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50ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Anno 28 (Nuova Serie) – n. 5

€ 5,00

- Maggio 2020 -

NOEMI PAOLINI GIACHERY Il superuomo dissimulato:

UN ALTRO SVEVO: FORSE QUELLO VERO di Francesco D’Episcopo

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EVO confessare - ma chi mi conosce ben lo sa - che ho sempre amato una sorta di critica, che fosse anti critica, alternativa a quella fissata nelle sacre tavole della letteratura ufficiale, mostrando, quando ho potuto (in verità, molto spesso) la inconsistenza, prima metodologica, poi operativa, di alcuni apparati critici, che, purtroppo, ancora continuano a sacralizzare letterature e antologie. Gli autori vanno letti tutti interi, vale a dire, in tutto ciò che hanno scritto e, anche se ciò costa tempo e fatica, è l’unico modo per entrare nel loro laboratorio critico e narrativo. Questo volume di Noemi Paolini Giachery, tra l’altro brava poetessa, quindi diretta testimone dei segreti processi creativi, dedicato a Italo Svevo, porta un sotto titolo, come spesso


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All’interno: Per ricordare Florette Morand, di Ilia Pedrina, pag. 4 Sulla presunta libertà dell’uomo, di Luigi De Rosa, pag. 7 Oriente e Occidente e il coronavirus, di Giuseppe Leone, pag. 9 Non si balla e canta di gioia nel dolore, di Domenico Defelice, pag. 11 Si è spento Aldo De Gioia, di Anna Aita, pag. 13 Dimitri Hvorostosky interpreta ‘Kak Molody my Byli’, di Ilia Pedrina, pag. 15 Le lezioni di Bruno Rombi, di Elio Andriuoli, pag. 17 Versi da Milano, di Ada De Judicibus Lisena, pag. 19 Come una storia, di Rinaldo Ambrosia, pag. 22 Le infiammate illusioni, di Leonardo Selvaggi, pag. 23 Premio editoriale Il Croco (regolamento), pag. 26 Dediche, a cura di Domenico Defelice, pag. 27 Notizie, pag. 36 Tra le riviste, pag. 43

RECENSIONI di/per: Domenico Defelice (Romano Bilenchi (Un ricordo in forma di racconto), di Angelo Australi, pag. 29); Salvatore D’Ambrosio (Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce, di Tito Cauchi, pag. 30); Manuela Mazzola (Luoghi personali e impersonali, di Isabella Michela Affinito, pag. 31); Manuela Mazzola (Quando il tempo verrà fragile come la luna, di Giannicola Ceccarossi, pag. 31); Nazario Pardini (In tempi diversi il mio ritorno, di Anna Vincitorio, pag. 32), Ilia Pedrina (Su Daniele Paris Storie e memorie di un direttore d’orchestra, di Maurizio Agamennone, pag. 33).

Inoltre, poesie di: Rinaldo Ambrosia, Mariagina Bonciani, Michelangelo Buonarroti, Corrado Calabrò, Rocco Cambareri, Marina Caracciolo, Antonio Crecchia, Domenico Defelice, Salvatore D’Ambrosio, Charles D’Orléans, Antonia Izzi Rufo, Teresinka Pereira, Gianni Rescigno, Luis Sepulveda

accade, particolarmente intrigante Il superuomo dissimulato (nuova edizione, Aracne editrice), che si attaglia perfettamente a quanto si è tentato subito di dire. La nostra Noemi, come del resto suo marito Giachery, è una grande e umile Signora della nostra letteratura, nel senso che ha generalmente evitato - a differenza di chi scrive - di attaccare direttamente i critici autorevoli - tranne qualche inevitabile interprete (si pensi allo stesso Montale, dichiarato scopritore dello scrittore triestino), anche perché credo che il suo unico, vero interesse fosse quello di sgombrare il campo da pur oneste fenomenologie interpretative, le quali, però, come speso accade nel nostro con-

troverso mestiere, più che di Svevo, erano invaghite di sé stesse. Insomma, per non andare troppo sulle lunghe, anche se la nostra critica è costretta necessariamente ad andarci per dimostrare i propri assunti, in una scrittura tra l’altro editorialmente densissima, Svevo è Svevo e, a differenza dei personaggi pirandelliani, non ha


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bisogno di un autore, che gli ridia la vita che già pienamente aveva, a livello sia autobiografico e letterario. Egli, addirittura, finanziò, perché poteva farlo grazie al lavoro familiare sicuro, le sue prime opere, non tanto e non solo perché aspettasse un Eugenio Montale che si accorgesse di lui, ma semplicemente perché credeva in sé stesso, nella sua scrittura, compagna fedele di Una vita, che egli comunque amava, come la sua donna, Livia, e di cui era in qualche modo curioso di scoprire la coscienza, prima ed oltre ogni psicanalisi. Non si può, dunque, che condividere e incoraggiare questo nuovo perlustramento dell’ opera sveviana, che smonta a ragione ismi otto/novecenteschi - nei quali, tra l’altro, chi scrive, con buona pace di Luigi Capuana, che ad essi consacrò un testo esemplare, non ha mai creduto - per tentare di portare alla luce l’altro Svevo, forse quello vero, che sperimentava ossessivamente il proprio Io e quello dei propri personaggi, certo tenendo conto della temperie storica e culturale del proprio e del precedente tempo, oltre che del futuro e dell’humus mitteleuropeo al quale era indotto inevitabilmente ad attingere, ma, soprattutto, e qui il libro della Paolini Giachery centra obiettivi metodologici primari, dando libero sfogo alle sue pulsioni creative e critiche, non sempre così perfettamente strutturate, come la critica ufficiale vorrebbe, ma, al contrario, felicemente dissonanti, nello spirito più autentico di un Novecento, che avrebbe invaso tutte le arti, dando ad esse una impronta del tutto nuova, che per la sua

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audace sperimentalità avanguardistica non sempre la critica è riuscita a definire, forse perché invaghita del mito, sempre crescente, di uno specialismo, che contradice e contraffà nella sostanza, e nel caso specifico di Svevo, nella sua territorialità senza confini, un’idea di letteratura, affatto ostile anzi naturalmente incline ad accogliere nel suo ampio e articolato spettro creativo suggestioni, visioni, di diversa origine e provenienza. Allora, evitiamo definizioni astratte e metafisiche e, insieme, contrapposizioni troppo rigide, che rischierebbero anch’esse di creare nuovi, e forse più pericolosi, compartimenti stagni, nei quali le opere dei nostri autori potrebbero, a loro insaputa, naufragare. Ogni opera contiene al suo interno misteri, che solo l’autore conosce e che la critica è chiamata ad indovinare, nel migliore dei casi, ad individuare. Chi scrive è convinto che la Noemi Paolini Giachery, da lettrice attenta e da interprete acuta, sia riuscita a cogliere alcuni nodi sostanziali dell’opera sveviana, smontando presunte e autorevoli acquisizioni critiche e confermando, con la nuova edizione del suo libro, che il “caso Svevo”, così chiaro al suo autore, resta ancora aperto per chi, come lei, ha inteso accostarsi ad esso senza preclusioni ideologiche e metodologiche, con la libertà e la felicità di chi fa e ama la letteratura per quello che è, non per quello che potrebbe essere. Francesco D’Episcopo Università degli Studi di Napoli Federico II


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PER RICORDARE

FLORETTE MORAND CAPASSO di Ilia Pedrina

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TO guardando il Lucio Silla di W. A. Mozart, nella esecuzione con La Monnaie e De Munt, inserito in rete due giorni or sono, proprio in concomitanza con questa sospensione forzata delle rappresentazioni liriche teatrali, è la sera del 26 marzo e trascrivo versi dai sottotitoli in francese Sortez de ces tristes tombes Ames honorables! Vengez la liberté perdue... (lui) Ma fidèle fiacee a la sole vue De ton cher visage J'ai l'impression D'être au ciel... (fonte Internet, Youtube, Lucio Silla, La Monnaie/De Munt) La lingua francese, scritta nei sottotitoli, il momento particolare in cui Giunia, figlia del console Mario, fatto uccidere da Silla che, proprio per questo ha messo avidi occhi su di lei, Giunia dico si trova al sepolcreto a invocare coraggio e forza di resistere, proprio sulla tomba paterna e poi l'arrivo dell'amato Cecilio, mandato in esilio da Silla, che pure ha fatto spargere la voce che sia morto, e l'amore fra i due subito mi immette nell'amore tra Florette Morand, giovane poetessa della Guadalupa e Aldo Capasso, il critico letterario, poeta e studioso, fondatore della corrente letteraria del Realismo Lirico. Penso a lei, che

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più volte ho accompagnato negli eventi e negli incontri di studio organizzati in onore del marito, del suo Aldo, come quello indimenticabile organizzato a Carcare dal prof. Fulvio Bianchi, preside del Liceo Calasanzio, al quale tra gli altri convegnisti ha partecipato anche l'emerito prof. Francesco D'Episcopo, così cerco in rete il numero telefonico di Florette, che non ho sottomano, ad Altare in provincia di Savona. Tra le prime sezioni informative trovo la notizia dalla Val Bormida del 1 marzo 2019 'L'associazione caARTEiv ricorda i coniugi Capasso', un importante articolo che è stato elaborato con ricchi particolari da Simona Bellone, l'importante ambasciatrice culturale che si è raccolta intorno ad dovere di rendere note le vicende e il legame fra i due. “Nella giornata di ieri Florette Morand è mancata all'età di 93 anni. Simona Bellone, presidente di caARTEiv ricorda i coniugi Capasso: 'Un caloroso ricordo in onore di Florette Morand (nome d'arte di Florentine Adelaide Morand) vedova Aldo Capasso, è doveroso, oggi, 28 febbraio 2019, che a 93 anni ha lasciato la sua vita terrena, perché abbiamo acquisito sempre viva dai suoi occhi la grande cultura. Già affermata poetessa nei Caraibi dapprima e a Parigi in seguito, fu devota eternamente al marito, con il quale ha accompagnato 27 anni gloriosi della sua vita prodiga all'arte. Cavalier della Letteratura Madame Florette Capasso della Guadalupa, dai lineamenti signorili creoli, aveva come unico scopo nella sua vita di ricordare l'arte di suo marito, mettendosi devotamente in secondo piano in qualità di scrittrice, per farlo emergere protagonista. Dalla pubblicazione in lingua francese di Eric Mansfield Carribean poetry (French) intitolata La symbolique du regard: regardants et regardés dans la poésie antillaise d'expression française – Martinique Gadeloupe Guyane 1945-1982, pubblicata nel 2009, è definita ' l'inconsolée', la sconsolata, e possiamo addentrarci nel suo mondo e conoscere alcuni suoi poemi in lingua francese che ritraggono attimi di vita trascorsi nelle terre caraibiche e a Parigi. Fu istitutrice a Morn a L'Eau dell'isola di Grande-Terre e facente parte del dipartimento d'Oltre Mare di Guadalupa. Sono segnalate le sue raccolte Mon cœur est un oiseau des îles (1954 – Edizione Maison des Intellectuels, Parigi, 46 poesie con prefazione di Paul Fort), Chanson pour ma savane, (1958, Librairie de l'escalier, Parigi,77 poesie con una preghiera, con prefazione di Pierre Mac Orlan


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dell'Accademia Goncourt), Feau de brousse (1967 Editions du jour, Montreal).

Molte altre importanti informazioni, dettate dalla scrupolosa ricerca e consolidate dal legame con la poetessa e con il suo amato Aldo arricchiscono il ricordo e il mio scambio di lettere in rete con Simona Bellone è stato ricco e positivo, importante. Voglio cogliere direttamente la voce poetica di Florette traendola proprio dalla stessa rievocazione di Simona: Chanson pour ma savane Enfin je comprends combien je vous aime o terre de France et sol tropical! En moi confondus, vous etês la gemme dont le feu me claire ainsi qu'un fanal. Patrie Dans le soir qui descende, parle-moi de la France? Tu sais si bien donner son culte à tes enfants, quand son lontain regard reflétait sa souffrance. …. Vers ma patrie, un jour, quand je me tournerai, dans les urnes du cœur, toujours je garderai par delà l'océan, la douce souvenance d'un coucher de soleil sur un fleuve de France (Florette Morand, ibid. con traduzione di Simona Bellone, cui rimando, per il tono aderente al testo, confidenziale ed intimo della resa in Italiano). Quanto abbia sofferto Solange de Bressieux, fidanzata da anni con Aldo Capasso, poetessa ella stessa di grandissimo talento, per questo nuovo volto della passione che ha preso il Capasso per la giovane creola -infatti si sono sposati nel 1970-, ben lo sapeva il mio Papà, che ha cercato invano di consolarla, invitandola su a Torreselle, nella nostra casa di collina: la tristezza l'ha pervasa e il suo animo nobile si è riflettuto nel silenzio e nelle lunghe passeggiate tra i dolci declivi, con fidente compagno mio fratello Virgilio. Torno ancora a Florette e lascio la parola a Simona, ad introdurre nuove angolature dell'ispirazione della nobile creola: “Nella sua poetica traspare una 'negritudine', la sofferenza della schiavitù (canto negro) in Chanson de

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ma savane e Tam Tam dans mon cœur est un oiseau des îles con una vena poetica dolce di melanconia. Eccone alcuni versi per comprendere le sue origini creole in una terra afflitta dalla schiavitù: La chanson dont l'esclave a bercé sa souffrance, la chanson que nos pères ont chanté dans les fers, la chanson dont nos frères fleurissent la misére … O tam.tam nostalgique! Ton baume d'espérance sait de nos cœur plaintifs faire vibrer les fibres … Nel 2001 trascorsi 10 giorni in compagnia di Madame Florette, durante la commemorazione del marito, per il quale invitò a partecipare numerose firme artistiche liguri, mi lasciai trasportare dal suo entusiasmo colorito di poetica cadenza francese, e tenace istinto, quasi maniacale, nel proteggere e divulgare l'arte letteraria del marito defunto... Mi colpì in particolar modo il suo sguardo fisso ad ammirare un ritratto del marito, seduta in silenzio, quasi estraniandosi per lungo tempo, nell'aere di un mondo parallelo misterioso, incantata nonostante il vociferare animato di una sala piena di artisti, che distratti a salutarsi, si perdevano quell'atto d'amore infinito senza tempo né spazio...” (ibid.)

Posso confermare appieno la dimensione arcaica, ancestrale, profondissima delle radici nere, poi creole di Florette, che sapeva abitare le terre intorno ad Altare come una divinità ctonia. Nelle lunghe telefonate che ci scam-


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biavamo prima degli incontri concordati, mi spiegava con tristezza come fosse invisa a quelli che, del paese, non riuscivano a capire che lei andava per boschi a cercare erbe medicamentose, a ripristinare un contatto di solitudine e d'esperienza linfatica con piante ed erbe, a respirare, anche se da lontano, l'odore del mare, per ricordare. La sua grande macchina nera con portabagagli stracolmo di materiale era la ferrea firma della sua volontà di spostamento per portare alle diverse comunità la voce del suo Aldo: tutto c'era dentro, dai vestiti eleganti alle stoffe per adornare sale ed angoli, tappeti e tante pagine con i versi del Capasso, raccoglitori con ritagli di giornali in bell'evidenza, si, perché Florette amava la grafica e sapeva arricchire le parole con scritture ampie e a volute modernizzate. Dopo aver faticato ore, e non si sapeva mai come aiutarla veramente, perché solo lei sapeva nella sua mente quello che voleva, come essenza del tutto, mangiava in modo spartano ed in particolare un ananas assai maturo e quasi con la muffa intorno: mi ha spiegato che quello per lei era vera medicina, che sostituiva ogni antibiotico. Aveva l'impressione, ad Altare, nella sua dimora avita condivisa con Aldo, di essere spiata, controllata, marchiata come non desiderata e quasi oggetto di persecuzione, pur di portarla via da quel suo mondo unico ed insostituibile. Così è stato, perché è morta in ospedale... Mi scrive Simona nella e-mail del 26 marzo alle ore 22:10 “Salve. A quanto si è saputo è tutto bloccato... per mancanza di eredi finirà allo Stato e poi al Comune o Belle Arti... Non si può entrare nel palazzo... credo che ne faranno un Museo... Anni fa Florette ha donato libri alla biblioteca comunale... Anni fa c'è stato un incendio nei piani inferiori danneggiando opere... nonché alluvione... e il tetto perde da anni e ha danneggiato libri...”. Florette avrebbe desiderato morire in questo suo mondo, lacerato nelle forme e vibrante nei valori. Il primo e per ora unico volume in rete che veda i due amanti insieme finalmente ancora nelle infinite lande dei Campi Elisi è proprio

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Grazie Aldo Capasso Merçi Florette Morand, scritto da Simona Bellone e presentato Domenica 22 settembre 2019 a Millesimo, in provincia di Savona. Una splendida immagine dei due è rintracciabile sul sito Condividendo Cultura nacque l'amore... Sulle orme di Aldo Capasso e Florette Morand insieme per l'Arte, nel quale il volto giovanissimo di lei, con sguardo rivolto verso il basso, forse su un testo di poesia, volto che si snoda a partire dalla bandiera della Guadalupa, fa da oggetto dello sguardo di lui, Aldo, in età, con i suoi spessi occhiali ma pur sempre fiero e determinato a presentare l'amara tristezza dell'uomo se si allontana da quella spiritualità che plasma e permane, eterna. E del Lucio Silla mozartiano su libretto di Giovanni De Gamerra? L'Opera del giovanissimo Amadé mi rimane sullo sfondo con tutto l'insieme degli eventi che si susseguono sulla scena, quando Silla vuole a tutti i costi persuadere la 'perfida' Giunia anche con la violenza alla quale è avvezzo e poi, acclamato, con il drappo rosso sangue sulle spalle, viene accarezzato in volto e nel contempo accoltellato, affinché sia ripristinata la libertà dei cittadini e vengano sospese le liste di proscrizione... Sarà il lavoro che andrò a dedicare all'Amica Marina Caracciolo, interrotto da questa digressione consentita certo ma così efficace! Ilia Pedrina

NELLA CASA DELLE PAROLE Un giorno mi dissero le voci: tu vivrai nella casa dove si sognano le parole. E ogni sera mi raggiunge, mi addormenta il tuo profumo, o fiore senza nome, accanto al tuo celeste andare. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019.


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SULLA PRESUNTA LIBERTÀ DELL’UOMO di Luigi De Rosa

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A come si fa a dire che l'uomo è libero nelle sue scelte ? Libero di fare che cosa? Di nascere? O di porre fine alla propria vita? Fin dal momento della sua nascita (anzi, fin dal concepimento) il nuovo essere umano è condizionato da “gabbie”, che a volte sono invisibili ma si possono rivelare forti, e spesso determinanti. Intanto, egli non può scegliere da chi nascere, né dove nascere, o quando, o in quali circostanze. A che razza appartenere, a che gruppo linguistico, civile e nazionale. Molto importante è anche l'influenza esercitata sul nuovo essere umano dai vari componenti della sua famiglia, ciascuno dei quali, a sua volta, è condizionato e “ingabbiato” (di più o di meno) dagli altri, siano presenti o meno. C'è il DNA, c'è l'ereditarietà genetica, sul piano fisiologico e su quello psicologico. E c'è la questione del temperamento naturale, così come il condizionamento delle esperienze di vita esterne, in cui ciascun individuo, mentre influenza altri, viene a sua volta influenzato. E qui si inserisce anche un concetto di gabbia della Scuola, pubblica o privata, dell'Educazione e dell'Istruzione, con le infinite varianti storiche di ordinamento o sistema Scolastico, dall'asilo all'Università, nei progetti e negli studi della Pedagogia come nelle realtà giuridiche e politiche effettive. Quasi mai adeguate, purtroppo, alle reali necessità della Società, risultando quasi sempre, la Scuola, uno strumento del gruppo dominante.

