50ISSN 2611-0954
mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.
Anno 27 (Nuova Serie) – n. 3
- Marzo 2019 -
€ 5,00
LA GENIALITÀ DELL’ARTISTA
GIUSEPPE MALLAI di Manuela Mazzola
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IUSEPPE Mallai (15 aprile 1945, Bonarcado - 08 gennaio 2007, Milano) è stato un pittore che è riuscito mediante la produzione delle sue opere a ritrarre un mondo che ancora non si era delineato e che per noi oggi è realtà quotidiana. Il volume è diviso in tre parti: nella prima ci sono i dipinti (olio su tela), nella seconda i suoi disegni e nella terza il saggio critico di Domenico Defelice. Nella prima parte le sue →
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All’interno: Gulluni, il medico poeta, di Carmine Chiodo, pag. 5 Appunti su Montale, di Luigi De Rosa, pag. 8 Zarè, Gesù e Che Guevara, di Rossano Onano, pag. 12 Noemi Paolini ed Emerico Giachery, di Ilia Pedrina, pag. 16 Mario Persico e la Patafisica, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 19 Corrado Calabrò, Quinta dimensione, di Domenico Defelice, pag. 22 Il linguaggio nudo di Arrigoni, di Giuseppe Leone, pag. 25 LI Shanghao, di Domenico Defelice, pag. 27 Italo Pizzi, Letteratura araba, di Ilia Pedrina, pag. 29 Sulla poesia e l’arte di Susanna Pelizza, di Andrea Bonanno, pag. 31 Tenerezza d’una primavera antica, di Ilia Pedrina, pag. 32 Pensieri da luoghi e tempi diversi, di Leonardo Selvaggi, pag. 34 Boss senza volerlo, di Domenico Defelice, pag. 37 I Poeti e l Natura (Giorgio Caproni), di Luigi De Rosa, pag. 40 Notizie, pag. 51 Libri ricevuti, pag. 52 Tra le riviste, pag. 53
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Cronaca di un soggiorno, di Nazario Pardini, pag. 42); Giuseppe Giorgioli (Peccato originale, di Gianluigi Nuzzi, pag. 43); Manuela Mazzola (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Rossano Onano e Domenico Defelice, pag. 44); Ilia Pedrina (Togliatti e il realismo della politica, di Gianluca Fiocco, pag. 44); Liliana Porro Andriuoli (Controtempo, di Enza Silvestrini, pag. 45).
Lettere in Direzione (Béatrice Gaudy), pag. 54
Inoltre, poesie di: Eugenia Berti Lindblad, Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Corrado Calabrò, Antonio Crecchia, Ada De Judicibus Lisena, Luigi De Rosa, Salvatore D’Ambrosio, Caterina Felici, Béatrice Gaudy, Antonia Izzi Rufo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Manuela Mazzola, Wilma Minotti Cerini, Gianni Rescigno, Leonardo Selvaggi
produzioni si presentano quasi come un elogio all'arte pittorica italiana in generale, infatti, lo stile è un rimando ai canoni del Rinascimento, con il recupero delle forme classiche greco-romane: colonne, teste di statue, pavimenti, edifici greci sullo sfondo; ma anche un'attenzione ai paesaggi naturali, tipico di quel periodo, ci sono, infatti, quadri in cui sono presenti alberi di vario genere, boschi, montagne, l'ambiente marino ed il cielo stellato. Altro canone fondamentale dell'arte rinascimentale è la valorizzazione
dell'espressività dei corpi umani; in tutte le opere, riportate in questo volume, i corpi umani sono valorizzati attraverso una loro corposità e morbida rotondità; sono corpi posti al centro delle opere nell'atto di fare qualcosa: giocare con una mela, dormire, giocare con il cane, leggere, pensare, fare ginnastica, suonare uno strumento musicale, bere, ballare, abbeverare un cavallo; in molte delle scene, quindi, vi è attività fisica. Lo stile di Mallai è un rimando all'arte rinascimentale, ma con uno sguardo al contempo-
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raneo, accentuato dall'uso di colori saturi, sgargianti, freddi ed innaturali. Come se, questi colori, fossero dati da una componente meccanica, non più umana; c'è una sorta di rimando onirico sia per i colori che per le ambientazioni, per questo, credo, sia presente anche un collegamento all'arte surrealista figurativa, che trasfigurava la realtà senza negarla; ossia, il Surrealismo come corrente, era un processo mediante il quale si giungeva ad una surrealtà, che rappresentava il momento di unione tra la veglia ed il sogno; infatti, molte scene sembrano fuori dello spazio e del tempo, proprio come nei sogni ed anche l'uso di colori innaturali può far pensare a scene di realtà onirica. L'elogio all'arte pittorica italiana tout-court continua anche con la presenza di quadri famosi come la Gioconda di Leonardo da Vinci o il ritratto di Dora Maar di Pablo Picasso che si trovano in alcuni dipinti del pittore. Le opere di Giuseppe Mallai, però, sono molto di più di quanto detto: i soggetti principali ed attivi sono le donne e la scena, poi, è corredata da diversi oggetti, ma quelli che ricorrono di più sono le mele, tutte colorate, che nella tradizione giudaico-cristiana ricordano l’albero della conoscenza del bene e del male, simbolo, dunque della tentazione e del peccato originale, mediante il quale l’uomo commette il peccato, e per questo si allontana da Dio e così inizia a provare la vergogna, il dolore, la sofferenza e la solitudine. Dalla mela di Adamo ed Eva esiste un filo sottile che ci unisce fino ai nostri giorni; infatti nei quadri presenti in questo volume,
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ogni donna è nell'intento, si, di fare qualcosa e di diverso dall'altra, ma sembrano tutte automi che non comunicano tra di loro, quasi impossibilitati a farlo perché troppo prese dalla loro realtà, figure sole che guardano a se stesse, ignorando l'altra. Ciò che emerge è un'estrema solitudine da cui scaturisce sofferenza e dolore esistenziale. Ma perché la presenza di oggetti trasparenti? Forse rappresentano ciò che è presente, ma che non viene visto e che viene trascurato. Una mela trasparente, una testa trasparente, bicchieri, un tavolino, un portafrutta, un busto, un vaso, un cavallo, tutti oggetti rappresentati in trasparenza. Sembra che mediante alcuni particolari, Mallai metta in evidenza l'esistenza di problemi o di persone che non sono visti, che sono trascurati e dunque trasparenti alla comunità; quindi, sembra proprio che il nostro artista faccia un ritratto di una società che all'epoca non era ancora delineata, ma che anni dopo si è palesata con tutte le sue problematiche e contraddizioni; una società, cioè, quella attuale, che vive nell'era della comunicazione facile e veloce, e che, però, vive tra l'esclusione e l'incomunicabilità; un mondo in cui la solitudine traspare chiaramente come conseguenza dell'incapacità di comunicare tra uomini e donne. Nella seconda parte ci sono sei disegni che ritraggono l'ingresso nella città di Bonarcado, nel 1146, dei quattro re sardi, del delegato del Papa, di vescovi, prelati, nobili, guardie e popolani. I disegni sono pieni di particolari: dalla morbidezza dei panneggi alle venature degli oggetti di legno, dalle stoffe impreziosite dai giochi geometrici ai gioielli delle donne, dai muri di pietra alle espressioni degli uomini ritratti in alcuni momenti come, per esempio, coloro che intonano un canto ne “La benedizione delle croci”, oppure il frate che è intento a scrivere ne “La dispensa” oppure, ancora, ne “La gara”, nel quale Mallai riesce con maestria a restituire a chi guarda, un'atmosfera carica di nervosismo e tensione. Tutti gli uomini e le donne ritratte sono
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concentrati nell'attesa che l'arciere scagli la freccia, dietro di lui un altro concorrente che sembra stia gridando qualche parola, nell'intento, forse, di farlo sbagliare, poiché l'espressione sembra essere di rabbia, di stizza. Il tratto della matita è chiaro, nitido e talmente preciso che sembra, guardando questi disegni, di essere catapultati proprio in quell'epoca. La genialità di Giuseppe Mallai è stata ed è tutt'ora, perché, sebbene lui non ci sia più fisicamente, le sue opere sono immortali, quella di mostrarci una società piena di problemi come l'incapacità di comunicare, l'egocentrismo e le sofferenze che ne derivano, mediante il “magico irreale”. Nella terza ed ultima parte, Domenico Defelice, che è stato il primo a scrivere un saggio critico completo su questo autore, fa un'analisi dettagliata e precisa delle sue opere. Il poeta coglie molti temi: dalla comunicazione come metafora della modernità alla cultura classica, dalla metafisica, alla simbologia, al surrealismo, dalla solitudine alle donne ed è stato forse l'unico ad evidenziare il tema dell'incomunicabilità. Nel dipinto “Rotta verso il futuro”, Mallai si presenta come un pittore moderno ed un arguto interprete della realtà: la barca, uno dei più antichi mezzi di trasporto, è ritratta in un ambiente chiuso che simboleggia l'isolamento moderno e la donna che parla alla cornetta, ha uno sguardo perso nel vuoto, ma sicuramente vede tutto ciò che c'è dalla parte opposta. La cultura dell'artista è classica, afferma il Defelice: “E' come se in Mallai ci fosse una lotta sotterranea e continua tra la sua origine artistica e la sua maturazione, tra le radici informi e i frutti fascinosi dell'età matura, che gli ha dato la plasticità dei corpi, la multiforme pastosità di un reale che lo coinvolge e ci coinvolge to-
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talmente nei suoi umori. E' da questo intimo contrasto che scaturisce il suo surrealismo, la realtà non vera”. Nella sua arte c'è una corrispondenza tra il reale, l'ideale e le pulsioni dello spirito; il pittore è un filtro tra la realtà e l'utopia ed il risultato che ne deriva è un insieme d'immagini ben equilibrate, chiare e nitide. “La comunicazione è cultura”, continua Defelice: “E quando comunichiamo materialmente con gli altri, quasi sempre, tra noi e gli altri, si intromette la tecnologia. Così spersonalizzati, stressati, appena stiamo a tu per tu, a fianco a fianco, uno di fronte all'altro, non sappiamo più cosa dirci e veniamo dominati dal silenzio. Come le donne di Mallai”. In questi dipinti ci sono scene misteriose in cui si notano le virtù, i difetti e le fobie delle protagoniste, nei cui volti appare sibillina l'energia e la forza vitale. Inoltre sono presenti splendide nature morte che vanno al di là del loro significato usuale, accompagnate dalla presenza di cani, gatti e cavalli rappresentati come oggetti d'arredo, tutti in posa plastica. I protagonisti hanno dei corpi molto belli e armoniosi, ma vi è anche un significato più profondo, poiché è presente, da parte dell'artista, una presa di coscienza, una critica verso “le vuote esteriorità” . “Mallai dipinge la realtà trasformata dal colore. E' il colore l'elemento che rivela il suo intimo e le debolezze e le fobie collettive”. L'artista attraverso le sue opere racconta il passato, il presente ed il futuro e lo fa con il suo tratto unico che racchiude in sé “il vissuto, il reale e poi l'interiore e l'onirico”. Manuela Mazzola MAGICO IRREALE - GIUSEPPE MALLAI Edit. Fondazione Stelline 2004
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IL MEDICO POETA
TIBERIO GULLUNI di Carmine Chiodo
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IBERIO Gulluni nacque a Mammola (RC) il 19 maggio 1904 e il 12 luglio 1929 consegui la laurea in medicina. Coltivò con grande passione la poesia. Il primo marzo del 1941 fu nominato medico condotto a Colonna (Roma). Un medico qui molto stimato e benvoluto per le sue qualità umane e professionali, e poi era anche un poeta. Della sua poesia si sono occupati Domenico Defelice, Luigi Scrivo, Massimo Grillandi, Geppo Tedeschi, Giulietta Livraghi Verdesca Zain. Defelice, il Defelice poeta e scrittore, ha espresso sul Gulluni poeta giudizi positivi, notando giustamente che profonda è la partecipazione alle miserie della vita, <<traendo da esse però non motivo di sconforto ma impulso a nobili azioni e a delicati sentimenti>> (La Voce di Calabria, 24 dicembre 1967). Tra i due intercorse un carteggio in cui il poeta e medico Gulluni ringraziava Defelice per i suoi giudizi positivi e a sua volta lodava pure la poesia dell’amico e corregionale di Anoia (Reggio Calabria). Nella poesia di Gulluni son presenti diversi motivi, compresi quelli autobiografici e nella
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silloge <<Versi note e pennellate>> si legge un componimento dal titolo <<Me stesso>>: <<Dir di sé qualcosa non è facile,/Sembra menare vanto di se stesso./ Basso di statura, ma non gracile,/Sono agile ed attivo nel complesso/Amo la vita e lotto con la morte>>. Il medico e poeta Gulluni ha lavorato con molto impegno e dedizione, recando ai sofferenti, ai malati il suo conforto ed aiuto, esercitando la professione medica con molto amore. Gulluni amò molto le Muse, e le pregò sempre di infondere nel suo petto il loro <<canto>> come pure la diletta famiglia, e in essa trovò <<gioie pure>>, e cosi viene evocata l’amata sua consorte, Grazia, <<aiuto mio nell’ore dure, conforto nelle lotte della vita-/L’amore tuo mi molcerà le cure>>. Gulluni poeta, il medico certo tremava di fronte alla morte, ma egli si impegnò sempre a restituire sana la vita agli ammalati, ai sofferenti. Vita <<santa>> la sua, sempre pronto a <<curare>> i suoi malati. Nel complesso la sua poesia è onesta, originale nelle tematiche e anche nella lingua, nello stile come pure ben costruiti sono i suoi versi in cui non mancano nitide immagini e gentili, garbate situazioni. La sua è poesia naturale non letteraria, non astrusa: ama dire le cose come stanno, una poesia che nasce dall’anima piena di sentimenti umani e religiosi. La sua vita, le sue idee, le sue giornate, i momenti lieti e tristi si riflettono nelle molte sillogi poetiche che il medico e poeta di Mammola ci ha lasciato. Poesia di sostanza e di anima la sua, che mostra vari procedimenti e ritmi, ora fluidi, ora distesi, una lingua diretta e molto chiara anche se qua e là affiora qualche termine letterario o aggettivo che appartiene alla tradizione ma che rendono assai bene i sentimenti, le gioie, i dolori del poeta. In sostanza i suoi versi sono semplici, tersi, come ci è
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dato leggere in una poesia che apre la raccolta <<Versi note e pennellate>>. Non per nulla i suoi versi sono accoppiati ai fiori (e molti sono i fiori che ricorrono nella sua poesia, specie le rose che curava personalmente) ma si tratta di fiori anche di prato, genuini che portano consolazione, conforto, ciò è un motivo che ricorre spesso, alla sua <<alma>>, ecco il termine letterario. La sua <<alma>> è canora. Si tratta di versi che affiorano dall’anima, dall’interno. Si serve della poesia, di una poesia sempre nitida e comprensibile per dire la storia dell’uomo, della sua vita cavernicola fino poi ad arrivare all’ uomo dell’era atomica. Gulluni regala a tutti una poesia che racchiude un dolce pensiero, ecco allora poesie per nascita di belle creature, ecco ancora componimenti dedicati a belle fanciulle, versi e poesie, ad esempio, ad amici, a luoghi, a fatti o vicende personali, liete e meno liete: il tutto viene detto con la massima naturalezza e semplicità. Non manca un componimento dedicato all’<<Ars medica>>, e Gulluni fu un medico che non si fermava un momento, un medico senza riposo <<a tutto preparato>>. Gulluni ha cantato varie cose e aspetti della vita, momenti, ecco l’anima, la sua anima che se la sente vibrare nel suo corto, in quanto essa è una etera forza che non muore mai. Leggere le sue varie sillogi significa imbattersi in vari momenti e situazioni, descritti con molta partecipazione poetica, ed ecco l’ allattamento, e dopo allattato il pargoletto diventa placido e contento (come pure è cantata soavemente la maternità). Altra tematica è la lotta per la vita, altre volte le poesie si presentano brevi, essenziali, caratterizzate da un ritmo ben cadenzato, altre volte ancora il dettato poetico assume pieghe agili e scattanti. L’attenzione del poeta si posa sulle vecchie cose, questo è un altro procedimento, spesso ricorrente della sua poesia, quelle vecchie cose (come, per esempio, il vecchio camino) che destano ricordi, come quelli legati a persone dilette e amate, e che non ci sono più come la mamma. Spesso il poeta parte da un fenomeno climatico, naturale per specificare certe considerazioni umane, certi stati interio-
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ri, <<come folata di vento è fuggita/la giovinezza, e la testa canuta/Si piega in avanti, stanca, sfinita>> (<<Il vento>>). Questi procedimenti poetici, metaforici, simbolici li troviamo di frequente in tutte le sue sillogi poetiche. Si ha netta l’impressione che la poesia di Gulluni si configura come continuo scavo e attenzione sulla vita, interiore ed esteriore, sulla natura, su di sé e su gli altri. La poesia è avvertita insomma come bisogno interiore, come urgenza del suo essere umano e medico. Questo è - secondo me - l’ aspetto più evidente del poeta Gulluni, che sente prepotentemente prorompere dalla sua anima immagini poetiche che dicono varie e tante cose. Ma nello stesso tempo è poesia curata nelle tematiche e nella lingua che è sempre comprensibile. Gulluni si affida completamente alla sua poesia per dire i suoi desideri di pace, di tranquillità, e lo fa con versi sempre diretti e suggestivi, veri, sinceri. <<Quanto mi piacerebbe riposare /In un luogo remoto, tutto solo,/Non sentir alla porta più bussare,/Per correr dal tale, in un sol volo!/Corri, dottore, corri, con urgenza!/il babbo non si muove è in sopore. Ma devo pur vestir - non è decadenza,/ Uscire nudo e offendere il pudore -/ Ma quando sono giunto trafelato,/ Mi giro intorno e noto lo spavento,/ Dei poveri parenti, e l’ammalato /Non se ne cura e par tutto contento -/-Apri la bocca e manda fuori il fiato - /Un alito di vino allora io sento>>. A parte ciò, la poesia per Gulluni eleva la vita e ridà quiete all’anima, solleva lo spirito. <<Solo -/A te penso, Poesia,/Consolo,/Tu mi elevi la vita,/E ridai /la quiete all’anima mia ->>. La poesia è pure alta <<musica dei sensi>>, armonia del pensiero e del cuore e alla Dea poesia il medico Gulluni e pure l’ uomo Gulluni ha offerto la sua vita generosa, gentile, egli rispettoso degli altri. Nella sua poesia, qua e là, si nota qualche punto di sdegno ma è poca cosa, ed eccolo che si scaglia contro una donna losca, ipocrita, finta, bugiarda (<<Canto popolare di sdegno>>). In fin dei conti la sua poesia non è frivola, vaporosa, Gulluni non è un poeta che canta per usare una sua parola a <<squarciagola>>, non
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ama le stonature ma sempre immagini limpide ed essenziali, e in tal modo canta la vita, gli animali, l’estate, la primavera, la giovinezza degli esseri viventi e delle piante, fugace, <<come ebbrezza, Sei unica carezza di desiata amante!>> Nella sua poesia ci si imbatte in vari personaggi e figure meravigliose, ed ecco il profumo della santità di San Pio, e la presenza del divino si nota ancora nella silloge postuma del 1969 dal titolo <<I miei occhi si perdono>>, e accanto a poesie sul Natale e su Cristo per esempio, risplendono i ricordi. <<Casa paterna>> con la sua <<rugginosa voce / della porta che si apre con un lamento di tante bocche chiuse>>. Altro tema quello del silenzio, definito <<Pane dell’anima>>, e poi la ferma convinzione che <<Non già son io che vivo /ma Cristo vive in me…./Sin dai primordi Iddio / mi fece a somiglianza>> (<<Eucaristi>>), poesia questa preceduta da quella che si intitola <<Resurrezione>: << e i miei occhi si perdono /dietro l’apparizione /della luce>>. Non mi stupisce di imbattermi in un’altra silloge di Gulluni dal titolo <<Umiltà>>, e qui lo sguardo del poeta si posa sulle mani ruvide, nodose di persone appunto umili: contadini oppure canta la voce della fontana, e poi ancora il piccolo chicco biondo, e la luce <<emanazione di Dio>>, e anche qui varie poesie dedicate AL DIVINO. <<l’Ave>>, <<Crocefisso>>. Dopo la luce, il luminoso azzurro, la luce che tramonta, il silenzio: <<Mi sento escluso /dal mondo tumultuoso /Immerso nel silenzio/Sono tutto me stesso>>. Insomma la poesia di Gulluni contiene la sua filosofia e modo di vivere, il suo modo di essere medico, le sue visioni e descrizioni delle cose, la sua umanità, il suo essere al servizio degli altri, dei bisognosi, e lo fa con un linguaggio suo originale. Ma ciò che più conta, e questo lo rende un poeta di tutto rispetto, è che quello che dice, i suoi versi nascono da vere, autentiche urgenze interiori. La sua è poesia sentita, vera, sofferta e non ha alcunché di letterario, anche se qua e là Gulluni si rifà a poeti italiani della tradizione, della nobile e alta tradizione lirica ita-
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liana: Carducci, Foscolo, Pascoli per esempio. Certo, non mancano i termini letterari ma che ben s’intonano al tutto, al senso umano e genuino della poesia di Tiberio Gulluni che canta piccole e grandi cose con tocchi di ispirato e autentico poeta, raggiungendo veramente grandi momenti lirici in cui umano e divino si fondono. Una poesia omogenea che ci presenta tutta quanta l’anima dell’uomo e del medico e del poeta che ha curato con molto amore e dedizione pure la poesia, come del resto - l’abbiamo già detto - faceva con gli ammalati, ed era ilare tutte le volte che la sua <<ars medica>> riusciva a lenire le sofferenze e i dolori umani. Carmine Chiodo
LES VOIX EMANANT DES SIECLES Francesco, sur ton ordinateur aujourd’hui tu ne navigues pas sur la mer [ des fables, tu ne vogues pas avec Stevenson le long des routes exotiques de l’aventure. Ne t’enchantent plus les dinosaures les samouraï aux épées [flamboyantes. Un monde technologique aujourd’hui illumine d’intérêt tes yeux ensorcelle tes jeux tes récits. Et moi je fais des vœux pour toi : peut-être que le jour qui à ce nôtre jour succédera, ton futur, une glaciale géométrie lisse de plastique et métal te prépare des heures mécanique. Toi garde les mouettes et l’herbe écoute les voix émanant des siècles Virgile et Mozart. Sauve la tendresse, toujours, mon garçon, Sauve jalousement le battement mystérieux et libre de ce que l’on appelle « cœur ». Ada De Judicibus Lisena Traduction de Béatrice Gaudy
