Pomezia Notizie 2020_01

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50ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Anno 28 (Nuova Serie) – n. 1

€ 5,00

- Gennaio 2020 -

Intervista a

SALVATORE D’AMBROSIO Scrittore, Poeta, Pittore a cura di Isabella Michela Affinito ALVATORE D’Ambrosio - poeta, scrittore, giornalista, pittore - è nato a Napoli nel 1946, ma vive e lavora a Caserta. Dopo gli studi tecnici, s’iscrive ad Economia. Insieme all'attività di docente continua a seguire gli studi storici sul regno di Napoli e i Borbone. Negli anni '70 inizia la sua collaborazione con emittenti televisive locali e riviste. Su "La Tribuna del Collezionista" di Gaeta (Latina) pubblica alcuni studi sull'organizzazione amministrativa del Regno di Napoli. A partire dagli anni '90 partecipa a diversi concorsi letterari riscuotendo consensi e riconoscimenti, tra cui la lettura di alcune sue poesie in piazza a Caserta e alcuni premi. Sue poesie sono inserite in raccolte poetiche e antologie. Tra le sue opere, ricordiamo: “Storia Postale Italiana Annullamenti di Terra di Lavoro (1863 - 1889) con valutazioni”, “Barcollando nell’ indicibile” (2009), “Dieci x Dieci. Sillabe incise a fuoco sulla pietra” (2016). Di recente, alcune sue poesie sono state tradotte anche in Cina e sono apparse sul →

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All’interno: Vincenzo Gasparro e il suo Cartesio, di Andrea Bonanno, pag. 5 Simone Weil interpretata da Sabina Moser, di Ilia Pedrina, pag. 8 Wendell Berry, di Anna Vincitorio, pag. 11 Sorge il sole/canta Omero, di Fabio Dainotti, pag. 14 Wu Touwen, di Domenico Defelice, pag. 17 Il Natale e il Capodanno di una volta, di Antonia Izzi Rufo, pag. 21 Il fenomeno Isabella Michela Affinito, di Luigi De Rosa, pag. 22 Vincenza, di Patrizia De Rosa, pag. 23 La poesia di Nunziata Orza Corrado, di Leonardo Selvaggi, pag. 24 “…E se muoiono tutti quelli là dentro?”, di Ilia Pedrina, pag. 28 Premio editoriale Il Croco (regolamento), pag. 30 I Poeti e la Natura (Guido Zavanone), di Luigi De Rosa, pag. 31 Notizie, pag. 42 Libri ricevuti, pag. 44 Tra le riviste, pag. 47 RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Dieci x Dieci, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 33); Elio Andriuoli (Tempi di versi, di Francesco Giannini, pag. 34); Domenico Defelice (Requiem for Gina’s and other Poems, di Fabio Dainotti, pag. 35); Domenico Defelice (Una raccolta di stili - 17° volume -, di Isabella Michela Affinito, pag. 36); Domenico Defelice (Ricordi, Nostalgie, Sentimenti, di Mercedes Chiti, pag. 36); Salvatore D’Ambrosio (Dalla misura delle stelle, di Rainer Maria Rilke, pag. 37); Giuseppe Giorgioli (Gli impostori, di Emiliano Fittipaldi, pag. 37); Ilia Pedrina (La strage di piazza Fontana. L’eccidio, i processi, la memoria, a cura di Antonio Carioti, pag. 40).

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Anna Cimicata, Ada De Judicibus Lisena, Aurora De Luca, Lorenzo De Micheli, Luigi De Rosa, Salvatore D’Ambrosio, Elisabetta Di Iaconi, Teresinka Pereira, Gianni Rescigno, Leonardo Selvaggi

numero dell’ agosto 2019 della prestigiosa rivista bilingue (inglese-cinese) THE WORLD POETS Quarterly, diretta dallo scrittore e poeta Zhang Zhi. “Il problema dello scrittore e dello scrivere, quindi dello stile, è quello di sapere arrivare al lettore e essere letto fino in fondo“. Parole testuali del poeta e insegnante, proveniente da studi tecnici ed economici. I suoi interessi sono molteplici dato che fin da ragazzo gli piaceva ‘armeggiare’ quelle che erano le carte di famiglia, andando a curiosare fra gli spartiti di musica del nonno che suonava il primo bombardino nel complesso musicale Caravaglios e le carte nautiche dello zio, ca-

pitano di vascello. La musica, quindi, è stata l’altra sua grande passione e la storia soprattutto della sua regione campana. Gli stimoli provenienti sia dall’ambito familiare, sia dagli impegni svolti anche in campo giornalistico, hanno fatto di lui una persona alquanto versatile, che ha attirato l’attenzione di critici contemporanei come il compianto docente poeta Giorgio Bárberi Squarotti, Anna Aita, Leonardo Selvaggi, Brandisio Andolfi, Aurora De Luca, la sottoscritta ed altri ancora. “Barcollando nell’indicibile“, edito nell’ aprile 2009 con una nota introduttiva curata da Brandisio Andolfi, riproduce, in copertina, un suo geometrico-surreale olio su tela.


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1) Lei è una persona abbastanza versatile che ha spaziato e spazia tra la poesia, il giornalismo, la pittura, ha anche insegnato. C’è qualcosa che Le manca di svolgere o che avrebbe voluto fare? R) Mi sarebbe piaciuto molto essere un pianista concertista. 2) La poesia d’apertura del suo libro Barcollando nell’indicibile contiene l’ Umberto Boccioni del 1910 dal titolo La città che sale. Ma l’intero suo testo poetico pare vada contro quello che fu il pensiero dei futuristi inneggianti il progresso (con tutte le sue conseguenze nel bene e nel male), la velocità, la temerarietà, l’atto bellico, etc. È proprio così? R) Mi spiace ma la poesia a cui fa cenno, non è contro il progresso. Bensì è riferita al duro lavoro operaio che, sebbene spesso sottovalutato, è quello che ha fatto e continuerà a fare le città e il progresso civile e industriale di un paese. 3) Lei che è anche pittore si è rifatto a una corrente in particolare o segue soltanto il suo stile e/o l’ispirazione del momento? R) Senza presunzioni cerco di avere una mia connotazione, un mio stile. Comunque come qualsiasi artista seguo una corrente, senza la quale non si comunicherebbe nulla. Mi sento molto vicino all’arte così detta “concettuale”, in quanto mi interessa veicolare essenzialmente un pensiero, senza disdegnare l’estetica. 4) La sua crestomazia poetica (poemetto) del 2016 in riferimento alle Leggi mosaiche, I Dieci Comandamenti incisi a fuoco sulla pietra direttamente, secondo la tradizione, da Dio per il Patriarca Mosè, è scaturita da un suo forte credo religioso o da che altro? R) Sono stato cresciuto con sentimenti cattolici. Sono un praticante della domenica, come amo definirmi, in quanto santifico le

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feste e gli altri comandamenti. Mal sopporto però ogni forma di integralismo o di manifestazione estetica senza sostanza. Non andrei in giro, come certi tipi politici di oggi, facendo finta di pregare con il rosario in mano. Mi interessano le Sacre Scritture. La Bibbia è un libro pieno di verità, di cui ogni giorno, con grande sforzo, ne colgo il senso. Con il mio poemetto ho voluto verificare se avevo cominciato a capire qualcosa. 5) Lei ha versificato sulla figura multiforme di Pier Paolo Pasolini, nonché sulla sua tragica e prematura morte. A quarantaquattro anni di distanza da quel triste novembre che lo vide assassinato, cosa valuta di più dell’intera produzione pasoliniana: le poesie, le pellicole cinematografiche, il suo pensiero politico, i romanzi, l’anticipazione, col suo assassinio, del fenomeno odierno dell’omofobia? R) Pier Paolo Pasolini, per me, è una figura di primissimo piano della cultura italiana del novecento. Fino alla fine non dimenticò la sua origine friulana, che lui stesso definì arcaica, religiosa, innocente. Con una certa malafede invidiosa però, si è preferito disegnare una figura diversa di lui. Si è preferito classificarlo come un dissoluto, amante di giovani ragazzi. In parte tutto falso. Era talmente avanti nel pensiero che oggi si stanno verificando fatti e modi di vita già previsti dalla sua grande apertura mentale. Per il mio grande interesse alla figura di Pasolini, posso dire che ogni forma d’arte da lui intrapresa aveva un solo filo: far capire la perdita di innocenza e di autenticità del popolo italiano. 6) L’immagine di copertina a colori del Suo Barcollando nell’indicibile è un olio su tela titolato Lo specchio e sembra sia la pianta tridimensionale di un’ abitazione dall’alto. Ci può dare la descrizione giusta del quadro con l’attinenza ai contenuti poetici del libro. R) Ecco, noi tutti viviamo la casa dell’ indicibile. Nel senso che, anche se diciamo tutto


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quello che vogliamo dire, spesso anche a sproposito, tratteniamo sempre qualcosa dentro di noi, qualcosa che non vogliamo dire perché temiamo o preferiamo non dire. Così accade che nonostante la buona volontà di guardarci dentro (lo specchio appeso alla parete), riusciamo solo a vivere barcollando nei diversi ambienti di quella casa. Il pezzetto di gamba con il piede alzato che si intravede sulla destra, sta proprio a significare questa nostra incertezza, questa instabilità nella verità. 7) Lei ha espletato studi tecnici e di Economia all’università, come è approdato alla Poesia e alla scrittura in generale? R) È una cosa che non scegli. È nata con te. C’è chi sa cantare, chi ha una buona mira, chi piace perdersi nei congegni di un orologio. Una volta che hai scoperto la tua inclinazione la coltivi, studi, ti applichi per perfezionarla. A dieci anni ricordo che, per trattenere i miei cugini più piccoli di me, gli raccontavo storie. Anche comiche per farli divertire. Poi crescendo si passa ai primi versi, spinti dai primi innamoramenti. L’interesse, la passione e i contatti con alcuni ambienti redazionali hanno fatto poi il resto. 8) Avendo pubblicato dei trattati storici incentrati sul Regno di Napoli e del periodo borbonico, come giudica quel determinato momento antecedente l’Unità d’Italia? R) Senza dubbio degli stati esistenti all’ epoca, quello di Napoli era il più grande e il meglio servito. Non parlo per campanilismo. Il regno borbonico aveva tantissimi primati che gli staterelli, di cui era composta l’Italia, conosceranno dopo in seconda battuta. La prima linea ferroviaria, il primo telegrafo, la prima industria serica a Caserta: sono le cose storicamente più conosciute. Per non parlare del servizio di recapito postale, capillare e bene organizzato in tutto il regno. Ma il Regno borbonico aveva avuto anche la prima scuola di ostetricia, le prime scuole tec-

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niche, la prima regolamentazione delle paghe degli insegnati in base all’anzianità di servizio. Fu il primo regno ad effettuare scavi archeologici, con la costituzione del primo museo dove raccogliere i reperti. La prima facoltà di agraria. Una buona organizzazione militare, un buon commercio interno e verso l’estero. L’ultimo re Francesco II si convinse, per salvare il regno, anche a dare la Costituzione. Ma con ritardo. In fondo non era proprio tutto male, come volevano far credere i sabaudi. Ma sicuramente è stata molto meglio l’Italia unita. 9) Il valore-cardine che non può venirLe meno? R) Sono stato educato al rispetto degli altri e di me stesso. Tengo, per questo, molto alla parola data. La serietà è una cosa su cui non transigo. 10) Rifarebbe quello che ha fatto compreso il tipo di studi superiori e universitari, oppure cambierebbe qualcosa o tutto? R) Ci sono e devono esserci nella vita, sempre dei sogni da inseguire. Da adolescente mi piaceva fare il diplomatico, per questo scelsi la facoltà di Economia. Ma poi si prendono altre vie. La cultura ho capito essere una cosa indipendente dagli studi compiuti. E soprattutto è qualcosa che non sta nel ristretto del famoso pezzo di carta. Leopardi, Gadda, Quasimodo, Erri De Luca, e altri hanno fatto studi fuori da quei percorsi letterari sui quali poi si sono incamminati. Addirittura qualcuno lo studio “matto e disperato”, lo ha compiuto nella biblioteca di casa. Eppure sono diventati punto di riferimento della letteratura italiana. Ovviamente lontano da me la presunzione che potrebbe equivocare questa ultima considerazione. Per questo mio modo di sentire la cultura, ripercorrerei la stessa strada e con il senno del poi, forse, qualche piccola cosa la cambierei. Ma non mi chieda cosa, altrimenti comincerei a barcollare nell’indicibile! Isabella Michela Affinito


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VINCENZO GASPARRO E IL SUO “CARTESIO È ANDATO VIA” Un’avvincente silloge poetica sulle menomazioni alteranti la spiritualità dell’essere dell’uomo di Andrea Bonanno

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L recente libro di Vincenzo Gasparro dal titolo “Cartesio è andato via“, pubblicato nell’Agosto del 2019 da BookSprint Edizioni, si snoda in tre sezioni dal titolo Cartesio è andato via, Novecento e Crocifissione. La prima sezione accoglie delle liriche che offrono un serrato resoconto sull’attuale e tremenda inconsistenza che affligge l’ esistenza civile, politica e morale dell’uomo e della medesima sussistenza della natura e dell’ambiente del pianeta Terra. La silloge segna una fase fondamentale della maturità dell’ evoluzione poetica dell’ Autore per la sua smagliante ed incisiva esuberanza del dire, su un tempo di un feroce squallore, evidenziandone la sua quasi totale erosione e anche la schisi dell’io associata alla dissoluzione dei valori etici dei padri rinnegati, evocati in tanti versi, insieme alla

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scomparsa di qualsiasi risposta di pietà. A livello filosofico sono invitati a salire sul banco degli imputati quei filosofi che si sono allontanati dai problemi dell’Essere, come Platone, Aristotile e anche Cartesio, con la loro svolta intellettualistica, secondo il Michelstaedter e l’Heidegger, erigendo come propulsore del pensiero un astratto Cogito, che in realtà privava l’uomo della sua libertà e del suo destino, nel senso di poter realizzare il suo vero essere, facendolo smarrire nel contempo nelle banali datità della contingenza della routine quotidiana. D’altra parte lo status attuale della alienazione dell’autentico è vistosamente degenerato oggi, presentando una virulenza allucinante per l’imperversare della cosiddetta “morale liquida”, dominata da un individualismo aberrante rivolto unicamente al soddisfacimento di soggettivi interessi, che spinge ad ogni sorta di corruzione e violenza . L’esaltazione dell’industrialismo e della tecnologia e il loro propagarsi ci hanno regalato delle disastrose catastrofi come Seveso e Cernobil, lo scarico di veleni nei fiumi, le piogge acide, l’inquinamento dei mari con l’immissione della plastica, etc., sicché il decantato progresso si è tradotto in un progressivo pericolo di morte per l’uomo, rivelando un razionalismo cieco dalle irrisolte contraddizioni interne e scacchi crescenti nei riguardi della natura e delle esigenze etiche e civili dell’uomo per la noncuranza ed incompetenza pure dei politici nel non aver saputo dar vita a dei cittadini consapevoli e a dei governanti onesti e responsabili. I versi dell’Autore scandagliano la sua anima per un resoconto denso di plurime ed incisive commisurazioni su un tempo di maschere mortuarie e relitti fossili, nella ricognizione obiettiva delle urgenze intime dell’uomo e delle sue doloranti inquietudini, in cui aleggia l’ansia e lo squallore del Nulla nell’ evidenziazione dell’ inerzia dei nostri stanchi giorni, che non ci appartengono più. La poesia del Gasparro si presenta consistente nell’affrontare molteplici e difficili temi, che vanno da quelli dell’inesistenza e del-


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la inappartenenza (“Nel vuoto è scomparsa la colpa / ma rimane l’orrore di esserci”, p. 7), a quello della vita caotica della città con il suo traffico orribile (“Le strade della città eruttano caos razionale”, p. 35); da quello della artificializzazione della natura (“non sappiamo se siamo in tempo / per riappacificarci con le zolle aride /zuppe di sale e acide”, p. 7”), (“ La natura non è la prostituta / che appaga tutti i nostri desideri. Greta ha presentato il conto / dell’artificializzazione del mondo” p. 11); a quello dello scacco della ragione (“I concetti sono aleatori / pieni di contraddizioni non c’è / più spazio per una chiara dimostrazione” p. 19). Ma, ovviamente altri temi sono trattati come la persistenza cieca del dolore e della precarietà della vita che ci è rimasta (”ci rimangono frammenti e tarli. Spot e chimere hanno corroso/ antiche verità e trionfa il ritorno / a un amaro passato affogati / nelle vie di un consumo alienato”, p. 16). Centrale e assillante è l’altro tema della ricerca dell’identità e, soprattutto della verità: “Nella linfa della vita cerco la verità / il cervello si agita ma non trova l’inizio / rimangono tracce, non s’ intravede un ordine”, p. 38 e gli altri riguardanti la solitudine, l’insicurezza e la paura: “Il timore è scritto sui muri lungo le strade. / Lo sguardo fissa al di là della siepe / l’immagine della catastrofe annunciata / nelle notti che corrono su corpi inanimati”, p. 8.; “Le finestre s’affacciano sul gelo / delle strade deserte e ombre / dietro i vetri proiettano solitudine”, p. 8. Ad un terreno secco e degradato, in cui miracolosamente si accende, in tutto il suo fulgore, il colore rosso di una rosa, può accadere di ritrovarci a contatto con i segni ed immagini di morte: “Il serpe fruscia tra l’erba / e sull’albero penzolano le squame / scheletri incastrati nel verde / emblemi di una fine / tra le parole smarrite dell’ignoto”, p. 9 . Sono molto centrali altri temi come quello della natura sconvolta: “Dalle tane le volpi escono di giorno / rovistano nei rifiuti per il cibo / i gabbiani beccano plastica / hanno abbandonato gli spazi del mare”, p. 22, come

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quello dell’assenza del dialogo “Non provare neanche a voltarti / sentiresti parole caotiche”, p. 12, quando “Intorno c’è un silenzio senza le cose”, perché “Abbiamo rotto tutte le relazioni vitali”, p. 16 o come l’altro dell’ assenza della pietà: “sei destinato a soccombere senza pietà”, p. 13; “nessuno ha pietà della bellezza / delle donne che partoriscono la vita”, p. 17. Suggestiva e toccante si rivela la lunga lirica di pagina 21 per le lucide analisi e considerazioni su un Novecento barbarico che ha smarrito e sommerso insieme alla natura la voce poetica e l’anima dell’ uomo nella dissoluta voluttà del sesso e nelle gabbie allucinanti di inauditi e ricorrenti ferocie: “Pensavamo bastasse la dialettica / per spezzare le scorie i soprusi / gli inganni gli opportunismi e le furbizie. / Per questo uccidemmo il Padre / violando la legge di cui portiamo il lutto”. Nell’ultima sezione del libro dal titolo Crocifissione, compare la splendida lirica che ci presenta “il volto del Cristo morente” che rivive ancora nel profondo della nostra anima per la sua morte ingiusta insieme al senso dell’attesa di un’altra “luce”. Un’altra vigoro-


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sa lirica si trova a pagina 33, riguardante il martirio di Cristo, di cui si coprì il corpo straziato nel lino diventato rosso porpora “e subito ricomparve l’azzurro del cielo”. Il senso incerto del viaggio domina la lirica di pagina 36, tra speranze e tremori di morte. Tragica e densa di un’elevata pietas infine è la rievocazione di Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante tedesco che fece uscire dalla Germania molti ebrei: un giusto impiccatosi il 9 Aprile 1945 nel campo di stermino di Flossenbürg, presso la frontiera ceca: “In quell’inferno solo Gesù si trascinava / centrò il suo cuore compassionevole. / s’intrufolò nelle scarpe lacere si posò / sulle mani bianche colme di sofferenza”, p. 40 . Nel libro rimane fremente il tempo dell’ attesa di qualcosa di terribile e minaccioso o di una svolta rigenerante che possa avviare l’inizio di un nuovo umanesimo. Forti e suggestive le immagini liriche si susseguono per tutto il libro sollecitando la nostra anima ad un urgente riscatto di un’avvincente sublimazione delle nostre più profonde ed intime urgenze spirituali, nell’avveduto approccio ai problemi dell’ ”Essere”. Intense e vibranti le parole, però rivelano un andamento disteso con una discorsività che apre a lirismi inattesi in questo suo inventario del Nulla esistenziale e nelle sue immagini di presenze-assenti, che aspirano alla speranza e alla “ratio ultima rerum”. Oggi Vincenzo Gasparro è uno dei pochi poeti, se non l’unico, che riesce a commisurarsi allo status esistenziale attuale dell’uomo, diversamente dai molti che, nell’ambito pittorico, in vena di sperimentatori protofisici e astratti, indagando sulla luce, danno luogo solo a dei “giochi di luce” con la velleità di voler sublimare un’entità fisica in una datità spirituale. Egli è il poeta che indaga e verifica e che pone come fondamentale ed irrinunciabile contenuto della poesia la schisi e il regresso morale e spirituale dell’uomo nell’attuale inferno esistenziale di una società depravata e feroce, tra la sua intensa pietà e forte amore e la luminosità del suo sogno e della speranza,

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avendo raccolto da tempo l’invito espresso dal Montale, che sarebbe arrivata “anche per noi l’ora che indaga”. Andrea Bonanno

ACROBAZIE MENTALI Il demone più spaventoso È il mio più frequente coinquilino In questo mondo sconvolto Dal conflitto che è la mia mente. A meno che io Non stia camminando sul soffitto. Lorenzo De Micheli Genova

COME IL MARE Perché non siamo come il mare, che raccoglie tutte le acque e non si riempie mai ? Noi a un certo punto invece incominciamo a traboccare. Restituiscono allora gli occhi gocce salate come il mare. Salvatore D’Ambrosio Caserta

UN SOFFIO VERDE Penetrare fra i rami di un albero. Dita di foglie fra i capelli, intreccio di vene. Ci afferra un soffio verde, ci prende il brulichio di un globo. Noi siamo confusi alle resine, sulla pelle scorza scabrosa. Siamo alle origini, ci abbracciano selve primeve. E il cielo vicinissimo discende fra il fogliame. Ci appartiene. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017.


