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50ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Anno 28 (Nuova Serie) – n. 6

€ 5,00

- Giugno 2020 -

LYDIA ALFONSI, NON SOLO ATTRICE, MA UNA FORZA DELL'IMMAGINARIO di Leonardo Bordin

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YDIA Alfonsi rappresenta il fascino di una seduzione che permane nel tempo: è una grande attrice, dagli anni '60/70 del secolo scorso in poi, perché lavorerà anche con Roberto Benigni nel film La vita è bella. Entra nella nostra piccola casa a Monteviale, si ferma sull'impiantito di legno, nell'affaccio delle grandi vetrate sul verde della collina, →


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All’interno: Con Lidia Alfonsi, donna fiaccola, di Ilia Pedrina, pag. 4 La poesia “mondana” di Domenico Defelice, di Lia Giudici, pag. 9 Lo spolverio di Maurizio Soldini, di Carmine Chiodo, pag. 16 Luigi De Rosa, Fuga del tempo, di Renato Dellepiane, pag. 18 Il colpo d’ala di Agata Mazzitelli, di Giuseppe Leone, pag. 21 Aurora Cacopardo e Francesco D’Episcopo, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 23 Isabella Michela Affinito, Una raccolta di stili, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 27 Xu Chunfa, di Domenico Defelice, pag. 30 Ricordo di Bruno Rombi, di Elio Andriuoli, pag. 33 Aspettando Godot, di Antonia Izzi Rufo, pag. 34 La biblioteca Santorre di Santarosa, di Leonardo Selvaggi, pag. 35 Dediche, a cura di Domenico Defelice, pag. 38 Notizie, pag. 50 Libri ricevuti, pag. 54 Tra le riviste, pag. 55 RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Mi interrogarono le Muse, di Isabella Michela Affinito, pag. 40); Tito Cauchi (Diritti umani violati, di Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini, pag. 40); Tito Cauchi (Antologia degli artisti, di AA. VV., pag. 41); Roberta Colazingari (Gabbiani, di Mariagina Bonciani, pag. 42); Giuseppe Giorgioli (Sette brevi lezioni di fisica, di Carlo Rovelli, pag. 43); Manuela Mazzola (Homo sum, di Maurizio Bettini, pag. 43); Ilia Pedrina (Grazie Aldo Capasso - Merci Florette Morand, di Simona Bellone, pag. 44). Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Marina Caracciolo, Carlos Chacón Zaldivar, Anna Cimicata, Antonio Crecchia, Ada De Judicibus Lisena, Salvatore D’Ambrosio, Charles D’Orléans, Antonia Izzi Rufo, Wilma Minotti Cerini, Aida Isotta Pedrina, Francesco Pedrina, Gianni Rescigno

abbiamo preparato il pranzo e mangiato, con tutta la famiglia, nonni compresi: è una persona elegante, buona e generosa, non troppo seria perché ama sorridere e coinvolgere gli altri. Esclama: “È come entrare ed uscire ad un tempo nel verde del giardino!” poi con gesto semplice regala due orecchini a Jolanda ed un libro di Turgenev, oltre ad un dipinto di suo fratello. Giorgio ricorda i suoi occhi, il suo sguardo, il suo petto: la direzione e il ritmo vitale del respiro seducono, conducendo inconsapevolmente l'attrice nel personaggio e lo spettatore nell'attrice; lo sguardo inoltre, nel quadro della scena fissa, come nelle riprese degli sceneggiati televisivi, consente allo spettatore di vedere quello che la scena non

può offrire: lo sguardo è la scena e la sua trasformazione, noi spettatori vediamo, attraverso lo sguardo dell'attrice, Pisana il paesaggio e i mutamenti dell'orizzonte ottocentesco (1).


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Tra ieri e oggi. Un balzo in tempi di costrizione forzata. Mara è una giovane donna negli anni del dopoguerra: l'immagine che ho di lei, nella mia rappresentazione, leggendo le prime pagine del libro 'La ragazza di Bube' dello scrittore Carlo Ossola (1960) è quello di una persona spensierata e generosa come può essere una sedicenne, a tal punto da assomigliare, anche in ragione dei due contesti storici, patriottico e partigiano, alla figura della Pisana. Pisana, la protagonista del romanzo storico di Ippolito Nievo, spensierata ed irriverente, ma alla fine partecipe del dramma di Carlino, dell'esilio e dell'impegno risorgimentale, come Mara, un secolo dopo, partecipe all'epilogo drammatico di Bube, giovane partigiano, Vendicatore di soprannome e tragicamente di fatto. A collegare le due figure è in realtà la mia mente, potrei dire la mia mente-corpo, i miei gesti, i miei neuroni-specchio che sovrappongono le due immagini in un'unica dimensione: la dimensione in cui mi specchio, riconoscendomi nella storia che accomuna le due eroine. Sento nella mia voce la voce di Mara e della Pisana. Percorro a ritroso il mio incontro reale, di fatto, con Lydia Alfonsi, la grande attrice che ha dato corpo e respiro ad un nome, alla Pisana: un'immagine, quella di Lydia Alfonsi, quella della Pisana che risuona in me confondendosi con l'immagine del romanzo di Mara: un coro di voci, di immagini che riconosco come mie, che identifico come parti di una stessa esperienza, in un recitare muto senza palcoscenici nel mio teatro interiore. La scrittura diventa parola viva, immedesimazione fisicasensoriale, ciò che mi appare diventa esistenza, ciò che esiste esce ed entra in me: questo deve aver vissuto il regista Giacomo Vaccari nell'organizzare e produrre per la Rai Televisione Nazionale nel 1960 lo sceneggiato a puntate La Pisana, di cui resta ora in rete solo una puntata, quella dell'arrivo, in una Venezia occupata e sotto il torchio degli Austriaci, di Pisana, quando irrompe nella casa di Carlino, dopo esser fuggita dal marito, troppo vecchio per lei. Il lavoro televisivo andò in onda dal

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23 ottobre al 27 novembre 1960 ed ebbe Giulio Bosetti come attore che interpreta Carlino. Anche l'interpretazione di Luisa Sanfelice, che Lydia Alfonsi regala ancora in tutta la sua complessa passionale vivacità e capacità di lotta nella Napoli che vuol essere indipendente, suggestionata dai Francesi, rispetto al governo dei Borboni, va vissuta con questa intensità di cui propongo il percorso, perché, in questo caso in rete le sette puntate dello sceneggiato ci sono tutte e sono state mandate in onda dal 15 maggio al 26 giugno 1966. I martiri della rivoluzione napoletana del 1796 mi portano alla mente altre vittime massacrate da odio e delazione: quelle della Piazzetta 10 Martiri, a Vicenza, a ridosso dei binari che portano alla Stazione Centrale, ieri come oggi: avevano fatto esplodere i binari, sono stati rintracciati e giustiziati, c'erano anche dei Sinti, come saltimbanchi, all'epoca, quando i tedeschi nazisti occupavano il nostro territorio. I loro corpi sono scomparsi, ma nel lavoro teatrale io ho il compito di trarne con il gesso bianco il profilo del simbolo, al femminile, steso a terra, riverso. Allora la rappresentazione visiva, teatrale, coreutico-musicale si rende concreta nella nuova era del distanziamento dei corpi: una Identità fisica, reale, un racconto, un'interpretazione, una sceneggiatura che si incarna nell'attore e alla fine nello sguardo dello spettatore. Dalla realtà alla parola, alla rappresentazione, all'ascolto e alla visione che coglie il tutto dopo che il regista (e per Lydia AlfonsiPisana o Bianca Trao sarà Giacomo Vaccari) avrà coordinato e compiuto il suo gesto complesso. Il teatro totale per suoni immagini e parole è inteso come un rapporto di uno con i molti, dove l'attore si rivolge ad un gruppo allargato di spettatori (che con lo sceneggiato televisivo La Pisana del 1960 saranno moltissimi!). Un teatro in grado così di equilibrare entrate ed uscite, le spese vive per contenere una rappresentazione, già in crisi nell'era precovidica, oggi è tramontato: teatri come caserme vuote, alla fine della leva obbligatoria. La rappresentazione nell'età post-covidica, le strutture architettoniche, i teatri, i musei, le


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biblioteche, le botteghe d'arte diventano in questo momento i luoghi fisici e simbolici di un'attività in solitudine, di un'azione remota, di un racconto, narrazione di un racconto, di una narrazione, di una rappresentazione dal vivo che in tempo reale o differito si diffonde altrove. E' il modello del tardigrado, un essere millimetrico che vive tutte le condizioni come un laboratorio vivo, sempre attivo di elaborazione del bios culturale; proiettato dall'interno delle strutture archeologiche culturali attraverso una moltitudine di specchi che ripropongono l'evento originario, in grado di diffondersi in spazi aperti, sui muri urbani attrezzati come maxi-schermi, dove si proietta la nostra esperienza dal vivo, in rappresentazioni digitali in spazi extra-teatrali, dove a volte si sono compiuti i fatti reali, di cui si narra: sarà questo forse il futuro dei lavori già per il piccolo schermo in cui Lydia Alfonsi ha dato vita, voce, dimensioni storiche differite a figure femminili da portare ancora in primo piano? O forse ancora negli spazi privati delle case, nelle quali ora ti si obbliga a permanere a lungo e dove si proietta la memoria di quei lavori artistici intramontabili nel presente? Un percorso di segni e d'immagini continuo che ha per protagonista questa straordinaria Attrice ed interprete carismatica del femminile singolare etico-passionale dall'Antica Grecia giù giù fino ai nostri giorni, là dove i segni rimandano ad altri segni, la rappresentazione ad altre sue modificazioni in adattamento temporale simbolico e permanente e là dove ognuna è il punto di origine di una ridondanza in-finita, di un'opera aperta, di una ermeneutica, di una ricerca della verità mai conclusa. Questo ha voluto il regista Giacomo Vaccari, come bene mi spiega Ilia Pedrina, questo ha dato a lui e a tutti noi Lydia Alfonsi, una forza dell'immaginario collettivo. Leonardo Bordin Studente di Filosofia-Attore (1) Le fotografie mostrano Lydia Alfonsi con Giorgio Bordin, di Arti della RappresentazioneTeatrodanza, (pag. 1) e con Jolanda Bertozzo (pag. 2), scattate nella nostra casa a Monteviale, fuori Vicenza.

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CON LYDIA ALFONSI, DONNA FIACCOLA DEL TEATRO E DEL PICCOLO SCHERMO, PER RICORDARE IL REGISTA

GIACOMO VACCARI di Ilia Pedrina

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CRIVO al Defelice in tempo reale domenica 19 aprile 2020 alle 14:27: “Si, carissimo, ho appena parlato con Lydia Alfonsi e mi ha detto di mandarti un grande abbraccio! Le ho promesso per giugno un suo profilo con le cose che mi ha detto per telefono in onore del regista Giacomo Vaccari, quello de La Pisana e di Mastro Don Gesualdo... Leggerai, perché ho tutto nella testa! Galeotto è stato il fatto di aver messo la scheda del cell in un vecchio telefono del 2011, così ho trovato anche il numero di Florette, quando si dice il caso... e dentro c'era anche quello della Lydia: due piccioncelle in età con una sola fava! Pensa tu: le ho detto che le manderò un plico con alcuni numeri della tua bella creatura di carta, proprio per il suo 92esimo compleanno, che cadrà il 27 aprile 2020!.. Oltre al suo abbi anche cari i miei abbracci a te e a tutti voi al completo. Ilia”. Defelice, instancabile e orgoglioso di come la mente e il


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corpo ha ripreso 'fiato' dopo la dura tempesta, mi risponde alle 16:26: “Carissima Ilia, ti impongo (scherzo!, voglio dire che la gradirei veramente molto) che tu faccia una intervista alla Alfonsi e per il numero di giugno.(...) Si, Carissima, una intervista a lei sarebbe un autentico dono per la nostra creatura di carta. Non mi dire di no, allora. Se non puoi di persona, almeno via telefonica. Grazie, ti abbraccio. Domenico”. Allora di persona no, questo è certo, dati i tempi che corrono, ma la via telefonica è stata già avviata con emozioni intense: anni di libe-

ra amicizia hanno cementato questa relazione, che ha radici antiche, prima grazie ad Ippolito Nievo, poi, nel tempo, in virtù del grande Stanìs Nievo, suo pronipote, scrittore, poeta, avventuroso interprete delle terre, degli oceani, dei fondali al largo del Golfo di Napoli (1). Lydia Alfonsi ha compiuto 92 anni il 27 aprile ed ha memoria vigile, espressione circostanziata e verificabile con dati alla mano, sopra tutto però ha intento deciso di restare fuori dalla politica. La contatto telefonicamente e conversiamo riprendendo le fila di

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esperienze, tensioni e memorie mai turbate dagli eventi. Le figure femminili da lei interpretate hanno resa intensa ed artisticamente assai ricca la storia del teatro e della televisione in Italia, con dei traguardi rivoluzionari. Pisana, la protagonista de Le confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo incarna la figura femminile di una donna libera, audace, intatta nella propria volontà d'agire e fragile nel bisogno affannoso di protezione e d'amore. Per Pisana scrive Luigi Russo: “... Anche la Pisana, che è l'eroina a cui sono affezionati molti lettori del Nievo, artisticamente è più persuasiva nella prima parte del romanzo, quando di lei s'indaga la psicologia della bimba, che precorre i sentimenti, le arti, le astuzie, le generosità della donna matura...” (L. Russo, Gli scrittori d'Italia, vol. III, Ed. Vallecchi, Fi, 1938-XVI, pag. 415). Non vado ad investigare analiticamente questo assunto, ma il critico continua su questa strada, cita il Croce e pensa al Nievo come ad uno scrittore che ricalca l'esempio manzoniano: è chiaro, siamo nel 1938! Gli anzianotti non accettano la vitalità di Pisana, indipendente e trasgressiva, ma ben l'ha capito il regista Giacomo Vaccari, che nel 1959 organizza le riprese dell'opera per le celebrazioni del centenario dell'unità d'Italia cogliendo in pieno le efficaci prismatiche indicazioni dell'autore de 'Le confessioni di un Italiano': ha scelto Lydia Alfonsi e da quel


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momento, nell'immaginario collettivo degli Italiani che l'hanno apprezzata sul piccolo schermo nato da poco, lei è diventata la Pisana, in carne ed ossa! Mi spiega Lydia: “Abitavamo a Roma, io e Giacomo, già sposati, ed eravamo andati ad una festa. Usciti non troviamo più la mia macchina sportiva. Ci portano a casa e Giacomo prende la sua, una Fiat ultimo modello che la casa automobilistica gli aveva venduto a buon prezzo, così, per fargli un regalo, dato che lui proprio a Torino era molto conosciuto... Esce per andare a cercare la mia macchina e dopo poco, circa 20 minuti, viene investito frontalmente da un camioncino, in piena notte...perde la vita, perde la sua vita così...”. Io

rifletto senza misura anche se al telefono, è chiaro, faccio finta di niente: la mia mente va subito a Stanìs Nievo e al suo sconcertante sconforto quando scopre che nell'archivio della RAI mancano tutte le puntate dello sceneggiato La Pisana con la regia di Giacomo Vaccari tranne una, quella dell'arrivo di Pisana a Venezia, per incontrare Carlino, la sola presente ora anche in rete! “ Poi, nel 1964 è arrivato Pirandello: Giacomo, con il Mastro don Gesualdo, ha portato avanti una vera rivoluzione nella ripresa delle scene per la televisione, perché ha usato le pellicole da film. È stato il primo a creare gli effetti del grande schermo e a portarli nel piccolo: tutte le fiction che son venute dopo

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devono a lui il loro pieno successo. Io ho interpretato Bianca Trao, al fianco di Enrico Maria Salerno, un personaggio che mi ha tormentato non poco!” Passo dalla Sicilia delle riprese per il Mastro alla Sicilia siracusana della sua vita con Enzo Messina. “... Ah! Per Enzo il mio secondo marito? Una grande intesa, un amante della vita, della forza della natura, un amante del mare. La nostra villa nei pressi di Siracusa porta direttamente al mare. Esce nella notte per una forte mareggiata a controllare la barca, per fissarla meglio: non è più tornato, l'hanno trovato la mattina dopo riverso vicino ad uno scoglio...”. Lydia Alfonsi è stata di certo molto amata e la ragione è non solo legata fortemente alla sua bellezza, alla personalità artisticamente impostata su solide basi d'alta professionalità nell'interpretare e nel rendere al meglio lo spessore vitale dei personaggi femminili che interpreta, ma indiscutibilmente alla forza intellettuale e spirituale del suo temperamento, che vincola l'immaginario di chi la incontra, oltre che dello spettatore, e ne aggancia la tensione, ne rimorchia lo sguardo, ne vincola la vita. “... Per Elena, di Euripide, ho avuto al Tea-


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tro di Siracusa dodici mila spettatori, ho battuto il record di Gassman, che era di undicimila! Per non parlare di Elettra, sempre di Euripide! Poi c'è stata Fedra e la Medea di Seneca, pensa tu, queste donne che attraversano il tempo, tutti i secoli da ieri a oggi e mi entrano dentro con tutta la vitalità del loro Autore... non sono solo parole scritte, è Vita!” Intorno al bel legame con Vicenza, gli spazi del Teatro Olimpico e quelli dell'Antico Torrione medioevale di Porta Castello, restaurato alla perfezione dall'architetto Enrico Pozzato, dove è stata ospitata dal regista Giorgio Bordin, Lydia Alfonsi ricorda con emozione, senza sforzo: “… Nell'agosto del 2006 a Vicenza ho partecipato ad un evento importante per premiare LA DONNA FIACCOLA, a fianco dell'assessore alla cultura Davide Piazza: ho portato avanti l'iniziativa proprio a partire da un'esperienza di teatro che mi ha colpito profondamente. Stavo interpretando Elettra nell'antico Teatro di Siracusa, evento avvenuto certo prima di Elena, e tenevo nella destra la fiaccola infiammata, accesa al massimo. Il vento ha spostato la lingua di fuoco, che ha invaso il mio braccio. Ho continuato a vivere la mia eroina e non sentivo niente! Mi sono resa conto dopo... La donna fiaccola ha il buio di fronte a sé, ma illumina chi le è dietro: per questo la segue!” Così è nata questa manifestazione, proprio per sottolineare l'importanza della donna, quando si fa interprete nell'impegno di diffondere gli ideali in cui crede, non una lotta

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politica, che lascia il tempo che trova, ma ideali di vita nel cancellare ingiustizie e soprusi attraverso l'azione individuale che diventa esempio concreto per tutti: per lei la prima Donna Fiaccola è ravvisabile nell'immagine di Maria, quella di Medijugore! Le chiedo di Arlecchino, dell'Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni. Mi spiega: “Con l'Arlecchino Giorgio Strehler ha inaugurato il Piccolo Teatro di Milano, ha voluto proprio questa commedia come opera simbolo. È stata la mia prima interpretazione teatrale vera e propria e ho portato Beatrice, la protagonista che fonde in sé lei e il proprio fratello, morto in duello, in giro in tutto il mondo. Arlecchino era interpretato dal bravissimo Marcello Moretti, un vero spasso...”. Torniamo al nostro tempo, le ricordo di quando ci siamo incontrate a Parma e mi ha accolto caramente nella sua bella casa, quando mi ha mostrato gli articoli che han parlato di lei e di re Hussein di Giordania, che si era innamorato e la voleva sposare... “Per i miei primi 90 anni Siracusa mi ha dedicato nel 2018 una pagina intera, ma Parma, Parma, la città che amo e dove abito non ha scritto niente!” Proprio nel 2018, il 4 novembre, Lydia accetta di rispondere a Mirko Capozzoli, che sta preparando un volume su Gian Maria Volonté, intervista ora inserita in rete. Lei gli confida: “Gian Maria è stato il migliore attore italiano. Aver lavorato con lui è stata la cosa


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migliore delle mie interpretazioni. Nella Pisana era un rivoluzionario contro il re. Un'opera che ebbe un successo enorme ma di cui nessuno oggi parla e di cui per altro non si parlò neanche allora per questioni politiche. Era il centenario dell'unità d'Italia e il successo enorme disturbò qualcuno... È stato l'attore con cui ho lavorato meglio, non era invidioso. Fatto raro nel nostro ambiente. Aveva un'opinione asciutta, un uomo indimenticabile. Il problema dei grandi è la solitudine, perché il loro non è recitare ma diventare. Io mi sono sposata per sfuggire alla vita di altre donne, perché recitare era come riportarle in vita. Gian Maria Volonté era come me, diventava il personaggio e questo costa molto nella tua vita privata. Non mi sentivo più Lydia. È un passaggio che ti porta dalla recitazione all'essere autore...” (M. Capozzoli, Lydia Alfonsi ricorda Gian Maria Volonté, sezione 'Biografie sconosciute', in rete, a cui volentieri rimando, proprio e soprattutto per l'interpretazione dei due in Vita di Michelangelo, nell'incontro tra MichelangeloVolonté e Vittoria Colonna-Alfonsi, episodio 13): la forza spirituale, che emerge e lega i due protagonisti, accesi nella carne e moderati nella parola che infiamma i loro sguardi, è la netta misura della loro interiorità che fonde interpretazione ed azione scenica in un'unica indiscussa vitalità nella quale la recitazione non esiste più ed al suo posto rimane, apparendo appieno in luce, la vera vita. Stamane 19 maggio la chiamo per via di Sandro Pertini. Fa togliere dal muro della casa l'onorificenza al merito per leggere le parole, per ricordare andando indietro nel tempo. Mi dice: “Mi ha accolto al Quirinale e mi ha conferito il titolo di Gran'Ufficiale della Repubblica Italiana. Forse mi aveva visto a teatro, forse aveva visto La Pisana. Mi ha dato un bacio!” Ilia Pedrina (1) Da qui partiranno altri lavori, su Ippolito e Stanìs Nievo, mentre questo dialogo con Lydia Alfonsi va letto in sintonia con i ricordi di Leo Bordin: insieme ringraziamo il Direttore prof. Defelice, per aver dato spazio alle nostre esperienze.

