50ISSN 2611-0954
mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.
Anno 27 (Nuova Serie) – n. 9
€ 5,00
- Settembre 2019 -
L’intervista:
MARINA CARACCIOLO L’INNAMORATA DI BRAHMS a cura di Isabella Michela Affinito
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ARINA Caracciolo è una nota firma nel panorama letterario e musicale contemporaneo, grazie anche all'incontro nell'Ateneo torinese con il grande saggista, critico letterario e poeta Giorgio Bárberi Squarotti, che è stato un suo docente universitario. Lei spazia tra letteratura e musica, ovvero componendo poesie, redigendo saggi monografici come quello su Gianni Rescigno del 2001 o su Ines Betta Montanelli nel 2016; oppure su personaggi della storia musicale come quello su "Brahms e il Walzer. Storia e lettura critica" del 2004. Ugualmente come traduttrice passa dal tedesco e dal francese all'italiano per pubblicazioni che evidenziano la sua bravura e professionalità. Grazie alla sua pronta collaborazione è stato possibile →
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All’interno: Carlo Bo, l’esigenza di un’altra civiltà, di Luigi De Rosa, pag. 6 Dacia Maraini, Corpo felice, di Giuseppina Bosco, pag. 8 Francesco D’Episcopo maestro di cultura e vita, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 10 Domenico Defelice, Le parole a comprendere, di Giuseppe Leone, pag. 13 Zhang Ye, di Domenico Defelice, pag. 15 L’Italia grande nel mondo…, di Leonardo Selvaggi, pag. 19 “…Questo tovagliolo ha l’argento vivo…”, di Ilia Pedrina, pag. 24 I Poeti e la Natura (Baudelaire), di Luigi De Rosa, pag. 26 Notizie, pag. 34 Libri ricevuti, pag. 37 Tra le riviste, pag. 38
RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Viaggio esistenziale, di Luigi De Rosa, pag. 28); Isabella Michela Affinito (Crepuscolo, di Tito Cauchi, pag. 29); Elio Andriuoli (I dintorni dell’amore, di Nazario Pardini, pag. 30); Domenico Defelice (I racconti di Lucio I., di Antonia Izzi Rufo, pag. 31); Manuela Mazzola (I racconti di Lucio I., di Antonia Izzi Rufo, pag. 31).
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Antonio Crecchia, Domenico Defelice, Ada De Judicibus Lisena, Luigi De Rosa, Patrizia De Rosa, Francesco Fiumara, Manuela Mazzola, Teresinka Pereira, Gianni Rescigno, Franco Saccà, Leonardo Selvaggi, Changming Yuan realizzare la seguente intervista, in cui ha raccontato anche quella parte di sé ancora sconosciuta a noi, suoi più vivi estimatori. Entriamo dunque con grande curiosità d'animo nel racconto, composto da undici risposte, della vita di questa scrittrice. 1) La scelta di trasferirsi a Torino, per una persona come Lei che già era nativa del Nord, di Milano, come è successa? R) Il trasferimento a Torino non è stata una mia scelta personale – né avrebbe potuto esserlo, dato che ero troppo piccola! Mio padre, che era un bibliotecario, arrivato a trentasette anni decise di lavorare per una grande azienda in modo da avere più sicurezza e anche delle opportunità di carriera. Così rispose a un annuncio, scoprì che si trattava della Fiat, e dopo il periodo di prova fu assunto. In tanti anni, nominato poi capo
ufficio, operò moltissimo per quel Dipartimento Norme e Pubblicazioni (che oggi è il Centro di Documentazione di Rivalta, poco fuori Torino). Fra i suoi impegni, ce n’era uno molto interessante: aiutare i laureandi in ingegneria meccanica del Politecnico, mandati da lui dal docente relatore, ad orientarsi nella ricerca bibliografica delle fonti, imprescindibile punto di partenza di una tesi di laurea. Fra questi giovani qualcuno divenne anche una personalità di spicco, come per esempio il direttore della Ferrari di Modena, il quale – in una lettera che conservo gelosamente – dopo molto tempo si ricordava ancora di lui e del valido e incoraggiante sostegno ricevuto all’epoca dei suoi studi universitari torinesi. 2) Cosa pensa del ruolo di critico letterario ai giorni nostri per una donna: è più difficile secondo Lei affermarsi ri-
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spetto alla figura dell’uomo-critico letterario? R) La donna, come sappiamo, ha fatto da tempo molti passi significativi facendosi onore, affermandosi in tutti i campi e affiancando l’uomo nell’esercizio delle più diverse professioni. La critica letteraria, tra l’altro, mi sembra un’attività eminentemente femminile, poiché esige acutezza analitica, attenzione ai particolari, sensibilità e fantasia. Tutte doti che noi possediamo spesso in alto grado, in special modo se siamo anche scrittrici. Trovo molto bello confrontare, a proposito di una medesima opera letteraria, la critica di una donna con quella di un uomo (spesso, per volontà del nostro Direttore, succede proprio sulle pagine di PomeziaNotizie): sono entrambe interessanti, due approcci che possono essere molto diversi per impostazione, ma sempre utilmente complementari. Credo, comunque, che una donna oggigiorno abbia senz’altro maggiori ostacoli nel diventare ad esempio una direttrice d’orchestra (e ce ne sono, anche di validissime, sia in Italia sia all’estero) che non un recensore o un critico letterario! 3) Lei, laureata all’Università torinese presso la Facoltà di Lettere e Filosofia con indirizzo in Storia della Musica, suona uno strumento musicale o avrebbe voluto? Se sì, ci racconti. R) La laurea in Storia della Musica è stata per così dire l’ovvia conseguenza di una passione affiorata già nell’infanzia: anche i miei genitori erano appassionati di musica, tanto di quella strumentale come del teatro d’opera; non andavo ancora all’asilo quando mi portarono a teatro per la prima volta a vedere la Cavalleria rusticana di Mascagni. Ho cominciato a studiare il pianoforte a sei anni: al mattino scrivevo a scuola le prime parole in stampatello e in corsivo, al pomeriggio iniziavo a inserire nel pentagramma note bianche e nere e a tentare le prime scale sullo strumento. I severi studi del ginnasio e del liceo classico mi costrinsero poi a rallentare alquanto questo impegno. Tuttavia lo
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studio del pianoforte mi è sempre servito, e si è rivelato indispensabile quando si è trattato di analizzare le composizioni musicali oggetto della mia tesi. Purtroppo, per mancanza di tempo, attualmente suono ben poco... 4) Quale periodo della storia musicale ammira, ama di più coi relativi musicisti e perché? R) Al liceo mi sono innamorata del Romanticismo tedesco, in letteratura e in musica. Mentre leggevo Heine, Eichendorff, Goethe, Schiller, Kleist ed altri (allora soltanto in traduzione italiana!) contemporaneamente ero affascinata da Mozart, Beethoven (del quale, chissà perché, mi piaceva ascoltare i quartetti per archi mentre traducevo Virgilio), Mendelssohn, Schumann, Brahms... Ben presto questi ultimi due divennero in assoluto i miei prediletti (senza certo mai trascurare altri grandissimi compositori precedenti come Bach, Händel, Corelli, Pergolesi, Haydn, ecc.). Forse l’essenza e i vari aspetti peculiari del Romanticismo corrispondono in particolare alla mia personalità e vi si rispecchiano come in un limpido lago... Così, a suo tempo, la tesi di laurea da me scelta (e approvata dal relatore, che era Massimo Mila) si è basata proprio sulla storia e sull’analisi di alcune opere dell’ amatissimo Johannes Brahms. Ampliata e riveduta dopo diversi anni, è diventata un libro. Una delle mie più grandi (e recenti) soddisfazioni è stata quella di vederlo citato da uno studioso degli Stati Uniti, che l’ha definito an excellent work, e per di più il testo “più ampio, analitico ed esaustivo” che esista finora sull’argomento. Davvero non me lo sarei proprio aspettato!... 5) Lei ha un cognome di cui esiste anche un Santo, San Francesco Caracciolo festeggiato il 4 giugno, e la denominazione della passeggiata lungomare nel capoluogo partenopeo, Via Caracciolo di Napoli. Ha avvertito ogni tanto, avverte dentro di sé un legame atavico con la mi-
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tica terra campana? R) La stirpe dei Caracciolo è antichissima e molto vasta, suddivisa in diversi rami. Io appartengo a quello dei Pisquizi, che è di origine pugliese. Quindi non sono discendente diretta né dalla famiglia di San Francesco Caracciolo, che era figlio di un marchese marchigiano, né da quella di un altro Francesco Caracciolo, vissuto secoli dopo, il famoso ammiraglio napoletano fatto impiccare per ordine di Nelson durante la Rivoluzione del 1799. Fra l’altro vorrei specificare, per curiosità, che il mio cognome deriva dalle parole greche кάρα (cára, testa) e ξύλον (xúlon, legno), con evidente riferimento a doti di tenacia e inflessibilità riscontrate fin dalle origini: caratteristiche che sono ben presenti, direi, nel mio carattere, e ciò vuol dire che la stirpe è comunque una sola e che... buon sangue non mente! 6) Lei è stata un’allieva dell’illustre docente universitario, critico letterario, saggista, poeta Giorgio Bárberi Squarotti, a cui ha dimostrato la massima riconoscenza il giorno dell’addio con il dono delle tre gerbere dai differenti simbolici colori. Ci piacerebbe conoscere una sua interpretazione personale di quella che è stata la figura eclettica dominante nella letteratura contemporanea del professore torinese. Ci racconti. R) Del professor Bárberi conservo un ricordo pieno di ammirazione e di rimpianto; un rammarico dovuto anche al fatto di non averlo potuto frequentare di più, dal tempo della laurea in poi. Ci si scriveva, però, e le sue lettere, sempre gentilissime, terminavano invariabilmente con la frase “spero in future occasioni di incontro”. – La sua personalità poliedrica è difficile da definire: non è mai semplice circoscrivere e ‘ingabbiare’ i Grandi in poche parole. Tuttavia posso dire almeno che la sua cultura era tanto profonda quanto sterminata, avendo egli scritto, nella sua lunga attività di critico e di docente, saggi monografici su ogni grande
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autore della letteratura italiana, dalle origini a tutto il Novecento: non c’è corrente letteraria, non c’è aspetto o questione o personaggio su cui non abbia pubblicato pagine di grande perspicacia e originalità interpretativa. Rimane senza dubbio uno dei più grandi storici letterari del nostro tempo. Come ho scritto in quell’articolo su Pomezia-Notizie, non ho dimenticato le sue belle lezioni nell’aula magna dell’Università, le sue domande agli esami, sempre così ricche di spunti di sviluppo, e in particolare lo ricordo durante la discussione della mia tesi, che non verteva sulla letteratura italiana, ma gli diede tuttavia occasione di intervenire più volte e di sostenermi, all’occasione, con i suoi cenni di approvazione e il suo sereno sorriso. 7) L’aver scelto il compositore tedesco Johannes Brahms, e il suo impegno nel genere del Walzer, per un saggio di critica musicale da che cosa è scaturito? R) Johannes Brahms è stato il colpo di fulmine musicale dei miei diciotto anni (ma a differenza di un fulmine non ha mai cessato di scintillare nel mio cielo). Un giorno Massimo Mila portò in aula un disco con i suoi Liebeslieder Walzer (quartetti vocali a quattro voci con accompagnamento pianistico). Ce li fece ascoltare e poi disse: “Non è detto che Brahms conoscesse espressamente le chansons di Guillaume Dufay [il grande musicista del Quattrocento su cui verteva il suo corso di Storia della Musica di quell’anno], ma queste sue composizioni possono farvi capire come egli avesse, dell’ antica polifonia fiamminga, una conoscenza a dir poco superba”. Quella musica mi colpì subito per il suo straordinario fascino melodico e ritmico, e insieme per le raffinatissime radici musicali che vi erano sottese e che il professore aveva appena sottolineato. Scoprii poi, per combinazione, che nessun autore vi aveva dedicato uno studio ampio e particolareggiato: riferimenti qua e là, nella bibliografia brahmsiana, qualche articolo o saggio breve ma non molto di più. Ero solo
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al primo anno di Università, ma non mi ci volle molto per decidere, prima di laurearmi proprio in Storia della Musica e poi precisamente su quell’argomento. Il resto l’ho già raccontato. 8) Lei che espleta sia la critica letteraria che la critica musicale, quale delle due richiede più sforzo nel commentare? R) L’una e l’altra critica sono in qualche modo affini, si tratta infatti pur sempre di un approccio filologico, ossia di analisi di testi (rispettivamente letterari e musicali). Direi però che la critica musicale è ancor più complessa, comportando spesso ricerche più lunghe e più articolate. Tutto dipende in ogni caso dall’argomento scelto, dal suo specifico spessore e dalle sue diverse e ramificate implicazioni. Ci possono volere mesi e mesi per scrivere un saggio letterario e qualche anno per scriverne uno musicale. Ma può essere vero anche il contrario. 9) C’è un personaggio, maschile o femminile, della letteratura o della storia della musica nel quale si è vista riflessa o che avrebbe voluto essere, considerando anche l’epoca in cui egli o ella visse? R) Mettendo insieme la Germania, l’Ottocento e la Musica, beh... un personaggio femminile che ammiro molto è Elisabeth Herzogenberg: superdotata allieva e poi grande amica di Johannes Brahms (come io lo sono idealmente!), appassionatissima della sua musica, eccellente pianista e per di più capace di leggere e di scandagliare a prima vista le partiture – ancora manoscritte! – che egli le inviava per conoscere le sue impressioni. Le sue lettere di risposta (che ci sono tutte pervenute) erano spesso un piccolo gioiello di critica musicale ante litteram. Per di più era molto bella, di nobile stirpe, piena di grazia e di gentilezza. E chi non vorrebbe essere una donna così?... 10) C’è un sogno letterario che ancora non ha realizzato?
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R) Non saprei... Forse pubblicare un libro di poesie oppure uno di favole (genere, questo, difficilissimo!). Molti amici mi esortano in questo senso, perché io lascio un po’ troppo da parte la scrittura creativa (pur dedicàndomici qualche volta) a favore di quella critica. Tuttavia, in futuro, chissà?... Mai dire mai. 11) (Domanda di riserva nel caso qualcuna delle ultime cinque non andasse bene) C’è un brano musicale che non si stancherebbe mai d’eseguire al pianoforte, a cui è particolarmente legata e perché? R) Sì, è un brano classico e moderno insieme: una composizione di una musicista e cantante irlandese di nome Enya. Il pezzo, che è strumentale, ha il bellissimo titolo di Watermark, “Tracce d’acqua”. L’ho ascoltato parecchi anni fa in disco, ho acquistato il foglio d’album e poi l’ho studiato. Mi è piaciuto suonarlo più volte, con gli amici oppure per conto mio. Non mi annoia mai. Ha un fascino particolare, tanto nell’insieme come nei dettagli. Sono solita dire che ha la bellezza sobria ma misteriosa del tulipano: fiore che, se non è certo l’unico che amo, è però quello che prediligo, e se l’avessi sempre davanti agli occhi non mi stancherebbe mai. Isabella Michela Affinito
FINE DI UN AMORE Avrei voluto rivelarti interezza dissolvere l'indifferenza e donarti seni caldi di speranza. Patrizia De Rosa (Genova)
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CARLO BO: L'ESIGENZA DI UN'ALTRA CIVILTÀ di Luigi De Rosa .
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ARLO Bo è stato uno studioso e Critico letterario che, dedicando la sua vita all'insegnamento universitario e alla Letteratura, ha saldato in un forte legame culturale la Liguria della sua Sestri alle Marche di Urbino, ricche di arte e di cultura. Era nato a Sestri Levante il 25 gennaio 1911. Compiuti gli studi superiori dai Gesuiti dell'Istituto Arecco di Genova (il supplente di greco era Camillo Sbarbaro, che gli insegnava ...anche “poesia”) si era laureato in Lettere Moderne a 23 anni, nel 1934, all'Università di Firenze. A partire dal 1938 si svolse la sua carriera all'Università di Urbino, prima di docente (di Letteratura francese e spagnola), e poi di Rettore. Negli anni della guerra (dal 1940 al 1945) visse a Sestri Levante, a Rivanazzano (Voghera) e a Valbrona (lago di Como). Alla fine della guerra si stabilì a Milano insieme a Marise Ferro (già moglie di Guido Piovéne).
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Ma a Sestri Levante sarebbe poi sempre tornato come in un amato rifugio estivo, a coltivare le sue origini, a passeggiare, con il solito sigaro tra le labbra, a nuotare nella Baia del Silenzio con la sorella, a leggere, a conversare (anche se burbero e riservato, ma buono ed essenziale, come sanno esserlo tanti Liguri...). Nel 1947 ( quindi a soli 36 anni) venne nominato Rettore dell'Università di Urbino. Svolse questo prestigioso incarico per ben cinquantatré anni consecutivi, fino all'anno 2000. Tra i suoi meriti, l'aver fondato, già nel 1951, la Scuola Superiore per interpreti e traduttori di Milano. Scuola che, com'è noto, avrebbe poi aperto nuove sedi in Italia. Nel 1984 fu nominato “senatore a vita” dall' allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini (nei gruppi Democrazia Cristiana, Partito Popolare Italiano, La Margherita). Carlo Bo, oltre che docente e scrittore, è stato anche giornalista, scrivendo per trentasette anni per il Corriere della Sera (dal 1963 al 2001). E' morto a Genova il 21 luglio 2001. Ai suoi funerali ha partecipato anche il Presidente della Repubblica Ciampi. Due anni dopo, l'Università di Urbino è stata intitolata al suo nome. Carlo Bo ha contribuito grandemente, anche con le sue magistrali Traduzioni (nel 1996 l'Università di Verona gli ha conferito la laurea honoris causa in Lingue e Letterature Straniere) a far conoscere la Poesia europea del Novecento, nonostante certe chiusure nazionalistiche del Fascismo. E questo non solo approfondendo la conoscenza di poeti già noti come Antonio Machado, Paul Claudel, Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, ma anche, e soprattutto, valorizzando poeti nuovi come Federico Garcia Lorca, Paul Eluard, André Breton e, nell'ambito dell'Ermetismo italiano, Mario Luzi, Carlo Betocchi, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo. Tra gli Autori che, a loro volta, si sono occupati di lui, basta qui ricordare Mario Apol-
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lonio, Oreste Macrì, Silvio Ramat, Piero Bigongiari, Mario Luzi, Geno Pampaloni. In tanto fervore di attività, comunque, non ha mai trascurato la cultura letteraria della sua Regione. Un esempio per tutti: l'appoggio e il riconoscimento critico per un nuovo poeta di Sestri Levante, Giovanni Descalzo (per non parlare del citato Montale e di altri). A Descalzo ha assicurato un posto nella storia letteraria italiana inserendolo nella sua importante “Storia della Letteratura Italiana” edita dalla Mondadori. Per Carlo Bo, la letteratura è stata talmente importante da identificarsi con la vita stessa. (“La letteratura è stata davvero per me, da un certo momento, la vita stessa.” - Diario aperto e chiuso 1932/1944). E' stato definito l'anti-Croce anche per la fedeltà al concetto “Letteratura uguale Vita” espresso a chiare lettere già nel 1938, nel suo testo Letteratura come vita, considerato il Manifesto della Letteratura del Secondo Novecento. In tale fondamentale scritto affermava, tra l'altro: “...A questo punto è chiaro come non possa esistere un'opposizione fra letteratura e vita. Per noi sono tutt'e due, e in ugual misura, strumenti di ricerca e quindi di verità... Non crediamo più ai letterati padroni gelosi dei loro libri ...Non esiste un mestiere dello spirito... il valore di un testo dipende dal suo grado di vita, dal modo in cui è stata rispettata la vera realtà dei nostri movimenti...” Per capire meglio il pensiero di Carlo Bo, non si può non tenere presente che, al di sopra dei valori puramente critici e tecnicoletterari, per lui contano soprattutto i valori umani e spirituali. Per lui, nonostante il suo cattolicesimo “...non assestato, non formale, nemmeno troppo ortodosso e rigoroso...” è in ogni caso di estrema importanza una visione della vita cristiana, etica, spirituale. Si veda anche l'opera “Siamo ancora cristiani”, del 1964, nonché quelle intitolate “Don Calzolari ed altri preti “ del 1979, “Sulle tracce del Dio nascosto”, del 1984, “Solitudine e carità”, del 1985. Vicino ai grandi intellettuali cattolici francesi come Mauriac, Claudel,
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Bernanos, Maritain, è arrivato a propugnare un cristianesimo che esprima le ragioni dell'animo umano, che, contro ogni disperazione e crisi di pessimismo, creda profondamente in una “speranza scandalosa”, quella della preghiera... Bo è arrivato a scrivere, con estrema chiarezza, che “...se nella Letteratura non c'è, incarnato, lo Spirito, la letteratura è secca, sterile, non vale niente.” E per quanto riguarda i grandi problemi del nostro tempo, ed il nostro futuro, ha scritto, fra l'altro: “Bisognerà costruire insieme, credenti e no, un'altra civiltà, un mondo che sappia finalmente ritrovare lo spirito della carità cristiana, cioè saper perdonare e cercare di risolvere problemi epocali, inevitabili e giganteschi, secondo uno spirito di carità. Per quanto riguarda la Letteratura, essa è sempre figlia del proprio tempo, e mancando oggi valori forti, non vedo all'orizzonte la possibilità di una nuova classicità: i prossimi decenni saranno ancora tempi di sperimentalismi.” Luigi De Rosa
NECESSITÀ Conosci gli istanti trasognati quando si arresta il respiro del tempo e le cose si fermano d’improvviso? Sono gli istanti puri: nel giardino la rosa è perfezione della rosa e gli occhi del gatto sereno l’oro della nuvola lontana l’odore fondo dei fiori del limone sembrano necessità. Sono gli istanti compiuti: forse allora le nostre occasioni hanno impronta più chiara di Assoluto. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017.
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DACIA MARAINI CORPO FELICE di Giuseppina Bosco
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A scrittrice Dacia Maraini esordisce nel 1962 con il romanzo La vacanza. Successivamente pubblicherà L'età del malessere (1963), Memorie di una ladra (1973), Donna in guerra (1975), Isolina (1985), Premio Fregene 1985, ripubblicato nel 1992; tradotto in cinque paesi), La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990), Premi: Campiello 1990; Libro dell'anno 1990; tradotto in diciotto paesi), da cui è stato tratto il film di Roberto Faenza Marianna Ucrìa, Voci 1997; nel 1993 pubblica Bagheria. Un altro importante romanzo è Il treno dell’ultima notte (2008); ultimamente ha pubblicato Tre donne (2017), Corpo felice (2018) Editore Rizzoli. Il nuovo libro “Corpo felice” è una lunga riflessione sulla condizione della donna con una particolare attenzione al corpo femminile, da sempre oggetto di manipolazione viola-
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zione, espropriazione. Di fatti al centro della narrazione vi è un dialogo di questa madre (che è sicuramente l’autrice) con il figlio che porta in grembo ,nutrendolo e custodendolo per sette mesi, ma a causa di un ritardo del dottore viene alla luce senza vita. Nonostante il drammatico epilogo della gravidanza della donna, l’autrice si considera una madre per sempre. Attraverso questo dialogo immaginario si dipana tutta una riflessione anche sul rapporto generazionale tra una madre che immagina di vedere crescere un figlio che da bambino sensibile e volenteroso pronto a tutte le sollecitazioni diventa, un adolescente ribelle alla famiglia e ai valori educativi impartitegli, assumendo atteggiamenti sovversivi e cinici. Si nota, inoltre, la stessa lucidità e sensibilità femminile, che la Maraini ha manifestato in una precedente pubblicazione ”Un clandestino a bordo”, per il sottile scavo psicologico nell’interiorità della donna, e man mano procede il dialogo/monologo con il figlio immaginario perduto, la scrittrice opera un’ intelligente riflessione su pregiudizi e sugli stereotipi di genere anche da parte di illustri uomini di cultura, filosofi, storici, letterati la cui idea di donna è quella di un “essere” inferiore. Difatti numerose sono le citazioni che dimostrano quanto diffusa sia stata la misoginia nel mondo culturale sia religioso sia laico. Ad esempio uno dei mottetti del Belli diceva: ”la donna è come la castagna: bella de fora e dentro ha la magagna“ e Honorè de Balzac sosteneva “Le donne vanno trattate come schiave persuadendole di essere regine” addirittura il poeta Charles Baudelaire affermava “mi sono sempre stupito che alle donne permettessero di entrare nelle chiese. Che conversazione possono mai avere con Dio?” Anche Aristotele, il più importante filosofo dell’antichità, era convinto che le donne fossero dei maschi sterili, “nel senso che non hanno abbastanza forza vitale per creare il seme da cui nascerà l’uomo”. Forse queste forme di misoginia nascono dalle paure e dai sogni di dominio del maschio. Di certo una donna che legge, studia, scrive ed esprime
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sempre il proprio pensiero non è tollerata, non solo dai fanatici maschilisti ma anche da altre donne che assumono gli stessi schemi fuorvianti. Difatti a pag. 160 dell’opera si legge: “Introiettando in profondità l’idea della propria inferiorità, le donne spesso si sono fatte le peggiori nemiche di se stesse e delle altre donne”. È vero che nel campo dei diritti ci sono stati dei progressi riguardo all’ emancipazione della donna, ma è pur vero che gli stereotipi di genere permangono. Ancora oggi quando le donne denunciano gli atti di violenza subiti vengono ritenute loro stesse colpevoli di aver prima sedotto il presunto stupratore e di essere state consenzienti: convinzione addirittura arcaica risalente agli antichi Romani, i quali ritenevano che “Vis cara puella”. Questa è purtroppo la convinzione comune a tanti uomini che non rispettano l’ autonomia delle donne. Resta comunque la loro prerogativa nel donare agli altri e sono significativi a tal proposito i profondi sentimenti dell’autrice verso questo figlio immaginario presenti nell’ultima pagina del libro: «Perdu si è innamorato di una ragazza di qualche anno più grande di lui. Ha attraversato le pianure della grazia. E poi le gole della gelosia. E quindi si è arrampicato sulle rocce dell’amore vero, quello che aspira alla conoscenza e al bene dell’altro. Si è trovato in cima a una montagna scoscesa da cui non sapeva come scendere senza sfracellarsi… Ma quando si è alzato in piedi ha compreso di essere diventato un altro. Un uomo. E non abitava più nel corpo di sua madre, ma in un mondo pieno di pericoli e di strazio, ma anche di tenerezza e di comprensione. E da lì mi ha teso la mano». Giuseppina Bosco
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That used to dwell in the body Of one of your closest ancestors He comes down all the way just to tell you His little secret, the way he has flown out Of darkness, the fact both his body and heart Are filled with shadows, the truth about Being a dissident, that unwanted color Hidden in your own heart is there also a crow Much blacker than his spirits But less so than his feathers [First published in Fleurs des Lettres in Hong Kong (Summer 2014)] 我的乌鸦 你瞥见的每只乌鸦 都有颗半白的灵魂 它以前的栖身处是 你最直系的一位祖先 它不远万里飞来,只是要告诉你 它的一个小小秘密,它如何飞出 黑暗,它的心身如何充满阴影,以及 它作为叛逆者不受欢迎的肤色 在你自己的心中也有一只乌鸦 比它的精神更黑 但比其羽毛更淡 刊于《字花》2015年夏季期 IO Io come nessuno. Io, come una lacrima che segna il viso di un uomo.
Una poesia di CHANGMING YUAN INERMI My Crow Each crow you have seen Has a quasi white soul
Inermi come foglie in balia del vento Manuela Mazzola Pomezia, RM
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Per i settant’anni di FRANCESCO D’EPISCOPO MAESTRO DI CULTURA E VITA di Liliana Porro Andriuoli
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OPO due anni dalla pubblicazione di un libro di testimonianze in onore di Francesco D’Episcopo, pubblicato al momento del suo pensionamento dalla Federico II di Napoli, con i contributi di ex-allievi e di uomini di cultura, a cura di Maria Gargotta e Giampasquale Greco, intitolato Il Sud selvaticamente civile di Francesco D’ Episcopo (Graus Editore, Napoli 2017), ecco un nuovo libro in suo onore, dal titolo A Francesco D’Episcopo, Maestro di cultura e vita, in occasione del compimento dei suoi settant’anni. Anche questa nuova pubblicazione esce, come la precedente, presso lo stesso Editore ed è ancora curata da Maria Gargotta, poetessa, critica letteraria, scrittrice di romanzi, ma ciò che più conta in questo contesto, laureata in lettere classiche presso la suddetta Università, dove ha collaborato per anni come cultrice. Il libro inizia con un Prologo, Dentro le carni della parola scritta, di Donato Francesco Orlando, che fa, per così dire, da tres d’union con il libro precedente, in quanto nel presentare l’Autore e nell’illustrarne la carismatica figura «connette il presente volume» con il primo, come viene esplicitamente osservato in una nota a piè di pagina. Lo splendore del buio intitola invece Vincenzo Di Sabato il suo contributo a questo nuovo libro, soffermandosi sulla nascita di
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Francesco D’Episcopo, di cui ricorda l’ evento, avvenuto in una notte di tempesta. Di Sabato, allora ragazzino tredicenne, rievocando quell’evento, ci trasmette la sua emozione di fronte alla gioia della Sig.ra Aurora per essere diventata mamma di Francesco. Molto bene questo intervento del già direttore del Centro Studi «Molise 2000» si collega con la poesia che segue; una poesia a firma di D’Episcopo, dai toni estremamente delicati, da lui dedicata alla madre ed intitolata appunto con il suo nome, Aurora. Segue Settanta ed oltre, l’intervento di Maria Gargotta, che testimonia il «ruolo del Maestro» e l’efficacia del suo insegnamento, quanto mai formativo per i propri allievi. Forse non è superfluo ricordare il suo ampio e acuto intervento, Francesco D’Episcopo: un professore stra-ordinario, apparso nel libro precedente in cui, ricordando il magistero universitario del proprio maestro la Gargotta aveva fra l’altro efficacemente evidenziato la non comune capacità del «professore straordinario»: quella di «saper trarre fuori» da ogni studente le proprie «potenzialità» nascoste. Confidenzialmente A Francesco s’intitola il contributo di Antonio Capuano. Il quale pone a sua volta lo sguardo su D’Episcopo «Cacciatore di scrittori», capace di scoprire e valorizzare autori di sicuro valore, come è stato per Francesco Bruno, Tonino Masullo, Giuseppe Montesano ed Enzo Striano, contribuendo alla loro maggiore conoscenza anche al di là della loro regione di origine. Antonio Crecchia, studioso e scrittore molisano (è infatti originario di Tavenna, CB, e risiede a Termoli), dedica il suo lungo e dettagliato intervento (20 pagine), affrontando essenzialmente l’argomento della «molisanità» di D’Episcopo, anch’egli nato in provincia di Campobasso. Nel suo intervento Crecchia mette in luce come molto D’Episcopo s’ interessò del conterraneo Francesco Jovine (Guardialfiera, CB, 1902 - Roma, 1950), uno scrittore e un intellettuale di notevole spessore che affrontò i problemi sociali, economici e politici non solo della sua regione ma an-
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che, più in generale, dell’intero Mezzogiorno. In particolare D’Episcopo favorì la riedizione dei due romanzi fondamentali di Francesco Jovine: Signora Ava e Le terre del Sacramento (quest’ultimo apparso postumo e coronato dal Viareggio nello stesso anno della morte dell’autore), entrambi da lui studiati a fondo. Crecchia ricorda inoltre come D’Episcopo si sia occupato anche di altri importanti scrittori, quali Masuccio Salernitano, Giovanni Pontano, Alfonso Gatto, Gian Battista Vico, Luigi Settembrini, Francesco Mastriani, Gabriele D’Annunzio, Enzo Striano, ecc. Giulio de Jorio Frisari, nel suo articolo Francesco D’Episcopo e la promozione della cultura nel Molise – Ricordo del Premio «Giuseppe Jovine», si occupa anch’egli degli studi «molisani» di Francesco D’Episcopo, ricordando in particolare il «Premio Giuseppe Jovine», della cui giuria, oltre a D’Episcopo, facevano parte Giuliano Manacorda e Antonio Piromalli. Antonio De Vita, nel saggio successivo, si diffonde invece sull’attività didattica di D’Episcopo, con uno scritto intitolato Scuola e Università nella «lezione» di Francesco D’Episcopo. Alle testimonianze di Enrico Esposito (Per Francesco D’Episcopo) e Alberto Mirabella (Note su Francesco D’Episcopo) seguono due interventi molto diversi dal restante contesto, che mettono in luce aspetti poco noti del nostro critico. Nel primo dei due, Le «felici incursioni pamphlettistiche» di Francesco D’Episcopo, di Emilia Persiano De Vita, l’ autrice si sofferma infatti su un D’Episcopo che si mostra in tutta la sua verace napoletanità, ereditata dal padre Mario, come si evince sin dai titoli dei tre divertenti libretti: Elogio della lettera scritta a mano (2017); In nome dell’ozio ed elogio della pancia (2018) e Napoli città creativa (2018), recentemente pubblicati da D’Episcopo, i quali, sotto un’ apparente leggerezza stilistica, tipica dei pamphlets, «propongono temi di grande serietà sia sul piano teorico che pratico, realizzando un capolavoro del genere colloquiale, con toni anche di complice confidenzialità…».
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Nell’altro intervento, soffermandosi sull’ «Elogio della lettera scritta a mano» di Francesco D’Episcopo (2017), Grazia Cerino pone in evidenza l’importanza della comunicazione manoscritta, fatta risaltare dal nostro autore, secondo il quale chi scrive a mano una lettera reca a chi legge il suo stato d’ animo e gli dona «qualcosa di sé». In piena era digitale D’Episcopo loda pertanto la manualità della scrittura, capace di mettere in più diretto contatto scrivente e destinatario, rivelando il primo al secondo qualcosa che costituisce l’immediata espressione del proprio animo e svelandogli la natura segreta del suo messaggio. Mario Piscopo, a sua volta, apre il proprio intervento, intitolato Ai nostri Padri, riportando la poesia A mio Padre di Alfonso Gatto, che suggellò «la sua profonda amicizia con Francesco D’Episcopo». Ed al contempo ricorda come D’Episcopo, nelle sue conferenze culturali, evocasse sovente, sempre con animo ammirato e commosso, la figura paterna. L’intervento di Mario Piscopo si conclude con la poesia Quadrittico per mio padre di Francesco D’Episcopo, dalla quale la figura paterna emerge con singolare verità e autenticità del sentire. Seguono gli interventi di Paolo Romano (Biografia non autorizzata di Francesco D’Episcopo); Franco Bruno Vitolo (Caro Francesco, genio e regolatezza) e Giuseppe Vitolo (Discorso in omaggio di Francesco D’Episcopo per la cittadinanza onoraria del comune di Castiglione dei Genovesi), che conclude il suo intervento con una poesia dedicata Al Professor Francesco D’Episcopo. Qui finisce la Prima Parte del volume, cui succede una Seconda dedicata a Francesco D’Episcopo poeta, in quanto autore di una silloge intitolata Vita (Genesi Editrice, 2018) vincitrice del Premio torinese I Murazzi di quell’anno, nella quale sono stati raccolti i contributi critici di Elio Andriuoli (Francesco D’Episcopo: Vita), che mette in luce la vena «limpida e schietta» del nostro Autore. Segue uno scritto di Antonio Corbisiero (Poeta me-
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ridionalista), il quale si sofferma in particolar modo sul D’Episcopo in quanto poeta del Sud. Ritroviamo ancora in questa seconda parte del libro il nome di Antonio Crecchia, il quale nel suo contributo evidenzia la perspicuità delle poesie di D’Episcopo che compaiono in Vita, nelle quali l’autore mai si lascia sedurre da un genere di poesia che faccia uso di «contorsioni, distorsioni e stravolgimenti linguistici». Crecchia dedica inoltre a D’Episcopo una poesia dal titolo Ponte del Liscione, che evoca comuni ricordi molisani. Un’acuta analisi della poesia di Francesco D’Episcopo è poi compiuta da Maria Gargotta, con il suo intervento Francesco D’ Episcopo poeta nuovo, nel quale, dopo aver evidenziato le caratteristiche primarie della poesia di D’Episcopo, che sono quelle della spontaneità e del ritmo interno, la Gargotta mette in luce le ragioni profonde del suo dire poetico, che sono «malinconia e allegria», «senso e non senso», ma soprattutto l’ «amore», che può indirizzarsi verso i genitori, verso la donna della sua vita, verso Napoli, la sua città dell’anima, verso altri luoghi e specialmente verso la «parola», quale mezzo di espressione e di completamento della personalità umana. Seguono poi gli scritti di Manrico Murzi, che si sofferma sulla poesia di D’Episcopo quale «canto alla donna e all’amore»; di Marcello Napoli, che parla del valore della poesia, quale strumento capace di vincere il male del mondo; di Lorenza Rocco, sulla poesia «come parola portata alla luce attraverso un sofferto lavoro di scavo»; di Piero Antonio Toma, che intitola il suo intervento: Il mare, l’amicizia e la natura. Quando i versi si fanno vita. Chiudono il libro le Poesie dedicate a Francesco D’Episcopo di Antonio De Luca (Nostos partenopeo); di Antonietta D’ Episcopo (Sorella); di Paola Mancuso (Poesia della vita di D’Episcopo); di Gigliola Mazzali (Grammaticale); di Mario Senatore (Li passi r’a sapere / I passi del sapere. D’Episcopo sulle gradinate di Castelvetere sul Calore); di
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Enzo Tafuri (Il trillo canterino), che costituiscono, al di là dell’omaggio al Maestro, un valido contributo per la sua conoscenza di uomo e di studioso, come del resto lo è tutto questo volume, che termina con i Ringraziamenti di D’Episcopo e con un Post scriptum, che contiene un giudizio di Mario Luzi, che ne loda la poesia con parole particolarmente lusinghiere. Liliana Porro Andriuoli
UN POSTO APPARTATO Prima che lo facciano gli altri trovati un posto appartato nascosto tra il verde degli alberi e l’azzurro splendente del mare. Aria limpida per tetto perché l’occhio di Dio e il tuo s’incontrino e inizino a parlarsi senza parole, e le mani - le tue le sue - si stringano senza calcolare distanze si scambino carezze di spirito senza stillicidio d’inutili lacrime. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019.
VERSO UNA GUARIGIONE Le ferite sono profonde alcune di bisturi perfetto altre storte, slabbrate, quasi chiuse con bruciore di acqua salata o morbido unguento e non ci presti più caso forse. Patrizia De Rosa (Genova)
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DOMENICO DEFELICE Le parole a comprendere di Giuseppe Leone
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ON un titolo ellittico e una copertina che ritrae la torre di Babele quale è raffigurata nel basamento destro del Duomo di Milano, Domenico Defelice, scortato da due maestri della critica come Sandro Gros-Pietro in prefazione e Emerico Giachery in postfazione, ha pubblicato per i tipi della torinese Genesi Editrice, nell’aprile scorso, Le parole a comprendere. Un volumetto di versi suddiviso in quattro parti, che Gros-Pietro definisce “uno e quaterno”, per via di un’ ispirazione che varia con il progredire delle liriche nel testo: dalla “delicata e dolce gentilezza d’animo” della prima sezione, al “gioco di fioretto e nerbo … quando fa l’ osservatore satirico alla Orazio” della seconda; dalla mordacità sarcastica e irridente del castigatore della dabbenaggine degli sciocchi della terza, all’ultima sezione, dove “autentici benevoli scherni letterari” si alternano a “giochi di astuzia blandamente irriverenti”, ora a danno di “personaggi anonimi, ora di personaggi noti del mondo civile e politico, ora di personalità di studiosi, critici e scrittori” (5-9). Il tutto sullo sfondo di un sogno “recidivo e mai stanco” dell’umanità sull’unità delle culture e delle lingue, a cui il poeta ritorna attraverso questa sua nuova raccolta di versi, la terza dopo Resurrectio (2004) e Alberi? (2010) ad essere ospitata nella Collana Le scommesse. E parimenti scommesse sono per GrosPietro e Giachery queste Parole a compren-
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dere, se anch’essi vanno dietro al poeta, domandandosi, il primo: “qual è l’orizzonte di lettura …, se sono le parole che il lettore dovrà comprendere, oppure le parole che comprendono e spiegano la situazione del lettore” (6); il secondo, se quelle dei momenti dell’infanzia contadina in cui adulti e ragazzi stanno raccolti, “ognuno con la sua ciotola grigia / seduti in cerchio sotto il fico moro”, oppure quelle dei “momenti dell’età adulta in cui l’autore a volte ha meditato e scritto “in solitarie trattorie romane”; oppure ancora quelle che riguardano i temi di attualità e di cronaca” (133-134). Eccone solo alcune fra le circa cento poesie attraverso le quali il poeta può rigenerare il sogno, ora, saggiando la resilienza delle parole “agli urti della vita”: “Nasci ed è primavera. / La giovinezza esplode / e ti arrovelli nel cuore dell’estate. / Imbrunisci nei colori dell’autunno / e ti dissolvi l’inverno / nel mare dell’Eterno” (16); ora, evocandoinvocando la madre: “Prega per noi. Proteggici dal cielo / come hai già fatto qui. / Tra te e noi intatto è ancora / il rosso cordone ombelicale” (19); e il padre: “Respirò forte: “Perdonatemi” / E stese le labbra ad un sorriso / per darci coraggio. / Invocò la Madonna / e il volto gli si colorò d’infanzia” (27); ora, anche, facendole rimbalzare indietro in questi piccoli idilli che magnificano la luna, forse i quadretti celebrativi più belli tra quelli dedicati all’astro notturno in questo cinquantenario dallo sbarco dell’uomo sul suo suolo: “A lungo ha sostato dietro il monte / per farsi bella / specchiata nel ruscello. / Poi si affacciò all’improvviso / e mise in fuga / ombre e fantasmi. / Era argento la strada / e come rideva il casolare!” (20); oppure: “La luna dilagava / sulle vecchie capanne / di lamiera e paglia. / Si andava rasoterra / i vecchi come leoni alla posta / bestemmiando il chiaro inopportuno. / Arrivarono da dietro la collina / gli aerei come falchi / in picchiata sull’allodola. / E fu l’Apocalisse. / Sdraiati in mezzo all’erba! / mi strattonava Annunziata. / Innocente, ridevo allo spettacolo” (78); ma anche recuperando memorie più recenti di
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amici come Peter Russell, che Gros-Pietro chiama “straordinaria anima gentile del Novecento” (7); Geppo Tedeschi, “che il poeta immagina di ritrovare nel cinguettio di un pettirosso accorso a salutarlo appena sveglio di mattino” (8); e quelle più remote legate a reminiscenze ungarettiane, a Orazio, quando osserva più da vicino la realtà quotidiana, a Fedro, quando il poeta deride “chi senza valore fa lo spaccamontagne” (9). Quello che colpisce, allora, sfogliando le 152 pagine di questo volumetto è la “valenza plurale del linguaggio poetico di Defelice”, già annunciata nel titolo e poi chiarita da Gros-Pietro, quando aggiunge che “si tratta sempre di Parole a comprendere … “ma aperte a ventaglio su soluzioni di linguaggio, di stile, di contenuto molto differenziate, anche se sempre simili, come lo sono le ottave del pianoforte” ( 6). Ma già lo stesso Defelice, ancora in corso d’opera nel testo, ha cercato di venire incontro al lettore, spiegando che “singolarmente o in prosa / sempre inadeguate sono / le parole a comprendere / il senso della vita e delle cose” e informandolo, una volta per tutte, sul significato solo apparentemente incompleto del titolo. E lo ha fatto, anche di seguito, ridonando ordine al caos disegnato nell’ immagine eloquente della torre in copertina e rinominando e riempiendo le parole di nuovo senso, facendole ritornare in circolazione rigenerate e rifatte, in modo da poter “arditamente / uscir del bosco, et gir in fra la gente”. Sono tutte parole a comprendere, allora, sia quelle che, appese sopra nel titolo, erano sembrate incomplete, sia quelle nel testo, dove tutto ritorna più chiaro con il poeta che scala in sicurezza questi “quattro densi versi”, come bene li ha definiti Giachery, che fanno di questa raccolta un florilegio più che una semplice silloge, una summa poetica di eccellente ispirazione e arte. Un poeta aperto alla vita e all’amore, era stato detto di lui, e all’arte, aggiungerei, per dire che con questa recente pubblicazione Domenico Defelice si riconcilia con certo Novecento a cui si era spesso opposto con
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giudizi severi e trancianti. Un Defelice, che, ora, se non ne abbraccia in pieno correnti e mode, si sforza almeno di comprenderlo, anche se scherzando: (“Par olè parole / in vece paro le / orlape lorape praole / praleo prolae praole / orapel plaroe che così / disfatte e fatte / ne divengan rappe di chine”); che spalma e distende le parole fino a deformarle nel significato e nel significante: “Cia batta ciattaba. / In vece battaccia / tabicata catabica. / Cabatati attaciba titabaca? / Bacattia itta caba; / itta baca ciba tata, / ca tita baciattaba / bitacata cattiaba battiaca! …” per poi ricomporle di nuovo: “Atticaba ibattaca / attabiac che così, / ciabattando in siffatta / ciabatta / … son riuscito ad essere ironico / e fare stupenda poesia” (123). Ma non solo con la poesia novecentesca. In questo “libro di vita”, così magnificamente definito da Giachery, il poeta si rappacifica anche con se stesso e con il mondo, come ben riconosce Gros-Pietro, scrivendo che Defelice “resta una delle esperienze più serene, briose e feconde della poesia italiana di questi anni, per la gioia che trasmette verso i valori fondanti della vita, in primo luogo gli affetti e le amicizie, e per il coraggio e la profondità di cui dà mostra nel riflettere sulla brevità e sull’effimero della condizione umana, senza però lasciarsi andare ad avere atteggiamenti lacrimosi, imploranti o rancorosi verso la sorte che incombe su ognuno di noi” (9). Giuseppe Leone Domenico Defelice - Le parole a comprendere Genesi Editrice Torino, € 14.50. Pp. 152.
DA UN BELVEDERE IN LOMBARDIA Vedi, le luci notturne sulle colline ai nostri piedi rovesciano il cielo. Così, sul mio mare, misteriose e tremanti le lampare. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017.
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ZHANG YE di Domenico Defelice
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ON un poeta, questa volta presentiamo ai nostri lettori, ma una poetessa, il cui canto si dispiega tra versi brevi e lunghi, in un andamento da gran fiume con rapide, più spesso con dispiegamenti sornioni in anse verdeggianti. ZHANG Ye, è una famosa poetessa della Cina contemporanea, nata a Shanghai il 10 ottobre 1947 e ora docente all'Università di Shanghai. ZHANG ha iniziato a scrivere nel 1965 e ha pubblicato i suoi lavori a partire dal 1982. Le sue opere principali sono: Love of a Poetess, A Colorful World, The Green Crown, Songs on Journey of Life, Ghost Man (tradotta e pubblicata da Ireland Footprint Press), e la collezione di prosa Loneliness Is a heavenly Voice. ZHANG Ye è membro della Chinese Writers Association, del consiglio della Chinese Poetry Association e della Shanghai Writers Association. Le due versioni inglesi dei brani che seguono sono di Zhang Zhizhong e quelle italiane di Lidia Chiarelli. Self-Vindication
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What makes me feel painful? My long and disheveled hair is getting my frenzy off my chest to the sky My moist and concealed soul is a whistling castle in the surging waves of the wind and snow Being enveloped by a kind of sound The forest is overgrowing. High tide surpassing high tide I see, as a women, a lonely poetess, my life is drawing to its end, being besieged by the fearful dream The true, the good and the beautiful are a catastrophe and the blood shedding in a war The ill and weak autumn is my season The oversensitive sea surface is hit by a cold current Effected by the waves, I am warped, deformed and turn thin and pallid day by day O, the world, the people I love you, I hate you. I am so bighearted and dare to turn my soul over On the back of self-respect, nobleness and rising on oneself appears a bit mortification, ingratiating oneself and yielding to someone What is there against it? If despising and maligning a woman I believe only death has a tolerant smile and an equal soul No one can create me, nor God I have made my body with my scorching hot but ice-cold poetry bones and all my unseen tears and blood as well Who can push me down? Standing upright in the universe I am a poetess first then a woman Mount Aishe The eyebrow of Shanghai
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Mount Aishe, yes, incomparably love, native mountain In the paintings of man-of-letters of yore Your beauty defies any description Your grandeur is amplified into a great poem of the universe Toast to you from time to time, Mount Aishe is an inexhaustible topic You smile heartily, with your dashing eyebrows Leading me to visit Huang Gongwang, Dong Qichang, Ni Zan Er Lu, Chen Jiru and Xu Xiake, this moment It is shining with boundless radiance Magic breath dwells in the mountain which has entered the paintings of masters Listening to the soul voice of poetry, calligraphy, and painting From one generation to another generation How can you refrain from shedding tears? Refine war, turmoil, cruelty, blood & tears Into the quiet twitters of birds The bamboos of seclusion, the orchids in valleys The mountain steeped in poetry is a spiritual mountain The toll of the church is always merciful Bringing here kindness and consolation Taking away sadness and sorrow Time exists no more in the toll An observatory lends mystery to the mountain When the night sky lets fly ten million stars Humming and swarming, white silver dancing The mountaintop is as bright as daytime You are so surprised as to hold your breath God is standing in the clouds To crown you
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è un castello che fischia nelle onde impetuose del vento e della neve. Essere avvolti da una sorta di suono La foresta sta crescendo. Alta marea che supera l'alta marea Vedo, come donna, una poetessa sola, la mia vita volge Verso la sua fine, assediata dal sogno spaventoso Il vero, il buono e il bello sono una catastrofe e lo spargimento di sangue in guerra L'autunno malato e debole è la mia stagione La superficie del mare ipersensibile è colpita da una corrente fredda Influenzata dalle onde, sono curvata, deformata, e divento sottile e pallida di giorno in giorno. O, il mondo, le persone Ti amo, ti odio. Ho il cuore così pesante da osare rivoltare la mia anima Sulle spalle del rispetto di sé, della nobiltà e dell'innalzamento su se stessi appare una mortificazione, ingraziarsi e cedere a qualcuno Cosa c'è contro ? Una donna maligna che disprezza Credo che solo la morte abbia un sorriso tollerante e un'anima giusta Nessuno può creare me, nemmeno Dio. Ho fatto il mio corpo con le mie ossa di poesia brucianti ma fredde come il ghiaccio e tutte le mie invisibili lacrime e sangue Chi può spingermi a terra? In piedi nell'universo Sono prima una poetessa poi una donna
Monte Aishe Auto-Vendetta Cosa mi fa sentire male? I miei capelli lunghi e arruffati stanno portando la mia frenesia dal petto verso il cielo. La mia anima umida e nascosta
Il sopracciglio di Shanghai Monte Aishe, sì, amore incomparabile, montagna nativa Nei dipinti dell'uomo delle lettere di un tempo La tua bellezza sfida qualsiasi descrizione
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La tua grandezza è amplificata in una grande poesia dell'universo. Brindo a te di tanto in tanto, il Monte Aishe è un argomento inesauribile Sorridi di cuore, con le tue accattivanti sopracciglia. Mi hai portato a visitare Huang Gongwang, Dong Qichang, Ni Zan. Er Lu, Chen Jiru e Xu Xiake questo momento Brilla di una radiosità sconfinata Il respiro magico abita nella montagna che è entrata nei quadri dei maestri. Ascoltare la voce dell'anima della poesia, della calligrafia e della pittura Da una generazione all'altra generazione Come puoi evitare di versare le lacrime? Perfezionare la guerra, disordini, crudeltà, sangue e lacrime Nel tranquillo cinguettio degli uccelli I bambù della solitudine, le orchidee nelle valli La montagna intrisa di poesia è una montagna spirituale Il pedaggio della chiesa è sempre misericordioso. Portare qui gentilezza e consolazione Togliere la tristezza e il dolore Il tempo non esiste più nel pedaggio Un osservatorio conferisce mistero alla montagna Quando il cielo notturno lascia volare dieci milioni di stelle Rumore e brulichio, danze bianche d'argento La cima della montagna è luminosa come il giorno Sei così sorpreso da trattenere il respiro. Dio sta in piedi tra le nuvole Per incoronarti Tra i temi che ci piace evidenziare, c’è l’orgoglio della poetessa, a volte smisurato da sentirsi più che divinità, ma in contrasto con la solitudine e un mondo sconvolto e malato, non più corrispondente alle sue aspirazioni.
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È ciò che rileviamo, in particolare, nel primo brano “Auto-Vendetta”, allorché lei non riconosce l’operato di Dio nei suoi confronti; un Dio qualunque, svuotato di poteri soprannaturali e identificabile con un Destino inesistente, giacché è lei e solo lei l’artefice di se stessa, sia per quanto concerne la materialità il corpo -, sia per il suo interiore. Lei si erge smisurata e invincibile: “Who can push me down? Standing upright in the universe/I am a poetess first/then a woman” (“Chi può spingermi a terra? In piedi nell’ universo/Sono prima una poetessa/poi una donna”) - donna/poetessa, materia/spirito. Il primo verso è già domanda in parte pleonastica, perché referenziale, autointerrogante, con risposta prima implicita e poi esplicata nel verso successivo, allorché Zhang Ye si presenta decisa allo scontro, combattiva verso tutto e tutti, divinità compresa, i “capelli lunghi e arruffarti” quasi serpentelli d’una Medusa antica e l’impeto (“frenesia”) indirizzato “verso il cielo”. Si vede e si sente un titano incrollabile, “un castello che fischia nelle onde impetuose del vento e della neve”. Con la seconda strofa abbiamo la spiegazione di tanto suo lividore verso il mondo e l’enumerazione di ciò che la spinge all’autovendetta: la solitudine; il sogno pieno d’ incubi, spaventoso; la verità e la bellezza menzognere; la guerra che sparge sangue su tutta la terra; le stagioni e il mare sconvolti dai cambiamenti, la natura, cioè, “ipersensibile” e “colpita”. Amore e odio, insomma, che fanno groppo e, da ciò, la rivolta. Amore puro e solare abbiamo, invece, in “Monte Aishe”, che segna, come un “sopracciglio” (“eyebrow”) la sua città natale. Il monte è costellato di città e paesi (o di quartieri della stessa Shanghai?), tra i quali Xu Xiake, il quale, mentre la poetessa è in contemplazione, “Brilla di una radiosità sconfinata”. Davanti alla bellezza della Natura e, in particolare, di quel monte, Zhang Ye si scioglie; il suo odio-amore per il mondo, che di continuo le appesantisce il cuore, si addolcisce e si placa e perfino la sua fede acquista in interio-
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rità: il Dio, del tutto impotente di “AutoVendetta”, si erge gigante e protettivo, domina su tutto, “in piedi tra le nuvole”, maestoso e potente. Si osservi il mutamento tra lei e Dio e l’espressione del tutto identica: nel primo brano, a stare “in piedi” è la poetessa; nel secondo, sempre a stare “in piedi”, è Dio. Siamo in presenza di una poesia narrativa e, perciò, dal verseggiare a volte troppo lungo; ma è proprio il contrasto e l’alternarsi tra versi lunghi e brevi che compongono il sottofondo musicale, corpo e splendore delle tante metafore. Domenico Defelice
correndo sulla sabbia, la felicità nelle mani. Vicino ai fanciulli le pietre sentono il calore della carne, si estende la pelle alle forme dure degli oggetti: la carne prende dalle pietre la fredda polpa di tessuto che non muore. Leonardo Selvaggi
CON LA NATURA
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando l’attentato all’Italicus del 4 agosto 1974 - che ha provocato 12 morti e 48 feriti -, ha toccato il mai soddisfatto bisogno di giustizia del popolo italiano. Ha dichiarato che la mancata scoperta dei mandanti di quella inutile e gravissima strage, ha leso il “principio di giustizia solennemente affermato dalla nostra Costituzione”, perché “I procedimenti giudiziari non hanno potuto portare a sentenze definitive di condanna” e che tale “mancato accertamento di così gravi fatti”, dopo tanti anni, ancora “ interpella le coscienze di ciascuno”. Vero. C’è, però, incompletezza nel suo discorso. C’è sempre, nei discorsi dei politici, voluta o meno, della reticenza, a volte, in alcuni, anche della vera e propria ipocrisia. Perché la sete di giustizia del cittadino non si spegne solo allorché i colpevoli vengano tutti individuati e processati; si lede il principio di giustizia, anche quando mandanti ed esecutori vengono scoperti e si celebrano i processi, ma, poi, non si sconta mai totalmente la pena; quando, insomma, a scontare completamente la pena sono solo e sempre le vittime e i loro familiari, mentre i carnefici, attraverso mille cavilli, vengono rimessi in libertà e continuano a godersi la vita. Domenico Defelice
Trovi l'infanzia intatta nella cornice del passato, zampillante come acqua sorgiva; avvolta d'incanto la sua innocenza sorride nei fiori del trifoglio sfavilla col rosso dei papaveri: vivace come il giallo imbevuto di azzurro delle primule spuntate da poco. Per le balze si sente il ruscello venire dall'alto; bizzarre le zampettate delle piccole capre che il muso hanno di signorine graziose. L'infanzia spontanea quasi virgulto agile che s'alza sopra le radici del tronco, petalo abbellito dalle gocce di rugiada. Il tempo sembra fermo seduti sul limitare degli anni, odorando nell'aria la fresca erba portata sulla groppa del mulo. Nuovi i corpi hanno la forza genuina delle sostanze che non periscono; i garriti festosi delle rondini sono nel cuore dei fanciulli quando del sole si consumano gli ultimi dischi di fuoco. Sull'onda del ritmo vitale vicino alle piante in germoglio
Torino
AALLELUIA ! AALLELUIA ! ALLELUUIAAA !
Apparso sul quotidiano Il Messaggero del 12 agosto 2019 e qui, per P. N., leggermente corretto!
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L'ITALIA GRANDE NEL MONDO… di Leonardo Selvaggi I LI Italiani spinti come lupi dal bosco, con l'irruenza e i mattini delle pene interiori e fisiche si sono avventurati verso paesi che davano speranza di nuova vita. Immigrati contadini, che dalle loro terre non strappano neppure il necessario che possa far sopravvivere. Operai, artigiani in tempi infausti, di stenti e di desolazione durante e dopo le grandi guerre che hanno devastato tutto. Immigrati intristiti, con valige strette dallo spago, come derelitti sulle banchine dei porti e nelle stazioni ferroviarie. In uno stato di depressione, avviliti quasi senza anima, oggetti trasportati in altri luoghi, certi di sopportare altri dolori e altre miserie. Immigrati infelici, hanno provato malesseri e spesso tutte le forme di xenofobia. Disprezzati e sfruttati, privi di ogni conforto. Italiani dalle buone doti, sempre ad emigrare in terre straniere, Argentina, Australia, Venezuela, nell’Italia del Nord. Visti come gente laida, divorati da modi malvagi, da speculatori e da razzisti.
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n Emigrati in Argentina, nel Canada, trovando dovunque contrarietà e vita dura. Spersi, come spezzati, presi da fobie ci si sente incatenati, ci si vuol liberare, legami lontani che richiamano, vaghe immagini riferite ai tempi della infanzia. Gli oriundi ancora più frammentati, nel loro linguaggio antiche tracce inestirpabili fra la parlata del luogo e i rigurgiti di espressioni del paese di origine; frastornati fra distese oceaniche che tengono irretiti ed echi risonanti che si perdono nell'aria. Si è come attirati da forze magiche, le più resistenti, le più sprofondate, si sentono, ma non è possibile ritrovarle, ripercorrerle. Sono flebili voci che rintronano negli antri del proprio essere, sottili fili che trapassano la memoria e i sentimenti. Italiani di terza classe, disagiati, come bestie bastonate, in Argentina,
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a Torino, a Milano, in Australia, arrivati da luoghi infestati dalla fame, dalla malaria, in tempi di ristrettezze dopo le distruzioni di guerre o l'impoverimento totale per calamità naturali. Usciti da paesi arroccati su montagne abbandonate e sconosciute. Sono stati capaci con le loro virtù e spirito indomabile di vincere le disavventure. Hanno elargito il meglio di sé con sudore e fatiche estenuanti. Il ritorno in Patria, un'ossessione dannata: li ha accompagnati giorno dopo giorno, con le illusioni. Sempre vivi i luoghi natii, la speranza rinverdita ognora di riattraversare l'Oceano, mostro terribile, o le lunghe distanze in treno dal Nord alla Calabria per rivedere i cari congiunti. Silenziosi, umili e operosi che hanno tanto contribuito con le loro braccia, trascurando se stessi, con tutte le energie dispensate per dare vita e rinnovamento a città e territori. Questi valorosi Italiani che con serietà, onore e orgoglio hanno saputo essere dignitosi, tutto soffrendo con sopportazione e di continuo con l'eterna, infelice nostalgia. III Emigranti allo scoperto, vittime di soprusi, di sciacallaggio, persone inermi, pronte al lavoro, con spontaneità sentimentale, onestà, passione senza chiedere nulla, con una dedizione che ha origine dagli avi, abituati alle privazioni, in terre sprovviste di aiuti, vissuti sotto i domini borbonici, con l'incuria di governi che non hanno mai con politiche di intervento avuto interesse a risollevare dal punto di vista morale ed economico le regioni meridionali. Affetti, entusiasmi, pezzi di campagna abruzzese, costumi dell'antica Lucania, fantasia e immaginazione, silenzio pieno di pensieri, trapiantati e disseminati per tutti i luoghi della sterminata Argentina e per i tropici del Venezuela. Ricordi di quando si era bambini, la giovinezza per i paesi rifulgenti di sole, con esuberanza alle feste patronali. Tanta presenza spirituale emersa dai patimenti, dalle stanchezze, dal desiderio frenetico di vivere, di liberarsi dalle condizioni di vita grama. Una fermentazione in animi accesi di amore verso i legami ancestrali radicati
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per tutta la persona. Dominati da una interiore, vitale profondità di sentimenti. Gli immigrati portano addosso come pelle dura incrostata tutto questo. Lo portano immerso nella mente, fluente nelle vene per le città del Sudamerica, fra i paesaggi che sono diversi da quelli conosciuti, in mezzo alla gente piemontese. IV L'Arte drammatica e la lirica giunte ai vertici della perfezione con l'interpretazione di attori, soprani, tenori di grande fama trionfano nei teatri d'Europa e in quelli degli Stati d'America. A Parigi, a New York, a Buenos Aires, a Madrid, a Lisbona, a Mosca. Il nome della Patria glorificato tramite la genialità e sensibilità umana di sommi spiriti. I confini italiani si amplificano con personaggi che riscuotono successi clamorosi. Si fa conoscere la straordinarietà di contenuti artistici e di letteratura, arricchiti di ampie tradizioni, radicate nella stirpe italica. La classicità e i movimenti romantici raggiungono vette di fulgore espressivo in pienezza spirituale. Il senso dell'umanità nella sua interiore, vitale immensità di aspetti con le opere portate all'estero si estrinseca in profondità di sentire, scuote animi e ambienti, ravvivati e infiammati da rappresentazioni che lasciano tracce durature. L'Italia, conosciuta per le sue bellezze naturali e le doti dei genii dell'Arte e della Scienza, sembra aver conquistato tutti i territori del pianeta. Risuona la sua presenza facendo da stimolo a rinnovamenti e moti di progresso, diffondendo elementi di maggiore accensione nei vari settori sociali di altri Stati. Immigrazione di ogni genere: operai, artigiani, imprenditori, scopritori, ricercatori, uomini d' Arte portano altra vita da un paese forte di sensibilità e di intelligenza vivace, ricca soprattutto di grande inventività. V Tempi di difficoltà interminabili per tanti che dalla fortuna sono stati sempre abbandonati. All'intemperie di ogni tipo, smagriti, ostinati, coerenti davanti alle condizioni av-
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verse. Immigrati dalla Campania, dalla Basilicata, dalla Sicilia nel triangolo industriale italiano durante gli anni '50 -'80.1 meridionali come esseri inferiori, osservati con disdegno, quasi fossero congiunti stretti in disaccordo con i piemontesi, tenuti a distanza in regioni evolute, con modi e abitudini del tutto contrapposti. I meridionali non erano capiti, introversi, avvertivano uno svuotamento interiore, come sbandati in luoghi e tempi che parevano barbarici. I piemontesi ostili e altezzosi, vedevano nei nuovi arrivati solo difetti e carenze. Anche il clima avverso, freddezza di carattere e il dialetto incomprensibile creavano barriere. In cerca di lavoro e di qualche aiuto provvisorio, si sentivano finiti. Nostalgia e tristezza nel cuore, si andava con la mente agli affetti lasciati e alle precarie condizioni di famiglia. Occorreva combattere da soli e affrontare ancora disagi. In quegli anni non esistevano centri di accoglienza né idee religiose di benevolenza e di collaborazione. Si ha l'impressione, arrivati a Torino razzista, di trovarsi all'estero. Immigrati italiani da regioni aride, oggetto di malumore da parte di meridionalisti che hanno lottato per attivare aiuti necessari ai miglioramenti delle condizioni di vita arrivate allo stremo. Immigrati dotati di tanta forza applicativa, disseminati in tutto il mondo. Quattrocentomila meridionali a Torino con il loro lavoro onesto e impegnato hanno dato un contributo generoso e produttivo per il progresso raggiunto in tutti i settori soprattutto quello industriale, ai massimi traguardi negli anni '60. VI Oggi i tempi sono cambiati. Abbiamo immigrati dall'Est, dalla Romania, dalla Moldavia e islamici provenienti da ogni parte, tutti protetti da una politica demagogica e da un ipocrita ecumenismo. Immigrazione di stranieri che arrivano in continuazione, in maggioranza clandestini. Un esodo vero verso le città italiane del Nord. Si intorbida un ambiente sociale che già male si tiene con strutture in crisi. Una contrapposizione di elementi eterogenei che contribuiscono all'incremen-
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to della violenza e della confusione, L'immigrazione dai paesi dell'Est e da quelli islamici ha trovato in Italia un terreno favorevole. Tante donne romene, esuberanti, smaniose di denaro, si adeguano a tutte le situazioni, come cavallette investatrici, baldanzose, con spirito di indipendenza, le loro aspettative non trovano ostacolo. L'Italia è un paese invecchiato, consumato, pieno di divorziati, con caterve di studenti e un artigianato quasi nullificato. Si vedono musulmane dalle belle forme, con lunghe vesti e aspetto ieratico da madonne. Gli stranieri trovano una certa sistemazione con l'aiuto dei centri religiosi che vengono incontro alle prime necessità, fornendo alimentazione e ospitalità nei momenti di maggiore bisogno. Specie gli immigrati dell'Est Europa, vissuti sotto il comunismo senza intraprendenza e nella completa inerzia, sono ora smaniosi di immediati guadagni, istintivi, non vogliono attese. Siamo lontani dai disagi avuti dai meridionali negli anni '50-70. Si era intristiti e isolati in ambienti densi di acrimonia e astio. Gli immigrati italiani in qualunque posto sono andati hanno trovato sempre ostilità da combattere e incomprensione, nonostante le loro buone inclinazioni, il paziente carattere di arrendevolezza, abituati come erano alle privazioni, ad essere contenti senza arroganza. Le loro interiori, particolari energie a lungo andare trovavano apprezzamenti e meritati risultati. Leggi permissive che non stabiliscono limiti e controlli ai facili flussi di immigrati. Si vive uno stato di intorbidamento dei rapporti sociali, molta insicurezza e instabilità politica. Torme di immigrati stranieri come eserciti devastatori che hanno portato ingordigia, fomentato traffici illeciti, prostituzione e promosso processi di involgarimento e di massificazione. Malcostume di ogni tipo e turbolenza nelle grandi città. Processi di frantumazione sempre accentuata dei valori morali. Siamo in tempi di crisi, di transizione, decaduti, pieni di incertezze, dai costumi ambigui. Vere ondate di musulmani, di romeni, di albanesi. Non ci sono ostacoli dovuti a pregiudizi e orgoglio, ci si muove in un libero campo. Si è assillati dai guadagni e da egoi-
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stiche realizzazioni. Non si pensa agli aspetti di integrazione e ai movimenti rinnovativi. L'immigrazione dei meridionali degli anni '50 -70 costituiva un mezzo di benessere collettivo, si pensava ad una migliore socializzazione fra Nord e Sud, oltre al raggiungimento di condizioni di vita più accettabili per tutti. Occorre una immigrazione qualificata, selezionata, che corrisponda alle possibilità occupazionali, che dia elementi positivi per ricreare compagini ristrutturate, omogenee, non di erosione e scompositive. VIII La genialità italiana con la vivacità espressiva conosciuta all'estero. Il lavoro dei nostri immigrati in tutte le forme di estrinsecazione rimane con segni visibili. Le caratterizzazioni dell'Italia apprezzate costituiscono sempre punto di riferimento. Il lavoro italiano in ogni parte del mondo ha fruttificato come un seme di buona qualità. La nostra presenza impulsiva, fatta di dedizione e di concreta applicazione si è imposta in tutti i settori, in Venezuela grande rilievo hanno avuto le attività economiche. Anche nelle terre sterminate dell'Australia i nostri immigrati si sono distinti nelle opere che hanno determinato sviluppo e trasformazioni di grande portata civile e imprenditoriale. La Patria ha guadagnato nuovi spazi di reputazione, facendo con i suoi immigrati proliferare potenzialità nascoste in territori arretrati. Il nostro paese attraversa periodi di invilimento: nuovi sistemi di vita, falsi ammodernamenti travolgono antiche saggezze e gran parte dei principi morali che sono stati sempre di stimolo ai movimenti evolutivi. Gli incontrollati flussi migratori, vere folle fameliche, avide, appesantiscono, infiltrandosi dappertutto, come addossati, c'è un'atmosfera di evidente compressione. Tutto in un coacervo informe che nullifica le particolari identità, venendo fuori un corpo commisto, costituito da elementi frammentari, inerzia e svigorimento. IX Una condizione di smantellamento alla pro-
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pria, autentica fisionomia l'Italia la vive con l'affastellamento demografico e come Stato europeo. Si ha l'impressione che si sia cercato sostegno presso altre strutture politiche. E' vero che siamo andati in Europa per motivi di strategia, per certi strati ideologici esistenti nella nostra cultura e ovviamente perché parte di una stessa aggregazione continentale. L'Italiano in genere non è europeista, essendo per natura individualista, estroso, esplosivo, imprevedibile nei suoi movimenti, dotato di energie interiorizzate, particolari, formatesi in condizioni storiche diverse. Siamo un popolo sofferto, con spiccate capacità intellettive, non portato all'allineamento e a irreggimentarsi, bizzarro, disordinato, ricco di inventività. Siamo uno Stato composito, non si hanno forme fisse, accentrate, uniformi, ogni sua parte ha vitalità particolari. Tanta Arte, ricchezza espressiva e manifestazioni di esuberanza. Ci siamo allontanati dai siti nostri naturali, tutti protesi verso il Mediterraneo. Stare rintanati, addossati al corpo centrale dell' Europa è un voler deformare la nostra natura e Storia. L'Italia si è creata attraverso i secoli una rinomanza di qua e di là sull'intero pianeta. Non c'è un luogo nel mondo dove non trovi un Italiano, non c'è una città internazionale che non mostri una illustre nostra presenza. La voce Italia risuona dappertutto, si fa lunga, continuativa partendo dalle sue forti sedimentazioni culturali, ancestrali. Apprezzati e conosciuti con le caratterizzazioni estroverse che si fanno capacità fattive e realizzatrici. Diversa la collocazione che abbiamo in Europa: dimensioni ridotte, presenza minimizzata quando si è di fronte a Stati che di per sé vivono in un'atmosfera di prosopopea, di grandezza, facili riemergono poi antichi rancori e dissidi. X L'Italia come Stato europeo è considerata nei suoi aspetti minuti, amministrativi, politici che di certo non sono inquadrati in una strutturazione omogenea, sono trasmutabili, instabili, facili alle impennate, c'è nell'Italiano uno strato di grandi potenzialità, scaturigini
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che possono creare grandi fatti. Va vista la complessità della sua Storia, non il contingente, ma il fondo spirituale che ha sempre ampiezze e moti di esplicitazione. La identità che sorprende, che è in divenire, che è sollecitatrice di impulsi, conquistatrice di spazi di civiltà. Ci si è dimenticati delle sue forti matrici che hanno conquistato e influenzato tutte le altre culture. La stratificazione delle civiltà classiche greco-latine, dalle impronte geniali, di universale umanità. L'Italia trova se stessa sulle sue coste assolate, si ritrova nelle antiche repubbliche marinare, da dove in innalzamenti di idealità e infiammati dal senso innato di libertà, vincendo disavventure, oppressioni si andava verso altri paesi, altre fonti di vitalità. In Europa abbiamo una collocazione marginale, anche la nostra lingua è stata declassata, non riconosciuta nelle sua nobile natura. La sua perfezione, la sua espressività che sintetizza Storia e grandezza di pensiero, le sue parole composte in modo netto, come blocchi scolpiti, che non si sfaldano, ma rimangono integre, raffiguranti stati psicologici e realtà di vita in modo limpido e rappresentativo. La nostra lingua diversa dalle altre che sono barbariche o semibarbariche, che si sfrangiano come struttura quando passano ai momenti di fonetica. In Europa più massicci si fanno i processi di automatizzazione che tendono a deturpare le naturali identità. La tecnologia trova libertà di espansione e crea strutture livellatrici, di piatta conformazione. L'Italia anche se viene a trovarsi con una certa naturalezza nell'area delle realizzazioni tecnologiche fa trasparire sempre la sua connaturata identità che è quella volta alle libere espressioni, individuali, professionali, artigianali, artistiche. In modo indipendente, spontaneo, creativo sulla base delle energie psico-intellettive. XI Si rende di più rimanendo nel proprio territorio, ricorrendo alle capacità intrinseche, alla passionalità di adoperarsi industriandosi in mille modi. L'Italiano non è portato a chiudersi in forme rigide automatizzate. Ha sem-
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pre voglia di espandersi, di estrinsecarsi con un proprio stile. E' legato alle sue vitali e forti tradizioni, che, nonostante quelle coperture ipocrite che uniformano, tendono sempre inavvertitamente a riemergere. L'Italiano per sua natura è un inveterato sognatore, generoso con ostinatezze, amante del proprio, proclive ad avere impronte personali. L'Europa dell'Euro e delle falsificazioni, soffocatrice delle naturali inclinazioni. Commistioni, sovrapposizioni che hanno prodotto processi di sofisticazione e giri di speculatori attraverso metodi artificiosi. I prodotti adulterati, manipolati, tutti uguali, etichettati che passano camuffati. I prodotti mediterranei hanno subito uno sbandamento, si snaturano, diventano falsi, si adeguano ai sistemi di produzione in serie, si allontanano dall'aria aprica delle terre feraci, non riconoscono le passate coltivazioni che facevano la bellezza di raccolti abbondanti, ricchi di sapori, vere emanazioni della Natura prodigiosa, provvidenziale, risorse belle per freschezza e sostanzialità ristoratrice. Leonardo Selvaggi
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fut châtiée par le feu ! Sera-ce là le début de la fin ? Teresinka Pereira Traduction de Béatrice Gaudy
UN AMORE Acqua salmastra azzurra scorreva nelle mie vene, ero una ragazza marina che giorni abbaglianti viveva sugli scogli alghe intrecciava ai capelli e al largo invidiava le vele Poi la campagna mi prese mi avvolse come un mallo. E la ragazza-onda che ancora mi oscilla dentro rimpiange l’incanto antico, l’amore quasi tradito oggi quasi rimosso. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017.
NIENTE SI CANCELLA Niente si cancella della vita: te lo dice una voce ogni notte mentre dall’alto ti gocciolano sul capo e sulle spalle i ricordi. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019.
NOTRE-DAME Le feu ne pardonne pas ! L’on dit que le monde s’acheva en eau la première fois… Qu’il terminera en flammes, la seconde fois ! Qui se sauvera ? La cathédrale la plus célèbre du monde, après 800 ans de vertu et de crainte de Dieu,
ITALIA Sono tornato, grondante di sudore, da una lunga passeggiata. Mocassini leggeri ai piedi. La notte degli assassini è da poco passata. Resta il dolore per un vice brigadiere ucciso a coltellate. Per questa luttuosa tragedia c‘è chi gioisce, ma anche chi profonda sofferenza patisce. L’Italia divisa tra anime nobili e scellerate. Una sposa piange. Una madre in profonda angoscia. Una nazione ferita a morte, che le sue devianze, imperizie e falli sconta Gli avvoltoi che hanno decretato la tua sorte, Italia mia, stanno con la testa sotto l’ala, ignari del miasma che da ogni dove esala. Antonio Crecchia Termoli, 26.07.2019
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Il Racconto “... Questo tovagliolo ha l'argento vivo addosso!” Dialogo a due con tutto il resto intorno di Ilia Pedrina
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'azione si svolge in un bell'ambiente appartato dal resto del mondo, esotico, sinonipponico la sua parte: bella cosa per l'immaginario, che guerre non ne vorrebbe mai, nemmeno di striscio, almeno nella teoria e nella pratica dell'immigrazione culturale d'eccellenza, dall'Oriente al nostro Occidente. È più intenso il piacere di osservare chi ti si inchina davanti, con gli occhi a mandorla e i capelli lisci, setosi, neri come l'ebano non ancora trattato, la silohuette asciutta e fasciata in aderentissimi tubini, che non quello di distrarsi su piatti che ormai conosci a memoria al punto che potresti essere interrogato ad occhi chiusi ed elencare termini tecnici in codice, varianti e prezzi adeguati all'inflazione. I piedi dei due, e sono due per ciascuno di loro, si inseriscono agilmente nel pertugio a loro assegnato, poi al centro crescerà il cilindro a sostenere la piccola piattaforma rotonda, nel tondo del tutto, con panchette a semicerchio dove loro si siederanno, l'uno di fronte all'altra: un tavolino ben congegnato perché ci sia intimità d'ogni genere, mantenendo il rispetto per quel palo al centro, che non si lascia persuadere a scomparire del tutto, Qui in occidente si sa mascherare solo la cattiveria, la malvagità, la tirannia ammantata dal dovere di fare il proprio dovere, così nell'onesto il disorientamento è grande; l'Oriente invece va calmo, sa osservare, sa interiorizzare e nell'agire pretende il massimo dell'emozione che non deve mai trapelare. Bell'esercizio, per davvero! Forse Ignazio di Loyola voleva arrivare a questo traguardo, ma ha sfidato i secoli e c'è riuscito solo di rado, con qualche prede-
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stinato. Quando Eros impazza e t'impatta, le mani possono fare più dei piedi? Chi l'ha detto? E come si fa a togliere a lui le scarpe se hanno i lacci? Perché gli uomini non portano sempre, comunque e dovunque le scarpe da barca a vela? Per le donne il discorso è diverso e basta un piccolo girar di punta e di caviglia per operare l'incanto d'un piede tutto nudo, in attesa d'intimità non solo immaginate, con l'unico sottile diaframma della elegante calza di seta, irresistibile al tatto, anche a quello dei piedi. Lui sa che da sotto il tavolino minimo può scaturire l'impossibile, sorride, avido di emozioni e suda copiosamente. Toglie di sotto la mano di lei il tovagliolo di fino lino di Fiandra: “... Ma questo tovagliolo ha l'argento vivo addosso!” “Certo, è così e li fanno proprio perché servono a molti usi, oltre che a pulire delicatamente le labbra, come si fa di solito, purché però siano di purissimo lino, come questo!”. A lui il sudore sta imperlando tutto il volto e lei lo osserva, delicata dolcezza è nei suoi occhi perché lei, lo si sa, è lenta al vortice che Eros le sta preparando ed immagina metamorfosi che ora, a lui, se fosse una antica divinità greca dell'Olimpo, pensa lei, sarebbero tutte da sperimentare. Sia fatta la loro volontà perché al Ministero della Storia dall'Alto possono sempre lasciarsi coinvolgere pericolosamente e far scoppiare guerre fuori misura oppure soprassedere, pur di giocare, di sorprendere, di lasciare sangue che scorre e morti a terra, anche senza sepoltura. Pur di vincere su tutti i fronti, hanno tentato di dire che la carne è debole, che la si deve controllare per far un poco di bella figura e poi? E poi invece, come in questo caso, la si fa trionfare, perché lui non è 'sua Eccellenza' e gli viene concesso di sentirsi vivo: sanno che a lui non interessa ottenere il consenso nella direzione voluta e quindi gli concedono quella minima libertà che offre un invisibile guinzaglio dalla lunghezza prestabilita per tutti, una volta per
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tutte: di questa libertà lui ora ha bisogno, per sentirsi vivo. “...Questo tovagliolo ha proprio l'argento vivo addosso!”, ripete asciugandosi oltre al volto anche il collo e il petto, guardandola sempre, per infiammarla: ripete se stesso sempre, solo così si sente sicuro. Tutto il resto, intorno, non esiste e i molti se ne accorgono: fa loro un gran bene, ma non lo sanno. Ilia Pedrina (Eccetto la figura storica citata, ogni riferimento a luoghi, eventi e persone è puramente casuale)
LUNGA MALATTIA
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TU DORS SEREINE à ma mère Rosa Ceravolo (17/8/1909 - 26/6/2003) Haut, sur le noyer du jardin, avait éclos un nid de pinson. L’annonçait le pépiement des petits sans plume, de la mère le frénétique envol. Dans le fossé flûtaient les merles. Muet le fleuve et sous la canicule les oliviers solennels et argentés comme colonnes d’une cathédrale. Tu dors sereine, apaisée finalement. Finalement au passé les anxiétés, les douleurs, les peines, les hurlements qui, soudains, déchiraient le cœur.
Tra impercettibili sorrisi lacerato da artigli invisibili mi afferri, predatore aggraziato, per non precipitare. Mi trovi sempre lì mentre le rondini festeggiano i giorni al di là della finestra chiusa. Patrizia De Rosa (Genova)
Vergesslichkeit Und selbst in der Menge fühle ich mich alleine. Ich versuche durch die Erinnerungen des Geistes zu stöbern. Und selbst dort gibt es Einsamkeit. Bilderblitze kommen und gehen. Ein Leben in Vergessenheit geraten ist einsam. Manuela Mazzola (Oblio. Pomezia-Notizie, agosto 2019; pag. 37. Traduzione in tedesco di Marina Caracciolo)
Quelle finesse, sur la véranda, que la tache rosée de la pervenche ! Vers le portail, le ténu bleu de l’hortensia et sur le pilastre les campanules flamboyantes et le vert sombre du bignonia. Solitaire et haute sur sa tige, une rose s’appuie à la paroi… Tu es avec nous et avec eux. Tu es avec la foule qui pousse. Alignés comme des militaires nous recevons les condoléances en serrant des mains n’en pouvant mais de fatigue. Prie pour nous. Protège-nous depuis le ciel comme tu l’as déjà fait ici-bas. Entre toi et nous intact est encore le rouge cordon ombilical. in LE PAROLE A COMPRENDERE de Domenico DEFELICE Traduction de Béatrice GAUDY
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I POETI E LA NATURA 95 di Luigi De Rosa
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lice ne ha già pronta la Prefazione...). Stavolta l'ispirazione mi è venuta da un libro di Charles Baudelaire, I fiori del male, I Corvi di Dall'Oglio Editore, pubblicato nel 1974, nella traduzione dal francese di Clemente Fusero. Già mi ero occupato di Baudelaire, in altre due puntate, la 23 (settembre 2013, la nascita del Simbolismo, l'Albatros) e la 74 (dicembre 2017, il Paesaggio di Baudelaire). Stavolta mi soffermo su un'altra poesia, che ritengo fondamentale per quanto riguarda il rapporto fra il poeta e la Natura, e cioè “ L'uomo e il mare”, nella sezione “Spleen e ideale”: “ Uomo libero, sempre tu amerai il mare! Il mare è il tuo specchio: contempli l'anima tua nell'infinito srotolarsi della sua onda, e il tuo spirito è un abisso non meno amaro.
D. Defelice - La casa del pipistrello (biro, 2018)
“L'UOMO E IL MARE” DI BAUDELAIRE (1821 – 1867)
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olto spesso, per rinfrescare o approfondire la conoscenza di testi poetici interessanti e più o meno consacrati nel mondo letterario, mi sorprendo a leggere avidamente, per intere giornate e settimane, perfino di notte, sillogi e antologie, notizie biografiche, studi e saggi, da cui trarre ispirazione per scrivere nuove puntate della rubrica “ I poeti e la Natura”. Ormai giunto al n. 95 (settembre 2019) da quel lontano novembre 2011, conto di sospendere il lavoro alla puntata n. 100, salvo eventuali riprese, se sarò ancora vivo (ma è più facile che ne stampi un volumetto, Defe-
Ti diletti a tuffarti nel seno della tua immagine; l'abbracci con gli occhi e le braccia, e il tuo cuore si distrae talvolta dal proprio battito al fragor di quel lamento indomabile e selvaggio. Entrambi siete tenebrosi e discreti; uomo, nessuno ha sondato il fondo dei tuoi abissi; mare, nessuno conosce le tue intime ricchezze; tanto gelosamente serbate i vostri segreti! E tuttavia da secoli innumerevoli vi fate guerra senza pietà né rimorsi, tanto amate la strage e la morte, o lottatori eterni, o fratelli implacabili! Baudelaire instaura un rapporto, un raffronto, tra l'Uomo, già ritenuto il signore della Terra (non certo un si-
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gnore saggio) ed il Mare, una parte determinante della Natura, ritenuto addirittura l'origine di tutte le forme di vita. Tra due elementi della Realtà che si ritengono conosciuti ed esplicabili mentre in realtà sono due Entità inesplicabili, personificanti il Mistero. L' abisso dell'Uomo e l'abisso del Mare sono in realtà inesplorati ed inesplorabili, nonostante secoli di Scienza. E sono tutt'altro che pacifici e benevoli, nonostante le apparenze facciano spesso intendere il contrario. Addirittura il Mare sarebbe lo specchio in cui si riflette l'Uomo, con le sue caratteristiche, i suoi pregi e i suoi difetti. L'Uomo è aggressivo e guerrafondaio. La Storia ce lo insegna. Dalla sua apparizione sulla Terra è stato tutto un susseguirsi di violenze e sopraffazioni. Non sono mancate le guerre, da piccole e locali a quelle disastrosamente mondiali. Mancano solo quelle planetarie, con la distruzione di tutto, la sparizione di ogni forma di vita, a meno che questa non trasmigri, prima, su altri corpi celesti. Ogni lettore, a seconda della sua preparazione e sensibilità, del proprio temperamento e delle proprie inclinazioni, può ricavare dai versi di Baudelaire, poeta moderno, simbolista, romantico, le considerazioni e le previsioni che ritiene . Il discorso è appena iniziato, e non si sa quanto possa durare ancora... Luigi De Rosa
L'INIBIZIONE Il grigio oscuro di carne di razza diversa che non abbiamo avuto vicino. La separazione da altre persone reali, intoccabili nel fondo di noi. La vista delle mulatte fa affiorare sentimenti repressi, le cose naturali proibite fissamente nella mente si fanno distanti e noi astratti non appartenenti a loro. Una scissione con se stessi, l'inibizione che inafferrabili fa le parti uguali al nostro corpo. Le mani non prendono tante cose, la loro ancestrale presenza rimuove l'accesa fantasia dietro
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le fisime dell'animo che non ha contentezze. Visioni appena sfiorate penetrano ossessive, rifacendole con puntigliosa fatica l'immaginazione: frastornati da un punto all'altro divagando fra le nuvole. L'inibizione fa andare sollevati da terra, quasi trasportati sulle onde della indeterminatezza. Estraniazione dei contatti. La concretezza ferma di quello che è vicino equilibra il corpo stabile nell'ambiente. E si va a tentoni senza badare a chi ci segue. Le circostanze che fermentano di fatti non hanno legame con noi di significato. Leonardo Selvaggi Torino
IL SASSOLUNGO Massiccio armonioso di pietra grigiastra si staglia maestoso regale e immobile contro l’azzurro di un cielo sereno. Osservo ammirata come il suo argenteo disegno di pietra si stende e dispiega qual manto petroso. Ammiro i suoi bianchi canali ghiaiosi, ammiro le punte che brillano al sole, ammiro gli anfratti nascosti e ombrosi, rimiro i crepacci, rimiro le gole … Ti guardo e ti ammiro, mio bel Sassolungo, bel manto pietroso argenteo e bianco, ti guardo e ti ammiro … e mai non mi stanco. Mariagina Bonciani Milano
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Recensioni LUIGI DE ROSA VIAGGIO ESISTENZIALE Gammarò Edizioni, 2019, € 18,00, pagg. 222 La foto della barca in doppia vela a colori, sulla copertina del libro, ci invoglia a pensare a svariate cose e, artisticamente parlando, al mondo impressionista fatto d’acqua vento e stesure repentine di tinte (tranne il nero) ad olio sulle tele di quando ad Argenteuil stavano Edouard Manet che ritraeva il collega Claude Monet, con la moglie, sulla loro barca-studio galleggiante e i canottieri all’orizzonte ripresi nelle sfiancanti regate ed altrettante vele d’imbarcazioni sparse qua e là per l’ameno luogo di riposo d’altri tempi, entrato in più quadri d’ ambedue gli artisti dell’Ottocento francese summenzionati. Il Viaggio esistenziale in solitaria del poeta (campano) ligure sembra cominciare proprio dal regno leggero e in continua variazione luminosa cosiddetto impressionista, per dirigersi verso l’Italia alquanto attraversata in lungo e in largo per tutto il Nord dall’ex provveditore agli studi, Sovrintendente scolastico della regione Liguria, Luigi De Rosa appunto, in treno in macchina in pullman, sempre vigile nel catturare ogni volta le nuove emozioni traslate, poi, in poesia. Mentre Egli si nutriva di scenografie naturali che gli sfrecciavano ai lati veloci durante le trasferte, registrava interiormente i differenti stati d’animo che provava nel «[…] respirare aria cerulea/ di ascoltare musica celestiale/ un’indigestione di turchino/ un’abbuffata di lapislazzuli/ un volare a perdifiato nel celeste/ uno sprofondare in un mare turchese/ uno sguazzare nell’acquamarina, un lavacro di blu/ in tutte le sue tonalità/ e sfumature/
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da non poterne proprio più.» (Da Canzone dell’azzurro pag. 58). L’Italia (ri)vista da Luigi De Rosa spunta meravigliosamente come la Venere del Botticelli ricoperta da sottili patine emotive e ci sembra un’altra penisola italica: cristallina e cristallizzata nei decenni addietro dove non vigeva la fretta ma ogni particolare aveva la sua importanza, il suo glorioso passato, l’impronta di vestigia incancellabile ed anche Asti, nel periodo estivo, più storica e raggiante che mai. «[…] Sono a piombo gli stendardi che il vento/ non smuove nel Campo del Palio/ e qualche passante stancamente/ attraversa la Piazza del conte Alfieri.// L’unico ristoro è una bibita/ (meglio sarebbe un incontro d’amore)/ sul tavolino sotto i portici, e i cubetti/ di ghiaccio nel cristallo:/ siamo allo stallo/ ma saremo eredi perfetti/ della ragione di Lorenzo il Magnifico/ se catturiamo la gioia di ogni giorno/ che ci separa dal non gradito soccorso/ dell’impresa funeraria che, paziente,/ aspetta, là, in fondo al Corso.» (Da Asti, carpe diem, un’estate pag. 62). Il poeta De Rosa si è rivelato essere una persona triste e felice per natura,/ contemporaneamente./ Non riesco ad essere soltanto/ o l’uno o l’altro. Semplice e complicata definizione di sé stesso nell’ambito di un ‘viaggio’ scrutante i confini dell’ accaduto, perché si tratta di geografia esistenziale fatta di montagne, colline, vette alte del sacrificio per amore della propria professione che gli ha chiesto ripetutamente di lasciare moglie, casa, luogo di residenza per espletare gli obblighi richiesti. In compenso è stato un continuo alimentarsi d’ esperienze visive e quant’altro di sorprendente, che pian piano, negli anni, sono diventati versi narranti la vita itinerante di Luigi De Rosa, febbrili pennellate sulla tela dell’anima. In questo amato febbricitare sono entrate le vedute di Venezia, Trieste, Genova, Torino, la Costa Smeralda, Taormina, Pugnochiuso, Monterosso, Loano, l’isola Gallinara, comunque «I luoghi del tempo/ dello spazio/ della mente/ della carne e dell’anima/ i luoghi per i quali a lungo/ perdutamente/ ho sognato vagheggiato/ i luoghi della nostalgia/ della conoscenza/ del mistero e della poesia/ i luoghi dove fosse possibile/ trovare ancora una briciola/ di felicità/ i luoghi che mi sembra/ di meglio conoscere/ e amare/ sono i luoghi nei quali/ non sono mai stato.» (Da Luoghi pag. 167). Sono poesie che provengono da importanti sillogi pubblicate dall’autore dal 1969 al 2018, quali Risveglio veneziano, Il volto di lei durante, Lo specchio e la vita, Approdo in Liguria, Fuga del tempo, Poesie sparse e inedite. In queste ultime si ritrova un Luigi De Rosa divenuto uno straordinario Ulisse
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contemplativo, appagato da tutto ciò che il destino gli ha dato nel bene e nel male, consapevole di un certo mondo/ tanto privo di saggezza/ quanto avido d’amore. Anche lui, come l’eroe dell’Odissea, sogna di riprendere prima o poi il mare, di trasformare il traguardo in ripartenza verso l’inconoscibile giacché assetato di sapere, di quello che anche non è di questo mondo. Sogna e al contempo si volta indietro per proseguire in avanti, le stesse azioni d’un abile marinaio che cerca d’impostare la vela in modo da essere sospinta dal vento più favorevole e allora anche il ricordo oscillante d’Argenteuil sarà una bellissima cartolina appartenente al repertorio fotografico del nostro vissuto! Isabella Michela Affinito
TITO CAUCHI CREPUSCOLO Qui è presa in considerazione solo la raccolta di poesie di Tito Cauchi dal titolo “Crepuscolo” facente parte dell’Antologia collettanea di tre autori, Tito Cauchi - Andrea Di Nuzzo - Francesca Lupi, a cura dell’Associazione Teatro Cultura “Beniamino Joppolo” di Patti (ME), Magi Editore, 2011, Euro 8,00, pagg. 48. È ruotato tutto attorno ad una fase cosiddetta ‘orfica’, per dirla alla maniera del poeta fiorentino Dino Campana (1885-1932), il quale in prosa divagò in maniera visionaria anche sul Crepuscolo, titolo del florilegio poetico del professore critico letterario saggista Tito Cauchi, inserito nell’Antologia collettanea curata dal Dott.re Luigi Ruggeri dell’ Associazione Teatro Cultura “Beniamino Joppolo” di Patti. Questo episodio che si replica ogni giorno sull’altare del nostro orizzonte è indice di qualcosa che sta per giungere al termine, ma può assumere infiniti altri significati con similitudini. C’è quel brano breve, Crepuscolo Mediterraneo, appunto, che Dino Campana scrisse per il suo celebre librocaposaldo, Canti Orfici, in cui il «Crepuscolo mediterraneo perpetuato di voci che nella sera si esaltano, di lampade che si accendono, chi t’inscenò nel cielo più vasta più ardente del sole notturna estate mediterranea? […] Il Dio d’oro del crepuscolo bacia le grandi figure sbiadite sui muri degli alti palazzi, le grandi figure che anelano a lui come a un più antico ricordo di gloria e di gioia.» (Dal libro Canti Orfici – Dino Campana, Collana La Grande Poesia vol. 26, Corriere della Sera di Milano, Anno 2004, alle pagg. 121-122). Comunque, esiste qualcosa che declina in questa parola legata alla fase discendente dell’astro diurno, che trattiene in sé il concetto universale della parte
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ultima dell’esistenza e fu nel settembre 1910 che il critico Giuseppe Antonio Borgese, per la prima volta, soprannominò un certo tipo di poesia col termine ‘crepuscolare’. E ci fu così il crepuscolarismo di Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Corrado Govoni. Fu un genere di composizione in versi manifestante lo spegnimento della certezza e dell’entusiasmo nell’animo dei poeti con l’avvento del Novecento. «[…] I poeti non credono più ai valori tradizionali, né agli ideali filosofici, politici o scientifici imperanti. Si sentono soli e incompresi e si chiudono nel proprio disagio. Questo disagio conosce forme molteplici: malinconia costante e nostalgia di gioie perdute o solamente sperate; smarrimento di fronte al reale e ripiegamento interiore; sguardo distaccato e ironico per proteggersi da ogni coinvolgimento emotivo troppo forte. Il crepuscolarismo si fa così interprete della crisi latente della società italiana del primo ‘900, che esplode violenta con la prima guerra mondiale.» (Dall’Enciclopedia della Letteratura Compact, De Agostini Novara, Anno 1997, a pag. 251). E allora cos’è l’idea del crepuscolo, invece, nella poesia di Tito Cauchi? Anche lui si guarda indietro e nel versificare immagina ciò che non è, come l’essere un attore chiamato, in un momento suo non favorevole, ad esibirsi e che per questo si prepara, compiendo quasi un atto di coraggio e « […] Mi tingo di cera/ per coprire una lacrima/ mi porto sul palcoscenico/ s’alza il sipario e io entro.// Ma sul viso si scarna/ il colore che va via.// Mi fingo un dolore/ per celare quello intero/ applaudono, ma nessuno sa/ che è tutto vero.» (A pag. 11). Indossando le vesti anonime del poeta crepuscolare, Tito Cauchi versifica sul freno del non-agire dovuto all’impersonalità, alla banalità; sì, perché loro, i crepuscolari, decantavano il quotidiano ingrigito, i parchi senza la presenza della gente, gli oggetti della casa più logorati, lo spegnimento del presente come se la continuità non ci fosse, non potrebbe esistere o meglio sussistere con le suddette prerogative. «[…] Non riesci a comporre/ un mosaico, a costruire/ una casa prefabbricata./ Rimani come/ un gran numero/ di sassi bianchi// sformati e tutti uguali/ ora sparsi ora/ in cumuli uniformi/ danno l’impressione/ di una presenza.» (A pag. 7). La scomparsa del sole che segna la fine giornata è portatrice di svariati riferimenti che vanno dal personale all’umano e non; e finché si ripeterà il tramonto ci sarà sempre un compositore di versi capace di attribuirgli altre considerazioni senza cadere nel ‘già detto’. Andando via la luce si cambia la scena soprattutto quella ‘interiore’, da cui fuoriescono i personaggi che ci portiamo dentro che altro non sono che le sfaccettature del nostro ‘Io’. «Nel-
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la notte il silenzio prende forma/ e si tramuta in parole pesanti/ come un macigno le senti addosso/ e speri in un dio che ti soccorra.// […] Man mano i visi impallidiscono/ e gli adulti si ammutoliscono/ come statue cadaveriche inespressive/ pesanti nei passi e incerte le parole. » (A pag. 16). Lo spirito della vera arte ha raggiunto persone anche di cui nessuno se lo sarebbe mai aspettato e questo perché non siamo noi a decidere, non è opera dell’uomo l’alba e il tramonto voluti da chi ha creato ogni cosa attorno a noi per conferire ritmo alla nostra esistenza, lo stesso ritmo che, grazie ad alcuni, diventa di tanto in tanto vera Poesia. «[…] Il cielo si fa notte/ ma il sole risorgerà/ il mare indomito/ ci porta come un grembo/ per nascere ancora./ Una mano anonima/ forse per amore/ forse per rabbia scrive/ non men coraggiosa/ per non dimenticare.» (A pag. 10). Isabella Michela Affinito
NAZARIO PARDINI I DINTORNI DELL’AMORE (Miano Editore, Milano, 2019, € 10,00) Se c’è un grande poeta, capace di interpretare il sentimento amoroso in tutte le sue più sottili sfumature, questo è Caio Valerio Catullo. Non c’è da meravigliarsi quindi che Nazario Pardini, volendo scrivere delle poesie d’amore, a lui si sia ispirato e con lui abbia ripercorso le varie fasi della propria avventura amorosa. È quanto è accaduto con il libro I dintorni dell’amore – ricordando Catullo, che Pardini ha recentemente pubblicato per i tipi dell’editore Miano, nel giugno del 2019, dove nella Premessa, costituita da una Lettera ad un’amica mai conosciuta, il nostro autore ripercorre i momenti salienti del canzoniere catulliano, facendocene rileggere alcuni versi ormai eterni: “Passer, deliciae meae puellae, / quicum ludere, quem in sinu tenere”; “Tecum ludere sicut ipsa possem / et tristis animi levare curas!”; “Miser Catulle, desinas ineptire / et quod vides perisse perditum ducas”; “Vivamus, mea Lesbia, atque amemus / rumoresque senum severiorum / omnes unius aestimemus assis”; “Soles occidere et redire possunt: / nobis, cum semel occidit brevis lux, / nox est perpetua una dormienda”; ecc. Ed è proprio ispirandosi a questi versi che Pardini ci dice a sua volta: “Amami, Delia, / e prendi poche cose, / andremo insieme / là / dove la fine / ci ha fatto la promessa / di riscoprirci ancora” (Amami, Delia) ; “Tu non mi guardi, amore, / volgi lo sguardo altrove” (Tu non mi guardi, amore); “… sei solo tu che vinci / i miei silenzi” (Ho visto ramoscelli);
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“Durante una notte, / eterna notte, noi / dobbiamo riposare, / eterna, Lesbia, eterna” (Possono i soli); “Perché stamani tardi, / perché non giungi, / scavano nel mio petto / i tuoi ritardi” (Perché stamani tardi); “Con me ti porto sempre / e non ho pace” (Per mari ho navigato); ecc. C’è poi il motivo dell’infedeltà, che sempre ha tormentato i poeti, per il quale leggiamo: “Credo che la mia Delia triste e sola / aspetti me, i miei baci; ma s’invola / con un uomo sopraggiunto dalla via. / Tu piangi e ti disperi, anima mia” (Nubilo il cielo fino all’orizzonte); “Ti odio e ti amo, Lesbia, / e tu mi chiederai / in qual maniera avvenga / quel che mi cova dentro” (Ti odio e ti amo, Lesbia); ecc. La seconda sezione della raccolta s’intitola Di vita, di mare e di amore e comprende poesie maggiormente variate, sia dal punto di vista formale che da quello dei contenuti, per una più complessa problematica naturalistica che la permea, la quale si giova del volgere delle stagioni, come accade nei seguenti versi di Ignoto verso il mare: “Il cielo è terso e il bianco della brina / quasi inneva i miei campi. I passerotti / rapinano il tepore delle piume…”, una poesia che termina con questi versi: “… Ora è la voglia d’altro / che mi riporta a un fiume / e mi trascina ignoto verso il mare”. Così è anche di poesie quali Chissà per quali mete, dove si legge: “Questo rimane di un’intera stagione: / un suono lento e perso / che rinnova un trasporto; / seccumi senza scricchi per assenza di sole…” o di È l’aria di novembre, dove Pardini sembra godere della comunione con la natura, che gli dona un’incomparabile gioia: “È l’aria di novembre che mi porta / sulla riva del fiume, qui mi accorgo / quanto la densità delle robinie / ora si sia smagata…”. E si legga È dicembre: “Riposa la campagna in una quiete / che somiglia la morte”. L’amore per la donna sconfina in tal modo in Pardini nell’amore per la natura, che ha da sempre costituito una componente essenziale della sua poesia, come accade in Ottobre: “Era d’estate quando della vita / riflessero i barbagli. Allora vissi / la fantasia che esplose lucentezza”. E sempre è in lui un bell’impeto, che trascina, come accade in Il fiume: “Acqua, che riflettesti i miei canneti / con le quaglie sui cimoli e le torri / di grigie chiese e i tremuli felceti / delle sponde…”. C’è in queste poesie del Pardini come una sommessa nostalgia di canto, che urge nella sua parola e lo muove a più dire: “Sembra che il sole indugi questa sera / sulle pareti stanche del paese / mio povero lasciato all’abbandono / di uccelli migratori” (L’indugiare del sole). Il volgere delle stagioni fa nascere inoltre in lui il pensiero del trascorrere della vita, come avviene in
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Ode, dove Pardini dice: “Passa così il bel tempo. La natura / ritornerà di nuovo a verdeggiare, / ed altrettante volte spegnerà / la gentile stagione. / Così passiamo Delia…”. Ed ecco ricomparire la donna amata, emergente dal miracolo sempre nuovo della natura: “Raggi di sole filtrano tra i pini / a cercare il tuo corpo, le tue forme…” (Onirici innesti alla tua assenza). Le ultime poesie della sezione: Eliaca stella, Il cantico della bellezza, La barca, sono mosse da una ricerca di perfezione formale verso cui costantemente tendono. A sua volta le poesie di Canzoniere pagano, con le quali il libro si chiude, si sviluppano in un crescendo di ritmi, che si risolve in un contesto altamente musicale, dove la donna s’affaccia, creatura salvifica e portatrice di gioia, sull’onda di compiute quartine: “Ne parlammo, ricordi, e quante volte / noi vivemmo l’amore. Sulla riva / del fiume più lontano, nelle molte / occasioni inventate, se appariva // nel cielo luminoso il tremolare / di un’ala di gabbiano…” (Ne parlammo. Ricordi?). Ed è questo un miracolo antico e sempre nuovo, proprio della poesia. Elio Andriuoli
ANTONIA IZZI RUFO I RACCONTI DI LUCIO I. Carta e penna Editore, 2019 - Pagg. 56, € 12,00. Quel che afferma Antonia Izzi Rufo nella prefazione, a proposito del suo nipotino Lucio I., corrisponde a verità, perché è stato ed è vissuto da tutti coloro che stanno a contato con l’infanzia, vale, insomma, “per tutti i bambini del mondo” e per coloro che ai bambini vogliono bene. Lucio I. ama “avvitare e svitare bulloni”? Curiosità di tutti i bambini. Il nostro studio, per esempio, da quando Riccardo aveva l’età di Lucio I., è stato e continua ad essere ripostiglio e ammasso di bulloni d’ogni misura e foggia, di pinze, martelli, forbici, pezzi di legno e cartoni, brani d’oggetti che furono macchine, quadri elettrici, cellulari, strumenti d’ ogni foggia e tipo. Un caos che mai avremmo immaginato potesse accadere, e che oggi non solo sopportiamo, ma intimamente amiamo, giacché in esso Riccardo si perde e a volte si esalta, altre volte si dispera per gli inevitabili insuccessi, fino al pianto. E l’affetto per Lucio I. di nanna Antonia, se non esclusivo sicuramente intenso, particolare fino a farla letteralmente impazzire? Rassomiglia a quello nostro per Riccardo, per Valerio e Leonardo (e per gli altri che verranno, come l’annunciato Mattia), perché è l’affetto di tutti i nonni del mondo che vivono in positivo e sono fiduciosi della vita e del fu-
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turo. I nipoti - si dice - si amano più dei figli, semplicemente perché ci sono figli per due volte. I racconti che nonna Antonia trascrive sono giustamente “di Lucio I.” e non soltanto per Lucio I.. Sono il canto d’amore verso un bambino, ma anche verso la Natura: “Quale fragranza di fiori nella trasparenza dell’aria! E che voli sfrenati di rondini, di libertà ebbre! Si riaccende il brio sul viso degli uomini, la speranza nei cuori. Si riprende il lavoro dei campi, procede la potatura degli ulivi e di altre piante”. Una mescolanza di realtà e fantasia, di avvenimenti fantastici e di realtà quotidiane, in questi racconti, come, in Lucio I., c’è il suo mondo e quello dei grandi, i temi alla sua portata e altri che esulano dalla capacità valutativa delle sua età; c’è l’infanzia, cioè, e la proiezione della vita giornaliera e della natura in essa ed è per questo che sono come già affermato - della nonna e di Lucio I., per la nonna e per tutti i nonni del mondo e per Lucio I.. Si parte dal bambino Ciro, salvato da Lucio I, e dai pompieri per essersi arrampicato su un albero per mezzo di una scala incustodita, per passare alla luna, anche qui protagonista una lunghissima scala. La sfilata è consistente e varia: cani, medici, pastorelli, carabinieri, ladri, stragi, eroi e Biancaneve, il gatto con gli stivali, i fantasmi, le principesse, le magie… Tanti i temi e non tutti adatti alla piena comprensione di un bambino di appena tre anni; tanti i personaggi, piccoli e grandi e tra essi un posto speciale l’occupa, come già accennato, la Natura, quasi presente in ogni brano: il viottolo “si snoda tra querce e cespugli intrigati di rovi, pungitopi, ginestre ed altre erbe. In alto, i rami intrecciati, tra i quali i reggi del sole tessono ricami di trine, formano una cupola di foglie dipinte di tutti i colori dell’arcobaleno e producono una gradevole ombra”; “Ulivi venticello cicale e mare stupendo, quattro realtà che fanno retrocedere nel tempo…”. Un lavoro breve e un mondo semplice, puro, lineare - questi Racconti di Lucio I. - e un linguaggio scorrevole, senza enfasi e senza retorica. Domenico Defelice
ANTONIA IZZI RUFO I RACCONTI DI LUCIO J. Editore: Carta e Penna, 2019, Pagg. 56, 12,00 € L'ultimo libro di Antonia Izzi Rufo è una silloge di racconti dedicati a Lucio, suo nipote, e a tutti i bambini del mondo. La scrittrice, laureata in Pedagogia, è un'insegnante in pensione, infatti, mediante un linguaggio semplice e facilmente comprensibile, racconta dei piccoli e grandi problemi che si affron-
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tano nella vita. Ad esempio il voler essere giovani a tutti i costi, le piccole realtà che possono cambiare nel mondo del bambino, la capacità di adattarsi a queste nuove realtà, l'importanza della famiglia ed il suo sostegno, il ruolo svolto dai nonni nella vita affettiva dei nipoti, l'importanza della fantasia nel bambino ed il diritto al gioco. Sono tutti argomenti attuali. Nel racconto “Ringiovanire è veramente positivo?” la protagonista Rosina viene ringiovanita da un folletto, ma solo esteriormente, poiché dentro rimane anziana, ciò la rende triste. Alla fine capisce l'importanza del trascorrere del tempo e dice: “Preferisco essere vecchia dentro e fuori. In verità, ogni stadio della vita presenta i suoi lati positivi e negativi. Io, ora, sono me stessa. Conservo la mia esperienza e la mia saggezza... Ma che sciocca che sono stata!”. In “A casa del nonno” racconta del rapporto di rispetto e sostegno che può crearsi tra un nonno e suo nipote e come può far bene all'uno e all'altro lo stare insieme e condividere splendidi momenti di allegria. L'autrice descrive inoltre, Lucio come un bambino intelligente, loquace, capace di inventare favole aiutandosi con una grande capacità mimica. Lucio non è solo il protagonista di alcuni racconti, ma è anche il simbolo di tutti quei bambini fortunati che hanno una famiglia, che sono dunque aiutati e sostenuti durante la crescita. Sono brevi storie che possono essere lette ed apprezzate anche dai più grandi. Le storie che la scrittrice racconta hanno un evidente intento pedagogico, utile per preparare i più piccoli alle problematiche che gli si possono presentare nel percorso che li porterà alla maturità. Le favole, i racconti in genere, sono sempre stati importanti per i bambini perché sviluppano l'immaginazione, danno ai genitori l'opportunità di insegnare loro il pensiero critico e parlando della vita e delle esperienze vissute, richiedono da parte del bambino, un’elaborazione personale dei fatti narrati. Manuela Mazzola
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ESTATE 2019 Estate torrida estate afosa estate perfida e calurosa estate che mi sfianchi estate che mi fai venire male ai fianchi estate senza pioggia estate senza sosta estate soffocante noiosa e appiccicosa estate che mi rende sfinita e sonnacchiosa estate esasperante sognata nell’inverno estate che per me sei ormai un inferno estate perfida estate crudele: ti sfido bevendo e mangiando le mele. Mariagina Bonciani Milano
NEGLI OCCHI DELLA MENTE Tutto è vivo negli occhi della mente: labbra parole passi sulle vie tracciate dall’amore tra le stelle. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019.
AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 6/8/2019 Divieto di sedersi sulla scalinata di Trinità dei Monti a Roma, non, però, di salire e scendere, a migliaia ogni giorno camminare. Alleluia! Alleluia! Ma è più logorante il sedere di una bella donna o le migliaia di scarpe che calpestano e strisciano? Domenico Defelice
Riesige Täler Wenn ich meine Augen schließe, kann ich riesige, blumige Täler sehen und die Blumen riechen. Ihr Duft ist so intensiv, dass er nach Leben schmeckt. Manuela Mazzola (Immense vallate. Pomezia-Notizie, agosto 2019, pag. 58. Traduzione in tedesco di Marina Caracciolo)
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COME UNA LACRIMA Non è soltanto una vita che scorre, come una lacrima nel tempo, ma è un gioco crudele che incatena le anime, le rende vuote e dure. Manuela Mazzola
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nonostante le ferite dell'età. Di me stesso, la mattina, osservo, in uno specchio benevolo, la pertinace luce di questi giorni, mesi, anni. Luigi De Rosa (Rapallo)
Pomezia, RM
L'ALIANTE DEL POETA BRICIOLE Raccolgo le briciole della mia vita come fossero pepite d'oro. Le metto una accanto all'altra per donarti l'intero del mio vissuto. Te le voglio regalare per lasciarti un giorno l'esperienza di tutta una vita. Per non farti soffrire, per non farti sbagliare, per vederti un giorno, illuminare il mondo. Manuela Mazzola Pomezia (RM)
Non ogni giorno c'è vento la dolce voglia di vivere che eleva sopra mari e praterie. Sovente riaffiora l'angoscia che spinge verso il selciato, verso sporchi rigagnoli, ciuffi d'erba polverulenta, verso miserie e pene che affliggono uomini e donne innocenti. Ma l'ala conservata intatta carpirà sempre il colpo d'azzardo di un nuovo effluvio che verso il profondo azzurro inopinatamente si innalza. Luigi De Rosa (Rapallo)
IL MIO PENSIERO Rimane sospeso tra cielo e terra, il mio pensiero. Galleggiando va nel mondo ovattato.
E MI RIVEDO PER LE STRADE ANDARE...
Manuela Mazzola Pomezia (RM)
SUPERSTITE Mi sbigottisce amaramente la morte prematura di tanti amici e compagni di viaggio. Chi per infarto, chi per cancro, chi per disperazione, ha subìto l'ultimo scarto. E' solo grazie a te che sopravvivo,
sempre in cerca di segni d'amore affannato ma mai stanco ( mio padre a nord, mia madre a sud...) fremente a ogni treno nella notte, simbolo di una vita migliore, prima che sopraggiunga l'ultima stazione rinnovo il mio sperare e regalare... Tutto il mondo fittizio in cui mi osservo camminare ed agire pullula di fantasmi vecchi e nuovi: si muovono, corrono, cadono nell'indifferenza incomprensibile degli universi. Luigi De Rosa (Rapallo)
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MALINCONIA DI UCCELLI UCCISI Col suo fucile dalle canne lunghe esulta la faccia del cacciatore mostrando un grappolo di uccelli uccisi. Addio luminosi meriggi, immagini verdi di prati, di boschi, di colline: visioni carezzevoli ora spente nel velo delle fragili pupille… Scrigno di melodie era il vespro sereno prima che il piombo schiantasse quelle tenere gole. Ora nella campagna desolata vaga una piuma randagia che riproduce un brivido tra l’erba. E il sole si ritrae, quasi atterrito, nella muta tristezza della sera. Più tardi, tra i fantasmi della notte, si leverà ancora la bieca figura esultante dell’uomo che semina morte, e il suo fucile dalle canne lunghe mi peserà come incubo sul cuore. Francesco Fiumara Da: Domenico Defelice - Francesco Fiumara. Iter culturale - Poesia - Saggistica (Ed. La Procellaria, 2000 - Pagg. 112, L. 20.000).
È RIMASTO IL VECCHIO LAMPIONE Dove si è dispersa la tua voce d’angelo che alzandosi a sera per le vie del paese dava brividi d’amore alle ragazze? È rimasto il vecchio lampione del vicolo sotto cui accordavamo le nostre chitarre, la luna che naviga sopra la bianca tua riva, questo amaro silenzio caduto fra di noi. Franco Saccà Da Vento d’autunno - Ed. Ibico, 1962.
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE ADDIO A PADRE PIETRO - Il 25 luglio 2019, all’età di 84 anni (era nato a Codroipo il primo giugno del 1935), Padre Pietro Alessio è volato alla casa del Padre. I funerali, che s’erano già tenuti a Udine, dove è morto, sono stati ripetuti a Pomezia, nella Parrocchia di San Benedetto Abate, alle ore dieci del 30 dello stesso mese. La chiesa era gremita all’inverosimile e centinaia di cittadini hanno ascoltato in silenzio la funzione - officiata da tutti i sacerdoti del territorio -, in parte anche stando su piazza Indipendenza. Padre Pietro ha servito la comunità pometina per lunghissimo tempo, a partire dai primi anni sessanta (in San Benedetto dal 1962) e fino all’ottobre del 2009, quando i sacerdoti della parrocchia sono stati sostituiti dagli attuali don Secondo e don Giuseppe Billi (parroco). Da allora e per alcuni anni, Padre Pietro ha continuato la sua opera nella parrocchia di Sant’Isidoro (nella foto qui riprodotta, con un gruppo di parrocchiani), per poi trasferirsi nella sua città. Egli faceva parte della congregazione degli Oblati di San Francesco di Sales e prima di fare il parroco a San Benedetto aveva collaborato, nella stessa parrocchia, col parroco Padre Davide Agostini. Prima di morire, ha espresso il desiderio di essere tumulato a Pomezia, nello stesso cimitero nel quale riposa Padre Davide, anch’egli degli Oblati. Entrambi: Padre Davide e Padre Pietro, sacerdoti di un tempo che potremmo definire pioneristico per la città di Pomezia, nata nel 1938 e negli anni sessanta ancora piccolo borgo agricolo; perciò, esisteva ancora l’Oratorio, il
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Cinema parrocchiale e le giornate dei sacerdoti erano intensissime anche per la gestione di tante attività che, col tempo, sono, poi, completamente sparite. Nel settanta-ottanta, per alcuni anni, noi abbiamo svolto la funzione di Agente della SIAE, con responsabilità sui territori di Ardea e Pomezia e ricordiamo le lunghe chiacchierate con Padre Davide, allorché veniva in Agenzia per il versamento dei diritti d’autore e per altre incombenze relative non soltanto al cinema. Padre Pietro era più ritirato rispetto a Padre Davide, attivissimo, quasi un elettrizzato, il quale, a volte, sorridendo si lamentava: “Padre Pietro, infaticabile nella sua missione di sacerdote, per quanto concerne il cinema e le altre attività ricreative è quasi restio a darmi una mano!”. Religioso riservato, schivo, Padre Pietro, portato più alla preghiera che all’azione, ma non privo di capacità attrattive e coinvolgenti, tanto è vero che i giovani che l’anno frequentato ricordano che soleva raccontare anche barzellette. Pomezia gli deve molto, gli ha sempre voluto bene e lui ne era consapevole, fino al punto - come già accennato - di desiderare d’essere sepolto nella città per la quale ha lungamente operato. (D. Defelice) *** COMUNISMO E FASCISMO LA STESSA COSA? - Riceviamo, da Antonio Crecchia di Termoli (CB), la seguente e-mail dell’otto agosto 2019: Carissimo Domenico mi è giunta di buon'ora la tua rivista e la prima cosa che ho fatto ho letto i tuoi Alleluia. Quando avrai l'occasione di parlare ancora di Comunismo e Fascismo, fai notare anche la differenza di comportamenti sul piano della giustizia: il Fascismo (quello nostrano) mandava al confino gli avversari politici e in galera i delinquenti comuni; il Comunismo li mandava (e li manda) a morte. Stalin, a quel che si dice, porta il primato (80.000.000 di persone soppresse); Pol Pot, con la carne degli
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avversari faceva... polpette (esagerazione), in Cina (comunista/ultra capitalista) le esecuzioni capitali sono... eventi normali, come l'alza bandiera nelle sedi militari. Un grazie, un abbraccio e tanti auguri buon Ferragosto, estensibili ai tuo cari. Antonio Carissimo Antonio, tutto vero quel che tu scrivi, ma ti assicuro che la differenza di crudeltà, a mio modesto parere, non è mai dipesa dal tipo di dittatura (per me unica, Comunismo o Fascismo, figlio di Comunismo), ma dal calibro e dalla ferocia dei protagonisti. Mussolini, Carissimo, è stato quasi un insetto rispetto al gigante comunista, davanti al quale sfigura anche il Nazismo. Ti abbraccio. Domenico *** CONVEGNO SU IGNAZIO SILONE - Apprendiamo che il nostro validissimo collaboratore Giu-
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seppe Leone è stato invitato a Pescina, per il 24 agosto 2019, tra i relatori del convegno internazionale di studi dal titolo Ignazio Silone ovvero la logica della privazione. Mentre ci congratuliamo con l’insigne studioso, ci auguriamo di ricevere quanto prima il materiale necessario sull’argomento da portare a conoscenza dei nostri affezionati lettori.
*** LUCIANA VASILE A SAN DEMETRIO CORONE - Il 12 agosto 2019, a San Demetrio Corone, in occasione di un Forum su “immigrazione, accoglienza e integrazione”, è stato presentato il volume Libertà attraverso Eros Filia Agape di Luciana Vasile, “architetto e poetessa romana, presidente della “Ho una casa Onlus” per la dignità dell’abitare, molto attiva - scrive Adriano Mazziotti - nel volontariato, specialmente all’estero, dove ha progettato e realizzato numerose abitazioni per gli ultimi, scoprendo il piacere del volontariato e della scrittura”. *** APPUNTAMENTO A SETTEMBRE AL VITTORIALE DEGLI ITALIANI - Grazie all'instancabile impegno del prof. Giordano Bruno Guerri, Presidente del Vittoriale degli Italiani a Gardone (Brescia), si svolgerà una 'tre giorni' senza precedenti, con eventi che segnano le tappe dannunziane della passione etico-politica e letteraria nell'impegno storico dell'Impresa di Fiume e gli eventi ad essa correlati nelle ricerche sul doppio versante italocroato: 5-6-7 - Settembre: CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI FIUME 19192019. UN CENTENARIO EUROPEO TRA IDENTITÀ, MEMORIE E PROSPETTIVE DI RICERCA. Egli ne è la forza propulsiva ed ha coordinato con la alta professionalità che lo contraddistingue gli
studiosi che ne verranno a far parte. Colgo dal programma la sua sintesi orientativa: “Nel centenario dell'Impresa fiumana, il Vittoriale degli Italiani promuove un convegno internazionale al fine di comporre un bilancio sugli studi e suggerire nuove vie di ricerca. I lavori saranno articolati in tre giornate e gli atti pubblicati a cura della Fondazione. Gli interventi si concentreranno sull'influenza dell'impresa fiumana sulla politica e sulla memoria, attraverso un approccio comparato tra storiografia italiana e croata. Chiuderà il convegno una tavola rotonda coordinata dal presidente Giordano Bruno Guerri, cui parteciperanno gli storici Ernesto Galli della Loggia, Alessandro Barbero, Francesco Perfetti e Maurizio Serra. Il Vittoriale, la dimora monumentale dove Gabriele d'Annunzio abitò dal 1921 alla morte, conserva la più vasta raccolta di fonti riguardanti la storia dell'Impresa. La Fondazione intende promuovere la riscoperta di questo capitolo del Novecento. A Fiume d'Annunzio fu Comandante di una ribellione e capo del movimento politico chiamato 'fiumanesimo'. Fu un episodio capace di fondere patriottismo e rivoluzione, il culto dannunziano della bellezza e dell'innovazione culturale, politica e sociale. Un episodio che fu successivamente incluso nella mitologia del fascismo, che si impadronì della sua epopea, dei suoi riti e dei suoi simboli. La Fondazione intende restituire all'Impresa fiumana la sua complessità storica, condividendo tale scoperta con la città di Fiume-Rijeka. L'obiettivo è promuovere lo scambio tra ricercatori italiani e croati, nella speranza di sostenere una nuova stagione di studi sul Novecento attraverso una lente internazionale ed europea”. Ed ecco relatori e temi, giorno dopo giorno: 5 Settembre (10:00-13:00) Le identità di Fiume. Moderatore Francesco Perfetti (Raoul Pupo - La questione di Fiume e le vicende del confine orientale; Ester Capuzzo - Da Corpus Separatum a pro-
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vincia italiana. Amministrazione e legislazione a Fiume (1919-1924); Giovanni Stelli - Irredentismo e autonomismo a Fiume; Giuseppe Parlato - L'economia di Fiume durante l'Impresa dannunziana; Erwin Dubrovich - Il 'Gabbiano' contro d'Annunzio. Una testimonianza di Milan Marjanovic riguardo una congiura croata; Natka Badurina - L'episodio dannunziano alla luce di alcuni documenti degli archivi fiumani). Ore 13:10 - Inaugurazione della mostra 'La città inquieta e diversa' al Cavalcavia in Piazzetta Dalmata. 5 Settembre (15:00-18:00) Immagini da una ribellione. Moderatore Roberto Chiarini (Stefano Bruno Galli - L'irredentismo trentino e l'Impresa fiumana; Vjeran Pavlacovic - D'Annunzio and Fiume: representations in the Yugoslav and US press 1919-1921; Roberto Chiarini - Carlo Reina, il 'ragionevole'; Emiliano Loria - La questione dell'infanzia nella Fiume dannunziana; Dominique Reill - How to survive in an Holocaust city. Fiume and d'Annunzio; Simone Colonnelli - Liturgie nazional-cattoliche: padre Giuliani a Fiume). 6 Settembre (10:00-13:00) La città dell'utopia. Moderatore Giovanni Stelli (Claudia Salaris - Artisti e libertari a Fiume; Matteo Pasetti - Sindacalismo e corporativismo nella Carta del Carnaro: l'utopia fiumana nell'Europa del dopoguerra; Carlo Leo - I letterati a Fiume; Silvia Zanlorenzi - Un giapponese a Fiume. Harukici Shimoi; Valentina Raimondo - Gli artisti che contribuirono ai simboli dannunziani; Simonetta Bartolini - Yoga, una rivista e un movimento nella Fiume dannunziana). Ore 15:00-18:00 L'eco dell'Impresa. Moderatore Ernesto Galli Della Loggia (Marco Cuzzi - 'La nostra bandiera è la più alta': la politica 'esteriore' di d'Annunzio e la Lega di Fiume; Aldo A. Mola La Massoneria e la questione fiumana; Paolo Cavassini - I repubblicani e la questione fiumana fra 'diciannovismo' e intransigenza; Francesco Perfetti - D'Annunzio e Mussolini; Alberto Mingardi - Il capitalismo italiano e l'Impresa fiumana). 7 Settembre (10:00-13:00) I tragitti della memo-
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ria. Moderatore Paolo Cavassini (Alessio Quercioli - 'Tener viva in Italia la fiamma dell'ideale', la Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani nell'Italia del Primo dopoguerra e i suoi rapporti con il fascismo; Federico Carlo Simonelli - L'Impresa fiumana nella memoria pubblica del fascismo; Elena Ledda - Memorie fiumane negli archivi del Vittoriale; Marino Micich - L'Impresa di d'Annunzio e la città esule. Echi e suggestioni dannunziane nella costituzione del Libero Comune di Fiume in esilio (1966-1969); Tea Perincic - Due mostre sull'Impresa di Fiume a Rijeka; Barbara Bracco Scatti della rivoluzione. Fatti e personaggi dell'Impresa fiumana nella fotografia). Ore 15:00-18:00 Bilancio storiografico (tavola rotonda) Moderatore Giordano Bruno Guerri (Ernesto Galli della Loggia - Alessandro Barbero Francesco Perfetti - Maurizio Serra - Stefano Bruno Galli). Ore 21:00 Spettacolo Il Piacere con Debora Caprioglio al Laghetto delle Danze. L'occasione è imperdibile, perché, come ho scritto al presidente G.B.Guerri in e-mail il 14 agosto scorso, '… i tempi sono maturi e tu sai coinvolgere studiosi e conoscitori specializzati che saranno in grado di far durare nel tempo le loro prospettive, modificando rotte e percorsi storici ormai senza senso e condizionati da una 'vulgata' votata al fallimento...'. Grazie, Presidente, per la fiducia accordatami. Ilia Pedrina
LIBRI RICEVUTI ORIANA FALLACI - Quel giorno sulla luna Prefazione di Giosuè Boetto Cohen - Corriere della Sera Rizzoli, 2019, Pagg. 216. Oriana FALLACI (1929-2006) - leggiamo nel risvolto di copertina -, fiorentina, è stata definita “uno degli autori più letti e amati del mondo” dal rettore del Columbia College of Chicago, che le ha conferito la laurea ad honorem in letteratura. Ha intervistato i gradi della Terra e come corrispondente di guerra ha seguito i conflitti più importanti del nostro tempo, dal Vietnam al Medio Oriente. Tra i tantissimi suoi libri, tradotti in tutto il mondo: I sette peccati di Hollywood (1958), Il sesso inutile. Viaggio intorno alla donna (1961), Penelope alla guerra (1962), Gli antipatici (1963), Se il sole muore (1965), Niente e così sia (1969), Quel giorno sulla Luna (1970), Intervista con la storia (1974), Lettera a un bambino mai nato (1975), Un uomo (1979), Insciallah
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(1990), La rabbia e l'orgoglio (2001), La forza della ragione (2004), Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci (2004), Oriana Fallaci intervista sé stessa L'Apocalisse (2004) eccetera. ** ANTONIA IZZI RUFO - I racconti di Lucio I. In calce, cinque splendide fotografie a colori a tutta pagina; in quarta di copertina, a colori, foto di Antonia Izzi Rufo e il nipotino seduti in giardino Carta e Penna Editore, 2019 - Pagg. 56, € 12,00. Antonia IZZI RUFO, insegnante in pensione, laureata in Pedagogia, è nata a Scapoli (IS) e risiede a Castelnuovo al Volturno (IS), frazione di Rocchetta. Ha pubblicato opere in prosa e poesia, saggi e altro, circa una sessantina di testi finora. Ha vinto moltissimi Premi Letterari. Noti critici ed esponenti della cultura nazionale e internazionale hanno scritto di lei, tra gli altri Costas M. Stamatis, Paul Courget, Giovanna Li Volti Guzzardi, Giorgio Barberi Squarotti, Massimo Scrignòli, Enrico Marco Cipollini, Marco Delpino, Angelo Manitta, Sandro Angelucci, Emilio Pacitti, Luigi Pumpo, Carmine Manzi, Aldo Cervo. Tra le tante sue opere, che sarebbe troppo lungo enumerare, si ricordano: Ho conosciuto Charles Moulin (1998), Ricordi d’infanzia, ricordi di guerra (1999), Tristia - Ovidio (1999), Saffo, la decima musa (2002), Per una lettura della “Vita Nuova di Dante” (2004), Catullo, il poeta dell’amore e dell’amicizia (2006), Il poeta e l’emozione (2009), Dolce sostare (2010), Dilemma (2010), Perché tu non ci sei più (2012), Felicità era... (2012), Paese (2014), Voci del passato (2015), La casa di mio nonno (2016), Sensazioni (2016), Oltre le stelle (2017), Giorno dopo giorno e Donne (2018). ** RENATO GRECO - La poesia dell’anima - Premesse di Daniele Giancane, Giuseppe Napolitano, Giulia Notarangelo - in copertina, a colori, “Decalcomania”, di Renè Magritte; in quarta, a colori, foto dell’autore e breve curriculum - Edizione La Vallisa, Bari, 2019 (?), Pagg. 300, s. i. p.. Renato GRECO è nato nel 1938 a Cervinara (Av) e vissuto fino alla maturità classica ad Ariano Irpino. Nel 1955/56 a Matera istitutore del Convitto “Duni”. Dal ’57 al ’67 a Milano dove lavora alla Olivetti di Adriano e dove abita con la moglie dal ’66. Dal ’67 tre anni a Napoli un anno a Firenze e due anni in giro per l’Italia con tappe a Firenze e a Milano. Nell’ intanto si laurea in legge. Dal ’71 a Bari quadro nella filiale di questa città. Nel ’77 è di nuovo a Milano dopo altri periodi a Firenze. Fino al 1987 a Milano quadro marketing centrale. Ritrasferito a Bari va in pensione nel 1992. Ha vinto molti concorsi in Italia e legge poeti del ‘900 presso due Università
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Popolari a Modugno e a Bari. Redattore della rivista “La Vallisa” dal 1997. Ha scritto più di 46 volumi di poesia, oltre che numerose Raccolte Antologiche, alcune pubblicate anche all’estero. Ricordiamo, per esempio, i volumi dal 2005 in poi: “Barlumi e altro” (2005), “Memoria dell’acqua” (2006), “Fermenti immagini parole” (2006), “In controcanto” (2007), “Ma quale voce da lontano” (2007), “Poemetti e sequenze - vol. I” (2007), “Di qua di là dal vetro” (2007), “Quaderni palesini - Poesie dell’estate 2001” (2008), “Poemetti e sequenze vol. II” (2008), “Se con trepide ali” (2008), “Favole per distrarsi” (2009), “”Per scenari di-versi” (2009), “Piccole poesie” (2010), “Inventario” (2010), “Dintorni di Nessuno” (2011), “Contiguità, distanze” (2011), “Vicinanze” (2012), “Un brusio d’anime” (2012), “Colloqui e amabili fraseggi” (2013), “Il vero dello sguardo” (2013), “La parola continua” (2013), “Finzioni e altri inganni” (2014) “Variabili geometrie” (2014), “Mattinali e tramonti dell’opera compiuta” (2015), “Un nuovo aprile” (2018), Quaderni palesini (sesto volume, 2018). Autore anche di molti saggi su Salvatore Quasimodo, Vittorio Bodini, Cristanziano Serricchio, Enzo Mandruzzato, eccetera. Tante le antologie in cui figurano sue poesie. Tra i critici che si sono interessati di lui, citiamo solo alcuni: Pasquale Martiniello, Michele Coco, Enzo Mandruzzato, Stefano Valentini, Vittoriano Esposito, Daniele Giancane, Lia Bronzi, Donato Valli, Sandro Gros-Pietro, Renzo Ricci, Giorgio Bárberi Squarotti, Giuliano Ladolfi, Emerico Giachery, Roberto Carifi, Gianni Antonio Palumbo, Daniele Maria Pegorari, Roberto Coluccia, Ettore Catalano.
TRA LE RIVISTE FIORISCE UN CENACOLO - mensile internazionale di lettere e arti fondato da Carmine Manzi, direttore responsabile Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (Salerno) - e-mail: manzi. annamaria@tiscali.it - Riceviamo il n. 4-6, aprile-giugno 2019, del quale segnaliamo, in particolare, i saggi di Leonardo Selvaggi, tra cui “Il 18 novembre 1953”. Isabella Michela Affinito si interessa di <<Aldo Marzi “Totò, Pinocchio e Pulcinella…”>>, <<Antonio Sorrentino “Carmine Manzi le radici dell’anima”>> e <<Carmine Manzi “Terza Pagina”>>, Alle pagine 14-15, una lunga recensione di Tito Cauchi: “Domenico Defelice Le parole a comprendere”.
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* LA RIVIERA LIGURE - quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, diretto da Maria Novaro - Corso A. Saffi 9/11 - 16128 Genova; e-mail: info@fondazionenovaro.it - Riceviamo il numero 87-88 del settembre 2018 - aprile 2019, dedicato a Luciano De Giovanni, con gli interventi di: Alessandro Ferraro, Alida Airaghi, Paola Mallone; lettere di Mario Luzi, Giovanni Raboni e Diego Valeri; diversi brani di Luciano De Giovanni. Un bel fascicolo monografico di 120 pagine, di grande importanza e di particolare interesse, che si legge con assoluto godimento. * L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili - fondata nel 1689 - diretto da Marcello Falletti di Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (Firenze) - E-mail: accademia_de_nobili@libero.it - Riceviamo il n. 258/260 del luglio/settembre 2019, dal quale segnaliamo l’articolo d’apertura “Notte dei santuari Locusluci”, relazione del Prof. Marcello Falletti di Villafalletto all’incontro di preghiera e arte “Come se vedessero l’invisibile”, svoltosi il primo giugno 2019 al Santuario di Santa Maria delle Vertighe (AR). Sempre dello stesso autore, la rubrica “Aphoreta”, nella quale, tra gli altri, viene recensito il volume del nostro collaboratore Tito Cauchi: “Graziano Giudetti, Il senso della poesia”. * ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - rivista di lettere ed arte fondata da Giacomo Luzzagni e diretta da Stefano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - via Chiesa 27 - 35034 Lozzo Atestino (PD) - E-mail: nuovatribuna@yahoo.it - Riceviamo il n. 135, del luglio-settembre 2019, del quale segnaliamo le firme di: Liliana Porro Andriuoli (“Jack Kerouac”), Elio Andriuoli (Friedrich Schiller”), Anna Vincitorio (“Nazario Pardini”), Luigi De Rosa (“Febe Dal tempo all’eterno”, di R. E. Giangoia), Maria Luisa Daniele Toffanin (“Così ti ricordo, Rossano” Onano), Pasquale Matrone (“La poesia di Imperia Tognacci” di Francesco D’Episcopo e “Viaggio esistenziale” di Luigi De Rosa). * KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia, Libreria Ticinum Editore, direttore Amedeo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26845 Codogno (LO) - Riceviamo il n. 55, giugno 2019, del quale riportiamo il sommario: Kamen’/Giuseppe Baretti (a cura di Elvio Guagnini): Giuseppe Baretti: Scritti di e sul viaggio, Parte I; Elvio Guagnini: Baretti e le scritture del (e sul) viaggio. Poesia/Nikolaj S. Gumilëv (traduzione e cura di Amedeo Anelli); Nikolaj S.
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Gumilëv: Poesie. Letteratura e giornalismo/Cesare Zavattini (a cura di Guido Conti): Guido Conti: Cesare Zavattini: un genio tra giornalismo, letteratura e cinema, a trenta anni dalla morte; Cesare Zavattini: Antologia di testi.
La suddetta silloge attesta subito che il Defelice ha raggiunto un superiore e maturo equilibrio concernente la strutturazione della compostezza sintattica dei versi, insieme ad un più incisivo respiro espressivo. La sua poesia infatti declina la parola come un elemento vivo della comunicazione, nonché dell’espressione poetica, nel promuovere ed attivare un nesso commisurativo fra l’io e il tu, che generi riflessione e conoscenza, in un tempo in cui essa, da diretta è diventata virtuale, distorta e inverificabile. (…) Si scopre allora subito del poeta la sua alta sensibilità ecologica e l’alto valore attribuito alla sacralità della terra e della famiglia, che sembrano estendersi e coinvolgere ogni luogo, rivelando lodevoli doti di tenerezza e di pietà, avulse del tutto da un decrepito sentimentalismo. Niente può incrinare, allora, quell’esplosione energetica e luminosa di una natura che sempre invita l’uomo alla collaborazione e alla solidarietà. Andrea Bonanno In: Mail Art Service, Giugno 2019
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D. Defelice: Il serpente (legno). AI COLLABORATORI
Domenico Defelice: Girasole, olio su compensato (1983) e, sotto, un mosaico di Michele Frenna (1994).
Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________ Stampato in proprio