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SIMONE WEIL APRE IL SUO 'CREDO' ALL'INTERPRETAZIONE DI SABINA MOSER di Ilia Pedrina

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e crois en Dieu, à la Trinité, à l'Incarnation, à la Rédemption, à l'Eucharistie, aux enseignements de l'Evangile... Je ne reconnais à l'Eglise aucun droit de limiter le sopérations de l'intelligence ou les illuminations de l'amour dans le domaine de la pensée...' (Simone Weil, prima pagina autografa del Dernier Texte, in S. Moser, Il 'credo' di Simone Weil, pag. 6): la sua scrittura è minuta, precisa, molto spessore in minimo spazio, quasi con la voglia di restare un poco invisibile, nascosta, fuori dall'attenzione dei molti. Su Simone Weil, come evidenza indiscussa che emerge da queste sue parole, è ancora necessario aprire ulteriori approfondimenti, come se vi fosse un fronte infinito di sollecitazioni spirituali ed intellettuali ad un tempo. Queste parole sono tratte dal suo Lettera a un religioso, a cura di G. Gaeta, attualmente il più attento ed accurato traduttore ed interprete della filosofa francese. L'approccio che la studiosa fiorentina Sabina Moser ha offerto dunque nell'opera IL 'CREDO' DI SIMONE WEIL, pubblicato dalla Casa Editrice Le

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Lettere nel 2013 ed ora in ristampa, si avvale di una seria, ultradecennale continuità di lavoro sulle pagine della Weil, ma non solo, per la quale ella sinceramente sostiene nella Presentazione: “... Senza pretendere di dire l'ultima parola sulla complessa questione del rapporto di Simone con il cristianesimo e soprattutto con la Chiesa - nel suo sentirsi lontana e insieme vicina, fuori e dentro (una questione che ci pare davvero cruciale nei nostri tempi di 'cristianesimo anonimo' e di 'scisma sommerso') – speriamo che questo lavoro possa contribuire un poco a quella riflessione sul suo pensiero che ci sembra comunque sempre più ineludibile, ai giorni nostri. In ogni caso, il presente libro vuole testimoniare profonda stima - anzi, debito e gratitudine – nei confronti della scrittrice francese.” (S. Moser, op. cit. pag. 7). Come ho già esplicitato in altri studi, Simone Weil è e rimane ebrea e, come donna ebrea, ha coraggio senza limiti, quando è totalmente fuori e altra, veramente nuova persona rispetto alla Sinagoga: per questo le è possibile chiamare ad appello tutta la sua intelligenza libera e chiarificatrice d'ogni informazione conoscitiva, per poter affrontare limiti, errori, trasgressioni, travisamenti, veri e propri peccati di questa istituzione temporale che è la Chiesa cattolica. Questo testo accompagna per mano, nel complesso evolversi delle parole del 'credo' stesso, chi ha passione e capacità di oltrepassare il limitato livello dell'io, ancora e sempre esageratamente ingigantito, come soggetto e come oggetto, e fa scoprire il mondo interiore della Weil, fatto di approfondite conoscenze della cultura greca antica, orientale, indiana, ed egizia, tutte ravvisate come testimonianze proto e precristiane, quasi tutte adatte a preparare l'avvento di Gesù, indipendentemente dall'Antico Testamento. La struttura dell'opera, oltre alla Presentazione, prende l'avvio proprio con la stesura del testo del 'Credo', Confessione di fede (pp. 9-11): ciascuno degli otto capitoli, quasi a portare Simone stessa a testimone, si apre con le sue considerazioni, tratte dal 'Credo',


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sui temi che verranno poi via via spiegati con ulteriori intrecci e rimandi anche ad altri suoi lavori: L'altro volto del cristianesimo (I due volti del cristianesimo/Essere sulla soglia della Chiesa/Lo spirito di verità e l'esigenza di pulizia filosofica/La vita spirituale come cammino di verità, pp. 13-29); La critica al personalismo (Persona-diritto-obbligo morale/Dirittopersona - Giustizia-impersonalità/ Il sacro e il passaggio all'impersonale/Persona=maschera e inganno, pp. 30-44); Dio Trinità (Dio è amore/Personalità e impersonalità di Dio/Trinità e amicizia pp. 45-58); Creazione e decreazione (Il problema della creazione/Decreazioneattesa-umiltà/L'obbedienza della creatura, pp. 59-74); L'Incarnazione (Il peccato originale/Incarnazione e conversione/Necessità dell' Incarnazione, pp. 75-89); La Redenzione (Resurrezione o redenzione?/La necessità della redenzione/Bellezza e rinascita, pp. 90-104); I Sacramenti (La vita come sacramento eucaristico/Il sacramento come momento di contatto con Dio/Guardare e mangiare, pp. 105-120); Simone Weil e la Bibbia (Il 'marcionismo' della Weil/L'idolo del Dio degli eserciti/ L'autentico insegnamento del Vangelo, pp. 121136). Come si può notare, il 'Credo' di Simone Weil viene offerto per gradi, a tappe dell'intelletto che opera con rigore, quando si associa alla spiritualità, per subirne la fascinazione e quindi operare un benefico distacco, operazione questa che la associa ai grandi filosofi del pensiero mistico: ella è dalla parte di colui che, uscito dalla caverna nella quale di fronte a sé vedeva solamente ombre del reale, riesce a cogliere il mondo nella luce dell'esperienza

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di verità; ella attende Dio e considera verità proprio questo stato di aspettativa, svuotante in tutto l'identità che costringe tra muri invalicabili, stato di aspettativa dilatato a tutta l'esistenza; ella considera l'Incarnazione come il momento più alto del Dio come Amore, perché prende su di sé tutti i limiti della nostra 'materia meccanica'. La dottrina di Simone Weil è di rilevante spessore e potrei considerarla come Amica della Chiesa, di quella Chiesa di cui lei porta dentro il Principio, dato l'Amore per Gesù che la distingue e data la rigorosità con la quale esige profonda pulizia del pensiero, che deve essere liberato da ogni limitante forza dell' immaginazione. Restiamo un poco su quelle che indico come 'soglie' e facciamoci accompagnare dalle sue parole: “È come se, sotto la medesima denominazione di cristianesimo e all'interno della stessa organizzazione sociale vi fossero due religioni distinte: quella dei mistici e l'altra. Io credo che la religione vera sia la prima.” ( soglia 1: S. Weil, Lettera a un religioso, in S. Moser, op.cit. pag. 13). “Fortunatamente l'autentica ispirazione cristiana è stata conservata dalla mistica. Ma al di fuori della mistica pura, l'idolatria romana ha insozzato ogni cosa. Idolatria, perché è il modo dell'adorazione, non il nome attributo dell'oggetto, che distingue l'idolatria dalla religione.” (soglia 2: S. Weil, La prima radice, in S. Moser, cit., pag. 30). “Il dogma della Trinità è necessario affinché si abbia non un nostro dialogo con Dio, ma quello di Dio con se stesso in noi. Affinché noi siamo assenti.” (soglia 3: S. Weil, Quaderni, vol. IV, in S. Moser, cit., pag. 45). “La Creazione, per Dio, non è consistita nell'estendersi, ma nel ritirarsi. Egli ha smesso di “comandare ovunque ne avesse il potere”[...]. La Creazione, la Passione, l'Eucarestia - sempre lo stesso movimento di ritiro. Questo movimento è l'amore.” (soglia 4: S. Weil, Quaderni, vol. III, in S. Moser, cit. pag. 59). “Se l'Evangelo omettesse ogni menzione della resurrezione del Cristo, la fede mi sarebbe


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più facile. La croce da sola mi basta. Per me la prova, la cosa veramente miracolosa, è la perfetta bellezza dei racconti della Passione, insieme ad alcune parole folgoranti di Isaia: “Ingiuriato, maltrattato, non aprì la sua bocca”e di san Paolo:“Non ha considerato l'uguaglianza con Dio come un bottino... Egli si è svuotato...Si è fatto obbediente sino alla morte, e alla morte di croce”,“È stato fatto maledizione”. È questo che mi costringe a credere”. (soglia 5: S. Weil, Lettera a un religioso, in S. Moser, cit. pag.90). “Entrò nella mia camera e disse: “Miserabile, che non comprendi nulla, che non sai nulla. Vieni con me e t'insegnerò cose che neppure sospetti”. Lo seguii... Eravamo soli. Parlò...Talvolta taceva, prendeva da un armadio un pezzo di pane e lo dividevamo... Mi versava e si versava del vino che aveva il gusto del sole e della terra... mi aveva promesso un insegnamento, ma non m'insegnò nulla...” (soglia 6: S. Weil, Prologo, Quaderni, vol. I, in S. Moser, cit. pag. 105): questo Prologo è come un sogno, un'iniziazione della mente quando si svuota e lascia entrare lo Spirito, un racconto lungo, dettagliato, accadimento vero e proprio dell'anima che lei circonda di riferimenti solidi anche per lo spazio interiore. Grazie a questo testo di Sabina Moser, Simone Weil si pone così per tutti noi come esperienza: l'Autrice ne traccia tutti i particolari consistenti e dimostra a tappe consistenti e ottimamente documentate il suo percorso personalissimo, spontaneo, suffragato da grande coraggio e da inesauribile capacità di ricerca conoscitiva, che è approdata in semplicità e in pura sincerità alla sofferenza della Croce. Offro alla docile obbediente anima di Simone ed all'Autrice Sabina Moser, così preparata e così sensibile all'esperienza dell'Amore da porre una semplice dedica 'A mio marito' come offerta e compendio del suo camminare con lui sui testi della Weil, alcuni versi del noto canto per l'Epifania 'Quanno nascette Ninno', in lingua napoletana antica di Alfonso Maria de' Liguori, compositore del '600 e molto altro dentro a quella Chiesa che ha ancora bisogno di ossigeno puro ad ali-

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mentare lo spirito come le melodie di questo canto: Quanno nascette Ninno a Betlemme Era nott'e pareva miezo juorno. Maje le stelle - lustre e belle – se vedettero accussì: E a cchiù lucente Jett'a chiamma li Magge all'Uriente. De pressa se scetajeno l'aucielle cantanno de na forma tutta nova: Pe 'nsi agrille - co le strille E zombanno a ccà e a llà; È nato, è nato, Decevano, lo Dio, che nc'à criato. Co tutto ch'era vierno, Ninno bello, nascetteno a migliara rose e sciure... … No 'nc'erano nnemmice pe la terra, La pecora pasceva co lione; Co 'o caprette - se vedette O liupardo pazzeà; L'urzo e o vitiello E co' lo lupo 'npace o pecoriello... … Zombanno comm'a ciereve ferute, Correttero i Pasture a la Capanna; Là trovajeno Maria Co' Giuseppe e a Gioia mia; E 'n chillo viso provajeno no muorzo e Paraviso... (Parole e musica di A. M. De' Liguori, Quanno nascette Ninno, in rete con testo integrale e bella interpretazione di Pina Cipriani) Ilia Pedrina

ALTRO TEMPO DI SINFONIA È RIMASTO sul mio spartito. Sono sereno. C'è una giovinezza che nessuno ormai può togliermi. Con consapevolezza chino il capo alla sera che avanza. Luigi De Rosa (Rapallo)


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WENDELL BERRY da Collected Poems 1957/1982 Una scelta ontologica da lui stesso definita non completa delle sue poesie. Traduzione e commento a cura di Anna Vincitorio

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N una conferenza al Lyceum di Firenze e precisamente giovedì 12 gennaio 2018, il Prof. Giulio Guidorizzi dell’Università di Torino, ha parlato su: “Gli eroi di Omero e il sogno”. Nel corso di tale esposizione ha citato alcuni versi di Wendell Berry. Non mi era noto ma la sua figura mi aveva incuriosito. Ho iniziato a ricercarlo per saperne di più. È uno scrittore, poeta ambientalista statunitense nato il 5 agosto 1934 a Henry County nel Kentucky. I suoi scritti sono il riflesso del profondo sentire: ambiente, agricoltura, famiglia, le comunità tradizionali, il coesistere armonioso fra uomo e natura. La sua scrittura è volta essenzialmente verso la salute del mondo. Laureato in letteratura inglese all’Università del Kentucky ha insegnato letteratura e scrittura creativa tra il 1957 e il 1964 nelle sedi universitarie del Kentucky, di New York e della California. Nel 1965 è ritornato nel Kentucky vivendo nella fattoria dove era nato

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e dove la sua famiglia risiede dal 1800. Fa il coltivatore seguendo metodi tradizionali e biologici. Il New York Times lo definisce il “profeta dell’America rurale”. “Guarda come senza caos questo è tutto quello che è e come perfetta è la sua grazia…” Un poeta per penetrarlo va letto più volte fino a sentirsi in perfetta simbiosi con lui. Gli elementi che delineano il suo pensiero è come se si schiudessero e noi, con lui, diveniamo colore, vento, uccelli, musica. La poesia di Wendell Berry si è dipanata nel tempo. Una sottile malinconia ci accompagna con lui diveniamo “figure emergenti come ombre nel fuoco”. Il poeta ha un interlocutore che gli parla della bellezza della morte. È il suo angelo nero e nelle sue nere ali risorge per cantare e ripercorre la sua vita dalla primavera al tramonto compiendo quegli atti della quotidianità che costituiscono l’essenza dell’esistere. Una vita nella quale gli uccelli cantano; una vita in cui “un uomo e una donna avvinti/ al centro della stanza/ si abbracciano e baciano/ come se si fossero incontrati per caso…”. L’uomo cammina e canta verso la sua morte. Cosa lo tiene legato alla vita? I ricordi. Le poesie del nostro parlano di momenti, di amicizie che temperano la solitudine e il freddo soffio dell’inverno. Importante è che ci sia una presenza: può essere il colore di una stanza, vecchi ninnoli testimoni di un passato non dimenticato. Intorno all’ uomo l’universo. “Lo avvolge di sera con le stelle/ vaganti sopra il freddo bosco che è cresciuto, adesso al calar della notte nella totale oscurità, le stelle/ nel cielo più sconfinato che buio;/ …”. L’uomo è circondato dalla natura in tutta la sua bellezza. Gli alberi sono una componente della vita che si dipana nell’oscurità: “regna il silenzio nel bosco,/ Nella quiete di tutti gli uccelli che amano la luce…”. Wendell Berry ama profondamente la natura anche se selvaggia e eliottianamente desolata e la umanizza. Le sue componenti lo cir-


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condano nella tristezza come nella gioia. In una poesia parla di crepuscolo e osserva un martin pescatore che schizza sull’acqua, quell’acqua che s’incupa come la vita verso il suo finire. Aspetta il buio ma non lo teme. “Io vado e giaccio dove il maschio dell’ anatra/ si allunga sull’acqua nel suo splendore/ e si nutre il grande airone/ Io entro nella pace delle cose selvagge…/ Davanti a me ancora l’acqua immobile/ e avverto sopra di me le stelle cieche di giorno/ …”. Però sempre in lui presente la grazia del mondo. Mondo tradizionale dal quale si è allontanato. La solitudine, il silenzio gli sono compagni e nella grazia del mondo (quello libero disseminato di stoppie, dove la natura respira incontaminata) là, trova la sua libertà e quella pace nell’attesa del buio che verrà ma che lui non teme. Anna Vincitorio 24 marzo 2018 – Firenze I miei ringraziamenti all’anglista Clara Tomaselli per il suo prezioso contributo.

WENDELL BERRY DA COLLECTED POEMS 1957-1982

Io risorgo per cantare. Le sue parole accompagnano il mio canto. Morire è più leggero che vivere, Loro dicono. La morte è più gaia. Non ci sono argomentazioni contro certezze, alla fine dicono sicuramente. Io so che loro sanno come io vivo, che la mia morte esiste, ed assume il mio sembiante. Ma l’uomo che cammina così con vigore, dì dove va, dì ciò che sente, ciò che vede e ciò che lui conosce lo fa avanzare lo fa avanzare più allegramente a grandi passi. Lui cammina a primavera attraverso la strada al tramonto per comperare il pane, verdi alberi s’inclinano sul marciapiede gialla forstizia sotto le finestre uccelli che cantano come cantano gli uccelli solo a primavera,

Da The Broken Ground 1964 Un uomo che cammina cantando Questo non è necessario: dormire più a lungo per sognare la sequenza della nostra rovina. Noi assumiamo sembianze dentro la morte, figure emergenti come ombre nel fuoco. Chi è? Che mi parla della bellezza della morte. Io credo sia proprio il mio angelo nero, a me vicino come la mia stessa pelle Io mai mi sono separato dalla sua oscurità, il suo volto nera maschera del mio volto. I miei occhi vivono nelle sue nere orbite. Nelle sue nere ali

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e lui canta, i suoi passi seguono il ritmo del suo canto. In una finestra aperta un uomo e una donna avvinti al centro della stanza si abbracciano e baciano come se si fossero incontrati per caso, il vento di primavera che solleva la tenda. I suoi passi lo portano, oltre la finestra, nel più profondo del suo canto. Lasciano la strada dietro di lui con una scala a pioli come la nota di un canto.


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la memoria di questo luogo. Verso la sua morte? si. Lui cammina e canta verso la sua morte. Da FARMING: A HAND BOOK – 1970 E l’inverno sarà simile alla primavera. L’uomo nato per l’agricoltura E per gli amanti, quando si baciano, sebbene sia primavera il giorno finisce. Ma al suono del suo passaggio lui canta. È una specie di trionfo che lo accora – ricordando i bianchi lillà in fiore profusi, fragranti, eccessivamente bianchi oltre il bisogno stagionale e alle note arroganti del tordo beffeggiatore che lo feriscono e agganciano al cielo come se non fosse in volo e morente come lui in questa canzone del momento.

Il giardiniere, l’uomo nato per l’agricoltura, le cui mani si curano del terreno che germoglia per lui il suolo è una droga divina. Lui ogni anno entra dentro la morte e ritorna indietro con letizia. Ho visto la luce spegnersi nel letame, e sorgere di nuovo nel grano. Il suo pensiero lungo il filare crea un muro. Quale seme miracoloso ha inghiottito tale da far scorrere dalla sua bocca la frase infinita di amore come una vite si avvinghia alla luce del sole e l’acqua scende nell’oscurità? ___________________________________

LUOGHI Luogo selvaggio In una landa desolata – un luogo innaturale ma selvaggio – tra il ciarpame dell’assenza dell’uomo, una palude e un avanzare caotico delle stagioni della città, pochi, vecchi spini di giuda fioriscono. Pochi uccelli dei boschi volano e cantano nel nuovo fogliame – uccelli dall’ugola canora e passeri selvaggi come foglie in un milione ciascuno potrebbe essere unico, nuovo agli occhi. Un uomo non potrebbe accettare simile colore simile volo e simile canto Nel loro sembiante il terreno è accorto. Loro sono anche

I luoghi del tempo, dello spazio, della mente, dello spirito e della carne, della nostalgia, della conoscenza, del mistero e della poesia, i luoghi dove fosse possibile provare ancora una felicità pura, i luoghi che mi sembra di meglio conoscere e amare sono quelli nei quali non sono mai stato. Luigi De Rosa (Rapallo)

LA POSSIBILITÀ C’è una luce che cerchiamo per condurci verso la serenità. Una luce anche piccola quel tanto che basti a cancellare quel poco di nero che ognuno si porta nell’animo. Salvatore D’Ambrosio Caserta


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SORGE IL SOLE/ CANTA OMERO di Fabio Dainotti

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ON questi versi Giosue Carducci voleva significare la forza primigenia, iniziale di una poesia sgorgata spontanea al sorgere dei tempi, quando tutto era nuovo, visto con la sorpresa delle scoperte, e veniva pronunciato per la prima volta. Ecco, questa è la freschezza che si riscontra nel libro di Domenico Defelice (Le parole a comprendere, Genesi Editrice, Torino, 2019), la capacità, tipica della poesia, quando è vera poesia, di guardare con occhi nuovi il mondo, di stupirsi di fronte al miracolo degli spettacoli naturali, togliendo quello schermo dell’ abitudine che li rende incolori. Si legga la sorpresa del magico sorgere della luna, evidente nell’epifonema finale “Era argento la strada/e come rideva il casolare!”, nel bellissimo notturno che reca un titolo già largamente informativo: La luna. Una natura vista non solo nei suoi spettacoli grandiosi, ma anche nelle scoperte improvvise, nelle epifanie: “Una rosa s’appoggia alla parete”. Giustamente Emerico Giachery parla nella postfazione di “un forte sapore di terra” che “caratterizza alcuni testi”. Del grande amore per la natura sono indizi le cure amorevoli rivolte alle piante, i colloqui silenziosi (Parlano i pioppi), le effusioni e le carezze elargite ai fiori, per arrivare alla “pianta di

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peperoncino viola…/improvvisamente appassita il giorno della… scomparsa” del padrone; una natura animata dunque: “hanno un’anima i pioppi/assai bambina”; i fiori sono nominati, evocati, con un puntiglio e una precisione da botanico, ma anche con l’amore di un innamorato, se è vero che la natura è ‘un’ amante esclusiva’, come recita il titolo di una sua poesia; fiori contemplati nei loro colori, nelle sfumature e con gli accostamenti e i contrasti ( l’acceso colorismo è una caratteristica della poesia di Defelice: basti l’esempio del fiammeggiare del pettirosso “nel cupo fogliame degli aranci”. Le piante sono a volte dedicatarie dei versi (All’oleandro). Uguale amore per le creature del cielo; il pettirosso in particolare, nel quale sembra rivivere l’anima di un caro scomparso: “Sei tu, lo sento/sei tu che mi saluti./ Sei tu quel pettirosso/che la sua danza esegue/sopra il pruno deserto./Sei tu/e il borbottio dei colombi/il nostro antico conversare.” L’ amore per tutte le “splendide creature della terra” spinge il soggetto poetico a gesti di umanità nei loro confronti: “ Lungo il sentiero di trifoglio e gramigna/ho raddrizzato una lumaca rovesciata./Grazie sembrava dirmi.” La natura è apprezzata anche nella varietà del giardino, dell’hortus conclusus. Ma giardino è anche il paradiso, in Come la terra, dove verdeggia ogni pianta o in Sole tiepido sulla tua bara; secondo il significato etimologico della parola paradeisos, parco. Presagi di morte s’affacciano in molti testi, per cui si rimanda alla dotta Introduzione di Sandro Gros-Pietro, che parla di passaggio funereo della morte; numerose del resto le occorrenze del termine. In morte del saggio ( ma si legga anche la toccante lirica Padre da padre a padre) si rievoca la dipartita del padre come quella di un filosofo antico, col sostegno però dell’ invocazione alla Madonna. Si riscontra altresì un amore quasi francescano per la povertà e il rifiuto di inutili orpelli (Vita effimera ma intensa). Funebri rintocchi inoltre risuonano già nei titoli