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L’Autore, ormai di fama mondiale, artisticamente longevo, ci mostra ancora tutto il carattere e lo stile che l’hanno, da sempre, distinto. Una lunga carriera giornalistica e culturale che l’ha portato realmente lontano ma allo stesso tempo vicino e gli ha permesso di essere costantemente attivo nel donarci molteplici lavori; come tanti altri sono stati a lui dedicati e alla sua opera. Il volume in oggetto si compone armonicamente di quattro parti, precedute e seguite da una Prefazione e una Postfazione; nel mezzo: Le parole a comprendere; Ridere (per non piangere); Epigrammi; Recensioni. (…) i versi di Defelice non sono solamente funerei ricordi di un nostalgico passato; ma attenti pensieri armonizzanti eventi del presente, coinvolgenti il senso pratico dell’esistenza, con le sue tragedie, stranezze ma anche bellezze immortali. (…) Una raffinatezza educativa non disgiunta da un non meno richiamo ai sentimenti che dovrebbero alimentare correttamente l’ esistenza. Rispetto, silenzio, sguardi, tenerezza, abbandono dell’odio e annullamento del dolore sono presentati dal Poeta quale principi cosmologici che l’umanità intera dovrebbe riscoprire. Marcello Falletti di Villafalletto Da L’Eracliano, n. 267/269, aprile-giugno 2020


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LA POESIA “MONDANA” E RELIGIOSA DI

DOMENICO DEFELICE di Lia Giudici

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’OPERA di Domenico Defelice “Le parole a comprendere”, pubblicata dalla Genesi Editrice di Torino nell’ Aprile 2019, consta di quattro parti, una prefazione di Sandro Gros-Pietro e la postfazione di Ermerico Giachery. Delle quattro parti la prima prende il titolo dalla poesia “Le parole a comprendere” e che ritroviamo in copertina, sulla quale appare anche la Torre di Babele nel Duomo di Milano, senz’altro non per caso, la seconda si chiama “Ridere (per non piangere)”, la terza “Epigrammi” e la quarta “Recensioni”. Le parti seconda, terza e quarta si differenziano nettamente dalla prima per stile e contenuto, perché con esse il poeta affronta in modo molto polemico, a volte sarcastico, temi di politica quotidiana o di ordinaria quotidianità. I suoi strali vanno a colpire molti personaggi pubblici noti o anche no, vicende interne al Palazzo che all’esterno hanno prodot-

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to solo disastri. Una sequenza di personaggi quindi si avvicendano ininterrottamente, verso dopo verso, e a tutti il poeta non le manda a dire. Uno straniero non edotto della storia socialpolitica italiana, leggendo queste poesie, potrebbe farsi un’ampia cultura in questo ambito, traendone spunto per ulteriori approfondimenti. Da questi versi si evince un’attenzione alla sfera politica e sociale molto particolare. Il poeta non vive nella sua torre d’avorio, ma è in contatto con l’esterno e di esso narra, in versi, e questa caratteristica non mancherà anche nella prima parte che, nella diversità, evidenzia il tratto comune dell’attenzione agli accadimenti del mondo. Viene ricordato infatti l’episodio che vide nella Chiesa dei Santi Marcellino e Pietro a Roma la devastazione di un crocifisso a colpi di mazza e della statua della Madonna di Lourdes, presa pure a mazzate, e a questo sfregio si aggiunse il gettare i suoi resti sulla strada. Correva il 2011, era il 15 ottobre. Un corteo pacifico sfilava per Roma, genti da tutta Italia erano lì accorse per manifestare per i propri


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diritti, ma chi aveva abbracciato la linea violenta uscito era dal seminato pacifico e si era scagliato anche contro i simboli della Cristianità, lasciando sgomenti anche chi Cristiano non era. Un modo come un altro per screditare battaglie doverose. Qui però il poeta, credente, non si erge a giudice, e questa attitudine si espliciterà altre volte in questa parte. Implora Dio di perdonarli e con loro noi, perché l’ inconsapevolezza ci accomuna tutti (pag 33, Le sue ossa hanno infranto). E implorata viene anche la Madonna che non dovrebbe distogliere gli occhi dal volto pieno di collera celato dietro il passamontagna - i blac bloc dietro ad esso si nascondono -, il poeta chiede di “non abbandonarlo mai” (pag 34, Quei tuoi occhi fissare pietosi). A pag 31 in “Fragili insetti impazziti” Defelice rievoca qualcosa di tremendo, un padre che dimentica il 18 maggio 2011 in macchina sotto il sole di Teramo la figlioletta Elena, per andare all’Università dove lavora e durante la lunga assenza del genitore la piccola si spegne. Padre egli stesso Defelice nuovamente non si erge a giudice, si chiede solamente come sia stato possibile. Cerca di immaginarsi quella fine tragica, la bimba che piange, sempre più flebilmente, il sentimento di tradimento che potrebbe aver provato, la disperazione per essere stata dimenticata e che l’ha soggiogata. Tenta di mettersi però anche nei panni del padre, come sarà la sua vita dopo questa tragedia? Il poeta cerca di comprendere: il sistema capitalistico, la sua ansia, il suo vortice, la sua essenza da schiacciasassi ci stritola e ci trasforma in fragili esseri che impazziscono, dimentichi dei valori essenziali. Per un miserabile pezzo di pane, al quale però non si può rinunciare. Gli organi di Elena sono stati donati e tre bimbi hanno potuto continuare a vivere grazie a lei. E’ sufficiente però per sciogliere il nostro cuore trasformatosi in una pietra? Un altro esempio di attualità, che irrompe nella poesia di Defelice, è collegato a Ötzi, la mummia naturalmente preservata, trovata nel settembre del 1991 sulle Alpi, al confine tra

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l’Austria e l’Italia, e che ci trasporta nel periodo tra il 3400 e 3100 prima di Cristo; ne immagina la vita fatta di caccia e la morte legata sembra a cause naturali. Ci viene reso questo reperto umano del passato, ma grazie a qualcosa di preoccupante, il ghiaccio che si scioglie e che lo porta alla luce dopo un tempo infinito; una scoperta meravigliosa che contribuisce a farci comprendere cose nuove sulla nostra evoluzione, forse a inquadrare meglio quel tempo così remoto, ma non è la distanza temporale che inquieta, bensì quel “ghiaccio avariato” (pag 23, Ötzi). Ed eravamo solo nel 1991. Una nota ecologista quindi qui traspare. La poesia di Defelice potrebbe essere definita per la sua attenzione a quanto succede fuori da lui “mondana”, in verità è anche intrisa di un forte sentimento religioso, come ben traspare dalle due poesie sopra menzionate relative all’episodio nella chiesa di Roma; la presenza di Dio è una costante nella prima parte di questa raccolta. A volte parla di lui: “Il tempo per l’uomo è molto labile. Iddio soltanto ha il calendario esatto” (pag. 41, Il calendario esatto); altre volte gli si rivolge direttamente, anche per chiedere perdono di non esserne sempre consapevole: “Mi aliti dentro, notte e giorno da quando sono nato… Perdonami se non me ne accorgo” (pag. 38, Quando hai deciso aspirami). Nelle poesie seguenti la consapevolezza è maggiore: “Come la terra intorno al sole l’Universo ruota intorno a te: Tu sei la Terra nuova e i Cieli nuovi” (pag. 43, Come la terra), “...ma le medaglie opache che il mondo mi ha donato, risplenderanno come e più del sole se ci passi le dita” (pag. 59, Il tempio, aiutami a spazzarlo). A Dio si rivolge, ora forse più di prima, perché il tempo corre veloce e la fine si avvicina: “L’albero che hai piantato, o Dio, s’ avvicina agli ottanta (pag 57, Crisalide e navicella); la consapevolezza di questa irreversibilità è infatti un’altra costante di tutta la raccolta. Mai però la morte viene menzionata con terrore, solo con inquietudine, umanamente comprensibile, poiché non è dato sapere cosa succeda aldilà della soglia e a Dio il


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credente chiede aiuto per affrontare questo viaggio “oscuro” (pag 38, Quando hai deciso, aspirami) o “viaggio incognito” nella poesia di pag. 39, “Dal panico mi salvi la tua voce”, contenente l’implorazione: “Oh, Dio, Ti prego, non abbandonarmi.” e ancora (la metafora è sempre il viaggio) “uno lunghissimo, dalle congetture estremamente accidentato” (pag. 82, L’estremo viaggio). A volte sovviene al poeta che dopo la soglia potrebbe non esserci nulla, ma è un dubbio che sembra non attecchire: “Se non è tutto fantasia e chimica, vedrò non solo le Antille, ma il mondo tutto nei particolari: … E poi il Cosmo dove è perenne lotta tra i Titani,..” (pag. 82, L’estremo viaggio). Il trapasso è anche una “estrema potatura” (pag. 37, Crisalide e navicella). E questo verso rimanda a un’altra presenza costante nei versi di Defelice, quella della Natura. E’ quasi impossibile rintracciare nell’intera raccolta una poesia ove manchi qualche descrizione di un paesaggio, dove il mondo animale o vegetale non compaia e questo profondissimo legame non si contrappone mai a Dio: “Tu sei con me al cospetto del respiro del mare nelle notti stellate e quando l’ uragano ci sconvolge” (pag. 39, Dal panico mi salvi la tua voce). Anche la vita dopo la morte si svolge in mezzo ad essa: “..pei tuoi celesti e sterminati campi” (pag 73, Presto dovrò salire al cielo); “Crisalidi noi siamo per l’ Eterno, celesti praterie ci attendono (pag. 56, Sono farfalle i morti); “Nel tuo giardino verdeggia ogni pianta ed ogni filo d’erba; gli animali si trastullano anche quelli estinti sulla Terra da millenni.” (pag 43, Come la Terra); “Fammi giungere in pace e fiori fammi coltivare nelle Tue luminose praterie” (pag 38, Quando hai deciso, aspirami); “Addio Adirge! Agevole ti sia l’estremo viaggio verso i giardini fioriti dell’Eterno” (pag. 84, Sole tiepido sulla tua bara). Pesco, ulivo, pero, noce, olmo, pioppo sono gli esseri, in “Padre da Padre a Padre”, pag 76/77, con i quali lui ha sempre dialogato. In quel momento però interrompe la conversazione con loro perché qualcosa sembra non girare per il verso giusto, per l’affanno degli

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anni ora visibile anche allo specchio, per l’ indolenza che ha fatto capolino per la prima volta nella sua altrimenti operosa vita, per i pensieri preoccupati che s’annidano nella sua mente, ma la comunicazione prima non è mai venuta meno, riprenderà quindi senz’altro. Il dialogo con loro è stato una costante, come non lo fu invece con il padre. Il ricordo corre quindi a lui, i suoi tratti rivede ormai nei propri allo specchio, gli innaturali silenzi tra loro in vita riemergono dalla memoria, come pure la sua richiesta di perdono sul punto di morire. Perché mai suo padre avrebbe dovuto chiedere perdono? Perché non li ha lasciati ricchi? Un chiarimento sarà possibile, quando lui lo raggiungerà: “C’incontreremo fra poco e parleremo. Terribile se così non fosse, se solo fosse questione di chimica”. Si evince nuovamente il dubbio che con la nostra morte finisca tutto, ma anche la speranza che così non sia. L’ultima poesia menzionata introduce a un altro filo rosso ben presente nella raccolta poetica di Defelice ed è quella degli affetti, parentali o amicali che siano. Numerosissimi omaggi, a parenti o ad amici, impreziosiscono il volume. Alla madre, Rosa Ceravolo, che si spegne in un tripudio di suoni e colori naturali; le fanno infatti compagnia “il tocco roseo della pervinca...”il tenue azzurro dell’ortensia”...”le campanule fiammanti e il verde cupo della bignonia” “...una rosa s’appoggia alla parete “ “sotto la calura ulivi solenni e argentei”; nel fossato cantano i merli e del fringuello pigolano i piccoli che affamati aspettano la loro mamma (pag. 18/19, Dormi serena). Una madre se ne va, l’altra freneticamente cerca il cibo per gli appena nati. Nessuna angoscia nella descrizione di questo passaggio di vita che per tutti rappresenta qualcosa di assolutamente fondamentale, qualsiasi relazione si abbia avuto con la madre. Forse solo il fiume indica qualcosa di stonato perché è “muto”, però questo evento, non precluso a nessuno, placa tutte le ansie, i dolori, le pene; la scomparsa dalla vita terrena di colei che ha messo al mondo colui che ora le dedica versi alta-


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mente lirici non le toglie la capacità di intervenire, lo farà da un’altra dimensione, continuando a vegliare sui suoi cari, perché legami così profondi non si possono mai spezzare. Ne è certo il poeta e ne sono certa pure io! Al padre sono dedicate oltre a quella sopra menzionata, altre poesie: al momento del trapasso, quando chiese perdono e invocando la Madonna, un po’ sfigurato dall’agonia, si distese, assunse un sorriso e “il volto gli si colorò d’infanzia” (pag. 27, Morte da saggio). La saggezza non abbandona il padre nemmeno in questo momento e la sua potenziale tragicità si trasforma in un tocco lieve. Un magnifico dono per un figlio, forse più della terra dal genitore avuta e che lui ha venduto, con l’ intenzione di ricreare quell’ambiente nel nuovo lido dove si è trasferito. Il nuovo luogo di residenza viene però percepito dal poeta come un “esilio”, perché forse troppo poco somigliante a quello dell’ infanzia, ma il padre ne rimase comunque contento quando lo /la andò a visitare: “Quanto da te diversa. Eppure, ricordo l’allegrezza di mio padre il giorno ch’è venuto a salutarti” (pag 22, L’allegrezza di mio padre). Questa appare come una benedizione per il cammino del figlio intrapreso altrove, lontano dal luogo dove fu generato. Non possono chiaramente mancare gli omaggi ai tre figli, Stefano, Gabriella e Luca che a pag. 48 in “Sempre ho avuto un sogno” vengono menzionati tutti. Per tutta una vita il padre ha sognato di vedere le unioni dei propri discendenti dare frutti, trasformando le nuove dimore in “case tutte fiorite d’occhi di bambini”. Gabriella ha già esaudito questo suo desiderio, Stefano sta convolando a nozze, a Pomezia, il 14 settembre 2013, a Luca spetta di chiudere il cerchio e lo farà, il 9 luglio 2017; la poesia “Oggi nella mia casa, è festa grande” a pag 68/69 racconta i festeggiamenti per le nozze del secondo figlio, giornata memorabile che si contrappone a un mondo inquieto dove spira un “vento avvelenato”, ma la tristezza non può trovare spazio in questa atmosfera gioiosa incontenibile, viene dissolta dall’allegria e dall’amore in-

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neggiato dagli astanti, sentimento in grado di rendere fecondo tutto; solo riso e canti possono avere patria in quella situazione; non si può né si deve fare altro, è permesso solo farsi avvolgere dal profumo del vino e dal suo gusto che rimanda al sole. La festa è impreziosita dalla presenza dei nipotini, Riccardo, Valerio e Leonardo. Dio misericordioso ha esaudito il desiderio espresso dal poeta di non andarsene prima di quel momento. A Valerio aveva già dedicato “Per gli altri che verranno” (pag 51), testo ispirato dall’annuncio del suo arrivo da parte della nuora Emanuela. In questa occasione viene data voce all’ incapacità di esprimere anche con baci e abbracci, fisicamente quindi, la gioia profonda innescata dalla notizia; il poeta, che in versi sa esprimersi a tutto tondo, a questo proposito di sé e della moglie dice “Blindati come sempre, alle effusioni, al canto degli affetti”, lasciando trapelare un certo rammarico. E aggiunge che fu così anche con Riccardo, l’altro nipotino, e pure con i figli. A Valerio sono ancora dedicati “Perché tu venga” (pag 52) e “Il tuo ruolo nel teatro del mondo” (pag 53), scritti sempre prima del suo arrivo su questa terra. Quale ruolo avrà?, si chiede il nonno Domenico. Non è dato sapere a noi mortali, ma parallelismi possono essere fatti, ci sono molti santi con questo nome, un partigiano addirittura, associato alla fine di Mussolini. Il nonno gli augura di amare sopra a ogni cosa “Amore e Libertà”, il rispetto dell’altro e la clemenza della persona forte. Gli suggerisce di evitare le passioni che rendono schiavi e per essere ancora più autorevole si avvale degli insegnamenti del nostro Sommo Poeta: “Fatti non foste..” Come si evince quindi da quanto illustrato poco sopra, ampio spazio viene riservato ai “congiunti” (Mi si conceda a proposito una digressione: la parola ha scatenato le reazioni più svariate, sui social anche simpaticissime; ho iniziato a scrivere della raccolta poetica di Defelice all’inizio della fase due dopo il rigidissimo lockdown e su questa espressione si è ironizzato, discusso, ipotizzato, non riesco quindi a non riferirne). Ampio respiro si regi-


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stra però anche per le amicizie, innumerevoli. L’uomo, profondamente legato agli affetti non solo famigliari, è addolorato perché quasi tutti gli amici sono mancati “Il deserto s’ espande innanzi a me inesorabilmente” (pag 39, Dal panico mi salvi la tua voce). E’ il privilegio, ma contemporaneamente la pena, per chi vive più a lungo degli altri, costretto continuamente a dare l’ultimo saluto a chi in qualche modo ha condiviso con lui qualche esperienza nel corso della vita. La poesia a pag 42 “Le parole a comprendere”, è dedicata all’amico Geremia che lo sorprende con una telefonata nella notte del 31 dicembre del 2012, data prevista dal calendario Maya come capolinea del mondo; non ha messo mano al telefono per fare gli auguri, in verità vuole sentire recitata dall’amico un verso poetico; più delle parole in prosa la poesia lo acquieta perché “sempre inadeguate sono le parole a comprendere il senso della vita e delle cose”. La chiacchierata si snoda allegramente e Geremia non fa mancare la risata che lo ha sempre contraddistinto e che gli anni non sono riusciti a inficiare; l’amico si congeda e la profezia per lui si compie perché lascia questo mondo proprio il giorno successivo. Il presentimento lo ha guidato verso ciò che invece adeguato è alla comprensione del mistero della vita. Altri versi dedicati ad amici arricchiscono l’opera: “L’amante esclusiva” (pag 28) per Giorgio Iannitto, che amava sopra ogni cosa la Natura. L’ultimo dono, una pianta di peperoncino viola, offerta all’amico e alla sua consorte durante l’ultima visita, è appassita il giorno della sua scomparsa. La Natura da lui così tanto amata, corrispondeva al suo amore che, venuto a mancare, non può che appassire. A pag 49, “Sei tu quel pettirosso”, narra in chiave lirica il rientro nella terra d’origine del poeta, che era pure quella dell’amico mancato e nel di lui paese. E ancora una volta la morte non dà adito a disperazione, l’amico è sempre presente, è il pettirosso che danza sopra il pruno e lo saluta. La vita in fondo non finisce mai e questa atmosfera lieve si percepisce anche nella descrizione del funerale di Adirge

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Amici, appassionata di giardinaggio. Già il titolo della poesia “Sole tiepido sulla tua bara” (pag. 84) ne preannuncia l’atmosfera lieve e i versi successivi non fanno altro che confermare questa levità: “Fuori il trifoglio fresco delle ultime piogge, le conifere, la magnolia, gli elci stracarichi di ghiande, la spennacchiata ed esile giuggiola nel giardino di fronte e gli ulivi, tanti, appena solleticati dalla brezza”. Tra gli omaggi agli amici, ancora vivi al momento della dedica, sono da segnalare “Non venire al mio raduno” (pag 71) e “ A Peter Russell” (pag 29). Con il primo cerca di giustificare un “cazzeggio” intercorso tra loro e che sembra aver disturbato l’amico; lungi da lui era l’idea di volerlo offendere. Si “cazzeggia” perché non resta molto altro da fare dato che il tempo scorre inesorabile verso l’ultima tappa e alla disperazione porge un argine la fede: “Credo perché dispero. Anch’ io non so che c’è dall’altra parte” Prega quindi l’amico di non partecipare al suo funerale perché detesta la tristezza, di serbare invece nella memoria le risate dei momenti allegri. In questi versi si legge un po’ di sconforto che però non è la cifra del poetare dell’autore. Al poeta inglese Defelice si rivolge in modo molto affettuoso. Di lui, che scelse l’Italia come patria elettiva e precisamente Pian di Scò nella Val d’Arno in Toscana, lasciando in eredità al paese l’intero patrimonio librario, di lettere e documenti, tratteggia la fisionomia, menziona il mulino dove l’amico inglese, che non amava la mondanità, si era rifugiato (il mulino si chiamava “La Turbina” ed era diventato la sua casa biblioteca). Defelice cerca di scuoterlo dal suo torpore, rivolgendosi a lui con il vocabolo “fauno”, nell’Antica Roma la divinità campestre protettrice dei campi e delle greggi, una semplice parola che rende pienamente il carattere di questo personaggio che della notorietà non se ne faceva vanto e anzi la rifuggiva. La celebrità non è scontato che conduca alla ricchezza, soprattutto se la fama è circoscritta a nicchie culturali, e Defelice lo spiega molto bene a pag. 47 in “Del poeta la dignità”. Materialmente parlando ha poco da ostentare,


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non possiede Suv, iPhone, iPad, villa con piscina, viaggia poco, anche se molto con la fantasia, indossa abiti modesti, non ha conti in banca, non frequenta discoteche, va rarissime volte al ristorante, ma alla sua età, ormai vicino ad essere veneranda, sa ancora apprezzare la bellezza ed è stato in grado di conservare un bene preziosissimo e ormai diventato raro: la dignità. Non si potrebbe che esclamare: “Complimenti”! Perché non è da tutti, anzi per molto pochi. A ciò dovrebbe pensare l’ autore di questa raccolta quando fa un bilancio della sua vita in “Cosa ho fatto? Nulla” a pag. 40. Se non si sono accumulate ricchezze, è facile rispondere negativamente a questa domanda che prima o poi nella vita ci poniamo. Ma Defelice ha amato la giustizia e l’ onestà e ha lottato al loro fianco, riuscendo a trasmettere l’amore per esse, per la bellezza in fondo, attraverso il canale di comunicazione da lui prescelto. E’ forse poco? Non è forse encomiabile riuscire a riassumere in sei versi il senso di una vita intera, messa a confronto con le quattro stagioni dell’anno, facendola poi scivolare a fine corsa nel “mare dell’Eterno.”? (pag 16, Un anno, una vita). O quando omaggia l’Amor Cortese, facendoci rivivere l’incontro “a distanza” tra un uomo e una donna, nuovi Romeo e Giulietta? (pag. 17, Venere? Una tua ancella) Lei dal suo balcone dispensa armonia che porta allo sbocciare della natura intorno, il suo sorriso scioglie il giaccio della montagna che, diventato acqua, scende verso valle. E lui se ne sta estasiato ad ammirarla, perché ha a che fare con una donna che supera in bellezza la stessa dea. E l’incontro fisico tra i due innamorati avviene attraverso petali di rosa: “Un petalo di rosa scende, sfarfalla palpitando, tenerezza mi sfiora...Verso il mio viso veleggia un altro petalo di rosa”. Quale sublime poesia in questo inno all’amata! Ma anche quando Defelice non tratta di Amor Cortese, bensì di un incontro che ad esso non si può ascrivere, ci regala con pochissime pennellate un quadretto di grande suggestione. L’incontro avviene in un treno “che danza sulle rotaie” su un percorso che sfreccia accanto al mare “Lungo la

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riva il treno galoppa”. I due sconosciuti, intenti a leggere un libro e a trastullarsi con il cellulare, si guardano, si piacciono e lasciano perdere quelle attività per il tempo che il treno impiega a riemergere da un tunnel, dando spazio al desiderio imperioso di avvicinarsi: “Lussuria danza sulle rotaie...La brama scorre sulle rotaie”. Poi tutto torna come prima: “Riaperto è il libro e il cellulare” (pag 79, Scompartimento). Un incontro che nulla ha a che vedere con una relazione di affetto duraturo e che per questo si tenderebbe a censurare, ma che io trovo assolutamente distante, per come viene descritto, dalla volgarità imperante, che non è scontato risparmi rapporti di lunga durata, magari anche sanciti legalmente. Altri quadretti mirabilmente pennellati meritano di essere segnalati. In “Immagini in transito” a pag 45 e a pag 46 “Montagne di tesori”; il poeta riferisce di due episodi accaduti in un albergo a Firenze il 22 luglio 2013. Nel primo poema si contrappongono allo scorrere impalpabile del tempo le descrizioni molto plastiche di due persone, impiegate nella hall dell’albergo, una donna nel passato e nel presente un uomo. Nel secondo è un ospite argentino nello stesso albergo che segnala ciò che tutti gli italiani ormai sanno da tempo: lo spreco di talenti e di tesori. “La vera vostra crisi: l’Italia che nasconde i suoi talenti, che al sole non sa esporli, farli fruttificare”. Come dargli torto? Ormai il mio lavoro sta arrivando alla sua conclusione nonostante ci sarebbe ancora molto da dire. Notevoli le altre innumerevoli poesie, da me non citate, dedicate alla Natura. Non le posso menzionare tutte, sono troppe, invito a leggerle, fanno bene allo spirito. Chiudo invece parlando d’infanzia che serpeggia instancabilmente tra le righe. I “Ricordi d’infanzia” a pag 25 rimandano un’atmosfera non proprio serena. Siamo alla fine di una giornata faticosa, per tutti, e il cibo non abbonda. La madre infatti ci rinuncia, per lasciarlo ai figli e al marito a cui la durezza del lavoro ha screpolato e fatto sanguinare le mani. Cala la notte ed è inquietante: il cielo è “appesantito d’astri”, si sentono “il tonfo


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cupo di una mela, un grido di civetta, il frusciare del ghiro tra le foglie vizze, la paura dei morti usciti dalle tombe”. Il sonno arriva, ma è “pieno di incubi sopra cartocci rumorosi”. L’infanzia di Defelice viene anche segnata dalla guerra che per fortuna è vissuta in modo inconsapevole, da innocente, e diventa uno spettacolo di cui ridere: “Arrivarono da dietro la collina gli aerei come falchi in picchiata sull’allodola” (pag 78, Ridevo allo spettacolo). “La montagna degli alberi morti” a pag 80 è molto meno angosciante, a dispetto della cupezza del titolo. Il “bambino selvaggio”, così si definisce l’autore, d’estate si sedeva su una pietra, godendo dell’ombra di tronchi e rami accatastati che ospitavano tarme e formiche e all’imbrunire anche ricci e topi. Ma il ragazzino non si faceva intimorire, incominciò lì a esprimere la sua vena poetica, aveva infatti incominciato a scrivere “versi sulle lunghe e decorate foglie del noce” e la fantasia lo faceva già allora volare verso “altre montagne e pianure e mari sconfinati”. Esperienze poi messe in pratica concretamente. Ho scelto di chiudere con queste tre poesie per dimostrare che è possibile portare a frutto i propri talenti, anche partendo da situazioni iniziali disagiate e che il loro spreco sono un insulto alla vita, se non a Dio. Domenico Defelice è ancora qui con noi per dimostracelo. Lia Giudici Su questo numero e con questo saggio, ha inizio la collaborazione, alla nostra Testata, della scrittrice LIA GIUDICI. Nata a Como il 3 aprile 1953, fino al 2012 è stata docente di tedesco. Questa attività, iniziata nel 1978, è stata svolta nella Scuola Statale Secondaria Superiore a Lecco, città attuale di residenza, Milano e provincia, Brescia, nei Civici Corsi di Lingue Straniere del Comune di Milano e per il Comitato per la Diffusione del Tedesco, fondato nel 1969 e presente in altre realtà italiane. Nel 1981 fu tra i/le soci/e che lo rifondarono, aggiungendo al nome il termine Milanese, componente del Consiglio Direttivo e sua rappresentante alla riunione di programmazione annuale che si teneva all'inizio di ogni settembre con tutti i rappresentanti degli altri Comitati diffusi a livello nazionale e istituzioni tedesche varie (Goethe Institut, Consulenti per l'insegnamento della lingua tedesca in Italia, Consolati, etc), in località che cambiavano ogni anno. Durante l'attività lavorativa come insegnante ha

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frequentato numerosi corsi di aggiornamento in Germania, dove aveva vissuto per periodi molto lunghi, mantenendo comunque costante il rapporto anche con la Gran Bretagna, dove pure aveva soggiornato a lungo, insegnandone la lingua in contesti privati italiani. Dopo la conclusione dell'attività a scuola ha frequentato un corso di formazione di counseling tenuto a Milano da Giovanni Crivellaro dell'Istituto di Metapsicologia e un suo approfondimento a Oslo nel corso internazionale, incentrato sull'approccio ai traumi, tenuto in inglese da Franz Ruppert. Ha pubblicato con Colibrì Editore un libro sulla casa dove ha vissuto dal 1989 al 2003: "Milano: via Arquà e i Corpi Santi" e con tre colleghi "Bitte schon"Hoepli Editore, testo di tedesco per scuole e corsi a indirizzo turistico e alberghiero. Ha anche pubblicato su quotidiani articoli concernenti la scuola. È appassionata di letteratura, musica, teatro, cinema e danza, con uno spiccato interesse anche per tutto ciò che concerne le terapie mediche alternative e i viaggi.

