE
L'Umanità è raffigurata con la metafora delle formiche che corrono a sommo di minuscole biche e incessantemente, di qua e di là, senza sosta. Trovando nel suolo, fatte le debite proporzioni, meno ostacoli di quanti ne trova l'Uomo nei suoi continui e frenetici movimenti. Per il pessimismo montaliano è assai difficile trovare un senso nella vita umana. E la Storia non è magistra di niente, checché ne dicesse Cicerone. Resta il prezioso mistero della Poesia. Luigi De Rosa
Riscoprirò i sorrisi stampati nelle foto delle feste. Erano un po’ forzati, ma serviranno a rischiarare il buio delle nottate ostaggio dell’insonnia. Accattivanti e fermi, gronderanno memorie quei sorrisi degli attimi perduti. Elisabetta Di Iaconi Roma
EPIGRAFE D’AMORE Tenera e dimentica era presso la fonte con anfora d’argilla.
PENSIERO E abbrividii d’amore. Assale il pensiero alle spalle senza preavviso pervade calore Desiderio inconsulto Eppure aveva sperato il suo dissolversi nell’acido dell’impossibilità di essere vissuto A dispetto, era lì, più vero che mai senza controllo nell’involucro fatto di pelle ignorando la ragione della mente Come liberarsene - si chiedeva ogni volta che questo accadeva non chiamato, non bramato ma anzi rifiutato
Ma, incredula, serbò solo a se stessa la luminosa intimità. Ora la clessidra dei giorni mi riporta a quel trivio del Sud, presso la fonte, epigrafe d’amore. E nei vesperi stremati lei pure sembra irraggiungibile come le stelle belle e più lontane. Rocco Cambareri Da Versi scelti - Guido Miano Editore, 1983
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Recensioni GIUSEPPE NAPOLITANO ALLA RIVA DEL TEMPO Guida Editore di Napoli, Anno 2005, Euro 7,00, pagg. 97 In ultimo è il tempo a stabilire chi deve essere obliato e chi dovrà restare, invece, nitido nel nostro archivio mentale, perché il tempo è un mare senza sponde visibili ma terminante comunque col bagnasciuga sul quale può giungere di tutto, prima o poi, proveniente dai rimasugli della reminiscenza. Scriveva Emily Dickinson nella sua poesia 1203: «È una curiosa creatura il passato/ ed a guardarlo in viso/ si può approdare all’estasi/ o alla disperazione.// Se qualcuno l’incontra disarmato,/ presto, gli grido, fuggi!/ Quelle sue munizioni arrugginite/ possono ancora uccidere!» (Dal volume 3 de La Grande Poesia – Corriere della Sera – Emily Dickinson Poesie, Milano, Anno 2004, a pag. 249). Se si pazienta sulla battigia del nostro tempo, se si ha la costanza d’aspettare e di aspettarsi qualcosa che il tempo-mare ci potrà regalare magari inserito nell’emblematica bottiglia a mo’ d’importante messaggio inoltrato da un ipotetico naufrago o persona bisognosa d’aiuto in chissà quale parte del mondo, allora «[…] non perderò altri giorni/ nell’arida rincorsa di un passato/ inarrivabile se a te darò la chiave/ per aprire un orizzonte non lontano// ammesso che i poeti/ ancora abbiano un cuore/ il mio/ lo metto in mano a te.» (A pag. 30). Lungimirante e appeso al filo di Una virgola, tra il Dire non dire, il poeta minturnese di nascita e formiano di residenza, Giuseppe Napolitano, in questa sua crestomazia fatta d’acqua e trascorrimento, Miraggi e sovrapposizioni tra l’ incommu-
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tabile passato e l’imprevedibile futuro, ci ha mostrato, tra le altre cose, come si può risolvere un Esercizio di tempo molto semplicemente facendo «[…] riposare la mente altrimenti/ si finisce per fare più danni soltanto// quanto tempo per comprendere che il tempo/ va lasciato in pace il tempo necessario/ a riprendere fiato// e partire a nuovi traguardi/ riacquistate le forze/ prima di riscoprire strade nuove// ma tra un’ipallage e una sinestesia/ casualmente trovata si faceva/ adulta la poesia// nell’esercizio dello scontro e dell’intesa/ pur a volte ridicola emergeva/ la parola sospesa// graffio di carne che la carta incide/ rimane a chi sa leggere una prova/ orma riconoscibile/ maschera tolta un attimo e perduta.» (A pag. 87). L’autore, Giuseppe Napolitano figlio dell’ encomiabile poeta, preside di Scuola Superiore, fine letterato del secolo scorso, Nicola Napolitano, a cui è stata rivolta l’intera pubblicazione, ha pensato di strutturare la silloge in gruppi di liriche ciascuno con uno specifico sottotitolo intervallate da ben quattro suoi Intermezzi in prosa, vere e proprie confessioni-indagini di un poeta che ha aderito alla verità senza reticenze, che ha sentito il bisogno di spiegare, ad esempio, il concepimento di una poesia, di un’opera pittorica, riadducibili grosso modo a quella che è stata la creazione del mondo il cui sforzo divino non c’è stato dato di capire, così come non si può comprendere lo sforzo immaginativo di chi compone. «Per scrivere un testo poetico si impiegano a volte mesi, e chi poi lo legge lo divora in pochi minuti… Per dipingere un quadro pure occorrono mesi, e bastano pochi attimi per abbracciarne il messaggio. È un peccato che il lettore non faccia la stessa nostra fatica di creatori: d’altra parte, Dio stesso o chi per lui ha fatto in modo che possiamo vivere dello spettacolo che è il mondo, non ha lavorato sei giorni perché noi, in un alzare di ciglia guardassimo e godessimo? “Ed è subito sera…“ (A pag. 41). E intanto di tempo ne è passato da quando Egli versificava, e versifica ancora, sul nome della cara moglie Irene – che in greco significa pace e lo fu anche per i cristiani ai loro esordi – sui momenti dell’arsura delle parole, le quali sono importanti, indispensabili per descrivere i passaggi emozionali di colui che stila, interpretando il reale e l’ intangibile secondo le diverse gradazioni dell’autentica sensibilità, di cui Giuseppe Napolitano è ricolmo. Andando ad illuminare con la potente torcia della nostalgia la galleria del trascorso, l’autore non poteva non versificare sulla figura-culto per eccellenza, il padre! Per l’appunto. Uomo umanista e umano che ha lasciato un’orma indelebile nella letteratura contemporanea del nostro Sud e non solo. Le
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sue mani tenaci vergavano versi così come si prendevano cura delle piante (specialmente da frutto) che amava in maniera straordinaria. Fatica mentale e fatica manuale gestite saggiamente da un animo nobile e umile, perché lui era «[…] armato di pazienza nei decenni/ lunghissimi delle amare delusioni/ hai vissuto per assaporare poche gocce/ sparse del bene in cui riconoscere/ (semenza di amorevoli cure)/ la tua linfa lasciata ai buoni eredi// armato di pazienza crescendo a fatica/ la bambina petulanza del poeta/ che non perde l’innocenza hai conservato/(meravigliato specchio/testimone)/ e nella nostra mano custodita/ nessuna malia ti ha strappato la voce// armato di pazienza solo quella/ per aver sempre rifiutato altre armi/ che non fossero parole di bontà/ (dure però a ferire se occorreva/ a scalfire anche i cuori di pietra)/ raccogli almeno la bontà delle parole.» (A pag. 69). Isabella Michela Affinito