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(Presto dovrò salire al cielo). La vecchiaia è simboleggiata dall’autunno, anticamera dell’inverno (Autunno bizzarro). E appressandosi la fine ecco i consuntivi (Cosa ho fatto? nulla),tracciati ripassando le epoche della vita (Oggi che avrei bisogno di certezze); il dare e l’avere (Quando hai deciso aspirami), con la consapevolezza del dovere compiuto, di un lascito morale, come nel caso della madre dell’autore, che può addormentarsi per sempre serena in virtù della coscienza di aver ‘ben recitato sulla scena della vita’. Ai consuntivi si accompagnano gli inevitabili rimpianti (Dicembre delle filastrocche) e i ricordi del tempo passato (Ricordi d’infanzia). A esorcizzare il momento del trapasso, del viaggio estremo, l’ubi consistam di fronte allo sgomento è la fede, declamata ad ogni piè sospinto perché, come dice Dante per bocca di Beatrice, c’è bisogno di confessarla e proclamarla ad alta voce, la fede, perché questa sia celebrata e glorificata; e la fede diventa preghiera a un Dio che è misura infallibile di ogni cosa (Il calendario esatto); e se “sempre inadeguate sono/le parole a comprendere/il senso della vita e delle cose”, è appunto la fede che ci fornisce le risposte adeguate. E la fede si materializza, per dir così, nella postura dell’io poetante che, anche in posizione supina, magari da un’amaca (Un mondo nuovo), volge sempre lo sguardo verso l’azzurro del cielo, come in Pomeriggio d’aprile, dove il vento montalianamente “suona”; o come in Dal panico mi salvi la tua voce, dove leggiamo: “quando supino all’ombra della quercia/ vedo una nuvoletta navigare/ nello specchio di cielo tra le foglie”. A volte, come nell’ archetipo leopardiano, la linea dello sguardo, interrotta da una siepe, si “finge” qualcosa di diverso; e gli occhi chiusi immaginano un cielo “che bacia il mare”. Se lo sguardo del poeta è volto al cielo, dal cielo, con movimento inverso, discende, a chiudere il cerchio, la protezione dei defunti. Ma la poesia di Domenico Defelice è anche una poesia politica: ce lo rivelano le composizioni collocate negli snodi cruciali del libro, a principiare dalla prima sezione del libro:

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nella prima poesia, Basterà pronunciare una parola, assistiamo a un volo di millenni, che ci trasporta alle radici della civiltà e vichianamente al processo di incivilimento dell’ ”umanità ferina”; poesia civile dunque. Nel centro esatto della prima parte, il soggetto lirico si volta indietro, dall’alto dei suoi “settanta/cinque anni”, e parla delle sue battaglie, combattute con l’acuto stiletto della sua penna. Nella poesia di chiusura siamo condotti dalla mano sapiente del poeta in “strade dove urla l’abbandono”; poesia di denuncia quindi. E in Fragili insetti impazziti abbiamo una critica senza sconti all’ “ansia capitalista che ci stritola”, mentre i versi sono animati dallo sdegno per la barbarie, che non rispetta neppure le immagini sacre in Quei tuoi occhi fissare pietosi; infatti il nostro Paese ha Montagne di tesori (titolo emblematico), che non solo non sa difendere, ma neppure sa mettere a frutto. E la gente, dedita solo alla ricerca del piacere, rifiuta il concetto stesso di malattia ed evita e cancella dalla mente le persone malate. Naturalmente questo aspetto politico e civile si accentua nella seconda parte del libro. Ma ci sono altre frecce nella ben nutrita faretra letteraria di Defelice. C’è l’amore e il vagheggiamento della bellezza; il Nostro non è insensibile alle illecebre del fascino muliebre; come in quella pioggia di petali di rosa che discende dal balcone di una bella donna in Venere? una tua ancella; ma si veda anche la bella e conturbante immagine di “donna maliarda” in Immagini in transito. C’è anche il metamorfismo a fare da pendant al metaforismo di Veliero fiorito, per fare un solo esempio. È il caso del dittico Sono farfalle i morti e Crisalide e navicella. Una poesia quella di Domenico Defelice che si trasforma in immagini e gareggia con l’arte figurativa nel dar vita a quadri di notevole icasticità come la povera cena, con il tono dominante del grigio, che ricorda il celebre “Mangiatori di patate” di Van Gogh, nel già citato Ricordi d’infanzia: “Ognuno con la sua ciotola grigia/ seduti in cerchio sotto il fico moro”; e anche Goya è altrove citato. Notevole la compattezza delle sue poesie


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che rimangono ancorate al tema centrale; è un pregio della poesia, che Auerbach riconosceva alle Rime di Dante. Tal risultato è dato anche dall’uso dell’anafora (ad esempio in Fu per la guerra e in Scompartimento) e del refrain, che, ripresentandosi all’inizio e alla fine del testo, fa di esso una ring komposition. L’anastrofe, che è utilizzata anche per sollevare l’andamento a volte volutamente prosastico del linguaggio, è presente addirittura nei titoli: Del poeta la dignità. Mutuata dal grande codice della retorica anche l’ onomatopea (Il tonfo cupo di una mela, l’uggiolio) insieme con altre figure che impreziosiscono il dettato della sua poesia. Nella parte seconda, più propriamente politica, o satirica, il poeta si serve della rima e del sonante ottonario per mettere alla berlina soprattutto gli uomini politici e i loro privilegi. Il libro si chiude con la quarta parte, le “Recensioni”, che ridicolizzano alcuni letterati. La precedente parte terza è riservata agli epigrammi, che si affidano allo sberleffo e al turpiloquio, per prender di mira la supponenza dei potenti o presunti tali e la vuota apparenza (“tutta la tua sostanza è una targhetta”), in gustosi e sapidi quadretti, il divertimento dei quali è confinato soprattutto nell’ aprosdoketon e nel fulmen in clausula. Fabio Dainotti DOMENICO DEFELICE - Le parole a comprendere - Prefazione di Sandro Gros-Pietro, Postfazione di Emerico Giachery - Genesi Editrice, 2019 Pagg. 138, € 14,50.

ROSA BIANCA NEL SOLE DI FEBBRAIO Rosa bianca sul ciglio del fossato: una bella solitudine, sospesa sul futuro e sul passato. Quanto al nostro presente è come un funàmbolo in bilico sopra una corda tesa. Luigi De Rosa (Rapallo)

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Il senso del titolo lo danno tre versi della poesia omonima: “sempre inadeguate sono/le parole a comprendere/il senso della vita e delle cose”. Non è una dichiarazione di sconfitta, né di disillusione: Domenico Defelice, poeta e scrittore, saggista e operatore culturale autorevolissimo e ormai storicizzato da numerosi studi sulla sua vastissima opera e multiforme attività, alla parola crede. Ma “inadeguatezza” è concetto ben diverso da “inutilità”: è riconoscere semplicemente l’esistenza di qualcosa di più grande, di almeno in parte inattingibile dalla comprensione verbale e intellettiva. Il libro si compone di quattro parti, ma il nucleo è interamente nella prima (…) la quale non può che muovere dal pensiero del tempo che passa (…). Si leggono alcune, affettuose, liriche d’occasione (…); si pongono domande sulla vita (…); si decanta la bellezza della natura, senza sdolcinature ma con ferma lucidità, dove la contemplazione è ad uno emozionata e asciutta, partecipata ma anche meditativa, non di rado di purezza quasi classica. (…) Tutto, già qui, appare illuminato dalla grazia, tanto della fede quanto della poesia. Stefano Valentini Da La Nuova Tribuna Letteraria, n. 136, ottobre dicembre 2019


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WU TOUWEN (AND OTHER) di Domenico Defelice

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U Touwen, è un famoso poeta e critico cinese contemporaneo, nato nel maggio del 1968 a Chenzhou, nella provincia di Hunan. Lit. D., professore presso la Scuola di Scienze Umanistiche e Tecnologia, in Cina ha fatto principalmente ricerche sulla moderna poetica. Ha pubblicato diverse centinaia di poesie su giornali e riviste, in Cina e all’Estero, e oltre 150 articoli accademici e di critica. Inoltre, ha pubblicato antologie poetiche dal titolo The Family Tree of Land and The Invisible Shadow of Snow, così come le monografie Shen Congwen’s Poetics of Life e Interpretations of the Classics of Centurial China New Poetry. Le sue poesie si son distinte in più di 100 diverse selezioni, cioè, in numerosi concorsi letterari. WU Touwen è direttore della New Chinese Literature Society, vice presidente della Hunan Literature Review Society e anche direttore della Hunan Writers Association. Di Wu Touwen, presentiamo tre componimenti, nella traduzione inglese di WANG Changling e nella nostra libera versione in italiano.

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Sitting Together with my Father Sitting together with my father Facing the sun That is slowly setting We are silent Just watching the sun slowly Setting I nestle closer to my father The setting sun is atop the ridge Faintly, wafts a bang Behind us Dusk sneaks up, extending— Till it lies beneath our feet Thunder Summer thunder makes flora in the rain Shudder; lightening is like a whip That lashes and cracks on the living All that crawls on the ground Bends lower and lower At this moment, in the lonely forest Alarmed animals assemble They have their own thoughts Each time lightening ignites their eyes They mount higher and higher I Stand in the Dark Night falls, an immense and intangible entity I lean upon the window, only to be pushed away but the dark No light without; no light within I stand in the dark, only to be pushed away by my self I stand in the dark, only to be pushed away by my self Nothing is existent; even I myself Am nonexistent; only the dark Caught by the dark, I stand in the dark Caught by the dark, I stand in the dark


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Until I am part of the dark I say to DARK, I am free from fear DARK replies, fear is in the palm of my hand (Translated by WANG Changling) SEDUTO ACCANTO A MIO PADRE Seduto insieme a mio padre Rivolto al sole che pigro sta per tramontare Stiamo in silenzio Solo guardando il sole lentamente Tramontare Mi rannicchio vicino a mio padre Il sole al tramonto è sulla cresta del monte Debolmente, si diffonde un bagliore Dietro di noi Il crepuscolo s’insinua, si estendeFinché non ristagna sotto i nostri piedi TUONO Il tuono estivo accompagna la flora nella pioggia Brivido; il lampo è come una frusta che sferza e spezza sui vivi Tutto ciò che striscia sulla terra Curvati sempre più in basso In questo momento, nella foresta solitaria Animali allarmati si riuniscono Hanno i loro pensieri Ogni volta che il fulmine accende i loro occhi Salgono sempre più in alto STANDO AL BUIO Cala la notte, un’entità immensa e immateriale Mi appoggio alla finestra, ma perché venga allontanata l’oscurità Nessuna luce all’esterno; nessuna luce dentro Sto al buio, solo per essere allontanato da me stesso Sto al buio, solo per venire spinto via da me stesso

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Niente esiste; anche io stesso Sono inesistente; solo il buio Catturato dall’oscurità. rimango nell’oscurità. Catturato dall’oscurità, sto nell’oscurità Fino a quando non sarò parte del buio Dico allo SCURO, sono libero dalla paura Risponde lo SCURO, la paura è nel palmo della mia mano *** Abbiamo trovato, in “Seduto insieme a mio padre” di Wu Touwen, molto della nostra infanzia. Solo che, al posto del nostro genitore sempre impegnato a lavorare dalla prim’alba all’inoltrato tramonto - c’era nonno Domenico. Rievocando quel nostro stare insieme molte ore della giornata, scrivevamo, nel racconto “In viaggio con Google”: “…spesso trascorrevamo ore e ore in silenzio, entrambi seduti, in alto alla discesa, sopra grosse pietre, ognuno immerso nei suoi pensieri, entrambi smagati, specie nelle giornate ventose o dolcemente soleggiate di primavera”. Nelle calde sere d’estate, era infinitamente dolce assistere al tramonto del sole, al suo inabissarsi sull’ orizzonte della grande vallata, mentre le ombre, a poco a poco, salivano fino a lambirci e poi a sommergerci del tutto - un gradino oltre, insomma, quel che descrive Wu Touwen nel suo verso affabulante quanto carico di inquietudine: “Finché non ristagna sotto i nostri piedi” -. mentre intorno si alzavano i canti dei grilli e delle rane in amore e il cielo si incupiva poco a poco fino a divenire un ricamo di miliardi di stelle. Non sappiamo quanti altri arriveranno a gustare questa lirica con la nostra stessa intensità; vero è che noi, in essa, ci specchiamo, la sentiamo pezzo del nostro vissuto, carne della nostra carne, foto nitida e perenne di un brandello della nostra esistenza. In tutti e tre i brani, principali protagoniste sono le luci e le ombre e le tante inquietudini che infondono, specie queste ultime, sul mondo dei vegetali e degli animali. In “Seduto accanto a mio padre”, esse incombono in quel crepuscolo che sempre più


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s’incupisce e condensa (che “s’insinua”, che “si estende” simile a un liquido velenoso e mortifero, che “ristagna”), imprigionando ogni vivente. In “Tuono”, luci e ombre sono alleate per infondere terrore e animali e vegetali, affranti, annichiliti, curvi, si muovono sempre più appiattiti, “sempre più in basso”. Ma, gli animali (e l’uomo, come animale, ne è l’eccellenza) reagiscono, si difendono stando insieme (“si riuniscono”) e “ogni volta che il fulmine accende i loro occhi”, si rialzano, “salgono sempre più in alto”. Questo assedio metafisico e parossistico, culmina nel terzo brano, “Stando al buio”, nel quale la notte incombe come “entità immensa e immateriale”; dove “dark” (buio/oscurità), oltre che nel titolo, nei dodici versi vi appare per ben undici volte; nel quale frasi e concetti, verbi e parole vengono ripetuti come un’ossessione. Sì, buio uguale ossessione. E quel che più inquieta, è che sembra avere in mano il destino, da non permettere scampo. Alla reazione del poeta: “Dico allo SCURO, sono libero dalla paura”, lo SCURO ribadisce, infatti, con fermezza e sarcasmo: “la paura è nel palmo della mia mano”. Una specie di dio, insomma, l’oscurità, grandiosa e terribile. *** È doveroso ricordare che la scelta di questi poeti cinesi, da noi presentati ai lettori di Pomezia-Notizie, è dovuta a Zhang Zhi, un autore che guarda al sociale e all’ecologia. Di lui ci ha particolarmente colpito la lunga poesia “Il mondo è ondeggiante (o, ondeggia) in un binocolo”, nella quale denuncia il grado di inquinamento non più sopportabile della terra, soffocata da residui nucleari, malattie come l’AIDS, droghe sempre più sofisticate e persino sperma. Zhang Zhi è poeta ironico fino a rasentare il sarcasmo; egli, attraverso una comicità quasi da battuta umoristica e, a volte, un sorriso alla Rabelais, fa denuncia sociale, come avviene in “Dreamland/Mondo di sogni”, dove il sorriso, nel finale, diventa gnomico. Una favola, se vogliamo, ma tagliente, e - davanti al pian-

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to dell’agnello, commovente perché come quello disperato di un bambino - non facciamo in tempo ad addolorarci, che subito ci sommerge la battuta del topo: “Ma cos’è questo tuo piangere a dirotto? Guarda, stupidone, che, ad arrostire sul barbecue, non c’è tua madre, ma la mia!”. DREAMLAND Last night On my way home I found a little lamb Kneeling Beside a barbecue stall Of shashlik Watching the barbecue being burned On the fire The little lamb cannot help shedding tears One drop after another drop From its eyes “Mom mom, They, they, they have roasted you...” A little mouse Suddenly runs Past here White the lamb is sobbing It gives the lamb a dirty look: “Weeping, weeping, and weeping, What are you weeping for! That is my mom...” Sotto la veste del povero agnello non è difficile individuare l’uomo medio, onesto, buono, credulone e raggirato anche in quello che mangia, se non sa distinguere un arrosto di agnello da un arrosto di topo! Ma ecco la nostra versione: MONDO DI SOGNI La notte scorsa Sulla strada di casa Ho trovato un agnellino In ginocchio Accanto a un chiosco per barbecue Di shashlik Guardando il barbecue in fiamme


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L’agnellino non può fare a meno di versare lacrime Dai suoi occhi Sul fuoco Una goccia dopo l’altra “Mamma mamma, Loro, loro, loro ti hanno arrostito…” Un piccolo topo Passa accanto correndo E all’agnello singhiozzante Manda un’occhiataccia sprezzante: “Piangere, piangere, piangere, Ma che ti stai piangendo! Questa è mia madre…”

Gli anni vanno oltre i limiti, scorrono più lontano. Fortificati come ceppi di cerro pelle ruvida indurita. Il sangue pare fermo, vitalità ininterrotta. In continuità stimoli avidi di altre primavere. Candore e passione una veste odorosa hanno messo di sopra trasparente avvolgente. Il calore tenuto brillio d'oro per le mani congiunte in un cammino lungo con i ritmi facili dell'abitudine. Leonardo Selvaggi

Il linguaggio - almeno per quanto si ricava dalla versione inglese della lirica - non è facile, a volte, e il periodare è complesso, tanto è vero che, per dargli scioltezza, abbiamo dovuto mutare posizione ad alcuni suoi versi. Così, i quattro versi: ”On the fire/The little lamb cannot help shedding tears/One drop after another drop/From its eyes”, da “Sul fuoco/L’agnello non può fare a meno di versare lacrime/Una goccia dopo l’altra/Dai suoi occhi”, abbiamo dato la necessaria chiarezza ordinandoli diversamente. Un poeta ironico e sarcastico, insomma, l’ amico Zhang Zhi, il quale fa onore allo pseudonimo che s’è dato: Diablo, quel Diavolo che il grande Giosuè Carducci definiva un positivista esponente del pensiero libero ed espressione di tutte le energie. Domenico Defelice

Torino

IL SUO RITORNO La sera con ordine la casa come rinnovata. Le pareti sembrano staccarsi, venire incontro, gli occhi sono felici. La donna freme infiammata corre dietro. Dagli stipiti un'apparizione di gioia, in fondo alla strada il suo ritorno. Tutto l'addome si smuove, sente una pienezza nelle membra.

TU MI SPIEGHI Va’ tu ti dico ché io voglio stare con me sola. C’è molta meno leggerezza nelle cose tu mi spieghi molto fango, molta più rabbia nelle foglie quando muoiono. Va’ tu per questo ché io amo l’àncora nel lago. C’è molto molto più vociare appena fuori tu mi sveli poca acqua di mare, più veleno, più tormento. Va’ tu io ti prego ché soffoca il mio petto, ama stare dentro. C’è molto più di questo tu prometti afferri tutto quanto e in me tutto quanto arde. Aurora De Luca Rocca di Papa, RM


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Gennaio 2020

IL NATALE E IL CAPODANNO DI UNA VOLTA di Antonia Izzi Rufo

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GGI si aspetta il Natale, e la fine dell'anno, come feste speciali da passare in famiglia, presenti - quando è possibile - tutti i parenti - Infatti un vecchio detto dice: <<Natale con i tuoi Pasqua con chi vuoi>>.In ogni casa si prepara il presepio, più spesso l'albero di Natale sotto il quale si mettono i regali per tutti i componenti la famiglia. Quando entra il mese di dicembre, si cambia, si diventa più romantici, più buoni. Il perché non ce lo sappiamo spiegare: perché il mese ricorda la nascita di Gesù Bambino? Non lo sappiamo. Infatti, non solo i cattolici si sentono diversi, anche quelli che non lo sono, che professano altre religioni. Sentiamo, tutti, che dicembre, sebbene sia un mese freddo, diventi per tutti caldo, accogliente, dolce, colorato. I moderni usano (chi se lo può permettere) andare a consumare il cenone nei ristoranti, i giovani andare a ballare per tutta la notte e rientrare all'alba (proprio come il "giovin signore" del Parini). Una volta non era così: erano diversi gli usi, sia nel modo di comportarsi che del mangiare. Di solito si restava in famiglia fino alle ore piccole, presso il camino dove ardeva un bel fuoco col ceppo (non c'erano allora i termosifoni). Che cosa si mangiava? Nei giorni prima della vigilia si cuocevano (in ogni casa) i "torcinelli" (a forma di biscotti, con pasta di pane, fritti nell'olio - era tempo di raccolta delle ulive, l'olio abbondava) e si conservavano fino a Capodanno, anche oltre. Il cenone si preparava con il baccalà cucinato in modi diversi: in bianco, col pomodoro, a pezzi infarinati e fritti nell'olio, a zuppa, arrostito sulla brace (Oggi si cucina il pesce). Per dolce c'erano i torroni, non al cioccolato, ma bianchi, e per frutta arance e mandarini, castagne (secche), noci e fichi secchi. Si beveva il vino nuovo. Non si consumavano spumanti né "champagne". Si gio-

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cava a tombola, in molte famiglie o in casa di amici. Già dai primi giorni di dicembre si cominciava a mettere da parte la moneta spicciola: il soldo, il doppio soldo, la mezza lira, ecc... Era bello riunirsi, stare insieme in famiglia, presso il calore del camino che restava acceso per tutta la notte, mentre fuori era freddissimo e magari fioccava. Eravamo tutti allegri, tolleranti e disposti a perdonare. E non sapevamo perché. Antonia Izzi

UN MERAVIGLIOSO SOGNO Meraviglioso un sogno questa notte mi ha colmato l’anima di gioia: ero con te, dopo di tanto tempo. Ma stavolta non mi sfuggivi, né il tuo volto o il corpo tuo erano evanescenti. Tutto aveva l’aspetto della realtà: la tua figura, ben delineata, (abito grigio chiaro di discreta eleganza) e la tua voce, chiara e forte, (un poco più robusta del normale). Mi parlavi, stranamente in italiano, e con naturalezza scherzavamo in amicizia vera e con tranquillità, forse anche un po’ flirtando … Qualcuno (si era in compagnia) stava dicendo che tu avevi quarantuno anni, e venti io … Ma ridevamo e scherzavamo da buoni amici ed io pensavo: “Ecco, così è più bello senza amorosi turbamenti…” E ti dicevo: “Riparami con il mantello e salvami” e come in film vedevo svolgersi il nostro giuoco: racchiudermi io in un mantello e in esso tu avvolgermi, quasi fossero quelli movimenti taurini. E sorridendomi tu poi mi sussurrasti: “Sposiamoci”. Ma svegliandomi mi sono accorta che era stato un sogno. Un sogno che dura ancora adesso che non dormo. Mariagina Bonciani Milano