Domenico Defelice: “Post tentationem” (biro), 2020 ↓


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LO SPOLVERIO DI

MAURIZIO SOLDINI di Carmine Chiodo

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A poesia di Maurizio Soldini è assai originale per lo stile, per la lingua, per gli argomenti. È la caratteristica di fondo non solo di questa silloge, ma pure delle precedenti. Senz’altro questa raccolta che sto esaminando rappresenta il punto d’arrivo della raggiunta maturità poetica e come giustamente scrive il finissimo critico, anch’egli poeta, Giuseppe Manitta, Maurizio Soldini << è una voce originale della poesia italiana, sia per la vivacità stilistica, sia per il modo con il quale affronta le problematiche della contemporaneità>>, cosa che è ampiamente dimostrato dai versi che cito qui di seguito: <<Non cedere e celare la stanchezza/ senza concedere alibi all’impasse / è il soprassalto a vincere l’inedia>> (<<Non cedere>>, p. 26); <<Il brulichio anima la vecchia gioventù/ mai si sopisce a fronte dell’inverno/ anche se a bruciapelo gli anni passano >> (p. 59). Bisogna addentrarsi nella costruzione di questa poesia, nelle sue immagini e allusioni e situa-

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zioni per poterne cogliere il significato e l’essenza. Soldini procede scavando e focalizzando per immagini e per allusioni che rinviano ad altro e ciò viene fatto con un linguaggio e una sintassi poetica assai incisiva e personale, che dà un tono e uno svolgimento a un dettato poetico unico nella nostra odierna poesia contemporanea: << i secondi imbrigliano e sovrastano/ i sensi e smerigliano il vuoto restando/ nello spazio che accade in un soffio>> (<<Erranza del tempo >>, p. 61); <<stazioni ferme al battibecco nella ressa/ per chi ha suonato la campana – discesa/o risalita che muove a nuova comparsata>> (<<La metropolitana, p. 144); <<Vagano ciondoloni i desideri/ nelle strade piene di buche/ una domenica mattina all’alba>> (p. 145). Il poeta fa emergere ciò che c’è sotto la polvere, lo spolverio degli accadimenti, dei fatti, delle situazioni, delle <<meccaniche >> della terra e lo fa con una splendida e molto attraente poesia che nel contempo mostra l’atteggiamento, il pensiero, la sensibilità e la cultura con cui Soldini si pone davanti alla vita e alla realtà che lo circonda. Dicevo prima che tutta l’originalità della poesia di Soldini consiste soprattutto nel linguaggio e nel tono con cui procede e si espande la riflessione e il dettato poetico. Si tratta di brevi ma intense rappresentazioni e pensieri che si intrecciano tra di loro e da essi emerge in modo chiaro l’io poetante che registra varie situazioni, e si vedano al riguardo i componimenti presenti a pagg 64 e 123: <<a quasi un secolo dall’altro/ dove sono finiti quei visi le mani/ di allora domanda ora la terra/ e quei sandali corrosi di polvere>> (<<Agli amici d’allora>>); <<si stava scamiciati negli occhi/ col viso diretto ai polpacci/ dietro i passi nudi dell’estate>> (<<La sera d’estate>>). Molti sono gli scorci e le visioni nella poesia di Soldini che danno però al libro una omogeneità e un significato profondo, caratterizzato da un linguaggio vario e che va dal quotidiano allo scientifico al letterario: <<e ho visto nell’alba mille tramonti/ uscire di nascosto senza preavviso/ pronti ai ritorni per tuffarsi in mare/ in un istante che somi-


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glia al nulla>> (p. 96); <<ai lati dei marciapiedi saltano/ come birilli topi in malafede/ tra i cocci di bottiglia e il mondo>> (<<Carnevale>>, p. 111); <<si giocano astenia e afasia la nenia e il pizzo dell’uscita/ viene la disbasia al viandante/ se l’ugola non ha più voce/ che faccia camminare i treni>> (<<Per amor di sé>>, p. 29); <<c’è un bradisismo del pensiero/ che oltrepassa la pelle e scivola nel lento scalpitare delle forme>> (p. 35); <<penetrare nella sintesi di una donna/ con gli occhi abbarbicati sopra il collo /e scalare lungo il giugulo sul mento/ l’approdo al bel pendio delle sue labbra>> (<<Nella sintesi >>, p. 131); ma prima pure <<alla ricerca di un cornetto caldo/ e un caffellatte che odora dal bar/ in fondo alla curva sulla provinciale>> mentre poi ecco un’altra scena del cane che << si spulcia della noia/ accanto all’edicola che sa di petrolio/ e nella piazzetta parla da sola la fontana>> (la già citata <<Domenica mattina>>, p. 145). Il titolo talvolta fa parte integrante della poesia che si basa su modi di dire le cose, su parole e pensieri, immagini che si sovrappongono o si intrecciano tra di loro, o si scontrano o ancora coincidono o si richiamano tra di loro o che ancora si accumulano per esprimere la varia condizione umana, il punto di vista dell’io poetante, e al riguardo non posso non citare almeno un testo dal titolo <<S’ invecchia>>: <<gli anni se ne vanno come caramelle/ succhiate a iosa senza farci caso/ e non c’è verso di saziare questa vita>> (p. 67) e poi ancora come viene detto in conclusione: <<e la bontà di quelle caramelle non passa/ invano lascia un sapore che per quanto amaro/ affonda nella lingua e lascia il suo dettato>>. Versi che seguono dinamiche terrestri. Oppure, quando ancora, si dice <<il secolo ha avuto vita breve è passato /come un refolo uscito dalle sue voci>> (<<Aporia di un secolo passato>>, p. 69). Orbene leggendo e rileggendo la poesia di Soldini saltano fuori pure altre caratteristiche e si possono dare di essa varie interpretazioni e insomma di questa poesia si può dire: poesia esistenziale, di pensiero, di alto pensiero, espresso con metafore ben azzeccate, con tocchi poetici ben orche-

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strati, che rendono molto bene ciò che il poeta vuole specificare o dire, le sue varie situazioni e i fatti, il presentare momenti, istanti della realtà umana e di quella esterna: <<tra l’ ombra e il refrigerio scivola l’estate/ l’uscita dall’adolescenza dei pensieri/ avvoltolati a illudersi tra giochi e desideri>> (p. 120). Sono d’accordo con Giuseppe Manitta quando scrive che già il titolo della silloge rivela quella che è la <<molteplicità tematica dell’opera >>. Questa silloge è stata giudicata assai bene da vari recensori e critici che hanno messo in evidenza la peculiarità stilistica e i vari andamenti tematici di essa. In essa, ancora, sono state notate presenze particolari e citate come il filosofo Heidegger, richiamato ad apertura, per esempio; insomma in questa poesia assistiamo a varie comparse e scomparse oppure ancora si legge che <<come cani le parole abbaiano>> e ancora <<nelle scorribande di festa in testa/ era la cognizione del tempo>> (v. la già citata <<La sera d’ estate>>, p. 123; si vedano pure altri testi come <<Vivendo>>, pag. 123; <<serena luce del mattino>> a p. 98 ). Il poeta, dunque, sorprende e rende magnificamente questo <<spolverio>> delle meccaniche terrestri dandoci una poesia di grande spessore che mi spinge a dire che attualmente Maurizio Soldini è una presenza egregia nel Parnaso contemporaneo e che è arrivato alla poesia dopo lungo studio e continue ricerche linguistiche e meditazioni, da cui sortiscono versi come i seguenti: <<come la vita arriva in tromba e parte/ nel viaggio underground in busillis/ i venti sgomitano a frotte sulle scale>> (<<La metropolitana>>, già citata, a p. 144); <<e ogni giorno si ripete il canto/ che accompagna nel cammino/ fuori dai denti per combattere//così compagna di ventura vive/ la vita grama di passi e fermate/ si spoglia e si riveste per esistere>> (p. 100). Orbene a che cosa ci fa assistere questa <<mirifica>> silloge poetica!? Allo spogliarsi e rivestirsi della vita, condizione questa ineliminabile, perché essa possa esserci. Carmine Chiodo Maurizio Soldini, Lo spolverio delle meccaniche terrestri, Il Convivio Editore, 2019


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LUIGI DE ROSA FUGA DEL TEMPO di Renato Dellepiane

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UNGHI anni di frequentazione con la letteratura, ed in particolare con la poesia, in quanto docente di italiano, mi hanno sempre più convinto che la poesia del '900 e di questi primi decenni del 2000 sia caratterizzata da un particolare atteggiamento del poeta di fronte al mondo (la natura, la società, la storia) che gli sta intorno. Questa caratteristica è forse propria del poeta di ogni tempo, ma si è certamente accentuata in quest’epoca in cui il decadentismo, liberato ormai di ogni accezione negativa, ha lasciato l’eredità più profonda di una poesia intesa come unica forma possibile di conoscenza nel mistero che ci circonda, nei dubbi che ci assillano, in una natura “foresta di simboli”. Mi pare infatti di poter dire che, da un lato, il poeta si sente vivere, dall’altro si vede vivere,

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nel senso così chiaramente e drammaticamente espresso da Pirandello nel suo saggio sull’ Umorismo. Si pensi, nel primo caso, ai due estremi del senso panico del poeta quale si esprime in D’Annunzio (La pioggia nel pineto) e, meglio ancora, in Ungaretti (I fiumi in cui il poeta si sente “una docile fibra dell’ universo”). Nel secondo al già citato Pirandello o a Gozzano (che, ne L’ipotesi si vede nonno nel 1940, lui vissuto solo fino al 1916) oltre, ovviamente, al correlativo oggettivo di Montale. Questa lunga premessa per dire che ho trovato questi elementi nell’ultima raccolta di Luigi De Rosa (Fuga del tempo, Genesi Editrice, Torino) a suggello di un discorso poetico che si svolge da lungo tempo e che mi era capitato di seguire per una semplice curiosità iniziale e poi per vero interesse. Egli era stato infatti uno dei miei primi superiori quando ho iniziato ad insegnare e, in seguito, lo ritrovavo nell’ambito di quei poeti liguri contemporanei verso i quali ho provato sempre un grande interesse. Già nella raccolta Il volto di lei durante ed in particolare nella poesia che le dà il titolo avevo colto una delicata sensualità in un estatico abbandono che lasciava però il posto alla consapevolezza di “ore della solitudine”. C’era, insomma, quella capacità di creare immagini e contemporaneamente di inserire elementi meditativi che caratterizza la poesia di De Rosa. Nella raccolta di cui stiamo parlando questi elementi si fondono molto bene tra di loro, creando un linguaggio tutto particolare. Il sentirsi vivere permette al poeta di creare immagini che indicano una sorta di assaporamento della natura e del paesaggio, in cui la nostalgia lascia talvolta il posto ad un attimo di felicità. Nel contempo, il suo vedersi vivere non è solo il vedersi protagonista di momenti della sua esistenza come individuo in mezzo ai suoi simili, ma anche di sentirsi protagonista, come tutti gli uomini, della grande Storia collettiva, pur nella loro piccola storia individuale. Ecco che allora si passa dalla contemplazione alla meditazione ed anche ad un atteggiamento di giudice disincantato e se-


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vero in cui facit indignatio versus. Dati questi elementi dell’ispirazione, il linguaggio varia di conseguenza, muovendosi su diversi registri espressivi. Questi traducono talora in immagini un atteggiamento contemplativo, quasi estatico, come si è accennato: si pensi al trittico dedicato alle rose (rosa, bianca, rossa) che esprime proprio quella simpatia (in senso etimologico) con la natura di cui si diceva. Il cromatismo delle immagini esprime una sorta di identificazione col fiore, quasi il poeta ne vivesse la vita breve ed intensa. La rosa rosa “che penzola nel vento/nevoso di gennaio”, è così “fuggevole promessa di bellezza/ nella fredda illusione/ che tutti ci circonda”. La rosa bianca si identifica col presente dell’uomo in quanto “solitudine splendida/ sospesa/ sul futuro e sul passato”. Nel caso specifico, ci sia concesso di notare, sul piano del significante, il rilievo dell’ allitterazione sulla /s/ che sembra portare l’attenzione del lettore sul tema del passato, della nostalgia e di un futuro a cui ci si avvia “come un funambolo/ che ésita/ sopra una corda tesa”. Quella sensualità controllata e casta cui abbiamo accennato si esprime con chiarezza nella poesia un po’ più lunga dedicata alla rosa rossa in cui il poeta va ben oltre il topos letterario. La rosa infatti, con i suoi “baci dolci, di velluto/offre la sua bellezza/(pur irta di spine)/sperando di sopravvivere/ in altre rose rosse” e richiama così alla vita che è ancora lunga, mentre “Domani si potrà anche iniziare/ ad appassire”. Come si vede, il sentirsi vivere del poeta è sempre collegato ad una meditazione su se stesso e la vita. Talora questa meditazione nasce dal ricordo di un momento, assaporato creando una sorta di brevissimo idillio: si vedano Treno fermo in campagna e Sera in montagna che sono forse le espressioni più compiute della capacità “pittorica” del poeta che riesce ad immergersi nel paesaggio ed a ritrovare una comunione profonda e rasserenante con la natura. Quella natura che talvolta diventa vera metafora della vita, come in quel Sottobosco, in cui bisogna “inoltrarsi con passi cauti ma decisi” per arrivare a scoprire, alla fine del cammino, “un sogno che insperatamente/ si

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avvera”. Quando i versi di De Rosa si muovono sul filo della contemplazione e del ricordo, occhieggia qua e là la rima, come se la poesia volesse trovare un suo breve ritmo, una sorta di acuto delicato (mi si passi questa sorta di ossimoro….) come prosa-rosa cosa nella bella poesia dedicata a Giorgio Caproni (omaggio e meditazione sulla funzione del poeta) oppure nella contrapposizione cielotremulo altissimo stelo della rosa rossa. Così, non a caso, contemplare rima più sotto con lungomare nella poesia Genova è ancora la superba? che intrisa di nostalgia e speranze mosse nell’animo del poeta da una contemplazione, appunto, della città “in certe mattinate di cristallo”. Come si diceva, il poeta si vede vivere anche nel ricordo di un momento, come quello dell’abbandono “in una Milano del dopoguerra” che lascia un segno indelebile per tutta la sua esistenza. Ma se il poeta si rivede “bambino spaurito” che guarda attraverso “occhiali da sole soffocanti” la “madre che si allontana/per sempre”, non manca di dedicare al padre una poesia di grande dolcezza, capace di esprimere tutto il “non detto”, nel raccogliere “in questo cuore angosciato dai dissidi” tutto quanto di immateriale e materiale il padre ha lasciato. Nella poesia Caro papà si stabilisce una comunicazione che va al di là del tempo, delle incomprensioni, dei drammi stessi della vita. Allora il concetto, un po’ carducciano, La poesia non è cosa per allocchi assume un significato che va ben oltre il senso che ha nella poesia con questo titolo, ma diventa un misterioso veicolo di comunicazione, un modo per attingere l’eterno insieme con i propri cari. “Non omnis moriar” era l’aspirazione dei classici e lo è di ogni poeta, non solo perché gli altri lo ricordino (si veda Human destiny in cui De Rosa esprime tale speranza) ma perché egli stesso possa tramandare i suoi ricordi e gli oggetti dei suoi sentimenti. Proprio nella poesia sopra citata emerge con forza l’aspetto di un poeta che si vede vivere all’interno di un preciso contesto storico, di cui coglie inaccettabili aspetti negativi collegati al dominio del “dio denaro”, e pertanto


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dichiara con forza “Poeti ed artisti non restino sempre a guardare”. Confesso che, partendo da una posizione crociana quale la mia, inserirei questa composizione nell’ambito dell’ oratoria. Ma si tratta di una oratoria sincera che nasce dall’indignazione di un poeta che non vuole estraniarsi dalla storia, chiudersi nel solipsismo dell’introspezione o nel puro sperimentalismo linguistico di chi, giocando con la parola, fa di essa l’unico vero contenuto di una composizione. Nella poesia che dà il nome alla raccolta, il poeta confessa, iniziando la poesia con un “E” che dà il senso della conclusione di un ragionamento, di una meditazione interiore: “E può arrivare il giorno del rimpianto/per frammenti di vita autentica perduti a miliardi/in illusioni inconsistenti”, nella consapevolezza che cultura, sensibilità e forse anche il riconoscimento dei propri errori non rendono felici. Tuttavia resta una certezza: quella di continuare “ad amare la vita/per continuare a viverla”. E amare la vita vuole dire per De Rosa amare intensamente la poesia. Questo anche perché egli ha continuato a praticarla fin dagli anni giovanili, pur avendo avuto incarichi di responsabilità, ponendosi semmai qualche interrogativo sul senso che oggi ha la poesia, di fronte a grandi catastrofi (E dopo Fukushima; Alluvione a Monterosso) con un tono che sembra riecheggiare il “come potevamo noi cantare” che tutti abbiamo nella memoria. In una delle poesie in cui la confessione si fa più personale, De Rosa si rivolge alla signora Senectus per dirle con chiarezza che “il suo cuore, i suoi sogni, la sua poesia” non saranno mai preda di lei. Questa raccolta ne è certamente la prova più evidente. Renato Dellepiane Prof. Renato Dellepiane, già Docente di Italiano e Preside del Liceo “M.L.King” di Genova.

IL POETA Sensibile ad ogni visione, triste o allegra, ad ogni evento, sembra il poeta un essere qualunque.

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Egli, però, non è tale. Lo distingue il senso poetico, la sua sensibilità, accentuata, il suo sguardo sognante, la sua distrazione. Sì, egli è anche distratto: mentre parla con te, il suo interesse va alla natura, ai luoghi caratteristici di questa, alla pace della campagna, al silenzio dei boschi, al mormorio dei ruscelli, al mare e alle onde, che lambiscono la pelle e fanno, piacevolmente, rabbrividire; va alle persone infelici che egli vorrebbe consolare. Vedi cambiare il suo viso, la sua espressione, a seconda dei ricordi che si presentano alla sua mente; piange o ride, ma non riesci ad intuire, a scoprire il motivo delle sue emozioni, della sua gioia e del suo dolore. Antonia Izzi Rufo (Castelnuovo) SINCRONIA Una musica, un Largo di Haendel, s’alza dalle ogive della chiesa si libra in preghiera. Ha le stesse volute le stesse onde e distese delle chiome degli alberi giù nel chiostro mosso dalla brezza. Ogni nota si scioglie allo spazio è un’ala all’infinito, ogni foglia è ritmo verde si leva in sincronia. Io li conosco, questi attimi, li offro alla mia vita. Sono gli attimi dell’Armonia. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta - Edizioni Nuova Mezzina, Molfetta, 2017.


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IL COLPO D’ALA DI AGATA MAZZITELLI di Giuseppe Leone ON un’acuta e illuminante prefazione di Felice Foresta, scrittore, autore di romanzi, come Il faggio che sposò la luna (Tralerighe, 2015), Lungo il sentiero delle trasparenze (Tralerighe, 2018) e di raccolte di poesie, come Dietro la fontana (Ed. La rondine, 2018), Agata Mazzitelli, già vincitrice di numerosi concorsi nazionali di poesia, in lingua e in vernacolo, ha pubblicato nel marzo 2020 per i tipi dell’Editore Kimerik di Messina, nella collana Karme, Dal silenzio un colpo d’ala. Una silloge in versi esprimenti sensazioni, emozioni e stati d’animo, che il prefatore ricollega, non tanto alla tradizione della poesia lirica, quanto alla stagione più recente del comparatismo, per l’evocazione dell’alterità a cui tendono e la forte impronta oggettiva che caratterizza la loro ispirazione. Si tratta di 24 componimenti in versi, nei quali la poetessa si confessa con toni dolci e forti a un tempo, sospesa fra silenzi a cui l’invitano i ricordi e colpi d’ala quali si aspet-

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ta dalle ripetute invocazioni al padre. Sono sussulti al cuore, estasi d’anima, miraggi di madri, eterni istanti, trepidazioni, che corrono e si rincorrono, nell’incanto creativo, ora gioiosi, ora volti alla malinconia, a seconda che l’anima si trovi a condividerli col corpo. Il tutto in un suggestivo intreccio di richiami ai suoi affetti familiari più amati, nel segno dell’amore materno e della pietà filiale, che affiorano e vivono di un calore umanissimo, autentico, e a tratti straripante, seppur controllato sul piano espressivo, attraverso riconoscibili rimandi a escatologie cristiane e speculazioni agostiniane; e in uno stile, che, ardito e icastico, riesce raffinato e incisivo. Eccola, in una di queste poesie, chiedersi se questo suo “eterno sentire”, sia un dono a chi muore o un grido al Signore; se la sua poesia le riservi approdi terreni o fughe nella metafisica, se questo suo perpetuo cercare trovi la sua meta nell’agognato riabbraccio col padre, oppure la spinga oltre, a contemplare il divino. Un dubbio che complica la vita al lettore, nel momento in cui è la poetessa stessa, e scientemente, a non volerlo svelare. Anzi ne infittisce il mistero, attraverso una serie di parole vaghe e indeterminate, come “un sussulto, un rumore, un’attesa, un pensiero, un … confine, uno strazio, una resa, un dono, un grido, un respiro; a cui alterna parole finite, come l’assurda stranezza, questa morte, la sorte, l’eterno sentire, quel muro, questo dolore, il viso, il muso. Tuttavia, non toglie al lettore la possibilità di venirne a capo lo stesso. Lo fa attraverso alcune parole rimate, sparse qua e là, senza una precisa cadenza, ora in consonanza, ora in posizione antifrastica, come: cuore / rumore; morte / sorte; muore / Signore; giuro / muro; sole / dolore; amarezze / incertezze. Sono esse il solo e unico filo, lungo il quale viaggia l’io della poetessa. Si direbbero rime apripista, lì lì per buttare il muro sottile tra la vita e la morte, per arrestare l’attimo, ma sempre per la voglia di sfiorare (lui) / nei giorni che si tuffano tra pensieri d’inchiostro / e tristi fogli bianchi di


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speranze. Quello che colpisce, allora, sfogliando le 74 pagine del volumetto, è il rapporto di Agata con la poesia, il trattamento che le riserva; la forza e l’autorevolezza con cui le impone il suo gusto, fino a farle mutare abitudini, cambiandole le regole. Ne dà una prova già in questi versi: E ora ti vorrei, eterna e bella / come apparivi ieri e giovane … , in cui appare evidente che la poetessa non è disposta a fare sconti all’orecchio del lettore ; oppure: come negli anni miei di ragazzina / quando tutto accadeva però, la liscia pelle / spianava innanzi a noi tanto futuro / e non come ora, / che incerto è il giorno, perché così va il mondo / e consolar non posso questo cuore / che batte sì nel petto di una donna, / un tonfo dentro l’anima bambina!, dove la rima, è vero, questa volta, non la nega, ma la concede solo in lontananza, quando di essa ormai sembra persa pure l’eco. V’è, poi, dell’altro, anche rime che si accendono improvvise, mai annunciate, estemporanee: dopo quelle già indicate, come / morte / sorte; muro / giuro. tristezze / amarezze; e altre, baciate, all’interno dello stesso verso come cuore / rumore; o, anche alternate, come mare / madre, vi sono altre rime che la poetessa muove a elle, come il cavallo nel gioco degli scacchi: … le braccia sì a fortezza del tuo amore lo sguardo dolce quasi di fanciulla un cuore colmo di buoni sentimenti di forza, di conquiste, di rimpianti eterni istanti, il tuo pensier cammina quei sentieri di sacrifici e stenti. Una raccolta più che matura, insomma, sul filo di una visione alta della vita e della storia umana, quale traspare già nel titolo e si dichiara ancora di più se si leggono le liriche di questa poetessa che sa conciliare le sue necessità interiori con le urgenze sociali: da un lato, il suo amore della sensazione comune; dall’altro, la ricerca della parola eletta. Soprattutto quando l’ispirazione si vertica-

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lizza, nel senso che dal più profondo dell’ animo tende ad elevarsi alle vette sublimi della speculazione meditativa, fino a sfiorare le zone inaccessibili del mistero e dell’eterno, come in questi versi ne La salita delle madri, quando voci di bambini sembrerebbero annunciare la resurrezione dei corpi: Quando camminerò la vita sognando passi da grande uomo con te dentro un cuore di bambino. O come, in Se tu ritornerai, la poesia che chiude la raccolta, quando lo scandaglio della realtà si fa più profondo, perdendo gli agganci col provvisorio e irrobustendo l’ansia di rottura con i limiti del sensibile e del conoscibile. Allora avviene che, nel turbamento che la assale nei momenti di maggiore sconforto, la poetessa si comporti, come una volta, affidandosi alla presenza delle persone care: con l’alterità, come per tempo se n’era già accorto Felice Foresta, indicando in essa, non solo lo stile d’arte e di vita di Agata Mazzitelli, ma anche un insegnamento e una poetica. Giuseppe Leone Agata Mazzitelli: Dal silenzio un colpo d’ala. Editore Kemerik, Messina, 1980. € 14.00. Pp. 74.

SOLE E STELLE Sul davanzale, una sfera di cristallo ultramarino con dentro bolle d'aria. All'alba, un raggio di sole la trasforma in magico cielo notturno colmo di stelle. Dormono i pioppi. "Nel cuore profondo della notte"* sognano i giochi del vento e il nuovo sole. Aida Isotta Pedrina USA *Due versi di Domenico Defelice tratti da “Parlano i pioppi”, in Le parole a comprendere, Genesi Editrice, Torino 2019.