BRUNO ROMBI QUANDO MUORE UN POETA? (Studia Editore, Romania) Giunto al termine di un lungo itinerario poetico, questo nuovo libro di Bruno Rombi, Quando muore un poeta? rappresenta in po’ la sintesi della sua riflessione sui massimi problemi dell’uomo, quelli cioè del perché della vita e della morte, dello scorrere del tempo e del declino dell’esistenza umana, della sopravvivenza nell’Oltre e così via. In particolare il declino comporta che l’uomo guardi con nostalgia al passato, tentando un bilancio tra guadagni e perdite che nella maggior parte dei casi risulta in passivo. Certo, questo nuovo libro di Rombi è un libro della vecchiaia, allorché la vita è considerata da un diverso punto di vista e tutto acquista un differente valore. La nostalgia allora ci afferra e cresce in noi il rimorso per le scelte mancate; per tutto ciò che avrebbe potuto essere e che non è stato durante il nostro cammino. “E tu oscilli cercando / di comprendere il senso / di questo oscillare degli spazi / temendo che un giorno / si chiudano per sempre” (Il buco). Ci appare allora chiaro il significato della poesia eponima, Quando muore un poeta? con la quale Rombi vuol significare che un poeta muore allorché muore in lui la poesia, allorché cioè egli perde la capacità di cogliere la bellezza del Creato (“quando il cielo non ha più colore”) e perde la capacità di amare (“quando il cuore più non ama”), sicché si spegne in lui il senso della vita e non sa più cogliere
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l’emozione dell’attimo per trasmetterla ai suoi simili. Ciò che rimane allora e soltanto il rimpianto e il continuo volgersi indietro per meditare su ciò che abbiamo lasciato sulla nostra via senza comprenderne neppure il valore o che comunque ci è stato negato. “Quale rimpianto / quello dell’amore / che mai abbiamo avuto: / … / perduto all’improvviso / sul bordo della strada” (Rimpianto). Rimane tuttavia in noi come l’eco della nostra storia se a tratti ciò che fu ritorna e ci ridona il suo bene: “Ogni tanto quel bimbo / rinasce / con un piglio deciso, / ma dolce: / … / Rivive una vita già nota” (Vita di un bimbo); così come non tutto è buio e tristezza se il poeta può dire: “Ma poi c’è il mare / su ogni orizzonte, / il mare insondabile della vita / … / confermando che il viaggio / intrapreso sperando, / mira sempre ad un porto / ove infine approdare” (Poi c’è il mare…). La lotta, ci dice Bruno Rombi, è sempre contro il fuggire del tempo, che non concede pace agli uomini, sicché sovente i poeti ne fanno materia di canto, come avviene nella celebre ode 11 del libro primo dei Carmina di Orazio. Anche Rombi se ne avvale in questo libro, che costituisce un’assidua meditazione sul senso del nostro passaggio sul mondo. Si veda, ad esempio, Il buco, dove leggiamo: “E tu oscilli cercando / di comprendere il senso / di questo oscillare degli spazi, / temendo che un giorno / si chiudano per sempre”: una poesia questa nella quale il motivo della fuga degli astri si unisce a quello del tempo che scorre inesorabile. Come appare evidente dai suoi contenuti, è questo più recente di Bruno Rombi un libro di natura essenzialmente intimistica; e tuttavia in esso non poteva del tutto mancare la vena civile, che s’affaccia in una poesia come E poi che dire…, dove si legge: “E poi che dire / di tutto questo trambusto / di popoli in movimento, / alcuni mossi dal bisogno, / altri arroccati nell’egoismo”. E ancora: “Si ordina, si comanda, si dispone / col sorriso sulle labbra / mentre nel cuore arde / la febbre del potere / sul petrolio e l’uranio”. Il che viene ancora una volta a confermare (se pure ce ne fosse bisogno) la duplicità dell’ispirazione di Bruno Rombi, diviso tra la sottile analisi dei sentimenti e quindi del suo io più segreto, e l’osservazione attenta di quanto accade intorno a lui, che lo porta a farsi paladino dei più deboli e diseredati, sia del suo che degli altri Paesi, denunciando ogni ingiustizia, comunque verificatasi, e mostrando in tal modo una forte vena civile, volta a fustigare tutte le forme di sfruttamento e di sopraffazione. Le ultime liriche del libro rivelano uno stato d’animo volto a una resa dei conti esistenziale, che
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affiora da poesie quali Alla fine: “Alla fine tu sei, / pur senza averne coscienza, / l’uomo solo come ogni uomo / che nasce e vive, / ed anche muore”. Ma per ciò che concerne il sentimento della precarietà del nostro vivere, si vedano anche poesie quali Come un filo di fumo: “E poi, come un filo di fumo / lieve, sempre più lieve, / ci leviamo dal luogo / ove prima albergavamo, / all’improvviso sfrattati / … / cassati da un colpo di spugna / dalla lavagna del mondo”. Per quanto concerne invece il sentimento di gratitudine verso la Terra che ci ha elargito i suoi doni, si legga Genuflessione: “Genuflesso sulla Madre Terra, / che un dì m’ha partorito, / cerco fra le briciole di pane / … / perché basta anche se è poco, / a soddisfare il bisogno / d’un altro giorno di vita”. La Meta è il Cielo, e il poeta lo confessa in Una strada: “Una strada, lunga ed ignota, / mi resta da percorrere / per giungere là dove il cielo / è senza dubbi, più aperto / e dove il sole, immenso, / splende anche di notte”. Per raggiungere tale meta occorrerà prendere un treno che molto assomiglia a quello del caproniano “Viaggiatore cerimonioso”, il quale si avventura nell’Oltre. Questo “sarà un treno veloce, / oppure accelerato” a seconda dei passeggeri “e sarà lento o veloce / a seconda dei bagagli”. Sarà così per ciascuno possibile raggiungere la destinazione assegnata; destinazione raggiunta la quale potrà trovare il suo bene. Un libro di meditazione e di ascesa questo nuovo di Bruno Rombi, che tocca risultati poetici non effimeri, e che rivela nel suo autore una notevole capacità di autoanalisi, nonché una sicura acutezza di sguardo nella ricerca del senso della propria avventura. Elio Andriuoli
GIANNI RESCIGNO IL VECCHIO E LE NUVOLE Bastogi Libri, 2019 - Pagg. 149, € 13,00 Selvazzano, 11 aprile 2019 Cara Lucia, due note sull’ultimo libro “Il vecchio e le nuvole” di Gianni che mi hai gentilmente inviato, per onorare la memoria di questo indimenticabile amico. Trovo anche in questa raccolta di inediti il sillabario poetico di Gianni: le sue prime sillabe apprese dalla Granmadre natura, custode degli archetipi, dell’ amore infinito che la percorre. Sillabe in lui racchiuse, aperte in inesauribile canto di lode alla sua terra, alla madre, al padre, alla casa, alla sua amata Lucia e ad ogni incontro umano. Temi che sgorgano limpidi dalla sua sorgente lirica, da sempre se-