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Poi ci sono le condizioni e le gabbie geografiche, che influiscono non solo materialmente sulle modalità della vita quotidiana: al Polo, in Africa, in campagna o in montagna, nei fiordi, in territorio desertico, in un paesetto o villaggio sonnolento o nel centro di una megalopoli brulicante di persone e di veicoli. Alle gabbie geografiche e a quelle riconducibili all'Ambiente Naturale fanno da contraltare le gabbie sociali, delle classi, dei nuclei abitativi, delle condizioni e dei ceti, con potenzialità e caratteristiche estremamente variabili e condizionanti in modo inevitabile. Che dire poi delle malattie? Di quelle congenite e di quelle acquisite, di quelle gravi e di quelle non gravi, di quelle acute e di quelle croniche, o inguaribili, che condizionano un malcapitato per tutta la vita, giorno dopo giorno, con farmaci, burocrazia sanitaria, visite mediche ed esami specialistici, interventi chirurgici, etc. Per non parlare delle malattie gravemente invalidanti, o addirittura di quelle mortali, fulminanti, che all'improvviso ...eliminano certi problemi alla radice eliminando le loro vittime. Analogo discorso può essere fatto per le limitazioni e i condizionamenti causati all'uomo dalle invalidità e dagli handicaps, sia fisici che psichici e sensoriali (cecità, sordità, mutismo, sordomutismo, malattie psichiche, etc.). Dove è possibile, la Scienza e la Tecnica vengono incontro ai colpiti da tali “regali” della sorte, studiando e approntando rimedi e dispositivi sanitari od ortopedici, adatti ad alleviare le sofferenze. I risultati positivi non possono essere sempre ottimali e risolutivi. Comunque, l'Umanità si difende. La vita è fatta di difese e di lotte continue. La difesa si estende perfino al campo giuridico, ad iniziare da quello del Diritto Costituzionale, con il riconoscimento di pari diritti e specifiche tutele. La Costituzione della Repubblica Italiana, vigente dal 1° gennaio 1948, è all'avanguardia in questo


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campo. Si legga, infatti l'articolo 3, che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Perfino il sesso ha costituito, per secoli, una “gabbia”, un motivo di condizionamento negativo. Ancora oggi, in molti Paesi del mondo, il sesso femminile è escluso dal godimento di diritti e di facoltà, pubbliche e private, riconosciute a quello maschile... Ma il mondo cambia, cammina. E' questione di tempo (e di lotte) ma anche in questo campo le donne sapranno farsi valere. Sicuramente importante, poi, se non decisiva, è la gabbia economica e finanziaria, che condiziona le masse, il più delle volte in modo negativo, considerati anche i problemi della globalizzazione, delle guerre commerciali, del libero mercato trionfante, con l'asservimento di intere masse al potere della finanza. Pur senza ipotizzare le due condizioni più estreme, quella della miseria più nera e quella della ricchezza più iniqua e sfrontata, non occorre riandare col pensiero al filosofo Karl Marx, ai suoi seguaci o ai suoi detrattori, per capire di quale potenza condizionante possa risultare questa gabbia, insieme ad altri fattori come le doti e le capacità individuali. Sicuramente la Morte (da alcuni si preferisce dire Fine Vita) è la “gabbia” più “scandalosa”, anche se è la più logica. Tutto ciò che vive, per il solo fatto di vivere è destinato a morire. Ciò che ha avuto un inizio dovrà avere, prima o poi, una fine. Anche se non tutti muoiono allo stesso modo, di morte naturale o per incidente o delitto, o per altra causa, la Morte rimane pur sempre una “livella” del tipo di cui parlava il grande artista Antonio De Curtis (Totò) in una sua celebre poesia. Ma è anch'essa una gabbia, una condizione ed una previsione alla quale nessuno può sfuggire. Quindi, nessuno ha la libertà di vivere come se la Morte non esistesse. Sì, è vero, a rigore la Morte non esiste come ente a se stante, ma esiste soltanto come concetto... Al massimo, più che la Morte,

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c'è di volta in volta un morto. O ci sono tanti morti tutti assieme, specie nella civiltà moderna, dove le Guerre Mondiali, gli Inquinamenti e il Terrorismo più o meno organizzato provocano un'ecatombe continua più o meno ipocritamente “giustificata”. Quindi tutti i progetti di un uomo sono appesi a un filo, a meno che non vengano sostanziati e incarnati nella Storia, in uno o più concetti giuridici generali, in un complesso di simboli di civiltà e di cultura che vogliono travalicare i singoli individui e durare nel tempo più a lungo possibile. Penso alla Storia culturale e civile di un popolo, di una stirpe, di una “razza”, di tutti i popoli e di tutte le stirpi. Penso alle Scienze Umane ed a quelle Sperimentali. Penso alla Tecnologia ed al suo mirabolante, incessante sviluppo in tutti i campi, coi suoi trionfi effimeri che non riescono ad evitare l'obsolescenza e la precarietà. Precarietà che non è solo della vita dell'uomo ma di tutto l'Universo, a cominciare dal nostro Sistema Solare che prima o poi non potrà che collassare. Anzi, ricordiamo che già la Galassia sorella della Via Lattea, la Mp32, è sparita perché a suo tempo è stata divorata da Andromeda. Penso alla storia della Letteratura Mondiale. Penso all'Arte, anzi alle Arti, sia a quelle figurative che a tutte le altre, soprattutto alla Musica. Penso ai sistemi degli Ordinamenti Giuridici, condensato dei rapporti di forza dei gruppi sociali. Penso ai principii assoluti e alle credenze della Religione, anche se le religioni positive sono state, e sono, condizionate, esse stesse, dalla storia dell'Umanità, storia dei fatti e storia del pensiero. E come non pensare alla miniera ricchissima di tradizioni, di usi, costumi, credenze, miti, leggende? Del resto, il complesso faticoso e grandioso (o inutile e sterile?) della Storia costituisce esso stesso un incommensurabile sistema – e controsistema - di gabbie e controgabbie, che a sua volta influenza e condiziona anche il comportamento e il pensiero dei Posteri. Luigi De Rosa


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ORIENTE E OCCIDENTE dall’immaginario satirico del XX secolo al Coronavirus del 2020 di Giuseppe Leone

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HI non ricorda Alighiero Noschese, il celebre imitatore, morto prematuramente a soli 47 anni e, in particolare, uno dei suoi più esilaranti sketch, mandato in onda durante una puntata di Canzonissima del 1972, dove imitava il presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon e Mao Tse Tung, presidente del Partito Comunista Cinese, impegnati in una indimenticabile partita di ping pong? Partita, per modo di dire, perché nella realtà era uno scambio assai divertente di vedute, una sorta di botta e risposta, su temi di politica interna e internazionale, con sullo sfondo la guerra del Vietnam e l’Unione Sovietica, sospettosa e guardinga di fronte a quanto stesse avvenendo fra le due potenze. Si trattava di una satira, farcita di tanti temi, com’era la satira latina delle origini, che veniva a suggellare un momento importante della storia mondiale: il riconoscimento da parte dell’Onu della Repubblica Popolare Cinese nel ’71. Ecco, alcune di quelle battute: Nixon: Ping pong, ping pung, com’è bello Mao Tse Tung

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Mao: Penz pang, ping pong, o ku sun i very strong. Nixon: Per piacere a Mao Tse Tung, io non faccio più bang bang con Viet king e Viet kong. Mao: E kau king e kau kong. Nixon: Anche all’Onu dura ming. Mao: Vuoi donare a Mao Tse Tung Hong King e Hong Kong? Nixon: Pong ping e Ping pong mi dispiace non t’a dong. Mao: Soviet Hing e soviet Hong, che dirà di questa gang, Kossighing e kossigong? Nixon: Kossighing e Kossigang va raming e va rameng. È passato quasi mezzo secolo e oggi America e Cina tornano ancora a fronteggiarsi, questa volta, non più ludicamente, e su un piccolo rettangolo di ping pong, ma su una tavola rotonda, grande più o meno quanto tutta la terra, tanto che la notizia è divenuta subito virale. Si fronteggiano per la corona dei Massimi unificata fra Oriente e Occidente, come fecero, in altri tempi, per primi, Grecia e Persia. Ricordo, come fosse oggi, le mie letture ginnasiali di storia antica: proprio le Guerre Persiane, quei tre conflitti tra il 490 e il 479 a. C. coi quali greci e persiani si giocarono il primato; e sui quali, Eschilo, in una delle sue tragedie, e Erodoto nelle sue Storie, rifletterono, per primi, sul loro significato. Furono il mio primo approccio, più che alla storia, alla filosofia della storia, sebbene ancora ripiena di mito e di leggende; ma non solo il mio, penso di ogni generazione, all’ indomani di quegli eventi. A partire da Alessandro Magno, lettore e studioso dei Persiani di Eschilo, che si portava dietro e leggeva – dicono i commentatori - tra una battaglia e l’ altra. Dagli ammonimenti a non portare più guerra ad Atene, perché gli ateniesi “non si dicono servi di nessuno, né sudditi”; e perché i persiani hanno dato prova di tracotanza e superbia, pare, ne discendesse l’idea di governo di Alessandro, una volta giunto al potere supremo. Quella, di essere faraone per gli


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egiziani, satrapo per i persiani, re per i macedoni e alleato per i greci. Tutte queste cose insieme, ma non un imperatore. Cosa che non comprese bene Plutarco se, alcuni secoli dopo, scrivendo le sue Vite Parallele, lo paragonò a Cesare. Giuseppe Leone

in presenza di catastrofico evento, così molesto per quest’oasi terrestre. Antonio Crecchia Termoli, 21 marzo 2020

POLVERE BIANCA

IL DOMANI

Danzando freneticamente, da lontano venendo, da un tempo sommerso da tempo,

Ci sarà il tempo di mezzo e tutto tornerà a fiorire tra i nostri sguardi e le nostre parole.

portando nelle tasche segrete i voli interrotti e le attese;

E ci sarà il tempo del ritorno dove passeggeremo tra la folla e spiccheranno il volo i nostri respiri, così come i nostri sorrisi. Rinaldo Ambrosia Rivoli (TO)

PRIMAVERA 2020 Al chiarore dell’astro nascente ti sei affacciata all’orizzonte, ancora spoglio, arido e deserto, preceduta dal volo rapido e sicuro d’uno stuolo di vispi colombi. Sorgi radiosa, come sempre, ma il mondo, per te, non ha lodi. La tristezza ha scansato la gioia. Un satana in agguato attende le vittime ad ogni angolo di strada, con invisibili dardi spesso letali. In te la speranza d’una fuga dalle tenebre perniciose del male, dal travaglio persistente, inquietante, che agita e sfibra il genere umano. In te il lieto, sperato segno augurale d’una resurrezione dalla pietra tombale dell’angoscia, che menti e cuori serra

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venivano i più freschi pensieri incorrotti e casti e innocenti folgorati da una pelle d’avorio che come polvere bianca, che da antiche strade proviene, copre avvolge toglie il respiro, e non lascia vedere per fortuna: le piramidi di sale che bruciano gli occhi. Salvatore D’Ambrosio Caserta

LE PRINTEMPS Le temps a laissé son manteau De vent, de froidure et de pluie Et s'est vêtu de broderies, De soleil luisant, clair et beau. Il n'y a ni bête, ni oiseau Qu'en son langage ne chante ou crie Le temps a laissé son manteau De vent, de froidure et de pluie. Rivières, fontaines et ruisseaux Portent en livrée jolie, Gouttes d'argent, d'orfèvrerie Chacun s'habille de nouveau: Le temps a laissé son manteau Charles D’Orléans (1391 - 1465)


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Maggio 2020

NON È DIGNITOSO CANTARE E BALLARE DI GIOIA NELLE TRAGEDIE di Domenico Defelice

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ORSE era nella logica, data la sua crudezza, che il nostro intervento - sul numero scorso de Il Pontino nuovo, circa la lotta a COVID 19 - suscitasse polemiche; ma non è il caso di dar loro troppa importanza e quando il morbo ancora preme sopra il nostro petto. Riconosciamo, comunque, che potevamo risparmiarci l’espressione troppo forte - diciamo sopra le righe - che il far chiasso da balconi e terrazze fosse come un masturbarsi collettivo; rimane valido, però, tutto il resto; tra l’altro, che non si combatte un nemico subdolo e pericolosissimo esorcizzando la paura con simili atteggiamenti e fatti; che, per certi versi, simili atteggiamenti e fatti finiscono con l’agevolare la diffusione del morbo. Abbiamo assistito a uomini e donne, a gruppi, da terrazzi e finestre, strillare e cantare gli uni rivolti verso gli altri; la distanza fra i diversi ambienti, è vero, superava in molti casi il termine del metro e mezzo, ma c’era pure una gagliarda brezza e, così, le goccioline di saliva, che uscivano a mitraglia dalla bocca degli uni, saran finite in abbondanza velocemente e direttamente in quella degli altri. Ditemi se questo fosse il modo migliore per combattere corona virus! Cantare e ballare in una situazione così tragica, così drammatica, l’abbiamo ritenuto non dignitoso e assai sconveniente. A coloro che ancora si ostinano a non volerlo capire, ribadiamo l’inopportunità attraverso la metafora dei versi splendidi e dolorosi della lirica “Alle fronde dei salici” del Premio Nobel Salvatore Quasimodo: E come potevano noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze

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sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento. E cioè, parafrasando e rapportando i versi al nostro caso: come, come potevamo noi cantare, con il piede del terribile COVID 19 sopra il nostro cuore? i morti ammonticchiati nelle camere degli ospedali? la madre che andava incontro al giovane figlio chiuso in una bara? i mariti, le mogli, i figli, i fratelli, le sorelle che assistevano impotenti allo sfilare dei camion dell’esercito nel portarsi via, una e più volte, centinaia e centinaia di bare con dentro i corpi dei congiunti per essere cremati? Mentre l’Italia e il mondo vivevano - è vivono ancora, purtroppo! - una pandemia da tempi antichi di peste e colera, come, come s’è potuto ritenere efficace, caritatevole, sobrio, opportuno gioire e schiamazzare? Come, come non rendersi conto che son diversi e son da rispettare i tempi della gioia e del dolore, altrimenti si finirà ad essere come quei fanciulli da Cristo ricordati nel Vangelo di Matteo? “Abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”. Sì, perché non si può continuare a snaturare tutto, a capovolgere ogni cosa; anche per questo abbiamo alzato forte il grido a cambiar registro partendo dall’interno di noi stessi. No, non si può cantare, né ballare tango e walzer quando il nostro animo e ridotto a brandelli appesi a dolorare (al posto di dondolare) al triste vento; non è così che si dimostrano dignità e coraggio. E veniamo all’esposizione del tricolore. L’essere Italiani, non consiste, per esempio, nello sventolare la bandiera e nel fregarsene di leggi e decreti; nello sventolare la bandiera e abbandonare i luoghi di residenza per andare a infettarne altri ritenuti al momento meno esposti; nello sventolare la bandiera e riunirsi in gruppi, al chiuso o all’aperto, col rischio di trasmettersi il virus e portarlo, poi, all’interno


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delle proprie case; nello sventolare la bandiera e speculare sulle disgrazie per lucrare o per fare sleale concorrenza. Ma, essere Italiani, non significa neppure sventolare il tricolore ed essere incapaci a governare e dirigere (non c’è unità, tra l’altro; ogni Regione e persino i comuni van per conto proprio); sventolare il tricolore ed emanare quasi ogni giorno decreti l’uno più cervellotico dell’altro (ciò che, però, non autorizza la disubbidienza quasi totale e il comportamento anarcoide di ciascuno di noi). Essere Italiani è, sì, riconoscerci nel tricolore; è, sì, sventolarlo, ma solo dopo esserci esaminata onestamente la coscienza. Esporlo semplicemente ai balconi, magari per esorcizzare la paura o in occasione di un avvenimento sportivo, non significa veramente amarlo, non vuol dire possederlo nel cuore. Domenico Defelice Da Il Pontino nuovo, 1/15 aprile 2020, quindicinale che si pubblica in 12 mila copie.

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un tulipano rosso, tante primule gialle, tante mammole e il loro profumo soave, il vento leggero che muove, appena, le foglie e le erbe. Io sono sola, ma sto bene, mi gira solo un po' la testa. Non odo rumori, un brusio soltanto, lontano, forse immaginario. La gente è in casa, a mangiare, a quest'ora. E cani e gatti? E uccelli, insetti, lucertole? Tutto il mondo tace. Che bello! E' irreale, rilassante, fantastico. Antonia Izzi Rufo (Castelnuovo)

VIGOGNA ANDINA Eri tu la vigogna andina, che indocile e amorevole, mi sogguardava. Ma bastò solo un poco per intenderci. Già carezzavo la lana sua pregiata - un truciolo di te: erano i tuoi capelli, mori serti. Subito su guanciale di feltro poggiai la testa in sogno e la mia adulta pena s’allontanò d’un soffio. Rocco Cambareri Da Versi scelti, Guido Miano Ed., 1983.

PASQUA Pasqua! Che silenzio! E che pace, qui fuori! Come si sta bene al sole! Mi fanno compagnia

POESIA, ARCO-IRIS DE SENTIMIENTOS La poesía puede humidecer nuestra boca y renovar la promesa del primer beso. Una linda acuarela con el arco-iris en el horizonte, el color del alba, o las hojas de los árboles bailando con la brisa, a los ojos del amante, sin poesía no pueden producir emoción. El arco-iris de la poesía tiene la condición con la cual todo tiene más vida, así como las gotas del rocío, la sonrisa de la mañana y el azulado de la noche. Teresinka Pereira USA


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Napoli piange. Ha perso uno dei suoi figli prediletti, la sua parola, il suo canto.