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AURORA CACOPARDO E FRANCESCO D’EPISCOPO: NAPOLI SALVATA DALLE SCRITTRICI di Liliana Porro Andriuoli

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APOLI salvata dalle scrittrici è il titolo di un libro di saggistica scritto a quattro mani da Aurora Cacopardo e Francesco D’Episcopo, nel quale viene presa in esame l’opera narrativa di quattro note scrittrici italiane: Anna Maria Ortese (Roma, 1914 – Rapallo, 1998), Elisabetta Rasy (Roma, 1947), Maria Orsini Natale (Torre Annunziata, 1928 –2010) e Pina Lamberti Sorrentino (nata a Pola, ma ormai da anni residente a Pompei). Sono questi due critici che non hanno bisogno di presentazione, anche perché non è la prima volta che pubblicano insieme un libro di critica letteraria, dato che già nel 2011 era apparso a loro nome un volume dal titolo Na-

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poli: luoghi letterari, nel quale venivano presentati quattro romanzi: Speranzella di Carlo Bernari, Scala a San Potito di Luigi Incoronato, Via Gemito di Domenico Starnone e Montedidio di Erri De Luca. Ora però l’ interesse di entrambi si è rivolto al femminile. Delle quattro scrittici Aurora Cacopardo si occupa di Anna Maria Ortese e di Elisabetta Rasy, che sono collegate entrambe all’area cittadina (vale a dire a Napoli città), mentre Francesco D’Episcopo si occupa di Maria Orsini Natale e di Pina Lamberti Sorrentino, che sono invece da inserire nell’area vesuviana. È qui interessante notare come il Professore D’Episcopo metta in luce la diversità anche «antropologica e culturale» dell’area vesuviana rispetto a quella napoletana, dato che la prima possiede delle «caratteristiche conservative, che si respirano nelle pagine dei suoi principali scrittori […], i quali davvero aderiscono alla pelle di un territorio» in cui essi hanno vissuto da sempre, «perché vi sono nati». Per venire ora al libro in esame è da dirsi che la prima delle scrittrici che ci viene qui presentata è Anna Maria Ortese, della quale viene preso in esame, da Aurora Cacopardo, uno dei suoi romanzi più noti: Il cardillo addolorato (1993). Questo libro, che ha un inizio da favola, è ambientato in una Napoli di fine settecento, dove giungono dai Paesi Bassi tre giovani cavalieri, per far visita ad un celebre guantaio, rinomato in tutta Europa. Costui è padre di due figlie non ancora sposate, una delle quali (Elmina) è già in età da marito. Di lei s’innamora il cavaliere più giovane e la sposa. La ragazza è molto avvenente, ma il cavaliere piuttosto che dalla sua bellezza sembra essere maggiormente attratto dal fatto che Elmina non parla, quasi sia resa «muta» da un «blocco interiore». Elmina sembra in realtà nascondere un segreto, in qualche modo connesso con un cardellino (in napoletano, cardillo). «Ma dopo qualche pagina la favola diviene dramma». Andando avanti infatti il racconto si complica, perdendosi in un mondo irreale, dove nulla è più certo, tranne «la scandalosa realtà di solitudine e di dolore che


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possono soffrire gli esseri più indifesi», venendo a contatto con una «natura oltraggiata e vilipesa da uomini insensibili e gretti». La ricerca della Cacopardo è compiuta con acume e professionalità, che mettono in luce pienamente i pregi del libro dell’Ortese e specialmente lo stile con cui è scritto, ricco di preziose descrizioni e di eleganti metafore e nel quale il tema del male è sviluppato con grande bravura. Su tutto domina la presenza di una Napoli vista dai tre visitatori stranieri in una dimensione «allucinata e disperata». La Cacopardo osserva pure che nel libro dell’Ortese «si intrecciano esperienze sensoriali di tipo realistico e visioni magicamente surreali», sicché «la vita popolare della città è vista come manifestazione della irrazionalità e ribalta i significativi luoghi comuni sulla natura solare della napoletanità». L’altra scrittrice di cui si occupa la Cacopardo è Elisabetta Rasy, giornalista e saggista, ma anche autrice di diversi romanzi di notevole successo (tra l’altro è stata finalista allo Strega con Ritratti di signora: tre storie di fine secolo, 1995). Benché romana di nascita, come l’Ortese, la Rasy ha scritto pagine di grande efficacia su Napoli, in un romanzo intitolato Posillipo, che nel 1997 fu finalista al Campiello. L’immagine della splendida collina emerge più che mai viva e vera dal ricordo della Rasy, anche se il suo è un ricordo non privo di sofferenza. La voce narrante è quella della scrittrice, la quale si volge indietro negli anni e reinventa il proprio passato. Così, con un sottile gioco psicologico, scaturisce dal romanzo la vicenda di due bambine che passano «attraverso ardue prove, … dalla fanciullezza ad un’adulta giovinezza». Tutto ciò è indagato con grande intelligenza ed efficacia dalla Cacopardo, la quale fa risaltare il significato del libro, che è quello della maturazione della protagonista, attraverso il suo ritorno a Napoli e in particolare a Posillipo, coincidente con il suo passaggio dall’ infanzia all’età adulta. Lo studio compiuto dalla Cacopardo sull’ Ortese e sulla Rasy è indubbiamente valso a far meglio comprendere il loro diverso modo

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di porsi nei confronti di una città nella quale sono vissute durante un periodo della loro vita; una città che è stata da loro amata per la sua bellezza e negata per l’infelicità che essa racchiude, specie nei suoi quartieri più poveri e disagiati. Maggiormente cruda è la visione dell’ Ortese, nella quale s’avverte come un sentimento di ripulsa per la sofferenza e la disperazione che vi alligna e un po' dovunque compare; più oscillante tra la realtà e il sogno quella della Rasy, nella quale l’evidenza e la concretezza si sposano alla magia e alla favola. Entrambe hanno però certamente contribuito a penetrare più a fondo nell’anima di una città che affascina chi le si accosta per il suo incanto ed anche, perché no, per il suo mistero. Un lavoro analogo è stato compiuto dal Professor Francesco D’Episcopo nella seconda parte del libro, nella quale si è occupato della narrativa di Maria Orsini Natale e di Pina Lamberti Sorrentino, due scrittrici che hanno validamente contribuito attraverso i loro romanzi a far meglio conoscere non tanto la città partenopea, quanto la «zona Vesuviana», quella zona ai piedi del Vesuvio, compresa fra Torre del Greco e Torre Annunziata, a cui entrambe sono particolarmente legate. Costantemente domina sul loro paesaggio il Vesuvio, abitualmente chiamato dai residenti la «Montagna». («Chell’è ’a Muntagna» viene detto, in Francesca e Nunziata, da Mariuccia, «una specie di rustica governante», alla nuova bambina, che non aveva ancora visto il Vesuvio da vicino). La prima delle due scrittrici, Maria Orsini Natale, durante la prima parte della sua vita, si è dedicata prevalentemente alla famiglia. Solo successivamente, allorché dal Nord Italia è ritornata a Torre Annunziata, suo paese d’origine, ha iniziato a scrivere e nel 1995 ha pubblicato il suo primo romanzo, Francesca e Nunziata, che ebbe un eccezionale successo: fu infatti nello stesso anno semifinalista al Premio Strega e vincitore dei premi Oplonti d’oro e Domenico Rea. Si tratta di un «romanzo ciclico», che va dal Risorgimento all’Era fascista, «proponendo –


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come osserva D’Episcopo – un affresco della nostra storia meridionale e nazionale attraverso le trasformazioni imprenditoriali di una famiglia di pastai». Il romanzo copre infatti un arco temporale di quasi un secolo, prendendo l’abbrivo dall’infanzia di donna Francesca (1857, quando nel Sud dell’Italia regnavano ancora i Borbone) e terminando con la morte della figlia Nunziata, cioè nel 1940, alle soglie della seconda guerra mondiale. Numerosi sono ovviamente i personaggi che si succedono durante questo lungo arco di tempo, tutti dall’Orsini tratteggiati ad arte, a cominciare dal nonno, il capostipite, il quale, da semplice mugnaio diede inizio a una produzione artigianale di pasta che ebbe successo, per proseguire con i numerosi figli e nipoti, che fanno da sfondo alle due protagoniste. È questo un romanzo che, come scrive Luigi Lamberti nella sua Postfazione al libro, può farsi rientrare nell’ambito di quella che viene abitualmente chiamata la «letteratura vesuviana», perché in esso si rispecchiano «gli umori dei personaggi e i movimenti meteorologici del vulcano»; ed inoltre vi domina la sua imponente sagoma, che finisce per essere quasi la vera protagonista del libro. Qui D’Episcopo ci fa notare, con il profondo intuito del critico, come vi sia una «consanguineità tra il Vulcano, dominatore e [per usare un’espressione leopardiana] “sterminatore”, e la gente che giace ai suoi piedi»; consanguineità che «si respira tenace in tutto il romanzo». Ed è questo un libro, come ci fa ancora osservare il nostro critico, nel quale «oltre la realtà, la favola è la vera essenza», tanto da dar luogo ad un vero e proprio «Pentamerone vesuviano», cioè a un libro di racconti. L’altra narratrice della quale si è occupato D’Episcopo in questo libro è Pina Lamberti Sorrentino, nata a Pola, nell’attuale Croazia, la quale, dopo aver vissuto diversi anni in Grecia, nell’isola di Leros, si è trasferita in Italia: prima in Sardegna, a Cagliari, e successivamente sul Continente: a Taranto e poi a Napoli, per stabilirsi infine a Pompei, dove ha insegnato Filosofia nei licei e dove tuttora

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risiede. La Lamberti Sorrentino ha al suo attivo diversi libri, per lo più di narrativa, fra cui: Questo è il mio Sud, 1976, Morano Editore (finalista al Viareggio); Il respiro della memoria, Graus Editore, 2006; Ex povera sposa ex ricco, Kairòs, 2016; Risacca sulla riva del cuore. Il respiro della memoria. Parte seconda, Graus Editore, 2011. È anche coautrice di due importanti volumi di saggistica: uno del 1999, scritto in collaborazione con il figlio Luigi (autore della Postfazione al libro in esame) e il secondo del 2002, a firma di Francesco D’Episcopo, Luigi Lamberti e Pina Lamberti Sorrentino (Editore TempoLungo). Significativo è il titolo Napoli salvata dai suoi scrittori, un libro nel quale l’intenzione degli autori è stata quella di «elaborare una prima, provvisoria mappa della letteratura a Napoli nel secolo scorso». Venendo poi al libro che qui presentiamo, è da osservarsi che il nostro critico ha dedicato alla Sorrentino un lungo saggio su due dei suoi più recenti libri: Il respiro della memoria. Parte Prima, edito da Graus nel 2006 e Risacca sulla riva del cuore. Il respiro della memoria. Parte seconda, edito sempre da Graus nel 2011. In questo saggio D’ Episcopo, sul filo della storia narrata dall’autrice, insegue la vicenda dei due protagonisti, Carmen e Lubian, che fa rivivere in maniera puntuale ed avvincente, specie nei momenti più intensi. Con la loro storia il nostro critico è entrato in profonda consonanza, diffondendosi anche sugli episodi riguardanti i primi passi nella vita della figlia Giusy e della sua nascente famiglia. Con ciò il romanzo si chiude, ma potrebbe a lungo continuare, sicché può dirsi che “la storia finisce senza finire”. Emerge dalla prosa della Sorrentino, come da quella di D’Episcopo, un reale entusiasmo per la bellezza della natura che essi descrivono o comunque rivedono davanti ai loro occhi, sicché la vicenda narrata diviene quasi un pretesto per manifestare questo loro sentimento. La freschezza e la verità del racconto di cui qui si parla nascono infatti proprio dall’ autenticità del sentire sia dell’autrice che del


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suo critico, il quale sa cogliere sapientemente di queste pagine i forti moti dell’animo che esse contengono, mettendoli in risalto con opportune citazioni, quali: «Gli anni passarono scanditi dai treni rossi che passavano sotto il Vesuvio, in mezzo alle pinete…»; «Capri era splendida, che sembrava il Paradiso, messo in piedi, sull’orizzonte…»; «C’era la luna a falce che brillava, che sembrava d’oro in un cielo blu. Le stelle si muovono, si agitano, lei la luna era immobile». È questa la magia del paesaggio vesuviano, che viene colto dalla Sorrentino in tutto il suo intenso fascino e attraverso un sentimento altamente pensoso della vita, che ci tocca e fugge, ma lascia in noi sensazioni e visioni indimenticabili. Ed è quanto la sua prosa trasmette, nel succedersi delle generazioni, attraverso le quali ogni volta la storia del mondo si ripete, sempre uguale e diversa, semplice e complessa ad un tempo, nel suo intreccio inevitabile di gioia e di dolore, che ci esalta e ci sgomenta, ma che sempre ci affascina con il suo incanto e ci rattrista nell’istante doloroso dell’addio. Quattro scrittrici di molto pregio queste che emergono dal libro della Cacopardo e di D’ Episcopo che, come tante altre fiorite negli ultimi decenni, sono valse a far meglio comprendere Napoli e i suoi dintorni, nella loro profonda verità paesaggistica ed umana. Liliana Porro Andriuoli AURORA CACOPARDO E FRANCESCO D’EPISCOPO: NAPOLI SALVATA DALLE SCRITTRICI (Editore Cuzzolin, Napoli, 2019 € 12,00)

Unmöglich, den Wind darzustellen!... Unmöglich, den Wind darzustellen!... Diesen unsichtbaren Riese, der alles mit sich zieht, diese mächtige Kraft der Natur! Er lässt sich in einem gebogenen Baum, in einem stürmischen Meer, in den geschwollenen Segeln eines Schiffes,

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in einem Strudel aus Staub und Blättern erkennen, verbirgt aber immer sein mysteriöses Gesicht. Meister der Himmel, Wolken und Wellen, er hat die unveränderliche Schönheit des Ewigen und die Macht eines Königs, der über alles herrscht, ohne gesehen zu werden. Impossibile rappresentare il vento!… Impossibile rappresentare il vento!… Questo gigante invisibile che tutto trascina con sé, questa possente forza della Natura! Si fa riconoscere in un albero piegato, in un mare in tempesta, nelle gonfie vele di un vascello, in un turbinio di polvere e foglie, ma sempre nasconde il suo volto misterioso. Padrone di cieli, nuvole e onde, ha l’immutabile bellezza dell’ eterno e il potere di un sovrano che su tutto regna senza essere visto. Marina Caracciolo It’s impossible to represent the Wind!... This invisible giant That drags everything with himself, This mighty power Of Nature! You can recognize it in a bent tree, In a stormy sea, In a vessel’s swollen sails, In a swirl Of dust and Leaves, But it always hides its misterious face. Master Of skies, clouds and Waves, It has the unchanging beauty Of the eternal And the power Of a ruler Who reigns over all with out being seen. Trad. in inglese di Manuela Mazzola


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ISABELLA MICHELA AFFINITO UNA RACCOLTA DI STILI di Salvatore D’Ambrosio

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NCHE questa volta, la nuova raccolta di poesie della Isabella Michela Affinito, è una raccolta variegata di stili. D’altronde la poetessa non fa altro che rispettare quello che è la linea editoriale data a queste pubblicazioni; da cui la titolazione alla collana stessa di Una Raccolta di Stili. Questo suo diciottesimo volume è recentissimo: in quanto pubblicato in gennaio corrente anno. Il libro, come da consuetudine dell’autrice, si apre con una sua introduzione con la quale ci presenta orgogliosamente, ciò che si andrà a leggere. È anche la motivazione, in definitiva, che l’ ha spinta alla realizzazione di questo e di tutti i vari altri precedenti volumi. In questo volume come negli altri, la molla

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che scatta è principalmente la meraviglia, o meglio direi lo stupore che la poetessa riceve nel momento in cui è di fronte a un’opera d’arte. L’arte, come avemmo già a notare, è per lei una necessità impellente, una sottomissione a cui si presta volentieri. Sappiamo dal suo vissuto, che lei non è solo un’amante fedele dei processi artistici per istinto e finezza d’animo, ma lo è anche e soprattutto perché i suoi studi, la sua cultura scolastica non hanno fatto altro che cementare ciò che era già nella sua predilezione ancestrale. Il pretesto per questo suo 18° volume, è l’ opera del grande scultore Antonio Canova. Dedica a questo enorme artista neoclassico, un breve saggio nell’ambito del premio internazionale di arte e cultura INTERART, che si tiene ogni anno a Carrara: città del marmo da tempi immemori, e a cui fecero capo i più grandi scultori di tutti i tempi. Parte, dunque, dal Canova la sua riflessione artistico- poetica. Seppur brevemente esamina, nel libro, il suo stile e la sua produzione artistica: alla sommità della quale c’è, e rimane per sempre, la parlante opera dedicata alla Paolina Bonaparte. Ma poi s’intrecciano, in questo suo volume, la bellezza delle donne canoviane con la bellezza celebrata da altri artisti, sensibili non solo a quella muliebre, ma anche a quella delle cose che ogni giorno ci affascinano e rapiscono da tempo perduto nel tempo. Il segreto, la peculiarità della Affinito è quello di avere la capacità di individuare e di mettere in risalto le bellezze che sono nascoste nei dipinti dei maggiori e migliori artisti di ogni epoca. La lettura delle opere che la colpiscono è puntuale e precisa: … la mondanità/ è uscita dalla scena/ e lei ha in mano la/ stessa mela che Paride/ consegnò a Venere … Così si esprime davanti al marmo della Paolina Borghese. Vede dunque una donna bella, pronta a farsi amare nella sua intera bellezza. La storia darà ragione a Paolina: tutti pur rimanendo estasiati davanti al capolavoro del


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Canova, lo sono soprattutto e maggiormente davanti alla sua bellezza. Osserva e descrive in versi, la realtà umile e quotidiana della donna rappresentata nella pittura di Felice Casorati. E per esempio, così: ”Sono donne con/ l’animo di legno belle/ senza sorriso,/ senza ardori, le braccia/ conserte in segno di/ rispetto verso la vita/ che non c’è … Osservazione, vivisezione dunque della bellezza femminile, nelle forme e nelle condizioni immortalate e fermate nel tempo ristretto di una tela rettangolare. E c’è ancora una scelta, che propone sempre in versi, una grande diversità anche nel costume delle donne in rapporto alla loro bellezza. Si va dall’estetica di Monna Lisa, a quella di Frida Kalo. Per poi passare a quelle meravigliose donne modernissime di Klimt o di Warhol. La vaporosità romantica delle femmine, si perché più che donne tali erano esse in quel tardo ottocento. E Monet così le ritrasse: caste si, ma di una provocante irresistibile femminilità. E la Affinito completa il tutto con le parole. Poi c’è, o almeno è mia suggestione, nella composizione particolare dei versi, quasi una corrispondenza o per meglio dire un disegno che ne viene, quasi a rappresentare in forma astratta il contenuto della lirica. Il verso che va a capo, apparentemente senza senso, rispecchia invece una ritmica creando onde, curve, linee a secondo del racconto che c’è nei versi. E sembra di vedere corpi, immagini che rispecchiano il contenuto del verso. C’è, infine, da riservare alla Affinito ancora un plauso per la bellissima immagine di copertina. Il collage e gli interventi ulteriori operati su una riproduzione della Danzatrice con Cembali del Canova, mette in evidenza nel segno grafico adottato dalla poetessa, la personalità multiforme della medesima. La scomposizione della forma originaria, la creazione di una seconda immagine ricalcante la prima, l’esplosione che distribuisce intorno a quella immagine di donna concetti moderni,

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come potrebbero essere quelle quadrettature tanto rassomiglianti a moderne calze a rete, o quei prolungamenti di braccia che si fanno ali per volare più su, più in alto dello spirito. Andare verso una cultura alta e non più esclusivamente appannaggio di un mondo maschile. Tutto ciò è sottolineato dallo sfondo verde, che non è lì a caso, come quelle braccia alzate anch’esse di un verde scuro. Quel colore rappresenta la forza della speranza, della libertà, delle parole scritte e dette per il raggiungimento di traguardi, nei quali c’è tutta la grandissima volontà dalla Affinito, e di tutte le donne, nel preciso momento in cui esse sono state il vessillo di una lotta caparbia per raggiungere obbiettivi che per secoli non erano mai stati messi nel conto, da riservare a una donna. La dimostrazione di questo raggiunto punto d’arrivo, è la copiosità dei suoi scritti che è una fonte sempre viva e inesauribile di parole sulle quali riflettere. Spicca ancora, su quello sfondo, il rosso che ella mette a nome di ogni donna come simbolo del loro cuore pulsante, e non solo di vita ma innanzitutto di sentimenti. Vi è anche la presenza del blu, che vuole aprire agli spazi infiniti e alla libertà. Non manca un piccolo pensiero alla nostra parabola terrena, che vedo rappresentata da un bellissimo viola tendente però più al carminio, quindi potremmo dire ancora il cuore, l’amore, il sentimento anche oltre l’ostacolo della morte. C’è ancora la presenza della luce, dell’ energia fisica e mentale non che della conoscenza, tutto rappresentato nella parte alta della figura della danzatrice, a un passo da quelle braccia protese al cielo, quindi all’ infinito. È la presenza del giallo che è l’esatta rappresentazione della storia culturale e umana di Isabella Michela Affinito. È la presenza della sua solarità, della sua energia tutta protesa alla conoscenza e al riconoscimento delle sue peculiari doti di artista. In questa, come nelle altre sue opere, siamo sicuri di ravvisare che lei si sente orgogliosamente di rappresentare le donne nella loro emancipazione, che fortunatamente va sem-


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pre più consolidandosi e ponendosi sul piano, ancora non semplice e pienamente soddisfacente, di parificazione con il maschio. Rimane ancora dell’antagonismo, che se non è strumentale ha anche i suoi aspetti positivi, creando stimoli a fare meglio e di più: da ambo le parti. Salvatore D’Ambrosio ISABELLA MICHELA AFFINITO - Una raccolta di stili, Volume 18° - Carta e Penna

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Che il non essere È proprio quella La nostra appartenenza Le saliremo e scenderemo All’infinito insieme Quelle intersecazioni commoventi Che hanno dato Il sogno di una guarigione

Editore-Torino, Gennaio 2020

LA MUSICA DI EZIO Bosso Era il nome Come duro legno Conosciuto appena Fino a ieri Pregiato divenuto Nella sua aurora Autunnale Sparita è La sua voce Ma resterà a lungo Forse per sempre Immagine a vagare Tra le sue scale Era lui la voce di Intersecazioni di Esher Percorse con rapide mani Sui neri Sui bianchi Fino a quando Non si è rotto l’incanto Per enigmatico Sconosciuto destino Bisognerebbe essere Tutti Per non soffrire Delle mancanze Tutti Bisognerebbe Non essere Per scoprire Quando ci manchiamo

Svanito invece Andato via In un maggio afoso Verso il sole Il punto alto Che nel ritmo la bacchetta Esile mostrava Eppur sapendo Pare Che lui non lo volesse Più di una volta Mostrò però Che non avrebbe fatto Bivacco alla frontiera Poiché Non è pausa dicendo La fine Di un concerto Salvatore D’Ambrosio Caserta

QUANDO S’ADDOLORANO I VIOLINI Quando s’addolorano i violini e nuvole d’incenso salgono alle navate, nello sguardo ci tremano i giorni di domani e diventano nuvole anche le preghiere. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019


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XU CHUNFA di Domenico Defelice

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U Chunfa è un famoso poeta della Cina contemporanea, nato il 24 febbraio 1942 in Cixi City, nella provincia di Zhejiang. Nel 1961 si laureò in una scuola professionale e iniziò la sua vita piena di difficoltà e tribolazioni. Ora è un soldato in pensione e un insegnante, membro della Chinese Society of Poetry. Il suo profilo è stato incluso nel Dictionary of Chinese Artists e nel Dictionary of Chinese Writers e ha ottenuto l’ “honorary certificate for excellent Chinese artists” e l’ “honorary certificate for excellent Chinese writers”. Ha pubblicato (Cinese-Inglese) Tidal Waves (una serie di libri dei poeti mondiali); in Cinese, Poetic Meditation Trilogy—Tidal Waves (Trilogia di meditazione poetica - Onde di marea), Poetic Meditation (Meditazione poetica) e Collection of Flowers and Fruits (Raccolta di fiori e frutti) etc., per un totale di oltre un milione di caratteri cinesi, che sono raccolti nella National Library of China, nella

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House of Modern Literature of China, nella Library of Peking University, nella Library of Tsinghua University, e nella Library of Renmin University of China, etc. Alcune sue poesie sono state tradotte in diverse lingue straniere, come inglese, Greco, francese, rumeno, russo etc. Ora vengono pubblicati, in Cinese-Inglese, Poetic Meditation e, sempre in CineseInglese, Collection of Flowers and Fruits, per un totale di oltre 800 mila caratteri cinesi, e sono elencati in “The Book Series of the World Poets”. Ecco, di seguito, due sue poesie, prima nella traduzione inglese e, poi, nella nostra libera versione in italiano. Azaleas Like flaming fire all over the mountain Dancing with raging red flames Like brilliant silk Spreading all over the meandering spring mountain People are hopeful Things are also hopeful You are the blood vessel of the mountains To burn the desire of hope Dancing with raging red flames People have love in their heart Myriads of things also have You are the emotion of mountains With which to weave the silk of love To be spread all over the spring mountain In the hopeful desire Ice and snow have melted Creeks and rills spread their silver lute string To produce melodious music In this lingering love Trees and grasses awaken Birds again gain their beautiful green garden And sing beautiful songs Because of the flames burning with desires