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Gennaio 2020

IL FENOMENO LETTERARIO ISABELLA MICHELA AFFINITO di Luigi De Rosa

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A firma di Isabella Michela Affinito è ormai molto conosciuta anche fra i lettori, amici e collaboratori di Pomezia Notizie. Non c'è settore di cui Isabella non si sia occupata, dalla cultura e mitologia classica alla poesia, alla prosa, alle arti figurative, alla critica letteraria e così via. Non ha quindi bisogno di giudizi e di avalli altrui (anche se tutti ne abbiamo bisogno, altrimenti finisce che ciascuno scrive per conto proprio, come se gli altri non esistessero). Resta il fatto che il ricco curriculum Isabella se l'è costruito scrivendo e pubblicando molto. Innanzitutto questa simpatica ciociara di Fiuggi Terme, nata nel 1967, innamoratissima della letteratura, sfoggia una cultura di tutto rispetto. Segno che ha letto molto, con passione inesauribile, dalla storia del cinema alla poesia, alla narrativa, al teatro, alla storia dell'arte, divorando libri su libri, dai più eccelsi ed eterni a quelli più modesti e quotidia-

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ni. Ne sono scaturite decine e decine di recensioni accuratissime, apparse non solo una alla volta su riviste, ma anche a gruppi numerosi in appositi libri comprendenti recensioni e saggi. Conservati e fatti circolare anche dagli autori recensiti. Se potessi dare un consiglio affettuoso ad Isabella le direi di fare meno excursus, e comunque più brevi. La sua ricca produzione letteraria ne guadagnerebbe ulteriormente in efficacia. Una nota, comunque, particolarmente positiva è rappresentata dal modo affascinante di trattare la cultura classica e i Miti. In ogni caso è la parola scritta e stampata, in generale, ad essere trattata con amore da Isabella. Luigi De Rosa

AUTOSTRADA DI LIGURIA SOSPESA IN CIELO Nel blu notturno scintillano puntini bianchi da est ad ovest. Sul davanzale si inseguono a migliaia ininterrottamente. Portano progetti di vita, desideri, speranze, sogni. La tenebrosa boscaglia in fondo a destra continua ad inghiottirli, instancabilmente. Luigi De Rosa (Rapallo)

LIVE AT WHISKEY A GO GO (Chicago anni Trenta) Il fumo emerge tra le roche onde di voce al malto che si infrangono negli anfratti più bui e rimbalzano con magia e meraviglia sulle sponde delle menti altrui. Lorenzo De Micheli Genova


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Gennaio 2020

VINCENZA di Patrizia De Rosa RA la sorella con l’animo più puro, ingenua, quasi stupida per alcuni stupidi. In epoca in cui una donna ambiva solo ad un buon matrimonio e ad essere madre, lei amava e difendeva il proprio lavoro, la sua professione, la sua libertà di creare vestiti, gonne, giacche che davano un tocco di classe e sobrietà alle altre donne. Le sue sorelle erano le belle, dei fiori che i ragazzi venuti in città volevano cogliere. Lei era la più grande, la più seria, la meno appariscente. Non era interessata all’universo maschile, quell’universo che aveva il privilegio di decidere cosa una fidanzata o una moglie dovesse fare o non fare. Lei era interessata a rendere fruttuosa la sua giornata con il lavoro: tenere pulitissima la casa, accudire i genitori e fare la sarta. E poi gioire con le famiglie delle sorelle e dell’ amato fratello quando venivano a trovare i nonni e la zia, adorare le nipotine messe a nanna con un bacio dolcissimo della buonanotte, scherzare con i cognati e sistemare i vestiti di tutta la famiglia accorciando, stringendo, imbastendo l’orlo della gonna perché la bambina è così cresciuta! Il laboratorio era il suo regno; in un perfetto ordine creativo i fili e i pezzi di stoffa per terra erano come una festa di Carnevale e la radio, perennemente accesa, era la finestra sul mondo con i suoi notiziari, le canzonette, gli sceneggiati a puntate, la messa. Un’altra peculiarità della sua persona era infatti la religione. Lei amava pregare e partecipare ai riti collettivi della preghiera. A molti sembrava fissata, bizzoca dicevano, ma il suo rapporto con la fede, maturato negli anni, era tutto suo, difeso per se stessa ma conciliante per gli altri. Dell’essere cattolica mirava all’essere, alla perfetta semplice coerenza tra i precetti e la vita di ogni giorno, senza apparenze. E sem-

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pre più negli ultimi anni non scagliava pietre né giudizi verso gli altri, ma cercava di comprenderli e di aiutarli, anche solo con una preghiera. Per questo nella vita esteriore la sua vita sembrava fuori dal mondo. Nella vita piena invece Vincenza riusciva a vedere molto di più di quello che faceva percepire. Chissà che piacere dialogare con lei oggi, farsi insegnare l’arte del mestiere, le parole di un rosario antico, la pazienza coniugata alla speranza e mai alla rassegnazione. Sarebbe stata capace di ascoltare le tribolazioni di vite così diverse e distanti dalla sua, sempre attenta, cercando di infondere coraggio con una carezza, o semplicemente con una preghiera nella solitudine della sua camera alla sera. Ma è partita troppo presto. Per un viaggio in cui lei credeva. E, sicuramente, senza volerlo, ha lasciato veramente sola tutta la sua famiglia. Patrizia De Rosa (Genova)

Natale ar tempo d’internette Semo felici ar tempo de Natale, ‘gnisempre, puro mo che c’è internette. Sta festa nun è un fatto virtuale: te smove li ricordi e fa rifrette. Ciài l’arbero, er presepio e le lucette: pe l’emozzione er core mette l’ale. Nasce Gesù Bambino e te promette un monno novo libbero dar male. E tu continui co la tradizzione; vai a sentì la messa a mezzanotte, quanno hai finito d’aggustà er cenone. Sta’ certo ch’è la mejo circostanza, pe dà lo sfratto a pene, assilli e lotte, p’aritrovà ‘n’anticchia de speranza. Elisabetta Di Iaconi Roma


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LA POESIA DI NUNZIATA ORZA CORRADO Tra testimonianza storica e principi di saggezza umana di Leonardo Selvaggi I A vita, un'alternanza senza fine fatta di attimi sereni e amarezze: il cammino dei giorni tra razionalità, istinti, ansie in un'eterna circolarità contrastata che si esplicita con materialità e spinte interiori. Le sensazioni hanno immediatezza di ritorni di vitalità, di ampiezza di spazio. Impeti ci esaltano dopo momenti di crisi. "Ore di attesa,/ di fremiti intensi/ di vita giovane:/ le gemme si gonfiano/ per dare colori alla Natura". La vita come una pianta, il tronco ricoperto all'intemperie da "ispida squama" sente rifluire dalle radici umori e linfa per altre infiore-

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scenze. Il pensiero costruito attraverso il tempo si fa memoria stratificata di ricordi, rimasti nelle lontananze evanescenti, ravvolti da "una primigenia purezza". Il tempo ci travolge con la sua fugacità, ci comprime con le ossessionanti transitorie felicità e crea limitazioni che contraddicono le nostre ansie. L' "effimero reale" divora le delicatezze della vita, le illusioni, i desideri inappagati. Come fiamme, dal razionale setacciate, le idealità in estasi verso le mete sognate. Progetti umani, principi radicati e sempre ferventi in un animo sensibile, aperto alle immedesimazioni. Il terreno ferace della forza degli affetti che costituiscono alimento essenziale con riflessi benefici sull'intera struttura sociale. La raccolta "Il dolce e l'amaro" di Nunziata Orza Corrado non parla di forze brute né di rabbia, ma solo di operatività delle volontà propulsive, generose che vedono la concretezza e l'utilità nei rapporti con gli altri, tenendo soprattutto di mira quello che è di tutti, il bene comune. Esprime tutta l'essenzialità della vita, la sua natura, le manifestazioni, gli sviluppi. II La vita che si muove tra accidenti e voluttà, abbattimenti e sentimenti di sofferenza, con sapienti speranze che tutto ritorni come prima: pause di ripensamenti e di ripresa. L'interiorità nell'involucro di ossa e carne. Efflussi di emanazione e sensi di attaccamento alle cose minute. Gli affetti danno tutto, protezione, trasportano la vita con le mani protese, rigenerano situazioni, rinfrancano da pesi che ci angustiano, tutta una presenza "nel pensiero radicata,/ salda nel cuore". Passiamo raffinandoci attraverso accidentalità che portano ferite, cadute, stimoli di innalzamenti. I ritmi di ingranaggi procedono alle maturazioni, mentre fanno sentire tormenti e senso di abbandono. "È così vuoto il giorno,/ piena di terrificanti/ immagini la notte!/1 minuti, le ore, i giorni.../ una frantumazione/ inesorabile dell'essere". Sopra una inesauribile ansia di vincere gli impercettibili moti che rodono, rendendo la nostra esistenza quasi "irreale e gelida". Poesia psicologica e nel contempo


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circostanziata quella della nota scrittrice Nunziata Orza Corrado, con una ricca produzione, rappresentante della grande letteratura contemporanea. Metafore che fatino il verso pieno e assonante, in flusso arioso: momenti rivissuti in contrasto col "resto ch'è miseria,/ umanità fallace", ci si bea di sorrisi smaglianti di innocenza, che inneggiano alla vita rinnovellata. Terminologia classicheggiante dall' espressione aperta che trova angoli di rifugio, ridona giorni attivi e rende operanti le virtù natie "con cuore sempre vivo". Discorsività e sonora dolcezza di poesia che diventa fine canto di malinconia quando ci sentiamo prigionieri di contraddizioni che mettono barriere fra l'uno e l'altro, solitudine e angoscia. "Hai il sapore del sangue,/ amara tremenda/ insanabile incomprensione! " Ferita terribile per la sensibilità di un animo saggio, che vorrebbe intercomunicabilità, facili incontri, "fiorito di beni/ un mondo pieno di pace", sentimenti veri "riflesso di luce". Poesia che va da ogni parte, risolleva e scrosta la "... congestionata/ pressione degli umori", scioglie le asprezze, e vivida di immaginazione e di ricordi, quando stretti si è da stagnazioni, raggiunge il fondo degli anni trascorsi. IlI La poesia della raccolta "Il dolce e l'amaro" si muove dappertutto, è respiro della persona, fra le pareti domestiche, vestita di oggetti, di voci ambientali, vicina alle cose minute, arriva alle visioni di immensità. È in una mescolanza di fatti, di detti, di pensieri: un fermento di parole che sono voci di tutto, non si avvertono scissioni. La poesia con la dantista Nunziata Orza Corrado, ira tradizioni e fisionomie care presenti e passate, cultura e costumi, ha vitalità di sostanze che prendono alimento da ogni parte. Linguaggio del popolo, saggezza e amabilità, futuro che si prospetta con le mutazioni, incertezze, visioni di lontani orizzonti. Cultura nazionale, paese e città, non si frammenta la poesia che è vita, unitarietà, bellezza, ricerca, aspirazione. La voce della poetessa ha infiltrazioni sottili, passa come aria intorno, si fa presenza immutabile, prin-

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cipi atavici, essenzialità diramate per tante radici, tra antico e moderno. Una elasticità di vedute che è consapevolezza delle realtà che ci sono vicine: afflati che si estendono, riflessioni in amalgama con tutto insieme. Il volume "Il dolce e l'amaro" con fluttuazioni e rimpianti, speranze. Nelle sopportazioni, slanci interiori, volontà indomite, equilibrata personalità, solidificata attraverso esperienze vissute. Non si sa dove finisce la spiritualità e dove comincia a persona con umori e sensazioni, come le tristezze che si portano ogni giorno. IV La poesia di Nunziata Orza Corrado è realismo, è quotidianità che sì arricchisce e si sostanzia in cammini evolutivi, scandaglio di giudizi attraverso accesa sensibilità, è sintesi di tutto. Concretezze terrene e visioni celestiali insieme: tutto l'uomo con i suoi aspetti multiformi sempre uguali, coerenza di carattere, superando contrasti, indicando soluzioni, dettate da sofferte convinzioni. Riso e pianto, lacrime di gioia e dolore che passa per tutte le parti, con la sua presenza di fatale realtà. Particolari amati e ripiegamenti in sé per ripercorrere stratificazioni di pensieri, per trovare ampiezze che oltrepassano i consueti confini. L'umano è nella poesia fatta di verità, di grandi e piccole cose, in atmosfere che ci sono attorno, passionalità e fatiche, corrispondenze sentimentali. Emanazioni psichiche, materialità di presenze, dentro c'è tutto, una varietà di situazioni in estensioni di legami. Elementi che si intrecciano, si confrontano, sensibilità verso i problemi attuali, significazioni mitologiche che evidenziano profondità di figure e di avvenimenti storici, tutto in un ravvicinarsi reciproco. Non ci sono parvenze né declamazioni. Nunziata Orza Corrado ha un condensato di poesia umana, una varietà di contenuti. Praticità e luce di intelligenza che raccoglie, mette insieme e seleziona. Operatività che va incontro al prossimo, interpretando amarezze e contentezze, valutando l'utile e il necessario. L'amore, gli affetti, la casa. La poesia pervasa di divino, di comuni esistenze


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che fa capire, fa andare avanti, fa vivere. Poesia che esce dalle solite classificazioni: è la persona stessa, è la vita che non muta mai, tante manifestazioni con cui il quotidiano si manifesta, è considerazione morale su quello che abbiamo. Le tristizie e le ilarità, l'amaro e il dolce per la poetessa non possono scindersi, sono consustanziali, sono contrapposti e nel contempo elementi dinamici. Poesia didascalica che è visione obbiettiva del reale. V Per la saggista e nota cultrice di letteratura comparata Nunziata Orza Corrado la poesia del volume "Il dolce e l'amaro è l'espressione di ogni momento, di tutto quello che si tiene e si pensa. Non ci sono limiti di tempo, va per lunghi cammini. Passato e presente in continuità dei rapporti, vera e luminosa, seguendo il corso degli anni, assommando la varietà dei giorni che diventano esperienza, che scorrono in una connessione di rimembranze, di sentimenti d'amore. Vive realtà e problemi della nostra epoca, tra volontà di fare e maturazioni psico-intellettive che si accompagnano con le tante complessità condizionatrici che abbiamo. L'Armoniosità poetica viene dalla varietà dei contenuti, e noi lettori andiamo insieme con Nunziata Orza Corrado ascoltando e cercando di afferrare nella semplicità piena e fluente dell'espressione le intime sorgenti della sua personalità che si staglia come una costruzione forte, rinvigorita, ricca di pensiero e di vedute. Una vasta testimonianza di produzione letteraria che si annoda alle tradizioni della nostra cultura, tra saggistica, racconti, poesia e promozione di attività svolte nei vari campi del sapere, fondatrice e presidente dell' Accademia dei Sarrastri. Si vorrebbe immediatezza di sentire e rapporti di vicendevole amore. Si condannano l'acrimonia, l'incapacità di dividere, l'incomunicabilità che rendono alienati. C'è uno scontro psicologico continuo con le dure verità della vita. Nel nostro tempo molte le vuotaggini che si riferiscono a realtà ambigue. La Natura piena di elementi vitali ci può sostenere, è provvidenziale il suo rapporto con l'uomo. Una personificazione che crea

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contatti da cui non ci si può escludere. "Hai sul tuo volto/ d'ulivi e di pietra/ la forza di una vita pulsante/ ch'or sembra invadere il cielo,/ or cade al mare/ con declino dolcissimo/ che invita alla quiete". VI La poetessa si sente immessa nella grande estensione, al di fuori di ogni frammentazione, si ricostruisce la propria identità. L'espressione si eleva con la solennità dei principi di fede. Con un cuore assetato di vicinanza. Le abitudini in una meccanicità di moti tengono stretti in una massa amorfa, ci si sente compressi, si anela la libera estrinsecazione di sé. "Sentii finalmente/ il tuo spirito intenso/ che aleggia/ rovente e impalpabile"... Purezza poetica tutta penetrata nel proprio essere. Fermenta il senso della vita eterna "ignara di albe e di tramonti". Nella silloge "Il dolce e l'amaro" c'è accanto al minuto reale aria di visioni divine. Nel quotidiano, l'entusiasmo che vince l'avversità: significazioni di alto valore che ci rendono denudati di ogni scorza, vestiti di umiltà. La libertà degli spazi, vero benessere che ci inonda di vera vita. "Così hai lasciato/ ì sentieri della terra,/ troppo acciottolati per i tuoi passi./ Ora cammini/ per le strade del cielo,/ levitando gentile/ la tua forma celeste". Consapevoli "che la vita è un impatto/ fra le pene che invadono/ e le gioie che sfuggono". Si avverte la spiritualità degli affetti perduti, vagano portandoci il loro forte influsso di amore, sono "nella siderale dolcezza/ che ci unisce e separa". Il verso di Nunziata Orza Corrado ha significati pratici. Da strati profondi esce un linguaggio suadente che passa con agilità, approfondendo il pensiero morale. Nel triste e negli attimi sereni, una compostezza di carattere. La provvisorietà ci tormenta, uno stato di equilibrio instabile, "Gravida di paura/ è la sosta dei momenti felici"... Solo l'amore verso il prossimo potrà instaurare una solidità esistenziale che faccia sentirci non più smarriti e insoddisfatti esuli di questa terra. La poesia innalza il tono della vita, crea consistenti appartenenze. Hanno bisogno di luce spirituale le tenebre dense della


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modernità, troppo piene di materialità, siamo ingordi esseri, esagitati, irritabili e violenti. VII Nunziata Orza Corrado conforta con la sua magistrale guida, indicando la via della normalità e quali sono le vere potenzialità che possono farci vivere: "... dentro di noi/ lo spirito indomabile/ dalla materia inerte/ ritrae la linfa/ per novella vita!" versi di saldo costrutto che danno luce di sapienza, insegnamenti, una lietezza avvertiamo. Le tristezze vanno considerate inezie, la poetessa fa vivere momenti armoniosi e dolcezze in tanta parte dell'opera "Il dolce e l'amaro". Si percorre tutta la sostanza della vita, si va dentro, trovando allignato tanto male, che in proliferazione stende miserie dappertutto. Una lezione di imperturbabilità nelle poesie che leggiamo, fatte di pensiero e di fede, troviamo difese per l'animo inquieto, sono nate da carattere che pare "roccia di pietra dura", anche il cuore nella sua fremente sete di bene ha resistenza combattiva, "chiuso nella pietra". L'amore per la vita con tutte le sue estrinsecazioni è sorretto da speranza e da un continuo rinascere della spiritualità, che consente spinte ineliminabili ai labili aspetti della nostra persona. Espressione profonda, raffinatezza intuitiva, "ogni giorno più opachi,/ più vicini/ allo scheletro inerte./Ch'oggi ancor saldo/ regge la spoglia". La futilità dei beni terreni rende tetro "questo mondo amaro", povero d'amore. Poesie che scavano nel malessere, negli stagni ammorbanti, che trovano nel cuore la fonte del senso di giustizia, che ci vedono tutti compenetrati insieme, se dissolti dalle angustie egoistiche e infiammati di principi evangelici, di testimonianze storiche e letterarie per entro le esemplificazioni di una sofferta, estesa realtà umana. Poesie come preghiere che accompagnano il lettore nel seguire certezze, nel fugare i molesti pensieri, nel diradare nebbie che offuscano i sentimenti, nel conquistare essenzialità che possono creare convivenze all'insegna della pace, al dì fuori di ipocrite divisioni, di incomprensioni che, fra l'uno e l'altro, sono barriere intestatrici di

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odio e di orgoglio. VIII Nunziata Orza Corrado, promotrice del Premio Internazionale "Città di Sarno", nella silloge "Il dolce e l'amaro" evidenzia situazioni del nostro tempo per far emergere verità attraverso una poesia chiara, cadenzata. La considerazione del dolore umano fa cogliere profondità di sentire, fonda mentalità razionali, una psicologia che si fortifica in ogni momento. Poesia della speranza, ricca di precetti morali sulle tracce di grandi esempi, educativa, che mira verso traguardi luminosi di rinnovamento. Dai particolari, dai ristretti ambiti familiari ai problemi più ampi sociali ci si eleva a orizzonti di cielo: "Siate saggi, cauti,/ considerate il disegno/ prima che diventi azione./ Non perseguite la vanagloria,/la seduzione effimera trionfi". Poesia intonata a religiosità, a grande eticità, intesa in tante forme, di pensiero, di purezza ideologica, di dignità umana, al di là delle numerose devianze del malcostume che impera ai nostri giorni, dalle aberrazioni che disumanizzano le natie virtù che ci sono proprie. Poesia della vita e dei retti costumi, come impegno sociale, come espressione di "verità eterna", come lotta di ognuno di noi per contribuire a costruire comunità sempre più amalgamate, secondo principi di uguaglianza, a vedere i popoli al di sopra delle differenze di razza e di condizioni economiche. Leonardo Selvaggi FOGLIA CADENTE Da giovane pensavo a ben altro. Ora mi colpisce la fatuità delle lucciole nel buio primaverile, la fragilità delle foglie e della terra nei diluvi autunnali. Simboleggiano la precarietà della vita come in un film sempre già visto ma che si dimentica. Luigi De Rosa (Rapallo)


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Il Racconto

“... E se muoiono tutti quelli là dentro?” Dialogo a due con tutto il resto intorno di Ilia Pedrina

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à dentro sono solo in due. Tanti, troppi, fuori aspettano di entrare. Per gli altri là dentro sono in tanti. Per chi sa, là dentro sono solo in due. Lei lo incontra spesso, almeno una volta ogni sette giorni, perché lei ama il sette e tutti i suoi multipli. Ma ama senza misura l'uno, l'iniziatico uno dal quale tutto si genera e prende ritmo. Lui, ragazzo dell'Est Europa sa cosa chiederle ed è pronto a dare sempre oltre ciò che lei gli chiede, in silenzio, perché le basta un sorriso per fargli capire che ogni relazione vera non attraversa mai le parole: ne fa a meno. Talora si presenta a lei con una tristezza che gli fa sudare i panni: è questo il momento in cui si abbandona e disegna progetti distruttivi, duri, anarchico com'è fin nel midollo. È stanco, parla a fatica perché è arrivato correndo senza fermarsi mai, lungo i viali che circondano la villa, nel numero di sette, oltre venti chilometri di percorso obbligato e senza scorciatoie: lei è da sola, ora, e lo fa riposare sul grande divano a conchiglia, colmo di stoffe d'Oriente, setose, nelle gradazioni dell'oro e del verde, infinite esse stesse. Non gli ha mai fatto attraversare la soglia perché, andando oltre, a lui scenderebbero lacrime dagli occhi, cosa che non gli è mai più accaduta da anni, da quando gli hanno insegnato a stringere i denti, rispetto al dolore fisico e al dolore morale, per evitare di esser passato per 'femminuccia': l'educazione e le tradizioni sociali hanno inciso profondamente il suo pensiero, così la sua indole ha dovuto modificarsi, senza compromessi. Un vero anarchico non si può mai improvvisare: lo si diventa a poco a poco, stringendo i denti quando l'età

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della ragione ti porta a riflettere su quanto accade intorno a te e dentro di te, in risposta. Lei gli parla dell'Anarchico Pinelli, riconosciuto da un guidatore di taxi perché portava una valigetta e solo per questo accusato di strage all'interno della banca di Milano, in Piazza Fontana. Un giorno le sue due figliole, ormai grandi, sono andate in una cittadina del nord e sono state presenti quando qualcuno ha mostrato un libro scritto su di lui da uno storico serio, sul loro papà, su Giuseppe Pinelli, che dicono si sia suicidato gettandosi dalla finestra all'ultimo piano della Questura di Milano. Lei gli racconta che è andata da sola sotto quella finestra, anni dopo e c'è nell'aiuola una targa in bronzo che lo ricorda, forse nel punto dove proprio lui ha incontrato la terra... con la violenza del vento spostato dal suo corpo in volo? Con quel confuso scendere dall'alto che qualcuno ha definito 'malore? Con la violenza della spinta contro il suo corpo in stasi nella stanza dell'interrogatorio? Tutti bevono non solo acqua e vino e quant' altro ma verità che non verranno mai rese palesi e trasparenti al punto tale da far perdere ogni traccia della verità stessa, quella messa insieme dagli eventi reali: anche i testimoni possono essere indotti ad aver visto ciò che non hanno visto, la chiamano 'suggestione' e questo termine suggerisce proprio che è qualcun altro fuori di te che intende farti credere e suggerirti la parte che devi recitare, vale a dire la verità nella quale devi mettere tutta la tua fiduciosa ragione, tanto per essere soddisfatto di te e non rammaricarti se ami il quieto vivere, perché esso ti spetta di diritto, come premio concreto per aver interpretato bene la parte che ti è stata assegnata. Poi la memoria, sempre troppo corta, farà il resto. Lui l'ascolta, gli occhi chiusi gli consentono di non veder null'altro che dentro di sé: torna indietro nel tempo, quando, bambino ha scoperto che alcuni, preso suo padre dopo averlo fatto bere come una spugna, con tutto il resto intorno, gli hanno fatto firmare delle carte, una sua confessione, non vera, poi l'hanno gettato sbronzo fino al midollo nel fiume, dal


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quale non è più riemerso, mai più. Un silenzio importante si insinua tra i due, un silenzio di Verità al quale loro anelano, da quando si conoscono. “... Si, loro non sapevano che io vedevo tutto dalla colonna grande dietro il portico. Sono passati anni ma la mia memoria non si è cancellata, perché dentro ci sono tutte le anime di chi all'epoca ha sofferto nell'Holodomor, un genocidio voluto da Stalin nelle ricche e fertili terre d'Ucraina, poi tutto tenuto nel cuore, la zona vera della memoria nascosta, perché il cervello è debole, il cuore un poco meno... Avrebbero voluto, dopo, diventare tutti assassini del Potere, dopo, tutti vendicatori senza nome di quei migliaia e migliaia di morti, per fame, per violenze subite, per tutto il resto che c'era intorno, allora e forse anche adesso! Perché prima stavano bene, le terre erano fertili come solo in Ucraina si possono trovare, prima stavano bene e nulla potevano sospettare da un capo che programmava a tavolino la loro felicità, la felicità per tutti loro, per tutti gli altri oltre loro nei territori sconfinati che lui, al Potere, comandava. E adesso, si, adesso tu mi parli del Pinelli, delle sue due figliole... Saranno belle? Avranno capito che avere un padre Anarchico è come una benedizione di mille signori e non certo della terra? Sai che nessuno su questa terra è Signore del Volo, come lo sono le cicogne del Nord quando partono, magneticamente, verso l'altro Sole?” “Proprio tu mi parli di benedizioni? Io ti capisco sai: è per te benedizione gioire del poco che la vita, come dono, come esperienza della Natura e del Volo delle cicogne, ti offre giorno dopo giorno, portando un pizzico di sollievo là dove albergano tristezza, sofferenza, angoscia: queste hanno stanze d'albergo in ogni dove e i poveri ne sono i più assidui involontari clienti. Ma contro questa malvagità? Contro questa sopraffazione della dignità e della libertà altrui che il tuo papà come tutti i morti ammazzati nell'Holodomor, come il Pinelli e tanti altri hanno patito, che fare?” “Noi, invisibili nella nostra identità, siamo i Custodi della Porta. Fuori si accalcano a spinte e strattoni tutti quelli, uomini e donne, che

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vogliono il Potere. Noi ne facciamo entrare due, chiudiamo la Porta fino a quando non se ne esce uno solo, che deve vedersela con ognuno di loro, che sono là fuori, a due a due.” “... E se muoiono tutti quelli là dentro?” “Quelli? Intanto sono solo in due e poi, se muoiono tutti e due... qui fuori ce ne sono tanti... uno dopo l'altro moriranno tutti: pensano che basti un passo, attraversare la soglia e il gioco è fatto! No, non è così, perché Oltre non sai chi trovi e... se lui ti riempie di Luce, passi dalla sua parte e non ti interessa più niente... Gli assassini di mio papà hanno agito di notte, nella penombra; i soldati al servizio di Stalin, in Ucraina, agivano di giorno e di notte, quelli, tra il 1932 e il 1933; il Pinelli, quello che dici tu, ha finito di vivere - perché di sicuro lui voleva vivere - nel buio, nel vuoto della notte di un dicembre di qualche anno fa, cominciando a patire tanti giorni prima, perché i sospetti fanno patire! Forse io e le sue due figliole abbiamo la stessa età...”. Ilia Pedrina (A parte le figure e gli eventi storici qui evocati, ogni riferimento a persone, tempi e circostanze è totalmente casuale)

Un inzurto de moda ‘Na vorta esse cornuto era ‘n’offesa d’ariparasse co ‘na cortellata; mo sta parola è come ‘na difesa, ‘n’improperia ch’è solo un po’ sguajata. La dichi si la collera s’è accesa; pò sortì fora da ‘na liticata. Quanno guidà ner trafico è ‘n’impresa, a li spacconi da ‘na risciacquata. Inzomma cià le corna chi è smargiasso, chi sbaja mentra gira ar capocroce, chi è frastornato e seguita a fà chiasso. Certo è ‘na parolaccia e ciài patito; puro la mossa è brutta, ma nun coce, come succede quanno sei tradito. Elisabetta Di Iaconi Roma


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Servizio STAMPA I Edizione PREMIO EDITORIALE IL CROCO L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM) - Tel. 06 9112113 – E-mail: defelice.d@tiscali.it organizza, per l’anno 2020, la I Edizione del Premio Editoriale Letterario IL CROCO, suddiviso nelle seguenti sezioni : Raccolta di poesie (in lingua o in vernacolo, max 500 vv.); Poesia singola (in lingua o vernacolo, max 35 vv.) ; Racconto, o novella, o fiaba (max 8 cartelle. Per cartella s’intende un foglio battuto a macchina – o computer - da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1800 battute); Saggio critico (max 8 cartelle, c. s.). Le opere, assolutamente inedite (con titolo, firma, indirizzo chiaro dell’autore, breve suo curriculum e dichiarazione di autenticità) devono pervenire, in unica copia, per posta ordinaria o per piego di libri (non si accettano e, quindi, non si ritirano raccomandate) a: Pomezia-Notizie - via Fratelli Bandiera 6 00071 Pomezia (RM), oppure - ed è il mezzo migliore, che consigliamo - tramite e-mail a: defelice.d@tiscali.it entro e non oltre il 31 maggio 2020. Le opere straniere e quelle in vernacolo devono essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana. Nessuna tassa di lettura. Essendo Premio Editoriale, non è prevista cerimonia di premiazione e l’operato della Commissione di Lettura di Pomezia-Notizie è insindacabile. I Premi consistono nella sola pubblicazione dei lavori. All’unico vincitore della Sezione Raccolta di poesie verranno consegnate 20 copie del Quaderno Letterario Il Croco sul quale sarà pubblicata gratuitamente la sua opera - lo stesso Quaderno verrà allegato al mensile Pomezia-Notizie (presumibilmente a un numero tra agosto e ottobre 2020) e sui numeri successivi saranno ospitate le eventuali note

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critiche e le recensioni. Ai primi, ai secondi e ai terzi classificati delle sezioni Poesia singola, Racconto (o novella, o fiaba) e Saggio critico, sarà inviata gratuitamente copia del mensile - o del Quaderno Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro. Pomezia-Notizie, comunque, può sempre essere letta, sfogliata eccetera su: http://issuu.com/domenicoww/docs/ (il cartaceo è, in genere, riservato agli abbonati e ai collaboratori). Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, la Commissione di Lettura può decidere la non assegnazione del premio. La mancata osservazione, anche parziale, del presente regolamento comporta l’ automatica esclusione. Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di Pomezia-Notizie

IL CROCO i Quaderni Letterari di POMEZIA-NOTIZIE il mezzo più semplice ed economico per divulgare le vostre opere. PRENOTATELO!


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I POETI E LA NATURA – 99 di Luigi De Rosa

D. Defelice - Metamorfosi, 2017

L'UOMO “FINITO” NELLO SPAZIO “INFINITO” (Ricordo di Guido Zavanone – 1927-2019)

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ra le tante mail in arrivo, una che mi ha riempito di amarezza il cuore: quella da Genova di Rosa Elisa Giangoia, membro della Fondazione “Giovanna e Guido Zavanone”, che annunciava con dolore la scomparsa, il 29 novembre 2019, del poeta e scrittore Guido Zavanone. Zavanone era nato novantadue anni fa ad Asti, ma viveva a Genova, dove aveva svolto la propria “carriera” di poeta e di magistrato (Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'Appello). Come poeta, ha vinto Premi letterari prestigiosi presieduti da Carlo Bo, Mario Sansone, Elio Filippo Accrocca,

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Manlio Cancogni, Mario Luzi, Giancarla Mursia, Luciano Erba. Non posso non riandare con la mente al poemetto “Viaggio stellare”, di intonazione dantesca, che ha vinto anche il Premio Moncalieri, presieduto da Gian Luigi Beccaria. Viaggio stellare verso il quale l'Autore è spinto dal suo inestinguibile desiderio di conoscenza, e che inizia con una anomala astronave in forma di nuvola estiva, azzurrognola e fitta, invisibile agli altri, da cui scende un'agile ombra, che porta il poeta rapidissimamente in alto, lontano dal pianeta verdazzurro. Il tutto in un silenzio inaudito. Sforato avevamo/ il grande velo dell'atmosfera/ e splendidi ci venivano incontro/ dal concavo cielo/ stormi infiniti di stelle/ bianche e azzurre, raccolte/ in multiformi costellazioni. A guidarlo, tenendolo per mano, la creatura con ali di farfalla e corpo flessuoso di fanciulla, volata fino a lui da un lontano pianeta, seguendo il suo soccorrevole istinto per aiutarlo a ricercare il Vero. Ad un gesto della mano di lei, nel cuore del poeta scende una pace sovrumana: Ormai troppo terrene le domande/ d’ieri e di sempre/ “Chi muove il mondo, quale/ l’origine nostra, ove la meta”. Mi sentivo/ accettato, una molecola/ felice in sintonia con l’universo. Il viaggio continua per arcipelaghi di stelle, risucchiati/ nello spazio e nel tempo dentro i


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giochi/ alterni e opposti delle quattro forze/ che ci governano, eppure/ sembra che si segua una rotta ben calcolata, forse/ un’orbita celeste… (Le quattro forze sono quella gravitazionale, quella elettromagnetica, quella nucleare forte e quella nucleare debole). Il poeta, fra un assopimento e l’altro in laghi d’ombra e d’azzurro che si aprono/ l’un sotto l’altro…( qui vengono citati addirittura i sedici laghetti di Plitvice in Croazia disposti a gradinata, formanti cascate), si sente sprofondare in un abbandono tra care braccia. Vede nascere stelle, ma ne vede anche morire, per cui l’eternità si rivela un inganno della mente. “Ora vedrai come tutto/ anche quassù tra noi scolora e muore” gli dice lo spirito-guida. Nel cap. IV assistiamo, letteralmente affascinati, alla formazione dei sistemi planetari nelle galassie, anzi, in numerosi universi… Segue la visita al pianeta dei nani e dei giganti, nonché il passaggio davanti a un buco nero, che tutto ingoia quanto gli si appressa. Il buco nero è un mistero tra i misteri, ma niente paura: il poeta è fiducioso nel progresso umano, e fa dire alla voce nota: “Un giorno sarà dato d’accostarci/ a quel mostro con nuove conoscenze/ e attraversare l’imbuto funesto:/ esploratori intrepidi di mondi/ sconosciuti, forse/ d’un tempo diverso”. Nel cap. VII ci è dato sentire il cupo, terrificante rantolo dell’Universo, ma ecco, rassicurante, la guida: “Qualche volta il vecchio cosmo si lamenta…/ per qualche sua sconosciuta vicenda” E aggiunge, concludendo l’ informazione con una saggia constatazione: “Navighiamo entro il vuoto smisurato/ che separa l’una e l’altra galassia/ ciascuna con miriadi di stelle/ e ruotanti pianeti,/ punti sperduti dentro immensi veli/ di gas e polvere vaganti/ nella cangiante varietà dei cieli./ Così muove e s’evolve l’universo/ senza scopo apparente/ vascello-fantasma in cui s’ accalcano/ passeggeri atterriti che si chiedono/ dove vanno;/ e nessuno sa niente”. Quel nessuno sa niente è lapidario. Non ammette repliche. Nel capitolo VIII (Conversazione con lo

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spirito guida), l’esperta volatrice racconta della sua origine in un lontano pianeta, e consiglia al poeta un sano carpe diem: “Godi la bellezza/ che giorno a giorno ti vado mostrando,/ sullo scosceso ciglio della vita/ cogli il fragile fiore dell’istante”. Seguono altre zone ... dell' Infinito, incontri con personaggi famosi. Ma il poemetto è lungo e complesso. Qui ci basta averne dato un'idea. Luigi De Rosa

ALBERI DI RIMPIANTO Mi amerete quando non sarò più qui e avrò consumato tutte le parole della vita. Ce lo dicevi la sera ma il vento di febbraio ti copriva la voce e si portava via la tua inascoltata cantilena d’amore. Invece erano semi che arrivavano al cuore e che ora, alberi di rimpianto, fioriscono. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole - BastogiLibri, 2019.

SULLE MIE CIGLIA Di molti sorrisi abbiamo il viso, mio è quello a labbra chiuse; che non m’esca la felicità dalla bocca appresso al suono di corde vocali: posso cantare una gioia tremenda con il mio sguardo imperfetto. Tutta la felicità pesa sulla palpebra che più dell’altra cede al canto; mi sorride l’anima, per me, come cede la terra al vuoto. Non m’esca la felicità dalla bocca, costruisca cieli sulle mie ciglia. Aurora De Luca Rocca di Papa, RM


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Recensioni SALVATORE D’AMBROSIO DIECI X DIECI Sillabe incise a fuoco sulla pietra Brignoli Edizioni di Caserta, Anno 2016, € 9,00, pagg. 27. «[…] Non si sale per metà/ per scendere a mani vuote. Gli occhi di chi attende/ in pianura sono cesti da riempire. Non sono arrivati/ fino alla montagna per capriccio di un viaggio./ Le donne in attesa vogliono partorire un figlio/ che abbia una terra, leggi da seguire, una casa da abitare./ Ci vogliono però porte da passare, dieci almeno. […]» (Pagg. 8-9). È uno stralcio incisivo del poema di Salvatore D’Ambrosio, poeta pittore giornalista scrittore campano, nella cui ambientazione rifulge la figura del Patriarca-guida e legislatore del popolo eletto, gli Ebrei, il loro liberatore Mosè. Destinato fin dalla nascita a morire per un’ordinanza rivolta ai primogeniti maschi indetta dal faraone, Mosè, invece, per volontà divina s’impose al popolo di Dio mostrando loro fenomeni innaturali atti sia a sconvolgere il nuovo faraone salito al trono, sia per convertire il popolo deviato per debolezza di spirito e dall’idolatria. Sommi artisti, come Michelangelo Buonarroti tra l’Umanesimo e il Rinascimento, vollero rappresentarlo per conferirgli un volto e la possanza fisica, assieme alla patina raggiante ricevuta da Dio in concomitanza della consegna delle seconde tavole della Legge sul monte Sinai. Un chiaro esempio è la statua in marmo del Mosè di Michelangelo, del 1513-1516 circa, facente parte del monumento funerario di papa Giulio II (suo importante committente in vita), di San Pietro in

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Vincoli a Roma, il cui particolare del busto fa da immagine di copertina a colori del poema di D’ambrosio. Parlare di Mosè è già un’impresa titanica per la grandezza assoluta del personaggio chiamato a guidare un popolo, che dalla schiavitù uscì dalla terra pagana d’Egitto, vagando per quarant’anni nel deserto prima di giungere nella Terra promessa, tutto per decisione di Dio dal nome allora impronunciabile. «[…] Però il perché del lui unico a farlo e chi era lui per farlo/ lo sfiancano più della salita tra fulmini tempeste e nebbie./ Un dovere è una responsabilità/ e l’alleanza una montagna da conquistare./ Ha una molla chi è stremato che lo spinge a proseguire/ non a rinunciare. Chi è prescelto ha più doveri./ La vetta chi vuole la raggiunge, e consola poi l’inevitabile discesa/ che porta la ricchezza dell’esperienza come dono/ a chi ha atteso con timore. […]» (Pag. 11). Chi avrebbe detto che Mosè riceverà per ben due volte le famose tavole della Legge su cui vennero scritti direttamente da Dio, coi Suoi raggi sovrannaturali, i Dieci Comandamenti, norme fondamentali per l’esistenza retta del vero credente. La prima volta quando scese con le tavole incise dal Sinai ritrovò il popolo, che aveva lasciato quaranta giorni prima, tra i festeggiamenti nell’idolatrare il vitello d’oro e in quel momento scaraventò le tavole nel mezzo del banchetto sacrilego ai piedi della montagna sacra. Di nuovo salirà sul Sinai con due nuove tavole di pietra da lui tagliate, senza mangiare e bere nei quaranta giorni successivi per ricevere i definitivi Dieci Comandamenti insieme all’investitura raggiante del suo nuovo Essere, cambiato dalla magnificenza del dialogo con Dio. «[…] Sulle spalle però c’è una montagna incisa a fuoco/ con regole da rispettare per godere della conquista./ Ora è l’uomo che appartiene alla terra. La terra a lui./ Ne sarà custode fedele perché è l’eredità/ dei suoi padri che passerà ai figli e poi/ ai figli dei figli e sarà per sempre la terra promessa./ E si riempiranno i suoi piedi e i suoi sandali/ di quella polvere. […]» (Pagg. 12-13). Il poema ad un certo punto termina la sua fase narrante per immettersi in dieci passaggi, ingressi, porte ovvero la versificazione di ciascun Comandamento con la risultanza di dieci poesie: Prima porta, Seconda porta, Terza porta, Quarta porta… L’immaginazione ascetica dell’autore ci fa capire i Comandamenti attraverso i suoi versi miranti a spiegare l’essenza della direttiva, non seguendo l’elenco in parallelo bensì arricchendoli con scene tratte dalla vita umana e dalla cultura ebraica.


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Prendiamo, ad esempio, la Seconda porta in vaga relazione al Secondo Comandamento che recita di non pronunciare il nome di Dio invano. «Dell’ annuncio lasciò il segno a fuoco/ da tenere in obbedienza non interpretare./ Fedeltà è a uno solo/ perché è il più geloso./ Di certo escluso da irrilevanti cose./ La massima luce è sulle grandi vette/ dove l’abbaglio è tanto grande/ che copre il niente rimasto a colui che si genuflette/ a tutte le cose legate al ricordo/ della sua provenienza da impasto di polvere.» (Pag. 17). Per finire col Decimo Comandamento che mette in guardia dal non desiderare nulla che appartenga al prossimo, … né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo. (Dt 5,21). Regola che comprende anche di non essere invidioso delle cose altrui, quel senso bilioso che genera tristezza perché il primo è generato dall’orgoglio ferito e il poeta D’Ambrosio ha così tradotto, secondo la propria visione, l’ultimo Comandamento in versi: «Il lavoro di sei giorni fu fatto per tutti/ perciò impara a governare il tuo appetito/ soprattutto soddisfalo da te con la tua forza./ Il dito che incide sulla roccia non è artiglio,/ come non deve essere il tuo nelle cose./ Lascia che non ti sovrasti pensiero di desiderio/ che innesca scintille di possesso e di saccheggio:/ ti farai per questo come i tuoi persecutori./ Lascia che ciò che ti è dato: casa donna bellezza,/ siano quelle che furono stabilite come tua primizia.» (Pag. 21). Isabella Michela Affinito

FRANCESCO GIANNINI TEMPI DI VERSI (Edizioni Iuorio, Benevento 2019, € 10,00) Accade talvolta che gli eredi di una persona defunta scoprano tra le carte del loro caro scomparso delle poesie che egli per riservatezza o per altri motivi non ha pubblicate. Decidono allora di darle loro alle stampe e di diffonderle, per onorarlo e per farlo conoscere. Un nuovo poeta si affaccia così alla ribalta letteraria e sarà opportuno prestargli ascolto, perché i suoi versi possono essere anche di pregio. È quanto è accaduto per Francesco Giannini, le cui poesie sono apparse postume, in un libro intitolato Tempi di versi, a cura di Maria Cesare, nelle Edizioni Iuorio di Benevento. A leggere attentamente queste poesie, un motivo pare emergere più di frequente da tutto il contesto: quello dell’esaltazione della vita in quanto

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dono incomparabile che ci è stato dato e del quale dobbiamo apprezzare il valore, come ci dice il poeta sin dalla prima lirica della raccolta, Attimi, minuti, ore. E in verità il valore della vita Giannini lo ribadisce sovente nelle poesie successive della raccolta, nelle quali egli si accende di meraviglia nel considerare la bellezza del Creato; bellezza che si manifesta ad ogni istante, a cominciare dalla visione del sorgere e del tramontare del sole e della luna, che seguono senza posa la loro traiettoria nel cielo (Il giorno e la notte) e seguitare con il volgere delle stagioni (Le quattro stagioni) che con la loro “festante giostra” si succedono sul mondo, in una danza che pare eterna, anche se noi ben sappiamo che un giorno avrà fine. Molto numerose sono pertanto le “occasioni” che Giannini trova al suo estro, le quali vanno dal volo di un aquilone che un fanciullo felice fa salire nell’alto al ricordo della madre defunta, che suscita in lui affettuosi pensieri (“Ho ricercato sulle tue ceneri / il conforto della mia vita”, Madre); dall’ incantevole visione di una nevicata invernale (“Cade, / sul cocuzzolo della montagna, / la soffice neve. / Dalle baite legnose / escono correndo / i fanciulli beati”, La strofa invernale) a un ricordo di viaggio che improvviso torna alla memoria (“Nella lontana Sierra / danzano / le sinuose ballerine. / Con le mani affusolate / percuotono / le nacchere di bosso”, L’anima andalusa) e così via. Emerge con evidenza da queste poesie l’ intensità dello sguardo con il quale Giannini contempla il mondo, che suscita in lui sempre nuovi pensieri, nascenti dal forte amore per la vita che lo circonda: minima o grande, non importa. Così può esaltarsi per l’operosità delle api che vanno raccogliendo il polline di fiore in fiore (Il sacro miele) o per la bellezza di un quadro famoso (Monna Lisa); può gioire nel contemplare i colori della sua città natale (Napoli) o partecipare con animo spensierato alla comune allegria di una festa paesana (Il borgo festante). Ed è proprio in questa sincera adesione al mondo e alla vita (si veda nell’ultima poesia la ragazza solare che porge ai passanti dei fiori di campo, mentre i venditori mettono in mostra sulle bancarelle i loro preziosi gingilli) che si scopre il significato profondo delle poesie di Giannini, il quale sa anche ispirarsi al mondo classico greco in poesie quali Nettuno, Arianna, Efesto, Dioniso, Afrodite, ecc. e alla mitologia nordica in una poesia quale Il dio Odino. Né in questo nutrito libro, nel quale confluiscono molteplici tematiche, poteva mancare un accenno al mondo orientale, che troviamo in Sajo-


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nara, come non poteva mancare la notazione moralistica che affiora in Pagliaccio o il sentimento della colleganza umana (Le mani) e della lealtà tra coloro che vivono insieme (La giustizia). Il libro termina con delle poesie di carattere religioso, che sono tra le più sentite di questo autore, il quale sa proiettarsi con fiducia nell’Oltre, di cui avverte ardentemente il richiamo. Si leggano in proposito poesie quali Dio, La Sindone, Pace a voi, Osanna, Vorrei, Il buio e la luce, ecc. Francesco Giannini è morto in ancor giovane età, sicché molti altri libri di poesie avrebbe potuto donarci. Ciò che ci ha dato è comunque sufficiente a farlo considerare un poeta degno di attenzione, per la schiettezza e l’immediatezza dei suoi versi, che ci parlano con profonda umanità e con sincero sentire. Elio Andriuoli

FABIO DAINOTTI REQUIEM FOR GINA’S AND OTHER POEMS Traslated by Nicola Senatore and Myriam Russo Introduction by Enzo Rega - Gradiva Publications, 2019 - Pagg. 64, $ 20.00. Tra i compiti primari della poesia non c’è quello di descrivere e di stupire con linguaggi e tecniche particolari; c’è, invece, quello di commuovere chi a essa si accosta, stimolare la sua immaginazione, coinvolgerlo ed esaltarlo fino al punto di sentire intimamente suoi quei versi e le vicende in essi narrate; quasi un fervoroso collaborare nella creazione, insomma. Così, per esempio, quando Fabio Dainotti dolorosamente scrive “scompare nel teschio”, agli occhi della nostra mente non è presente solo il “bel viso cereo” della zia defunta, nella serenità della dormitio, ma, in particolare, ciò che di lei sarà fra non molto attraverso la corruzione: teschio slabbrato, dalle orbite nere e vuote; in noi, cioè, l’immagine s’è subito accresciuta, dilatata. Lamento per la morte di Gina è poemetto affascinante, privo di enfasi e retorica; la narrazione è chiara e talmente evocatrice da portarci - a leggere la sapiente introduzione di Enzo Rega - a Lorca, Sarte, Petronio, Pavese, Gozzano, ma anche a Catullo, Dante, Pascoli, Eliot, Yeats, Ungaretti, Sbarbaro, Gatto; una serie di richiami e di stimoli a vasto raggio, inevitabile in uno scrittore come Dainotti, profondamente imbevuto di universale e classica cultura. Attraverso flashback e dissolvenze, brandello dietro brandello, il poeta compone l’intera esistenza della zia Gina, una parente per lui così par-

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ticolare, da sentire la necessità di collocarla sullo stesso piano della propria madre: “come se fossi la mia madre buona” - scrive, infatti, Dainotti -, anzi, una “seconda madre, madre buona”, alla quale confidarsi, con la quale parlare a lungo, presso la cui dimora rifugiarsi ogni qualvolta ne sentiva il bisogno, “senza preavviso”, un luogo di calma assoluta e pace, dove studiare, leggere giornali, sognare. Zia che ha contribuito profondamente alla crescita del giovane, il quale, su di lei, rovesciava aspirazioni e slanci e verso la quale poteva permettersi atteggiamenti e pose in genere riservati a coetanee, se non, addirittura, alle amanti; donna, insomma, specchio a tutti i progetti, alle esigenze e alle passioni di un ragazzo in formazione e sognatore. Lei se ne rendeva conto della supervalutazione che il nipote le riservava e si scherniva: “Sono una povera donna”, gli rispondeva, e “non capisco quasi niente/delle cose difficili che dici!”. Invece lo capiva benissimo e faceva di tutto per incoraggiarlo ad andare avanti senza eccessivi traumi. Lungo la confessione che il poeta di oggi fa all’indimenticabile zia, non mancano tocchi descrittivi di particolare efficacia, come quelli riservati alla natura, ai campi sui quali, “a sera, d’ inverno, scendeva la nebbia”, o alla luna che, “nel cielo estivo”, gli “illuminava il letto”; o, ancora, alle “stelle lontane”, mentre lui e il fratello fumavano “distesi in un campo” e “Le pratoline (che) occhieggiano nei prati”. La vita di bohémien del giovane Dainotti, nel poemetto si staglia con nitidezza e nostalgia. Zia Gina s’illumina lampo dietro lampo; tassello dietro tassello; la sua figura di donna emerge nitida e completa nei suoi pregi e nei suoi difetti, nelle sue tante sconfitte, come quella dei fallimenti nel campo degli affari e lo spreco del denaro nell’acquisto di “cavalli da corsa” per assecondare i desideri dei figli. Altrettanto nitidi risultano i ritratti dello stesso autore; del fratello che, invece di studiare, trascorreva il tempo a parlare “a cenni con una signorina che abitava di fronte” (p. 22) alla casa della zia; di altri protagonisti. E bene si legano al poemetto, per stile e per temi, i testi successivi: “Notte a Vigevano”, “La zia Letizia”, “Due modi d’aver cinquant’anni”, “Al bar di Michele”, Cimitero marino” e “Famiglia”. Nitida, infine, e rispettosa dell’originale - che, nel 2015, è stato insignito, a Torino, del Premio I Murazzi - la traduzione in inglese di Nicola Senatore e Myriam Russo. Domenico Defelice


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ISABELLA MICHELA AFFINITO UNA RACCOLTA DI STILI 17° Vol. - Carta e Penna Ed., 2919 - Pagg. 74, e. f. c. Due aspetti in un libro solo: il poetico e quello della critica d’arte. Non è facile, ma non per Isabella Michela Affinito, che ci aggiunge pure la grazia dello stile, la scorrevolezza del linguaggio e il tocco geniale se, nella sintesi, riesce a dire più di certi mostri sacri in centinaia e centinaia di pagine. Far critica in versi, non è la prima volta per Isabella Michela Affinito. Nella Prefazione e nei due saggi di questo volumetto - l’uno su Giovanni Boldini e l’altro su Egon Schiele, come nella recensione, posta a quasi Postfazione, sulla pittura di Jan Vermeer, attraverso il film “La ragazza con l’ orecchino di perla” del regista Peter Webber - la poetessa ci dà chiari ritratti di artisti, sempre impreziositi da riporti. Sì, il riporto è una caratteristica della critica dell’Affinito, quella, cioè, di trascrivere brani per avvalorare il suo pensiero e le sue investigazioni. Qualità apprezzabile. Francesco Pedrina ci diceva di non capire quei critici che si sforzano di ridire con proprie parole quel che altri hanno già saputo affermare con chiarezza. E lui stesso, infatti, amava tanto il riporto. Ma lasciamo la prosa e veniamo alla poesia. Gli artisti alle cui opere s’ispirano i versi di Isabella Michela Affinito sono tanti, tra cui: Costantin Brâcuşi; Marcel Duchamp, dalla “elaborata pittura/spudorata e pura”; Van Gogh; Amedeo Modigliani, il quale troviamo, assieme ad Anna Achmatova, a passeggio per le strade di Parigi “sotto un unico/vecchio ombrello/rincorrere il/riflesso amorfo della/luna sulla Senna”; Leonardo da Vinci; Gian Lorenzo Bernini; Aleksandr Archipenko; Giorgio Morandi: “Solo/oggetti non c’erano presenze/umane sulla tela, mancava/solo una poesia di/Montale e poi sempre/qualcosa di grigio a/riciclare l’esatta scena!”; Pablo Picasso; Vasilij Kandinsky; Oscar-Claude Monet, le cui ninfee blu han “tanto calore dentro, la/cenere di lampade che/non si sono accese, libere/nella piramide di vetro che/le assorbe e le rapisce dallo/stagno che verde-rame/aspetta…”; Giorgio De Chirico; Joan Mirò, il cui linguaggio è “come/ quello di un bambino”, un “labirinto ludico”… Ma non le singole opere e i singoli artisti son definiti nel lavoro dell’Affinito; lo sono pure la scultura in genere; l’Astrattismo (“È troppo vasta/la parola astratto,/se arriviamo nel suo/regno ci sentiamo/esuli di fronte agli/spazi occupati dalle/geometrie e dalla vivacità/dei colori che cercano/un anfratto, per non/morire sotto il peso della/incontrovertibile logica”); il Surrealismo; la pit-

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tura, che “Non è solo tela,/non è solo tavola,/non è solo tempera,/non è solo un ritratto”, perché “Ogni quadro/è un matrimonio/di colori svoltosi/sul legno di una/tavolozza dove tutti/festeggiano”. Insomma, un libro piacevole e colto, gustoso. Domenico Defelice

MERCEDES CHITI RICORDI, NOSTALGIE, SENTIMENTI Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto - Anscarichae Domus Accademia Collegio de’ Nobili Editore, 2018 - Pagg. 62, € 10,00 Tre temi; tre solari mannelli fra di loro contaminati, cioè fra di loro non chiaramente distinti; tre percorsi che, poi, si assommano per costituire un unico viaggio, quello della protagonista e della sua memoria. E poi un bel saggio introduttivo, solare e accattivante di Marcello Falletti di Villafalletto, leggendo il quale non ci sarebbe altro da aggiungere. Un vero e proprio breviario, questi Ricordi, nostalgie, sentimenti, preghiere innalzate da un’anima fervente accompagnata dal coro della Natura. “…ci troviamo - afferma il prefatore a metà del suo lungo e penetrante discorso - qui di fronte a palpitanti sentimenti della vita con gli accesi colori della natura e la luminosità solare degli astri, ma anche le oscure ombre della notte che si avvertono ancor più angoscianti nella solitudine”. La Mercedes Chiti di oggi, di ora che “il Tempo è trascorso inesorabile”, si scruta e si confronta con la lei di ieri fin dal primo brano, allorché, davanti “Al tiranno implacabile che affligge/la nostra vita” - sempre il Tempo -, arrotola il nastro della sua esistenza, per rivedersi e raccontarsi giovane con l’oro nei capelli, “il volto dolce della giovinezza”, le dita, “Quelle (…) di un Tempo, lunghe e snelle”, le “Mani snelle, leggere”. Eccola, bambina, correre “per i prati/per catturare l’oro”; eccola, la prima volta di fronte al mare; eccola, sedere smemorata sulla “sedia bianca/nella quiete assoluta” o camminare “da sola” fra colli irrorata di luce e di profumi; eccola, studentessa, allorché si usavano ancora “inchiostri dagli strani riflessi/in vecchi calamai”. Letta così, questa raccolta di versi sembra un vero e proprio poemetto, giacché, se si accostano schegge a schegge, brano a brano, vien fuori una vita intera incorniciata dagli affetti delle perone care: il padre, dalla “voce allegra”, un “uomo/buono, incapace di far del/male, di azioni scorrette”; la madre, alla quale son dedicate due commosse composizioni: “Ritratto” e “Forse tu, da lontano…”; il figlio, per il quale ha disegnato stelle e stelle “per deporle nel luogo del tuo sonno,/dolce bambino mio”,


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adombrandone la morte; la nonna, dai “capelli rialzati”, “color del mogano/gli occhi verdi”, “le efelidi di un pallido incarnato”. Ma, su tutto, è la Natura a dominare, con gli uccelli, le piante, le albe, i tramonti, i cieli stellati, le stagioni, tutte belle, come le luminose primavera ed estate, o gli ombrosi e non per questo meno affascinanti autunno e inverno. Non c’è brano in cui la Natura non sia presente; anzi, non ci son personaggi o situazioni che nella natura non si specchino, o che, nella natura, non siano annegati. Evitiamo di citare perché non siamo in grado di scegliere. È tutto bello, tutto armonico, tutto pastoso, dolce, anche quando si accenna alla morte, perché sublimata nella certezza dell’Aldilà, nella comunione dei nostri cari trapassati, i quali mai ci abbandonano, i quali, da lassù, costantemente ci osservano “con affetto, con la (…) solita bonaria armonia”. Domenico Defelice

RAINER MARIA RILKE DALLA MISURA DELLE STELLE Tradu.ne Giusi Drago - Ponte delle Grazie 2019, € 6,90 Piccola pubblicazione di poesie di Rilke, di una settantina di pagine, curate e tradotte da Giusi Drago. La veste tipografica è composta da una piccolissima nota introduttiva sulla persona di Rainer Maria Rilke. Una nota sul perché della pubblicazione e alcune brevi note bio-bibliografiche della curatrice e traduttrice dal tedesco Giusi Drago. Ritorna e oserei dire si riscopre la poesia di questo grande lirico, dalla grande capacità speculativafilosofica. Il libretto è, potremmo dire, una piccola antologia che la traduttrice Giusi Drago organizza secondo un percorso di selezione, che va dalle liriche del 1902 a quelle delle Elegie duinesi. Sono queste le ultime che egli scrisse prima di morire, a 51 anni nel 1926. Dopo avere iniziato a pubblicare a soli 15 anni. La sua prima opera, infatti, ebbe un posto nel 1890 sulla rivista viennese Das Interessante Blatt. L’opera della Drago cerca di dare un’idea della vastità del corso poetico di Rilke. Vi sono testi del 1902, come alcuni del 1905, 1907 e altri. Ma manca, per esempio, la presenza di un accenno alla parte migliore della sua poetica realizzata con Le Elegie Duinesi. Dei Sonetti a Orfeo, si riportano solo alcuni canti più vicini, probabilmente, alla sensibilità della traduttrice. Certamente Rilke è un poeta difficile per il semplice fatto che lo possiamo considerare il poeta

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dell’essenziale, dell’interiore, spesso dell’indicibile. Direi della caducità. Il pensiero che tutto ciò che c’è di bello al mondo deve finire, passare, non lasciare tracce come le acque che passano sotto un ponte, lo fa soffrire, lo rende triste. Conosce la profonda differenza tra il dentro di noi e il mondo. Questo lo spinge a considerare le proprie esperienze come qualcosa di significativo, che devono portare alla maturazione psichica. È presente in lui una certa vicinanza al Decadentismo, per lo stato d’animo con il quale si approccia alla società contemporanea in cui vive. Per questa vicinanza al Decadentismo, a volte, adopera metafore sugli angeli, sull’aldilà, sulle lunghe distanze che mette la morte, non solo con i viventi ma anche con l’eternità. Il pregio di questo volumetto è proprio quello di mettere in evidenza, con un invito conseguente alla lettura del poeta, l’ampio spazio esistenziale -filosofico in cui si muove il Rilke. L’itinerario che ci propone la Drago parte da Il Libro D’Ore , di cui ci propone 7 liriche con testo integrale in tedesco e a lato la traduzione. Stessa cosa avviene per le poesie scelte dalle raccolte: Il libro delle immagini; Nuove poesie; I sonetti a Orfeo. L’itinerario proposto nel volumetto, sebbene soggettivo, invita nonostante la sua brevità, a una riflessione sulla vita e alla sua inarrestabile scorrevole dilatazione. Significativi i versi: Ich lebe mein Leben in wachsenden Ringen,/ die sich über die Dinge ziehn./Ich werde den letzten vielleicht nicht vollbringen,/aber verruche will ich ihn. Che la Drago così traduce :”Vivo la vita in cerchi che si moltiplicano/ e sopra le cose si tendono./ Non potrò forse completare l’ultimo,/ ma voglio tentare”. Una speranza, una voglia a non rinunciare? La morte come protezione della vita stessa? Salvatore D’Ambrosio

EMILIANO FITTIPALDI GLI IMPOSTORI – Inchiesta sul potere (Feltrinelli, Serie bianca, settembre 2017, 16,00 €, pagine 205, Brossura, ISBN 978-88-07-17335-6) Emiliano Fittipaldi attualmente è giornalista de «L’Espresso», dopo aver lavorato per il «Corriere della Sera» e per «Il Mattino». Per le sue inchieste ha vinto il premio Ischia, il Gaspare Barbiellini Amidei e il Sodalitas. Ha scritto “Così ci uccidono” (Rizzoli, 2010) e, con Dario Di Vico, “Profondo Italia” (Rizzoli, 2004). Per Feltrinelli ha pubblicato “Avarizia”. Le carte che svelano ricchezza, scandali


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e segreti della Chiesa di Francesco (2015). L'inchiesta sugli sprechi e la gestione finanziaria degli enti economici vaticani e lo scoop sulla ristrutturazione dell'attico del cardinale Tarcisio Bertone sono state rilanciate dai media di tutto il mondo. Per questa opera il Vaticano lo ha messo sotto processo, assieme al collega Nuzzi, ma viene assolto per difetto di giurisdizione. Ma chi sono gli impostori di cui si parla nel libro? Sono coloro che «attraverso menzogne, occultamenti e propaganda sfacciata si presentano alla gente diversamente da come sono in realtà». Impostori sono i preti pedofili. Impostori sono quei politici che «dicono di aiutare gli ultimi e poi fanno il contrario, tagliando le tasse ai ricchi». Compito dei giornalisti è raccontare la verità smontando menzogne occultamenti e propaganda. I giornalisti, che sono liberi e non al servizio di qualche politico, devono avere coraggio a denunciare i misfatti. Come dice Gesù: “la verità rende liberi”. Fittipaldi si sofferma spesso nella descrizione dell’iter seguito nella fase investigativa delle sue inchieste e sembra farlo non tanto per dare fondatezza alle stesse, basata piuttosto sui dati e sui risultati, quanto per dimostrare che chiunque (giornalisti, investigatori, cittadini…) potrebbe farlo, almeno nella parte di ricerca da fonti pubbliche. In teoria quindi se tanti cronisti non fossero così “pigri” avremo migliaia di inchieste come quelle portate avanti dall’autore e dai pochi “investigatori” come lui. Non è impossibile e neanche tanto complicato ma ci vuole determinazione, correttezza e coraggio. Qualità che, purtroppo, sembrano scarseggiare nel mainstream della comunicazione e non solo. Un altro punto su cui l’autore ritorna spesso è lo scarso clamore mediatico e il freddo interesse del pubblico alle sue rivelazioni e scoperte. E lo fa non perché sia in cerca di gloria ma per tentare di capirne le motivazioni. Che ci sia tra il pubblico italiano una preoccupante assuefazione allo scandalo e alla corruzione? Che queste notizie in qualche modo “disturbino” non solo i diretti interessati ma anche il pubblico che, quasi quasi, ne farebbe volentieri a meno per meglio concentrarsi su partite di calcio, trash tv e gossip vario? Di seguito cito in breve gli argomenti principali dei vari capitoli al fine di orientare e facilitarne la lettura. Gli “Impostori” tratta tre casi: 1) Che fine ha fatto Emanuela Orlandi dopo la sua scomparsa il 22 giugno 1983? 2) Chi comanda davvero al Comune di Roma? 3) Qual è la vera storia del “Giglio magico” di Matteo Renzi? Tre inchieste, tre indagini esplosive che smascherano le menzogne del Potere.

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1) Emanuela - Il 22 giugno 1983, in un caldo pomeriggio di inizio estate, Emanuela Orlandi, giovane cittadina del Vaticano, scompare nel nulla. Nei giorni successivi si avviano ricerche spasmodiche, che nei mesi e negli anni porteranno a un susseguirsi di indagini giudiziarie, inchieste giornalistiche, ipotesi complottistiche più o meno fantasiose. Ma nessun indizio concreto aiuterà a far luce su uno dei misteri più inquietanti della recente storia d’Italia. Ora Emiliano Fittipaldi ricostruisce nuovi tasselli fondamentali della drammatica vicenda di Emanuela grazie a un documento, trafugato in maniera misteriosa e di provenienza vaticana. Da cui, se la sua veridicità venisse confermata, emergerebbero squarci impensabili sul destino della quindicenne; o, nel caso contrario, sulle inesauribili trame di cui si serve il potere per nascondere realtà impossibili da rivelare. È la prima delle tre inchieste che compongono questo libro, indagine serrata e documentatissima sulle mistificazioni dei potenti, troppe volte sicuri della propria impunità. Tali documenti sono stati trafugati nel Vaticano e sono riportati nel libro: trattasi di note spese fatte dallo Stato Vaticano per la gestione di Emanuela Orlandi, dal quale risulta essere stata prima ospite di un ostello a Londra – 176 di Clapham Road -, di proprietà dei padri scalabriniani e successivamente presso le suore a Ellerdale Road! Le note spese, fatture, ecc… consistono in un allegato di circa 200 pagine, riguardanti le cifre a carico dello Stato Città del Vaticano per le attività di sostentamento relative alla cittadina Emanuela Orlandi nel periodo che va dal 1983 al 1997: tali attività risultano essere di mantenimento come vitto e alloggio e anche mediche di tipo ginecologico. L’ultima nota spese riguarda il disbrigo delle pratiche finali nell’anno 1997: da ciò si presume che in quell’anno Emanuela sia passata a miglior vita! Nel paragrafo “Depistaggio vaticano” viene descritta la pista interna al Vaticano. Secondo questa tesi, la Orlandi sarebbe tenuta nascosta all’interno del Vaticano. Due dipendenti del Vaticano sostennero che fu vista scendere da un’auto di lusso, una settimana dopo la sua scomparsa, presso Porta Sant’Anna – uno degli ingressi del Vaticano. Praticamente la Orlandi sarebbe scomparsa a causa di una relazione con un potente Monsignore! Sempre in questo paragrafo viene riportata l’ intercettazione telefonica del colloquio fra Raul Bonarelli, un uomo della sicurezza vaticana, e fra un uomo detto “Capo”, che secondo i giudici si tratta del numero uno della Gendarmeria, Cibin. Raul Bonarelli doveva essere interrogato in Procura in quanto era stato riconosciuto dalla madre


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dell’altra ragazza scomparsa Mirella Gregori. Bonarelli frequentava il bar dove veniva Mirella. 2) Raggirati - Fittipaldi in questo capitolo si occupa di quello che succede al Comune di Roma con la nomina di Virginia Raggi a Sindaco di Roma. Il Movimento 5 Stelle fa dell’onestà una sua bandiera. Prima constatazione: la Raggi dopo la laurea in legge fa il praticantato presso lo studio di Cesare Previti, condannato per corruzione in atti giudiziari! Sempre la Raggi ha messo come assessore all’Ambiente Paola Muraro, vicina a Cerroni e a Panzironi della vecchia dirigenza dell’AMA! Ha eletto Marra, ex dirigente comunale durante l’ amministrazione di Alemanno, come suo braccio destro, nonostante il suo curriculum non specchiato, la contrarietà di Beppe Grillo e altri del Movimento 5 stelle. Seguendo la pista dei Soldi Fittipaldi scopre i movimenti poco leciti nel campo immobiliare di Marra, che ha comprato sottocosto (- 40% rispetto al valore di 1,3 milioni di euro) un attico di circa 150 metri quadri su due livelli all’Acqua Acetosa dal costruttore Scarpellini. Parte dell’anticipo per l’acquisto di € 400.000 è frutto del ricavato della vendita di un appartamento modesto a Cinecittà venduto allo stesso Scarpellini. Tale appartamento fu a suo tempo comprato da Marra dall’INDPAP a € 140.000, cioè meno di un terzo dell’importo con cui lo ha rivenduto! Inoltre, Fittipaldi scopre nelle sue ricerche al catasto e all’anagrafe che la moglie di Marra ha comprato un altro appartamento dall’Enasarco ai Prati Fiscali ad un prezzo agevolato (sconto del 30%) per favorire chi non è proprietario della prima casa. Lo ha potuto fare essendo in regime di separazione dei beni con il marito e per aver ottenuto precedentemente dal Comune tale appartamento in affitto al fine di poter esercitare il diritto di prelazione. Marra durante l’amministrazione di Alemanno favorisce in modo clamoroso il costruttore Amore, che incassa in cinque anni 17 milioni di euro per l’affitto di case popolari a Fioranello date ai senza casa. In un’altra “estrema periferia romana” (Tor tre Teste) fa spendere al Comune di Roma 2160 € al mese per ciascun appartamento (affitto che potrebbe essere congruo per uno situato al Centro di Roma!). A seguito di pubblicazioni di tali notizie, come anche di business immobiliari e di affitti d’oro a danno del Comune di Roma, comparsi sulla rivista “L’Espresso”, vengono denunciati penalmente sia Marra che il costruttore Scarpellini!

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3) Il Giglio nero - Le indagini di Fittipaldi sono a tutto campo: non si fa influenzare dal colore politico. Indaga anche su Renzi diventato capo del governo nel 2014, smascherando il mito della meritocrazia. Renzi diceva che non si deve assumere una persona perché conosce qualcuno, ma perché conosce qualcosa! Renzi ha voluto far fuori la vecchia guardia del PD (Veltroni, D’Alema, ecc…) per mettere nei posti chiave persone valide e oneste. Renzi due mesi prima di diventare Capo del Governo giurava: ”Noi non sostituiremo il gruppo di potere con un altro. Non assumeremo gli amici degli amici!”. Invece Renzi ha messo nei posti chiave tutte sue conoscenze!! Anche la squadra formata da Renzi non era basata sulla competenza, ma sull’amicizia personale, sulla fedeltà al gruppo, persino sulla comune origine toscana. Fittipaldi svela tutto ciò che vi è di poco trasparente sia nel fallimento della Banca Etruria sia nella gestione della CONSIP, ente statale che bandisce gare per 14 miliardi di euro all’anno: la Consip aveva girato al legale di Renzi, Alberto Bianchi, incarichi per almeno 340.000 euro! Il “Giglio magico” di Renzi è il trionfo dei raccomandati e dei dirigenti senza arte né parte. Il consiglio direttivo del“Giglio magico” è costituito da quattro personaggi: Alberto Bianchi, avvocato personale di Renzi, Maria Elena Boschi, ministro per le riforme, Luca Lotti, detto il “Lampadina” e l’ imprenditore Marco Carrai. Il Giglio nero è costituito dal papà di Renzi, Tiziano, da Luca Lotti e Denis Verdini. I pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano interrogano Luigi Marroni, ad di Consip,sul grande appalto da 2,7 miliardi di euro chiamato Facility Management 4, sul presunto sistema corruttivo messo in piedi dall’imprenditore napoletano Alfredo Romeo per aggiudicarsi i lotti. Marroni parla di un vero e proprio «ricatto» subito da un sodale di Tiziano Renzi, l’imprenditore Carlo Russo. Riferisce di pressanti «richieste di intervento» sulle Commissioni di gara per favorire una specifica società; di «incontri» riservati con il papà di Renzi a Firenze; e di «aspettative ben precise» da parte di «Denis Verdini e Tiziano Renzi» in merito all’assegnazione di gare d’appalto indette dalla Consip del valore di centinaia di milioni di euro. Un sistema fondato su un groviglio di interessi pubblici e tornaconti privatissimi, dove il governo del bene collettivo viene compromesso da una gestione del potere opaca e personalistica. Ancora una volta sono state tradite le speranze e le promesse di cambiamento del paese. Giuseppe Giorgioli


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ANTONIO CARIOTI (A cura di) LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA -12 DICEMBRE 1969 L'ECCIDIO, I PROCESSI, LA MEMORIA Le Collezioni del Corriere Della Sera n. 6 del 10 Dicembre 2019 Questo testo è curato dal giornalista Antonio Carioti, di casa in Via Solferino fin dal 2004, come esperto del Settore Cultura e del Supplemento settimanale 'La Lettura' del Corriere. La Prefazione è di Giangiacomo Schiavi (pp. 7-14) e i contributi interessano proprio perché a più voci, intorno a vicende che non hanno trovato colpevoli ma solo vittime, senza scampo alcuno: Cinque bombe, una strage, due piste (A. Carioti, pp. 15-58)); Nessuna condanna ma sappiamo molto (Luigi Ferrarella, pp. 59-94); Nel cratere della strage, cercando brandelli di verità (Corrado Stajano, pp, 95-104); Ero in ufficio lì accanto: una telefonata mi salvò la vita (Giacomo Ferrari, pp. 105-108); Mezzo secolo senza giustizia. Parlano i parenti delle vittime (Giampiero Rossi, pp. 109-126); Il paradosso delle toghe. I casi Occorsio, Alessandrini, Scopelliti (Giovanni Bianconi, pp. 127-152); A Nordest della strage (Gianfranco Bettin, pp. 153-172); Strage di Stato, si o no? Colloquio con Aldo Giannulli e Vladimiro Satta, pp.171-222. Di seguito sono inseriti la Cronologia (pp. 223-266), l'Elenco delle vittime (267-270), la Bibliografia (pp. 271-276) e l'Indice dei nomi (pp. 277-284). Un testo da tenere sempre a portata di mano e di occhi, perché contiene dati di indubbia importanza per la situazione italiana di questi giorni, con partiti che nascono dall'oggi al domani, dietro l'angolo, i soldi che cadono a pioggia pur con debiti da capogiro e la grande pazienza della gente comune, che soffre e non sta certo a guardare, ma riflette in cuor suo e giudica, anche se non a voce alta. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l'Italia è stata territorio di conquista e la giovanissima Repubblica ha elaborato una Costituzione tutta tesa a rendere 'reato' qualsivoglia traccia del disciolto Partito Fascista, quando moltissimi del passato regime che rammentiamo essere stato monarchico, entrarono a pieno titolo nel costituire il tessuto connettivo della Democrazia Cristiana. All'epoca della strage di Piazza Fontana, il 12 Dicembre 1969 era Presidente del Consiglio il democristiano vicentino Mariano Rumor e le trame di poveri anarchici carichi di ideali e di ragionamento lineare e poco scaltro furono tenute in conto di caldissime furie per sovvertire il Potere e quant'altro. L'anarchico Giuseppe Pinelli ha pagato con la vita per non aver commesso nulla, ma all'epoca e anche sempre dopo, fino a Moro e a Berlin-

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guer, andava ottimamente tener in vita la strategia della tensione, paura da diffondere a macchia d'olio perché il popolo invochi sicurezza e quindi fossero assai benvenute le forze dell'ordine, a mettere ordine, quando il clima si surriscalda. Prima la pista anarchica e, con la Legge Valpreda, il ballerino Pietro Valpreda, anarchico ma indipendente, viene liberato dopo essere stato detenuto tre anni, poi o forse contemporaneamente la pista nera, tornata con libri e volantini a fornire solido muro contro i comunisti. Alle spalle il 1968 con gli studenti che insorgono, sempre con l'onda che arriva da Oltreatlantico, così intanto si intorbidano le acque e, come ricorda Alessandro Manzoni, chi ha interesse pesca meglio vittime innocenti, indisturbato. Il processo, da Milano viene spostato a Roma, poi a Catanzaro e intanto il Nordest è terra di confine, perché la Jugoslavia è ancora terra sotto Tito, generale slavo, dai confini a est dell'Italia fino alla Grecia, che tra poco sarà nelle mani del Regime dei Colonnelli. Il libro va ricercato e va letto, io riporto solo una breve sezione del colloquio tra il curatore Antonio Carioti, Aldo Giannulli, cui si devono diversi saggi relativi a questi temi, e Vladimiro Satta, che ha pubblicato il testo I nemici della Repubblica: D. Ci fu una responsabilità diretta della polizia nella morte di Pinelli? A. Giannulli: “L'ipotesi che Pinelli si sia suicidato gettandosi dalla finestra è insostenibile. Quella del 'malore attivo', cioè la conclusione a cui giunse l'inchiesta del giudice Gerardo D'Ambrosio, è poco credibile. La statura non elevata di Pinelli, l'altezza significativa della ringhiera, la mancanza di qualsiasi grido al momento della caduta, l'assenza di fratture agli arti del cadavere, che fa pensare a un corpo che precipita inanimato, tutto questo induce a ritenere che non sia finito giù da solo, che qualcuno lo abbia sospinto nel vuoto. Detto questo, personalmente ritengo che non c'entri il commissario Luigi Calabresi, che poi divenne il capro espiatorio per quella vicenda... Non credo neppure all'ipotesi di un omicidio volontario. Penso che sia stato un 'incidente sul lavoro', dovuto forse a un pugno molto forte o a qualcosa del genere... Senza contare che comunque Pinelli era stato trattenuto illegalmente oltre il termine entro il quale era necessaria l'autorizzazione del magistrato”. V. Satta: “Senza dubbio la questura commise un abuso, omettendo di chiedere il nulla osta dell'autorità giudiziaria. La lunga detenzione, gli interrogatori successivi e la gravità delle accuse provocarono in Pinelli un sovraccarico di stanchezza e di stress...” (La strage di Piazza Fontana, op. cit. pp. 215-216). Seguono pagine importanti che illuminano punti di vista ad intarsio ed introducono parole


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di Benedetta Tobagi, autrice del libro Piazza Fontana. Il processo impossibile, per la quale 'strage di stato' serviva ad indicare un rifiuto totale, quasi una condanna del regime politico presente in quel momento. E pensare che il suo Papà, il giornalista Walter Tobagi, è stato ucciso senza alcuna colpa e senza alcuna pietà. Ilia Pedrina

PASSION Time can't ever bend me down. I have a panoramic tongue, hungry eyes and invisible feet: I am in love! Teresinka Pereira USA

PASSIONE Il Tempo non potrà mai piegarmi. Ho una lingua panoramica, occhi famelici e piedi invisibili: Sono innamorata! Transl. by Giovanna Guzzardi ,Australia

FINO A QUANDO LE RONDINI Fino a quando le rondini partiranno e ritorneranno ci sarà ancora speranza. Fino a quando sfrecceranno zigzagando sicure senza andare a sbattere contro i piloni dei viadotti delle autostrade ci sarà ancora speranza per questo piccolo mondo ingannevole e stupefacente. Luigi De Rosa (Rapallo)

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LA COSA PIÙ BELLA La donna l'anima di tutta la casa dalle sue mani ripulita, lunghe le braccia, solerte pronta ad ascoltare. La cosa più bella avere una moglie, quando torni a casa ti accoglie con un sorriso, quando esci lei rimane fedele. Conserva il patrimonio, non si pensa a dividere quello che è posseduto, le cose vanno bene da sé. La donna si prende com'è l'amore l'avvicina. L'estetismo la svuota e la frammenta, l'attaccamento la ferma nella casa, non conosce trasformazioni. Frivolezze e animo inquieto, dal consumismo e dalla moda è venuto il disamore. Idolo il telefonino: l'immaginazione è finita nella inconsistenza di miseri momenti Leonardo Selvaggi Torino

TUFFO CLANDESTINO La barca va sullo stretto mare. Confuse teste clandestine affiorano a prua e a poppa. La barca a stento va da una riva minata all’altra sperata: terra promessa di paese amico. Scrutano la notte occhi di Giuda che, al minimo bagliore, ai fratelli fanno dare il violento bacio del mare. Anna Cimicata Caserta


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con i versi preziosi di un poeta ci accostiamo al mistero; con i versi preziosi di un poeta inneggiamo all’amore. Elisabetta Di Iaconi

IL VIAGGIO DELLA FIUMARA Scorre lenta la fiumara sul pianoro nutrendo boschi e campi generosi. Un salto fragoroso sulle antiche rocce eleva al cielo suoni e gocce. Va senza sosta da secoli la corsa, e quando dall’altura scorge il mare accelera il cammino, apre le braccia e in rami si divide a delta piano per gustare il bacio salato del mare.

Roma

OLTRE LE ANDE Sulle cime arde il tramonto e il mio cuore. Eppure albeggia oltre le Ande ed è tempo di sole e d’amore. Mi urge il tuo volto, l’esile collo di bottiglia, le mani che a vimini intrecciate mi ravvivino. Anna Cimicata Caserta

Spavalda, in me ti pavoneggi: tu: una freccia, una rondine. Rocco Cambareri

ALBERI SENZA FRUTTI

Da Azzurro veliero, Ed. Gruppo “Fuego”, Santiago del Chile, 1973.

Alberi senza frutti sogniamo primavere terre mai viste mai raccontate da nessuno. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole - BastogiLibri, 2019.

Così vive un poeta Si aggira tra sorgenti cristalline, si inebria di profumi, vola tra le galassie smisurate, si esalta per un fiore, affascinato esplora il vasto mare, cammina dentro un sogno, crea monumenti con le sue memorie, gareggia con il vento, piange commosso per le pene altrui, deplora le ingiustizie, desidera una nuova età dell’oro. I tempi cambieranno, ma accoglieremo sempre la poesia:

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE LE PAROLE A COMPRENDERE ALLA FIERA PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI DI ROMA - Dal quattro all’otto dicembre 2019, a Roma Eur, nel palazzo La Nuvola, si è svolta l’annuale Fiera del Li-


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bro. Oltre quattrocento gli Editori presenti, tra i quali Editori Laterza, Genesi Editrice, Hoepli, Il Convivio Editore, Nottetempo, Rusconi Libri, Sellerio Editore. Nello Stand della Genesi era presente il recente volume di poesie Le parole a comprendere, del nostro direttore Domenico Defelice. *** Il compositore Giovanni Bonato ricorda lo scrittore Mario Rigoni Stern con SENTIERI SOTTO LA NEVE - Otto differenti modi di dire la neve per il popolo Cimbro, nelle terre dello scrittore M. Rigoni Stern: il M° Bonato, classe 1961, ricorda le pomeridiane conversazioni con lo scrittore asiaghese proprio sul Popolo Cimbro, sulla sua lingua, sulla neve e sui suoi differenti modi di narrarla, così

a Vicenza, nel pomeriggio del 15 dicembre 2019, presso le splendide ambientazioni delle Gallerie d'Italia di Banca Intesa, a Palazzo Leoni Montanari, egli ha offerto all'ascolto, in prima assoluta, SENTIERI SOTTO LA NEVE (2019), composizione eseguita dall'Ensemble Musagète, ben rappresentato in rete, diretto dal M° G. Dal Santo e vincitrice del Bando SIAE Classici di oggi (2018-2019). Ecco il cammino della Composizione: Brüskalan, la prima neve tra settembre e ottobre; Sneea, la neve che scende fitta fitta a coprire ogni cosa come un manto candidissimo; Haapar, la neve del primo inverno, che già prelude ad un cambiamento, là dove, se arriva un raggio di sole, un poco di disgelo lascia emergere il croco; Haarnust, che in Lingua Cimbra

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rende bene il termine 'crosta', quella neve che, ghiacciata e spessa, sostiene il peso del corpo di chi vi cammina e talora fa scivolare; Swalbalasneea, la neve che accompagna l'arrivo delle rondini, in marzo, in un ritorno che pone fine alla loro attesa; Kuksneea, la neve che rimane ancora intorno mentre arriva in volo il cucùlo, in aprile; la Bachtalasneea, termine che sonorizza il piccolo salto della quaglia, quando a maggio la Processione della Rogazione vede tutto il popolo partire al mattino alle 6, percorrere ogni strada di Asiago e ritornare alla sera, tutti carichi di stanchezza e di emozioni sempre nuove, tra canti e preghiere; Kuasneea, quella neve che cade improvvisa mentre le mucche sono libere all'alpeggio, con i campanacci al collo per localizzarle da lontano, nel loro quieto girovagare, neve che, se è copiosa, le spaventa assai e corrono ai ripari. La musica, originalissima, si fa esperienza totale, sinestesica per il vario modo di utilizzare gli strumenti a fiato e a corda, con effetti timbrici che impegnano anche le strutture lignee e gli archetti in modo davvero particolare, così l'immaginario cattura il vento e le sue gradazioni, i piccoli, ritmici sfioramenti della neve in caduta, il canto ripetitivo del cucùlo quasi a far da basso continuo e tanto tanto altro, per inserirvi tutti i sensi insieme, trasportandolo nelle emozioni evocate: ci si trova a vivere e a respirare il mondo antico dei Cimbri dalle radici profonde e dal quale il M° Giovanni Bonato ha tratto condivisione diretta e benefica ispirazione.


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Questo particolare evento si inserisce nel percorso concertistico Pomeriggio tra le Muse, interno al ciclo LIAISONS DANGEREUSES, là dove vengono evidenziati i rapporti non sempre sciolti e positivi tra compositore, committenza e pubblico. Per tutte queste sonorità create dal M° Bonato e realizzate dall'ottimo Ensemble, arricchito da 9 campane alpine, piatti sospesi, crotali, ben distribuiti tra i differenti musicisti, il Popolo Cimbro, la sua lingua, le terre, gli animali, la Processione della Rogazione, la neve e il suo cantore innamorato, il Sergent Maggiù Mario Rigoni Stern rimarranno a lungo, in riverbero, nella mente e nel cuore anche dei moltissimi giovani per i quali è stata effettuata una esecuzione speciale. Ilia Pedrina *** XXIX EDIZIONE PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE CITTÀ DI POMEZIA 2019 - La cerimonia di premiazione si è svolta presso il Museo Città di Pomezia - Laboratorio del Novecento, in piazza Indipendenza, sabato 7 dicembre. Ecco i risultati. Sezione A. raccolta di poesie o poemetto: Giancarlo Stoccoro, Marcello Fi-

La bella statua "Pomezia", opera dell'artista fiorentino Giuseppe Piombanti Ammannati ↓

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co, Elisabetta Sancino, Liliana Paisa, Davide Rocco Colacrai: Sezione B, Poesia singola: Marco Senesi, Antonella Riccardi, Giovanni Villa, Giulia Cordelli; Sezione C, Poesia in vernacolo: Ennio Berenato, Michele Aprile, Lucia Fusco, Nicoletta Chiaromonte; Sezione D, Racconto o novella: Alessandro Bindi, Paco Ranalli, Vittorio Casillo, Ugo Criste; Sezione E/F, Saggio critico su temi letterari, storici, artistici e archeologici: Giorgia Pellorca, Antonio Villa, Caterina Carloni, Roberto Ragione; Premio speciale della Giuria a Fabrizio Santi e Mauro Di Giorgio. A consegnare i premi, il Sindaco Dott. Adriano Zuccalà.

LIBRI RICEVUTI ANDREA CAMILLERI - Autodifesa di Caino Nota dell’Editore; In copertina, particolare di “Caino e Abele”, di Anonimo - Sellerio Editore, 2019 Pagg. 84, € 8,00. Andrea CAMILLERI, uno dei più amati e letti scrittori italiani del nostro tempo, nato a Porto Empedocle (Agrigento), il 6 settembre 1925 e morto a Roma il 17 luglio 2019, creatore del commissario Montalbano, personaggio seguitissimo sugli schermi televisivi e interpretato dall’attore Luca Zingaretti. Nel 1957 ha sposato Rosetta Dello Siesto, dalla quale ebbe la figlia Mariolina. Ha soggiornato in varie parti d’Italia, in Toscana, per esempio, e nella Capitale. Tante le sue opere. Romanzi: Il corso delle cose, Lalli, 1978 (Sellerio, “La memoria” 1998); Un filo di fumo, Garzanti, 1980 (Sellerio, “La memoria” 1997); La stagione della caccia, Sellerio, 1992 (“La memoria” 1994); Il birraio di Preston, Sellerio, 1995; La concessione del telefono, Sellerio, 1998; La mossa del cavallo, Rizzoli, 1999; La scomparsa di Patò, Mondadori, 2000; Il re di Girgenti, Sellerio, 2001; La presa di Macallè, Sellerio, 2003; Privo di titolo, Sellerio, 2005; La pensione Eva, Mondadori, 2006; Maruzza Musumeci, Sellerio, 2007; Il casellante, Sellerio, 2008; Inseguendo un’ombra, Sellerio, 2014. Romanzi Montalbano: La forma dell’acqua, Sellerio, “La memoria” 1994; Il cane di terracotta, Sellerio, 1996; Il ladro di merendine, Sellerio, 1996; La voce del violino, Sellerio, 1997; La gita a Tindari, Sellerio, 2000; L’odore della notte, Sellerio, 2001; Il giro di boa, Sellerio, 2003; La pazienza del ragno, Sellerio, 2004; La luna di carta, Sellerio, 2005; La vampa d‘agosto, Sellerio, 2006; Le ali della sfinge, Sellerio, 2006; Il campo del vasaio, Sellerio, 2008; La caccia al tesoro, Sellerio, 2010; Il gioco degli specchi, Sellerio, 2011; Una lama di luce, Sellerio,


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2012; Un covo di vipere, Sellerio, 2013; La rete di protezione, Sellerio, 2017. Racconti: Racconti quotidiani, Libreria dell’Orso, 2001; Gocce di Sicilia, Edizioni dell’Altana, 2001; La ripetizione, Skira, 2008; Gran Circo Taddei: e altre storie di Vigàta, Sellerio, 2011; Donne, Rizzoli, 2014; I quattro Natali di Tridicino, in “Storie di Natale”, AA. VV., Sellerio, 2016; La cappella di famiglia: e altre storie di Vigàta, Sellerio, 2016; Topiopì, Mondadori, 2016; La casina di campagna. Tre memorie e un racconto, Henry Beyle, 2019. Racconti Montalbano: Un mese con Montalbano, Mondadori, 1998; Gli arancini di Montalbano, Mondadori, 1999; La paura di Montalbano, Mondadori, 2002; La prima indagine di Montalbano, Mondadori, 2004. Saggi: La strage dimenticata, Sellerio, 1984 (“La memoria” 1998); La bolla di componenda, Sellerio, “Biblioteca siciliana di storia e letteratura. Quaderni”, 1993; Il gioco della mosca, Sellerio, 1995; Biografia del figlio cambiato, Rizzoli, “La Scala” 2000; L’ombrello di Noè, Rizzoli, 2002; L’occhio e la memoria: Porto Empedocle 1950, con Italo Insolera, Palombi, 2007. Interviste (e contributi in volume): La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri, Sellerio, 2000; La linea della palma. Saverio Lodaro fa raccontare Andrea Camilleri, con Saverio Lodaro, Rizzoli, 2002; La lingua batte dove il dente duole, con Tullio de Mauro, Laterza, 2013. ** CARLO DI LIETO - “La coscienza captiva” in Maliardaria di Fabio Dainotti - Saggio e poesie. In copertina, a colori, “Donna allo specchio” (1912), di Ernst Ludwing Kirchner - Sigma-Libri, 2006 - Pagg. 96, € 9,00. Carlo DI LIETO vive e lavora a Napoli. Docente di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, è assiduo collaboratore delle riviste “Ariel”, “Misure Critiche”, “Riscontri”, “Silarus”, “Vernice”, “Nuova Antologia” e fa parte della Redazione di “Gradiva”, oltre che di “Vernice” e de “Il Pensiero Poetante”. Ha a suo attivo pubblicazioni inerenti al rapporto Letteratura/Psicanalisi e saggi critici, in chiave psicanalitica, sulla produzione pirandelliana, su Carducci, Leopardi e Pascoli, sulla poesia Otto- Novecento e su quella contemporanea. Critico militante, collabora a quotidiani con articoli letterari. Inoltre, ha scritto saggi su Papini, Bonaviri, Colucci, Mazzella, Calabrò e Fontanella e le seguenti monografie: “Pirandello e <la coscienza captiva>” (2006), “La scrittura e la malattia. Come leggere in chiave psicanalitica <I fuochi di Sant’Elmo> su Carlo Felice Colucci” (2006), “L’identità perduta”. Pirandello e la psicanalisi” (2007), “Pirandello Binet e “Les altérations de la personnalité” (2008), “Il romanzo familiare del Pa-

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scoli delitto, “passione” e delirio” (2008), “Francesco Gaeta la morte la voluttà e “i beffardi spiriti” “ (2010), “La bella Afasia”, Cinquant’anni di poesia e scrittura in Campania (1960 - 2010) un’indagine psicanalitica” (2011), “Luigi Pirandello pittore” (2012), “Psicoestetica” il piacere dell’analisi” (2012), “Leopardi e il “mal di Napoli” (1833 1837) una “nuova” vita in “esilio acerbissimo” (2014), “La donna e il mare. Gli archetipi della scrittura di Corrado Calabrò” (2016). Vincitore per la saggistica del 1° Premio del XLI Premio Letterario Nazionale, “Silarus” 2009, del 1° Premio Letterario internazionale 12a edizione “Premio Minturnae” 2009 e del 1° Premio Letterario Internazionale per la saggistica “Emily Dickinson”, XVII edizione 2013-2014. Componente della giuria del “Premio Corrado Ruggiero”, per la poesia e la narrativa italiana; socio dell’Accademia Internazionale “Il Convivio” e dell’Unione Nazionale Scrittori e Artisti. I suoi testi sono in adozione presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, l’ Accademia di Belle Arti di Napoli e presso la Cattedra di Lingua e Letteratura italiana dell’ Università Statale di New York. Dirige la collana “Letteratura e Psicanalisi” della Genesi Editrice e dal 2013 è componente la giuria del Premio Nazionale di Poesia, Narrativa e Saggistica “I Murazzi”. ** ANNAMARIA ANDREOLI (a cura di) - Il Vittoriale degli Italiani - volume riccamente illustrato da numerosissime fotografie di: Marco Rapuzzi, Augusto Rizza, Susy Mezzanotte, Fotografie d’epoca, Archivi del Vittoriale - Guide Skira, 2004, pagg. 102, € 10,00. Sulla riva bresciana del lago di Garda - si legge in quarta di copertina Gabriele D’Annunzio ha stabilito la sua ultima dimora. Il Vittoriale, cittadella monumentale concepita come “libro di pietre vive”: poesia non di parole, ma di allestimenti densi di simboli. In un’estensione di nove ettari ecco dislocati viali e piazze, esedre e loggiati, ville, fontane, giardini, parchi, cupole, stanze abitative, darsena, auditorium, anfiteatro e, tra i vari cimeli, il velivolo del volo su Vienna e la prua di una nave, la storica Nave Puglia della Regia Marina, incastonata su un’altura dei giardini. Unico al mondo, il Vittoriale è una vera e propria opera d’arte che l’autore dona agli Italiani per tramandare la sua memoria nel tempo. Vengono testimoniati, così, non solo il poeta, il narratore e il drammaturgo, ma anche l’eroe della Grande Guerra vittoriosa, colui che ha riscattato le terre redente e ampliato i confini della Patria, come si legge nel suo testamento spirituale: “Tutto è qui da me creato e trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile… Il mio


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amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo… si è manifestato qui in ogni ricerca di linee, in ogni accordo o disaccordo di colori”. Il volume ci è stato inviato dall’amico Salvatore D’Ambrosio, che ringraziamo. ** FABIO DAINOTTI - Requem For Gina’s Death And Other Poems /Lamento per la morte di Gina - Traslated by Nicola Senatore and Myriam Russo - Introduction by Enzo Rega - Gradiva Publications, 2019 - Pagg. 64, $ 20.00. Fabio DAINOTTI è NATO A Pavia, ma vive a Cava de’ Tirreni (Salerno). Poeta e saggista, è presidente onorario di Lectura Dantis Metelliana ed è condirettore dell’annuario di poesia e teoria “Il Pensiero poetante”. Ha pubblicato: L’araldo allo specchio (prefazione di Francesco D’Episcopo, 1996), La ringheria (con nota di Vincenzo Guarracino, 1998), Ragazza Carla Cassiera a Milano (2001), Un mondo gnomo (2002), Ora comprendo (prefazione di Luigi Reina, 2004), Selected Poems (2015), Lamento per Gina e altre poesie (Premio I Murazzi, Torino 2015). ** MERCEDES CHITI - Ricordi, nostalgie, sentimenti - Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto - In copertina, “!Malinconico saluto” (1901), di Tony Johannot - Anscarichae Domus, Accademia Collegio d’ Nobili Editore 2018 - Pagg. 62, € 10,00. Mercedes CHITI è nata a Pistoia, ma risiede a Montale (PT). Fin da bambina amava scrivere di qualsiasi cosa le piacesse ed ha raccolto i suoi ricordi nel libretto “Il Bosco del Pungitopo”. Da qualche tempo ha ripreso la sua antica passione per la poesia, incoraggiata da lusinghieri risultati ottenuti partecipando a concorsi nazionali ed internazionali. ** ANTONIO CRECCHIA - Costellazione di Versi - Introduzione di Daniela Marra; copertina a colori di Danilo Crecchia; in quarta di copertina, poesia di Anna D’Agostino dedicata all’Autore Ediemme - Cronache Italiane, 2019 - Pagg. 104, € 16,00. Antonio CRECCHIA è nato a Taverna (CB) e risiede a Termoli. Sue poesie sono inserite in numerose antologie di prestigio nazionale e pubblicate in diverse riviste letterarie. Ha ancora molte opere inedite - saggi critici e poesie - e gli sono stati assegnati oltre cento premi e riconoscimenti. Socio di varie Accademie, traduttore dal francese - Au coeur de la vie (2000), di Paul Courget; Fragments (2002), di Paul Courget; Diadème (2003), di Paul Courget; Jardins suspendus (2005), di Andrée Marik; Le poémein (2005), di Jean-René Bourlet; MerOcéan (2006), di Andrée Marik; Sur la plage de

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l’océan (2008), di Yann Jaffeux -, ha avuto incontri con alunni di vari istituti e con docenti di materie letterarie che hanno preso in esame vari componimenti della sua produzione poetica, esercitando un’accurata e puntuale analisi testuale. Opere a lui dedicate: Il Walhalla di un poeta (2010), di Lycia Santos do Castilla; La maturità poetica di Antonio Crecchia nella rassegna critica di AA. VV. (2015); La sensibilità poetica e critica di A. Crecchia (2017), di Vincenzo Vallone; A. Crecchia: L’uomo, il poeta, il saggista (2017), di Brandisio Andolfi; Crecchia nel giudizio della critica (Vol. I, 2017), di AA. VV.; Crecchia all’esame della critica (Vol. I, 2017), di AA. VV. eccetera. Lungo l’elenco delle sue pubblicazioni. Poesia: Il mio cammino (1989), Soave e gentile mia terra (1992), Parole per colmare silenzi (1993), Tarassaco di nuova primavera (1994), Ascesa a Monte Mauro (1995), Lirico autunno (1998), Lo spazio del cuore (1999), Oltre lo spazio della vita (2003), Frammenti (2004), All’ ombra del salice (2004), Ossezia e oltre (2005), In morte del Papa Magno (2005), Fiori d’argilla (2006), I giorni della canicola (2008), Nuovi frammenti (2008), I giorni della fioritura (2008), Un po’ per celia, un po’ per arte (2009), Notte di Natale (2009), Luci sul mio cammino (2009), Aliti di primavera (2010), Nei risvolti del tempo (2012), Pensieri al vento (2016), Poesie occasionali (2016), Canti di primavera (2016), Florilegio poetico (2017), Foschie (2017), Barlumi (2017). Saggistica: Dentro la poetica di Rosalba Masone Beltrame (1992, sec. ed. 1993), La dimensione estetica di Brandisio Andolfi tra poesia e critica (1994), Orazio Tanelli (1995), Silvano Demarchi: Un poeta di spessore europeo (2002), La folle ispirazione - Coscienza etica e fondamenti estetici nelle opere di Vincenzo Rossi (2006), L’evoluzione poetica, spirituale e artistica di Pasquale Martiniello (2007), Pasquale Martiniello: Poeta ribelle ad ogni giogo (2008), Carmine Manzi: Esemplarità e fertilità di una vita dedicata alla cultura (2009), La militanza letteraria di Silvano Demarchi dall’esordio ad oggi (2011), Vincenzo Vallone: Valori e ideali, realtà e fantasia (2013), Il mondo poetico di Rita Notte un’artista della parola (2013), Brandisio Andolfi (2014), Vincenzo Rossi: Un talento creativo al servizio della cultura (2014), Carlo Onorato: La missione sociale educativa di uno scrittore molisano (2014), Lycia Santos do Castilla: La grande matriarca dell’arte espressiva (2016), Itinerario scientifico-letterario di Corrado Gizzi (2017). Ricerca storica: Taverna, ottobre 1943 (1990), Taverna - Dalle origini alla Grande Guerra (2006), Tavernesi nella Grande Guerra (2016). Teatro: Eccidio in casa Drusco (2008), Ius primae noctis (2008), Mythos il fa-


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scino del mito antico (2017), Natale in versi (2018). Prosa: Aforismi (vol. I, 2019).

TRA LE RIVISTE ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivista di Lettere ed Arte fondata da Giacomo Luzzagni, diretta da Stefano Valentini, direttore editoriale Natale Luzzagni, Vicedirettore Pasquale Matrone - via Chiesa 27 - 35034 Lazzo Atestino (PD) - E-mail: nuovatribuna@yahoo.it - Riceviamo il n. 136, ottobre-dicembre 2019, del quale presentiamo il sommario: Meredith Frampton, Giochi di pazienza, di Natale Luzzagni; La poesia del 2019: le finaliste, poesie di Maria Accorinti, Pietro Catalano, Livia Cesarin, Donatella Chiorboli, Stefano Colli, Virginio Gracci, Caterina De Martino, Grazia Fassio Surace, Mirco Invernali, Teresina Giuliana Pavan, Anna Maria Salinitri, Carla Tombacco; Françoise Sagan, di Alfonso Genovese; Leonardo Sciascia, di Maria Nivea Zagarella; Bruno Rombi: Quando muore un poeta?, di Elio Andriuoli; Sergéj Esénin, di Liliana Porro Andriuoli; Wystan Hugh, L’epica dell’uomo comune, di Elio Andriuoli; Italo Calvino, di Giovanni Fava; Simona Lo Iacono, L’albatro, di Lorenzo Marotta; Nel centenario della nascita di Gianni Brera, tra letteratura e contropiede, di Antonino Scuderi; Mostra di Venezia 2019, di Angelo Zanellato; L’illusione della libertà, di Alessio Massarini; Marco Ignazio de Santis, intervistato da Pasquale Matrone; Stanze quotidiane da una casa di passo, di Claudio Bedussi; Lorenzo Marotta: Oltre il tempo, di Natale Luzzagni; Autunno E un brivido percorse la terra, di Corrado Di Pietro; Tutti parliamo greco, di Rosa Elisa Giangoia; Giacomo Zanella e le reliquie antoniane, di Enzo Ramazzina; I versi di Anna Vincitorio “raccolti” da Maria Rizzi, di Maria Rizzi; Un gioiello paremiografico della tradizione popolare siciliana, di Maria Nivea Zagarella. Tra le numerose Recensioni, firmate da Stefano Valentini, Giorgio Poli, Pasquale Matrone, ne evidenziamo una del direttore responsabile Stefano Valentini che riguarda “Le parole a comprendere”, il volume di poesie del nostro direttore Domenico Defelice, edito dalla Genesi di Torino nel 2019. La rivista organizza il Premio La Poesia del 2020 per tutti coloro che sono abbonati, con scadenza il 28 febbraio 2020. Inviare una sola poesia di max 35 versi, inedita o edita, in lingua italiana, in otto copie dattiloscritte, di cui una sola con indirizzo, telefono, firma dell’autore, all’indirizzo

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sopra indicato. * LETTERATURA E PENSIERO - Periodico semestrale, direttore responsabile Giuseppe Manitta; editoriale, Angelo Manitta - via PietramarinaVerzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Email: angelomanitta@gmail.com; giuseppemanitta@ilconvivio.org - Riceviamo il n. 1, gennaiogiugno 2019, di pagine 200, del quale riportiamo il sommario: Leopardi di fronte alla siepe e al Vesuvio, di Vittorio Capuzza; Nel duecentesimo anniversario de L’Infinito di Leopardi: dal “colle” di Recanati all’”immensità” dell’essere (senza paraocchi), di Giuseppe Rando; Pittori che scrivono, poeti che dipingono: Amedeo Modigliani, di Vincenzo Guarracino; Temi e stile del Tasso lirico tra innovazione e tradizione, di Francesco Martillotto; Quel nonnulla che fa la poesia, di Corrado Calabrò; Giosuè Carducci: modernità e anticlericalismo nell’Inno a Satana, di Angelo Manitta; La poesia che Jeanne dedicò a Brancusi Donne che ispirano e si ispirano, di Eliza Macadan; Il genio di Palermo (Palermo, il suo genio) un’immagine bifronte, double-fece?, di Fabio Russo; Virgilio Giotti: poeta triestino, di Hans Raimund; Mezzogiorno e mediterraneo in Nicola Sole, di Francesco D’Episcopo; Turandot, dramma lirico in tre atti di Giacomo Puccini, di Nazario Pardini; Eugenio Montale, Spesso il male di vivere. Analisi del testo poetico, di Monica Ramò; Carolina Invernizio tra rosa e noir in rosa, di Anna Gertrude Pessina; Francesco Morlacchi (1784 - 1841) e il suo Barbiere di Siviglia, di Giovanni Tavčar; Una lettera inedita di Paolina Leopardi, di Vittorio Capuzza; Paolina Leopardi, Mozart, a cura e con un saggio introduttivo di Elisabetta Benucci, di Giuseppe Manitta; Ius Leopardi: Legge, natura, civiltà, a cura di Laura Melosi, di Carmine Chiodo; Giacomo Leopardi, Canti, introduzione e commento di Andrea Campana, di Giuseppe Manitta; Stefania Auci, I leoni di Sicilia. La saga dei Florio, di Giuseppe Rando; Paolo Russo, Ansia. Conoscersi per guarire, di Cinzia Baldazzi; Agostino Di Bondeno, I colloqui di Poissy, di Carmine Chiodo; Marisa Papa Ruggiero, Oltre la linea gialla, di Giorgio Moio; Alberto Pellegatta, Ipotesi di felicità, di Giuseppe Manitta; Tommaso Romano, L’Airone celeste, di Dorothea Matranga. * VERNICE - Rivista di formazione e cultura, direttore responsabile Claudio Giacchino - Genesi Editrice - via Nuoro 3 - 10137 Torino. e-mail: genesi@genesi.org - Il n. 56, del febbraio 2019, di pagine 358 (€ 20) reca le firme, tra le tante, di: Loris Maria Marchetti, Sandro Gros-Pietro, Michele


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Battaglino, Enea Biumi, Eugenio Felicori, Sonia Giovannetti, Adriano Molteni, Laura Pierdicchi, Aldo Sisto, Anna Vincitorio, Franco Zoja, Pietro Zovatto, Liana De Luca, Giovanni Stella, Antonio Marcello Villucci, Tullio Danesi, Gianrocco Guerriero, Cesira Morani, Francesca Luzzio, Daniela Monreale, Gianfranco Cavianu, Andrea Rampianesi, Carlo Zanzi, Fabrizio Olivero, Mariateresa Sivieri, Isabella Michela Affinito, Maria Ebe Argenti, Bruno Civardi, Francesco Dell’Apa, Carmine Chiodo, Francesco D’ Episcopo, Ada De Judicibus Lisena, Anna Antolisei, Monica Baldini, Marina Caracciolo, Davide Gascoyne eccetera eccetera. * POETI NELLA SOCIETÀ - rivista letteraria artistica e di informazione diretta da Girolamo Mennella, redattore capo Pasquale Francischetti - via Arezzo 62 - 80011 Acerra (NA), e-mail: francischetti@alice.it - Riceviamo il n. 97, novembredicembre 2019, nel quale, tra le altre, troviamo le firme dei nostri collaboratori Isabella Michela Affinito e Giuseppe Manitta. * LA RIVIERA LIGURE - quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro diretto da Maria Novaro - Corso A. Saffi 9/11 - 16128 Genova - e-mail: info@fondazionenovaro.it -Riceviamo il n. 89, maggio-agosto 2019, dedicato a Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, con gli interventi di: Enrico Testa Ceccardo. Le ragioni di un anniversario), Paolo Zoboli (La prima biografia di Ceccardo (1904)), Paolo Zoboli (Ceccardo, Mario Novaro e “La Riviera Ligure”), Alessandro Fo (“Credo che non le dispiacerà”: il saggio di traduzione da Rutilio di Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi), Francesca Corvi (“Venerando e eroicomico”: la poesia di Ceccardo tra le pagine ungarettiane), Paolo Zoboli (Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi Un sonetto ritrovato). * L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili - fondata nel 1689 -, diretto da Marcello Falletti di Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci (Firenze) - E-mail: accademia_de_nobili@libero.it - Riceviamo il n. 261/263, dell’ottobre-dicembre 2019, dal quale segnaliamo l’articolo di apertura: “Incessante vitalità accademica” e il successivo “Attività accademica”. Rilevante è anche la rubrica “Apophoreta”, di Marcello Falletti di Villafalletto, il quale recensisce numerosi volumi, compreso il n. 8 (agosto 2019) di PomeziaNotizie, nel quale spicca “L’importante (…) Lettera aperta al vescovo di Roma J. M. Begoglio, ora Papa Francesco di Ilia Pedrina” e “Domenico Defe-

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lice: parole in canto come preghiera, per dar senso alla vita, della stessa autrice”. Altri autori messi in risalto dal direttore Dott. Marcello Falletti di Villafalletto sono: Antonio Crecchia, Tito Cauchi, Leonardo Selvaggi, Luigi De Rosa, Manuela Mazzola.

AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti intestati a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA ________________________________________


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