SI È SPENTA LA VOCE DI NAPOLI: ALDO DE GIOIA NON È PIÙ di Anna Aita

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APOLI piange colui che ne ha sempre divulgata la storia nei salotti, nei teatri, nelle strade. Sì nelle strade, laddove continuava il suo insegnamento, laddove prorompeva la caparbia volontà che Napoli, la sua splendida Napoli, così ricca di arte, di memorie e di cultura, fosse conosciuta. Così, con pochi amici che volevano arricchirsi di notizie sulla loro città, partiva portandosi dietro, via via, altre dieci, venti, trenta persone che, attratte dal fascino della sua parola, coinvolte dai suoi racconti, ascoltavano incantati. E Aldo De Gioia, megafono alla mano, raccontava per ore, sempre più infervorato, sempre più entusiasta, le vicende di

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Napoli, la sua grandezza, le sue lotte, la sua creatività. Ancora s’infoltiva, passo dopo passo, il gruppo; saliva su per via dei Tribunali fino alla Chiesa di San Domenico Maggiore e quella di San Lorenzo per raggiungere la Napoli Sotterranea. Si dirigeva, poi, ad ammirare l’incredibile opera del Cristo Velato e, via, verso San Gregorio Armeno e la chiesa di Santa Chiara. Negli incontri che si susseguivano, non mancava la tomba di Virgilio, la storica chiesa di Piedigrotta, il tesoro di San Gennaro e un elenco infinito di luoghi, seguendo le mete, dalle più note alle più sconosciute. Eseguito, di volta in volta, il programma prescelto, il corteo si scioglieva con piena soddisfazione e allegrezza dei partecipanti, che ritornavano a casa arricchiti di nozioni sulla città e sempre più assetati di nuovi incontri, nuove conoscenze. Stesso interesse riscuotevano le sue conferenze in luoghi chiusi. Iniziavano talvolta dalla nascita di Napoli, talaltra si intrattenevano sulle tante dominazioni subite, sul sangue sparso nei secoli sulle sue strade, fino ad arrivare alle vicende della seconda guerra mondiale. Una gioia particolare trasmetteva, nei suoi ascoltatori, il racconto particolareggiato della vita di una città straordinaria, la sua follia, l’allegria nei vicoli, lo scambiarsi dei propri fatti tra donne intente a stendere bucati sul robusto filo, che attraversava la strada da un palazzo all’altro, o divertiva l’ascoltatore raccontando di monelli che dileggiavano il vecchietto arrabbiato che li rincorreva faticosamente, minacciandoli con un manico di scopa. Ma, al di là di tanto narrare, chi è stato Aldo De Gioia? Storico, giornalista, scrittore, regista di teatro, poeta, pedagogo, docente universitario, i cui insegnamenti, particolarmente sulla storia di Napoli, proseguiranno fino agli ultimi giorni di vita, in una docenza volontaria presso la Fondazione Humaniter. È importante ricordare che non soltanto Napoli e tante città italiane hanno potuto beneficiare del suo interesse e della sua cultura,


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ma versi di grande intensità emotiva rimangono a memoria nel sacrario di El Alamein e nel museo di New York. Membro della Toponomastica Cittadina per 18 anni, gli si deve l’intestazione di strade a grandi nomi della città e la posa di lapidi, sparse un po’ dovunque, in ricordo di valenti personaggi. Un esempio per tutti, la targa marmorea dedicata a Salvo D’Acquisto, eroe della seconda guerra mondiale. Questo illustre storico, per niente aiutato dalla città di Napoli, fu costretto a creare il primo museo della canzone napoletana in Basilicata ed esattamente a Calvello. Piacevole documentari sulla storia di Napoli leggendo i numerosi libri da lui pubblicati che raccolgono vicende storiche, poesie, saggi, storielle, aneddoti, in una scrittura facile e avvincente, che accultura, incuriosisce, stupisce e, talvolta, diverte per la singolarità delle narrazioni, per lo spirito particolarmente vivace e la forza della passione che viene, in essa, inevitabilmente trasfusa. Aldo De Gioia rimarrà per sempre nel cuore di noi napoletani, nel cuore di Napoli, l’amata città da lui rivelata e rappresentata con infinito amore. Anna Aita

CON MANO LIEVE Con mano lieve, Signore, tu punisci il Tuo popolo ottuso, che ricorrenti tsumani, alluvioni e terremoti non ha saputo o non ha voluto quali premonitori segni del Tuo sdegno interpretare. Con mano lieve Tu ora punisci questo ostinato popolo superbo che forte della sua scienza ha continuato veloce a perseguire mete terrene oltrepassando i limiti dell’umano decoro e del rispetto verso quanto di buono gli hai donato. Questo ostinato popolo superbo

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che Ti ha dimenticato, questo superbo popolo ostinato che Ti ha abbandonato. Ora con questa nuova pestilenza hai voluto ricordarci la Tua potenza e per la grande Tua misericordia soprattutto colpisci quei Tuoi figli già in cammino sulla strada che conduce alla casa del Padre. Ma forse si troveranno ancora quei dieci, cinque, tre, due … o almeno un giusto per i cui meriti valga salvare tutto questo mondo. 17-18 marzo 2020 Mariagina Bonciani Milano

SENZA PENSARE Cerchiamo, noi uomini, una bella giornata di sole, di luce; chiudiamo gli occhi, il viso rivolto alla nostra stella, e restiamo fermi, senza pensare. Antonia Izzi Rufo (Castelnuovo al Volt. )

LA NOTTE CHE TU VEDI IN SÌ DOLCI ATTI La Notte che tu vedi in sì dolci atti dormir, fu da un Angelo scolpita in questo sasso, e perché dorme ha vita. Destala, se nol credi, e parleratti. Caro m’è il sonno, e più l’esser di sasso, mentre che ‘l danno e la vergogna dura. Non veder, non sentir, m’è gran ventura; però non mi destar, deh! parla basso. Michelangelo Buonarroti (1475 - 1564)


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DMITRI HVOROSTOVSKY INTERPRETA 'KAK MOLODY MY BYLI' DI NICOLAY DOBRONRAVOV di Ilia Pedrina

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MITRI Hvorostovsky, una delle più importanti voci baritonali flessuose e sinuanti della lirica russa e interna-

zionale. A lui il compositore musicista Nicolay Bobronravov, nato nel 1928, dedica questo canto popolare e l'interpretazione di Dmitri, intima e profondamente emozionante, commuove tutti, siano essi presenti al concerto o siano in ascolto ora in rete: KAK MOLODY MY BYLI, testo in versione italiana da testo inglese: i due passaggi tolgono fascino all'originale ma avviano all'ascolto di questo canto d'amore e di tristezza, di lotta e di orgoglio, in rete, dando all'immaginazione di ciascuno la possibilità di completare, attraverso le emozioni suscitate dalla lingua originale e dalla voce appassionata di Dmitri, il percorso meditativo dell'evocazione musicale. Il ritorno della fase centrale del canto, per tre volte, rinforza il tema del rapporto con il volto, il tempo, lo sguardo sull'altro e dentro, nel riverbero dell'incontro anche nella dimensione della memoria differita KAK MOLODY MY BYLI Guardati indietro, ignoto passante, Mi è familiare il tuo sguardo incorrotto. Forse sono io, soltanto più giovane? Non sempre riconosciamo noi stessi. Nulla passa sulla terra senza lasciar traccia,

E la trascorsa giovinezza è ora immortale. (Rit.) Quanto giovani eravamo! Quanto giovani eravamo! Quanto ci siamo amati, in sincerità Quando abbiamo creduto in noi stessi! Allora ci hanno incontrato senza ridere, Tutti i fiori sulle strade in questa terra. Abbiamo perdonato i nostri amici per i loro errori Soltanto ai traditori non abbiamo potuto dare tregua. (Rit.) Lampi estivi nei cieli Vanno e vengono Nei nostri cuori la tempesta Si sta placando In nessun modo dimenticheremo gli amati volti della nostra gente In nessun modo dimenticheremo lo sguardo della nostra gente. (Rit.) (N. Dobronravov, Kak Molody My Byli, testo ingl. in rete, trad. di I. Pedrina).


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Dmitri Hvorostovsky, nato nelle terre della Siberia il 16 ottobre 1962, ha donato al suo popolo interpretazioni appassionate e coinvolgenti, ricevendone consensi semplici e consolidati nella antica tradizione millenaria del popolo russo: la ricerca dello stile che sempre deve corrispondere all'esperienza concreta della vita, lo ha portato ai massimi livelli del successo nazionale ed internazionale e questo canto Kak Molody My Byli è testimonianza della sua profonda amicizia con il compositore Nicolay, della loro limpida intesa nel dare parole e linee melodiche ai temi della giovinezza, della lealtà nel rapporto con gli altri, della coerenza rispetto a sé stessi, del legame indissolubile con la gente alla quale si appartiene, da sempre e per sempre. Quando si presenta tra la sua gente, un pubblico, sempre commosso e in forma quasi di marea, comunica tutta la sua forza interiore che diventa arte di un canto che va oltre la professionalità ben consolidata, per dilatarsi agli ambiti toccanti dell'emozione spirituale condivisa, grande proprio a partire dalla lingua e dalla storia lacerante di questo grande Popolo. E la sua gente, di cui lui mai ha dimenticato i volti e gli sguardi, gli dona fiori, tanti, coloratissimi e profumati: lui si inchina al bordo del palco e li prende dalle loro mani, con gesti che vanno oltre la simpatia, per sintonizzarsi nella dimensione della riconoscenza, quella che passa alla storia come valore. Il crescendo di forza dalle prime intonazioni del canto all'ultima strofa mostrano un'interpretazione vigorosa, al limite del dramma, per poi declinare quasi fino al sussurro sulle delicate onde dell'accompagnamento degli arpeggi al piano. I tempi si condensano traducendosi in evento, così affianco questa testimonianza lirica, che Dmitri Hvorostovsky ci dona ora in rete, con la cura che tanti artisti russi hanno profuso nel corso dei secoli per dar vita alle sacre icone, attraversando il loro tempo e mai cancellando un legame con la spiritualità che oltrepassa i confini della credenza per diventare esistenza ed esperienza di Verità. Ilia Pedrina

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IN QUESTO GIARDINO Fra le annose querce e le robuste piante di questo giardino ho scoperto stamane un nuovo fiorellino. Dritta sulle gambette con la grazia di una dea camminava sorridente la piccola Tea. Mariagina Bonciani Milano, 26-27 febbraio 2020

Maltempo di Marina Caracciolo Lo scroscio dirotto della pioggia Lucida le verdi foglie, Le fa splendenti come raso e seta. Passeri e corvi se ne stanno muti, Rannicchiati sotto le grondaie: Guardano a distanza Le ampie pozze d’acqua Dove qualche briciola galleggia... Un cielo plumbeo Fosco di basse nuvole Pare una vela di malinconia. Pubblicata su Pomezia-Notizie pag. 35 / n°. 6 / giugno 2019 Bad weather The pouring rain pelting polishes the green leaves, makes them bright as satin and silk. Sparrows and crows are silent, crouched under the gutters: they look from afar at the wide water puddles where a few crumbs are floating... A leaden sky darkened by low clouds looks like a sail of melancholy.


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LE LEZIONI MALTESI DI BRUNO ROMBI di Elio Andriuoli

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ALINCONIA, come ci avverte Bruno Rombi nel suo nuovo libro Méla Kholé, (Venilia Editrice, Padova, 2019) contenente le lezioni da lui tenute presso l’Università di Malta, è parola che deriva dal greco Mélas (nero) e Kholé (bile) e designa uno stato d’animo di tristezza, pessimismo, sfiducia che colpisce l’uomo senza una causa apparente. Tale sentimento è molto diffuso in letteratura e la ricerca che Rombi ha compiuta si è sviluppata a lungo nelle sue “conversazioni sulla letteratura europea di matrice malinconica”, per usare le parole di Oliver Friggieri (che di quella Università è docente), nella sua prefazione al volume. Il nostro autore, che è a sua volta poeta e critico da tempo noto negli ambienti letterari, compie con questo suo lavoro un ampio esame dei maggiori poeti europei nei quali la malinconia è presente o comunque s’ intravede con maggiore evidenza, a cominciare da Omero, che nel Canto XVIII dell’Iliade ci presenta Achille nel momento in cui presagisce la morte dell’amico Patroclo, esprimendosi con parole di profonda tristezza, e di Omero Rombi cita anche il terzo libro dell’Odissea, dove il pensiero del padre lontano suscita in Telemaco una profonda commozione. Rombi seguita poi la sua ricerca citando altri poeti greci molto famosi, come Mimnermo, autore di poesie nelle quali rimpiange la giovinezza con parole quanto mai suggestive; Alcmane, che commisera anche lui la vecchiaia e Meleagro che dedica struggenti versi alla donna amata scomparsa. Malinconica fu anche la vena di Catullo, tormentato dall’ amore per Lesbia e afflitto dalla precoce morte del fratello; e versi malinconici scrissero anche Lucrezio, nel cui Rerum Natura affiora il “male di vivere”, e Virgilio, la cui malinconia affiora specialmente nel lamento di Didone abbandonata da Enea e in quello di Melibeo che parte per l’esilio.

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Nel passaggio dall’Età antica a quella medioevale, Rombi nota che in quest’ultima “la Fede colora la malinconia di un significato più consolatorio”, facendo nascere nell’uomo la speranza di una vita ultraterrena, come avviene in Idelberto di Lavardin. Una malinconia tutta terrena la ritroviamo invece in poesie quali Lamento per la partenza del crociato di Rinaldo d’Aquino e in altre poesie d’amore, come quelle di Guido delle Colonne e di Guittone d’Arezzo o magari nei versi di Cecco Angiolieri, che apertamente la canta nel sonetto che inizia “La mia malinconia è tanta e tale”. Con un’arte più matura esprimono la loro malinconia i poeti del Dolce Stil Novo Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti e specialmente Dante per il quale ne La vita nova la poesia diviene “lamento e rimpianto di un bene perduto”. Malinconico fu certamente il Petrarca, che nel suo Canzoniere canta il suo amore per Laura con “esaltazioni e rapimenti estatici”; e una vena malinconica la ebbero pure alcuni umanisti, come Giovanni Pontano e poeti dalla vita irregolare, quali François Villon, la cui malinconia s’affaccia struggente in testi meritamente famosi, quali Ballata delle donne del tempo che fu e la Ballata degli impiccati. Né poteva mancare in questa ricerca compiuta da Bruno Rombi un cenno a Torquato Tasso e al suo “umore malinconico che cavalca la patologia”, come dimostrano, oltre ai suoi versi, le vicende della sua vita. A questo punto però la ricerca del Rombi si allarga a diverse altre letterature europee, sicché troviamo nel suo libro nomi come quelli di Luis De Camöes, autore del poema nazionale portoghese I Lusiadi; di Christopher Marlowe, noto specialmente per la sua tragedia Doctor Faustus; di William Shakespeare, che ha “proiettato nelle sue opere la coscienza e la dinamica esistenziale dell’uomo solo”, penetrando a fondo nel dramma dell’umana esistenza; di Calderon de la Barca, che al pessimismo shakespeariano contrappone una visione fideistica della Storia; di Miguel De Cervantes, che con il suo Don Chisciotte scopre nella follia


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una più profonda saggezza; ecc. Dopo essersi soffermato sul grande teatro francese del ‘600, con Molière e Racine, Rombi affronta autori come Milton, nel cui poemetto L’Allegro e il Pensieroso “l’ allegrezza e la malinconia vengono personificate” o come Blaise Pascal, filosofo inquieto, intento all’affannosa ricerca di Dio, il quale con i suoi Pensieri apre nuove prospettive alla mente dell’uomo. Ed ecco il grande nome di Wolfgang von Goethe, che “ci ha lasciato una serie di opere”, a cominciare da I dolori del giovane Werter, nelle quali “l’umore malinconico si manifesta con sfumature diverse”. Né manca tra questi nomi quello di Vittorio Alfieri, la cui “cupa malinconia lo spinse a un tentativo di suicidio, come ricorda egli stesso nella sua Vita”. Passa poi Rombi a trattare della Malinconia nell’Età moderna, iniziando da Chateaubriand, scrittore specialmente noto per Génie du Christianisme, e da Hölderlin, “la cui poesia, tragica e ossessiva, … esprime l’ansia di una ricorrente ricerca interiore”. Un particolare rilievo assumono in questo contesto alcuni poeti dell’Ottocento, quali John Keats, autore di un’Ode alla malinconia, e Ugo Foscolo, “la cui malinconia nasce dal costante oscillare tra fede e scetticismo, e il cui umore malinconico traspare specie dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis e dai sonetti. Nell’Età Romantica la malinconia assume sempre maggiore importanza quale fonte d’ispirazione in poeti come Shelley, Byron, Lamartine e de Musset, ma trova il suo più alto cantore in Giacomo Leopardi, il quale dal sentimento melanconico ricava momenti di alta poesia. Dei poeti romantici tedeschi Rombi ricorda specialmente Kleist e dei pensatori Kierkegaard, con i suoi Diari, mentre tra i narratori russi ricorda il grande Dostoevskij, autore delle Memorie di una casa dei morti e de I fratelli Karamazov. Il poeta che però sta all’inizio della sensibilità moderna è Charles Baudelaire, il quale precorre il Simbolismo e dischiude nuove strade ai poeti che verranno dopo di lui, come ad esempio Mallarmé, Rimbaud e special-

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mente Pascoli, che è stato a sua volta un innovatore del linguaggio ed ha dato una nuova musica al verso. Dopo essersi soffermato sui filosofi Schopenhauer e Nietzsche, che tanta influenza hanno avuta sul pensiero del Ventesimo Secolo, e dopo un cenno a poeti quali Hofmannsthal e Rilke, le cui opere sono spesso improntate da un sentimento malinconico, Rombi ci parla di un grande scrittore, Thomas Mann, autore di romanzi quali La montagna incantata e Doctor Faustus, dove larga parte ha il sentimento malinconico. Vengono successivamente scrittori più vicini a noi, come Franz Kafka, che sa rendere concreto il sogno e razionale l’assurdo. E vengono poeti come Saba e Gozzano, dall’ acuta sensibilità, sovente, specie nel secondo, oscillante tra ironia e malinconia. “Lacerti di malinconia lancinante” troviamo in Dino Campana, poeta visionario, che con i suoi Canti Orfici ci ha dato uno dei libri più originali e compiuti del nostro Novecento. E di malinconia si tinge anche la vasta produzione narrativa e drammatica di Luigi Pirandello, che scopre ad ogni passo la contraddittorietà del reale, da lui colto con sottile umorismo. Poeta invece di chiara matrice simbolista è da considerarsi Giuseppe Ungaretti, che si definì “uomo di pena”, ma che appare anche dotato di un’“ironica saggezza”. La malinconia entra pure nell’“immaginario poetico” di Federico Garcia Lorca, che si connota per una “essenziale pregnanza” espressiva. Poeta della “pena di vivere”, Montale canta a sua volta, con un dire asciutto e intenso, “l’ assurdità dell’ esistenza” e l’angoscia che ne deriva; ma allo stesso tempo, con la sua forte pronuncia, rivendica la dignità dell’uomo di fronte al destino. Con Lucian Blaga, Salvatore Quasimodo, Pier Paolo Pasolini e Oliver Friggieri si chiude il libro delle Lezioni maltesi di Bruno Rombi, che costituisce una vasta panoramica dei maggiori scrittori delle diverse letterature europee, nelle quali il sentimento della malinconia sovente si affaccia, quale componente imprescindibile della loro arte. Elio Andriuoli


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VERSI DA MILANO di Ada De Judicibus Lisena 1 I SUOI PENSIERI Ape del suo piccolo mondo, coltiva forse gerani e basilico andirivieni sulla veranda. Poi si poggia alla ringhiera guarda il cielo e sosta, forse in rito di preghiera forse prigioniera di sé, di un’idea. Io non la conosco non so il colore dei suoi occhi: in questo paesaggio urbano di balconi e finestre in questa vasta corolla di case e di terrazze, la distanza la rende minuscola la lontananza l’annebbia la priva di spessore e contorno la fascia quasi di mistero. Io la guardo: visione quotidiana, abitudine vaghezza, è il prototipo è “la donna alla finestra” del mio immaginario. Ed è mio specchio quando anch’io al balcone mi affaccio, fra noi gioca un riflesso se guarda me come io la guardo. Darei oro per i suoi pensieri. (gennaio 2020)

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2 UNA FARFALLA BIANCA La dirimpettaia minuscola Indugia ancora alla ringhiera ma una farfalla bianca le divora la faccia. “A chi la tocca, la tocca” Qui il viale le case i Bastioni Spagnoli inebetiti tacciono aspettano la Sorte. Qui Porta Romana bella sussulta ogni istante al sibilo alla lama delle autoambulanze. Ma Vecchioni ha aperto la finestra ha spalancato le braccia ha sciolto al vento un canto: “Spera, ragazzo, spera. Spera ragazzo” In questa Milano intensa, manzoniana e ormai mia è tempo rincantucciato sotto un cielo chiuso tempo sospeso di epidemia. (febbraio 2020) 3 VIRUS La mia sconosciuta più non si affaccia alla ringhiera, io guardo e poi guardo ma la sua veranda invano lussureggia di primavera. S’ infittisce la distanza: la penso e, ancor più piccola, la donna si allontana, si fa vaga, scompare come la creatura di nebbia di un mio sogno strano. Qui sui tetti svolazzano i corvi, tace la vasta geometria dei muri. Qui non più cori fra le finestre aperte: solo il fumo dei comignoli ha impronta umana, solo i cani portati alle aiole scodinzolano ignari. E scorrono autoambulanze come giganti che piangono, a volte come incubi che sghignazzano.