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Because of the lingering emotion burning with love Myriads of things awaken into youth from smothering The world now walks from repetition into eternity The Uncut Jade From ancient times to now through vicissitudes The creekside mountain rock which is deary and lonely Is eventually carved by the craftsman It is a rare treasure a precious jade Somebody wants to buy it with handsome money To carve it into a priceless jade mountain Let is reveal itself Beauty in its ugliness to preserve its genuine nature Which gives people endless fantasies Thousands of seekers Seething with desires full of expectancy (Translated by Zhang Zhizhong)

AZALEE Come fuoco fiammeggiante su tutta la montagna Ballando con furiose fiamme rosse Come una seta brillante Diffonde su tutta la primaverile tortuosa montagna La gente è piena di speranza Anche le cose son piene di speranza Sei il vaso sanguigno delle montagne Per bruciare il desiderio di speranza Ballando con furiose fiamme rosse Le persone hanno amore nel loro cuore Hanno anche miriadi di cose Sei l’emozione delle montagne Con cui tessere la seta dell’amore

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Da spargere sopra tutta la primaverile montagna Nel desiderio speranzoso Ghiaccio e neve si sono sciolti Insenature e ruscelli diffondono la loro corda di liuto d’argento Per produrre musica dolcissima In questo amore che persiste Alberi ed erbe si svegliano Gli uccelli riconquistano il loro bellissimo giardino verde E cantano bellissime canzoni A causa delle fiamme che bruciano con i desideri A causa dell’emozione persistente che brucia con l’amore Miriadi di cose si risvegliano nella giovinezza dal soffocamento Ora il mondo dalla replica passa all’eternità

LA GIADA INTONSA Dai tempi antichi fino ad ora attraverso le vicissitudini La roccia della montagna, cara e solitaria Finalmente scavata è dall’artigiano Un tesoro raro, una preziosa giada Qualcuno vuol comprarlo con denaro generoso Per scolpirlo in una montagna di giada inestimabile Ostacolo è il rivelarsi da se stesso Bellezza nella sua bruttezza per preservare la sua natura genuina Ciò dà alla gente infinite fantasie Migliaia di cercatori Sono in ebollizione con desideri ricchi di aspettative *** La prima impressione che colpisce, leggendo “Azalee” di Xu Chunfa, è l’orgia di colori che copre la montagna: la naturale asprezza, tipica delle alture, pur essa associata alla bel-


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lezza, è qui vestita della delicatezza (“seta brillante”) del rosso vellutato, fiammeggiante, dei fiori. Associato, e in contemporanea a questa prima impressione, è il movimento: un ondeggiare, un ballonzolare continuo di “fiamme rosse”, in grado di contaminare uomini e cose; che penetra l’interiore, seduce e sprona alla speranza. Di questo movimento, di questo lavacro creativo, se ne possono udire rumore e voce: il crepitio, lo scricchiolio che fanno “ghiaccio e neve” mentre si sciolgono; ma c’è un altro movimento/rumore che le capacità naturali dell’orecchio umano non sentono: quello degli “alberi ed erbe (che) si svegliano”. In questa frenesia collettiva, in questo fermento vitale, non potevano non essere coinvolti gli uccelli e le loro “bellissime canzoni”. Fiamme di fiori rigeneratrici, perché, al contrario delle vere fiamme - che distruggono -, l’ardente rosso è energia capace di fare esplodere dalla terra giovani elementi che giacevano nel suo seno come soffocati e che ora ripopolano la sua superficie, riportandola al suo principio edenico e trasformando una banale ripetitività in qualcosa di eterno. La montagna è elemento che unisce il primo al secondo brano, nel quale assistiamo alla monumentalità primordiale che si trasforma, ad opera dell’artista, in altra monumentalità più ricercata e preziosa. L’artista non fa che estrarre dalla natura ciò che già esiste, ma che, essendo nascosto, non è facile “rivelarsi da se stesso”; la bellezza è anche bruttezza e viceversa, giacché l’un termine non avrebbe senso in assenza dell’altro. Abbiamo l’impressione che Xu Chunfa, senza volerlo, alluda a Michelangelo, che traeva dalla roccia opere insuperabili e universalmente ammirate come “La Pietà”, “Il Mosè”, come le ultime opere incomplete, appena abbozzate, o come, infine, “La Notte”, celebre statua che gli dà agio di descrivere nella sua altrettanto famosa poesia “La Notte che tu vedi in sì dolci atti” - il lavoro dell’ artista/ostetrico: “La Notte che tu vedi in sì dolci atti/dormir, fu da un Angelo scolpita/in

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questo sasso, e perché dorme ha vita./Destala, se nol credi, e parleratti.//Caro m’è il sonno, e più l’esser di sasso,/mentre che ‘l danno e la vergogna dura./Non veder, non sentir, m’è gran ventura;/però non mi destar, deh! parla basso.” Altro elemento legante i due brani è l’ aggettivo sottinteso aspro: aspre, in genere, son le montagne (roccia, sasso); aspre son le fiamme e aspri persino i fiori, le orchidee, le quali, pur nella loro veste bellissima di seta, derivano dal termine greco άζαλέος, che significa proprio arido. Domenico Defelice

Framboyán Hay un framboyán sobre mi espera que deja por mis días un amargor que la noche arrastra cuando duermo, pero sigue ahí azotando las horas y en su copa crecen las palabras como queriendo atrapar al sol con las flores, y el cielo se complace con la neblina, mientras el viajero que me habita dialoga con los signos. Hay un framboyán sobre mi espera y desde sus ramas inéditas salta una luz que impulsa cada esfuerzo que los pergaminos esconden en la paciencia de otras manos, ahora que la llovizna retorna y el tiempo es un aluvión que dispersa los gritos del agua, y en las esquinas bostezan los pájaros cuando la oración exige su espacio entre las flores y la mañana. Hay un framboyán que sabe de mis huellas y en sus manos queda trunco el poema, y le veo partir cabizbajo, entre la lluvia que agobia a esta ciudad sedienta que aún dormita sobre dos ríos. Carlos Chacón Zaldívar Cuba


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RICORDO DI

BRUNO ROMBI di Elio Andriuoli

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L 27 aprile 2020 è mancato a Genova, sua città di adozione (era nato a Calasetta, in provincia di Cagliari, il 22 settembre 1931), Bruno Rombi. Critico, poeta e narratore di talento, ha al suo attivo una ricca produzione letteraria, con la quale ha ottenuto risultati di molto pregio. Per quanto riguarda la sua attività di poeta, quello che meglio la caratterizza è l’alternarsi nelle sue raccolte di versi di tematiche di stampo civile ad altre schiettamente intimistiche, come ha messo bene in luce Liliana Porro Andriuoli nel suo libro attualmente in corso di stampa, Poesia intimistica e civile in Bruno Rombi. Ciò può facilmente rilevarsi da un’attenta lettura delle sue numerose sillogi poetiche, a cominciare dalle prime, tra le quali sono da segnalare Canti per un’isola, che costituisce un omaggio di Rombi alla sua Terra natale, la Sardegna, da lui intensamente amata, per seguitare con Oltre la memoria, da cui emerge vivo il ricordo del figlio Paolo, perduto sul nascere; Enigmi animi, frutto di un’assidua ricerca stilistica, nel campo della poesia sperimentale; Un amore, raccolta di versi scritta in memoria della moglie Rosalia, alla quale lo legava un sentimento profondo che qui vivamente traspare; L’arcano universo, una silloge nella quale continuamente s’intreccia la forte proiezione del poeta verso il mondo esterno, con l’assiduo ripiegamento interiore; Otto tempi per un presagio, un libro nel quale assidua diviene la denuncia dei mali della società in cui viviamo. Tra i suoi libri di poesia ricordiamo inoltre; Il battello fantasma, raccolta di stampo

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schiettamente intimistico, per il suo assiduo scavo interiore; Tsunami – Oratorio per voce solista e coro, poemetto scritto in occasione del maremoto che sconvolse l’Indonesia ed altri Paesi affacciati sull’Oceano Indiano nel 2004: è questo un libro che possiede una profonda impronta di carattere civile; Come il sale, nel quale si ha un alternarsi di poesie d’ispirazione intimistica ad altre di ispirazione schiettamente civile. Tra le prime particolarmente toccante è quella nella quale Rombi si rivolge al figlio Luca, stabilendo con lui un virile dialogo, con parole forti e intense. Vengono poi una raccolta di poesie: Fragments de lumière, scritte da Rombi direttamente in francese, nelle quali egli dimostra una buona padronanza di questa lingua; un’antologia della sua precedente produzione poetica, Il viaggio della vita; un poemetto di carattere allegorico-fantastico: La saison des mystères; una raccolta intitolata Occasioni, di contenuto prevalentemente intimistico, dove assidua si fa la presenza della morte; Quando muore un poeta?, libro dall’assiduo ripiegamento sull’anima. A questa ricca produzione poetica Bruno Rombi ha contemporaneamente alternato la sua produzione di narratore, con alcuni romanzi, tra i quali emergono Una donna di carbone (2004); Un anno a Calasetta (2006); L’acquiescenza del padre (2014). Intensa è stata anche la sua attività di giornalista, di saggista e di conferenziere, oltre che quella di promotore culturale, attraverso l’organizzazione di alcuni Convegni di studi, tra i quali emergono quelli su Angelo Barile; quello su Enrico Morovich e quello su Salvatore Cambosu. Lascia negli amici un profondo rimpianto ed un ricordo che non li abbandona. Elio Andriuoli


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ASPETTANDO GODOT di Antonia Izzi Rufo

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spettando Godot" è un dramma di Samuel Beckett, nato a Dublino nel 1906. Samuel Beckett è il più famoso tra gli interpreti della crisi a lui contemporanea. Iniziò la sua carriera come docente universitario, ma l'abbandonò per dedicarsi soltanto allo scrivere. Visse a lungo a Parigi. Scrisse le opere tutte in francese, ma poi le tradusse in inglese, lingua non sua che gli permetteva di rappresentare meglio la condizione contemporanea. Nel 1969 gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura. Morì nel 1989, dopo aver vissuto anni tristi, in isolamento, per la sua desolata visione della vita. Scrisse le opere: "Aspettando Godot", "Finale di partita", "l'Ultimo nastro di Krapp", "Giorni felici", "Atti senza parole" (dove il dialogo scompare e si hanno solo i gesti di un uomo che non riesce a raggiungere gli oggetti che volano dall'alto e poi, misteriosamente, risalgono ("Respiro", dura solo 35 secondi). Significativa è la trilogia "Molly, "Malone muore" e l' "Innominabile" in cui personaggi indefiniti, ridotti a vaghe larve, monologano, in solitudine, sul nulla dell'esistenza. La visione di Beckett è ispirata ad un nichilismo totale. L'uomo si riduce a larva, si protende verso la speranza, ma è succube della sua degradazione. La sua condizione tragica è resa da Beckett con toni ridicoli, tragici, da clawn. Tutto è silenzio: alcuni testi non contengono parole, solo gesti ("Respiro"). "Aspettando Godot" è costituito da un evento che non si verifica mai. Due barboni, lungo una strada di campagna, aspettano un certo

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Godot che non arriva mai. I due hanno fame e freddo, si lamentano, pensano al suicidio, dicono che vogliono andarsene, ma non si decidono mai. Un ragazzo, alla fine del primo atto, giunge per dire loro che Godot non verrà per quella sera. Si ripete più volte, ma Godot non viene mai. Che cosa vuole significare ciò? Godot forse rappresenta una speranza, forse si allude alla condizione dell'uomo senza radici sulla terra, forse si allude addirittura a Dio (la "barba bianca", Dio = God ), non si sa nulla di preciso. Lo stesso Beckett dice: <<Non chiedetemi chi sia Godot: se lo sapessi ve lo avrei detto>>. Nel dramma non vi è né fine né inizio. Beckett arriva a rappresentare un teatro dell' "assurdo": la condizione umana è prigioniera di un meccanismo che non si può modificare, tutto è stravolto. Antonia Izzi Rufo

FRAMMENTI DI SONNO Frammenti di sonno durante il giorno si impongono e costringono a un riposo talvolta breve, talaltra lungo ma sempre inderogabile e involontario. Poi è giorno la sera, alba il tramonto. Mariagina Bonciani Milano

SOLE E STELLE Sul davanzale, una sfera di cristallo ultramarino con dentro bolle d'aria. All'alba, un raggio di sole la trasforma in magico cielo notturno colmo di stelle. Aida Isotta Pedrina USA


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LA BIBLIOTECA SANTORRE DI SANTA ROSA di Leonardo Selvaggi

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GGI rendiamo pubblica la Biblioteca che trae le sue origini dalla cultura, passione bibliofila del conte Santorre Annibale de Rossi di Santa Rosa. Essa, costituitasi tra il settecento e l'ottocento, riunisce pubblicazioni di cultura generale e soprattutto di cultura legata agli eventi storici del Piemonte, di storia locale, di tattica militare; molteplici edizioni riguardanti la storia della Francia, cinquecentine, interessanti opuscoli italiani e stranieri, spartiti musicali e manoscritti vari relativi alla Casata. Accanto al nucleo originario abbiamo il fondo bibliografico dei conti Malines di Bruino, cugini di Santorre di Santa Rosa; numerosi manoscritti appartengono a Roberto Malines, scrittore, storico, saggista, ideatore e fautore della fondazione della Reale Accademia di Pittura e Scultura di Torino. La Biblioteca ha un ulteriore arricchimento con opere del tardo ottocento, incisioni, ritratti, cimeli per merito di Santorre di Santa Rosa «junior», figlio di Teodoro, amico

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e confidente di Camillo Cavour, cerimoniere di corte del Re Umberto 1° e suo bibliotecario a Monza e a Napoli. In seguito erede della Biblioteca diventa il generale Santorre de Rossi di Santa Rosa III. Questi chiamò per riordinarla il compianto prof. Antonino Olmo, scomparso pochi mesi or sono, cui va il nostro ricordo in questa manifestazione che l'avrebbe visto protagonista e relatore. Il prof. Antonino Olmo, preside del Liceo Classico locale, solerte amministratore, autore di numerosi saggi, assertore profondo dell'attualità dell'eroe Santorre, si offerse di sistemare le raccolte con tutta la passione di studioso di cose savìglianesi che lo animava. Attualmente il conte Santorre De Rossi dì Santa Rosa residente a Segrate, ultimo erede, a seguito di rinunzia da parte della vedova, signora Vedda Tersilla Emilia, cede allo Stato la Biblioteca a scomputo parziale delle imposte di successione ex art. 6 legge 2/8/82 n. 512. L'acquisizione considerata opportuna in quanto la Biblioteca riveste importante interesse ai sensi degli artt. 1 e 5 della legge n. 1089/1939. Considerate le richieste della Regione Piemonte e del Comune di Savigliano di poter conservare in loco il materiale librario della già Biblioteca Santa Rosa, si è addivenuti nella determinazione che la medesima fosse assegnata, in ragione di deposito, anziché alla Biblioteca Nazionale di Torino alla quale appartiene patrimonialmente, alla Biblioteca Civica di Savigliano, per la complementarità con i fondi già esistenti presso il Museo Civico: ivi troviamo l'archivio della famiglia Santorre donato al Comune dal generale Santorre de Rossi di Santa Rosa III. La Biblioteca inserita nella ricca consistenza bibliografica della Nazionale, costituita da fondi preziosi, da manoscritti, disegni, incisioni, da donazioni cospicue e collezioni di notevole entità, sarebbe divenuta un fondo fra gli altri, con esemplari probabilmente doppi; il suo particolare carattere messo di certo in ombra. Invece presso la Biblioteca Civica di Savigliano si evidenzia come una importante base locale di ricerca e di approfondimento: dagli studi storici propriamente detti agli studi rela-


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tivi alla tipografia, alla stampa, all'arte. Pensiamo alle 95 cinquecentine, di queste ben undici stampate nella sola Torino, oltre a Mondovì, a Carmagnola, ad Alessandria: sappiamo, poi, che in Piemonte la stampa fu introdotta verso il 1470 proprio nella città di Savigliano ove sono stati editi libri fra i più antichi, a cominciare dagli incunaboli. La Biblioteca dalla sua originaria sede, posta in un tranquillo e romantico locale circondato da alberi di alto fusto della villa abitata fino a tutto il 1820 dall'eroe e letterato Santorre di Santa Rosa, in una situazione negli ultimi anni di abbandono e di precarietà a danno tutto della conservazione delle opere raccolte, con il decreto interministeriale di cessione allo Stato e in seguito alla convenzione tra il Ministero per i Beni Culturali e il Comune di Savigliano è stata collocata, non è molto, mantenendo la sua antica struttura, in un ampio salone della Biblioteca Civica sita nella Piazzetta Arimondi. Ha trovato una sistemazione ideale, funzionale e possiamo dire promozionale. La Biblioteca Santorre di Santa Rosa senza dubbio comincerà a rivivere, valorizzandosi nel modo più proficuo a vantaggio di studiosi e appassionati; essa più che mai viene ad avere una autentica importanza documentaria nell' interesse dell'intera cittadinanza saviglianese. La Biblioteca si ritrova nella sua interezza nella città dove si è costituita, tanto amata e ricordata nostalgicamente durante il suo esilio da Santorre di Santa Rosa. Senza essere stata smembrata e senza essere stata destinata in altri luoghi essa rimane come corpo vivo a testimonianza di un passato generoso e ricco di storia; non ha perso la sua fisionomia, si mantiene intatta la sua tipicità di Biblioteca di nobile Casata. La Biblioteca come lo stesso Archivio sarà meta di indagini per la varietà di opere che contiene, per gli interessanti e inediti Entretiens, i numerosi registri di spese risalenti fino al 1771-1772, i ricettari, appunti di contenuto diverso, genealogìe, itinerari e rubriche. L'amministrazione locale assicurerà la presenza di un personale adeguato, un'idonea attrezzatura tecnica e tutte le garanzie ne-

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cessarie per rendere possibili nel modo più confacente l'uso pubblico e nel contempo la conservazione del materiale bibliografico. La Biblioteca sicuramente maggiore vitalità troverà in seguito quando la città di Savigliano l'avrà con una migliore e più sicura sistemazione nel grandioso palazzo dell'ospedale militare, che sarà quanto prima ceduto dal Demanio; avremo un vero complesso ove in un'armonia funzionale confluiranno tutte le raccolte bibliografiche, artistiche e documentarie della città. E intanto attivo e costante rimane il legame con la Biblioteca Nazionale di Torino, in un rapporto di collaborazione per tutto ciò che riguarda le operazioni di inventariazione e il lavoro di schedatura al fine di assicurare la necessaria uniformità dei cataloghi. Il mantenimento nel suo originario luogo della Biblioteca Santorre di Santa Rosa ha il significato di attuazione del principio che permette una crescita culturale diffusa per tutti i cittadini di ogni livello e residenza, eliminando il vieto accentramento di materiale bibliografico in capoluoghi già di per sé ricchi di istituzioni. Le Biblioteche degli enti locali vanno potenziate perché sono strumenti autentici per democratizzare la cultura. La manifestazione di oggi riafferma la necessità appunto del rapporto ineliminabile tra territorio e istituzioni di pubblica lettura; ogni Comune dentro una rete di attività bibliotecarie si illumina in virtù del processo di decentramento vivacizzando ogni suo particolare autoctono significato di cultura. Oggi vogliamo ribadire il bisogno di allentare le maglie ferree che tengono i grossi agglomerati dissacratori dei principi di idealità, fomentatori di situazioni alienanti. Arricchire la periferia ai fini di conservare il tessuto umano che ivi dimora: recupero dei rapporti tra uomo e contesto storico ed artistico, in definitiva tra l'uomo e le tradizioni; rinverdire le particolari radici culturali tramite il processo di valorizzazione di fonti documentarie, consentire agli abitanti dei nuclei comunitari un'animazione, un approfondimento dei propri sentimenti e inclinazioni. Trovare sempre più il modo per avvicinarsi alle testimonianze di storia patria:


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rivalutandole sentiremo di possedere una maggiore consistenza ideale. Grandi e piccole Biblioteche saranno vicendevolmente ravvicinate; le grandi non saranno viste più in strutture asettiche, colossali ed astratte né le piccole immiserite da una vita grama di solitudine. Dalla periferia verrà al centro un alito di forza di contatto con l'ambiente reale. Gli studi di storia patria una volta potenziati vogliono dire soprattutto fede, amore per tutto ciò che garantisce continuità di vita, poesia umana che fluisce dai precordi, voce tenace di un popolo legato alle sue sane costumanze. Gli studiosi ed i giovani sensibili verso le memorie patrie attorno alla Biblioteca ed all' Archivio Santorre di Santa Rosa troveranno, come ad una fresca sorgente, i valori di un passato ancora valido, forza di testimonianze altamente storiche, esempi di costanza e amore per la propria terra: elementi tutti di stimolo importanti in quest'epoca materialistica in cui l'uomo si sente disorientato. Savigliano, 12 novembre 1988. Leonardo Selvaggi

IL SONNO Morfeo ti prende, ti chiude gli occhi, cancella dalla tua mente ansie e preoccupazioni, problemi, ogni pensiero negativo, e ti lancia, dolcemente (tu non te ne accorgi), nel passato, nel tuo passato, tempo che non è tutto tuo: è un misto di realtà e fantasia, ma tu lo accetti, naturalmente, e non ti stupisci del diverso che nel reale s'è intrufolato: è ciò che desideravi e non hai mai avuto? Ti svegli, il viso disteso, il sorriso sulle labbra e nell'anima, ed esclami, serena: <<Che bello! Ho dormito ed ho sognato>>. Antonia Izzi Rufo (Castelnuovo)

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Una rassegna più che esaustiva sulla produzione letteraria del direttore e fondatore della testata “Pomezia-Notizie” (…) da parte dell’exprofessore negli Istituti Superiori, critico letterario, poeta, saggista, Tito Cauchi, (…), una monumentale cronografia dove l’autore raccontato ha avuto modo di riscontrare se stesso e chi ha esaminato s’è aiutato a comprendersi in modo migliore nel ruolo di scrittore di saggi e di più. (…) nell’imponente saggio di Cauchi traboccano in egual misura sia il lato autorialeprofessionale di Defelice, sia quello della sua persona anch’essa sottoposta alle snervanti prove quotidiane che vengono superate secondo l’indole, mite e feroce (…) L’amicizia fra Defelice e Cauchi risale al 1993 e da allora è stato un meraviglioso crescendo di spunti, in entrambi, per valutare e valutarsi (…) Defelice è divenuto un personaggio su cui scrivere, da esaminare per la straordinaria mole della sua produzione letteraria e così è entrato dapprima nella tesi di laurea di Eva Barzaghi (…), in seguito in quella di Claudia Trimarchi (…), e nell’altra (…) di Aurora De Luca… Isabella Michela Affinito Su Fiorisce un cenacolo, gennaio-marzo 2020


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“UNA VERA ARTE” - 3 -

DEDICHE a cura di Domenico Defelice

“I

sabella Michela/Affinito/al Direttore/Domenico Defelice/con stima” (sul suo volume: Autori contemporanei nella critica, I° volume, Menna, 2004). *** “Santiago 17/7/’72/Allo Scrittore/Domenico Defelice/amico fraterno/Rocco Cambareri” (sul suo volume: Una guitarra del Sud, Ed. Side. *** “Al caro Defelice/plaudendo alla sua costanza/ed alla sua forza di volontà/che gli hanno consentito/di sempre più progredire/sul sentiero dell’arte poetica/e della critica -/Con tanto affetto e stima/ricordando un lontano passato./F Fiumara/Reggio Cal./ Capodanno 1990” (Francesco Fiumara: Le voci della notte, La Procellaria Editrice, 1989). *** “A Domenico Defelice/con viva simpatia/Nicola Napolitano/Formia, 22/07/97” (suo volume: Scrittori contemporanei Letture, Edizioni Il Ponte Italo-Americano, 1997). *** “Al Poeta e Critico/Prof. Domenico Defelice/queste mie “Letture Critiche”/Con la sti-

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ma di sempre/Brandisio Andolfi/NB. E’ gradito un riscontro di avvenuto recapito -“ (suo volume: Letture critiche su Poeti e Scrittori contemporanei, Bastogi, 2010). *** “Cerro al Volturno/12 dicembre 1993/Allo Scrittore poliedrico/Domenico Defelice,/certo che lo leggerà con/intelligenza e partecipa/zione, nella stima e/nell’amicizia di sempre/offro -/VRossi/Vedi pag. 418/ Buon Natale/Vincenzo” (suo volume: Scritti vari 1959- 1993, Edizioni Il Ponte ItaloAmericano, 1994). *** “18 giugno 2002/Al poeta/ saggista/ Domenico Defelice/con la stima e l’ami/cizia di sempre/VRossi” (volume di Vincenzo Rossi: Letture (Amore e Fedeltà alla Parola), Vol. III, Edizioni del Centro Studi Letterari “Eugenio Frate”, 2002). *** “All’Amico/Domenico Defelice/con affetto e ammirazione/Suo Rudy De Cadaval/3 VII 72” (volume: Rudy De Cadaval in controluce, a cura di Mario Di Biasi, Casa Editrice “Nuova Accademia”, 1972). *** “All’Amico/Domenico Defelice/con un grazie sentito./Rudy De Cadaval/2006” (volume: Domenico Defelice - Rudy De Cadaval una vita per la poesia, Istituto Editoriale Moderno, 2005). *** “Al pregevole Poeta e Critico/Domenico Defelice/con i sensi della mia stima./Andrea Bonanno/Sacile, 27/11/07.” (suo volume: Poeti contemporanei per la “Verifica trascendentale”, Edizioni Archivio “Luigi Pirandello”, 2007). *** “A Domenico Defelice/la conclusione del cerchio/iniziato grazie al Premio Internazionale/Pomezia-Notizie, con l’amicizia e/ l’ affetto di sempre/Walter Nesti/Marzo 2011” (suo volume: Trilogia di Calu, Masso delle Fate Edizioni, 2011). *** “Signore Domenico Defelice/Con rispetto/