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APPUNTI SUL MONTALE “MILANESE” E SULL'”ULTIMO” MONTALE. SOLITUDINE E PESSIMISMO, MA ANCHE SPERANZA NELLA POESIA NONOSTANTE TUTTO di Luigi De Rosa
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GGI non pensiamo al Montale ligure, tra il palazzo di Corso Dogali a Genova, sopra Principe (in cui il futuro Premio Nobel era nato nel 1896) e la villa di famiglia a Monterosso, nello spezzino. Non pensiamo al poeta giovane degli “Ossi di seppia” (1925) diario poetico stupefacente di una lunga, abbagliante estate alle Cinque Terre, dato alle stampe a Torino, per merito, in gran parte, dello scrittore e critico Sergio Solmi. Non pensiamo alla fanciulla “angelicale” conosciuta a Monterosso, di nome Annetta (Anna degli Uberti, morta poi giovane, nel 1954). Anche allora, pur se in un quadro di felicità espressiva irripetibile, di rappresentazione
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originale, magica, di un certo paesaggio ligure, il pessimismo sostanziale di fronte alla vita e al mondo la faceva da padrone nella sua poesia. Chi non ricorda il verso “Spesso il male di vivere ho incontrato”? E quel finale fascinoso di Meriggiare pallido e assorto quando, pur illuminati dal sole, si cammina sentendo “con triste meraviglia/ com'è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”? Ma si trattava pur sempre del pessimismo di un poeta giovane, che inondava comunque la Liguria, il mondo, di una voglia irrefrenabile di vivere. Oggi pensiamo invece al Montale milanese. Quello che nel 1948, dopo una ventennale parentesi fiorentina (si pensi al Gabinetto Vieusseux e al secondo libro di versi “Le occasioni”, 1928-1939, prima edizione Einaudi) ha trovato, come “redattore”, sistemazione economica e successo giornalistico-letterario a Milano, dove scriverà per molti anni sul “Corriere della Sera” come critico non solo letterario ma anche musicale (da giovane aveva studiato canto col baritono Eugenio Sìvori e resterà per tutta la vita un conoscitore ed estimatore dell'opera lirica). Pensiamo al Montale che, della metropoli, ammirerà l'efficienza e la produttività anche nel campo culturale, ma vi soffrirà amaramente una solitudine immedicabile. (Un giorno, invecchiato e soffocantemente inurbato, anche se amorevolmente curato dalla fedele governante Gina Tiossi, si lamenterà: “Milano è un enorme conglomerato di eremiti”). In realtà, Montale la solitudine se la portava dentro da sempre. Fin da quando, a Genova, studiava ragioneria, era introverso e non legava sostanzialmente con nessuno nonostante le numerose frequentazioni. L'unica che lo ascoltava e lo consolava era la sorella Marianna, appassionata di filosofia, la sola dei sei fratelli ad andare all'Università. Gli altri andavano nello scagno paterno, mentre Eugenio preferiva andare nelle biblioteche di Genova, e già scriveva “Meriggiare pallido e
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assorto”. A Milano uscirà il suo terzo libro, “La bufera e altro”, poesie dal 1940 al 1954, di un periodo, cioè, decisivo per l'uomo e per il poeta. Prima edizione in mille copie, stampate presso Neri Pozza, Venezia. Un anno dopo essersi trasferito nella metropoli, nel 1949, Montale conosce la volpe, soprannome della poetessa torinese Maria Luisa Spaziani, nata nel 1924, recentemente scomparsa. La “volpe” è chiamata anche “l' antibeatrice”, intendendo, per Beatrice, Clizia, cioè l'ebrea americana Irma Brandeis, conosciuta anni prima a Firenze, al Vieusseux. Maria Luisa Spaziani è l'ispiratrice del libro La bufera e altro. Nella poesia “Anniversario” Montale aveva scritto: “Dal giorno della tua nascita / sono in ginocchio, mia volpe. / E' da quel giorno che sento / vinto il male, espiate le mie colpe...” Il periodo cosiddetto dell'ultimo Montale si può far iniziare, anche per comodità di sistemazione e di studio della produzione poetica, dal 1971, cioè dall'uscita del quarto libro montaliano, “Sàtura”, che raggruppa poesie degli anni Sessanta (dal 1962 al 1970). In “Sàtura” (e nella produzione successiva) non c'è più l'ermetismo degli “Ossi di seppia”, ma lo stile espressivo diventa più aperto e comprensibile, perfino colloquiale. In alcuni casi, addirittura “prosastico”. Dopo tanti anni di pratica giornalistica, ricomincerà pian piano a scrivere epigrammi, e di qui tornerà alla poesia, ma quanto diversa da quella dei primi anni! (“Il mio verso – disse un giorno in un'intervista – ha preso una dimensione anche, diciamo, musicale, diversa: la dimensione di una poesia che apparentemente tende alla prosa e nello stesso tempo la rifiuta.” D'ora in poi il poeta si interessa maggiormente delle cose della vita e del mondo. Se ne era sempre interessato, anche se aveva “in gran dispitto” le vicende politiche italiane e lo stile di vita della società di massa e dei consumi, ma non se ne era mai lasciato condizionare nelle tematiche e nello stile delle proprie poesie. Del resto, su questo punto nodale, egli
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aveva già chiarito il proprio pensiero fin dal 1951, in Confessioni di scrittori: “ L'argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata: non questo o quello avvenimento storico. Non sono stato indifferente a quanto è accaduto negli ultimi trent'anni, ma non posso dire che se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe avuto un volto totalmente diverso. Un artista porta in sé un particolare atteggiamento di fronte alla vita e una certa attitudine formale a interpretarla secondo schemi che gli sono propri... (...) Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la guerra civile più tardi ancora, mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano le ragioni di infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni.” Se il Fascismo era stato un carcere per il suo intelletto e la sua arte (a Firenze, per esempio, era stato licenziato dall'incarico di Direttore del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux perché privo della tessera del Partito), la Liberazione del 1945 non si era rivelata, per lui, come l'aveva sognata e immaginata. Il nuovo sistema di democrazia dei partiti (e delle relative correnti) gli proponeva una confusione di valori i più disparati, un caos da cui, come poeta, capiva che voleva vivere separato. O contrapposizioni o alleanze, in un quadro continuamente mutevole e sconcertante, il più delle volte per lui incomprensibile. Per attingere l'essenza del Reale non rimane che il paradosso, la balbuzie, l'afasia, essendo del tutto “ineffabile” l'unica lingua, quella di Dio “il grande Assente”. (Dall'età di vent'anni il poeta ha abbandonato la pratica religiosa, conservando un senso cristiano che in un certo senso lo avvicina al Pascoli). Montale è contrario allo strapotere dei partiti politici (o di altre organizzazioni che ne prendano positivamente il posto). Il suo atteggiamento morale è quello di chi non si fa
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troppe illusioni in una prossima palingenesi della società (italiana o non). In “Sàtura” non viene meno il Pessimismo. Anzi, Montale, qui, è più pessimista di Leopardi e di Shopenhauer. Già se la prende con la Natura che, secondo lui, non ha proprio nessun senso e nessuno scopo (altro che Provvidenza!). Più tardi, nel Quaderno di quattro anni, dirà che la Natura non è muta però “parla a vanvera, e la sola speranza / è che non si occupi troppo di noi.”. Non è vero che nella Natura domina la Bontà, come diceva Rousseau. E poi l'uomo l'ha inquinata e sfruttata selvaggiamente. Il trionfo della Spazzatura ci fa respirare... il trionfo della Musa del nostro tempo: la Precarietà. Dirà anche che la condizione umana è incredibile, assillata da un peso nauseabondo che soffoca la stessa Natura, e da incubi di angoscia kafkiana. Questa rivoluzione nel vedere la vita e il mondo non può non avere un riflesso sul linguaggio e lo stile. La sua nuova poesia, infatti, ubbidisce ora ai canoni di un certo diarismo narrativo; è portata più alla parodia e all' ironia che allo slancio e all'abbandono, più alla meditazione dolorosa sul Tempo, il Costruttore e Disfacitore di tutto... A parte una discussa “prosasticità”, secondo una certa parte della Critica il livello qualitativo artistico e letterario si abbassa rispetto alle vette conquistate negli anni precedenti. Dall'età di 75 anni a quella di 85, Montale diventa più ironico e polemista che mai. Rivelando però una vena creativa inesauribile, e un'acutezza di visione critica eccezionale (si veda il discorso da lui pronunciato all'Accademia di Svezia, a Stoccolma, il 12 dicembre 1975, “E' ancora possibile la poesia?”, in occasione della consegna solenne del Premio Nobel per la Letteratura). Del resto, perfino l' ambasciatore di Svezia, che gli aveva telefonato a Milano per comunicargli la vincita del Nobel, gli aveva confidato di scrivere poesie... L'”ultimo Montale” difende con decisione la Poesia, e ingaggia una battaglia polemica
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col mondo contemporaneo dominato dai mass media, ritenuti nemici della vera poesia lirica, che è frutto di solitudine e accumulazione. Per lui l'arte del nostro tempo è rivolta alla massa e alla dispersione, e si incarna nello spettacolo (teatro, cinema, radio, ma soprattutto televisione, che entra da ogni parte del mondo in tutte le case e ad ogni ora del giorno e della notte). Per lui il moderno deus ex machina, più che l'artista, è il regista, se non, per certi risultati, addirittura l'addetto al montaggio... Montale va giù pesante, e nega la nobiltà di “poesia” a certi fenomeni del nostro tempo, scrivendo: “Sedicenti poeti danno vita, allora, a poesia acustica, poesia visiva, performances, shows, rappresentazioni il cui limite è il vuoto assoluto. Dobbiamo tutti rispondere a questa deriva di massa, portando il nostro contributo personale di argine e di riflessione...”. Decisamente non fanno per lui le ideologie dell'impegno e dell'avanguardia. Per lui, la Poesia e la vera Letteratura possono nascere solo dallo scrittore “isolato”, non dal villaggio elettronico globale. Nella raccolta “Sàtura” (dal latino “sàtura”, piatto farcito di vari cibi offerto agli dèi, ma anche parodia, sàtira...) egli tocca gli argomenti più disparati, per criticare a fondo il costume del nostro tempo e l'ideologia che anima la nostra società. Per il poeta trevisano Andrea Zanzotto, Sàtura allude anche ad una saturazione, a un non poterne proprio più di fronte allo scialo infinito di oggetti, immagini banali, parole in libertà della società consumistica e dei mezzi di comunicazione di massa. E a quanto pare non c'è scampo (a meno di una generale epiròsi) in quanto la Storia non insegna niente a nessuno (“La storia non somministra / carezze o colpi di frusta./ La storia non è magistra/ di niente che ci riguardi.”). Col suo linguaggio ironico, quando non sarcastico, Montale tende a dimostrare l'inconsistenza comunicativa della conversazione banalizzata, l'irrazionalità grottesca di una vita quotidiana, individuale e sociale, in cui si
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continua a parlare bugiardamente di Progresso comportandosi in maniera che ha ben poco a che vedere con un progresso autentico. Altri versi ( 1981, anno della morte). Nonostante, però, il consuntivo amaro e desolante dei suoi ultimi libri, Montale riesce ad approdare, in Altri Versi, ad un suo sereno conforto appagato delle memorie. Dagli 80 anni di età in poi dimostra una fecondità letteraria sorprendente. Secondo il critico Angelo Marchese “il rombo spaventoso del Big Bang, gli anni-luce e il Tempo-Spazio curvo o piatto, l'infinito, il sublime, la zuffa di gas da cui nacque l'Universo, sono le ultime ossessioni di una mente occupata, dominata, da sempre, dall'enigma squisitamente metafisico del rapporto fra l'individuo e il Tutto, la natura, la vita e l'oltrevita, Dio, ben oltre il tempo nemico, e la Storia...” Possiamo dire che, delle due Sezioni di “Altri versi”, la prima sia metafisica, la seconda esclusivamente memoriale. Qui c'è un vero tuffo nel passato. Nulla va perso. Tornano ricordi di infanzia, ma tornano anche Annetta, Clizia e Mosca ( soprannome dato dagli amici alla sua affettuosa, “preziosa” moglie Drusilla Tanzi, morta nel 1963 e cantata con tenerezza in Xenia , 1966-1970, all'interno di “Satura”) : “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino....” Torna il “romanzo” di una vita che coincide con la poesia, ora rivisitato con stupore e commozione, negli abbozzi preparatori, nei dettagli che allora erano sembrati di poco conto... “Altri versi” è un libro estremo, un'ultima puntata di un “quinto Montale” che prolunga e integra un discorso senza fine, come mostrano le sorprendenti Poesie inedite o postume apparse dopo la sua morte, una sessantina di composizioni lasciate dal poeta ad Annalisa Cima, pubblicate a partire dal 1986, a cura della stessa Cima, per la Fondazione Schlesinger. A parte il problema della loro “autenticità”, messa pesantemente in discussione da alcuni critici, qui si risente spesso la voce alta, forte e sicura, di Eugenio Montale,
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depurata da qualche dolore mal sopportato, da qualche moralismo acidulo, o da una disperazione più o meno camuffata. Luigi De Rosa
LA BELLA E IL MOSTRO L'ansia nel cuore la mente in delirio lo cerca Belinda lo cerca... Sotto una siepe infine lo trova, morente... Si china a baciarlo tremante il viso di fiera accarezza al seno lo stringe "T'amo" sugli occhi gli piange... Miracol d'amore! Stupendo, divino, in Principe il Mostro si cangia beata la rende... Si destano i fiori di luce i raggi del sole inondano i monti i boschi l'azzurro danzan gli uccelli ridono i rii di teneri amplessi si pascon gli amanti... Lungi dall'arido della realtà che sempre Mostri ci forzerà delle fiabe corriamo alla fonte Tantalo sfidiamo: sulla cute la sete s'attenuerà di felicità Antonia Izzi Rufo Castelnuovo (IS)
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Negli anni di piombo
AA. VV. ZARÈ NOVE VENTENNI ALLE PRESE CON LE MASSIME ICONE DEL NOVECENTO: GESÙ E CHE GUEVARA di Rossano Onano
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ALLA 4a di copertina: La sera del 11 dicembre 1980, in via Varesina, a Milano, i carabinieri dell'antiterrorismo, in borghese, uccidono Roberto Serafini e feriscono mortalmente Walter Pezzoli, ventitreenne, che morirà poco dopo all'Ospedale Niguarda. Trentotto anni dopo, i suoi amici di Pero, la periferia milanese in cui è cresciuto, scelgono, con questo lavoro a più mani, di ricordarlo così. “In quest'angolo di mondo le loro madri e i loro padri nacquero poco prima o arrivarono poco dopo la fine della guerra. In quest'angolo di mondo, trasformato, in pochi anni, da fertile campagna a inenarrabile concentrato di veleni, Walter e i suoi amici e compagni diventarono grandi nel tempo in cui il desiderio che un altro mondo fosse possibile cresceva ovunque, nelle coscienze, inarrestabile e senza limite alcuno”. Nove amici ricordano il compagno di giochi e di vita Walter Pezzoli, detto Zarè. Nessuno di loro ha pratica specifica di scrittura, per cui ciascuno sceglie la forma espressiva, racconto o memoriale o colloquio diretto, che meglio corrisponde all'empito emotivo. Il quale è sempre, lodevolmente, contenuto. Non tutti hanno terminato gli studi superiori, eppure la scrittura è per ciascuno facile e precisa. La scuola, anni 50/60, a Pero come altrove, era una cosa seria. Infatti selettiva. A scapito degli ultimi, diranno gli anni ruggenti, che infatti la contestarono.
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Le foto d'epoca, raccolte e rielaborate da Maurizio Maina, inquadrano spesso gli amici sui gradini del sagrato della Chiesa, per eccellenza luogo di ritrovo della gioventù. In parrocchia cominciano per tutti le opere d'impegno civile, raccolta di carta-stracci-ferro in giro per il paese a raccogliere fondi per Mani Tese. “Prima di tutto il terzo mondo”, comincia a essere il grido di tutti. Don Giancarlo, il parroco, alterna le partite di pallone all'esercizio spirituale e intellettuale. I ragazzi compilano e ciclostilano, all'interno della Chiesa, il giornalino della parrocchia e volantini informativi. Soprattutto, Don Giancarlo organizza il campeggio estivo, in montagna. Per dire chi fosse il Don: uno dei ragazzi scivola per una scarpata, si ritrova cento metri in giù. Il prete si affaccia, considera e comanda: “Sali su, che è tardi”. Le cose cambiano quando al gruppo si associa un padre gesuita brianzolo, Mosé F., appena rientrato in Italia dopo diversi lustri di missione in Brasile. Mosé raduna i ragazzi nel bosco e impartisce lezioni di spiritualità e comunismo libertario. Affascina. Diffonde la parola del Che: El niño que no estudia no es buen revolucionario. Il che è anche vero. Bisogna vedere, però, che cosa sta studiando, il ñino. In seguito, Don Giancarlo è avvicendato, alla guida della parrocchia, da un mansueto sacerdote che nulla sa di campeggio e di attività d'impegno sociale. In parrocchia imperversa Mosé. che continua in perfetta buona fede le appassionate lezioni libertarie. Lontano dai boschi trentini, il gesuita mostra alla lunga tratti di misticismo poco rassicurante. Di fronte a un compito mal fatto: “Questa era l'opportunità per la vostra salvezza o la vostra rovina”. Alcuni abbandonano la parrocchia. Al termine delle scuole medie, i ragazzi scelgono differenti indirizzi di studio, alcuni a Rho altri a Milano, e il gruppo si sfalda. Partecipano tutti alle lotte sindacali dell'epoca, studenti-operai-uniti-nella-lotta. Si mantengono in contatto, ma nessuno è più in grado di supportare o modulare il comportamento dell'altro. Nella vita e in politica, scelgono
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strade diverse. Non c'è più nemmeno Mosé, massimalista ma pur sempre sacerdote. Fino a quando, sintetizza Massimo Frediani per tutti, sopravvennero i maestri duri, quelli cattivi. Il nostro cervello è in grado di elaborare qualsiasi lutto. Anche la perdita di una parte di sé proiettata nelle qualità e nei difetti di un amico che si ama. La memoria dei ragazzi documenta le differenti modalità di elaborazione del lutto. Da Gianfranco Pezzoli, il fratello: Walter viene arrestato nel settembre del 1979 in seguito a un'inchiesta su AR (Azione Rivoluzionaria), successivamente viene processato a Genova assieme agli arrestati del maggio 1979 nel blitz del generale Della Chiesa. Ogni settimana nostro padre andava a trovarlo, alcune volte andai con lui anch'io a Cuneo (all'epoca ero minorenne e non potevo andare da solo). Nonostante il clima pesante - durante il processo venne arrestato il suo avvocato e un altro legale si uccise mentre erano andati ad arrestarlo (in seguito a questi fatti gli imputati rinunciarono alla difesa) – vennero tutti assolti con formula piena perché “il fatto non sussiste”. Perciò, dopo circa nove mesi in cui passò nelle carceri di Firenze, Cuneo (supercarcere) e Genova, nel giugno 1980 venne scarcerato così come tutti gli altri imputati. In seguito all'assoluzione di tutti gli imputati, che significava il fallimento del teorema che aveva condotto al blitz dei suoi uomini, il generale Della Chiesa rilasciò un'intervista divenuta tristemente famosa in cui sostenne che “i carabinieri arrestano, la magistratura assolve”. Non va dimenticato che nei primi mesi del 1980, in seguito all'arresto e al pentimento di Patrizio Peci, la colonna genovese venne falcidiata dagli arresti, ma nessuno degli imputati al processo da Genova venne nominato dal pentito. Nei mesi immediatamente successivi, si apprendeva dai giornali che alcuni degli impu-
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tati assolti nel processo di Genova venivano ri-arrestati. Una mattina, mentre ero ancora a letto, prima di alzarmi per andare a scuola, Walter mi svegliò, mi disse che in galera ci era già stato e che non ci voleva ritornare, aggiunse di stare vicino al papà e alla mamma, che lui sarebbe scomparso per un po'. Nonostante fossi mezzo assonnato capii subito come stavano le cose e lo salutai. E' stata l'ultima volta che l'ho visto. La tragedia dell'11 dicembre 1980 è attribuita al comportamento delle istituzioni. Significa: alienare da sé le responsabilità e gli eventuali sensi di colpa.” . Per soffrire meno. Dalla memoria di Massimo Frediani: Poi vennero cattivi maestri e i nuvoloni neri, ma questa è un'altra storia. I cattivi maestri intervengono “poi”. La morte di Zaré è attribuita congiuntamente al comportamento delle istituzioni e alle scelte esistenziali e politiche del ragazzo. Significa: condividere le responsabilità e gli eventuali sensi di colpa. Il dolore diventa in certo modo collegiale. Si soffre in modo migliore. Nicola (Nino) Di Paolo ricorda il funerale di Zaré: Quando arrivarono i sacerdoti celebranti il rito funebre tutti i giovani presenti e a qualsiasi titolo presenti presero la bara sulle spalle fino alla vicina chiesa e, dopo la Messa, fino al tutt'altro che vicino cimitero. Proprio a causa della distanza del cimitero dalla chiesa, in moltissimi si dettero il cambio nel sostenere la cassa. Nino portò Walter per il suo tratto e affiancò gli altri giovani nella restante parte del percorso. Al cimitero, prima dell'inumazione, si fece avanti una persona, non del paese, verosimilmente appartenente alla stessa organizzazione a cui Walter apparteneva, con un fazzoletto sul viso, per mettere un fiore sulla bara. Iniziò anche a improvvisare un discorso ma subito fermamente invitato dalla Rosy, la mamma di Walter, a interrompersi.