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Giorno venti di marzo. Qui, lungo il Viale, i giardini continuano a fiorire. Domina il virus. (marzo 2020) 4 UNA LUCE VIOLA L’ ho sognata. Veniva verso me ed era fatta d’aria, visione senza tempo, senza spazio e respiro. Avanzava, una luce viola illividiva la nebbia ma biancheggiava la farfalla che ancora le copriva la bocca. La triste farfalla di queste giornate inquiete avanzava con lei. E cresceva invadeva la scena del sogno incombeva spettrale. Io, nell’incubo, arretravo. (marzo 2020) Ada De Judicibus Lisena *** In queste quattro poesie, Ada De Judicibus Lisena ci dà un’idea dell’attuale sua realtà di vita in Lombardia, non più in Puglia: in un “paesaggio (…) di balconi e finestre”, in una “vasta corolla di case e di terrazze”. In questa nuova casa, “tace la vasta geometria dei muri” e sui suoi “tetti svolazzano i corvi”; una casa che s’indovina intimamente fredda e che “sussulta ogni istante/al sibilo alla lama delle autoambulanze”. Non è neppure accennata l’altra casa, quella che ha dovuto lasciare, ma la si intuisce, sembra presente in sottofondo; una casa da sogno, vicina a un mare da lei sempre amato, assiduamente frequentato, a tal punto da essere identificata come “la ragazza onda”1 e che ha cantato nel mutamento di umori e di stagioni; casa continuamente visitata dalla voce e dagli afrori del mare; una casa che sempre “ascolta suoni”2 e che, nei momenti in cui “è assopita: da sentieri di scogli/da torri abra-

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se,/nel nomade vento/ascolta la sua città”; una casa che sta “nel cerchio della campagna”3, “fra alberi e brine”4, circondata da ulivi, mandorli, pini, peschi dai frutti succosi e fichi dalla “delizia mielata”5, da rose, anemoni, campanule, notte e giorno frequentata da scoiattoli, lucertole, tortore, gazze, cormorani e nell’agosto intontita, resa panica, dal canto d’arsura delle cicale. In questa casa, la poetessa è a lungo vissuta nel cerchio delle persone care, la nonna in particolare, divenute ora tutte mitiche, compreso il giardiniere Corrado, col quale lei, a volte, soleva lavorare fianco a fianco, affascinata dai suoi racconti “di donne orientali/di mine vaganti sull’ acqua/di risse fra marinai”6. Questa casa è stata per lei come un vero e proprio indumento: la “veste grande”7. Ascoltiamola: “Ti indosso: sei la mia veste grande. E mi avvolgi: sei l’abbraccio perduto di mia madre. Quando il vento è una belva e un rantolo è la calura, quando intorno le vespe ronzano e le volpi si aggirano sottili, tu mi avvolgi e respiro mi chiudo in te e sono libera. Mi somigli: sei specchio dei miei sogni dei miei anni. Tu rendi illimitata la solitudine che amo, rendi rito le mie abitudini; in mille e mille cassetti in mille oggetti custodisci i miei miti i miei vagheggiamenti”. Quando da questa casa favolosa si allontanava, era per brevi periodi; ora, invece, ha dovuto lasciarla per sempre, e lo strappo è lacerante. Vivere nella grande Milano, in un appartamento nei pressi dei Bastioni Spagnoli, è essere in un carcere senza sbarre, un autentico trauma. Le persone prima le stavano a


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contatto, ora son ridotte ad api dalla lontananza, plasticamente rappresentate da quella “sconosciuta”, “dirimpettaia minuscola”, che “coltiva forse gerani e basilico” nel “suo piccolo mondo” del balcone. Ape e farfalla, due minuscoli insetti che le ricordano il suo vecchio mondo, sulle piccole ali dei quali la sua mente continua a volare, anche perché, al dramma di vivere prigioniera del cemento, si è aggiunta, inaspettata e terribile, per lei come per tutti, la segregazione forzata del corona virus. Domenico Defelice 1 -Ada De Judicibus Lisena - Omaggio a Molfetta nel centenario dell’Università Popolare Molfettese, Edizioni La Nuova Mezzina, Molfetta, 2017, pag. 37. 2 - Idem, pag. 23. 3 - Idem, pag. 24. 4 - Idem, pag. 26. 5 - Idem, pag. 49. 6 - Idem, pag. 48. 7 - Idem, pag. 84.

TRE GRAFICHE DI DOMENICO DEFELICE↑ ←↓ Vecchio ulivo sulla collina; Vecchio pesco in fiore; Vecchia barca sulla spiaggia


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COME IN UNA STORIA di Rinaldo Ambrosia

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UI era l'Avatar della sua storia. Aveva iniziato a scriverla non appena era uscito (per partenogenesi ) dalla sua mente. Correva liberamente sulle pagine con la velocità di un canguro. Aveva saltato l'incipit per entrare direttamente al nucleo della storia. Si abbeverava nelle pause della narrazione e poi riprendeva il percorso. L'unità di tempo e lo spazio si dilatavano e si comprimevano a secondo del suo respiro. Un vero mantice letterario, e la storia correva al suo fianco come due treni su binari paralleli. C'era tutto un percorso che partiva dall'idea originaria e si inseriva nella griglia di pianificazione - una mappa mentale - che poi confluiva nella scrittura. E lì, lui dilatava e comprimeva gli spazi come un direttore d'orchestra, inciampava sulle digressioni per poi planare lungo luoghi selvaggi e misteriosi. Lui era, nel medesimo tempo, lo scrittore, lo scultore, il protagonista e il lettore. E assolveva tutti i ruoli in questo “fai da te” con entusiasmo. C'era anche del ritmo, non cadenzato, ma a tratti, tra le parole si coglieva. Ogni tanto squillava il telefono, allora si fermava il presente, si annullava il passato e si aprivano le porte del futuro. L'ordine temporale - a quel punto - si sgretolava completamente. C'era un sottile gioco d'alternanza tra la prima e la terza persona, un guardarsi allo specchio per poi aprire la finestra e vedere il proprio riflesso nella magia del vetro. Era un sollevarsi dalla storia (sì, perché questo insieme di righe formano una storia) per osservarsi tra le parole e a questo punto lui scoppiava a ridere.

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quello del Testo, e lui con loro. Ma come tutte più belle storie sulla pagina lampeggiava la spia rossa della riserva. Stava per terminare il foglio. L'Avatar allora, incurante del tempo dello spazio, decise di spiccare il volo verso future storie. Rinaldo Ambrosia Rivoli (TO

RADICE Se mi guardi ora negli occhi ti chiedo di non dire parole che siano dolori: un giorno doveva accadere. Credi di avermi perduto, invece sei sempre l’anima mia e io, nemmeno esisterei senza l’abbraccio dei mesi della tua acqua nella spugna delle mie ossa, con la tua marca – radice nella punta di un cuore non di pietra, così poco adatto alla solitudine per rimanere unico. Tutto discende da te non lo dimentico, se è questo che ti fa paura, da te che scegliesti di farmi figlio per regalarmi il mondo, dove pianterò anche io la mia radice e tutto si ripeterà: di nuovo. Salvatore D’Ambrosio Caserta

IL CROCO Cercava la leggerezza nel testo, così come nella vita. Doveva far decantare la scrittura, revisionare lo scritto, equilibrare le varie parti, insomma: la sequenza narrativa si coniugava con quella riflessiva, ed entrambe andavano a convivere nello stesso condominio,

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LE INFIAMMATE ILLUSIONI DELL'ALBA CADONO NEL MATTINO di Leonardo Selvaggi I A tua figura mi si è fermata nella mente all'aria gelida di Labronico, per le strade ripide di ghiaccio, d'inverno quando si respiravano nella quiete dei vicoli ammantati di neve gli odori di casa commisti di umido e di silenzio. Eri fremente, presa dalle illusioni, tutta emanazione dell'esuberanza, uguale a germoglio, vivido, spontaneo. Il candore puro della pelle in quegli anni della tua giovinezza, ancora chiusi fra le pareti ruvide, incrostate di tempo, nei recinti dei ricordi e delle tradizioni di paese, Mi vedevi con gli occhi azzurri e penetranti, riservato; timidezza e sensibilità mi vestivano, combattuto dalle contraddizioni tra una psicologia sofferta e l'ansia di vivere, sognatore assillato, bruciato dentro un ambiente incatenato dai pregiudizi e le inibizioni. In esaltazione il mio Io si inalberava come un animale selvatico, mi vedevo compresso, svuotato, infiammato, staccato dalla realtà. Mi apparivi un fiore alato, librata leggera fra le case rustiche e svolazzante sopra il selciato delle vie. Mi portavo dentro Torino e mezza Basilicata, estraniato capivo poco la concretezza, l'accesa immaginazione mi trasportava verso i sentimenti dell'amore, quasi un tessuto di seta mi faceva delicato e trasparente: ero pieno di idealizzazioni. Dentro un fortino la realtà sfibrata e filtrata mi si contornava, perso ogni peso, in evanescenza sulla punta delle dita, sfuggente. La vita in quei giorni di Latronico tutta di dolcezza raffinata trascorreva con un sapore particolare, mi nutrivano molto le lunghe serate dalla fioca luce e le gelide notti, raggomitolato in me stesso. Si stava lontano dal tempo, avvolti dall' atmosfera di una natura tra il verde e l'aspro che prendeva i limiti dei monti vicini, una specie di sprofondamento con protezioni. Si pensava in una sospensio-

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ne eterea all'amore che uguale a qualcosa di angelico con volo d'uccello doveva scendere nell'animo tutto ovattato con calore quasi materno. In questo recinto il sentimento di nostalgia, faceva la sua parte, dava un abbellimento di tenerezza al presente. Ancora altre evanescenze psicologiche sopra il reale ammassato e informe. L'indeterminatezza e un senso di astrazione tenevano dentro una fine malinconia. Forse la felicità era a due passi e non la capivamo; siamo andati trasportati di peso quando le nostre ansie ci fasciavano petto e addome. Con la naturalezza del sentire e i modi liberi per te tutti i giorni erano una primavera continua in una veste che anche d'inverno pareva d'organza. Io in una estesa traiettoria di anni sempre con gli uguali pensieri. Incrostata avevo una specie di innocenza lacerata, vivevo di lontananze senza capire le accidentalità che trovavo sotto i passi. La stessa geografia si tagliava con fratture tra Basilicata e Piemonte ove con tristezza vedevo i genitori trasferiti soffocati in una anticipata sepoltura. I miei luoghi di origine li sentivo tutt'uno con la struttura fisica, i modi di essere e la mia connaturata ipocondria. Le misere terre di Basilicata trovavano riscontro con le privazioni e gli stenti vissuti. II La tua figura sbiadita nel tempo mi dà l'impressione di essere fuggita dal paese amato, si è illanguidita verso distanze introvabili. Vederti su una fotografia mi renderà facile percorrere le masse oscure interposte che hanno livellato, spaccato il cuore, deluso la purezza delle nostre idee. Armi passati che hanno avuto la furia della tempesta facendo rovinare quanto di ostinato si muoveva nella mente. Si sono aperte voragini, rotolando tutto in basso, frantumato. È rimasto intatto il nostro equilibrio, i modi non si sono scalfiti, mantengono la loro resistenza, l'immutabilità del carattere, impavidi con la coerenza riaffermata. Le apparenze ci sono state d'inganno, abbiamo pensato che i principi in noi radicati anche gli altri li avessero,


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e siamo andati con gli occhi vaganti. L'animo nostro si è trovato in situazioni d'incastro: rinsecchito tutto, un'arida landa si è fatta dentro. Siamo rimasti senza amore. L’ esibizionismo e le vanità hanno tolto i colori e la splendidezza del nostro viso. Opposizioni e volontà inedita, discontinuità la vita interiore ha trovato con il mondo di fuori. Come dentro corteccia dura la giovinezza costretta nelle angustie non ha camminato con gli anni, abbandonata alle illusioni che si infiammano all'alba e sfumano al mattino. Sempre in lotta con se stessi, tenendosi aperte le fratture della persona, riempite di vita sognata e di insoddisfazioni; lunghi strati arsi e coste desolate hanno contornato il corpo che ha perso la snellezza e l'alterezza propria. Ruggine e chiodi incarnati sulla fronte e per tante parti di noi che hanno vissuto di crisi, il vuoto e i desideri sfuggiti. Le mani, la pelle del grembo, gli occhi socchiusi abbandonati sul collo e fra i capelli. L'amore in piena libertà che vive di immediatezza e di incontri, in indipendenza di spirito, che fa rifluire le idealizzazioni senza psicastenie e sofismi. L'amore senza le inquadrature formali, fatto di corpo e di interiorizzazioni. Pensiamo a quello in spontaneo moto degli esseri viventi che si muovono in armonia con la natura. La voglia irrefrenabile di scuotersi da quell'ammasso di anni amorfi che hanno reso il viso ammorbato: diversi tanto da quelli che la felicità portano stampata in faccia. Di correre con quell'ansia antica che è rimasta senza movimenti e senza arrivi con dentro una smania di vivere e di amare. Riconoscersi negli occhi, ritrovarsi dopo aver attraversato profondità interiori e valicato barriere, avvallamenti, cammini intricati serpeggianti per anfratti dirupati: fra la gente che si affolla e si disperde, che arriva e si allontana fremente, accavalla i piedi spingendosi con il deretano per non ritardare, piena di trepidazione e di fretta. Un via vai dal treno che si è fermato nella stazione, ancora ansimante, affaticato dopo corse lunghe e pesanti. Risvegliarsi penetrando come lancia dentro le tenebre del tempo che si è

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messo in mezzo quale grande masso, che ha offuscato di amarezza gli irrealizzati giorni, rimasti dilaniati, tenuti sospesi. III Abbiamo la volontà indomabile e le programmate giornate, tanti progetti divenendo una macchina che si muove con ordine senza recedere. Siamo ostinati con movimenti geometrici, ripetitivi. Sordi, materializzati sopprimendo gli aridi, inconsistenti pensieri che sanno di alienazione. Abbiamo sfoltito la razionalità minuta divenuta vacuo cerebralismo. La naturalezza del contatto del corpo che annusa gli odori della pelle: avvicinarsi all'altro corpo aggrappandosi, prendendosi per mano, portarlo con sé come preda nella tana. I sentimenti con dentro flussi di sangue e il desiderio di stare insieme. Il moto del libero andare, come nel vento, i capelli sparsi nella corsa furiosa, il fazzoletto al collo in un diffuso alone di azzurro. Mi sono trovato avvolto da fitta polvere innalzatasi da una commistione di oggetti franati, in luoghi che si sono scomposti, fra frantumazioni di fatti, patimenti portati addosso, con impulsi soffocati. In profondità inavvertibili con voci lontane, in un avvolgimento di tacita attesa interminabile. Contorto ciò che si è voluto con il moto sentimentale dell'animo: sempre andato via dalle mani, inafferrabile, fra le discontinuità e le asprezze che si sono avute vicine, I desideri senza volto, quasi senza corpo con la facile vicendevole compenetrazione, il calore dell' altra persona che ti copre con la leggerezza delle piume, in un nido ove senti lambirti con impercettibile soffio di respiro. La voglia di sentire parlare per telefono ha fatto vedere squarci di carne vivida con larghe ferite, aperte passioni frenate, il tormento come squassamento delle membra in cestini, esagitazione. Usciti dalle compressioni psicologiche a riprendere le native forze, nelle più intime inclinazioni connaturate, verso la libertà scrostandoci ancora dalle sovrapposizioni e incertezze, dalle vicinanze spinose che non conoscevano il cammino in ampiez-


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za con l'andatura leggera gonfia, frusciante per i viali lunghi in esaltazione di sé, nel respiro primaverile, festosi in una giornata che fa risorgere e riprendere i significati propri del nostro esistere. Ritrovare il candore degli anni liberi, riunendo i frammenti di sé dopo i momenti ottenebrati avuti, di smarrimento senza essere nel pieno della nostra esistenza, svincolandoci da intrecci di confuso ammassamento, senza sentire la felicità della compenetrazione e della fusione, in sintonia-simbiosi che fa l'ingrandimento di sé, amplificazione uguale ad emanazione intimistica, travaso dell'uno nell'altro in uno scambio di energie, aggiungendo e riformando con gli slanci delle illusioni. Trovarsi come in un sogno, in effusione libera romantica, in contatti estasiati, di corsa ad incontrarsi in spontaneità di afflato con il volto pieno di lontananze. Attraverso passaggi di trasformazione, verso forme nuove, quelle genuine e natie della persona che vanno con le attrazioni avvertite come effluvi magici, di tepore, quasi senza vedere l’altro; in un frenetico, entusiastico felice trovarsi faccia a faccia, spinti da altre forze, per entro i veli diafani, i colori consumati, gli sguardi sprofondati. L'irrealizzata vita portata negli anni per le contrarietà che hanno ridotto i piedi doloranti, negli scoscendimenti e per le alture, i passi dal ritmo continuo ostinato fino alla cima, sopra come decantato, in un'ascensione sublimata. I burroni di sotto con la forza di attrazione hanno preso; rotolato tra le spaccature e gli sterpi, sfinito a brandelli, svuotato, i panni lacerati, IV Una emanazione spirituale, una figura evanescente dopo i cammini fatti, fradicio, inaridito assetato con una giovinezza volatilizzata. La voglia di distendersi di rifarsi al nutrimento di caldi contatti, un allinearsi su membra generose, attingere sostanze di miele e di dolcezze. Buttato sul viso, le mani con avidità materna attorno al collo, pazzo d'amore. La vita avversa ci ha denudato, una specie di tempesta ha smantellato quello che

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si possedeva. Giorni che passano lungo traiettorie di ferro, ci serve un fiume di pazienza per avere la vita sopportabile. Ora più fragili, corrosa la pelle; si ha bisogno di morbida copertura, di una, mano che passi sopra uguale a medicamento emolliente, prenda ogni piccola parte e la curi. I patimenti hanno aperto varchi ampi, occorre passarci dentro per ricucire gli strappi avuti. Ci siamo persi, sbandati raggomitolati lungo l'orlo del letto. Quasi ai margini di una spiaggia desertica. L'aridità del cuore appiattito fa andare distratti con i pensieri abbattuti. Abbiamo bisogno di voci che scorrano per riconfortarci. La durezza dei giorni meccanici ci ha trasportato frastornati. L'erosione ci scarnifica, immoti attorno il tempo di patina copre l'epidermide, il respiro pare stretto da una morsa: come le case grigie stiamo all'intemperie, nessuna difesa dalla pioggia che scrosta l'intonaco, che sbianca il viso sempre più lontano, non lo riconosci, perde le proprie sembianze, s'incava sparendo da quei tratti che davano vivezza e sorriso. Le case ci paiono strette, le pareti fattesi quasi di lamiera. Il tempo fermo ci preme sulle tempie, non abbiamo spazio, minimizzati ogni giorno. Per le strade la desolazione ci avvinghia da quando il duro strato di malumore fa stare distanti da se stessi, in uno stato di immobile attesa la persona tutta intera raffrenata. Ora nelle notti che ci comprimono al pensiero di essere stati percossi dalle realtà dure le illusioni si accendono come barlumi lungo strade nuove, attorno alle nostre forze che riprendono le proprie spinte. Vogliamo le illusioni consistenti, forti decise come la realtà, non debbono frantumarsi dissolte appena la luce del giorno si diffonde intorno abbagliandoci. Le strade che ci hanno fatto smarrire si sono infossate, contorte, hanno legato i passi soggiogandoci. Confusi, ancora increduli, Come un richiamo, una voce dentro di noi impercettibile, calda di passione si afferra addosso, scorre nelle latebre dell'animo, per gli anditi e i passaggi di tutta la persona. Leonardo Selvaggi


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Servizio STAMPA I Edizione PREMIO EDITORIALE IL CROCO L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM) - Tel. 06 9112113 – E-mail: defelice.d@tiscali.it organizza, per l’anno 2020, la I Edizione del Premio Editoriale Letterario IL CROCO, suddiviso nelle seguenti sezioni : Raccolta di poesie (in lingua o in vernacolo, max 500 vv.); Poesia singola (in lingua o vernacolo, max 35 vv.) ; Racconto, o novella, o fiaba (max 8 cartelle. Per cartella s’intende un foglio battuto a macchina – o computer - da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1800 battute); Saggio critico (max 8 cartelle, c. s.). Le opere, assolutamente inedite (con titolo, firma, indirizzo chiaro dell’autore, breve suo curriculum e dichiarazione di autenticità) devono pervenire, in unica copia, per posta ordinaria o per piego di libri (non si accettano e, quindi, non si ritirano raccomandate) a: Pomezia-Notizie - via Fratelli Bandiera 6 00071 Pomezia (RM), oppure - ed è il mezzo migliore, che consigliamo - tramite e-mail a: defelice.d@tiscali.it entro e non oltre il 31 maggio 2020. Le opere straniere e quelle in vernacolo devono essere accompagnate da una traduzione in lingua italiana. Nessuna tassa di lettura. Essendo Premio Editoriale, non è prevista cerimonia di premiazione e l’operato della Commissione di Lettura di Pomezia-Notizie è insindacabile. I Premi consistono nella sola pubblicazione dei lavori. All’unico vincitore della Sezione Raccolta di poesie verranno consegnate 20 copie del Quaderno Letterario Il Croco sul quale sarà pubblicata gratuitamente la sua opera - lo stesso Quaderno verrà allegato al mensile Pomezia-Notizie (presumibilmente a un numero tra agosto e ottobre 2020) e sui numeri successivi saranno ospitate le eventuali note

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critiche e le recensioni. Ai primi, ai secondi e ai terzi classificati delle sezioni Poesia singola, Racconto (o novella, o fiaba) e Saggio critico, sarà inviata gratuitamente copia del mensile - o del Quaderno Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro. Pomezia-Notizie, comunque, può sempre essere letta, sfogliata eccetera su: http://issuu.com/domenicoww/docs/ (il cartaceo è, in genere, riservato agli abbonati e ai collaboratori). Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero scadenti, la Commissione di Lettura può decidere la non assegnazione del premio. La mancata osservazione, anche parziale, del presente regolamento comporta l’ automatica esclusione. Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di Pomezia-Notizie

IL CROCO i Quaderni Letterari di POMEZIA-NOTIZIE il mezzo più semplice ed economico per divulgare le vostre opere. PRENOTATELO! Ultimi numeri pubblicati: ELISABETTA DI IACONI - Camminerò Presentazione di Domenico Defelice, illustrazioni di copertina di Ernesto Ciriello. MANUELA MAZZOLA - Sensazioni di una fanciulla - Illustrazione di copertina della stessa Autrice; Presentazione e traduzione in tedesco a fianco di Marina Caracciolo; Postfazione di Domenico Defelice. VITTORIO “NINO” MARTIN - Sorsate ristoratrici - Illustrazioni di copertina e all’interno dello stesso Autore; Presentazione di Domenico Defelice.


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“UNA VERA ARTE” - 2 -

DEDICHE a cura di Domenico Defelice

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on grande affetto/all’Amico Domenico/Defelice -/Gianni Rescigno/S. Maria di C.te/9 - 3 2011” (suo volume: Il soldato Giovanni, Genesi Editrice, 2011). *** “All’amico Scrittore e Poeta/DOMENICO DEFELICE/Fondatore e Direttore dal 1973/del mensile culturale e letterario/POMEZIA-NOTIZIE/Con tanta stima, tanto affetto/e tanti auguri/Luigi De Rosa/Rapallo (Genova)/aprile 2019” (suo volume: Viaggio esistenziale, Gammarò Edizioni, 2019). *** “A Domenico Defelice questi/Sonetti” che mi sembrano/non del tutto indegni/della Città dove nacqui/e da cui devo considerarmi/fuoruscito - /Carlo Delcroix/ aprile 1973” (suo volumetto: Sonetti fiorentini, Editrice Giardini, 1971). *** “A Domenico Defelice/con la stima e l’ammirazione/e con l’affetto di sempre./Carmine Manzi/4 luglio 2011” (suo volumetto: 24 dicembre 2002… Canti di speranza e d’amore, Tipografia DPNET SAS, 2009). ***

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“Al carissimo Amico e Poeta/Domenico Defelice/che più di tanti mi è stato/vicino nel lungo percorso/ed ha raccolto, con la sua/sensibilità, il vibrare/profondo della mia anima./Carmine Manzi/23 luglio 2011” (suo volume: Non finisce oggi il giorno, Edizioni dell’Ippogrifo, 2009). *** “Al carissimo Amico e Poeta/Domenico Defelice/ch’è sempre e vicino/con la luce del suo ingegno/e con l’armonia dei suoi canti./Carmine Manzi/4 luglio 2011” (suo volume: Quella calza così povera, Gabrieli, 2009). *** “Con affettuosa/stima/a/Domenico/De Felice/Angelo/Manitta” (suo volume: Orbite d’ellissi Big Bang - Sistema solare, Il Convivio, 2010). *** “A Domenico/De Felice con la stima/e l’ amicizia di sempre/Angelo Manitta” (suo volume: Una voce dall’infinito, Il Convivio, 2010). *** “Al Prof Defelice/Con stima/Giuseppe Manitta” (suo volumetto: L’ultimo canto dell’ upupa, Il Convivio, 2011). *** “A Domenico/Defelice/un fiore dalla/Sicilia/con amicizia/Angelo Manitta” (suo volume: Il Giobbe di Antonio Sarao, Il Convivio, 2009). *** “Novembre, 2011/Al Dott. Domenico Defelice/con cordialità e/gratitudine./Giuseppe Melardi” (Antologia Pensieri in versi 2011, Accademia Internazionale Il Convivio, 2011). *** “Al dott. De Felice/con stima e riconoscenza/Silvano Demarchi” (suo volume: L’ assurdo nella vita, Edizioni Cronache Italiane, 2012). *** “Con l’augurio di un felice/2010/Silvano Demarchi” (suo volume: Sogno e realtà, Edizioni Accademia Internazionale Lucia Mazzocco Angelone, 2009).


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*** “Al prof. De Felice/grato per una breve/critica. Ringraziandolo/Silvano Demarchi” (suo volumetto: Gioventù dorata, Ediemme Cronache Italiane, 2014). *** “Al dr. Defelice/con stima e cordialità/Silvano Demarchi” (suo volumetto: Occaso, Ediemme - Cronache Italiane, 2012). *** “A Domenico De Felice,/Caro amico degli anni romani,/grato per la stima che ha sempre/nutrito per me e la Giulietta mia;/e grato ancora per il suo/”Dialettica e miti in “Patita doppia”./Con immutato affetto./Nino Pensabene/Copertino, 1 Novembre 2012” (sul volume di Giulietta Livraghi Verdesca Zain: Tre santi e una campagna Culti magicoreligiosi nel Salento fine Ottocento, Laterza, 1994). *** “A Domenico Defelice/con amicizia e stima/Liana De Luca/Aprile 2013” (suo volume: Ubaldo Riva alpino poeta avvocato, Genesi Editrice, 2013). *** Allo Scrittore/Domenico Defelice/nel segno/dell’Elogio della Poesia onlus/ Torino/Liana De Luca” (volumetto: Premio di Poesia I Murazzi 2009, Elogio della poesia onlus). *** “A Domenico Defelice,/condividendo sofferte - indi/gnazioni e speranze./Con affettuosa stima./Con auguri di bene per lui e/i suoi Cari, per Pomezia-Notizie/Di cuore/Elena Milesi/Bergamo, 6 giugno 2012.” (suo volumetto: Sismo/grafia. Con pause, Corponove, 2012). *** “Al Dott. Domenico Defelice,/con animo grato e sincera/amicizia./Imperia Tognacci/ Roma, 16. 06. 2012” (suo volumetto: Nel bosco, sulle orme del pastore, Edizioni Giuseppe Laterza, 2012). *** “Al gent/mo/Domenico Defelice/con molta stima -/Orazio Tanelli/11 - 11 - 09” (suo vo-

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lume: Il monaco di Macchia, Edizioni Il Ponte Italo-Americano, 2007). *** “A Mimmo De Felice,/Uomo di cultura/e di umanità, con/stima ed amicizia/queste mie riflessioni/”politico-morali” affso/Natino Aloi/ lì 28/12/2013” (sul volume di Fortunato Aloi: Riflessioni politico-morali e attualità dei valori cristiani, Luigi Pellegrini Editore, 2008). *** “Al prof. Domenico/Defelice, ottimo/poeta e valido/intellettuale, con/stima ed amicizia/sincera e (incomprensibile)/Fortunato Aloi/ lì 1/6/2014” (suo volumetto: Vox clamantis… Come può morire una democrazia, Nuovo Domani Sud, 2014). *** “Al prof. Domenico De Felice/questi miei versi…/(incomprensibile) con sincera amicizia/e stima. affso/Natino Aloi/lì 11/2/2014” (volume di Fortunato Aloi: Tra gli scogli dell’Io, Luigi Pellegrini Editore, 2004). *** “Happy New Year/Krishna” (sull’antologia World Poetry 1965, a cura di Krishna Srinivas). *** “Torino, 15.3.’97/Ill/mo Dr./Domenico Defelice,/Direttore di “Pomezia-/Notizie”,/con ammirazione/e stima per la/sua meritoria/attività letteraria,/oltre al suo/di grande livello/sociale impegno/promozionale. /Ho mandato un mio/modesto contributo/e scritti che, se ritiene/opportuno, potrebbero/ comparire/sul suo importante/periodico -/Dai volumi presenti/potrebbe servirsi/di qualche pagina/sempre per lo stesso/inserimento./Distinti saluti/LSelvaggi” (sul volume di Leonardo Selvaggi: Eterne illusioni, Edizioni Cronache Italiane, 1997).

Invitiamo lettori e collaboratori a inviarci le dediche, indicando con chiarezza, però, nome e cognome degli autori, titoli dei libri sui quali sono state vergate, casa editrice e anno di pubblicazione. Grazie!


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Recensioni ANGELO AUSTRALI ROMANO BILENCHI (un ricordo in forma di racconto) Associazione Amici di Romano Bilenchi, 2019 Pagg. 96, f. c. Per ricordare Romano Bilenchi, a trent’anni della morte (Firenze, 18 novembre 1989), Angelo Australi - che ha conosciuto e frequentato lo scrittore fiorentino, nato a Colle di Val d’Elsa nel 1909 - ha dato alle stampe, con il sostegno della Regione Toscana, un volume che abbiamo letto con interesse e vero piacere. Romano Bilenchi è stato uno scrittore che la critica ha, a volte, stroncato - accusandolo di provincialismo -, a volte osannato e, si badi, per le stesse opere, da lui continuamente limate o riscritte. Ne ricordiamo alcune: Vita di Pisto (1931), Cronaca dell’Italia meschina (1933), Il capofabbrica (1935), Mio cugino Andrea (1936), Anna e Bruno e altri racconti (1938), Conservatorio di Santa Teresa (1940), La siccità e altri racconti (1944), Il bottone di Stalingrado (1972), Il processo di Mary Dugan e altri racconti (1972), Il gelo (1982), Gli anni impossibili (1984), L’attentato (1986), Maria (1986) eccetera. Bilenchi - scrivevamo anni or sono - aveva un carattere facilmente arabile, sicché ogni vicenda della vita lasciava, in lui, solchi profondi; un carattere, il suo, che lo rendeva eternamente scontento di sé e dei propri lavori. La sua vita non è stata facile. Visse drammaticamente non solo la seconda guerra mondiale, ma, per certi aspetti e da bambino, anche la prima; passò dal Fascismo giovanile e di sinistra al Comuni-

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smo; partecipò alla Resistenza; ingoiò rospi... Tutti avvenimenti che, in altri scrittori, anche a lui contemporanei, una volta trascorsi, diventarono importanti elementi d’archivio; in lui, invece, rappresentarono sempre il “presente”, continuando ad avere fermenti e ritorni, provocandogli, di conseguenza, una crisi continua, e un continuo esame. Sullo scrittore toscano abbiamo letto parecchio, tra cui un saggio dell’amico Ferdinando Banchini: Romano Bilenchi, edito nel 1992 da Laboratorio delle Arti, e proprio negli anni novanta avevamo ideato un lavoro da intitolare leopardi bilenchi (iniziali minuscoli!) - poi abbandonato per mancanza di tempo, assorbiti quasi del tutto dalla pubblicazione del mensile Pomezia-Notizie -; il volumetto doveva raccogliere nostri brevi interventi: in testa, sul poeta recanatese; in coda, sullo scrittore fiorentino (fra i due, nessun legame!) e, nel mezzo, su altri poeti e scrittori del nostro tempo. La nostra conoscenza di Romano Bilenchi è stata sempre, comunque, lacunosa e lo comprova anche questo saggio racconto di Australi, dal quale, più che lo scrittore, a risaltare è l’uomo. Australi narra, nei tanti incontri avuti con lui, più di se stesso che di Bilenchi; eppure, in queste pagine, il personaggio emerge vivo e schietto, pungente; un toscano, insomma, robusto e colorito come la Vernaccia e frizzantino come il Brunello. Il Bilenchi che gioca a carte, per esempio, con la donna di servizio, seduto su una poltrona verde, in un ambiente saturo del fumo delle sigarette (le MS) - consumate una dietro l’altra, anzi, accendendo già l’altra quando la prima è ancora poggiata sul portacenere -, pur nell’accenno, nell’assoluta brevità, è scena indimenticabile, è quadro caravaggesco capace di fissarsi indelebile nella memoria. E non è la sola; in quasi tutti gli incontri, ci sono ferma immagini gustosi di atteggiamenti ed espressioni che difficilmente si dimenticano; sembrano sequenze filmiche e, le parole dei protagonisti, il sottofondo musicale. Alla fine, assemblando tutti i tasselli, le figure dei principali protagonisti - Bilenchi e Australi - risultano di forte spessore. Spesso, agli incontri, sono presenti altre persone (la moglie e la figlia di Australi) e amici di Bilenchi che, poi, lo saranno pure di Australi: Giorgio van Straten, Fabrizio Bagatti, Claudio Piersanti, Oreste Macrì e altri e la conversazione, allora, cresce e s’infittisce come il fumo che finiva per trasformare l’ambiente in una vera camera a gas. Ognuno fumava le proprie e Australi le Marlboro, e quando si usciva i vestiti ne erano così impregnati fino a puzzare. Si parla e si discute senza fronzoli e senza retorica e pure il linguaggio di Bilenchi è naturale, amichevole, a volte infiocchettato: “Ricorda Ange-


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lo, gli operai hanno sempre ragione, ma sono delle grandissime teste di cazzo”; “Ci stai prendendo per il culo!” - a Goffredo. Nel racconto di Angelo Australi ci sono pezzi che, pur nella brevità, fanno pensare a brani di un romanzo, perché intensi, perché, dolenti, perché fascinosi. Ricordiamo, per tutti, le pagine nelle quali egli rievoca la morte improvvisa della propria madre, lo strazio suo, del padre e degli altri familiari, il cercare di riadattare la vita dopo la tragedia. Domenico Defelice

TITO CAUCHI DOMENICO DEFELICE Operatore culturale mite e feroce Totem Editrice €20,00- 2018 Tra le tante cose belle che possono nascere dalla poesia e dalla letteratura, senza dubbio vi è l’ amicizia. Nasce questo sentimento non subito. Si organizza pian piano: direi verso dopo verso, parola dopo parola, lettura dopo lettura di ciò che, la personalità letteraria che ci sta affascinando, scrive e pubblica. La cosa potrebbe anche spiegarsi come una coincidenza, una collimanza, forse, con quelli che sono i nostri sugli stessi modi di vedere e sentire le cose del mondo. Ciò che affermo è completamente vero e in parte anche dimostrabile, in quanto la strana fauna umana che sono i poeti e gli scrittori, pare nascano e vegitino in un’acqua primordiale diversa dal resto degli umani. Il loro “brodo primordiale” è pieno e denso di cose, che risultano avulse e incomprensibili al resto dell’altra umanità. Nonostante questo, però, i più non si lasciano prendere dal demone del divismo, dalla febbre pericolosa dell’unto, o dalla più pericolosa delle trappole come l’egocentrismo. Lavorano in tutta umiltà, fabbricando giorno dopo giorno pezzi di letteratura e cultura che rimarranno nel tempo. Edificano cose e concetti che non solo li accomunano, ma che li avvinghiano strettamente, li rendono sodali fino a far nascere, tra loro, la cosa più bella e profonda che è in definitiva poi, l’ amicizia. E questa è autenticamente vera se esisterà un rispetto profondo, che è poi il fondamento dell’ amicizia, anche quando si scriveranno cose che l’ altro non comprende o condivide. Questa è la bellezza degli scrittori: di essere amici anche se si è su linee diverse di pensiero. Anche perché l’amicizia è libertà. Non è come credono taluni, che essere amici significa potersi consentire ogni specie di confidenza, a volte anche offensiva.

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Tutti conosciamo l’ambigua espressione: ” non ti offendere, ma devo dirti che …” Stiamo bene attenti a non confondere la sincerità, che è l’atto principe per un’amicizia, con la confidenzialità che porta spesso a tradire l’amicizia. L’amico mette a tua disposizione tutto ciò che è utile al tuo bisogno. Consegnandoti nel contempo un obbligo nei suoi confronti, che lui non ti ha chiesto né ti chiederà mai, ma che lo ha fatto al posto suo il sentimento dell’amicizia che vi unisce. Ecco questo è il saggio di Cauchi a Domenico Defelice. Il fiore che ha voluto mettere nel vaso dell’amicizia. Ed è un bellissimo fiore. Un fiore di cinque petali, tanti quanti sono i capitoli, attraverso i quali con amicizia passa in rassegna l’operato lungo e prolifico dell’uomo di lettere e di cultura Defelice. Attraverso l’esame dei suoi tanti scritti Cauchi ci mostra, dalla gioventù alla maturità, la valenza artistica ma anche umana di un uomo che ha lasciato crescere la sue radici in Calabria, ma ha curato la pianta altrove e in modo così attento e nel rispetto della sua radice, benché lasciata lontana. L’opera del Cauchi è consistita, come egli stesso dice nella presentazione, nell’assemblare il numeroso materiale su di lui, forse tradendo qualche emozione. Aggiungo che è normale che vi sia stata emozione, altrimenti senza di questa non si parlerebbe di amicizia e di dono fatto all’amicizia. Scrivere è già cosa difficilissima: farlo poi per raccontare un amico, diventa ancora più complicato ed emozionante. Deve essere sincero, non affettato, non tradire emotività alcuna, scegliere le parole giuste e non ruffiane. Nel sottotitolo il Cauchi definisce il Defelice “mite e feroce”. Ma i due aggettivi devono essere considerati e lo sono stati, credo, con un’accezione diversa. Quella cioè di mite perché indulgente, anche se fortemente critico; e quella di feroce perché impavido. Egli infatti non le manda a dire: le dice scrivendole senza paura, le cose che non gli piacciono. Il lavoro del Cauchi di oltre 350 pagine, è alquanto completo anche nella parte concernente l’ appendice, la bibliografia e i lavori di critica artistica pittorica. Quest’ultima non secondaria agli interessi del Defelice, che ha avuto contatti con diversi significativi pittori e scultori. Interesse e passione per la pittura e il disegno, il cui cimento personale non è da meno a quello di poeta e scrittore. Buona mano la sua, oltre che nelle lettere anche in pittura e grafica, con una ricerca formale del tutto personale e riconoscibile. Ciò nonostante, per la na-


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turale ritrosia a qualsiasi forma di esibizionismo estetico, Defelice evita di mettersi in eccessiva evidenza, ma ci regala fortunatamente qualcosa della sua arte in tutti i numeri della sua Pomezia-Notizie. Rivista culturale, avanti a tutto, fondata e da lui diretta da circa cinquant’anni. Il lavoro del Cauchi si affianca ad altri già esistenti sulla figura artistico- letteraria di Defelice, ma nel contempo si distingue per la sua impostazione, nella quale si avverte, nella scrittura, non la fredda cronaca del tempo speso per l’arte dal Defelice, ma un ben più definibile afflato ce lo unisce all’uomo Defelice, più che al poeta. Salvatore D’Ambrosio

ISABELLA MICHELA AFFINITO LUOGHI PERSONALI E IMPERSONALI Brignoli Edizioni, 2018 - Pagg 128, € 18,00 “Luoghi Personali e Impersonali” di Isabella Michela Affinito è un volume molto ricco, comprende, infatti, poesie in lingua italiana, poesie tradotte in lingua napoletana dal poeta Luciano Somma, di cui viene riportata anche un’intervista, tante foto dell’autrice e nell’ultima parte il ricordo di Massimo Troisi, insieme ad alcune recensioni sui film: “Che ora è?” E “La finestra di fronte”. Nella prima parte la poetessa ha dato molto spazio alle emozioni intime e ai pensieri, quelli che fluiscono con semplicità dalla mente: “Il pensiero è la mia casa, la mia aspirazione, è il centro di ogni origine...”. L’ autrice si è messa a nudo, impreziosendo i versi parlando dei suoi luoghi interiori, quelli più inaccessibili. Tanti i temi affrontati: l’infanzia, il viaggio, l’arte dietro a cui, però, spunta sempre la speranza, la speranza di qualcosa di nuovo, di travolgente che l’Affinito sazia nel susseguire dei versi, nello sviluppo dirompente della sua arte: “Vorrei far parte del gruppo più felice,/ quello che grida puntando/ sul cerchio del tramonto”. Ricorda il Natale, durante il quale si dovrebbe sentire di più l’abbraccio umano, quello autentico e rassicurante: “Il Natale unisce e riannoda/ i fili della speranza/ tagliati quando l’umanità/ si smarriva nell’ego e ciecamente/ inseguiva la stella del suo avere”. Con le parole riesce a determinare il colore dell’assenza nella sua romantica solitudine e a descrivere l’infanzia dorata in cui sognava le fate. I suoi versi dallo stile elegante, sono colmi di solitudine, ma anche pieni di desideri, di passioni e di creatività. La poetessa prende ispirazione guardando il mondo dalla sua finestra ed i componimenti rammentano il passato e le persone che hanno lasciato in lei il loro ricordo. Ma

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quando immagina se stessa lo fa pensando all’ assenza di solitudine e ad una condizione di avanguardia rispetto all’ambiente circostante: “Se fossi un quadro vorrei trovarmi/ in una situazione unica/ senza solitudini in agguato,/ il disegno innanzitutto come base/ dovrà farmi sentire all’avanguardia/ tra Futurismo e scienza”. Dunque, nelle poesie vi è una spinta alla positività, alla vita e alle bellezze della natura. Anche la poetessa ha percorso molta strada per arrivare nel suo luogo personale, che sembra quasi un traguardo, dal quale, però, riparte più consapevole, tra le braccia della sua arte, tanto amata e dalla quale prende la linfa vitale. Manuela Mazzola

GIANNICOLA CECCAROSSI QUANDO IL TEMPO VERRÀ FRAGILE COME LA LUNA Prefazione di Emerico Giachery; Ibiskos Ulivieri Editore, 2019, Pagg 55, € 12,00 Solo su questo lido Il mistero dell’essere, della vita e della perdita, tutto questo è racchiuso nei versi di Giannicola Ceccarossi. Il poeta si pone alcuni interrogativi che nascono nel suo animo e che vengono, forse, risolti in senso catartico, nel naturale divenire dei versi. Giannicola, figlio di Domenico, grande musicista solista, nasce a Torino e dopo una carriera manageriale, comincia a dedicarsi alla poesia. Dal 1967 pubblica ben diciotto raccolte di poesie, vincendo numerosi premi e riconoscimenti. Nella silloge “Quando il tempo verrà fragile come la luna” si avverte un senso di smarrimento dovuto alla perdita dei genitori dai quali è stato tanto amato, di quell’ amore che protegge e cura l’essenza del tutto. E’ una perdita che rende orfani a qualsiasi età, infatti il poeta si chiede: “Se quei fantasmi/ che vivono accanto a me/ mi diranno dove andare/ o dove ritrovare me stesso/ tornerò fanciullo/ e tornerò ad ascoltare/ i sogni dalla bocca di mio padre/ e scorgere/ il sorriso malinconico di mia madre”. Inoltre la descrizione della natura addolcisce e rende meno amara la sopravvivenza con i suoi verdi baccelli, i canneti, le pernici, i fringuelli e la magnolia. Ed è proprio nella natura che avviene una sorta di comunione spirituale: “La pioggia fitta mi benedice/ e avverto essenze/ di humus e piante/Sono felice e sorrido/ sta smettendo/poche lacrime e poco vento”. Nell’articolo apparso su Pomezia-Notizie del febbraio 2020, Marina Caracciolo afferma: “Soltanto questo incanto riesce a distogliere la mente del poeta dagli affanni e dagli assilli esistenziali, a disten-


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dere la sua fronte pensosa per consentirgli di guardare il cielo, gli alberi, gli uccelli quasi con la medesima confidente serenità della giovinezza”. La sua, dunque, è una natura che lo accompagna, che lo rende meno solo e che lo induce alla riflessione intima e al dialogo con il proprio corpo, soprattutto mediante il senso del tatto. Il tatto che, attraverso le terminazioni sensitive della pelle, permette di riconoscere la forma, la consistenza e le caratteristiche degli oggetti, ma anche e soprattutto le persone che il Ceccarossi ama e dunque le braccia diventano, nelle sue poesie, il simbolo del gesto affettuoso ed amorevole di un figlio che ha perso i suoi genitori e con essi molto altro. Nelle liriche si avverte il senso di una solitudine subita per assenza di affetti, un isolamento ricercato dal momento in cui i punti di riferimento del poeta sono venuti meno. Il termine “solo” ricorre molto spesso, come unico e singolo, divenendo un’iperbole, per dare un tono più acuto ed amplificato ad un’immagine o ad un concetto: “Solo di giorno [...] sia solo un granello di sabbia [...] saranno solo d’amore [...] solo su questo lido [...] solo un sogno [...] resta solo l’amore”. Sembra ci sia un’esclusività che è solo per pochi, forse per i suoi genitori che lo hanno tanto amato e la conseguente stima che è nata nei loro confronti come individui unici. Nella prefazione Emerico Giachery scrive: “ Un cammino che per lo più si snoda e sviluppa in uno spazio solitario, estraneo a poetiche e tematiche imperanti, in un raccoglimento interiore fatto di attese, di interrogativi, di ascolti”. E’ vero il poeta crea un suo personale spazio, nel quale il tempo appare fisso, immobile ed il luogo sembra sia quasi metafisico, che va, dunque, al di là di tutto ciò che è tangibile e naturale, eppure dall’uso che il Ceccarossi fa dei termini che riguardano il corpo, che appaiono ben trentasei volte (occhi, mani, bocca, dita, gola, capelli, braccia, testa, cuore, schiena, ciglia, palmo, volto e viso) sembra che l’unico modo che egli stesso ha di vivere, amare sia quello che passa dal corpo e per mezzo del corpo, con un abbraccio, con una stretta di mano, un bacio, una carezza e quando la fisicità manca, inizia per il poeta la sofferenza, da cui deriva la sua inconsolabile solitudine. La sua è una solitudine che non si sazia e rimane nei giorni, nelle assenze e negli interrogativi che il nostro si pone: “Come posso dimenticare? [...] Dov’è il sole? [...] Fino a quando porterò questa croce?”. La sensibilità di Domenico Ceccarossi si mostra in tutta la sua trasparenza e si apre agli interrogativi che solo un’anima profonda può chiedersi. Le liriche sono tanto delicate quanto umane.Il poeta traspone emozioni e sentimenti che sono umani, nel senso che appartengono universalmente a tutti gli uomini e le donne, ma ciò che li rende però unici, è

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lo stile singolare grazie anche ad un linguaggio chiaro e semplice, unito alla scelta di usare pochissima punteggiatura, la quale mette in risalto alcuni versi, lasciandone altri fluttuare con più libertà nella lettura e nell’interpretazione. Ed è in questa libertà che l’immagine del poeta si delinea con forza, tra il ricordo, la nostalgia e la solitudine, mentre aspetta nella luce dell’alba la speranza di un nuovo giorno. Manuela Mazzola

ANNA VINCITORIO IN TEMPI DIVERSI IL MIO RITORNO Antologia critica a cura di Carmelo Mezzasalma Blu di Prussia, 2020, pagg. 244. Anna Vincitorio, una scrittrice di lungo corso, plurale, eclettica e versatile. Si presenta sulla scena con un libro in chi riassume le voci dei più noti critici che hanno dato voce alla sua scrittura, ben fatto per impaginazione, veste grafica, caratteri, copertina, che, edito da Rebecchi per i tipi di Blu di Prussia, ci fa da prodromico avvio ad una lettura di cospicua valenza critica. Molti i nomi che hanno accompagnato la scrittrice nel suo proteiforme percorso scritturale: Anna Balsamo, Paolo Valesio, Giovanni Cristini, Duccia Camiciotti, Paolo Ruffilli, Vittorio Vettori, Oreste Macri, Giorgio Barberi Squarotti, Giancarlo Oli… Una monografia storica che divisa in: Prefazione, La parola verso l’anima, Esistenza e racconto, Racconti, In Antologia, Antologia poetica, Poesie inedite, Traduzioni, Bibliografia, Premi, Autori, tocca tutta la sua produzione e il rapporto con gli autori che hanno scritto o hanno beneficato del suo apporto recensivo. Molto il materiale inedito, anche, a incrementare un’ ulteriore conoscenza sul suo operato. Ma mi piace, tra gli altri, riportare il breve giudizio che G. Barberi Squarotti ha scritto per lei: “Cara e gentile Vincitorio, leggo le sue poesie di dolore e di tragedia con piena partecipazione: sono appassionate e vere, sono una straordinaria lezione morale nell’orrore della storia e nell’indifferenza della cronaca”. D’ altronde la Vincitorio è famosa per sapere adattare il linguaggio ad ogni tipo di scrittura: poetica, critica, narrativa; grande traduttrice dal francese e dall’ inglese ha dato luce a diversi testi stranieri. Troppo lungo sarebbe citare il numero di opere uscite dalla sua infaticabile penna. Ma una cosa va subito detta: Anna è una donna generosa, disponibile, sempre pronta a scrivere per autori che le chiedano prefazioni, commenti o recensioni; e grande valore assumono gli scritti che riportano la sua firma. Un’amica che sa valorizzare l’altrui produzione, con tatto e intelligenza, con modestia e umiltà. Da


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lei puoi ricevere parole buone, affettuose, che ti caricano, incrementando il valore e la voglia di scrivere. È sufficiente ascoltarla mentre legge le sue poesie per capire la grande anima di questa scrittrice. Tra le sue molte poesie mi piace riportarne una tratta da Sussurri del 2013: Sul verde colle calano in fuga uccelli, ali spiegate che feriscono il cielo. Quale l’auspicio Trascolorano in dissolvenza gli eroi del mito. Inganno ed innamoramento, nessun visibile legame. Una tela di ragno accattivante, infida soffoca il sole nella rete. Un cospicuo testo, di ben 244 pagine, in cui la poetessa include tutta la sua storia, rammentando compagni d’avventura che hanno giocato ruoli più o meno determinanti nella sua vita di scrittrice e non solo. La prefazione di Carmelo Mezzasalma ben ci avvia alla lettura del testo. “…E quando Anna, qualche anno fa, mi ha chiesto, per vera amicizia e stima, di raccogliere e ordinare tutto quel materiale “critico” che, per circa trent’anni, ha seguito, con altrettanta partecipazione e attenzione, la sua fatica letteraria, dopo qualche esitazione, non ho potuto dire di no. E tanto più che, a scorrere anche velocemente le firme di quegli interventi critici sulla sua poesia, c’erano anche i nomi di una stagione letteraria irripetibile e che io stesso avevo conosciuto per la loro grande serietà con la quale vivevano la vita letteraria, a Firenze come altrove. Erano nomi che di sicuro non perdevano tempo con il primo venuto o con testi indecisi o dilettanteschi. Da Paolo Valesio a Gianni Cristini, da Ferruccio Masini a Gaetano Salveti, da Giorgio Bàrberi Squarotti a Paolo Ruffilli, Claudio Magris, Gian Carlo Oli…”. Credo che queste poche righe tratte dalla prefazione siano sufficienti a mettere in risalto il posto che a lei spetta in questo mondo di letterati improvvisati, e leggere la prefazione per intero significa illuminarsi sugli ambienti fiorentini e oltre che hanno formato la statura letteraria di Anna Vincitorio; significa, soprattutto, riconoscere, al fine, quello che a lei spetterà nel prossimo futuro. D’altronde sono i fatti che contano più delle parole. Nazario Pardini Da Alla volta di Leucade

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MAURIZIO AGAMENNONE SU DANIELE PARIS Storie e memorie di un direttore d'orchestra Libreria Musicale Italiana, con allegato un CD, Lucca, 2009, Euro 40,00 (in rete Euro 34,00). Ringrazio qui pubblicamente il prof. Maurizio Agamennone che, da me contattato per via della colonna sonora del Documentario Storico l'Età di Stalin, mandato in onda dalla RAI nel 1962, con regia di Liliana Cavani e colonna sonora di Daniele Paris, mi ha inviato in tempo reale questa sua opera, consentendomene la recensione. Egli, nato a Cassino in provincia di Frosinone nel 1955, ha un ricchissimo percorso di studi, consultabile in rete, con titoli musicali di vero livello, ed attualmente insegna come Docente Ordinario Etnomusicologia nel Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS) presso l'Università di Firenze: le sue pubblicazioni danno una risposta investigativa ed interpretativa alla storia della musica popolare delle zone meridionali d'Italia, come Musica e tradizione orale in Salento, dato alle stampe per Squilibri nel 2017 (con 3 CD che raccolgono le registrazioni di Lomax e Carpitella del 1954), come Viaggiando, per onde su onde. Il viaggio di conoscenza, la radiofonia e le tradizioni locali musicali nell'Italia del dopoguerra (1945-1960) del 2019, al Varco le soglie e vedo. Canto e devozioni confraternali nel Cilento antico. Con CD audio (2019) e tanto altro ancora. Qui si tratta di un prezioso lavoro di etnomusicologia organizzativa trasversale in Italia, il primo in assoluto su Daniele Paris,(Frosinone 21 novembre 1921 – Alatri (Fr.) 16 agosto 1989), musicista, compositore, direttore d'orchestra e fondatore del Conservatorio 'Licinio Refice' di Frosinone. Infatti il prof. Maurizio Agamennone in 'su Daniele Paris – storie e memorie di un direttore d'orchestra' offre in copertina una bella foto del protagonista proprio del 1988, in maglione e sigaretta in bocca, a pochi mesi dal fatale evento e ne esplora la vita, investigando tutti i possibili documenti presenti in archivi e nelle teche della RAI, nelle registrazioni e nelle memorie indelebili di chi ha incontrato il Maestro Paris e se ne è lasciato affascinare, ed arricchisce questo suo lavoro monografico con Un contributo critico, sezione che coglie in diretta la testimonianza di Tonin Tarnaku (Daniele Paris, il G.U.N.M. e gli albori delle 'Settimane Internazionali Nuova Musica' di Palermo attraverso l'Epistolario Titone- pp. 243-268). Di seguito inserisce, tra le vaste possibilità di testimonianze disponibili, alcune riflessioni memoriali da lui provocate per completare il contesto della monografia. Ecco allo-


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ra la sezione Le testimonianze (pp. 269-300) presentate da importanti colleghi ed allievi del Maestro e, dice l'Autore, '… raccolte espressamente per questo volume' (M. Agamennone, op. cit. pag. 269): Francesco Belli (Sentirsi musicisti piuttosto che esecutori)/ Paolo Emilio Carapezza (Palermo, maggio 1959-dicembre 1968)/Serena Facci (Daniele, Alberto e il progetto AMOF)/Giovanni Fontana (Immagina)/Gerardo Iacoucci (Sacro e profano: la musica jazz nel Conservatorio di musica di Frosinone/Mario Messinis (Ricordando Daniele Paris)/Ennio Morricone (Una certa sua tristezza)/Stefano Reali (Percorsi possibili)/Carlo Siliotto (Il mio Maestro)/Massimo Turriziani (Ed è così che...)/Roman Vlad (Con spirito di servizio e rara abnegazione). Da qui sono partita per esplorare il cuore pulsante di tutto il lavoro e lasciarmi poi contaminare dai contenuti, ricchissimi, di tutta l'opera, che così si snoda all'approccio, che deve essere appassionato: Presentazione (Tarcisio Tarquini, Presidente del Cons. 'Licinio Refice' di Frosinone e Antonio Andò, Direttore del medesimo, pp. 7-9); Introduzione, (pp. 11-15), nella quale il prof. Agamennone sostiene: “A vent'anni dalla scomparsa di Daniele Paris lo scenario culturale del Paese e del mondo è mutato profondamente. È caduto il Muro di Berlino e con esso è imploso un intero sistema politico e sociale. Si è quindi affermato un impetuoso 'turbocapitalismo' che sembra essere anch'esso in affanno, con la recente crisi economico-finanziaria internazionale. In Italia, se possibile, certe trasformazioni appaiono ancora più clamorose: molti giornali che avevano seguito con attenzione le imprese del Maestro sono chiusi da tempo, travolti dalle disavventure dei gruppi e partiti politici che li sostenevano... L'arretramento del sistema pubblico -dello stato e delle autonomie- nella ricerca, formazione, cultura e spettacolo dal vivo procede spedito, in maniera specularmente opposta a quanto accaduto nella vicenda umana e professionale di Daniele Paris: proprio la formidabile espansione della presenza pubblica -dello stato e delle autonomienella cultura e nella formazione gli ha consentito di mettere in atto imprese che non è esagerato definire 'titaniche' e oggi, forse, sarebbero impensabili... Se c'è un filo rosso che tiene insieme le sue imprese, si può rilevare nell'aver saputo individuare, alimentare, condividere le aspirazioni di gruppi dinamici e motivati, rappresentarle e trasformarle in progetti concreti su cui impegnarsi appassionatamente, aggregarsi, fare valore aggiunto del gruppo consapevole e tenace...Daniele Paris è stato un costruttore: ha aperto piste, spazi, ha allestito occasioni e opportunità, con una autorevolezza rara che riusciva

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ad attrarre consensi da attori numerosi, spesso schierati su posizioni assai diverse, che altrimenti sarebbero rimasti in conflitto reciproco, inerti...” (M. Agamennone, op. cit. pp. 11-12). Segue l'insieme vivo e valido con la grafica in lettere minuscole voluta dall'Autore: su Daniele Paris - storie e memorie di un direttore d'orchestra. L'ambiente della giovinezza e la famiglia (pp. 1923); La formazione (pp. 25-28); Le prime esperienze professionali (pp. 29-41); Visioni palermitane (pp. 43-70); Neoconsonanze romane (pp. 7189); Storie veneziane (91-121); Tre misteri 'scandalosi' (pp. 123-135); Non di soli festival (pp. 137181); Una inaudita associazione musicale operaia (183-209); Il Conservatorio di Musica (211230). A questo intenso percorso di vita e d'esperienze su Daniele Paris, l'Agamennone fa seguire Riferimenti bibliografici (pp. 231-241), gli altri due ambiti citati in apertura, proprio perché un libro va vissuto secondo la misura interiore di chi legge, e Le Immagini, sezione assai interessante che, come egli specifica, contiene 'materiali promozionali (pieghevoli, programmi di sala, volantini, cartoncini di presentazione) concernenti concerti e spettacoli teatrali. Sono anche comprese alcune testimonianze di corrispondenza con interlocutori a lui particolarmente vicini... Le immagini proposte provengono da documenti raccolti prevalentemente presso gli archivi privati di Mauro Paris, di Clementina e Francesca Martinez Paris...' (M. Agamennone, op. cit. pag. 301). Ovviamente ho approfondito, dato il breve tempo a mia disposizione, prima di tutto la sezione Non di soli festival, per sondare le prime fasi della collaborazione tra Paris e la regista Liliana Cavani, con la quale, oltre ai documentari per la RAI, compreso Storia del Terzo Reich, pure del 1962, firmerà le colonne sonore di Milarepa (1973-74), Il portiere di notte (1974) Al di là del bene e del male (1977). Spiega il prof. Agamennone: “..In questa nuova avventura Paris accompagna diverse fasi della creatività della Cavani: dalla ricognizione sulla spiritualità tibetana, all'indagine intorno alle pulsioni emotive ed erotiche che si innescano nel violento e fatale rapporto che unisce vittima e carnefice, fra passato che riemerge prepotentemente e passioni irresistibili, fino alla descrizione di alcuni aspetti della vita di Nietzsche, nel riferimento ad uno dei lavori composti dal filosofo tedesco nell'ultima parte della sua vita. Particolarmente felici appaiono soprattutto le musiche per 'Il portiere di notte' -il film della Cavani che ha avuto il massimo successo internazionale- con il motivo di valzer lento del tema principale che ricorre diversamente


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strumentato: per ensemble nei titoli di testa e coda (in una singolare orchestrazione, con incipit per clarinetto, contrabbasso pizzicato e banjo), per clarinetto e tromba con sordina, fino a una allucinata versione per sassofono solo, durante il tragico epilogo...” (M. Agamennone, op. cit. pag. 171). Mi ha molto coinvolto anche il periodo nel quale Paris apre alla cultura musicale dell'avanguardia le porte di Palermo e dei suoi intenditori, siano essi studenti universitari o professionisti cioè al Gruppo Universitario per la Nuova Musica -sigla G.U.N.M.-: qui si profila per me un'avventura infinita perché Paris ha diretto anche le musiche di Luigi Nono, di cui andrò in altro momento a dettagliare scelte e riscontri di critica. Così inciampo in Mario Bortolotto, del quale già avevo fatto cenno per via di alcune incomprensioni con il GiGi veneziano e l'intenso ruolo di 'paciere' svolto da Massimo Mila, ma meglio è lasciar la parola al Nostro: “... A Daniele Paris si riconoscono largamente alcune capacità che cominciano a definirsi: scrupolo, metodo, rapidità ed efficacia di concertazione, nonché grande memoria; d'altra parte la capacità di Paris di memorizzare rapidamente partiture molto complesse -risorsa irrinunciabile per qualsiasi direttore di razza- è confermata da tutti coloro che, nel tempo, hanno avuto modo di lavorare con lui...” (M. Agamennone, op. cit. pag. 45). Ritorno alla Età di Stalin, presente in rete in tre parti, alla ragione per la quale mi sono legata con gancio stretto a Daniele Paris, a questo compositore modernissimo, alle sue strutture melodiche che ti entrano dentro quando, nel silenzio di tutto il resto, sottolineano il contatto visivo con documenti e testimonianze fotografiche a segnale d'una violenza lacerante perpetrata da Stalin e dai suoi collaboratori-sudditi senza volto, su gente inerme, stremata dalla fame, dalla miseria, dalle malattie, su deportati spossati dalle fatiche fisiche e dalla barbarie assassina delle loro guardie-carnefici: si tratta di un conto che arriva a circa dieci milioni, dico dieci milioni di vittime in un Popolo che vanta matrici di nazionalità, d'arte, di lingua e di cultura tra le più antiche e prestigiose, silenziosamente devote al rispetto della Terra, della Spiritualità e della Gente. Su tutto ciò allora, dopo il costruttivo contatto con questo testo dell'Agamennone, ritornare nuovamente a Dmitri Hvorostovsky e al suo Kak Molody My Byli consentirà una purificante metamorfosi, metànoia lenta ma necessaria, della riflessione storica, dell'ascolto e della partecipazione empatica con chi, del Popolo e dalla parte del Popolo, lascia nell'arte, che è vita, segni indelebili. Ilia Pedrina

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PRIMAVERA, QUEST’ANNO NON TI HO VISTA Primavera quest’anno stai passando senza ch’io ti veda, da mesi prigioniero nel mio studio. L’albero che sta sotto la finestra irto, intristito, duro, da giorni ingentilito, si dondola alla brezza, i suoi rami trasudano bocci. Mi ferisce, se ai vetri mi accosto, l’asfalto spettrale da soli cani calpestato, rari pedoni mascherati e qualche macchina. I bimbi - e ce n’eran già pochi ora son del tutto scomparsi. Gelido, metafisico regna l’ectoplasma della pandemia. Eppure, dietro il cumulo di case, s’indovinano campi fioriti, uccelli e, sullo sfondo, un mare verdastro, vasto, coronato di spuma bianca, pettinato dal vento. Primavera, quest’anno non ti ho vista! Domenico Defelice PER VALLI D’INFINITO Hai attraversato mille e mille valli d’infinito. Ti chiedo se hai memoria del nostro sole che bussava alle finestre ogni mattina, se in altri giardini raccogli pampini avvizziti e pensi al vino santo che c’infiammava il viso, se ricordi i tuoni di febbraio che spaventavano anima e sangue portando via la luce delle case:


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ci facevano tremare le mani su ceri appena accesi che ingigantivano ombre alle pareti. Ti chiedo: hai ancora voglia di seguire la luna nel cammino mentre sogni aiuole di pansé che rubano velluto a mezzanotte? Quando s’andava insieme c’era abbondanza di umanità nel tuo cuore, perciò ti amavo, spropositatamente. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019.

Se soffia il vento

D. Defelice: Il microfono (1960)

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Se soffia il vento e la tempesta l’incendia, attraverso la notte. Sono pellegrino di mare grido di gabbiano perduto. Lontana è la terra della mia attesa. Gianni Rescigno Wenn der Wind weht Wenn der Wind weht und der Sturm ihn entzündet, gehe ich durch die Nacht. Ich bin ein Seepilger, ein Schrei einer verlorenen Möwe. Weit weg ist das Land meines Wartens. (Gianni Rescigno, da Le foglie saranno parole, 2003, traduzione di Marina Caracciolo)

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COVID 19, PANDEMIA - L’unica notizia - scrivevano nel numero scorso - è quella che riguarda questo maledetto corona virus. Ed è ancora Covid 19, purtroppo, a dominare in questi tristi giorni sulla faccia della terra. Il nostro duro intervento è apparso anche su altre testate e ha suscitato echi vari. D’altronde, poteva non avere rilevanza ciò che riguarda una pandemia che ha provocato migliaia e migliaia di morti e messo a nudo ipocrisie delittuose e diffuse incapacità gestionali indegne di una società che vuol essere avanzata e civile? Tricolore esposto da balconi e finestre, proiettato su monumenti e palazzi; minuti di silenzio; inno nazionale cantato e suonato: tutto bello, tutto edificante, ma tutto, anche, assai ipocrita e vuoto, giacché non seguito da comportamenti consoni; pandemia e miseria non si combattono e si vincono con slogan, atteggiamenti simbolici e sventolio di bandiere. Il popolo, in genere, s’è comportato bene, tranne rari individui che hanno continuato a manifestare la loro innata anarchia; lo Stato, invece ha annaspato, aggravando situazioni già drammatiche, caparbiamente stretto dai lacci della burocrazia, s’è perso in chiacchiere inutili, in provvedimenti insufficienti, estemporanei e caotici: edicole aperte, ma non si può uscire a comprare il giornale; tutti debbono stare tappati in casa, ma si può portare il cane a far cacca e pipì; i bambini, alla stregua dei cani, possono uscire accompagnati da con un solo genitore ma non allontanandosi dal palazzo; parchi chiusi e campagne irraggiungibili, sebbene morti e infettati


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da corona virus son quasi tutti negli agglomerati, nelle case di riposo, non già tra il verde e sotto gli alberi e, a dirlo, non siamo i soli: lo studioso indiano Parag Khanna, per esempio, afferma - Il Messaggero di venerdì 3 aprile - che “Il virus colpisce le grandi città” e che, perciò, “bisogna reinventare le aree rurali”. Gli interventi in aiuto di una popolazione stremata e stressata si son dimostrati palliativi. È una vera e propria diarrea di parole quella che si rovescia giorno e notte dagli schermi televisivi; scarsi, invece, quasi inesistenti i fatti concreti. A penare maggiormente è la povera gente che ha perso il lavoro, spesso precario, in nero, gente che neppure risulta nell’elenco di coloro che si intendono aiutare. Quando saremo fuori dalla pandemia, l’Italia sarà un vero e proprio deserto e quelli che non saran morti di Covid 19 moriranno di stenti. Chi continuerà a gozzovigliare, saranno i soliti caimani finanziari che tengono nei propri portafogli più del novanta per cento della ricchezza mondiale. Uno scandalo planetario, il vero peccato mortale. Domenico Defelice Ecco, di seguito, qualche altro intervento sull’ argomento e qualche eco di amici e collaboratori del nostro mensile. CITTÀ AL TEMPO DEL CORONAVIRUS Simona Bellone ambasciatrice culturale e presidente dell'Associazione culturale caArteiv di Millesimo (Savona) apre l'attenzione di tutti ed invita a partecipare al concorso gratuito CITTA' AL TEMPO DEL CORONAVIRUS inviando una o più opere realizzate personalmente o con amici e parenti, (senza limiti di età), scegliendo fra poesia racconto pittura scultura e fotografia, sul paese o città di residenza o domicilio entro il 31/5/2020 alla e-mail simona.bellone@gmail.com e caarteiv.italia@ gmail.com Ulteriori informazioni sono sul sito www.caarteiv.it Verrà pubblicato un video per ogni opera pervenuta a votazione pubblica in youtube e giuria interna caArteiv, nel canale youtube caarteiv italia https://www.youtube.com/user/caarteivitalia Ed ecco la poesia di Simona Bellone che, ispirata dalle dure condizioni di vita improvvisamente calate sulle persone, i valori, le relazioni, lasciando la mente oscillare tra sospensione da sogno e realtà inconcepibile alla quale adeguarsi, con il fiato trincerato dietro mascherine dall'effetto devastante per la loro parte, apre il territorio di questo Concorso: Città al tempo del Coronavirus Silente il cammino si fa lento a cercar fra i profili delle case almeno la scia di un'ombra vivente oscillando nella culla plumbea sotto un cielo che argenteo piange.

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Non c'è più suono vitale d'animale non c'è più lo stridere di bimbo in culla non cigola neanche una ruota giocosa né rimbomba una voce senile che dal parco sorrideva al sole. Dai balconi solo luce velata che di tepore timida giace ed invita a celar la vesta al nemico che nessuno può vedere invano che nessuno può trafiggere fiero. Par che l'aria sappia di metallo pesante del suo fardello ignoto che da lontano è pur venuto per catturar ogni debole fato spento dall'inganno del fiato. Corrono sfuggenti poche auto nel vento poiché tutto è chiuso anche il tempo non più respira di fantasia questa lunga attesa confusa fra anime rinchiuse nella speranza. @Simona Bellone 13 marzo 2020 Auguro a questa iniziativa che porta sulle sue spalle il peso di una lotta contro ombre severe di scelte le cui matrici sono ancora avvolte nella nebbia, per la considerazione consapevole dei più, un successo di ampio e pieno respiro, affinché tutti noi, pur indirettamente, possiamo entrare nel cuore dei partecipanti e nel ritmo dei loro passi d'arte, che li faranno sopravvivere. Ilia Pedrina “LE PAROLE A COMPRENDERE” E IL CORONAVIRUS Vi chiederete cosa c’entra il libro “Le Parole a comprendere” di Domenico Defelice con il problema del coronavirus? Leggendo sul Messaggero del 16 marzo ’20 l’articolo in prima pagina di Mario Ajello ho trovato il riferimento al Crocifisso, citato sia nel libro di Defelice che nel presente articolo, che riporto parzialmente qui: “Che fu quella Papa Adriano VI regnante, a sua volta uno straniero, chiamato anche Adriano di Utrecht e riformatore mancato - da cui impugnando il miracoloso crocifisso ligneo ora venerato da Bergoglio partirono continue processioni, addirittura per 16 giorni, dal 4 al 20 agosto del 1522, lungo le strade di Roma. Il Cristo in croce doveva spegnere la grande peste che infuriava nell'Urbe e pare che ci riuscì. Visto che mentre procedevano le sue apparizioni nei quartieri appestati, piano piano il morbo cominciò a mollare la presa. Fino a sparire. E da lì, ma anche prima, perché pochi anni prima il crocifisso si era miracolosamente salvato dall'incendio divampato nella chiesa nel 1519, cominciò il culto per questo oggetto sacro custodito a San Marcellino.


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Chissà se il prodigio si ripeterà.” E alla fine dell’articolo Mario Ajello dice a proposito del Papa: “Che ha affrontato i divieti come accadde allora e ha sfidato la ragione come cinque secoli fa.” Defelice esprime nel suo libro il dolore verso la dissacrazione dei simboli religiosi nella poesia Le sue ossa hanno infranto (“Osso di lui non sarà infranto”/ dicono le Scritture./ Nelle Chiese di Roma/ - Golgota dei nostri giorni - / infranto hanno e calpestato Tua Madre,/ divelta la Tua Croce./ Con mazze pesanti selvaggiamente/ devastato hanno il Tuo Corpo/ Cristo affranto, tribolato, vessato:/ tranciati di netto la Tua testa/ il bacino, le gambe, le braccia…”). Il poeta nella sua sensibilità prova anche un senso di colpa per non essere stato capace lui stesso di impedire tale scempio: “Perdonaci. Signore, perdonali /Né sappiamo, né sanno ciò che fanno.” (pag.33). E a pag. 34 nella poesia Quei tuoi occhi fissare pietosi viene descritta la distruzione della statua della Madonna di Lourdes. Fatti avvenuti Sabato 15 ottobre 2011, nella Chiesa dei Santi Marcellino e Pietro di Roma: un crocifisso e la statua della Madonna di Lourdes sono stati devastati a colpi di mazza da alcuni violenti black bloc. Una riflessione viene spontanea: Papa Francesco sta sfidando le regole, ora come allora, tenendo aperte alcune Parrocchie di Roma e facendo processioni come Papa Adriano VI con una differenza che in questi tempi il crocifisso, a cui ci stiamo raccomandando per la fine della pandemia da coronavirus, è stato oltraggiato e vilipeso dai black bloc. Tutti i romani devono sentirsi colpevoli per non aver potuto impedire quest’oltraggio al Crocifisso e, pertanto, dovremmo mostrare un vero pentimento con una maggiore assiduità nella preghiera e con una vera conversione dei cuori, sperando di essere perdonati e di ottenere la grazia per la fine di questa pandemia! P.S.: le riflessioni valgono per questi tempi difficili del coronavirus, anche se le Chiese non sono le stesse. La Chiesa di San Marcellino profanata dai black bloc si trova a via Labicana, mentre la Chiesa di San Marcellino, dove sono andati Papa Bergoglio e Papa Adriano VI si trova a via del Corso. Giuseppe Giorgioli L’anno del ”coronavirus” Abbiamo avuto, quest’anno, un inverno anomalo: neve solo sulle montagne (Alpi), scarse piogge, freddo moderato e diverse giornate di sole. A febbraio già si vedevano, sui prati, lungo i bordi dei rivi e per i viottoli di campagna, margheritine e primule gialle e si sentiva, nell’aria, il profumo delle mammole nascoste, per lo più, sotto le siepi, tra le foglie morte. Eravamo ottimisti, pieni di speranza:

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si prevedeva una primavera all’insegna del sole, delle giornate più lunghe e luminose, del risveglio, con quello della natura, dei nostri cuori. Le previsioni, i nostri desideri sono rimasti delusi: d’improvviso ci è giunta una notizia tragica, drammatica: nella Cina si è diffuso un virus, il ”coronavirus”, contagioso, che ha già causato malati e morti. Il terribile virus si è diffuso, in brevissimo tempo, in tutto il mondo, anche nella nostra Italia, risultata seconda dopo la Cina, per contagi e morti. Sono scattati, immediatamente, le regole, i divieti: chiuse tutte le strutture, tranne i negozi di alimentari e le farmacie, chiuse anche le scuole; evitare i contatti ravvicinati, gli assembramenti, sempre per non avere contagi; mascherine per tutti, massima igiene, soprattutto lavare spesso le mani. Non si può viaggiare, non si può uscire di casa, sempre per evitare i contagi. Gli esperti, i medici si stanno dando da fare per trovare un medicinale che annienti il virus. Le loro ricerche, però, richiedono tempo. Riusciranno a trovare il rimedio? Siamo in attesa, in trepida attesa. Siamo scoraggiati, ma decisi a non arrenderci, a resistere, a dimostrare che siamo italiani e che abbiamo ereditato il coraggio, la saggezza e la perseveranza degli “antichi Romani”. Antonia Izzi Rufo Giuseppe Giorgioli, il 23 marzo 2020: (…) Con l'occasione ti dico che ho letto il tuo articolo sul Pontino. Devo dirti che sei stato grande! Belle osservazioni. Il discorso dell'Italia è stato affrontato sul messaggero del 18 u.s. da Alessandro Campi "il neo-patriottismo diventi quotidiano". Se questa emergenza diventasse un'occasione per riscoprirci veramente italiani e superare tutti gli egoismi nazionali (discorso della Padania), europei e mondiali (conflitti Russia, U.S.A., Cina, Iran ecc...) ben venga questa lezione all'umanità! saluti Giuseppe Ilia Pedrina, da Vicenza, il primo aprile c. a.: Si, carissimo, grazie con tutto il cuore per questo tuo, vostro grande esempio di lealtà e di coraggio, anche dopo la durissima prova che ha colpito te in particolare, ora in prima linea per far giungere a tutti la tua voce, che è quella di ciascuno di noi, un numero questo unico nel suo genere perché provato dalle peste COVID-19 voluta e provocata al tavolino dei laboratori questo lo si saprà tra non molto... intanto il nostro paese, che qualcuno scrive maiuscolo per differenziarlo dalle piccole comunità di paese appunto, è ad una stretta dura, difficile, quasi disumana! (…) In caloroso abbraccio che prenda dentro tutti


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(…) gli altri di questo 'SALOTTO', COME LO DEFINISCE EMERICO, DOVE L'ARIA CIRCOLA DAVVERO, E PURISSIMA, RISANATRICE... Ilia Emerico Giachery, Roma, il primo aprile 2020: Carissimo Domenico, tutti noi lettori-amici della rivista, che siamo una bella cerchia armoniosa, abbiamo parlato molto di te, della tua tremenda esperienza di polmonite e di orrendo ospedale, del coraggio con cui porti avanti la rivista da solo tra mille fatiche e difficoltà. Noemi ed io andiamo avanti al meglio come si può tra due ultranovantenni che comunque amano la vita. Restiamo in casa, naturalmente, turbati nel profondo, sconvolti da questa spaventosa pandemia. Ci aiuta un giovane filippino che vive con noi come uno di famiglia, al quale siamo affezionati, e che in queste circostanze, con la relativa autorizzazione, quando occorre può andare a far la spesa o in farmacia. Comunichiamo con gli amici al telefono o on line. Congratulazioni per averci fatto avere la rivista, anche on line, con una puntualità meravigliosa. Io ho fatto ripubblicare, con qualche ritocco e aggiunta, dalle edizioni Aracne un mio libro di alcuni anni fa nel quale mi riconosco in pieno. Il libro è stampato, è in catalogo, è segnalato in Google, ma non posso avere le copie che mi spettano sinché dura questa paralisi dei trasporti e perciò nemmeno mandarla agli amici come te. Aspettiamo con pazienza e speranza che questo flagello si plachi. Non ho notizie del caro Chiodo e anche diversi comuni amici mi dicono di non averne. Non c'è modo di comunicare con lui. Un grande abbraccio da Emerico e Noemi Marina Caracciolo, da Torino, il primo aprile 2020: Carissimo Domenico, grazie per il numero di aprile di Pomezia- Notizie. E grazie soprattutto dello sforzo notevolissimo che hai fatto per pubblicarlo ugualmente in questo periodo così drammatico per tutti ma anche per te! E' vero, per necessità è tutto chiuso, le città sono deserte, ma la cultura resta aperta: qui a Torino i librai si sono organizzati e consegnano i libri a casa senza alcun sovrapprezzo. Forse la gente, chiusa forzatamente in casa, ha riscoperto il piacere del dialogo, della lettura di un buon libro, dell'ascolto della buona musica, del teatro in televisione. I ragazzi, collegati via computer, continuano a studiare da casa con i loro insegnanti. Insomma, non è tutto perduto. Intanto ieri, alla radio, hanno detto che il "distanziamento sociale" ha salvato almeno 38.000 persone. Il sacrificio è valso qualcosa. Ne usciremo!

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Dobbiamo avere fiducia e non perderci d'animo. Un abbraccio grande a te e a tutti gli amici cari di Pomezia-Notizie: Emerico, Ilia, Manuela, Luigi e anche tutti gli altri che non nomino. Lontani, divisi, ma sempre uniti. Con grandissimo affetto Marina Laura Pierdicchi, da Venezia, il primo aprile 2020: Grazie di cuore Domenico. Tu avevi già passato un brutto momento ed ora c'è questo maledetto virus che ci ha dichiarato guerra. Oltre alla restrizione di non potersi muovere, vi è la paura di caderci dentro o che ci cada qualche nostro familiare. L'atmosfera di morte che si aggira con tutte quelle povere persone che muoiono da sole, senza una mano amorosa che le possa salutare, dei poveri medici, infermieri e tutti quelli che lavorano per salvarci, più la desolazione di tutte le città vuote, mi caricano di una continua tensione emotiva e depressione. Speriamo di riuscire a superare anche questo e di poter tornare a una vita quasi normale. lo auguro a te e alla tua famiglia. Un grande abbraccio. Laura Giuseppe Leone da Pescate, il primo aprile 2020: Non so caro Domenico, quanti o quali direttori della carta stampata sarebbero disposti a garantire impaginazione e uscita alla propria rivista in momenti difficili come questi che stiamo attraversando. Sicuramente pochi, ma penso pochissimi, se, come te, fossero appena usciti da un ricovero in ospedale. Non posso che essere d’accordo con quanto ti scrive la nostra cara Ilia, se anche lei, riconoscendoti tanta generosità, elogia senza riserve l’aria di famiglia che si respira “purissima” nel tuo “salotto”, come, con felice metafora, Emerico Giachery ha definito la tua rivista. Ancora grazie, caro Domenico, non dimenticando di ringraziare e salutare anche gli altri frequentatori di questo “salotto”: Luca, Gabriella, Stefano e naturalmente Clelia. Nient’altro, ricevi un caloroso abbraccio da parte mia e di Emanuela. A presto. Giuseppe Dall’Australia, il 2 aprile 2020: Carissimo Domenico, che meraviglia la tua POMEZIA-NOTIZIE!, la leggerò con tanto amore come sempre, grazie per la mia Poesia che hai pubblicato, (…). Siamo tutti a casa in castigo, anche qui c’è contagio e tristezza infinita, il nostro mondo così bello adesso deve


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dormire, speriamo che presto si risolva tutto e ritorni al normale. (…) All’Istituto di ricerche mediche per le malattie incurabili - dove lavora mia figlia da 32 anni ed è la manager - (…) uno scienziato ha scoperto una medicina, ma ci vuole un po’ di mesi per portarla a termine; è uno scienziato italiano, ma che vive qui. Anche la sezione medica della Monish University ha scoperto un vaccino, anche a Brisbane, quindi siamo nelle mani di Dio, che ci aiuti. (…) Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.) Da Roma, il due aprile 2020: Grazie, caro Domenico, del suo affettuoso pensiero. Sì, io sto bene finora. Tanti auguri a lei e ai suoi (…). Saluti cari Corrado Calabrò* • Le invio, qui di seguito, una mia poesia scritta in un’altra occasione ma che si attaglia all’angosciosa situazione di questi giorni.

Paura della paura In quegli anni per me restò inspiegato: chi metteva ogni giorno una posta dentro la buca vicino al cancello? S’apre una porta senza far rumore: «mamma!» «Ludovica, è inutile che aspetti. Oggi è domenica, non viene il portalettere.» «E quando viene?» «Quando sei a scuola.» Sento un’ombra scorrere nel buio come un coltello su un tagliere di marmo. «Mamma, e tu come sai che arriva il postino?» «Presto orecchio all’abbaiare del cane.» «Come per la befana? E perché arriva proprio a te, la posta?» «Dai, sciocchina, è notte. Dormi adesso.» Non posso. Il mio torace da bambina m’astringe il diaframma nel respiro. Quando ti svegli per il troppo silenzio in sudore e completamente ignorata,

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è allora che la notte fa paura. Sento l’ombra scorrere nel buio come un coltello s’affila sul tagliere. «Ricordi? T’ho tenuta la mano fino a quando non m’hai chiesto permesso con lo sguardo di ritirarti nella tua stanchezza. Adesso tocca a te di starmi accanto.» Nel silenzio una porta si rinchiude. M’alzo e spalanco le imposte alla luna; ma la sua luce fredda mi raggela. «Su, Ludovica, è notte. Dormi, adesso.» S’è seduta sulla sponda del letto come stanno sedute le statue; sul suo volto è stampato il sorriso enigmatico delle donne già vissute. «Ricordi quand’eri piccolina? Ho paura della paura, dicevi.» Quant’è vero! «Lo vedi? Non può entrare più nessuno. Non c’è posto per altri, nella camera.» Dio, com’è ambigua! Cambia il senso senza cambiare espressione… Come quando, a furia di insistenze, acconsentiva a leggermi una lettera ma cambiava, leggendo, le parole. «Non devi avere timore degli altri; devi avere timore di te stessa. Ora sei sola. Eppure ci sono io. Sola ad solam. Sola sub nocte.» Ormai pensa ad altro, con gli occhi delle mamme che hanno la stessa età dei propri figli. E quando crede ch’io non me n’accorga chiude piano le imposte alla luna. Corrado Calabrò Claudia Trimarchi, Frascati, il 2 marzo 2020: Grazie Amico carissimo! Anche se non possiamo sfogliare il cartaceo, il calore di P.N. oltrepassa le barriere elettroniche e in tutto il suo vigore giunge a rincuorarci in questi giorni tristi, come un amico di famiglia che viene a trovarci, ci abbraccia, ci sorride, si siede di fronte a noi e comincia a parlarci con


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le sue tante benefiche e ormai familiari voci. Questo è per me Pomezia-Notizie. Grazie di cuore! (…). Con l'affetto di sempre e ancora di più. Claudia *** Premio Internazionale di Poesia “DANILO MASINI” 13a Edizione 2020 - L’Accademia Collegio de’ Nobili e Il Circolo “Stanze Ulivieri” con il patrocinio del Comune di Montevarchi e la collaborazione dell’A.C.S.I. di Arezzo promuovono la 13a Edizione del PREMIO INTERNAZIONALE di POESIA “Danilo Masini”, fondato da Marcello Falletti di Villafalletto, che avrà per tema: “Romanticismo e poesia nell’esistenza umana” Commissione giudicatrice: Presidente Onorario Domenico Defelice; Giornalista e Scrittore, Fondatore e Direttore di Pomezia-Notizie; Presidente Marcello Falletti di Villafalletto, Preside dell’Accademia Collegio de’ Nobili; Segretario Generale Claudio Falletti di Villafalletto; Componenti: Carla Battistini, Libera Bernini, Lucia Lavacchi Burzi, Giorgio Masini, Anna Medas, Lea Pesucci, Alberto Vesentini. Il Giudizio della Giuria è insindacabile e inappellabile. Danilo Masini, scrittore, poeta, giornalista, nonché precursore di tutti gli sport nel Valdarno, nacque a Montevarchi (Arezzo) il 7 dicembre 1905, dove morì il 27 maggio 1995. È una figura di spicco della cultura del Novecento. Il Premio ha lo scopo di diffondere le sue opere e di tramandarne la memoria. REGOLAMENTO - Il concorso letterario si articola in due sezioni: a) Sezione Poesia inedita: Il concorrente dovrà inviare da 1 a 3 liriche in lingua italiana che non superino i 40 versi ciascuna. Ogni poesia in 7 copie dattiloscritte o al computer, di cui sei anonime e una sola firmata e recante in calce generalità, indirizzo, recapiti di telefono (fisso e mobile) e indirizzo e-mail. Le copie al computer dovranno essere in Times New Roman, dimensione 12. b) Sezione Libro edito di poesia: Occorre inviare 5 copie del volume riguardanti opere edite nel periodo gennaio 2010 – luglio 2020 di cui una recante all’interno firma, indirizzo, recapiti telefonici e indirizzo e-mail dell’autore. POESIA A TEMA LIBERO - Per le sezioni: Poesia inedita e Libro edito si partecipa con le stesse modalità della poesia a tema. I testi in lingua straniera dovranno recare la traduzione in italiano. Non vi sono limiti di età. Gli elaborati, in forma cartacea, dovranno essere inviati entro e non oltre il 31 agosto 2020 alla Segreteria Generale del Premio presso Accademia Collegio de’ Nobili, Casella Postale 39 - via G. da

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Verrazzano, 7 - 50018 SCANDICCI (Firenze). Farà fede il timbro postale di partenza. Il contributo di partecipazione è fissato in € 20,00 per ogni sezione alla quale s’intende partecipare da inviare, unitamente agli elaborati, in contanti. o bonifico a Accademia Collegio de’ Nobili codice IBAN: IT86 V076 0102 8000 0003 1214 505. Si prega di inviare per e.mail o whatsapp fotocopia del pagamento. Per i giovani, che non hanno compiuto il 18° anno di età, alla data di scadenza del bando, non è prevista alcuna quota di partecipazione (indicare la data di nascita e inviare fotocopia del documento d’ identità). Gli elaborati dovranno giungere alla Segreteria a mezzo posta ordinaria o raccomandata, e corredati di quanto richiesto dal Regolamento. L’ organizzazione non risponde di eventuali disguidi o ritardi postali o smarrimenti. Per agevolare il lavoro della Giuria si consiglia vivamente di spedire gli elaborati con ampio anticipo rispetto alla data di scadenza del Bando. Si prega di non spedire tramite corriere espresso. La Segreteria del Premio comunicherà l’esito del concorso solamente ai vincitori ed ai finalisti. Tutti i Poeti, però, riceveranno l’invito, qualora volessero partecipare alla Premiazione. La partecipazione al Premio non impegna l’Organizzazione ad obblighi di qualsiasi genere o natura. La Cerimonia di Premiazione si svolgerà a MONTEVARCHI (Arezzo), città natale del Poeta Danilo Masini, SABATO 05 DICEMBRE 2020 - ore 17.00 presso il Circolo Culturale “STANZE ULIVIERI”, Piazza Garibaldi, 1. PRIMO PREMIO Sezione Poesia inedita: € 250,00 Accademia Collegio de’ Nobili. PRIMO PREMIO Sezione Libro edito di poesia: € 250,00 Stanze Ulivieri. La Giuria, come per le passate edizioni, potrà decidere anche il conferimento di altri riconoscimenti. I Premi saranno consegnati durante la suddetta cerimonia personalmente ai vincitori o ai loro delegati (delega scritta). I premi non ritirati personalmente o per delega non saranno spediti, né saranno spediti i Diplomi. Ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali” e del GDPR (Regolamento UE 2016/679) i partecipanti acconsentono al trattamento, diffusione ed utilizzazione dei dati personali da parte dell’ organizzazione o di terzi per lo svolgimento degli adempimenti inerenti al concorso. I partecipanti dichiarano di essere autori delle loro opere.


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Ai vincitori d’ogni sezione saranno assegnati trofei, targhe, medaglie, opere d’arte e libri, nonché diplomi-ricordo. Ai vincitori d’ogni sezione sarà pubblicata l’opera nel mensile “L’Eracliano”. La Segreteria, nel 2021, contatterà i Poeti e procederà alla pubblicazione di un volume antologico delle opere meritevoli, come per le precedenti edizioni, edito dalla Casa editrice ANSCARICHAE DOMUS Accademia Collegio de’ Nobili editore. L’invio degli elaborati al Premio costituisce per ogni concorrente dichiarazione di conoscenza e accettazione totale del suo Regolamento. Gli elaborati inviati non si restituiscono. Le opere edite potranno essere donate a Biblioteche del territorio. L’invito alla Cerimonia di Premiazione non impegna l’Organizzazione a rimborsi di spese, né produce obblighi di qualsiasi genere o natura nei confronti dei concorrenti. L’Organizzazione si riserva di apportare al Regolamento, tutte le variazioni necessarie per cause di forza maggiore. Per informazioni telefonare o inviare e-mail al seguente numero: cell. 339.1604400 E-mail a: accademia_de_nobili@libero.it Sito web: www.premiopoesiadanilomasini.it *** LUIS SEPÚLVEDA UCCISO DA COVID 19 Il 16 aprile 2020 a Oviedo, in Spagna, nell’ Ospedale Universitario Centrale delle Asturie, il coronavirus si è portato via, in solitudine, il grande scrittore cileno. Si trovava in Portogallo quando lui e la moglie sono stati infettati e, al rientro in Spagna, il 27 febbraio è stato necessario ricoverarli entrambi; lei, per fortuna, ce l’ha fatta, lui no. Scrittore, giornalista, sceneggiatore, poeta, regista e tanto altro è stato Luis Sepúlveda. Uomo politicamente di sinistra, come i suoi antenati - tra cui una nonna toscana -, non è stato, però, mai accecato dai paraocchi, tanto è vero che, all’ occorrenza, non ha mancato di criticarla, rinfacciandole, per esempio, una “pigrizia intellettuale”, specialmente in difesa

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dell’ambiente. Nel 1973, durante il golpe militare del generale Augusto Pinochet, venne arrestato e torturato, come arrestata e torturata è stata la poetessa Carmen Yañez. Entrambi hanno dovuto lasciare il Cile, rifugiandosi in Europa, lei in Svizzera, lui in Germania; incontratisi, si sono sposati e hanno avuto un figlio: Carlos Lenin. Si son lasciati, si son risposati entrambi avendo altri figli (lui, per esempio, altri quattro con una donna tedesca). Ha viaggiato molto, in Italia e in tante altre Nazioni, sempre e dovunque osannato da una folla di ammiratori; infine, aveva messo su una bella casa a Gijón, nelle Asturie, meta continua di amici e parenti; egli non si lamentava della confusione, anzi, affermava di non saper vivere altrimenti. Lungo l’elenco delle sue opere. Ne indichiamo alcune: Crónicas de Pedro Nadie (1969), Los miedos, las vidas, las muertes y otras alucinaciones (1984), Cuaderno de viaje (1986), Un viejo que leía novelas de amor (1989), Mundo del fin del mundo (1991), Nombre de torero (1994), La frontera extraviada (1994), Patagonia express (1995), Historia de una gaviota y del gato que le enseñó a volar (1996), Desencuentros (1997) eccetera, fino a Historia de una ballena blanca contada por ella misla (2018), moltissime delle quali sono state tradotte in italiano e in moltissime altre lingue. Uomo ironico e affabulante, Luis Sepúlveda, capace di alleggerire anche le situazioni più drammatiche. A renderlo famoso sono state, in particolare, le sue fiabe, le sue “historie”, alcune ridotte anche in cartoon trasmessi e seguiti in tutto il mondo. In Italia, il volume “Tutte le favole” raccoglie le sue più famose, come quella della gabbianella e quella della lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (D. Defelice)


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è il cerchio che li unisce in un abbraccio sorpreso. Che due più due può essere un brano di Vivaldi. Che i geni amabili abitano le bottiglie del buon vino. Con tutto questo già appreso tornai a disfare l’eco del tuo addio e al suo posto palpitante a scrivere La Più Bella Storia d’Amore ma, come dice l’adagio non si finisce mai di imparare e di dubitare. E così, ancora una volta tanto facilmente come nasce una rosa o si morde la coda una stella fugace, seppi che la mia opera era stata scritta perché La Più Bella Storia d’Amore è possibile solo nella serena e inquietante calligrafia dei tuoi occhi. Luis Sepulveda

TRA LE RIVISTE Ecco una sua poesia: LA PIÙ BELLA STORIA D’AMORE L’ultimo suono del tuo addio, mi disse che non sapevo nulla e che era giunto il tempo necessario di imparare i perché della materia. Così, tra pietra e pietra seppi che sommare è unire e che sottrarre ci lascia soli e vuoti. Che i colori riflettono l’ingenua volontà dell’occhio. Che i solfeggi e i sol implorano la fame dell’udito. Che le strade e la polvere sono la ragione dei passi. Che la strada più breve fra due punti

FIORISCE UN CENACOLO - mensile internazionale di lettere e arti fondato nel 1940 da Carmine Manzi, direttore Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (Salerno). e-mail: manzi.annamaria@ tiscali.it - Riceviamo il n. 10-12, ottobre-dicembre 2019. Segnaliamo: Centenario Carmine Manzi, targa dedicata al poeta, scrittore, giornalista (è stato anche sindaco della città), dall’Amministrazione Comunale; Napoli… tanto per sempre, di Anna Aita; Alessandro Poerio, glorioso patriota e grande poeta del Romanticismo, di Leonardo Selvaggi; quattro recensioni di Isabella Michela Affinito: Maria Teresa Epifani Furno “Cronaca in versi”, Aldo Marzi “Parole di foglie”, Francesco Terrone “La mia follia”, Gianni Ianuale “Pathos trascendentale”; tra i libri recensiti da Anna Manzi, “Casa mia”, di Antonia Izzi Rufo e “Come voli d’airone”, di Gabriella Frenna. * MAIL ART SERVICE - Bollettino del Centro “L. Pirandello” di Sacile, diretto da Andrea Bonanno via Friuli 10 - 33077 Sacile (PN). e-mail: postmaster <postmaster@andreabonanno.it>. Riceviamo, in forma elettronica, il n. 109, marzo 2020, dal qua-


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le segnaliamo, in particolare, il saggio “Un fluttuare di maschere per la fondazione dell’identità nelle operazioni estetiche di Cristiano Luciani”, di Andrea Bonanno. * OCEANO NEWS - testata giornalistica indipendente, direttore responsabile Beniamino Pascale; vice direttore, Massimo Massa; redattore capo, Maria Teresa Infante; progettazione grafica, Fabio Alessandro Massa - mail: oceano.blognews@ gmail.com - Del n. 3, marzo 2020, segnaliamo: “Torneremo a guardare il mare”, di Maria Teresa Infante, la quale firma pure la “Intervista a Patricia Vena”; “Ricordi, nostalgie, sentimenti di Mercedes Chiti”, di Manuela Mazzola; “Ferroviere mio malgrado”, di Carmelo Zurlo; “L’arte di Roberta Papponetti”, di Alessia Pignatelli; “La formazione poetica di Guido Oldani”, di Tania Di Malta; “Fiorello La Guardia”, di Duilio Paiano. Massimo Massa firma almeno quattro pezzi e altre firme sono di Angelo Capozzi, Maria Elena Didonna eccetera.

__________________________________ Grafica ↓ e pittura ⸕ di Domenico Defelice

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AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti intestati a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA


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