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Kristaq F. Shabani/Girocastro, 12.07.2010” (volume antologico “Pegasiada” 1, Muza Poetike “Pegasi” 2009 Simpozium Poetik Ndërkombëtar). *** “DIRETTORE/DOMENICO DEFELICE/ Con rispetto/Kristaq F. Shabani/ Girocastro,/12.07.2010” (volume antologico Korsi e Hapur… Antologji Poetike, Autorët, 2008). *** “A Domenico,/a voce bassa e/poi a voce alta!/Con grande/gratitudine/Aurora/Dicembre 2014” (volume: Aurora De Luca - Materia grezza, 2014). *** “24.12.2015/Al Professor/Domenico Defelice/con amicizia e gratitudine/All’amico Poeta che/mi ha spronato a/realizzare questo piccolo/grande sogno!/Auguri Sinceri per il/ prossimo Natale./Con affetto,/Emilia” (volume: Emilia Bisesti - Pagine erranti, 2015). *** “Al caro Defelice/per la cui esortazione/ed insistenza/questi versi finalmente si pubblicano,/e con la sua prefazione./Grazie a lui, questi versi,/raccolti nell’arco di mezzo secolo,/riportano alla memoria/momenti d’ entusiasmo/legati a un futuro di sogni/e di speranze./Oggi costituiscono una pagina/delle mie digressioni creative./La prima copia è per te/con un affettuoso abbraccio./F Fiumara/Torino, 3/marzo 2017” (volume: Francesco Fiumara - La rima e la raspa Satire Ironie - Ilarità, La Procellaria Editrice, 2006). *** “A Domenico Defelice con/tanta stima e riconoscenza/e l’augurio di un felice 1992/ Fontegreca 3/1/’92 Giovanni Perrino” (suo volume: Le mie recensioni Poeti e scrittori contemporanei alla ribalta, Loffredo Editore, 1991). *** “Napoli, 10 Settembre 2018/Al Prof. Domenico Defelice/con stima infinita/ e/ ammirazione, tuoi aff.mi/Carlo Di Lieto/e/Corrado Calabrò” (volume: Carlo Di Lieto - Corrado

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Calabrò e “La materia dei sogni”, Roberto Vallardi\ Editore, 2018). *** “A Domenico/poesie dal profumo/di mimosa/in versione festosa,/grata alla tua Rivista/ di Lettere ed Arti/Paola Insola” (suo Quaderno: Elogio alla mimosa, Ed. Il Croco/ Pomezia-Notizie, 2014). *** “novembre 2009/A Domenico, con affetto, la/mia prima monografia/Anna” (sul volume: Anna Aita - Sintesi e commento di alcune opere di Carmine Manzi, Ed. RCEMultimedia Comunication Company, 2009). *** “Caiazzo, 1 febbraio 2015/A Domenico Defelice/con immutata stima/Cervo” (sul volume: Aldo Cervo - Frequentazioni letterarie 2, Edizioni EVA, 2015). *** “Al fraterno amico Domenico/in memoria di un caro/maestro delle lettere/Tito Cauchi/12 ottobre 2016” (suo volume: Carmine Manzi Una vita per la cultura, Editrice Totem, 2016). *** “Al caro amico Domenico/cui devo l’avvio di questo/mio percorso./Tito Cauchi/11 agosto 2017” (sul volume: Leonardo Selvaggi Tito Cauchi Voce all’anima, Editrice Totem, 2017). *** “Caro Domenico non badare/ai margini, ma guarda alle/mie intenzioni./Con tanta stima Tito” (sul volume: Tito Cauchi - Alfio Arcifa Con Poeti del Tizzone, Editrice Totem, 2018). *** “Caro Domenico/anche questa è fatta/un omaggio alle donne./Tito” (sul volume: Tito Cauchi - Giovanna Maria Muzzu La violetta diventata colomba, Editrice Totem, 2018). Invitiamo lettori e collaboratori a inviarci le dediche, indicando con chiarezza, però, nome e cognome degli autori, titoli dei libri sui quali sono state vergate, casa editrice e anno di pubblicazione. Grazie!


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Recensioni ISABELLA MICHELA AFFINITO MI INTERROGARONO LE MUSE Bastogi, 2006 Un tuffo nella classicità Un omaggio alla poesia classica può dirsi questo libro di Isabella Affinito, Mi interrogarono le Muse… (Bastogi, 2006), in cui ella vagheggia le “Figlie della Memoria”, delle quali esalta la virtù e il valore. Le Muse infatti, “visibili soltanto agli eletti”, donano elevati pensieri, che si traducono in opere d’arte, capaci di donare felicità agli uomini, con la loro grazia e la loro armonia. E ciò sin dai tempi più antichi, allorché la Musa arcadica “era la maestra / di ogni pastore e niente / le sfuggiva nemmeno / l’ultimo fiore sbocciato / al mattino” (La Musa arcadica). Sottile è l’incanto della loro presenza e al poeta suggeriscono alate parole. “Scorre la penna / laddove i pensieri / tracciano un solco…” (La penna scorre). Dice inoltre l’Affinito: “Ho scelto le / parole per interpretare i venti / e i templi / e il buio e il giorno” (Ho scelto le parole). La sua anima allora si riempie di luce e una nuova felicità la pervade. Affascinano la nostra poetessa tutte le Muse, anche se sente più vicine alcune di esse, come Calliope, la Musa della poesia eroica; Erato, Musa della poesia amorosa e della danza; Polimnia, Musa della poesia lirica e dell’eloquenza. Con loro l’Affinito ripercorre gli antichi meravigliosi sentieri della poesia greca e romana e reiventa i miti degli eroi e degli dei, che in lei ancora rivivono, sicché quel mondo nuovamente “si anima di presenze / bianche come il marmo” che abbaglia

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con il suo candore. E marmoree sono le immagini delle statue che adornano il libro, espressioni di un’arte che viene da lontano, fatta di serena armonia. Fluido qui scorre il verso, che si fa leggero nell’evocare le figure di Ettore e di Andromaca, di Oreste e di Elettra, di Edipo e di Antigone. E tra le Muse l’Affinito incontra anche quella senza nome, che le si fa innanzi per elargirle a piene mani i suoi doni. Isabella entra così nel regno incantato della Poesia e rivive le antiche favole, che l’affascinano col loro splendore. Seguitando nella sua assidua ricerca, l’Affinito tocca vari argomenti e si giova di ardite immagini: da quella della “torre della poesia” a quella del “tempo delle Muse addormentate”; da quella delle “Muse inquietanti” (un omaggio a De Chirico) a quella della “Dissolvenza delle Muse”, sino a toccare l’argomento del rapporto tra le “Muse e la Sibilla”, per giungere all’“Identità Musiva” e al “Confine dell’Essere”, in poesie che presuppongono lunghe meditazioni di carattere filosofico. Qui la nostra poetessa dà il meglio di sé, rivelando un’intensa sete di assoluto. Un libro che costituisce una lunga riflessione sulla poesia Mi interrogarono le Muse…; sul suo sorgere e sul suo svilupparsi sull’onda dello slancio iniziale, ma che contiene anche altri spunti, riguardanti la condizione umana e il suo evolversi attraverso i secoli e i millenni, con particolare riferimento al mondo greco e romano. D’altra parte l’amore per la classicità è presente anche in altre raccolte di poesie dell’Affinito, come Ettore e Andromaca (Cronache Italiane, 2003), dove l’antica vicenda ritorna per la suggestione di un quadro di De Chirico; e, unitamente a queste due celebri figure omeriche, s’affacciano anche quelle di altri celebri eroi ed eroine della poesia greca antica, quali Achille, Edipo, Antigone, Oreste, Cassandra, Ulisse, ecc. Un amore profondo per il mondo classico è pertanto quello che nutre Isabella Affinito; amore che è poi un’altra forma del suo amore per la poesia in senso assoluto. E si tratta di un sentimento che è produttivo di pregevoli frutti. Elio Andriuoli

COSMO GIACOMO SALLUSTIO SALVEMINI DIRITTI UMANI VIOLATI Ediz. Movimento Salvemini, Roma 2016, Pagg. 310 Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini, benché sia arcinoto nel panorama letterario nazionale, per completezza di informazione, ricordiamo che è pugliese (classe 1943), ha formazione culturale di in-


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dirizzo politico giuridico economico; di professione docente, giornalista; è fondatore e direttore del periodico L’Attualità, in Roma. È fondatore delle Edizioni Movimento Gaetano Salvemini, cui dedica nel 54° anniversario della Fondazione omonima l’ opera Diritti umani violati, in linea con gli “insegnamenti morali del pro-zio Gaetano Salvemini” (1873-1957, storico, scrittore e politico). Il volume appare trasparente già nel titolo, il cui senso viene rafforzato dalla copertina in cui sono rappresentate le immagini di Giordano Bruno, Galileo Galilei, Ernesto Buonaiuti, Piergiorgio Welby, divenute icone dei diritti umani violati ad opera del potere ecclesiastico e politico. Pregio del libro è la sua struttura in parti (dieci) e capitoli, entrambi con titoli esplicativi; così il Medioevo che “non fu solo oscurantismo”; troviamo una gran messe di date e di nomi che hanno segnato la storia del nostro Paese fino a questi giorni. Leggiamo più che una “Sintetica analisi storica dei crimini commessi dai leaders religiosi e politici dal Medioevo ad oggi. Le sobillazioni sataniche alla violenza vanno respinte con la forza della volontà. Bisogna convertire i cuori alla Misericordia.”, come recita il lungo sottotitolo che ho trascritto, a costo di non apparire originale, bensì a beneficio del lettore. Indubbia è la competenza con cui sono trattati gli argomenti. L’opera è certamente frutto di ricerche d’archivio e di biblioteche, pagine fitte di riferimenti che, in alcuni casi, sono faticose da seguire. Un ampio panorama culturale che torna utile come testo di consultazione. Nondimeno per una fruizione più agevole, forse avrebbe giovato una narrazione più snella, pur sacrificando tanti particolari storici e di cronaca che si sarebbero potuti organizzare in pagine dedicate, come p, es. quelle della seconda parte, nel capitolo primo “Sintetico calendario criminale” e nel successivo. Sono tutti temi interessanti che coinvolgono per via dell’attualità e sconvolgono per le universali atrocità che si rivivono nella immedesimazione; verrebbe voglia di smettere la lettura per il quadro negativo che se ne ricava. Il potere, qualunque esso sia, da chiunque sia esercitato, è esaltante, dà un senso di impunità, ma è anche corrosivo (non solo logora chi non ce l’ha). Bisogna riconoscere che i diritti umani violati sono frutto di incomprensioni, di mancan-

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za del confronto. Il Nostro merita di essere letto e assimilato, e ben altra esposizione meriterebbe la presente riflessione; tantissimi sono i luoghi degni di essere citati, sì da formare un florilegio; ma ho già superato i limiti di spazio. L’Autore ha esposto da storico e cronista; traspare, ovviamente, il suo pensiero morale e non moralista, lo stimolo al dialogo e l’invito all’ ascolto, se non si voglia imbavagliare il libero pensiero, sempre nel reciproco rispetto. Il volume di Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini, Diritti umani violati, in chiusura, lascia circa trenta pagine per dare voce agli artisti e opinionisti adepti del Movimento, inseriti con contributi vari (poesia, prosa, pittura, frontespizio di libri): Elena Andreoli Grasso; Anna Maria Ballarati (recensita da Pino Nazio, Laura Cardia, Mara Albonetti, Ferdinando Maria Anselmetti, Mara Ferloni); Florinda Battiloro; Liana Botticelli; Alberto Durante; Brunetto Fantauzzi; Patrizia Maria Frangini Klum (presentata da Liana Botticelli); Marina Giudicissi; Pier Luigi Lando; William Maglietto; Vincenzo Maio; Sabato Racioppi; Bruna Rebizzo; Pietro Sarandrea (presentato da Paola Lamonica); Melina Mignemi; Luigi Monaco. In questo mondo civile, dove il progresso ha raggiunto vette molto alte, purtroppo ancora oggi, gravi ingiustizie mietono vittime, focolai di guerra perpetuano stragi, ricchezze non condivise falciano vaste popolazioni per fame e per sete e per mancanza di cure; non ultimo degenerazioni e menzogne in ogni ambito continuano a martoriare le famiglie. Il Nostro e gli aderenti al Movimento Salvemini, denunciano tutto questo. 5 settembre 2019 Tito Cauchi

AA.VV. ANTOLOGIA degli ARTISTI Ediz. Movimento Salvemini, Roma 2018, Pagg. 124 Il Movimento Salvemini, di Roma, promuove la cultura secondo l’orientamento morale lasciato in eredità da Gaetano Salvemini; e questa Antologia degli Artisti, “in onore di Maria Grazia Bartalucci”, ne è esempio. Il volume è prefazionato da Leonardo Zonno il quale rileva la situazione cui ci conduce il degrado sociale e l’esercizio del potere per scopi egoistici che sopprimono la libertà. Altresì auspica, in un certo senso, il ritorno all’antica Grecia riguardo la scelta dei migliori per il governo; richiama ancora, gli esempi della nonviolenza di Gandhi e di Luther King. E magari, aggiunge il sottoscritto, chi detiene il potere, propina diversivi per addormenta-


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re le coscienze. Gli Artisti sono presenti con le loro opere specifiche in numero differente e generalmente con brevi profili critici a firma di Liana Botticelli. Per ragioni di spazio mi limito ad elencare i nomi dei partecipanti per onorarne la fatica. Sezione Poeti: Elena Andreoli Grasso, Giulia Maria Barbarulo, Florinda Battiloro, Liana Botticelli, Mario Coletti, Virgilio Del Guercio, Virginia Di Filippo, Marcella di Nallo Martino, Marina Giudicissi Angelini, Paola Lamonica, Francesca Pagano, Vittorio Pesca, Gerardina Russoniello, Anna Senatore, Grazia Maria Tordi, Romina Viscusi Passannanti, Romano Zega. Sezione Pittori: Anna Maria Ballarati, Stefania Barbieri, Anna Maria Chirigoni, Franca Giuliana, Leda Panzone Natale, Franco Pichi, Giovanni Reale, Mariannina Sponzilli. Sezione Fotografi: solo Vincenzo Maio che è presente con tre fotografie. Sezione Narratori: Angela Libertini, Rosmina Viscusi. Sezione Saggisti: Pier Luigi Lando, Carlo Morganti; Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini, Aurora Simone Massimi, Romano Zega. Le antologie diffondono cultura, fanno incontrare vecchi amici e conoscerne nuovi. Sono fonte di idealità, aspirazioni di una migliore civiltà umana; sono inoltre il termometro degli umori del comune sentire, sia pure in modi differenti. In particolare, in questa Antologia, i saggi hanno un taglio politico, che scuotono le coscienze. Il Sallustio richiama l’attenzione sulle persistenti torture operate in metà del pianeta come strumento di dissuasione e per ottenere confessioni. Il Morganti plaude alle tumulazioni delle Salme Reali Sabaude al Pantheon di Roma (dicembre 2017), che condivido, e tratta, nella sua veste di avvocato difensore di fiducia del nipote Guido, de La morte di Benito Mussolini, per l’apertura del “Processo penale per l’assassinio”, seguito il giorno dopo, dalla impiccagione a Piazzale Loreto a Milano (29 aprile 1945). Per quanto riguarda quest’ultimo argomento, confesso di non averne competenza, tuttavia mi lascia dubbioso la definizione di “assassinio”. Comprendo il dolore e la volontà di rivendicazione degli eredi, ma non a tutti i costi. Vero è che Achille profanò il cadavere di Ettore trascinandolo con il carro; vero è che Antigone diede sepoltura al cadavere del fratello contravvenendo al divieto ricevuto; e vero è che le Grazie del

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Foscolo tessono un velo che mostra pietà per i vinti, e lo fa per insegnare la compassione. Ebbene nello stesso piazzale Loreto, mesi prima (10 agosto 1944) e in altri luoghi, erano stati oltraggiati partigiani e antifascisti, a decine, esponendone appesi i cadaveri. Perciò quel che intendo dire è che in un clima di incertezze, di sospetti, di delazioni, di vendette più o meno gratuite e di lacerazioni, i fronti opposti abbiano determinato una loro logica, disumana quanto si voglia, ma sempre una logica! A Dio spetta il giudizio finale su queste pagine ingloriose d’Italia. 5 settembre 2019 Tito Cauchi

MARIAGINA BONCIANI GABBIANI Ed. Il Convivio, 2019 “Per un istante si può quasi volare con un gruppo ondeggiante di gabbiani”…è questa l’idea che si ha leggendo le liriche di Mariagina Bonciani contenute nella raccolta “Gabbiani”. Si leggono “volando” i suoi versi, seguendo ipoteticamente il gruppetto di gabbiani che apre il lavoro e che ci fa viaggiare con sulle ali della fantasia, prima sulla sua città Milano (della quale ricorda con una certa nostalgia i tempi passati “Di quel tempo tuo d’oro ormai lontano poco è rimasto, e con malinconia non ti trovo più, vecchia Milano”), poi su Firenze, sull’Umbria, passando per Londra, la Spagna, le Dolomiti e così via. Ma nello stesso tempo le liriche ci fanno viaggiare nel nostro io, tra i ricordi, i momenti di gioia “…ci sono momenti di gioia nella vita, piccole gioie che bisogna riconoscere e riporre nello scrigno della memoria” e la tristezza/malinconia per qualcuno di importante che non c’è più “…sogno di essere ancora con te, o madre”. Versi in libertà e per la libertà, che aiutano ad oltrepassare le barriere della vita di tutti i giorni, che catalizzano emozioni utili a farci ritrovare la luce e la serenità e, perché no, a farci accettare anche ciò che di oscuro ci arriva nella realtà. La Bonciani ritorna anche alla sua giovinezza, nella lirica “La danza delle api” che riporta alla mente la danza della vita, la voglia di sperimentare, di scoprire che tutti i ragazzi hanno seguendo, anche loro, un “loro schema”. Ed ancora, la poetessa riporta con la fantasia e con il sogno il colore dei fiori e delle piante, il profumo dell’aria, l’azzurro del mare, il rumore delle onde, le nuvole sparse in cielo… Tutto questo grazie alla poesia che “nel silenzio e nella solitudine viene…come un’amica discreta


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che conosce qual è il momento giusto per parlare”. Roberta Colazingari

CARLO ROVELLI SETTE BREVI LEZIONI DI FISICA Editore Adelphi, ISBN 9 788845 929250, 2014, € 10 La teoria quantistica e la relatività di Einstein Il problema attuale del coronavirus ha tenuto le persone chiuse in casa, così le persone hanno avuto più tempo per pensare. E’nel pensare che esce fuori la creatività dell’uomo! E’ in certo qual modo la stessa situazione in cui si è venuto a trovare Einstein. Einstein riuscì a scoprire la relatività in quanto aveva potuto avere Tempo dopo aver smesso di frequentare il liceo in Germania con la sua disciplina rigorosa. Il 18 aprile ’20 Carlo Nordio sul Messaggero fa presente che è il sessantacinquesimo anniversario della morte di Albert Einstein e dice: “Einstein, ebreo, non praticò mai la fede dei suoi padri. Non credeva in un Dio personale, né alla nostra anima immortale. Detestava le armi, ma indirizzò a Roosevelt la famosa lettera che lo avvertiva dei progressi tedeschi nella costruzione della bomba atomica. Fu qui che il distratto professore interferì con la politica. E questo ci riporta alla questione iniziale: i rapporti tra la scienza e la politica.” Ed io aggiungerei anche con la Fede! A seguito della recensione, che feci, del libro di Rovelli: “L’ordine del tempo”, espongo una breve recensione anche dell’altro libro “Sette brevi lezioni di fisica” in quanto tale libro ha raggiunto un pubblico immenso in ogni parte del mondo. Questo libro, come quello sul tempo, tratta delle più recenti scoperte della fisica moderna da Einstein in poi. Rovelli è un fisico teorico, membro dell’Institut universitaire de France, responsabile dell’Equipè della gravità quantistica del Centro di Fisica teorica dell’Università di Aix – Marsiglia. Ha scritto vari libri, fra cui “Sette brevi lezioni di fisica”, tradotto in ben 40 lingue. Di seguito ne faccio una breve recensione, citando alcuni passi che più mi hanno colpito. Il libro si divide in 7 brevi lezioni: la prima lezione “La più bella delle teorie” tratta della relatività: lo spazio non è vuoto, come affermava Newton, ma è un campo gravitazionale (Einstein). Einstein predice inoltre che il Sole faccia deviare la luce! la seconda lezione “I quanti” tratta del

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secondo capisaldo della fisica del ‘900, cioè la meccanica quantistica. Si introduce il concetto di probabilità in fisica, che l’energia non varia in modo continuo, ma in pacchetti o quanti d’energia, la luce è fatta di fotoni, ogni elettrone sta in uno stato quantico e quando cambia in un atomo da un’orbita ad un’altra emette o assorbe quanti di energia fotonica. la terza lezione “L’architettura del cosmo” tratta del macrocosmo, cioè delle galassie, dei buchi neri e delle centinaia di miliardi di galassie, aventi migliaia di miliardi di miliardi di pianeti come quelli del nostro sistema solare. La probabilità che potrebbero esistere altri esseri simili a noi risulta abbastanza elevata. la quarta lezione “Particelle” tratta del microcosmo. Rovelli spiega con la semplicità espositiva che lo contraddistingue, che gli atomi sono costituiti, oltre che da elettroni, protoni e neutroni anche da quark, gluoni, neutrini, Bosone di Higgs. Che lo spazio non è vuoto, ma è costituito dalla materia oscura. La fisica attuale cerca di individuare altre particelle della materia. Più la ricerca va avanti, ulteriori scoperte vengono fatte! Delle ultime tre lezioni: quinta lezione “Grani di spazio”, sesta lezione “La probabilità, il tempo e il calore dei buchi neri” e settima lezione “In chiusura: noi” non aggiungo nulla per non privare del piacere della lettura perché a raccontare troppo si fa torto al lettore e pure all’editore. Per concludere la fisica è tuttora alla ricerca della verità: con il bosone di Higgs l’uomo crede di aver trovato l’origine della creazione. Spende enormi risorse finanziarie (al Cern di Ginevra con il Large Hadron Collider) per cercare di capire l’inizio del big bang (origine di tutto) e quant’altro. Inoltre, è stato fatto un esperimento per ricreare un buco nero con il pericolo di far risucchiare la terra stessa! L’uomo vuole capire i segreti della creazione con atti di superbia come l’uomo fece a suo tempo con la Torre di Babele, figura rappresentata nella copertina del libro “Parole a comprendere” del poeta e scrittore Domenico Defelice. D’altro canto, non tutto è negativo: il progresso scientifico porta anche a scoperte utili. Giuseppe Giorgioli

MAURIZIO BETTINI HOMO SUM Essere “umani” nel mondo antico Giulio Einaudi Editore, 2019, Pagg 133, € 12,00 Di grande attualità è il saggio “Homo sum” di Maurizio Bettini, classicista, antropologo e scrit-


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tore, il quale ha fondato il centro “Antropologia e Mondo antico”; attualmente dirige la collana “Mythologica” di Einaudi e collabora con la pagina culturale de “La Repubblica”. L’autore con questo saggio fornisce diversi spunti di riflessione su una questione molto delicata, che è quella dell’immigrazione. Barconi e gommoni pieni di persone che fuggono clandestinamente dai loro paesi e sfidano la vita affrontando le acque del Mar Mediterraneo, acque spesso nemiche, in cui molti di loro perdono la vita. Bambini, donne incinte e ragazzi molto giovani che si lasciano alle spalle situazioni terrificanti ed umanamente deplorevoli. Chissà con quale animo salgono su quei barconi e quali pensieri abitano le loro menti durante questi viaggi della speranza. Bettini parte dai Greci e dai Latini per analizzare il loro senso di Umanità, confrontandolo, poi, con quello degli uomini e delle donne della società postmoderna. Lo stile è discorsivo e scorrevole, leggibile per tutti, anche per quelli che non hanno una cultura classica. Lo scrittore inizia il suo viaggio saggistico dai versi del poema “Eneide”, per giungere, poi, a spiegare cosa volesse dire per gli antichi essere un uomo. Analizzando i testi di Virgilio, Seneca e Cicerone, l’autore scrive: “ Se noi oggi preferiamo parlare di diritti umani - tali cioè che promanano dall’interno dell’uomo, dalla sua persona di uomo gli antichi parlavano piuttosto di “doveri umani”.” Dunque la prospettiva è rovesciata, continua Bettini: “Il naufrago si aggrappa alla mano che lo salva non perché ne abbia diritto, ma perché chi gliela porge ha il dovere di non farlo annegare”. Per i Greci, invece, chi violava i doveri umani, veniva perseguitato da una maledizione. Infatti, i sacerdoti Bouzygai lanciavano una maledizione a coloro che si rifiutavano di offrire fuoco o acqua, o di mostrare la strada agli stranieri o di seppellire un cadavere. Dunque, era un dovere umano offrire il fuoco per scaldarsi a chi ne avesse bisogno, l’acqua per dissetarsi e spiegare ai forestieri quale fosse la via da percorrere per tornare a casa e per ultimo, dare una degna sepoltura a tutti i defunti. Pertanto, chi violava queste leggi, che per loro erano elementari, commetteva empietà. Oggi non servono maledizioni, ma basterebbe ricordare la storia, i fatti accaduti in passato, la disumanità che molti popoli hanno dovuto subire, per far in modo che questi atti non accadano più. Dopotutto, l’Impero di Roma era formato da profughi, naufraghi, soldati e schiavi giunti da tutto il mondo ed è grazie anche a questa sua apertura e caratteristica, ma non solo, che è durato dodici secoli. Manuela Mazzola

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SIMONA BELLONE GRAZIE ALDO CAPASSO MERCI FLORETTE MORAND Ricerca, catalogazione, stesura e grafica di Simona Bellone. Tiratura limitata a scopo divulgativo, culturale e storico. caARTEiv 2019 Tipografia Grafiche Gambera, Millesimo (Sv) pp. 1-320, € 30 (da richiedere all'Autrice, spese di spedizione comprese) Questo è un importante documento: sintetizza il percorso letterario e poetico di Aldo Capasso, che occupa la prima ampia sezione (pp- 5-221) relativa allo studioso veneziano di nascita (Venezia, 3 agosto 1909) e altarese d'adozione. Eccone le parti costitutive: GRAZIE ALDO CAPASSO BiografiaPremi/Tra i suoi più cari amici epistolari/Alcuni articoli di Rassegna Stampa/Libri: Poesie-Romanzi /Saggi: Autori del passato/Realismo Lirico (con l'articolo 'Aldo Capasso e il Realismo Lirico' opera dello scrittore Mario Landolfi, ed. SamnicaudiumMontesarchio (Bn) 2015, riportato per intero, pag. 51; poi alle pagine 52-53 l'ottimo lavoro di Luigi De Rosa, apparso su Pomezia Notizie, febbraio 2015)/Recensioni Riviste (suddivise per decenni dal 1929 al 1989)/Memorial – Premio Aldo Capasso (la sezione più consistente, corredata da reperti documentari, fotografie e dati significativi per l'attività tenace svolta dalla poetessa Florette Morand Capasso in onore dell'amato consorte, dopo la sua morte, pp. 79-152)/Omaggi: Libri su Aldo Capasso (documentazioni suddivise per annate di autori italiani e stranieri, dal 1930-31 al 1998-99)/CuriositàAneddoti/Corrispondenza malandrina (sul difficile carattere di Eugenio Montale che, tra il 1929 e il 1931, scrivendo a Quasimodo, se la prende con Capasso, anche ridicolizzandolo con disegni assai 'immaturi', e le debite risposte postume del Capasso stesso, fino al ritiro della querela, pp. 201205)/Alluvione (con documentazioni relative alle delazioni di un 'corvo' che hanno assai amareggiato i coniugi Capasso, in particolare è riportato l'articolo di giornale della Valbormida “Io, vecchio poeta nel fango” pag.206-7)/Tomba Famiglia Capasso (con immagini e testimonianze alla morte del Poeta, avvenuta a Cairo Montenotte il 3 marzo 1997, pp. 208-211)/Testimonianze (sezione che chiude tutto il materiale relativo al Capasso, pp. 212-221). La seconda parte porta testimonianze legate alla poetessa Florette Morand a partire dalla sua infanzia nell'isola Caraibica di Guadalupa: MERCI FLORETTE MORAND Biografia-Premi/Articoli in Rassegna Stampa Florette Morand/Aldo Capasso su Florette Morand (estratto da 'Il tam-tam ed altre


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poesie delle isole, di A.C., 1962, pp. 236-238)/Lidia Ratti su Florette Morand/Fotofrafie di Florette Morand (dagli anni '40 al 2017 pp. 240-245/LibriPoesie/Eventi e premi/Wonal Selbonne: À la memoire de Florette Morand 1926-2019, ricordo tracciato dallo scrittore di Pointe à Pitre il 17 marzo 2019 alle ore 10:42 (pag. 267)/Ernest Pépin, Poeta – Faugas 24 marzo 2019, Tombeau pour Florette Morand, pag. 269/Documentazioni di sintesi (pp. 288-297)/L'addio di Altare a Madame Florette/Les grandes vents ont emporté Florette Morand (documentazioni della stampa antillese e francese, pp. 300-308)/Guadalupa -Antille, Francia (documentazioni anche fotografiche, 310-312). Note-BiografiaArte di Simona Bellone (pp. 313-319). Questo testo mi trova di casa perché tantissimi frontespizi riportati, relativi al percorso criticoletterario e d'avanguardia del poeta altarese, fanno parte della mia biblioteca, tanti con dedica a Francesco Pedrina, che è citato tra i critici del Capasso, insieme a quelli del Realismo Lirico come Fiumi, Gerini, De Maria, Rizzo, Jenco, G. Alessandrini, G. A. Borgese e tanti altri. L'interesse generale del lavoro è in particolare proprio legato alla corrente letteraria del Realismo Lirico e a tutti gli studiosi della poesia del Novecento, nei suoi sviluppi in Italia e all'estero, oltre le schematiche suddivisioni portate avanti per decenni nei testi di scuola superiore, ma non certo da Francesco Pedrina, presente e citato tra i critici del Capasso. Florette Morand e Aldo Capasso, sposi felici, uniti in matrimonio nel 1970, dopo la morte della mamma di lui. Ne ha sofferto Solange de Bressieux, da anni fidanzata del poeta di Altare: nessuna informazione appare in questo scrupoloso lavoro di Simona Bellone sull'universo di Poesia, d'Amore e di Morte, su Solange De Bressieux, la poetessa francese sentimentalmente legata, ricambiata, con lo scrittore Aldo Capasso. L'amore non può, non deve cancellare l'Amicizia come virtù dello spirito, per questo è giusto e moralmente doveroso sostanziare riconoscenza a Solange, alla sua memoria, alla sua devozione per la propria mamma, per Aldo e la sua mamma, per la diffusione culturale e poetica in Italia, a Parigi e nel mondo. Ne parlerò con ricchezza di particolari in altra occasione. Un bel consiglio: anche intorno a quest'opera bisogna far molta attenzione ai succhiatori d'ambo i sessi, che prelevano idee, contesti e formule senza citarne la fonte, che, se evidenziata, sempre e comunque ha un ritorno d'immagine come segno d'intelligente riconoscenza. In U.S.A. il succhiar senza citare la fonte è punito per legge perché si tratta di furto indebito e non casuale di patrimonio intellettuale, che costa dura fatica a chi lo mette in cantiere

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con vero senso di responsabilità, affinché esista e circoli, come l'aria, come il vento, nella direzione di chi ne ha avviato la vitalità e la consistenza. Tante le prove poetiche di Simona Bellone per Aldo e Florette, una vera continuità di ispirazioni e di commoventi motivazioni, non solo alla loro memoria. Ilia Pedrina

La primavera Il tempo ha deposto il suo mantello di vento, di gelo e di pioggia e si è vestito di ricami, di lucente e chiaro e bel sole. Non c’è animale o uccello che non canti o gridi nel suo linguaggio il tempo ha deposto il suo mantello di vento, di gelo e di pioggia. Fiumi, ruscelli e fontane vestono una leggiadra livrea di gocce d’argento, d’oreficeria ciascun si veste a nuovo: il tempo ha deposto il suo mantello. (Le printemps, di Charles d’Orléans (1394-1465) Traduzione di Marina Caracciolo. Charles d’Orléans, duca di Valois, era figlio di Valentina Visconti, a sua volta figlia di Gian Galeazzo, duca di Milano. Durante la guerra dei Cento Anni, fu ferito nella battaglia di Azincourt e fatto prigioniero dagli Inglesi. Rinchiuso per 25 anni nella Torre di Londra, vi compose la maggior parte dei suoi ca. 500 componimenti poetici.

LA RONDINE Ritorno sempre con la primavera e traccio ricami in ciel da mane a sera. Amor mi chiama spesso al mio nido da cui invio il mio felice grido. Dia forza Iddio ai miei bimbi di volare perché devo attraversar con loro il mare. Francesco Pedrina (Torri di Quartesolo, 1896 - Vicenza, 1971)


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A FRANCESCO JOVINE Al tempo della tua dipartita dagli affetti coniugali e dalla luce dei mattini che ti riportava al borgo natio con i sensi e il pensiero cantore della terra solatia, bagnata dal sinuoso Biferno, nume alla fiumana del tuo dire, io ero ancora un bambino, seduto in un banco di scuola a seguire lezioni di maestri che, come te, erano figli d’un arcaico e depresso Molise. Ignoti m’erano il tuo nome, le opere dal tuo genio partorite, le ansie, le fatiche e i tormenti di anime all’ombra cresciute di palazzi e Cattedrale antica. Non tardai molto, però, a scoprire il saldo ancoraggio d’amore che ti univa al paese mio, ove ebbe vita e patimenti, dileggi e incomprensioni la sacra persona di don Matteo Tridone, che tanta risonanza ebbe, e fama, dacché a protagonista lo innalzasti del celebre romanzo “Signora Ava”.

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ancora erra tra cave e pietre lavorate da zelanti artisti scalpellini, nativi dell’amata terra di Guardialfiera, e l’acume della tua fantasia spazia vivido e immortale ben oltre le strette e aspre plaghe molisane, pregne d’intelletti e virtù umane. Antonio Crecchia Termoli, CB Porfía de la gota Se quedó tan pegada al silencio que su mirada volvió a ser clara y redonda desde el techo, solo a veces un airecillo verdoso movía el tic-tac de sus manos huesudas afincadas en la tarde que nos protegía. Con un revolotear de picaflor se aventuró por mi espera su porfía y el instinto de la madera captó su chispazo, archivándola en el tiempo tembloroso, que aún me sobrevive. Carlos Chacón Zaldívar Cuba

Cervatillo de la sombra Insigne aedo delle “Terre del Sacramento”, ove respirasti aura fraterna tra diseredati e umile gente, di giustizia affamati e di pane, conoscesti malizie e ipocrisie del branco dei nullafacenti, ma desti con la mente nelle arti e cure del proprio nutrimento di vizi, albagie e turpi intendimenti. Poi che il fato la vita ti rese corta, impietoso il vento del tempo volse in polvere il corpo mortale, in un aprile di sole e di rondini di fresco tornate al secco nido, ma lo spirito tuo alacre e vivace

Enero, cervatillo de la sombra déjame los números y sus días por los abismos del sueño ahora que oigo su voz y te siento aquí a mi lado como un arroyuelo despierto embistiendo los rojos del alba, escapa conmigo cervatillo de la sombra quiero ver cómo dibuja la mañana su cortejo solar sobre la nieve cómplice. Carlos Chacón Zaldívar Cuba


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Giugno 2020 del tuo nome adesso ciò che tu ora sei

CIELO Prima mattina; il cielo, limpido e solenne con mille sfumature di turchino, è ancor più bello se intravisto fra le cime dei pini. Nuvolette bianche e luminose si dissolvono mentre s'innalza il sole; rimane, eterno, l'incredibile miracolo del cielo. Aida Isotta Pedrina USA POETI A CERASO Ceraso: un paese pulito. Strade di pietra antichi archi travi di legno e aria finissima che scorre dai monti o sale dal mare. Su piazzole antistanti alle case crocchi di vecchi, balbettii, respiri, odore di fumo. Al tramonto sussurri, fonemi di poeti. Da piastre di creta incollate sui muri si liberano anime: alcune soffrono altre gioiscono. Si danno la mano, allungano il passo, affollano il silenzio.

Si piange di qua il buio che ti fa compagnia mentre dondoli invece su onde asciutte di luce stringendo le tue pecorelle di peluche Frughi subito anche qui il seno di una donna sotto un velo azzurro che ti darà molto di più del latte di tua madre ma non lo sai ti è straniera ancora Della felicità intanto delle tue rive nuove senza acque assassine non sa né vuol sapere colei che si sgravò felice ripagata con la sofferenza di coprire di baci ora il tuo viso cereo dormiente Salvatore D’Ambrosio Caserta *Aylan Kurdi nato nel 2012 in Siria, morto sula riva di Bodrum-Turchia 2015

IMMUTABILE APPARENZA

Martedì, 6 Aprile 2010 Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019

AYLAN* E IL GIOCO DELLE ONDE Verrà anche per labbra piene

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C’è una precisione di distanze un equilibrio di misure una geometria perfetta in sapiente calcolato rapporto tra luce e buio preordinato assetto dell’immutabile apparenza matematiche esattezze sconosciute eppure certe nell’invisibile mondo oltre il potere dell’occhio dove l’esistere di pianeti orfani di stelle


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solitario vagare nello spazio Qui dall’altra parte dove coperta di cielo poco riflette precisioni distanze equilibri solo vagare non altro senza mai trovare di brillio riferimento o dei passi l’orma permanente Salvatore D’Ambrosio Caserta Napoli- 2011 – premio Peter Russell- 2° Classificato

RICORDANDO PIAZZA DI SPAGNA A SIVIGLIA

A Santiago sono uomo che piange con il lustrascarpe alla calcagna e m’umilia e con l’ispido barbone - agnello che dorme su lastricato di luna. Desidero bianche vele, di andare; ma dovunque Caino pugnala al cuore il fratello e ogni zolla è mia patria. Cercatemi una stella per sognare, un angolo quieto per sostare. Rocco Cambareri Da Versi scelti, Guido Miano Editore, 1983.

Mi riempie il cuore la veduta bella della piazza di Spagna di Siviglia: distesa al sole, quasi una mantiglia aperta ad asciugare: una mantella fatta di colorate artistiche piastrelle che di Spagna raccontano la storia, d’ogni sua villa ricordando quelle vicende che tramanda la memoria.

AL BORDO DELLA NOTTE

E del canale, che tutta la circonda, col bianco-azzurro dei suoi ponticelli rivestiti in ceramica anche quelli.

IL TRAGUARDO

Il mio cuore sussulta di gioia Per non aver sprecato Le ore del giorno. Wilma Minotti Cerini Pallanza, VB

E mentre sotto il sole che l’inonda l’ammiro nella mia immaginazione, d’appagato piacer mi avvolge un’onda e frenare non so la mia emozione. Mariagina Bonciani Milano

BIANCHE VELE Perso in paralleli, desidero bianche vele. È in me accoramento di foglia secca che scricchiola tra piedi. Forse s’è spenta giovinezza.

Il traguardo è lì manca poco alla cima cammino con piedi di pietra ogni passo un infinito tempo come una ribellione al mio comando mentale. Mi fermo guardo indietro. Ho attraversato un deserto ho riempito un vuoto di speranze ho proiettato un traguardo di amore mi hanno colpita più volte al cuore ho rimarginato le ferite ho mandato un sorriso a chi incontravo Poi c’eri tu a prendermi per mano


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per camminare insieme. Meno difficile superare le difficoltà abbiamo fatto tanta strada abbiamo raccolto le more del gelso abbiamo sognato lo stesso sogno ti ho accarezzato il viso tu mi hai stretta tra le tue braccia Sapevamo che il cammino era irto e lungo a volte tu mi precedevi perché io poi potessi seguirti dove tu mi aspettavi: tu eri il mio traguardo. Ma ora hai preceduto tutto tu sei oltre il traguardo e i miei piedi sono pietre che bloccano. Sento la tua voce che mi chiama al tuo richiamo faccio qualche passo chiamami sempre! Il traguardo saranno le tue braccia dove il mio cammino avrà fine ma prima guarderò quanta strada si è fatta difficile ed agevole a volte lascio quel piccolo bagaglio di ricordi che mi trattengono E finalmente corro corro …. Wilma Minotti Cerini Pallanza, VB

SENZA META Un passo dopo l’altro senza sapere dove andare. Ignota la meta sconosciuto il percorso. L’entusiasmo di cercare, di scoprire cosa c’è in fondo alla strada. La strada non ha traguardo

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da raggiungere. È sempre un ricominciare Anche se percorri la stessa via: curve, dossi, rettilinei. E a valle poi riposare, perché alla fine sai che c’è il Monte che tocca il cielo: quello più alto da scalare. Anna Cimicata

AIMLESSLY Step by step without knowing where to go. The aim is unknown path unknown. The enthusiasm to seek, to find out what's there down the road. The street it has no alidade to reach. It is always a starting over Even if you go the same way: curves, bumps, straights. And downstream then rest, because in the end you know that there is the Mountain that touches the sky: the highest one to climb. Anna Cimicata Traduzione in lingua inglese di Salvatore D’Ambrosio

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D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE COVID 19 - A dominare ancora la stampa di tutto il mondo son le notizie relative al pericoloso e subdolo corona virus e neppure la nostra testata può ignorarlo. Siamo in quella che chiamano la fase due e già sui giornali e negli intrattenimenti televisivi diluviano le chiacchiere sulla fase tre; chiacchiere, congetture, ma fatti concreti quasi zero, pochi, insomma, cervellotici e irreali, segno che i loro autori son lontani dal vivere quotidiano della gente, non conoscono i suoi reali problemi; nessuno di loro quasi mai ha lavorato, nessuno di loro ha mai gestito, non diciamo un’azienda, ma neppure una piccola attività, uno spaccio, un bar, una drogheria; le proposte vengono sempre da chi, in concreto, non le attua. In questo assurdo quanto comico bailamme, quasi per propiziarseli, piovono le lodi agli Italiani, ormai tutti rinsaviti, tutti rispettosi delle leggi, tutti caritatevoli e aperti al prossimo, tutti gentili; nessuno a protestare, nessuno a lamentarsi, nessuno a piangere; tutti amanti della Patria e della bandiera; un popolo, insomma, che finalmente s’è scoperto anche Nazione, “una d’arme (speriamo di no!) di lingua, d’altare”, per dirla col Manzoni. Spariti son pure i delitti, i furti, lo spaccio di droga; ‘ndrangheta, camorra e mafia si sono liquefatte, quasi volatizzate. Idiozie! A noi non piace essere fuori del coro a tutti i costi, svolgere sempre la parte del bastian contrario; tuttavia, anche questa volta, siamo obbligati a esprimere qualche dubbio. Un quotidiano romano, per

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esempio, il quattro maggio, in una delle sue pagine interne, titolava sopra cinque colonne: “Dall’amor di patria alla disciplina quei valori da non disperdere ora”, specificando come, in più di cinquanta giorni d’isolamento, gli Italiani siano stati disciplinatissimi e abbiano acquistato fiducia nella scienza e nelle istituzioni. Insomma, un cambiamento radicale tra noi, da gonfiarci il cuore di gioia. Peccato, però, che tra le quattro foto a corredo dell’articolo, ben tre evidenziassero scorrettezze: gruppi familiari a spasso in piazza Navona nonostante i divieti; panchine affollate in piazza Testaccio e non tutti con la mascherina e in distanza di sicurezza; sole e coccole tra fidanzati in via dei Fori Imperiali senza mantenere le distanze anti-contagio. Insomma, foto che smentivano quanto appena dichiarato e che rivelavano le solite contraddizioni e una gran dose di ipocrisia; verità è che una fetta di Italiani, seppure minoranza, continua nella vita d’anarchia, infischiandosene della propria e dell’altrui salute, del proprio e dell’altrui bene. Cambiare veramente, radicalmente, è assai difficile, quasi impossibile, in poco più di cinquanta giorni! E la delinquenza e l’illegalità non sono affatto sparite, stanno benissimo, anzi, della situazione drammatica si stanno approfittando e lo Stato, non si sa se perché babbeo o timoroso, scarcera i delinquenti più incalliti e pericolosi, compresi quelli del quarantuno bis. Lo sfacelo, altro che Italia dieci e lodi e la colpa non è dei cittadini, neppure dei pochi anarcoidi imbecilli, ma di coloro che ci governano e ci amministrano, perché il pesce, come si dice, puzza sempre dalla testa. La speranza è che almeno la tendenza al mutamento non si arresti, giacché, volenti o nolenti, per tutti noi, nel mondo, dopo il coronavirus, niente potrà rimanere come prima. La società dovrà ripensare tutt’intera la propria esistenza e, in Italia, in particolare, incominciando dall’orario di lavoro. La gente vuole lavorare, non essere assistita e perché si lavori quasi tutti, la prima cosa da modificare dovrà essere l’orario di lavoro. Assurdo che nel 2020 ci si debba ancora servire di un orario di lavoro regolato, in linea generale, da una legge, la n. 473, dell’aprile 1925, che fissa otto ore giornaliere e quarantotto settimanali; essa è stata poi parzialmente corretta dalla legge n. 196 del 24 giugno 1997 che, pur lasciando le otto ore giornaliere, ha ridotto a quaranta le ore settimanali; successivamente, ci sono stati altri lievi ritocchi, ma, in sostanza, l’orario di lavoro è ancora oggi quello di un secolo fa. Cosa aspettano, lavoratori e sindacati, a imporsi per un abbassamento dell’orario, sia giornaliero che settimanale? Lavorare di meno per lavorare tutti è l’esigenza impellente dei nostri giorni


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e sarebbe la sola dimostrazione, nei fatti, che il popolo italiano - dagli imprenditori, ai lavoratori e ai politici - sia veramente cambiato, divenuto maturo, più buono, più altruista, più civile. Da sviluppare e migliorare è l’organizzazione del lavoro a distanza, o lavoro agile, detto anche “Smart Working”, scimmiottando gli inglesi. Alcuni, che già lo svolgono correntemente, ci hanno assicurato che esso non sia per niente agevole, ma più pesante e stressante di quando lo svolgevano in azienda; lavorare per otto ore, a volte anche di più, gli occhi incollati a uno schermo, c’è da diventare inebetiti. Occorre organizzarlo meglio e con pause, renderlo meno gravoso. Il lavoro da casa è destinato a diventare maggioranza nel lavoro del futuro; potrebbe essere svolto, intanto, da quasi tutti gli impiegati statali, regionali, comunali; da tutti gli studi di ingegneria e, in particolare, di quella civile, da quelli d’impiantistica, di architettura, da quelli professionali e legali, scientifici e tecnici. Il lavoro a distanza potrebbe portare a un’altra svolta epocale e positiva: il ripopolamento dei paesi e dei borghi ormai abbandonati; un impiegato, pubblico o privato, non costretto più a recarsi ogni giorno in ufficio, potrebbe benissimo decidere di stabilirsi nei piccoli centri, lontano dal rumore e dall’inquinamento, vicino alla campagna, riscoprendo usi, costumi, tradizioni, una vita più sana e più a misura d’uomo. Il futuro sta nella digitalizzazione in ogni campo. Son da riorganizzare tutti i servizi, le strade, i trasporti, anche quelli cittadini, questi, anzi, in modo particolare, con macchine sempre più piccole, elettriche e meno inquinanti, più biciclette, pattini elettrici e non solo. Ricordiamo, per esempio, che il 4 agosto 2019 Franky Zapata ha sbalordito il mondo con la sua traversata della Manica a bordo del suo Flyboard, la tavola volante spinta da cinque reattori a cherosene; ebbene, essa è destinata ad essere uno dei mezzi di trasporto di un non lontano domani; tutto da perfezionare, ancora, su cui investire ancora molto, ma è indubbio che gli ingorghi delle città dei nostri giorni in un prossimo futuro son destinati a sparire. La tecnologia rivoluzionerà ogni campo, sfruttando al massimo le sue potenzialità, specialmente attraverso il lavoro dei giovani, i più preparati e motivati in materia. Cambiamenti ancora più radicali dovranno avvenire nelle scuole e nelle università, tutte protese a soddisfare le esigenze del mondo del lavoro e delle aziende e, quindi, riorganizzando e potenziando gli istituti a indirizzo tecnico-industriale. Dovrà cambiare lo Stato, armonizzandosi con la periferia e ponendo fine all’eterna rissosità tra Centro

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e Regioni, tra Regioni e Comuni e, addirittura, tra Comuni e delegazioni. Lo Stato deve tornare a essere uno; pur salvaguardando alcune prerogative locali, va eliminato ad ogni costo il marasma attuale. Ma lo Stato non potrà mai cambiare se non si sanificherà l’intero territorio da un virus altrettanto pernicioso e letale del Covid 19, anch’esso retaggio di secoli, perché con radici nella nostra unificazione/annessione del 1860, allorché il Piemonte s’è comportato verso il resto del territorio della penisola, prima come uno Stato annessionista e, poi, accumulando, negli anni, leggi su leggi, senza curarsi di abolire le vecchie e contrastanti in concomitanza con l’entrata in vigore delle nuove, creando l’ectoplasma di una burocrazia così vischiosa, così stratificata da soffocare ogni respiro all’onesto e favorendo ogni tipo di criminalità, la quale trova, nel groviglio legislativo, il suo migliore brodo di cultura. Lo Stato deve tornare a essere più del cittadino che della burocrazia e della finanza; deve ingaggiare la lotta forse più difficile e titanica: costringere le banche a svolgere solo la loro antica funzione. Le banche derivano dai banchi, le tavole davanti alle quali sedevano i banchieri e i mercanti tra i quali si trattava, o per la conservazione del denaro, o per averlo in prestito. Oggi, invece, sono soltanto aziende speculative, a volte a livello quasi delinquenziale, che non erogano interesse a chi deposita, che impongono un’infinità di balzelli che, anziché incrementarlo, divorano a poco a poco il capitale e, per contro, prestano a tassi quasi di usura a chi da loro si reca a chiedere denaro. E non esiste più vera contrattazione, a decidere sono soltanto loro, in via unilaterale. Domenico Defelice Da Il Pontino nuovo, del 16/31 maggio 2020, quindicinale stampato in 12 mila copie. A proposito di coronavirus, ci scrive, da Cuba, domenica 26 aprile 2020, il prof. universitario Carlos Chacón Zaldívar: Sr. Poeta Domenico Defelice. Pomezia. Roma. Italia Estimadísimo Amigo, nada como la poesía para afrontar estos tristes días del género humano. No hay palmo de tierra y ni de mar a donde no haya llegado este nuevo virus, que con su invisible presencia se quiere coronar en todas las regiones y países. Por doquier la música, la plástica, el cine y múltiples artes se rebelan y actúan para propiciar al hombre confinado a sus habitaciones, una vida más activa y placentera. Múltiples escritores acogen con sorpresa y dolor la página en blanco que los estimula, y pluma en


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mano brotan poemas para cuando el dolor concluya. Por eso estamos aquí con la puerta abierta para el diálogo… (...). Un fuerte abrazo de amistad y mucha salud para Usted y toda su familia, DrC. Carlos Rafael Chacón Zaldívar *** PREMIO PIETRO CARRERA 2020 per silloge di poesia - La giuria del premio “Pietro Carrera” per silloge di poesia inedita, presieduta da Giuseppe Manitta, e composta da Pietro Russo, Cinzia Oliveri e Angelo Dimauro, dopo aver valutato le 167 opere partecipanti al concorso, rende noti i seguenti risultati: PRIMO PREMIO: VINCENZO CERUSO (Palermo) con l’opera “Via Parrocchia dei Tartari”. II PREMIO: Giorgio Casali (Fiorano ModeneseMO) con l’opera “Altre poesie”. III PREMIO exequo: Claudio Guardo (Cles-TN) con l’opera “Paul Johnson”. III PREMIO ex-equo: Joan Josep Barcelò i Bauçà (Palma di Maiorca) con l’opera “en la perifèria del cercle / alla periferia del cerchio”. IV PREMIO: Mario Pizzolon (Istrana-TV) con l’opera “Qohelet milleuno”. V PREMIO: Sara Fontani (Prato) con l’opera “Binari di precedenza”. Venti autori vengono premiati come FINALISTI: Azzolini Giliana (Pino Torinese), Barbari Roberto (Susegana-TV), Cossu Marisa (Taranto), Festi Morena(S. Matteo Decima-BO), Grilli Emma (Colli al Metauro-PU), Irrera Maria Rosa (Villafranca Tirrenica-ME), Lizzio Maria (Spadafora-ME), Macauda Giuseppe (Modica-RG), Mazzola Manuela (Pomezia RM), Nobile Liliana (Palermo), Piccirillo Lorenzo (Pontinia-LT), Sabetta Irene (Alatri-FR), Savoia Maria Rosaria (Lecce), Selis Francesco (San Lazzaro di Sàvena-Bologna), Solmona Maria Concetta (Palermo), Sorrentino Gianluca (Roma), Varriale Elena (Napoli), Vincitorio Anna (Firenze), Zanette Gino (Godeva S.V. - TV), Zavoli Antonio (Rimini). Ottengono una SEGNALAZIONE DI MERITO i seguenti autori: Albanese Antonio (Bologna), Annicchiarico Grazia (Villa Castelli – Brindisi), Baglieri Giusi (Catania), Bellia Liliana (Catania), Biolcati Cristina (Ponte San Nicolò -PD), Buccarello Vittorio (Castrignano del CapoLE), Bullara Pino (Agrigento), Camellini Sergio (Modena), Caminiti Mariano (Roccalumera), Casarini Giuseppe Gianpaolo (BinacoMI),Celi Francesco (Padova), Cherchi Marcella (Nugheddu San NicolòSS), Chiarello Rosa Maria (Palermo), Dalla Libera Emanuela (Suvereto-LI), David Natalino (Mugnano di Napoli), Di Luca

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Angelo (Licusati-SA), Di Salvatore Rosa Maria (Catania), Grassi Antonina (Acqualagna-PU), Lo Bianco Lucia (Palermo), Luana Minato (Capoterra CA),Marchi Danila (Imperia), Mento Antonio (Monza), Papini Fabio (Livorno), Passarelli Federica (Venafro-IS), Pitingaro Vincenza (Castelbuono-PA), Procino Grazia (Gioia del Colle-BA), Rossello Carmela Anna (Messina), Scalabrino Filippo (Campobello di Licata -AG), Selva Maria Concetta (Rimini), Sorrenti Vito (Sesto San Giovanni -MI),Vardaro Riccardo (Arzago d’Adda BG). La premiazione, stabilita già ad inizio anno, si svolgerà a Catania presso l’«Auditorium Concetto Marchesi» nel Palazzo della Cultura, sito in Via Vittorio Emanuele, 121, sabato 4 luglio 2020 alle ore 16,00. Data la criticità del momento, la cerimonia di premiazione potrebbe essere annullata in relazione alle disposizioni riguardanti l’emergenza Coronavirus. Nel caso in cui ciò dovesse accadere si garantirà quanto stabilito dal bando per i primi classificati e attestato cartaceo agli altri premiati. Il presidente Giuseppe Manitta *** CENTENARIO NASCITA PAPA WOJTYLA In ogni parte del mondo, il 18 maggio scorso, la Chiesa cattolica e non solo, televisione, radio, giornali, tutti hanno sentito il dovere di celebrare il centenario della nascita, a Wadowice, in Polonia, di Karol Wojtyla, eletto Papa il 16 ottobre 1979 e poi, alla morte, proclamato santo subito: San Giovanni Paolo II quasi a furor di popolo. Aveva conosciuto privazioni d’ogni genere, guerre e sofferenze fin da bambino, il futuro Papa. Era nato il 18 maggio del 1920 ed aveva appena tre mesi, allorché, il 15 agosto, si risolveva a Varsavia, in aspro e sanguinoso combattimento, la guerra contro


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i bolscevici e non aveva vent’ anni quando, nel 1939, la Polonia subiva l’ aggressione nazista ad opera di Itler. Karol Wojtyla - scrive Andrzej Duda, Presidente della Repubblica di Polonia - “ha visto i crimini di due totalitarismi: dei nazisti che occupavano la Polinia e del regime comunista del dopoguerra. È stata un’esperienza traumatica sia per il sacerdote cattolico sia per l’umanista che ha studiato la cultura polacca, basata sugli ideali della libertà e della tolleranza”. Ci sono, in questo brano di Andrzej Duda, tutti i temi che furono alla base dell’operato e dell’ apostolato del grande Papa: la lotta a favore della pace e contro ogni guerra (è dal suo credo e dal suo pensiero che ha origine il movimento di Solidarnosc, per esempio, un sindacato e un movimento pacifico che contribuirà a liberare la Polonia dalla dittatura comunista); la lotta contro ogni violenza e, quindi, contro il crimine organizzato di Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta; la lotta al traffico di droga, alla prosti-

tuzione, all’aborto, all’eutanasia e, quindi, la sua presa di posizione netta a favore della maternità e della vita in genere. Figlio di una nazione che, nei secoli, ha dovuto ripetutamente lottare per mantenere la propria indipendenza, Karol Wojtyla è stato un europeista convinto (che si estendesse “dagli Urali alle Alpi”), ma l’Europa, per la quale si batteva, voleva che fosse solidale e dei popoli, non delle burocrazie, come s’è trasformata negli anni, degenerando dal pensiero degli stesso fondatori. L’Europa di oggi è politicamente un aborto di quel che avrebbe dovuto essere; è un’Europa dei finanzieri e delle banche, che non ha neppure voluto inserire, nella sua Costituzione, il principio delle sue radici giudaico-cristiane e il Papa non ha mai nascosto la sua delusione. Karol Wojtyla fu un umanista e un amante dell’ arte; scrittore, poeta, autore di teatro e anche attore; non ha mai disprezzato l’immagine, si è servito, anzi, di essa per trasmettere la fede, pur non facendosi

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mai schiavizzare, mai condizionare; come s’è servito della carta stampata e di tutti i mezzi massmediali. Ha avuto grande stima dei giornalisti e ne ha incontrato tantissimi, grandi e meno grandi, o, addirittura, insignificanti come noi, che abbiamo potuto salutarlo ad Albano, il 21 settembre 1989. Ha amato la gioventù e ha viaggiato in ogni parte del mondo. Sportivo, amante della neve a tal punto da recarsi a sciare anche dopo l’elezione a Papa. Fu amato da cristiani e da atei, ma è stato anche odiato, fino a volerne la morte, odio culminato con l’ attentato di Piazza San Pietro. Devotissimo della Madonna. Un uomo indimenticabile e un Santo Magno, come l’ha definito Papa Francesco, aggiungendo che Wojtyla è stato uomo che voleva la giustizia, la giustizia sociale, la giustizia dei popoli. D. Defelice *** SERENA NONO E I FILM DI FAMIGLIA - In tempi di chiusura forzata degli Istituti Culturali, per il trentesimo anniversario della morte del compositore veneziano Luigi Nono, avvenuta in Venezia l'8 maggio 1990, la Fondazione Archivio Luigi Nono ha messo a disposizione in rete dall'8 maggio 2020 per dieci giorni l'importante lavoro documentario della figlia e regista Serena Nono I FILM DI FAMIGLIA - UN DOCUMENTO SUGLI ANNI 1959-1974, (presentato al Biografilm Festival 2018-riprese in 8mm e Super 8 di Luigi e Nuria Nono, una produzione SBS2). La voce di Luigi Nono riporta indietro nel tempo e sostanzia il suo pensiero, chiaro e penetrante:“ ...L'errore per me è un momento, una condizione proprio da santificare...” Così si chiude quest'opera che registra in tutta la sua semplice verità le tappe più significative della vita individuale e familiare del GiGi veneziano. “La mia convinzione era che per temi, contenuti nuovi ci voleva un linguaggio nuovo”: questo uno degli approcci per farci entrare nel vivo della creatività musicale di Nono, della sua storia sociale prima che politica, aperta all'ascolto degli altri, soprattutto dei bambini e di tutte le loro esigenze. “La politica... O c'è la politica fatta da chi si ritiene il politico staccato, il politico privilegiato, da club o c'è la polis, la vita...”. “Cosa è possibile fare? Alcuni rifiutano la discussione perché vuol dire esporre se stessi, altri si rinchiudono e portano avanti se stessi”: è questo il finale, la finalità etica, l'intenso momento che chiude tutti gli altri passi del film, non certo sospesi ma fortemente ancorati alla realtà storica italiana ed internazionale di quegli anni. Colgo dall'introduzione del materiale inviatomi dal-


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la Presidente dell'Archivio Nuria Schoenberg Nono: “Tra partite di calcio e ping pong in giardino, da Venezia ai viaggi in URSS e in Sud America, il compositore Luigi Nono si rivela in un ritratto inedito, attraverso la sua arte ma anche il suo privato. Nel segno di una ricerca artistica che non può prescindere dall'impegno politico. Nel film appaiono vari amici e collaboratori di Luigi Nono, tra i quali Massimo Mila, Giuliano Scabia, Yevgeny Yevtushenko, alcuni membri del The Living Theatre, Yuri Liubimov, gli Inti Illimani.”. Dice Nono: “Io avevo diciassette anni quando ho incominciato a frequentare Malipiero. Gianfrancesco Malipiero mi ha accolto con grandissima gentilezza. Erano gli anni molto duri della guerra e soprattutto gli anni neri, la massima criminalità del fascismo e gli anni in cui è nata anche la resistenza. Malipiero mi ha presentato un'apertura musicale culturale fondamentale per me: la musica antica e la musica contemporanea: come mi parlava di Monteverdi, mi parlava anche di Schoenberg e di Webern. Mi ricordo quando lui mi mostrava le lettere che aveva ricevuto da Schoenberg e da Webern. Poi con Malipiero ho conosciuto Maderna... Con Maderna ho fatto i miei studi veri e propri... E poi con Malipiero ho conosciuto Dallapiccola, che rappresenta un punto fermo della musica italiana... Darmstadt è stata molto importante come punto d'incontro tra noi giovani...” (fonte ibid.). Poi viene ripresa nel giocoso ambiente familiare e in successione, nella partenza per gli Stati Uniti la mamma di Nuria, moglie di Arnold Schoenberg. Così lo sguardo si sposta a Los Angeles, per osservare la casa di Schoenberg. Sostiene Nono nel suo spagnolo semplice e diretto, che qui trascrivo dai sottotitoli: “...Il mio primo lavoro fu su una serie, un principio compositivo di Schoenberg che è la dodecafonia...” E poi dal Perù, dalla Bolivia, da Cuba, per stare con i lavoratori, i tanti bambini con le sue due bambine, le donne anche giovani a sorridere ancora e a far loro un'accoglienza del cuore. Per ovvie ragioni di spazio non posso riportare tutto il prezioso contesto della documentazione che presenta anche l'ascolto in fondale acustico di brani di alcune opere originali del compositore: Liebeslied/Ha venidoCanciones para Silvia/La fabbrica illuminata/A floresta è jovem e cheja de vida/Como un ola de fuerza y luz/Y entonces comprendiò/Al gran sole carico d'amore. Le interviste e le conversazioni sono custodite presso la Fondazione Archivio Luigi Nono, la conversione dai film 8mm e Super 8 al digitale è stata fatta da Giancarlo Tagliapietra, il montaggio è di Serena Nono, la regista che chiude la sua opera ringrazian-

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do anche Ivan Battain, Claudia Vincis, Stefano Bassanese, Horacio Salinas, Roberta Reeder, Nuria Nono, Silvia Nono, Nicola Golea. Nelle riprese talora campeggia il grande simbolo in rosso della falce e martello, colti dalla vetrata interna della sede del Partito Comunista alla Giudecca, simbolo rivolto verso la Laguna a prender dentro Le Zattere, il quartiere veneziano dei primi e degli ultimi passi del compositore. Un'opera di cui caldeggio la stampa in DVD non solo per gli iscritti all'Archivio, per gli Amici di Luigi Nono, ma per tutti, perché è un lavoro storico da vedere, da ascoltare senza sosta, da ricostruire dentro in nuovi assetti intersecati con la dura e talora soffocante attualità, per riprendere tra le mani in tutta coscienza la dignità dell'agire, e dell'agire consapevole della lotta, quando essa reclama giustizia. Ilia Pedrina

LIBRI RICEVUTI LEONELLO RABATTI - Parole deposte sulla carta - In copertina, a colori, “Deposizione”, di Iacopo Carucci detto il Pontorno - Ed. La Linea dell’Equatore, 2019 - Pagg. 52, e. f. c., numerata, copia 24. Leonello RABATTI è nato a Reggello il 7 novembre 1960, ma vive a Prato. Laureato in Lettere moderne all’università di Firenze, è iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Toscana. Suoi testi poetici sono stati pubblicati in riviste e in antologie, come “Poeti di Novecento” (1994) del fiorentino Franco Manescalchi, e, dello stesso, “Nostos - Poeti degli anni Novanta a Firenze” (1997). Collaboratore di varie riviste con poesie, prosa, saggistica e traduzioni di opere di scrittori latinoamericani. Ha fondato l’Associazione Peter Russell, dopo essere stato amico per lunghi anni del poeta inglese che aveva scelto di vivere in un casale - La Turbina - a Pian di Scò (Arezzo) e sul quale ha pubblicato vari contributi. Lettore in pubblico di testi poetici, conferenziere, curatore di mostre di pittura con relativa introduzione ai cataloghi eccetera. Tra le sue opere di prose e poesie si ricordano: Limite del silenzio (1992 e Destino (1995), La vita come poesia. Peter Russell e il Pratomagno (2016). ** AA. VV. - M’illumino d’immenso - Antologia poetica, prefazione di Plinio Perilli, Pagine Editrice, 2020, pagg. 236, € 23,00. Poeti antologizzati: Francesco Abbiuso, Valentina Bagni, Susanna Battaglia, Simona Bonomo, Stefano Bruciani, Annamaria Buroni, Francesca Calabrò, Antonio


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Cantone, Ariberto Cappitti, Raimondo Colantonio, Elio Coriano, Vincenzo Cossu, Giuseppe D’Acchioli, Vincenzo De Angelis, Francesco De Luca, Claria Maria Di Nofa, Lorenzo Evangelisti, Paolo Ferrante, Simona Galizia, Rita Gambino, Mimoza Gjetaj, Francesco Paolo Glaviano, Alessandro Grasso, Valentina Guiducci, Massimiliano Ivagnes, Damiano Landriccia, Valerio Magnifici, Vincenzo Mannino, Manuela Mazzola, Egidio Mazzuoli, Isabella Pia Mondella, Sara Musto, Emanuela Nesi, Maria Antonietta Nichele, Andrea Oteri, Romana Perna, Stefano Quaranta, Roberto Sanchini, Armida Esposito Sansone, Giuseppe Santoro, Raffaela Sieno, Stefania Signorello, Giovanna Silvani, Patrizia Tirapelle, Silvano Toscani, Alina Monica Turlea, Rosaria Zocchi, Deni Zunta. ** MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO - Il coraggio di amare - Margherita e Andrea, Romanzo, Prefazione di Tiziana Caputo; in copertina, a colori: Carlo Scaldaferri, “Gli innamorati”, olio su tela, 1982 - Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editore, 2020, pagg. 74, € 10,00. Marcello FALLETTI DI VILLAFALLETTO, laureato in Lingue e Letteratura Straniera, è poeta, saggista e storico. Presiede l’Accademia Collegio de’ Nobili, fondata nel 1689. Ha ricevuto il Premio Nazionale Letterario Artistico “Elio Vittorini” (Messina, 1979) e il Premio Paolo VI “Una poesia per la pace” (Ercolano, Napoli, 1989).Dirige il periodico L’ Eracliano ed è fondatore e presidente del Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini”; collabora attivamente a giornali e riviste; ha redatto recensioni e prefazioni critiche a libri di numerosi autori. Tra le sue opere: Inter Nos (liriche, 1982), In quel tempo... (poesie e spigolature, 1989), I Savoia-Acaia, Signori del Piemonte (1990), Legendo oro, orando contemplor (1995), La storia e l’araldica (1998), Accademia Collegium Nobilium (2000), San Pancrazio in Val d’Ambra, camminando lungo i millenni (2002), Un salotto per gli amici (2002), Un uomo che seppe contare i propri giorni (2006), Dove sta la verità storica?!, Appunti e riflessioni sulla presunta appartenenza degli ultimi due marchesi di Barolo alla Massoneria (2006), La redenzione della donna: Giulia Falletti di Barolo (2007), Capitoli e Regolamenti (2009), La poliedrica figura di Carlo Tancredi nei Diari di viaggi (2009), La Chiesa di San Michele Arcangelo di Ponte Buggianese (2013), Canton Glarus, Cento Anni della Missione Cattolica Italiana (1912 - 2012) (2013), Davvero costui era figlio di Dio! (2017) eccetera.

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TRA LE RIVISTE L’ERACLIANO - Organo dell’Accademia Collegio de’ Nobili, fondata nel 1689, diretto da Marcello Falletti di Villafalletto - Casella Postale 39, 50018 Scandicci (Firenze), e-mail: accademia_de_nobili@libero.it - n. 267/269 dell’ aprile/giugno 2020. Segnaliamo l’articolo di apertura: “Accademici straordinari da ricordare”, di Marcello Falletti di Villafalletto. Ecco, poi: “Attività accademica”, con la presentazione del volume “Fisica e Fede” di Ettore Burzi; “Da un’accademia all’altra”, di Gian Giorgio Massara; “Santa Margherita Maria Alacoque”, di Carlo Pellegrini. Nella rubrica “Apophoreta”, Marcello Falletti di Villafalletto recensisce bel sette pubblicazioni, tra le quali il volume “Le parole a comprendere” di Domenico Defelice e il quaderno Il Croco “Sorsate ristoratrici”, di Vittorio “Nino” Martin. Ricordiamo, per chi volesse partecipare, il premio internazionale di poesia “Danilo Masini”, con scadenza 31 agosto. Chiedere regolamento e-mail indicata, cell. 339.1604400, sito web: www. premiopoesiadanilomaini.it * RENDITION OF INTERNATIONAL POETRY QUARTERLY - Rivista multilingual, direttore Zhang Zhi - P. O. Box 031, Guanyinqiao, Jiangbei District, Chongqing City, P. R. China - e-mail: iptrc@126.com; iptrc1995@126.com; iptrc@ 163.com - volume 98, n. 2, May 8, 2020. In prima di copertina, a colori, immagine di Celia Altschuler, poetessa di Porto Rico; seconda di copertina, a colori, immagine e poesie di Wang Caiming (Cina); terza di copertina, a colori, immagine e pitture di Huang Qiang (Cina); quarta di copertina, a colori, immagini di: Nasser Mahmoud Atallah (Palestina), Lali Tsipi Michaeli (Israele), Jadranka Tarle Bojović (Croazia), Aziza Dahouh (Algeria), Li Zhiliang (Cina), Manuela Mazzola (Italia), Wu Touwen (Cina) e Raed Anis Al-Jishi (Arabia Saudita), con le rispettive poesie all’interno della rivista. Tra gli altri autori antologizzati: Allison Grayhurst (Canada), Welkin Siskin (USA), Kurt F. Svatek (Austria), Teresinka Pereira (USA), Liang Ping (Cina), Lidia Chiarelli (Italia), Wang Mengren (Cina), Agron Shele (Albania - Belgio), Rubina Andredakis Cipro), Ashutosh Meher (India), Sajan Suberi (Bhutan). E, ancora, i poeti cinesi: Choi Lai Sheung, Liu Xiaoxiao, Lu Yanjiang, Fang Wenzhu, Zhu Likun, Wang Guilin, Xu Chunfang, Brent Yan, Dumuluofei, Shen Youjun, Li Zhiliang, Xie Chang’an, Qiao Hao,


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Giugno 2020

Zha Jingzhou, Luo Qiuhong, Winnie Woo, Deng Panfeng, Mu Lan, Youlin Shizi, Yu Zhenzhi, Zou Lian’an, Cai Yi, Li Zhiping, Liang Shengling, Duan Guang’an, Tongtian Jianri, Zi Wu, Wang Fuming, Huang Qiang eccetera. * FIORISCE UN CENACOLO - mensile fondato nel 1940 da Carmine Manzi, diretto da Anna Manzi 84085 Mercato S. Severino (Salerno) - e-mail: manzi.annamaria@tiscali.it - Riceviamo il n. 1-3, gennaio-marzo 2020, dal quale segnaliamo: Premio Nazionale Paestum, 59a edizione, premiazione e risultati (nella sezione poesia in lingua, terzo premio a Isabella Michela Affinito); “Particolare sodalizio tra Giacomo Leopardi e Antonio Ranieri”, di Maria Cristina Iavarone Mormile; “Aldo Marzi Camilleri e Montalbano”, di Isabella Michela Affinito; “Tito Cauchi Domenico Defelice operatore culturale mite e feroce” di Isabella Michela Affinito; “Aldo Marzi “Totò maschera barocca e futurista” “, di Anna Aita; “Isabella Michela Affinito Luoghi personali e impersonali”, di Tito Cauchi eccetera. * IL CONVIVIO - Trimestrale fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza Conti - Via Pietramarina - Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - E-mail: angelo.manitta@tin.it ; enzaconti@ilconvivio.org - Riceviamo il n. 80, gennaiomarzo 2020 - Da segnalare: “Corrado Calabrò dialoga su Quinta dimensione” , intervista di Angelo Manitta; “Io non dipingo, scrivo. A proposito di Roberto Sanesi”,di Vincenzo Guarracino; “Sarei capace di gittar sedie in aria. Giacomo e Monaldo Leopardi”, di Vittorio Capuzza; Christian Di Domenico. Actio theatralise impegno sociale”, intervista di Angelo Manitta; “Giovanni degli Umiliati”, di Maria Altomare Sardella; “Fabia Baldi, L’altrove nella poetica di Corrado Calabrò”, di Angelo Manitta. Inoltre, tra le moltissime altre e a diverso titolo, firme di: Giuseppe Manitta, Manuela Mazzola, Enza Conti, Gabriella Frenna, Aurora De Luca, Mirco del Rio, Antonia Izzi Rufo, Caterina Felici, Carmine Chiodo, Isabella Michela Affinito; e, poi, rubriche varie, concorsi. * KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia, Libreria Ticinum Editore . direttore responsabile Amedeo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26845 Codogno (LO) - e-mail: amedeo.anelli@alice.it - Riceviamo il n. 56, gennaio 2020, del quale ne diamo il sommario: Kamen’/Giuseppe Baretti; 7 Giuseppe Baretti: Scritti di e sul viaggio, Parte II (a cura di Elvio Guagnini); 45 Giuseppe Baretti: Da “Le Piacevoli poesie”; Saggi (A cura di Gandolfo Cascio e Danie-

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la Marcheschi); 75 Gandolfo Cascio: Giuseppe Baretti: an Italian Mind, a European Writer; 77 Onno Kosters: “Perhaps the less we quarrel, the more we hate”; Joseph Baretti’s Second Sojourn in Britain (1766 - 1789); 99 Raniero Speelman: Baretti, primo critico europeo: note di lettura alla “Frusta” ed altri testi. AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti intestati a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA


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