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Così fece e andò via. Gianni, il papà, così come i fratelli Gianfranco e Graziella, non parlarono. Gianni aveva parlato quando, al riconoscimento del figlio, uno stolto, rivolgendosi a un padre che aveva davanti agli occhi lo strazio che aveva davanti, disse: “Cosa pensa di quello che ha fatto suo figlio?” Giovanni Pezzoli, operaio turnista in raffineria, pronunciò: “Se mio figlio aveva un debito con la giustizia gli è stato fatto pagare molto caro”. E lo stolto si zittì. Palate di sterco arrivarono sui partecipanti al funerale anche dalle colonne del più importante quotidiano d'Italia attraverso la penna di un Padre della Repubblica, che firmò un articolo ove si caldeggiava proprio di far “terra bruciata” attorno ai terroristi colpendo i loro “fiancheggiatori”, esemplificati, puntualmente, con i partecipanti ai funerali dei brigatisti. Ci si ritrovò, così, a dover pensare di poter essere presi di mira per aver accompagnato chi il proprio fraterno amico, chi il proprio compagno di giochi, di scuola, di impegno passato. Queste preoccupazioni per qualcuno divennero, dopo un passaggio nelle patrie galere, perdita di lavoro, fine di matrimonio e altre conseguenze consimili. Nonostante queste preoccupazioni, però, ognuno, in cuor suo, sapeva che la propria coscienza gli aveva indicato la risposta al dubbio, all'alternativa tra il quieto vivere, il farsi gli affari propri, il primato dell'interesse, e il dare rispetto e affetto a una persona di cui, sebbene fosse stata sancita la morte civile oltre che materiale, sapevano essere degnissima per le qualità umane, che essi avevano personalmente potuto conoscere e apprezzare. Avevano così affermato il loro primato: il primato della pietà. Significa: lasciare alle spalle responsabilità e colpe per accedere a una visione rasserenata e magnanima della storia e della natura umana. Si chiama: “sublimazione”. Si chiama an-
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che, volendo, “conversione”. I ragazzi di Pero hanno avuto il primo contatto, in parrocchia e successivamente in montagna, con le due massime icone del Novecento, tuttora imperanti per via culturale e mediale: Gesù e Che Guevara. Considerando Jesus Christ Superstar e faccende annesse, è in vantaggio il Cristo. Calcolando le magliette estive musicali e pop, con il Che siamo lì. Calcolando l'ontologica, checché se ne dica, buona disposizione dell'essere umano verso il prossimo in difficoltà, l'impeto giovanile e il contesto socio-culturale dell'epoca, è naturale che i ragazzi siano stati attratti dalla figura del guerriero che combatte a favore degli ultimi. Cosa più complessa è spiegare la relazione con la figura del Cristo. Prendendo a paragone il corpus dei poemi omerici, sappiamo che questi sono stati trasmessi attraverso quattro secoli da una tradizione orale, e infine raggruppati e trascritti sotto il nome di un singolo autore. E' logico che esistano incongruenze. Ulisse si presenta come personaggio empio spergiuro e donnaiolo, per diventare poi il paziente Odisseo desideroso di abbracciare la patria e la moglie. I poemi omerici sono, nel loro insieme, l'eredità lasciata dalla formidabile civiltà micenea. La stessa cosa vale per i vangeli canonici, scritti dal II al IV secolo da autori diversi. Nessuno degli evangelisti ha conosciuto Gesù. Luca dice chiaramente di riferire cose sentite da uno che ha sentito uno che ha conosciuto San Paolo. Il quale, per la verità, neppure lui ha conosciuto direttamente Gesù. E' una specie di telefono senza fili, attraverso il quale la figura del Cristo ha modo di rivelarsi secondo angolature parecchio differenti fra loro. Nei manoscritti più antichi, anche canonici, Gesù è un ebreo iperosservante millenarista e vendicativo, fa secco un albero di fico colpevole di non dargli un frutto per colazione, predice la fine del mondo nello spazio di una generazione, batte i sandali per non portare via un granello di sabbia dalla casa che non l'ha ospitato degnamente, questa città sarà
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trattata peggio di Sodoma e Gomorra. Questo Cristo non piace, e infatti non è diventato cultura. Nei testi successivi compare la figura di Gesù misericordioso a favore dei poveri, degli umili e degli oppressi. Un cammello può anche passare attraverso una misteriosa cruna dell'ago, ma un ricco nel regno dei cieli proprio no. Ammonisce anche: beati gli ultimi perché saranno i primi, e guai ai primi perché saranno gli ultimi. Espressione che si presta a letture anche cruente, tipo lotta armata per facilitargli le cose. Un tipo di lettura di questo genere può avere indotto in errore i generosi ragazzi di Pero. L'icona universalmente accreditata di Gesù è quella adottata dalla Chiesa Cattolica. Il Gesù del perdono, della carità, della misericordia. Gesù che dice all'adultera: vai, e non peccare più. L'episodio andrebbe però letto in modo esaustivo. Gli uomini mettono alla prova Gesù, appellandosi alla legge giudaica: è lecito lapidare un'adultera? Gesù risponde: chi è senza peccato si faccia avanti, e scagli la prima pietra. Ovvero, non sconfessa la legge, ricorrendo a un eccezionale esercizio retorico per renderla inapplicabile. Gesù non va contro l'ordine costituito, perché rende a Dio ciò che è di Dio, e rende a Cesare la moneta che è di Cesare. Neppure è contro la legge, perché non la abroga ma la corregge imponendo ad essa una lettura più umana e più giusta. In sostanza, Gesù non era un rivoluzionario. Nei boschi con Che Guevara, e con Mosé gesuita, non sarebbe mai andato. Neppure ci andranno i ragazzi della generazione attuale. Un recente sondaggio di Antonio Noto, pubblicato su QN, rivela che i giovani chiedono alla scuola d'essere indottrinati in tecnologia, economia e finanza. Il problema è che non andranno nemmeno in parrocchia, per il motivo preciso che la salute delle parrocchie non è attualmente brillante. Del resto, siamo diventati terra di missione, importiamo preti dai cinque continenti. E comunque, non esistono soltanto il bosco
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libertario e la parrocchia. Esiste il colloquio, nel silenzio, con la coscienza. Esiste la filosofia. Non uccidere è un imperativo categorico. Kantiano. Non c'è bisogno di andarlo a cercare, perché c'è. Non ascoltarlo è soltanto una delle scelte possibili. Sicuramente al di là dell'intenzione degli autori, il libro trasmette un afflato in certo modo epico. Mi ha comunicato l'eco della cerimonia più patica e grande: gli amici radunati in cortile salutano il guerriero, non importa se di Cristo o di Che, caduto nella cruenta, lunga oppure breve, battaglia della vita. Quando suona, lacerante, la tromba del silenzio. Sono presenti: GIANFRANCO PEZZOLI, fratello di Walter, del 1962 ENRICO VALENTINI, del 1957, campesino FRANCO FRETTOLI, del 1957, artigiano LANFRANCO COTI, del 1958, in attesa di pensione NICOLA DI PAOLO, del 1958, impiegato, ex bibliotecario MASSIMO FRADIANI, del 1957, velista (prestato al commercio) PATRIZIA DE VELLIS, del 1960, madre, insegnante di yoga e altro SERGIO ULISSI, del 1956, pensionato VITTORIO ALFIERI, del 1956, educatore MAURIZIO MAINA, del 1957, artigiano. Suona il silenzio. Rossano Onano AA.VV., Zaré, Sensibili alle foglie, 2018, E-mail: sensibiliallefoglie@tiscali.it
UNO SGUARDO Le goccioline di vapore scorrono giù, sulla grande finestra. Uno sguardo ingenuo le osserva e cerca di capire, ma l'amore che ha nel cuore non glielo permette e la fa sognare. Manuela Mazzola Pomezia, RM
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NOEMI PAOLINI ED EMERICO GIACHERY: PER LORO EROS È DI CASA IN CASA di Ilia Pedrina
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N dono. I due nell'Uno, che è Amore. E la Bambina ne gode. Per Noemi Paolini Giachery il percorso è schietto, senza riserve o mascheramenti, dalle prime tracce del ricordo alle più recenti esperienze, oltre l'attesa, mai espressa alla coscienza come vuoto d'aspettative in prefigura: Luoghi, tempi e oltre. Divagazioni di un'egotista. Vecchiarelli, editore in Manziana, vicino a Roma, deve essersi divertito non poco, perché a guardare Noemi negli occhi diventa gioco e forza l'assecondarla: l'ha letto, questo insieme di ricordi precisi e ben sciolti rispetto all'ubbidire, l'ha gustato nella sua disarmante sincerità e l'ha pubblicato, come un piccolo libro. Per Emerico Giachery, l'altro, il due dell'Uno, la parola poetica veste i suoi antichissimi panni, affascina e ti contesta ogni approccio superficiale, perché Abitare poeticamente la terra è impegno che attraversa ogni tempo e si carica di sacralità. Anche in questo caso i responsabili delle Edizioni Nuova Cultura sono rimasti attratti dai variegati ed intensi, complessi riferimenti che comportano attenzione e rigore nel non disperdere il prezioso frutto della Bellezza che la Terra come Natura dona a piene mani. In un andare e tornare dall'una all'altro dei due, mi rendo parte integrante del doppio fronte di esperienze fino a quando, dopo averti accompagnato in piacevoli scorribande, lei che, giocosa egotista, non perde occasione di
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ricordarti che tu la verità né la conosci né la puoi trovare, la puoi solo cercare; lei che, giocosa egotista, non perde occasione nel ricordarsi che i cinque sensi vanno usati tutti e tutti insieme, ciascuno secondo il proprio punto di abbandono; lei che, giocosa egotista, non perde occasione per ricordarci che il dubbio esiste come esiste la luce del sole e che, esistendo, va pescato se non si presenta spontaneo, come un pesce abbocca se l'amo è attraente; fino a quando, dico, lei parla di lui e dice di sé la forza dell'Uno in loro due, che è Amore. Lei è diversa, lei è Noemi. Lei intende usare la scrittura perché ha la musica dentro. E la Musica esige intervalli, fratture, cesure, sospensioni, riprese di temi in lontananze, movimenti espliciti o sottintesi del percorso espressivo. Elementi del conoscere che richiedono appropriazione e loro fusione interna, in un amalgama che sa di sognante felicità. Graziosa, benigna, dottissima Noemi, Eros, che tu chiami latinamente Cupido, ti ha reso sciolta da qualsivoglia ormeggio ed Emerico ha saputo farti approdare al suo sguardo, vincolante come le ali dell'Angelo, in abbraccio. Allora, tra voi due, per me, l'Angelo di Klee raddrizza il percorso ed ha forza bastevole per incoraggiare i giovani d'ogni luogo e tempo a sganciarsi dalla paura indotta e dall'obbligo di provarla ancora: perché tutti loro hanno diritto alla gioia. Cito, perché i due sono nell'Uno dello sguardo che plana sul fare, che è divenire. “...Mia moglie e mia suocera, giorni fa, seduta l'una accanto all'altra, collaboravano a confezionare una minuscola coperta di lana bianca, destinata a una nascitura. Tessevano vita, tessevano augurale destino. Il guardarle in quell'angolo di stanza in cui penetrava un raggio di sole invernale, in un contesto così domestico infondeva serenità e pace...” (Noemi Paolini Giachery, op. cit. pag. 50). Lui, l'Angelo, si cura di lei, della terra, della gioia e dell'abitare, poeticamente, la vita; lui, l'Angelo, è devoto di Hestia, la dea del ritrovo, del ritorno, del ricordo: grazie ad Emerico Hestia dilata il suo potere, nelle forme e
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nei modi dell'esistere in pienezza; lui, l'Angelo, consente la fusione di miti ed il serpente uroboro torna, carico di senso: perché il ricordo è ciò che è stato registrato dal cuore e torna nuovamente ad esistere in altro modo e misura; perché il ritorno è ciò che ha avviato un percorso, ne ha completato l'effetto fino all'approdo e ne invigorisce l'efficacia, grazie agli affetti; perché il ritrovo è ciò che è stato vissuto incontrando l'altro dopo averlo cercato e si condivide ora negli spazi indimenticabili di un luogo. Che abbia pareti o no è indifferente perché l'hospes (Alberto Caramella) non è l'hostis ed a lui è possibile confidare, il 22 settembre del 2000, alle ore 17:30, emozioni dalle terre elbane di Marciana Marina: Dalla parte di Noemi e della sua finestra sfila in fronda la nave bianca freccia puntata al profondo azzurro verso la casa verso l'infanzia dove scalpiccia la nuova danza si sente correre in lontananza ed i profumi trascinar via e già l'autunno si sveglia stanco di danza pronto a pulsare muta risacca muta distanza la lunga nave in lontananza. Lei, che si annuncia in terza persona, racconta all'ospite ancora giochi di parole e di eventi, nelle ore del giorno prima e lui, Alberto, l'ospite non immaginario, da Firenze il 27 settembre del 2000, alle ore 11:30 risponde: Giro d'Elba È stato come emergere dal mare alla luce rosata delle case dii villaggi che sembravano remoti ora nati da rocce bianche e scisti grandiosi contrafforti folgorati che l'un dall'altro secchi distanziati man mano dispiegandosi cadevano nel mare spumeggiando sciogliendo forze immani circolari che nell'occhio remote si stupivano ritrovando. (Noemi Paolini Giachery, op. cit. pp. 97-98).
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Poi lei tornerà a dirsi nella spontaneità d'una lucida riflessione, che mai teme di perdere efficacia. Per Emerico, che ama l'Hölderlin della mente, del cuore e della parola poetica che scioglie pareti e dissolve nell'armonia ogni solitudine da isolamento, scrivere è amare, poeticamente, la terra come la propria vita. Così ci confida, facendo cantare Hölderlin, nella traduzione di Giorgio Vigolo: 'Angeli della casa, venite! in tutte le vene della vita, Tutte allietandole insieme, si compartisca il divino! Nobilita! Ringiovanisci! Che nessun bene umano E nessuna ora del giorno sia senza quei Genii felici...' (F. Hölderlin, Ritorno in patria, elegia del 1801, in Emerico Giachery, Abitare poeticamente la terra, op. cit. pag. 24). Mi soffermo, nella pagina successiva, a riflettere in profondità, filologicamente, e cito: “… Il linguaggio sa cogliere la verità poetica delle cose. Per quanto riguarda l'aspetto protettivo e rassicurante del dentro, costitutivo della casa rispetto al minaccioso fuori di essa, è eloquente il tedesco, nel quale a Heim, 'casa', si collega l'aggettivo heimlich, 'segreto', 'celato', col suo contrario unheimlich, 'malsicuro', 'allarmante', 'sospetto'. Heim, così affine a Heimat 'patria', è del resto al centro di tutta una rete di vocaboli, il più bello dei quali è Heimweh, 'nostalgia' (dove Weh è 'sofferenza', 'dolore', come del resto 'algia' di 'nostalgia'). Come s'è già potuto intravedere dai versi di Hölderlin riportati, il verbo della poesia può accompagnare e illuminare il nostro 'abitare poeticamente la terra...” (Emerico Giachery, op. cit. pp. 25-26). E Noemi, carica di scarna verità, conferma i fatti, con quella gioia che il dirli avvolge sempre: “...Ci sarà un invito a pranzo a casa di Noemi e in quell'occasione -ecco l'occasione galeotta- ci sarà l'ascolto in dischi del Don Giovanni. Qualche decennio prima c'era stato a casa di Noemi l'ascolto di un Flauto
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Magico in dischi portati da Emerico. Erano presenti altri amici. Dopo la lunga iniziazione i tempi, per Tamino-Papageno e per PaminaPapagena erano ormai maturi. Emerico approderà finalmente, in estate, all'isola d'Elba ospite della quasi elbana Noemi. L'isola diventerà la loro Citera. A dicembre le nozze. Il Wanderer Emerico parlerà, e scriverà, con metafora che gli si addice, di un Graal ritrovato nelle vicinanze dopo tanta ricerca in terre lontane...” (N. Paolini Giachery, op. cit. pp. 47-48). Queste per ora le poche prove che l'Eros è quello che annulla il due nell'Uno; è quello delle parole, delle forme, delle emozioni negli spazi della vita, che è di casa in casa, nell'una e nell'altra delle loro due case, nella casa degli Angeli, all'Elba e oltre gli spazi degli antichi Dèmoni, a Roma; è quello che giocando in riposo con se stesso, pone la faretra a terra e sonnecchia. Questo Eros, dico, si appropria della loro gioia e comprende che per loro due, in maniera diversa, la scrittura è come nuova pelle regalata al reale, affinché si rivesta di magia a schermare da ogni doloroso evento, sia pur esso la morte. Ilia Pedrina
PASSA LA LUNA Sulle ferite della casa solitaria Passa la luce fredda della luna E il fascio s’inabissa sugli ontani Maestose sentinelle della notte Un lume acceso scruta le pareti Algide e rabberciate Come ombra protesa <<Che c’è casa? Quel lume?>> <<le pareti son fredde Il bambino tossisce>> <<Ah potessi darti del calore! Sono solo un sasso gettato nello spazio, prendo quel che posso e solo per poco>>
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<<Se tu rimanessi un poco Almeno la luce farebbe meno buia la notte>> << Già devo andare, ma oltre gli ontani Posso ancora darti un po’ di luce, come uno specchio io rifletto ciò che prendo>> <<Guarda un uomo cammina nella notte Tra lo stridìo degli uccelli della notte, il gufo ha occhi come fari, la testa dondola ma rischiara un po’ il cammino ah finalmente è giunto! È un vecchio dalla barba bianca porta con sé il rimedio per la febbre Ora il bambino è salvo >> <<Guarda un altro arriva con un fascio Di legna tra le braccia, è poca cosa Ma è tutto; domani poi sorgerà il sole E tutto si rallegrerà, e anch’io>> <<Ora il bimbo avrà un piccolo calore Ed io lo tratterrò tra le mie fibre di malta E sasso, e pure le radici di un’edera A te nascosta sarà riparo al gelo della notte domani il bimbo sorriderà ad ogni cosa E mille piccoli gorgheggi riempiranno Questa triste stanza, dove una mamma Sgrana il suo rosario, e gli occhi sono rossi Per il pianto.>> Domani tutto si rallegrerà di nuovo, il babbo andrà per legna dentro il bosco il camino tornerà a fumare, la neve brillerà al sorgere del sole Ma tu luna che passi nella notte Così bianca e bella e che rischiari, Fra tante e tante stelle, e ci rincuori Va ora per il tuo cammino astrale. Ritornerà la notte un’altra volta E tu verrai con essa un po’ diversa Ed io muro di casa sperso nella notte M’illuminerò ancora alla tua luce. Wilma Minotti Cerini Pallanza-Verbania, VB
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Marzo 2019
MARIO PERSICO E LA PATAFISICA di Salvatore D’Ambrosio
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IMASI positivamente impressionato da ciò che disse una sera Philippe Daverio nel commentare una sua vista all’esposizione d’arte di Venezia. Disse, avendone l’autorità e l’ autorevolezza, ciò che in fondo pensiamo un poco tutti quando vediamo a delle esposizioni, anche internazionali, cose che ci lasciano perplessi o che ci fanno storcere più di un naso, se ce ne avessimo più di uno. Semplicemente disse che fortunatamente non sempre l’arte esposta è la migliore o la più innovativa. E aggiunse che lui continuava a frequentare studi di artisti che, sebbene fuori da ogni” parrocchia”, facevano cose egregie ma soprattutto di una novità e una ricerca assoluta. Fece alcuni nomi, che onestamente non ricordo. Ma ricordo invece le loro tele di una bellezza e originalità senza fiato. L’arte o le espressioni artistiche lo so benissimo, sono cose di una soggettività enorme e indiscutibile. Ma, specie nel giudicare un’ opera d’arte, non si può fare a meno dell’ occhio, che vuole la sua parte. L’arte di per sé la definirei come un misto di bravura tecnica e immaginazione. In questa affermazione ci sono due cose di cui una è indipendente dall’altra. E questa indipendenza è fortissima, poiché l’immaginazione non ha bisogno della tecnica come essa non ha bisogno dell’ immagina-
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zione. Ma la cosa che sembra vera in effetti è falsa. Perché, per esempio, se voglio rappresentare una mia qualsivoglia astrazione mentale, magari onirica, devo attivarmi affinché una volta concretizzata sia la più possibilmente vicina alla mia vagheggiata. Per cui per poterla realizzare devo attivare delle tecniche o munirmi dei supporti tecnici, come colori o altri materiali, o anche dell’intervento di persone che vadano a interferire con il fatto artistico, dandomi il risultato agognato, oppure meglio ancora - una soluzione completamente diversa da quella pensata. Il fatto artistico comincia, allora, a perdere un poco della sua spontaneità e comincia a diventare una scienza che diventa, nel risolvermi i problemi, scienza delle soluzioni immaginarie. Giunti a questo punto della considerazione dobbiamo dire che ci troviamo di fronte a un evento, che ha un nome ben specifico: Patafisica. Cioè quello che è vicino alla Metafisica, che a sua volta è tutto ciò che è dopo la fisica. La Patafisica è scienza inventata per bisogno; la parola fu coniata dallo scrittore e drammaturgo francese Alfred Jarry nel 1893. Nel racconto Guignol lo Jarry fa pronunciare per la prima volta la parola Patafisica a Ubu, protagonista del racconto. Ubu è un personaggio strampalato, meschino, crudele, repellente, con una pancia a vortice. Alfred Jarry precorre i tempi nella creazione di questo personaggio, tanto vicino oggi a esponenti della società che chiamiamo “civile”. La pancia a spirale di Ubu, che diverrà uno dei simboli della Patafisica, è la voracità dei tempi che mastica qualsiasi cosa tenda a fare di ogni umano il centro del mondo, però a scapito di altri umani. Il movimento artistico – culturale di Jarry, si prefigge di esaltare l’ironia, il non senso, i giochi di spirito, che spesso risultano incomprensibili e quindi proprio per questo definiti Patafisici. Inizialmente, diversamente dalla Metafisica che è scienza filosofica che esa-
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mina gli aspetti autentici e fondamentali della realtà fino dai tempi di Socrate; la Patafisica non trova facile presa, in quanto è un poco la “beffa” o meglio lo sberleffo nei confronti della filosofia Metafisica. Solo nel 1911 comincia a trovare seguito, soprattutto nella rappresentazione artistica. Negli anni cinquanta del secolo scorso, Boris Vian diventa il più convinto assertore della Patafisica. Ciò incentiva la fondazione di diversi istituti di studi patafisici. Nel “63 a Roma gli artisti Sinisgalli, Nespoli, Mucci, Vicari danno vita a un primo istituto di patafisica italiano. Ne verranno altri in diverse regioni. Anche Bay e Nespolo diverranno esponenti di questa scienza con funzione rispettivamente di Imperatore Analogico e Protoprovveditore. A Napoli Luigi Castellano (detto Luca) fonda un centro che per apatia del fondatore non si sviluppa appieno, anzi langue quasi di patafisica non curanza. Solo successivamente nel 2001 si riavrà un certo impulso con la formazione dell’Istituto Patafisico Partenopeo con la reggenza dell’artista Mario Persico. In tale ambito, Persico, realizza una rivista, se così la vogliamo definire, di arte dal nome emblematico:”PATAPART “. Bisogna però sapere che l’artista Persico quando giunge al traguardo della “Patapart”, è già noto in tutto il mondo delle arti visive. Negli anni dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, ha incontri con già affermati artisti del momento quali: Guido Biasi, Lucio del Pezzo, Bruno di Bello, Sergio Fergola dando vita al Gruppo “58. Aderisce al movimento Nucleare di Bay, che nasce con lo scopo di prendere distanza dall’astrattismo e dare vita a una nuova pittura più aderente alle nuove esigenze dell’uomo proiettato nell’universo atomico. Con il “gruppo 58” tiene a Napoli presso la storica galleria San Carlo una mostra di neoavanguardie a cui partecipa anche Enrico Bay. Siamo nel gennaio del 1959, esattamente 60 anni fa. La manifestazione si chiamerà: Gruppo “58+ Bay. In quella occasione viene redatto il Manife-
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ste de Naples, nel quale documento si riconosce la straordinaria importanza, nel campo delle avanguardie, del Guppo “58. Il manifesto verrà sottoscritto da: Balestrini, Radaelli, Paoloni, Sanguineti (con il quale Persico collaborerà negli anni “70 a Laborintus II), Luca – ossia- Luigi Castellano, Del Pezzo, Di Bello, Biasi, Alfano, Grieco, Bay, Verga, Sordini, Recalcati, Fergola e ovviamente lo stesso Persico. Questi nomi collaboreranno anche alla rivista Documento-Sud, che si ritroverà poi in Linea- sud una volta esaurita la spinta di Documento-sud. Nella nuova testata avranno un ruolo fondamentale Bay con Luciano Caruso, Enrico Bugli e il nuovo ingresso di Stelio Maria Martini. Tramite il gallerista Arturo Schwarz di Milano, che crede nelle sue capacità artistiche e lo chiama a Milano, Persico conosce Manzoni, Duchamp, Breton, con i quali discute e anima la Milano artistica di quegli anni. Sempre tramite Schwarz nel 1959, espone a Stoccarda le sue prime tele patafisiche fuori dal contesto Nazionale. Il successo è grande e riconosciuto. Il fermento del Gruppo 58, per fatto naturale scema ma non si esaurisce, perché tra il 1963 e 1967 continua con il gruppo Continuum a cui aderiscono Stelio Martini, Caruso, Persico e altri. Mario Persico da autentico sperimentatore si tuffa in ogni tipo di esperienza artistica. Numerose sono le cartelle grafiche che produce, in particolare illustra Ubu Cocu, il lavoro di Alfred Jarry di cui abbiamo precedentemente parlato, e che nel frattempo è stato tradotto dal francese da Luciano Caruso. L’antefatto è perché vogliamo parlare e ne stiamo parlando di Mario Persico, e per due motivi: primo perché quest’anno compie 89 anni; secondo perché la sua produzione artistica è la più patafisica che possa esistere. Il suo lavoro è pieno di innovativa, pieno di inventiva e di idee nuove e potremo dire anche strambe, ai limiti dell’impossibile percezione. Non dobbiamo dimenticare della sua adesione al movimento Nucleare nato con Bay nel 1951.
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L’uomo nel cosmo, cosmo nell’uomo: atomo negli atomi. L’astrazione non è più semplice segno di colore sulla tela, ma materia di pura fantasia sebbene percepibile o quanto meno individuabile. Realizza sculture con il legno o altri materiali e li chiama oggetti praticabili, ovvero tattili, modificabili, cioè che possono significare altro con l’intervento del fruitore, il quale comunque conferisce all’opera ugualmente indeterminazione. Opere così dette “aperte” che si rifanno alle teorie patafisiche di Jarry. Sempre sulla scia di questa filosofia patafisica, crea sculture ammiccanti che mosse da chiunque danno indicazioni, nelle loro ipotesi combinatorie, di direzioni utopiche. Modo di agire, di pensare, di dare risposte un poco alla maniera della pubblicità che in questi giorni la Rai ha mandato in onda per il festival di San Remo. Per questa sua particolarità espressiva è coinvolto in soluzioni scenografiche da Luciano Berio e Sanguineti. Mentre Gillo Dorfles e Pirella lo voglio dentro per la stesura del manifesto dell’Antilibro. Altre opere significative da ricordare in questo breve viaggio intorno a Persico, sono le Gru Erotogaie che compaiono nel 1969 in alcuni parchi di Stoccarda, in seguito a un’ antologica che gli dedica la galleria Senatore. Ancora le Sedie dell’Isteria, che vogliono dare indicazioni sulla funzione dell’oggetto dietro al quale c’è l’idea di un mondo ordinato e comprensibile, che individua funzione e identità delle cose: costruzione, funzione, uso. Infine, essendo un uomo del suo tempo e attento ai suoi megafoni sparati al massimo, l’ ultimo ambito della sua ricerca è l’erotismo. Attraverso i mezzi espressivi, propri di Mario Persico, e qui il lettore non ha più bisogno di essere imbeccato per comprendere a cosa ci riferiamo, vuole affermare con la sua ricerca i comportamenti della società odierna dedita al basso, all’osceno, al materialismo praticabile esclusivamente nell’eccesso. Attraverso l’uso abnorme e isterico dei
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nuovi mezzi di comunicazione di massa come smartphone, tablet, piccole telecamere applicate sui computer, si fa un’esibizione di organi sessuali e di pratiche a essi collegate, che un tempo erano chiuse in alcove inviolabili e discrete. Certi giornaletti “parigini” degli anni 50-60 appaiono per questo, come cataloghi di sculture greco-romane, dove le donne nude sono tutte in pose abbastanza ingenue, da considerarle ironicamente delle” Venere di Milo” e i maschi nerboruti tutti dei “Discobolo di Mirone”. Senza scomodare nei loro sonni l’Aretino e il Boccaccio. Diventa allora “Patapart” la relazione tra erotismo e potere, tra il godimento eccessivo e sopra ogni cosa e la funzione sociale e socializzante del sesso. La residualità del desiderio si annulla nel possesso breve di un corpo tanto agognato, ma subito sostituito con altra avida eccessiva materialità. La considerazione focale è che l’uomo è solo anche di fronte alla più sociale espressione della vita: il sesso. Questa solitudine spiega il crescente successo dei succitati nuovi mass-media e dei siti erotici; con in contro canto una sempre maggiore umanità maschile e femminile che non è né fidanzata, né sposata, né ci pensa minimamente. Non è una colpa, ci mancherebbe. Ma consuma la sua intimità davanti a uno schermo, in una pura e semplice soluzione di sessualità immaginaria. Il fenomeno inavvertitamente diventa scienza delle soluzioni immaginarie: ovvero vitalità sessuale esclusivamente Patafisica. Ecco tutto ciò è materia di rappresentazione artistica dell’ultimo Persico. Salvatore D’Ambrosio È in preparazione il quaderno Il Croco dedicato a: ELISABETTA DI IACONI CAMMINERÒ Un viaggio attraverso “vie dissestate” in cerca di “sorrisi” e di Dio, il solo a poterci regalare la speranza. Domenico Defelice
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CORRADO CALABRÒ QUINTA DIMENSIONE di Domenico Defelice
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ILIPPO La Porta, su Il Messaggero del 31 gennaio 2019, recensendo il volume La grande adunanza di Nicola Bultrini e Mauro Cicarè, provocatoriamente si domanda: “E se la poesia fosse una forma d’arte sovversiva?”. Il libro è una contaminazione tra scrittura e immagine e nei personaggi rappresentati si riconoscono molti noti poeti. La poesia è pericolosa e va tenuta a bada. I mostri che cercano di emarginare la poesia sarebbero la tecnologia e l’informatica, quelli che a Corrado Calabrò non hanno mai fatto paura, considerandoli da anni, con la scienza in genere e l’astrofisica, non feroci avversari, ma fonte inesauribile di ispirazione. Il libro di Bultrini e Cicarè ha una forte dose d’ironia - la poesia, alla fine, riacquista il proprio dominio -, ingrediente che non manca neppure a Calabrò, anche se non con la stessa intensità, la stessa maschera, la stessa ampiezza. La poesia moderna ha molti nemici che, però, un bravo poeta può ipnotizzare e trasformare in amici e risorse: il consumismo, l’anonimato, l’oscuro, l’ermetico e la volontà di apparire a tutti i costi: una autentica droga dei tempi nostri, quest’ultima, ben rappresentata dalla voglia bulimica di fotografare tutto e di fotografarsi di continuo. Falsi nemici, insomma, mentre quelli veri, subdoli, che la corrodono dall’interno, quasi senza farsi nota-
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re, non facendo paura, non vengono combattuti o combattuti non sufficientemente: gerghi, specialismi, cerebralismi, oscurantismi, mode, dandismi, effetti speciali simili a quelli che ormai dominano il mondo del cinema. Calabrò sa distinguere mostri e mostri, li sa domare, gioca con la metamorfosi, il trasferimento tempo-spazio e con le geniali, straordinarie invenzioni, dandoci una poesiaracconto, solo all’apparenza leggera e quotidiana. Quinta dimensione si apre con il poemetto Roaming, sul vagare, l’errare, il gironzolare della terra nell’universo e con l’universo a velocità folli: 602 versi, nei quali Calabrò fonde passato e presente nella corsa verso un futuro apocalittico. Son quadri quasi a immagini filmiche, con legami a volte netti, raramente con la dissolvenza. Il terremoto di Messina con le galassie; le case di Pellaro inghiottite dal mare, ora “abitate dai pesci”, con i buchi neri e “la terra febbricitante”, che di tanto in tanto riceve spallate, mentre si danza intorno a una voragine nera che tutto ingoia e per sempre. Il presente come “l’undici settembre” e il futuro, quanto prossimo non si sa, quando verrà colpita la nostra luna, che, intanto, si va, adagio adagio, allontanandosi da noi, o quando sarà la stessa terra ad essere investita da “un’altra luna” che la farà andare in frantumi come un vecchio boccione di vetro. Quadri che si susseguono come flash back, da Atlante-Lady D. all’accoppiamento delle anguille, al notturno viaggio in treno, alla sarabanda di stelle e pianeti; dalle pecore che muoiono con la “lingua violacea penzoloni”, agli astronauti “Aldrin ed Armstrong”, allo spazio secondo Einstein, a Plinio il Vecchio soffocato dalle esalazioni del Vesuvio, alla “Terra (che) viaggia nello spazio/con la memoria avulsa e senza bussola”, che sbanda, che s’inclina, che deraglia… Tutto il racconto è composito, di sintesi delle innumerevoli contraddizioni in cui viviamo quasi dimentichi dei reali bisogni dell’ umanità e del suo futuro. C’è la disarmonia di una realtà vissuta in perenne contrasto con l’ armonia (o anch’essa disarmonia?) dell’ uni-
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verso, nel quale - microbi insignificanti siamo immersi. Il discorso è spesso lambiccato, proprio per esprimere le tante incoerenze e, di tanto in tanto, vi serpeggia l’ironia (“Se mai un giorno morrò”), se non, addirittura, sotterraneo, latente, il sarcasmo, inavvertito solo dai distratti: il “Me ne fotto del re!” del sindaco Tripepi mentre sta per morire; il “Che ci frega” di chi vive incurante del presente e del futuro; il “Buttati, dai, buttati!” che, a una donna, “in bilico/ sul cornicione”, “le gridava un gruppetto di sotto/per riprenderla coi telefonini./ E lei finalmente s’è gettata.”. Roaming è un grido di dolore per tutte le distorsioni della nostra apparente modernità, le insensatezze, le rapine morali, più perniciose, perché subdole, di quelle materiali che ci stanno conducendo a un disastro senza ritorno. La genesi del poemetto ce la dà lo stesso poeta in una “Nota”, nella quale afferma anche che la sua dimensione “è già di per se stessa guardata con sospetto, se non con ripulsa, nella poesia moderna”, perché certi
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poeti, esaltati dalla critica e dai media, sclerotici e minimali, non amano il racconto e tanto meno il poema, ma lo sterile piangersi addosso, lo scavo interiore, personale, come se il mondo fosse solo e soltanto loro stessi; un manipolo di poeti e critici, o “gruppo di intellettuali” - come scrive Calabrò “Scartando i comizianti e i pidocchi di regime” - che ha fatto “credere che la poesia si contrapponga semplicemente al potere politico e non anche al loro potere costituito”. La poesia di Calabrò è, invece, racconto, ed è quella che noi amiamo. Da ciò il piacere di leggere a voce alta, di sentirne la voce; di farsi, insomma, da scrittura, voce, seguendo la lezione grande del Leopardi. Questo particolare - cioè, della necessità di leggere Calabrò a voce alta (noi l’avevamo già evidenziato nella postfazione a La scala di Jacob, opera vincitrice del Città di Pomezia 2017) - viene adesso ribadito anche da Franco Manzoni sul Corriere della Sera (22 dicembre 2018), scrivendo che “Questa lirica andrebbe necessariamente pronunciata a voce alta, energica e vivida”. Manzoni definisce “intrigante postfazione” “C’è ancora spazio, c’è ancora senso per la poesia, oggi?”, che Calabrò inserisce in calce e che noi riteniamo di valore più ampio: un saggio concernente la poesia in genere, con sprazzi di vera e propria autobiografia. Calabrò sa essere dolce, enigmatico, evocativo, allusivo, ma anche feroce e truculento (“L’esorcismo dell’Arcilussurgiu”). Il suo amore è divino e passionale, ma anche umile e giornaliero. Quel che ognuno di noi vede è differente da quello e come vedono gli altri: “Quanti ragazzi hanno guardato quella ragazza senza vedere in lei nulla di più delle altre? Poi un ragazzo s’innamora e vede in lei una bellezza che nessun altro ha visto”, afferma Calabrò. Ed è così per la poesia e non solo. Tutti possiamo guardare un sasso senza scorgervi nulla di trascendentale; Michelangelo, guardando un sasso, ci ha visto dentro ora la Pietà, ora il Davide, ora il Mosè e fece di tutto per trarli fuori e darceli in godimento. Così è, per la poesia e della poesia. La poesia di Calabrò è semplice e intuitiva, fatta di pa-
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role parlate, non di parole parlanti; allora sarà anche per questo che la voce sia necessaria, che la sola lettura non basti? La sua è poesia vissuta, fatta di brani d’esistenza. Anche i temi son semplici, diremmo quasi banali se non avessimo il timore di venire fraintesi; a nobilitarli e innalzarli è il tocco narrativo - che, poi, è l’aspetto primitivo della poesia -, misto a una dolce-amara saudade, alla quale concorrono la luna e il mare in un perenne, cullante sciabordio (Renato Minore, su Il Messaggero del 16 dicembre 2018, scrive di “uno stato ipnotico quasi di trance: le parole stesse diventano allucinatorie, ripetono e bloccano la litania d’amore sulla scena della natura che, come il soffio del vento, resta del tutto e da sempre indifferente”). Questa atmosfera addolcisce anche il dolore e forse da ciò dipende se, finora, non è stato sufficientemente posto in risalto l’aspetto sociale della poesia di Calabrò (si legga, in particolare, la sezione “Ancora telestupefatti”); anche quando è lancinante da strizzare l’anima, c’è sempre un velo pietoso e quasi ironico che ne abbassa il diapason (“Come la sanno lunga/queste donnette vestite di bianco…/Credono che sui ricoverati/abbia potere di vita e di morte/il primario (e ridacchiano tra loro)”. Una poesia sempre protesa a una dimensione nuova; un’estenuante ricerca e la corsa senza soste - perché ne segnerebbero la fine tra tunnel e “viadotti sull’abisso/che crollano appena attraversati”, perciò sempre nuovi, da Creazione perenne. Pomezia, 17 febbraio 2019 Domenico Defelice CORRADO CALABRÒ: QUINTA DIMENSIONE - Poesie scelte 1958 - 2018, Mondadori, 2018 Pagg. 304, € 18,00
La notte ha gli occhi cavati dei Gilet Gialli l’ira ha le mani strappate dei manifestanti e la Libertà è un’anima in pena Béatrice Gaudy Parigi, Francia
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TERRA E CROCE Di notte il cuore mi trema quando m'appresso ai marmi dell'austera sepoltura. Ho paura, freddo e una gran voglia d'essere vicino. Il passo stanco sembra appesantito, le scarpe s'affondano nel terreno incolto, il piede è tra le erbe dell'arida gramigna. A un nuovo sussulto e palpito fraterno il corpo rimane sempre morto e le vesti fatte più nere s'irrigidiscono; il labbro trema accanto a due occhi infossati. Piegato ai biancori della croce con il petto tocco l'estinto, la terra che copre la morte degli affetti suoi. Leonardo Selvaggi Torino
PALINGENESI GENOVESE Mi ricordo quel giorno lontano: sono alla finestra a pensarti, e a contemplare Genova che si rivela, di colpo, insolitamente bella e amabile, nella tenerezza di un'alba speciale. La fuggevole scia di un aereo militare, fra le colline e la luna, nessuna macchina, laggiù, ai semafori, due passeri sul davanzale sullo sfondo del mare. Luigi De Rosa (Rapallo)
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IL LINGUAGGIO NUDO di
MASSIMO ARRIGONI di Giuseppe Leone ON un’acuta, illuminante prefazione di Corrado Paina e i disegni di Alberto Casiraghy, Luciano Ragozzino, Fabio Sironi, tutti a corredo del testo, Massimo Arrigoni, già autore di Edizioni censurate (Pulcinoelefante 1994-2017), Italian Performance Art (Edizioni Sagep Harta Performing, 2015), La voce in movimento (Edizioni Momo Harta Performing 2003), Teatro in Italia (Edizioni Siae 2000), The Beat Generation (Edizioni Harta Performing, 1995), ha pubblicato nelle Edizioni La Vita Felice di Milano, non molto tempo fa, Il linguaggio nudo. Frammenti di un discorso ebefrenico. Un volumetto di versi – scrive Paina nel quale l’autore “vede il mondo dall’alto
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del vicolo, ordina, chiede, aggiunge, scompone, si sbraca, si manifesta e manifesta” (5), ritraendolo attraverso “una poesia fattografica”, nel senso che ogni scritto non risponde necessariamente a un’idea comune, ma è un fatto a sé. Il tutto in ventotto poesie che sembrerebbero richiamarsi ad artisti-poeti che si espressero fuori dalle linee del classicismo e della poesia propriamente detta, da Cezanne, a Poe, a Campana, Majakovskij, Artaud, tutti riformatori del linguaggio nell’arte che daranno ad Arrigoni estro e ispirazione onde far zampillare dal suo “cranio” quella che egli stesso chiama una “drammaturgia poetica” che “reca in sé una ritualità sciamanica”, in cui, ogni volta, “vi è l’officiante / un pubblico / e un corpo sacrificale / massacrato” (14). Ma non solo ad artisti come questi e più in particolare ad Artaud, questi versi parrebbero richiamarsi anche a Carmelo Bene, se Paina scrive che, per un poeta come Arrigoni che ha scelto l’autoisolamento, ogni sua poesia è anche “una finestra… da dove ogni tanto cala il cestino il cui scopo è di svuotarsi delle parole-nutrimento e non di riempirsi (5)”. Sono quelle che “si susseguono per accumulazione di significati / la cui verità è altrove / forse nella equivalenza del senso che le trascende / e che dà loro un’anima estranea / le parole finalizzate dal senso” (9); “… non sono più le parole / quelle che s’odono” (20); sono “… le parole / adombrate che mi ritrovo dentro” (28); sono quelle che si trovano “nel limite della parola che si fa corpo del dire / senza possibilità di ripensamenti” (31); le parole, infine, come “Usa”, che sono piene di significati, talvolta ambigue, per esempio, che sono la voce del verbo usare: “Che bel paese / che grande paese / che Usa legalmente la guerra / e da sempre la / Usa” (51). Ed ecco il poeta, elargire, per contro, le istruzioni per l’uso: Sterminare tutti i pensieri razionali / una coscienza vuota è aperta a nuove influenze (12); dare “consigli pra-
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tici per giovani anatomisti”, ai quali dice: “Procuratevi un corpo poetico / adagiatelo delicatamente sul vostro tavolo / anatomico … / sezionate quanto più amabilmente possibile / il verso nell’ordito / e aspettate pazientemente la trasposizione che / il linguaggio compie nel fatto illustrativo” (13). E non solo, fornire anche illuminazioni sulle derivazioni della sua poesia, che nasce, in parte, anche dagli “incontri paranoicoletterari” con l’artista Aurelio Andrighetto sempre in bilico fra astrattismo e realismo; e il poeta ceco Vladimir Holan, che lo mette a contatto con il suo “teatro definito dal nulla, in cui si intrecciano la messa in scena della cecità, il misconoscimento e l’oblio di sé”. Quello che colpisce, allora, scorrendo i versi di questo volumetto, impreziosito in copertina da una foto in controluce di Marina Giannobi, è come il poeta, dopo essersi circondato di giganti della letteratura, del teatro e della pittura, ne sia venuto fuori ancora con una propria identità. Per cui, non si deve credere che abbia cercato solo di ripristinare tal quali i moduli del frammento poetico che ebbero così grande rilievo e sviluppo soprattutto in Campana e Artaud. Egli ha dimostrato, pur accogliendo la lezione di questi sommi artisti, che è ancora possibile restituire forza poetica alla parola in sé e per sé, indipendentemente dagli schemi metrici di certe avanguardie e manifesti della tradizione novecentesca e perfino dagli abbozzi ritmici del versoliberismo. Lo ha fatto, caricando la parola di tutto il peso del vissuto drammatico del nostro tempo, fino a renderla specchio dell’angoscia esistenziale tipica dell’uomo di oggi, quale si vive in questa società firmata Usa, che tutto ha subordinato all’etica del profitto, riducendo ogni cosa a uso e consumo, a cominciare dalla guerra, dalla pena di morte e dalla tortura, alle armi: da quelle che vende nei supermercati ai privati, a quelle di distruzione di massa; ai dittatori, che costruisce su misura per insediarli altrove, all’ imperialismo, alla libertà, alla globalizzazione, alla fede in Dio per giustificare dei delitti, ai
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giornali, ai telegiornali, ai politici, agli imprenditori; non il poeta, però, che dirà no (53), rivelando, pure, il luogo e il modo del suo dissenso: “Ci separammo ai bastioni di Tebe / senza dirci addio” (55). Un manifesto, insomma, questo Linguaggio nudo di Arrigoni, che, ora, egli aggiunge ai numerosi altri evocati in questa sua raccolta, consistente nella proposta di una poesia sonora, in un “alternarsi di scene teatrali - scrive ancora Paina - dove moduli di voci e voci diverse s’intersecano nel buio dello spazio teatrale” (6), con il fine di scardinare una buona volta per tutte la retorica del potere e per contro elevare la sovranità dello stato. Ne viene fuori una poesia civile, frutto di una “drammaturgia poetica”, si diceva, con la quale il poeta, evocando il mito di Antigone, fissa i termini del suo discorso ebefrenico, che poi così ebefrenico non è, e ripropone l’eterna dialettica del bene e del male, lo scontro fra chi usa il potere per imporre il proprio volere e chi si batte nella difesa dei diritti umani. Non si è detto che le poesie di Arrigoni sono accolte nella Collana Agape, il cui nome, di derivazione greca, significa convito fra amici. E proprio a un convito vien da pensare, ritornando ai diversi collaboratori in questo libro, tutti amici del poeta: da Marina Giannobi, fotografa, a Corrado Paina, poeta e scrittore italo-canadese, ad Alberto Casiraghy, pittore, poeta e violinista; Luciano Ragozzino, incisore-stampatore; Fabio Sironi, illustratore; che, coi loro interventi, hanno impresso alla già forte impronta simbolistica del volumetto ulteriore pregnanza evocativa. Un convito, che forse non sarebbe sbagliato chiamare persino repubblica, se Arrigoni, citandone uno dei suoi partecipanti, lo chiama Il signor Casiraghy. Giuseppe Leone Massimo Arrigoni - Il linguaggio nudo Frammenti di un discorso ebefrenico. Prefazione di Corrado Paina. Disegni di Alberto Casiraghy, Luciano Ragozzino, Fabio Sironi. LA Vita Felice, Milano. € 10.00. Pp. 60.
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LI SHANGCHAO di Domenico Defelice
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I Shangchao è un famoso poeta cinese contemporaneo, calligrafo e musicista. Membro dell’Associazione Scrittori Cinesi, direttore della Federazione Letteraria del Ministero della Pubblica Sicurezza, scrittore affermato. Egli è anche uno scrittore che ha firmato la colonna Celebrity Lecture del programma educativo Ink-and-wash della TV cinese, direttore della Società di Musica Popolare dell’Associazione Musicisti Cinesi e Vicepresidente della Società di Musica Popolare del Comune di Chongqing. Ha vinto titoli onorifici quali “I 100 migliori Poeti del Secolo della Nuova Poesia Cinese”, I Virtuosi e Artistici Artisti Contemporanei Cinesi del 2016”. La Cina Post ha emesso la “Carta Telefonica Nazionale: LI Shangchao” e “Pioniere dei Tempi: la Calligrafia di LI Shangchao che brilla sulla Cina”, un album in suo onore. I suoi lavori sono nella collezione del Shaanxi History Museum eccetera. Egli e Jia Pingwa, un famoso scrittore, sono tra i quattro più importanti calligrafi e pittori della provincia di Shaanxi. Ha pubblicato più di dieci opere letterarie e calligrafiche. Tra le tante sue canzoni
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pubblicate ricordiamo “Touching China” (Toccare la Cina) e “Winds and Rains over Wushan Mountain” (Venti e Piogge sulle montagne del Wushan). Alcune sue poesie e alcuni suoi saggi sono stati selezionati per la lettura universitaria e per il libro facoltativo nelle maggiori Università di Lingua e Letteratura Cinese. Il programma “Masterpiece Appreciation” riserva una speciale colonna per “LI Shangchao Studies”, ritenendola un vero e proprio esempio dell’arte contemporanea cinese. Di LI Shangchao pubblichiamo, qui di seguito, tre poesie nella traduzione inglese di SHI Yonghao e nella nostra libera versione in italiano. In tutti e tre i brani, note dominanti sono stupore e magia: la cometa vola placida nell’ universo, ma si sposta specialmente quando noi dormiamo, quasi per non turbarci (uno spostamento talmente discreto, di notte, sì che neppure ce ne accorgiamo!); passeri, oche, aquile ed altri uccelli volano e ciascuno di loro ci sottolinea qualcosa d’importante; la pietra ammonisce un’altra pietra affinché non si sforzi a mutare secondo il mutare delle cose del mondo che le stanno attorno, perché, sulla terra, tutto è vano e labile, mentre la pietra, se rimane nel suo stato, continuerà ad esistere, ad esser tale anche dopo che “tutto ciò che abbiamo visto/sarà sparito col vento”.
The Comet Dragging its long tail, the comet flies in the skies It does so just for fun And for our joys and childish innocence It flies to bring us surprises and dreams It is asleep, though seemingly awake We just gaze at it for a moment But the comet flies on when we are asleep It flies in another place Perfectly compatible with us sleeping
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Flying in the Sky The skyful of sparrows are flying at will The sky does not count But the sparrows do The skyful of wild geese are soaring The wild geese do not count But the soaring does An eagle is in flight in the sky The flight does not count But the strength does A migrant bird is on wings in the sky The strength does not count But the orientation does A stray wild goose is flying in the sky The orientation does not count But the spirit does A Stone Says to Another Stone A Stone says to another stone Don’t be colorful because of the flowers Don’t try to grow because of the grasses Don’t be boisterous because of those people Let’s serenely Bask in the sunlight and the moonlight under the sky And brave winds and rains in the rotating seasons As long as we maintain our character of stone We will remain stone even after millennium But all those things we have seen Will have been gone with the wind (Translated by SHI Yonghao) LA COMETA Trascinando la sua lunga coda, la cometa vola nei cieli Lo fa così per divertimento E per le gioie nostre e l’innocenza infantile Vola per portarci sorprese e sogni Si è addormentata, anche se apparentemente
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sveglia Basta guardarla per un momento Ma la cometa vola su quando siamo addormentati Vola in altro posto Perfettamente compatibile col nostro sonno VOLARE NEL CIELO Il cielo pieno di passeri stanno volando a volontà Non conta il cielo Vanno bene i passeri Il cielo pieno di oche selvatiche si stanno innalzando Le oche non contano Conta l’impennata Un’aquila è in volo nel cielo Il volo non conta Conta il vigore Un uccello migratore è in volo nel cielo La forza non conta Conta l’ardimento Una randagia oca selvatica sta volando nel cielo L’orientamento non conta Conta lo spirito UNA PIETRA DICE A UN’ALTRA PIETRA Una pietra dice a un’altra pietra Non colorarti pensando ai fiori Non provare a crescere guardando l’erbe Non essere rumorosa come le persone Lasciamoci andare serenamente Crogiolarsi al sole e alla luna sotto il cielo E venti fortissimi e piogge nelle cangianti stagioni Finché manterremo il nostro carattere di pietra Resteremo pietra anche dopo il millennio Ma tutto ciò che abbiamo visto Sarà sparito col vento Domenico Defelice
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Italo Pizzi LETTERATURA ARABA di Ilia Pedrina
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UESTO testo del prof. Italo Pizzi (Parma, 1849 - Torino 1920) presenta una Prefazione assai interessante, firmata a Torino il 4 luglio 1903, nella quale egli delinea l'importanza del suo lavoro di studioso e di traduttore dagli antichi testi, in lingua persiana e araba: la vastità del campo di investigazione ch'egli intende percorrere, la grande varietà degli argomenti da trattare, la loro complessità e la ricca, copiosa antologia di testi in traduzione originale da lui realizzata con grande, appassionata preparazione. Seguono i capitoli della ricerca che approfondiscono direttamente i contatti con i testi di quelle civiltà nei tempi antico, medio e moderno: Cap. I. La Lingua araba/Cap. II. Divisione della letteratura/Cap. III. La poesia anteriore a Maometto/Cap. IV. Il Corano/Cap. V. La letteratura ai tempi di Maometto/Cap. VI. La letteratura nazionale del tempo degli Ommiadi (661-750 d.C.)/Cap. VII. Il periodo classico della letteratura musulmana scritta in arabo (750-1000 d. C.)/ Cap. VIII. Il periodo di decadenza della letteratura musulmana scritta in arabo (1000.1258 d. C.)/Cap. IX. Scritture scientifiche/Cap. X. Cenno sulla letteratura dopo la caduta del Califfato (dal 1258 in poi). Seguono il Registro dei nomi (pp. 377-382) e
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l'Elenco dei passi tradotti e dei loro Autori (pp. 383-386) Gli studiosi italiani di lingua e letteratura orientale, soprattutto persiana e araba, devono allora fare i conti con questo orientalista prezioso, preparatissimo, quasi dimenticato se in rete il sito EURASIA -Rivista di studi geopolitici- non avesse fatto ritorno a questo protagonista indiscusso dell'insegnamento e dell'interpretazione di lingue e letterature orientali e mediorientali dalle origini all'epoca moderna, per l'Iran, la Persia, l'Arabia e per altri Stati e territori, seguendo il metodo della ricerca comparata. Riporto elementi chiave di questo attuale documento: “... Il prolifico e versatile orientalista pubblicò anche una traduzione integrale dello Shâhnâmeh, che costituisce senza dubbio il suo opus magnum. Lavorando per circa vent'anni sull'edizione calcuttese di Turner Macan del 1829 egli trasfuse i centomila versi mutaqârib di Firdusi in endecasillabi sciolti che furono lodati da Giosuè Carducci, che nel 1867 lo aveva esaminato per l'ammissione alla Normale di Pisa. 'L'arte del traduttore scrisse il poeta sulla Nuova Antologia del 1 luglio 1886 – a me pare molta e buona. L'endecasillabo sciolto, condotto secondo le tradizioni della scuola classica, procede corretto, non stentato mai, decoroso, variato d'intonazioni e pienezza secondo e quanto permette l'indole di questa poesia epica ed orientale'... Tra i poeti persiani, Pizzi amò in particolare Sa'di, del quale tradusse il Gulestân, ma quello cui riservò la più costante ed amorosa attenzione fu Firdusi. Alla prima prova di versione dello Shâhnâmeh, che apparve nel 1868 sulla 'Rivista Orientale' di Firenze, ne seguirono altre finché tra il 1886 e il 1889 videro la luce gli otto volumi della traduzione integrale... Lyra Zarathustrica contiene la versione di alcuni brani dell'Avesta così intitolati dall'autore: Inno al fuoco, Inno a Mithra, Inno alla dea delle acque Ardvi Sura Anahita, Leggenda del re Yima, Glorificazione di Haoma, Domande del fedele intorno al perché e all'origine delle cose... Lo studio della civiltà persiana consentì ad Italo Pizzi di ren-
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dersi conto della parentela spirituale esistente tra l'Europa e l'Iran e di quella ricca eredità ideale che l'Iran ha trasmesso all'Europa, un'eredità 'talvolta così radicata nel nostro costume di vita che non ce ne accorgiamo neppure, dato anche il fatto che frequentemente ci è giunta tramite culture intermedie o modelli occidentalizzati da secoli” (da Eurasia, 4 aprile 2011, in rete sito citato). Anche Mircea Eliade lo ha studiato con cura: i lavori divulgativi del Pizzi sulle culture e sui popoli orientali e le tante altre informazioni da lui prodotte utilizzando il metodo comparativo sono state e sono indispensabili per ogni accurato aggiornamento. Basta scorrere l'elenco delle pubblicazioni del Pizzi, che viene riportato nel documento in rete, per renderci conto che ci troviamo di fronte ad un appassionato interprete delle testimonianze artistiche, in lingue antiche originali, di popoli e culture lontane, all'epoca sua, dalla quotidianità di studiosi, di allievi ed altri. Non basta qualche viaggio in Italia per capire in profondità le intelligenze produttive che hanno costituito la base fondante della struttura complessiva dell'Enciclopedia Italiana, ben rilevata da Giuseppe Leone nell'articolo La grande Enciclopedia Italiana dai Savoldi a Treccani nel libro di Dario Agazzi (Pom. Not. Genn. 2019, pp. 19-20): sintesi che dal familiare avvia a percorsi nazionali ed internazionali di altissimo livello. Tanta attenzione per Italo Pizzi mi viene da Papà che, nel percorso per costruire Musa Greca, dal 1960 sul beato Colle a Brazzacco, mi ha trasmesso inesauribile passione per la ricerca delle fonti e per la doverosa memoria di tutti coloro che, come il Pizzi, si sono distinti, per l'impegno e la fascinazione nella scoperta di filoni poetici e letterari atti a costituire valida comparazione costruttiva. Questo modo pacifico e illuminato di intercettare lo spirito, il respiro, la voce di quei popoli ci apriva alla condivisione ed io capivo bambina tutto: il suo commento diventava evento e pathos, da dilatare all'intelligenza e all'animo, in sintonia, di tutti quei giovani che si avvicinavano al suo Ellade Sacra, uscito in abbina-
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mento con Roma eterna del suo amico Agostino Pinna, grande latinista, per i tipi della Trevisini di Milano. Il 2020 vedrà sicuramente qualcuno ricordare i cento anni dalla morte dello studioso Italo Pizzi perché se la Persia non esiste più geo-politicamente parlando e l'Iran è, sempre geo-politicamente parlando, ben diversa da qual era ai tempi del Pizzi, è ancor più necessario oggi conoscere e dal conoscere capire, e dal capire aprire una costruttiva comunicazione e relazione, in un originale percorso comparativo. Allora la Poesia, la Letteratura, la Musica, l'Arte pittorica e tutte le nuove tecnologie dell'immagine si metteranno in gara per prendere attenzione su questi temi e offrire intrattenimento e crescita interiore: il profondo e manifesto intento del Pizzi sarà dunque raggiunto. Ilia Pedrina Italo Pizzi: LETTERATURA ARABA, Edizioni Hoepli Milano - Biblioteca Economica, Stab. Tipografico Marino Bellinzaghi. Milano, Corso Porta Nuova, 26. 1903
MAGIA, NELLA NOTTE D'improvviso una pioggia di candidi fiocchi nella quiete silente della notte. Tra essi fata Poesia, eterea, divina, il Tutto d'effluvi inondava, melodia, magia. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo - IS
IL FUTURO MUTAMENTO In una negativa realtà, a volte, i fermenti di un prezioso mutamento. L’inverno ci rattrista con trame di rami nudi e gelo, ma contiene le pulsioni della primavera. Caterina Felici Pesaro
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STRALCI DESUNTI DALL'EBOOK "SULLA POESIA E SULL' ARTE"
di
SUSANNA PELIZZA, Amazon.it, costo euro 0,99. di Andrea Bonanno
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ell'Anacronismo sono i pezzi del museo, i fantasmi inquietanti del passato che rivivono nella trasformazione eliminando la loro terribile autorità (R. Barilli, op. cit.). L'autorità che proviene dalla storia, dalla tradizione, dalla cultura, in realtà non è mai terribile: proprio perché il sapere è Universale la loro trasformazione sarà l'emanazione di questo concetto, non terribile, ma ricco di significati sul presente. Non c'è bisogno di scardinare quei fantasmi con gli stracci del presente (come nella Venere del Pistoletto) la loro ricca e non inquietante autorictas è rappresentata nel culturale, attraverso una diversificazione del particolare, che procede per valorizzare, diversificare affermando [...]. Da: "Il vero scopo dell'arte". Una poesia che ci allontana, sempre di più, dai reali problemi della massa, una poesia che ruota intorno ai suoi "eccessi di sperimentalismo" in una dimensione elitaria volta ai dotti (i soli in grado di poterla comprendere) e lontana e distante dal pubblico, è quella favorita dalla critica ufficiale...[...] Una poesia che non ci fa vedere meglio la realtà, poichè addormenta addomesticando le nostre coscienze, viziandoci con i meccanismi (peraltro ripetitivi) sperimentali[...] Un linguaggio che ruota su se stesso, sull'assenza di un io, sull'impersonalità di una visione, non si pone il problema di essere capita... L'oscurità di certi procedimenti ha dominato per anni sull'ignoranza collettiva, favorendo la diseducazione alla lettura del genere lirico... Al pubblico non piace l'eccesso di polisemia, il dibattito tra l'io e il simulacro di un'alterità paranoica... non piace il forzare i
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limiti della parola ricorrendo a diversi settori della lingua, i tecnicismi, i neologismi, i ritmi e le fonie graffianti ecc. e quanto di più, in una dimensione oscura e anticulturale ... Da: “L'eccesso di sperimentalismo produce il vuoto". Il suddetto ebook "Sulla Poesia e Sull'Arte" di Susanna Pelizza si presenta ad una attenta ed ultimata lettura pregevole non solo per la presenza delle molte sue lettere, inviate a direttori di molte riviste, vertenti su temi fondamentali concernenti la poesia, bensì per la ragione che si basa su su una ricognizione della sua poetica nei riguardi dei vari codici linguistici dell'arte, ossia sulla sua fondatezza basata sull'espressione dei valori culturali, commisurati fra la tradizione e il vuoto e la dismisura dell' edonismo del tempo presente. Il testo è ricco di temi importanti riguardanti l'incidenza o meno del "culturale" nella poesia e nelle varie espressioni dell'arte. Ci sono piaciuti molti brani riguardanti l'eccesso dello sperimentalismo nella poesia, la cultura nella Transavanguardia, la complicità servile di una certa critica, le forme narrative e dell'arte confluenti nell'acre spettacolarizzazione di un "io" reso un balenante simulacro di un potere delirante, ecc. La poesia così viene offerta come un colloquio che fa riflettere contro le bugie gridate, affaristiche e fuorvianti, del carrozzone massmediatico, con il conseguente rinnovarsi della sua sonorità e struttura stilistica. Fuori da ogni formalismo delle avanguardie e da qualsivoglia intimismo egocentrico, la Pelizza, nelle altre pagine dell'ebook, vaglia con acume critico le altre tendenze della poesia e della pittura, segnate da un inane formalismo spettacolarizzato, che in realtà mira allo stravolgimento continuo della nostra umanità. E ciò viene contrastato dall'Autrice con un’elevata passione, che è anche la ragione di tutti coloro che intendono salvaguardare il nostro futuro e il destino della nostra vera ed essenziale umanità. Andrea Bonanno Da: Mail Art Service, n. 104, dicembre 2018, direttore Andrea Bonanno.
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TENEREZZE D'UNA PRIMAVERA ANTICA di Ilia Pedrina 'Lasciai la veste fuor della soglia. Visitai i cieli ove si perdono il polline dei fiori e le ali ancora immacolate di farfalle, ove ogni cosa ha canto di purezza. Vagai qual zefiro sull'innocenza e peccai sognando cigni nell'umanità.' È la voce di Domenico Defelice, è il suo Sognando cigni, canto che viene tradotto in russo da Adolf P. Shvedchikov. Il ritmo è antico, a respiro delicato e spezzato ad un tempo, richiama i frammenti della lirica greca, richiama Saffo e quel suo amore omoerotico che sfibra nella tensione della gemma di dare tutto al suo sole, anche nella notte. 'Piena sorgeva la luna; e intorno all'ara le fanciulle stettero. …... Intorno all'amabile ara le fanciulle cretesi, in cadenza, coi molli piedi danzavano, leggermente sul tenero fiore dell'erba movendo'.' (Saffo, Danze notturne, trad. di M. Valgimigli, in F. Pedrina, Musa greca, ed. Trevisini, Milano, pag. 194). Torno a Domenico Defelice e lo ascolto ancora in Canto alla Musa e in Clelia ride, ne rimango affascinata, come Adolf, il poeta che ne riprende la cadenza e la porta nelle energie della sua lingua originale, d'oltre gli Urali: 'Nudi come lampi i tuoi seni nella notte. Dopo anni ritorni a questo cuore
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ancora a fulminarlo, astro e ti credevo spento. Nella valle di gelo pascevano cavalli sonnolenti ora anelanti fiorite praterie. Benedetta tu sia.! (D. Defelice, Canto alla Musa, 2008, Pomezia Notizie, pag. 42) 'Con le tue mani ineffabili hai dato il via a un'esplosione di gemme. Clelia ride e il cuore mi frana d'allegrezza sotto una rosea danza d'effluvi. Sopra nuvole di margherite serafico il Tuo volto contemplo Dio delle beatitudini e un uccello l'azzurro ricama.' (D. Defelice, Clelia ride, ibid.) La primavera nel vento, nei profumi, nei segni e nei gesti dell'amore e del volo, dalle terre d'Italia, d'Europa, di Russia, d'Iran, di Persia e d'altrove. La primavera nel fuoco che arde le carni del giovane cecoslovacco Jan Palack, ad incarnare l'antica gloria del morire nella giovane età delle gemme: Come le foglie, che in gemme la bella stagione fa spuntare e tosto ai tiepidi raggi del sole frondeggiano, tali siam noi: godiamo il fior di giovinezza ahi, per breve ora... ….. Breve splende di giovinezza il frutto: come la diurna luce sulla terra. Dileguata la bella primavera, miglior sorte del vivere è il morire...' (Mimnermo, Come la luce di un giorno, trad. di F. Pedrina, Musa greca, ed. Trevisini, Mi, pag. 166). '… Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione abbia-
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mo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché è uscito il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana.... ' (Fonte Internet, voce Jan Palack). Quando Jan Palack estrae a sorte il numero 1, per primo si immola, nella Piazza centrale a Praga, con la stessa forza di Icaro, a sfidare il sole innaturale ed arrogante del Potere maiuscolo, che brucia e congela ogni identità che non vi si conformi, affinché, dopo quel gelo innaturale e provocato, non ci siano più primavere. Altri giovani dopo di lui, a darsi morte dolorosissima, consapevoli che il vivere è ben diverso dall'ubbidire. La primavera è magia d'una sintesi tra le stagioni, in cammino, preparata dal rigore dell'inverno incredibilmente vitale, che trattiene in katechon lo slancio dell'emergere dal dentro della forma, ciascuno secondo la propria specie; che rassicura, in un più articolato riposo, le energie adatte a far durare la vita, ciascuno secondo la propria specie; che si pone, alle nostre latitudini, come la stagione più pura e sfumata della vita, a preparare il divenire nel nuovo che ha ritmo sempre, senza mai ripetizione: ne è simbolo il croco, quel delicato fiore bianco che si cela nella terra anche gelida, per poi fiorire, dall'umido del muschio, tra febbraio e marzo. Il croco prepara e mostra in sé l'immagine di tenerezze d'una primavera antica. In sintonia, Carlo Diano, già carico di tensione d'arte poetica e d'intelletto, nel capire come nel tradurre, offre la sua giovane voce: 'Dispogliato è il giardino di foglie ma in tanta luce di sole ha brividi occulti, speranze d'un nuovo fiorire. Quando verrà primavera torneranno ancora sui rami le roride gemme e la fragrante vita; così, così a ogni volgere d'anno. Ma tu, mio povero cuore, chi sa quando venga la morte,
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se palpiterai più sotto la terra, come il seme attendendo novella primavera. Chi sa che la tua stagione sia unica al mondo e, compiuta una volta, non ritorni mai più. Perché non posso capire com'è che il mio sguardo insaziato si spenga per sempre, e la mia voce non lasci eco alcuna nel mondo, e una speranza più forte d'ogni pensiero mi tiene che anche 'il sogno d'un'ombra' non passi mai più. (Carlo Diano, L'acqua del tempo, S.A.E. Dante Alighieri, 1933, fonte Internet, Francesca Diano, Il ramo di corallo, lirica scritta intorno al 1919-20, che la curatrice affianca efficacemente ad un'opera pittorica dell'amico paterno Domenico Colao -Vibo Valentia, 1881-Roma 1943-). Così s'adempiono tenerezze, d'immagini e di scritture in canto, d'una primavera antica. Ilia Pedrina
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 11/2/2019 Polemiche a non finire perché Alessandro Mahmoud (in arte Mahmood), ha vinto il Festival della Canzone Italiana, grazie a un manipolo d’intellettuali salottieri, che ha annullato il voto della giuria popolare. Alleluia! Alleluia! Il giovane è italiano a tutti gli effetti, ha soltanto un cognome straniero. E allora dov’è lo scandalo? Nel fatto che questi sinistrorsi, viscidi e ipocriti, presenti in ogni settore, non perdono occasione per distinguersi e innescare guerriglie. Abbiamo dimenticato che persino il Giro d’Italia d’Italia, non il giro del mondo - l’hanno fatto partire da Israele? Domenico Defelice
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PENSIERI DA LUOGHI E TEMPI DIVERSI VELOCI INSIEME di Leonardo Selvaggi Le limitazioni della persona A musica della festa porta in giro note devozionali, dai passi lenti circolari, armonia rituale di un unico amore. Si abbassa l'artificio e giunge a fluite naturale verso gli umili dei paesi essenziali. Un momento storico di redenzione contro le passate oppressioni, contatti di sconosciuti legami. Visi simili a piante esuberanti ci fanno penetrare altri luoghi. Riemerge sempre come vena profonda di lunghi cammini tortuosi con ritorni e repressioni, esplodenti illuminazioni l'idea ecumenica unica assoluta. Il superamento delle differenziazioni che hanno segnato le varie fedi. La vanità distingue le diverse età, la comunione spirituale una stessa vicinanza; tutto un insieme di gente semplice di campagna e gente fine di città nell'uguale ritmo di vita. Le forme dei contorni sono le stesse, ma altri umori escono, ambiti più ampi e rotonde parti di freschezza bianca per le mani. La profondità della mente si estende fino ai limiti di terre nuove, nei pensieri piegature di altri colori, verde dei campi e altezze di monti. Il virgulto fermo nel germoglio fasciato dal sorriso come benda di protezione. Le bizzarrie delle età lunghe che passano per tutti i luoghi vissuti. La mia vita si stringe intorno, si condensa sui vestiti, aeriforme preme sulle pareti della chiesa, ora che batte piena passa dalle mani che si allacciano: una compressione che la fa evaporare. Ritorna a prendermi con la copertura forte dentro le tasche e poi vagante ancora, pezzi legati sempre nelle piegature che mi fanno raccolto. Si attacca alle colonne umide annerite fasciate da ombre oscure, alle scrostature delle lunette affrescate. La mia vita pure in chiesa tiene l'avida forza per non lasciarmi. Non esce fuori dalle aperture, quasi un ronzio di grossa ape rimane a circolare vicino ai miei pensieri, è
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una fermentazione di desideri. Nessuna sintesi, nessuna vanificazione, comprende esistenze minute, è un mosaico lucido di connessioni, i progetti che sono fuori e gli oggetti che si fanno fluenti e poi prendono varie forme entrano per tutta la mia pelle. La celebrazione della morte delle cose di questo mondo non tocca per niente. II racconto biblico, che dice di essere sempre pronti perché ogni momento può essere buono, mi tiene distratto. Il peso dell'angoscia e l'ascensione dell'illusione. La mente è sulla parete arrampicata, la stanchezza degli arti e i movimenti stentati di afferrarsi. Ma il bianco inamidato delle lenzuola nasconde di traverso la bestia nera del morbo che passa tra le gambe sorrette, si sdraia accanto lungo il corpo dell’ammalato. Fremente si sfila di sotto forse troppo infocata, il dolore si attutisce si finisce con la fine. Le mie narici eccitate allo starnuto, avranno subodorato in giro per la stanza un filo di apertura. Paffuta, fresca carnagione di bambina, latte e tornite lisce piegature. Sono i futuri morti, solo spoglia fine il corpo che si riduce. Camminano nel corridoio sulla punta dei piedi, sono labili ombre pronte a dissolversi. Realtà mescolate della vita viste da fremente fantasia. Emotività, Impressionismo, stratificazioni, sovrapposizioni vengono da riflessioni, da pensieri spinti da continue bizzarrie. La figura di Cristo per tutte le parti In ogni momento l'attesa di Cristo che definisce i limiti del terreno e l'inizio dell'espansione nella luce. Le pareti si sono ispessite, tutto me stesso si attorciglia con cerchi concentrici, non c'è una rottura di fuoriuscita e io non defletto, fermo in piedi come tronco. Sui vetri di materia dura vedo a gocce il mio fiato con il respiro e le dimensioni che mi tengono, Non voglio che qualcosa si distrugga, niente che si volatilizzi. Celebrazione del giorno della penitenza e della gloria, le parole volano sulle case sgretolate, rinunciate. Oggi più stretto sento quanto è stato fatto, la riflessione dice che niente rimane fra le mani, sono ossessionato. La mia figura si riflette sui contorni belli e sulle voci che mi arrivano vicino,
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lo splendore delle superfici lucenti che i miei occhi fanno vedere, le tracce del tatto delle dita. Ai funerali prima si andava in tanti: alla dipartita di una persona non si voleva credere, pareva sogno che fosse andata in fumo la consistenza sua, amata come le cose di nascosto tenute con gelosia ravvoltolate in fondo al grosso armadio. Per prenderle bisognava alzarsi sui piedi con il petto penzoloni nell'ampio recipiente. Oggi vanno in pochi, credono meno all'amico; l'egoismo forte ha diviso la vita in pezzi, si corre ad afferrarli nelle diramazioni diverse. I tanti possessi evanescenti, l'amico è riflesso muto di se stessi, dà la misurazione di quanto si rimane diminuiti con la sua presenza o è lui misero, raffrontato davanti alla nostra statura. La colorazione esterna fa da sostegno al proprio essere. Sostanza fine abbiamo in noi e non vogliamo che vada persa attaccata com'è; dentro c'è amore per tutto, complessità che ci tiene indistinti e perenni sulla stessa terra creata e divina, trasmutabili e resistenti. Un flusso di spiriti che ci avvolge sulla terra che ha la sua magia. L'esistenza di quelli che si muovono di continuo nell'aria unendosi in basso con i nostri passi, le cose che diciamo lasciate respirano con loro. Nel vano della casa il corpo va a scontrarsi con lo spirito degli altri che erano lo spazio che abbiamo, vengono a sfiorarci la pelle ed accendono i nostri sensi. Nei sogni c'è il ritorno visibile e agiamo insieme: preveggenza degli accaduti, i segni e le corrispondenze simboliche, riscontri di significati. La terra che frana interrompe il passo della ragione. Prevenzione di cose che non si vogliono avere, fatalismo che porta i pensieri della paura. Il cane va dietro gli stracci, corre contro il debole corpo che stanco non riesce a camminare. La musica del vibrafono porta motivi orientali, significati di tempi che verranno diversi dopo le svolte che si succedono. Si vogliono ancora resistenti il presente e gli anni che mi hanno fatto essere me stesso. Il nutrimento antico che si è protratto nei giorni. Ancora le figure che fanno ricordare, le voci che ricoprono le prime cose vissute. C'è il timore
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che un tempo arido si avvicina, spogliato di tutto. Siamo al paradossale poiché siamo fuori del convenzionale, fuori di quella semplice geometria delle linee che ci fa vedere subito con chiarezza razionale. Quando si è andati avanti troppo negli anni quasi con spinta meccanica sembra che ti avessero dimenticato: è un ritornare indietro, la preziosità dell'età molto avanzata fa conteggiare la lunghezza della vita cominciando daccapo la numerazione. Novant'anni sono uguali a diciotto, morire a sessant'anni significa avere avuto ottant'anni. L'umanità è un immenso animale con miliardi di occhi, miliardi di mani, miliardi di istinti. Si vogliono fermi i giorni Al gioco delle bocce sulle sagome invecchiate e sui movimenti duri si intravede la monotonia della catena di montaggio. Gli uomini alti che sono stati robusti, precisi e pazienti, automatizzati negli anni di lavoro alla Fiat. Uno di loro di colore giallastro sulla pelle secca ha un passo inclinato, pare di piegarsi già verso la bara. Non ha dimenticato il ritmo ripetitivo. Le parole minute come le mosse, sono diligenti ragazzoni nel calcolarele distanze tra le palle. Contentezza dei bambini, la limitata mente che non ha avuto già prima molto spazio. Le loro mani un tempo annerite di grasso attorno ai bulloni, la tuta blu nei capannoni. Scherzosi con i detti che usano ribaditi spesso, caratterizzanti gli atteggiamenti piacevoli di qualche amico. Bolsi infiacchiti, svuotati nelle ossa, rigonfi sul ventre piegandosi, la boccia nei canestro fra i ganci delle dita. Passi lunghi, ombre piegate, distanze da altri orari, tempo cancellato. Traditi con tutto sfumato quelli che più ampiezza di movimento hanno avuto, condotti da pensieri autonomi. Una prigione si è creata attorno, tolta la operosa individualizzata giornata. Quasi un consulto attorno alle palle, ferme nelle posizioni avute dalla spinta della mano. Il lancio misura la forza che si ha, anche la durata dei giorni che verranno. Compassate le discussioni nel momento della quantificazione dei punti. Leggeri e lenti nell'onda del
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tempo; passare sul tempo che scorre e ammazzare il tempo, una contraddizione. Si è trasportati inerti, divorati avvolti dai raggi del sole, bagnati dalla pioggia, resi sfocati dalla fosca aria del mattino. L'umanità e il tempo infinito e incolore, soggiogati e protagonisti. Il moto meccanico tiene affondato il volto sulla linea del cammino. Il rumore della macchina del giorno una fascia mette attorno. Il fiume con l'interminabile fluire lascia il viscido muschio sulle sponde. Le cose di fuori che sono di nessuno un mondo diverso fanno, si velano all'imbrunire di un vello di velluto, la mano le sente lisce e calde. Le voci di applauso e di incitazione allo stadio si uniscono e si frantumano nella massa trascinante. Si levano all'improvviso quasi tempesta di vento sterminatore o fiammata che in un attimo si consuma divoratrice, fuscelli tutti secchi velocemente distrutti. Negli antichi circhi le persone, smarrita la coscienza di individui, diluviano insieme invasate dal primo cenno di inizio. La belva infuriata si lancia istigata con la frenesia sfrenata di avventarsi all'assalto. Un boato dalla terra spaccata o improvvisa un'esplosione dilania ed erompe elementi di fuoco. Leonardo Selvaggi
SOGNO? La polvere zuppa di sangue diletto di Enialio di sudore lucido; i grevi bulbi degli occhi affondati nell’oscurità dell’odio; gli angoli della bocca sollevati ad un crudele sorriso mistificano il grido di guerra. Arreca l’eccidio il tumulto del cuore e del sangue, e gli uccelli a lui cari pazzi per lo spettacolo d’uso d’artigli e becchi adunchi danno lezione che ancora sconosceva; vola con la sua quadriga sul campo la gola gonfia nel grido
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della conta dei morti glorificando il dio dell’Odio. Il soprassalto e l’ansimo è il mio, come il sudore nella notte che si è spezzata. Ho sognato ? Si certamente ho sognato, deve essere così: ho sognato, perché non vedo niente che mi appartiene. Mi sorprende però il mio equilibrio, la stabilità dei piedi, su quel limo fatto di polvere e di sangue. Salvatore D’Ambrosio Caserta
SETTEMBRE Un venticello tiepido mi plasma il viso ed i sentimenti, come se fossi un albero vecchio di cent'anni, forse si, sono vecchia. Ho già vissuto la mia vita e cerco invano di viverne un'altra, di un'altra donna estranea al suo destino. Manuela Mazzola Pomezia, RM
IL TEMPO DELL’OROLOGIO E QUELLO DELLO SPIRITO Conosciamo il tempo dell’orologio, scandito da rigide leggi, e quello dello spirito, il quale sa di attimi che valgono eternità, d’ore che svaniscono nel nulla, di quelle che trascorrono veloci, d’altre che passano con insopportabile lentezza. Caterina Felici Pesaro
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Il Racconto
BOSS SENZA VOLERLO di Domenico Defelice
Q
UANDO Aneba acquistò il pezzo di terra, tutto ciottoli e spine, da una vasta lottizzazione in località Castagnola, la strada sterrata aggirava la bassa collina di tufo, congiungendosi ad altra strada. A sinistra s’alzava la parete rocciosa, picchiettata di fichidindia e fichi selvatici, pruni, spine e ginestre, mentre a destra si apriva la pianura verso il mare, con campi incolti, il fiumiciattolo sottolineato da una contorta striscia verde cupo di canne, erbacce, piante acquatiche - e, qua e là, qualche casa abusiva. Aneba amava terra e piante. Recintò il lotto con rete metallica - ben presto coperta dall’edera -, vi piantò una gran varietà di alberi, una piccola selva di bambù e, nel mezzo, una baracca in lamiera verniciata di verde per ripararsi nelle giornate di pioggia. Appena si liberava dagli impegni di lavoro, correva a questo suo giardino, apriva il verde cancello di ferro, che recava in alto, sulle due ante, il puntiscritto del suo nome, parcheggiava la macchina all’ombra di un gelso e della piccola selva di canne e trascorreva il tempo a vangare, sarchiare, seminare, incalzare le piccole piante, potare, innestare, in un fervore continuo fino al calar delle ombre. Solo allora riprendeva la macchina e ritornava in città per farsi un lungo bagno in acqua tiepida, cenare - in campagna si nutriva di sola frutta di stagione direttamente colta dagli alberi -, per poi cadere quasi subito in un sonno profondo fino al rispuntare del giorno. Un aprile, il lavoro lo costrinse a star lontano da questo suo Eden per quasi tutto il mese e, quanto ritornò, non riusciva a credere ai propri occhi: la strada era tutta cementata; la parete di tufo quasi del tutto sparita; una villa cinta da alto muro grigiastro sorgeva tra collina e fiume, rendendo cieca la strada. Un boss del cemento aveva acquistato diversi lotti, aveva scannato e venduto a blocchi per or-
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namenti di giardini la parete di tufo e costruita abusivamente e in pochi giorni la villa! Sbalorditivo! Pazzesco! Aperto il cancello e parcheggiato la macchina, col cellulare chiamò i vigili della città. “Pronto? Mi chiamo Aneba, ho un lotto di terra in via dei Peschi. È successo l’ incredibile, hanno smantellato la parete di tufo, hanno costruito una villa in mezzo alla strada...” “E che vuole da noi?” “Come, che voglio da voi! Ma si possono fare cose del genere? Non siete voi i vigili urbani?” “In che strada ha detto ch’è successo?” “In via dei Peschi”. “Venga in sede a fare una denuncia scritta”. “Ma voi non vi siete accorti di nulla?” “Non possiamo essere sempre dappertutto”. “Lavori del genere non possono essere stati effettuati in un battere di ciglia, avranno impiegato almeno settimane”. “Venga e faccia denuncia scritta”. Aneba decise di lasciar perdere e interruppe la conversazione, perché stava per mandarlo a quel paese. Qualche settimana dopo, aveva appena parcheggiato, spento e rimesso in tasca il cellulare dopo la chiamata dell’amico Tito, quando una macchina nera e di grossa cilindrata, con tre uomini a bordo, si fermò di fronte al suo cancello. Quello seduto accanto all’autista scese ed aprì la portiera posteriore; vestiva pantaloni azzurri e una camicia bianca a mezze maniche; era alto e grosso, braccia muscolose, capelli rossicci tagliati alla moicana, muso grifagno, baffi e barba cortissima. Incrociate le grosse braccia, si appoggiò alla carrozzeria. Dopo qualche secondo, flemmatico, dallo sportello aperto venne fuori quello che doveva essere il capo: statura media, pantaloni e giacca grigio-chiaro nei quali il suo corpo sembrava navigasse, camicia bianca aperta sul collo e il petto villoso e nero, capelli pure neri e un viso tutto tagliuzzato, tante vecchie ferite mal cicatrizzate, come se qualcuno, un qualche giorno, l’avesse carezzato col rasoio. Si avvicinò al cancello che Aneba stava per
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chiudere. “Ho deciso di acquistare questa tua terra, dimmi quanto vuoi”. “Scusi, ma io sono abituato a salutare e presentarmi. Mi chiamo Aneba. Lei chi è?” “Non ha importanza chi sono. Ho deciso di acquistare questa terra.” “Ah, lei ha deciso! Si dà, però, che questa terra non sia in vendita”. “Ci metteremo d’accordo; ottengo sempre quel che voglio e questa terra sarà mia”. “È forse sordo? Le ho detto e le ripeto: non è in vendita”. Aneba fece per chiudere il cancello e mise la mano nella tasca dei pantaloni per prendere le chiavi le quali, strofinando l’una sull’altra, produssero il metallico suono di un clic. Faccia tagliuzzata ebbe come una sorpresa ed allargò le braccia. Il gorilla appoggiato alla macchina si avvicinò a gran passi. “Stai buono!”, intimò Faccia tagliuzzata, sempre a braccia larghe. “Sono sotto tiro!” Aneba capì: quel povero delinquente da strapazzo aveva scambiato il rumore del mazzo di chiavi per il clic d’un grilletto alzato! Decise di approfittarne. Mosse, allora, il mazzo di chiavi nella tasca per farlo apparire come un’arma puntata e guardò con alterigia Faccia tagliuzzata: “Vedo che lei è assai prudente! Fa bene. Anch’io ottengo sempre quel che voglio e quel che decido è legge”. Era rimasto fermo come roccia, i muscoli tesi e gli occhi due fessure ardenti inchiodati sull’avversario. Faccia tagliuzzata si voltò, sempre con le braccia allagate e s’infilò nella macchina; altrettanto fece il suo gorilla dopo aver chiuso lo sportello e si allontanarono sgommando. Aneba emise un lungo respiro, tirò fuori le chiavi e chiuse il cancello. L’aria sembrava ferma e di ghiaccio, pur essendo ai primi di maggio e con il sole a picco. Sentì dell’umido nei pantaloni, se l’era fatta addosso! Aveva tenuto testa a quei delinquenti senza volerlo e le mani ora gli tremavano; l’aveva scampata bella. L’avevano scambiato per un boss! Andò nella capanna a cambiarsi; mise ad asciugare al sole pantaloni e mutande; prese la
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vanga per preparare il terreno per le piantine di melanzane che aveva acquistato al mercatino della città. La lama premuta dal piede s’infilava come nel burro e dalle zolle rovesciate spuntavano larve bianche e numerosi lombrichi, che una coppia di merli beccava e trascinava via per nutrire la nidiata tra gli ombrosi rami del nespolo. Le mani ancora un po’ gli tremavano e pure le gambe. “Madonna mia benedetta!”, mormorò asciugandosi il sudore col fazzoletto. Era stato scambiato per un boss, armato e deciso, duro! Si sarebbero rifatti vivi? L’avrebbero lasciato definitivamente in pace? Forse erano gli stessi che avevano sbancato la collina di tufo e costruita la villa che ostruiva la strada; forse erano delinquenti di mezza tacca, che spadroneggiavano per un Comune imbelle, più delinquente di loro, che gli permetteva di far tutto, sicuramente intascando mazzette. Già, il Comune! Sindaco e amministratori assenti e corrotti a giudizio di popolo, i delinquenti veri, i veri boss, che fingevano di non vedere, che pretendevano le denunce scritte, per assicurarsi un alibi, ma che sotterravano in montagne di carte, per farle sparire poi, definitivamente. Piantò e innaffiò le melanzane e poi andò a sdraiarsi all’ombra, vicino a un cespuglio di rossi papaveri. Le mani avevano cessato di tremare, come le gambe. La tensione si stava allentando. Aneba era sicuro che quei delinquenti l’avrebbero lasciato in pace, bastava che lui non avesse più fatto caso alla collina sparita e alla villa che sbarrava la strada. Non stuzzicare il cane che dorme; vivi e lascia vivere; non sei tu a raddrizzar le gambe ai cani e altre massime similari gli si affollavano la mente. Aneba aveva sempre distrattamente letto e leggeva molti libri, tenendo a mente, però, solo quelli che non comprendeva. Erano questi, infatti, ad arrovellargli il cervello, mentre degli altri, godute le storie, assimilato qualche concetto, sembrava in lui si cancellasse ogni cosa e non ricordava più neppure i titoli. I temi più ostici eran per lui quelli filosofici, la psicologia e la psicanalisi: “Ma sono, o no, la stessa cosa?”, di continuo si domandava.
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Dopo aver letto due opere di un suo amico napoletano, era giunto alla conclusione che in lui ci fossero due personalità e che Io signoreggiasse Es. Es era l’Aneba ligio alle leggi, alla morale, inflessibile e deciso a combattere fino all’estremo per difendere i principi e le libertà nei quali egli credeva in quel momento; Io, invece, era l’Aneba accattivante, accomodante, l’Aneba dei compromessi, in linea con un mondo andato avanti per millenni e millenni, perciò difficilmente modificabile. Era stato Es a tener testa a Faccia tagliuzzata. Es era coraggioso, quasi temerario, ma anche pauroso; così, ogni volta che, in trance, quasi un automa, senza volerlo, s’impuntava e vinceva, finiva, poi, regolarmente, col farsela addosso! L’aria s’era rimessa a circolare. Le farfalle bianche e le vanesse colorate saltellavano di fiore in fiore; i passeri strepitavano nel boschetto di canne; i merli continuavano a pattugliare il terreno appena vangato, scavando col becco e le zampette in cerca di larve e di lombrichi. Aneba finalmente si alzò, il sole stava calando; si rivestì dei panni asciugati, mise in moto la Punto e aprì il cancello per andarsene a casa a cambiarsi i vestiti che puzzavano di urina, cenare e poi informarsi degli avvenimenti del giorno attraverso il tg. La macchina nera di Faccia tagliuzzata era ferma di fronte al cancello della villa che sbarrava la strada. Era sicuro che non l’avrebbero più avvicinato o infastidito; non conveniva loro scontrarsi con lui, boss dalle pupille taglienti come lame d’acciaio, coraggioso, deciso ed anche pisciasotto (ma loro, per fortuna, non sapevano!). Domenico Defelice
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Ora ingrossate trovi fermate le escrescenze malefiche. Non fìssati i difetti e i pregi per la somma che significa il carattere. La parola gridata vuole essere la voce dell'animo. Niente perfetto, potevano aversi cambiate le situazioni che dentro ci hanno. Lodati gli aspetti che non mutano; oggetti levigati che si spostano, vestiti a festa, persone arrivate alla meta a passeggio tronchi diritti con le mani annodate di dietro felici a raccontare il meglio che è stato indovinato. Niente da cambiare e neppure ritornare indietro a riprendere i tratti saltati prima. Ma io mi sento ancora a metà strada in mezzo agli anni giovanili e nel dirupo del tempo andato avanti, tutto rimescolato; la persona conturbata, persa la linea di svolgimento tenuta davanti nel tracciato guidato. Non vedo fasi concluse, ma sempre dall'inizio ininterrotto il flusso entusiasta dell'uomo che si rifà e si scompone, troviamo ancora da ricucire con le mani i brandelli distaccati. Leonardo Selvaggi Torino
VOLA UNO STORMO Vola uno stormo d’uccelli, compatto e sicuro si libra nel cielo ed ogni singolo alato volando con gioia apporta al suo gruppo più forza e bellezza.
Dalla raccolta inedita: Non circola l’aria.
Felice e sicuro si libra lo stormo nel cielo. IL LUNGO CAMMINO Il continuato raccordarsi di sequenze nel linguaggio dei giorni. Il trasmutarsi degli aspetti al rinnovo dei pensieri, mai un punto di arrivo. Non pesa quando snello cammina quello che non vogliamo sia nostro.
Ed anche qui in terra ogni volo comune sarebbe felice e sicuro se ognuno volando restasse compatto nel gruppo rendendolo forte . Mariagina Bonciani Milano
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I POETI E LA NATURA - 89 di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
LA POESIA “ECOLOGICA” DI
GIORGIO CAPRONI (Livorno 1912 – Roma 1990)
C
aproni era nato il 7 gennaio 1912 a Livorno. Ma già all'età di dieci anni si era trasferito con la famiglia a Genova, perché il padre, il rag. Attilio, era stato assunto da un'azienda genovese. Completate le elementari, e frequentata la scuola media, aveva conseguito privatamente il diploma di maestro elementare. La laurea in lettere gli sarebbe stata conferita in seguito, a 72 anni, honoris causa, dall'Università di Urbino. Per Caproni, Genova è la Città, quella che sta in mezzo tra la Livorno dell'infanzia e la Roma della maturità. Quanto rimorso, poi, per aver lasciato Genova per Roma. Ma rimorso attenuato dagli indubbi grandi vantaggi che Roma gli aveva procurato, come lavoro fisso,
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giornalismo e critica, conoscenze importanti e decisive con letterati di grande valore e potere. Per Genova, Caproni ha scritto versi indimenticabili. E' stato lo stesso poeta a dichiarare in pubblico, impegnativamente, la sua intima appartenenza a Genova: “Il punto di stazione da cui guardo Genova non è quello, scelto ad arte, del turista. E' un punto di stazione che si trova dentro di me. Perché Genova l'ho tutta dentro. Anzi, Genova sono io. Sono io che sono “fatto” di Genova. Per questo, anche se sono nato a Livorno (altro porto, altra città mercantile) mi sento genovese. Per un uomo, si sa, la città che conta non è quella della fede di nascita. E' la città dove ha trascorso l'infanzia, dove è cresciuto, dove è andato a scuola, dove è andato a donne, dove s'è innamorato e magari sposato: in breve, è la città dove s'è formato...”. Tra le sue raccolte, non possiamo non ricordare “Come un'allegoria”, “Ballo a Fontanigorda”, “Il passaggio di Enea”, il “Congedo del viaggiatore cerimonioso”, il “Franco Cacciatore”, “Il conte di Kevenhueller”, “Il seme del piangere” etc. Caproni è sepolto, insieme alla moglie Rina Rettagliata, ligure, nel cimiterino di Loco, Rovegno, in provincia di Genova. Nella Liguria appenninica del “Ballo a Fontanigorda”. (bellissima poesia!).
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Ma quello che mi colpisce oggi del grande Giorgio Caproni è una poesia tratta da “Res amissa”, una poesia matura, di amore appassionato per la Natura. Un poesia di protesta contro l'Uomo che, questa Natura, continua a maltrattarla e a rovinarla sfruttandola in modo egoistico ed irrazionale. Scopriamo così un Caproni “ecologico” che tralascia per un momento il suo angoscioso dibattito sulla necessità e sull'”assenza” di Dio, sul mistero della Morte (che tutti, chi prima chi dopo, ci spegne fisicamente.). Scopriamo i “Versicoli quasi ecologici” della raccolta “Res amissa” del 1991: “ Non uccidete il mare, le libellule, il vento, non soffocate il lamento ( il canto !) del lamantino, il galagone, il pino: anche di questo è fatto l'uomo. E chi per profitto vile fulmina un pesce, un fiume, non fatelo cavaliere del lavoro. L'amore finisce dove finisce l'erba e l'acqua muore. Dove sparendo la foresta e l'erba verde, chi resta sospira nel sempre più vasto paese guasto: come potrebbe tornare a essere bella, scomparso l'uomo, la terra.” Questi versi sono stati proposti alla prova scritta della Maturità del 2017. Per qualcuno, forse, non hanno la dolcezza e il lirismo appassionato delle composizioni intimistiche, sulla metafisica e il senso della vita individuale e cosmica. Ma sono importantissimi perché dibattono con tenerezza e vigore il tema dell'amore per la Natura. Della necessità della biodiversità: la ricchezza e la permanenza di tutte le specie è fondamentale per l'equilibrio del pianeta Terra. La Terra non è nata perché l'uomo la snaturi e la distrugga (un po' alla volta o tutta in un colpo). Sono qui richiamati perfino il galagone e il lamantino. Il galagone è una piccola scimmietta del Sudafrica, del peso di circa trecen-
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to grammi, la cui specie è minacciata di estinzione. Il lamantino è un grosso mammifero acquatico, che arriva ai tre metri e mezzo e ai 450 kilogrammi (è presente nell'Acquario di Genova... Squittisce e desidera coccole e grattatine...). Luigi De Rosa
MAÎTRE Tu m’invites au grand royaume de ton [ordinateur et tu t’offres comme guide. Infinie, énigmatique est la terre que tu me découvres, mille étranges portes tu ouvres devant moi, mille seuils à franchir. Et sans doute l’aventure m’effare, je n’ai pas les clefs d’or que tu possèdes : l’avide jeunesse le rêve du futur. Mais tu serres ma main dans la tienne, tu souris à mes étonnements de vieille Alice. Il este doux, petite, étrange et doux, que ton âge tienne lieu de maître au mien. Ada De Judicibus Lisena Traduction de Béatrice Gaudy
È in uscita, presso la Genesi Editrice di Torino, l’ultima e <<spumeggiante>> - com’è stata già definita dall’Editore - raccolta di versi di
DOMENICO DEFELICE LE PAROLE A COMPRENDERE L’opera, di circa 130 pagine, sarà in vendita a € 14,00 a copia, avrà la Prefazione di Sandro Gros-Pietro e l’<<affettuosa e magistrale testimonianza del grandissimo Emerico Giachery>>.
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Recensioni NAZARIO PARDINI CRONACA DI UN SOGGIORNO The Writer Edizioni, 2018, € 16,00 Poesia come canto aperto quella di Nazario Pardini; poesia di persone e luoghi amati, dove si è lungamente vissuto e che sono rimasti impressi nell’anima: è quanto si ricava leggendo i suoi libri, come quest’ultimo, Cronaca di un soggiorno, da non molto apparso (gennaio 2018), che viene ad aggiungersi ai numerosi suoi. Vi è in queste poesie freschezza di pensieri e serena armonia (sempre sull’onda del prediletto endecasillabo, peraltro variato e attualizzato in tutte le sue forme), che si scoprono ad ogni passo, unite a felicità di incipit, dal bell’impeto, quali: “Pisa era antica, tutta nelle mura” (Pisa era antica) o “Escono allegri, oggi, i desideri / al richiamo del sole” (Escono allegri). E vi è l’amore per la natura, che si manifesta nella pittura di un paesaggio amico e solare: “Eccovi il mio saluto, / o irti, schivi, e astati girasoli; / onde ambrate su bàttime di verde, / o grani biondeggianti al maestrale / che vibrate spighe ormai mature / al sole che declina” (Le notti del paese). Ricco è anche in Pardini il mondo degli affetti, com’è quello per Luisella, dalle “gambe di cerbiatta” o per il padre, ormai defunto, il cui ricordo è però sempre vivo in lui: “Qui si leva il sole, padre, / e le nubi si dissolvono / là nel bosco dove tu esistevi, / e qui nel chiaro dove tu esisti” (Ti sento vivo, padre). C’è pure in queste poesie l’affiorare del mon-
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do classico, del resto sempre presente in Pardini nel suo magistero formale, ma che più evidente si mostra in taluni versi, come quelli di Quanto autunno: “Quanto autunno ho attraversato / per venirti a trovare, fratello”, dove evidente è il richiamo del catulliano “Multas per gentes et multa per aequora vectus / … / atque, in perpetuum, frater, ave atque vale”. Così è anche di Nausicaa sulla riva del Serchio, dove si legge: “In ogni luogo delle mie canzoni / ci sono Nausichee a ricordare / lo splendore degli anni”, chiaro richiamo ad uno dei più significativi personaggi omerici. Vi è poi in queste poesie la parola affettuosa rivolta alla donna della sua vita: “Saremo amanti, uniti, senza lacci / … / sarò vassallo, servo, menestrello / a cantare per te…” (Alla sua donna). Il “soggiorno” contenuto nel titolo di questa silloge e di cui qui si fa la” cronaca”, è quello che Pardini trascorre sul mondo, durante il viaggio della vita. Dice egli infatti in proposito, nella poesia Partire: “La storia è nel viaggio, un lungo viaggio / che cesseremo mai di completare” e che soltanto la morte potrà interrompere. Non poteva mancare in questo nuovo libro di Pardini l’elogio al suo paese natale, Metato, di cui egli dice: “Quando ritorno, / quando imbocco la strada ricamata di casa, / mi viene incontro un alito di vento…” (Oh Metato). così è anche di Lari, un piccolo borgo delle colline pisane (Vedi la nota dell’autore). Nell’ultima sezione della raccolta si riaffacciano le persone più amate dal poeta, come il figlio Samuele, al quale Pardini dedica versi di profondo affetto, in un vago e sereno ricordare: “Erano i tempi in cui le chiome folte / s’attorcigliavano in boccoli d’oro / sopra una mente viva…” (A mio figlio Samuele). Lo stesso è da dirsi per Debora, Sandra, Eleonora, zia Rosina e per la madre e il padre, ai quali rivolge parole di affettuoso rimpianto. Né bisogna dimenticare la vena civile, che pure si trova in Pardini, come appare da poesie quali Campi (Il giorno della Memoria 27 / 01 / 2017) e In memoria delle Foibe (19 febbraio 2017), contenute in questo libro e che di lui ci offrono una visione più completa, attestando che egli non è estraneo agli eventi del suo tempo. Una silloge riuscita Cronaca di un soggiorno, che si contraddistingue per la limpidità del dettato poetico e per l’intensità del sentire, come del resto è consuetudine per tutte le raccolte di versi di questo poeta. Elio Andriuoli
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GIANLUIGI NUZZI PECCATO ORIGINALE Conti segreti, verità nascoste, ricatti: il blocco di potere che ostacola la rivoluzione di Francesco Chiarelettere, novembre 2017,18,60 €, pagine 340 Brossura, ISBN 978-88-6190-840-6 Gianluigi Nuzzi, milanese, già inviato di «Panorama», «Il Giornale», «Libero», con Chiarelettere è autore di diversi libri di successo. La popolarità di Nuzzi è in aumento grazie anche alle fortunate trasmissioni che ha curato prima per La7, con Gli intoccabili e Le inchieste di Gianluigi Nuzzi (2012), poi con lo speciale in quattro puntate Segreti e delitti su Canale5 e, dal 2013, con Quarto grado su Rete4. Peccato originale è il quarto volume che si occupa degli scandali della Santa Sede dopo Vaticano S.p.A. (250.000 copie), Sua Santità (200.000 copie), Via crucis, quest’ultimo costato al giornalista un processo penale nel Tribunale della Città leonina, durato ben 9 mesi e 21 udienze, dal quale Nuzzi è uscito prosciolto. Peccato originale vuole rispondere a sette precise domande: 1 - E’ stato ucciso Albino Luciani? 2) Chi ha rapito Emanuela Orlandi? 3) Se la ragazza “sta in cielo”, come afferma Papa Francesco, il Vaticano ha delle responsabilità nell’omicidio, e quali sono? 4) Perché le riforme per la trasparenza della curia puntualmente falliscono o rimangono incompiute?, 5) Cosa blocca il cambiamento?, 6) Chi ha messo Benedetto XVI nella condizione di rinunciare al suo pontificato?, 7) Chi ostacola l’opera riformatrice di Papa Francesco? Per indagare su questi punti, come diceva Giovanni Falcone, si segue il filo del denaro, che in ogni storia di potere si intreccia con quello del sangue e a quello del sesso. Il libro, pertanto, è composto da tre parti. Alla fine un’Appendice riporta alcuni documenti riservati. Di seguito cito in breve gli argomenti principali dei vari capitoli al fine di orientare e facilitarne la lettura. La prima parte (Sangue) è composta da tre capitoli riguardanti: 2 - La trattativa fra Stato e Vaticano per lo spostamento della salma di Enrico De Pedis dalla Basilica di Sant’Apollinare al Cimitero del Verano (a spese dello Stato) in cambio di informazioni riguardanti Emanuela Orlandi (Vaticano); 3 - Gli orrori nascosti nella Basilica di Sant’Apollinare. Al di là della scomparsa di Emanuela, tra le navate della basilica s’intreccia un groviglio di perversioni e scandali, che stanno venendo
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alla luce; 4 - L’omicidio (morale) di Albino Luciani. Viene descritto, fra l’altro, l’incontro fra il Cardinale Marcinkus e il Cardinale Luciani nel 1972, 6 anni prima che diventasse Papa: Luciani rimproverò aspramente Marcinkus per aver fatto gestire le banche venete al banchiere Calvi. La seconda parte (Soldi) è composta da cinque capitoli riguardanti: 5 - I fantasmi dello IOR…: si descrivono, fra l’altro, i motivi per cui il banchiere Calvi venne ucciso; 6 - La mala pianta: si cita come lo Ior riciclò 88,9 miliardi di lire sui 130 della maxitangente Enimont, fatto successo ai tempi di tangentopoli; 7 - La rivoluzione fallita di Papa Benedetto: un uomo delle istituzioni, facendo i complimenti al neoeletto Presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, gli raccomanda di evitare di conoscere i nomi dei correntisti. E Gotti Tedeschi:” E se li chiedessi?” – Gli risponde: “Amico mio, avrai quindici minuti di tempo per mettere in sicurezza i tuoi figli!!” Inoltre vengono descritte le traversie, sopportate da Benedetto XVI per contrastare le operazioni bancarie non trasparenti dello IOR; 8 - Sconfitta e rivincita: vengono descritte le dimissioni di Ettore Gotti Tedeschi da Presidente dello IOR, la trattativa sul caso di Emanuela Orlandi, la fuga di documenti riservati, che porteranno nel 2013 alle dimissioni di Papa Ratzinger; 9 - I nemici di Papa Francesco: tratta del fallimento dell’ospedale San Raffaele di Milano e degli ostacoli che trova Papa Francesco per ottenere una maggiore trasparenza nelle varie attività finanziarie del Vaticano e per condurre un’efficacia lotta alla pedofilia in varie sedi (Australia, U.S.A., Sudamerica…). La terza parte (Sesso) è composta da due capitoli riguardanti: 10 - I chierichetti del Papa: un seminarista, che per la privacy viene citato con un nome di fantasia, descrive scene di sesso, viste come testimone oculare, avvenute all’interno del Vaticano; 11 - Il potere della lobby gay: la polizia, facendo irruzione in una residenza di un Monsignore del Vaticano scopre un’orgia a base di sesso e cocaina. Nell’Appendice del libro, tra numerosi e interessanti documenti vaticani riservati, il giornalista riporta anche la lettera di denuncia scritta dal polacco Kamil Tadeusz Jarzembowski e consegnata nelle mani di Bergoglio: "sono stato testimone di atti sessuali". I libri di Gianluigi Nuzzi sono pessimisti in quanto descrivono i lati oscuri della Chiesa e del Vaticano e potrebbero portare i fedeli ad allontanar-
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si dalla Chiesa. Dal mio punto di vista tali denunce non devono però scoraggiare i credenti da fare loro abbandonare la Fede: il male è sempre coesistito nella Chiesa essendo fatta da uomini e in quanto tali sono purtroppo spesso soggetti a peccare. Papa Francesco è all’opera per cercare di sradicare il male, per quanto Gli è possibile. Ad esempio, il 16 febbraio ’19 Papa Francesco con un provvedimento straordinario e senza precedenti ha ridotto allo stato laicale un Cardinale McCarrick di Brooklin per i suoi trascorsi di alcuni anni addietro! Giuseppe Giorgioli
ROSSANO ONANO DOMENICO DEFELICE ALLELUIA IN SALA D'ARMI. PARATA E RISPOSTA Editore: Il Convivio, 2014, pp. 48 La satira è uno strumento per deridere personaggi, vizi pubblici, concezioni ed atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, è l’arma del ridicolo per antonomasia; infatti, fin dall'antichità è stata utilizzata per poter dire quello che si voleva in maniera sarcastica e pungente. E' proprio in questo modo che la rubrica, pubblicata sulla rivista Pomezia-Notizie, si svolge per due anni, dall'aprile 2012 all'aprile 2014. Il tutto è iniziato per caso con Rossano Onano che ha inviato alcune righe a Domenico Defelice: “ 'Grazie a Celentano qui oggi stiamo parlando di Dio', spiega soddisfatto Don Mario nel salotto di Mara Venier. Veramente, ma fa lo stesso, si stava parlando di Celentano che stava parlando di Dio. Nel salotto di Mara Venier. Chissà Dio come si sarà sentito importante”. Arrivate già in fase di correzione di bozze, il Defelice senza pensarci troppo risponde in versi, quindi il botta e risposta dei due inizia in questa maniera e subito diverte ed intriga i lettori della rivista; per un paio di anni i lettori si deliziano dalle argute conversazioni, duelli infiniti e divertenti come li definisce Giuseppe Leone nella prefazione del volume. La modalità con cui si consolida lo strano duetto è tra prosa e versi; Onano scrive in prosa mettendo in evidenza fatti che sono accaduti durante il mese ed in qualche modo lo hanno scosso, stupito, divertito o disgustato e Defelice risponde in versi. E' un dialogo sarcastico, pungente tra “parata e risposta” che ricorda le cosiddette pasquinate romane, ossia satire brevi scritte contro i papi o contro persone o costumi che erano all'epoca biasimate, scritte dapprima in latino, più tardi in italiano o in romanesco, attaccate poi alla statua che tutti chiamavano Pasquino. L'abilità del Defelice è stata quella di rispondere in versi, senza troppo pensarci,
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lui stesso dice: “Mistero anche per me riuscire a risponderti a braccio. Niente tempo per meditare”. La rubrica chiude la sua breve esistenza così: “Oggi non ha la scuola punti fermi; come la Chiesa, come la famiglia. Gli insegnanti si dicono moderni quando ne son lontani mille miglia; conigli sono, inermi; son caconi che, in pratica, rinnegano la propria per non dar torto ad altre religioni”. Scrivere mediante la modalità del sarcasmo permette di esporre i fatti in maniera più tagliente, sembra quasi che le notizie facciano più male e riescano a scuotere gli animi; il lettore ne rimane, in un primo momento divertito, in un secondo momento amareggiato e la coscienza rimorde inducendoti a riflettere con serietà. Manuela Mazzola GIANLUCA FIOCCO TOGLIATTI, IL REALISMO DELLA POLITICA Una biografia - Ed. Carocci, ottobre 2018, pp. 478, € 39,00 Si tratta di un lavoro serio e circostanziato, perché lo studioso Gianluca Fiocco, ricercatore di Storia contemporanea all'Università di Roma Tor Vergata e ben addentro al Consiglio scientifico della Fondazione Gramsci, decide di scegliere un percorso di analisi dei fatti e delle loro interpretazioni da parte di Palmiro Togliatti (Genova, 26 marzo 1893 – Yalta, 21 agosto 1964), quasi da testimone, con un piede in quei tempi e l'altro, in sordina, nei nostri. I momenti di riflessione in questa direzione sono molteplici e possono aprirsi senza sforzo ad approfondimenti, chiarificazioni necessarie ad ampliare gli effetti delle scelte politiche all'epoca portate avanti dal massimo dirigente del Partito Comunista Italiano, oltre ad elementi di investigazione integrativa a quanto viene riportato con appropriate documentazioni. Una biografia con, a mio avviso, pochi tratti agiografici rispetto alle citazioni dirette dello statista genovese, affiancate da interpretazioni di altri studiosi contemporanei che hanno lavorato su questo stesso personaggio. Ecco il viaggio che l'Autore propone: Prologo. Una città sul Volga (pp. 15-23). 1. La formazione di un giovane rivoluzionario (pp. 25-52). 2. Un nuovo inizio per il partito comunista (pp. 53-80). 3. Al timone senza Gramsci: l'etica della responsabilità (pp. 81-103). 4. Ai vertici del Comintern: lotta per la pace e democrazia di tipo nuovo (pp. 105-126). 5. Ore estreme: tra Grande Terro-
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re e guerra (pp. 127-166). 6. Un padre della Repubblica (pp. 167-206). 7. Nel tunnel della guerra fredda (pp. 207-249). 8. Una prima stagione di rinnovamento (pp. 251-290). 9. Il 1956 e i suoi contraccolpi (291-343). 10. La triplice crisi (pp. 345-383). 11. Ascoltare il mondo nuovo (pp. 385-445). Ogni sezione è suddivisa in brevi paragrafi che scandiscono così in modo semplice e sintetico il procedere della storia degli eventi privati e pubblici di Palmiro Togliatti e le Note sono tutte raccolte a conclusione di questo chiaro sviluppo testuale, le cui fonti dettagliate sono in elenco in Bibliografia. Nell'Indice dei Nomi figura una sola volta Giovanni Gentile e nemmeno una volta Luigi Nono, per non parlare di Danilo Dolci e del giovane Enrico Berlinguer, che nel 1948 con Casadei, entrambi già nel PCI, presenta in Parlamento una interrogazione durissima relativa alla Legge Scelba che, proteggendo i latifondisti di Sicilia, si avviava, contro i braccianti, a militarizzare il territorio, onde evitare la diffusione del Partito Comunista in quelle zone. Allora Palmiro Togliatti più realista del re? Se mi interessa questo testo di Gianluca Fiocco è perché sto informandomi in dettaglio sul periodo della Storia d'Italia e del mondo, prima che ne venissi a far parte: il risultato è ben positivo, così si può immaginare il gancio forte che provo per le tematiche etico-politico-sociali e finanziarie che hanno portato ai problemi dei nostri giorni, con pericolose concentrazioni di forze economiche nelle mani dei pochi, che spingono i deboli, la stragrande maggioranza, per paura, a non reagire. Prima di spiegare come a Yalta Togliatti si sia visto togliere di torno la vita per via di un'emorragia letale, pur avendo al capezzale medici di vaglia, russi e non, l'Autore, nel tracciare il contenuto del Memoriale di Yalta, che aveva redatto prima di partecipare al XXII Congresso del PCUS del luglio-agosto 1964, in un breve inciso, rende ragione in filigrana di come stanno andando ora i fatti, perché se si perde controllo degli eventi e della loro memoria, tutto può tornare a ripetersi: “... Il Memoriale si soffermava sul modo sbagliato con cui i sovietici avevano combattuto le posizioni cinesi. Invece di condurre la polemica su temi concreti e senza oltrepassare i limiti del rispetto per l'altra parte, si erano abbandonati ad attacchi esasperati e generici, speculari a quelli sferrati da Pechino, con il risultato di gettare discredito su tutto il movimento e diffondere inquietudine nelle sue file...Quindi respingeva una concezione monolitica del movimento comunista che ormai non era appropriata ai tempi: l'unità andava cercata nel rispetto della diversità; questa ultima, da minaccia doveva diventare risorsa del moto di emancipazione dei popoli. Ciò valeva anche
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per i cinesi... L'esigenza dell'unità veniva declinata da Togliatti in chiave di solidarietà antimperialista, tanto più necessaria alla luce del peggioramento del quadro internazionale. Appariva pericolosa in particolare la possibilità che gli Stati Uniti cercassero una via d'uscita alle loro tensioni interne attraverso una maggiore aggressività sul piano militare... Anche nell'Europa capitalista si coglievano segnali preoccupanti: crescente concentrazione monopolistica e politiche reazionarie interne e neocoloniali verso gli Stati di recente indipendenza...” (G. Fiocco, Togliatti, il realismo della politica. Una biografia, cit. pp. 441-442). Semplice e positivo il coinvolgimento che questo testo storico provoca nel lettore: se giovane, può chiarire meglio le ragioni storiche di preoccupanti situazioni politico-economiche dei nostri giorni; se contemporaneo ai fatti trattati, può verificare con l'esperienza diretta, vissuta in prima persona, l'efficacia della ben difficile sintesi che il Fiocco ci sottopone: lo considero un buon lavoro in divenire, che attende approfondimenti ed ulteriori prove testimoniali, anche già costruttivamente indicate nei riferimenti bibliografici. Ilia Pedrina
ENZA SILVESTRINI CONTROTEMPO Oèdipus Editore, Salerno, 2018, € 11,00 Il resoconto di un lungo percorso esistenziale può definirsi questo Controtempo di Enza Silvestrini, una raccolta di versi apparsa presso la Oèdipus di Salerno nel febbraio del 2018. Il libro si apre con una poesia che reca in epigrafe un emistichio virgiliano, “quamquam animus meminisse horret” (Eneide, II, 12) che subito ci trasporta nell’atmosfera dolente del racconto, fatto da Enea a Didone, della caduta di Troia e del suo peregrinare, in cerca di una nuova Patria, con i pochi compagni superstiti. Sull’onda di tale doloroso evento, l’autrice scrive: “poco a poco / il mondo scompare / inghiottito dal buio nulla” e così seguita: “… non voglio più vedere il presente / e il presente è / questo rogo ardente che dilania la città / le urla così flebili / appena un sussurro”. La silloge si suddivide in tre parti: Destinati ad altri mari, Controtempo e Forme erranti, nelle quali si sviluppa il diario lirico della Silvestrini, la quale scava a fondo nei recessi del suo animo, per trarne frammenti di vita da fermare in versi essenziali e compiuti. Sono questi i reperti di una storia come tante, ma che qui trovano, nell’ansia espressiva che li anima, la loro ragione di essere e il loro significa-
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to. C’è in queste poesie l’attesa di un evento salvifico, che pare annunciarsi: “restiamo così tutti fermi ad aspettare / che qualcosa avvenga” (1), mentre il tempo pare come essersi fermato: “così il tempo ha smesso di girare / è sempre qui è sempre ora” (4); c’è “la figlia che ti fugge e non sai fartene una ragione”; e c’è “l’anima che se ne va confusa / in questo limbo di sopravvissuti” (9), mentre “avanziamo verso la sera / in questa calma imperfetta” (11) e “facciamo una mappa dei percorsi possibili” (13). Ma c’è anche l’attesa che accada qualcosa che possa mutare il corso degli eventi e renda possibile lo sciogliersi di un nodo di sentimenti che la vita ha creato: “verrà un giorno / dove la storia tra noi / sarà azzerata / … / e allora così slegati estranei / ci ameremo di più / tutti lo dicono / verrà questo giorno” (15). Nella seconda sezione del suo libro, che è quella eponima, Enza Silvestrini seguita il suo diario lirico, nel quale, rivolgendosi al proprio partner, annota: “settembre ci rende già assetati di sole / riusciamo appena a immaginare / i fasti di una volta / quando ancora mi fotografavi” (1) e soggiunge con rammarico: “ai tempi dell’amore piantavamo ginestre” (6), mentre oggi è dolorosamente consapevole del veloce fuggire dell’attimo: “ho solo questo istante / che non potrà durare” (Ivi). S’incontra, tra queste poesie, una intitolata Il pensiero dominante, che subito richiama alla mente la nota poesia di Giacomo Leopardi ispirata da Fanny Targioni-Tozzetti, di cui il poeta si era perdutamente innamorato. Nella lirica della Silvestrini il movimento iniziale pare nascere però più dall’ironia che da un autentico sentimento amoroso, se l’ autrice può dire: “piantato come chiodo / in mezzo al muro / generi crepe / e qualche ruga precoce” e poco dopo può aggiungere: “dico che non sei più tu / ma la tua idea / e questo forse basta” (8). L’ultima poesia della seconda sezione del libro, la decima, narra di una discesa all’Ade: “Per il mio compleanno / scendo all’Averno / a sentire il lamento delle folaghe / … / trovo Caronte seduto al bar / a bere la sua terza birra / … / hanno messo un cancello / a separare i due mondi” (10). Anche qui fa da sfondo il sorriso, che però si estingue nella terza sezione, Forme erranti, la quale si apre con l’accenno a un forno crematorio: “a quanti gradi può bruciare un corpo? / … / ma qualcosa di te / dalle onde del fuoco sarà pure fuggito” (1); “ti immagino così svaporato / a resistere tenacemente nell’aria” (2); ecc. Segue il colloquio (che è poi un monologo) con un defunto che l’autrice ha molto amato e che è entrato perciò con forza nella sua vita: “In prossimità
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della pioggia / parlo col te stesso di allora / che mi ripete le cose di un tempo / … / c’è la musica che ti piaceva tanto” (3); “Eri già in un limbo / indeciso da quale parte stare” (5); “Perché poi proprio tu / abbia avuto quel destino / lo sapevano solo le Parche” (6); “Che cosa tu conserverai di te stesso / è la domanda / pronta a resistere a ogni logica umana / se ci sarà ancora memoria del nome” (8); ecc. La conclusione è che “Tu diventi una voce indistinta / tra quelle che adesso affollano il mio Ade / … / rispondi ancora al richiamo del nome” (9). Il libro si chiude con versi che costituiscono un moto di ripiegamento interiore, improntati come sono da una sottile tristezza: “Appari tra le foglie / dei radi alberi della villa / dove avrei tante volte potuto incontrarti / ma dove / non ti ho incontrato mai”. Un libro del ricordo e del rimpianto questo Controtempo di Enza Silvestrini, scritto con scioltezza di eloquio e con precisione di scansione metrica; il che fa presagire per lei fruttuosi sviluppi in un futuro non molto lontano. Liliana Porro Andriuoli
SIGNORE PERDONA Signore perdona se passiamo tanto tempo nell’esserti ingrati Poi all’improvviso Tu arrivi avvolgi tutto l’essere e illumini d’immenso l’ombra interiore, e sei solo Tu ad esistere. Ma poi torniamo immemori nelle ore del giorno. Questa condizione della natura umana ( stupidamente immemore ancora) che ci fa muovere come marionette credendoci chissà chi, superbamente intelligenti. Che è questa intelligenza che si affaccia sull’ignoto e non conosce neppure l’illimitato! Solo quell’improvvisa consapevolezza
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dove Tu comprendi ogni cosa l’anima trova respiro nell’affidamento totale. Riprende una beatitudine tanto simile alle braccia di una madre che culla il suo bambino Wilma Minotti Cerini Pallanza-Verbania, VB
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Non vedo più sconforto e strazio, saltello con frastuono con l’amico vento, sono così felice e con gioia mi arrendo, riposandomi tra i profumi e sognando. Mi abbraccia il sole e mi culla dolcemente, mentre respiro il soffio del vento che allontana le follie della mente. Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)
ARCOBALENO NEGLI OCCHI Prendi il mio pensiero e foggialo come fa l’artista c on la creta, amami come non hai ancora amato.
La Lune en menus éclats dans la nuit s’est dispersée Il neige de la lumière sur le vol des patineurs Béatrice Gaudy Parigi, Francia
Ama la mia solitudine la mia nostalgia. Prendi dimora nel mio cuore dove il cervello allunga sinapsi,
LETTERA Alcune parole su una pagina aprono il sorriso del giorno Béatrice Gaudy
puoi entrare e rimanere quanto vuoi perché lì è il luogo dove abita la memoria di quello che siamo stati quando, palpitando , salivamo all’arcobaleno nei nostri occhi. Wilma Minotti Cerini 13 marzo 2018, Pallanza-Verbania, VB
IL SOFFIO DEL VENTO Un guazzabuglio di pensieri invade la mia mente da esserne preoccupata, perché non trovo più spazio e l’unico mio sconforto è lo strazio. Sibila il vento e mi porta vicino al dondolìo degli alberi del mio giardino. Corro tra l’erba verde luccicante e il sole mi abbaglia con la sua luce splendente, i grilli mi saltano addosso cantando, le farfalle volano tra i fiori ballando, io insieme alle api cantiamo l’inno del trionfo.
Parigi, Francia
PICCOLI TESTI D’ATTUALITÀ Da anni loro seminano a colpi di bombe lacrimogene di Flash-Ball di manganelli seminano Dei fiori di ira sono cresciuti da quella semina terribile La guerra alla fine avranno se proseguiranno a seminare la violenza. *** Questi colpi di piedi di manganelli di pietre di Flash-Ball di bombe lacrimogene Questi colpi rovinano
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la nozione stessa di umanità *** Manifestare colla paura nel ventre di tornare con un occhio una mano un piede in meno Manifestare il diritto manganellato trafitto esploso di manifestare Béatrice Gaudy
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per un fuoco che fa morte dell’anima e cenere nelle calde stanze, dove soggiorna nudo il fanciullo Erote. E lì, proprio nella sua casa, per attimi di distrazione, si ri-perde spesso in una storia che credeva rinnegata; si lascia stordire da un rombo ottuso banale e senza suono. Salvatore D’Ambrosio Caserta
Parigi, Francia
PROVE DI SALTO Avventarsi fino al ciglio del dirupo e tirare i garretti a freno a mano…
LA PIETRA Una pietra scagliata contro una persona NEGA l’essenza umana di questa e forse perfino che lei è un essere vivente Quando delle pietre sono scagliate dai due campi tranne situazione di legittima difesa non c’è più diritto più civiltà Rimane solo la barbara violenza di due forze fosse l’una legale coll’uniforme dello Stato Béatrice Gaudy
La roccia all'alba ha il colore del titanio. Sforare un giorno o l’altro il muro d’aria che reprime terra terra gli appiedati - commercianti giudici farmacisti avvocati. La roccia all'alba ha il colore del titanio, un colore metallico intermedio fra l’attrazione del vuoto e il vuoto d’aria. Voglio roteare più alto degli uccelli che non conoscono la ragion pura del volo.
Parigi, Francia
BANALE È IL MALE Come se non ci appartenesse, forti nella libertà del bene viene dall’ozio dell’anima, infezione banale all’apparenza. Eppure non è così nonostante sai, nell’abisso profondo della mente, che la storia conserva una prigione dove è rinchiuso in larghe sbarre il morbo di Caino silenzioso e pronto sempre
Contando i passi con movimenti stringati, gli occhi di zinco dei cani eschimesi, proverò un’altra volta la battuta come nel salto in lungo, stampando per oggi sul margine estremo un’impronta ch’io solo, domani, saprò rintracciare. A braccia aperte come un deltaplano volteggiare più in alto degli uccelli maestri - aquile falchi gracchi di montagna saziando di vertigine la fame d’altura. Non lo farò in una notte senza luna sebbene l’aria buia, come il mar Morto, sia più densa e sorregga maggiormente, a quanto pare.
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della sua feconda ed esemplare vita. Converrà farlo prima che m’abitui a questa giovinezza troppo a lungo esortata a imbozzolarsi per la metamorfosi - giornalista tassista pizzaiolo impiegato. Decollerò come una starna inghiottendo con un fremito in gola il fiato rarefatto del precipizio e la casta saldezza della roccia. Mi librerò quando saprò già d’averlo fatto sentendo dentro ch’è giunto il momento come chi s’affida al volo del trapezio s’accorge dopo d’aver lasciato la presa.
Dall’universo vario della cultura, lungo e reiterato si leva il plauso, dovuto e meritato, quale omaggio della folta schiera d’estimatori che in lui riconoscono il nume traboccante di meriti e di onori. Lo seguiamo, preceduto da Noemi, la stella che allieta il suo cammino, con l’augurio di portarsi lieto, schietto e venerabile su altre cime. Antonio Crecchia Termoli
Lo fece prima che finisse l’autunno (quel solstizio la luna era in anticipo). A scuola si trovava un anno avanti sicché aveva un anno in più dei suoi coetanei e rispetto ai compagni un anno in meno. Per una volta per una volta tanto, giunto di corsa fin sullo strapiombo, Roberto non tirò il freno a mano. Era l’alba ma il cielo era aggrondato per cui i gracchi indugiavano perplessi; la roccia aveva la severità del piombo azzurrata da qualche brivido vitreo. Certo è che saltò ad occhi aperti da un dislivello di settecento metri mancando un anno a che ne avesse venti. L’impressione fu d’aver già fatto quel salto. Corrado Calabrò
QUESTA SERA UNA MUSICA Questa sera una musica mi ha sfiorato dolcemente. Inattesa, mi si è presentata alla mente e nel silenzio della mia camera ti ho sentito presente, invisibile e silente, col tuo affetto. Spontaneo il tuo nome mi è salito alle labbra. L’ho pronunciato ed è stato come un saluto di benvenuto. Mariagina Bonciani Milano
Roma
A EMERICO GIACHERY
LES DEUX PETITS JUMEAUX
In veste regale, di sole e di tepore, s’annuncia fiorente la Primavera, e il pensiero, varcando i confini della mia regione, si porta a Roma, ove l’eletto e geniale interprete del poetico verbo caro alle Muse, sta per porre piede e posare sull’alto NOVANTESIMO gradino
Ils ont éclos à l’improviste dans la cour sous mon balcon. Encore hier ils dormaient tranquilles dans leur landau, dans l’attente de sortir
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pour la promenade. Ce matin ils couraient droits et un peu gauches dans la cour, mais déjà en tombant ils souriaient en se relevant tout seuls. Comme deux petites fleurs écloses durant la nuit : Giorgio e Giuliano.
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si mescolò al sangue mentre guardavo il cielo. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019.
IL TESTO DI AMARPERDONA Eri ferma all’entrata del labirinto. Avrei voluto scuoterti per le spalle e [trascinarti via. Per te ho masticato l’amaro del perdono.
26 novembre 2018 Mariagina Bonciani Traduction de Béatrice Gaudy
TRENO FERMO A MONTEROSSO Affacciato nel sole, a un finestrino, mi sto imbevendo, pensoso, di questo mare agitato, squarcio improvviso di libertà ritrovata, attimo di fantasia naturale tra sofferenze e gioie inesprimibili. E'' inutile che ripensi a Montale, troppo immenso per me. Mi accontento di sentire un pianto di bambino, lontano, che chiama sua mamma. Luigi De Rosa (Rapallo)
Il tuo abbraccio era come il nastro della [Luna sul lago. Al risveglio, credevo di aver sognato, invece, mi trovo sul corpo l’argento delle [ tue onde. L’odio m’incaglia all’indifferenza, l’amore [all’ossessione, sono altrove, anzi, non sono più. Domani riceverai la mia urna e quando [vorrai, potrai vuotarla del nulla che contiene. Eugenia Berti Lindblad Eugenia Berti Lindblad è italiana e vive a Stoccolma. Dopo studi classici, laurea in giurisprudenza, dirigenza nella P. A., inizia l’esperienza cosmopolita in Svezia, Turchia, Emirati Arabi e Gran Bretagna. Esordisce in poesia fotografica con Parole intrappolate nelle icone tratto dalla raccolta poetica Ortogonali. Regista e autrice del poetry-film Eclipse, è cofondatrice del manifesto culturale Eclissi9 .www.eclissi9.com
QUANDO NON USCIRÀ IL SOLE Quando per me non uscirà più il sole dovrò dimenticare gli alberi e le foglie le corse delle nuvole nel vento di scirocco e il rincorrersi delle onde alla battigia. Chissà quale altro sole mi riscalderà il cuore mi asciugherà il pianto d’amore che per anni
UNA NUVOLA BIANCA Una nuvola bianca alta come una montagna navigava nel cielo: era bella e fragile come i miei sogni, andava pellegrina verso ignote lontananze. Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, MI Da: Armonie nei giorni - Ed. Il Croco/PomeziaNotizie, 2001
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D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE RITORNA A REGGIO IL “PREMIO GIUSEPPE CALOGERO” - Il tempo corre veloce e anche gli eventi culturali, nel loro succedersi, confermano questa indiscutibile verità. A questa legge ovviamente anche il Premio “Giuseppe Calogero”, ritornando annualmente, non poteva sottrarsi. Siamo così alla XXXI Edizione di un evento che vede come assegnazione del “Premio” artisti, studiosi, imprenditori, operatori socio-culturali calabresi che nella loro attività si sono distinti e si distinguono per il qualificato contributo alla crescita e all’immagine della nostra Calabria. Ed infatti, il 20 dicembre scorso, nella cerimonia dell’assegnazione del “Premio Calogero 2018”, avvenuto nella sala “G. Trisolini” del Palazzo “Alvaro” (già Provincia) di Reggio sono state presenti alcune delle migliori espressioni della cultura e del mondo socioeconomico calabrese. Sono stati, infatti, premiati i calabresi: Dott. Nicodemo Vitetta, Pres. Sez. UNESCO Gioiosa Jonica; il maestro Domenico Carteri, scultore; il dott. Bruno Taverna, Direttore x 95 TV Melito P. S.; il poeta Giuseppe Tallarida Maldonato; la prof.ssa Caterina M. Mammola, scrittrice; l’ins. Giuseppe Giarmoleo, operatore umanitario (alla memoria); il prof. Giuseppe Mandaglio (geologo); il maestro Umberto Falvo, (pittore); il prof. Raffaele Cusato, docente, esp. Scienze Informatiche; il dott. Luciano Surace, tesi di laurea. L’incontro, promosso dal Circolo culturale “Giuseppe Calogero”, col supporto della Casa Editrice “Caruso”, è stato preceduto da un Conve-
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gno sul tema “La questione meridionale: aspetti socio-culturali, economici e storici”. I relatori on. Natino ALOI, Prof. Salvatore DIENI, Prof. Domenico FICARRA e Prof. Antonino GATTO hanno affrontato la “Questione” da diverse angolazioni convenendo sull’improrogabile esigenza che si operi nel Sud con una politica di incisivo intervento evitando i molteplici errori e inadempienze di cui si sono resi responsabili i vari governi che si sono succeduti, i diversi governi, non volendo prendere atto che il problema “Mezzogiorno” può trovare soluzione solo se lo si considera centrale e nazionale. A conclusione della cerimonia, l’on. Natino ALOI, Presidente del “Premio Calogero” si è complimentato con i premiati ed ha ringraziato i presenti all’incontro con un arrivederci al 2019. (n. a.) *** Premio Internazionale Poesia, Prosa e Arti figurative Il Convivio 2019 - Scadenza: 30 maggio 2019 - L’Accademia Internazionale Il Convivio e l’omonima rivista, in collaborazione con “Il Convivio editore”, bandiscono la XIX edizione del Premio Poesia, Prosa e Arti figurative - Il Convivio 2019, cui possono partecipare scrittori e artisti sia italiani che stranieri con opere scritte nella propria lingua. Per i partecipanti che non sono di lingua neolatina è da aggiungere una traduzione italiana, francese, spagnola o portoghese. Il premio è diviso in 8 sezioni: 1) Una poesia inedita a tema libero in lingua italiana (5 copie); 2) Narrativa inedita. Si partecipa con Romanzo, Romanzo-breve o una Raccolta di racconti (minimo 25 cartelle, A4, corpo 12, interlinea singola) (3 copie); 3) Silloge di Poesie inedite, con almeno 30 liriche, fascicolate e spillate (diversamente le opere saranno escluse) (3 copie); 4) Libro di poesia edito a partire dal 2013 (3 copie); 5) Libro di narrativa edito a partire dal 2013 (3 copie); 6) Libro di saggistica edito a partire dal 2013 (3 copie); 7) Pittura e scultura: si partecipa inviando due foto chiare e leggibili di un’opera pittorica o scultorea. 8) . Per le sezioni n. 1, 2, 3, e 7 è possibile inviare per e-mail all’indirizzo: angelo.manitta@tin.it, enzaconti@ilconvivio.org). Si può partecipare a più sezioni, ma con una sola opera per sezione, dichiarata di propria esclusiva creazione. Non si può partecipare con volumi vincitori nelle edizioni precedenti del Premio Il Convivio (dalla prima alla quinta posizione e premi speciali) né con opere pubblicate da Il Convivio Editore. Saranno considerati editi solo i testi forniti di codice ISBN regolarmente registrato. I premi devono essere ritirati personalmente, pena il decadimento del premio stesso (pubblicazione, premio in denaro, coppe o targhe), e non si accettano deleghe per la giornata di premiazione. Le opere inedite devono
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restare inedite e libere da contratto o da accordi di pubblicazione, fino al giorno della premiazione, diversamente saranno escluse. Premi: 1) poesia inedita: Primo Classificato: € 100 + targa e diploma 2) Narrativa inedita: per il primo classificato pubblicazione dell’opera con 30 copie omaggio + targa e diploma; 3) Silloge di Poesie inedite: per il primo classificato pubblicazione dell’opera con 30 copie omaggio + targa e diploma; 4-6) Libro edito nelle sezioni: poesia, narrativa, saggistica. € 200,00 per il primo classificato di ciascuna sezione + targa e diploma; 7) Sez. Pittura: per il primo classificato pubblicazione gratuita dell’opera in prima di copertina della rivista Il Convivio + targa e diploma. 8) Sez. Libro edito stranieri: Primo classificato € 200. Per gli altri premiati targhe e diplomi. Non è previsto rimborso di viaggio, vitto e alloggio. Sono previsti inoltre Premi speciali. La partecipazione al concorso prevede contributo complessivo di euro 15,00 per spese di segreteria, indipendentemente dal numero delle sezioni cui si partecipa (o moneta estera corrispondente). Per i soci dell’Accademia Il Convivio il contributo è di euro 5,00. Da inviare o in contanti o con bonifico Iban: IT 30 M 07601 16500 000093035210 oppure ccp n. 93035210. Intestazione: Accademia Internazionale Il Convivio, Via Pietramarina Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT); causale: Premio Il Convivio 2019. È obbligatorio inviare copia di attestazione di versamento. Premiazione: Giardini Naxos (ME): 27 ottobre 2019. Per invio opere partecipanti e informazioni: Premio Il Convivio 2019, Via Pietramarina Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) Italia, tel. 0942-986036, cell. 333-1794694, e-mail: angelo.manitta@tin.it.; enzaconti@ilconvivio.org . Sito: www.ilconvivio.org Il presidente del Premio Angelo Manitta *** L’APPREZZAMENTO DI MAIRAGINA BONCIANI - (Da Milano, E-mail del 13 febbraio 2019) - Carissimo Domenico, con notevole anticipo sulla solita data mi è giunto il numero di febbraio di POMEZIA-NOTIZIE, questa simpatica e preziosa rivista dove sempre trovo qualcosa di particolarmente interessante per me. Questa volta si è trattato, oltre che per i tuoi "ALLELUIA !" sui quali sono perfettamente d'accordo, della lunga intervista di Isabella Michela Affinito a Luigi De Rosa, di cui apprezzo molto scritti e poesie, e le poesie di Wilma Minotti Cerini, ma soprattutto la magnifica recensione di Liliana Porro Andriuoli a "FEBE" di Rosa Elisa Giamgoia. Ho avuto il grande piacere di incontrare più volte a La Spezia la professoressa Giangoia in occasione di
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premiazioni ai concorsi del Centro Culturale IL GOLFO, di cui è Presidente, e sempre sono rimasta affascinata, per forma e contenuto, dalle sue prolusioni alla consegna dei premi, nonché dalla sua amabilità e simpatia. Ringrazio il recensore che mi ha fatto conoscere così bene questo libro, che non mancherò di aggiungere alle mie letture, anche per l'originalità dell'argomento. Prima di continuare nella lettura ("La casa-museo di Keats e Shelley", a firma Manuela Mazzola, mi attira) aggiungo che anche tante poesie lette in fretta mi sono piaciute, dovrò rileggerle con calma. (…). Con molti cari saluti e un abbraccio, Mariagina
LIBRI RICEVUTI CORRADO CALABRÒ - Quinta dimensione. Poesie scelte 1958 - 2018 - Il volume, da pag. 247 a pag. 295 contiene il saggio dello stesso Calabrò “C’è ancora spazio, c’è ancora senso per la poesia, oggi?” - Mondadori, 2018 - Pagg. 304, € 18,00. Corrado CALABRÒ è nato a Reggio Calabria il 13 gennaio 1935. Laureato in Giurisprudenza, ha fatto parte della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato e fino al 2012 è stato Presidente dell’ AGICOM, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ha pubblicato monografie riguardanti il diritto del lavoro e il diritto amministrativo. Innumerevoli i Premi e i riconoscimenti. Proposto per il Premio Nobel. Per la sua opera letteraria l'Università Mechnikov di Odessa, nel 1997, e l'Università Vest Din di Timisoara, nel 2000, hanno conferito a Corrado Calabrò la laurea honoris causa; lo stesso hanno fatto altre università italiane e straniere. Ha pubblicato numerosi volumi di poesia e saggi, tra cui: Prima attesa (1960), Agavi in fiore (1976), Vuoto d’aria (1979, 1980, Premio Rhegium Julii), Presente anteriore (1981), Mittente sconosciuta (1984), Deriva (1989, 1990), Il sale nell’acqua (1991), Vento d’altura (1991), La memoria dell’acqua (1991), Rosso d’Alicudi (1992, Mondadori, tre edizioni, finalista Premio Viareggio), Lo stesso rischio (2003), Ricordati di dimenticarla (romanzo, 1999), Le ancore infeconde (2000), Una vita per il suo verso (2002), Poesie d'amore (2004), La stella promessa (2009), T'amo di due amori - raccolta tematica delle poesie d'amore con CD con poesie lette da Giancarlo Giannini (Vallardi, 2009), Dimmelo per sms (2011), Password (2011), Rispondimi per sms (2013), Mi manca il mare (2013), Stanotte
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metti gli occhiali di luna (2015), Mare di luna (2016), La scala di Jacob (Premio Città di Pomezia, 2017). ** GIANNI RESCIGNO - Il vecchio e le nuvole - In copertina, a colori, “Il vecchio e le nuvole” di Domenico Severino; Prefazioni di Franca Alaimo e Marina Caracciolo, Introduzione di Sandro Angelucci - BastogiLibri, collana La Ricerca Poetica, 2019 - Pagg. 140, € 13,00. Gianni RESCIGNO è nato nel 1937 a Roccapiemonte (SA) ed è morto il 13 maggio 2015 a Santa Maria di Castellabate. Ha pubblicato: “Credere” (1969), “Questa elemosina” (1972), “Torri di silenzio” (1976), “Storia di Nanni” (1981), “I salici - I vitigni” (1983), “Le ore dell’ uomo” (1985), “Tutto e niente” (1987), “Un passo lontano” (1988), “Il segno dell’uomo” (1991), “Angeli di luna” (1994), “Un altro viaggio” (1995), “Le strade di settembre” (1997), “Farfalla” (2000), “Dove il sole brucia le vigne” (2003), “Lezioni d’ amore” (2003), “Le foglie saranno parole” (2003), “Io e la Signora del Tempo” (2004), “Come la terra il mare” (2005), “Dalle sorgenti della sera” (2008), “Gli occhi sul tempo” (2009), “Anime fuggenti” (2010), “Cielo alla finestra” (2011), “Nessuno può restare” (2013), “Il soldato Giovanni (romanzo, 2011), . Nel 2001 è uscito a Torino il saggio critico sulla sua trentennale attività poetica “Gianni Rescigno: dall’essere all’ infinito”, di Marina Caracciolo. Un altro saggio è stato scritto da Luigi Pumpo: “Gianni Rescigno: il tempo e la poesia”. Pure Franca Alaimo gli ha dedicato uno studio intitolato “La polpa amorosa della poesia”, come anche Menotti Lerro: “La tela del poeta (amicizie epistolari di G. Rescigno)”, 2010, Antonio Vitolo: “Il respiro dell’addio (la poesia dell’attesa e il rapporto madrefiglio in G. Rescigno), 2012 e Sandro Angelucci: “di Rescigno il racconto infinito” (2014), Un sogno che sosta (2014).
TRA LE RIVISTE LA RIVIERA LIGURE - quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro diretto da Maria Novaro - Corso A. Saffi 9/11 - 16128 Genova - E-mail: info@fondazionenovaro.it - Riceviamo il n. 86, maggio-agosto 2018, dedicato a Filippo De Pisis e la Liguria, con gli interventi di Andrea Sisti e Andrea Lanzola. Vengono riportate, di De Pisis, “Prose scelte” (pagine 31 - 34) e le Lettere da lui inviate a Mario Novaro (pagine 35 - 58). Fascicolo di 72 pagine, tutto da leggere.
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** MAL ART SERVICE - Bollettino dell’Archivio L. Pirandello di Sacile, diretto da Andrea Bonanno via Friuli 10 - 33077 Sacile, PN - Riceviamo il n. 104, dicembre 2018, dal quale segnaliamo: “Il codice di farfalla di Vincenzo Di Oronzo: le fascinazioni ricognitive della verticalità della poesia”, di Andrea Bonanno e, dello stesso: “Stralci desunti dall’ebook “Sulla poesia e sull’arte” di Susanna Pelizza”; inoltre, alle pagine 6/7, “Quale identità?”, di Sandro Bongiani. ** SOLOFRA OGGI La voce di chi non ha voce mensile diretto da Raffaele Vignola - via A. Giannatasio II trav. 10 - 83029 Solofra (AV) - E-mail: solofraoggi@libero.it - Riceviamo il n. 12, dicembre 2018, con articoli e foto che riguardano anche Mercato S. Severino, Montoro, Fisciano, Calvanico, Serino. ** FIORISCE UN CENACOLO - mensile fondato da Carmine Manzi nel 1940 e oggi diretto da Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (Salerno), email: manzi.annamaria@tiscali.it - Riceviamo il n. 10-12, ottobre-dicembre 2018, sul quale, tra le tante altre, troviamo le firme dei nostri amici e collaboratori Antonia Izzi Rufo, Isabella Michela Affinito, Anna Aita, Leonardo Selvaggi. * ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - rivista trimestrale di lettere ed arte fondata da Giacomo Luzzagni e diretta da Stefano Valentini, direttore editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - via Chiesa 27 - 35034 Lozzo Atestino (PD) - E-mail: nuovatribuna@yahoo.it Riceviamo il n. 133, gennaio-marzo 2019, dal quale segnaliamo: “Quello che sono, Pietro Annigoni”, di Natale Luzzagni; “La toscanità di personaggi e ambienti nei racconti di Aldemaro Toni”, di Anna Vincitorio; “Giacomo Leopardi, Immensità”, di Luigi De Rosa; “Iosif Brodskij, Diario lirico”, di Elio Andriuoli; “Cantori di corte”, di Liliana Porro Andriuoli; “Intervista a Marco Malvaldi”, di Pasquale Matrone eccetera, perché è tutta intera la rivista da leggere e da guardare anche, per le splendide foto a colori e in bianco e nero, a volte grandi da occupare un’intera pagina. E poi le tante recensioni, per lo più firmate dal direttore responsabile Stefano Valentini; e poi le tante rubriche, tra le quali quella inerente i concorsi letterari. Come abbiamo sempre scritto: una delle più belle riviste d’Italia. I nostri collaboratori e i nostri lettori farebbero bene ad abbonarsi (ordinario, 45 euro). * ILFILOROSSO - semestrale di cultura diretto da
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Luigina Guarasci, responsabile Valter Vecellio via Marinella 4 - 87054 Rogliano (CS) - e-mail: info.ilfilorosso@gmail.com - Riceviamo il n. 65, luglio-dicembre 2018, con le firme di: Giuseppe Leonetti, Jean Robaey, Gaetano Marchese, Salvatore Jemma, Franco Araniti, Domenico Cara, Francesco Politano, Matteo Dalena, Antonio Conte, Gina Guarasci, Ivan Pozzoni, Anghèla Kaimakliòti, Valter Vecellio, Francesca Neri, Michele Lalla, Emilio Tarditi, Inga Conti, Annalisa Saccà. Il semestrale organizza il “Premio Nazionale di Poesia e Narrativa <Francesco Graziano> - VIII Edizione 2019”, con scadenza 30 aprile 2019, articolato in 5 sezioni: Raccolta inedita di poesia in lingua italiana non inferiore a 200 versi; Saggio inedito in lingua italiana; Romanzo inedito in lingua italiana; Poesia inedita a tema libero in lingua italiana; Narrativa breve a tema libero in lingua italiana (un solo racconto breve). Chiedere il regolamento integrale scrivendo a: premiograziano@gmail.com e consultare il sito: www.ilfilorosso.it
LETTERE IN DIREZIONE (Béatrice Gaudy, Parigi;) Parigi, freddo di stagione Buongiorno caro Domenico, Spero che Lei stia bene a dispetto del freddo invernale nemico dell’artrosi. Prende Lei un po’ di fitoterapia per i dolori? Il ribes nero (le foglie), l’Harpagophytum e la regina dei prati attenuano spesso questo tipo di dolori, ma occorre prenderne ogni giorno. A volte, una medicina più forte è necessaria. Forse può anche provare l’agopuntura. E sono del tutto d’accordo con Lei: un sole caldo è la cosa migliore per le ossa! Ho visto con un grandissimo piacere i miei poemi nel numero di gennaio di “PomeziaNotizie” e letto collo stesso piacere i testi degli altri autori. Oltre ad essere un ottimo poeta, Vittorio “Nino” Martin pare un eccellente pittore. “Inci-vili” è davvero di attualità in Francia. Ma giacché sono un poco stanca delle violenze, quelle degli “Inci-
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vili”, e le altre mai castigate, ho preferito tradurre i poemi pieni di tenerezza di Ada De Judicibus Lisena e di Mariagina Bonciani. Varie volte ho letto nei giornali italiani la sua impressione, apparentemente molto condivisa in Italia, che la Francia guardasse l’Italia come una colonia o quasi. Capisco quest’impressione, benché il sentimento della popolazione francese sia diverso - non parlo di Macron -. Fino alle ultime elezioni italiane, i Francesi pensavano soltanto all’Italia come a un paese amico, molto simpatico, e molto attraente per il turismo culturale e le sue coste, le sue belle regioni. La Germania è anche un paese amico, ma numerosi Francesi la guardano con un poco di timore. Per i Francesi, il paese potente dell’Unione Europea non è la Francia, è la Germania. E da anni, numerosi Francesi hanno l’impressione che la Francia sia sottomessa indirettamente alla Germania e lo sopportano male, si sentono quasi traditi dai loro governanti. E il trattato di Aquisgrana firmato di recente con la Germania suscita delle inquietudini forti in una parte probabilmente non trascurabile dei Francesi. Quindi, siamo molto lungi dall’illusione di una Francia dominante nell’Unione Europea. Le relazioni tra la Francia e l’Italia diventano davvero pazze. Ma per la prima volta ho letto in un grande giornale francese un articolo, o piuttosto un’intervista del giornale con un politologo che analizza le vere ragioni della crisi diplomatica (la guerra in Libia ecc.) e, logicamente, malgrado l’ iniziativa un poco provocatoria di Di Maio di andare a vedere alcuni Gilet Gialli, il politologo dà piuttosto torto ai successivi governanti francesi. Oggi giunge il numero di febbraio di “Pomezia-Notizie”. Grazie tante! Lo leggerò con un grande piacere. È un’ottima idea di intervistare Luigi De Rosa, i cui testi si apprezzano sempre. Sono sempre impressionata dalla Sua capacità di lavoro! Un mensile culturale rap-
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presenta un lavoro enorme! Le auguro delle belle giornate a dispetto del freddo difficile da sopportare, e sempre la passione di scoprire, di scrivere, d’ intervenire nel mondo tramite la scrittura e la cultura. Con calorosi saluti. Béatrice Gaudy Carissima Béatrice, La Sua lettera del 13 febbraio mi giunge in un giorno di sole e d’aria frizzantina. Finché potrò sopportare il dolore, non prenderò medicine, né fitoterapia; ad ogni cosa corrisponde il suo contrario, sole compreso, ma al sole e al suo riscaldamento non rinuncerò mai. Fra meno di un mese, l’Italia sarà tutta un’esplosione di colori e profumi e già dolce si sente e si ammira il bianco immacolato delle margherite. Le sono grato, a nome anche di Ada De Judicibus Lisena e di Mariagina Bonciani, per le sue belle traduzioni, come le sono grato dell’attenta lettura che fa di PomeziaNotizie; Vittorio “Nino” Martin è pittore affermato e Luigi De Rosa poeta di fama e preparazione profonda, come vasta è la conoscenza di Isabella Michela Affinito che l’ha intervistato. Il popolo italiano, quasi nella sua totalità, ama la Francia, così come molti Francesi vogliono sinceramente bene all’Italia, ma non sempre è stato ed è così da parte di chi governa entrambe le nazioni. La Francia fa male a privilegiare, in ogni cosa, la Germania. Se la storia insegna, non bisognerebbe mai dimenticare le mire di supremazia che questa nazione ha sempre avuto in Europa, in passato usando le armi, oggi l’economia, ma di guerra si trattava allora e di guerra si tratta. La Francia fa male a sottoscrivere patti a due con la Germania: è il modo migliore e più subdolo per farsi soverchiare e sfruttare. Senza pensare che è insano sottoscrivere patti a due quando si fa parte di una Europa Unita. Se crediamo nell’ unione dei popoli e delle nazioni, non dovremmo firmare patti a due, ma
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sederci a un tavolo, tutti quanti, e trarre accordi validi per tutti. Sedersi in due, equivale a furbizia - ad esser teneri - e la strada dei furbi è sempre lastricata di baratri. Oggi si finge di non vederli, ma domani? L’Italia non può continuare ad essere considerata, né dai Francesi, né da altri, solo un Paese “simpatico e molto attraente per il turismo culturale e le sue coste, le sue belle regioni”. L’Italia è molto di più; è cofondatrice dell’Unione Europea; ha una economia non disprezzabile; un patrimonio culturale e artistico che, secondo l’UNESCO, è pari o superiore al settanta per cento di quello mondiale. L’Italia dice basta agli ammiccamenti della Merkel e di Sarkozy, a un Macron che si arrabbia se un Di Maio si reca in Francia ad incontrare i Gilet Gialli e intanto, impunemente, fa varcare i confini italiani dalla sua gendarmeria e, accusandoci bugiardamente di non accogliere sufficientemente migranti, ce li trasferisce giornalmente a migliaia, compresi donne e bambini. La colpa di questo stato di cose è dei passati governi italiani, tutti vendutisi per un piatto di lenticchie (i pochi fondi che l’Europa ci dava per arginare un’autentica invasione). Ora l’Italia dice basta e vuole avere in Europa il posto che le spetta di diritto: quello di una democrazia moderatrice ma non succube, collante indispensabile se si vuole una vera Europa Unita, quella che sognavano un grande tedesco, un grande francese, un grande italiano, non i burocrati insulsi e inetti di oggi, che non guardano ai veri e impellenti problemi della gente, ma alla lunghezza dei cetrioli da coltivare e vendere, alla lunghezza delle anguille da pescare e a tantissime altre sciocchezze e baggianate, mentre le lobby ingrassano, divorando e succhiando carne e sangue della povera gente. Un manipolo di autentici caimani, Carissima, ha in mano il 90% dell’ intera ricchezza. È questa l’Europa nel sogno degli Europei? Anche a Lei un caloroso e primaverile saluto. Domenico
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Ricordiamo il grande mosaicista
MICHELE FRENNA (Agrigento 1928 - Palermo 2012)
con tre sue belle opere ↓
AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio