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50ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Anno 27 (Nuova Serie) – n. 8

€ 5,00

- Agosto 2019 -

LETTERA APERTA AL VESCOVO DI ROMA

J. M. BERGOGLIO, ORA PAPA FRANCESCO di Ilia Pedrina

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ENTILE J. M. Bergoglio, ora Papa Francesco, sono stata educata dai miei genitori al totale rispetto di tutti, a partire proprio dai loro convincimenti spirituali, perché i miei erano sposati solo civilmente e, all'epoca del 25 aprile 1937, il matrimonio civile era integralmente valido ma mia madre è stata considerata dalla chiesa cattolica una concubina perché la Sacra Rota non ha avuto il consenso di 'visitare' la prima moglie del mio Papà, per avere la prova concreta che il matrimonio non era stato consumato. Nulla ha impedito ai miei di fornirci una profonda educazione spirituale oltre che intellettuale, anche se l'essere considerati 'diversi' ha pesato non poco. Ora però questo sguardo libero e particolare sui tempi che stiamo attraversando mi giova tantissimo. Certo, siamo umani ma io non mi sento 'Caino', né figlia della sua progenie: Caino e Abele sono metafora dell'odio, dell'invidia, della gelosia tra fratelli dello stesso sangue nella loro matrice,. Essi sono entrambi figli di Eva e per il popolo ebraico è la linea materna che conta, perché è la


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All’interno: Pagine di diario di fine Novecento, di Luigi De Rosa, pag. 5 Domenico Defelice, parole come preghiera, di Ilia Pedrina, pag. 7 Agostino Bondeno, I colloqui di Poissy, di Carmine Chiodo, pag. 10 Domenico Defelice, Le parole a comprendere, di Antonio Crecchia, pag. 14 Chen Hongwei, di Domenico Defelice, pag. 17 Aleksander Puskin, di Antonia Izzi Rufo, pag. 19 Un libro su Michele e Gabriella Frenna, di Tito Cauchi, pag. 21 Solitudine e amore, di Leonardo Selvaggi, pag. 24 I gerani, di Anna Vincitorio, pag. 28 …È inutile che io vi dica il repertorio…, di Ilia Pedrina, pag. 29 La strage, di Domenico Defelice, pag. 30 I Poeti e la Natura (Domenico Defelice), di Luigi De Rosa, pag. 34 Notizie, pag. 48 Libri ricevuti, pag. 51 Tra le riviste, pag. 52 RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (La mia Roma futurista, di Aldo Marzi, pag. 37); Elio Andriuoli (Alma poesia verso la luce. Quattro poeti italiani, di AA. VV. pag. 38); Tito Cauchi (Poesie per l’anima, di Pierluigi Fiorella, pag. 39); Tito Cauchi (Giobbe, di Maria Teresa Santalucia Scibona, pag. 40); Tito Cauchi (Autori contemporanei nella critica, di Isabella Michela Affinito, pag. 41); Elisabetta Di Iaconi (Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce, di Tito Cauchi, pag. 42); Manuela Mazzola (Graziano Giudetti. Il senso della poesia, di Tito Cauchi, pag. 43); Manuela Mazzola (L’Antico Testamento della Sacra Bibbia, di Maria Antonietta Mòsele, pag. 43); Manuela Mazzola (Autori contemporanei nella critica, di Isabella Michela Affinito, pag. 44); Ilia Pedrina (Europe central, di William T. Vollmann, pag. 44); Laura Pierdicchi (Camminerò, di Elisabetta Di Iaconi, pag. 46); Liliana Porro Andriuoli (Ad ogni ora, di Silvia Marzano, pag. 46). Lettere in Direzione (Béatrice Gaudy, Parigi), pag. 54 Inoltre, poesie di: Isabella Michela Affinito, Elio Andriuoli, Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Wilma Minotti Cerini, Antonio Crecchia (aforismi), Domenico Defelice, Luigi De Rosa, Patrizia De Rosa, Béatrice Gaudy, Giovanna Li Volti Guzzardi, Manuela Mazzola, Tesesinka Pereira, Laura Pierdicchi, Gianni Rescigno, Leonardo Selvaggi

madre ad essere certa; per il papà Adamo, Adamah, Terra, Paradiso, Eden perduto, ho grande considerazione perché nella Torah si legge che, se fosse stato puro, avrebbe potuto guardare Dio Creatore dritto negli occhi. “...L'uomo mantiene nudo per l'ampia terra il ramo di Caino...”, questi versi dello spiritualissimo poeta e studioso Giuseppe Gerini, in arte Cefas, mostra come la diffusione dell'atto violento sull'i-

nerme, sul disarmato di turno '...per l'ampia terra...' non trovi né confini né limiti. Gli fa eco, per sanare le ferite provocate dal Caino di turno e cogliendo la stessa tensione spirituale che ispira il canto come preghiera, Domenico Defelice, che mi ha permesso di pubblicare questa lettera aperta a te: Come la Terra intorno al Sole l'Universo ruota intorno a Te. Tu sei la Terra nuova e i Cieli nuovi. Nel tuo Giardino verdeggia ogni pianta


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ed ogni filo d'erba; gli animali tutti si trastullano, anche quelli estinti sulla Terra da millenni. Non una sola Creatura manca. “Tu sei padrone del Tempo -dice Papa Francesco-, noi del momento”. Tu la Casa incrollabile sei, alla cui porta busserò tremante anche se certo della Tua clemenza. Nessuno deve toccare Caino affinché, morto Abele, la sua stirpe dedita alla malvagità volontaria non si estingua? Un segnale che Dio sta dalla parte del violento aspettando che si redima? Un monito a tutti coloro che vogliono una giustizia alla base, sul piano orizzontale rispetto al sopruso, senza tener conto del Potere che si istituisce attraverso il marchiare in volto proprio Caino? Di certo le incarnazioni di questi due fratelli originari sono presenti in ogni popolo ed etnia della terra, ivi compresa la Romania, che hai visitato di recente, dove spesso e volentieri i genitori utilizzavano i bambini, cui spezzavano le ginocchia, posti su una tavoletta con rotelle per impietosire e capitalizzare la loro sofferenza attraverso l'indurli all'accattonaggio. Agli inizi del tuo mandato, ma non solo, in alcune circostanze hai detto che non siamo accoglienti, disponibili, generosi verso gli immigrati; poi, quando sei andato a Campobasso hai detto che non è dignitoso per un padre di famiglia tornare a casa e non avere di che dare il pane ai propri figli: i poveri, i disoccupati gli indigenti su tutta la linea in Italia sono in gran numero ed in continuo aumento. Non accetto di sentirmi in colpa perché questo meccanismo è troppo antico, troppo pesante, troppo ottuso perché ottenebra proprio il ragionamento che discrimina e non consente al vero e reale, concreto responsabile di cambiare rotta, di trasformarsi da Caino una volta per tutte in Abele! Di certo i tuoi occhi hanno visto miserie più gravi e diffuse ma fino a quando si tollera lo strapotere del denaro rispetto alla Persona Umana ed a tutta la Terra che ci ospita - e da qui il tuo nome, sulle tracce del santo di Assi-

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si -, allora risulta facile far sì che il più debole abbia tutta la croce dei problemi del mondo sulle sue spalle. La colpa crea infelicità, se poi è ingiustamente addossata e l'inerme la subisce e non se la toglie dalla mente, perché si addossa una responsabilità che non deve avere, allora crea malattia; la signora Lagarde ha detto che si deve morire prima, per lasciare il posto ai giovani: non si deve subire il suo verdetto se l'autorità che essa rappresenta ha tutte le caratteristiche della disumanità, perché questo termine, disumanità, non è sinonimo di giusto lavoro e conseguente giusta retribuzione, di convivenza civile, pacifica, eticamente illuminata e condivisa, perché vissuta fra simili che si rispettano. La finanza e le sue ragioni di obbrobrioso aumento a dismisura del capitale monetario nelle mani di pochi deve cedere il posto all'etica della gestione economica anche del risparmio dei molti, che ora è assai difficilmente possibile, e alle sue ragioni di rispetto dell'intelligenza che crea, inventa e realizza, attraverso il lavoro, ben s'intende: è il lavoro il nodo centrale di questo durissimo tempo! Il senso della vita è mangiare, bere, servire passivamente chi ti mantiene o realizzare pienamente la propria identità anche spirituale, individuabile soprattutto nell'operosità di progetti creativi originali ed irripetibili, d'arte e d'intelletto? Caro e gentile Papa n. 2, Papa Francesco, tu hai scelto di vivere al di fuori dei Palazzi Vaticani per essere più vicino alla gente, per dare il tuo conforto a tutti, anche alle famiglie ed ai bambini venuti da Vicenza e colpiti dall' inquinamento da PFAS delle acque provocato dalla ditta che ancora sta facendo affari: la consolazione è medicina dello spirito ma i piccoli hanno diritto, come tutti del resto, a non subire malversazioni fisiche e psichiche di questo tipo, che perdurano nel tempo e li sottopongono a grandi sofferenze. Forse la giovane Noa, olandesina bellissima e carica di spiritualità, non ha visto realizzata quella giustizia che si imponeva per lei dopo essere stata violentata appena uscita dall'infanzia, forse anche da qualcuno a lei assai


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prossimo: non servono le medicine se non si comprende che le ferite provocate allo spirito dalle persone di cui ti fidi sono laceranti; se manca la compensazione concreta e morale della giustizia realizzata, non solo ipotizzata; se la libidine perpetrata volontariamente su un inerme da un tuo simile è esperienza disumana quando, appunto, manca l'atto di giustizia che ne sana un poco gli effetti devastanti. L'istituzione alla quale appartieni è ispirata a Gesù, non solo un nome: nel nome del Padre è nato un nuovo Figlio: ecco perché Simone Weil si mette in ascolto del nuovo Logos, di quel Verbo che Giovanni evangelista esalta e rende presente nella totalità dei sofferenti, degli oppressi, dei colpevolizzati senza colpa - i poveri- ; ecco perché Simone Weil rinuncia al proprio ghenos di ebrea e alla prioritaria appartenenza ad esso per abbracciare la nuova dimensione della ricchezza mistica che opera nella quotidianità della condivisione; ecco perché Simone Weil si nutre di grecità, fino a sciogliere per essa i nodi della vita attraversando stenti e sofferenze fisiche nell'attesa di Dio. E Simone Weil, ebrea di nascita ma non di fede, è scelta ed apprezzata da molti, religiosi e non. Nel nome del Padre è nato un nuovo Figlio: il nuovo perièchon, il nuovo limite e spazio dell'orizzonte si fa non 'altro da sé' nella sua essenza ma ulteriore, oltre se stesso senza misura e senza alcuna differenza, null'altro che il sé che rappresenta, nella mente e nel cuore, quella forza proiettiva che rende il Figlio degno del Padre, un padre che si fa minuscolo per poter abbracciare attraverso il figlio, reso pure minuscolo dall'Amore, tutta la vita del mondo, tutti i viventi nel mondo, che sappiano offrire al figlio di quel padre quell'Amore che è proprio di chi si sente, e quindi è, amato perché, dopo Gesù, percezione ed esistenza coincidono. Questa è l'epoca dei due Papi: tu, Papa Francesco, in servizio, l'altro, Papa Benedetto XVI a riposo: anche i suoi testi, come i tuoi, sono assai preziosi. Il vostro doppio versante, pratico e teorico insieme, deve avere per me

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come per molti di noi, un solo sbocco, quello della ragione che viene investita dalla Grazia e che si lascia illuminare dal Verbo di Giovanni, vero principio di fede, che va a trasformare i comportamenti e quindi, di conseguenza, la Storia. Ti ringrazio dell'attenzione, che so profonda e ti saluto con tanta cordialità, perché riconosco che il tuo compito è decisamente assai difficile. Ilia Pedrina Vicenza, 15 luglio 2019

SOUVENIRS D’ENFANCE A dîner, pain et chicorée cuits dans de l’eau du fleuve pour nos bouches avides. Chacun avec son bol gris assis en cercle sous le figuier brun. Mon père est fatigué et a toujours les mains rendues sanglantes par le gel et par les ronces crevassées ; ma mère, attentive vivandière, ne mange pas, rassasiée de notre faim jamais calmée. Personne ne parle ; durant le jour tous nous avons peiné. L’ultime rayon rougit nos visages et soudain nous enveloppe une mer d’ombres sous le ciel lourd d’astres. Voilà, ensuite, le jappement d’un chien, le bruit sourd d’une pomme, un cri de chouette, le bruissement du loir entre les feuilles flétries, la peur des morts sortis des tombes et, finalement, le sommeil plein de cauchemars sur le bractées bruyantes. Domenico Defelice in LE PAROLE A COMPRENDERE Traduction de Béatrice GAUDY


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PAGINE DI DIARIO DI FINE NOVECENTO di Luigi De Rosa 1 - Sull’Appennino ligure – (L’oblìo) NA domenica di luglio ho camminato per ore su un sentiero (facile, dati i miei –anta e le mie abitudini di rivierasco) tappezzato di foglie ancora umide per un temporale notturno. L’aria degli ottocento metri mi ossigenava i polmoni di uomo costretto a vivere fra auto, treni, fracasso e un certo inquinamento. Gialle ginestre, garofanini selvatici, castagni, querce, lecci, faggi, noccioli. Una macchia verdebruna dalle mille sfumature, a perdita d’occhio. A sinistra una valle con casette sparse, a destra laggiù il mare turchese, blu, viola cangiante. In cielo brandelli di cirri nell’azzurro e un puntino d’argento in volo verso Torino. Pensieri leggeri (farfalle ?) sul ciglio dei dirupi. Alle spalle il Santuario di Montallegro, di fronte Chiavari e Sestri Levante incastonate in un triangolino di mare capovolto fra due cime verdastre. Camminavo su un morbido fondo motoso dimenticando tutte le vite già trascorse, imbevendomi di sole nella musica dei cinguettii, senza pensare al futuro. In un oblìo da tranquillante naturale affogavo vecchie storie, sconfitte, gioie, strazi, delusioni, rivincite, progetti meravigliosi svaniti, e speranze tenaci, dure a morire.

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2 - Un lunedì in ufficio a Genova – (Lo straniamento e la solitudine) Un lunedì di febbraio, negli uffici della Sovrintendenza Scolastica Regionale della Liguria, su in Mura santa Chiara, vicino all’ ospedale Galliera. Com’è normale per un capitano, sono rimasto assolutamente solo sulla nave, nel senso che le stanze sono deserte. L’orologio marcatempo, in un angolo buio, con numerini verdi segna l’ora precisa, le 18,55. Più tardi spegnerò le luci nei corridoi e nell’atrio, chiuderò a chiave il portone e, ben intabarrato, ridiscenderò verso la stazione Brìgnole per prendere il treno e tornare a casa a Rapallo. Scalinate ampie e ventose, strade in discesa, poi la trafficatissima via Venti Settembre, e il fiume di pedoni nella lunga via san Vincenzo. Certe sere non riesco a sfuggire ad un senso di straniamento e di solitudine antica che mi pervade oggi in Genova (dove sto prestando i miei ultimi anni di servizio come dirigente scolastico) così come ieri (dal 1986 al 1995) a Torino, dove la sera, chiuso il Provveditorato, per un certo periodo ci dormivo addirittura dentro; quello straniamento e quella solitudine che mi prendevano anche ad Alessandria; a Trieste; a Pordenone; a Genova in anni precedenti ed in altre situazioni; così come, tanti anni prima, a Udine; a Milano; ad Artegna e Gemona del Friùli; così come, tanti anni dopo, a New-York, a Washington, nella contea di Albany, e altrove, e dovunque. E sempre. 3 - Gli auguri di capodanno in Prefettura(Quando è troppo, è troppo) E’ la sera di un 12 gennaio... alla fine del XX secolo. Sono in treno, stanco e bagnato, nel solito percorso Genova-Rapallo. Per fortuna ho a portata di mano il quadernetto tascabile e la biro, perché mi devo sfogare al più presto. Stamattina, a Genova, pioveva a diluvio, e il vento mi ha rovesciato l’ombrello. Sono rimasto in ufficio fino alle 19. Nelle stanze, l’unico rumore era il fruscio dei fax in


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arrivo. Alle 19 l’autista è arrivato, ha spento le luci (stavolta le ha spente lui), ha chiuso porte e portone e mi ha accompagnato in Prefettura. Avevo in tasca il cartoncino di invito del Prefetto al tradizionale ricevimento annuale per lo scambio degli auguri di capodanno tra le “massime autorità civili e militari …” - Piacere di rivederla. Si ricorda di me? - e ho porto la mano al nuovo Prefetto che, ritto in cima allo scalone, mi porgeva la sua con un largo sorriso. - Come faccio a non ricordarmi del simpatico De Rosa, che era provveditore agli studi a Torino quando io, a Torino, ero il Prefetto?E dopo questo cerimonioso benvenuto, per tutto il resto della serata non ero più riuscito a scambiare una parola con Sua Eccellenza, a causa della folla di presenti. Un mare di sorrisi stereotipati, strette di mano superficiali, tranne pochi casi di personale amicizia e stima. Come ad esempio con il Sindaco di Genova, Adriano Sansa, magistrato e poeta, di cui avevo recensito il libro in onore e memoria di Falcone e Borsellino. C’era anche Alloero, il preside dell’Istituto Alberghiero “Marco Polo”(eccellente la serata del mese precedente a Camogli, coi suoi studenti e le sue studentesse a cucinare e “servire” a tavola). C’era anche l’avvocato Biondi, che parlava pacatamente con un gruppetto di belle signore che l’aveva circondato quasi per mangiarselo. Però c’erano anche molte persone che non avevano proprio l’aria di essere delle “autorità”, né parenti di “autorità”. A un certo punto, anzi, la folla era diventata così strabocchevole che era un miracolo se non ci si spintonava e se non volavano per aria o sui vestiti i contenuti dei piattini e bicchieri di cartone che alcuni (tutti?) reggevano con perizia con una mano, per rimpinzarsi di leccornie dolci e salate con l’altra. Il vocìo rischiava di trasformarsi in fracasso assordante, per me insopportabile. La democrazia, a volte, può diventare troppo rumorosa. I lampadari solenni e sbrilluccicanti ma-

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scheravano a stento la voglia di lasciarsi cadere su troppi crani non consoni di una certa “aristocrazia nuova” di faccendieri onnipresenti, o su certe signore anziane troppo truccate da ragazzine. Dimostravano calma, distacco, eleganza e bellezza soltanto le ragazze (vere) addette alle tavolate imbandite, e soltanto le figure umane degli affreschi e dei dipinti che ricoprivano le pareti degli antichi saloni. Ma erano personaggi di altri tempi. Le prime, del futuro, le seconde, del passato. Il presente, purtroppo, era rappresentato, in gran parte, da quella folla vociante (bisognava gridare, per farsi sentire) e masticante. A un certo punto ho dato un’occhiata all’ orologio, sono andato al guardaroba fendendo la calca, ho cercato il mio montone e il mio cappello (ammaccato…), sono ridisceso velocemente per lo scalone sotto lo sguardo impassibile di alcuni carabinieri, e sono scappato verso la Stazione Brignole. Per via Serra quasi correvo, rasentando i muri per ripararmi a malapena dalla pioggia che non aveva mai smesso di scrosciare. Ah che gioia, la pioggia! Luigi De Rosa

GLI OCCHI DI UN POETA (a mio padre Luigi) Caro papà, so che i tuoi occhi non si arrenderanno mai. O saranno costretti un giorno, o una notte, ad addormentarsi, quieti, per sempre. Ma la loro luce, il loro sguardo sul mondo, sull'amore, sull'infelicità di uomini e donne, sulle eterne bambine, non si dissolverà mai. E la tua armoniosa conchiglia è sempre qui, vicina. Patrizia De Rosa (Genova)


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DOMENICO DEFELICE: PAROLE IN CANTO COME PREGHIERA, PER DAR SENSO ALLA VITA di Ilia Pedrina

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O già sostenuto con decisione che LE PAROLE A COMPRENDERE, la più recente raccolta di poesie di Domenico Defelice, della Genesi Editrice, con Prefazione di Sandro Gros-Pietro e Postfazione di Emerico Giachery, dell'aprile 2019, è una raccolta di quei temi che hanno la forza e lo spessore propri della sincerità concreta ed ispirata ad un tempo: l'Autore sa trasformare i sentimenti in parole e la presenza di Dio come confidente diretto dei pensieri, delle invocazioni che possiedono l'energia propria delle preghiere scritte, nate per essere pronunciate ovunque e ad alta voce, è concreta risposta inconsapevole ma profondamente saggia alle mie aspettative. Mantengo questo orientamento e faccio trovar luce a riflessioni sulla prima parte del testo poetico, che offre il titolo all'Opera. È significativo considerare come alla nascita del movimento poetico e letterario del Realismo Lirico, fondato, anche attraverso la diffusione della omonima Rivista, dal poeta e scrittore Aldo Capasso, tra gli Amici di ideali e di scrittura venisse veicolato come un senso

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di appartenenza non elitaria e negativamente settaria, ma spiritualmente e praticamente aperta al dialogo ed alla diffusione dei princìpi che hanno motivato, come un saldo collante, l'operosità anche creativa di tutti loro, ciascuno secondo la propria pratica ed ispirazione, quasi 'confratelli' nel dare alla scrittura poetica ed in prosa spessore di validità morale. Questo lo sfondo nel quale si inserisce il Nostro, prendendo poi il volo ad ali spiegate, sempre più in alto, fino a diventare ottimo erede e presenza assai significativa nella nostra letteratura contemporanea proprio della corrente letteraria del Realismo Lirico. Che il versante spirituale venga privilegiato come cardine vitale intorno al quale far ruotare in luce sempre intensa le esperienze della vita e dell'ispirazione poetica, lo sostengo da tempo e questo suo più recente lavoro lo dimostra pienamente, proprio nel ricordare il grande Geppo Tedeschi, anche lui tra i poeti e scrittori del Realismo Lirico: SEI TU QUEL PETTIROSSO a Geppo Tedeschi Eccomi. Chi l'avrebbe mai detto, dopo vent'anni, a parlare di te, nella tua terra e mia, nel tuo Paese! Appena sveglio, in albergo, dalle persiane socchiuse, udire m'è sembrato il verso d'un fringuello. Sei tu, lo sento. Sei tu che mi saluti. Sei tu quel pettirosso che la sua danza esegue sopra il pruno deserto. Sei tu e il borbottio dei colombi il nostro antico conversare. È vero. L'inverno è appena incominciato e tu non ami il chiuso d'una stan-


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za. Ma sopra la collina di già s'agita il vento e la campagna verde freme sotto la volta d'azzurro screziato. La stagione s'appressa propizia, il cielo a pregare coi tuoi versi, fra rosolacci e grano. (da Le parole a comprendere, op. cit. pp. 4950). Domenico Defelice ha saputo superare decenni anche duri di vita personale e sociale con determinazione, approdando a conquistare quella meritata serenità familiare e professionale, senza mai trascurare il versante etico della lotta, affinché venga via via a perdersi tra noi la forma, l'impronta, la memoria di Caino, agendo concretamente e senza misura perché non ne sopravviva il torbido esempio. Allora congiungo insieme, così come due vive mani che si accostano nella concentrazione meditativa del canto, le preghiere come piena, lacerata descrizione di eventi e loro aperta, smisurata, sublimata condanna. Cito: LE SUE OSSA HANNO INFRANTO “Osso di lui non sarà infranto” dicono le Scritture. Nelle Chiese di Roma -Golgota dei nostri giorni infranto hanno e calpestato Tua Madre, divelta la Tua Croce. Con mazze pesanti selvaggiamente devastato hanno il Tuo corpo, Cristo affranto, tribolato, vessato: tranciati di netto la Tua testa, il bacino, la gambe, le braccia... Perdonaci, Signore. Perdonali. Né sappiamo, né sanno ciò che fanno. QUEI TUOI OCCHI FISSARE PIETOSI Infranta. I resti scagliati sulla via, tra le macchine in fiamme, barbaramente presi a calci, calpestati. Intatto è rimasto il tuo volto soave.