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gno di coerenza interiore-vocazione per la vita nelle sue offerte. attese, promesse, speranze, gioie, vissute tutte nei suoi versi con piena partecipazione anche nella consapevolezza del dolore. E ben si addice alla sua ars poetica il termine sillabario, usato dai bambini piccoli almeno ai miei tempi, perché Gianni si avvicina alle cose con l’innocenza, lo stupore di ogni bambino e come un bambino rivela nella sua scrittura, con vergine spontaneità, la verità del mistero. Per questa infanzia in lui rimasta immacolata, la parola è leggerezza cristallina, brezza marina, come lui ben afferma …forse sono stato/un uomo d’aria,/di terra, di mare./Forse un uccello/fuori dal tempo/sempre in giro/fra le stelle… Una parola mitica come Venere nascente dalle acque, espressione della sua sostanza interiore maturata nella trasparenza del Creato ed elevata al cielo come preghiera sublime oltre lo spazio e il tempo. Ecco, cara Lucia, dovrei scrivere pagine intere su Gianni perché è un poeta veramente unico oltre che un amico prezioso, ma ho cercato di sintetizzare così. Spero che quanto scritto di sia gradito. Un abbraccio affettuosissimo Marisa Maria Luisa Daniele Toffanin
ELISABETTA DI IACONI CAMMINERÒ Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, apr. 2019 Un percorso fatto e quello da fare nella silloge “Camminerò”, che la Diaconi ha pubblicato per i quaderni letterari di Pomezia-Notizie nella edizione speciale del “Il Croco”, aprile 2019. Ventisei componimenti brevi, dove il succo del suo riflettere si stempera in dodici- venti versi, poco più o poco meno, ma che sono di una incisività tale a cui tanto basta. Come accade a tutti gli umani, siano essi pensatori o semplici anime, la poetessa giunge a una stagione della vita dove si fanno bilanci, esaminando speranze e sogni confrontati con quella che è stata poi la realtà. E debbo dire che, tranne alcuni sparuti casi, spesso vi è un forte sbilancio tra il dare e l’ avere. Rimane qualche perla …/ Si sfalda la memoria … nel vento della vita. Ecco tutto è già chiaro alla riflessione della poetessa. Ma sebbene il gelo dei ricordi, come ama definire questi la Di Iaconi, non abbandona il pensiero di nessun essere al mondo, esiste però anche una ferma e nascosta volontà dentro di noi, che ci spinge a
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riprendere sempre i nostri passi e a camminare, camminare, camminare. La cosa interessante e bella, almeno per noi che amiamo balbettare con i versi, è che spesso queste nostre angosce, queste nostre ambasce, possono essere risolte o quanto meno alleviate dalla scrittura poetica. Bella la sua descrizione di questo pensare nei versi: “… non so l’argentea sinfonia degli astri. Solo la poesia sa dirmi che è possibile l’ascolto …”. La sua predisposizione all’ascolto la catapulta in una dimensione spirituale che la pone alla ricerca di Dio, con la speranza di ricevere quella elevazione di cui tanto brama. Conosce però la sua condizione umana di folla tra la folla, di piccolissimo punto messo su una strada in balia dei venti dell’esistenza. Ma ciò nonostante in lei non muore la speranza di un tempo nuovo. Un tempo che regali solo luminosi giorni, privi finalmente di ogni affanno. Ma la nebbia della nostalgia cala spesso all’ improvviso, in essa ci si perde mentre l’occhio metaforico dell’anima va alla ricerca, dentro quell’ offuscamento, dei bei momenti di chiarore del limitato arco della vita. La vita però è fatta per non arrendersi. Ecco che allora, anche se con fatica, cerca di sbrogliare possibilmente la sua intricata matassa. E ciò le è consentito perché le sue fortezze sono conservate nel cuore e nella mente. I ricordi del passato, dice, sono come dei coriandoli, che sparsi nell’aria nel momento della festa si adagiano, poi, sul suolo del cuore, ma che si risollevano appena il vento di nuove speranze o audacie, come la poetessa le chiama, li fanno turbinare di nuovo nel vento della vita che ancora non è spenta. L’importante, dice la Di Iaconi, è combattere perché sono le battaglie che ci portano alla vittoria, sconfiggendo così tutte le paure. Anche il sole tramonta e sorge ogni giorno, ma è bellissimo vedere in quella alternanza l’orizzonte che immancabilmente si colora di un tenue rosa. Quel rosa è la meravigliosa speranza che ci fortifica e ci rende dimentichi delle asprezze più acute che abbiamo vissuto. Ed è fondamentale, prima che tutto quel colore si trasformi in buio e ci porti il sonno, che il cuore si senta pago restituendoci quella pacatezza di cui abbiamo tanto bisogno. Tra tanto gelo, tramontana, gocce di pioggia di lunghi inverni, resta quell’impronta estiva che altro non è, se non l’ancestrale presenza in lei del suo mese di nascita. È questo calore dell’inizio che, in fondo, le consentono di sconfiggere le melanconie e le tristezze della vita che arrivano sempre in abbondanza.
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Passati i momenti di scoramento, che avvolgono tutti coloro che si mettono in cammino sulla strana via della vita, la Di Iaconi pur sapendo che arriverà il tempo della “livella” a cui nessuno umano sfugge, si dice certa però che in quel particolare momento: spunterà una stella/ che schiarirà la strada. E lei sarà pronta per lasciarsi trasportare in luoghi misteriosi, senza abbandonare anche in tale occasione la sua vocazione del camminare, seguendo itinerari dettati dal cuore e dalla mente. Salvatore D’Ambrosio
GIANFRANCO JACOBELLIS I VUOTI DEL MOSAICO (Biblioteca dei Leoni, Padova, 2019 € 12,00) La ricerca poetica che Gianfranco Jacobellis compie in questo suo nuovo libro di versi, I vuoti del mosaico, consiste in un lungo interrogarsi sul valore della vita, nell’ardua ricerca di un senso che gli sfugge. Significativa è a tale proposito, La porta, che ha questo incipit: “All’inizio c’è il futuro / come una grande casa / con tante strade / fino alle sue porte chiuse // il dilemma è la scelta”. La differenza tra la gioventù e l’età adulta sta appunto nell’ampia prospettiva del futuro che accompagna la prima, mentre nella seconda tale prospettiva a poco a poco declina, sino a dileguare. E ciò che maggiormente è problematico nel corso della vita umana è il dover affrontare di volta in volta delle scelte che condizionano poi tutto l’avvenire. Questa assidua introspezione (che è poi un dialogo serrato con la vita) accompagna l’intero libro, nel quale si trovano delle continue osservazioni sull’avventura dell’uomo sul mondo, come quella de Il nuovo candore, dove è detto: “… si vive controvento / … / nello stanco colloquio con se stessi” o quelle de La lontananza: “Non c’è un posto preciso / dove fermarsi // per legare la vita / agli antichi anelli / nel muro dei tempi”; una poesia, questa, nella quale la ricerca di un ubi consistam appare quanto mai assillante e tesa, nella sua inquietudine. E a proposito della ricerca di un senso da dare alla vicenda del vivere e del morire appare quanto mai significativa una poesia come La vera morte, dove è detto: “… continua a vivere / chi alle sue parole / ha donato radici // comincia a morire / chi da vivo / cancella il mondo / e le altre memorie”. Talvolta è un auspicio che muove il poeta a cantare: “Il vento / gonfi le vele / e disperda le reti traditrici / sia annuncio dei ritorni” (La chiesa sommersa); talaltra è la percezione del valore del proprio vissuto che fa nascere in lui la poesia: “Se ti senti
