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50ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Anno 27 (Nuova Serie) – n. 6

€ 5,00

- Giugno 2019 -

Ricordo di

ROSSANO ONANO di Domenico Defelice

I

L 14 aprile è morto, a Reggio Emilia, Rossano Onano, medico psicanalista, scrittore e poeta. Era nato a Cavriago nel 1944. Ha pubblicato numerose opere, alcune delle quali favolose anche nel titolo e sottolineiamo “favolose”, perché il mistero, il surreale, il paradosso, l’esotico, l’arcano lo affascinavano: Gli umani accidenti (1985), L’incombenza individuale (1987), Dolci velenosissime spezie (1989), Inventario del motociclista in partenza per la Parigi-Dakar (1990), Rosmunda, Elmichi, altri personaggi di Evo Medio (1991), Viaggio a Terranova con neri cani d’acqua (1992), Le ancòra chiuse figlie marinaie (1994), La trasmigrazione atlantica degli schiavi (1995), Il senso romantico della misura (1996), Il pesce di Ishikawa (saggio, 1998), Homo non dice (1998), La maternale terra di ponente (1999), Preghiera a Manitou di Cane Pazzo (2001), Appunti ragionati di prossemica (2002), Artificialia (2005), L’ultimo respiro di Cesare (saggio, 2006), Il nano di Velázques (2007), Ammuina (2009), Diafonie poetiche a confronto (in collaborazione con Veniero Scarselli, →


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All’interno: Messaggi d cordoglio per Rossano Onano (Sandro Gross-Pietro, Marina Caracciolo, Ilia Pedrina, Giovanna Li Volti Guzzardi, Claudia Trimarchi, Anna Vincitorio), pag. 9 Bruno Rombi: Quando muore un poeta, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 11 La “finzione vissuta” di Pirandello, di Luigi De Rosa, pag. 14 Natale in versi, di Anna Aita, pag. 16 Ricordo di Peter Russell, pag. 17 Un’Italia da Basso Impero, di Domenico Defelice, pag. 18 Xu Chunfang, di Domenico Defelice, pag. 20 Ferdinando Imposimato: L’Italia segreta dei sequestri, di Giuseppe Giorgioli, pag. 23 Il beato Giustino, di Leonardo Selvaggi, pag. 26 Lo specchio, di Manuela Mazzola, pag. 31 “…Mi venga a trovare in farmacia!”, di Ilia Pedrina, pag. 34 I Poeti e la Natura (Saffo), di Luigi De Rosa, pag. 36 Notizie, pag. 48 Libri ricevuti, pag. 51 Tra le riviste, pag. 53

RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (La giostra delle meraviglie, di Paolangela Draghetti, pag. 38); Elio Andriuoli (Sull’oceano, di Edmondo De Amicis, pag. 39); Giuseppina Bosco (Accabadora, di Michela Murgia, pag. 40); Tito Cauchi (Canto segreto, di Fiorella Gobbini, pag. 41); Tito Cauchi (Amuri chi duna fruttu, di Rocco Vacca, pag. 42); Tito Cauchi (Vibrare di corde, di Adalgisa Russotto, pag. 43); Tito Cauchi (Camminerò, di Elisabetta Di Iaconi, pag. 43); Salvatore D’Ambrosio (Una lettera di Addio, di Domenico Defelice , pag. 44); Caterina Felici (Le parole a comprendere, di Domenico Defelice, pag. 45); Giuseppe Giorgioli (Camminerò, di Elisabetta Di Iaconi, pag. 45); Giovanna Li Volti Guzzardi (Camminerò, di Elisabetta Di Iaconi, pag. 46). Lettere in Direzione (Ilia Pedrina), pag. 54

Inoltre, poesie di: Rinaldo Ambrosia, Mariagina Bongiani, Emilia Bisesti, Marina Caracciolo, Salvatore D’Ambrosio, Antonia Izzi Rufo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Manuela Mazzola, Wilma Minotti Cerini, Gianni Rescigno, Franco Saccà, Leonardo Selvaggi

2010), La bellezza di Amanda (in coll. con Pietro Paganelli, 2011), Mascara (2011), Scaramazzo (2011), Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta (con Domenico Defelice, 2014), Il sandalo di Nefertari (2016), Medioevo (2016), Testimonio eternamente errante. La simbologia biblica nel primo e nell’ultimo Veniero Scarselli (saggio, 2017), Il cantare delle mie castella (2017), Donne (in coll. con Rosanna Pirovano, 2019). Senza contare il materiale - specialmente saggi

critici - sparso nelle riviste più quotate, quasi una trentina di volumi. Ne ricordiamo specificatamente alcuni. Il nano di Velázquez - Ciò che Rossano Onano adombra nei suoi versi – non sempre alla nostra portata, perché allusivi e frutto di sottile raziocinio – è quanto ogni istante la Natura ci squaderna in fatto di sesso e altro e fin dall’inizio della vita. L’uomo, però, unico essere dotato d’intelligenza e capacità


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di discernimento, nel corso della sua lunga storia ha voluto stabilire ciò ch’è da considerarsi più o meno lecito e così ha reso particolarmente problematico il sesso, dall’ origine manifestazione naturale per eccellenza, perché strumento atto alla moltiplicazione della specie. “Crescete e moltiplicatevi” esorta la Bibbia. Ma l’uomo ha voluto indagare a fondo su quel “crescete”, rendendo complicato il “moltiplicatevi”! Un tema eccellente per imbastirvi non solo una poesia o un poemetto, ma un corposo romanzo. Onano non mira a sezionare la morbosità. Sotto questo aspetto, la sua poesia è più che casta, anche se è proprio questa castità a suggerire al lettore malizioso tutto e il contrario di tutto. Onano descrive il tormento del sesso e delle sue naturali pulsioni in certi individui, il nano per esempio, la sua solitudine, il dramma del sentire e del sentirsi diverso e quindi impossibilitato a partecipare coralmente all’amore sessuale, consapevole che, per lui, sarà difficile godere del sorriso e delle attenzioni di una bella e giovane donna. Nel nano onaniano persino “un contatto casuale di gomito, leggero, come/di scusa per l’improvvisa intimità” si esalta fino al parossismo, arrivando a intensità esplosiva e lacerante. Il fascino primo della silloge onaniana (Ed.Tabula Fati, 2007 – Pagg. 80, € 6,00) sta proprio qui: nella sottile indagine da grande studioso di un problema che investe una parte dell’umanità e che noi cosiddetti normali non rileviamo in tutta la sua giusta valenza perché non gli diamo la dovuta attenzione. Problema, a nostro avviso, non tanto distante da quello che ha tormentato il grande Leopardi e al quale si deve la sua straordinaria poesia e il suo tanto discusso pessimismo. La particolare dolcezza, l’intensità dei suoi versi è frutto proprio di quella sua straziante solitudine, del suo particolare sentire, per certi aspetti simile a quello del nano onaniano o del gay o di qualunque altro essere cui son negati affetto e grazie femminili. Diversa, invece, è la reazione al proble-

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ma, la quale dipende dall’indole, dall’ estetica, dalla cultura del singolo soggetto: per esempio, la sublime poesia in Leopardi (per altro presente in quest’opera, alla corte di Re Arturo, con lo stupendo endecasillabo “Dolce e chiara è la notte e senza vento”), o il delitto nel nano di Velázquez. Altro fascino dell’opera onaniana sta nel tipo di poesia. Onano sicuramente è dell’ avviso che la bellezza dei versi non stia solo nel ritmo, o nel contenuto, o nella linearità del dettato, ma particolarmente nella loro misteriosità, cioè nella capacità evocativa e quindi in suoni e suggestioni in grado di avere vita propria anche isolati dal contesto e dal tema. Ma se l’arcano è fine a se stesso – come avviene in tanti poeti ermetici – diventa una banalità, ciò che non succede nella poesia di Rossano Onano, poeta raziocinante, nella quale l’arcano è sempre accompagnato a una storia, a volte fin troppo paradossale, ma sempre storia, dove niente è posto a casaccio. Così non è casuale la sottile critica, per esempio, alla moderna tecnologia, o alla fretta perfino nell’alimentazione (e il sesso è un tipo di fame; si pensi alle teorie di Gino Raya e alla Biologia del Sociale di Carmelo R. Viola), con esiti a volte grotteschi, grazie all’ironia, all’inarrestabile capacità inventiva – un esempio: l’enorme, mostruosa “umida, [...] massa materna” (p. 17) che, all’ombra del noce (un tempo albero sotto il quale si svolgeva il sabba delle streghe), mette al mondo la cucciolata di bimbi dal “maniacale sorriso” (p. 18). Sono tutti temi e soggetti fascinosi quelli trattati nei vari quadri dell’opera, in cui sono presenti telefonini, e-mail e internet, “la svelta/ristorazione” (p. 51) con i “precotti tritati di manzo”, le “merende sigillate, coca/cola” (p. 53); ci sono perfino “dolce/e gabbana” (p. 25): insomma, tutta la pazza vita moderna! Storie verosimili come quella del nano di Velázquez e “storie inverosimili” (p. 61), quasi demenziali in un miscuglio di figure e scene, con personaggi in continua metamorfosi. La “bevitrice di limonata” (p.


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21), per esempio, che acquista le sembianze e le azioni della mantide. E ci sono scuole come succursali della mafia, nelle quali il bidello raccoglie il pizzo e circolano droghe e si praticano Sodoma e Gomorra; e c’è un moderno e allucinato Natale, con la nascita del bambino-Gesù “nella risaia silenziosa” (p. 25), presenti tre maghi arrivati in auto blu con doni del tutto particolari; e c’è un Cristo “ginnasta/che verrà nella gloria per giudicare i vivi/e i morti” (p. 68)... Storie ghignanti e quasi blasfeme per noi credenti. C’è satira e ironia deflagrante. E’ un mondo caotico e grottesco sul quale echeggia lo sghignazzo dell’autore. Ammuina - Quando leggiamo uno scritto di Rossano Onano, sia esso prosa o versi, il fiabesco e l’onirico ci invadono. E non tanto per il contenuto, che può essere anche comune e quotidiano, quanto per il taglio, l’impostazione, la forma, l’eloquio, che rendono fascinosi i lavori fin dai titoli: Dolci velenosissime spezie, Inventario del motociclista in partenza per la Parigi-Dakar, Viaggio a Terranova con neri cani d’acqua, Le ancora chiuse figlie marinaie, e via elencando. L’incanto del linguaggio sposa sempre l’armonia, ma per tradirla quasi subito con l’ironia! In tutto, anche nel relazionare la lettura di un libro, egli trova un aspetto quasi ignoto perfino all’autore, e psichico, sul quale costruisce la tesi, amplificandola e ramificandola, con aperture e chiusure che inizialmente sconcertano e che poi convergono fascinose a un finale sempre appagante. Egli, comunque, batte sempre sentieri inesplorati, trovando camminamenti a tutti ignoti. E riesce ad andare oltre i limiti degli altri. Noi non riusciamo mai a percorrere le sue strade, ci troviamo smarriti, storditi nei grovigli stralunati di molti suoi personaggi. Da tutto ciò non si discosta questa sua nuova opera (Prefazione di Sandro GrosPietro - Genesi Editrice, 2009 – Pagg. 78, € 10,00). Ci sono tanti tipi di ammuina. C’è, per esempio, l’ammuina ordinata e determinata

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delle formiche, più o meno la stessa che si respira nel castello del nostro Alpomo (“...quattro torri e più stanzoni/collegati con le scale/dislocate a ragnatela/chi le scende e chi le sale/da mattina fino a sera...”); c’è l’ammuina vociante e sfottente giocata durante la nostra breve infanzia tra le strade sterrate del nostro borgo calabrese; c’è l’ammuina disonesta dei Ministeri (quella delle cosiddette pratiche vaganti) che neppure Brunetta vede; e c’è l’ammuina codificata dal Regolamento della Real Marina del Regno delle due Sicilie, del 1841, alla quale Onano si ispira e che poi supera, per grottesco, per ironia e - perché no - anche per dramma, se si segue con attenzione la vicenda di Alissa. Onano adombra nei suoi personaggi la società dei nostri giorni. Ogni figura e ogni quadro sono tasselli di un puzzle spietato d’umanità stordita e caotica, che si muove senz’ordine, salendo e scendendo, andando a dritta e a manca, nella più babelica delle confusioni e dimenticando che lo scontro, inevitabile, che avviene in continuazione – visto che tutti siamo costretti a passare “p ‘o stesso pertuso” –, masochisticamente ci danneggia e ci condanna alla sofferenza interiore. Ma anche alla cristallizzazione della nostra miseria, materiale e psichica, perché la confusione è così parossistica da autoannullarsi, sicché il risultato è come se ognuno stesse fermo. In questo allucinante rodeo “noi bravi guaglioni siamo/partecipi, trepidi, ci diamo da fare”, ma, paradossalmente, “Immobile come sempre si muove il mare”. Il risultato è che tutto è allucinante e rovesciato. Basta pensare a quei tre brani che il poeta dedica al Palazzo di Giustizia, con le sue aule vuote, il giudice assente e l’ imputato che si avvale “della facoltà di rispondere”! Col finale tragico, perché “Fucilato alla schiena” il cittadino lo è sempre, anche in questo capovolgimento; in un mondo giudiziario arrivato veramente al capolinea, in un’aula di simile giustizia, che vinca o che perda, egli è sempre e il solo rovinato.


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C’è ironia grottesca e un dramma sottile e carsico, psicologico, provocato, a volte, dagli stessi personaggi che lo subiscono, nel quale si aggomitolano e si stordiscono fino al punto da credersi moderatamente normali e felici. “Alissa che fuma l’erba spinella e scrive lettere d’amore da un’improvvisata città marina” è l’esempio più emblematico di una tale ammuina, tra genitori separati, presenti e assenti, sballi, attenzioni sessuali comprese quelle del padre; Alissa che scompare e “manda messaggi appositamente per essere ritrovata” - come deduce il maresciallo. Ella vive una normalità torbida, una vita non vita, e dopo tante vicende allucinanti si sente ...realizzata e “cammina con un bambino ricciuto./Alissa senza sapere di primavera l’ha avuto.// L’uomo di Alissa si è faciuto manco./Il padre di Alissa le cammina di fianco”! C’è singulto in quel ripetuto “uto, uto, uto” e scoppio di pianto in quel “anco, anco”. Il poeta finge di sfottere, di canzonare, ma il suo cuore piange e la sua denuncia è inappellabile. Mascara - Diverse son le sillogi di Rossano Onano sorelle a Mascara (Primo Premio Città di Pomezia 2011), per stile, giochi verbali, provocazioni, evocazioni. La più prossima è Ammuina. Entrambe si distinguono dalle altre anche per un titolo così breve. Ed è da Ammuina che bisogna partire se si vogliono cogliere tutte le ambiguità e i travisamenti. Perché la poesia dello scrittore reggiano quasi mai è seriosa. Più che gravi, a nostro avviso, sono, invece, i temi trattati, mescolati a un linguaggio corrosivo e liquido, insidioso, pieno di buche, che molto spesso trae in inganno. Sabbie mobili: “scrivo/(...) dicendo il contrario di ciò che penso/infatti è ammesso/infatti non è concesso/che sia ugualmente lontano dalla verità/il contrario di ciò che penso/e ciò che penso/quando dico sfinito la verità”. Gli ammiccamenti sono continui e spiazzanti: verso la pubblicità televisiva, per esempio, il sesso, la storia passata vera o verosimile... Ironici, smaliziati come siamo e

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dotati di lieta, calda fantasia, ad aver tempo ci caveremmo tante fiabe equivoche (nel significato che oggi diamo al termine), o solamente sfuggenti, inafferrabili! Ma il tempo manca, come scriveva ironicamente Leopardi (che si riferiva all’uso della lima..). Accenniamo solo, perciò, ad alcune delle tante metafore o figure da doppio o triplo senso che s’incontrano. Rimandano alla pubblicità, la bellezza monumentale sfolgorante azzurri e biancori dell’incrociatore della Pacific Travel Group e del Mediterraneo Travel Group, con la sofisticata signorina delle prenotazioni, la quale, mentre tratta con i clienti, “tormenta il pearcing sulla narice affilata”; la “piroga maori” e “la vergine bruna”, che evocano le tante spiagge dorate delle vetrine delle agenzie turistiche, ma anche un recente spot per internet. Un prototipo l’abbiamo però in Morgana, bella lucertolona che “si spoglia sulla pietra incandescente”. Pure “Il pirata meticcio”, dalla finta benda sull’occhio, ci porta alla tv e al cinema, ai tanti film sul tema, affollati di bellissimi “figuri” d’ambo i sessi, tra ammazzamenti, colonne sonore urlate, effetti speciali; persino l’ autoaffondamento della nave è una cerimonia “spettacolare”... Richiami sessuali reca la ragazza che “scioglie il perizoma” attirando i naviganti più che le sirene Ulisse; Marina, che divora “il cuore come un’esca” e suggerisce il divaricare delle cosce, anche per l’accenno successivo al mare fecondato; il maschio che prepara “cucinati precotti” per la femmina che odora d’albume, con gli accenni alla “fossa delle marianne” (la caverna femminile tanta amata dagli uomini?) e al triangolo delle bermude (entrambi i termini sono indumenti che sanno di salsedine e d’altro); la sindacalista che sfodera “tutto il suo clitoride sul tavolo/delle trattative”, tra gli ammiccamenti e i sorrisi salaci della controparte; “la pubere/escort” dalla “spallina scoperta, bellissima”; la ragazza che viaggia chiedendo passaggi ai camionisti con “sotto le gambe sottili” la “commerciale/Via Fran-


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cigena”, metafora stracarica d’erotismo perché invita a figurarci, più che la strada da lei lungamente calpestata, il suo sesso logorato dall’uso... Al passato storico vero o verosimile rimanda, per esempio, il “vescovo conte”, che “Veste la maglia di ferro luminosa nel sole”... Si potrebbe continuare a lungo con similitudini, ambiguità, rimandi. Insomma, Onano non è noioso. Onano ama giocare, con le figure e con la lingua: “malcometto” (per Maometto), “peccata”...; le voci, veramente usate nel passato, hanno però richiami più vicini a noi: Gassman e il suo Brancaleone, l’uso spaccone e ironico che il grande attore, “il mattatore” per eccellenza, ne faceva sul set, nei salotti, nelle tante interviste tv. In questo pot-pourri di figure e suoni, Onano tratta - come già accennato - temi assai importanti e di grande impatto sociale. Via Turri è quella che immette alla Stazione di Reggio Emilia, abitata per l’ottanta per cento da extra comunitari e per il resto da indigeni in là con gli anni, senza neppure un bambino; la Stazione di Reggio Emilia è continuamente invasa da colorati, da venditori ambulanti (la “gente di mercanzia”), da prostitute (“la nigeriana bionda”); le lotte sindacali sono ormai prive di logici sbocchi, tra maschere, fracassi, slogans, parole scurrili: vere e proprie sagre delle vuotaggini, insomma, sicché, appena cala il silenzio, i lavoratori si trovano più poveri e meno tutelati di prima. Onano scherza amaramente con la sindacalista che mette sul tavolo tutto il suo clitoride, ma si individua facilmente da che parte sta e l’uso che farebbe del suo sorriso al vetriolo. Giacché la mascara copre, aggiusta, sta al lettore svelare e far sue le tante crude, amare verità. L’opera, edita nell’ottobre 2011, nel n. 101 de Il Croco - i quaderni letterari di Pomezia-Notizie -, ha ottenuto numerosissimi consensi, tra cui quelli di Tito Cauchi, Sandro Angelucci, Aldo Cervo, Roberta Cola-

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zingari, Mariano Coreno, Elisabetta Di Iaconi, Innocenza Scerrotta Samà, Marina Caracciolo, Nicola Lo Bianco, Silvana Andrenacci Maldini, Salvatore D’Ambrosio, Giovanna Li Volti Guzzardi, Laura Pierdicchi, Fulvio Castellani, Andrea Masotti, Adriana Mondo, Aurora De Luca, Giuseppe Melardi. Il sandalo di Nefertari - In genere, Rossano Onano ci fa penare prima di farci entrare nel suo mondo e nelle sue storie, spesso allucinate; ne Il sandalo di Nefertari (In copertina, a colori, “Nefertari tra le palme mentre lei sotto riposa”, di Roberta Durante - Edizioni Prufrock spa, 2016 - Pagg. 92, € 12), l’incipit è stranamente chiaro, cantante, quasi ballabile: Mi dai notizia della migrazione, della fuga nella terra odorosa di licheni, dove stentano gli alberi. Si aggirano solo lenti animali da tana. A quelle bianche aurore ti distendi consapevole che il sonno sarà lungo, senza abbagli. Di primo acchito, ci verrebbe da esclamare: Che bello! Finalmente leggeremo, di Onano, una storia lineare e fascinosa. Conoscendolo, però, non osiamo fidarci, non ci rilassiamo; rimaniamo in difesa, vigli, in attesa di qualche tranello che ci riporta nel bel mezzo delle sue immersioni, dei suoi, a volte, quasi deliri, dove l’atmosfera cambia ad ogni verso, tra luci e ombre improvvise, mutamenti altrettanto improvvisi anche di sesso, immagini e personaggi che si accavallano, il tutto velato d’ironia leggera e folle; rimaniamo in difesa anche perché il paesaggio dell’incipit non ci sembra proprio quello dell’Egitto, dove potremmo trovare alberi che stentano per una terra cotta dal sole, non già perché “odorosa di licheni”; i “lenti animali da tana” possono pure starci (almeno per le notti desertiche), ma i licheni! Proseguiamo, allora, nella lettura con cautela. Nefertari dorme il sonno eterno che sa-


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rà “lungo, senza abbagli”. L’afflitto Ramesse le cuce i sandali per l’Oltre tomba “a filo d’oro” e poi glieli calza. La storia sembra annunciarsi meravigliosa, anche se nostalgica, dolorosa. Ma ecco il trabocchetto. La vicenda Nefertari è finita e subito veniamo avvolti dal turbine di immagini di grande impatto sociale come altre volte abbiamo scritto -, spesso sarcastiche, di un quotidiano crudo: niente favole, ma quadri a volte dolenti e surreali da rasentare quelli di Brutti sporchi e cattivi di Ettore Scola, interpretati da Nino Manfredi. Una socialità profondamente sentita dall’autore, ma mascherata dall’ironia e, perciò, fatta nostra solo dopo più di una lettura; immagini e scene quotidiane - a leggere le cronache -, vere e a volte crudeli e folli, taglienti come rasoi, sibilline. Il contadino (è la nostra interpretazione e non assicuriamo sia quella giusta) rapinato (possiamo dirlo?) dal notaio che incassa una lauta prebenda senza il rilascio di “una qualche minuta/detrazione fiscale”. La terra non produce e così il povero coltivatore “a rischio di precipizio d’usura” è costretto a pagare in natura con “l’ultimo/vitello grasso, la speranza, le concubine”. Il sesso con la minorenne - stuprata o consenziente che sia (“Lieve, solleva la gonna sul cuore/la bambina che ha colto le margherite”) - dell’uomo solitario che la ricompenserà con “una bambola, la caramella d’anice, il cellulare”. La partita di calcio in simmetria con la partita della vita, con tanto di “arbitro cornuto” e giocatori che, invece di attenersi agli schemi studiati dall’allenatore, ne corrompono “la geometria”. Il sesso telefonico - praticato sia dagli uomini che dalle donne: i primi, “scegliendo nomi femminili in qualche modo rassicuranti/come Marta Maria Concetta” e, le seconde, “nomi maschili di pratica testamentaria/come Marco Matteo Luca” - e il gioco sui doppi e tripli sensi. Son tutti, infatti, nomi che riportano alla religione e ai Vangeli, compresi Gabriella (l’arcangelo Gabriele) e

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Giovanni, e “pratica testamentaria” allude ai tanti casi di cronaca di soggetti deboli che si fanno facilmente accalappiare e che, prima di morire, vengono indotti a fare testamento a favore di questi lestofanti dell’ amore online. I doppi sensi che rimandano alla religione sono tanti (“arca dell’ alleanza”, “quaglie/e manna”, “un santo cattolico e per giunta apostolico”, “trenta denari” eccetera) e in “una muchacha morena”, per esempio, l’incipit “Avendo digiunato quaranta giorni” ci riporta al Gesù dei Vangeli, ma tutto il resto non è certo edificante, compresa la fornaia dalla “lasca/occhiata” e dal “cupo sorriso”. L’ipermercato, frequentato dai vecchietti “con applicazione accanita”, anche in cerca di incontri e ...dell’ “ultima disperazione”. Potremmo continuare a lungo con le immagini, perché Onano è un cronista che canzona e sberleffa tutti, del presente (certi maniaci del PIL, per esempio, i vegani, il “famoso critico” d’arte di passaggio per Reggio Emilia) e del passato (Giulio II, Laura e Petrarca, la sposa del soldato “partito in guerra” che giace “nel lettone col dottore/che guarisce il suo dolore”; il figlioletto del povero soldato dorme lì accanto, prima cullato dalla madre - “Fai la ninna fai la nanna” -, mentre il poeta ci ricorda il titolo di una canzone di Lucio Dalla, “Attenti al lupo”: “a vegliarti fiero e cupo/nella notte viene il lupo”...). E Nefertari? Sparita fin dall’inizio, come abbiamo scritto. Siccome, però, nella poesia di Onano non manca il sogno, e siccome anche a noi piacciono ironia e paradosso, confondiamo l’ultima storia ed i soggetti, e, mentre chiudiamo il libro, ce la immaginiamo viva e in partenza col suo Ramesse: “Dalla strada un rumore terrestre come di cocchio/tratto da cavalli, cortesi, e intorno tanto silenzio”. Il cantare delle mie castella e Testimonio eternamente errante. La simbologia biblica nel primo e nell’ultimo Veniero Scarselli - Due volumetti di Rossano Onano per


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certi aspetti inusuali, ricevuti insieme, entrambi stampati dalla stessa Editrice, nello stesso mese e nello stesso anno e che abbiamo voluto leggere alternando a un cantare del primo un capitoletto del secondo. Alla fine, una strana sensazione s’era impadronita di noi, un quasi sdoppiamento tra presente e passato, ma con un attacco che, come disco rotto, girava e girava nella nostra testa, senza possibilità di fermarlo, pur riconoscendolo non perfettamente idoneo, né attuale, germogliato in noi senza una vera ragione: “C’era una volta...”. È che, in entrambi, versi e prosa ci son sembrati legati e per certi aspetti sovrapponibili, giacché storie e personaggi - gli antichi abitatori di castelli e il da poco scomparso Veniero Scarselli - hanno almeno un punto in comune: il potere di stimolare l’ immaginazione, di titillare la fantasia. Il ritmo affabulante che Onano crea attraverso la scelta e l’uso sapiente del verso e della rima ne Il cantare delle mie castella (Genesi Editrice, 2017 - Pagg. 64, € 8,00) e il taglio prospettico e scandagliante in Testimonio eternamente errante (Genesi Editrice, 2017 - Pagg. 88, € 9,00), accentuano un’atmosfera favolistica di letture da serate accanto a un camino scoppiettante, senza televisione che gracchia, naturalmente, e meglio ancora se fuori la Natura si scatena: C’era una volta... Solo che le storie di entrambe le opere non sono inventate per attrarre l’attenzione di bambini assonnati, ma fatti di cui s’è occupata prima la Storia e poi la leggenda - per quanto riguarda i cantari -, e uno Scarselli fuor del comune, s’è capace, a un certo punto della sua brillante carriera, di abbandonare impiego e agiatezza per ridursi a vivere di poesia e di speculazione nella campagna profonda e tra gli amici animali. I fatti che Onano racconta rievocando i castelli di Le Moiane, Moriano, Bassano, Oramala, Canossa, a volte son più che tremendi - basta citare Goffredo il Gobbo, assassinato mentre defeca -, ma sempre sfiorati dalla leggerezza e dalla soavità, quasi a

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volerci far capire che su di essi è passata la mano degli anni e dei secoli, durante i quali un popolo narrante li rivestiva ogni giorno di più della patina e della nebbia della leggenda, trasformandoli in quasi favola. Onano ha ottavi e strofe perfetti, quartine e rime in schema ABCB dal ritmo fascinoso, rotto solo alla fine di ogni cantare da un endecasillabo che suona disarmonico a causa dell’armonia che per tutta la storia si è annidata nel nostro cervello. Egli, insomma, da quell’arguto poeta che è, si comporta come un menestrello che per lungo tempo incanta e che poi, alla fine del racconto, si trasforma in folletto dispettoso, per riportare l’uditorio alla realtà attraverso una strimpellata bislacca. Il saggio - come già detto - è per Veniero Scarselli, poeta visionario e che cantava trasformando in fantastico quasi orrido tutto, anche ciò che siamo abituati a vivere - inconsciamente o meno - come ovvia normalità: la nascita, la morte, il mestiere di madre, oltre che le speculazioni filosofiche e scientifiche. Nelle sue visioni truculente Scarselli ci infilava non solo la Natura intera, ma anche Dio. La differenza tra lui ed Onano sta solo nel modo del raccontare. Scarselli è serio, Onano ironico; perciò chiaro e leggero in Onano, affabulante fino ad ottundere le brutalità delle storie; altrettanto chiaro ma spesso inquietante in Scarselli, al punto da rendere impressionante anche ciò che, inconsciamente o meno, si è soliti considerare ovvio e banale. Il nostro apprezzamento per Scarselli non è stato mai totale, né lui ha totalmente apprezzato le nostre cose; ma in una delle sue tante lettere - alcune, oggi, presso la Biblioteca di Anoia (RC) -, egli si felicitava con noi perché, anche noi, e, in pratica, prima di lui (il nostro Scaldapanche! è del 1956), avevamo rivalutato, riportato in auge il poema. Con lui abbiamo avuto qualche attrito e proprio a causa di Onano. Nel gennaio 2010 gli abbiamo ospitato, su Pomezia-Notizie, il lungo saggio “Onano desnudo. Chirurgica


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esegesi della poesia di Rossano Onano”, ma esprimendogli alcune nostre riserve. Divenne all’improvviso un po’ strano, asserendo di non ricevere più il mensile, tanto che, esasperati, gli abbiamo restituito, attraverso un assegno postale, l’intero abbonamento a solo uno o due mesi dalla scadenza. “Onano Desnudo” - dicevamo - appare nel gennaio 2010, numero che egli riceve regolarmente, per poi negarlo in una sua del 16 maggio dello stesso anno, quando protesta e giura di non ricevere più Pomezia-Notizie “dall’anno scorso”. “Non so neanche le reazioni del pubblico alla mia “benevola stroncatura” ad Onano. Non sarai mica arrabbiato?” Domenico Defelice Numerosi sono stati i messaggi di cordoglio ricevuti alla notizia della morte di Onano. Eccone alcuni: Sandro Gross-Pietro: Sì certo, l’ho saputo il giorno stesso, dopo poche ore, purtroppo non ho potuto partecipare alle esequie che erano di martedì, e io avevo un'intervista televisiva, ma ovviamente ho subito chiamato la moglie. Certo, anch'io dedicherò una sorta di numero speciale a lui, ma uscirà solo in autunno. Rossano è un uomo di straordinaria educazione e sensibilità, oltre al fatto che è certamente uno dei miei più affezionati amici. Noi tutti sappiamo che è anche un ottimo poeta, il suo nome resterà. Rimarremo nella sua scia. sandrogp *** Marina Caracciolo: Mi dispiace moltissimo per Rossano Onano, mi pare che non fosse neanche tanto anziano... Mi ero stupita già due anni fa quando pur avendo conseguito il primo premio assoluto per la saggistica ai Murazzi non si presentò alla cerimonia, forse non stava già bene... Era un uomo acuto, intelligente, di profondità e perspicacia. Un'altra persona di grande valore che se ne va! C’est la vie… Un saluto affettuoso da

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Marina *** Ilia Pedrina: il suo sorriso mi è dentro: se mascherato da profonda solitudine, volevo chiederti la sua email, prima di preparare il pezzo su lui e te, insieme, in piazza d'armi, con dietro le mie spalle l'ironia argutissima di Alessandro Tassoni... Mi mancherà il suo equilibrio nell'attraversare le minime pieghe della psiche: l'ho cantato in quei pochi endecasillabi che ti ho inviato, quando ha fatto il viaggio a Gerusalemme (…) ... ti manderò riflessioni che via via ho annotato quando leggevo da lui il riverbero delle tue esperienze... come il Patriarca Abramo... la sua anima ora è libera, veramente... e mi è arrivata di fronte, attraverso l'arcobaleno, doppio, completo da entrambi i lati, evento rarissimo, dopo aver 'subito' in macchina la grandine ed atteso, con pazienza, il suo profilarsi di fronte, inconfondibile segno di grande tensione positiva! I suoi lavori sono magia, perché hanno dentro proprio l'essenza della sua anima. Troverò le cose su MASCARA, credimi, mi verranno da sole sotto gli occhi... sono commossa perché il suo distacco insegnava mitezza. in abbraccio Ilia tua *** Carissimo Domenico, questa tremenda notizia mi ha sconvolto, che caro e dolce amico, mi dispiace tantissimo, un altro grande collaboratore della nostra POMEZIA-NOTIZIE è andato via, è un gran dolore per tutti, ma sarà così anche per noi, purtroppo con l’età dobbiamo partire... ma è sempre una tristezza infinita. Dai se puoi, le mie sincere condoglianze alla Famiglia. Fai coraggio e continua con tanta salute e tanta forza con la nostra meravigliosa Creatura. Ti abbraccio con tanto affetto. Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.) *** Claudia Trimarchi:


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Carissimo Domenico, mi dispiace tantissimo, una mente brillante, una grande perdita. Dai suoi scritti trapelava un uomo forte e un sano attaccamento alla vita, mi resta difficile credere che si sia lasciato andare, che non abbia combattuto... forse se ne era accorto troppo tardi... spero non abbia dovuto patire tanti dolori prima di andarsene. Mi unisco al tuo dolore e ti abbraccio. Claudia *** Firenze, 25 aprile 2019 Per Rossano Onano Mio caro amico, ieri con un cielo cupo e la pioggia, ho saputo che non eri più tra noi. Ti ho pensato a lungo e ho avvertito la tua presenza, dolce, caustica e ironica a un tempo; ancora vitale nel tenero verde di questa bizzarra primavera. L’amicizia non si spenge per i colpi del destino; resta la testimonianza del nostro essere stati ed essere ancora. Non so quale sarà il sembiante da te scelto; per me resti parola vibrante. Ricordo il nostro primo incontro a Firenze, alle Muse nel 2012. Ti precedeva la tua notorietà e il tuo generoso partecipare. Eri circondato da Signore del mondo letterario. Tu gentilmente prendevi i loro libri. Mi feci avanti e ti consegnai Il richiamo dell’acqua. Poi partisti alla volta di Reggio Emilia. Nel giro di una sola settimana mi è giunta la tua risposta: “il suo libro era quello che maggiormente mi incuriosiva, attratto dalla fama del suo nome e dalla comune frequentazione con la Genesi Editrice. La sua poesia ha una forza lirica e una profondità direi metafisica…che sinceramente le invidio. La chiusa ‘Al limitare del giorno’ mi ha tenuto impegnato per tutto il resto del viaggio”. Questo tuo bellissimo commento alla mia poesia assume adesso per me valore di commiato alla tua figura perché “Nasce da un piccolo sole,/ quello del ricordo/ Lontano le ombre/ nei meandri dell’ acqua/ che fu madre all’inizio/ Il sipario è cala-

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to/ Sopra un tetto di stelle”. La nostra amicizia si è consolidata con scritti e scambi reciproci. Non ti sottraevi mai quando ti chiedevo una indagine psicologica sui miei racconti, frutto di tormentate e irrisolte visioni oniriche. Rispondeva lo psichiatra e l’artista e mi avvolgeva la tua ampia competenza legata al colore e alla pittura. Alcune tue parole sono rimaste in me: – “Rimane fortunatamente il mistero irrisolto del colore della copertina ‘rosa’ come il sangue slavato”. Parla il medico con la sensibilità dell’artista. Tu, intuitivo maestro, sapevi cogliere l’atmosfera: “il già visto”. Hai saputo con le tue parole darmi certezze nate da stima reciproca, sensibilità, amicizia. Le tue lettere sono qui, accanto a me sparpagliate sul tavolo. Hai saputo penetrare la mia anima e ti sei più volte soffermato su alcune poesie anche da me predilette come Per Mauro del 1986. È l’uomo, lo psichiatra, il poeta che parla. Così la tua indagine mi ha arricchito e coinvolto dandomi certezze. Mi ha aiutato a credere in me. Con riferimento alla poesia suddetta tu scrivi: “dialogo fra l’Io e i fantasmi introiettati dell’Io è tormento e affetto dell’anima”. Non posso non ricordare i tuoi collegamenti con la pittura a te congeniale. Associasti la figura femminile di un mio racconto Blu a Balthus, dicendomi: – Il perché dell’accoppiamento, infatti mi è ignoto. Balthus era un grandissimo. – Grazie Rossano, la tua parola mi ha sempre protetto, aprendomi la strada per procedere. Conservo e rileggo i tuoi interventi su “Pomezia Notizie” e “Vernice”. Fanno scuola; sono spontanei e privi di retorica. Amico, voglio credere che la tua mente e il tuo cuore non ci abbiano abbandonato ma restino tangibili nel mondo che ci circonda come un vento inquieto di primavera. Tutto il mio ricordo e l’orgoglio di esserti stata amica. Anna Vincitorio


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BRUNO ROMBI: QUANDO MUORE UN POETA? di Liliana Porro Andriuoli

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NA poesia dai frequenti risvolti metafisici e percorsa a tratti da un sentimento di assorta pensosità, specie se rivolta a considerare il nostro umano destino, è quella che Bruno Rombi ci offre in questo suo nuovo libro Quando muore un poeta? apparso in Romania, nelle Edizioni Studia di Cluj Napoca, con la traduzione romena di Ileana Damian. E ciò lo si ricava sin dalla prima lirica della raccolta, Il bilancio, che così inizia: “Si giunge al punto/di non capire più la vita / per quanto la si guardi / da interno ed esterno / e nel frattempo si pensi / a quanto si è lasciato / e si poteva fare, / a quanto si è perduto / per sempre”. Versi pensosi questi, che bene esprimono i momenti di affanno e di sconforto che a ognuno di noi è capitato di dover affrontare durante la propria vita. Passano gli anni, volgono le stagioni ed ecco che improvvise nascono in noi le assillanti domande, che ci assediano la mente e ci portano a riflettere sul senso del nostro cammino terreno. Destatici dal nostro torpore ecco infatti che ci troviamo a tu per tu con una vita che più non s’intende e che invano tentiamo di decifrare. S’infittisce così per noi il mistero che ci circonda; mistero che anche Bruno Rombi intensamente avverte come uomo ed efficacemente esprime come poeta, con questa significativa immagine: “Un buco, un tempo visibile appena,/diventa ogni giorno più ampio. / Stranamente si estende / in profondità e in ampiezza…” (Il bu-

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co). Questo buco che si dilata e tutto inghiotte diviene allora per lui come il simbolo dello smarrimento cosmico; sicché egli giunge a dire: “E tu oscilli cercando / di comprendere il senso / di questo oscillare degli spazi, / temendo che un giorno / si chiudano” senza lasciare con ciò più luogo alla speranza (Ivi). E, col passare degli anni, viene anche il tempo in cui, in attesa di quel terribile “giorno”, ci volgiamo indietro per fare un bilancio di ciò che abbiamo raccolto e di ciò che abbiamo perso; e forse avvertiamo anche che l’animo un po’ duole per il “rimpianto” di quell’amore “che mai abbiamo avuto” (Rimpianto). Nascono così in noi delusione e sconforto e nuovamente spontanee ritornano le assillanti domande: che vale aver attraversato la vita, aver goduto dello splendore dei mattini e della pace dorata delle sere, se (“all’improvviso sfrattati / da un padrone severo”) verremo “cassati da un colpo di spugna / dalla lavagna del mondo / dove abbiamo dimenticato, / partendo, / una frase che nessuno ricorda”? (Come un filo di fumo). Tutto il male sofferto e tutto il bene goduto saranno allora per noi persi per sempre e precipiteremo così in un baratro senza fondo, trascinati da un vortice invincibile ed arcano. Quale valore ha dunque tutto il nostro affaticarci se la conclusione è quella di trovarci soli e chiusi nel cerchio della nostra sconfitta? È ciò che appunto si chiede anche Rombi, il quale nella poesia Alla fine ci confida: “Alla fine tu sei, / pur senza averne coscienza, / l’ uomo solo come ogni uomo / che solo nasce, e vive, / ed anche muore, / … / illuso, e qualche volta esaltato / da una meta raggiunta”. (Versi che ci fanno tornare alla mente quell’ uomo che s’avviava “solo” al traguardo della sua vita, che avevamo incontrato nella poesia Un viaggiatore1, appartenente alla silloge Il battello fantasma, del 2001). Anche soltanto i pochi versi sopra citati ci sembra siano sufficienti a dimostrare come

I versi della poesia in questione recitano: “Il viaggiatore è solo / perché quel viaggio compete / a ogni individuo soltanto”. 1


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Bruno Rombi (e con lui ogni vero poeta) divenga un ottimo interprete del nostro comune sentire; e ciò perché, essendo la poesia universale, interpreta non soltanto il proprio vissuto, ma anche quello di tutti gli uomini. È quanto emerge da un libro come Quando muore un poeta? dove un po’ dovunque s’incontrano passi di ottima resa stilistica e di profondo pensiero, capaci di farci soffermare, dato che in essi troviamo la compiuta espressione del nostro animo, del quale l’autore ha saputo captare e rendere i più diversi sentimenti. Un’ulteriore testimonianza di questa capacità di introspezione e di comunicazione di Bruno Rombi ci è offerta anche da un’altra poesia della silloge in esame, intitolata La voce segreta, che così inizia: “Mi chiama sovente una voce segreta / che alberga, discreta, / in un angolo buio / della vita passata”. Ed ecco che quella voce sa far rinascere nel poeta che l’ha percepita ricordi e passioni che credeva cancellati per sempre; gli “attimi spenti / nell’oscuro percorso” da lui un giorno vissuti. Egli allora cerca di intendere il senso di quella voce e di penetrare l’enigma che la regge, sicché avanza “con ansia malinconica” nel varco dei giorni che gli sono concessi: “Io tento ancora / da tempo / di dar senso all’ enigma / che in sé sempre nasconde”. Ma si veda pure Vita di un bimbo, dove “quel bimbo” che “ogni tanto” rinasce con un piglio deciso, / ma dolce” e “Si muove tra i segni / del tempo”, rivedendo come in un film tutta la sua vita passata, alla fine si chiede se non abbia “vissuto per niente”. Certo, Rombi qui parla di sé, della propria esperienza di vita, ma allo stesso tempo si fa interprete di un comune sentire, entrando in risonanza con il lettore, che rivive così i percorsi del proprio passato. Se dunque il poeta è l’interprete del nostro comune sentire, diventa allora legittimo alla domanda Quando muore un poeta? rispondere che egli muore allorché tale attitudine ad interpretare il nostro comune sentire si spegne in lui. Ed è appunto ciò che Rombi stesso scrive nella poesia eponima della silloge in

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esame, dove leggiamo: “Muore un poeta / quando il cielo non ha più colore, / le stelle cadono nel vuoto / e l’Universo piange / la perdita del suo senso. / Muore un poeta / quando il cuore più non ama”. Colui che è l’interprete dell’umano sentire diviene pertanto impotente allorché il mondo esterno non lo attrae più, perdendo per lui ogni fascino ed ogni significato, sicché cessa la ragione del suo operare e sorge in lui la domanda: “Ha poi un senso scrivere ancora?” Ed è questa una domanda che Rombi si pone nella poesia La piramide, dove ci confida come “scrivere” gli appaia ormai una fatica “inutile”, e per di più, pesante come quella degli schiavi intenti a fabbricare le piramidi. Sono questi i momenti sofferti, nei quali pare che al mondo non esista più nulla che per noi abbia un senso. Ma, fortunatamente, sono momenti transitori dato che, come ben sappiamo, nella vita quotidiana di ciascuno di noi, a quelli di sconforto si alternano momenti di gioia; a quelli di tristezza fanno seguito quelli di serenità, sicché ogni uomo prosegue il suo viaggio terreno attraverso luci ed ombre, in una continua varietà di stati d’animo. Ed è lo stesso Rombi che ci confessa tale sua condizione esistenziale in una poesia intitolata E poi il cielo, dove leggiamo: “E poi c’è il cielo a dirci / che la vita è chiara e luminosa, / oppure in tempesta”. D’altra parte, anche se talora “le ombre” offuscano “la luce”, il nostro poeta è perfettamente consapevole di dover “percorrere” una “strada, lunga e ignota”, che lo condurrà in un “mondo un po' strano / che, a prima vista, un po' incanta / e un poco spaventa”; un luogo però particolarmente luminoso, “dove il sole, immenso, / splende anche di notte” (Una strada). Il che apre uno sprazzo di sereno in un contesto piuttosto pessimistico, qual è quello di questo libro. Ed è forse proprio in virtù di tale prospettiva che, seppure un po' timoroso, Rombi trova la forza di proseguire il suo cammino, nonostante la fatica e la sofferenza che esso comporta. Di differente impostazione è La mia arroganza, una poesia nella quale si fa avanti il


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Rombi poeta civile, dal momento che ad affiorare in essa non è soltanto l’uomo “che non ama che le punture / del vento del Gennargentu, / che pulsa forte nel [suo] sangue”, ma da essa affiora anche l’uomo dalle “ossa indurite / dalla fatica di millenni”2, da quella fatica propria dei contadini e pastori “della sua terra”, delle cui sofferenze (come d’altra parte è avvenuto spesso in tutta la sua precedente produzione) Rombi si fa qui nuovamente interprete. Ed è questo il Rombi che, dopo essersi dichiarato “sempre pronto a lottare / per la giustizia terrena”, si dice disposto a chiedere perdono a Dio per la sua “arroganza” nel reputarsi “un Giusto”. Si veda ancora come il motivo civile, in modo velato e sottilmente ironico, affiori ad esempio anche dalla poesia E poi che dire, dove si possono leggere questi versi: “Si ordina, si comanda, si dispone, / col sorriso sulle labbra / mentre nel cuore arde / la febbre del potere / sul petrolio e l’uranio”: versi che ci fanno tornare alla mente altri precedenti versi di Rombi nei quali egli si scagliava contro l’ingiusto sfruttamento dei Paesi più poveri da parte dei “Poteri forti” dei Paesi ricchi. (Si veda ad esempio la poesia Ho raccolto le belle parole, di Come il sale / Precum sarea3,

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Tornano qui spontanei alla memoria alcuni versi del libro dedicato da Rombi al noto scultore sardo Costantino Nivola, che ci ricordano: “… il portatore di ruota, / il portatore di scale, / l’uomo con le fascine: / tutti uomini che hanno, / sul volto, / la maschera dei nostri avi / e il taglio netto, deciso sui loro corpi / delle lamine di miseria / che hanno nei secoli / modellato i nostri muscoli, / stirati i nostri nervi / e scavato i nostri dorsi, / come sulle groppe degli asini, / il peso delle nostre some / al sole, al vento, alla pioggia / nella terra di Sardegna, / in ogni terra del mondo / dove il pane è anche fiele” (A Costantino Nivola, Nemapress, Alghero, 2001, con la traduzione a fronte in inglese di Oliver Friggieri). 3 Interessante notare come anche la silloge del 2007 fosse in edizione bilingue, italiano e rumeno (analogamente a quella che stiamo analizzando), e come anch’essa fosse stata pubblicata in Romania, seppure da un editore diverso (Editura Nona di Piatra-Neamt).

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una silloge del 2007 oppure si vedano alcuni versi4 del poemetto Tsunami – Oratorio per voce solista e coro5 (2005), nel quale con maggior veemenza abbiamo sentito levarsi la sua voce contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo). Vorrei citare ancora, prima di concludere queste mie brevi osservazioni sulle poesie del nuovo libro di Bruno Rombi, due testi: uno di carattere intimistico e l’altro di stampo sociale. Il primo s’intitola L’ultimo nostro treno, dove il motivo caproniano del treno che ci conduce nell’Aldilà viene ripreso e sviluppato da Rombi con disinvolta bravura. “Sarà un treno veloce, / oppure accelerato, / a seconda del peso / d’ogni passeggero, / ma partirà deciso / per ogni stazione d’arrivo / a ciascuno destinata”. Nella poesia intitolata Nel caos, che nasce invece da un motivo sociale, ancora una volta il poeta manifesta il proprio sdegno verso quegli uomini i quali, “nel vortice della propria sufficienza, / dispongono il futuro / a misura propria per tutti”. Il che viene a creare una condizione di insostenibile disuguaglianza tra i detentori del potere e coloro che “ubbidiscono, inconsci / o succubi solamente” alle altrui decisioni. Il libro volge qui al suo termine e ci sembra di poter dire che esso costituisca una ulteriore riprova delle capacità espressive del poeta Bruno Rombi, del quale interpreta compiutamente i più sottili sentimenti; e di poter dire inoltre che esso rappresenti un’altra felice tappa del suo itinerario poetico, degnamente aggiungendosi ai già molti da lui pubblicati negli anni. Liliana Porro Andriuoli RUNO ROMBI: QUANDO MUORE UN POETA?- (Studia Editore, Cluj Napoca, Romania)

Si vedano versi quali: “I bambini che crescono in Brasile, / in Nigeria o in Thailandia, / suonano chitarre di costole / e, con sbadigli famelici, / invocano una ciotola d’amore”; oppure: “Nessuna nenia si canta / per i bimbi ingoiati dall’acqua / nella loro tristissima infanzia”. 5 Tsunami fu pubblicato in Italia, in quattro lingue: italiano, francese, inglese e rumeno. 4


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LA “FINZIONE VISSUTA” DI PIRANDELLO (1867-1936) di Luigi De Rosa

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RAZIELLA Corsinovi, docente di Letteratura Italiana e di Storia del Teatro e dello Spettacolo all'Università di Genova, tiene fede alla sua solida fama di saggista e studiosa, specializzata nell'opera e nel pensiero di Giacomo Leopardi e di Luigi Pirandello. Proprio a quest'ultimo, al narratore e drammaturgo siciliano insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1934, è dedicato il suo ultimo, approfondito saggio intitolato La “finzione vissuta”. Percorsi pirandelliani tra filosofia, psicologia, drammaturgia. Il Geko Edizioni – Recco (Genova), 2018. Si noti: finzione. Nel senso che la vita è di per se stessa una finzione, un coacervo di convenzioni, una costruzione che viene scambiata per la realtà. Anzi: che è, essa stessa, la realtà. Si tratta di un centinaio di pagine corpose e

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intense, che pur nella loro formulazione tecnico-scientifica e nel linguaggio pregnante, scorrono sempre limpide ed essenziali, gettando un fascio di luce intensa sui rapporti che intercorrono fra la scrittura di Pirandello (sia quella dei romanzi e racconti che quella per il teatro) e la Filosofia e la Psicologia del suo tempo. Si tratta di un libro che ci aiuta a penetrare nel mondo pirandelliano gustandolo nella sua vera essenza di pensiero e di emozione. Pirandello non è uno scrittore disancorato dalla Scienza e dalla Filosofia degli anni in cui vive. Non lascia nulla al caso o alla genericità. E' puntiglioso, esigente. La laurea in Lettere l'ha conseguita a Bonn, in Germania, ma l'ha convalidata in Italia, e vi ha aggiunto una fame insaziabile di cultura, di internazionalità, anche se è piaciuto a Mussolini (e il Fascismo, anche con tanti limiti e distinguo, non è dispiaciuto a lui). Arriva fino al Nobel, e con lui un italiano viene acclamato nel mondo della cultura. Difende il suo punto di vista con tenacia incrollabile. Solo l'infelicità nella sua vita privata e familiare può arrivare a fiaccarlo, ma relativamente. Anche se la malattia e la morte della moglie sono durissime da sopportare. E anche se i tentativi d'amore per Marta Abba, la sua giovanissima attrice protagonista, non gli danno la pace di cui ha bisogno. Dopo avere studiato e assimilato la filosofia della durata e dello slancio vitale di Henry Bergson, e quella dell'irrazionalismo vitalistico di Gabriel Séailles, senza dimenticare la peculiare importanza della psicologia di Alfred Binet, egli ha una visione disincantata e precisa della vita umana e della società presente e, avvalendosi di quei prismi interpretativi, ci racconta nei romanzi e nei testi teatrali, ma anche nelle novelle, la realtà essenziale dei drammi umani. Al di là delle apparenze e delle cogenti convenzioni sociali, ci racconta e rappresenta la realtà della “finzione vissuta”. I parametri per conoscere la realtà sono ormai vecchi e superati. Sono inservibili, per una realtà che, oltre tutto, è come il noùmeno


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di Kant, cioè è inconoscibile. A questo risultato è arrivata anche la Scienza (vedi Einstein, tutto è relativo, vedi Heisemberg, Popper ed altri).” La finzione, dunque, è ciò che domina il rapporto dell'uomo con la realtà e con se stesso, in una continua creazione, variabile e relativa, di verità senza realtà... Per la saggista Corsinovi l'individuo, costretto a scambiare per realtà ciò che è soltanto una struttura fragile e mutevole della psiche, è intrappolato dentro una rete di forme vuote, di finzioni dell'anima, di finzioni delle parole, al di là delle quali esiste un oltre, inaccessibile e misterioso. Solo nella finzione l'uomo può esprimere ciò che si agita dentro di lui: pupo, maschera, attore, egli recita sul palcoscenico dell'esistenza, esattamente come a teatro. Non a caso, l'equazione vita-teatro ha, per Pirandello, un significato totalizzante, e gli consente, una volta diventato regista e capocomico, di rivalutare la figura dell'attore, per lungo tempo ritenuta un male necessario e una copia degradata del personaggio.” Nel romanzo Uno nessuno centomila a un certo punto Pirandello dice: “Ci fosse fuori di noi una realtà, per voi e per me, ci fosse una signora realtà mia e una certa signora realtà vostra, dico per se stesse, uguali e immutabili. Non c'è. C'è in me e per me una realtà mia: quella che io mi do, una realtà vostra in voi e per voi, quella che voi vi date; le quali non saranno mai le stesse, né per voi né per me.” Al relativismo di Einstein corrisponde il relativismo di Pirandello. L'obiettività scientifica non esiste, così come non esiste l'unità della coscienza. “L'anima dunque non esiste (come già diceva il Leopardi) se non come ipotesi della mente, puro suono nominale privo di contenuto, ed è ridotta a un non luogo, a una piazza, ad un campo di eventi in cui tutto è vero e tutto è falso, a seconda delle circostanze e del momento...L'uomo, per Pirandello, è caduto per caso dal flusso incessante della materia cosmica, ed è intrappolato nell'esistenza senza sapere come e perché. Luigi De Rosa

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PENSIERI ACCANTONI… Pensieri accantoni, sentimenti ed angosce, se qualcuno è con te, e riesci pure a sorridere, in superficie. Ma tu, preferisci restare sola, col tuo dolore, con la tua solitudine. E quando tale ti ritrovi, torni te stessa. L’animo a pezzi, le mani in grembo, ti guardi intorno smarrita, riscopri il rimosso e piangi, come bimba rimasta orfana. Chi, nel vuoto che ti circonda, percepisce il tuo lamento? Forse tu mi sei accanto, mi ascolti, mi accarezzi, mentre invoco il tuo nome e tra le lacrime dico: “Perché te ne sei andato?” Antonia Izzi Rufo Da Perché tu non ci sei più - L’Autore Libri Firenze, 2012

AALELUIA! AALELUIA! ALLELUUIAAA! 6/5/2019 Feroce quanto ottusa polemica per la presenza, alla Fiera del Libro di Torino dal 9 al 13 maggio, della casa editrice Altaforte ritenuta di marca “fascista”. Addirittura, denuncia in Procura per “apologia di fascismo”. Alleluia! Alleluia! La dimostrazione - ma non ce n’era bisogno - di quanto fascista sia l’antifascismo nostrano. La vera democrazia sta nel confronto. Ci sarebbe democrazia senza tirannia, bellezza senza bruttura? Cari buonisti, avete mai pensato che la vostra esistenza è dovuta solo ai cattivisti? Domenico Defelice


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Una gradevole raccolta di ANTONIO CRECCHIA tutta da vivere e meditare

NATALE IN VERSI di Anna Aita

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REDO che Antonio Crecchia sia tra gli autori più confidenziali e amichevoli del nostro tempo. Non manca mai di una telefonata per avere notizie o inviare, in tempi festivi, il suo affettuoso augurio. Sempre presente, sempre garbato, quest’anno ha voluto ancora di più facendo pervenire i suoi auguri accompagnati da un grazioso omaggio: un testo di poesie. Parlo, e non mi converrebbe dirlo, del Natale ‘18, visto i mesi passati senza che abbia scritto per lui due pa-

role. Purtroppo il mio tempo diventa sempre più corto e gli impegni sempre più lunghi. Un libretto carino. Leggendolo, non so perché, mi pareva di scorrere con lo sguardo le immagini di un presente. Pagina dopo pagina è possibile, infatti, leggere la storia della nascita di Gesù. Per noi, suoi amici, ha voluto raccogliere le poesie natalizie scritte nel corso degli anni per non lasciarle morire in un cassetto ma fare circolare insieme al suo affettuoso pensiero. Scorriamo le pagine e ritroviamo l’attesa, l’ansia, la gioia di una nascita speciale, unica: “Anche il vento ha smesso di soffiare / e placida l’acqua scorre senza mormorare / ...Sulla terra, la lunga attesa sta per finire, / Gesù, il diletto figlio di Dio, sta per venire”. Fervono i preparativi e da tante labbra si elevano preghiere; sentimenti di uguaglianza

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e di amore nelle implorazioni di tutti: “Ti prego affinché tutti i nostri fratelli / abbiano il loro lavoro e il loro pane quotidiano”. E, intanto, “Una cincia canta e salta nella fitta siepe / come a rallegrar quell’insolito presepe; / Dormono le mandrie, riposano i custodi / e nella valle sotto di loro /, nulla s’ode oltre il ruminar dei bianchi agnelli”. L’itinerario poetico di Antonio Crecchia ci dà una visione chiara del suo gusto letterario e, nel caso specifico della raccolta “Natale in versi”, lo fa ovviamente attraverso componimenti ispirati ai motivi natalizi che, in vari aspetti, tendono a rappresentare la vita esemplare dell’essere umano. Un libro leggero in cui la poesia aleggia limpida e dove è possibile ammirare sobrietà di stile. Soprattutto si evidenziano tra le pagine, una profonda fede, la cultura di un autore affermato e la sua estrema sensibilità. Possiamo considerare, questa strenna natalizia, uno stimolo per il lettore che vuole ritrovare e rinnovare le emozioni di questo santo periodo e un invito sottinteso al viverlo con una più sentita spiritualità. Anna Aita

SOLE SICILIANO Ascolto il canto del mio universo, dove splendono gli aranceti in una primavera senza tempo, mentre limoni e mandarini urlano in coro, sotto lo sfavillìo del loro smagliante vestito color del sole siciliano. Un grido d’amore che fa venire i brividi al solo pensiero di dover ripartire, senza poter dire quando sarà un altro ritorno! Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)


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Ricordando

PETER RUSSELL

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L Poeta inglese Peter Russell, nato a Bristol il 16 settembre l92l e cresciuto a Glucestershire, dimorò per trent’anni in Italia, a Pian di Scò (Arezzo), dove aveva posto la sua definitiva dimora nel 1983. Autore apprezzato di numerose opere letterarie tradotte in diverse lingue, docente universitario in prestigiose Università internazionali, tra cui la Imperial Accademy of Philosophy di Teheran, considerato "l'ultimo dei grandi moderni", morì a San Giovanni Valdarno il 22 gennaio 2003. Notissimo nel panorama letterario internazionale, venne in Molise due volte: il 23 agosto 1999 per ritirare il Premio Nazionale di Poesia "Eugenio a Frate" a Rionero Sannitico, e nel mese di aprile del 2000 per ritirare il "Premio Venafro". Il nostro collaboratore Antonio Crecchia ha tradotto alcuni "poems" di Peter Russel, suscitando l'interesse e l'ammirazione dell' Autore, che così scriveva il 22 luglio 2000'. «... Penso ad un libro che sarà più tuo che mio. Cioè le traduzioni crecchiane, non letterali come tutte le altre.." Proponiamo un sonetto di Peter Russell con la traduzione di Antonio Crecchia.

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Moments of blessed calm, serene and clear, The atmosphere pure conductivity. Silent, the leonids fall bright and free And skid across November's hemisphere, Searing dark space only to disappear Just where who knows - their autumn trajectory Mapped maybe by the astronomers (not me!), Lost in the dark - but they'll come back next year. Life with it's ups and downs, and right and left, It's progress and reaction, out and in, Fake ideologies, unbased opinions. Maybe they're right who say "there's nothing left" "Culture is finished" and "you just can't win" -' The old grey gander soars up on his pistons. Peter Russell Pratomagno, 22 November 2000. Momenti di calma beata, serena e senza ombre, In un'atmosfera di pura conduttività, silenziosi Sciami di meteoriti cadono liberi, luminosi, E scivolano attraverso l'emisfero di novembre, Lasciando lo spazio buio all'improvviso svanire Proprio dove chi lo sa - la loro autunnale curva è Stata forse segnata presso gli astronomi (non me!) Perduti nel buio - ma poi torneranno ad apparire. La vita è sopra e sotto, sta di qua e sta di là, È progresso e reazione, è dentro ed è fuori, È inganno ideologico, insieme infondato d'opinioni" Hanno forse ragione alcuni a dire ,”è qui e non là” "La cultura è finita e tu non puoi tenerla in cuore" Il grigio vecchio sciocco veleggia sui suoi pistoni. (Trad. Antonio Crecchia)


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UN’ITALIA DA BASSO IMPERO di Domenico Defelice

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EGLI anni cinquanta e sessanta, abbiamo avuto il miracolo economico e di vero miracolo s’è trattato; fulgido ma breve, perché, i miracoli, son come i fulmini. Poi, è venuto il tempo del Centro democratico, imperniato sulla Democrazia Cristiana, un autentico vivacchiare, tranne rari sprazzi di concretezza; in sintesi, almeno tre quarti di delusione. Un fallimento il Centrodestra. Ed ecco il Centrosinistra, totale disastro, perché, al fallimento economico, aggiunse quello morale, i cui strascichi deleteri son vivi, purtroppo, ancora oggi e trovano esempio concreto in quel cartello sbandierato dalla Monica Cirinnà alla Festa della donna del 2019: “Dio Patria Famiglia che vita de

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merda”. Chi di noi ha un briciolo di cervello sa chi sia la merda vera. Gli Italiani, disperati, delusi da croce, falce e martello, animali e piante e dal sole che ride, si son rivolti, ultimamente, alla Lega di Alberto da Giussano e al Movimento cinque stelle d’un saltimbanco buffone. Risultato? Ancora fallimento. Questa nostra Italia è sgovernata da sempre, perché non ha avuto mai governatori, ma approfittatori vogliosi solo di potere personale e di ricchezza. Il Miracolo economico fu uno sprazzo di luce, un attimo, come un attimo è stato l’ Impero romano se guardato all’interno di secoli e secoli di autentica decadenza. All’Italia, insomma, si addice il Basso Impero. Big Bang, di Angelo Manitta, è veramente “Canto del villaggio globale” come recita il sottotitolo e ci sono, in esso, in particolare, almeno due capitoletti nei quali gli approfittatori dell’Italia moderna son metamorfizzati negli approfittatori del Basso Impero, in coloro che, a poco a poco, il vero Impero l’han fatto crollare. Si tratta dei Canti LVII, intitolato “Reticulum Ombre guerriere” e LXX “Chamaeleon Spumose maree” Ne diamo solo qualche cenno. Giulio Andreotti viene interiorizzato, per esempio (a volte, i cloni, son più di uno), in Costanzo Cloro, “il re della corruzione,//l’ imperatore che perseguita i buoni, il mafioso sciolto dai giudici dei tribunali imperiali”. Marco Pannella “e la sua combriccola” si son distinti per “lo sciopero della fame e della sete”. Le autentiche insulsaggini di donne come Rosy Bindi, Mara Carfagna, Anna Finocchiaro, Maristella Gelmini e Vittoria Brambilla, geneticamente e più in negativo, appartengono a Teodora, figlia di Costanzo Cloro. La Brambilla, in particolare, si distingue per porre attenzione e difesa più per un animale che per le persone: “…il sangue dei cristiani è


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poltiglia,/prezioso è il sangue dei cani arrabbiati,//dei cani maltrattati e derisi, portati/in ambulanza all’ospedale. Il vecchietto malato/ed indigente è scacciato dal suo letto. Il cagnolino,/dal volto sorridente, prende il suo posto”. La Brambilla, oggi, è una delle donne più “attenzionate”, come oggi si usa dire l’Accademia della Crusca (mai nomen omen più appropriato) docet! -, perché verrebbe da sganasciarsi dalle risate, se le conseguenze del suo frenetico agire non fossero assolutamente tragiche. Ma è difesa da milioni di ammiratori, perché nelle case degli Italiani oggi vivono milioni di cani e gatti, non già di bambini. Altro personaggio famoso dell’odierno sfascio italico è Silvio Berlusconi: “Bersani/piange sulla vittoria ottenuta. Massenzio/ha sconfitto il padre. Il padre ha tradito//l’alleato. E la moglie tradita tra lenzuola/di percalle chiede il divorzio e chiede/una pensione, una pensione da povera, da misera,/tre milioni di sesterzi al giorno, tre miliardi//di misure di grano, perché non sa come/giungere alla fine del giorno, morirebbe/di fame, poveretta, con una misura di grano/come il povero che sbarca il lunario sotto il ponte”. Il cuore nostro è strizzato, meschina Veronica Lario (o Miriam Raffaella Bartolini)! Bersani è Massenzio e “BerlusconiBersani/fanno una bella accoppiata”. Anche Marina Berlusconi non si salva dall’ironia corrosiva di Manitta: “Povera/Marina dalla gonna alzata, dai tacchi/a trampolino, dal viso fine e segaligno./La Costantina del tempo…”. Antonio Di Pietro è un rompiscatole Magnenzio; Gianfranco Fini, un rompiscatole “Costantino II opportunista”; Antonio Ingroia è “novello Costante”; Mario Monti è “Shappur II,/il barbaro venuto dall’oriente”; Luca Cordero di Montezemolo è “Giuliano proclamato/Augusto”; Niky Vendola, “Atanasio, pugliese bizantino, dal dialetto/greco” e un altro dei rompiscatole è Matteo Renzi, “il discacciato,/lo sconfitto, il rottamato rottamatore del comunismo/antico”. Troppo lungo continuare; nel gran libro di Manitta

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non manca proprio nessuno. Tutto un marciume e Roma, la grande, l’universale, è la novella Costantinopoli; da “padrona/è diventata serva, Roma ladrona/è spogliata dell’oro, delle ricchezze, dell’ argento/degli abitanti, dei cavalli di marmo, di tutto”. Né si salva il M5S, al quale, in parte con la Lega, gli Italiani, per disperazione, di recente hanno guardato. Beppe Grillo è “Nepoziano,/che grida nelle piazze a squarciagola,/promette, imbestialisce, maledice, bestemmia/pure, l’arruffapopolo buffone che fa ridere”; ma è anche un po’ Cratino, col partito di Bersani s’è tentato, infatti, l’accordo; i cloni, a volte, son più d’uno, son cellule vaganti, si possono aggregare, esplodere: “Cimone, il mio Bersani, lotta/con sé e con gli altri. Ce l’ha proprio/alle costole, il suo Matteo Renzi./O mio caro Cimone, stai attento://le insidie degli avversari e le imboscate/ti si presentano momento per momento./Stai attento al baffettino che un tempo/fu ministro, attento alla donna//baffuta e clericale, attento/a colui che ti fa l’occhietto…”. M5S e Lega, la strana e innaturale coppia. Quinto Fabio Massimo è famoso per essere stato un temporeggiatore; la Lega e i Cinquestelle non stanno facendo altro, se non temporeggiare, aspettare che il proprio avversario si logori e chi ne fa le spese non è un nemico, astuto o meno ed esterno, ma solo e soltanto l’Italia. Rimarrebbe la Giustizia e qualcuno, infatti, la invoca ogni giorno, l’ha utilizzata e l’ utilizza. Ma quale Giustizia? Essa è vuota e corrotta quanto la politica e tutto il resto. La vera Giustizia italiana, figlia naturale della cloaca parlamentare, è l’Ingiustizia, se protegge e aiuta il colpevole e mai l’onesto. Così, non darebbe scandalo colui che dovesse trovare migliore “Il codice di Hammurabi”! (“Pegasus”, il XCV, altro Canto al vetriolo di Manitta, da leggere e meditare). Pomezia, 18 aprile 2019. Domenico Defelice ANGELO MANITTA - Big Bang Canto del villaggio globale (poema) - Prefazione di Ugo Piscopo - Volume di grande formato, Il Convivio Editore, 2018 - Pagg. 812, € 50.


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XU CHUNFANG di Domenico Defelice

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EL famoso poeta cinese Xu Chunfang presentiamo, ai lettori di Pomezia-Notizie, tre poesie, diverse l’una dall’altra per contenuto e metro, nelle quali, più che la narrazione lineare, a dominare è la pura immagine, con la battuta che si esaurisce (o si esaurisce apparentemente) tutta in un verso: “Tra cielo e terra centinaia di battaglie!”. Ma non è così; i fili interni sono tanti e a volte legati tra loro, tra cui la natura rappresentata aspra (“rami nudi, senza foglie”; “Il gelido vento (…) scultura di luce fioca brillante sopra un osso disseccato”) e la pochezza e la fragilità dell’essere umano, che, spesso, non lascia impronta, come, spesso, non la lasciano neppure gli affetti e le parole: “Quel che ho amato e quel che ho detto non lasciano traccia”. Tutto è terrestre: l’anima non è puro spirito, ha una massa; è “pesante”; vola, sì, ma è consistente “come polvere”. Tuttavia, non mancano l’estasi ed il riposo interiore, con quel “gabbiano tra cielo e terra” e quella donna misteriosa, dall’ “odore ed il profumo

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dei fiori di riso”. Ma è la poesia che stordisce e fa tutto dimenticare, vero e solo liquore inebriante. In “Infatuazione”, rileviamo i termini “Nostalgia” direttamente in italiano e “festival” in inglese, che noi volgiamo in “festa” solo per ragione di più scioltezza poetica. In “Malinconia della storia” viene citato, oltre Omero, il grande poeta e patriota cinese Qu Yuan, nato nel 343 a. C. e morto, gettandosi nel fiume Miluo, nel 278 a. C.. La sua morte si commemora nella festa di Duan Wu o di Tuen Ng, in Europa nota come Festa delle barche drago. Suoi lavori sono inseriti in importanti antologie e una sua opera famosa ha per titolo “I tormenti dell’esilio”. Qu Yuan era dello Stato di Chu Ci ed è vissuto durante il Periodo dei cosiddetti Regni combattenti Ecco, di seguito, le poesie tradotte in inglese da Zhang Zhizhong e Shi Yonghao e la nostra libera versione in italiano. A raccomandarci Xu Chunfang è stato l’amico cinese Zhang Zhi, fondatore e direttore della prestigiosa rivista bilingue (inglesecinese) The World Poets Quarterly. A lui siamo grati per questa sua fattiva collaborazione, per avere inserito, nel numero 94 del suo periodico (maggio 2019), tre nostre poesie (“Life Brief but Intense”, “Golden April” e “To My Father”) e per aver voluto dedicare la prima di copertina della stessa rivista a una nostra foto a colori. Infatuation In those days — it looks like snow Your silence — branches bare of leaves December, the December exhausted of all words Nostalgia, belongs to which festival? In your eyes, like in a misty poem I am a ship drifting in the distance This is a perfect process. Tossing about in the boundless reeds The flesh of a moon clasps to water surface


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I don’t intend to speak about those memories and nights I don’t know where my heart is forgotten and lost The cooing of waterfowls is inaudible Only in your body I can smell the fragrance of native rice flowers

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INFATUAZIONE I quei giorni - il tuo silenzio Sembra neve - rami nudi, senza foglie Dicembre, il Dicembre privo di ogni parola Nostalgia, a quale festa appartieni? Nei tuoi occhi, come in un nebbioso poema Una nave in lontananza sono, alla deriva

Melancholy of History Between heaven and earth a hundred battles! The wind frost of each day is carving dim bright light on a withered bone. The moon is a drop of tear which never dries for a thousand years. O the boundless land, an ancient tomb is whose gauze cap which is reluctant to be thrown away? The blind Homer, cuts off a patch of waves of the Aegean Sea. Where are the shoes of Qu Yuan? A seagull between heaven and earth. (Translated by Zhang Zhizhong)

È un processo perfetto. Quasi sballottato tra canne senza confini Carne di luna impressa sopra la superficie dell’acqua Non ho intenzione di discorrere di quei ricordi e di quelle notti Non so dove il mio cuore sia dimenticato e perso Impercettibile è il tubare degli uccelli acquatici Solo sul tuo corpo Sento l’odore e il profumo dei fiori di riso MALINCONIA DELLA STORIA

The Old Days Are But Melancholy and Regrets A shrew’s tongue is sharper than a scalpel Cutting away dreams and happiness of life The art of poetry is more intoxicating than liquor Relieving the loneliness of long nights The old days are but melancholy and regrets The residue of fragrance smells of feebleness No longer dare I pray to the starry sky What I loved and what I said leave no trace Spring in my eye is forgotten and blown up So much for the youth, so much for my story On the silent street I stand alone Seeing your figure disappear in the darkness The sweet cake of time has been expired I cannot digest the hearty rain and snow The passing trucks are laden with my worries The soul is so heavy, sighs flying like dust (Translated by SHI Yonghao)

Tra cielo e terra centinaia di battaglie! Il gelido vento d’ogni giorno è scultura di luce fioca brillante sopra un osso disseccato. La luna è goccia di lacrime perenne per millenni. O terra sconfinata, un’antica tomba è il cui tappo di garza s’ostina a non volere essere gettato? Il cieco Omero, cancella una via tra le onde del Mare Egeo. Dove sono le scarpe di Qu Yuan? Un gabbiano tra cielo e terra. I VECCHI TEMPI SONO MALINCONIA E RIMPIANTI La lingua di un toporagno è più tagliente di un bisturi Getto via i sogni e la felicità della vita Far poesia è più inebriante di un liquore Render lieve la solitudine delle lunghe notti


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I vecchi tempi sono malinconia e rimpianti Quel che rimane della fragranza profuma di debolezza Non oserei pregare per il cielo stellato Quel che ho amato e quel che ho detto non lasciano traccia Nel mio occhio, la primavera è dimenticata e scoppiata Così per la gioventù, così per la mia storia Sulla strada silenziosa mi trovo solo Vedendo la tua figura scomparsa nel buio La dolce torta del tempo è scaduta Non riesco a digerire l’abbondante pioggia e la neve I camion di passaggio son carichi delle mie ansie L’anima è pesantissima, sospira volando come polvere Xu Chunfang, è nato 1976 a Wangjiang County, nella provincia di Anhui e si è laureato nel 1998 presso la Chinese Department of Anhui Normal University. È stato insegnante e redattore-reporter, e ora è un funzionario e redattore esecutivo di The World Poets Quarterly (multilingual). Vincitore del “The Best Poet for the 1st Anhui Poetry”. Le sue opera sono state ospitate su diversi giornali e riviste, ad esempio, Chinese and Overseas Literature, Stars, Shanghai Poets, Flying Heavenward, Poetry Monthly, Green Wind, Poetry Forest, Poetry Tide, Pure Brightness, Anhui Daily, Tibet Daily, and Xin’an Evening Paper, etc., e alcuni dei suoi lavori inclusi in Chinese Poetry Almanac, Annual Excellent Chinese Essays 2014, and The Feast of Words, etc. Le sue raccolte di poesie pubblicate comprendono Song of Solomon and Carols. Domenico Defelice

MIA POLIS Una pietra, un progetto, un sogno… Pomezia. Dodici milioni di lire e l’Architetto Petrucci ti progettò, ti creò.

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Forme geometriche semplici e classiche cullarono i cittadini rurali. Crescesti in fretta con la torre vigile, la piazza aperta al mare ed ai Castelli [Romani e le zanzare confuse, in cerca delle paludi [rimosse. Dopo 81 anni ancora diva sei! Oltre le fabbriche, la Cassa del [Mezzogiorno, la crisi, gli scioperi e le stranezze che l’epoca ci regala, sei sempre lì... solerte, accogliente, sei Città; affollata, multi etnica ed ospitale. In ogni tempo, nella piazza lucida, torni ad assaporar l’eterna Poetica [ dell’Arco, ed io goccia nella Polis ti faccio compagnia. Però, manca un pezzo di me.. Un’idea mai lasciata, una storia da celebrare, i padri da onorare, una cultura territoriale da [ sfamare. Seguo le tue orme, accarezzata da questo [ cognome che mi porto addosso! Però manca il calore del tuo abbraccio, papà! Emilia Bisesti Pomezia, RM

LA SABBIA DEI TUOI SANDALI E mi parlerai in questo spazio buio dell'orrore del mondo. Occhi e orecchie serrati per non sentire lo scoppio delle bombe e il sangue scorrere. Allora griderai alla follia degli uomini nell'abbandono dell'amore. E guarderai il sole tramontare scacciando l'ombra della morte dalla sabbia dei tuoi sandali. Rinaldo Ambrosia Rivoli (TO)


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FERDINANDO IMPOSIMATO

L’ITALIA SEGRETA DEI SEQUESTRI di Giuseppe Giorgioli E’ il libro che ha convinto la procura di Roma a riaprire l’inchiesta sulla morte di Aldo Moro. Il libro è composto da un’Introduzione, da 11 capitoli, dalle Conclusioni, da una Posfazione di Ilario Martella (Presidente aggiunto onorario della Corte di Cassazione) e da una bibliografia. Nel primo capitolo Ferdinando Imposimato descrive come ha risolto il mistero del sequestro di persona e del successivo omicidio del giovane di 23 anni Francesco Capaldo, che sparì misteriosamente mentre lavorava presso il night Francis di Roma. Ricercato in tutta Europa fu ritrovato seppellito nella Pineta di Castel Porziano due anni dopo la sua sparizione. Imposimato riuscì ad avvalersi dell’ aiuto di uno degli assassini per risolvere il caso, che dette al Giudice Imposimato l’ avvio di una luminosa carriera nelle successive indagini dei sequestri più importanti e descritti in questo libro interessante e coinvolgente. I rapimenti sono effettuati con una crudeltà inaudita senza risparmiare le donne e i bambini. Imposimato, nelle sue attività investigative e di repressione di tali atti criminali, bloccando i beni della famiglia del sequestrato al fine di impedire il pagamento del riscatto, è combattuto fra l’ ottenere il rispetto della legalità senza cedere ai ricatti e la paura di procurare l’assassinio del rapito.

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Viene descritto nel capitolo 7 come il Giudice Imposimato è riuscito a far prevalere la linea dura senza il pagamento del riscatto per il rapimento di Michela Marconi, figlia di un imprenditore edile di Grottaferrata, e del costruttore Angelo Apolloni. Purtroppo l’esito per il caso Moro fu diverso… Per il sottoscritto, che vive a Pomezia, mi ha particolarmente colpito la descrizione del rapimento a Pomezia sulla Pontina km.25 della farmacista Angelina Natale Ziaco: “alle ore 20:15 del 24 novembre 1975, mentre guidava la sua Fiat 124 bianca con a bordo sua figlia Maria Rita di anni 11, venne bloccata da una BMW verde con 4 uomini incappucciati. Fu fatta scendere e fatta salire sulla BMW e alla bambina i sequestratori hanno detto di non avvertire subito la Polizia, ma di aspettare almeno un’ora, pena l’uccisione della madre. Così fece la bambina. La Ziaco successivamente fu liberata dietro il pagamento del riscatto di 200 milioni di lire. La Ziaco partecipò alle successive indagini permettendo in tal modo al Giudice Imposimato di individuare e arrestare i sequestratori.” Altro rapimento nella zona di Pomezia, eseguito dalla famigerata banda delle belve, fu quello della bambina Mirta Corsetti, figlia di un noto ristoratore, di appena 11 anni al km. 26,50 della litoranea di Torvajanica alle 24 del 17 luglio 1981, che fortunatamente fu liberata da parte delle forze dell’ordine senza pagamento del riscatto contrariamente a ciò che avvenne per il rapimento di Palombini, re del caffè, che fu ucciso. La storia d'Italia è stata spesso funestata dalla piaga dei rapimenti - da quelli estorsivi a quelli dell'Anonima Sequestri sarda, da quelli di stampo mafioso a quelli politici, fino a quelli simulati a scopo di ricatto -, talvolta conclusi anche dalla morte della vittima, dopo mesi o anni di prigionia. Molti sono i casi rimasti impressi nella memoria collettiva per l'importanza dei soggetti implicati: da Paul Getty III (nipote dell'omonimo petroliere americano) al noto gioielliere Gianni Bulgari, dal duca Massimiliano Grazioli al finto sequestro di Michele Sindona. Altri, invece,


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hanno tenuto col fiato sospeso l'intera nazione, che seguiva passo dopo passo il destino delle vittime: dalla giovane Emanuela Orlandi (scomparsa nel 1983 e mai più ritrovata) al piccolo Farouk Kassam (sequestrato a sette anni e mutilato parzialmente dell'orecchio), fino a Giuseppe Soffiantini (anche a lui venne recisa la cartilagine di entrambe le orecchie, una delle quali fu recapitata al giornalista Enrico Mentana). Il giudice Ferdinando Imposimato che si è occupato in prima persona delle indagini su numerosi casi di sequestro di persona (tra cui Moro, Sindona, Orlandi) - ci offre una mappatura del fenomeno dei rapimenti: un crimine che, sebbene non sia soltanto un'anomalia italiana, ha trovato nel nostro Paese un terreno particolarmente fertile nella mafia e nel terrorismo. Il giudice Ferdinando Imposimato fu incaricato di indagare sul caso Moro pochi giorni dopo la sua morte. Ha continuato a investigare anche come “scrittore” dopo aver lasciato la magistratura. Il giudice Ferdinando Imposimato ha dedicato tre libri al caso Moro: “Doveva morire” (Chiarelettere, 2008), “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” (Newton Compton, 2013) e “ La Repubblica delle stragi infinite” (Newton Compton, 2012). Nella scena del sequestro Moro compare anche una Honda con due persone, che hanno sparato alla scorta, oltre ai brigatisti rossi. Il giudice Ferdinando Imposimato scopre il vero luogo dove Moro era tenuto prigioniero durante i 55 giorni, e precisamente in via Montalcini, zona Portuense. Tale prigione di cui si era a conoscenza era controllata giorno e notte dai militari, ma, per un ordine improvviso alla vigilia del ritrovamento del cadavere dell’On. Moro a via Caetani, il ministero dell’interno dette ordine di ritirare i militari che sorvegliavano la prigione di via Montalcini: l’On. Moro doveva morire! Per quanto riguarda il caso Sindona, si tratta di un finto sequestro per sviare l’attenzione dalle sue operazioni di alta finanza: doveva rispondere ai giudici italiani di bancarotta e di essere il mandante dell’omicidio del curatore fallimentare Giorgio Ambrosoli, liquidatore

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delle sue banche fallite. Sindona iniziò la sua attività a Palermo nel 1944 con un florido commercio di armi, ricevute dagli americani appena sbarcati e rivendute ai separatisti siciliani che sognavano uno stato isolano indipendente, o federato agli Stati Uniti, in primis a Lucky Luciano, per salvare la sua Sicilia dal comunismo. Questo era l’ambiente della mafia siculo americano, che portò alla strage successiva di Portella della Ginestra, strage del primo maggio 1947, che fu l’inizio di tutte le altre stragi da Piazza Fontana in poi… (Una storia non remotissima ma piuttosto recente, tanto che non si fa in tempo nemmeno a studiarla a scuola ci racconta come – fin dalle origini della Repubblica – gravi il peso di un patto stretto tra istituzioni e criminalità, servizi segreti italiani e stranieri (soprattutto americani e inglesi), fratellanza massonica italo-americana. Un patto che, a partire dal secondo dopoguerra, si rinnova ad ogni transizione dolorosa e confusa, segnando il passaggio tra la fine del conflitto e la prima Repubblica, quindi la nascita della seconda, dopo le stragi del ‘92-’93). Per quanto riguarda il caso Orlandi e Gregori (che sembrano avere lo stesso destino), tutto ruota sulla richiesta da parte di uomini dell’Est del KGB e della Stasi non di un riscatto, ma della liberazione dell’attentatore del Papa Ali Agcà e dei suoi amici Bagci e Celebi. La dinamica del sequestro, avvenuta nel centro di Roma in pieno giorno, sembra accumunare i due casi, cioè le due ragazze si erano fatte convincere da una o più persone di fare un’attività di vendita con un buon guadagno dei prodotti della Avon. Le tesi che il Giudice Imposimato porta è che tali ricostruzioni risultano attendibili, perché i sequestratori fanno sentire al telefono la voce registrata di Emanuela con i suoi lamenti perché sottoposta a torture di vario tipo, lasciano messaggi con riportati dettagli personali delle due ragazze. Il Giudice non crede alla tesi della Banda della Magliana anche perché durante la dissepoltura di Enrico De Pedis nella Basilica di Sant’Apollinare non furono ritrovate le ossa di Emanuela. Ercole


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Orlandi, padre di Emanuela, parla di alcune Guardie Svizzere come potenziali basisti dentro il Vaticano. A questo punto è difficile dire quale sia stata la sorte di queste ragazze: sembra che Emanuela sia stata avvistata più volte in paesi stranieri. Dopo tanti anni di indagini il Giudice Imposimato è propenso a credere che la Orlandi, a differenza di Mirella Gregori, possa essere ancora viva, sulla base delle dichiarazioni della sentenza del giudice Rando, rese da testi dell’ambiente dei Lupi Grigi in Germania. Vi sono conferme anche da alcuni testimoni indiretti, tra cui il carabiniere Roberto Cuoci. Sul caso Orlandi il libro è ricco di documenti allegati, come i Komunicati del Fronte Turkesh, rapporti dei Carabinieri, la lettera di Agca alla giornalista Sabrina Castelfranco, in cui Agca dichiara che il terzo segreto di Fatima annuncia la fine spirituale del Vaticano. Il popolo ha bisogno solo del contatto diretto con il Dio invisibile! Un dubbio rimane sia per il caso Moro che il caso Orlandi – Gregori: e se lo Stato avesse accettato di liberare le persone secondo le richieste dei rapitori, si sarebbe evitata una fine così cruenta degli ostaggi? Ferdinando Imposimato è nato a Maddaloni il 9 aprile 1936 ed è morto a Roma il 2 gennaio 2018. E’ stato un magistrto, politico e avvocato, nonché presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. Si è occupato della lotta a cosa nostra, alla camorra e al terrorismo in Italia: infatti è stato giudice istruttore dei più importanti casi di terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro del 1978, l’attentato al Papa Giovanni Paolo II del 1981, l'omicidio del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet e dei giudici Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione. Aveva un fratello, Franco Imposimato, ucciso dalla camorra nel 1983. Negli ultimi anni si è occupato della difesa dei diritti umani, impegnandosi nel sociale. È stato inoltre scelto per il riconoscimento di "simbolo della giustizia" dall'ONU, in occasione dell'anno della gioventù. Giuseppe Giorgioli FERDINANDO IMPOSIMATO - L’ ITALIA

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SEGRETA DEI SEQUESTRI - Newton Compton Editori, 314 pagine, ISBN 9788854155947, Prima Edizione ottobre 2013, € 8,41.

È nelle librerie e nelle edicole (ma può essere prenotato ed acquistato anche via internet) il nuovo volume di Domenico Defelice: LE PAROLE A COMPRENDERE, edito in bella veste tipografica dalla Genesi di Torino, nella collana Le Scommesse (Prefazione di Sandro Gross-Pietro - Pagg. 138, € 14,50).

Il libro - scrive nella Posfazione Emerico Giachery ha “legami profondi con la terra d’origine (un forte “sapore di terra” caratterizza alcuni testi): la “verde terra/dono dell’ amore di mio padre”, con un’evocazione viva del padre, così suggestivamente collocato alla terra d’origine, e ricordato anche nel momento del suo coraggioso trapasso. E poi evocato in Padre di padre a padre, un’ intensa identificazione. Anche il poeta è padre, la sua famiglia cresce nel mondo, nuove vite si accendono, glorificando la Vita. (…) Ma il poeta, “sparsi ha pure/quintali di sarcasmo e d’ironia” (…). Facit indignatio versum, diceva Giovenale, e la sua affermazione si attaglia a queste pagine in cui il poeta affronta polemicamente e con viva partecipazione, nel corso degli anni, temi di politica quotidiana.”


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IL BEATO GIUSTINO IL GRANDE SANTO DEI CAMPI FLEGREI di Leonardo Selvaggi I LI scrittori, saggisti, poeti Anna Aita e Vincenzo Russo con il volume di grande valore spirituale ”Don Giustino tra storia e poesia” hanno dato un meraviglioso dono, facendo conoscere a tanti, come lo scrivente, che non ne aveva mai sentito parlare, una figura di un santo sacerdote fra i più grandi della storia contemporanea della cristianità. Gli autori presi da un unico comune esaltante afflato di fede hanno ripercorso attraverso testimonianze appassionate la vita, la formazione, evidenziandone il carisma di un grande spirito, tutto avvolto da profondità di mistero che per i nostri tempi moderni rappresenta un vero miracolo di presenza, mandatoci da Dio sulla terra.. Con sensibilità gli autori hanno saputo penetrare la viva luce di don Giustino con emozione, con entusiasmo, presi in pienezza di sé, come trasfigurati dal suo ricordo sempre presente fra la gente che l’ha conosciuto, l’ha ammirato come divina persona, umile, generosa, attiva, tutta abnegazione. Anna Aita con la sua immediatezza e spontaneità di sentire è rimasta esultante dalla prima apparizione avuta di sfolgorio di azzurro sulla soglia della chiesa, dove sono sepolte le sante spoglie. Bagliori, illuminazione nell’ anima di Anna Aita: impressi veri fuochi accesi di ardore, senso di celestialità che l’ hanno come fatta rinascere con una forza tutta nuova, che l’hanno sostenuta nei contatti con

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le persone di Pianura, sempre ansiosa di sapere di don Giustino la grandiosità della sua vita durante gli anni dell’attività terrena. Troviamo un’alta ispirazione nelle poesie in dialetto napoletano di Vincenzo Russo che consente una espressività realistica, una sentimentalità fluente in un linguaggio eloquente, rappresentativo. Beato Giustino della Trinità ha portato ai luoghi di Pianura felicità e serena pace nella splendidezza dei Campi Flegrei, fra gente semplice, di grande elevatezza morale. Pianura vive un’eterna primavera, con amore verso il prossimo. Anche le sopportazioni di dolore sembrano dolcezza, la terra ha qualcosa di cielo, profuma come fosse una rosa, si è protetti dalla Divina Provvidenza. Anna Aita con il presente volume, che rende senso di grazia, ha profondità di riflessione e recupero di identità che sanno di essenzialità di principi, arricchisce le sue tante opere letterarie, oltre che di esteticità, di vitalità cristiana, quella che attinge ai primordi del Vangelo. Santità, purificazioni in continuo divenire si conquistano con i progetti e le mete che si desiderano raggiungere. II Anna Aita davanti alla statua di bronzo del grande sacerdote ha la sensazione di trovarsi ad una sorgente di vita, che si fa verità di infinito. Lo Spirito Santo risplende su tutta una figura che va in estensione, che pare dominante di presenza viva, ripiegata verso l’ immensità della sua anima. Tutta la sua opera sintetizzata in pieno simbolismo nel globostemma dei vocazionisti, a significazione del desiderio che lo ha seguito per tutta l’ esistenza di volere tutto il mondo santo. Se non proprio questo, di vedere una rigenerazione dell’umanità attraverso processi di umanizzazione, un diffuso amore per ogni creatura. Lo stemma della Società Divine Vocazioni, oltre a riferirsi a coloro che pensano di intraprendere la via del sacerdozio, vuole la riabilitazione di quelli che hanno lasciato l’abito talare, rappresenta rettitudine e appassionata dedizione in tutte quelle attività intraprese con impegno di bene. Don Giustino va di casa in


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casa, di cortile in cortile alla ricerca di bambini per condurli alla istruzione catechistica. Si vuole attivare una santificazione universale, considerando tutto il mondo come un grande santuario. La terra deve davvero incontrarsi con il cielo. La Chiesa è la casa di tutti, nei vari aspetti è trionfante, purgante e militante. Il volume di Anna Aita e di Vincenzo Russo ci ha amplificato l’anima, sentendo la vita in piena dilatazione, superando accidentalità e ristrettezze, come aleggiando in spazi eterei: abbiamo, visitando i locali del Vocazionario, vissuto la stessa atmosfera in cui si è mosso Don Giustino, le sue ansie e i suoi tormenti, abbiamo immaginato di vedere la sua dolce, santa figura che ha amato Dio al di sopra di tutto. Un volume intenso di fatti e di presenze che ricordano i tempi e le virtù del grande sacerdote, asceta, mistico, tutto spiritualità in un corpo fragile, malato, fustigato da tante forme di penitenze. Ogni impurità estirpata, l’anima divampante di carità e di amore. Il suo viso come tutta la sua persona esile, piena di sofferenze emana tanto fascino, vicino ai tanti santi meridionali, da S. Gerardo Maiella a Sant’Alfonso dei Liguori. a Padre Pio. La fine espressione di Anna Aita si riempie di meditazione, ci fa pensare alle nostre manchevolezze, al nostro egoismo, ai tempi di brutture che viviamo. Ci fa andare con don Giustino che si eleva in un alone di splendidezza con tutta una passione e un ardore di anima candida, avvolto dal nero mantello, vera presenza divina fra la gente che in accesa coralità esalta questa figura vista già come santo in terra. Il sorriso lieve e il passo leggero, come alato in piena contemplazione, tutti lo vedono un prediletto di Dio, mandato per redimere i peccati, per infondere senso di fede in tutti i luoghi e negli animi afflitti. III Vincenzo Russo con i suoi versi esprime la serenità di don Giustino, la grandezza del suo cuore che ha spazi comuni con l’infinito e l’ amore universale. Il futuro sacerdote nel seminario di Pozzuoli è infiammato da entusiasmo, la sua umiltà è amata da tutti, con la

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mente e con lo spirito si applica alle discipline di studio. Vede in stretto rapporto le sofferenze degli altri con la sua amabilità, dà con generosità a chi ne ha bisogno. A Napoli gli viene conferito il suddiaconato nella Chiesa del Gesù e nel 1913 l’ordine del diaconato. Sono anni di perseveranza continua, il 20 settembre dello stesso anno celebra la prima santa Messa, il suo cammino sempre più aperto verso le porte del cielo. La scrittrice Anna Aita ha pagine che rispecchiano tutta la purezza di Beato Giustino, scorrono alla lettura come acqua cristallina che pare venga dalle più alte cime che si fanno cielo. Ci dice di don Giustino tutto ciò che di Lui ha sentito dire, con la sua istintività, amabili modi e remissivi, con voce convincente si avvicina alle persone che raccontano quello che hanno conosciuto e imparato dal loro amato parroco. La sensibilità di scrittrice intuisce molto dai momenti di commozione, la parola a volte è incapace ad esprimere quello che si sente dentro. Don Giustino è tutto preso dal concetto di Trinità, necessario vedere in un insieme orazione e predicazione, azione e contemplazione. La vera esistenzialità si estrinseca in essenzialità e universalità. I pensieri densi di amore e poesia, scaturiscono volontà di indomabile operosità. Si vuole che da ogni parte vengano tante vocazioni per attivare comunità felici, illuminate sempre da senso di pace e unitarietà di intenti. Tutti i giorni sono accompagnati da preghiere che esprimono ardore nel superare gli ostacoli distruttivi dell’ animo che mira alle sue ideali ampiezze. Dolcezza espressiva e misticismo insieme, non ci si può esaltare se non c’è trasporto affettivo verso il prossimo. L’umano e il soprannaturale come forza spirituale portano in impulsi di reciprocità. C’è una spinta continua con le virtù connaturate a purificarsi. Da ciò viene l’assillo del progetto vocazionista che fa considerare tutti chiamati a realizzarsi come esseri perfetti, dediti con sacrificio, l’uno verso l’ altro a incontrarsi e a rendersi completi. Non si concepisce la desolazione dei tempi nostri, ma una vicinanza che si esprime tutta in concordia, con senso di temperanza e di carità. Il santo sacerdote


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sprigiona luce anche nelle tenebre, come se fosse il sole. Vince tutti i peccati, combatte contro il male. Infaticabile, tutte le pene non si fanno sentire, sono le continue penitenze che frantumano il corpo, le spine nascoste sotto il mantello nero generano vittoria sulle miserie umane, glorificano lo spirito portandolo alle più eccelse altezze. Di don Giustino ce ne vorrebbero tanti oggi, in questo tempo che viviamo: frastornati, insoddisfatti, ansiosi, con vuoti e senso di sperdimento. IV Il meraviglioso volume agiografico con la sua complessità di principi sbarra la via che ci è stata assegnata.. Vediamo lontano le tante mete che il divenire del nostro vivere prepara con le sue potenzialità. Il destino umano è quello di prepararci per le buone azioni. Don Giustino pur con le grame condizioni di salute, ha avuto la forza di realizzare il Vocazionario, il cui regolamento, presentato al vescovo, è stato di grande apprezzamento. Si parla anche di vocazioniste, suore che si dedicheranno alla raccolta di fondi, alla cucina, pronte, tra l’altro, all’attività di propagare l’opera giustiniana nei paesi del Sud. Ci si affida alla Provvidenza che non manca mai di intervenire. Si protesta e si combatte contro ogni minimo scoraggiamento. Intanto le richieste di far parte dei gruppi di preparazione al sacerdozio sono sempre in aumento. Il volume ricco di citazioni, di riferimenti evangelici e di illustrazioni: Beato Giustino ci appare spesso attraverso le pagine sempre dominato dalla parola di Dio e dai pensieri ispirati dallo Spirito Santo. La sua presenza ci è di aiuto a liberarci dalle malvagità di cui il mondo moderno è pieno. L’opera di Anna Aita e di Vincenzo Russo ha umanità e sete di luce, vi scorre un linguaggio ampio, chiaro, articolato. Beato Giustino campeggia con tutte le sue caratterizzazioni, i suoi divini carismi. Tante sono le guarigioni che hanno dato felicità ai sofferenti. Dagli incontri con le persone anziane di Pianura si conosce tutto, fascino, limpidezza della luce della gioia di una grande spiritualità. Sappiamo pure che diffusi so-

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no i vocazionisti missionari in tante nazioni, dal Brasile agli Stati Uniti d’America, dall’ Argentina alle Filippine. Nel mondo sono stati aperti 406 Vocazionari, vi trovano ospitalità non solo gli aspiranti sacerdoti, ma anche poveri abbandonati. Sono aperte tutte le strade del mondo intorno al Beato Giustino. La santità del divino sacerdote dei Campi Flegrei crea mansuetudine e comprensione, i ragazzi più turbolenti, persino i preti su cui c’è qualcosa da censurare fanno la felicità del fondatore del Vocazionario. Uno spirito di abnegazione si diffonde in ogni luogo ove si agisce secondo i principi di don Giustino. Un vero prodigio la sua presenza, con il sorriso non manca nell’operare il rigore. Centinaia di ragazzi convenuti dai vicoli di Napoli hanno trovato la serenità, si sentono vicino a Dio. Orfani, diseredati protetti dalla Divina Provvidenza, si è consapevoli dell’amore di Dio per gli uomini. Nel “Devozionale” si inneggia alla SS. Trinità: “O mio Dio e mio tutto: O mio Padre, Figlio e Spirito Santo, la vostra volontà si adempia, il vostro amore trionfi”. Don Giustino una specie di Messia mandato sulla terra, è profetico, taumaturgo. Le testimonianze sulla vita e sulle opere sono state loquaci alle interrogazioni di Anna Aita, con cuore trepidante si è parlato dei miracoli avvenuti in svariate circostanze. Importante il carisma della carità, sempre chiesto nelle preghiere, per il santo sacerdote ogni fedele deve avere il sostegno e l’aiuto nei momenti drammatici della propria vita. V Ammiriamo per la sua bellezza il dipinto di Vincenzo Russo. Beato Giustino della Trinità appare in uno stato della più pura glorificazione, il volto da grandi lontananze va all’ infinito, è una vera figura celeste venuta ad alleviare le tante ferite umane, ad operare e togliere miserie e dolori. Anna Aita ha descrizioni limpide, ci fa vedere don Giustino in tutto il suo misticismo, l’incanto della sua voce, le semplici penetranti modalità esplicative. Si nutre poco, lavora moltissimo, segue i grandi esempi della generosità cristiana: don


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Bosco, il beato Bartolo Longo, S. Giuseppe Moscati, S. Leonardo Murialdo, S. Giuseppe Cafasso. Costante è il voler essere vicino a Dio in ogni istante, con tutto l’essere in stato di contrizione perfetta. L’alta spiritualità crea crisi al corpo che rivuole la sua istintività e autonomia delle passioni, lo scontro è atroce e le penitenze insistenti lo martirizzano, don Giustino ne esce sempre più sereno, vittorioso, rivolto al cielo, a Dio onnipotente. Gli ultimi giorni della sua vita è completamente sfinito, trascina il corpo in estrema sofferenza. È il trionfo della felicità dell’anima. Gli si legge dallo sguardo smagliante e trepidante. Muore al tramonto del 2 agosto 1955. Ritorna al suo Dio d’amore, in vita adorato in maniera totale. La gente di Pianura costernata, piange il suo parroco, tutti vogliono la sua santificazione, già proclamato venerabile da Giovanni Paolo II nel dicembre del 1998. La sua presenza è ancora più viva, la gente ce l’ha nel cuore, fissa nella mente, Lo incontra come prima, il suo viso luminoso, come raggiera di immensa luce, splende in ogni luogo, nell’azzurro del cielo. È rimasto il santo protettore di tutti con il Suo amore senza fine. La scrittrice Anna Aita ha modi di tenerezza, con senso materno che sa di vecchia amicizia continua ad avvicinare le persone che l’hanno conosciuto, perseverante ed ostinato si fa il cammino lungo gli stessi spazi dell’anima di don Giustino, attorno allo straordinario mondo della sua spiritualità. In continua esaltazione giorni e giorni con la sua vivacità si rende tutt’uno con l’accorato dolore che tiene compressi quanti sono stati vicino al sacerdote del Vocazionario. Commuovono le lacrime che creano un nodo alla gola, contagiano Anna Aita che lega il suo cuore palpitante con quello dei pianuresi. Parole frammentate, le pagine del volume registrano attimi di irresistibile amarezza che velano ricordi meravigliosi. I momenti più belli sono stati quelli del ricevimento dell’ostia consacrata, con l’ Eucarestia la gente si sentiva in unione totale con Dio Creatore. Indimenticabili le parole delle omelie che andavano diritte nel cuore e restavano per tanto tempo risonanti come la

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più dolce delle melodie, proprio ci si sentiva elevati nel più alto dei cieli. VI I due grandi autori hanno dato vita a un’ opera di grande prestigio agiografico e nel contempo letterario che porta il lettore a sentirsi rinnovato e arricchito in spiritualità, alimentata da ardore, proprio condotto ad una sorgente rigeneratrice. Opera di pensieri approfonditi, estesi tra rievocazione di eventi indimenticabili e accenti di poesia ispirata. Pagine che ci hanno dato refrigerio, senso di amore, certezza che in ognuno di noi c’è un forte richiamo a Dio. Un bisogno di riportarci alle tradizioni gloriose cristiane, agli insegnamenti evangelici, a vivere il sacrificio di Cristo, a credere al grande Messia, alla redenzione dell’uomo. Il beato Giustino è nel cuore di tutti, il suo ricordo, le sue opere, i suoi scritti di vera umana religiosità, i suoi principi filosofico-teologici sono tracce indelebili attorno al Vocazionario di Pianura. I miracoli continuano, la spiritualità di don Giustino è dappertutto, a sua santità è un inno all’amore per tutti gli uomini di buona volontà, è stimolo e forza per tutte le anime che vogliono redimersi dai tanti vizi e malvagità diffusi nell’era tecnologica. Un bisogno di ritorno alla dignità dell’uomo legato alle antiche saggezze che hanno lasciato nella storia testimonianze di vita eroica, di vicinanza alle fondamentalità etiche. Il volume “Don Giustino tra storia e poesia” allo scrivente ha creato dilatazioni alla sensibilità, accentuato il senso della labilità della vita, oltre alla consapevolezza che il bene è tutto, che l’umiltà porta ai sentimenti fraterni. Il beato Giustino richiama meditazioni apre spazi a più ampie espressività, fa intuire esistenzialità che prima non si capivano. Ricompare come ondate di luce, unisce complessità di pensieri, conduce a estensioni di cielo, si fa panteistico. Da quando ho il volume fra le mani mi sembra di averlo con la mia persona, dietro ogni mio movimento. È la sua infinita spiritualità che si tiene al di sopra di tutto, diventa immensità, universalità di presenze in consustanzialità


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con quello che è attorno. Una miniera di particolarità esistenziali, di concetti che vengono dai tanti suoi scritti. Nel volume che leggiamo si muove tanta gente in coralità di amore e di devozione. Anna Aita è assetata di notizie, vede Beato Giustino come una inesauribile fonte cui si attinge tanto alimento corroborante per la nostra povera anima. La gente ha molto da dire e non riesce ad esprimersi, sono le pupille lucide, le lacrime di emozione che fanno intuire la grandezza della vitastoria di don Giustino le cui delimitazioni non si riescono a raggiungere, da profondità interiori arrivano alle vette del cielo. VII Don Giustino vocazionista pensa a una purificazione universale, a un mondo che può divenire un paradiso. La sua voce rende mansueti anche i più ribelli, concepisce il Cristianesimo come la vera civiltà che crea rapporti solo di benevolenza. La sua mente e il suo cuore fermentano di eletti pensieri, di meravigliose teorie dell’amore. Beato Giustino della Trinità ha seminato tanto bene che può proliferare ancora, se manteniamo fermi i suoi santi concepimenti che si elevano dalla sua fervida spiritualità, dalla cultura e dalle esperienze vissute. Per il vocazionista predomina la necessità di perfezionarsi, seguendo i buoni esempi, basando il proprio operare sulla forza e la intensità dei sentimenti. Importante il termine Ascensione: ci si deve considerare continuatori della missione di Gesù se si vuole realizzare l’unione con Dio, se si vuole nella vita fatta di carità, di amore un percorso che consente di ricostruire le connaturate, interiori inclinazioni. Le parole di comprensione, di rispetto per tutto e per tutti, la sua voce delicata e soave favorisce il colloquio, l’aiuto reciproco. Tempi di gloria, di felicità quelli dell’amato Beato Giustino. Siamo lontani da ciò che offre la modernità, si vive oggi in una solitudine sdegnosa, nemici del prossimo, dominati da passioni sterili, inutili che si consumano in aspirazioni disordinate. Il peccato è un merito, la forza fisica pare che sia sublimità spirituale. C’è della

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brutalità contro ogni senso del giusto e dell’umano. Le doti morali, la consapevolezza di sé, il senso di responsabilità sono frantumati. Senza affetti, alienati, l’ambizione domina come la violenza. Superbia e avarizia sono modi di essere apprezzabili. Chi ancora è semplice e schietto e crede alla coerenza e alla onorabilità della persona, alla dignità passa per retrogrado e incapace. Si è ribelli, rissosi, immorali. Il cuore umano si ha l’impressione che tenda a svuotarsi di tutti quei contenuti che fanno la vita lieta e sensata. Il beato Giustino è con le sue opere e le straordinarietà spirituali un monumento di carità, con le sue idealità è simbolo di eterna testimonianza, ci ammaestra, è guida sicura nei nostri giorni. La poesia napoletana di Vincenzo Russo, che con le pagine di prosa completa il volume, ha echi in emanazione, inneggia allo stato divino di don Giustino, fonte pura che arriva da lontano e da tante parti, che ci eleva, ci accomuna, toglie le singolarità e ci rende comunità, folla, vita, destino umano, sublimazione. Beato Giustino con il ritmo dei versi trapassa in noi, fa perdere la visibilità dei contenuti e il peso dei particolari Ci fa sentire cielo, diventa sangue che scorre in noi, sospesi, amplificati, lontani da noi stessi, diffusi per spazi maggiori. La voce del santo sacerdote esce risonante, vivificata, illuminante fra il popolo, in lunga scia, in stratificazioni. Il senso della perfezione ci fa essere liberi, divenendo uniti, vastità. Anna Aita ha scritto un’opera di grande ispirazione, tutta luce attorno al beato Giustino che con ricchezza di dottrina ci ha convinti come i rapporti fra gli uomini possono avere vita di collaborazione, seguendo principi morali che ravvivati con perseveranza divengono i grandi messaggi per un futuro degno, sorretto da slanci d’ amore. Un capolavoro per i contenuti mistici e umani di grande impegno che nel nostro tempo materialista apre cammini diversi, più giusti, con spirito di vocazione, verso un progresso civile, condotto con religiosità verso la vera esistenza, quella che crea armonia, vicinanza con gli altri. Leonardo Selvaggi


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Il Racconto

LO SPECCHIO di Manuela Mazzola

T

ERESA era minuta, piccola di statura, capelli lunghi di un nero caldo ed avvolgente, anche i suoi occhi erano neri e profondi come una scogliera a picco sul mare. Era assai bella, ma particolarmente povera. Teresina, la chiamavano così in famiglia! Era forse la quinta o la settima figlia, nessuno ricordava più, tanto era la povertà! Tra le pieghe del vestito nascondeva un piccolo pezzo di stoffa trovato all'angolo della strada del mercato, dove si recava quotidianamente per accaparrarsi un tozzo di pane o un frutto. Il piccolo fazzoletto aveva dei ricami così graziosi, profumava come un campo di fiori e lei ogni tanto lo stringeva forte tra le mani e sperava che la sua vita potesse cambiare. Sperava di vivere in una casa decorosa, piccola, ma anche pulita e profumata, lenzuola morbide, e uno specchio in cui potersi guardare ed ammirare. Teresa non sapeva quanti anni avesse, forse nove, dieci, eppure era già così seducente nei suoi movimenti, nel suo modo di mostrarsi; non era come le altre bambine di Chimbote. Era caparbia, forte, intelligente, acuta ed osservava tutto quello che le si palesava davanti agli occhi; memorizzava, associava e così poteva sopravvivere e portare a casa qualcosa da mangiare. Chimbote è una piccola cittadina davanti all'oceano Pacifico, si trova in Perù, nella regione di Ancash. Lì c'è una baia splendida, la “Bahia de Chimbote”. Quando il sole è alto, illumina l'interno della costa e le “caballitos de totora”, le piccole imbarcazioni simili a delle canoe, si muovono dolcemente al ritmo delle onde. Lo sciabordio diventa quasi una melodia, che insieme ai richiami degli uccelli, accompagna i pescatori nel loro duro lavoro. All'epoca , all'incirca nel 1750, gli abitanti di Chimbote erano per lo più pescatori. Dopo la conquista dell'America, il gruppo etnico che

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abitava quei luoghi, era stato disperso e decimato e Teresa era una delle tante bambine mezzosangue; discendeva dagli aborigeni Mayao, da loro aveva ereditato la sua fierezza, la capacità di districarsi anche nelle situazioni più ambigue, incerte e losche. Teresina lottava ogni giorno per affermare se stessa, dentro di lei ribolliva la rabbia e la frustrazione di un popolo ucciso, ingannato, cancellato, senza più memoria. Lei voleva riprendersi ciò che le era stato tolto da altri uomini che pensavano di essere migliori, forse i padroni del creato. Ed allora, la povertà, la fame, la rabbia, la frustrazione, il dolore e la solitudine di una realtà troppo grande, diventava un turbinio troppo potente da cui Teresina era presa e sopraffatta. La sua vita era ogni giorno una scommessa. Si alzava ai primi bagliori di luce, l'alba nella baia era spettacolare: i colori tenui nel cielo la rasserenavano, faceva un grosso respiro, quasi a riempirsi i polmoni di quell'aria leggera e limpida che sapeva di salsedine e pesce. I rumori lontani dei pescatori, che affrontavano le acque gelide dell'oceano, in qualche modo la facevano sentire al sicuro sulla terra ferma. Il rosa, il giallo, il celeste che si creavano nel cielo sopra di lei, si mescolavano ai moti del suo cuore. Un cuore in tumulto, incerto, precario come la vita che ogni giorno affrontava. La prima persona che incontrava nella baia era il vecchio Enrique, “il vecchio del mare”. Pelle scura, raggrinzita dalla salsedine, dal sole, dalle troppe giornate passate sulla barca, aspettando una buona pescata. La durezza della vita si mostrava sulla sua faccia attraverso un'espressione accigliata ed imbronciata. Come lo scatto di una foto che immortala l'attimo, così il volto di Enrique portava con sé quell'espressione tipica dei pescatori mentre tirano su la rete, accecati dal sole, che oramai è alto all'orizzonte e li sfida, costringendo loro a chiudere a fessura gli occhi. Il vecchio pescatore, stanco oramai, inumidito nelle sue ossa molli e deboli, attendeva Teresina ogni giorno. La bambina era, invece, una forza della natura, un ciclone che portava una ventata di freschezza, allegria, ma anche


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la possibilità di condividere le sue esperienze, ciò che la vita gli aveva insegnato. Ogni mattina Enrique consegnava a lei un piccolo tassello della sua saggezza e di tutti quegli insegnamenti che erano necessari per affrontare la quotidianità a Chimbote. Il vecchio finiva il suo racconto dicendo: ”Teresina, confia en mì”. Fidati di me, Teresina! Ma la bambina non riusciva a capire fino in fondo quelle parole, pronunciate con un enfasi particolare, quasi come una preghiera o forse come un cattivo presagio. Dalla baia, Teresina poi si dirigeva verso il paese; i suoi passi erano dei balzi spensierati verso il futuro; leggera come il vento s'incamminava lungo il sentiero ed ogni cosa che incontrava era motivo di curiosità. Prima di arrivare in città, incontrava i campi coltivati di patate e mais; qualche volta riusciva, scavando con le mani, a prendere qualche patata e portarla a casa. In Perù c'erano state tante rivolte del popolo contro i coloni e tanti vi trovarono la morte. Molti di questi Teresina li conosceva, erano amici, conoscenti, anche suo cugino Miguel era rimasto vittima di quegli scontri che la bambina ancora non comprendeva fino in fondo. Non capiva perché il suo popolo non fosse più padrone di quelle terre. Non sapeva ancora cosa volesse dire la prudenza, l'onestà oppure i consigli che le dava il vecchio del mare: “Stai attenta Teresina, muoviti tra le persone senza farti notare, sii più veloce del vento, corri e non ti fermare più di tanto in un posto, confia en mi”. La bambina annuiva, ma la curiosità e la leggerezza della sua età la portava lontano, sempre in cerca di cose nuove e soprattutto di cibo da mangiare e da portare a casa prima di sera. In lei si mescolavano alla rinfusa emozioni e sentimenti uniti dalla frustrazione dell'impotenza, sopraggiunta anche dai discorsi dei grandi, che parlavano del popolo che aveva preso il sopravvento nel loro paese. Quei discorsi, che facevano gli adulti, erano entrati prepotentemente dentro di lei. Quel giorno, arrivata al mercato, sentì parlare un uomo che lavorava nella Finca de

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Senor Ramòn. Un signore ricco che veniva da lontano. Decise, allora di seguire il servo; la giornata era lunga, al mercato non aveva trovato nulla, quindi, saltellando di qua e di là, lo seguì fino alla villa. Dopo circa un'ora di cammino, arrivo alla grande villa del Signor Ramòn. Era immensa, Teresina sembrava un formichina ai piedi dell'edificio, alto e con tante finestre, e tante persone che si davano da fare: chi si occupava degli animali nel cortile, chi stendeva il bucato, chi uccideva l'animale di turno per cucinarlo; era una grande baraonda di persone che, però, non si accorsero della bambina, troppo presi ad evadere i loro incarichi. Per la bambina quelle persone sembravano spente, come se fossero prive di luce negli occhi, sembravano come morti che camminavano. Rimase senza parole, quasi impaurita, non aveva mai incontrato persone con dei visi così spenti, senza espressione. Gironzolò un po' , stando bene attenta a non farsi beccare, prese della frutta da un cesto e scappò via. Si mise su un'altura, nascosta tra gli alberi, vicino alla casa. Mangiò la frutta ed osservò quell'edificio così grande e con tante persone così strane. Poi, più tardi, riprese la strada di casa, decisa a ritornare l'indomani alla Villa. La mattina dopo, Teresina si alzò come sempre molto presto, ma non andò dal vecchio del mare, si recò subito alla grande villa. Enrique aspettò la bambina, ma lei non arrivò ed il vecchio prese la sua assenza come un brutto presagio. Teresina s'incamminò ed arrivò alla grande casa a metà mattina. Si mise su un'altura ad osservare quello che facevano i domestici. La vita lì era frenetica, non come nel resto del paese. La vita lì a Chimbote scorreva lenta; ognuno aveva il suo da fare, ma nessuno si affannava più di tanto: ci si svegliava presto: c'era chi pescava, chi coltivava la terra, chi andava a vendere al mercato, e chi ci andava per comprare. Ma nessuno del posto si muoveva così velocemente come quelle persone così strane e così tanto diverse da loro. La bambina le osservava, era molto incuriosita, quasi ipnotizzata. Era una realtà così distante


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dalla sua! All'improvviso vide una bambina come lei uscire dalla grande porta, aveva la pelle molto bianca, i suoi abiti erano candidi e puliti, il profumo di quelle vesti sembrava quasi arrivare fino a lei. Mentre camminava nel cortile, vide che le cadde qualcosa. Cercò di capire cosa fosse, ma non riusciva, era troppo lontana. Allora si avvicinò un poco, ma niente da fare. Quell'oggetto sembrava brillare sotto la luce del sole. Si avvicinò ancora, e ancora e ancora. La curiosità era troppa, ed allora arrivò proprio lì nel cortile. Talmente era presa ed eccitata che non vide più niente e nessuno. S'inchinò e prese quell'oggetto: era uno specchio! Bellissimo, era del colore della luna, argentato e brillava... brillava. Ed anche i suoi occhi brillavano, lo aveva sempre desiderato uno specchio. Teresina si guardò nell'ovale e vide il suo viso, tondo e scuro; i suoi occhi erano neri e fini e la sua bocca carnosa rimase aperta dallo stupore per qualche minuto; anche la sua pelle era scura e liscia. Era talmente rapita da ciò che vedeva che non si accorse che un uomo grande e nerboruto era dietro di lei. La prese alle spalle, pronunciando parole che lei non capiva. In pochi istanti si ritrovò circondata da molti adulti, le parvero dei giganti che la indicavano con il dito della mano, le loro espressioni erano severe, arrabbiate, ma lei non comprendeva cosa le dicessero e perché erano in cerchio intorno a lei. La bambina cercò di dire qualcosa: “Non ho fatto niente, lasciatemi andare. Volevo solo guardarmi allo specchio!”. Ma quelle persone si arrabbiarono ancora di più, allora cercò di scappare tra una gamba e l'altra, ma nulla da fare. La presero per un braccio e la legarono ad un palo. Rimase lì per delle ore, sotto al sole cocente. Fu solo allora che le vennero in mente le parole del vecchio Enrique: “Stai attenta Teresina, muoviti tra le persone senza farti notare, sii più veloce del vento, corri e non ti fermare più di tanto in un posto, confia en mi”. Queste parole le risuonavano in testa come i colpi di un martello. Era impaurita, la caviglia le faceva male, la corda era stretta talmente tanto da lasciarle il segno. Ad un certo puntò, la sua

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testa si accasciò da una parte e perse i sensi. Quando la bambina si risvegliò si trovò difronte ad una piazza gremita di gente. Si guardò intorno: era terrorizzata, il respiro si fece più veloce, il cuore batteva all'impazzata, le narici si aprivano ancora di più, quasi a voler respirare tutto l'ossigeno che esisteva nel mondo. Non capiva, ma non disse nemmeno una parola, il terrore correva nelle sue vene e la gola era bloccata. La folla sotto di lei la osservava, come quando si guarda un animale ferito che non ha più scampo. Teresina si trovava su di una impalcatura nella piazza del paese e le sue mani erano legate. Qualcuno gridava che era una ladra, che doveva morire. Le loro parole erano piene di disprezzo. La bambina fu invasa da un enorme senso di vergogna: era lì sola, davanti ad un centinaio di persone che la stavano giudicando, ma lei non aveva fatto nulla, aveva solo preso in mano uno specchio, voleva solo vedere la sua immagine... Proprio in quell'istante un uomo la prese prepotentemente da dietro, la mise su una specie di sgabello e le mise il cappio al collo. Con gli occhi sbarrati si guardò davanti, cercando un aiuto tra la folla, ma nessuno fece nulla. Era pietrificata, solo il respiro era talmente veloce che la testa le girava, le gambe non la tenevano più. L'uomo con un colpo solo tolse lo sgabello e Teresina cominciò a penzolare dal cappio. Si divincolò così tanto! I piedi si muovevano in avanti e indietro, le mani tentavano di allargare la corda, la bocca era spalancata in cerca di un poco d'aria. Proprio in quell'istante, Maria, la sorella più grande, si affacciò nella piazza, incuriosita dal frastuono. Maria vide quella scena terribile, e riconobbe la sorellina che penzolava ancora. La testa di Teresina era piegata in avanti, i capelli lunghi sparsi al vento, il corpo che si muoveva freneticamente ed il vestitino color mattone era sporco e strappato. Ci mise almeno cinque minuti prima di morire, il suo corpo era troppo leggero per spezzarle il collo, così la bambina soffrì molto. Quando finalmente morì, la folla lasciò in silenzio la piazza e Maria rimase qualche minuto a guardare il corpo della sorella prima di andar-


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sene. Il boia si accertò che fosse morta e poi prese il corpo di Teresina e lo gettò in una fossa comune insieme ai suoi sogni di bambina. Manuela Mazzola

“... Mi venga a trovare in farmacia!' di Ilia Pedrina

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UI è seduto sulla panchina della grande Piazza e intorno c'è poca gente, colonnati e palazzi d'epoca a far da cornice. Chi legge può immaginare spazi, tempi, suoni e colori, perché, per chi scrive, tutto gioca mirabilmente intorno alla circolarità. Lei si avvicina scioltamente. - Buongiorno, ha visto per caso la mia amica? Dobbiamo andare insieme in piscina. - No, per ora non ho visto signorine: quelle che ci sono qui hanno fretta, lo nota anche lei, non si fermano. - Come mai? Lei sembra così simpatico, disponibile! - Potrebbe essere tutta apparenza! Tutta apparenza da interpretare. - Non credo proprio e son sicura: le faccio subito cambiare idea. Mi venga a trovare in farmacia! In farmacia? - Si, si, in farmacia! - Ma come, adesso si chiamano così? - Certo, si informi! - Ma non le avevano tutte chiuse? - No, non è così: basta massaggiare chi di dovere ai fianchi e tutto si risolve. - Bene, verrò, ma ci sarà anche la sua amica, quella che lei sta aspettando qui, quella con la quale lei va, mi sembra, così spesso in piscina? - Si, si, ci sarà, lavoriamo sempre insieme! HA-TU per TU, per lei, per uno, per due per tre.

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- Per tre? Addirittura? - No, no, non si sgomenti, volevo dire 'per te': per uno come lei questo e tanto altro! - Potrò trovare facilmente la Cibalgina? - Certo, Cibalgina, Proteina, Contarina, Panformina e Sublimato. Si, soprattutto Sublimato, liquido, in polvere, da diluire, da smaltire per guarire. - Allora siamo a cavallo! A lei piace andare a cavallo? Mi sembra che la sua coda sia lunga e molto flessibile, il suo vestito aderente e sciolto ad un tempo, adatto proprio per star, con quei stivaletti che si ritrova ai piedi, in sella, in saldo arcione! - Certo, è così: coda flessibile e quando serve rigidissima: questa è solo l'apparenza. Come dice lei: bisogna interpretarla, l'apparenza, perché a volte, sa, l'apparenza è figliola diretta dell'inconsistenza. - Ma lo sa? Più la guardo e più mi sembra di riconoscere in lei un bel temperamento, talora burrascoso: si scalda facilmente? -No, sono lenta, ho flemma, ma valuto subito la situazione in tutte le sue circostanze, in ogni dettaglio. Lei ad esempio mi sembra molto port-foglioso e questa è l'ottima anticamera per ogni ulteriore contatto. -Da voi, in farmacia c'è pure l'anticamera? -Certo, anticamera, antibagno, antipasto per i non antipatici, nei luoghi adatti e pasto completo, al necessario: vede, se lei fosse studente o soldato, dico soldato giovane e studente giovane, avrebbe un trattamento speciale, con annessi e connessi gratuitamente. -Peccato, soldato non lo sono mai stato, ma quanto allo 'studente', io son sempre studente, studioso, studiato alla bisogna per meditare su questo tempo così particolare. -Lo sa lei che più si studia e più ci si accorge di non sapere nulla? Ne vengono nella nostra farmacia di rintronati che non sanno nemmeno che l'inconsistenza è figliola diretta dell'esistenza! -Adesso che lei mi ha dato un poco di confidenza mi dica, sempre se può, mi dica: sopra di lei c'è qualcuno che la domina? -Mi ha guardato bene? Dovrà per caso a breve farsi operare di cataratta bilaterale? Le


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Giugno 2019

sembro io, dico io, una farmacista podologa con studi goliardici alla Patavina Senesina, le sembro io un tipo che fa salire sulle sue spalle qualcuno? Fessa sarei, foss'anche un nano o un gigante! Voglio essere libera, passo sciolto ed ampia falcata. Mi raccomando, venga a trovarmi in farmacia! A qualche chilometro da qui, alla Terra Rossa, basta che il verde poi lo porti lei! -Sicuramente verrò. Domani stesso! Arriva l'amica e le due si abbracciano indifferenti di chi, seduto sulla panchina, le sta guardando e vorrebbe attraversare la loro malizia, quella che fa da calamita e che non lascia spazio all'agire alternativo. Un sorriso e poi via, quasi in una nuvola d'altro mondo. Ilia Pedrina (Ringrazio lo spirito e l'originalità creativa del Principe di Bisanzio, in arte Totò, che nel film Totò, Vittorio e la dottoressa, ha dato ispirazione a questo breve testo)

ALLE CINQUE SI FERMA IL CANTIERE Panni sudati appesi dietro le porte sgangherate della vita . Freschi e profumati altri invece dietro d’oro e d’argento. Batti la mazza ! Suda ! Innalza le città! Forgia col fuoco della giovinezza tua porte d’oro e d’argento: diaframmi, scudi, dell’arroganza del tuo padrone. Mangia i pochi spiccioli, consuma l’esistenza mentre resti a guardare le rilucenti invalicabili porte che gli hai servito. Dagli tutta la tua lealtà: mai la riconoscerà. Frattanto guardi il duro delle mani tue, e aggiungi pure la nostalgia di un tempo incorrotto,

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che forse non ti avrebbe consegnato chiodi dietro porte sgangherate, dove appendere panni consunti profumati di sudore, del lavoro della vita tua. Salvatore D’Ambrosio (Dalla raccolta “Barcollando nell’Indicibile”, Bastogi - 2009)

MALTEMPO Lo scroscio dirotto della pioggia lucida le verdi foglie, le fa splendenti come raso e seta. Passeri e corvi se ne stanno muti, rannicchiati sotto le grondaie: guardano a distanza le ampie pozze d’acqua dove qualche briciola galleggia... Un cielo plumbeo fosco di basse nuvole pare una vela di malinconia. Marina Caracciolo Torino

… rimarranno le ortensie con i suoi fiori ultimi di uno spento verdazzurro, e il vento sarà lieve tra i tuoi capelli mossi, dove pochi fili d’argento brilleranno al tramonto a intermittenza come le lucciole. E sarà allora che amerò il tuo sorriso maturo, le stagioni passate, le fioriture e i frutti, perché il sole si getterà sui cigli erbosi dove la rudbeckia fulgida illumina la sera. Wilma Minotti Cerini (dedicata all’amico Luciano Loy e alla sua bellissima raccolta poetica” Non sai la pena del vento”)


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Giugno 2019

I POETI E LA NATURA - 92 di Luigi De Rosa

D. Defelice - La casa del pipistrello (biro, 2018)

“TRAMONTATA È LA LUNA, E LE PLEIADI...” Saffo ( 630-570 avanti Cristo)

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e Plèiadi sono un ammasso di stelle, dell'età di cento milioni di anni, nella costellazione del Toro. Alcune stelle sono visibili anche ad occhio nudo, sebbene siano distanti dalla Terra qualcosa come 444 anni-luce. Le Plèiadi (Plèiades) sono citate in una lirica della poetessa greca Saffo (Sapfo), vissuta circa 600 anni prima di Cristo. E precisamente nel frammento 168b Voigt, a noi noto col titolo Tramontata è la luna, e le Plèiadi.... Le Plèiadi erano già note nell'antichità perché fornivano segnali utili per i lavori dei

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campi. In generale, gli antichi osservavano il cielo molto più di noi. Qui, invece, le Plèiadi vengono indicate da Saffo per indicare il raffronto tra lo scorrere implacabile del tempo e la malinconia struggente di una donna che si sente profondamente sola e senza amore nel proprio letto notturno. Il frammento, la cui attribuzione a Saffo è il frutto di lunghe ricerche e di vivaci polemiche, è stato tradotto dal greco antico, nel corso dei secoli, da numerosi Autori. La mia traduzione preferita, quella più “poetica” e affascinante, e più fedele rispetto alle altre (a parte il termine “giovinezza” invece di “tempo”) è quella di Salvatore Quasimodo (geometra, impiegato al Genio Civile, Premio Nobel per la Letteratura e grecista insigne, si vedano i suoi Lirici greci ). “ Tramontata è la luna e le Pleiadi a mezzo della notte: giovinezza dilegua, e io nel mio letto resto sola.” (Il terzo verso, originale greco, non parla di giovinezza, ma di tempo: il tempo trascorre. La Natura si pone come oggettivo ostacolo alla realizzazione felice dell'essere umano...). Fra le altre traduzioni, ricordo quelle di Ugo Foscolo, di Giacomo Leopardi, di Cesare Pavese. Ma tutto sommato, a parte il fascino della “poeticità”, credo che la traduzione più fedele sia quella di Giulio Guidorizzi: “ E' tramontata la luna insieme alle Pleiadi la notte è al suo mezzo il tempo passa io dormo sola.” Sembra che quell' io dormo sola sia l'unico, vero dramma rappresentato dall'Autrice, per la quale l'Amore viene posto in cima alla sua scala di valori. Avvenga ciò che deve avvenire, ma l'Amore non va fatto aspettare, che sia omo- o sia etero-sessuale. E' chiaro che qui la Natura non è il primo obiettivo reale, quanto un pretesto, un mezzo a fine: Il primo obiettivo è il bisogno d'amore, il bisogno di compagnia e di tenerezza, di affetto disinteressato. Attraverso i secoli, la fama della bella e intelligente, raffinata Saffo, di origine aristocrati-


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ca, dell'isola di Lesbo in mezzo al Mar Egeo, è stata sfiorata o investita dalla credenza in una sua omosessualità. E questo nonostante avesse avuto un marito, e una figlia, e si parlasse di un suo tentativo di suicidio per un bellissimo battelliere, un certo Faone. In realtà aveva fondato un tìaso, una convivenza o collegio per fanciulle di “buona famiglia”, che dirigeva con dolcezza e coinvolgimento emotivo personale. Nel tìaso si insegnava e imparava danza, musica, bella dizione, gesti delicati e gentili, tutto un universo all'esatto opposto di quello maschile. Ne conseguiva che anche i rapporti sentimentali e sessuali, tra le fanciulle, o le fanciulle e la maestra, sembravano assolutamente liberi, anche se esercitati come prodromo alle rispettive vite matrimoniali, una volta cadute in proprietà di un marito e, come accadeva allora, diventate schiave di una casa fino a non uscirne praticamente più. Al di fuori dell'ambiente del tìaso, le liriche di Saffo, ispirate alla dolcezza e alla soggettività esasperata, al canto a solo, cioè alla melica monodica, accrescevano la fama e il fascino della poetessa, considerata anche bella. Dati sulla sua immagine ci giungono da un “Ritratto” pompeiano e da vari frammenti, compreso uno pseudo-Platone. Perfino Giosuè Carducci avrebbe ripreso la metrica di Saffo...mentre molti anni prima avrebbe seguito il suo stile di abbandono quasi malato all'Eros, un noto lirico latino, Catullo (vedi il Carme 51, quello del Ille mi par esse deo videtur...). Luigi De Rosa

LA LUCE ETERNA Il viso chiaro che ritorna all'alba, la dolcezza delle guance calde fra le mani, sorriso ingenuo degli occhi fissi. La leggera celestiale figura dalle braccia che prendono intorno. Riporta la stessa andatura trasparente, la ondulata penetrante sua presenza. Immacolata freschezza dell'aria, respiro che s'infiltra per ogni dove.

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Divina luce sopra le nostre membra prese nell'incastro del ritmo di consumazione. Sopra la nostra struttura che si sconnette e perde i legami, frammentata cade in pezzi. La luce eterna attorno al mondo, sulla superficie della terra che porta i germogli, distrugge i resti frammisti e confusi, sopra le ossa scarnificate che hanno perso l'essere, diviso in parti che se ne vanno, punti di ricordo di una vita finita. La luce che ritorna sopra le nostre miserie, ad illuminare gli angoli reconditi della malinconia piegata sulle ostinazioni che si spezzano, sulle incertezze che irretiscono i movimenti dell'animo. La scintilla che brilla nella mente, che immota di sostanza pura è prigioniera erompente. La forza del contrasto sommuove l'io, lo porta a stati di fremito. Le braccia dall'altare, lo sguardo in alto. Nasce la chiesa per riconfortare l'intimo oppresso, la casa di Dio, spazio che libera la condizione di relegato. La speranza apre il cammino e si allenta la stretta delle sofferte angustie. Leonardo Selvaggi Torino

DIE NACHT Die Nacht bricht herein, verdunkelt die Welt mit einer schwarzen Decke. Weil sie Angst haben, schließen die Menschen die Türen ihrer Häuser. Auf der anderen Seite ist die Nacht, die Straßen von schnellen und ängstlichen Wagen befahren, die verlassenen Gärten, die auf den Tag warten um die Spiele und die Schreie der Kinder zu hören. Manuela Mazzola (Traduz. in tedesco di Marina Caracciolo, dall’ originale in. Pomezia-Notizie, maggio 2019, pag. 43)


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Recensioni PAOLANGELA DRAGHETTI LA GIOSTRA DELLE MERAVIGLIE Fantasia di Danze, Giochi e Colori sul pianeta Terra Ediz. Helicon, Anno 2011, Euro 11,00, pagg. 113. Rispetto ai noti scrittori di libri per bambini e ragazzi del passato – basti pensare ai fratelli Grimm, a Charles Perrault, ad Andersen, Emilio Salgari, Carlo Collodi, Jules Verne ed altri – lo stile di Paolangela Draghetti supera il fantastico e l’irrazionale per consolidare, invece, in questo caso, l’aspetto parentale, seppure immaginario, tra i fenomeni naturali che conosciamo sotto i nomi delle stagioni, le quali fanno parte dei mesi che insieme formano un anno, tutto nell’ambito della superficie della Terra che compie due rotazioni, quella attorno al proprio asse e quella attorno alla stella ad essa più vicina, il sole. Fisica, natura, vincoli di consanguineità extraumani, personificazione dei mesi e quant’ altro, sono i componenti dell’articolato racconto La giostra delle meraviglie, perché proprio di una giostra si tratta: straordinaria metafora usata dalla Draghetti per rappresentare il nostro pianeta, prescelto fin dalla Genesi dal Sommo Creatore per essere messo a disposizione degli esseri umani, contornati dagli esseri vegetali e animali. « […] Benché il ritmo cadenzato e ripetitivo del meccanismo della Giostra possa far apparire monotono il gioco, le quattro Stagioni, non considerano i loro compiti un dovere noioso e faticoso bensì piacevole e divertente. Sanno sempre come trovare il modo per vivacizzarlo e animarlo. » (A pag. 14). Anzitutto l’autrice si firma Zia Polly – nome collegato a quella figura della zia dapprima intransi-

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gente e priva di slanci emotivi del romanzo di Eleanor Hodgman Porter, dal titolo Pollyanna e che, invece, sul finale della storia il suo animo cambierà in bene, grazie al carattere solare della nipotina orfana da lei adottata –, entrando così subito in piacevole sintonia col pubblico dei giovanissimi (e non solo) in veste di scrittrice-scienziatageologa-fisica-climatologa… Sì, dal momento che la Draghetti ha voluto spiegare concetti di suddetti argomenti con parole semplici, proprio per sensibilizzare le coscienze di ognuno, genitori e figli, nei confronti del nostro pianeta che sta soffrendo a livello climatico in questi ultimi tempi. Il suo racconto è stato un modo per riportare ai passati splendori la configurazione dei dodici mesi dell’anno, che fra loro, nella fiaba, sono fratelli e a tre a tre figli delle stagioni, a loro volta figli dei due sovrani: il Re Anno e la Regina Terra. « […] Occorre però precisare che i due Sovrani non regnano imperituri insieme in quanto, mentre la Regina ha il dono della longevità, il Monarca resta in carica solamente trecentosessantacinque giorni, trascorsi i quali è costretto ad abdicare in favore di un nuovo Re Anno, e scompare per sempre. » (A pag. 12). Una grande famiglia appartenente indissolubilmente alla sfera terrestre fin dalla Genesi e, oltre a farci sorridere leggendo tra le pagine dei fantasmagorici cugini nonni zii preposti alle varie fasi cicliche della natura, in qualche modo la loro situazione familiare ci induce a riflettere sui rapporti autentici tra nonno e nipote, madre e figlio, cugino e cugina, in senso antropico. Si leggerà che la Regina Terra ogni anno, nel giorno dell’ equinozio di marzo, benedice sua figlia Fata Primavera che lascia la Giostra per recarsi a danzare in mille modi differenti per i campi di ogni continente. I quattro fratelli, dai nomi Fata Primavera, Dama Estate, il pittore Autunno e Mago Inverno, purtroppo, non possono ritrovarsi tutti assieme contestualmente, ma si passano a vicenda il testimone dopo aver sostato ognuno per novanta giorni sul pianeta, rivestendolo dei loro precisi stati d’animo e colori. Così succede, ad esempio, a Mago Inverno di provare nostalgia e sgomento nella Notte Santa a causa dell’ impossibilità nel riunirsi coi figli, Dicembre Gennaio e Febbraio, e coi nipoti e fratelli. Un senso di solitudine incolmabile che porterà Mago Inverno a cercare conforto sfogliando il vecchio, polveroso, ingiallito Album di famiglia. « […] Prelevatolo dallo scaffale, si riaccomodò in poltrona stendendolo sulle ginocchia per meglio maneggiarlo. […] Eccole tutte in fila, una dietro l’altra in ordine cronologico, le varie foto dei Re Anno che si erano succeduti. Sotto ciascuna di esse


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era riportata una didascalia, in cui erano descritti, in maniera sinottica, gli avvenimenti più salienti accaduti nei rispettivi regni e che avevano segnato la storia dell’Umanità. » (Alle pagg. 39-40). Tutte le numerose analogie con quelle che possono essere le difficili circostanze in cui l’uomo si ritrova, fanno di questo lungo racconto una magistrale sintesi di come dovrebbe essere vissuta la famiglia al suo interno: la figura del nonno che non dovrebbe essere lasciato da solo; la tavola natalizia che più che dell’addobbo di pietanze prelibate e doni ha bisogno del sincero calore attorno dei familiari; i nipoti che non devono sottovalutare o scartare l’esperienza dei vegliardi; la sostenibilità dell’ intero creato che va diffusa per garantire la vita alle future generazioni. Nella Sezione Appunti di viaggio (per avere le idee più chiare), Zia Polly (l’autrice) ha ideato un’ autointervista di venti domande con altrettante risposte al fine di soddisfare il più possibile quella precoce sete di conoscenza giovanile, come, ad esempio, potrebbe essere quella legata all’origine del tradizionale calendario. « Il calendario attuale è stato ricavato da Papa Gregorio, correggendo e modificando il precedente calendario romano, che è andato perso. Sappiamo però che i mesi hanno conservato il nome originario dato dai romani e lo stesso numero di giorni. Inoltre pure i romani avevano un anno bisestile ogni quattro anni. La correzione si rese necessaria poiché si accorsero che, per la variazione della durata dei giorni, il calendario non corrispondeva più alla data segnata. » (A pag. 89). Infine, una Sezione dedicata ai quiz, cruciverba, disegni da colorare e giochi verbali, giochi matematici attinenti soprattutto alle stagioni, conclude la magnifica narrazione. Diciamo che quando lasceremo la Giostra delle meraviglie ideata da zia Polly, saremo cambiati nei confronti del nostro pianeta Terra, di come lo tratteremo in seguito e di come assisteremo alle stagioni e al trascorrere dei mesi, giacché anche loro costituiscono una preziosa comunità abbisognante di attenzioni e armonia. Isabella Michela Affinito

EDMONDO DE AMICIS SULL’OCEANO (Gammarò, Sestri Levante, 2008, € 16,00) La vicenda della nostra emigrazione verso l’ America del Sud è stata descritta a suo tempo da Edmondo De Amicis in un libro intitolato Sull’ Oceano (1889), che costituisce il resoconto di un viaggio da lui compiuto nel 1884 a bordo del piro-

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scafo Nord America, che trasportava oltre 1500 emigranti in Argentina e in Uruguay. Questo libro, a cura di Francesco de Nicola, è stato riproposto nel 2008 dall’Editore Gammarò di Sestri Levante ed è per questo che ci piace parlarne in questa sede. Il resoconto del suo viaggio viene fatto da De Amicis con spontaneità ed efficacia in un volume che non è soltanto puramente descrittivo, ma che, come osserva De Nicola nella sua ampia e penetrante Introduzione al testo, “affronta anche il tema attualissimo dell’emigrazione”. Vi sono pagine di questo libro nelle quali l’autore si fa pensoso nel parlare delle condizioni miserevoli di molti suoi simili costretti ad emigrare a causa della loro miseria, causata dalla sfortuna o dalla cattiveria altrui. E si tratta per lo più di agricoltori ridotti sul lastrico dalle annate avverse o dalla malaria; di pastori rimasti senza gregge; di operai sfruttati con salari di fame: gente partita da ogni regione d’Italia per cercar fortuna in una nuova Terra meno matrigna di quella in cui erano nati. De Amicis descrive questa dolorante umanità con finezza d’intuito, penetrando di ciascuno il dramma segreto, spesso nascosto dietro l’aspetto di una dignitosa povertà. Le sue parole allora si colorano di pietà e di umana simpatia, come avviene in questa delicata frase in cui parla di una giovane: “Tutta la femminilità di quella povera ragazza pareva ridotta nei suoi piccoli occhi grigi, che eran pieni di bontà e di gentilezza”. Ma si leggano anche certe sue descrizioni paesaggistiche che appaiono nate da un reale sentimento di partecipazione alla vita della natura, quali questa che qui riportiamo: “Il cielo era tersissimo, e pendeva sull’orizzonte uno spicchio bianco di luna, quasi svanito nella soavità dell’ azzurro”. L’istanza sociale e il sentimento di fratellanza umana sono pertanto accompagnati in questo libro dall’ammirazione per il mondo esterno, nel quale il viaggio si compie e da notazioni psicologiche di molta finezza, come quella riguardante il garibaldino per il quale De Amicis dice che “lo scetticismo in cui era caduto non era ignobile perché soffriva e amava ancora il bene in cui non sperava più”. Ci sono poi le visioni luminose del viaggio per mare, come quella del “bastimento grande, che pareva immobile, con tutte le vele aperte e candide, come un gigantesco cigno dall’ali tese”, apparso come per magia ad un tratto del cammino. Ma destano una profonda meraviglia nell’autore anche i prodigi della tecnica di cui la nave è portatrice, con le sue attrezzature meccaniche e i suoi mille congegni: “… quella varietà di cilindri, di tubi colossali e di ordigni d’ogni fatta, agitati da una vita furiosa, formanti tutti insieme non so che spaurevole mostro di metallo”. E grande è la maestria con la quale l’


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autore descrive le meraviglie che si dischiudono alla sua mente. Naturalmente in una lunga traversata oceanica a momenti lieti succedono altri tristi o paurosi, come quelli in cui il cielo s’oscura e il mare si agita minaccioso, gettando gli animi nello sgomento, per il timore sempre latente di un naufragio. De Amicis riesce poi a ritrarre la vita di bordo con rapidi schizzi e scenette talora scherzose, altre volte serie, che colgono appieno l’animo della dolente umanità che gli sta dinnanzi e della quale egli interpreta i dolori e le gioie, le delusioni e le speranze. Giocoso è a volte il movente, come quello che sta alla base dello scherzo fatto ad un passeggero “semplice e credenzone come un fanciullo”, cui vien fatto credere di poter telegrafare a sua moglie dalla nave, e di ricevere la sua risposta. In cambio egli cede le sue bottiglie di vino pregiato che portava al fratello in America e che sino a quel momento erano state da lui custodite con cura. Ci sono poi le esperienze traumatiche, come quella del caldo cocente al passaggio dell’Equatore o dei banchi di nebbia che talvolta ravvolgono la nave. E ci sono le interminabili giornate che sommergono nella noia i passeggeri di terza classe, stipati nelle loro misere cuccette. Con particolare efficacia sono descritti in questo contesto taluni eventi, come quello della festa al passaggio dell’Equatore, cui succede l’immobile sequenza delle ore nelle quali nulla accade e nelle quali “plumbea” è l’aria o quello del battesimo di un bambino nato a bordo o dell’apparire di mirabili effetti luminosi sul mare o del sorgere nel cielo notturno della Croce del Sud. Anche gli amori sbocciano durante il viaggio, divenendo talvolta vere e proprie passioni. Tra le molte esperienze fatte durante la traversata c’è poi anche quella di un’avaria al motore della nave, che per fortuna viene presto riparata. e c’è la morte di un vecchio contadino piemontese, ammalato di polmonite, la cui storia è estremamente commovente. Né manca la descrizione minuta di una tempesta, con i segnali sinistri che l’ annunciano e con gli “scrosci” e gli “schianti” che l’ accompagnano. Il viaggio termina in Uruguay, con l’arrivo a Montevideo, le cui luci scintillano in lontananza. Il mattino seguente gli emigranti sfilano per scendere a terra, e De Amicis ne riconosce molti che cordialmente saluta. La vicenda della traversata così si conclude, offrendo a chi l’ha seguita un vasto oggetto di riflessione per i molteplici risvolti sociali che contiene e per la calda umanità dalla quale è permeata. Elio Andriuoli

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MICHELA MURGIA ACCABADORA Einaudi, 2009 La scrittura di Michela Murgia (giovane autrice che con questo romanzo ha vinto il premio Campiello nel 2010) è ricca della magia e della sapienza della sua terra, la Sardegna. Fin dal titolo siamo introdotti in un mondo rituale e misterioso. Difatti Accabadora, che a sua volta deriva dal termine spagnolo “accabar”, finire, ha il significato di colui che finisce cioè che aiuta le persone a trovare una morte dolce: una sorta di eutanasia ante litteram. Il personaggio di “Zia Bonaria”, appunto zia di Maria, alla quale la ragazza era stata affidata fin da piccola, perché la madre naturale per l’estrema indigenza non poteva allevarla, è avvolta nel mistero, è la femmina Accabadora ,che però di mestiere faceva la sarta. La storia è ambientata negli anni Cinquanta in un paesino della Sardegna: Soreni, di cui l’autrice ci dà ampie descrizioni di paesaggi di campagna coltivati a vigneto e divisi dai caratteristici muretti bassi a secco. E’ dunque rappresentata una società arcaica con i vari usi e costumi connotati dalla coralità: la festa della vendemmia, la festa di fidanzamento, in cui tutte le donne di casa si riuniscono a preparare amaretti e il pane nuziale da offrire a messa per l’offertorio, e altri dolci tipici: i gneffus (pirichittus – pabassinos). Personaggio secondario è quello di Anna Listru, la vera madre di Maria che, rimasta vedova con quattro figlie da mantenere, divenute tre da quando la ragazza è fillus de anima, rivela una certa miseria morale e furbizia popolare. La donna non ha mai accettato la nascita di Maria, però è consapevole dell’utilità dell’adozione della figlia, che potrà ereditare tutto il patrimonio di Bonaria Urrai, alla quale la ragazza si lega, considerandola una vera madre. L’anziana donna insegnerà a Maria a cucire, a fare le asole, ma soprattutto a capire come la vita e la morte sono inserite in un ritmo biologico regolato da leggi che fanno parte di un mondo atavico, da scoprire e condividere. Gli altri personaggi che si relazioneranno con i protagonisti, a parte la madre di Maria e le sorelle, sono i componenti della famiglia Bastiu, laboriosi agricoltori e proprietari di piccoli appezzamenti di terreno; il più grande dei Bastiu, Nicola, si innamorerà di Maria, ma la loro storia è segnata dalla tragedia, perché Nicola subisce un infortunio dopo aver dato fuoco al podere di “Pran’e Boe” e come conseguenza aveva subito l’amputazione della gamba. Questa mutilazione lo fa sprofondare nella disperazione più cupa, fino a fargli desidera-


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re la morte. Chiede così aiuto all’Accabadora, la quale, se in un primo momento rifiuta sdegnosamente la richiesta di Nicola, successivamente all’insistente supplica del ragazzo, che è deciso a porre fine da se stesso alla sua vita, acconsente. Ma c’è un altro motivo più intimo e personale che ci viene rivelato attraverso un flashback: Bonaria Urrai vent’anni prima, legge nello sguardo del fidanzato, Raffaele Zincu (chiamato alle armi nella Grande Guerra sul Piave), la stessa determinazione nel desiderare di morire, e non di restare mutilato, qualora fosse stato ferito, di Nicola Bastiu: “aveva la stessa luce di quegli occhi verdi che frugavano nell’anima altrui, come se non avessero paura del prezzo da pagare”. La verità sulla morte di Nicola Bastiu, Maria l’apprende dalla confessione convulsa e disperata del fratello “Andria”, che la notte del primo Novembre era rimasto sveglio per vedere le anime dei parenti morti che si aggiravano per la casa, a cui per tradizione si preparava la cena. Invece Andria si accorge di una donna “avvolta in uno scialle nero” che entrava furtivamente nella stanza del fratello e lo soffocava con il cuscino. In quella donna vestita di nero Andria Bastiu riconobbe Bonaria Urrai. Sarà dunque inevitabile il drammatico colloquio che poi Maria avrà con l’Accabadora, giudicando intollerabile aiutare le persone a morire, che è l’ equivalente di ammazzarle: “io non sarei capace di uccidere solo perché voi lo volete”. L’Accabadora rappresenta “quell’universo lontano”, regolato da leggi arcaiche che ne hanno determinato l’equilibrio: “chi aiuta a nascere aiuta anche a morire”, replica Bonaria Urrai, “e non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo”. La partenza di Maria, che si separa dalla madre e accetta un lavoro di bambinaia a Torino, costituisce l’ultima parte del romanzo, che diventa una sorta di “Bildungsroman”negli ultimi due capitoli. L’infatuazione di Maria per il figlio maggiore della famiglia Gentili, che le confiderà un inquietante segreto, sarà il motivo del suo licenziamento, il quale è successivo alla notizia della malattia di Bonaria Urrai, per cui la giovane è costretta a tornare a Sorani. Maria assolverà e assisterà per qualche anno l’Accabadora con grande dedizione fino al punto di dover chiedere a Bonaria, come estremo atto di amore, se vuole essere liberata dalla sofferenza. Lo stile semplice e asciutto fa emergere una terra primitiva e mitica: così la Sardegna della Murgia è simile alla Sicilia di “Conversazioni in Sicilia” di Vittorini e alla Lucania di Carlo Levi. L’autrice, dunque, attraverso la letteratura, affronta alcuni temi di grande attualità: testamento

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biologico, eutanasia e maternità elettiva, invitandoci a riflettere senza pregiudizi tali da cadere nei luoghi comuni. Giuseppina Bosco

FIORELLA GOBBINI CANTO SEGRETO Albatros, Roma 2011, Pagg. 54, € 11,50 Le poesie di Canto segreto sono quasi tutte brevi o di media lunghezza; la versificazione è scorrevole e appassionante, grazie ad alcune assonanze, qua e là, o a rime; in ogni caso la musicalità rende piacevole la silloge che l’autrice romana, Fiorella Gobbini, dedica alla madre. La prefazione è di Silvio Scorsi che ne evidenzia la dichiarazione di poetica, racchiusa nel breve componimento in chiusura della silloge, in cui la Nostra ha modo di “decantare” le scorie del suo vissuto portandole alla luce attraverso la poesia. Il critico giudica la poesia, armoniosa, e avverte che quella vaga cantilena presente non è solo leggerezza, bensì levità per moderare “temi taglienti e spiazzanti” come faceva Vivian Lamarque. La poesia d’apertura ne è un esempio, ‘Ninna nanna di una mamma’ dedicata a Morgan e Kristen, è filastrocca che sicuramente ogni madre avrà cantato ai propri bimbi. E immediatamente dopo segue l’immagine di un “piccolo uccello” che si desta nel suo nido e si vede solo. In queste immagini possiamo vedere il contraltare dei tanti bimbi lasciati soli, per varie ragioni; ma anche la metafora esistenziale della Poetessa. Questo piccolo mondo, verrebbe da dire, sta scomparendo poiché dedica sempre meno tempo ai propri bimbi, quando ci sono, e poi si provvede con dei sostituti, metti p. es. gli asili nido, le tate, od anche la musica. E altro ancora. C’è un crescendo di intensità nelle emozioni, che si sublima nella drammaticità della solitudine: “ma quando ritorno/ l’amore non c’è.” La Poetessa si interroga, in un certo modo, sul senso che deve avere la vita, sulla funzione che gli esseri umani debbano assolvere; così ammonisce affinché ci si renda utili ai propri simili, ricordando che la vita è intorno a noi, in tutte le espressioni della natura. Il bisogno di un conforto è connaturato negli esseri, tanto che essi si rivolgono alle stelle, alla luna, alla luce, al respiro della natura e la Nostra non fa eccezione, così vorrebbe allontanare i conflitti, “la guerra,/ e non soltanto quella ufficiale:/ anche quella dell’ anima fa male.” (pag. 23). Fiorella Gobbini riconosce il valore dei libri in cui ha affondato le sue radici culturali, che l’hanno formata, di quelli di cui si circonda, che sono parte


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del suo vissuto. Definisce la ‘felicità’ dicendola che “È un sorriso di Dio all’umanità./ Ma è goccia di rugiada in un deserto” (27). Desidera affidarsi al sogno, all’evasione a occhi aperti, estraniarsi; andare fuori dal tempo, vivere in un giardino incantato con l’anima gemella. Un velo copre il suo dialogo con la madre: “Ti cerco e non ti trovo,/ ti trovo e non ci sei.” (37) che noi rispettiamo. E altro velo ricopre un amore svanito senza un perché e soffre un’intima indifferenza. Richiama il valore delle parole da usarsi con la testa e con il cuore; meglio tacere se non si ha che dire. Accoglie il vento sul viso come la mano leggera di una carezza e, a proposito della solitudine, dice: “Se vuoi entrare nella mia solitudine,/ ti prego, bussa piano alla mia porta./ Ci sono tanti pensieri e sentimenti/ non rivelati, sopiti, addormentati.” (48). La sua è poesia semplice, non ha elucubrazioni o indirizzi costruiti; per dirla con le sue parole è il canto segreto, che “viene dal cuore” e noi ne varchiamo la soglia, più di tanto. Tito Cauchi

ROCCO VACCA AMURI CHI DUNA FRUTTU Il Convitto Pignatelli di Gela Edizioni: Solidarietà, Gela (CL) 2017, Pagg. 112, S.i.p. Rocco Vacca è scrittore dialettale gelese per scelta. Amuri chi duna fruttu è poema in 57 sonetti nell’idioma siciliano e testo in lingua italiana a piè pagina che si aggiunge alle quattordici opere pubblicate; in copertina vecchia foto del Convitto Pignatelli e all’interno alcune foto. Vuole rivendicare l’esistenza di un tempo, in Sicilia, che non era solo del vituperato borbonico. L’opera è anticipata da tre intereventi critici e riporta l’atto notarile di Anna Maria Pignatelli principessa di Roviano (Roma), trascritto di passaggio a Napoli nel 1842, come preliminare del deposito del testamento che nel 1844 sarà registrato in Caivano, al tempo del Regno delle Due Sicilie. La presentazione è della prof.ssa Maria Concetta Goldini, la quale spiega che l’amuri è quello che la Principessa “mostrò per la città di Terranova con un lascito a favore dell’educazione delle fanciulle povere ed orfane della città.”. Gela, l’antica Terranova, si è dotata di due enormi complessi edifici che da convitto, si sono trasformati, nell’arco del tempo, in istituti scolastici, dalle Elementari al Ginnasio-Liceo. Oggi l’Istituto Superiore viene utilizzato per attività culturali. Nelle note di commento il prof. Antonino Mor-

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reale, fa un’ampia ricostruzione della “storia do Committu”, giudicando “mirabile documento” il testamento della Principessa, che ne rivela nobiltà d’animo e profonda umanità. Egli, più che novantenne, tratteggia un excursus storico della mutata destinazione di alcuni edifici provenienti dalla donazione della Nobildonna, la “imperitura riconoscenza” che la città le deve; ricorda di quando per gli studenti costituiva “la meta agognata, per frequentare quell’Istituto, a cui si accedeva” dopo un esame. Altresì ricorda quartieri e personaggi illustri, andando alle radici elleniche, al tempo federiciano in cui venne ricostruita con il nome di Terranova e soprannominata Città delle Colonne, per via delle colonne doriche che vi erano in gran numero, fin quando nel 1927 riprende l’originaria denominazione di Gela. Opera meritoria che ripercorre la memoria storica della Città “greca, italiota, normanna, mediterranea; spesso vilmente vilipesa e calunniata, tradita, ostacolata nel suo progredire.” Infine nella prefazione il prof. Fabio Sciandrello paragona i sonetti a un “poemetto di carattere storico-locale”, nel tentativo del recupero della memoria in senso foscoliano, di eternare “chi lascia ricordi sé”. Altresì richiama il Risorgimento e le due guerre mondiali, il fascismo e lo sbarco americano; la fondazione del partito popolare di don Luigi Sturzo, cui contribuì il valente Salvatore Aldisio destinato ad una carriera politica illustre. Il Nostro descrive lo stato in cui la Città versa, il mal governo, polemizza ma senza acrimonia, con spirito temperato; richiama i beni storici che qualificano l’identità culturale dei suoi abitanti. Ricorda che la religiosissima Principessa ha voluto essere sepolta nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, in Roma, per stare vicino all’amata figlia che l’ha preceduta; ne fu esecutore testamentario il vedovo, Principe Prospero Colonna. La versificazione è in endecasillabi, ha il fascino epico dei vecchi cantastorie, non mancando della musicalità della parlata e delle rime; la narrazione scorre in modo autobiografico e non manca di dare voce alla stessa Principessa. Ha inizio “Quannu l’Italia aviva tanti stati” e ognuno pensava a sé; segue una panoramica dei luoghi storici della Città; poi dichiara: “Vogghiu parrari di na gran signura/ Chi dèsi tantu preju a Terranova;/ […]// Era di Pignatelli a discinnenza,/ Ccu Pròspiru Colonna maritata;/ Nobili i cori e nobili i Casata” (sonetto XIII). Infine rammenta che “L’amuri duna fruttu quannu è veru” che suona come un richiamo etico. Il verso ricorda il poeta concittadino Guido Colonna, della Scuola Siciliana al tempo di Federico Secondo (nel Duecento).


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Opera meritoria per avere reso un servizio alla comunità, scritta con sentimento di riconoscenza e di amore; ha elevato a dignità di lingua l’idioma gelese. Mi sono attardato perché mi tocca da vicino, conoscendo fin dall’infanzia Rocco Vacca e, quindi, avere respirato la stessa aria dei luoghi descritti dagli illustri docenti. Purtroppo solo ai nostri giorni, la comunità sta prendendo coscienza di quanto finora ignorato delle antiche e gloriose vestigia, oltre che offeso con interventi per niente idonei; il Poeta così afferma: “il popolo gelese è rassegnato, se vuole cultura va fuori”. Tito Cauchi

ADALGISA RUSSOTTO VIBRARE DI CORDE Edizioni Il Messaggio, Ragusa 1998, Pagg. 48, Lire 15.000 Vibrare di corde è silloge di brevi componimenti, opera di esordio di Adalgisa Russotto, poetessa siciliana di Gela; autodidatta ha scritto in vernacolo e in lingua venendo inserita in antologie e riscuotendo riconoscimenti. La pubblicazione è realizzata nelle Edizioni curate da Federico Hoefer, il quale giudica la poetica della Nostra: «diuturno movimento introspettivo […] accattivante come una corolla che si dischiude al cielo». L’esergo è di Ester Monachino: «…so chi siamo noi, punto sospeso/ sul crocicchio del tempo…». La copertina, Testa di Orfeo, è di Giovanni Valenti. Infine la prefazione è di Maria Giovanna Cataudella, che evidenzia la necessità interiore della Poetessa di esprimere le sue impressioni sul contatto con la realtà registrata nell’anima da cui affiora prepotentemente la figura del padre scomparso. Penso che l’atteggiamento della Poetessa, verso il futuro, sia di speranza e di apertura, poiché nel breve componimento incipitario, dice che affacciandosi oltre le vetrate “Tra le sterpaglie ed erbe velenose/ nasceva tenero un germoglio.”. La sua mi sembra poesia ricca di immagini della natura, difatti il suo sguardo è volto tutt’intorno ai monti lontani e al mare; ai fiori colorati che effondono un profluvio di profumi narcotizzanti, oserei dire, che la trasportano oltre ogni orizzonte; come se volesse abbracciare l’intero universo con cui lei stessa si fonde, in una beatitudine che la eleva in alto come la rondine dal “garrire atono”, o i gabbiani che “planano sugli azzurri increspati”, da cui può osservare la cicala nello “ossessivo frinire” e la farfalla silenziosa. Dalla sua profondità interiore, lei “Impastata di polvere e saliva”, si avvicina a Dio. Si pone all’ ascolto del “dondolare degli ormeggi”, del “suono

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di risacche”, si rispecchia in una improbabile viandante che a sera si ritrova con le “mani vuote”. Un vuoto giustificato dalla scomparsa del padre del quale continua a sentire il respiro, il profumo, la presenza. Ricompaiono il gabbiano e il delfino; ma, osserva, che i cavallucci sono rari e le stelle marine sono morte. Si sente ricoperta di maschera, si muove come su un palcoscenico nel ruolo di un “pagliaccio”, per fare ridere gli spettatori; ma dentro di sé, solo lei sa del proprio pianto di dolore. L’animo appesantito la trasporta fra i suoi morti, dinanzi a un freddo marmo dove posa un mazzo di fiori e il dolore trova pausa. Adalgisa Russotto nel suo Vibrare di corde si rivela capace di divertirsi nel dire di avere letto una parola composta, lunghissima, e mostra un acrostico che diventa “nuvola”. Nell’animo la pesantezza non lascia tregua e sembra caricarsi della Croce di Cristo. Nel silenzio o indifferenza degli altri; forse l’unico soccorso le viene offerto dalla poesia che le balenava fin dai banchi scolastici. La Poetessa ha portato con sé il luogo dell’anima, partendo dalla sua Gela in Sicilia e giungendo in Selvino in Lombardia senza rinunciare a sognare che “La luna si riflette/ sul fiume che scorre.” Forse potrà sembrare un po’ sfacciato l’essermi approcciato con una sorta di simpatia, poiché ho conosciuto a vario titolo tutte le persone che hanno concorso alla realizzazione di questo libricino. Credo ne valesse la pena. Mi rincresce non averlo fatto prima, per il timore di apparire celebrativo. Mi duole farlo adesso che non stanno più fra noi: Adalgisa Russotto (1950-2004) che ho conosciuto bambina, quando eravamo vicini di casa, stroncata da una malattia; Giovanni Valenti (1954-2001) di Niscemi, che ho avuto il piacere di ospitare in casa, morto in seguito a un incidente stradale, il suo Orfeo di copertina evoca, fra l’altro, la morte; Federico Hoefer (1930-2018) di Porto Empedocle, vissuto molti anni a Gela, con il quale mi sono incrociato da giovane al mio primo impiego. La vita è un vibrare di corde, e la poesia offre occasione di ritorni nei luoghi dell’anima. Tito Cauchi

ELISABETTA DI IACONI CAMMINERÒ Il Croco/ Pomezia-Notizie, Pagg. 32 Elisabetta Di Iaconi è scrittrice romana versatile di lungo corso e la sua recente silloge assomiglia ad un piccolo poema, ad un diario in cui descrive un viaggio dell’anima, una sua odissea, il cui titolo la proietta al futuro, Camminerò; ma, credo su


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un tracciato già segnato. La presentazione è di Domenico Defelice che paragona l’ambientazione della raccolta, a quella di Edgar Allan Poe che ci ha accompagnato nell’infanzia e che Gustavo Dorè ne illustrava le opere accentuando gli aspetti minacciosi dei racconti. Altresì specifica che il “corpo si eterea”, ed il sottoscritto aggiunge che la Nostra si trasforma in puro spirito alla ricerca dell’ineffabile, di un sorriso che si indirizzi verso Dio. Il componimento eponimo di apertura è il suo manifesto, direi, propositivo dell’itinerario che sta per intraprendere: “Camminerò veloce lungo i viali/ delle giornate liete./ E sarà un nuovo viaggio/ al ritmo di orologi senza tempo.” È chiaro il suo intento, ma di fatto osserva percorsi a ostacoli, come suol dirsi, costretta a riconoscerne le tinte scure apparse fin dalla nascita. Sogna al ritmo delle ninne-nanne trasformandosi ella stessa in una nota e in un verso poetico che la faccia volare. La realtà la scuote dalla sua ascesa e Lei prega Dio di sorreggerla. L’assenza di una mano amica la fa soffrire, ha piena coscienza di sé, riconosce di essere un piccolo frammento del cosmo e in questo scopre un germoglio della poesia. È così che il suo sguardo si posa sulla quotidianità cogliendone aspetti per niente gioiosi (bambini che non sorridono, la vecchietta che si muove con lentezza). Abbraccia la croce di un “destino oscuro”, aggrovigliato; lambisce i suoi ricordi lasciati alle spalle come amuleti: “le carezze affettuose di mia madre,/ le frasi di mio padre,/ i libri che scolpiscono il pensiero,/ l’abbraccio dell’amore” (pag. 17); perciò nutre la speranza di un futuro migliore. Le notti silenziose, le fanno compagnia, la frastornano nel tumulto dei pensieri affollati e il cuore è stanco e desideroso di riposare. Se il viaggio di Ulisse attraversa alterne avventure, quello di Elisabetta Di Iaconi, in Camminerò, viene tradito dai versi, piani all’apparenza, ma che in tutti i componimenti si alternano in lunghi e brevi simulando le onde del mare. La Poetessa forse è sfiduciata, poiché la vita gliene avrà dato motivo. Il lessico richiama il viaggio, interiore: traiettoria, tracce, orme, passi, itinerario, direzione, e simili; e ancora, la memoria che si sfalda in nostalgia attraverso “vie dissestate” come si era evidenziato nella presentazione con l’accostamento ad Edgar Allan che non ebbe una vita spensierata e che aggiunse al suo nominativo il cognome del patrigno (Poe). La Nostra confessa che queste sono “pagine di diario/ stilate con l’inchiostro del coraggio.” (pag. 26) e noi ne siamo certi. Tito Cauchi

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DOMENICO DEFELICE UNA LETTERA DI ADDIO Racconto inedito in volume, apparso su PomeziaNotizie, aprile 2019 Dalla raccolta inedita, NON CIRCOLA L’ARIA, sul numero di aprile della presente rivista, Domenico ci ha fatti partecipi di uno spicchio importante della sua vita con il racconto: Una lettera di addio. Il racconto è quasi come un sogno; un ritorno alla stagione che ha lasciato, fortunatamente, tante positività nella sua anima. Ma anche qualche ferita che, sebbene rimarginata, ha prodotto una cicatrice che anno dopo anno è andata assottigliandosi, ma che comunque è lì a intaccare una superficie che non si presenta più liscia, senza asperità. È essa superficie quella del nostro animo verginale, convinto che l’amore sublimi ogni cosa. Quando si parla di amore, non si intende solo quello per l’altra metà di noi stessi, di cui da tempi ancestrali si va alla ricerca. Si parla anche di amore che dona libertà; che è libertà, perché deve essere tale da impedire ad altri di soffrire. Un amore non corrisposto o quanto meno non pienamente soddisfacente per uno dei due, può dare sofferenza, similprigione, forse anche sconcerto. Le infatuazioni d’amore, si legge nel racconto, possono essere molto pericolose. La donna angelicata, posta sul piedistallo, padrona nella sua torre d’avorio: può essere causa di subbuglio interiore, di perdita di autorità e credibilità. L’affidarsi completamente al sentimento, trascurando il raziocinio, può fare ammettere anche colpe mai commesse, al punto da prefigurarsi anche di aver in sé le potenzialità di un assassino. O peggio ancora prendere dalla delusione amorosa, la forza e il coraggio per compiere l’atto estremo del suicidio. Ma la donna del racconto del Defelice, anche se non è la Beatrice salvifica dantesca (in un certo senso le si avvicina), ha anche una funzione catartica. Compare, a un tratto infatti, come una divinità salvifica, proprio nel momento in cui il protagonista si convince di attuare il massimo gesto di sconforto. Gran parte del racconto è occupata anche, in uno strano connubio con l’amore, dal cosa intende e cerca il protagonista nel lavoro. Nella narrazione di Defelice, si evince che il lavoro che ognuno fa deve essere amato, e soprattutto essere fatto con amore. E che esso, inoltre, deve soddisfare materialmente ed economicamente. Ciò è pregiudizievole perché così diventa il tramite di giustizia sociale.


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Il protagonista, che di fronte all’amore si sente impotente, mostra invece una reattività e una determinatezza eccezionale, nella difesa e nella ricerca del lavoro. In questa fase l’articolo il si inverte. La consonante alta è lunga è lui, mentre la piccola vocale è il lavoro. Nel significante che: si può essere schiavi dell’amore per una donna, ma mai del lavoro. Chi lavora deve essere rispettato in primis come uomo, e soprattutto come uomo che offre un servizio ad altro uomo. In mancanza di questi presupposti, è doveroso licenziarsi, abbandonare la posizione, anche se colui che ci dà lavoro, mostra qualche segno di ravvedimento dei suoi errori. Così, con questa convinzione, si alza il profilo della sua lotta contro le ingiustizie sociali legate al lavoro. Una bassa remunerazione è come la negazione dei sentimenti; è una funzione di basso livello di rispetto per gli altri. Ciò non ostante, non si ravvisa che il racconto ha in sé elementi di rammarico, di rimpianto; bensì di lieta reminiscenza di fatti e occasioni, che sommati consegnano il peso, lo spessore e anche l’incanto della vita che si è vissuta. Certamente qualche delusione ha segnato l’ autore, ma egli non ne ha fatto motivo di arrendevolezza. Anzi la mancata realizzazione di certi suoi obiettivi, lo hanno maggiormente spronato a considerare che forse quelle cose che possedeva, in fondo non erano poi quelle a cui aspirava. Ma a cosa aspirava? Certamente a seguire la sua vocazione di volere essere uomo non assoggettato alla piccolezza di una cultura paesana, fatta di rassegnazione e continui piegamenti di testa alla ineluttabilità della nascita, vivendo in un luogo dove libero è chi accetta tutto, senza darsi una possibilità di emancipazione. Dice il poeta Rilke, in un suo verso: “ Un piccolo paese è soltanto un passaggio/ fra due lontananze … “. Questo il poeta- scrittore Defelice lo sa e lo comprende perfettamente, per cui non esita a fare le sue rinunce per mettere la distanza che cerca fra quelle due lontananze. Lascia per questo, sebbene a malincuore ma convinto, la terra amata. Le dice addio, come ha saputo dire addio a quel suo ideale di donna. Con un distinguo preciso e sostanziale, però. Quell’amore non lo cercherà più, perché per coerenza lo rinnega non ritenendosi alla sua altezza. La terra che lo generò, invece, non la può dimenticare. Essa è parte di se stesso, pur nel riconoscimento di una mancanza di forza di reazione a

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un’abulia, che non riesce a rendersi degna dei suoi figli migliori. Per questo sa perfettamente, che la via che intraprende non è un ponte, ma una strada che costeggia e che lo deve portare, anche se da pellegrino, sempre al “piccolo paese”. Salvatore D’Ambrosio

DOMENICO DEFELICE LE PAROLE A COMPRENDERE Genesi Editrice, 2019 Gentile Domenico Defelice, ho letto il suo libro “Le parole a comprendere”, ordinato da me alla Casa Editrice. Il titolo m’induce a riflettere sul valore delle parole, che sanno trasmettere, nella loro variabilità d’uso, emozioni, sentimenti, pensieri, fanno comprendere il valore d’esperienze, di riflessioni, di giudizi, anche di sole opinioni personali ed altro. Nel libro il senso della caducità e il pensiero della morte sono affiancati dalla fede in Dio, dalla speranza di una vita ultraterrena, anche dal pensiero di una continuità di vita sulla Terra della persona scomparsa attraverso le positive orme che ha lasciato di sé, i ricordi di chi l’ha amata, di chi l’ha stimata. Sempre nei suoi scritti, Domenico Defelice, rivela anche il suo profondo slancio vitale che trova linfa preziosa negli affetti profondi per i familiari, anche per quelli scomparsi, nei legami di amicizia, di stima, nell’amore per l’arte nelle sue varie espressioni, per la natura che sa incantare con i suoi quadri di bellezza e che è connessa al nostro vivere. Lei, così attivamente partecipe della vita, Domenico Defelice, nel libro rivela anche aneliti di un mondo migliore, desiderio di fustigare con ironia e a volte sarcasmo, pure a volte con senso dell’ umorismo. Amo in particolare del libro le belle poesie: “Dormi serena”, “L’allegrezza di mio padre”, “Tour memoriale”, “Ricordi d’infanzia”, “Morte da saggio”, “L’amante esclusiva”, “Veliero fiorito”, “Un mondo nuovo”, “Autunno bizzarro”, “Solo la primavera le consola”. Auguri infiniti e tanti saluti. Caterina Felici

ELISABETTA DI IACONI CAMMINERO’ Ed. Il Croco, I quaderni letterari di Pomezia Notizie – Aprile 2019 Ho ricevuto con piacere questo bel libretto di 26 poesie della Professoressa di lettere Elisabet-


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ta Di Iaconi. Il titolo del quaderno letterario prende il nome dalla prima poesia “Camminerò”: è un viaggio dal Passato (“Ritroverò le impronte dei miei passi…”), proiettato verso l’eternità, cioè verso un futuro senza tempo (“E sarà un nuovo viaggio al ritmo di orologi senza tempo”). Domenico Defelice trova nei versi della poesia “Gocce di memoria” un parallelo con Edgar Allan Poe, alla cui lettura mi appassionai nella mia gioventù: lessi i libri di Poe in un’estate romana seduto ad una panchina di Villa Borghese. In Gocce di memoria i seguenti versi : “I vetri e le finestre/ chiudono fuori fredde tramontane;/ma il gelo dei ricordi/resta annidato fra soffitti e muri” si possono ricollegare a questa angosciante descrizione di Poe nel Crollo della casa degli Usher:” Era veramente una notte tempestosa, orribile e bella; una notte strana, eccezionale nel suo terrore e nella sua bellezza. Pareva che nelle vicinanze si fosse formato un turbine, perché il vento cambiava spesso di direzione; e il grande accumularsi di nuvole, che erano scese così basse da pesare sulle torricelle del castello, non ci toglieva di osservare la velocità effettiva con la quale correvano da ogni parte l’una contro l’altra, senza perdersi via lontano.” Si tratta di un viaggio di speranza, in cui la Poetessa si rinnova liberando i suoi tristi pensieri, in cerca di sorrisi e di Dio: così Domenico Defelice presenta quest’opera. La poesia “Contrasti”: “ci salva l’alternanza dei contrari:/ del buio e del chiarore;/del male intervallato con il bene…./ma la creatura sogna/ il mutamento in fiaccole di luce,/ traguardo prodigioso/dopo le asprezze di un cammino incerto” mi suscita il ricordo del Sabato del villaggio di Leopardi (Godi, fanciullo mio; stato soave,/ stagion lieta è cotesta), cioè il contrasto fra la bellezza della gioventù e la tristezza della vecchiaia e ancora il contrasto fra la gioia dell’aspettare la festa nel giorno di sabato e la successiva delusione al sopraggiungere della festa stessa. Elisabetta di Iaconi rappresenta nelle sue poesie la sofferenza del vivere umano, ma prefigura il riscatto dell’uomo confidando in una vita ultraterrena: “un nuovo viaggio al ritmo di orologi senza tempo”, “si svelerà il mistero, quando mi sfioreranno Quelle Dita”, “cerchiamo da millenni quel Dio che ci regali la speranza”, la speranza che “sull’imprevedibile traguardo fiorisca un tempo nuovo”, “traguardo prodigioso dopo le asprezze di un cammino incerto”,,, Pomezia, 7 maggio 2019. Giuseppe Giorgioli

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ELISABETTA DI IACONI CAMMINERÒ Copertine del pittore Ernesto CIRIELLO; Presentazione di Domenico Defelice; IL CROCO – I quaderni letterai di POMEZIA-NOTIZIE. Aprile 2019. IL CROCO di Aprile, della bravissima Autrice Elisabetta di Iaconi, è un dolce invito a camminare e gustare ciò che ci viene incontro e a scoprire che tutto ci può dare gioia e serenità, avvolgendo il cuore e la mente nel cammino, che è il vero toccasana della nostra vita, anche se ha sempre delle avversità. Basta leggere la prima poesia della nostra prolifica Poetessa Elisabetta Di Iaconi e sentirci coinvolti e attratti dai suoi magnifici versi e a seguirla in questo fantastico viaggio: “CAMMINERÒ” Ritroverò le impronte dei miei passi/ stampate sulla rena. /Riascolterò parole/ che il vento ha frantumato coi suoi strali./ Rivedrò tanti volti/ dentro la seta rossa del tramonto./ Camminerò veloce lungo i viali/ delle giornate liete.\ E sarà un nuovo viaggio/ al ritmo di orologi senza tempo. Pag. 4. È un viaggio che la nostra Autrice ci racconta nell’abbraccio di 26 poesie, ci trasporta con tanta semplicità, c’invita a seguirla e ad ammirare insieme la stupenda realtà e trarne il sostegno e il coraggio da ciò che ci sta intorno. Un groviglio di rare sensazioni ci avvolge e il cammino si fa sempre più interessante e ci catapulta nella pace e tranquillità assoluta, che brama il nostro cuore. Complimenti vivissimi alla nostra Poetessa Elisabetta Di Iaconi, che come sempre agguanta i nostri pensieri e ci avvince anima e cuore in tutto ciò che crea. Giovanna Li Volti Guzzardi

FORSE Forse di là, di là dove ormai il tempo più non esiste, forse di là il passato si rivive. Di là potrò forse tornare sui miei passi e dire quanto ho taciuto qui ed essere come avrei voluto.


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E forse mi accorgerò che è un bene quello che è stato e quello che non è stato. Ma intanto ti avrò incontrato e finalmente ti avrò parlato. Mariagina Bonciani Milano

I MIEI ANNI Non vivo i miei anni, ma quelli passati di una bambina, che viveva, a sua volta, quelli di una donna. Manuela Mazzola Pomezia, RM

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Perché sempre sarà la notte quando tu non ci sei. Rinaldo Ambrosia Rivoli (TO)

VILLA DELLE ANFORE Su un poggio di pietre ti rivedo accanto a me in Villa delle Anfore, covo di tortore e di merli. Da qui si guarda il mare che tonfa e risale sugli scogli. E intorno a noi gira e schiamazza la gazza se il vento scuote i pini e gli aghi si fanno spine tra i capelli. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole.

UN MONDO

VENGA QUALCUNO AD AFFACCIARSI

Montagne decorano questo mondo di costumi e vizi, di donne vendute e uomini affrettati. Un lontano rumore che viene dall'autostrada penetra nei sensi e risveglia il desiderio di volar via, in un altro mondo. Manuela Mazzola

Svanite le voci, i rumori del mattino - invasa dalla calura - la masseria è piombata nel sonno. Così che al giungere sull’aia, ombra più non scorgendovi d’uomo, presi dalla solitudine, era da credere che la gente, che vi abitava, fosse stata colta da morte, o fuggita altrove, soli lasciando il cane, ora appisolato sui gradini della scala, la chioccia con la sua covata, vicino al mucchio della paglia, le mucche distese all’ombra della stalla, il carro sotto la tettoia dei cannicci, l’orciolo dell’acqua e le falci appese a un ramo di fico. Assaliti dallo sgomento, si ha voglia, quasi, di gridare che qualcuno venga ad affacciarsi almeno; che possibile non è - dove fervida cantava la vita - che sia calato questo enorme silenzio; che sole siano rimaste a frinire, all’ombra del carrubo, le cicale con la famiglia delle vespe, ronzanti attorno al nido, sotto la grondaia. Franco Saccà Da Uomini, solchi, nuvole

Pomezia, RM

RAMI INFRANTI E piangerò sui rami infranti del giorno intemperie delle tue assenze. E tornerò nel bagliore dei tuoi riflessi dove la luce si fa carne e il cielo tace.


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UCCELLI IN TRAVERSATA Noi uccelli in traversata d’acqua e fulmini tra venti e sabbia per un’oasi di pace oltre il sogno della vita. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE CONVEGNO BORGHI E TERRITORI - Il 27 aprile 2019 a Pazzano si è tenuto il Convegno Borghi e Territori, una “iniziativa dei “Borghi del benessere” nella quale Luciana Vasile si inserisce col suo programma solidale “per dare una casa a chi non ce l’ha” al sud d’Italia, migranti e senza tetto italiani. Il Sindaco del comune di Pazzano ha, inoltre, invitato la Vasile a presentare la sua raccolta di poesie LIBERTÀ attraverso Eros Filia Agape, che avverrà venerdì 2 agosto all’interno delle iniziative del Comune che si svolgeranno dal 28 luglio al 4 agosto. Lo stesso libro della Vasile è stato presentato a Roma, per la terza volta, il 17 maggio scorso, presso l’Associazione Culturale Aleph, in Vicolo del Bologna 72, nel quartiere Trastevere. Ecco, di seguito, l’intervento, a Pazzano, dell’arch. Luciana Vasile, Presidente della HO UNA CASAOnlus per la dignità dell’abitare: “ BORGHI E TERRITORI DELLE AREE INTERNE, UNA NUOVA PIANIFICAZIONE D’AMBITO, ESEMPI VIRTUOSI A CON-

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FRONTO” - Pazzano 27 aprile 2019. Grazie di cuore per avermi invitato qui oggi. “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è, uno è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio”. (Italo Calvino - Le città invisibili) L’ascolto degli interventi che mi hanno preceduto hanno confermato quello che già avevo pensato leggendo su internet di questa iniziativa: qui, con voi, non c’è l’inferno, bensì la volontà di liberarsene, mettendoci la propria faccia, il proprio impegno, donando ciò che di meglio si sa fare. Ancora di più, proprio per il drammatico momento storico che stiamo vivendo, sono convinta che i veri e duraturi cambiamenti partano dal basso, somme e moltiplicazioni della volontà di individui che si uniscono per camminare nella stessa direzione con determinazione e costanza, compagno ineludibile il coraggio. Politica solo di fatti e azioni concreti, per il bene. Sono nata e vivo a Roma, ma metà del mio sangue per parte di padre è siculo-normanno. Mi sento una donna del Sud. Ulteriore motivo per stare bene qui. Insomma sono a casa. Per presentarmi e raccontarvi cosa ho fatto e cosa vorrei fare, per brevità, ho pensato di leggervi l’articolo Non lasciamoci contagiare dall'odio che è uscito il 17 gennaio su La Repubblica nella rubrica di Concita De Gregori e poi, successivamente, il 19 febbraio, anche su Lettere a “Il Messaggero”. “Mi chiamo Luciana Vasile Sono un architetto, faccio la libera professione in Italia e sono presidente della 'HO UNA CASA – Onlus per la dignità dell’abitare', che negli ultimi quindici anni si è impegnata, in Centro America (Nicaragua), nell’aiuto volontario per la costruzione di case per campesinos che vivono in baracche di fango. Sono riuscita a raccogliere i fondi (da sola) per costruire venti case, su mio disegno, seguendo di persona l’esecuzione dei lavori. *** 25 Aprile 2019 … 81° anniversario della Fondazione di Pomezia - Lo scorso 25 Aprile 2019, l’Associazione Coloni Fondatori di Pomezia, in collaborazione con il Comune di Pomezia, ha celebrato la posa della prima pietra della città che avvenne il 25 Aprile 1938; Per il 26° anno consecuti-


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vo si è dato luogo alla “FESTA della FONDAZIONE”. Con tenacia e passione insieme ai soci, al coordinamento ed ai simpatizzanti, l’Associazione Coloni porta avanti l’opera di divulgazione della storia e delle tradizioni proprie della nostra città. Ad Ottobre saranno 30 anni che l’Associazione Coloni, creata dal Presidente Pietro Guido Bisesti, opera sul territorio. Attraverso la “Festa della Fondazione” ed altre manifestazioni storico culturali, che sono divenute appuntamenti tradizionali per Pomezia, l’associazione cerca di diffondere le nostre origini, dirette soprattutto alle giovani generazioni che spesso non conoscono la realtà contadina e la storia del nostro comune. Anche per il 2019 saremo a disposizione delle scolaresche di Pomezia. Il 23 Maggio prossimo, infatti, la sede culturale di Piazza Indipendenza, 25 accoglierà dei ragazzi che sono desiderosi di conoscere i primi momenti di vita della nostra cittadina, che sono ben descritti dalla mostra fotografica storica “Fatti, immagini e personaggi della bonifica”. Attraverso il Gruppo Ricerca Storica poi, ed il prezioso aiuto del socio Ermes Chimenti, l’ associazione sta continuando l’opera di classificazione ed archiviazione delle numerosissime foto raccolte dal presidente Bisesti nell’arco di questi 30 anni di attività storico culturale. Stiamo ordinando poi oltre l’immane patrimonio fotografico, anche quello artistico e di attrezzi agricoli ed oggetti della casa dei bonificatori per il costituendo Museo Civico “Usi e Costumi dei Coloni”. In questa atmosfera costante di divulgazione del ricordo e di omaggio nei confronti dei nostri nonni e dei nostri padri, la mattina del 25 Aprile, 81° anniversario della fondazione della città, come da programma, si è dato il saluto alla città con l’Inno a Pomezia, parole di Francesco Cori, musica del M° Butticè, la versione ascoltata … cantata magistralmente dal soprano Giovanna Di Iulio accompagnata alla tastiera dal M° Nicola Alemanno. Alla presenza del Signor Sindaco Zuccalà, del vice

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Sindaco Morcellini, del Presidente del Consiglio Padula, dei consiglieri Pagliuso e De Zanni, dei Presidenti onorari Pierotti, De Gasperi e Manzini custodi delle tradizioni romagnole, trentine e venete del territorio, i soci, il direttivo, le associazioni di volontariato, culturali e militari di Pomezia ed Ardea; il presidente Emilia Bisesti ha dato lettura del ricordo storico di Pomezia. Sono seguiti poi gli interventi del Sindaco , del Vice Sindaco e del Presidente Regionale delle Associazioni d’Arma Aeronautica del Lazio, il Colonnello Cosimo Romano, che ha portato il saluto a nome di tutte le associazioni del territorio presenti. Nell’occasione Emilia Bisesti ha rinnovato formalmente all’Amministrazione Comunale tutta la richiesta affinché si mobiliti nella ricerca di locali adeguati e fondi per poter esaudire un desiderio richiesto incessantemente da 30 anni; poter dare alloggio al grande patrimonio storico culturale in possesso dell’Associazione Coloni, comprensiva dei maestosi attrezzi agricoli come la Trebbia Balilla ed i trattori dell’epoca, è un dovere che l’associazione spera sia concretizzato. Le immagini fotografiche, le opere di pittura, gli oggetti della casa ed attrezzi agricoli diverranno patrimonio di tutti i cittadini di Pomezia. Come Associazione Coloni, e figli e nipoti dei primi coloni bonificatori di questa terra, richiediamo l’attuazione di un progetto specifico per il futuro Museo Civico intitolato a Pietro Guido Bisesti, che tanto ha amato questa terra ed i suoi cittadini. Sarebbe un gesto di ringraziamento soprattutto per quell’idea primaria che ha sempre sostenuto … di essere a disposizione delle giovani generazioni. La celebrazione storica è proseguita con la lettura di poesie in tema “Pomezia e la sua torre” e con il simbolico e tradizionale omaggio di un cesto di rose rosse al Monumento ai Coloni. Un ringraziamento a tutti coloro che hanno reso solenne il momento di ricordo dei nostri padri, dai rappresentanti comunali, al Comando di Polizia Municipale, alle associazioni militari, di volontariato e culturali, ai soci ed in primis ai figli e nipoti dei primi bonificatori di questa nostra terra. Un plauso alla “tromba” dei bersaglieri che ha sottolineato l’omaggio floreale ed ancora al “Gruppo in costume d’epoca dei Coloni” ed a tutte le associazioni d’arma che sull’attenti hanno reso omaggio all’Inno d’Italia e ai nostri coloni. La manifestazione è proseguita per l’intera giornata con le visite guidate alla mostra fotografica storica “Fatti, immagini e personaggi della bonifica” ed alle meravigliose mostre d’arte della Spiga D’Oro, alla mostra delle radio d’epoca di Marchini ed alla mostra di vecchi oggetti e attrezzi agricoli del socio


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Falappa, allestiti presso la Torre Civica di Pomezia. Un caloroso ringraziamento all’Associazione Vintage Car ed ai cinque club di auto d’epoca in mostra in piazza Indipendenza per l’81° di Pomezia, che hanno premiato l’Associazione Coloni con una graditissima targa a ricordo dell’evento storico. Alle ore 16,00 poi il presidente di Pomezia Sparita Luca Paonessa, ha realizzato una conferenza sulla figura del Presidente Pietro Guido Bisesti; conferenza emozionante che ha donato a tutti i partecipanti un calore e l’idea che nonostante tutto, Pietro continua a vivere attraverso la sua famiglia, le sue idee e quell’associazione che ha adorato intensamente. L’Associazione Coloni ringrazia tutti coloro che si sono adoperati per la riuscita della 26° edizione della “Festa della Fondazione” ed esprime forte riconoscenza per tutte le associazioni del territorio che ancora una volta hanno voluto festeggiare insieme l’evento storico, ossia la posa della prima pietra avvenuta nel lontano 25 Aprile 1938 : Associazione Nazionale Carabinieri, Ass. Nazionale Guardia di Finanza, Ass. Naz. Bersaglieri, Gruppo Alpini, Ass. Arma Aeronautica Pratica di Mare, Ass. Anziani Pomezia, Ass. Gamma 13 Protezione Civile, Ass. ANGEZ, Croce Rossa Italiana, Associazione AVIS, Associazione Tyrrhenum, Associazione Pomezia Sparita, Ass. Echo Protezione Civile, Associazione Romagnoli, CdQ Nuova Lavinium, Associazione Vintage Car, Associazione Radici Nostre ed Associazione ProLoco Pomezia. Associazione Coloni *** Alleluja, Alleluja. Alleluja - Leggendo l’Alleluja di Defelice a pg 3 di Pomezia-Notizie di maggio 2019, mi viene spontaneo citare l’episodio di Manduria riguardo il pensionato di 66 anni massacrato da minorenni e due maggiorenni con torture, sprangate etc fino alla sua terribile morte. In paese si sapeva ciò! Le forze dell’ordine dovevano sapere (è stato ricoverato in ospedale qualche tempo addietro – struttura pubblica!!). Questa è l’indifferenza della società attuale. Il sottoscritto, come insegnante, in tempi ormai passati in una delle mie classi ho dovuto sopportare qualche atto di bullismo nei confronti della classe contro un singolo alunno. Pur parlandone con i genitori, nei Consigli di Classe non se ne veniva a capo facilmente!! Leggo sul Messaggero del 6 maggio l’articolo di Luca Ricolfi: ”Educare senza sanzioni genera mostri”. Così inizia l’articolo:” Chiunque abbia bambini che vanno alle scuole elementari sa perfettamente che ormai da diversi decenni, non solo è praticamente impossibile bocciare un bambino, ma

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è anche rarissimo osservare sanzioni classiche, come l’ammonizione, la nota sul registro, la sospensione.” 7 maggio 2019 Giuseppe Giorgioli *** LE PAROLE A COMPRENDERE ALLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO - La recente opera di Domenico Defelice: Le parole a comprendere (Genesi Editrice, 2019) è stata presentata alla Fiera del Libro di Torino “Il gioco del mondo”, tenutasi al Lingotto Fiere di via Nizza 280, dal 9 al 13 maggio 2019. “Il libro Le parole a comprendere reca già nel titolo quella significazione al plurale che poi in tante occasioni si rinnova nel discorso di Defelice: qual è l’orizzonte di lettura? Qual è il significato del “segno”? Si tratta di parole che il lettore dovrà comprendere? Oppure sono parole che comprendono e spiegano la situazione del lettore? La funzione riflessiva e transitiva esercitata dal “segno” è doppiamente valida: bisogna comprendere le parole, ma sono anche le parole che ci comprendono. Questo chiarimento, apparentemente retorico o pleonastico, serve a richiamare la valenza plurale del linguaggio poetico adottato da Domenico Defelice: le mot c’est tout, e basta!” Tra gli altri libri presentati dalla Genesi ricordiamo quelli di nostri amici: Donne, di Rossano Onano/Rosanna Pirovano; Letteratura, follia e non vita. In principio era l’Es, di Carlo Di Lieto; La poesia di Imperia Tognacci. Inquietudine dell’infinito, di Francesco D’Episcopo. *** UN VOLO DI FARFALLE - Nel numero di maggio, abbiamo dato la notizia della presentazione a Roma, presso la Sala dell’Immacolata della Basilica SS. Apostoli, del volume di Elisabetta Di Iaconi: Un volo di farfalle. Per mancanza di spazio, però, abbiamo dovuto rimandare l’intervento di Anna Maria Bonomi. Eccola: Prefazione I temi trattati in questa silloge dal titolo: “Un volo di farfalle” della poetessa Elisabetta Di Iaconi son interconnessi e creano una sottile tela di ragno che delicatamente sostiene le molteplici sfaccettature della complicata essenza umana. Sperimentiamo durante la lettura una introspezione personale che ripercorre quella della nostra autrice e che permette alla nostra anima di ricollegarsi allo strabiliante mondo poetico che è stato, è e sarà sempre il sostegno di tutti coloro che riescono ad immergersi e vivere nel favoloso regno della poesia. Le liriche sono caratterizzate da una notevole musicalità lessicale che viene esplicitata da un uso pro-


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fondamente interiorizzato degli endecasillabi e settenari alternati. Le tematiche presenti nelle poesie si riferiscono alla vita, alla morte, all’allegria, alla tristezza, alla fragilità e alla forza umana, al silenzio e al frastuono, alla natura eccetera. Queste tematiche si intrecciano l’una all’altra e nello stesso tempo mantengono la singolarità degli argomenti che abbracciano, con delicatezza, il percorso secolare dell’uomo. Uomo che non si arrende, anche se cade, si rialza e continua il suo perenne andare. Quello che ritengo notevolmente piacevole in queste poesie è scoprire, ogni volta, che anche di fronte ad un argomento doloroso sempre c’è un apporto salvifico dato dalla presenza del ricordo che, unito alla speranza, offre all’uomo l’appiglio per percorrere nuove e feconde strade. Grazie Elisabetta, anche questa volta, ci hai regalato queste preziose perle che illuminano il buio delle anime. Con affetto, Anna Maria Bonomi Insegnante, Aderente all’Associazione “Poeti al caffè” *** LUCIANA VASILE ALL’ALEPH DI TRASTEVERE - Venerdì 17 maggio, alle ore 17,30 a Roma, presso l’Associazione Culturale in Trastevere Aleph di Luigi Celi e Giulia Perroni, è stato presentato il libro di Luciana Vasile: Libertà attraverso Eros Filia Agape (Prefazione di Franco Ferrarotti, edizioni Progetto Cultura, Roma). Sono intervenuti, con l’Autrice: Marcello Carlino e Giorgio Linguaglossa. Ad introdurre è stato Luigi Celi; letture di Giulia Perroni e dell’Autrice. Il libro, nell’agosto 2018, è stato finalista al Concorso Internazionale Salvatore Quasimodo e vincitore (settembre 2018) della sezione “Letteratura Contemporanea” al Festival/Arte e Letteratura del Festival dei Due Mondi di Spoleto. *** OLGINATE, CONVEGNO “EUROPA EUROPA CHE MI GUARDI” - Nel mese di maggio, prima delle elezioni europee del 26, si son tenuti appuntamenti e convegni vari, tra cui quello dell’Associazione Santa Maria la Vite - Giuditta Podestà, nella sede di Olginate, sabato 11 maggio alle ore 16,30: <<”Europa Europa che mi guardi” Il voto di maggio fra invocazione e apostrofe>>, al quale hanno preso parte due dei nostri valenti collaboratori: Ilia Pedrina e Giuseppe Leone. Ecco, in specifico, gli interventi: Giovanni Tognoni Segretario generale Tribunale permanente dei popoli (TPP) - sul tema: “L’utopia di una Europa dei

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popoli”; Pia Locatelli - Presidente onoraria dell’Internazionale Socialista Donne - sul tema: “L’Europa, i diritti, le donne”; Ilia Pedrina - Giornalista e saggista - sul tema: “Giuditta Podestà e la prospettiva etica nel futuro dell’Europa”; Luciano Malusa - Università di Genova - sul tema: “Gli elettori europei e i diversi significati dell’essere Europa”; Dieter Rügge - Giudice di Detmold in Germania - sul tema: “Il diritto nel processo unitario europeo”; Giuseppe Leone - Critico letterario, moderatore - sul tema: <<”Europa Europa che mi guardi”>>. Gli interventi musicali sono stati di: Daniela De Francesco, soprano e di Danilo Marzorati, arpa celtica. *** XXIX PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE CITTÀ DI POMEZIA 2019 - Il Centro studi specialistici Sisyphus indice e organizza la XXIX edizione del concorso letterario per opere inedite in lingua italiana. Il premio si articola nelle seguenti sezioni: A - Raccolta di poesie o poemetto (max 500 versi), da inviare con titolo, pena esclusione; B - Poesia singola (max 100 versi); C - Poesia in vernacolo (max 35 versi), con allegata versione in lingua italiana, pena esclusione; D - Racconto o novella (max 6 cartelle, considerata cartella un foglio di 30 righe per 60 battute cadauna, per un totale di 10800 battute); E - Saggio critico su temi letterari (max 6 cartelle, come sopra); F - Saggio critico su temi storici, artistici e archeologici (max 6 cartelle, come sopra). Scadenza invio lavori: 30 settembre 2019. Giuria: Roberto Maggiani (scrittore, poeta, Presidente); membri: Claudio Carbone (scrittore, poeta), Fiorenza Castaldi (bibliotecaria, esperta di letteratura e di archivista storica), Rosa Francesca Farina (scrittrice, poetessa), Gloria Galante (archeologa, esperta di arte antica e storia di Roma), Maria Antonietta Mosele (saggista), Massimiliano Pecora (critico storico-letterario, studioso di letteratura artistica, saggista), Luigi Salustri (poeta vernacolare). Prima di spedire i lavori, chiedere ed esaminare a fondo il regolamento completo, che può essere consultato sul sito internet del Comune di Pomezia: www.comune.pomezia.rm.it, nell’area tematica del Centro Studi SisyphusBiblioteca Lavinium.

LIBRI RICEVUTI FORTUNATO ALOI - I Guerrieri di Riace. Un antico messaggio d’avvenire - In copertina a colori, le due mitiche statue e, all’interno, numerose fo-


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to in bianco e nero - Caruso Edizioni, 2018 - Pagg. 92, € 15,00. Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è nato a Reggio Calabria l’otto dicembre 1938 ed è stato per anni docente nei vari licei della Città. Sin da giovanissimo ha operato nel mondo della politica, da quella universitaria alla realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itinerario: da consigliere comunale nella sua Città ed in altri centri della provincia (Locri) a consigliere provinciale, da consigliere regionale a deputato. Come parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato temi di diverso genere ed in particolare si è occupato, con grande impegno, di scuola, cultura e di Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottosegretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale della Destra calabrese, ed anche Segretario per la Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Presidente dell’ Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e la Lucania, è componente la Direzione nazionale del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attualmente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”. Autore di numerose pubblicazioni di storia, pedagogia, saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto riconoscimenti di valore scientifico come il “Premio Calabria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Caterina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio letterario saggistica storica (1995) per il volume “Reggio Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto” (2004). Altri suoi lavori: La Questione Meridionale: radici, inadempienze e speranze (1985), “Cultura senza egemonia (Per un umanesimo umano)” (1997), Ricordi liceali (2001) Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004), “Tra gli scogli dell’Io” (2004), La valorizzazione della lingua italiana (2006), “<Neutralismo> cattolico e socialista di fronte all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale” (2007), “Riflessioni politico-morali e attualità dei valori cristiani” (2008), “Piccolo Taccuino di Viaggio” (2009), “La Chiesa e la Rivolta di Reggio” (2009), “Vox clamantis... Come può morire una democrazia” (2014), “Per lo Stato contro la criminalità” (2017), Vaganti… frammenti di io (2017). ** ELISABETTA DI IACONI - Un volo di farfalle Antologia poetica, Prefazione di Anna Maria Bonomi, illustrazione di copertina, a colori, di Ernesto Ciriello - Andersen, 2018 - Pagg. 66, € 10,00. Romana, Elisabetta DI IACONI ha insegnato nelle scuole della Capitale e ha scritto poesie anche in dialetto, racconti, saggi. Ecco come lei stessa sobriamente si presenta: <<Collaboro a varie riviste (“Sìlarus”, “Pomezia-Notizie”, “Voce Romana”,

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“Voci dialettali”, “Romanità”). Il primo nucleo dei miei studi sul poeta romanesco del Seicento Giovanni Camillo Peresio nasce come esercitazione sui pre-belliani, assegnatami dal compianto professor Carlo Muscetta. Tale studio è diventato poi un saggio (pubblicato dall’editore Rendina di Roma nel 1997), soltanto dopo il mio collocamento in pensione dall’ insegnamento delle materie letterarie presso la Scuola Media Statale. Sono, inoltre, l’autrice di “Elementi di lingua. Tecnica delle comunicazioni”, in collaborazione con Laura Pedone. Ho dato alle stampe le mie poesie, raccolte da decenni “Quel fremito antico…” e il romanzo per la gioventù “Un enigma di quartiere”. Ho pubblicato anche la silloge “Er celo s’arischiara” (2007) in dialetto romanesco, il quaderno letterario Il Croco “La chiave ignota” (2009), la raccolta di liriche “Altalene” (2016) e, ancora un altro Quaderno Il Croco: Camminerò (2019). ** ANTONIO CRECCHIA - Aforismi volume I - Nota introduttiva di Rita Notte; in quarta di copertina, poesia di Brandisio Andolfi dedicata all’autore Ed. ac<>2019 - Pagg. 132, s. i. p. Antonio CRECCHIA è nato a Taverna (CB) e risiede a Termoli. Sue poesie sono inserite in numerose antologie di prestigio nazionale e pubblicate in diverse riviste letterarie. Ha ancora molte opere inedite saggi critici e poesie - e gli sono stati assegnati oltre cento premi e riconoscimenti. Socio di varie Accademie, traduttore dal francese - Au coeur de la vie (2000), di Paul Courget; Fragments (2002), di Paul Courget; Diadème (2003), di Paul Courget; Jardins suspendus (2005), di Andrée Marik; Le poémein (2005), di Jean-René Bourlet; Mer-Océan (2006), di Andrée Marik; Sur la plage de l’océan (2008), di Yann Jaffeux -, ha avuto incontri con alunni di vari istituti e con docenti di materie letterarie che hanno preso in esame vari componimenti della sua produzione poetica, esercitando un’accurata e puntuale analisi testuale. Opere a lui dedicate: Il Walhalla di un poeta (2010), di Lycia Santos do Castilla; La maturità poetica di Antonio Crecchia nella rassegna critica di AA. VV. (2015); La sensibilità poetica e critica di A. Crecchia (2017), di Vincenzo Vallone; A. Crecchia: L’uomo, il poeta, il saggista (2017), di Brandisio Andolfi; Crecchia nel giudizio della critica (Vol. I, 2017), di AA. VV.; Crecchia all’esame della critica (Vol. I, 2017), di AA. VV. eccetera. Lungo l’elenco delle sue pubblicazioni. Poesia: Il mio cammino (1989), Soave e gentile mia terra (1992), Parole per colmare silenzi (1993), Tarassaco di nuova primavera (1994), Ascesa a Monte Mauro (1995), Lirico autunno (1998), Lo spazio del


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cuore (1999), Oltre lo spazio della vita (2003), Frammenti (2004), All’ ombra del salice (2004), Ossezia e oltre (2005), In morte del Papa Magno (2005), Fiori d’argilla (2006), I giorni della canicola (2008), Nuovi frammenti (2008), I giorni della fioritura (2008), Un po’ per celia, un po’ per arte (2009), Notte di Natale (2009), Luci sul mio cammino (2009), Aliti di primavera (2010), Nei risvolti del tempo (2012), Pensieri al vento (2016), Poesie occasionali (2016), Canti di primavera (2016), Florilegio poetico (2017), Foschie (2017), Barlumi (2017). Saggistica: Dentro la poetica di Rosalba Masone Beltrame (1992, sec. ed. 1993), La dimensione estetica di Brandisio Andolfi tra poesia e critica (1994), Orazio Tanelli (1995), Silvano Demarchi: Un poeta di spessore europeo (2002), La folle ispirazione - Coscienza etica e fondamenti estetici nelle opere di Vincenzo Rossi (2006), L’evoluzione poetica, spirituale e artistica di Pasquale Martiniello (2007), Pasquale Martiniello: Poeta ribelle ad ogni giogo (2008), Carmine Manzi: Esemplarità e fertilità di una vita dedicata alla cultura (2009), La militanza letteraria di Silvano Demarchi dall’esordio ad oggi (2011), Vincenzo Vallone: Valori e ideali, realtà e fantasia (2013), Il mondo poetico di Rita Notte - un’artista della parola (2013), Brandisio Andolfi (2014), Vincenzo Rossi: Un talento creativo al servizio della cultura (2014), Carlo Onorato: La missione sociale educativa di uno scrittore molisano (2014), Lycia Santos do Castilla: La grande matriarca dell’arte espressiva (2016), Itinerario scientifico-letterario di Corrado Gizzi (2017). Ricerca storica: Taverna, ottobre 1943 (1990), Taverna - Dalle origini alla Grande Guerra (2006), Tavernesi nella Grande Guerra (2016). Teatro: Eccidio in casa Drusco (2008), Ius primae noctis (2008), Mythos il fascino del mito antico (2017), Natale in versi (2018).

TRA LE RIVISTE NUOVO DOMANI SUD - Periodico di informazione politica e culturale diretto da Fortunato Aloi, responsabile Pierfranco Bruni - via S. Caterina 62 - 89121 Reggio Calabria. Riceviamo il n. 2, marzoaprile 2019, dal quale segnaliamo “Franco Mosino nel ricordo di un filelleno come lui”, di Tullio Masneri; “Simone Weil (1909-1943) e i partiti politici”, di M. Caterina Mammola. Le altre firme presenti, a diverso titolo, sono di: Domenico Ficarra, Mons. Ercole Lacava, Mimmo Versace, Luigi

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Franzese, Antonio Ferrara, Giovanni Praticò, Francesco Guadagnuolo, Andrea Audino, Maria Carbone, Nicola Catalano, Fortunato Aloi, Sergio Letterio, Carmelo Bagnato, Luciano Surace, Monnalisa Marino, Salvatore Dieni. * FIORISCE UN CENACOLO - mensile internazionale di lettere e arti fondato nel 1940 da Carmine Manzi e diretto da Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (Salerno) - E-mail: manzi.annamaria@tiscali.it - Riceviamo il n. 1 - 3, gennaio-marzo 2019, nel quale rileviamo, tra le tante, le firme dei nostri collaboratori Leonardo Selvaggi, Isabella Michela Affinito e Antonia Izzi Rufo. In quarta di copertina, una noticina di Anna Manzi sul volume di Tito Cauchi: Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce, edito dalla Totem nel 2018. * SOLOFRA OGGI - La Voce di chi non ha voce mensile diretto da Raffaele Vignola - via A. Giannatasio II trav. 10 - 83029 Solofra (AV) - E-mail: solofraoggi@libero.it - Riceviamo i numeri 1 - 2 - 3 rispettivamente del gennaio, febbraio e marzo 2019, che si interessano di Solofra e del suo territorio e anche di Mercato S. Severino, Montoro, Fisciano, Calvanico, Serino, con temi vari, come la politica e l’inquinamento e la cronaca in generale. * L’ORTICA - pagine di informazione culturale, direttore responsabile Davide Argnani - via Paradiso 4 - 47100 Forlì - E-mail: orticadonna@tiscali.it Riceviamo il numero dell’aprile/settembre 2018, con le firme di Claudia Bartolotti, Eugénio de Andrade, Alessia Pastore, Giulia Monti, Davide Argnani, Mattia Pipio, Valerio Ragazzini, Roberto Alberti, Maria Lenti. Tra i libri recensiti da Davide Argnani, il volume di Caterina Felici: Dentro la vita. * THE WORLD POETS QUARTERLY - Rivista bilingue (inglese-cinese) diretta da Zhang Zhi - P. O. Box 031, Guanyinqiao, Jiangbei District, Chongqing City, P. R. China - E-mail: iptrc@126.com Presentiamo ai nostri lettori il n. 94 dell’otto maggio 2019, la cui prima di copertina, a colori, è dedicata al nostro Direttore Domenico Defelice. La seconda di copertina è dedicata al poeta Shi Ying (Singapore), la terza al pittore Lou Deping (Cina) e la quarta, sempre a colori, a: Toth Arpad (Romania), Duan Guang’an (Cina), Thuraya al Arrayed (Arabia Saudita), Pavol Janik (Slovacchia), Li Zhiliang (Cina), Serpil Devrim (Turchia), Michela Zanarella (Italia) e Luo Guamgcai (Cina), tutti presenti all’interno con loro poesie. Di Dome-


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nico Defelice, oltre a un’ampia biografia, sono riportate, nelle versioni inglese-cinese, tre poesie: “Life Brief but Intense”, “Golden April” e “To My Father”). Tra i numerosi altri autori presenti nell’internazionale rivista, citiamo: Shujaat Hussain (India), Duan Guang’an (Cina), Kurt F. Svatek (Australia), Xu Chunfa (Cina), Nadia-Cella Pop (Romania), Kerry Shawn Keys (Lituania), Muhammad Shanazar (Pakistan), Teresinka Pereira (USA), Rubina Andredakis (Cipro), Shihab M. Ghanem (UAE), Xu Chunfang (Anhui), Fang Ming (Taiwan), Choi Lai Sheung (Hong Kong), Zi Ying (Sichuan), Liang Jilin (Gansu), Yan Lueshu (Liaoning), Tang Zheng (Chongqing), Tongtian Jianri (Shanxi), Zhu Likun (Hunan), Zhang Jizheng (Hong Kong), Mu Lan (Chongqing), Qin Chuan (Sinkiang), Wu Liangru (Shandong), Zhou Yuming (Beijing), Jia Shuanglin (Gansu), Liu Dianrong (Jilin) eccetera. A pagina 6, in una “Special News”, viene ricordato il volume di Tito Cauchi: Domenico Defelice operatore culturale mite e feroce”, edito nel 2018 dalla Totem. Invitiamo i nostri collaboratori poeti a contattare la rivista, a collaborarvi, ad abbonarsi.

LETTERE IN DIREZIONE Carissimo Direttore ed Amico, da Vicenza a Olginate e ritorno, con Cecilia alla guida, scattante ed esperta sinuosa di mi-

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longa e Cri-Cri, tutta pepe e curve, dagli occhi che pungono, sempre. Il nostro mitico Giuseppe Leone mi invita a scrivere due cose e a partecipare al Convegno da lui organizzato per sabato 11 maggio 2019 alle ore 16: EUROPA, EUROPA, CHE MI GUARDI – Al voto di maggio fra invocazione e apostrofe. Io accetto, ma da Vicenza a Lecco e poi su ancora verso Olginate e poi e poi e poi... Desisto e all'ultimo momento dico a Cecilia del progetto ambizioso e della mia rinuncia. Lei mi risponde senza frapporre indugi: 'Ti porto io!'. Così è stato. Tra i relatori figure di spicco della cultura e del pensiero internazionale come Pia Locatelli, Presidente onoraria dell'Internazionale Socialista Donne (L'Europa, i diritti, le donne); Luciano Malusa, dell'Università di Genova e tra gli illuminati fondatori dell'Associazione (Gli elettori europei e i diversi significati dell'essere Europa); Dieter Rügge, Giudice di Detmold in Germania (Il diritto nel processo unitario europeo); Gianni Tognoni, Segretario generale del tribunale permanente dei popoli – TPP (L'utopia di un'Europa dei popoli); Giuseppe Leone, critico letterario e moderatore (Europa, Europa che mi guardi - Al voto di maggio fra invocazione e apostrofe). Il mio intervento? Da giornalista e saggista? 'Giuditta Podestà e la prospettiva etica nel futuro dell'Europa'.


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Giugno 2019

Lascio la parola alla voce di Emanuela Rossi, che ha chiuso mirabilmente l'evento. Sono io! Sono Europa! Conoscete la mia storia Dico... conoscete il toro bianco dalle false sembianze Che rapitami da Sidone mi portò a Creta e Cadmo che mi cercò e portò l'alfabeto a Tebe Dico... sapete del viaggio di civiltà da Oriente a Occidente della viaggiatrice audace che abbandonò tutto! Sono io! Sono Europa! È il mio viaggio! Dico... conoscete il mio corpo riverso sul germanico toro nero E i miei capelli corti e l'urlo della violenza sul mio volto Dico... la conoscete la furia del nazismo! Sono io! Sono Europa! Così mi hanno dipinta! Dico... conoscete la mia bandiera! Le mie dodici stelle in cerchio! Sono io! Sono le mie stelle! Sono la nuova Europa! Mi metto in cerchio e danzo con i colori d'ogni Paese! Sono io! Sono Europa! E queste sono le chiavi del mio scrigno Dentro c'è il sapere, la conoscenza, la pace, il progresso, la Democrazia sono le perle per un nuovo cittadino europeo! Sono io! Sono Europa! Abbraccio più culture costruisco ponti Unisco Oriente e Occidente! Sono io! Sono Europa Sono portatrice di una nuova civiltà! Sono io!... Sono l'Europa Unita. Si, carissimo Amico, proprio Emanuela Rossi, bellissima, ha letto questo suo canto dell'intelligenza e del cuore, anche lei attraversata in profondità dall'esempio di Giudit-

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ta Podestà, della Perla di Olginate, il nuovo nome che le ho dato, quella perla che manca alla Conchiglia, nella Sala stessa del Convegno. Ho respirato l'aria di questo antico ricettacolo di preghiere, d'arte, di cultura portate a nuova vita proprio da lei, da Giuditta Podestà e dal fratello Giuseppe, così l'emozione ha avuto la meglio ed ho parlato direttamente a tutti, così, come si conviene a chi ha già scritto ma i palpiti, quelli inestinguibili, gli si presentano nell'immediatezza calda dell'esperienza. Mi si leggerà in rete, al sito dell'Associazione Santa Maria la Vite – Giuditta Podestà e vi si potranno trovare anche le altre preziose relazioni, grazie alla instancabile opera del nostro Leone della Locride, non dimentichiamolo mai questo piccolo particolare: uno che dalle Terre di Calabria si trapianta sulle sponde del lago di Lecco e da qui apostrofa tutti noi, invocando il cambiamento radicale. Perché a lui cambiar Terra ha significato cambiare in profondità contenuti e prospettive, fino alla piena realizzazione di sé. Tre gli interventi musicali con Daniela De Francesco, soprano e Danilo Marzorati, all'arpa celtica, con canti in tante delle lingue europee, bellissime. Un abbraccio infinito, in gioia. Ilia tua

Ilia Carissima, prima di ricevere la tua lettera, già avevamo redatto una notizia sull’importante Convegno ed ora ti sono grato per averla, con questa tua, dilatata e arricchita del canto di Emanuela Rossi. Noi abbiamo bisogno dell’Europa. Il mondo intero ha bisogno dell’Europa, ma non certamente di questa, snaturata dalla burocrazia, resa sterile dagli egoismi di pochi caimani sordi alle ragioni e agli interessi dei singoli stati e a quelli della stessa Comunità, resa indigesta dalle tante ipocrisie, tra le quali spiccano quelle della Germania e della Francia, le quali, anziché lavorare per rinsaldare l’unità, fanno furbescamente accordi a due come quello recente di Aquisgrana.


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Giugno 2019

Non abbiamo bisogno di un’Europa, Carissima, che perde tempo e spreca denaro con due Parlamenti, che ci misura la lunghezza delle banane, dei cetrioli, delle zucchine, dei fagiolini, delle sardine da pescare nel Mediterraneo e lascia nella disoccupazione i giovani, le tante periferie abbandonate, l’ invasione incontrollata dei migranti. Non abbiamo bisogno di un’Europa che dimentica le sue origini, la sua storia, la sua cultura. Europa sì, Carissima, ma certamente non questa, che non riesce a parlare al mondo con una sola voce (non con una sola lingua!) e che, nei consessi importanti, non è invitata o conta meno di niente. I popoli si sono espressi nel voto, ma non basta, perché, dal voto, quasi nulla è cambiato; ciascun di noi non siede singolarmente nelle istituzioni, veniamo rappresentati e sono i componenti di essi a dover esprimere e lottare affinché l’Europa sia quella voluta dai suoi cittadini e non quella dei burocrati e dei finanzieri. Una sfida veramente difficile ma necessaria per tutti i Paesi che la compongono: continuare ad essere uniti e, nel contempo, essere liberi. Domenico

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