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La polvere, l'acre fumo degli incendi non hanno osato oltraggiare il carnato e deturpare il rosso delle labbra, l'azzurro dei Tuoi occhi, quei Tuoi occhi fissare pietosi colui che il volto collerico celava dietro il passamontagna. Su di lui tienili fissi, Madre, non abbandonarlo mai. (da Le parole a comprendere, op. cit. pp. 3334, con due note, intensissime: 'Sabato 15 ottobre 2011, nella Chiesa dei Santi Marcellino e Pietro di Roma, un crocifisso è stato devastato a colpi di mazza da alcuni violenti black bloc' -pag. 33- e 'Il 15 ottobre 2011, la statua della Madonna di Lourdes, nella chiesa dei Santi Marcellino e Pietro di Roma, è stata presa a mazzate e i resti, poi, con disprezzo buttati sulla strada -pag. 34). Rispetto a questa tensione spirituale che lacera l'immaginario, anche lo studioso Emerico Giachery si impegna a sottolineare: “Tra i temi tratti dalla cronaca, ricorderò quello avvenuto il 15 ottobre 2011, dell'immagine della Madonna di Lourdes gettata in strada e vilipesa dai dimostranti. Ricordo questo episodio perché la Chiesa dei Santi Marcellino e Pietro è proprio la nostra parrocchia e ho assistito dalla finestra alla violenta guerriglia umana di quel pomeriggio...” (E. Giachery, Postfazione in D. Defelice, op. cit. pag. 134). La progenie di Caino, a faccia ben coperta, così non si sa chi marchiare in fronte, si sfoga ora anche sui simboli sacri della nostra civiltà d'Italia e d'Occidente? Si, e il Defelice intende denunciare duramente questo evento, invocando perdono e un gesto oltremondano di misericordia, anche per se stesso, perché nulla può fare e si sente soffocato da questo peso. Nel suo lungo percorso sono presenti lavori che più attraggono la spiritualità, lavori che più danno voce ai legami del cuore e dell'intelletto, lavori che più danno luce all'intreccio di natura e vita, attraverso Amore: questa sua più recente parola poetica, Le parole a comprendere, affiancata alla sua storia, al suo as-


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siduo impegno di scrittore, di interpretetraduttore di poeti e scrittori ora anche provenienti dalla lontana Cina, trova tempi e modi, onde mobili e vigorose, proprio perché spiritualmente radicate ed accese in profondità, che fanno entrare con consapevole coraggio nel futuro. Pomezia è cittadina costruita durante il regime mussoliniano: con lui, arrivato da Anoia, Pomezia diventa anche sede dalla quale far nascere e vivere Pomezia Notizie. Domenico Defelice la fonda e la guida da ben 46 anni: per noi che vi siamo all'interno, con la nostra firma, che è segno pieno d'assunzione di responsabilità, è raccolta di esperienze poetiche, di tracce mai superficiali, di riscontri pieni e di notizie che elevano il discorso verso le alte quote del retto agire, anche attraverso il sacrificio personale e l'invettiva che fa reagire rispetto allo sgomento che rende inermi, e spesso inani, sempre disposti a subire, per paura, ogni sorta di sopruso. Da Pomezia, dalla sua casa, dal suo studio, dalle note che circondano quel suo hortus conclusus, partono questi accenti d'ansia e di denuncia, di memorie e di concreti tremori, nella prospettiva d'affrontare quell'orizzonte che ci sta di fronte, così certo perché ulteriore alla nostra nascita: PRESTO DOVRÒ SALIRE AL CIELO Guardavo il cielo e l'orizzonte era sempre lontano. Oggi guardo la terra e l'orizzonte tocco con mano. Presto dovrò salire al cielo. Attacca, allora, o Dio, le ali ai miei talloni stanchi e della terra che con me trasporto fanne nobile strame pei tuoi celesti e sterminati campi. (D. Defelice, op. cit. pag 75). Salute a te, caro Amico, dall'intelligenza vivace e mai doma, che incoraggia i giovani all'operosità efficace, dall'ispirazione poetica originale e coinvolgente, dall'anima leggera e salda, nobile e illuminata, carica di Grazia. Ilia Pedrina

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HO SOLO SCHERZATO Non prendermi in giro, se ho scritto che ti amo. Ho solo scherzato con la penna in mano. Ho l’hobby dello scrivere e ci riesco male. Sono un poeta, che ha voglia di scherzare. C’è chi scherza a carnevale, io scrivo scherzando per respirare. Mi manca l’aria, voglio l’ossigeno vicino. Mi basta una penna e un libriccino. Ti voglio bene. Ti amo tanto. Ti ho sempre amato. Ma non ci credere. Ho solo scherzato. Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! “Fan ridere quelli di Sinistra che chiamano quelli di Destra fascisti!”, così, noi, in Pomezia-Notizie, luglio 2019. Apriti cielo! Vero, Mussolini è partito dalla Sinistra, ma dopo l’ha abbandonata, ha fondato i Fasci di combattimento, è diventato dittatore. Alleluia! Alleluia! No, carissimi, Mussolini non ha abbandonato niente, dittatore era, è rimasto ed è morto. La Sinistra, anche quando si ammanta di democrazia, è e rimane settaria e dispotica nel DNA, perché affonda le radici e si nutre della dittatura più spietata e sanguinaria: il Comunismo. Vi proclamate storici, ma non volete ammettere questa verità: Comunismo e Fascismo sono la stessa cosa: Dittatura e la vera democrazia è sconosciuta a entrambi, con entrambi collide. Domenico Defelice


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AGOSTINO DI BONDENO

I COLLOQUI DI POISSY di Carmine Chiodo

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HI è Agostino di Bondeno? Dal libro non si evince nulla. Ma non importa. Chiunque sia, ciò che conta è che è un A. che sa tenere la penna in mano, conosce benissimo le fonti, la storia, il periodo di cui tratta in questa sua opera che si può definire romanzo storico, ma è anche qualche cosa altro, come cercherò di dire in questa nota. Tratta della guerra spietata e tremenda tra Ugonotti e Cattolici, e quindi ecco la Francia. Per porre fine o, meglio, un freno <<alle dispute religiose e avvicinare le due fazioni, nel settembre del 1561 si tiene a Poissy un colloquio tra le due delegazioni di teologi che, però, non riusciranno a trovare un accordo. Sarà Agostino, uno scrivano arrivato da Roma per seguire i colloqui, a mostrare le luci e le ombre di questo duro periodo storico, finendo coinvolto in una guerra di religione che distruggerà tutto il suo mondo>> (si veda il

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quarto di copertina del libro). Comunque, il romanzo è ben fuso e collegato in tutte le sue parti. Vi si nota una voce narrante che è quella dello scrivano - già nominato - Agostino che tiene un diario in cui annota giorno dopo giorno ciò che vede e ciò che succede durante il viaggio da Roma a Poissy e ovviamente poi sono ben descritte le scene e gli avvenimenti che avvengono in terra francese, alla corte reale, nelle abbazie, come pure ancora ben delineati internamente ed esteriormente i vari personaggi che appaiono nel libro. Tutto sommato è un libro corale che non ha solo una dimensione storica ma presenta pure una storia d’amore tra il giovane Agostino e una bella ragazza francese di nome Virginie che – come si dirà in appresso - farà una brutta fine. L’opera non presenta solo belle e centrate descrizioni, ma anche dialoghi in cui emergono le varie fisionomie e personalità dei personaggi che di volta in volta sono di scena. Leggendo il libro si vengono a conoscere i vari risvolti tragici ed antiumani, bestiali che hanno caratterizzato le guerre tra Ugonotti e Cattolici, anche qui lo scrittore è sempre preciso ed accurato e non viene omesso nulla al fine di mostrare la bestialità e la crudeltà appunto di quelle contese che nonostante questi colloqui non si sopirono, imperversando in quasi tutta la Francia, portando ovunque desolazione, tristezza e distruzione. Il romanzo si dispiega attraverso quattordici quaderni in ognuno dei quali si narra un evento un fatto particolare, oltre a incontrarvi i vari personaggi di chiesa, di governo e di fede ugonotta. Il lettore, data la fluidità della lingua con cui è scritta l’opera, prova piacere nelle leggere le pagine del romanzo e prosegue sempre nella lettura con la voglia di saperne sempre di più su quel personaggio, su quello evento o su quella situazione. La narrazione procede spedita e senza intoppi e poi la lingua è abbastanza comprensibile anche se ci sono termini talvolta che danno il colore del tempo in cui si svolsero i fatti narrati ma si tratta di termini facilmente interpretabili che rendono sempre più accurata e precisa la narrazione stessa di quegli eventi storici e dei


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personaggi che vi presero parte. L’A. sa muoversi in fatti abbastanza complessi e li rende chiari attraverso una lingua anch’essa chiara. Non leggiamo erudizione pesante anche se vengono nominati personaggi, fatti storici. Tutto è raccontato con immediatezza e scioltezza. A questo punto, per provare quanto sono andato dicendo, faccio seguire alcune citazioni del romanzo: <<Squillo di tromba ancora ripetuto. Si fa più vicino. Però il paese lo scorgi solo quando vi giungi. Quando per questa spianata di fango indurito ti lasci dietro la selva selvaggia>>. (p. 15); <<I teologi della Sorbona dovranno condannare a morte un gatto?>>, a stento trattengo le risate, guardando negli occhi Marco Antonio. Il mansionario, invece, pare in preda alla disperazione. Meno male che riesco a contenermi. <<Un uomo che commettesse lo stesso delitto>>, aggiunge, <<sarebbe senza dubbio condannato a morte. Dunque perché risparmiare un gatto? Solo per non fare dispiacere alla prioressa?>> (p. 23); <<Virginie cominciò il suo racconto. <<Ero a casa. Sentivo gridare forte, dalla strada di sotto: <<Il Capitano di Giustizia! E’ arrivato il Capitano di Giustizia!>> <<Non capivo cosa capitasse, mentre quel trambusto si arrestava proprio davanti alle finestre>> (p. 95). Stanno distruggendo e saccheggiando la casa di un ricco mercante, padre della fanciulla, di cui si innamora lo scrivano Agostino. Ovunque desolazione e distruzione, e Virginie cosi prosegue nel suo racconto: <<La paura mi impietriva, mentre quegli omacci correvano e smaniavano per tutte le camere, facendole tremare con frastuono terribile. Poi passarono a devastare l’orto, dove io coltivavo tutti i miei fiori, travolsero tutto quello che poterono: smossero pure la terra, divelsero ogni alberello e bossolo, strapparono ogni erba profumata, tirarono persino ogni radice!>> (pp. 9596). Sono i cattolici, mandati dal duca di Lorena a saccheggiare la casa del padre di Virginie accusato di essere un eretico, e quindi impossessarsi delle sue ricchezze. Difatti il padre della ragazza <<faceva il mercante di drappi e cordovani. Commerciava con tutta l’

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Europa. Era sempre in viaggio, soprattutto nelle Fiandre, a Tournai, a Maline e ad Anversa dove partecipava alle fiere più affollate del mondo […] Di mio padre non si poteva dire male! Era onesto, e cattolicissimo>> (p. 97). L’opera si fa pure apprezzare per i toni linguistici che trattano di volta in volta vari argomenti e questioni, ed ecco che sono presi di mira i teologi della Sorbona – come già detto prima - che non riescono a risolvere i problemi che minacciano seriamente l’unità dei cristiani e si occupano di problemi insulsi e sterili, insignificanti come l’episodio – già riferito – del gatto della prioressa. Comunque, per il tramite di Agostino e del dotto e coltissimo Marco Antonio, segretario di cardinali e del legato pontificio, veniamo a conoscere vari fatti che si svolgono durante questi colloqui. Conosciamo ciò che avviene nella Abbazia di Poissy, e ovviamente non manca l’ironia, il sarcasmo in certe battute di Marco Antonio, personaggio problematico e impenetrabile, specie quando parla dell’episodio legato al gatto: <<Oh speriamo bene che non lo abbiano portato alla Consiergeria di Parigi>> <<Sicuro>> ribatte il mansionario. <<Sicuro! E sarà esaminato da quegli impaludati Teologi della Sorbona che decideranno se e quando condannarlo a morte>>. Agostino se la ride sotto i baffi. Ecco poi i due, Agostino e Marco Antonio in visita alla cappella delle reliquie e poi qui la materia più <<vile è l’ oro>>. Inoltre, leggendo con la dovuta attenzione il romanzo, emerge il fatto significativo che viene stigmatizzata la vita di corte reale che raccoglie tante belle persone all’ apparenza ma poi in sostanza sono esseri ipocriti e volti al male. La vita di corte viene esaminata in ogni suo aspetto e momento. Una vita fatta di speranze, di attese. La storia è piena di abominazioni che spesso gli uomini dimenticano, ma che poi si ripresentano davanti ai nostro occhi. La storia qui presenta vari personaggi potenti, illustri, temibili, temutissimi ad esempio da Roma come quel Teodoro di Beza, calvinista. <<Teodoro di Beza qui venuto in rappresentanza del famoso Calvino: finalmente lo riconosco, accompagnato dal


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pastore di Zurigo, credo proprio che si sia lui, Pietro Martire Vermigli. Insieme a lui dovrebbero esserci tutti: Francesco da San Paolo, Giovanni Raimondo, Giovanni Vitellio, Nicola di Gagliard, Giovanni Bucchino. Mi sembra di riconoscere pure il famoso Agostino Marlorato che è più vecchio degli altri, teologo dottissimo, esperto di battesimo e di immagini sacre. E’ con lui Giovanni della Spina, altrettanto dotto, famoso per avere pubblicamente rinnegato la Chiesa Romana, per ridursi a vita appartata e segreta>> (p. 34). Si vede che Agostino di Bondeno conosce e sa vagliare molto bene le fonti, e si vede ancora che l’A. ha compiuto le sue ricerche anche in terra di Francia. Un altro elemento che affiora dall’opera è che tutti vogliono, cattolici e riformati, la pace, tutti la predicano, tutti vogliono che finiscano le risse, gli odi, le devastazioni, le impiccagioni, le morti violente, ma poi tutto resta come prima. Tutti parlano e invece da parte sua il re bambino con una voce appena che si ode dice, per esempio, di voler sentire le ragioni dei riformati. Personaggi di rilievo del romanzo sono, appunto, lo scrivano Agostino e il dotto Marco Antonio, il quale, conoscendo molto bene il cuore degli uomini, subito si convince che questi colloqui sono destinati a fallire, a non risolvere quindi i problemi. Resteranno solo le parole. Pure il Beza vuole la pace e dichiara obbedienza al re, Carlo IX e dice ancora che egli, Teodoro di Beza, non ha mai negato la presenza di Dio nell’Eucarestia. Questi discorsi non vanno giù, però, al cardinale Tornone che <<con tutta la sua voce>> urla: << Blasphemavit! Blasphemavit!>>. Non mancano altri personaggi quali il già ricordato Cardinale di Lorena, bello, giovane, biondo chiaro come un tedesco, gentile come un italiano. Egli è famoso per la sua eloquenza, virtuoso, colto e sarà proprio lui che dovrà rispondere al Beza. Tutti sperano in quel Cardinale che calpesterà la testa del serpente. Proprio lui che ordinò diverse devastazioni e uccisioni di uomini e donne ritenuti eretici: Il <<Tigre>> come recita il titolo di un libro scritto su di lui. Altro personaggio il Nunzio

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Gualtiero che è per i roghi, e quindi gli eretici debbono essere bruciati e rivolgendosi al Cardinale Legato dice infatti che qui ci vorrebbero i roghi. <<Tutti alle fiamme li dovremmo dare, gli eretici>>, solo cosi si possono combattere. A voler guardare bene, nel corso del romanzo affiorano altri toni e puntualizzazioni, e cosi viene evidenziato il lusso degli ambienti dove vive il Cardinale Legato come pure vengono presentati nella loro individualità certe figure della corte come quella pingue e sgraziata camiciaia che pure in realtà è una procacciatrice di belle ragazze da passare, vendere a uomini. Un mondo variopinto che stupisce Agostino e proprio ad Agostino e all’amico Marco Antonio la vecchia confezionatrice di camicie ha mandato a dire se volessero trascorrere la notte con qualche bella fanciulla, con qualche bella cortigiana. E qui noto che la lingua del romanzo ben si adegua alle situazioni che di volta in volta sono presentate, e si tratta di una lingua accurata, precisa, comprensibile e ben documentata, e al riguardo faccio le seguenti citazioni: <<A Parigi c’è gente brutta, venuta da fuori. Gente che non ragiona, che disconosce ogni ordine e autorità. Sono quasi tutti Guasconi, incontrollabili e ardenti, come branchi di fiere che vanno girando per le nostre strade portandovi insolenza e cattiva intenzione>> (p. 174; <<Dentro il castello, devo ammetterlo, si vive meglio che a Poissy, benché l’alloggiamento che ci è stato dato sia piccolo ed esposto a questo vento che soffia da occidente e che di notte rende l’aria cosi fredda. Invece le stanze di monsignore Legato, vicine alle nostre, sono comode e riscaldate, tutte ornate di panni e di cortine di velluto, con una lettiera magnifica di legno dorato e una specchiera grande e lucidissima come non ne avevo mai viste. E poi si mangia sempre lentamente, su certi piatti d’argento e di cristallo, che è una meraviglia! Insomma, ci sono qui cosi tante comodità che di più non si potrebbe desiderare per il servizio del reverendissimo monsignore, nonché di noi tutti che facciamo parte della sua famiglia>> (p. 60); <<Il mansionario si


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stringe ancora di più a noi, per cominciare a farci il suo racconto.>>; <<Ero sceso in chiesa, dopo avere atteso alle mie letture. Stavo curandomi di accendere una lampada che si era spenta, mentre le monache finivano di mutare il velo della Madonna miracolosa […] All’improvviso la suora vecchia prese a gridare con la sua voce soffocata, a piangere e imprecare cosi dolorosamente che pareva le avessero cavati gli occhi. Gli occhi però non li avevano cavati a lei, bensi alla veneratissima immagine della Vergine >> (p. 21). La storia, una delle tante storie qui raccontate è quella tragica della già ricordata Virginie. Agostino fa di tutto per salvarla ma non ci riesce e nessuno gli dà ascolto. Finirà Virginie bruciata, accusata di essere l’autrice del libro infamante contro il Cardinale di Lorena: <<Salve, Tigre di Francia>>, qualcuno grida. Qualcuno le sputa addosso. Un frate le porge da bere. Lei rifiuta. Anche se è mattina, su tutta Rovano è fatto buio>>. (p. 322). Agostino non se ne vuole andare, vuole salvare a tutti i costi la ragazza, e continua solo a gridare. <<Ha ottenuto la grazia!>> Le mie urla, per quanto forti, sono coperte da tutte le altre>>. E Agostino grida ancora ma Virginie viene uccisa e difatti il prete fatto il suo <<ufficio>>, conclude: <<Sia arsa, in modo che non ne rimangano neppure le ceneri! Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!>> (p. 323). Agostino poi si sveglia quando tutto era terminato e si ritrova solo e abbandonato per strada. Sotto la pioggia e per lui <<sarebbe stato meglio finire sul rogo>>. Tutto è finito. Tutto è perduto. Che cosa è la nostra vita? Una corsa dietro al vento. Cosi termina questo ben fatto, documentato, affascinante libro non solo storico ma potentemente umano. Carmine Chiodo AGOSTINO DI BONDENO ,I COLLOQUI DI POISSY, Roma ,Albatros 2018.

___________________________________ “Lettre à l’ultime Notre-Dame de Paris” Peut être cette mienne lettre aurait-elle besoin de plus grands

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arcs rampants pour contrer la douleur devant la dramatique désagrégation. Peut-être Quasimodo s’est-il sauvé de l’incendie en sautant d’une flèche à l’autre, d’un griffon à l’autre dans la nuit d’avril à l’air saturé d’outrages. “Très Chère Cathédrale de Notre-Dame, ton âme médiévale ne s’est pas envolée au ciel, résiste le verticalisme* de l’amour spirituel, dans le silence qui suivra on pensera à réinventer la pose du style brodé à l’infini filtrant la substance du temps divin par toutes ses arcades, ses loges, balustrades, animaux fantastiques, et magiques vitraux. Il n’est pas vrai qu’ est mort ton élan gothique initial, les masses d’ombres du roman de Hugo ne sont pas devenues cendres, et Esméralda n’ a plus été exécutée. Quelle aube te reverra plus imposante qu’avant ? Peut-être un autre roman communiquera-t-il de la vigueur à ce qui reste de ton architecture, peut-être l’ampleur démesurée de ton mythe donnera-t-il un sens à la précieuse poussière que maintenant tu es dans l’aire de Paris ! » Isabella Michela Affinito Traduction de Béatrice Gaudy *Verticalisme : néologisme mimétique du terme d’architecture italien « verticalismo » qui désigne l’importance accordée aux lignes et aux structures verticales.


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DOMENICO DEFELICE LE PAROLE A COMPRENDERE di Antonio Crecchia EGGENDO l’ultima silloge poetica di Domenico Defelice, ho incontrato questo verso, a pag. 47: “Ho del poeta la dignità”. Una confessione a mani giunte davanti all’altare celeste di Colui che è “il Padrone del tempo”. Una dignità innata e rafforzata dentro il limbo di una fede schietta, genuina, rivelatrice di una religiosità profonda, che permea l’anima e il cuore di questo Poeta. Chi lo conosce meglio di me, sa che ha scritto molto, che ha amato la vita, la famiglia, gli amici e onorato l’arte, la cultura, la letteratura fino ad essere indicato, come fa giustamente Sandro Gros-Pietro nella Prefazione, uno “scrittore di alacre impegno, esercitato su diversi fronti della poesia, della narrativa, della critica e della rivista letteraria di spessore culturale”. Un encomio ben meritato, che si accomuna a tanti altri ricevuti da eminenti

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personaggi posti al vertice della cultura, tra cui Ilia Pedrina e Emerico Giachery, che ha firmato la Postfazione. Un assioma evidente e praticato con l’ umiltà, la tenacia e la risolutezza proprie dei grandi spiriti che hanno popolato e popolano questo solare e aspro Meridione d’Italia, in cui l’individuo dotato di talento, se vuole volare in alto, deve forgiarsi le ali con le sole risorse delle sue energie fisiche, intellettuali e morali. I meriti e gli approdi conquistati con la determinazione dell’in-tellettuale che sa di lottare e operare per una giusta e nobile causa, sono ben “leggibili” nei testi poetici di “Le parole a comprendere”, in cui la figura, la personalità, lo spirito alacre e combattivo dello scrittore che ha privilegiato lo studio, la cultura “l’Amore e la Libertà sopra ogni altra cosa” sono resi evidenti dalla sua “Parola”, che enuncia un percorso esistenziale, operativo e creativo, incline per carattere a “seguir virtute e conoscenza”. L’occhio e lo spirito vigili e attenti al mondo naturale, fenomenico, umano, sociale, culturale e politico, in cui vige il “panta rei”, mettono di continuo in fibrillazione il suo acume critico di fronte alle storture e assurdità di un mondo che si ostina a costruire, cocciutamente, “Torri di Babele”, in una sfida ininterrotta al “Logos”, alla razionalità, alla dialettica del confronto costruttivo, ai principi solennemente scritti in “carte” costituzionali o nei diritti universali. Nella prima parte, la più consistente, in cui si contano sessantacinque poesie, eccelle l’ anima affettiva, lirica e religiosa di Defelice. Gli affetti familiari sono celebrati senza esclusione di sorta, con una partecipazione intensa, legittimata da un amore che a tutti i suoi cari lo unisce in virtù di un forte e resistente “cordone ombelicale”. Padre, madre, amici come il grande Peter Russell, Giorgio Iannitto, Geremia, il “vecchio pastore di falangi” amante della poesia, che non ha mai scritto versi, o testi in prosa perché riteneva “inadeguate / le parole a comprendere / il senso della vita e delle cose”, sono statue vi-


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venti di trapassati, fissate alla vetta dei ricordi, custodite dentro un biotopo mentale come icone sacre. Non meno caldo ed eloquente il palpito poetico che inneggia all’amore per la compagna di vita, i figli, le nuore, i nipoti, tra i quali il Poeta vive l’orgoglio del “patriarca unto dal Signore”. Non meno espressive e manifeste le sue confessioni di fede e di devozione per Maria e Gesù, i cardini del suo progetto di salvezza finale, in cui risalta l’ottimistico abbandono alla benevolenza di Dio. Il ventaglio delle tematiche affrontate dal Poeta include momenti di vita vissuta da protagonista o da spettatore. Momenti di profonda riflessione su fatti accaduti che gettano un velo di cupa ombra sulla specificità di azioni tutt’altro che “umane”. Mi riferisco alla lirica “Fragili insetti impazziti”, dedicata alla piccola Elena Petrizzi, in cui ci si chiede come “può un padre in macchina,/ sotto il sole, la figlia dimenticare – una bimba, un piccolo fiore! lasciare – e tranquillo andare a lavorare/ all’Università?” Altri “insetti” impazziti, velenosi, rabbiosi e violenti hanno dato stimolo alla composizione dei testi “Le sue ossa hanno infranto” e “Quei tuoi occhi fissare pietosi”. Scene da spezzare il cuore a ogni buon cristiano. È mai possibile che la viltà umana tocchi la degradazione più riprovevole, quando, “nelle chiese di Roma” (è il 15 ottobre 2011) una turba di fanatici black bloc si rende colpevole d’un sacrilegio tipico della barbarie più abietta, facendo a pezzi, “a colpi di pesanti mazze” un crocifisso e una statua della Madonna Immacolata? È accaduto. I resti frantumati delle due divinità “scagliati sulla via, /tra le macchine in fiamme / barbaramente presi a calci, calpestati”. È accaduto. Perché le infamie che di continuo si perpetuano nel mondo non sono altro che la turpe realizzazione di progetti ideologicamente scanditi dai torvi e turbolenti profeti del Male, i quali, per soddisfare il bramato istinto di sopraffazione, non esitano a farsi promotori e esecutori di terrorismo politico, culturale e religioso. Nella seconda sezione, “Ridere (per non

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piangere)”, il lirismo si fa dignitosamente da parte; subentra lo spirito satirico, il demone poetico che impugna la frusta e si fa avanti minaccioso verso i profanatori del tempio della moralità. Il campionario della mala genia, abituale calpestatrice dei valori che regolano i rapporti umani e civili, è alquanto nutrito e vario. Il primato spetta ai politici, per liberarci dei quali il nostro Poeta auspica che “finalmente e senza indugio / si suicidino a catena!”. Speranza vana perché, dice un vecchio proverbio, “La mala erba non muore mai”. Tuttavia, il dovere del poeta non sta unicamente nel comporre versi che, con la loro armonia, soddisfino le orecchie e il cuore del lettore. In un mondo in crisi permanente sul piano dell’etica sociale, è d’obbligo “lottare”, “sostenere battaglie” contro “l’ipocrisia, la corruzione, la violenza” che “feriscono mortalmente al petto”. Ogni vir bonus non deve stancarsi di sostenere, a parole e con i fatti, che l’onestà, la rettitudine, il rispetto delle regole del buon vivere civile devono avere la precedenza assoluta. Defelice, in coscienza, ritiene di aver svolto con impegno la sua missione moralizzatrice, con il mezzo che gli è più congeniale: la sua “penna piuma leggerissima” che “è stata, altre volte,/ affilato stiletto”. A seguire, gli “Epigrammi” (Terza parte) e, di conseguenza, nuovo cambiamento di stile e di tono, per onorare questa forma letteraria che, abitualmente, si nutre di lapidarietà, arguzia e mordacità. Piccoli componimenti poetici impostati con molta cura. In Defelice, opera di smontaggio di vanità, boriosità, prosopopea, millanteria autoacquisite dal ciarpame umano, ossia da coloro che fanno dell’autostima falsata da distorsioni cognitive, una fonte di gloria, per essere passati, magari “con lo sbuffo di un potentissimo peto”, dalla stalla alle… stelle! Quelle effimere, naturalmente. La quarta parte (Recensioni) si apre con una frecciata sarcastica alla poesia cosiddetta performativa e multimediale; una modalità di linguaggio tutt’altro che poetico, dal momento che rifiuta categoricamente norme e regole che hanno dato lustro alla poesia “intelligen-


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te” e cantata dai grandi poeti di tutti i tempi. Roba da bordelli, ma in espansione per i suoi risvolti spettacolari in quelle aree culturali che esaltano i fenomeni da baraccone. Non è il caso di parlarne. Defelice ci ride sopra e prende il gusto di scimmiottarla. Tutto qui? No. Bene informato della spregiudicatezza, faciloneria e sciatteria di cui tanti poeti del secondo Novecento (e primo scordo del Duemila) hanno dato abbondanti prove, battendo orgogliosamente la via dell’ anarchia e della sfrenatezza mentale (e immaginativa), il Nostro pungola la volgare sboccataggine di chi sventola il fazzoletto intriso nel suo “mestruo adolescente”(per affermare goliardicamente – chi non lo ricorda? – L’utero è mio e lo gestisco io”; censura la scarsa padronanza linguistica di chi “prende a pugni e schiaffi il congiuntivo”; punta il dito contro chi fa tutt’altro che “poesia onesta”, inneggiando all’Io autocrate, padrone di esprimere “pestifero strame / stupidaggini / stramberie / sciocchezze / in un linguaggio grottesco,/ strampalato / oscuro / pazzesco.” Mediocrità. Pochezza di serietà fatta passare per arte innovativa. Defelice ne individua la causa nella frenesia, tutta contemporanea di menti tenebrose, di portare alla ribalta e innalzare a dignità letteraria certa alterata, snaturata, adulterata poesia popolare, che si contrappone a quella ritenuta elitaria dei poeti affermati e storicizzati. Da questa convinzione nascono i versi ultimi (pag. 131), più amari che ironici, che bollano la poesia del rumore, del becero frastuono, della “lingua aggrovigliata”, della “sregolatezza”, come filiazione “prodotta da… cara stitichezza”. Coniugando dignità espressiva e saggezza argomentativa, il Poeta di Anoia (RC), residente a Pomezia (Roma) da molti anni, rende un meritato omaggio a se stesso e a coloro che, pur operando in mezzo a tanto squilibrio mentale e sociale, credono ancora nella poesia quale “musica dell’anima”, come voleva Voltaire. Antonio Crecchia LE PAROLE A COMPRENDERE - Poesie di Domenico Defelice (Genesi Editrice, Torino aprile 2019)

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L’ABITUDINE Comincia al mattino ancora calda di letto, l’aria di chi si muove per sbaglio e i gesti che si ripetono. Poi le stesse parole e un giorno si rivela antico e nuovo come l’inizio primo finché l’alba cancellerà la notte noi saremo terra piano piano - gesto a gesto per rompere il silenzio. E l’abitudine ti sfiora ti tocca ti penetra lenta e sicura. Non servono evasioni. Non contano incontri nelle parabole del vento. E’ un tenero pazzo amante che ti prende anima e corpo. Una prigione con porte aperte. Laura Pierdicchi Da “Neumi”

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 16/7/2019 Al gran banchetto europeo, anche stavolta si sono assisi e hanno vinto i crapuloni, Francia e Germania in testa, e sono loro ad ingozzarsi dei migliori bocconi. Alleluia! Alleluia! All’Italia - terza potenza europea per numero di abitanti e, a dispetto di quel che si dice, per ricchezza - è toccata, secondo una celebre parabola evangelica, la posizione di Lazzaro, desideroso di cibarsi delle briciole, ma insidiato e vinto pure dai cani - gli altri Paesi al margine -, che sono più svelti a raccoglierle e che le succhiano pure le ferite. Domenico Defelice


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CHEN HONGWEI di Domenico Defelice

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I Chen Hongwei, proponiamo, ai nostri lettori, tre splendide poesie: “Un gladiolo nella foschia”, “Nel cielo notturno si appende un pesce fossile” e “Stiamo tutti aspettando di smascherarci”. CHEN Hongwei, pseudonimo: Weihong, è un eccellente poeta della Cina contemporanea. Nato in Wuyi County, provincia di Hebei, nel 1967, ora vive nella città di Baoding, nell’Hebei. Membro della Chinese Poetry Association, della Hebei Writers Association, capo del Changhe Channel of Chinese Poetry Online, editore della Chinese Poetry School Net, vice presidente e giudice della Qingfeng Poetry Society. I suoi lavori sono stati pubblicati su riviste letterarie come: Mang Zhong, Selected Poems, SAR Literature, Shandong Poets, Yan He, Lotus Creek, Huxiang Poetry, Chuanjiang River, Ye San Po, Orientation, Lover Birds Poetry. Le sue poesie hanno ottenuto l’omaggio di numerosi Premi Annuali. Ha vinto premi come il secondo Chang He Literature Award, il terzo Special Recommendation Award of Shandong Poets, e il Revitalization Award of Tan-

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ghe Literature. Le sue opere pubblicate includono Pacing and Composing, Pontoon Bridge e Arc. Ecco, di seguito, le tre liriche nella traduzione inglese di Shi Yonghao e nella nostra libera versione italiana.

A Gladiolus in the I like dreaming, but not now Now, in your loftiness I am dreaming of being tough and in my affections You are dreaming of the future. The haze blurs my sight I dare not get closer to you for fear that Clearness may ruin One’s brilliance

In the Night Sky Hangs a Fossil Fish The sky differs with the night Tonight, in the sky hangs a fossil fish Parallel skylines cast out the gold hook Mutually attracted, they are willing to Trap each other. During its lifetime, the fish Escapes countless spears of the light Unaware that he lives in the net And that the sea is a vast net He even does not know that only the sky Can capture all in the net: the sea, the fossil fish and the human world

We Are All Waiting to Unmask Ourselves We never admit we are wearing masks No chance for us to attend the balls We all smile sincerely We behave ourselves leisurely So natural in the light of the sun or the lamp The masks ever seen are all very ugly We have been ridiculing ourselves For acting like clowns in life Who wishes to make himself even uglier? We all expect to live, at least in others’ eyes


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A decent life Wearing masks, decently We live UN GLADIOLO NELLA FOSCHIA Amo sognare, ma non ora Ora, nella tua alterigia Sto sognando di essere duro e nei miei affetti Tu stai sognando il futuro. La nebbia offusca la mi vista Non oso avvicinarti per timore Che la chiarezza possa rovinare una genialità

NEL CIELO NOTTURNO SI RIFLETTE UN PESCE FOSSILE Il cielo si differisce dalla notte Stasera, nel cielo pende un pesce fossile Gli orizzonti paralleli eliminano il gancio d’oro Reciprocamente attratti, son disposti a renderlo Trappola a vicenda. Durante la sua vita, il pesce Sfugge innumerevoli lance di luce Ignaro di vivere nella rete E che il mare è una vasta rete Lui ancora non sa che solo il cielo sia in grado di catturare tutti in rete: il mare, i peschi fossili e il mondo umano

STIAMO TUTTI ASPETTANDO DI SMASCHERARCI Mai ammettiamo d’indossare maschere Nessuna possibilità per noi per partecipare ai balli Tutti sorridiamo sinceramente Tutti ci comportiamo bene Così al naturale alla luce del sole o della lampada Le maschere mai viste son tutte molto brutte

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Ci stiamo ridicolizzando Agendo come pagliacci nella vita Chi vuol rendersi ancora più brutto? Tutti ci aspettiamo di vivere, almeno agli occhi degli altri Una vita decente Indossando maschere, decentemente Viviamo Tra gli aspetti più salienti di questi tre brani, a risaltare è l’ambiguità. Nel primo, addirittura, rileviamo gioco in entrambi i soggetti, il poeta e colei cui si riferisce - perché, probabilmente, è una donna, ma la certezza non c’è. Lei è un fiore, un bel gladiolo, ma sfumato, dai contorni vaghi perché nella nebbia, nella finzione, non si comporta rettamente e pare approfittarsi dei sentimenti dell’altro (“nei miei affetti/Tu stai sognando il futuro”); sta, cioè, architettando. Ma anche lui non sprizza sincerità; ha una visione nebbiosa di tutto quel che va accadendo e, anche lui rimugina; per esempio, sogna come “essere più duro”, pur rendendosene conto di non averne la capacità. Tale ambiguità, più sottilmente prosegue in “Nel cielo notturno si riflette un pesce fossile”. Tutti siamo ingannati e tutti viviamo prigionieri dei nostri reciproci inganni, consapevoli o meno. Chi domina, chi ci tiene in pugno, è il cielo, cioè il destino, il solo in grado di ingabbiare, e in gabbia mantenere, “il mare, i pesci fossili e il mondo”. Nel terzo elaborato, infine, la doppiezza è del tutto scoperta, esplicita nelle maschere che ciascuno di noi quotidianamente indossa; siam tutti clowns, incapaci di prender parte a qualunque decisione (“partecipare ai balli” della vita); immersi talmente nella finzione, da non accorgerci della nostra stessa bruttezza e, se per caso arriviamo a scorgerla negli altri, ci guardiamo dal palesarla, la dissimuliamo, e così, in questa ambiguità assoluta, “decentemente/Viviamo”. L’ambiguità, uno dei mali più perniciosi e subdoli dell’odierna nostra società. Domenico Defelice


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ALEKSANDR PUSKIN di Antonia Izzi Rufo

PUSKIN fece per la Russia ciò che in Italia fecero Dante e Petrarca, in Francia i grandi del XVII secolo, in Germania Lessing, Schiller e Goethe” (Anatolij Lunacarskij). E’ considerato “l’emblema d’una nuova lingua letteraria russa”. Egli usa un linguaggio pulito, senza ornamenti, scrive così come parla; i suoi versi sembrano prosa, sembra che stia raccontando e lo si ascolta con piacere. Il nitore cristallino della sua ricchissima produzione lirica si fonda sull’equilibrio e la naturalezza del verso e su uno straordinario controllo del linguaggio. Il linguaggio di Puskin non è ermetico, è un linguaggio che s’avvicina più alla prosa che alla poesia; è un linguaggio che parla, dice qualcosa, è vivo, eloquente. Leggere le poesie di Puskin è emozionarsi, è entrare nell’intimo del discorso, è soffrire e gioire con l’autore. Puskin amava molto la Grecia perché aveva una madre greca, come il Foscolo. In la figlia del capitano” somiglia ad Alessandro Dumas, lo stesso stile, le stesse avventure. Nacque a Mosca nel 1799 e morì a San Pietroburgo nel 1837. Venne educato, non dai genitori, assidui frequentatori di salotti, ma

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dalla nonna materna, dallo zio Vasilij, che apparteneva al circolo letterario d’ avanguardia “Arzamas”, e dalla balia Arina Rodionovna. Si formò nella ricca biblioteca paterna, come accanito lettore, in modo particolare sui classici, Boileau, Racine, Molière, Parny, Rousseau, Montesquieu, Voltaire. Si mise in luce al liceo di Carskoe Selo come poeta di straordinaria maturità tecnica. Il liceo diventò la sua seconda casa. Qui conobbe diverse persone importanti. Prima di lasciare il liceo, fu invitato a far parte della società letteraria “Arzamas”. Completò gli studi nel 1817 e diventò funzionario del Ministero degli Esteri. A San Pieroburgo, dove risiedeva in quegli anni e dove conobbe personaggi importanti, condusse una vita all’insegna del piacere. Alternava la sua partecipazione ai salotti a società letterarie politiche, come l’ “Alzamas” e la “lampada verde”, e cadde in sospetto di attività sovversive tanto che fu confinato dalla polizia nella Russia meridionale. Durante il confino viaggiò al seguito del generale Raevskij, nominato suo custode, e visitò la Crimea, il Caucaso e la Kamenka dove frequentò Pavel Ivanovic Pestel, capo della società segreta “Associazione del Sud”. Scrisse “Il prigioniero del Caucaso”, una serie di liriche e poemetti in stile byroniano e i primi tre canti di “Evgenij Onegin”. Poi fu trasferito a Odessa, dove iniziò a scrivere “Zingari”. Qui Voroncòv lo denunciò, per vendicarsi della relazione di Puskin con la moglie Elisabetta, e la polizia spedì il Nostro nella tenuta materna di Michajlovskoe, dove egli rimase fino al 1826. Continuò a scrivere. Fu poi trasferito a San Pietroburgo dove scrisse moltissimo e dove sposò la bellissima Natal’ia Nikolaevna Gongarova. Incontrò Gogol, con cui strinse grande amicizia, ed ebbe problemi finanziari e umiliazioni per colpa della moglie e dei suoi numerosi ammiratori, tra i quali anche lo zar. Uscì “Evgenij Onegin”, “La dama di picche” e l’“Antologia Poemi e Racconti”. Ebbe una sua rivista, “Il Contemporaneo”. Nel 1837 affrontò in duello l’ufficiale francese G. D’Anthès accusato, da alcune lettere anonime, di essere amante della moglie. Ferito


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gravemente, in seguito al duello, morì alcuni giorni dopo. Ebbe carattere estroverso, ironico e vitale. Amò molte donne i cui nomi ricorrenti, nelle liriche, sono: Natasa (in essa risuonano echi di poeti contemporanei), Mariette Smith (giovane francesina, vedova), Ol’ga Masson (di Pietroburgo), Calipso Polichroni ( amante di Byron, greca), Ekaterina Nikolaevna (ricordata nella poesia n. 10 – Eridano Bazzarelli - ), Maria e Zarema (in talismano), Arina Rodionovna (la bambinaia), Agrafena Fiodorovna (temperamento ardente),Anna Petrovna Kern (Puskin l’aveva vista la prima volta a Pietroburgo), Natal’ia Goncarova (è per la moglie che chiama “Madonna”)… Il “Caucaso” è una delle poesie più belle. Puskin ama la bellezza e l’armonia e queste le cerca nelle belle donne e nella natura. Egli è stato innamorato di tutte le donne che ha avuto, ma si è rifugiato nella natura, in campagna, dove ha potuto godere della pace interiore come in nessun posto. Antonia Izzi Rufo

SOGNO E REALTÀ Vivente, eri il mio sogno. Assente, sei la mia realtà. Ore felici e sofferte, quando sapevo che eri vicino, quando con altri mi eri vicino, e ti guardavo, e ti ascoltavo, ma non parlavo, perché non potevo dire quanto, e come, avrei voluto. Ore sofferte, eppure felici, perché potevo vederti ed ascoltarti. Ore felici, quando insieme cenavamo soli prima del concerto all’Albert Hall, io silenziosa, emozionata, non sapendo cosa dire. Ore sofferte, quando terminate le mie vacanze ci salutavamo

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(un altro anno, e sempre, solo amici!) … O quando, ahimè, prima che io partissi, tu dovevi farlo per recarti a Edimburgo con l’orchestra, e saresti tornato a Londra quando io già sarei stata a Milano … Sapevi ? Immaginavi ? Speravo e lo temevo, Qualcuno forse (Mrs. M.) prima di me aveva capito. “How are you getting on with Tony, Maria?” Mariagina Bonciani Milano

L'ALBA Non sono ossa flessibili, non è carne irrorata, non è sangue fluido. Sostanza appesantita che si rimuove lenta, secco tessuto inarticolato, filamenti irretiti, non elastici i passi disarmonici con addosso tutto il peso. Sembra filo spinato attorno, reticolato duro dalle punte pungenti. Vuoti asfittici, le pareti vogliono spaccarsi, battono doloranti. Non voglio vedere quando fa giorno e quando fa notte, non voglio vedere l'alba, una lancia fredda che ti infilza per il collo sollevandoti a strappi brutali dal torpore che ha fatto stare acquietato, che non ha fatto sentire, neppure vedere, ti ha strappato dal giaciglio e dai sogni. La mente scorreva entro spazi deserti, alberi giganti e burroni senza fine. Non voglio ritornare con il ritmo della clessidra a serrare le persiane, sentire i tocchi del pendolo che trasportano senza averti addosso; il suo sorriso invelenito del sadico che gode tenendo pestato il capo per terra, la bocca contorta, le parole dentro strette. Leonardo Selvaggi Torino


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UN LIBRO SU

MICHELE E GABRIELLA FRENNA di Tito Cauchi

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UIGI Ruggeri, organizzatore di eventi culturali, scrittore ed editore, ha realizzato un florilegio dedicato a padre e figlia dal chiaro titolo Michele e Gabriella Frenna e lungo sottotitolo che richiama i loro rispettivi strumenti di lavoro Tasselli d’arte e sospiri di vita, mettendosi egli stesso nell’ Incontro con un maestro d’arte e una poetessa. Questo volume segue la prima edizione del Premio Letterario Michele Frenna. Sono tracciati il profilo critico, esistendo su entrambi una nutrita bibliografia; sono riproposte figure mosaicali di uno e componimenti poetici dell’altra e soprattutto recensioni. Perciò gli scritti riguardano l’uno e l’altra, pur nella loro autonoma identità, sono un tutt’uno, poiché molta poesia e scritti di critica di Gabriella riguardano il padre; e ciò è ammirevole perché dimostra come la pianta abbia dato buoni frutti. Per ragioni di spazio ci limitiamo nell’ esposizione. La lettura scorre piacevolmente, come una sorta di miscellanea. Nell’essenza il libro è strutturato in modo composito. Presentati padre e figlia, propone note critiche, precisamente (salvo verifica): 5 sul Maestro, 17 di vari autori sulle dieci opere della Poetessa, 14 considerazioni del Ruggeri su una decina di poesie ripresentate e su mosaici, 28 note sulle sedici monografie riguardanti il Frenna. Una settantina di immagini a colore,

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rendono il lavoro accurato e molto pregevole. Michele Frenna si è accostato all’arte mosaicali in età matura e, preso dall’ interesse, ne ha perfezionato la tecnica. Nella presentazione del Maestro si afferma che osservandone le opere “non è tanto il linguaggio che deve sentirsi quanto invece, quello della natura” poiché colloca con sapienza i tasselli di vetro, sì da non differenziarne i vari colori e così fare apparire il mosaico un dipinto. Questa connotazione vuole significare che il maestro agrigentino-palermitano, supera lo steccato che divide fra loro l’arte e la letteratura, cioè arte e poesia, poiché entra nella interiorità dei soggetti, persone od altro. La perdita della primogenita (Rosanna, nel 1988) segna una demarcazione nello stile e nei soggetti, dedicandosi maggiormente a temi religiosi e a raffigurazione di paesaggi e prodotti della sua Sicilia in modo solare, come conforto alla grande pena. Infaticabile, generoso e senza venialità ha lavorato fino alle ultime ore di vita (il 5 ottobre 2012), lasciando incompiuto il volto di Padre Matteo La Grua. Ha esposto in gallerie, è inserito in antologie, è presente in oltre una ventina di monografie (tra le quali una a firma dello scrivente) e molte recensioni. Fra queste ultime si riportano quelle di Raffaele Bertoli, P. Di Martino, M. Romano Losi, Carmine Manzi, Giuseppe Pietroni. Inutile dire che gli autori sono concordi nell’esprimere un giudizio esaltante, nella molteplicità degli aspetti tecnici e tematici. Così abbiamo soggetti sacri come Madonne, Crocifissioni, Deposizione, Apparizioni; artigiani e agricoltori, paesaggi e nature morte; tutti rappresentati con un cromatismo vivo e umanizzato; le immagini esprimono un linguaggio immediato; i simboli presenti rivelano alta poesia, intimismo ed espressività; la complessità dei soggetti dimostra la sua partecipazione al consesso umano, sociale e ideale. Gabriella Frenna è autrice di una decina di pubblicazioni fra testi poetici e di critica. Come si è accennato molte delle sue opere, in versi e in prosa, trattano dei mosaici del padre in cui evidenzia la carica emotiva e spirituale


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pur entro una cornice di nostalgia e di serenità. Così esprime il ‘Ricordo imperituro’ sul padre nella poesia d’apertura: “Hai svelato l’impegno/ della tua vita cristiana/ volta a diffondere/ i principi evangelici./ […]/ si diffondono dalle opere/ col messaggio d’amore.” Altresì si rivela saggista acuta e misurata con monografie trattando, per esempio, scrittori e poeti come Leonardo Selvaggi, Ernesto Papandrea, Carmine Manzi. Luigi Ruggeri espone alcune sue considerazioni sulla tecnica che sono interessanti, per esempio chiedendosi “se sia possibile operare un parallelo tra il mosaico e la pittura postimpressionista di Van Gogh e dei puntinisti del post- impressionismo” poiché i tanti puntini visti da lontano, per effetto ottico, danno la percezione di costituire linee continue. Commenta molti mosaici come la Sacra Famiglia, sottolineando il ruolo centrale dei genitori; quello dei Templi per esaltare l’ attaccamento del Maestro alla sua terra, quindi la sua sicilianità. Mette in risalto particolari impensabili (almeno ai non addetti) sulla collocazione dei minuti tasselli di vetro colorato, che tornano utili in senso pedagogico (che non guasta). Rileva nel colore preferito dell’artista una espressione di funzionalità psicologica, la potenza propositiva delle immagini in particolare nella Crocifissione, richiami storici come quello relativo alla Patrona di Palermo, Santa Rosalia, la sua devozione a San Calogero. Gli autori delle monografie e delle recensioni sui Frenna, costituiscono una voce cora-

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le di apprezzamento delle rispettive opere; le poesie pur nella legittima espressione di dedizione, sono prive di enfasi. E sono nell’ordine in cui si presentano: Antonia Izzi Rufo, Enza Conti, Laura Pierdicchi, Orazio Tanelli, Tito Cauchi, Carolina Citrigno, Maria Antonietta Mòsele, Leonardo Selvaggi, Lucia Battaglia, Jolanda Serra, Luogo Bartolini, Luciano Nanni, Enrico Marco Cipollini, Pantaleo Mastrodonato, Vincenzo Rossi, Giuseppe Manitta, Pietro Seddio, Giuseppe Anziano, Adalgisa Biondi, Maria Teresa Epifani Furno, Anna Aita, Pino Lombardi, Emilio Diedo, Domenico Defelice, Domenico Frenna, Elena La Rosa D’Azzurro, Rosalba Masone Beltrame, Gaetano Citrigno, Caterina Wall, Francesco S. Tolone, B. Andolfi. Rimandando al pregevole volume, facciamo tesoro almeno di alcune scremature perché le ritengo utili per la comprensione più in generale degli artisti. Così è l’ importanza di conoscere il vissuto di un autore, la grande fede nel Maestro, e la speranza nella Poetessa. Il percorso umano, poetico e filosofico, il calore umano e l’amore per la natura. Comunanza del sentire anche fra i recensori, complementarietà tra mosaico e poesia, due espressioni artistiche una sola voce. Dedizione affettiva e scandaglio dei sentimenti, amore per il passato senza disconoscere il presente. Gabriella si rivela esegeta indiscussa e Michele maestro caposcuola. Mi sorge la convinzione che essere autodidatti può rendere più liberi nelle proprie creazioni, non dovendo perseguire alcuna corrente ideologica.


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Solo per concludere con una nota di tenerezza, fra le composizioni particolarmente dedicate all’arte musiva del padre e agli affetti familiari, segnalo la silloge poetica La Rosa con chiaro riferimento alla sorella e il componimento mosaicale Rimembrando che rappresenta le due sorelle; il componimento poetico Rosella che si riferisce alla madre, “amata sposa/ che porta il nome/ della regina dei fiori/ e il vezzeggiativo/ di una delicata rosella.” (pag. 59). Non è per pedanteria se dico che avrebbe giovato una rilettura e l’inserimento di capoversi; così faccio le seguenti segnalazioni, solo nell’intento di rimediare per una eventuale prossima ristampa, poiché le sviste sono sempre in agguato. Limitatamente a pagg. 18 e 30 non Ruffo ma Rufo, pag. 100 non Isiodo

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del caso avverso che cieco colpisce. Così, incerti tra amore e disamore, tra pace e guerra, erriamo senza posa. Il Cosmo ci dischiude i suoi portenti, il Caos la ferocia del suo volto. Noi portiamo nel cuore l'irrisolto dilemma che ci affanna e ci disvia per tutto il tempo che quaggiù vaghiamo. Elio Andriuoli Napoli

LUNA ALTA NEL CIELO DI TORINO C'è un'alta luna nel cielo di Torino, come ritaglio d'unghia rilucente scorre nel fumo delle nuvole, là, sopra il Politecnico, l'ultimo aereo da Roma occhieggia con luci colorate verso Caselle. I tigli sono stanchi ed avviliti, i gerani straniti, i balconi spenti, e irrimediabilmente si è cancellato un altro giorno della nostra vita. Luigi De Rosa (Rapallo)

ma Esiodo (per quanto ne sappia). E avrebbe giovato nell’indice l’indicazione oltre che dei titoli principali, anche di quelli delle sottosezioni, cioè dei recensori, per avere un quadro d’insieme visivo e per agevolarne la ricerca. Tito Cauchi LUIGI RUGGERI, MICHELE E GABRIELLA FRENNA, Tasselli d’arte e sospiri di vita, Incontro con un maestro d’arte e una poetessa, Magi Editore, Patti (ME) 2019, Pagg. 130, € 12,00

DILEMMA Ciò che più ci stupisce è l'armonia delle parole, l'armonia dei suoni che lo strumento docile ripete, il rapporto tra mille proporzioni. Ciò che più ci sgomenta è l'imprevisto

Je parlerai des fleurettes pour ne pas parler des coups des gazages des gardes à vue abusifs Je parlerai du merle et de la mésange pour ne pas parler des journalistes délibérément blessés de la liberté attaquée Je parlerai de la paisible nature pour ne pas parler de la violence d’Etat qui s’abat sur toute contestation de la répression qui peu à peu abat la démocratie Béatrice Gaudy Paris, France


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SOLITUDINE E AMORE di Leonardo Selvaggi Lo slancio della speranza ersi lineari che si incontrano con la schiettezza dei contenuti, con il mondo consueto degli affetti, con le visioni e le concezioni di una mente serena. Non certo le astruserie che paiono fuochi scoppiettanti d’artificio e non lasciano nulla dopo la fiammata che ha abbagliato soltanto, aride e vuote connessioni di parole. Ma la chiarezza dal fondo rivissuto delle riflessioni, la sedimentazione dei sentimenti che fanno una struttura morale compatta di definita identità. Al di sopra dell’erosione che fa la vita egoistica oscurando di amarezze la lucentezza dell’animo; aperti all’amicizia, disinteressati senza acrimonie, con il calore della bontà che viene incontro, la vicinanza cordiale. Scrivere come parlare, la viva voce delle parole, la persona che si muove, ti arriva vicino, lo sguardo ampio che penetra dentro per sentirti. “Le mie parole per gli altri”, la raccolta poetica di Rosangela Zoppi Tirrò: scritta per

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coloro che sanno capire la semplicità sentimentale, per le persone che sono buone, che hanno dolcezza e amabilità per tutto quello che è bello e sano nei desideri e nelle aspirazioni. Tante volte l’irruenza degli uomini e la loro falsità ricacciano le buone intenzioni nel chiuso di se stessi, si avverte la desolazione davanti all’arrogante corruzione dei sensati principi. C’è una presenza di sensibilità ancestrale di amore per la natura che viene da trasmissioni ataviche. La terra ossuta all’alba forte ed eterna da antiche ere nel silenzio gelido del cosmo. Come substrato l’anima del mondo fa da radice all’esistenza di sé. Il risveglio sonnolento indora le bianche strade con i primi soffi tiepidi della vita del nuovo giorno. La freschezza dell’inizio, lo slancio della speranza entro i disegni dei progetti. Il vento di marzo tira facendo smagliante la luce e l’aria cristallina. Le strade s’allungano illuminate, gli arti si muovono sollevandosi dalla terra rattrappita. Non ci sono i particolari, un unico linguaggio che va dal cuore per il largo, la nascita del giorno è un risollevarsi della matrice di tutti. Il cielo e la terra con i loro esseri in un solo moto ridestandosi insieme. L’amore per tutto è dentro di sé nelle ore della sera, senza confini. Avvolti nel cielo senza riconoscere più le tracce rifatte prima, sembrano le persone evaporate e diffuse nella tenue aria velata. Solo la natura nell’eterno suo immenso, rivelandosi la fragilità delle sagome che si piegano per i pallidi sentieri irrorati dal viso della luna. La poetessa dice: “Si riflette nello stagno/ un ciuffo di ginestra/ e diviene d’argento./ Come vivono lontano da qui/ le cose del giorno!” La sensibilità di Rosangela Zoppi Tirrò la senti addosso, è proprio di seta levigata. È voce interiore che si evolve nei taciti percorsi dell’animo fino a bearsi nei meandri dove si trovano i significati intelligibili del mondo di fuori. Pessimismo nei pensieri pesanti Si scioglie spesso in lacrime la propria immedesimazione con le circostanze, tanto sotti-


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le è la tessitura dell’io, l’amalgama con i fatti che toccano le corde del sentire. Una specie di magia prende la sua presenza per farla essere in stretta compenetrazione con il tutto. Poiché la solitudine è consistenza di sé, un legame magnetico con il contesto esistenziale. Il pessimismo è nei pensieri pesanti, nella voce martellante che va nell’aria e nel vento. È come vivere all’aperto, ravvolti dalla patina del tempo che corrode la rete smagliata della vita. Anche i versi sono senza peso, di qua e di là coperti di biancore. Spesso si posano sopra i raggi pallidi della luna, i riflessi argentati che passano attraverso le ombre della sera. Trascorrono le parole come visione volatile sui paesaggi. Un viaggio lungo attraverso pianure e colline, tra il verde e l’asperità dei luoghi brulli, e i pensieri macchie di un pittore estemporaneo si lasciano per dove si è passato. Sono le attese piene di sogni, le trepidazioni fanno vedere fremente e tremolante la nudità del corpo languido e gelatinoso allo scoperto, arenato sulla riva. Pregiudizi ed errori La solitudine è anche evaporazione di sé, perdita di concretezza, si diventa evanescenti. Non ci sono protezioni sufficienti per arginare la fuoriuscita di sé, è un andare vaganti nell’indeterminatezza. Nulla, meno di nulla. Sulla volta del nulla pesa l’egoismo e le cellule della fragilità umana nel flusso eterno si solidificano con la loro emanazione più purificata, formano il fiume interminabile degli attimi vitali. Obelischi innalzati sul nulla dell’ uomo, sulla miseria delle nostre sere. Pietre dure e marmi rilucenti nei secoli. Sulla piazza dentro il colonnato scorre la storia umana, ondate di ombre tutti i giorni. Il nostro essere passa nella grande astrazione dell’esistenza stretto e più limitato nei suoi contorni. Il disagio interiore entro il recinto di protezione creatosi per fuggire dal mondo di fuori che non dà vita. Solitudine vuol dire diluirsi nel nulla infinito, è sfilacciamento di nebbia, la paura di non essere, di perdere stabilità. Le lacrime danno

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ai pensieri fluidificazione veloce, essi si spargono in ogni recesso dove solo trovano ricetto vita vanificata, immagini e ricordi pieni di luce che “raccontano” “con la dignità del vecchio saggio”. Rimane in noi la fermezza del tempo dell’innocenza. Tutto sgretolato, visioni di un tempo volatilizzato. Inquietudini e rammarico per le stupidate mai corrette. La fragilità che è impotenza a forviare il cammino errato, e si ritorna sempre sugli stessi passi. L’incontentabilità che non ci fa essere sazi del momento presente, e allora piangiamo il tempo di prima che era veramente bello. Le composizioni vengono dal sorriso di un animo pulito: il viso paffuto di bambina che ama muoversi festosa sotto gli alberi fioriti, nella luce della primavera porta la leggera e feconda felicità dei pensieri semplici, ordinati. È un volo di farfalla il suono dei suoi versi, il ritorno dei ricordi che si portano dolci sensazioni. “Sono sbocciati/ i chicchi alla mimosa/ ed è finito/ il buio dell’inverno”. La poesia che fluisce libera senza sovrastrutture deformatrici per ritornare alla solarità della vita d’infanzia, agli anni vibranti sulla pelle fresca, pronta a recepire i soffi delle belle stagioni. Il sorriso e la bellezza ingenua dei primi fascini si aprono come finestre all’aria aperta. La donna autentica Sono veramente inutili i giri viziosi contorti che tolgono naturalezza. Rinvigorisce l’immediatezza del ritorno alle fonti nascoste nel verde per riconfortarci alle sempre essenziali emozioni. La poesia è sempre la primigenia vitalità della persona nell’ ambiente forte e natio che ha fatto esistere. La poetessa nello slancio affettivo si lascia trasportare dagli impulsi radicati nel sangue. “Quando vengo a trovarti/ nella città dei morti”…”davanti a mille croci uguali/ io raduno i ricordi/ e li porto al tuo cospetto”…La purezza dei sentimenti e la loro storia come fatti mitici fra le pareti che sanno le immagini alate delle prime fantasie. L’infanzia rosata se ne è andata, ci troviamo


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nella bufera del “tempo implacabile” che “ha compiuto la sua strage/ cacciando qualcuno dalla scena/ e disegnando pieghe crudeli/ sui volti di qualche altro”. Complessione fisica piena, generosa e appassionata. Il brillio stampato sul viso. Le poesie che leggiamo evidenziano tanto la donna autentica con la sua propria natura sentimentale che conforta e ti solleva dagli stati deprimenti. La donna che è luce della vita, fantasiosa, la sua dinamicità che dona ottimismo e sicurezza, tutto andrà bene, niente con lei appare inutile, incoraggia a perseverare. Ti attende, entusiasta ti guarda negli occhi. L’ amore per la vita e il prossimo. Fiore che si inargenta di rugiada, pensieri “nell’aria tersa” che diventano faville di gioia nel cuore della gente. Spassionato canto dell’animo nella struttura psicologica che non concepisce le finzioni e le ipocrisie, che non conosce egoismo né furberie. Spassionato canto senza contropartite. La donna vaso di fragranza: si riversano in libertà i sentimenti veri a piene mani e si fanno poesia dell’amore. Tu omnia mea, Tu mea domus, l’angelo della casa. Espressioni classiche ed anacronistiche infossate da questi tempi turbolenti, lontane risonanze piene di vita. Ma riecheggiano diffusamente nello spirito della raccolta “Le mie parole per gli altri”. “Sei sbocciato sul mio ramo,/ fiore maestoso,/ tanto tempo

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fa/ e ancora i tuoi petali/ profumano l’aria.” Erompono dal luogo circoscritto le idee maturate alle fiamme ideologiche. La poesia “Verrà una sera” rappresenta il punto significante delle passioni che ardono in tutto il volume. I versi fanno un nucleo esplosivo e battagliero: c’è uno slancio che ricorda alla lontana il tono impetuoso di noti autori, certo in un’altra sintesi, proprio con amabilità femminile. La mano calda fremente toglie la polvere sudicia dalle spalle del guerriero stanco di trincea e strappa di dosso le armi cieche che non sanno distinguere il servo dal padrone. In una corsa trionfale verso il nuovo mattino per accogliere fra le braccia chi ha sofferto: “strisciando sulla frusta insanguinata/ insieme bruceremo le stoppie dell’odio/ strapperemo le radici ad una ad una…per posare entro ogni buca/ il seme dell’amore.” L’amore si riversa nelle braccia operose per distruggere il triste passato. Il vero amore, il calore di quello materno misto con l’ardore di tutti i sensi: nell’amplesso materia e spirito si fondono, vasi intercomunicanti del comune afflato per trasfondersi in un unico flusso vitale. L’amore platonico vagante come leggera inafferrabile ossessione, l’attesa dei sogni con il lavorio dell’immaginazione e i momenti spasmodici della folle passione per rifocillarsi voraci dopo le tante arsure patite: “spegnerò le tue voglie sul mio corpo/ nascondendo il pudore/ dentro la tua gioia;/ inventerò campi dorati/ per farvi crescere i tuoi entusiasmi/ come spighe cullate dal vento…” Dai fremiti passionali ai sentimenti per gli altri L’amore passionale, fremiti generosi, decantazione dei sentimenti umanitari per gli altri. Da quella densità di legame fisico si passa ai moti slanciati in avanti, le braccia si fanno lunghe come rami protesi verso il cielo. La poetessa è una teorica dell’amore, vuole spezzare il reticolato, si frammette fra gli uomini per staccare le spine delle insidie e delle lontananze, spine di deformazione della genuina natura. L’amore è un cammino di


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fermentazione che, dalle radici della terra, dai legami chiusi entro le matrici ove si nutre di alimenti materiali, si innalza in cerchi infiniti, divenendo purificato, sempre più leggero e celestiale. Sulla base istintuale del sesso ove frammisti ribollono i sentimenti sicuramente si attua un processo che ci fa andare dal particolare al generale, come dire atto e potenza, un crogiuolo passionale dal quale si disarticola il passo che ci collega ad altri spazi di affettività per arrivare all’amore più ampio per il tutto, ad una dinamicità di trasporto che consente di essere protagonisti in sintonia col mondo degli esseri. Non si concepisce la vita barbarica con la crudeltà del sadismo: la fragilità del tempo di oggi ci spinge all’amore, la lotta e la contrapposizione egoistica appartengono alla violenza delle belve. Smaniosi di uscire all’aperto, di colloquiare con gli altri, il chiuso di noi stessi rende più labili i nostri giorni, profondo il baratro della fine. Dalle mani ci sfuggono le cose di appartenenza, inseguiamo nell’aria i pallidi istanti che intessono il proprio essere. Il cuore dell’uomo come l’onda che lascia il lido per andare veloce, per raggiungere la sponda opposta, che “risplende”, “si strazia”, “si scioglie”: insomma sensibile e mobile per allacciarsi a quello dei suoi simili, per sentirlo pulsare, in movimento con vitale amore da essere davvero un motore di risonanza e di sintonia nell’insieme di noi. Gli stessi pensieri di ravvedimento, le stesse promesse di ricominciare, ma si ritorna al vecchio ritmo, uguali vuoti, gli abbattimenti. Ci ritroviamo vestiti come prima. “Giace/ abbandonata sulla scogliera/ carcassa di rondine”…”spezzata dal vento/ imprigionata nella tela del tempo/ come il mio cuore.” “Noi viviamo/ scarsi di fede e di cuore/ immersi nell’orrore/ e nel silenzio.” “Questa vita è un povero sasso/ levigato dal tempo/ lambito dall’amore/ macchiato dall’odio/ sbreccato dalla delusione/ frantumato dal dolore.” Bello tagliare il rovo intricato Sfoltire il rovo intricato, allargare i rami per

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fare spazio, alleggerire il peso del corpo per farci più avvicinabili e insieme abituarci a parlare diverso, ad avere il viso aperto. “Le mie parole per gli altri” ci incamminano ad essere più tenui, con la delicatezza delle foglie, ad essere coerenti e resistenti negli atti di benevolenza, come alberi simboli di chiarezza. Più leggeri, di altra sostanza e di altra consistenza, avulsi da aberrazioni e da capricci psicastenici. Togliere le pietre che separano, spianare i fossati che ci nascondono e aprire strade ampie per andare accodati e vederci di fronte, fermarci; avere il colore di certe piante risanatrici, lo spessore carnoso di alcuni frutti che danno l’abbondante nutrimento. I vestiti più vaporosi che possano saper dare il significato di essere uguali, senza sovrappesi e silenzi che ci fanno lontani. Essere con il calore dell’aria vellutata che simile a bambagia carezzevole dona quiete e rilassatezza alle membra stanche. E poter dire di andare con il vento che passa su tutte le cose, di non volere lo spazio misurato, gelosi degli oggetti individuali, di poter correre con il batticuore per tutte le strade senza troppa avidità, senza l’ipocrita faccia dell’uomo che odia e fa morire. Allora il pessimismo, che nasce dallo stato di insoddisfazione, da un certo vuoto e inutilità, potrà smussarsi e non essere tetro davanti agli occhi e nella mente. Leonardo Selvaggi ROSANGELA ZOPPI TERRÒ - Le mie parole per gli altri - Edizioni Pomezia-Notizie, 1990.

TRENO FERMO A MONTEROSSO Affacciato nel sole, a un finestrino, mi sto imbevendo, pensoso, di questo mare agitato, squarcio improvviso di libertà ritrovata, attimo di fantasia naturale tra sofferenze e gioie inesprimibili. E'' inutile che ripensi a Montale, troppo immenso per me. Mi accontento di sentire un pianto di bambino, lontano, che chiama sua mamma. Luigi De Rosa (Rapallo)


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Il Racconto I GERANI di Anna Vincitorio N’ora indistinta della sera. Il suono del campanello. La donna si alza. Il corpo si muove come ruotando su se stesso, simile al turbinare di un lungo scialle mosso dal vento. Si avvicina al citofono; è rotto. Impossibile comunicare col fuori. Avanza sempre roteando col corpo. Si avvicina alla finestra. Fa fatica ad alzare la serranda; poi guarda in basso: tre uomini per strada. Sono forze dell’ordine – carabinieri in divisa. Perché hanno suonato proprio a lei? Chi o cosa cercano? Lei chiede, ma le risposte le giungono attutite, come sfumate nel vento. È tutto incerto. Apre gli occhi. Erano chiusi e lei sul divano e la televisione con toni bassi che trasmetteva immagini. Ma cosa le era successo? Le restava incollata addosso una ineluttabilità di eventi a lei ignoti e forse lontani nel tempo. E allora perché tutto questo? La casa è silenziosa con le stanze in ombra. I ricordi più vari assalgono la donna: risate di bambini, discussioni, lunghe attese alla finestra e il tempo che scorre inesorabile nella folla dei ricordi. Sul divano del salotto cosparso di cuscini dagli sfumati colori, si erano intrecciate parole, tante, a ritmo serrato. Quel desiderio di svuotarsi dalle angosce e di ricominciare. Riaffiorano quei capelli neri semilunghi e scomposti che in parte velavano quell’imperioso desiderio nello sguardo di lui e le sue mani lunghe, delicate e avide… Sì, ricominciare in un modo tutto diverso. Uscita da un lungo fidanzamento e un matrimonio finito male, voleva vivere ora una storia senza regole, con lunghi dialoghi, silenzi improvvisi e fughe d’amore. Nessuna certezza, certo, ma il prima con il certificato di nozze, le promesse di scambievole amore, fedeltà? No; ora solo vivere trepide attese con l’improvvisa comparsa di un amore nuovo,

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misterico, senza promesse ma caldo di abbracci. E il tempo passava e le attese erano più lunghe degli incontri ma gli incontri erano entusiasmanti primavere. Era bello nei dialoghi passare dalle porcellane di Delft ai libri di Kundera. Quel fascino sottile delle passeggiate lungo l’Arno, delle visite ai silenziosi chiostri della città. Le fughe pomeridiane verso la casa di lui e i gerani multicolori muti spettatori di vibranti amplessi. C’erano però in lui talvolta troppi silenzi legati a un passato che non amava ricordare e il lontano fascino di un sud amato e odiato da cui fuggire per poi nuovamente ritornare e immergersi. Per lei, la scuola, gli alunni complessi; tutto ora diventava accettabile perché all’improvviso ritornava sfuggente come un gatto ma inebriato nello sguardo. Il fascino del loro essere insieme consisteva proprio in quella vaghezza di tempi, di luoghi; c’era stato un inizio e, la fine, avrebbe potuto presentarsi all’improvviso per eventi esterni, mancanza di certezze. Lei e lui vivevano giorni pigri e, mai, parlare di un futuro, di un domani. D’altra parte lei non avrebbe potuto seguirlo. Aveva dei figli a cui mai avrebbe rinunciato, il lavoro e quella parte lineare e ordinata della sua vita alla quale era legata da una educazione tradizionale. “Il nostro è un amore silvano” ripeteva; complici i prati e i boschi che circondavano la città. Un giorno lui improvvisamente scomparve; anni di lunghissimi silenzi. Lei riprese la vita di sempre ma erano inquiete le sue notti tormentate da sogni di fughe indiscriminate nei boschi, grotte profonde e l’ombra di un uomo che in esse si celava. Qualcosa di grave doveva essere successo in quel profondo sud di poeti e briganti. Una mattina una telefonata: Sono… vengo a salutarti. Saliva lentamente le scale e il suo sguardo lungo assaporava ogni particolare per fermare il ricordo. “Mi nascondevo, ero inseguito dai carabinieri. Sono stato accusato di bancarotta fraudolenta. A breve il processo.


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Non so come andrà. Volevo rivederti, assaporare nuovamente il tuo calore e il profumo delle tue labbra. Non ci vedremo più. Ti ricorderò sul divano color arancio dove tutto cominciò con nel sottofondo la musica di Francesco De Gregori. Addio sogni legati alla fine degli anni ‘70-’80. A dieci anni di distanza tu sei sempre come eri allora. Dammi una tua foto; quella di te ventenne che sorridi lieve davanti a uno specchio”. Lei è senza parole. Quel saluto aveva risvegliato i suoi ricordi d’amore. Lui scende piano le scale e svanisce. Cosa resta, Poesie bellissime e vibranti e il ricordo di una sera d’estate e di un prato acciaccato da due corpi avvinti. 10 aprile 2018 Anna Vincitorio

“... È inutile che io vi dica il repertorio, tanto non state qua!” Dialogo a due con tutto il resto intorno. di Ilia Pedrina

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UTT'intorno è arsura e calura d' agosto: Annibale, che forse sa già dell'impatto bellicoso contro il suo nemico Scipione, non se la sente d' attraversare le Alpi con i suoi elefanti, perché qui è quell'altrove che lui sceglie, senza un senso preciso. Tavoli numerati in un angusto antro all'aperto, rocce e fiori a far da confine, grandi ombrelloni rosso cardinal che si è dimesso a riparare dal sole quando c'è e quando ci sono quelli che ricevono pecunia. Quel che si vede esiste, quel che non si vede, che senso ha considerarlo? Basta essere omissivi e quel che non si vede si fa finta che non esista, perché quando si suppone che esista, ci si sforza di tenerne conto. E quando ci si sforza di tenerne conto, l'immaginazione si scontra con

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chi e con che cosa non sono affatto né di dovere, né di diritto. “... È un settore difficile da gestire, mi creda!” La sorella del fratello si esibirà dalle ore 21 e allora tutti i presenti saranno lì a bere, a mangiare e ancora a bere. “... È inutile che io vi dica il repertorio, tanto non state qua!” Lei entra, la ofen-stube bianco latte, di maiolica, è rigorosamente accesa e il tutto quasi buio intorno facilita il lavorio alle ipostatizzazioni, cioè a quelle realtà immaginate che cambiano piano e te le trovi lì davanti a farti da inciampo, e tu non hai chiesto niente e loro ti sono arrivate a sorpresa, con tutto il resto intorno. Fino a far fiumi, nel collettivo del cantare, del suonare, del guardare, del sudare e dell'udire. “Ma qui di collettivo c'è solo l'odore, a dir elegante, l'odore corporale misto di tutti e questo c'è, si sente, io lo posso annusare!” “Certo lei ha ragione: quando gli odori si sentono col naso, esistono, non possono essere visti ma esistono.” “Come mai non è arrivato qui suo fratello? L'altro giorno arrotava così bene i coltelli per tagliare ad arte il blocco rosso sangue dello scamone...” La sorella del fratello si schermisce, si colora in volto, un franco sorriso e non risponde: ciò che non si vede non esiste e qui di certo suo fratello non si vede. Quindi non esiste. La ofen-stube bianco avorio, lucido come il burro, emana calore a favorire il sudore e a far appiccicare le vesti alla pelle, perché più si suda più si beve, più si beve più si paga: lei mi dice che, forse, mi riconosce, mi ha già visto prima, non ricorda quando, ma mi ha visto. La ofen-stube è a due piani, uno sull'altro a riquadri geometrici, poi il tubo va verso l'alto per arrivare oltre il soffitto a travi in legno, al piano superiore. Bisogna essere sereni dentro, anzi bisogna avere serena dentro, per capire cosa sta succedendo qui perché all'entrata dalla luce al semibuio, per terra e per chi ci vede è cosa chiara: c'è inciso sulla soglia l'anno di costruzione '190.'. La cifra da 0 a 9 la mette a piace-


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re chi legge, perché per chi scrive va bene così. Sullo sfondo rosso dei mattoni e della alta base alle pareti è poggiato sul fianco, saldamente, il contrabbasso nella sua custodia, si sa, assai voluminosa; in giro cavi, spine, un leggio, altoparlanti e lui, seduto, con la chitarra acustica, perché, si sa, ciò che non serve, non esiste. Le lampade che pendono a piatto capovolto, vecchie e usate nelle cucine e altrove da nord a sud di ogni zona abitata d'Italia, danno la netta sicurezza che ciò che esiste va tenuto in considerazione, sempre, anche se rimanda a memorie di miseria, fame, sofferenze d'ogni tipo. Qui tutto ciò non si vede e quindi, qui ed ora, per ora, non esiste. Lui, alla chitarra acustica, avvia i suoi primi accordi per una prova dell'armonia e per aggiustare la tensione delle corde alla risonanza desiderata e ottimale, perché lui, questo è certo, ha in testa riferimenti che non si vedono ma esistono e fanno di lui un vero professionista nel gruppo dei tre. Lei arriva e prova il microfono, che deve fare tutt'uno con la sua voce, perché riverberi intorno, fin dentro le pareti di pietra spessa e forte. “...SI... SA prova: vado? Vado: SI... SA SA SA...” Gli accordi sono i soliti: un giro senza che ci siano viti, per evocare memorie a vite, avvitate nella carne delle esperienze di ciascuno. L'altoparlante viene orientato verso il pubblico dei fedelissimi della prima ora, pochi, poi verranno gli altri, tanti, e uno per ogni gruppo eviterà di bere, perché la prossima volta sarà il suo turno di aprire la gola al gran piacere. Alle pareti, in alto, due girandole cinesi, piccoline e a muro, dai colori prefissati, alternano raggi perché vengano idee, quelle che non si vedono ma che esistono lo stesso. Finalmente l'altro fa uscire il contrabbasso dalla sua crisalide e così lo strumento si presenta in tutto il suo caldo, compatto splendore, ora a dare tensioni e risonanze d'effetto per far tornare la mente all'indietro, al mitico

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Scodanibbio, un grande: tutto viene avvolto in realtà che qui non esistono affatto ma che, dentro, si fanno ampio spazio ovunque. Così si fondono gli accordi dei due, a preparare il terreno caldo a lei, alla sorella del fratello, che si esibisce con loro, qui, una volta ogni tanto: “... 7 giorni a Portofino...”: voce calda, diretta, pastosa, carica di ironica verve espressiva e di fascino, mentre il corpo morbido partecipa al ritmo che la avvolge tutta. Brava. Un grande, che chi legge dovrà intercettare, perché chi scrive già lo conosce, dice: “La realtà non è solo ciò che ci mantiene in vita o ci minaccia, ma è anche bellezza...” Perché Annibale è ancora quell'Africano regale che con gli altri ha reso stupenda Cartagine. E, proprio perché simbolo della Bellezza, Cartagine deve essere distrutta! Ilia Pedrina (Ogni riferimento ad ambienti, persone, eventi è puramente casuale.)

LA STRAGE di Domenico Defelice

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A città si stendeva di fronte alla collina come un anfiteatro. Al centro la grande piazza, con il Duomo e il campanile romanico, il Museo, il Municipio e gli altri palazzi del potere; in ambo i lati, strade e vicoli a ragnatela, case, giardini, il piccolo laghetto delle papere. Khalid s’era affachirato in un angolo della piazza nel mezzo della quale s’ergeva il monumento del cavaliere in arcione a briglia sciolta, corazza finemente istoriata, la spada puntata in avanti nell’atto di ferire, la mano sinistra aperta a bandiera, parallela all’elmo piumato. Aveva aperto un telo circolare, colorato a fiori d’issopo, sul quale aveva posto un piccolo bicchiere di plastica bianca per i passanti che vi gettavano, di tanto in tanto, qualche moneta. I colombi tubavano fra i capitelli del monumentale Museo, volavano da un cornicione


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all’altro dei palazzi e del Municipio, l’ Anagrafe, la caserma dei carabinieri, ma preferivano sostare a lungo e spidocchiarsi sulla spada del cavaliere e tra le gambe frementi del cavallo; puntuali, poi, a mezzogiorno, planavano leggeri sul telone di Khalid a becchettare le briciole ch’egli, a quell’ora, ogni giorno spargeva. Era, ormai, più di una settimana che Khalid sostava in quella piazza e che si era spostato sotto il piedistallo del cavaliere. “Qui non si può chiedere elemosina”, un giorno gli intimò il vigile; “Si alzi, prenda le sue cose e vada via”. Khalid raccolse telo e bicchiere, mise a tracolla il borsone di juta gialla e andò a collocarsi nell’angolo più nascosto della piazza, dove venne ignorato. Da lì, comunque, aveva una visione netta di tutte le entrate e le uscite dei palazzi, compreso il Senatorio, i gradini del quale saliva ogni mattina il Sindaco assieme al suo codazzo ed erano, poi, fino alle tredici, un via vai d’impiegati e portaborse. All’entrata e all’uscita del Museo, quasi ogni mezz’ora, s’alternavano le comitive di turisti accodati alle guide; sui sedili di pietra, all’ intorno, vecchi a sfogliare il giornale, casalinghe che sostavano a prender fiato, dopo avere appoggiato a fianco il carrello o la pesante borsa della spesa; nel mezzo, un eterno andare e venire, all’apparenza caotico, di persone sconosciute d’ogni età. Il posto scelto da Khalid era sempre in ombra, in un perfetto angolo retto fra due palazzi. Il sole vi girava alle spalle, mentre cuoceva da mattina a sera Senatorio e Museo. Dopo mezzogiorno, la folla di turisti e avventori si assottigliava e la piazza diveniva quasi metafisica. I colombi sembrava aumentassero di numero, invadendo l’intero selciato. “Godiamoci la giornata”, disse un vecchietto, accomodandosi sul sedile di pietra vicino al telo di Khalid e buttandogli un soldino nel bicchiere. “Godiamoci la relativa calma; fra due giorni questa piazza sarà un autentico caos, per l’arrivo delle autorità invitate ai festeggiamenti, la banda cittadina, le bancarel-

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le, il vorticare della gente. Tutti gli anni un bordello, ma, quest’anno, sarà un autentico inferno”. “Ogni anno festa grande?”, fece Khalid, spargendo altre molliche ai colombi che si azzuffavano per contendersele. “Molto di più quest’anno, tremillesimo della città. Dopo la cerimonia augurale di dopodomani - alla quale, stando ai giornali e ai manifesti commemorativi, interverranno politici, ambasciatori, il delegato del Vaticano, preti e monaci, invitati altolocati -, i festeggiamenti proseguiranno per l’intera settimana. “Un bell’evento, insomma”, rispose Khalid stiracchiandosi la nera barbetta. “Dopo la cerimonia all’interno del Senatorio, il Sindaco e gli ospiti più ragguardevoli si recheranno ai piedi del monumento al cavaliere per la foto di gruppo e tutt’intorno folla, da mancare il respiro”. “Ci sarà da divertirsi”. “La folla mi dà ai nervi”, disse il vecchio. “Ma è già ora di pranzo! To’, comprati anche tu qualcosa” e gli gettò un’alta moneta nel bicchiere mentre s’alzava per andar via. Verso le quindici, il selciato intorno letteralmente bruciava sotto i raggi del sole. I rari passanti andavano rasenti i muri o sotto i portici; c’era quasi silenzio, perché anche il sordo rumore delle macchine sulle vie circostanti s’era grandemente attenuato e tutto appariva surreale. Khalid si scostò dal telone e vi sparse sopra altre briciole. Vi accorsero quattro piccioni e mentre banchettavano, egli toccò un lembo e il telone si chiuse fulmineo, imprigionando gli animali. Con calma, flemmatico, raccolse il bicchiere con le monete, si mise a tracolla il borsone, afferrò il telo rinchiuso come una grossa pera e si allontanò dalla piazza. In cima alla collina, i muri del vecchio castello fiammeggiavano. Intorno, solo silenzio e sterpi e pietre con lucertole a scaldarsi. Khalid salì pian piano l’erto sentiero e si distese ansante sotto l’arco di un rudere, vicino a una piccola gabbia di legno. Vi sollevò il coperchio e vi rovesciò dentro i quattro co-


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lombi racchiusi nel telo. Trasse dal borsone un cartoccio di pane e formaggio e si mise a sbocconcellare; sollevò un fascio di frasche, tirò fuori un orcetto pieno d’acqua e si abbeverò. Emise un lungo rutto, si allungò all’ombra e chiuse gli occhi. Stava a prendere il fresco sotto una tettoia di canne della sua catapecchia, nella campagna di Qued-Zem, presso le falde dell’Alto Atlante, quando si presentò el-Abrid, venditore di recipienti di plastica e ventagli, in realtà mercante d’esseri umani, sopranominato il maiale, perché grasso, miscredente e bestemmiatore. Passava di lì quasi ogni settimana, col suo carico d’oggetti legati fra loro con lo spago e, dopo i saluti, entrambi finivano sempre col chiacchierare della miseria che regnava sovrana in quel territorio del Marocco. “Vuoi espatriare?”, gli propose quel giorno el-Abrid. “E come? Se dovessi morire, non avrei neppure una moneta perché mi venga posta sugli occhi!” “Ai soldi per raggiungere l’Italia ci penserò io. Ma tu sei disposto a rischiare la vita?” “E cosa dovrei fare?” “Si tratta di un attentato. Non ci interessa se tu viva o muoia, purché l’attentato avvenga e ci sia una strage”. “Soldi per poi morire! A che serve? Bisognerebbe essere folli”. “Soldi per te e per la tua famiglia. Ripeto: non è necessario che tu muoia; sufficiente è che tu faccia un bel attentato.” “Non ho famiglia, io. La donna che sta dentro la capanna non l’amo e non la odio; mi è indifferente, insomma; mi serve soltanto per scaricare le mie cannonate di ormoni, ogni volte che ne ho il bisogno”. “Meglio così; avrai meno pensieri e potrai goderti il gruzzolo all’estero, o anche qui, se resterai vivo e vorrai rientrare”. Khalid si scosse. Aprì gli occhi, si alzò, si stiracchiò ed entrò nel rudere, dove aveva un vecchio materasso raccattato vicino a un cas-

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sonetto, un borsone giallo contenente plastico ad alto potenziale ed altri oggetti. Si mise all’opera. Modellò con destrezza quattro piccole selle per colombi con strisce di esplosivo collegate fra loro: due lunghe orizzontali e due verticali come sottopancia, accavallate alle orizzontali. Nel centro di ciascuna sella collocò un piccolissimo detonatore a distanza. Fu un lavoro lungo e delicato, fatto con estrema calma, durante i due giorni prima della festa. Non si mosse mai dal suo nascondiglio e lasciò quasi del tutto digiuni e assetati i colombi. Intorno al colle, la città si era svegliata nel suo solito delirio di vetrine scintillanti; il rumore sordo del traffico; l’andare e venire della gente; il vociare indistinto; i piccioni a svolazzare qua e là in cerca di cibo. La piazza si andava affollando come non mai. Vi avevano innalzato un piccolo palco tra le entrate del Museo e dell’Anagrafe - sul quale avrebbe suonato la banda - e delimitato con transenne un ampio corridoio tra la scalinata del Senatorio e il monumento al cavaliere. Khalid trasse, da sotto l’arco, la gabbia e la collocò all’aperto sopra una roccia; vi mise dentro un barattolino con dell’acqua e vi sparse un’abbondante manciata di briciole di pane. Mentre i piccioni, pazzi, ormai, dalla fame e dalla sete, si rifocillavano, vi collocò su ognuno di loro le piccole selle di plastico, serrandole con due striscioline all’attacco della coda e altre due intorno al collo, ma lasciando che ali e coda potessero aprirsi agevolmente. Era abile Khalid, aveva dimestichezza con gli animali e sapeva come muovere le mani senza spaventarli. Poi si sedette sopra il sasso con accanto la gabbia a gustarsi dall’alto la festa. Vide arrivare le personalità nelle macchine d’ ordinanza, accolte dal Sindaco sul tappeto rosso, mentre lungo le transenne e nella piazza gremita la gente gridava, salutava, sventolava bandierine multicolori. Man mano che il Sindaco li riceveva - strette di mano, abbracci, saluti quasi militari a


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seconda ruoli e personalità - gli ospiti salivano le scale e sparivano all’interno del Senatorio. Infine, anche il Sindaco salì i dieci gradini ed entrò nel palazzo. La folla s’era zittita e si godeva le belle e giovani ballerine esibirsi sopra e sotto il palco, gli attori che recitavano sketch, giocolieri e prestigiatori. A mezzogiorno in punto, ballerine e attori scomparvero e sul palco salì la banda per suonare inni e marcette. Sindaco e personalità uscirono dal grande portone del Palazzo e si avviarono sul tappeto rosso verso il monumento al cavaliere per la foto di rito. Khalid s’era acceso un sigarino e fumava lentamente. Sulla scalinata del Senatorio due vigili in alta uniforme stavano sull’attenti; carabinieri e poliziotti, anch’essi in elegante uniforme, erano schierati accanto alle transenne e intorno al monumento. Lungo il perimetro della piazza, il rumore sordo del solito traffico. Il gruppo delle personalità s’era finalmente schierato, il Sindaco in mezzo e, di fronte, la selva di fotografi a sparare senza ritegno i loro infernali flash. Khalid aprì la gabbia e fece uscire i quattro colombi. “Andate, il cavaliere vi aspetta!”. I suoi occhi sembravano pozzi neri in fondo ai quali brillava una piccola luce sinistra. Aspirò con forza il sigaro e lo gettò tra le sterpaglie infuocate dal sole che s’infiammarono come polveri. Dopo qualche istante, quasi tutta la collina bruciava. I piccioni, prima indecisi e disorientati dalla lunga prigionia, uno dietro l’altro si diressero verso la piazza. Khalid, mentre si allontanava veloce dall’incendio che aveva già avvolto la gabbia, lo zaino, il materasso in un vortice di fumo e di scintille, li vide posarsi uno sulla spada del cavaliere e gli altri tre tra le gambe del cavallo. Sindaco e personalità stavano ancora quasi sull’attenti ad ascoltare la banda suonare, mentre i fotografi continuavano a scattare all’impazzata. Poi la banda si tacque ed esplosero evviva e battimani. Fu allora che Khalid azionò il comando

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premendo un tasto del suo cellulare e i quattro colombi esplosero; la statua del cavaliere crollò sugli astanti e tra le autorità fu un’autentica strage, alla quale si aggiunsero diecine di uomini donne e bambini calpestati e maciullati dal fuggifuggi generale. Domenico Defelice

RACCOLGO GLI ATTIMI Raccolgo gli attimi che contano. Armonie in cui vivrò ricordando esaltazioni di lirici accordi. Sfumature per nascondere l’emozione di un germoglio al sole d’aprile. Per non cedere al malinconico giorno cerco la fonte che saluta il mio occhio abituato al risveglio. E vado credendo, senza sperare. Laura Pierdicchi Da “Neumi”

IN UNA NOTTE In una notte ho letto più di mille libri ho contato diecimila stelle ho ascoltato ventimila voci ho incontrato tristezze d’anime e quattromila comete mi hanno attraversato gli occhi. Da spazi senza vento e senza pioggia scenderà la tua carezza. Scriverai nel mio ricordo le parole che volevi e non potevi dirmi. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, Bastogi, 2019.


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I POETI E LA NATURA - 94 di Luigi De Rosa

D. Defelice - Metamorfosi, 2017

La Natura nell'ultimo Defelice (“Le parole a comprendere”)

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omenico Defelice tiene fede alla sua fama di poeta prolifico e profondo, ma soprattutto di poeta dalla doppia scala di ispirazioni e di valori: quella della lirica intimistica e quella della poesia c.d. sociale (satira, sarcasmo, attacco socio-politico e morale, ironia tagliente e malinconica). Nella sua pluriennale produzione letteraria si è avvalso, con sincerità e spessore tecnicoespresssivo, di queste due doti in libri dedicati prevalentemente all'una o all'altra. Comunque nessuna delle due è mai mancata del tutto rispetto a quella prevalente. Ne è un esempio luminoso il suo ultimo libro, “Le parole a

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comprendere”, che ha visto la luce in questo 2019 per i tipi della Genesi Editrice di Torino, con la sàpida prefazione dello stesso editore Sandro Gros Pietro e l'affettuosa postfazione di quell'ottima penna che è Emerico Giachery. Lo stesso poeta definisce la propria penna, a seconda dei casi, un affilato stiletto oppure una piuma leggerissima. Anche se la maggioranza dei componimenti è di natura socio-filosofica, diretta e tagliente, ci sono almeno sedici poesie che palesano la forza e la delicatezza dell'amore di Defelice per la Natura, per la dolcezza dei sentimenti (a cominciare dalla madre e dal padre) e per la bellezza della vegetazione e dei fenomeni naturali della sua sempre amata Calabria (specialmente della sua Anoia, dove è nato qualche anno fa...). Terra talmente amata da vendere quella ricevuta dall'amato padre per ricomprarsela, ricreata nei pressi del suo esilio (cioè a Roma). Naturalmente, tale e quale: “ Un cancello verdastro la rinserra, una siepe d'edera, un'acacia, un alloro, un castagno sterile, il sambuco e pitosfori avviluppati dalla passiflora


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con le sue girandole celesti e le gialle lanterne, neppure dovessero far luce ai barbagianni. Un arancio e un limone rinsecchiti dal gelo. Quanto da te diversa. Eppure ricordo l'allegrezza di mio padre il giorno ch'è venuto a visitarti.” Un esempio della maestrìa del poeta Defelice nell'individuare l'anima originale di un paesaggio ci è dato dalla classica La luna: “A lungo ha sostato dietro il monte per farsi bella specchiata nel ruscello. Poi si affacciò alla valle all'improvviso e mise in fuga ombre e fantasmi.

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sopra una fetta di sole nel viola delle pervinche. Il vento scuote la tenda vela per viaggi senza scali. Veliero fiorito il mio balcone. Con gli occhi chiusi all'orizzonte posso fingermi spiagge dorate e palme e il cielo che bacia il mare. Veliero fiorito il mio balcone. Appena gli occhi riapro la gente per la strada impreca nell'affanno del giorno e l'eterno, sordo, infernale tramestìo delle macchine.” Luigi De Rosa ___________________________________

Era argento la strada e come rideva il casolare!” In un pomeriggio di aprile il poeta si distende in un mare di vecce e rosolacci, stordito dal profumo, ad ascoltare, incantato, la voce del vento che suona una fuga di Bach tra i rami fioriti del ciliegio. Defelice è poeta capace di accarezzare con affetto i cedri e l'agrifoglio di un amico cresciuti nel proprio orto. Defelice è poeta che, sentendo la vecchiaia arrivare, si identifica con le foglie del pioppo che il freddo aspettano/ e il sonno dell'inverno. Defelice sa di essere poeta e di avere la dignità del vero poeta. Non cura ossessivamente i beni materiali e passeggeri (Non ho la villa con la piscina!), ma utilizza al massimo la propria fantasia, al punto da trasformare il proprio balcone in un veliero fiorito (i fiori comunque non devono mai mancare...). Mi piace richiamare qui la sua poesia “Veliero fiorito”, proprio in questa estate canicolare, dove a molti manca il necessario per vivere dignitosamente mentre molti altri si struggono per non avere tutto e di più... “Veliero fiorito il mio balcone. Chiudo gli occhi e mi stendo

OBLIO E pur tra la folla io mi sento sola. Cerco di frugare nei ricordi della mente ed anche lì è solitudine. Vanno e vengono sprazzi d'immagini, immagini di vita.. E' sola una vita caduta nell'oblio della mente. Manuela Mazzola Pomezia (RM) L’AFORISMA Questa è l’Italia; una nazione che delle quattro operazioni conosce una sola: la divisione. Ed è così brava in quest’opera ispirata da interessi di parte, odi e rancori, che non ha rivali nelle intese di distruzione. * Salvini avrebbe voluto difendere l’Italia dalla grande invasione, ma è stato insultato e minacciato col bastone. Dinanzi a tanta foga e sacro fuoco, il leader della Lega paventa per sé il rogo. Antonio Crecchia


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NON RIESCO ANCORA A CAPIRE Sono triste e felice per natura, contemporaneamente. Non riesco ad essere soltanto o l'uno o l'altro. Non riesco ancora a capire il perché di questa tragicommedia universale che si articola in tante diverse trame per poi sfociare, sempre e comunque, nello stesso finale. Luigi De Rosa (Rapallo)

CON LE PAROLE MORTE

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sfuma il suo autunno tra le tue ciglia socchiuse Noi restiamo calmi tra alberi d’appoggio in un silenzio umano dove solo la brezza parla tra foglie cadenti così mutevolmenti rosse e dorate. E noi protendiamo mani per accogliere ciò che fu il tesoro del nostro respiro di questo bosco che si addormenta tra stralci di cielo anch’esso dorato Wilma Minotti Cerini Pallanza< - Verbania (VB)

Con le parole morte e le parole vive piangono i poeti.

IN QUESTO MOMENTO… Gianni Rescigno

Da Il vecchio e le nuvole - Bastogi, 2019.

ESILIO Quante volte me ne vado per un vicolo che di te rifiorisca. E tu t’aggiri invisibile. Il mio esilio è pena d’essere altrove restando, morire in lenta agonia. È brivido di rosa del mattino, ansia di stringere in un pugno la luce, volare con un’ala. La tua lontananza è il mio esilio. Rocco Cambareri Da Versi scelti, Guido Miano Editore, 1993.

AUTUNNO Questo giorno così chiaro così sereno

In questo momento percorro la lunga strada della vita, con un sole accecante, da sola. All'orizzonte non c'è nessuno, vedo solo catrame su catrame, che si scioglie e che fuma. Tutto intorno a me è evanescente. Manuela Mazzola Pomezia (RM)

Tutto ciò che esiste è apparenza – un insieme di forme e di elementi percepiti da ciò che chiamiamo corpo. Siamo creature costituite da una sostanza concreta ma nello studiare la struttura tutto scompare. Al telescopio il nostro corpo diviene un cosmo sconosciuto. Laura Pierdicchi Mestre, Venezia


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Recensioni ALDO MARZI LA MIA ROMA FUTURISTA Aletti Editore di Roma, 2012, € 12,00, pagg. 49. Un saggio pensato al pari di un racconto futur/surrealista – termine coniato dall’autore Aldo Marzi per l’occasione – dove il suo animo di professore-fanciullo ha trasfigurato il presente impersonale, farcendolo di mille ‘finestre’ che guardano soprattutto al passato artistico teatrale, pittorico, del cinema, della letteratura, concernente la sua città nativa, Roma, alle prese con l’avanzata aurea della modernità futurista. Aldo Marzi dimostra il suo ecclettismo letterario ogni volta in maniera differente e l’incipit che adotta spesso è scherzoso, libero, innovatore, legato perlopiù ai suoi sogni ad occhi aperti. In questo suo saggio, stavolta, l’avvio lo dà il ragazzinoprotagonista del racconto Il piccolo principe, pubblicato nel 1943 a Parigi, dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry – autore vissuto appena quarantaquattro anni nella prima metà del Novecento espletando il servizio militare nell’ aeronautica – che svolge l’incredibile ruolo di giovane guida d’un immaginario velivolo sulla Roma di ieri, quando c’erano « […] alberi, piante d’alloro, scrosci di fontanelle, delfini, aquile “imperiali” e pigne di pietra giganti. Lì ancora gioco a nascondino con alcuni miei compagni di scuola elementare o da ragazzo seduto sulla staccionata la sera consumo di baci le labbra della mia futura moglie… mentre le luci dei lampioni sono lontane e gialle tra i rami e le siepi. E non sento più il rumore del traffico » (A pag. 13).

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Quello che stupisce dello stile letterario di Aldo Marzi è che lui riesce benissimo a descrivere fenomeni artistici del secolo scorso inframmezzandoli con visioni vere o presunte nate nel proprio intimo, perché i ricordi scolastici, familiari, dei film amati, degli attori da lui prediletti, le trame fantastiche dei libri regalatigli dalla maestra o dai genitori al tempo in cui era in età scolare, entrano nel vortice del suo scrivere ‘a pioggia’ per delle trattazioni uniche, potremmo dire, che inglobano il mondo intero! Qui c’è una Roma futurista fatta di spaccati d’epoca in cui riemergono figure d’artisti importanti che hanno contribuito all’evoluzione del teatro e del cinema al tempo fra le due drammatiche guerre mondiali, quando la gente aveva comprensivamente bisogno di ridere, di distrarsi dalle brutture quotidiane. « […] La comicità è un antidoto al dolore e la risata allontana le nostre ombre, che lo scirocco solleva come onde, che nessuno vede. So che l’idea del “controdolore” è di Palazzeschi e che per i Futuristi il riso è più profondo del pianto (tipica loro provocazione contro l’Ottocento lacrimevole). » (A pag. 21). Nella capitale giunse anche il partenopeo Antonio Clemente, in arte Totò, quando alle prime armi si esibì dapprima alla Sala Umberto, poi al Valle dove si trovò ad impersonare un ‘rielaborato’ Hitler proprio durante l’occupazione tedesca del 1943-44, parodia che gli fece temere l’arresto e persino la condanna a morte. Ma in quel momento di folate contrarie avanguardiste, Roma rappresentava il trampolino di lancio delle nuove tendenze artistiche al passo coi tempi velocizzati dall’automobile, dall’aereo, coi transatlantici e i poeti come Gabriele D’ Annunzio elogiarono in versi il magnetismo di questa forza trasformatrice detta Futurista. « […] “ Roma è una città che concilia gli opposti, pagana e papale. Roma non moderna e modernissima, antica e non morta…” e da questa Roma, dalla sua tradizione satirica di Pasquino, di Gaetanaccio, dalla Commedia dell’Arte e dal Varietà è venuta alla luce la figura di E. Petrolini, antico e moderno ad un tempo, molto applaudito da Marinetti e dai suoi amici. Su questo sto riflettendo da tempo. Roma fu centro di vita teatrale (e letteraria) e capitale del cinema (Cines e poi Cinecittà) dove si sono formate molte compagnie teatrali e dove molti importanti autori devono la loro fortuna a certe “prime” romane (compreso Pirandello). » (A pag. 17). Il palpito della descrizione letteraria del Marzi è realmente percettibile da noi lettori, che entriamo senza rendercene conto in questo meraviglioso vortice di nomi d’attori più o meno famosi; c’è stato a recitare a Roma, vi era nato, anche il bravissimo Leopòldo Fregoli, morì a Viareggio nel 1936, il


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quale ideò l’arte del trasformismo istantaneo gli bastava una manciata di secondi per essere un’altra persona, anche cambiare di sesso col trucco la parrucca la gonna lunga, per ripresentarsi al pubblico sorprendendolo come se sulla scena ci fosse stato uno squadrone di personaggi diversi. Ricordiamo che la sua storia esistenziale e artistica è stata portata magistralmente sullo schermo dal grande mattatore Gigi Proietti, anch’egli menzionato nel saggio in questione. « […] Con l’avvento del cinema infine nasce pure l’avanspettacolo dove comici, ballerine, canzonettiste offrono i loro numeri (di circa 45 minuti) prima della proiezione del film. Mentre ricordo la genesi del Varietà, Proietti vestito da Nerone arriva in scena in bicicletta e poi si esibisce con grande bravura e anche una certa somiglianza fisica facciale (a proposito di nasi…) e pure vocale e gestuale, dando i fiammiferi a Petronio per incendiare Roma. E rivolgendosi alla plebe promette che Roma “risorgerà più bella e più superba che pria!” Gli batto le mani come a teatro e a teatro mi sembra di stare veramente. » (A pag. 22). Isabella Michela Affinito

AA. VV. ALMA POESIA VERSO LA LUCE - QUATTRO POETI ITALIANI (The Writer Editore, Marano (CS), € 14,00) Alma poesia verso la luce è il titolo di una raccolta di versi alla quale hanno collaborato con dieci testi ciascuno, Pasquale Balestriere, Carla Baroni, Nazario Pardini e Umberto Vicaretti (poeti legati fra loro da reciproca stima e da una salda amicizia), al fine di offrire un esempio della loro concezione dell’arte dello scrivere in versi. E bisogna subito dire che le poesie qui raccolte perfettamente si armonizzano, per la comune esigenza di limpidità espressiva e di rigore formale che da sempre caratterizza questi autori. Il primo a venirci incontro, seguendo un ordine strettamente alfabetico, è Pasquale Balestriere, poeta di formazione classica, anche se di sensibilità schiettamente moderna, come appare da testi quali Tramonto a Paestum, Labuntur anni, Era l’età del “Sapias, vina…”, Memorie di Ulisse. E veramente il suo verso ha un andamento schietto e disinvolto che appare l’espressione di un’antica arte del dire: “Il nichelino che ancora ci resta / da spendere è moneta ormai da niente / che a valutare sonante t’ostini” (Labuntur anni); “Era l’età / del sapias, vina liques, carpe diem, / dell’umanistica ebbrezza. Sapore / avevano le donne d’albicocca, / un fuoco divorava a riga a riga / le parole sul foglio della vi-

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ta…” (Era l’età del sapias, vina…); “Ogni viaggio è compiuto. Sei venuto / a capo d’ogni rotta, i tanti sfagli / di cuore dominati dai ricordi. / Le stelle non ammiccano, silenti” (Memorie di Ulisse). È necessario però tener presente che Balestriere sa affrontare anche temi di bruciante attualità, come avviene in È morto ieri…, una delle poesie più compiute della raccolta: “È morto ieri il barbone tra due / fioriere, stanza da letto di Piazza Marina. / È morto il gigante barbone / nel suo cappotto-bara tra gelati / soffi”; e sa affrontare anche tematiche senza tempo, come avviene in Se a me in forma di soffio: “Se a me in forma di soffio vi svelate / e mi toccate con le vostre dita / di vento, benvenuti entrambi, padre / e madre, a questo vostro figlio giunti / dall’altrove…”. Più introverse e di carattere maggiormente meditativo appaiono le poesie della Baroni, la quale ci offre una visione disincantata della vita, permeata da un diffuso pessimismo. È quanto emerge da testi quali Uomini: “Fragili andiamo dentro il buio spazio / alla ricerca di qual luce un giorno / abbia per prima illuminato il cosmo…”; La terra trema: “S’affronta il dio terrore, l’ansia appesa / alla lampada che a tratti vacilla”; Lascia i terreni affanni: “Nell’Oltretomba non c’è tempo alcuno / non c’è il variare di stagioni arrese / al giro della terra o della luna”; La ballata della strega: “M’hanno appeso un rondone crocifisso / allo stipite nero della porta”; Ritornerai: “Ah, la speranza erba maledetta / che s’annida perfino nelle crepe”; ecc. Da questa visione negativa dell’esistenza, la Baroni trova però un riscatto nei valori di un’arte raffinata del dire, che a volte fa uso persino dell’ autoironia, come avviene in La pozione, dove il filtro d’amore che ella prepara, invece di legare a sé l’ amato, sortisce l’effetto indesiderato di farla assumere come cuoca in un ristorante alla moda. Un poeta innamorato della natura e della vita, nonostante le delusioni e le amarezze che essa sa dare, è invece Nazario Pardini, qui presente con poesie quali Le vendemmie di Delia, dove si legge: “Quante volte le mani sfioravamo/nel recidere il tralcio/e un bacio di nascosto ed un abbraccio/tra le foglie amarognole di viti/e poi fuggivi”; Era settembre: “Era settembre quando dai balconi/brillavano i gerani alla tua festa/ed i roseti”; Il profumo della giovinezza: “Un ricordo qualsiasi e quel giorno/pieno di luce che torna reale/a illuminare l’ anima”. E l’amore per la natura e per la vita fa sì che Pardini ami anche le vestigia del nostro glorioso passato e le canti, come avviene nella poesia intitolata Cilento, che così si conclude: “Restano i templi su colonne ardite / a sfidare i tramonti e la calura / sopra i miti, leggende, sopra gente, / sopra preghiere


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spente per le piane”. Né vanno dimenticate in questo contesto poesie quali L’erbale silenzio, per i luoghi che evoca e per i sentimenti che suscita: “L’erbale silenzio di vie che serpeggiano / oblique tra i campi spinciona dall’anima / immagini antiche / … / Gazzarre di passeri / e svoli di rondini”. Il quarto dei poeti qui antologizzati è Umberto Vicaretti, del quale subito si nota il forte sentimento evocativo, emergente da poesie quali Stabat Mater, dedicata ad Aisha, ragazza lapidata a Chisimaio all’età di soli 13 anni: “Ragazza mia che più non hai memoria / del fiume attraversato a piedi nudi, / chiare le pietre amiche e levigate / a carezzare il passo tuo gentile…”, o da poesie quali Via delle cento stelle, ispirata dal terremoto de l’Aquila del 6 aprile 2009: “O mia città caduta, / tra le tue strade mute e aggrovigliate / indenne un filo cerco di memorie / che mi conduca, il tuo respiro in petto, / a risalire in Via delle Tre Spighe, / Via Fontenuova, via dell’Acquasanta / … / Anch’io con te, lenite le ferite, / risalirò Via delle Cento Stelle, / le faglia ancora aperta dentro al cuore”. Poeta che ha vivo il sentimento dell’antico dolore dell’uomo, Vicaretti lo esprime in versi di commosso abbandono, nei quali rivive la storia del nostro passaggio sul mondo: “Cercammo il vento, ma da quella terra / più non abbiamo dissipato il cuore” (Canzone di Orfeo); “Nessuno qui più abita le stanze / la vecchia casa sanguina di assenze…” (Scrivimi che stai bene); “Solo le croci, tutte le ho portate” (Dicotomia del fuoco). L’impressione pertanto che scaturisce dalla lettura di queste pagine è quella di aver incontrato un libro ricco di felici esiti, scritto da autori che sono mossi da una reale vocazione d’arte, che consente loro di muoversi con sicurezza nel regno impervio e salvifico della poesia. Elio Andriuoli

PIERLUIGI FIORELLA POESIE PER L’ANIMA Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto, Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editori, Firenze 2018, Pagg. 62, € 10,00 Pierluigi Fiorella è pugliese nativo di Barletta; vive in Toscana; scrive per passione e per un bisogno interiore, e il titolo della silloge è in linea con la professione di tecnico radiologo, poiché sonda in profondità e in trasparenza, Poesie per l’anima. La raccolta è prefazionata da Marcello Falletti di Villafalletto, il quale evidenzia nel Nostro una “profonda angoscia esistenziale” segno di autoanalisi e frutto

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di un “pessimismo ancestrale” che lascia spazio alla meditazione. Difatti è un susseguirsi di riflessioni, di considerazioni; l’Autore segna precetti di comportamenti e aforismi. Si percepisce fin dai primi versi un senso profondo di ripiegamento del Poeta su se stesso. Così a tu per tu, riferendosi alla ‘solitudine’, osserva come tale circostanza venga allontanata dagli uomini come se si trattasse di “orribil fiera”; mentre, al contrario, per lui è “benedetta, fonte di eterna/ gioia, l’isola della pace dove riporre/ affanni, ove il mio Spirito vola, libero/ dagli inganni.” E con lo stesso atteggiamento si rivolge alla ‘verità’ dichiarando di trovarsi come stretto in una morsa, tra ‘il bene e il male’, tra “la Luce e le Tenebre”. Nel radiografare l’intimo (uso il termine giusto per calcare la sua professione) descrive la ‘passione’ come la falena che gira intorno alla “fiamma” fino a bruciarsi; disprezziamo il ‘peccato’, ma siamo pronti ad accettarne “il fatal abbraccio”; solo il ‘pentimento’ ci restituisce l’anima pura. Così rivolto alla ‘morte’, commenta: “Qual dolore, profondo sgomento/ prova chi si sofferma a pensarti,/ prigioniero di quel sentimento/ di cui l’uomo non può liberarsi,” (pag. 14). Interloquisce con il ‘tempo’, “artefice mutevole”; con la ‘felicità’, la ‘libertà’, la ‘speranza’, ecc. L’animo del Poeta sì espande sondando l’amore umano. Egli vorrebbe distaccarsi dal “chiasso del mondo”, ha la consapevolezza della propria ‘inquietudine’. Si ascolta, ammette di essere prigioniero di se stesso e che siamo padroni solo della nostra Volontà. Non si è fatto domande e in tutti i casi il senso dei suoi pensieri è racchiuso nelle considerazioni. Osserva quanto le stagioni metaforiche dell’anima influiscano nei nostri comportamenti, così “la Primavera nel cuore è la più lenta ad arrivare”, ma è l’Autunno del cuore quello che ci rende cupi. Profondamente religioso, deve avere il culto della famiglia e il culto della vita, così si propone di consegnare al proprio figlio l’insegnamento di onorare Dio nostro creatore. In Poesie per l’anima, la versificazione è libera e prosastica (e questa è una nota dei nostri tempi), riguarda percezioni sugli stati d’animo come abbiamo detto. Qualche rima si trova qua e là e troviamo particolarmente poetici versi ne “L’eco del mare”: “La mente si portava, librandosi senza/ peso, per lidi senza tempo, inviolati e/ remoti, perduta nel silenzio di mondi/ sconosciuti.” (36) con ciò anelando a un mondo migliore e mettendo a nudo le aspirazioni interiori. Approssimativamente, mi pare che in una prima sezione del volumetto prevalgano precetti, in quella successiva si instaurino una sorta di dialoghi, infine nella terza e ultima fase abbiamo la


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radiografia dell’Autore che sembra sciogliersi scoprendo il suo fanciullo. Pierluigi Fiorella offre in tal modo tracce del proprio passato e del tempo trascorso: “Una lacrima solca le mie gote,/ […]/ Piango ora il tempo dell’età perduta,/ già da molto passata nel ricordo, / […]/ Ora non resta che un mesto rimpianto/ […]/ di quel tempo che vorrei ritornasse.” (56). Man mano si rivolge a se stesso e personifica i suoi Fantasmi, la sua Sensibilità. Dice di alimentarsi “di pace e di poesia” e il suo “Io” si fa più pressante; adesso comincia a svelarsi di più, continuamente e intimamente. Infine ci consegna un suo manifesto che mi sembra essere la sintesi del suo pensiero, un testamento spirituale; consiglia perciò di “Non avere paura di pensare,/ di dire il tuo nome, di farti del bene/ per dispensare amore./ Non temere di farti giudicare,/ di piangere o di gioire,/ di riuscire a perdonare,/ di esultare o di non capire./ […]/ Apri le braccia al cielo,/ per poterti elevare,/ dialoga con Dio/ e la Verità ti verrà a cercare.” (41). In questo modo vince le antiche paure, le angosce di una vita; e segna un nuovo orizzonte di speranza. Tito Cauchi

MARIA TERESA SANTALUCIA SCIBONA GIOBBE Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto, Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editori, Firenze 2019, Pagg. 68, € 10,00 Maria Teresa Santalucia Scibona, donna di profonda cultura, ha ricoperto incarichi di responsabilità in varie istituzioni letterarie (Federazione, Movimento). Per scelta vocazionale o per professione di fede riscrive il libro dell’Antico Testamento, Giobbe, che ha in copertina opera dello scultore M° Andrea Roggi. Corre l’obbligo di aggiungere che, mentre si licenziava il libro, la Nostra è venuta a mancare nella sua città di Siena, il 27 marzo 2018. Marcello Falletti di Villafalletto, fondatore e presidente dell’Accademia Collegio de’ Nobili, di Firenze, nella prefazione afferma che dopo secoli e trascrizioni successive dei testi, alla luce degli studi filologici e richiamando la CEI (Conferenza Episcopale Italiana), si sono rivisti i testi sacri anche per renderli più comprensibili ai contemporanei. Passa ad illustrare la struttura e il contenuto del Libro di Giobbe, uno dei libri sapienziali, avvertendo che il personaggio si ritiene essere mitologico e che l’opera sia stata redatta nel VI sec. a. C. “dopo la lunga schiavitù babilonese” da un “ebreo innegabilmente religioso ma anche profondamente istruito”.

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Senza che il sottoscritto scenda nei particolari, avverte che non c’è da stupirsi delle variazioni grafiche se si pensi che i testi antichi non ci sono pervenuti integri, vuoi per sviste degli amanuensi, vuoi per successive traduzioni, per scelte stilistiche, errori di interpretazione, ecc. Bisogna ammettere che l’antico Libro fu redatto con lo scopo di istruire, educare. È noto quanto il nome di Giobbe, si sia tramandato come esempio di pazienza. Ammirevole opera da parte della Nostra, se non altro perché si misura con una materia sacra che mette a dura prova tanto chi la scrive, quanto chi ne riferisce; ed il confronto è rischioso. Tracciamo le linee essenziali della narrazione. L’opera di Maria Teresa Santalucia Scibona apre così: “Giobbe colmo di preclare virtù/ era il più grande dei figli d’Oriente”, è uno sceicco molto facoltoso e padre di sette maschi e tre femmine. Uomo timorato offriva a Dio sacrifici di primizie. L’angelo ribelle, Satana, per avversione a Dio, si vendica su Giobbe, mandandogli la sfortuna, facendogli man mano perdere tutti i suoi averi e perfino i figli. Egli, nonostante tutto, continua a benedire il nome del Signore, e non si abbatte, sebbene la moglie gli instilli il dubbio sulla sua fede. I suoi tre amici Elifaz, Zafar e Baldad lo trovano trasandato e molto avvilito, intervengono per consolarlo, pur insinuandogli qualche dubbio. Giobbe comincia a lamentarsi: “Soppressa sia l’ora, che al mondo venni/ con la perfida notte in cui si disse: ‘è nato un germoglio nuovo, virile’/ […]// Calma non ho, è svanita la pace/ non riposo se il tormento mi assale.” (pagg. 22-23). Teme che il Signore lo abbia fatto “bersaglio”, perciò rivolto a Dio dice che preferirebbe morire anziché “venire straziato dai dolori” (pag. 31). Per una disamina più esauriente sarebbe utile fare una comparazione dei testi; ci limitiamo ad alcune considerazioni. Occorre avvertire che l’Autrice, sul calco dell’esemplare antico, ha riprodotto un equivalente di circa la metà dell’originale. A solo scopo esemplificativo faccio tre raffronti di versi fra l’originale licenziato dalla Utet nel 1964 e la Nostra. Giobbe nel lamentarsi riferisce che quando nacque dissero di lui: “È concepito un maschio!” (Utet. 3,3); mentre la Nostra scrive: “è nato un germoglio nuovo, virile.” (pag. 22). Giobbe nel suo tormento si chiede: “La mia forza è forse la forza di una roccia?/ La mia carne è forse di bronzo?” (Utet. 6,12) e la Nostra scrive: “Sono forse saldo quanto la roccia?/ La carne sarà dura come bronzo?” (pag. 29). E quando Giobbe proclama la sua innocenza commenta: “Perfino per l’albero c’è una speranza;/ se è tagliato, rigermoglia,/ i suoi polloni non vengono meno./ […]/ L’uomo, invece, muore ed è


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finito;” (Utet. 14,7 e 14,10); mentre l’Autrice adatta: “Il vecchio tronco nel suolo perisce/ se l’acqua l’accarezza, rinverdisce./ Il mortale che giace lì finisce,/ non si ridesta dall’ultimo sonno.” (pag. 45). Il testo biblico mi sembra monotono e prolisso (frutto dei tempi). Ad ogni modo Giobbe, grazie a pazienza e fede, è stato ricompensato da Dio, vivendo a lungo, ridiventando padre di altri dieci figli e raddoppiando tutti i suoi averi. Per i pregi letterari non saprei dire, ma la morale c’è. Tito Cauchi

ISABELLA MICHELA AFFINITO AUTORI CONTEMPORANEI NELLA CRITICA Percorsi di Critica Moderna, III vol., Casa Editrice Menna, Avellino 2019, Pagg. 256, € 20,00 Questo terzo volume di Isabella Michela Affinto, Autori Contemporanei nella Critica, come i due precedenti, nasce da “l’aver amato i libri degli altri a tal punto da voler perpetuare nel tempo i loro contenuti, sia di poesia, sia di saggistica, sia esso narrativa o di altro genere.” Così afferma, fra le altre interessanti annotazioni, nella bella prefazione l’Autrice, che è poetessa e amante dell’Arte in tutte le sue espressioni, descrivendo Percorsi di Critica Moderna, come recita il sottotitolo. Nelle sue disamine ci mette tutta se stessa, riuscendo ad entrare in empatia con gli autori, perché partecipa con vera passione, oltre che con competenza, “per una gara di persistenza nella memoria attuale e futura. I libri, infatti, di qualsiasi genere scritti da differenti autori rinascono a nuova vita; una seconda vita donatagli da chi li ha letti non per svago, ma per decifrarne il significato recondito.” Mi corre il dovere di associarmi all’esergo dedicato alla memoria di Amerigo Iannacone (luglio 2017), scrittore e direttore della rivista in lingua e in esperanto, Il Foglio Volante, che adesso non viene più stampata. Non è mia abitudine elogiare gli autori recensiti dal sottoscritto, ma devo riconoscere che io non avrei saputo dire di meglio; peccato che capita che vi siano autori insensibili a percepire questa sorta di “seconda vita” e a volte, mi duole ammetterlo, si dimostrano pure ingrati. E di una seconda e terza vita godono persone e personaggi trattati dagli stessi autori recensiti. Qui sono esaminati in totale settantasette libri, quasi tutti degli ultimi due decenni, in ordine sparso (probabilmente seguendo l’ordine della pubblicazione delle rispettive recensioni), con le relative copertine riprodotte; autori connazionali, alcuni dei quali più volte recensiti (come il sottoscritto); la presenza degli uomini risulta essere il

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doppio rispetto a quella delle donne. È bello leggere il volume e, come dice la Nostra, è come fare un viaggio, e in più, aggiungo, in compagnia di ottimi amici e di nuove conoscenze; così che, per il piacere delle conversazioni, prima di giungere a destinazione, rinverdiamo queste seconde vite (mi si passi lo svolazzo metaforico). Isabella Michela Affinito non si limita a riferire sul contenuto dei libri letti, ma vi aggiunge quel quid che rende interessante le letture per il modo di porgersi, di presentare l’autore singolo, di fare richiami tali da intessere una rete di relazioni: insomma di fare cultura. Persone come la Nostra riescono a fare, con la critica, opere d’arte non inferiori alle opere esaminate. Non sottostà ad alcuno schema e offre tutti gli elementi distintivi che connotano gli autori per appartenenza geografica e per poetica. Per ciascun libro è capace di trovare antecedenti culturali che ne amplificano la portata e di proiettarlo in un percorso possibile. Le sue recensioni sono riconoscibili anche senza firma, perché il suo stile è come un marchio di fabbrica. Attinge in tutti i campi del sapere, con puntuali richiami, scienze e filosofia, letteratura antica e contemporanea, tecnologia e modernità, e quant’ altro. In ogni caso offre occasione di buona lettura dove ci mette molto di suo. La Nostra non si attiene ai soli testi letti, agli Autori Contemporanei nella Critica, non si limita al solo riferimento nominativo, bensì riporta aneddoti e storie, e con dovizia descrittiva ne sviluppa i temi. Non fa torto a nessuno e nessuno può sentirsi privilegiato più degli altri. Costruisce su un substrato della sua formazione culturale, soprattutto artistica. Ogni libro per lei costituisce una fonte di ispirazione e mille stimoli. Particolarmente versata nelle arti figurative, coglie spunto da qualsiasi riferimento artistico. Per esempio, a proposito di una copertina rappresentante un albero e la porzione di terra su cui è piantato, il tutto sospeso tra cielo e terra, richiama il pittore René Magritte per accostarne la metafora surrealista; altresì richiamando i vari maestri antichi e moderni come Vincent van Gogh, un nome per tutti. Così, a proposito dell’ascolto con l’orecchio dell’anima, richiama Ludwig van Beethoven che, pur avendo perduto l’udito, a causa di una cofosi, riesce a comporre la famosa Nona Sinfonia, nota come l’Inno Europeo alla Gioia (sul testo poetico di Friedrich Schiller); così ancora è per altri compositori. Isabella Michela Affinito si pone con garbo e con passione, con una scrittura conversevole; rimane affascinata da alcuni personaggi e quando ne ha occasione li fa rivivere; come Emily Dickinson (che scelse la solitudine), Emily Brontë (morta a


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trent’anni), Sylvia Plath (morta a trentasette anni), Vincent van Gogh (suicida a trentasette anni). E così a seguire per altri particolari, scoprendo antefatti e retroscena; nessun libro passa in sordina e all’occorrenza la scrittrice di Fiuggi tenta una spiegazione oltre le righe, come nel caso del Pascoli ‘discriminato’ ad opera di Benedetto Croce al tempo in cui sorsero i Macchiaoli in Italia e gli Impressionisti in Francia, i cui movimenti portavano rinnovamenti anche nella letteratura, che il Critico non seppe cogliere. Così a proposito del tempo cita l’opera letteraria del 1951 di James Jones da cui si è tratto il film nel 1953 Da qui all’eternità, indicandone regista e attori. Il lettore non si staccherebbe dal parlarne e in ultima analisi osserva che la Nostra entra nelle vicende umane, reali e mitologiche, cercando di trarne insegnamento e facendo cultura. È un privilegio essere stati seguiti in questi Percorsi di Critica Moderna. Salvo svista, gli autori recensiti sono: Agnelli Renza, Albanese Michele, Angelone Antonio, Angelucci Sandro, Baiotto Marco, Bartoli Francesco, Basile Carmela, Bonciani Mariagina, Bonucci Loretta, Bruno Anna, Calabrò Corrado, Carfora Ciro, Carnevali Delio, Cauchi Tito, Cervo Aldo, Ciampi Sara, Conti Franco, D’Ambrosio Leone, De Luca Aurora, De Marchi Ines, De Rosa Luigi, Defelice Domenico, Demarchi Silvano, Fiumara Francesco, Frenna Gabriella, Giordano Filippo, Giovene Gian Luigi, Iannacone Amerigo, Ianuale Gianni, Iovinella Filomena, Izzi Rufo Antonia, Li Volti Guzzardi Giovanna, Mandera Evelina, Mangione Stefano, Manzi Carmine, Martin Vittorio Nino, Mastrodonato Pantaleo, Mastrominico Antonio, Matrone Pasquale, Mistretta Rosa Maria, Montalto Pasquale, Mosca Adriana, Napolitano Giuseppe, Nigro Pietro, Onorato Carlo, Panza Adriana, Papandrea Ernesto, Piccolo Tina, Salvemini Sallustio Cosimo G, Santamaria Franco, Scarparolo Ines, Selvaggi Leonardo, Somma Luciano, Spera Rosa, Squeglia Maria, Tavcar Giovanni, Terrone Francesco, Tognacci Imperia, Vanni Antonio. Tito Cauchi

TITO CAUCHI DOMENICO DEFELICE Operatore culturale mite e feroce Editrice Totem, 2019 Nella premessa Tito Cauchi, dando il via al suo corposo saggio, rievoca la nascita della profonda amicizia che si instaurò fin dal 1993 col professor Defelice. Poi, scrupolosamente, espone contenuti e stile delle opere di Defelice, ad iniziare da “Piange

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la luna”, scritta quando l’autore era giovanissimo e tendente al romanticismo. Del ’62 è una raccolta di impegno civile: “con le mani in croce”. Molto significative le sillogi di argomento amoroso, veri e propri canzonieri che il saggista ritiene “impregnate di sospiri sentimentali”. Composte in strofe, sia in strofe rispettose della metrica, che in versi liberi nelle quali era spesso protagonista Marcella, fino all’epilogo nei canti per Clelia (“un sentimento che si è suggellato per tutta la vita”). Attraverso i florilegi si può agevolmente seguire l’autobiografia dell’autore, le sue aspirazioni giovanili e le sue ribellioni. Esemplare è il poema allegorico “Alpomo”, metafora dell’Italia di mani pulite, ove si muovono personaggi come Poggiolini, Cirino Pomicino, De Lorenzo. Tutti gli amici scrittori di Defelice (Mariagrazia Lenisa, Lucianna Argentino, Carmine Chiodo) ne apprezzarono la novità. In “Resurrectio” del 2004 l’autore “ha voluto conferire un senso di sacralità ad una sua esperienza ospedaliera”. Tito Cauchi riporta di ogni opera trattata interessanti estratti, con approfonditi commenti. Così avviene con “Alberi?”, in cui viene descritto l’Eden favoloso del nostro direttore, colmo di simboli, di affetti e di personaggi amati “con lo stile rinnovato dei tanka e degli haiku”. L’attaccamento alla famiglia è un dei leitmotiv di Defelice (si leggano i versi per il nipotino Riccardo). Il critico si dilunga anche sugli studi critici del nostro su letterati e pittori calabresi del Novecento (“Andare a quadri”, “Diario degli anni torbidi”, “Eleuterio Gazzetti”). “Del resto - dice Cauchi – poesia e pittura si travasano reciprocamente”. Nessuna monografia viene trascurata (Nino Ferraù, Saverio Scutellà, Michele Frenna e così via). Da queste pagine scaturisce la competenza e la passione di Defelice per quanto attiene alla fiducia. Grandi amici, poeti sempre presenti nella rivista, furono per Defelice Rocco Cambareri, Geppo Tedeschi, Franco Saccà, Ada Capuana. Bisognerebbe citare tutti questi studi su personaggi culturali di grande spessore, perché tanti sono i saggi defeliciani che Cauchi commenta a fondo (Rudy De Cadaval, l’amato maestro Francesco Pedrina, Maria Grazia Lenisa). Non si conoscerebbe in maniera perfetta Domenico Defelice, se si trascurassero i testi teatrali (“Silvina Olnaro, “Pregiudizi e leziosaggini”, nonché quelli scritti in collaborazione con Rossano Onano) e i corposi epistolari. Un tale personaggio dalle mille sfaccettature quale è Defelice ha suscitato l’interesse di numerosi critici (Orazio Tanelli, Sandro Allegrini, Anna Aita, Leonardo Selvaggi). Ed ecco le prime tesi di laurea su questo


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straordinario autore (quella di Eva Barzaghi e quella di Claudia Trimarchi). Infine la sua creatura: “Pomezia-Notizie”, rivista mensile fondata nel 1973, letta in Europa, negli Stati Uniti, in Australia e in Cina. Non dimentichiamo che Defelice è stato anche professore di discipline tecniche e di francese. Un utile volumetto è stato scritto da lui per gli allievi dei Centri di Formazione professionale. Conclude l’ampio volume l’epistolario intercorso tra Defelice e Tito Cauchi. È questo un saggio straordinario, che non trascura i minimi dettagli dell’opera e della personalità di Domenico Defelice, un autentico testimone della cultura italiana dagli anni Settanta ad oggi. È stata scritta con rara competenza e con sincero senso di amicizia. Elisabetta Di Iaconi

TITO CAUCHI GRAZIANO GIUDETTI. IL SENSO DELLA POESIA Totem, 2019, Pagg. 152, € 15,00 Tito Cauchi accompagna il lettore nel mondo poetico di Graziano Giudetti, un poeta “i cui versi sembrano finalizzati ad una precisa comunicazione”. L'artista inizia a scrivere all'età di otto anni, ma la sua prima pubblicazione risale al 1988 con il volume “Gli anni tenui”, casa editrice Scorpione Taranto. Attraverso il binomio vita-morte l'uomo può trovare il suo equilibrio nella sua natura intima, perché le risposte che l'uomo cerca, le può trovare solo in se stesso. E allora nella penombra, in perfetta solitudine, il poeta prega ed una luce interiore illumina i versi che i lettori si accingono a leggere. Afferma Cauchi: “ Le poesie danno un senso di benessere, credo, a chi le voglia leggere singolarmente e indipendentemente l'una dall'altra; ma, ne sono convinto, il senso di pienezza e di coinvolgimento che ci fa apprezzare appieno la raccolta, si percepisce nella lettura complessiva dell'opera, più che nella somma delle singole parti”. In “Diario di Sogno” i versi contemplano sogni e non accadimenti e le parole ci trasportano alle fantasie più belle. La poesia diviene magia e ci fa volare nel cielo dove campeggia la luna. In generale nelle opere del Giudetti sono presenti molti temi tra i quali, ricordiamo: i quattro elementi vitali, ossia aria, acqua, terra e fuoco, la vita come la morte, l'infanzia, la famiglia, la solitudine ed i costumi sociali. Sembra che nell'autore ci sia una naturale propensione alla scrittura dal momento che ha iniziato molto presto a scrivere.

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Lo stile di Tito Cauchi è asciutto, lineare e senza troppa enfasi descrive le opere dell'artista in maniera precisa, creando un quadro completo e chiaro del percorso letterario dell'autore. Nell'ultima parte del volume è riportata la corrispondenza tra Cauchi e Giudetti. Leggendola con attenzione appare chiaro il carattere del poeta, un uomo con il forte senso del pudore, umile e che dichiara che per lui scrivere è un diletto. Il rapporto epistolare diviene un modo per aprirsi all'altro e per condividere, dal momento che nella vita quotidiana ci sono sempre meno persone pronte ad ascoltare. Un uomo delicato e riservato che sa apprezzare il lavoro e la stima di Cauchi, il quale nell'ultima email del 22 gennaio 2010 afferma: “ La poesia è anche uno strumento che ci consente di farci conoscere meglio; è una condivisione di pensieri e di emozioni”. Qual è allora il senso della poesia? La poesia come la prosa, come la pittura diviene una forma di metacomunicazione, che riflette su se stessa e che si evolve, infatti da attività solitaria muta e si trasforma, grazie anche ai suoi lettori, in un'attività universale in cui ogni individuo può rispecchiarsi. Manuela Mazzola

MARIA ANTONIETTA MOSELE GIORGIOLI L'ANTICO TESTAMENTO DELLA SACRA BIBBIA Artigrafiche TIPAC, 2019, Pagg. 208 La Sacra Bibbia è la storia di Dio e di suo figlio Gesù Cristo e questo volume rappresenta un tentativo di renderla più accessibile, più leggibile e quindi più comprensibile. L'autrice Maria Antonietta Mosele Giorgioli è una critica, saggista ed anche una pittrice il cui unico scopo, pubblicando questo volume, è quello di diffondere il verbo di Dio. Con uno stile semplice e scorrevole riesce a spiegare i concetti più ostici. Comincia con i termini più complessi, i libri che compongono la Bibbia, facendo cenni storici ben precisi e dando una collocazione geografica ai personaggi ed anche ai fatti. Mediante questo metodo, cioè con coordinate spazio-temporali, comprendere le nostre radici giudaico-cristiane è molto più facile. Dalla genesi ai Profeti Minori, vengono snocciolate le questioni più difficili: le discendenze, le tribù, le leggi ed i Salmi. “La Bibbia somiglia a una piccola biblioteca e (almeno a quella cattolica) è costituita da una raccolta di 73 libri, contenenti numerose forme o generi letterari, sovente mescolati tra loro anche all'interno dello stesso libro”. I generi letterari sono molti all'interno dei libri biblici: il genere storico, legislativo, profetico, apocalittico, sapien-


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ziale e poetico. Conoscendo il genere del libro che ci si accinge a leggere è molto più facile comprenderlo. L'autrice ci mostra diverse chiavi di lettura per poter capire e riflettere su uno dei libri più studiati al mondo. Un tentativo, per altro riuscito, di trattare argomenti difficili, scritti in maniera spesso metaforica e simbolica e trattati invece dalla Mosele Giorgioli con un metodo didascalico. Un libro affascinante e sempre diverso ogni volta che si legge, un libro pieno di insegnamenti. E grazie ai commenti, alle spiegazioni e alle precisazioni dell' autrice il viaggio che si intraprende leggendo la Sacra Bibbia, che rimane sempre personale e privato, diviene più facile, più naturale e meno artefatto. Manuela Mazzola

ISABELLA MICHELA AFFINITO AUTORI CONTEMPORANEI NELLA CRITICA III Volume - Casa Editrice Menna - Avellino, 2019, 20,00 €, Pagg. 254 Una raccolta di recensioni, un percorso di lavoro, un percorso di crescita. Fare critica è un'arte come afferma Isabella Michela Affinito: “Un viaggio silenzioso, seminascosto, utile, irripetibile, coinvolgente, trasformativo, valorizzatore, che porta, porterà ad un traguardo sicuro e intelligente”. L'autrice è un'appassionata di arte in tutte le sue forme e dal 1998 ha pubblicato circa sessanta libri tra poesia e saggi. “Autori contemporanei nella critica” è arrivato al terzo volume ed è composto da settantasette recensioni. Gli autori recensiti sono molti: da Domenico Defelice a Tito Cauchi, da Corrado Calabrò a Vittorio Nino Martin, da Amerigo Iannaccone a Luigi De Rosa e molti altri. Ogni critica è un'esplorazione nel mondo dell'autore recensito. Lo stile della scrittura è originale, mai banale, tanto che riesce ad affascinare il lettore, impreziosendo il testo anche con piccole e grandi curiosità. Ad esempio nella recensione sulla silloge “Alberi?” di Domenico Defelice (Genesi Editrice 2010) l'autrice racconta: “ Una chicca nel volume ci svela che in Francia, precisamente a Vesdun, nel Sito n° 7 della Foresta dei Mille Poeti, c'è una lussureggiante quercia, che noi immaginiamo maestosa e vetusta, la quercia n° 549 ed è speciale perché porta il nome di Domenico Defelice”. Isabella M. Affinito è in grado, con il suo modo di presentare i libri, di incuriosire e di far riflettere e attraverso le numerose citazioni di creare più di un collegamento con altri autori, arricchendo in questo modo il testo. La silloge mette in luce la sensibilità,

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l'espressività ed anche un modo del tutto personale di entrare nei diversi mondi degli autori, condividendo con i lettori le opere letterarie. Mediante la sua scrittura, l'autrice ci fa percorrere mille sentieri valorizzati dalla sua capacità espressiva. Ogni sentiero è unico nel suo genere e conferisce alle opere recensite “degna longevità”. Manuela Mazzola

WILLIAM T. VOLLMANN EUROPE CENTRAL Collana 'Strade Blu' - Mondadori Editore, 2005. Ci scrive in rete Dirk Kussin, matematico tedesco di vaglia, che a suo tempo ho già citato sulle pagine di questa particolarissima Rivista e presente in Internet con le sue lezioni professionalmente assai efficaci, dinamico ed ispirato ad un tempo: “ I would like to recommend a book, it is by the american writer William T. Vollmann… The title is Europe Central. There is even an italian tranlation. The original book was published in 2005. Only last year there was published a german translation of it. I heard a review about it in the radio and bought it immediately. The book is not easy. It is some kind of 'novel', about 1000 pages. Roughly it is about the two world wars in Europe, the time-range of the story is from 1914 to 1975. There are different episodes involving different historically important persons, mainly russians on the one hand and german on the other hand. The word 'novel' is a little bit misleading. The book wants to be very authentic, it is full of footnotes (endnotes), given the source of certain things wich are certainly not historically true (and the author openly admits it). And now the point wich made the book particularly interesting for me: the main figure of the book is the composer Dmitri Shostakovich (died 1975). Maybe half of the book is about him. The author felt free to construct a loving romance between Shostakovich and Elena Konstantinowskaja. She was a real person with whom the young Shostakovich had a short affair in the mids 1930s, but the author stretched this affair on purpose. She was an interpreter and was married later with the russian documentary film maker Roman Karmen. Elena went with him to Spain during the civil war. These three persons form the central triangle in the book. But there are other persons appearing, like Anna Achmatova (poet), Kaethe Kollwitz (painter) and some more. The book is rather unorthodox. The many footnotes, the many pages, the style...” (e-mail 8 ottobre 2013). Armonia è presente tra i numeri come tra i suoni e Dirk si lascia coinvolgere fin nelle più intime fibre


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da questi due mondi, infiniti. Se poi si aggiunge la sua lingua madre tedesca, la lingua inglese per l'insegnamento anche in sedi internazionali e la passione per la vita, si ha il profilo di un giovane che ama la vita e la storia, anche nei suoi versanti più duri, là dove il tessuto connettivo dell'Amicizia consente collaborazioni ed emozioni eticamente condivise che sono medicina. W.T. Vollmann, il cui volto mostra indubbie radici dell'Est Europa nasce il 28 luglio 1959 a Santa Monica (California, USA), la sua anima di bimbo viene sconvolta da una tragedia familiare della quale si sente responsabile, una cicatrice che non trova riparo nemmeno nelle esperienze della guerra in Afghanistan o nella scrittura che, come in questo Europe Central, ha pagine d'una crudezza insopportabile. Premi letterari, percorsi storici di migliaia di pagine, interviste e ancora scritture nel doppio femminile di sé caratterizzano la bio-bibliografia di questo instancabile studioso, perché, come bene ci suggerisce Dirk Kussin, c'è nel testo grande autonomia creativa, ma le note esplicative di approfondimento sono veramente tante e ben circostanziate. Appena ho letto '...Anna Achmatova (poet)...' sono andata a cercarmi, nel caos costante di casa, il numero di Pom. Not. che riporta in prima pagina il volto di lei, bellissima, lo trovo e il lavoro è di Elio Andriuoli, assai competente, discreto, appassionato ed ottimo scrittore ANNA ACHMATOVA: IL SILENZIO DELL'AMORE (Pomezia Notizie, gennaio 2015, pp. 1-4). Scrive l'Andriuoli: “... Com'è noto, l'Achmatova riesce a cogliere i più sottili moti dell'animo e le pur minime sollecitazioni dei sensi con disinvolta bravura: ed è ciò che meglio la contraddistingue. Brevi ma intense sono le sue poesie, che riescono a dire molto di lei in pochi versi... La tematica di Anna Achmatova non comprende però soltanto la problematica amorosa, perché oltre al tema della città, di cui abbiamo fatto cenno, c'è in lei quello della guerra civile, i cui tristi effetti emergono dai suoi versi e quello delle feroci persecuzioni staliniane a danno degli intellettuali dissidenti, che colpirono duramente la nostra poetessa sia nella persona del figlio Lev, che fu imprigionato e rischiò la fucilazione, tramutata all'ultimo momento in deportazione nei Gulag siberiani, dove trascorse molti anni, sia nella persona del suo primo marito, Gumilev, che la fucilazione non poté evitarla...” (E. Andriuoli, in Pom. Not. recens. cit. pp. 13). Torno a Europe Central e la Achmatova è presente orgogliosa, sincera, appassionata, eroticamente audace e senza inibizioni in tante parti del testo, perché Vollmann sceglie con netta e puntigliosa competenza, anche per lei, il percorso tra storia per-

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sonale, legami sentimentali e Storia generale di Russia, di Germania e d'altri Paesi d'Europa, come la Spagna, con sullo sfondo e sempre in fluttuante movimento verso il primo piano, la figura delicata e amabile, dottissima e timida ad un tempo, di un compositore come Dmitri Shostakovic. Ecco perché questi temi non giungono nuovi al nostro cuore; ecco perché va data attenzione particolare alla storia individuale e collettiva, di artisti che lottano, amano, soffrono anche in solitudine, donando ai differenti mondi della umana creatività opere meravigliose e senza tempo; ecco perché questo libro va letto, interpretando in filigrana e non solo, le tensioni del suo Autore, doppio, nascosto dalla prima persona, spietato o comprensivo fa lo stesso, sanabili un poco attraverso questa copiosissima scrittura dolorosamente coinvolgente che lo contraddistingue. Cito da Opus 110, capitolo che va da pag. 795 a pag. 931, in 40 momenti, che presenta a caratteri grandi e in evidenza assai nera timbri coercitivi come 'LA VITA E' DIVENTATA MIGLIORE, COMPAGNI, LA VITA E' DIVENTATA PIU' ALLEGRA!' (pag. 812); 'LA VITA E' DIVENTATA PIU' ALLEGRA!' (pag. 821); 'LA VITA E' DIVENTATA PIU' AMARA, COMPAGNI!' (pag. 871); 'LA VITA E' DIVENTATA PIU' ALLEGRA! (pag. 877); LA VITA E' DIVENTATA PIU', più, be', lo sapete...Alcune note dell'Opus 110 vengono chiuse dentro accordi- bara, mentre altre, da sole, senza bara, diventano leningradesi che cadono uno dopo l'altro nella neve e muoiono...' (pag. 895); 'ALLEGRA...ALLEGRA' (pag. 897); 'LA VITA E' DIVENTATA MIGLIORE, COMPAGNI!' (pag. 899); 'LA VITA E' DIVENTATA MIGLIORE, COMPAGNI, LA VITA E' DIVENTATA PIU' ALLEGRA!' (pag. 911); LA VITA E' DIVENTATA MIGLIORE!' (pag. 918), in una drammatica fusione ossessiva di ipocrisia e violenza che fanno sanguinare, e che si apre con queste righe, tratte da The Soviet Way of Life (1974), 'il problema del 'pane nero' della cultura è stato ormai completamente risolto, ed è tempo, ora, di fornire alla società i 'biscottini' della cultura': “Da ascoltare in una stanza senza finestre o, meglio ancora, in una stanza priva di aria – per la precisione in un bunker sigillato per sempre e avvolto da radici di alberi – il Quartetto per archi n. 8 di Shostakovic (Opus 110) è il cadavere vivente della musica, perfetto nel suo orrore. Lo si può definire come l'asfissia e il dissanguamento simultanei della melodia. L'anima si spoglia della vita in una stanza polverosa. Finita la guerra, dopo la morte di Stalin, quando come obelischi cimiteriali


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l'Europa sfoggia le ciminiere orfane della città di Murmansk invasa dalle bombe incendiarie, le chiese carbonizzate di Dresda, la politica ci concede qualche attimo di tregua, impegnata com'è a mordersi nervosamente gli artigli. Il soldato torna a casa, si toglie la divisa sporca di fango e di sangue e ridiventa un cittadino. E così anche Shostakovic... Alla sua destra, dalla lunga mandibola del suo pianoforte migliore, denti musicali gli sorridono; al momento opportuno, quando l'Opus 110 sarà pronto per l'esecuzione, sapranno cosa fare. Ingarbugliate e fibrose radici di alberi gli divoreranno la carne. Per ora non sono né popolari né profonde. Niente paura: morderanno più a fondo. Che cos'è quel suono? I luttuosi e sinistri gemiti delle corde contengono un largo soffocante. Meno macabro dell'allegretto degli scheletri quando l'anima viene inseguita e catturata dalla morte, quel suono è più triste: la morte ha già fatto il suo lavoro, e noi dobbiamo sopportare ora la prova del morire. Di qui l'Opus 110...' (W. T. Vollmann, Europe Central, op. cit. pp. 795-797). Grazie Dirk Kussin. Anche questa è Amicizia. Ilia Pedrina

ELISABETTA DI IACONI CAMMINERÒ Il croco – I Quaderni letterari di Pomezia-Notizie – Aprile 2019 Con un verso conciso e ben strutturato, Elisabetta Di Iaconi ci offre la sua nuova silloge Camminerò. E’ un percorso esistenziale denso di emozioni, che richiede parecchia forza per affrontare gli accadimenti e superare i vari dolori. La scomparsa prematura del suo amato sposo ha, infatti, aperto uno squarcio che non si può rimarginare e lei si trova a dover cercare un possibile scopo per continuare: “Ricevo le ferite dei ricordi / e il colpo di una spada / che annulla la visione del futuro”. L’atmosfera a volte è piuttosto pesante e provoca un senso di smarrimento di fronte ad una solitudine incolmabile, a un’anima pregna di nostalgia e di tristezza: “Non percepisco il palpito del mondo; / non riesco a sentire / il soffio di una rosa che si apre / al sole d’aprile; / non so l’argentea sinfonia degli astri.”. E’ solo toccando il fondo del sentire che si può ricevere una spinta diversa: si cede e ci si lascia andare completamente o si cerca una via d’uscita per continuare il cammino. Così Elisabetta Di Iaconi cerca di trovare il coraggio per alleviare il suo stato d’animo: “Mi sento in uno scrigno dove scrivo / pagine di diario / stilate con l’inchiostro del corag-

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gio.”. Con la sua energia interiore riesce a superare i momenti bui e ad avere una visione più rosea della sua condizione: “E’ il mio momento di aggrapparmi al tempo, / e di esplorare i viali / con animo solerte ed occhi attenti.” E’ la voglia di esplorare l’esistenza che la porta a dire: “Mi guiderà la mente / verso un itinerario di salvezza.”. Da questa decisione, la scelta del titolo Camminerò. Elisabetta Di Iaconi, attraversando il tempo del ricordo, della nostalgia, del dolore, ha imparato ad accostarsi ad altri motivi di conforto. Tra questi vi sono gli amici, che possono allietarla in qualche modo con la loro vicinanza; la stessa poesia, quale dono per liberare le emozioni; l’aiuto divino, al quale chiedere conforto nei momenti più tristi. Inoltre, la contemplazione della natura la aiuta a scaricare le tensioni, poiché rispecchia la grandezza e il mistero della creazione: “Contempliamo ogni sera / l’intensa meraviglia di quel rosa! / E’ la nostra ricchezza. / E’ tutto ciò che possediamo al mondo.”. Questa raccolta ci propone la maturità di una coscienza evoluta, che attraversando il dolore ha saputo cogliere una visione nuova dell’esistenza e assaporarne ancora i valori positivi cui aggrapparsi per non cedere. Laura Pierdicchi

SILVIA MARZANO AD OGNI ORA (Genesi Editrice, Torino, 2019) Docente associata di Ermeneutica filosofica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, Silvia Marzano è anche una valida poetessa, come dimostrano le sue precedenti sillogi: Anemoni bianchi (Genesi, 2001) e Arcani disegni (Ivi, 2007) ed ora anche questa sua nuova, Ad ogni ora (Ivi, 2019), sulla quale ci vogliamo un poco soffermare. Quella della Marzano può definirsi una poesia dello stupore di fronte alle meraviglie della natura, che ella osserva con commossa partecipazione emotiva. E sono infatti proprio le più semplici apparenze del mondo esterno che l’attraggono e l’affascinano, come “un piccolo ciottolo / levigato dalla memoria / sulla riva del mare” (Ho trovato un piccolo ciottolo) o un “Rosso papavero / sul bordo della strada” (Rossi papaveri), che l’avvince con il suo richiamo. Non è che manchi in lei la parola colta, come ànemos (nella poesia Attimi), che in greco vuol dire “vento”, “soffio” e quindi in senso traslato anche “anima”, cioè la parte spirituale dell’uomo o come Tao (Da un ascolto Zen), che secondo il pensiero


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orientale è il flusso vitale da cui tutto è nato che, mutando incessantemente, rimane tuttavia sempre uguale a se stesso. Ad attirarla è tuttavia ogni anche minimo evento, come “Una foglia di rosa / essiccata / in una grammatica greca” (In una grammatica greca) o un fiore di primavera, con i suoi vivaci colori (Fiori di primavera). Ma più l’attraggono alcune splendide città, ricche di storia e di meravigliose dimore, come Bologna (“Felsina etrusca / ancora vivi / nella gioia schietta / delle tue genti cordiali”, Bologna) o come Venezia (“Venezia / d’acque e di luce, / malinconia dolce / di tramonti in riverberi / dorati, / leggerezza di gotici / fiori”, Venezia). È però sempre la natura che più dì ogni altra cosa l’incanta, magari con “Un petalo di sole, / uno squarcio di luce” che filtra in “un mattino d’estate” (Un petalo di sole) o con un sentiero che si apre in un bosco (i “silenzi pieni di voci / nel bosco / sussurri, bisbigli / richiami / di chiurli, di cince / di passeri in volo / nel folto dei pini”, Sauze in un giorno di nubi); o ancora con una goccia di rugiada (“Brillano sfaccettati / fini diamanti, / gocce di rugiada / adornano semplici fili / d’erba / come gemme / di una regina”, Rugiada). Né manca in questa raccolta di versi la presenza dell’altro da sé, come avviene in poesie quali Non eri tu: “Non eri tu che amavo / ma un sogno. / Tu eri l’ombra di quel sogno”; o La mantellina rosa: “Cammina sicura, felice / una bimba / con la mantellina rosa, / non avverte la pioggia, / guarda avanti / le viene incontro la vita”. Ed ecco, in Scorci di Torino, dischiudersi nuovamente per lei le chiare apparenze di una città dove “Campane d’argento / suonano il mezzogiorno / vicino alla casa di Nietzsche. / Impassibili / ascoltano gli adorni / mattoni del palazzo / sabaudo”. Ecco, in Sono felice, riaffacciarsi ancora un improvviso sentimento di ritrovata armonia: “Sono felice come un usignolo / sono felice come una rosa, felice come un mattino / di alba chiara. E ciò anche se ad un tratto s’affaccia in lei la percezione del fuggire dell’ora e della labilità del nostro vivere: “Scorre il tempo / e si porta via la vita, / vengono incontro le cose, / gli eventi” (Attese). Sempre nella Marzano è comunque presente il desiderio di godere delle chiare apparenze: “voglio guardare la luce, / ora, e i fiori e il mondo / e il cielo / che forse ai miei occhi / si abbuierà improvviso” (Voglio guardare la luce); sempre è in lei l’attesa di un bene che verrà: “Ma vibra ancora / tremulo vibra / nel sogno / il mio cuore fanciullo” (Perseidi); sempre si schiantano le onde sulla riva: “Rumore grigio del mare, / onde mosse e vento” (Fine estate); sempre s’affaccia il rammarico per ciò che non

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è stato e che pure avrebbe potuto allietare la sua e l’altrui esistenza: “Ora che siamo carichi d’anni / tu ed io / ci ricordiamo ancora / di quel che non è stato e che avrebbe potuto essere…” (La traccia). E ancora fanno ritorno città amate: “Firenze / perfezione di perla” (Firenze); ancora nasce in lei il desiderio di un’oasi di quiete: “Camaldoli, / eremo di pace” (Camaldoli); ancora vivo riaffiora il desiderio di godere dei colori della natura: “Ad ogni ora / la bellezza del mondo / stupisce, conforta, si dona” (Ad ogni ora). Come sempre è proprio qui il segreto della poesia di Silvia Marzano: nello stupore per le “bellezze del mondo” che le vengono incontro e delle quali ella gioisce e delle quali il suo spirito si nutre. Per lei, che dei severi studi filosofici ha fatto lo scopo del suo quotidiano operare, quello della poesia è divenuto così un porto sicuro di serenità e di pace. Certo lo strumento più adatto per abbellire la vita e per godere dei suoi incomparabili doni. Liliana Porro Andriuoli

FAVOLA E MISTERO Mistero è la poesia: favola di parole che affascina e porta a Dio. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, Bastogi, 2019.

Himmel Am Himmel zwei einsame Sterne, zwei Lichter in der Dunkelheit des Universums. Aus meinem Herzen eine Welle mysteriöser Neugier lässt mich an den Weltraum, die Planeten, den ganzen Kosmos denken. Ich sehe aus wie eine kleine Ameise vor der Welt, die vor meinen Augen erscheint und Tag für Tag drängt mich weiterzumachen. (Manuela Mazzola, Cielo. Pomezia-Notizie, luglio 2019; p. 36. Traduzione in tedesco di Marina Caracciolo)


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D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE PADRE CELSO MATTELLINI - È presente in rete, con tante dinamiche espansioni, il sito sanlorenzosperi.org, nel quale si offrono al lettore testi di grande e semplice spiritualità elaborati dal dott. Padre Celso Mattellini, frate dell'Ordine dei Servi di Santa Maria: ogni mattina, in modo diverso e sempre coerente con la presenza viva e vitale di Gesù come Amico, egli stila poche righe ispirate proprio alla relazione tra Gesù, il suo e il nostro tempo. Le più recenti hanno per apertura Gesù esultò (15/7/2019); Volle vicini i suoi (14/7/2019); Parlare di Dio (13/7/2019); Ignoranza e gelosia (12/7/2019) e via via all'indietro, con tanti preziosi contributi alla riflessione nella quale Gesù si incista nella nostra quotidianità. Dotto, appassionato, vibrante anche in passato, nel percorso delle celebrazioni eucaristiche che ha svolto all'interno del Tempio di San Lorenzo a Vicenza, prima che venisse tolto alla giurisdizione dell'Ordine, padre Celso è psicoterapeuta di vaglia e conosce quali nutrimenti dare all'anima. Ilia Pedrina *** FESTA DEL GRANO - Domenica 7 luglio, in Piazza Indipendenza, a Pomezia, si è celebrata la ventottesima edizione della Festa del grano, ideata nel 1990 e organizzata dall’Associazione Coloni Fondatori di Pomezia, per tanti anni condotta da Pietro Bisesti e oggi dalla figlia Emilia, poetessa. Un programma ricco di eventi. Ore sette, allestimento delle mostre fotografiche storiche della città

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e delle famiglie dei coloni e Mostra d’arte di pittura ed estemporanea di pittura a cura del Gruppo Artistico La Spiga d’Oro; ore nove: Visite guidate alle mostre; ore dieci e trenta: Ricordo storico del primo raccolto di grano; ore undici: Corteo e posa di un covone di grano al Monumento dei Coloni; ore diciassette: Sfilata storica in costume d’epoca per le vie di Pomezia con partenza da via Roma ed arrivo a Piazza Indipendenza con rievocazione di balli e canti del tempo passato. *** ANDREA CAMILLERI CI HA LASCIATO A 93 ANNI - La mattina del 17 luglio 2019, all’ Ospedale Santo Spirito di Roma, è morto, all’età di 93 anni, Andrea Camilleri, uno dei più amati e letti scrittori italiani del nostro tempo, creatore del commissario Montalbano, personaggio seguitissimo sugli schermi televisivi e interpretato dall’attore Luca Zingaretti. Era nato a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, il 6 settembre 1925. Nel 1957 ha sposato Rosetta Dello Siesto, dalla quale ebbe la figlia Mariolina. È stato tumulato nel Cimitero Acattolico di Roma. Ha soggiornato in varie parti d’Italia, in Toscana, per esempio, e nella Capitale. I suoi successi sono incominciati con la figura del Commissario Montalbano, metafora, più che personaggio vero, perché in esso si identifica la voglia di giustizia di un Paese, l’Italia, nel quale la giustizia non esiste. Il successo dell’eroe sta tutto in questo, non nella sua genericità di uomo e neppure nella eccezionalità delle sue inchieste. Lui risolve i problemi senza retorica e ampollosità e la gente si tranquillizza, getta dietro le spalle le paure, quasi si dimentica che in Italia ci siano ben cinque Mafie, tutte capillarmente radicate, tutte feroci, tutte continuamente in crescita e in espansione in altre parti del mondo. “Montalbano - scrive Mario Ajello su Il Messaggero del 18 luglio 2019 -, con ironia e schiettezza, ha risposto al bisogno di legalità degli italiani”; egli incarna “il valore consolatorio della formula: confortati dall’idea che la giustizia può


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trionfare grazie all’azione salvifica dell’eroe della porta accanto”. Montalbano è inventato e metaforico, come inventati e metaforici sono la città di Vigàta, il suo territorio, il linguaggio suo e degli altri che con lui lavorano o gli ruotano intorno. Tante le sue opere. Romanzi: Il corso delle cose, Lalli, 1978 (Sellerio, “La memoria” 1998); Un filo di fumo, Garzanti, 1980 (Sellerio, “La memoria” 1997); La stagione della caccia, Sellerio, 1992 (“La memoria” 1994); Il birraio di Preston, Sellerio, 1995; La concessione del telefono, Sellerio, 1998; La mossa del cavallo, Rizzoli, 1999; La scomparsa di Patò, Mondadori, 2000; Il re di Girgenti, Sellerio, 2001; La presa di Macallè, Sellerio, 2003; Privo di titolo, Sellerio, 2005; La pensione Eva, Mondadori, 2006; Maruzza Musumeci, Sellerio, 2007; Il casellante, Sellerio, 2008; Inseguendo un’ombra, Sellerio, 2014. Romanzi Montalbano: La forma dell’acqua, Sellerio, “La memoria” 1994; Il cane di terracotta, Sellerio, 1996; Il ladro di merendine, Sellerio, 1996; La voce del violino, Sellerio, 1997; La gita a Tindari, Sellerio, 2000; L’odore della notte, Sellerio, 2001; Il giro di boa, Sellerio, 2003; La pazienza del ragno, Sellerio, 2004; La luna di carta, Sellerio, 2005; La vampa d‘agosto, Sellerio, 2006; Le ali della sfinge, Sellerio, 2006; Il campo del vasaio, Sellerio, 2008; La caccia al tesoro, Sellerio, 2010; Il gioco degli specchi, Sellerio, 2011; Una lama di luce, Sellerio, 2012; Un covo di vipere, Sellerio, 2013; La rete di protezione, Sellerio, 2017. Racconti: Racconti quotidiani, Libreria dell’Orso, 2001; Gocce di Sicilia, Edizioni dell’Altana, 2001; La ripetizione, Skira, 2008; Gran Circo Taddei: e altre storie di Vigàta, Sellerio, 2011; Donne, Rizzoli, 2014; I quattro Natali di Tridicino, in “Storie di Natale”, AA. VV., Sellerio, 2016; La cappella di famiglia: e altre storie di Vigàta, Sellerio, 2016; Topiopì, Mondadori, 2016; La casina di campagna. Tre memorie e un racconto, Henry Beyle, 2019. Racconti Montalbano: Un mese con Montalbano, Mondadori, 1998; Gli arancini di Montalbano, Mondadori, 1999; La paura di Montalbano, Mondadori, 2002; La prima indagine di Montalbano, Mondadori, 2004. Saggi: La strage dimenticata, Sellerio, 1984 (“La memoria” 1998); La bolla di componenda, Sellerio, “Biblioteca siciliana di storia e letteratura. Quaderni”, 1993; Il gioco della mosca, Sellerio, 1995; Biografia del figlio cambiato, Rizzoli, “La Scala” 2000; L’ombrello di Noè, Rizzoli, 2002; L’occhio e la memoria: Porto Empedocle 1950, con Italo Insolera, Palombi, 2007. Interviste (e contributi in volume): La te-

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sta ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri, Sellerio, 2000; La linea della palma. Saverio Lodaro fa raccontare Andrea Camilleri, con Saverio Lodaro, Rizzoli, 2002; La lingua batte dove il dente duole, con Tullio de Mauro, Laterza, 2013. Politicamente, Andrea Camilleri è stato sempre a sinistra, pure lui nella trappola della contrapposizione alla destra, senza, cioè, pensare che la dittatura è unica, sia di destra che di sinistra. Confessava di aver letto, specie in giovinezza, moltissime riviste fasciste e che un vescovo gli disse, un giorno: “Figlio mio, ma tu sei comunista!”. Quel vescovo aveva evidenziato una verità che neppure Camilleri, comunque, ha mai voluto intendere: che il fascismo è la stessa cosa del comunismo, dal comunismo essendo nato, avendo entrambi le stesse radici. L’uomo di sinistra che accusa di fascismo uno di destra è semplicemente una aberrazione, o è come accusare se stesso! (D. Defelice) *** CINQUANT’ANNI DAL PRIMO SBARCO SULLA LUNA - Il 20 luglio 2019 si è celebrato, praticamente in tutto il mondo, il cinquantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla luna con l’Apollo 11 (20 luglio 1969). Ricordiamo di aver vissuto quella trepidante notte, assieme all’amico poeta Rocco Cambareri, seduti fuori di un bar, sul marciapiede di via del Babuino prospicente Piazza del Popolo, a Roma, incollati a una piccola radio a batterie. Strade e piazza completamente deserte e, dalle finestre spalancate e buie (solo da qualcuna di esse venivano lampi di luci, segno della presenza di televisori, allora ancora poche), il gracchiare dei tanti apparecchi ai quali erano attaccate le intere famiglie; anche il barista, nel locale deserto, ascoltava l’evento da un altro apparecchio. Una notte metafisica, mista a paura e ansia e noi due in asso-


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luto silenzio fino al fatidico annuncio e allo scoppio della gioia e le grida come oggi solo avviene dopo il gol risolutivo in una partita di calcio della Nazionale. Il programma Apollo della NASA ebbe altre missioni con equipaggio umano e la quinta e ultima fu quella dell’Apollo 16. Nell’aprile 1972, per la nostra poesia “Agli astronauti di “Apollo 16” “, che qui riportiamo, dalla “National Aeronautics and Space Administration” (Houston, Texas) abbiamo ricevuto la foto dei tre astronauti con tanto di loro autografo. Sul retro: “Decimo dell’equipaggio di Apollo al completo - I membri del gruppo principale di Apollo 16 sono, da sinistra a destra, Thomas K. Mattingly, II, pilota del modulo di comando; John W. Young, comandante; e Charles M. Duke, Jr., pilota del modulo lunare. L’Apollo 16 è programmato per il quinto atterraggio lunare con equipaggio dall’Aeronautica e dall’ Amministrazione spaziale nazionale”. Ecco la poesia: Ancora una volta siamo in ansia per voi, fratelli, che la luna gravate di nostra colpa, fiduciosi che da polvere e rocce un giorno fiorirà verde ricchezza. Dio vi protegga. Ma la feroce terra oblio non abbia nel vostro cuore, gli alberi, l’acque, i nostri eterni perché, perché nascemmo, perché l’ansia ci uccide, perché finora distrutto abbiamo, senza costruire. Le domande che ponevamo e ci ponevamo, ancora oggi per noi sono attuali e senza convincenti risposte. (D. Defelice) *** PRIMO ANNO DI ATTIVITÀ DELL’ AMMINISTRAZIONE POMETINA - Il Sindaco di Pomezia, Dott. Adriano Zuccalà, ha reso noto il bilancio delle attività svolte nel primo anno della sua Amministrazione. Tra quelle inerenti la Cultura, ha ricordato il “Premio letterario internazionale” di Domenico Defelice e gliene siamo grati. Il Premio Città di Pomezia è stato bandito anche quest’anno e invitiamo i lettori a prenderne parte. Vogliamo ricordar loro, però, per l’ennesima volta, che è inutile protestare con noi per l’assurdo Regolamento, adatto più a una colata di cemento che a una manifestazione culturale. Noi continuiamo a voler bene al Premio, perché da noi gestito con orgoglio e strepitoso successo per bel 27 edizioni, ma

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con la sua organizzazione, oggi, non abbiamo più niente a che fare, siamo completamente fuori da ogni cosa, né veniamo informati di alcunché. In bene o in male, quindi, tutto dipende da chi oggi lo gestisce, non più da Pomezia-Notizie. *** MORTO LUCIANO DE CRESCENZO - Quasi in contemporanea, dopo Camilleri, un altro grande vecchio se n’è andato e, anch’egli, artista e uomo del Sud: Luciano De Crescenzo, morto anch’egli a Roma, il 18 luglio 2019. Era nato a Napoli, nel quartiere Santa Lucia, il 18 agosto 1928. Scrittore, regista, sceneggiatore, attore, conduttore televisivo. Tra i suoi film ricordiamo Così parlò Bellavista (1984), Il mistero di Bellavista (1985), 32 dicembre (1988), Croce e delizia (1995) e, tra le tante sue opere: Così parlò Bellavista ( 1977), La Napoli di Bellavista (1979), Zio Cardellino (1981), Storia della filosofia greca. I presocratici (1983), Oi dialogoi. I dialoghi di Bellavista (1985), Storia della filosofia greca. Da Socrate in poi (1986), La domenica del villaggio (1987), Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo (1989), Elena, Elena, amore mio (1991), Zeus. I miti dell'amore (1991), Zeus. I miti degli eroi (1992), Il dubbio (1992), Croce e delizia (1993), I miti degli dei, con 2 VHS (1993), Socrate (1993), Viaggio in Egitto


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(1993), I miti della guerra di Troia, con 2 VHS (1994), Usciti in fantasia (Nove racconti, 1994), Panta rei (1994), I grandi miti greci. A fumetti, 24 voll. (1995), Ordine e disordine (1996), Nessuno. L'Odissea raccontata ai lettori d'oggi (1997), Sembra ieri (1997), Il tempo e la felicità (1998), I grandi miti greci. Gli Dei, gli eroi, gli amori, le guerre (1999), Le donne sono diverse (1999), La distrazione (2000), Tale e quale (2001), Storia della filosofia medioevale (2002), Storia della filosofia moderna. Da Niccolò Cusano a Galileo Galilei (2003), Love. L'amore ai tempi del viagra, con Diabolik, Roberto Gervaso, Milo Manara, Flavio Oreglio, Arrigo Petacco, Andrea G. Pinketts, Folco Quilici, il Conte Uguccione, Paolo Villaggio e Stefano Zecchi (2003), Storia della filosofia moderna. Da Cartesio a Kant (2004), I pensieri di Bellavista (2005), Il pressappoco. Elogio del quasi (2007), Il caffè sospeso. Saggezza quotidiana in piccoli sorsi (2008), Il nano e l'Infanta (2008), Monnezza e libertà (2008), Napoli ti voglio bene. Bellavista trent'anni dopo (2008), Socrate e compagnia bella (2009), Ulisse era un fico (2010), Tutti santi me compreso (2011), Fosse 'a Madonna!. Storie, grazie, apparizioni della mamma di Gesù (2012), Garibaldi era comunista. E altre cose che non sapevate dei grandi della storia (2013), Gesù è nato a Napoli. La mia storia del presepe (2013), Ti porterà fortuna. Guida insolita di Napoli (2014), Stammi felice. Filosofia per vivere relativamente bene (2015), Ti voglio bene assai. Storia (e filosofia) della canzona napoletana (2015), Non parlare, baciami. La filosofia e l'amore (2016), 7 idee per 7 filosofi (2016), Sono stato fortunato (Autobiografia, 2018), Napolitudine. Dialoghi sulla vita, la felicità e la smania 'e turnà, con Alessandro Siani (2019).

LIBRI RICEVUTI TITO CAUCHI - Graziano Giudetti Il senso della poesia - Editrice Totem, 2019 - Pagg. 152, € 15,00. Tito CAUCHI, nato l’ 11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività professionali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005), “Il Calendario del poeta” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2015). Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone” (2010), “Mario

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Landolfi saggio su Antonio Angelone” (2010), “Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (monografia a cura di Gabriella Frenna, 2014), “Profili critici” (2015), “Salvatore Porcu Vita, Opere, Polemiche” (2015), “Ettore Molosso tra sogno e realtà. Analisi e commento delle opere pubblicate” (2016), “Carmine Manzi Una vita per la cultura” (2016), “Leonardo Selvaggi, Panoramica sulle opere” (2016), “Alfio Arcifa Con Poeti del Tizzone” (2018), “Giovanna Maria Muzzu La violetta diventata colomba” (2018), “Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce” (2018). Ha inoltre curato la pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha partecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’aperto. E’ incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013), in “World Poetry Yearbook 2014” (di Zhang Zhi & Lai Tingjie) ed in altri ancora; collabora con molte riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ottenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (International Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. E’ presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini, giungo alla quinta edizione (2015). Ha avuto diverse traduzioni all’estero. ** ISABELLA MICHELA AFFINITO - Autori contemporanei nella critica (Percorsi di critica moderna) vol. III - In copertina, a colori, disegno della stessa Autrice - Casa Editrice Menna, Avellino 2019 - Pagg. 258, € 20.00. Vengono recensiti opere dei seguenti autori: Pasquale Matrone, Antonio Mastrominico, Americo Iannacone, Luigi De Rosa, Francesco Fiumara, Franco Conti, Carlo Onorato, Ernesto Papandrea, Marco Baiotto, Vittorio Nino Martin, Domenico Defelice, Anna Bruno, Antonia Izzi Rufo, Michele Albanese, Filippo Giordano, Ines Scarparolo, Antonio Angelone, Pietro Nigro, C. G. Sallustio Salvemini, Giovanna Li Volti Guzzardi, Maria Squeglia, Carmine Manzi, Eveluna Mandera, Tito Cauchi, Tina Piccolo, Giuseppe Napolitano, Filomena Iovinella, Antonio Vanni, Franco Santamaria, Francesco Terrone, Carmine Basile, Aurora De Luca, Gianni Ianuale, Gabriella Frenna, Pasquale Montalto, Adriana Panza, Pantaleo Mastrodonato, Rosa Spera, Imperia Tognacci, Silvano Demarchi, Aldo Cervo, Leone D’Ambrosio, Lucianno Somma, Leonardo Selvaggi, Cosmo G. Sallustri, Giovanni Tavcar, Adriana Mosca, Delio Carnevali, Sandro Angelucci, Rosa Maria Mistretta, Loretta Bonucci, Renza Agnelli, Mariagina Bonciani, Francesco Bartoli, Corrado Calabrò, Ste-


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fano Mangione. Isabella Michela AFFINITO è nata in Ciociaria nel 1967 e si sente donna del Sud. Ha frequentato e completato scuole artistiche anche a livello universitario, quale l’ Accademia di Costume e di Moda a Roma negli anni 1987 - 1991, al termine della quale si è specializzata in Graphic Designer. Ha proseguito, poi, per suo conto, approfondendo la storia e la critica d’ arte, letteraria e cinematografica, l’antiquariato, l’ astrologia, la storia del teatro, la filosofia, l’ egittologia, la storia in generale, la poesia e la saggistica. Nel 1997 ha iniziato a prendere parte ai concorsi artistico-letterari delle varie regioni italiane e in seguito ha partecipato anche a quelli fuori dei confini d’ Italia, tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’ Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori di Melbourne. Ha reso edite quasi 60 raccolte di poesie e due volumi di critiche letterarie, dove ha preso in esame opere di autori del nostro panorama contemporaneo culturale e sovente si è soffermata sul tema della donna, del suo ruolo nella società odierna e del passato, delle problematiche legate alla sua travagliata emancipazione. Con “Da Cassandra a Dora Maar” (2006) ripropone le infinite donne da lei ritratte nei versi per continuare un omaggio ad esse e a lei stessa. Inserita in moltissime antologie, tra cui l’ “Enciclopedia degli Autori Italiani” (2003), “Cristàlia” (2003), “8 Marzo” (2004), “Felicità di parole...” (2004), “Cluvium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005) eccetera. Sempre sul tema della donna ha scritto un saggio sulla poetessa Emily Dickinson. Pluriaccademica, Senatrice dell’ Accademia Internazionale dei Micenei di Reggio Calabria, collaboratrice di molte riviste, è presente in Internet con sue vetrine poetiche. Tra le sue recenti opere: “Insolite composizioni” - vol. VIII (2015), “Viaggio interiore” (2015), “Dalle radici alle foglie alla poesia” (2015), Una raccolta di stili (15° volume, 2015), “Percorsi di critica moderna - Autori contemporanei” (2016), Mi interrogarono le muse… (2018). ** ALDO MARZI - La mia Roma futurista - In copertina, a colori, disegno dello stesso autore - Aletti Editore, 2012 - Pagg. 50, € 12,00. Aldo MARZI è nato a Roma nel 1949 e, dopo gli studi classici, si è laureato in Lettere nel 1973. Ha insegnato materie letterarie nelle scuole medie, curando, nel contempo, il giornale scolastico “Noi insieme”. Poeta e scrittore, ha ottenuto premi e riconoscimenti. Il personaggio di cui si è più occupato è Totò, per il quale ha pubblicato, su riviste letterarie, numerosi articoli e ha tenuto incontri dibattito presso scuole pubbliche. Tra le sue tante pubblicazioni: Stagioni (poesie, 1988), Il giro del tempo (poesie, 1992) e numerosi volumi di narrativa e saggistica, come:

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Totò a scuola (1998), Ciao Totò (2007), Totò partenopeo e parte-futurista (2009), La mia Baarìa futurista (2011), Totò e Pinocchio (2011).

TRA LE RIVISTE L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili - fondata nel 1689 -, diretto da Marcello Falletti di Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (Firenze) - E-mail: accademia_de_nobili@libero.it -. Riceviamo il n. 255/257 dell’aprile-giugno 2019, del quale segnaliamo il saggio d’apertura: “Silvio Pellico e l’amore per le Langhe. Per un racconto inedito di un patriota dimenticato”, di Marcello Falletti di Villafalletto. Il saggio - che bene inquadra la figura dell’uomo e del patriota che ha trascorso dieci anni nella tetra prigione dello Spielberg -, per certi aspetti, sembra una logica continuazione di quell’altro (“Nessuna circostanza fortuita!”) apparso nel numero precedente, perché entrambi con addentellati con i Falletti di Barolo. L’esposizione è limpida, il discorso lineare e chiaro. L’augurio è che, un giorno, l’autore possa raccogliere questi brani, assieme ad altri, e comporne un bel libro. Altro pezzo dello stesso Falletti da rilevare è “Ricordiamo un amico instancabile collaboratore”, Santolo Michele Forlano; e, poi, la sempre interessante rubrica “Apophoreta”, anch’essa curata da Marcello Falletti di Villafalletto. Tra le opere recensite, “Camminerò”, di Elisabetta Di Iaconi, apparsa di recente nei Quaderni Il Croco del nostro mensile. Scrive Falletti che “Già dalla prima poesia (Camminerò) si avverte il percorso ad ostacoli che Elisabetta Di Iaconi intraprende attraverso le controverse esperienze esistenziali (…). Una semplice manciata di voci, gradevoli anche nella forma, che possono dare senso completo ad un tempo che serve, giustamente, per evocare pensieri, inquietarsi ma, più che mai, per lasciarsi conciliare da una mestizia divenuta generatrice di apprezzabile futuro”. Altro volume recensito - questa volta riportando per intero la ghiotta prefazione di Angiolo Maccarini - è “Il canto artistico. Respirazione Artistica Vocale”, di Mario Antonietti e Marcello Falletti di Villafalletto. Antonietti è stato maestro di Marcello Falletti: “L’autore del volume - scrive Maccarini - partecipò attivamente alla Scuola dell’Antonietti, fu testimonianza e testimone. Testimonianza perché l’arte canora del Falletti è frutto palese della Scuola del Maestro di Bucine, dal momento che egli stesso ebbe a dire in una dedica: “al mio carissimo allievo


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Tenore Marcello Falletti voce educata quasi alla perfezione con l’augurio che possa portare la sua bella voce al mondo”; a nostro avviso quel “quasi” da un lato sottende il ruolo mai concluso del maestro - il maestro d’arte ha sempre da insegnare all’ allievo - dall’altro il timore che si interrompa quel legame parentale maestro-allievo tipico della scuola-bottega d’arte (…). Opera quindi scritta a quattro mani, come si è detto, ove l’autore è coautore o viceversa, opera testamento, dedicata “alla memoria di un personaggio”, ma soprattutto data alle stampe per non disperdere quell’insegnamento, quell’arte che il maestro Antonietti aveva appreso dal maestro Giorgi, a sua volta procedendo a ritroso nel tempo tramandata da quella che fu la gloriosa scuola di canto italiana, quel metodo sviluppato dal maestro Antonietti e affidato al maestro Falletti, la respirazione artistica vocale, che per approdare al bel canto decolla dalla scoperta di se stessi”. * THE WORLD POETS QUARTERLY - Rivista bilingue (inglese-cinese), direttore Zhang Zhi - P. O. Box 031 - Guanyinqiao, Jiangbei District, Chongqing City 400020, P. R. China - E-mail: iptrc@126.com - Riceviamo, in contemporanea e nello stesso plico, il cartaceo dei numeri 93 e 94 (febbraio, maggio 2019) della interessante e bella rivista cinese. Del numero 94, che avevamo sfogliato on line, ce ne siamo occupati in Pomezia-Notizie di giugno. Il n. 93, dedica la copertina a colori a Lin Lin, poetessa di Hong Kong, con poesie e curriculum alle pagine 29-32. Le pagine 2, 3 e 4 di copertina, sempre a colori, a Manfred Malzahn (Gerrmania), a Ye Guanghan (pittore, del quale, oltre la foto, vengo riprodotti 4 lavori) e a alle foto di: Mihai Firica (Romania), Mona Dash (UK), Huang Yazhou (Cina), Milutin Duričković (Serbia), Alicja Maria Kuberska (Polonia), Li Shangchao (Cina), Hilal Karahan (Turchia) e Lan Fan (Cina), dei quali tutti troviamo lavori all’interno della rivista. Altri autori presenti: Duan Guang’an (Cina), Mahammad Shanazar (Pakistan), Rubina Andredakis (Cipro), Huang Yazhou (Cina), Shi Ying (Singapore), Nadia-Cella Pop (Romania), Lai Tingjie (Cina), Shihab M. Ghanem (UAE), Domenico Defelice (Italia), Teresinka Pereira (USA), e poi dalla Cina: Fang Wenzhu, Xu Chunfang, Choi Lai Sheung, Tang Zheng, Yy Tian, Liu Dianrong, Qin Chuan, Mu Lan, Yuming Zhou, Kaka, Zha Jingzhou, Ren Yling eccetera. I nostri lettori, che amino la poesia internazionale, non potrebbero trovare di meglio. * POETI NELLA SOCIETÀ - rivista letteraria, artistica e di informazione, diretta da Girolamo Men-

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nella, redattore capo Pasquale Francischetti - via Arezzo 62 - 80011 Acerra (NA) - E-mail: francischetti@alice.it - Riceviamo il numero 94/95, giugno/agosto 2019, la cui copertina, a colori, è dedicata al pittore Vittorio “Nino” Martin, con l’opera “Madre e figlio” (olio su tela 30 x 40). Tra le tante firme, a diverso titolo, segnaliamo quelle di: Giovanna Li Volti Guzzardi e Isabella Michela Affinito. * IL GIORNALE DI VICENZA - Direttore responsabile Luca Ancetti - via Enrico Fermi 205 - 36100 Vicenza - Riceviamo il n. 174 di mercoledì 26 giugno 2019. In questi ultimi tempi, ci è capitato di leggere parecchio su Giovanni Gentile (1875 1944) e, se dovessimo fare un bilancio, francamente non riusciamo del tutto a comprendere se nella maggioranza degli studiosi ci sia l’idea o meno di rivalutarlo o si voglia continuare a far gravare su di lui la lebbra fascista. Sul quotidiano Il Giornale di Vicenza del 26 giugno 2019, leggiamo uno studio della nostra collaboratrice dottoressa Ilia Pedrina, dal quale vien fuori uno “Studente impegnato e ansioso”, attraverso due suoi “sogni premonitori sulla burocrazia”. Dalle lettere di Gentile, Ilia Pedrina riesce a individuare e fare emergere “alcuni episodi curiosi sul futuro riformatore della scuola”; riforma, la sua, la migliore mai effettuata finora, abolita nel 1964 e sostituita da altre via via sempre più pasticciate, quanto intelligenza avrebbe voluto che si apportassero solo lievi modifiche per adattarla ai cambiamenti dei tempi. Il filosofo amava immensamente la scuola e gli allievi, anzi, verso di questi era tanto l’amore che in tutte le occasioni e situazioni si presentava sguarnito di qualunque difesa. E fu, infatti, un finto allievo a ucciderlo il 15 marzo del 1944, presentandosi a lui sotto casa con la pistola nascosta sotto i libri. Ilia Pedrina riporta due delle lettere del giovane Giovanni Gentile e tutte e due che hanno come oggetto i sogni: la prima, del 10 ottobre 1898, a Donato Jaja, suo maestro di Storia e Filosofia. “Questo sogno raccontato per lettera al maestro - scrive la studiosa - è come un’avvisaglia tra realtà e futuro, caricato di simbologie assai preziose”; la seconda, del 16 agosto 1900, a Erminia Nudi, la sua Erminiuccia. “La forza costruttiva di Gentile - scrive Ilia Pedrina - si rivelerà più tardi nella potenza delle sue opere e scelte culturali come la cura dell’Enciclopedia Italiana Treccani, all’interno della quale farà apparire le voci Psicanalisi, Sigmund Freud, proprio là dove Padre Agostino Gemelli voleva metterci controllo esclusivo. Ma Gentile, studioso scrupoloso, sa bene che la religione è una cosa e la conoscenza, la scienza, la guida etica, politica, economica di uno Stato ben


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altra”. Quasi un invito a rileggere Gentile, gli occhi della mente finalmente sgombri dalle solite fette di prosciutto ideologico. (D. Defelice) * IL CONVIVIO - Trimestrale fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza Conti - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) E-mail: angelo.manitta@tin.it; enzaconti@ ilconvivio.org - Riceviamo il n. 77, aprile-giugno 2019. Segnaliamo, tra i saggi, quello di Carlo Di Lieto: “Alberto Moravia, Elsa Morante: una liaison dangereuse”. Carmine Chiodo s’interessa di “Angelo Manitta, Big Bang. Canto del villaggio globale”. A diverso titolo, citiamo le firme di Giuseppe Manitta, Angelo Manitta (tra l’altro, per i sui racconti brevi “La volpe e la trota” e ”Le lepri in lotta con le aquile e la volpe”), Enza Conti (la quale, tra l’altro, si interessa del pittore di copertina: Vladimir Petran). Tra le poesie, evidenziamo quelle di Corrado Calabrò: “Alba di notte” e di Gianni Rescigno: “Nel manto dei pini voce d’usignolo”. Numerose le recensioni, tra le quali quelle di Maristella Dilettoso (“Francesco D’Episcopo, La poesia di Imperia Tognacci: Inquietudine dell’infinito”), Isabella Michela Affinito (“Giorno dopo giorno e Donne, di Antonia Izzi Rufo”), Carmela Tuccari (“Isabella Michela Affinito, Insolite composizioni”), Anna Gertrude Pessina (“Antonio Crecchia, Aforismi”) e Angelo Manitta (“Domenico Defelice, Le parole a comprendere”), il quale conclude che “Defelice in questa raccolta di poesie si mostra quello che è ed è sempre stato: un poliedrico scrittore, satirico, ironico, penetrante, ma anche sensibile, umano, emotivo, uno che però sa dominare la parola, la sa usare e ne lascia comprendere al lettore il suo vero e profondo significato”. Chiudono le ampie rubriche di “La vetrina delle notizie” e “Concorsi letterari”.

LETTERE IN DIREZIONE (Béatrice Gaudy, Francia) Parigi, tempo grigio Buongiorno caro Domenico, Ho scoperto con molto piacere “Le parole a comprendere”. La Sua raccolta è molto commovente per la sincerità che si sente in ogni poema. Non è un diario poetico, eppure la di-

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versità degli argomenti sposa la varietà dei pensieri, delle emozioni, degli avvenimenti della vita. Per questo, la scrittura pare spontanea mentre si nota anche la sua qualità letteraria. A leggere ricordi, opinioni su fatti di cronaca, immaginazione del futuro, il lettore ha l’impressione di penetrare nel segreto di un’anima aperta sul mondo. Tale impressione di vita mentale in moto è davvero rara, leggendo. Ciò detto, non pensi troppo alla morte. Certo, è naturale pensarci più spesso invecchiando. Ma Lei può ancora vivere, stando bene, 10 o 15 anni - o forse di più, ma è più raro mentre la vita di persone giovani si fermerà ad un tratto a causa di un attacco cardiaco o per un altro motivo. A dire il vero, ognuno dovrebbe pensare un poco alla morte, indipendentemente dalla sua età. E poi, “scrivere centinaia di versi” non è fare “Nulla”. Il poeta aiuta gli altri a vivere coi suoi versi, talvolta li aiuta a pensare. La poesia è sempre esistita perché è necessaria all’essere umano. A lungo è stata quasi soltanto orale, ma solo è cambiato il modo di trasmetterla, legato anche all’incremento della popolazione, ma sempre la poesia è stata necessaria. E inoltre Lei fa conoscere numerosi Poeti. Sa quali ricerche devono essere fatte sul computer per “viaggiare con Google”? Sembra interessante! Attraverso i Suoi ricordi, mi accorgo che la reputazione di terra di violenza della Sicilia non è esagerata. Ogni terra ha la propria storia, benché le cose possano evolvere in un modo positivo. Forse Cristo non si fermerà sempre a Eboli, per alludere al famoso libro di Carlo Levi… Ha ragione Lei: la tecnologia si è molto sviluppata da 70 anni. Ma numerosi usi di questa tecnologia sono inquietanti. Gli esseri umani si sentiranno quasi degli dei quando potranno scegliere i loro bambini - e non parlo soltanto dell’apparenza fisica -. Questo momento è abbastanza vicino. In Francia, si parla di “aumentare” l’essere umano in futuro. Ma lui avrebbe piuttosto bi-


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sogno di essere migliorato. E nessuna tecnologia può trasmettere la bontà e il buon senso. E poi, saranno più felici gli esseri umani? Non so, Ma questo solo importa. La tecnologia è una cosa straordinaria quando e solo quando è usata bene, cioè per migliorare la vita. Fra poco, Le manderò un insieme di poemi in cui evoco i pericoli d certi usi della tecnologia. Apprezzo molto Internet per certe cose, ma rimango attaccata ai Diritti Umani - e il diritto alla vita privata ne fa parte -. Come sempre, mi piacerebbe tradurre numerosi poemi di “Pomezia-Notizie”, ad esempio quelli di Mariagina Bonciani sulla farfalla messaggera. Ma non riesco a fare tutto quello che vorrei, il tempo non è abbastanza lungo, e mi sono accontentata di tradurre due poemi sull’incendio di Notre-Dame de Paris. Qui, fino a ora, il tempo è stato variabile, talvolta abbastanza fresco (15° nel pomeriggio) con alcune giornate più dolci (21°). Ma suppongo che a Pomezia le temperature siano più elevate e piacevoli. Le auguro una bell’entrata nell’estate e sempre l’ispirazione letteraria. LeggerLa è un piacere perché ha molto da dire e l’arte per farlo. Con amichevoli saluti. Béatrice Gaudy Carissima Béatrice, viene spontaneo, alla mia età, pensare più speso alla morte, essa essendo vicina; inutile fingere, il più e il meglio della mia vita essendo ormai trascorsi. Ma pensarci ad ogni istante non fa bene, né ai giovani, né ai vecchi ed io non lo faccio; le liriche inserite, oggi, in Le parole a comprendere, riguardano un bel lasso di tempo, partono, infatti, almeno, dal 1997. Divulgare la cultura, far conoscere poeti e scrittori, è stata sempre la mia gioia. Conoscere e far conoscere; ogni incontro, piccolo o grande, è stato un ghiotto arricchimento per me. Tra gli incontri memorabili, c’è proprio quello del 1966 con Carlo Levi, che è

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stato pittore oltre che scrittore e che, nel suo forzato soggiorno nel Sud Italia (come egli stesso confessava; vedere: Domenico Defelice - Festeggiato ad Ariccia la scrittore Carlo Levi, in La Procellaria del gennaio-marzo di quell’anno), in cui è maturato il suo Cristo si è fermato a Eboli, è vissuto circondato da bambini e ragazzi ch’egli tanto amava: “…Se non avevo la compagnia dei Signori, avevo quella dei bambini. Ce n’erano moltissimi, di tutte le età, e usavano battere al mio uscio ad ogni ora del giorno. Quello che li aveva attratti, dapprincipio, era Barbone, questo essere infantile e meraviglioso. Poi li aveva colpiti la mia pittura, e non finivano di stupirsi delle immagini che apparivano, come per incanto, sulla tela, e che erano proprio le case, le colline e i visi dei contadini. Erano diventati miei amici: entravano liberamente in casa, posavano per i miei quadri, orgogliosi di vedersi dipinti. Si informavano di quando sarei andato a dipingere nella campagna; e arrivavano in fretta a prendermi a casa. ce n’era sempre, allora, una ventina, e tutti consideravano massimo onore portarmi la cassetta, il cavalletto, la tela: e per questo onore si disputavano e si picchiavano, finché io non intervenivo, come un dio inappellabile, a scegliere e giudicare…” La delinquenza organizzata, della quale Lei rileva accenni anche nel mio racconto “In viaggio con Google”, non è soltanto la palla al piede del progresso della Sicilia, ma anche della mia Calabria, della Campania, della Puglia, della Sardegna; La famigerata e crudele ‘ndrangheta calabrese sta invadendo l’intera Italia ed è radicata anche all’Estero, Germania e Francia comprese. Orrore e disastro: ecco perché le confessavo, rispondendoLe nel luglio scorso, che, forse, “occorreranno secoli perché si possa debellare la mala erba”. Non scoramento e rinuncia alla lotta, la mia, ma costatazione della difficoltà: per debellarla occorre prima bonificare le coscienze e questo è lavoro lungo e difficile; poi si potrà svellere la velenosa pianta che ha radici antiche e profonde (la mafia siciliana, non ha origini, forse, dalla rivolta contro i Francesi, quella dei Vespri siciliani?).


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La tecnologia non può essere arrestata, ma andrebbe meglio governata. Quale desolazione, se, per esempio, i bambini del futuro dovessero risultare frutto di provette e non di un voluto e sentito atto di amore! Lei, alla domanda “saranno più felici gli esseri umani?”, si risponde dubitativamente; io Le rispondo con assoluta certezza: No! Grazie delle Sue traduzioni, che troverà, in parte, sparse sulle pagine di questo numero (altre, nel prossimo). Lei, così, riprende quella collaborazione fattiva per decenni assolta da altri poeti francesi di valore, tra i quali Solange De Bressieux, Paul Courget, Jacqueline Bloncourt-Herselin. Le dico grazie, pure per questo. Domenico RABBIA INTRANSIGENTE NELL'AMORE Ogni volta che parlo con te sento la tua vigilanza e una penna immaginaria prende appunti parola per parola dei miei peccati. Il tuo segreto e rabbia intransigente è un intruso nella nostra fame d'amore. L'amore non indossa armature, e dalle vene non puoi tirare fuori impulsi segreti e censurare chiaramente la conversazione. Alla fine, come vivere un amore totale e allo stesso tempo da purificare da problemi improvvisi del ragionamento? Teresinka Pereira USA - Trad. Giovanna Guzzardi, Australia

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IMMENSE VALLATE Se chiudo gli occhi posso vedere immense vallate fiorite e posso sentire il profumo dei fiori, è tanto intenso che sa di vita. Manuela Mazzola Pomezia (RM) AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio


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