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vivere / sei nel presente / ma è nella memoria / la tua vera storia” (Il dubbio indispensabile) o magari è la stupenda bellezza della natura ad attrarlo: “La nuvola s’incendia / sull’orizzonte più lontano / nell’ultimo fuoco del sole” (L’altra sponda). C’è poi in lui lo stupore causato dal ritrovarsi in un luogo ignoto e senza tempo: “In una notte / il luogo è / al margine dell’eco” (L’iperbole di un attimo) e c’è l’incombere del destino che ci determina: “Se il destino ad occhi aperti / è un cerchio che si chiude // diventa la prigione virtuale / o il rifugio all’interno del tempo… “(L’unica incertezza). Una poesia essenziale quella di Gianfranco Jacobellis, fatta di pochi versi, ma intensi e dal carattere epigrammatico, che sono il frutto di assidue meditazioni: “Impariamo a mutare / il cuore ha altre incertezze / l’anima i suoi rifugi / il futuro ampi silenzi” (Nel bosco dei laghi). Ne risulta un colloquio ininterrotto con la propria anima o con un ipotetico interlocutore al quale il poeta si confessa, cercando di scoprire le ragioni del proprio vivere qui ed ora, sul mondo, nel tentativo di trovare “l’alternativa all’eternità”, come è detto nell’ultima poesia del libro, L’alternativa, appunto. Un libro di piacevole lettura e ricco di molto pensiero questo nuovo di Jacobellis, frutto di un’ assidua e profonda introspezione. Elegante la veste editoriale, che reca in copertina un “Micromosaico romano dell’inizio del secolo XIX, proveniente da una collezione privata. Liliana Porro Andriuoli
E FU COSÌ CHE IL PRODE E PINGUE INCERTO.... Endecasillabi sciolti in strofe sestine ad onore di Rossano Onano Antifona Qual è colui che già spossato e stanco dal lavoro in divisa tra i viziosi per foca ed infoina ed altro ancora, si dirige altresì contro sua voglia a scorazzar sotto feral calura e moglie e amica con suocera al fianco, tal era Incerto armato a subir doglia
Pag. 30 nel recarsi costì al lacustre verde, Fimon si noma: laggiù vengon condotte e l'una e l'altra e l'altra ancora, sfatte. Vuolsi così! Colà dove il Palladio ebbe con gran fermezza immortalato la Rotonda mirabile, ora in coppia stan fermi e pronti due della Mistura. L'uno si gira, l'altro si discosta e muove a cenno chiaro ed indiscusso, resi solerti da costante brama per bloccare l'Incerto e la marmaglia.
Azione Ad un metro non più dalla vettura, il brigadiere con altér sorriso di colui che sa già il verbale in tasca, si avvicina e pregusta senza sforzo regolare pedaggio, giusto e caro: mosso il passo, si blocca ad osservare colei che a destra del volante posa, con velo nero, ossuto il viso e cupo. La Marfisa attempata non fa mossa, ma già un: -'Va a dar via i ciapp!', pensa fremente e l'Incerto è pur pronto alla bisogna con la man destra nella giusta tasca. Ilia, di lui la giovine compagna, tonda, con copricapo e ben coperta, col sorriso sul volto fissa l'Omo, quasi a distrarlo da sua legale voglia: ma colui, osservato alla bisogna il pover guidator pelato e fiso a compier suo dover malgrado tutto, sbiancato in volto, solido il sorriso, come colui che morte certa vede, dice calmo e sereno: “Non importa, vada pure!”, pensando ora in cuor suo
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come la sorte, mala, cupa e nera molto ha infierito oltre il consentito sul groppon dell'Incerto, stanco e ambito dalle 'foie' del Cert senza mutande che vorrebber mostrargli lor 'Venezia', gondola natural infetta e smunta: sanno ch'è merce pronta alla consegna! Per consolar lo spirito e la carne entrambi affetti da crucial torpore, debole il rostro, molle la faretra, si diresse l'Incerto all'indomani al lavoro per dare il Gonfalone a destra e a manca, in gocce od in flacone. Finale E fu così che il prode e pingue Incerto scampò tosto a gendarmi e questurini pietrificati dalla vista fosca di spettral dama, sul sedile posta! Lago di Fimon, 27 luglio 1999 (Tolti i luoghi storici, la data e l'autrice, veri, ogni riferimento a persone ed eventi è costruito per puro diletto di fantasia). Ilia Pedrina Vicenza
IL CIELO Il cielo di notte fa di perla le infinite stelle; la luce lontana del firmamento un velo inafferrabile intesse con le trame di leggera ovatta che l'oscurità diffonde. Una vastità senza orizzonte che sale in alto lasciando la terra spezzata tra valli e monti, dilaniata nelle spaccature delle voragini e le rocce taglienti sono le sporgenze di un grande pianeta precipitato nel fondo.
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L'oscuro manto della notte addormenta le vecchie case abbandonate che solo i gatti in amore conoscono, le terre argillose che ancora portano ricordi di alluvioni, i paesi in pendio sui costoni dirupati. Come scegliendo dagli oggetti confusi nelle tenebre, ciascuno fruga per cercare le proprie cose. Il cielo purificato dal suo immenso raggio corre sulla scia di una cometa meravigliosa fino a raggiungere le sfere incandescenti delle tante stelle. Un tripudio di fuoco che festeggia l'eterna gloria innalza l'aureola del Creato. Sulla terra dove l'acquitrino marcisce con le sterpaglie il cielo limpido si specchia; quando gli animali affamati escono per assaltare la preda il cielo sereno fascia i rami del bosco. Se di notte la crisi esistenziale prende con l'angoscia sapendo come povero è il corpo sulla terra luminoso si vede il cielo dalla finestra. Leonardo Selvaggi Torino
PRIMAVERA La primavera è arrivata ed io mi sento una fata, ho fatto sparire i miei problemi ed ho abbracciato i miei legami. Il mio afflato magico è con me e mi crogiolo insieme a te, mia primavera. Primavera di gioia, insieme a te profumo d’immenso, salto tutti gli ostacoli e mi riposo tra l’erba verde e tra i mille colori cangianti dei fiori splendenti.
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La primavera è dentro di me, mi regala pensieri in boccio che sbocciano al sole e volano nell’aria e atterrano nel mio cuore, creando un giardino di maestosi versi in fiore!
I POETI
9 – 9 – 2019 Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi
NON SAPEVAMO DOVE ANDARE
I poeti sono i filtri attraverso cui il dolore del mondo diviene reale. Manuela Mazzola Pomezia, RM
Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)
QUADRI Dipingevo il mondo in bianco e nero, perché così vedevo il mondo: l'amore e l'odio, l'umiltà e la superbia, la bontà e la malvagità. Dura ed inflessibile gridavo ai miei quadri. Ora il mio universo conosce tante sfumature, è soffice ed armonioso, flessibile ai venti. Oggi non grido più, ma sibilo appena. Manuela Mazzola
Non sapevamo dove andare. Ci mettevamo le mani davanti agli occhi per non vedere. Il mondo erano le strade sconosciute, i venti, le giornate perdute, le voci mai sentite. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole - Bastogi, 2019.
Pomezia, RM
E QUANDO… D. Defelice: Il microfono (1960)
E quando un giorno alzerai gli occhi al cielo... mi vedrai volare! Manuela Mazzola Pomezia, RM
IL CROCO I Quaderni Letterari di POMEZIA-NOTIZIE il mezzo più semplice ed economico per divulgare le vostre opere. PRENOTATELO! Inviate le vostre opere attraverso e-mail: defelice.d@tiscali.it
NOTIZIE CERIMONIA DI INVESTITURA DI CAVALIERI E DAME - Il 28 settembre 2019, alle ore 17,30 nella Chiesa dello Spirito Santo, Piazza dello Spirito Santo - Pistoia - si è svolta la solenne celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Umberto Pineschi, Acc. di Grazia Conv., durante la quale S. E. il Protettore Perpetuo Marcello Falletti di Villafalleto ha presieduto la cerimonia d’investitura dei nuovi Cavalieri e Dame dell’Accademia de Nobili, fondata nel 1689. Il Santo Rito è stato accompagnato dal Coro dell’Immacolata di Pozzale diretto
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dall’Acc. di Grazia Maestro Alessandro Bartolozzi, all’organo il Maestro Flavio Fiorini, nella cornice degli Accademici Cavalieri e Dame che indossavano l’insegna d’Ordinanza. Poi, alle ore 20,30 presso l’Hotel Villa Cappucci, Ristorante Collegigliato “Sala Sole” di via di Collegigliato 45, Pistoia, gran Cena di Gala, durante la quale sono stati consegnati i Diplomi, le Tessere e gli Statuti. *** ANCORA IL DRAMMA DI UN BAMBINO CHE MUORE ABBANDONATO DAL GENITORE IN UNA MACHINA - Catania, 19 settembre 2019: il piccolo Leonardo di appena due anni, in macchina legato sul suo seggiolino, viene lasciato dal padre per cinque ore sotto il sole, davanti all’università dove egli lavora. È la madre del piccolo, la moglie, che gli telefona per chiederli come mai il bambino non fosse all’asilo. Solo allora Luca si sveglia dalla sua completa e assurda amnesia, ritorna alla realtà, si ricorda del figlio, si precipita in strada, disperato, apre la vettura, ma è ormai troppo tardi. Immani tragedie del genere se ne verificano ogni giorno nel mondo e, in particolare, nei Paesi cosiddetti evoluti; solo in Italia, nove vittime negli ultimi dieci anni. Ricordiamo, come esempio, altri due fatti: quello della piccola Elena Petrizzi, che il 18 maggio 2011, a Teramo, ha commosso per la sua atroce fine (i suoi genitori hanno, poi, acconsentito all’espianto degli organi) e quello di Andrea, venti mesi, morto nello stesso modo a Catania il 31 luglio 1998. Anche in questo caso, il padre, anziché portare il figlio all’asilo, si fionda al parcheggio dell’ azienda, scende in fretta e chiude a chiave il veicolo, lasciando la creatura dentro che si arrostirà sotto un sole a 40 gradi nel torrido scirocco africano. In tutti i casi, non si tratta di genitori snaturati, orchi, torturatori di bambini, ma di persone affettuose ed evolute. Il genitore, di quest’ultimo figlio finito tragicamente, è docente e ricercatore nella facoltà di Ingegneria dell’università di Catania e nell’ ospedale - dove il bimbo è stato inutilmente trasportato - la madre è cardiologa e figlia di uno dei più noti chirurghi catanesi; il padre di Elena lavorava all’università di Teramo; il padre di Andrea era tecnico della Sgs Thompson, azienda specializzata in elettronica… Principale imputato, in tutte queste tragedie, allora, è da considerarsi solo il lavoro frenetico che produce infezione psicologica, che inibisce e queste morti innocenti sono degli autentici incidenti in itinere. In un mondo come il nostro, così male organizzato - da mettere in primo piano, da tenere in sommo grado fino ad ottundere i soggetti, l’accumulo della ricchezza nelle mani lorde di sangue di pochissimi
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caimani -, è il lavoro ad essere colpevole, il lavoro che non c’è, che manca e che, quando c’è, assilla fino a condurre alla smemoratezza, all’ansia i soggetti che lo svolgono. Lavoro uguale disperazione, uguale stress micidiale e crudelissimo, indegno dell’uomo che si reputa civile. Occorre ripensare alla organizzazione della società e del lavoro; occorre lottare affinché ci sia lavoro per tutti, con meno ore lavorate perché tutti possano lavorare, perché il lavoro sano - non quello avvelenato dei nostri giorni - è al vertice della dignità dell’uomo, la sua prima fonte di benessere e di tranquillità. Occorre lottare per scardinare questa società della finanza estrema e del profitto ad ogni costo, che mette al margine la maggioranza degli esseri umani - chi ha il lavoro e chi non ce l’ha -, li spoglia della dignità e li conduce alla follia. Patrizia, Andrea, oggi Leonardo, le migliaia di altre creature innocenti di ieri, di oggi e, forse, purtroppo, anche di domani: una strage infinita alla quale dobbiamo assolutamente mettere termine. Il cuore nostro è a brandelli, sanguina inarrestabile davanti a queste immani tragedie e alla sorda ottusità dei politici di ogni colore. In Parlamento, per esempio, giace da tempo una legge sui dispositivi antiabbandono: i seggiolini dovrebbero essere tutti muniti di un dispositivo che avverte continuamente della presenza dei bambini. Non sarebbe la soluzione di tutto, perché essa risiede solo nella riorganizzazione del lavoro, nel renderlo sano e dignitoso, non strumento di demenza e di morte. A tutte queste innocenti creature dedichiamo i versi a sua tempo scritti per la piccola Elena: FRAGILI INSETTI IMPAZZITI Può un padre in macchina, sotto il sole, la figlia dimenticare - una bimba, un piccolissimo fiore! e tranquillo andare a lavorare all’Università? Nessuno ha udito passando urlare dietro i vetri oscurati, il pianto sempre più lento prima che pensasse d’esser stata tradita e si lasciasse andare in braccio all’Eterno? Può figurarsi ancora, quel padre, una ragione di vita? Rinascere hai fatto tre bimbi, piccola Elena, ciò che non scioglie
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il nostro cuore di pietra, l’ansia capitalista che ci stritola più di uno schiacciasassi, fragili insetti impazziti nel vortice capitalista per una mollica di polline, un tozzo di pane avvelenato. Domenico Defelice *** Ringraziamenti per le sillogi “Camminerò e Un volo di farfalle” - Ringrazio di vero cuore i collaboratori di Pomezia Notizie che hanno commentato in modo approfondito le mie ultime opere: Manuela Mazzola, Maria Antonietta Mosele, Giuseppe Gorgioli, Roberta Colazingari, Laura Pierdicchi, Marcello Falletti di Villafalletto (la cui recensione è stata pubblicata sul giornale L’ Eracliano), Béatrice Gaudy (per la traduzione in francese) e Salvatore D’Ambrosio. Elisabetta Di Iaconi *** PREMIATA NOEMI PAOLINI GIACHERY Alla scrittrice e saggista romana Noemi Paolini Giachery è stato assegnato il Premio “TulliolaRenato Filippelli” di Formia (LT) per il volume Italo Svevo Il superuomo dissimulato, stampato dalle Edizioni Studium nella collana Nuova Universale (1993, pagg. 224, € 12,40). Consegna del Premio, il 18 ottobre 2019, alla Biblioteca del Senato. Complimenti vivissimi!
LIBRI RICEVUTI ORIANA FALLACI - Un uomo - Prefazione di Domenico Procacci - Corriere della Sera Rizzoli, 2019 - Pagg. 662, € 8,90. Oriana FALLACI (1929-2006) - leggiamo nel risvolto di copertina -, fiorentina, è stata definita “uno degli autori più letti e amati del mondo” dal rettore del Columbia College of Chicago, che le ha conferito la laurea ad honorem in letteratura. Ha intervistato i gradi della Terra e come corrispondente di guerra ha seguito i conflitti più importanti del nostro tempo, dal Vietnam al Medio Oriente. Tra i tantissimi suoi libri, tradotti in tutto il mondo: I sette peccati di Hollywood (1958), Il sesso inutile. Viaggio intorno alla donna (1961), Penelope alla guerra (1962), Gli antipatici (1963), Se il sole muore (1965), Niente e così sia (1969), Quel giorno sulla Luna (1970), Intervista con la storia (1974), Lettera a un bambino mai nato (1975), Un uomo (1979), Insciallah (1990), La rabbia e l'orgoglio (2001), La forza della
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ragione (2004), Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci (2004), Oriana Fallaci intervista sé stessa L'Apocalisse (2004) eccetera. ** JULES VERNE - Viaggio al centro della Terra Illustrazioni di M. Riou - Collezione Hetzel, 2018 Pagg. 330, € 1,99. Jules VERNE nacque nel 1828 nell’isola di Feydeau, nel porto francese di Nantes. Era il primo di cinque figli di Pierre Verne, un giovane avvocato, e di Sophie Allotte de la Fuye. A Parigi studiò Diritto e a Parigi si risvegliò in lui un’intensa vocazione per le lettere. Nel 1856 conobbe Honorine Deviane, una giovane vedova di Amiens, con la quale si sposò e si trasferì a Parigi. Nel 1861 nacque il suo unico figlio, Michel. Nel 1863, Pierre-Jules Hetzel, uno degli editori più importanti dell’epoca, pubblicò “Cinque settimane in pallone”, che fu accolto con entusiasmo. Verne pubblicò, dopo, circa 60 romanzi e raccolte di racconti brevi. Divenne subito famoso a livello mondiale. Scrittore e viaggiatore. Fu consigliere presso il comune di Amiens, dove visse dal 1871 al 1905, quando è morto per una crisi di diabete. Tra le altre onorificenze, quella di Ufficiale della Legion d’Onore. Ricordiamo alcuni titoli delle sue opere: “Il giro del mondo in ottanta giorni”, “Cinque settimane in pallone”, Ventimila leghe sotto i mari”, Dalla Terra alla Luna”, “I figli del capitano Grant: America del Sud”, “Michele Strogoff”, “Intorno alla Luna”, “La scuola dei Robinson”, “Un capitano di quindici anni”, “Il paese delle pellicce”, “Avventure di tre russi e tre inglesi nell’Africa australe”, “L’isola misteriosa”, “Le tribolazioni di un cinese in Cina”, “Le avventure di Ettore Servadac”, “I naufraghi del Chancellor”, “Le avventure del capitano Hatteras”, “I cinquecento milioni della Begum”. ** DAVID BLANCO LASERNA - HAWKING I buchi neri. Il cosmo e le sue leggi svaniscono nell’oscurità - RBA Italia S. r. l., 2019 - Pagg. 158, € 1,99. David BLANCO LASERNA è fisico e scrittore. Ha pubblicato numerosi libri di divulgazione scientifica, tra cui “Il bosone di Higgs” e “L’universo è sulla cresta dell’onda. Schrödinger: i paradossi quantistici”. Stephen HAWKING, nato nel 1942 e morto nel 2019, dalla prigione in cui il suo corpo andava trasformandosi, studiò i buchi neri e il Big Bang, i due ambiti dell’astrofisica in cui sembra vacillare la Teoria della Relatività Generale. È stato - leggiamo in quarta di copertina - una personalità capace di eclissare tutte le altre nel panorama scientifico del secondo Novecento. Le sue brillanti speculazioni hanno valicato i limiti della nostra conoscenza, colmando il divario apparente-
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mente inconciliabile tra le due grandi teorie della fisica moderna: la meccanica quantistica e la relatività generale. L’interesse di Hawking si è concentrato sullo studio di fenomeni particolarmente oscuri ed elusivi, la cui spiegazione richiede il concorso di entrambe le teorie: i buchi neri e l’origine dell’ universo. La sua intelligenza quasi chiaroveggente ha concepito le prime equazioni di una teoria unificata che nessuno è stato ancora in grado di formulare: la gravità quantistica.
TRA LE RIVISTE MAIL ART SERVICE - Bollettino del Centro “L. Pirandello” di Sacile, diretto da Andrea Bonanno via Friuli 10 - 33077 Sacile (PN) - E-mail: milbon@katamail.com -. Riceviamo, in via telematica, il n. 106, giugno 2019, dal quale è doveroso segnalare due lunghi saggi: <<”Le parole a comprendere” di Domenico Defelice, una silloge poetica, fra confessioni e commisurazioni, che invita alla valorizzazione dei veri valori umani nel tempo demenziale di una allucinante massificazione>>, di Andrea Bonanno, e “Il devastante nichilismo nemico dell’Arte”, di Tommaso Romano. * POETI NELLA SOCIETÀ - Rivista letteraria, artistica e di informazione, diretta da Girolamo Mennella, redattore capo Pasquale Francischetti - via Arezzo 62 - 80011 Acerra (NA) - E-mail: francischetti@alice.it - Riceviamo il n. 96, settembreottobre 2019, nel quale rileviamo, tra le tante firme, quella della nostra collaboratrice Isabella Michela Affinito.
LETTERE IN DIREZIONE (Gianluigi Bellin, Vicenza) Gentile Direttore, ho notato su Pomezia Notizie di Agosto 2019 una lettera di Ilia Pedrina a Papa Bergoglio su temi religiosi. Non ho competenze professionali in ecologia o in teologia, ma vorrei intervenire sulla crisi ecologica attuale anche facendo riferimento alla Lettera Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco.
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Lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia e l’incendio nella foresta amazzonica rendono evidente a tutti la difficoltà e l’urgenza degli sforzi per ridurre il riscaldamento globale. E’ noto che il mutamento climatico colpisce i paesi poveri più di quelli ricchi: i paesi poveri si trovano in basse latitudini con temperature già molto alte; il riscaldamento globale li allontana ancor più da condizioni climatiche favorevoli allo sviluppo (Mendelssohn, Dinal and Williams 2006). Secondo Philip Aston (Il Messaggero 25/ 06/2019), relatore speciale ONU su estrema povertà e diritti umani, i cambiamenti climatici potrebbero creare 120 milioni di nuovi poveri entro il 2030. L'enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco (2015) è un documento di vasto respiro, che considera aspetti scientifici, filosofici, religiosi della crisi ecologica e propone linee di azione. Il riferimento a Francesco d’Assisi è così spiegato: “Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia ed autenticità. […] In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore”. Il Capitolo I ricorda fatti accertati dagli studiosi di ecologia. In particolare si nota che la deforestazione è causa del riscaldamento globale, questo causa l’innalzamento del livello marino, mentre un quarto della popolazione mondiale vive in zone costiere, spesso molto povere. Il Capitolo (III) svolge una analisi critica radicale della tecnoscienza. “Il problema fondamentale è […] che l’ umanità ha assunto la tecnologia ed il suo sviluppo insieme ad un paradigma omogeneo ed unidimensionale. […] E’ come se il soggetto si trovasse di fronte alla realtà informe totalmente disponibile alla sua manipolazione”. Il filosofo Massimo Cacciari (conferenza a Vicenza 2017) commenta facendo risalire questo paradigma alla distinzione tra res cogi-
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tans e res extensa nella metafisica di Cartesio, dove il pensiero è destinato a dominare il mondo naturale. Il progetto di una Ecologia Integrale alternativo è discusso nel Capitolo (IV). L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Ma i due ambiti non vanno separati: oggi “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura.” Inoltre nello studio degli ecosistemi “questi non sono considerati solo per determinare quale sia il loro uso ragionevole, ma perché possiedono un valore intrinseco indipendente da tale uso. Come ogni organismo è buono e mirabile in sé stesso per il fatto di essere una creatura di Dio, lo stesso accade con l’insieme armonico di organismi in uno spazio determinato, che funziona come un sistema.” Ma come si può far emergere un paradigma alternativo oggi? Questo è discusso in dettaglio nel Capitolo (V). L’enciclica vede un confluire dei movimenti ecologisti con il mondo degli scienziati consapevoli, con l’azione dei governi e delle istituzioni internazionali che promuovono gli accordi in tutela dell’ambiente. La storia degli ultimi anni e la cronaca di questi giorni mostrano i difficili compiti per tale percorso. 1. L’accordo di Parigi del dicembre 2014 per ridurre l’incremento globale della temperatura al di sotto del 2%, richiede una diminuzione delle emissioni di gas serra a partire dal 2020. L’accordo fu sottoscritto anche dai “grandi inquinatori” UE, USA, Cina e India; ma nel 2017 D. Trump dichiarò l’intenzione di ritirarsi da esso. 2. In alcuni paesi (UE, Nuova Zelanda, Australia, USA) vi è il “mercato delle emissioni”: le aziende ricevono “permessi di inquinare” che non devono essere inferiori all’ inquinamento effettivo. E’ possibile però acquista-
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re permessi da altri soggetti o vendere parte dei propri. Una critica a tale meccanismo è che non impedisce il dumping della polluzione nelle zone povere all’interno di un paese (Wikipedia) 3. La Cina, dopo il catastrofico inquinamento del 2013 a Pechino, si è impegnata in un grande sforzo di riduzione dell’ inquinamento, attraverso investimenti in energie verdi, auto elettriche e infrastrutture a bassa emissione di CO2. Oggi la Cina è leader nel settore dell’energia solare fotovoltaica e le industrie cinesi hanno il 60% della capacità di produzione di cellule solari. Le economie di scala possono abbassare i prezzi di queste nuove tecnologie consentendo loro di divenire la norma. Ma i notevoli successi nel miglioramento dell’aria nei centri principali non corrispondono alla situazione nell’insieme del paese, dove il consumo del carbone è aumentato; vi è dunque il rischio di una ecologia a due velocità. (Aude Marville, Les paradoxes de la révolution verte chinoise, Institute Montaigne 15 febbraio 2018). Gianluigi Bellin Gentile Gianluigi Bellin, La ringrazio della Sua lettera. Ma sarà tutto vero quel che si scrive e s dice sul prossimo, ineluttabile disastro ambientale? Sul tema dell’ecologia - a mio modesto parere - si sta esagerando, a tal punto da spaventare, creando panico e traumi in molti di noi, specialmente in coloro che sono assai sensibili e facilmente influenzabili. Il cambiamento di clima dipenderà pure dalla deforestazione e dall’inquinamento, ma non in senso categorico, assoluto: sono la stessa Natura e lo stesso ambiente che ciclicamente cambiano. Si afferma, per esempio, che nel passato l’intera Europa fosse sotto il ghiaccio e che il Sahara fosse una rigogliosa foresta; eppure, in quei tempi, non c’era la deforestazione e non c’era l’inquinamento industriale dei nostri giorni; i dinosauri e tanti altri animali si sono estinti, come moltissime piante oggi a noi sconosciute e non c’erano ancora i danni dell’uomo, le sue
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sporcizie, le sue predazioni, il suo cemento, le sue ciminiere. Giusto e sacrosanto, allora, limitare deforestazione e inquinamento, ma senza strafare con gli allarmismi catastrofici fino a creare patologie. Il pianeta terra, nel futuro - prossimo o meno prossimo lo sa solo Dio -, non sarà come oggi e ciò non dipenderà né dalla presenza dell’uomo, né dalla sua azione. Posso pure credere che l’azione dell’uomo contribuisca ad accelerarne il processo, ma è assurdo e illogico addossarle tutta intera la colpa. Va benissimo lottare per il “miglioramento dell’aria” e per tantissimo altro, come la lotta ai parassiti nocivi e la difesa della flora e della fauna, specialmente di tutto ciò ch’è minacciato d’estinzione (il giorno che sulla terra non ci saranno più leoni, tigri, elefanti, gazzelle, uccelli, lucciole, cicale e via elencando; certe piante e certe erbe e certi fiori, sicuramente l’uomo sarà grandemente infelice), ma tutto deve esser fatto con intelligenza, aiutando la natura, senza eccessivi annunci terrorizzanti e catastrofici. La terra, il suo cielo, la sua aria, l’uomo stesso son destinati a mutare, inesorabilmente. Domenico Defelice
GIULIO E LUIGI CICCARONE I GEMELLI OUTSIDER DELL’ARTE ITALIANA di Salvatore D’Ambrosio ONO oltre trent’anni che con interesse e molto entusiasmo, seguo la pittura dei fratelli Ciccarone. Gemelli legatissimi e ovviamente tanto uguali, al punto da rendere difficile l’ individuazione chi tra i due è Giulio e chi Luigi. Ma una cosa mi è stata chiara fin dalla loro prima esposizione che, sebbene non potessero per un fattore comune a tutti gemelli essere presenti disgiuntamente in un vernissage, il
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loro modo di fare arte ha due esigenze completamente diverse. Sebbene la tecnica, l’uso del colore, le dimensioni dei dipinti spesso sono perfettamente uguali o si discostano di poco l’uno dall’altro, il campo emozionale, il raccontare, l’estetica e la sua ricerca, si muovono in due campi differenti. Giulio predilige la figura umana con la presenza esasperante del soggetto femminile. Pochi nudi; ma fascinazione continua della plasticità del corpo della donna. Intense e significative le malinconie che racconta sulle tele, di quella metà del cielo che ancestralmente è in noi. Lo sguardo che si posa sui lavori coglie in un attimo la visione che intercorre tra la dimensione visionaria e interiore dei soggetti rappresentati. Nel suo lavoro sono racchiusi significati che gli sono difficili dire a parole. E non solo a lui, ma a tutti gli uomini dotati di grande sensibilità. Che spesso si perdono al cospetto del femminile. Timido per natura, come da sua sofferta ammissione, ha un approccio con la donna nel reale molto difficoltoso. Ecco allora che cerca di sopperire a questo handicap, omaggiando il reale nell’irreale di una tela. Diventano così i suoi corpi morbidi, flessuosi; con espressioni cariche di melanconie, di docile fermezza o spesso di volitiva affermazione del genere femminile. La vivezza delle sue figure si avvale di colori forti, decisi, espressione dello stato d’ animo dell’autore, ma anche della personalità dei soggetti che sta rappresentando. Fa muovere, inoltre, i suoi personaggi nel mondo reale. Le composizioni tengono conto di interni con morbidi divani, letti sfatti che accolgono languidi corpi. Personaggi pensosi fermi davanti a fumanti tazze da caffè. Amiche consolatrici strette in abbracci senza malizie, ma che piuttosto raccontano la solitudine di un mondo femminile. E poi il colore, tanto colore, un’action painting alla Pollock nel concetto e non nella forma, in quanto il suo non è uno stenderlo come in un rito tribale e quindi convulso, che cola, che prende corpo anche calpestandolo alla J. P, ma è un
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rimescolamento ordinato, in accostamento di tonalità e sfumature talmente sapiente da dare volume e peso ai corpi; agli oggetti che sta realizzando sulla tela. Il tratto pittorico è sereno, pacato, ben orientato, sapientemente disteso sulla tela. La tecnica è sua, meglio dire è loro, nel senso che scaturisce da un’accurata ricerca per raggiungere con il mezzo tecnico di loro invenzione, l’effetto o gli effetti desiderati. Così per esempio, spesso fanno a meno del classico pennello. Per stendere il colore in modo da raggiungere quello effetto desiderato, ricorrono a mezzi poco ortodossi come palle di carta che intrise nel colore, vanno poi a toccare la tela con sapienza e maestria la superficie, in modo tale da raggiungere ciò che si è prefissato nella loro mente. L’effetto è sorprendente e meraviglia l’osservatore, che rimane interdetto e pensoso non riuscendo a comprendere come sia stato possibile raggiungere determinati effetti cromatici. Se per l’uso e la determinatezza del colore hanno tratto la loro lezione da Rothko, per un periodo abbastanza lungo invece si sono ispirati, per le figurazioni, a Magritte, pur nella ricerca di una riconoscibilità che facesse individuare i lavori come l’opera dei due fratelli gemelli Ciccarone. Il lungo esercizio, per naturale evoluzione, li ha portati con l’inizio del nuovo millennio verso una ricerca di forme ed espressività che continuasse a connotarli, ma fuori da schemi già noti o precostituiti o riconoscibili nello stile di altri artisti. Ecco allora che Luigi non abbandona il figurativo, ma lo stravolge completamente. Il cipresso di magrittiana memoria non scompare, ma cambia pur rimanendo individuabile, riconoscibile; pur rimanendo nella sua essenza geometria di cipresso. Il paesaggio si dilata, diventa onirico prendendo i colori dei sogni. Scompare non il disegno, di cui sono maestri avendo frequentato l’istituto d’arte che un tempo connotava il titolo non come diploma, ma come maestro d’arte; scompare dunque il
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disegno fatto sulla tela e diventa nella nuova ricerca stilistica di Luigi, il disegno su carta, cartoncino, giornale, carta velina e quanto altro possa essere disegnato e ritagliato, per essere poi sapientemente incollato su tela o altro supporto, dando origine a ciò che il cervello, tramite l’occhio, ha elaborato. Nascono così i paesaggi, le visioni, le realtà che affollano la sua mente, in fantasmagoria di colori, che già gli apparteneva, ma che adesso si veste di nuova espressività. In una mia recente chiacchierata serale estiva davanti a una salvifica bibita fresca di questa bollente estate, ho chiesto loro se non si sentissero ingiustamente un poco isolati, a tratti ignorati visto che a Vasto, dove vivono, si tiene da sessant’anni un premio d’arte internazionale di notevole spessore, che il sottoscritto frequenta da quarant’anni, e che spesso ha accolto opere di una certa insignificanza, ignorando quelle dei due gemelli, che pur se di nascita molisana, hanno però vissuto da piccola età la realtà vastese e di cui sono illustri cittadini. Nella loro caratteriale pacatezza e semplicità, si sono detti dispiaciuti ma fino a un certo punto, in quanto loro non si fermano per questo di portare avanti la loro ricerca di espressività artistica, che li soddisfa più di qualunque mostra o concorso. Tanto è che: invitati da Cairo al suo premio, con la stessa pacatezza hanno rifiutato. Ecco perché non esito a definirli degli outsider. Artisti che nel loro isolamento, voluto o meno, sanno regalare motivi, soluzioni, che artisti più intraprendenti sanno sfruttare meglio occupando pagine di giornale o accumulando denaro, spesso frutto soltanto della firma apposta sul fondo di un’opera che non dice granché. Sono tanti i nomi, ma non ci interessa farli, in quanto l’arte è qualcosa che vive nel tempo e per dirla con una frase fatta: il tempo è galantuomo. Restituisce sempre il merito a chi non gli è stato riconosciuto. Giulio e Luigi Ciccarone nel loro lavoro ci danno dimostrazione della grande varietà di cromatismi che la luce può avere al cospetto
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dell’oggetto che interferisce con la sua strada. E ci danno anche la dimostrazione di quanto sia veloce il loro occhio e il loro pennello nel coglierli e rappresentarli sulla tela. Questo loro profondo desiderio di essere degli “impressionisti postmoderni”, li spinge verso fascinazioni descrittive e decorative rendendoli originali, unici e identificabili. Mescolano i due artisti inserti astratti nelle loro figurazioni, elaborando in tal modo una struttura compositiva di una pittura che è la declinazione della loro ricerca sulla percezione. Avviene allora che Giulio scompone e riordina concettualmente la bellezza femminile che gli ruota intorno, in uno studio diretto a una plastica lentezza simbolica del femminile in contrasto voluto alla velocità del digitale. Parimenti ne più ne meno accade nella pittura di Luigi, in cui l’elemento iconico e cromatico delle forme metaforicamente si trasformano in una visione di pace, fatti salve i confini dell’utopia. Danno così una risposta secca e decisa alle pratiche artistiche contemporanee che privilegiano strumenti informatici, trascurando o marginalizzando il prestigio del lavoro artigianale, quello cioè fatto a mano con l’uso dei pennelli, delle spatole e dei tubetti di colore. Diventa così la loro arte un elogio della vitalità e della metamorfosi dell’antico e del classico, pur restando la loro sicuramente arte contemporanea. La loro espressività ha confini e connotazioni di carattere identificativo del passato, ma solo perché il loro è un lavoro di tipo qualitativo, il quale è la base di categorie mentali orientate verso il classico, non come ripetitività di schemi e visoni, ma come continuazione moderna di una civiltà millenaria di cui sono intrisi. Per questo si
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legge nella loro arte, l’incrocio di culture e culti diversi, orientali e occidentali, non che
continue metamorfosi formali e contaminazioni concettuali e iconografiche. Salvatore D’Ambrosio
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È ARRIVATO MATTIA! Riccardo Carnevalini Milano, Valerio e Leonardo Defelice danno il benvenuto al cuginetto Mattia Defelice, nato nella mattina di venerdì 13 settembre 2019 presso l’ospedale Fatebenefratelli di Roma; peso kg. 3,2. Agli strafelici genitori Annachiara Pedicino e Luca Defelice; agli altrettanto strafelici nonni Maria Carmela Varriano, Nino Pedicino, Clelia Iannitto e Domenico Defelice; alle zie e agli zii e ai parenti tutti, gli AUGURI più sinceri ed affettuosi.
AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio