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50ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; benemerito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Anno 28 (Nuova Serie) – n. 7

€ 5,00

- Luglio 2020 -

A cinquanta anni dalla morte di

GIUSEPPE UNGARETTI (1970-2020)

IL DOMINIO DELLA PAROLA IN POESIA di Luigi De Rosa

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INQUANTA anni fa, il 1° giugno 1970, a Milano, moriva Giuseppe Ungaretti, il “poeta di trincea, che ha rivoluzionato la Poesia col suo studio appassionato della parola. Egli ha sostituito – o aggiunto al significato letterale dei singoli termini quelli psicologico-emotivi, rinnovando la letteratura italiana dalle fondamenta. Nato il 10 febbraio del 1888 ad Alessandria d'Egitto da Antonio, un operaio originario di Lucca emigrato nella terra dei Faraoni (e poi morto per infortunio lavorando al Canale di Suez) Ungaretti, lasciato l'Egitto nel 1912 e diretto a Parigi, venne a contatto con l'Italia, per trovarsi, all'età di ventisette anni, rimpannucciato in una divisa da soldato semplice del 19° Reggimento di Fanteria, a combattere sul Carso, buttato nel fango delle trincee. Privato, quindi, di quelle cure vigili e affettuose della mamma Maria (anch'ella originaria di Lucca) che dopo la morte del marito aveva portato avanti da sola un forno-panificio.


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All’interno: La dolce vita a quota sessanta, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 5 Le parole a comprendere di Domenico Defelice, di Giovanna Rotondo, pag. 8 Chiesa senza cristiani, di Giuseppe Leone, pag. 10 Dopo Coronavirus, categorie lavorative fluide, di Domenico Defelice, pag. 12 Paolo Sommaripa, di Manuela Mazzola, pag. 14 Italo Svevo, di Antonia Izzi Rufo, pag. 17 Guido Gozzano, di Leonardo Selvaggi, pag. 19 Tanti di loro hanno conosciuto…, di Ilia Pedrina, pag. 22 Dediche, a cura di Domenico Defelice, pag. 25 Premio Editoriale Il Croco: graduatoria finale ed elaborati di: Francesco D’Episcopo, Fiorenza Finelli, Aurora De Luca, Gloria Venturini, Pasqualino Cinnirella, Gian Piero Stefanoni, Isabella Michela Affinito, Lina D’Incecco, Anna Maria Bonomi, Salvatore D’Ambrosio, Mauro Barbetti, Veruska Vertuani, Antonio Nicolò, Mariagina Bonciani, Antonia Izzi Rufo, Lorenzo Spurio, Ludovica Mazzuccato, Emanuela Lazzaro, Anna Maria Gargiulo, Stefano Baldinu, Carlos Chacón Zaldivar, Silvana Del Carretto, Emilio Marcone, Domenico Puja, Domenico Novaresio, Filomena Iovinella, Mario Manfio, Falbo Vanessa, Paolangela Draghetti, Anna Vincitorio, Camillo Berardi (Racconti e Saggi al prossimo numero), pagg. 26/42 Notizie, pag. 48 Libri ricevuti, pag. 50 Tra le riviste, pag. 51 RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Tempo, di Francesco D’Episcopo, pag. 43); Tito Cauchi (Una raccolta di stili, di Isabella Michela Affinito, pag. 44); Tito Cauchi (Diktat, di Carlo Moganti, pag. 45); Carmine Chiodo (Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce, di Tito Cauchi, pag. 46); Elisabetta Di Iaconi (Le parole a comprendere, di Domenico Defelice, pag. 47); Manuela Mazzola (Parole in pentagramma, di Aldo Ripert, pag. 48).

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Corrado Calabrò, Rocco Cambareri, Giuliana Cicchetti Navarra, Antonio Crecchia, Ada De Judicibus Lisena, Lorenzo De Micheli, Patrizia De Rosa, Elisabetta Di Iaconi, Antonia Izzi Rufo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Aida Isotta Pedrina, Gianni Rescigno

Nonostante gli orrori della trincea, in quella che il Papa d'allora, Benedetto XV, definì (inutilmente) l'inutile strage”, nella mente e nel cuore del “fantaccino” Ungaretti (fervente interventista) nacque una poesia destinata a rinnovare dal profondo (col concorso di altri grandi poeti), il linguaggio poetico italiano vecchio di secoli. Nasceva l'Ermetismo (così chiamato da Francesco Flora, in senso un po’ dispregiativo) la poesia dai versi liberi, brevissimi, anche di una sola pa-

rola (se non di una sola sillaba) ma di una parola essenziale, scabra, isolata da patenti intenzioni di comunicazione o gnomiche, soprattutto in opposizione all'ottocentismo di un Carducci (ma in seguito anche alla retorica lussureggiante di un D'Annunzio). La poesia della sopravvenuta sfiducia nella realtà naturale e sociale; del pessimismo contro l'ottimismo romantico e positivista. La poesia della malinconia (...Calante malinconia lungo il corpo avvinto/ al suo de-


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stino...) . Solitudine dell'uomo in una Natura riconosciuta ostile e precaria contro ogni facile illusione. (Si ripensi anche agli Ossi di seppia di Eugenio Montale, e al contrasto perenne del poeta genovese con la Natura...). Nello specifico, la solitudine del fante in trincea, Un'altra notte (Vallone, 20 aprile 1917): In quest'oscuro / colle mani / gelate / distinguo/ il mio viso / Mi vedo / abbandonato / nell'infinito. L'unica realtà non è più quella esteriore, o comunque non è prevalentemente quella, ma è l'intimità dell'anima del poeta, che si richiude in se stessa, in una voluta, ermetica “oscurità” espressiva che non vuole avere niente a che fare col mondo esterno, coi movimenti politici e sociali (si pensi, ad esempio, all'atteggiamento nei confronti del Fascismo, al rifiuto etico di Montale, che perse il posto di direttore del Gabinetto Vieusseux di Firenze per non prendere la tessera del P.N.F.). Siamo colpiti dall'icasticità potente di San Martino del Carso: “Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro/ Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto/ Ma nel cuore / nessuna croce manca / E' il mio cuore / il paese più straziato”. Rimarchiamo l'antipassionalità e l'antiretorica di Distacco: Eccovi un uomo / uniforme / Eccovi un'anima / deserta / uno specchio impassibile / M'avviene di svegliarmi / e di congiungermi / e di possedere / Il raro bene che mi nasce / così piano mi nasce / E quando ha durato / così insensibilmente s'è spento. Non è facile, comunque, parlare di tutti gli aspetti e risvolti dell'ermetismo italiano in poco spazio. (Figuriamoci di quello a livello europeo). Insieme agli amici ci accontentiamo, in questa occasione, di rileggere alcuni versi tra quelli più noti e significativi, scelti dalla raccolta L'allegria, nella quale Ungaretti riunì un centinaio di poesie da lui scritte nel periodo dal 1914 al 1918 (nonostante il degrado fisico e psicologico della vita in trin-

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cea, e nonostante gli orrori quotidiani). Comunque la prima edizione del primo volumetto stampato, Il porto sepolto, del 1916, che ormai appartiene alla storia della letteratura italiana, la dobbiamo all'aiuto... fattivo di un suo amico, il giovane ufficiale Ettore Serra (con la stampa di ben ottanta copie numerate...). Possiamo immaginare la riconoscenza dell'Autore, del povero fante che al suo ufficiale dedicò Commiato (Locvizza, 2 ottobre 1916) , rivelando il proprio manifesto di poesia e di vita: Gentile / Ettore Serra / poesia / è il mondo l'umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / la limpida meraviglia / di un delirante fermento / Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso. Più chiaro di così! Senza tanti fumosi giri di parole, ci dice quali sono i temi fondamentali della Poesia! Il mondo, l'umanità, la propria vita... Chi non ricorda l'incipit di Veglia? Ai grandi temi precedenti si aggiunge quello della Morte, sempre incombente, ma che genera ripulsa, e disperata voglia di vivere... Un'intera nottata / buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ / digrignata /volta al plenilunio.../ ho scritto / lettere piene d'amore...con il finale choc: Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita.” E Dannazione, scritta a Mariano il 29 giugno 1916?: Chiuso fra cose mortali / (Anche il cielo stellato finirà) / Perché bramo Dio? In sole dodici parole, il problema della vita umana, del Cosmo, del bisogno di Dio... Oppure Fratelli (Mariano, 15 luglio 1916): Di che reggimento siete / fratelli? / Parola tremante / nella notte./ Foglia appena nata./ Nell'aria spasimante / involontaria rivolta / dell'uomo presente alla sua / fragilità... E l'essenzialità, di cui si parlava prima, prende addirittura corpo in una pietra di montagna: Sono una creatura, come questa pietra / del


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san Michele / così fredda / così dura / così prosciugata / così refrattaria / così totalmente / disanimata / Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede / La morte / si sconta / vivendo. Bellissima, poi, la poesia I fiumi, dedicata dal poeta ai fiumi della sua vita (l'Isonzo, il Serchio, il Nilo, la Senna). Così come è bella, e significativa, perché nonostante il pessimismo “programmatico” qui fa capolino l'ottimismo tenace e invincibile dell'uomo non rassegnato, consapevole della propria piccolezza ma anche della propria “grandezza”, la poesia Allegria di naufragi (Versa, il 14 febbraio 1917): E subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare. Poi c'è la celeberrima Mattina (Santa Maria La Longa, 26 gennaio 1917): M'illumino d'immenso. Che ci richiama alla mente l'altrettanto celebre Stasera (Versa, 22 maggio 1916): Balaustrata di brezza per appoggiare stasera la mia malinconia. Possiamo chiudere questa breve rassegna (col rimpianto per tutti i versi che non si sono potuti citare) con Soldati (Bosco di Courton, luglio 1918): Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie. Non sarebbe certamente una forzatura campata in aria l'estendere la metafora delle foglie sui rami dai soldati a tutti gli uomini in quanto esseri mortali, anche in tempo di (cosiddetta) pace. Basterebbe sostituire, nel titolo, Uomini a Soldati. Il tempo fugge senza mai fermarsi un attimo. In un certo senso, siamo tutti soldati. E siamo tutti foglie. Luigi De Rosa N.B. Nei testi originali, ovviamente, non ci sono le barrette che ho messo io tra verso e verso in quasi tutte le poesie. Gli amici lettori non me ne vogliano. L'ho fatto solo per non allungare troppo

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l'articolo, perché l'andare a capo ad ogni parola, o quasi, avrebbe comportato la necessità di maggiore spazio per l'articolo stesso. Negli originali (vedi ad esempio il Meridiano Mondadori dedicato ad Ungaretti , Vita d'un uomo) gli intervalli bianchi (anche tra le strofe) sono ampi, e danno freschezza e ariosità alle composizioni. (L. De R.)

QUANDO L’UOMO Quando l’uomo strapperà dal cuore la parola amore moriranno tutti i poeti del mondo. Allora Dio preparerà le sue valigie: ci parlerà con i tamburi e le trombe. Gianni Rescigno Da: Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019

SOSTA C’è giocare di ali che nunziano avvento di primavera. E io mi sento nascere; e si dirada l’uggia d’inverno che m’inabissa. Uno spiraglio di cuore consentirebbe sosta All’intimo fuggire irreparabile. Rocco Cambareri Da: Versi scelti, Guido Miano Editore, 1983

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Breve viaggio in un film epocale

LA DOLCE VITA A QUOTA SESSANTA (1960-2020) di Salvatore D’Ambrosio

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ENTO anni. Da quel gennaio 1920, quando a Rimini venne al mondo Federico Fellini. E sembra non siano trascorsi affatto, ma sono maturati a febbraio di quest’anno anche i 60 anni di uscita e distribuzione del film italiano più famoso e visto della cinematografia mondiale. Mi riferisco al capolavoro di Federico Fellini : La dolce vita. Da quel lontano 1960 è passato tantissime volte nelle programmazioni cinematografiche, soprattutto estive e televisive. Con l’avvento poi delle televisioni commerciali o libere, come più ci fa piacere definirle, è diventato un mantra riproporlo per le occasioni più svariate. Ovviamente il piacere di rivederlo non stanca mai perché, come nei film di Totò, a ogni passaggio si colgono quelle sfumature, quei sensi, quelle metafore, quegli anticipi di eventi che accadranno solo decenni dopo, e che magari ci erano sfuggiti. Sessant’anni. Dunque la nostra vita. La vita di tutti quelli, come chi scrive, che portavano allora i pantaloni corti. Perché si, era così. I pantaloni lunghi da uomo ci toccavano, appena spuntava sulle gambe qualche pelo in più. In quel film c’è tutta la nostra adolescenza. Tutta la nostra visione del mondo rivolto al moderno, al progresso, alla eliminazione del-

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le muffe passate. C’è nelle visioni degli sceneggiatori della Dolce Vita, la corsa, l’accelerazione improvvisa di un popolo fino ad allora silente, sonnacchioso, legato alle tradizioni pur di non dispiacere a tutti i detentori dei poteri di quel tempo. Ai padri, quindi, alle madri, ai preti, ai politici, ai potentati fannulloni e vagabondi pronti a sprecare risorse personali e nazionali, pur di appagare desideri più inconfessati e inconfessabili. Non a caso alla sceneggiatura ci lavorano Pasolini, Flaiano, Pinelli, Rondi, e ovviamente anche Fellini. I nomi di Pasolini e Flaiano richiamano maggiormente l’attenzione, in quanto già esponenti di rilievo della letteratura contemporanea. Ma sia Pinelli che Rondi non sono da meno, per il semplice fatto che sono operatori culturali di spicco nel gotha della filmografia del cinema italiano. Ma anche della poesia e della drammaturgia, sebbene un poco più in sordina. Di Rondi, in particolare, ricordiamo il più noto fratello critico cinematografico Gian Luigi. Grandi registri del calibro di Lattuada, Monicelli, Germi, Loy, li richiedono per la stesura delle loro sceneggiature. Ma lavorano soprattutto con grande piacere per Fellini. Questo perché Federico è, come si dice, un vulcano di idee. Assembla, poi taglia, ricuce. Non è mai soddisfatto finché non vede la perfezione che ha in mente. E loro gli stanno dietro proponendo, ampliando concetti, inventando cose nuove che scaturiscono dalla sistematica osservazione del costume, del modo di vivere, di pensare degli italiani. Ad una prima visione del film La Dolce Vita, si ha proprio l’impressione di un gran guazzabuglio. Ma poi in quel turbinio ci si ritrova, si individuano quelli che ci rassomigliano, quelli che odiamo, quelli che ci fregano ogni giorno in tutto e per tutto. Il protagonista Marcello Rubini è uno di questi, un fallito fortunato come tantissimi connazionali, anche odierni. La professione di giornalista e scrittore che


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esercita non è roba sua, ma ha le giuste conoscenze per cui va avanti, anche senza soddisfazione. È in bighellone, vola da fiore a fiore senza che ve ne sia uno che gli piaccia realmente. Cerca il sesso per noia, non per amore o per amare. Ha poco entusiasmo, anche di fronte al malessere che colpisce il padre che è venuto a Roma a fargli visita. È un nostalgico incapace di qualsiasi sentimento. O per lo meno ci crede poco in quel poco di sentimento, che sembra a volte prenderlo. Il film appena esce non trova, come accade spesso per le opere di spessore, una critica positiva. E soprattutto trova una censura miope, legata a certi poteri forti che resistono ancora nella clericalità italiana, che non vuole capire che la chiesa non ha nulla da spartire con una repubblica laica, democratica e culturalmente libera. Ma siamo un tantino indulgenti, poiché consideriamo i primi anni sessanta ancora un prosieguo di certe abitudini fasciste che ammettevano, per certi versi e alcune circostanze, il “si fa ma non si dice”. La pellicola felliniana è una denuncia esatta di questo modo di vivere e di trattare le cose. Il suo lavoro apre un’epoca nuova, di prime trasgressioni: una delle quali e più famosa è quella del passeggiare nell’acqua della fontana di Trevi di un’attrice insoddisfatta, mortificata, schiava della sua bellezza, della sua avvenenza a cui tutti vorrebbero giungere. Nessuno all’epoca si sarebbe mai sognato di profanare un monumento come quello. Ma Sylvia, una stupenda Anita Ekberg, che dà corpo al personaggio in modo sublime, lo fa e induce alla trasgressione anche il riluttante Marcello. Scena epocale, di grande attrazione, se vogliamo mitica, ma che in fondo ha molto meno significato sociologico di tutte le altre del complesso e profetico lavoro felliniano. Altra nuova sopravvenuta amoralità, a cui si sapeva la partecipazione di abituali frequentatori, ma mai pubblicamente ammessa, è la visione di uno spogliarello. Nel film si ufficializza, si denuncia pubblicamente la cosa, e

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nello stesso tempo si smitizza, si toglie l’ alone di peccaminosità con la scena, o presunta tale, che si svolge in una villa tra amici durante, si direbbe oggi, un happening. È come volere dire esiste il fenomeno, perché negarlo. Ecco quindi il senso: bisogna che qualcuno inizi a rompere i vecchi schemi. E in quei vecchi schemi da superare, c’è la sacralità della morte che non deve essere mostrata, specie se è quella inflitta a innocenti e l’autore ne è il loro stesso padre. Questa fu una delle questioni, affrontate nel film, che sollevarono i maggiori cori di protesta da parte della chiesa. Ma nessuno, forse, capì che si voleva esprimere la tragica visone di un padre, che guarda in prospettiva il futuro dei figli. Tematiche che verranno dopo, ma già affrontate allora da Pasolini, sia da scrittore che da sceneggiatore. Di questi fatti, invece oggi, ne abbiamo le cronache piene. Il protagonista del tragico suicidio- omicidio, amico di Marcello, è scrittore e pensatore. Sa, comprende, è disperato del futuro incerto che i nuovi tempi in progress riserveranno ai figli, per cui compie l’atto imperdonabile, estremo. Altra tematica presente nella sceneggiatura è lo strapotere dell’alta borghesia aristocratica fallita e fannullona. Dedita al mantenimento del potere, all’alcolismo e alla droga. Anche qui il discorso è di una serietà convincente, anche se non affronta che solo di sfuggita e non esplicitamente il problema droga. Si trastullano i potenti con cose inutili, mentre c’è un popolo che per superare ogni difficoltà si deve affidare ai miracoli. Cosa che viene decritta alla perfezione con una scena corale, in cui decine di persone si assiepano su uno spiazzo in attesa di due bambini che dicono, falsamente, di vedere la Madonna. E la gente corre con i loro malati e le loro afflizioni in cerca di un sollievo. Basterà una pioggia a disperderli e la morte di un infermo, in quel luogo di speranza, a farli mai più tornare.


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Il film è un quadro lucido e realistico di una società italiana di estrazione povera tenuta sottomessa con ricatti morali e religiosi, che però sta cambiando chiedendo ciò che umanamente gli si deve dare. Per questa vena egualitaria presente nella pellicola, il regista viene anche accusato di essere comunista. Appellativo molto in voga allora, per emarginare qualcuno. Per metterlo in soggezione. Ma non è per comunismo che denuncia Fellini, è perché le nuove esigenze scaturiscono essenzialmente dal degrado religioso, genuino, semplice di un popolo che sta perdendo la sua anima originale. Infatti Marcello Rubini, impersonato da Mastroianni, è insoddisfatto, lacerato da problemi esistenziali, indeciso, in dubbio, rassegnato. Passa le sue notti tra quelle che sono le odierne “movida”. Beve, si ubriaca, non riesce a riconoscere il vero amore che gli porta la sua ragazza. È distratto, superficiale, è il prototipo dei tanti che verranno e che caratterizzeranno l’Italia della eterna “dolce vita”. Nelle scene finali dell’opera di Fellini, c’è una mestizia, una rassegnazione, un simbolismo che si concentrano nella scena dei pescatori e della giovane che cerca di comunicare qualcosa a Marcello. L’uomo Rubini, dice il regista, ha gettato una rete, cercando di prendere qualcosa di buono, di utile, che gli procuri un reddito per farlo vivere. Non è stato però così, perché come i pescatori ha portato a riva un pesce enorme ma morto. Quindi non solo invendibile, ma anche immangiabile. Non gli resta che ritentare continuando la solita vita, che non è certamente dolce ma piena di illusioni. Illusioni che invece sono diventate realtà per quella ragazzina, che aveva conosciuto come cameriera in una trattoria. L’adolescente Paola lo vede abbattuto, emarginato, solitario, infreddolito per la notte in bianco inginocchiato sulla fredda sabbia del mattino, e cerca con il suo parlare a gesti di convincerlo a passare dalla sua parte. Nel senso che fa un invito a Marcello Rubini a ridisegnare il suo futuro. Come lei ha fatto con il suo, lasciando l’occupazione di ca-

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meriera per un’altra più vicina alle sue aspirazioni. Ma tra loro c’è una specie di marana che non consente il passaggio, c’è la confusione del rumore del mare-mondo invernale e infernale, del vento che confonde le voci e gli occhi. Per cui nessuno dei due si sposta per andare verso l’altro. C’è alla fine, dunque, la rassegnazione di entrambi di procedere ognuno per la propria strada. In Paola rimane un poco di rammarico per Marcello che, ancora una volta, è indeciso sul da fare. In lui la rassegnazione di rimanere dall’altra parte della sponda, sottolineando con una levata impercettibile di spalle il distacco: come per dire che è quello il suo destino. Opera cinematografica La Dolce Vita, potente, scomoda, che ci insegna a capire che la vita è l’unico luogo, l’unica frequentazione, che paradossalmente si fa da soli. Salvatore D’Ambrosio

SUL MARE, CHISSÀ DOVE… Non distinguo gocce nei miei Natali d’infanzia e l’acqua scorre in musica in luce in fragranza. Pure scivola in me come risacca il ricordo di un mio sbigottimento: un pianto di mia nonna accorato e segreto. Mia nonna piangeva china su un dolce di guerra ed asciugava in fretta lacrime silenziose. Era un’angoscia pudica, una preghiera. Per il figlio più giovane, soldato in un sommergibile sul mare, chissà dove… Ada De Judicibus Lisena Da: Omaggio a Molfetta, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017.


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LE PAROLE A COMPRENDERE DI

DOMENICO DEFELICE di Giovanna Rotondo

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O ricevuto il bel libro di Domenico Defelice qualche tempo fa, per una recensione, ma gli eventi faticosi di questi terribili mesi di pandemia, e non solo, mi hanno distratto dalla vita quotidiana, portandomi in una dimensione complessa, dove mi sono sentita, e mi sento tutt’ora, prigioniera di un mondo incomprensibile, una “Torre di Babele”. Grande è stata la mia sorpresa quando, ritrovando il libro di poesie di Defelice, ho notato, cosa che mi era sfuggita all’inizio, l’ immagine della Torre di Babele in copertina. Come a ricordare che, se gli eventi si possono percepire ancor prima che accadano, bisogna, tuttavia, avere memoria del passato, per comprendere e vivere il presente e costruire il futuro: non una semplice evocazione del passato, ma coscienza di quello che siamo e da dove veniamo. Ho letto e riletto il testo più volte, scoprendo, nei versi dello scrittore e poeta, scelte espressive multiple: nella prima parte, la nostalgia di momenti lontani e la consapevolezza del presente, opere di poesia di altissimo livello. Disillusione e ironia nei comportamenti di chi detiene il potere, per i registri linguistici adottati nelle altre tre sezioni. Ne “Le parole a comprendere” prima parte del testo, la più poetica e sentita, la poesia di Defelice racconta la storia dell’esistenza,

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l’esperienze, i sentimenti, il passare del tempo, l’approssimarsi della fine della vita. Uno stile fluido, non enfatico, amorevole nei ricordi familiari, poetico nella narrazione: una persona che ama la natura e che crede in Dio come rifugio finale. Mi ha affascinato l’uso che fa della lingua, la sua bellezza: Per me bambino selvaggio era la montagna degli alberi morti. … Seduto sopra una pietra d’estate godevo la sua ombra e scrivevo versi sulle lunghe e decorate foglie del noce, la mente persa ad altre montagne e pianure e mari sconfinati. —— Parlano i pioppi. Un ciarlio continuo nella frescura delle foglie. Racconti son d’amore di passeri e fringuelli. —— Chi ama non urla. L’amore non si nutre di parole, ma d’attenzione e silenzi. Quando l’anima canta le parole le dicono gli occhi e qualche furtiva carezza. —— A cena, pane e cicoria cotti in acqua di fiume per le nostre bocche avide. Ognuno con la sua ciotola grigia seduti in cerchio sotto il fico moro. … mia madre, attenta vivandiera, non mangia, sazia della nostra fame mai placata. Parole a comprendere, parole in cui rivedo la mia infanzia. Molto graffiante la seconda parte dell’ opera: Ridere (per non piangere), in cui l’autore lamenta il declino del paese causato dall’ incapacità e dalla voracità dei politici. Descrizioni che rispecchiano una realtà amara, asso-


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lutamente condivisibile: Ed in mezzo allo sfacelo il politico? Fa festa! Privilegi, emolumenti, sprechi, inutili poltrone, consulenze, auto blu… Tutto quanto come prima. Anzi, no, sempre di più! —— La manovra è troppo dura? La batosta è dolorosa? il tuo reddito è meschino? La gran fame ti tormenta? Lascia perdere la lagna, corri tosto in Parlamento. Lì è tutta una cuccagna. Con una spesa assai modesta, lì si beve e lì “se magna!” Irriverenti i ritratti della terza e quarta sezione del libro, “Epigrammi” e Recensioni” dove, con tono sarcastico, chi scrive gioca con le parole con grande maestria e padronanza linguistica, ridicolizzando la presunzione e le esternazioni di coloro che affrontano la vita con ipocrisia. Presidente? E di che, d’un mercimonio? Tra disgraziati senza comprendonio signoreggi bastardo più di un mulo e per fornire di pannolini il culo vai spendendo, superbo, un patrimonio. —— Tutta la tua sostanza è una targhetta appiccicata sopra il tuo portone; una carta intestata; un ‘etichetta che un giorno finiranno in un bidone. —— Di-vini versi profondi. versi veramente sopraffini. … Che parole carine, divine! Arlecchino voglio esserlo anch’io e spero di superarlo, o Dio: Cia batta ciattaba.

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In vece battaccia tabicata catabita. … attaciba ibattaca attabiac che così, ciabattando in siffatta ciabatta e frantumando i colori con gl’ iòni, sono riuscito ad essere ironico e fare stupenda poesia! Dite, se non è la mia raffinata follia! Un libro che sorprende. Contenta di averlo ricevuto, letto, riletto e meditato. Domenico Defelice è direttore e fondatore di una delle più antiche e interessanti riviste culturali del nostro paese: Pomezia – news. Una rivista mensile che ospita opere letterarie, saggistica, recensioni e in cui, io stessa, ho avuto il piacere di vedere recensiti due miei libri a firma di Giuseppe Leone, critico letterario, che ringrazio per avermi segnalato questa bella opera di Defelice. Giovanna Rotondo Da: https://giovannarotondo.wordpress.com

Himmel Am frühen Morgen: Der klare und feierliche Himmel, mit tausend Blautönen, ist noch schöner, wenn man ihn zwischen den Kiefernspitzen erblickt. Strahlend weiße Wolken lösen sich auf, wenn die Sonne aufgeht. Das unglaubliche Wunder des Himmels bleibt ewig. (Cielo, poesia di Aida Isotta Pedrina – Pomezia-Notizie, giugno 2020, pag. 48. Traduzione in tedesco di Marina Caracciolo)


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CHIESA SENZA CRISTIANI E CRISTIANI SENZA CHIESA di Giuseppe Leone

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HI non ha ancora impressi negli occhi e nella memoria quella foto di Piazza San Pietro vuota, con al centro in completa solitudine Papa Francesco e il cerimoniere Monsignor Marini, durante la benedizione Urbi et Orbi impartita la sera del 10 aprile 2020? E i commenti, di teologi e religiosi, in riviste e quotidiani nazionali, su quell’immagine assolutamente inedita, che ha lasciato attonita e muta la terra, non soltanto l’umanità cristiana? Un’immagine tanto angosciante quanto apocalittica, che mostra una Chiesa, a pandemia ormai conclamata, in versione The day after (Il giorno dopo), molto cattolica e così poco cristiana, per l’esclusione dei suoi fedeli dal rito liturgico del triduo pasquale. Ma io non mi soffermerei tanto su quella foto, apparsa su tutte le testate giornalistiche del mondo, seppure fonte di oscure premonizioni, quanto su quei commenti che Luca Kocci ha riportato nel Manifesto del giorno 11, con il titolo: Pasqua senza tempio. La pandemia interroga il significato della fede, in cui il valente giornalista domanda e si domanda che senso abbia quest’esperienza religiosa al tempo del coronavirus, dal momento che “ci sono preti che celebrano l’eucaristia da soli, nelle chiese vuote, ripresi da

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una webcam che trasmette in streaming il rito; e fedeli, che guardano la messa in televisione o sullo schermo di un computer o di uno smartphone, come spettatori di un film o di una serie su Netflix”. E non solo, se tutto questo “non sia il rovesciamento della natura profonda della fede cristiana, ma anche di altre esperienze religiose e spirituali, fondate su una dimensione comunitaria che ora è inevitabilmente assente”. Tutte domande, alle quali Kocci cerca ora di rispondere, riunendo più punti di vista. Da quello, in un tweet del 29 febbraio, del priore di Bose, Enzo Bianchi, quando ancora le misure restrittive erano in vigore solo al nord Italia, che si chiedeva: “Ma siamo sicuri che la Chiesa adottando, contro il possibile contagio, misure che impediscono liturgie, preghiere e addirittura funerali partecipati dalla comunità, sia solidale con chi soffre, ha paura e cerca consolazione? Un cristiano non sospende la liturgia!”; a quello, del gesuita Bartolomeo Sorge, ex direttore della Civiltà Cattolica, che il 2 marzo si domandava: “Perché vietare le messe se sull’altare c’è quel Gesù che guariva quanti lo toccavano?”. Da quello, di Alberto Maggi, monaco dell’ordine dei Servi di Maria, direttore del Centro studi biblici Giovanni Vannucci di Montefano, così restio ad accettare la messa in streaming, sia perché “Dio non è presente solo dentro una chiesa, sta soprattutto fuori dal tempio, quando ci si mette a servizio degli altri”, sia perché “l’eucaristia, momento centrale nella vita della comunità cristiana, va celebrata comunitariamente, con i fedeli presenti”; a quello, sul Foglio, di Luca Diotallevi, sociologo che, dopo avere ammonito “di non trasformare lo schermo in un tabernacolo”, aggiungeva che “il problema sono i preti che sono cresciuti, educati e abituati al rito, e ora, senza, si sentono persi, smarriti”; non certo la Pasqua, che, anche senza la liturgia, “può diventare una Pasqua dinamica, (se) l’annuncio di Gesù risorto è “andate”. A quello, infine, di Vito Mancuso, libero teologo e filosofo, propugnatore dell’idea che la celebrazione della messa senza popolo pos-


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sa anche considerarsi come “una preghiera individuale del celebrante che, secondo la teologia cattolica, può diventare un grande momento di intercessione per coloro che vorrebbero partecipare ma non possono farlo”. E fin qui, le riflessioni, raccolte da Luca Kocci nella pagina della cultura del quotidiano italiano, relative al caso in cui la Chiesa si ritrovi d’un tratto, vuota, senza i cristiani, senza gli abituali fedeli o credenti, che dir si voglia. Ma ora, a paradosso vorrei aggiungere altro paradosso e dire che, mentre riflettevo sopra quei commenti, mi sentivo tirare per la giacca da un aforisma che per similarità di temi e di parole andava a ricomporsi come l’altra faccia di una medesima medaglia. Era il noto motto siloniano “Cristiano senza chiesa”. Chi sia, ora, questo “cristiano senza chiesa” è presto detto. Non prima, però, d’aver ringraziato Don Aldo Antonelli, che mette in guardia, ammonendo di non prendere quel “senza, come avverbio privativo ma come aggettivo qualificativo…; anzi, qualcosa di più, come sostantivo liberativo! (“Sostantivo” nel senso che è pieno di sostanza…)” perché restituisce l’immagine di un cristiano a tutto tondo, erede di “una religione dell’uomo”, come Silone la chiama per bocca di Pier Angelerio del Morrone, più antica, in Abruzzo, del cristianesimo: “Tra questi monti c’è un’antica tradizione, ancora più antica della venuta di Cristo, ed è l’ospitalità. Per i nostri antenati più lontani … secondo la legge naturale impressa nei loro cuori, l’ospite era sacro”. Cristiano, per Silone, è colui che ha oltrepassato i muri, le barriere, gli steccati che sono stati costruiti dentro di noi in nome di ideologie e dogmi, partiti e chiese, per realizzare, come l’eredità cristiana gli suggerisce, una morale naturale dell’uomo superiore, fondata sul senso di responsabilità che l’uomo superiore sente verso gli altri, come seppe fare solo Cristo, come lui, “cosciente e responsabile, che non vuole più essere un eroe per caso, in balia di oscure trame, e non accetta più la pena per una colpa di cui non è consapevole, retaggio di un medioevo mistico

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e irrazionale”. Il cristiano al quale Silone fa riferimento è, allora, l’uomo che conserva intatta l’utopia di quei secoli, come l’avevano proposta, prima, il cristianesimo comunitario delle origini e dopo più d’un millennio, un santo/eretico meridionale. Un “Cristiano senza chiesa”, questo, che non tarda a manifestarsi come speculare a “Chiesa senza cristiani” o “Pasqua senza tempio”, che sottolinea come il contrasto fra chiesa profetica e chiesa storica non sia ancora del tutto spento, anche ora al tempo di questa pandemia. Anzi, ne accentua ancora più vistosamente il divario: da una parte, una chiesa la cui unica preoccupazione sembrerebbe quella di esserci ancora il giorno dopo la tempesta, portando i riflettori su San Pietro e la sua suprema autorità istituzionale, il Papa officiante; dall’altra, il dissolvimento delle anime come “fumo”, che, allo stesso modo di Silone-Celestino, continuano a vagare lontano dai templi. Un’immagine visiva e culturale a un tempo, insomma, quella Piazza San Pietro deserta unitamente al dibattito che ne è seguito, tutt’ altro che frutto del Coronavirus, ma espressione di un dissidio, quale si trascina da millenni, in seno a un’Istituzione che ha preferito l’eternità al tempo, fra coloro che sostengono che la fede cristiana non si possa separare dalla speranza e dalla carità e coloro che non sanno o non vogliono riconoscere che la radice di tutti i mali, per la Chiesa, sia nella tentazione del potere. Giuseppe Leone

Manca qualcosa C’è in certi giorni - in questi giorni c’ècome un fruscio di fondo che persiste oltre le voci e gli occhi dei presenti; ed una dolenzia intermittente mi fa sentire che qualcuno manca. Corrado Calabrò Roma


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Dopo Coronavirus CATEGORIE LAVORATIVE FLUIDE, SINDACATO SMARRITO, INCERTEZZA NELL’AGIRE di Domenico Defelice

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OVISTANDO nella nostra biblioteca, alla ricerca di un volume di poesie di un caro amico calabrese da anni scomparso, ci è capitata fra le mani la nostra fortunata dispensa Informazioni Socio Economiche, edita da P. N., in sesta edizione l’ultima - nel 1996. Lavoro ormai inservibile, perché non più aggiornato e perché, nel frattempo, non son cambiate solo le leggi, ma la vita stessa. Ciò che in essa ha ancora qualche validità è la parte concernente il Lavoro e il Sindacato, comparti che son rimasti quasi cristallizzati e che la pandemia suggerisce e impone che vengano radicalmente ripensati. Continuare a servirsi della legge sull’orario di lavoro, per esempio, che risale, praticamente, al 1925, e dello Statuto dei Lavoratori - o legge 300, del 20 maggio 1970 - è anacronistico, è come voler andare sulla luna servendosi di razzi con propellente a legna. Il lavoro non è diminuito in questi anni, è solo cambiato. Le norme che lo regolano sono obsolete e non prevedono le tante forme nuove venutesi a creare, tra le quali il lavoro da casa e quello delle consegne a domicilio. Alcune imprese - non tutte - hanno approfittato di queste vacanze normative per pagare di meno il lavoro; fingendo, cioè, che il lavoro mancasse e che queste nuove forme non ci fossero, l’hanno semplicemente acquistato a meno prezzo. I datori di lavoro, in altri termini, in molti casi hanno rinunciato alla loro dignità e si sono comportati da veri e propri sfruttatori. Son decenni e decenni che il costo del lavoro è fermo e che aumenta, invece, il profitto del capitale; la finanza ingrassa, è sempre più vorace, mentre il lavoratore - che concorre alla pari, col proprio sudore, alla formazione del prodotto e della ricchezza - è costretto a tirare sempre più la cinta.

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Le nuove tecnologie hanno indebolito pure il Sindacato, il quale, in parte, si era già castrato da solo, interessandosi sempre ed esclusivamente di chi ha il posto fisso e dei pensionati e quasi per nulla delle nuove forme di lavoro. Così, a loro volta, i lavoratori non hanno più trovato conveniente iscriversi. Se tu non ci proteggi, han detto, perché associarci e pagarti il contributo? Il Sindacato odierno sembra intontito, non riesce neppure a intercettare le realtà lavorative e i cambiamenti; dà l’apparenza di vivere in un chiuso orticello. Son mutati i settori produttivi, si sono mescolate le funzioni (oggi è difficile, problematico, distinguere tra operaio e impiegato); un lavoratore, a causa delle nuove tecnologie, è costretto a conoscere e svolgere più funzioni, più di un mestiere. Il Sindacato, di conseguenza, dovrebbe inventarsi nuovi comparti nei quali inserire gli eventuali nuovi associati. Non facile, non lineare sarà creare, individuare nuovi contratti di lavoro in grado di contenere queste categorie che a noi piace definire fluide. Lo Statuto dei Lavoratori, vecchio ormai di cinquant’anni, è riformabile? Ha applicabilità ancora ai nostri giorni? Il Sindacato si è ossificato, anche per non aver mai voluto una personalità giuridica, così come richiesto dalla nostra Costituzione all’articolo 39. Motivo: perché temeva di perdere potere, autorità; potere e autorità che invece ha ugualmente perso, perché non si può star fermi quando la società viaggia a razzo. Il Sindacato si è snaturato da se stesso, col divenire datore di lavoro e, per giunta, in molti casi, non rispettando le regole ch’è chiamato a difendere. Si pensi al Sindacato che svolge un servizio che non gli spetterebbe, com’è quello del patronato, che dovrebbe essere pubblico. Il compito gli è stato affidato dallo Stato e direttamente, senza gare o concorsi, senza, cioè, dover competere con la concorrenza. Lo Stato glielo ha affidato direttamente per ingraziarselo e costringerlo a essere nei suoi confronti meno aggressivo e il Sindacato, accettandolo, si è praticamente


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snaturato. Si pensi alla gestione dei Corsi della Formazione Professionale, ai tanti miliardi bruciati e senza che le aziende ottenessero personale adeguato. I lavoratori non sono babbei, queste cose le capiscono a volo, prendono giustamente a diffidare, a non aver più fiducia in chi era nato solo per difenderli. Il mercato del lavoro, oggi, è smarrito davanti a questa autentica babele di istituti in doppia veste e alla montagna di leggi obsolete e farraginose, incerte, che vanno bene solo per i datori di lavoro marpioni e i loro abusi; ai lavoratori onesti - che vogliono solo lavorare e non essere assistiti come se fossero minorati - e ai datori di lavoro onesti - titubanti, frastornati - rimangono, purtroppo, soltanto lo scoramento e solo l’incertezza dell’agire. Domenico Defelice Da: Il Pontino nuovo, dell’1/15 giugno 2020, quindicinale che si stampa in 12 mila copie.

TRISTEZZA In pieno giorno mi assale la voglia del sonno, di notte il sonno in altri lidi se ne va, forse è colpa dell’età? Tutto è capovolto, tutto ciò che mi circonda è stolto, ma io non mi arrendo, sono ancora forte, anche se in pieno giorno confusa mi addormento, mentre prima sono stata felice sempre correndo! Mi assale la profonda nostalgia delle cose belle che ho fatto in tutta la lunga vita mia. Ora mi sento inerte e la tristezza sconvolge il mio cuore e la mia mente! Ma Gesù è con me, mi prende per mano e dolcemente mi guiderà lontano!

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14 – 6 – 2020 Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)

IL SOLITARIO Ho deciso di fare un solitario, in quell’ora di attesa che a volte prende la gola tra un garrire di rondini, quando la giornata ti incanta, o un’insistente pioggia sottile che si insinua nella malinconia della sera. La cena finisce di cuocere ed io con le Napoletane, dopo tanti, tanti anni, faccio il solitario delle tre carte. Ti ho visto farlo tante volte da bambina, in cucina, proprio a quest’ora, con le tue lunghe dita dallo smalto rosso e i grossi anelli. Le mie mani sono semplici anche ora, affusolate e senza orpelli, ma come le tue girano le carte, con meraviglia. Cosa uscirà? La scala, pur nell’iniziale difficoltà, alla fine sarà finita e completa? O come tante volte, non verrà? Da te ho imparato i solitari e a leggere le carte (oltre a sistemare i capelli la sera). Anche da nonna le interrogavi per sapere del tuo uomo il suo cuore, il suo pensiero e che succede. Dai pochi racconti familiari credo tu sia stata una donna egoista e anticonformista: hai preso, hai subito, hai scelto e sei stata travolta dall’esistenza. Alla fine però avevi ragione: tuo marito ti ha tradita, dopo pochi mesi della tua morte si è risposato, ti ha rimpiazzato, velocemente. Come tutti gli uomini dell’inizio Novecento, non poteva stare senza una donna angelo del focolare, governante e femmina, accanto. E’ venuto! Che fortuna! La sorpresa delle carte è positiva per noi stasera, nonna Gise. Chissà poi che succede? Patrizia De Rosa (Genova)


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PAOLO SOMMARIPA: UN’ECCELLENZA ITALIANA di Manuela Mazzola

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AOLO Sommaripa in arte Sommarì, si forma nel Liceo Artistico di via di Ripetta a Roma, dal 1974 al 1978, durante il quale ha avuto il privilegio di imparare da artisti come Bianchini Ulisse, Gaetano Guelfo, amico di Giorgio De Chirico, la scultrice Nwarth Zarian e Mario Cimara che è stato uno dei maestri dell'arte contemporanea fondando, nel 1950, assieme a Scipione, Mario Mafai, Antonietta Raphael e Mario Sironi la scuola romana di pittura.

Sommaripa è un artista che spazia provando diverse tecniche, prospettive e soggetti, arrivando poi a rappresentare il mondo da un’ottica tutta sua, riempiendo lo spazio della tela con un equilibrio ben preciso di colori misti. Le tele sono dinamiche, grazie al movimento impresso dalla sua anima di pittore multiforme, che è sempre in cerca di qualcosa di nuovo. Rappresenta il mondo e le sue miserie, a volte dolorose, a volte gioiose, ma l’ essenza dell’essere umano è sempre al centro del suo universo. Gli elementi classici, dominano la scena con busti di statue grecoromane, ma vi sono anche gli elementi naturali come gli alberi, il mare, i paesaggi, in particolare i fienili. Le sue opere ricordano

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quelle di Giorgio De Chirico, esponente della pittura metafisica, in cui predomina l’ immobilità e tutto sembra essere cristallizzato in un istante senza tempo. De Chirico diceva: “Un’opera d’arte per divenire immortale deve sempre superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica.” Nelle opere di Sommarì, invece, prevale la dinamicità dei nostri tempi, il movimento risalta nonostante la normale fissità delle tele. Rappresenta le sue emozioni tra il metafisico ed il surrealismo. Nel dipinto le statue sembra che siano colte nell’atto di ballare, ma con l’improvvisa accensione di una luce immaginaria si bloccano, i fienili, che sembrano toccati dal vento e le onde del mare increspate e dinamiche, in cui si nascondono i segreti dell’artista. L’arlecchino che pensa, riflette sulla vita, con le spalle appesantite dai problemi e che non trova più la voglia di ridere e far ridere. L’artista sperimenta il mondo at-


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traverso un sentiero lungo e tortuoso che è tipico dell’arte. La commistione dell’ ispirazione con i colori e la tecnica scelta dona all’ opera un effetto emozionante mescolato alla riflessione. Sommaripa osservando la realtà intorno a lui, sperimenta l’astratto, l’ impressionismo, l’onirico, andando oltre ciò che è fisico e tangibile. L’artista racconta: “Ogni volta che dipingo qualcosa è come se fosse la prima volta, mi meraviglio e mi emoziono”, continua dicendo: “L'artista che desideri rendere l'idea della profondità nel disegno di una figura, (siano i suoi gusti inclinati verso la tradizione o verso la modernità, da Michelangelo, a Leonardo, a Picasso) dovrebbe acquisire la pratica delle discipline sperimentate e tradizionali della resa illusionistica della profondità, prima di cercare di esagerarla, di distorcerla o di inventare nuovi modi di percepire la realtà. [ ...] Ho lasciato tante strade nella vita, ma non ho mai abbandonato il mio divertimento preferito: l'ARTE.” Un viaggio tra l’enigma ed il

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sogno, un volo tra ciò che è concreto e ciò che è astratto, l’immaginazione per essere uno e molteplice, per vivere molte vite, avendo i piedi ben saldi nel presente della vita, quella vera. Una velata malinconia domina molti dei dipinti dell’artista da cui esce fuori l’anima del pittore, anch’essa velata dalla melanconia di un uomo che è in continua ricerca di se stesso e del senso, ma non della vita, poiché l’artista ha una famiglia solida e felice, ma la ricerca del senso delle cose che lo circondano e di un altrove dell’anima e di una spiritualità che è parte integrante di qualsiasi essere umano. In molti dipinti le teste delle statue guardano in una direzione che è sempre diversa da

colui che si trova difronte, è una statua che rappresenta il periodo classico, quindi il passato che è esistito, ma che non ha più motivo di essere. Il passato è sempre presente, arricchisce l’animo dell’uomo, ma non è centrale e non fondamentale, nella mente di Sommaripa c’è il futuro sempre migliore e positivo, magari rappresentato da un mare leggermente mosso, con colori tenui e delicati, illuminati da un sole che tramonta eppure delicato come un’alba. Sembra che non vi sia un tempo preciso, ma piuttosto un ciclo non ben definito tra alba e tramonto, tra l’inizio e la fine, colto in un istante che sembra cristallizzato nell’ eterno. L’autoritratto eseguito da Leonardo Da Vinci con la sanguigna, è stato rivisitato


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dal pittore con pastelli dai toni caldi, lasciandogli l’espressione severa ed austera, ma donandogli una luce più intesa, enigmatica, profonda, tipica della persona che non lascia in alcun modo intendere quello che pensa o ha in animo di fare, misteriosa e profonda, come spesso venne descritto il geniale Leonardo. Altro soggetto che l’artista ama è quello dei fienili, ricordo dell’infanzia trascorsa a Mazzano Romano. I disegni eseguiti con pastelli acquerellati vengono immersi nell’ acqua, che lascia un effetto di dinamicità, come se fossero ancora, nonostante il tempo trascorso, ancora accarezzati dal vento. L’opera di Sommarì è una tessera che fa parte del grande puzzle dell’arte italiana, grazie anche alla dinamicità che riesce a donare, all’ equilibrio dei colori e soprattutto grazie all’anima versatile, complessa e multiforme di questa eccellenza italiana. Dietro alla ricerca c’è un vuoto da colmare che si manifesta in un’ inquietudine ed un malessere durante il lungo percorso che l’artista intraprende nonostante le grandi difficoltà. La tensione verso un altrove sempre più lontano, sempre più immaginario viene catturato dalle dita dell’artista e trasformato dalle pennellate in pura arte. Manuela Mazzola SUONI E IMMAGINI Musica, dolce amica, opera di compositori immortali, musica grande, eseguita da interpreti eccezionali, musica conservata in centinaia di audiocassette… Immagini di lontani viaggi fatti in compagnia di persone amate, immagini e filmati emozionanti per bellezza o ricordi, o divertenti e conservati in centinaia di video … Suoni e immagini collezionati nel corso di una vita per riviverli in vecchiaia quando il corpo non potrà più viaggiare …

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Suoni e immagini ancora tutti o quasi da catalogare, mentre continua la raccolta e manca il tempo per poterlo fare … Intanto servono per ingannarlo, questo tempo, in questi mesi di forzata reclusione per pandemia. 3 maggio 2020 Mariagina Bonciani Milano

IL PASSERO SOLITARIO Rarità delle rarità l’uccello che ha nome passero solitario. Al suo passaggio alquanto saltuario, non manco d’ammirare il corpo snello, la sua livrea azzurra, il flautato canto che diffonde intorno con note di malinconia, le ali che scuote quando del vivere ozioso è nauseato. L’eccelso Poeta lo volle amico e al viver suo paragonò la vita ch’Egli menava; pressoché nemico d’allegre brigate, la casa avita, il borgo natale, l’occulta pena, d’immortali Canti furono vena. Antonio Crecchia Termoli, CB

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 25/5/2020 Cervellotico e folle. Chiara Appendino e altri lamentano gli assembramenti avvenuti a Torino per ammirare il passaggio delle Frecce Tricolori. Alleluia! Alleluia! Ma perché si sono esibite, se non per farsi vedere? Se non volevano gli assembramenti, perché darne occasione? Domenico Defelice


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ITALO SVEVO di Antonia Izzi Rufo

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TALO Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz, nacque a Trieste nel 1861 da una famiglia borghese. Dal padre, commerciante in vetrami, fu mandato in collegio in Germania dove imparò perfettamente il tedesco. Nel 1878 tornò a Trieste e si iscrisse all’Istituto Superiore Pasquale Rivoltella, ma egli aspirava a diventare scrittore e cominciò a scrivere testi drammatici che, in un primo momento, rimasero nei suoi cassetti. Nel 1880, in seguito ad un investimento sbagliato, il padre fallì. Svevo passò, così, dall’agio borghese ad una condizione di ristrettezze. Fu costretto ad impiegarsi presso una banca dove rimase per parecchi anni. Nelle ore libere studiava, frequentava la biblioteca civica e leggeva i classici italiani (Perché si chiamò Italo Svevo? Italo perché amava l’Italia, Svevo si riferiva alla Germania dove s’era formata la sua prima cultura). Intanto s’era sposato con la cugina Livia Veneziani, molto più giovane di lui, aveva lasciato il lavoro in banca ed era entrato nella ditta del suocero. Le sue condizioni economiche migliorarono. Divenne uomo d’affari. Dovette compiere diversi viaggi ed acquistò esperienza, però mise da parte la letteratura. Fu in quel periodo che scrisse sul suo diario: “Ho finalmente eliminato dalla mia vita quella ridicola e dannosa

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cosa che si chiama letteratura”. Scrisse “Senilità” (aveva già scritto “Una vita”) che non ebbe successo. Rinunciò allora a proseguire la carriera letteraria. L’occasione per ricominciare a scrivere gli fu offerta dalla guerra (prima guerra mondiale). La fabbrica di vernici del suocero gli fu requisita ed egli si trovò libero. Poté così riprendere la sua attività letteraria. Alla fine della guerra pose mano al suo nuovo romanzo, “La coscienza di Zeno” (pubblicato nel 1923), ma, come per “Una vita” e “per “Senilità”, l’opera non ebbe successo. Risentito, l’autore mandò il romanzo a Parigi e fu per merito di Joyce, suo grande amico, che egli arrivò a conquistare fama non solo in Francia ma in quasi tutta l’Europa. Contribuì a fargli ottenere consensi positivi anche Eugenio Montale che gli dedicò un saggio sulla rivista “L’esame”, nel 1925. Quale il protagonista delle sue opere? L’ inetto. Questi è un debole, un insicuro, un incapace di vivere come gli altri, un essere che ha paura di affrontare la realtà. In “Una vita” troviamo Alfonso. Egli stringe amicizia con Macario, il suo modello, il suo antagonista, che è l’opposto di lui: brillante, disinvolto, audace, sicuro di sé. In “Senilità” incontriamo Emilio il quale somiglia molto ad Alfonso: egli evita i pericoli ma non vuole i piaceri e si appoggia alla sorella Amalia che considera una madre. L’inetto nasconde molte cose di se stesso, non sempre è sincero. Il terzo romanzo di Svevo, “La coscienza di Zeno”, appare venticinque anni dopo “Senilità” e “Una vita”, ed è molto diverso dai due romanzi precedenti. Svevo abbandona il modulo ottocentesco, ancora di matrice naturalistica, e adotta soluzioni nuove. “La coscienza di Zeno” è costituita da un memoriale, che Zeno scrive su invito del suo psicanalista, il dottor S., che dovrebbe agevolare la cura. Il manoscritto di Zeno viene pubblicato dal dottor S. il quale vuole vendicarsi del paziente che si è sottratto alla cura. Al testo del memoriale si aggiunge un diario di Zeno in cui questi spiega il motivo dell’abbandono della terapia e si dichiara guarito. Negli anni giovanili Zeno conduce una vita scioperata e passa da una


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facoltà all’altra senza mai laurearsi. Il vizio del fumo lo attribuisce al padre. Infatti, quand’era ragazzo, cominciò a fumare sottraendo al genitore un sigaro acceso che questi aveva dimenticato. L’antagonista di Zeno è il cognato Guido, che muore suicida. Zeno fa di tutto per rimediare al crollo finanziario del cognato, ma lo fa per mettere a tacere i suoi sensi di colpa. Chi intuisce perfettamente la sua strategia psicologica è Ada, la moglie di Guido, la quale afferma che bisognava aiutare il marito quand’era vivo: anch’ella si sente in colpa, perché non l’ha fatto. Oltre ai romanzi, Svevo scrisse saggi, commedie e novelle. Morì per un incidente stradale. Ebbe come amico Freud e si documentò di psicanalisi. Qualcuno ha voluto associare il flusso di coscienza dell’”Ulisse” con “La coscienza di Zeno”. Non è così, è un equivoco da sfatare. Nell’”Ulisse” c’è la registrazione diretta dei contenuti della mente di un personaggio, al presente, i pensieri sono colti nel loro farsi immediato, il personaggio pensa fra sé, senza comunicare nulla all’esterno. Nella “Coscienza di Zeno”, invece, il protagonista, attraverso il suo ‘monologo’ , ricostruisce aspetti della sua esistenza passata, traccia ritratti di personaggi, racconta vicende, e tutto ciò lo fa per iscritto. Nell’”Ulisse” Bloom pensa fra sé, Zeno, al contrario, si rivolge ad un preciso destinatario, il dottor S. Antonia Izzi Rufo

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giocare con la sabbia in riva al mare come un gabbiano sull'onda a sguazzare planare come un'aquila sul monte bere acqua sorgiva nella fonte di abbracci virtuali mi accontento aspettando che torni un buon momento e resto chiusa dentro quattro mura non è poi tanto male e pare dura l'uomo che è sempre stato un giramondo ora in casa che gioca a girotondo rifletto chiusa sola in una stanza dalla fessura una luce di speranza ! Giuliana Cicchetti Navarra L'Aquila

SCALPICCIO DI PASSI Era come un museo la mia città privata della gente. Nitide foto d’arte erano piazze, statue e monumenti; ma freddi e senza suono. Adesso torna il fuoco degli sguardi sui tesori di Roma. Le antiche pietre prendono vigore, parlano le fontane; c’è scalpiccio di passi sui selciati. Rifiorisce la vita sui sampietrini lucidi di storia. Elisabetta Di Iaconi Roma ABBANDONO

UNA LUCE DI SPERANZA Filtra una luce nelle case ferite a ricordare le scosse patite di quando tutti fuori a quel rumore ed ora il virus, tutti dentro con terrore se t'avvicini ti prende all' istante quest' orribile mina vagante mi sento come bolla di sapone fluttuante, tremolante, in confusione ma dalle crepe guardo in cielo il sole vedo farfalle volare sulle aiuole il pesco che ondeggia profumato vorrei correre ancora su quel prato

Ho scalato una scala così elevata Arrivando con fatica nel vostro cielo Perché la vita non è stata gentile con me? E nessun angelo mi ha tenuto al sicuro? Sono solo un guerriero sconfitto da un bambino ferito dentro. Sarò in grado di sopportare altro dolore che accompagna la vita? Chi c’è davvero, potrà sentirmi tra angeli che volano e cantano all’eterno? Lorenzo De Micheli (Genova)


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GUIDO GOZZANO E IL CREPUSCOLARISMO di Leonardo Selvaggi I UIDO Gozzano nasce a Torino il 19 dicembre 1883 dall'ingegnere Fausto, sposato in seconde nozze a Diodata, gentil donna, assai colta, figlia del senatore Massimo Mautino. Trascorre un'adolescenza agiata. La sua è una famiglia borghese che possiede ville nella zona di Agliè nel Canavese. Dopo il liceo si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza all'Università di Torino, ma non frequenta mai molto. Non si laurea. Segue nell'Ateneo torinese i corsi di Arturo Graf che sa trascinare l'uditorio incantato dietro il volo dell'ippogrifo ariostesco. Ha parecchi amici, quasi tutti compagni della goliardia torinese, in maggior parte corrosi dalla "tabe letteraria": Massimo Bontempelli, Carlo Calcaterra, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi. Taciturno, cortese e ironico, dai capelli lisci e biondi, dalle mani lunghe e delicate. Elegantissimo, passa lunghe ore nei caffè, parlando di arte e letteratura, di storia e filosofia. Ama vagare per la Torino notturna, città un po' vecchiotta, provinciale, un garbo quasi parigino. Lettore infaticabile di poeti moderni, adoratore della forma perfetta e lucente dei parnassiani. Desiderio dell'impossibile, fantasticherie di esteta, sensibilità che si estrinseca in delicati affetti familiari. Guido Giozzano si avvicina ai poeti della Scapigliatura: Emilio Praga, Boito, Tarchetti, Vittorio Betteloni. Legge le poesie di Lorenzo Stecchetti. Ha occupazioni saltuarie fa il giornalista, l'entomologo, il cineasta, mai soddisfatto per la sua natura nevrotica. Alterna la frequentazione dei circoli universitari e letterari di Torino con soggiorni in montagna in riviera ligure

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e nella sua casa di Agliè. La lettura di Schopenhauer e di Nietzsche sono gli incontri culturali più importanti. D'Annunzio in un primo tempo costituisce un punto di riferimento e di ispirazione per la sua ricerca poetica. II Nell'aprile del 1907 viene a sapere in modo chiaro di essere affetto da tubercolosi polmonare. L'anno in cui, appena ventenne, muore Sergio Corazzini, un altro crepuscolare. Appare la prima raccolta poetica, "La via del rifugio", costituita da racconti e sonetti. Riconoscimento immediato da parte del pubblico e della critica. S'impone, appena uscita dal Piemonte, in ogni parte d'Italia, diventa popolare. La poesia di Guido Gozzano sentita dalle anime sensibili, corrose dal materialismo e dal decadentismo, che, anche se esercitano un loro fascino, lasciano una profonda insoddisfazione. Il primo decennio del '900 è ricco di letteratura: nel 1904 nascono Alcyone e il fu Mattia Pascal, mentre nel 1903 escono i Canti di Castelvecchio. "La via del rifugio" con una voce poetica del tutto personale, allontanandosi dalle passioni e dalla mondanità, ricerca un proprio mondo. Come Pascoli si rincorrono le piccole, semplici cose. Si inizia la storia tormentata di amicizia e d'amore con la poetessa Amalia Guglielminetti, di cui è testimonianza l'epistolario postumo del 1951. Tutto in una sola volta, amore e fama, a ventiquattro anni. L'illusione sempre crea la vita, si lascia la magnificenza pagana per avvicinarsi alle cose quotidiane e umili. Il poeta apprezza la semplicità felice del custode della villa del Meleto, sente una inquietudine per una cultura che non lo fa vivere. Avrebbe desolazione se non pensasse alla consolazione della poesia e alla serenità che viene dalla Natura. Il sogno, la consapevolezza salvano da un completo naufragio. Il pensiero della morte gli dà pace, nel grande oblio sarà colto giovane come Catullo. III Guido Gozzano senza disperazione, senza sconforto s'incammina verso la morte, quasi


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sorridendo, con la stessa naturalezza con cui va incontro al suo successo. Nonostante la malattia il suo stile non subisce deviamenti, si perfeziona con quella sua grazia ironica che già prima aveva fatto mostra di sé, con serenità sarcastica, in modo disincantato. Accettazione da filosofo orientale, in uno stato di sospensione fra essere e non essere. E' come stare ai margini del mondo, si fa avanti in una folla fantasmatica il passato con l'infanzia: il senso della morte diminuisce, sognando, evocando il tutto all'alba del proprio esistere. Poesia e vita insieme, facendo passi indietro. Il sorriso ironico è continuo in Guido Gozzano. Intellettuale moderno ;ha nostalgia per le buone cose del passato, un po' smorte e scialbe, mediocri, ma saporose. Ma non vi si abbandona completamente a causa della sua cultura. Sensazioni stupite, realtà grigia e sentimentale. All'intensità del pensiero si aggiunge la felicità del linguaggio, in impasto di termini tra familiari e curiali. IV Nel 1909, essendo stata colpita la madre da paralisi, Guido Gozzano va a vivere con lei in campagna, ad Agliè. La signora Bìodata, che è stata per tanti anni l'amorosissima custode delle memorie del figlio, si spegnerà nel dicembre del 1947. Gli ultimi suoi anni sono stati tristi, la guerra l'ha trovata a Feletto Canavese, i Tedeschi bruciarono il villaggio. La morte " la cosa vera chiamata morte" le diede pace. Guido Gozzano si sente senza vita, senza illusioni. Senza arrivare alla disperazione leopardiana è preso dal tedium vitae, la fantasia lo porta lontano nel tempo, gli fa dimenticare la tristezza. La poesia è il suo rifugio, l’attrae il particolare, convinto è di non sapere amare. Guido Gozzano dopo Carducci, Pascoli, D'Annunzio è il poeta più vero del suo tempo. Superamento del decadentismo, straniamento dell'oggetto, contraddittorietà del sé, rinuncia a qualsiasi aggancio con la storia. Si inizia con Guido Gozzano la poesia crepuscolare, termine per la prima volta usato da Giuseppe Antonio Borgese sul quotidiano "La Stampa" di Torino nel 1910, rendendosi

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adatto a definire anche il tono della poesia del Corazzinì. Il "crepuscolarismo" si pone in contrapposizione al dannunzianesimo. Ripresa del prosastico del verismo, coscienza di una crisi totale di valori, caduta del vecchio e provvisorietà del nuovo, cultura raffinata e nel contempo rinunziataria. I crepuscolari non sanno vivere, non ne trovano la minima ragione, hanno paura della vita. Provano sgomento nei sentirsi morire. Si amano gli ambienti provinciali, i quartieri anonimi e la case decrepite, lo squallore dei giardini abbandonarci monotoni pomeriggi delle domeniche. Linguaggio dimesso, familiare. V Nel 1911 escono "I colloqui", il capolavoro di Guido Gozzano, diviso in tre sezioni: "Il giovenile errore" che presenta momenti di vagabondaggio sentimentale, "Alle soglie" in cui si sente la minaccia della morte, "Il reduce" che esprime la sua rassegnazione. Il maggiore esempio della poesia crepuscolare. Uno sdoppiamento fra l'autore e il ritratto ideale che egli fa di sé e una critica delle abitudini borghesi.. "I colloqui" dimostrano un Gozzano maturo con i suoi mezzi artistici, un'opera del tempo che porta inquietudine e incertezza. Questo stato psichico condurrà al nichilismo di Pirandello e alla disperazione degli ermetici. Ci si allontana dalla tradizione come avvenuto con il primo manifesto del futurismo, apparso sul "Figaro" di Parigini 20 febbraio 1909, il più anarchico movimento della nostra letteratura. "I colloqui" presentano una generazione ipersensibile che non sa più credere a nulla. Alla giovinezza ci si sente turbati, prima ancora di averla vissuta, subentra un'impassibilità. Gozzano vive in un'età sonnolenta e pigra. L'amore per la parola rende insoddisfatti della forma, molti i rifacimenti e i perfezionamenti di talune liriche. Anche se legato alla cultura e alla poesia del suo tempo, il Gozzano esprime se stesso. Troviamo elementi prosastici, come nel Berchet e nello Stecchetti, ma sempre espressi con naturalezza. "I colloqui" in forma di dialogo presenta figure di donne meno complicate di quelle di


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D'Annunzio. In Guido Gozzano c'è dell'angoscia che diventa incapacità di amare e nel contempo mancanza di volontà che crea malinconia. Ciò che non si verifica con il poeta dell’Abruzzo, sempre alla ricerca di nuovi amori e di momenti di voluttà. Non è aridità di cuore quella di Gozzano: anela all'affetto integrale che è l'amore, come meta sempre perseguita ma mai raggiunta, l'ideale gli sfugge, inveterato sognatore. "Credebam te amare, sed Amorem amabarn". Raffinatezza, desiderio del nuovo, incontentabiìità. In pratica Gozzano donne ne ha avute, anche se amate per breve tempo. Talune immagini muliebri, delineate con calore e tenerezza non sono solo frutto di una fantasia malata, ma fanno intravedere donne reali con umano trasporto affettivo. Vengono fuori sentimenti semplici e candidi. I ritratti di donne con poche pennellate, freschi e spontanei sono i sorrisi. Si rifugia nel passato, nostalgia e rimpianto per le cose e le fanciulle di altri tempi. Ritrae l'ambiente ottocentesco delle famiglie borghesi di provincia. VI Guido Gozzano non ha un ideale concreto, ricorre ai temi presi in prestito, da ciò quel senso di artificioso e di manieristico, caratteristica del poeta crepuscolare, malato spirituale. Ma c'è tanta poesia, più di quella che si ha in Moretti e Palazzeschi. Un'amletica figura quella di Guido Gozzano, ma pure abbiamo tanto vigore d'arte, complessità di motivi. Un distacco dalla vita, uno stato d’animo che viene dal suo estetismo, ma dobbiamo vedere anche lati emotivi, non solo puro piacere letterario. Nel 1912, nel febbraio, parte per l'India e Ceylon, sperando di combattere la tubercolosi, vi rimane tre mesi. Sulle impressioni di viaggio invia a "La Stampa" corrispondenze che appariranno riunite in un volume postumo "Verso la cuna del mondo" (1917). Rientrato in Italia scrive fiabe per bambini, pubblicate nel 1914 col titolo "I tre talismani". Guido Gozzano di sensibilità moderna, oltre che poeta è elegante narratore. Si riprendono i temi poetici: l'amore per la tran-

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quilla esistenza di ogni giorno, per ì ricordi del passato. Nelle fiabe non abbiamo il tono moraleggiante di Collodi e di Capuana. Troviamo i modelli classici con tutto il bagaglio di meraviglie, fatto di fate, streghe, draghi, filtri magici, incantesimi. Dolci, eterne fantasie, simboli incorruttibili nel tempo, fatti di pura idealità, i personaggi in una dimensione astratta, atemporale e sovratemporale. Altri volumi: "La principessa si sposa" (1918) e novelle "L'altare del passato" (1918). Incompiuto un poema in endecasillabi sciolti "Le farfalle. Epistole entomologiche". VII La grandezza della poesia di Guido Gozzano, che ha cittadinanza europea, sta nelle finzioni, non tratta il moderno che è destinato all'invecchiamento, considera il tempo trascorso. Il suo mondo a cavallo fra i due secoli. Il suo verso fra il canto e il racconto, fra la perfezione della forma e la prosaicità dei contenuti. Ultimo dei classici. La verità è fatta di illusione. Come la crisalide, il poeta sospeso fra il non essere più e il non essere ancora. Presenta se stesso nell'immagine di un ventenne. Il tragico si ha solo quando l'uomo si vede al centro del cosmo. Occorre spegnere il desiderio di esistere, togliere il dissidio fra un cosmo smisurato e l’uomo indefinibile. C’è del primigenio, dell'aurorale in cui cose e immagini insieme si affacciano per la prima volta sulla scena del mondo. Nel 1916, dalla riviera ligure, dove si è recato per cura, nel luglio, sentendosi aggravato, si fa trasportare a Torino. Ivi muore il 9 agosto, mentre i giornali recano le prime notizie della battaglia di Gorizia. La salma tumulata nella tranquillità campestre di Agliè, in silenzio e in ora antelucana per suo volere, perché non vi fosse seguito numeroso e distratto di amici. Ma questi erano tutti al fronte. Si narra che all'uscire dalla chiesa la bara venisse sorvolata da tre farfalle che volteggiavano insistenti sulle corone di fiori. Fu poi per cura dei parenti e degli estimatori innalzato un monumento di bellissima fattura e di graditissima espressione artistica. Leonardo Selvaggi


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Il Racconto

TANTI DI LORO HANNO CONOSCIUTO LA BIBBIA DEI CASTAGNARI. Dialogo silenzioso tra Mephisto, Dmitri e la Bambina, con tutto il resto intorno. di Ilia Pedrina

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A Bambina li accompagna là dove lei è già stata altre volte, perché si rendano conto della situazione. Sono in tanti ad aspettarsi dalla vita una certa dose di felicità, anche se in ogni vita che si rispetti i dispiaceri, i contrasti, le incomprensioni, le sofferenze non mancano. Tra loro il dialogo è silenzioso perché è solo mentale e viene compreso dalle espressioni, profonde, dello sguardo, perché tutto il resto del volto è coperto. Da lontano, da infiniti campi di cotone avvolti in nuvole che rendono quasi invisibili le loro sagome, si presentano, in catene, i lavoratori neri: a loro è dato cantare, sempre, durante tutta la giornata di fatica e di schiavitù, così ricordano la loro terra, che si trova lontano anche se il sole forse è lo stesso. I loro occhi hanno visto di tutto e le loro bocche sono state chiuse alle parole della loro gente, della loro terra. A loro è dato solo il permesso di cantare. Nessuno di loro conosce la Bibbia dei Castagnari perché nessuno di loro sa leggere: si presentano, salutano la Bambina e gli altri due ed intonano canti di preghiera e di libertà, con tutto il resto intorno: cantano i ritmi della gente antica, dalla pelle nera che ora viene lucidata con l'olio, per far vedere a tutti che son trattati assai bene, che a loro non manca proprio niente, perché la schiavitù li rende felici; cantano i loro morti ammazzati nei patimenti provocati dalla violenza senza senso, che loro mai hanno scelto perché a loro avevano insegnato che cos'era la felicità,

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quella naturale e semplice delle Antiche Terre d'Africa; cantano l'amore per le loro donne, i loro bambini e il loro Dio, il più antico di tutti i morti e di tutti i vivi messi insieme. Sometimes I feel like a motherless child Long way from my home Sometimes I wish I could fly Like a bird up in the sky... Talora mi sento come un bimbo senza mamma Così lontano dalla mia terra Talora desidero di poter volare Come un uccello su nel cielo... Un giovane nero che viene dal loro futuro si unisce nel canto: voleva volare, come un uccello su nel cielo, ma gli hanno tolto il respiro con quella violenza del branco che gli animali stentano a conoscere. Guai a tutti coloro che interrompono il canto, che è respiro di sopravvivenza, affinché il grigio intorno trionfi! Il ritmo che hanno evocato, cadenzato, si propaga con tutto il resto intorno, senza sosta: la Bambina, Mephisto e Dmitri sanno che il tempo lungo sanerà un poco le loro ferite ma nulla mai verrà dimenticato, perché la loro memoria è quella, atavica, degli elefanti che li proteggono da lontano, da molto lontano rispetto a questi infiniti campi di cotone dilatati a perdita d'occhio che arricchiscono gli sfruttatori e lasciano al tempo del futuro ogni possibile rivolta. I tre, dopo essersi intrattenuti con loro, in particolare Dmitri che sta portando indietro nel tempo la sua stessa mente che apre ogni battente alla memoria e gli lascia fluire nel cuore esperienze antiche, d'altri luoghi e d'altri tempi ma della stessa forza spirituale e risanatrice. Gli torna nel cuore il ritmo d'un canto che ama da quando qualcuno l'ha composto per lui, per la sua voce speciale: Quanto giovani eravamo! Quanto giovani eravamo! Quanto ci siamo amati, in sincerità Quando abbiamo creduto in noi stessi! …

Lampi estivi nei cieli Vanno e vengono Nei nostri cuori la tempesta Si sta placando.


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In nessun modo dimenticheremo gli amati volti della nostra gente In nessun modo dimenticheremo lo sguardo della nostra gente... Due giovani donne, bellissime, che hanno dato carezze, sorrisi e certo non poca gioia a tanti malati terminali, intercettano il suo spirito e gli si fanno incontro: nel silenzio gli confessano che conoscono bene la Bibbia dei Castagnari, là dove non parlano né profeti né guerrieri con i loro generali invincibili. È la Voce dei Vinti, dei poveri, di quelli che vivono di stenti e talora sono accolti sotto al tavolo dei ricchi, quando fanno banchetto, per dividersi le briciole che quelli buttano loro a terra; è la voce di coloro che si sono nutriti dopo aver imparato dalla terra e dall'esperienza che certe erbe e certi frutti spinosi di fuori, han dentro tesori che placano la fame; è la voce di coloro che, in tantissimi, non hanno da frequentare e da difendere né templi né tesori né leggi scritte affinché qualcuno venga punito proprio per legge, anche se ingiustamente. Dmitri le abbraccia, una alla volta ed il suo bacio sulle loro guance rinnova in loro il sorriso e la vitalità dell'Anima. Mephisto e la Bambina chinano la testa, per rispetto, concentrati nel flusso intenso della Bellezza Spirituale che emana, infinito, da quella comunione. Il tempo passa senza né misura né fine mentre loro, i tre viandanti, ricompongono il ritmo delle loro esperienze. Superano distanze con tutto il resto intorno e si trovano di fronte tanta altra gente, tra stracci, baracche, ciascuno con sette o più strati di maglie, maglioni, cappotti e quant'altro, tra loro donne e bambini che quasi inciampano tra le gambe dei grandi, intonano cori silenziosi e invitano ad inventare sonorità di violini e fisarmoniche con il ritmo kletzmer dell'Est Europa: sono i deportati d'altra gente e d'altre terre e i loro canti sono tutti silenziosi, tutti mentali, non si ignorano mai perché ormai tutti li conoscono anche se non si odono. La loro religiosità infatti è tutta interiore, sono parole sussurrate per sé stessi e per tutti quelli che li ascoltano dentro la loro memoria,

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affinché il pensiero possa prendere un'altra direzione rispetto alla follia: “... Padre nostro Re nostro dacci la tua grazia e rispondici perché noi non abbiamo atti meritori trattaci con carità e gentilezza e liberaci...” (la versione ebraica del Padre Nostro) Guai a tutti coloro che, consapevoli della spiritualità d'ogni essere umano che è sempre degno di rispetto, non ne rispettano la potenza che, se intercettata, dilata l'anima, e soffocano, violentemente, il loro respiro. Mephisto, che tiene nelle due mani, stretto e caldo, quel sasso spezzato che Dmitri e la Bambina, quella volta, gli hanno donato, ciascuno con la sua metà, a mano aperta e riscaldato dal loro calore, prova brividi che prendono tutta la sua mente, la carne, la pelle, la ragione, quasi a vivere l'anticamera del perdere la forza e la stabilità dei sensi: non riesce più a stare senza loro due e, da quando lui è entrato in questa crisi, il mondo si è caricato di assurdità, della logica della morte senza senso e senza giustificazione, perché morte provocata a tavolino, programmata affinché le differenti borse del mondo azzerino alcuni guadagni e ne ingigantiscano altri, annullando la libera iniziativa della gente che progetta, che crea e che lavora. Tutto il resto intorno si è come fermato in una sospensione delle azioni che non ha precedenti, nemmeno nei più duri tempi d'ogni guerra. Loro tre si allontanano miglia percorrendole in pochi istanti e di fronte a loro, tra note architetture gotiche sulle quali spicca una figura di giovane donna tutta d'oro, si presenta una moltitudine di donne e uomini in età avanzata, taluni ancora resi stupefatti dal dolore, talaltri consapevoli di tutto quanto è accaduto a loro quando erano ancora in vita, perché, prima, la loro vita era Vita e vita vera. In modi lenti, senza fretta, intonano un canto che li ha accompagnati fin dall'infanzia, un canto che i loro nonni, nei secoli passati, hanno cantato a loro, anche se forse un poco diverso, un canto che invoca proprio quella giovane donna tutta d'oro...


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O mia bela Madunina che te brilet de luntan tuta d'ora e piscinina ti te dominet Milan... In tanti, anche tra loro, hanno conosciuto la Bibbia dei Castagnari e sono stati tutti consapevoli che la forza, l'anima della castagna, è protetta da spine che fanno sanguinare le dita quando le sfiorano: in noi quelle spine esistono e devono essere invisibili protezioni della dignità dello Spirito, che dà libertà anche nella sofferenza. Guai a tutti coloro che, pur avendo conosciuto la Bibbia dei Castagnari, che è il Canto d'Amore per la vita che palpita all'interno d'un riccio spinoso come nel cuore d'ogni essere umano, fingono di preoccuparsi della felicità altrui, difendendone a tutti i costi la salute, in realtà spingendoli a forza verso una morte assurda, innaturale, iniqua. (A parte la figura storica di Dmitri Hvorovstosky, famoso baritono dolce dei nostri tempi, di origini siberiane, il suo canto d'amore e di vita Kak Molody My Byly e gli altri canti ben noti del Popolo Africano, del Popolo Ebraico, del Popolo Milanese e non solo, il riferimento al giovane Afro-americano ucciso forzatamente, senza pietà e alle due giovani infermiere suicide a Venezia e a Monza, ogni riferimento a fatti ed eventi è puramente casuale). Ilia Pedrina

MAGGIO Oggi è un giorno di maggio pieno di splendido sole e il cuore si colma di splendore, sorridono le cicale sulle piante in fiore, gli uccelli volano e cinguettano allegri tra gli alberi colorati di un autunno Melburniano profumato. Tutto è bello e sorridente, ma troppo triste è la gente, chiusa in casa e in tante restrizioni che ci fanno star male, senza poter abbracciare figli, nipoti e pronipoti, che sono la nostra gioia.

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Una vera tragedia, per via di questo male: il coronavirus, che ha sconvolto il mondo intero. Oggi, finalmente una bella sorpresa: possiamo avere dei bellissimi avvenimenti, con meno restrizioni e un po’ di pace. Possiamo abbracciare i nostri tesori, ma sempre con tanta attenzione, siamo felici e pieni di gioia e d’amore, sperando che Gesù ci aiuti a cancellarlo e farlo per sempre sparire, che il nostro bel mondo possa con tanta tranquillità rivivere! 16 – 5 – 2020 Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.)

IL SOLE D’ESTATE Il sole, re dell'azzurro e dell'estate, t'invita ad uscire di casa, a respirare l'aria di festa delle vacanze, a passeggiare tra il verde e i fiori, a cantare, a volare con gli uccelli nell'immensità dello spazio - essi con le ali tu con la fantasia a gioire della bella stagione, ad andare in montagna e al mare; a fare il pieno di libertà, oltre che d'ossigeno e calore, di riposo e spensieratezza. Antoni Izzi Rufo (Castelnuovo al Volt., IS)

AALLELUIA! AALLELUIA! ALLELUUIAAA! 10/6/2020 Vera e propria follia distruggere le statue, i monumenti, i libri sull’onda dell’odio - doveroso - verso il razzismo. Alleluia! Alleluia! È come cancellare il ricordo, la memoria, la rappresentazione del Bene - da imitare - e del Male - e, quindi, monito, da evitare. Domenico Defelice


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“UNA VERA ARTE” - 4 -

DEDICHE a cura di Domenico Defelice

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ll’amico Domenico Defelice,/poeta, scrittore, giornalista,/critico, Artista,/Fondatore e Direttore della Rivista/”Pomezia-Notizie”/ con profonda stima e con/fraterno affetto./Luigi De Rosa/Rapallo, aprile 2016” (suo volume: La grande poesia di Gianni Rescigno Il poeta di Santa Maria di Castellabate, Generi Editrice, 2016). *** “30 - 5 - 2017/Al carissimo e gentilissimo/Direttore Domenico Defelice,/con infinita stima ed amicizia/da Isabella Michela/Affinito” (suo volume: Autori contemporanei nella critica, Casa Editrice Menna, 2016). *** “Fiuggi Giugno 2019/Al gentilissimo Direttore/Domenico Defelice, con/immensa stima ed amicizia da/Isabella Michela/Affinito” (suo volume: Autori contemporanei nella critica, III volume, Casa Editrice Menna, 2019). *** “Napoli, Novembre 2018/Al caro Prof.re/Domenico Defelice/con stima infinita/e/vera amicizia/Suo aff.mo/Carlo Di Lieto” (suo volume: Letteratura, follia e non-vita In principio era l’Es, Genesi Editrice, 2018). *** “Omaggio Cordiale/al caro e promet/tente

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giovane/De Felice/FFiumara/Reggio Cal. 5/ 11/1957” (volume: Francesco Fiumara - Date anche a me l’ulivo, liriche con prefazione di Francesco Pedrina, La Procellaria, 1954). *** Al Poeta/Rag. De Felice/con molti auguri,/cordialmente./G. Tympani/11/12/60/Via Marvasi 17” (volume: Giuseppe Tympani Soliloqui, Ed. Porfiri, 1960). *** “Cordiale omaggio/all’amico poeta/ Domenico De Felice/FFiumara/Capodanno 1961” (volume: Francesco Fiumara - Le favole hanno occhi di pietra, Ed. “Pagine” - Premio “Pagine” 1960 -, 1960). *** “Al valoroso poeta/Domenico Defelice/ Affettuosamente/Franco Saccà” (volume: Franco Saccà - Vento d’autunno, Ed. Ibico, 1962). *** “Al poeta ed amico/Domenico De Felice/Con grande stima e/sinceramente/Rocco Cambareri” (volume: Rocco Cambareri - Lacrime del Calendario, Editrice Stampa d’Oggi, 1963). *** “Al poeta/Domenico Defelice/con molta sincera stima/Raffaele Mangano/Reggio Cal. Gennaio 1963” (suo volume: Approdi d’ anima, La Procellaria, 1962). *** “A Domenico Defelice, per/ché della nostra comu/ne terra di Calabria/senta in questi versi/l’alito dolce e mater/no, con simpatia/e stima offro questo/tenue lavoro, frutto/di un amore profondo./. /Felice Mastroianni/Napoli - dicembre 1964” (suo volume: Favoloso è il vento, Casa Editrice Maia - Siena, 1965). *** “Cordiale omaggio/al poeta Defelice/ FFiumara/20/3/1965” (volume di: Francesco Fiumara - Fiori di siepe, La Procellaria Ed., 1965). Invitiamo lettori e collaboratori a inviarci le dediche, indicando con chiarezza, però, nome e cognome degli autori, titoli dei libri sui quali sono state vergate, casa editrice e anno di pubblicazione. Grazie!


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PREMIO EDITORIALE LETTERARIO IL CROCO 2020, Prima Edizione

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EL ringraziare, per la pubblicità accordata, le tante Testate (cartacee e blog) che hanno pubblicato, in tutto o in parte, il Regolamento del Premio - tra lui: Oceano News, La Nuova Tribuna Letteraria, L’Eracliano, Alla volta di Leucade, Literary, Poeti nella Società, Il Convivio eccetera -, si comunica che la Commissione di Lettura del nostro Periodico - alla quale è stata aggiunta, per l’occasione e con diritto di voto, la scrittrice e poetessa Manuela Mazzola -, a suo insindacabile giudizio, ha stilato la seguente graduatoria: Raccolta di poesie: 1) Anima, di Francesco D’Episcopo (Salerno). L’opera verrà pubblicata gratuitamente in un Quaderno Letterario Il Croco quale supplemento a un prossimo numero di Pomezia-Notizie; 2 ex aequo): Sillabe in volo, di Fiorenza Finelli (Bologna), Alle gazze, di Aurora De Luca (Rocca di Papa RM), Nuvole e parole, di Gloria Venturini (Lendinara, RO); 3 ex aequo): La sera al plenilunio, di Pasqualino Cinnirella (Caltagirone, CT), Il mio sacerdote, di Gian Piero Stefanoni (Roma), Venezia è un vestito di sale, di Isabella Michela Affinito (Fiuggi, FR); 4 ex aequo): Raccolta di poesie, di Lina D’Incecco (Termoli, CB), Delirio di parole, di Anna Maria Bonomi (Roma); 5 ex aequo): Hashtag Io resto a casa, di Salvatore D’Ambrosio (Caserta), Ipometropie, di Mauro Barbetti (Osimo, AN); Segnalate: Retta variabile, di Virgilio Atz (Belgioioso, PV), Improvvisi regali dal cielo, di Veruska Vertuani (Aprilia, LT), Piccoli versi, un grande cuore, di Antonio Nicolò (Marcianise, CE). Tutti riceveranno proposta personalizzata per una edizione nei Quaderni Letterari Il Croco di PomeziaNotizie.

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Poesia singola: 1): Seduta tra malinconie/Sentà tra mainconie, di Gloria Venturini (Lendinara, RO); 2 ex aequo): La voce, di Mariagina Bonciani (Milano), Dimmi, di Antonia Izzi Rufo (Castelnuovo al Volturno, IS); 3 ex aequo): Stanza 12, di Lorenzo Spurio (Jesi, AN), Una maestra al tempo del covid-19, di Ludovica Mazzuccato (S. Martino di Venezze, RO); 4 ex aequo): Europa, di Emanuela Lazzaro (Azzano Decimo, PN), Primavera 2020, di Anna Maria Gargiulo (Meta, NA); 5 ex aequo): Le parole che non so dire, di Stefano Baldinu (San Pietro in Casale, BO), Tus manos/Le tue mani, di Carlos Chacón Zaldivar (Limonar, Matanzas, Cuba), Volando in Puglia Piana 2019, di Silvana Del Carretto (San Severo, FG), Li scupenire/Gli zampognari, di Emilio Marcone (Atri, TE). Segnalati: Torneremo ad abbracciarci, di Domenico Pujia (Roma), Cenere nel vento, di Domenico Novaresio (Carmagnola, TO), I tuoi occhi, di Filomena Iovinella (Torino), Un consuntivo…, di Mario Manfio (Trieste), Di nuovo, di Falbo Vanessa (Cosenza), Il nemico invisibile, di Paolangela Draghetti (Livorno), Curon Graun, di Anna Vincitorio (Firenze), Il cane randagio, di Camillo Berardi (L’Aquila), ‘O cafè/Il caffè, di Antonio Nicolò (Marcianise, CE). Racconto, o novella o fiaba: 1) Figlio della libertà, di Alessandro Corsi (Livorno), 2) Il pittore portentoso, di Paolangela Draghetti (Livorno), 3 ex aequo) Il ciliegio, il sakura e il senso delle cose, di Gloria Venturini (Lendinara, RO) e Filo di ragno, di Anna Maria Gargiulo, di Meta (NA); 4) La nevicata del ’56, di Domenico Pujia (Roma); 5) Il nonno e la bambina, di Anna Vincitorio (Firenze); 6) Ernest Hemingway e la Finca Vija, vero tesoro di cultura cubana, di Antonio Nicolò, Marcianise (CE). Saggio critico: 1) Palinodie di un mito: la figura di Elena da Omero a Euripide a Luciano di Samosata, di Marina Caracciolo (Torino); 2) Edward Lear e il periodo roma-


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no, di Virginio Gracci (Scorzè Venezia); 3) Scrittrici dimenticate: Téresah (1877 1964), di Maria Grazia Ferraris (Gavirate, VA); 4 ex aequo): L’ultimo pranzo di Federico García Lorca a New York, di Lorenzo Spurio (Jesi, AN) e Breve storia della burocrazia in Europa, di Roberto Amati (Torino). Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di Pomezia-Notizie http://issuu.com/domenicoww/docs/

Correvano i miei sogni

Pubblichiamo, qui di seguito, una parte degli elaborati; il resto - Racconti e Saggi - al prossimo numero.

Da: Sillabe in volo, 2° Premio Il Croco 2020. Fiorenza Finelli è nata il 13 dicembre del 1966 nell'amata Bologna, luogo dove vive tuttora. Si è laureata con lode all'Università degli Studi della sua Città, presso la Facoltà di Lettere Moderne. Cultrice della lingua e della letteratura italiana, si dedica con interesse alla scrittura, partecipando a numerosi eventi e concorsi con pregevoli risultati.

Ebbri di vento correvano i miei sogni, a briglia sciolta, come puledri selvatici. Sorsi di cielo i desideri infranti, trame vorticanti incontro al sole morente. Fiorenza Finelli

Raccolta di poesie:

Anima Sera Anima è quel soffio di vento, che ti scompiglia i capelli e ti ricorda che esiste un mondo che soffia da lontano e, quando si avvicina, ti prende senza che tu lo voglia, lo cerchi. Ma non potrai farci nulla se sono respirare quell’aria d’infinito che porta con sé. Francesco D’Episcopo Da: Anima, 1° Premio Il Croco 2020. Francesco D’Episcopo è nato a Casacalenda (CB) il 1° maggio 1949. Ha vissuto tra Campania, Molise, Abruzzo, prima di stabilirsi definitivamente a Salerno. Dopo la maturità classica, conseguita a Teramo, si laurea in Lettere classiche all’ Università Federico II di Napoli. Ha insegnato Latino e Greco nei Licei classici e Letteratura italiana presso il Dipartimento di Filosofia dell’università partenopea. Giornalista pubblicista e direttore responsabile della rivista di Storia dell’Arte “ONOttoNoveceto”. Numerosissime le opere pubblicate, tra le quale segnaliamo: Masaccio e i suoi doppi (1983), Il Molise di Francesco Jovine (1984), Poeta teologo (1900), L’eresia del sentimento. Guido Morselli (1998), Napoli salvata dai suoi scrittori (2002), Preghiere d’amore (2013), Vita (2018), Tempo (2020) eccetera.

Vorrò godere minuta mia, dire “ti ho domata minuta mia”, poterti dare mille intelligenze e cento e più, occhi che accattivano la bellezza, la folgore furiosa, poterti, poterti, poterti, cantare a voce, cantare a silenzio, costruirti solida saetta di stiletto che affonda senza sosta e tocca, saperti sommosa e immutabile, vorrò sapere minuta mia saperti poderosa, dire “ti ho domata minuta mia”; avverrà che m’avrai, domata. Aurora De Luca Da: Alle gazze, 2° Premio Il Croco 2020. Aurora DE LUCA è nata nel 1990. Risiede a Rocca Di Papa. Dopo la maturità classica ha trascorso un periodo di ricerca personale, avendo frequentato la facoltà di Giurisprudenza, per poi approdare alla facoltà di Lettere. Numerosi i premi ottenuti. Nel 2008 pubblica la prima silloge poetica “Indice di idee al caleidoscopio” nei Quaderni letterari “Il Croco” e nel 2010, sempre su “Il Croco”, la sua se-


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conda silloge “Questi occhi miei” e la terza “Il tuo colore mare blu” nel 2011. Nel 2012 esce “Sotto ogni cielo”, nel 2013 “Primizie” e, nel 2014, “Materia grezza” e un altro Quaderno Il Croco: “Cellulosa”; Del 2016 è il saggio “Aspra terra e creazione fertile nell’opera di Domenico Defelice”. Presente in molte antologie; collabora a riviste, tra le quali “Il Convivio” e “Vernice”. Affascinata da tutto ciò che è arte, nel tempo libero le piace creare, disegnare, dipingere e non ultimo leggere.

Panchine solitarie C’erano pensieri aggrappati alle panchine solitarie del parco, ascoltavano il silenzio dei nostri passi lungo il viale. Vuoti che ci portiamo addosso, imbastiti nell’anima, invisibili agli occhi, appena percettibili alla mente. I fantasmi dei ricordi spalancano una porta nel cuore, una ferita ancora aperta. Appare incerto un sorriso stonato, tra labbra scarlatte, ma è solo il rosso di una bacca. Solca il viso una lacrima nascosta. Accanto ad un pensiero, nel freddo dell’inverno, un amore è seduto ad aspettare, un’estate che non vuole tornare. Gloria Venturini Da: Nuvole e parole, 2° Premio Il Croco 2020. Gloria Venturini è ideatrice e Presidente del Concorso letterario “L’arcobaleno della Vita” della Città di Lendinara. Vincitrice di numerosi Premi nazionali ed internazionali, ha pubblicato libri di poesia, racconti e favole, quali: “Camminando tra i giardini dell’anima”, “L’arcobaleno della vita”, “Ai bordi della vita”, “Coriandoli di ricordi”, “Rivoli di donna”, “Ti seguirò nel vento”, “Come il canto di una preghiera”, “Attorno a lembi elisi”, “Il grande canto”, “Al di là dell’orizzonte”, “Attimi come pupazzi di neve all’equatore”, “D’altre dissolvenze”. Iscritta dal 2010 ad ASIDA AutoriOnline. I suoi testi si trovano in varie biblioteche del territorio nazionale, tra le quali la BAUM del Cà Foscari di Venezia, la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e di Roma eccetera.

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COME FOGLIA ACCARTOCCIATA Mi è rimasto solo il tempo già passato col suo vuoto ancora tra le mani ad infierire sui giorni che mi restano di quest’età che tremola nell’anche. Mesto è il giorno che così rimane ancora nell’attesa e a seguitare, ansare tra la nebbia verso meta da quel suolo dov’è l’ultimo sentiero. Nel cuore, che distoglie preludi di una fine, ho petali di rosa ancora rosse ma lenti ormai all’ansie della vita che chiama, chiama ancora all’avventura. Non dirò certo ai miei simili che di orme invisibili fu il mio passo o che d’altri voluto da deserti -il transito; neppure su un letto d’addio a tarda sera quando ogni porta non potrò più schiuderla al mattino. Sarò quel nulla di foglia accartocciata sotto un piede macigno sulle strade a svuotare di me quel poco nel ricordo che il tempo sbiadisce, ora dopo ora, già domani. Lug./Ago.019/24 Pasqualino Cinnirella Da: La sera al plenilunio, 3° Premio Il Croco 2020. Pasqualino CINNIRELLA nasce a Caltagirone CT nel 1946 ove risiede e dove ha svolto l’attività lavorativa presso l’Amministrazione ENEL. Scrive poesie sin dal 1963. Si definisce un “autodidatta” o “poeta naif”. Per i suoi scritti gode la stima di numerosi e prestigiosi nomi della letteratura italiana e siciliana. Le sue poesie sono e continuano ad essere pubblicate in svariate antologie e riviste letterarie a seguito di premi conseguiti. Nel 1978 ha pubblicato “ Pieghe d’animo” (1963-1977) e, nel 1987, “Fuochi sull’aia“ (1978-1985) ambedue presentate al Rotary di Caltagirone. Nel 2001 gli viene pubblicata la silloge “Meditazione” quale vincitore al Premio Leonforte EN e, nel 2014, vincitore al Premio “ Il Cavaliere”, Formigine MO la pubblicazione di “Dicotomie nell’Essere”. Nel 2016 gli viene pubblicata la silloge “Meditazioni” vincitrice al premio “Napoli Cultural Classic” di Nola (NA) Ha fatto parte della giuria esterna al Premio Internazionale (sezione narrativa) “Ennio Flaiano“ di Pescara. Nel


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2001 la rinomata Attrice di prosa Lidia Alfonsi interpreta, a Caltagirone, le poesie del Cinnirella in un recital tutto per l’autore. Numerosi altri premi di prestigio. Nel 2018 pubblica la silloge “Boati dal profondo”

LA FUNZIONE Si raccoglie nelle mani il perché delle mani nell'intima disposizione del corpo. Prima di agire, trae a sé dal buio il silenzio, scontornando l'abisso, la paura dell'uomo sull'uomo. Cosa attendiamo nella rimessa del debito, nella fatica di quella postura? Sarà con noi ogni giorno della nostra vita. Gian Piero Stefanoni Da: Il mio sacerdote, 3° Premio Il Croco 2020. Laureato in Lettere moderne, Gian Piero Stefanoni ha esordito nel 1999 con la raccolta In suo corpo vivo vincendo, nello stesso anno, per la sezione poesia in lingua italiana, il premio internazionale di Thionville (Francia) e nel 2001, per l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del Comune di Spoleto. Nel 2008 ha pubblicato Geografia del mattino e altre poesie a cui son seguiti, nel 2011, Roma delle distanze e gli ebooks La stortura della ragione e Quaderno di Grecia . Nel 2014 è uscito Da questo mare (includente l’omonimo poemetto uscito nel 2013 in ebook unitamente al canto pasquale L'amore che ti manca . Ancora in ebook e La tua destra (Roma, 2015), come il saggio La terra che snida ai perdoni ( Roma, 2017) ed Il calciatore è un fingitore ( Roma, 2019). Sempre del 2019 sono Lunamajella ed il diario di Terra Santa Al mût labben. Presente in volumi antologici; suoi testi sono apparsi su diversi periodici specializzati e sono stati tradotti e pubblicati in greco, maltese, turco e spagnolo oltre che in Francia e in Italia nel dialetto di aree romagnole, abruzzesi e sarde. Già collaboratore con “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada” è stato redattore della rivista di lette-

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ratura multiculturale “Caffè”.

“ Venezia è un vestito di sale “ Chi poteva vestirla di sodio se non il Tiziano, o Giovanni Bellini, o Vittore Carpaccio, o la mia inventiva che la vuole ritratta a carboncino su tela in un abbraccio di rosa antico, nero e bianco. Chi può raccontarla davvero senza aggiungere nulla ad una recita perpetua in cui l’acqua profuma di vanità riflessa, di corone importanti, di cangiantismi sacri finché Santa Caterina si sposa secondo l’idea del Veronese. Non c’è chi aggiunge altro sodio ai suoi costumi barocchi, anche perché la vecchia scuola degli artisti suddetti è passata, così la peste, così il Doge, così le regate e se qualche progetto del Palladio scivola ancora sull’acqua è perché non si sono disciolte del tutto quelle particelle di sapore non comune idrogenate d’umori intimi e delicatezze. Isabella Michela Affinito Da: Venezia è un vestito di sale, 3° Premio Il Croco 2020. Isabella Michela AFFINITO è nata in Ciociaria nel 1967 e si sente donna del Sud. Ha frequentato e completato scuole artistiche anche a livello universitario, quale l’Accademia di Costume e di Moda a Roma negli anni 1987 - 1991, al termine della quale si è specializzata in Graphic Designer. Ha proseguito, poi, per suo conto, approfondendo


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la storia e la critica d’arte, letteraria e cinematografica, l’antiquariato, l’astrologia, la storia del teatro, la filosofia, l’egittologia, la storia in generale, la poesia e la saggistica. Nel 1997 ha iniziato a prendere parte ai concorsi artistico-letterari delle varie regioni italiane e in seguito ha partecipato anche a quelli fuori dei confini d’Italia, tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori di Melbourne. Ha reso edite quasi 60 raccolte di poesie e volumi di critiche letterarie, dove ha preso in esame opere di autori del nostro panorama contemporaneo culturale e sovente si è soffermata sul tema della donna, del suo ruolo nella società odierna e del passato, delle problematiche legate alla sua travagliata emancipazione. Con “Da Cassandra a Dora Maar” (2006) ripropone le infinite donne da lei ritratte nei versi per continuare un omaggio ad esse e a lei stessa. Inserita in moltissime antologie, tra cui l’ “Enciclopedia degli Autori Italiani” (2003), “Cristàlia” (2003), “8 Marzo” (2004), “Felicità di parole...” (2004), “Cluvium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005) eccetera. Sempre sul tema della donna ha scritto un saggio sulla poetessa Emily Dickinson. Pluriaccademica, Senatrice dell’ Accademia Internazionale dei Micenei di Reggio Calabria, collaboratrice di molte riviste, è presente in Internet con sue vetrine poetiche. Tra le sue recenti opere: “Insolite composizioni” - vol. VIII (2015), “Viaggio interiore” (2015), “Dalle radici alle foglie alla poesia” (2015), Una raccolta di stili (15° volume, 2015), “Percorsi di critica moderna - Autori contemporanei” (2016), Mi interrogarono le muse… (2018), “Autori contemporanei nella critica (Percorsi di critica moderna)” (2019), “Una raccolta di stili” (17° volume, 2019).

LA FERRARI Quel team di diavoli rossi che fanno la Ferrari la bella macchina sofisticata intorno a cui gira la passione sportiva. Il campione di turno su cui si punta. Quei luoghi favolosi che sono le piste disegnate e studiate per dare adrenalina. Pigiati nelle tribune,

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incollati al televisore i fans sono un braciere di emozioni. La Ferrari, rossa navicella immessa nell’orbita gira nel cuore dei tifosi. Il pilota, l’astronauta dai nervi d’acciaio che sfida la pista ed il destino. Fa dell’audacia e l’autostima il carburante della vittoria. Lina D’Incecco Da: Raccolta di poesie,4° Premio Il Croco 2020. Insegnante di Francese in pensione, Lina D’Incecco vive a Termoli, nel Molise. Ha coltivato la poesia e la pittura. Ha partecipato a vari concorsi letterari, tra cui “Histonium” (Vasto), “Aletti Editore”, “CEPAL” (Francia) e “Città di Pomezia”, ottenendo buoni risultati. Alcune sue poesie sono inserite i Antologie. Nel 2017 pubblicato “Ombre e luci”, nei Quaderni Letterari Il Croco, ottenendo un bel successo di critica.

FRAMMENTI DI VITA Pesa come un macigno e schiaccia ancora il cuore quell’antico rifiuto che tutto ha strappato dilaniato, schiacciato e inconsciamente imprigionato sotto uno strato roccioso di un immenso rimpianto. Ho fatto mio un fiume di parole che ti ha travolto con crudeltà lasciandoti senza luce, incapace di capire, di parlare. Ferito allora e lo sei ancora. Quanti anni sono passati! Seduto al bar di un nuovo paese, mi hai visto e hai detto soltanto: “Dentro son sempre morto”. Ora come allora, non accetta mediazioni il mio provato cuore.


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Con animo ferito, vado via, ma non rimani solo. Ti lascio a parlare come allora, con i tanti fantasmi della tua eterna gelosia. Anna Maria Bonomi Da: Delirio di parole, 4° Premio Il Croco 2020. Di Anna Maria Bonomi, romana, non abbiamo ricevuto alcun curriculum.

IL PERDURANTE, NONOSTANTE Neve ininterrotta Da Gennaio a Dicembre Da Dicembre a Gennaio Bianca polvere Neve Cadere sulle adolescenze E altri sonni Altri occhi chiusi Come la coerenza Di un Dio Che si fa carico Dei mali del mondo Boccali di rabbia Sempre da mescere Ancora Sotto la polvere bianca Che cade come neve Interpreti diversi Nei sussulti rabbiosi Uniti Da esili fili di luci Divisi Dai grumi di ombre Delle contraddizioni Adatte a disorientare Le esistenze Fino all’estasi del gesto Che fa nemici Orfani di pensieri Alleati del levantino Traffico La preghiera Ritornare sento Alle ottusità lasciate Per ora Dentro il virus

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Il vestito da indossare Che si cerca Non è nuovo È solo stato Come un tempo Nella miseria O nella parsimonia Scucito e ricucito È stato rivoltato Sembra nuovo Ma vecchio e liso Rimane Tale e quale Senza sforzo Si vede che Porta ancora il marchio Del ridicolo Di chi si procurò naufragio Con la sua barca Dalla vela bianca Di chi fece di eventi Hýsteron Próteron Successione Salvatore D’Ambrosio Da: Hashtag Io resto a casa, 5° Premio Il Croco 2020. Nato a Napoli nel 1946, vive e lavora a Caserta. Insieme all’attività di docente continua a seguire gli studi storici sul regno di Napoli e dei Borbone. Inizia negli anni “70 la collaborazione a emittenti televisive locali, a riviste e giornali. Sulla ” La Tribuna del Collezionista“ di Gaeta (LT) pubblica, dalla fine degli anni “70, studi sull’ organizzazione amministrativa nel regno di Napoli. E decine di articoli sulla storia postale. Partecipa, a partire dagli anni “90, a diversi concorsi letterari riscuotendo consensi e riconoscimenti vincenti o di prime posizioni. Sue poesie e racconti sono inseriti in molte raccolte ed antologie. Tradotto in cinese e inglese sulla prestigiosa rivista THE WORLD POETS QUARTERLY diretta dallo scrittore e poeta ZHANG ZHI. Ha pubblicato nel 1989: Annullamenti di Terra di Lavoro,studio sul servizio postale nel territorio della antica Liburia, dall’unità d’ Italia all’inizio del nuovo secolo (1861-1899). Nel 2009 pubblica la prima raccolta di poesia: Barcollando Nell’Indicibile, e nel 2016 il poemetto DIECIxDIECI – Sillabe incise sulla roccia. Si interessa di critica e recensioni sulla rivista Pomezia-Notizie. Si interessa di arti visive quali la pittura e la fotografia, con esperienze personali e come critico.


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FARFALLA Per un respiro insieme ancora con i vestiti a latere del letto e viali che sfogliano all’autunno piano. M’appari al candore della pelle quale vibratile superficie con quel po’ di porpora a colorarmi le dita. Appoggio la mia testa contro la tua come a spiare i tuoi pensieri. Era già ieri. Mauro Barbetti Da: Ipometropie, 5° Premio Il Croco 2020. Mauro Barbetti è tornato a scrivere nel 2008, dopo vent’anni di silenzio e da allora ha vinto vari premi sia di poesia che di narrativa in giro per l’Italia. Alcuni suoi testi compaiono su Poetarum Silva, la Recherche.it e Versante Ripido. Ha pubblicato: “Primizie ed altro” (2011), “Inventorio per liberandi sensi” (2013), “Versi laici” (2017). Ha realizzato traduzioni di poeti inglesi quali John Berryman e Keith Douglas.

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canalisi, Geopolitica) gli ha permesso di aprirsi a tutte le più importanti correnti letterarie del “Secolo Breve”: a partire dal Simbolismo per arrivare al Neoesistenzialismo, con soste nell’Ermetismo, Neorealismo e “Beat-Generation”. Presente in numerose antologie. Tra le sue pubblicazioni: Biopsia; Momenti; Questioni levantine; I viali di Rimbaud; Blue jeans; Il mio tempo; Angolazioni & swing; Il gerundio stradale; I detriti necessarj; L’ordine cavo; Un percorso tascabile; eccetera.

Di lunedì Sai di lunedì di profumo stropicciato via dall'armadio sulla maglia con cui mi stai addosso riesco a contarci la cura, piega che spiega Sai di lunedì con le dita ancora in festa spargi la domenica come zucchero sulla mia tovaglia che non ha dispensa. Sai di lunedì, il giorno dopo la carne. La carne che diventi dentro me. Veruska Vertuani

* Il tuo attimo scivola tra le mie dita

Da: Improvvisi regali dal cielo, Segnalazione al Premio Il Croco 2020. Nata a Velletri da sempre risiede ad Aprilia (Lt), Veruska Vertuani dal 2010 partecipa a concorsi letterari nazionali e internazionali, ottenendo molti riconoscimenti e la pubblicazione gratuita di tre sillogi poetiche: Frammenti di Crisalide, Ossa di Nuvole e nel 2019 Il tempo degli amuleti. A giugno 2015 è stata insignita della Medaglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri al Concorso Letterario Internazionale San Maurelio di Ferrara. Giurata in concorsi letterari, collabora con associazioni culturali nella creazione di eventi e reading poetici.

Tra le dita che il mio attimo rende tue Congiunzione e coniugazione Essere sino al non essere… Virgilio Atz Da: Retta variabile, segnalazione al Premio Il Croco 2020. Virgilio Atz, classe 1953, due figli, studi umanistici. Numerosi e di prestigio i premi. Da sottolineare il suo percorso culturale che, avvalendosi di più discipline (Storia, Filosofia, Musica, Sociologia, Psi-

Respirare Respirare il sapore dell’aria pulita, venuta a mancare da un’eternità,


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oggi è una fortuna. Respirare l’aria nuova, l’aria del mattino, l’aria dopo la pioggia, l’aria libera ci rende consapevoli del valore dell’amore facendoci scoprire la bellezza dell’intero universo. Antonio Nicolò Da: Piccoli versi, un grande cuore, Segnalazione al Premio IL Croco 2020.

Poesia singola

Seduta tra malinconie Lasciano ancora impronte sul selciato gli stivali infangati del contadino, tra i silenzi dei sentieri sterrati e le trine della vite, tra il rosso sparuto dei papaveri smarrito nel biondo delle spighe. Momenti lasciati accanto a corse a perdifiato, a braccia aperte ad afferrare il vento, ad occhi tesi al cielo a guardare nuvole e sogni legati al filo di aquiloni. Canti a squarciagola a smorzare l’arsura della campagna di un lontano ferragosto, lo sento ancora vicino. Mi confondo in un passato di ricordi, tra il profumo della rugiada mattutina e le zolle della mia terra, come una bambina ho voglia di giocare, di respirare l’odore del vecchio casolare, delle persone amate che mi hanno cresciuta e se ne sono andate via. Seduta tra i gradini delle malinconie, aspetto il suono delle campane a festa, cerco ombre per far contente le stradine soleggiate del paese, tento di trovare l’intensità delle fragranze perdute,

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la luce dell’eterno che si agita fuori e dentro di me. Gloria Venturini

Sentà tra mainconie E lasà oncora i pasi sul selcià i stivai infangà del contadin, tra i sienzi dee stradele batù e i pampani dea vigna, tra el rosò striminzio dei papavari perdui in tel zalo dee spighe. I zè mumenti perdui vizin a dee corsàte sensa fià, ai brazi verti par ciapare el businelo, a oci par ària a vardare el ciéo e e nuvoe e sogni ligà ai fii de aquioni. Cantar con le ganasse spaeancà a smorzar el seco dea canpagna de on lontan feragosto, eo sento oncora vizin. A son inconfusionà in teo pasà de recordi in tel parfumo del sguaso matutin, e ea zoea dea me tera, cofà na putina a go voia de zugare, de respirar l’odor del vecio casoeare, dea zente ca go voesto ben e che me ga cresua e po e ze ndà via. A so sentà tra i scaini dee mainconie, a speto el sono dee campane dea fésta, a zerco l’ombria par far contente le stradee soegià del paéxe, a tento de zercare l’odor gajardo dee fragranze perdue, ea luce de l’etèrno chel buligiga fora e rentro de mi. Gloria Venturini

LA VOCE Il dono della tua voce è risuonato un’altra volta stasera in questa stanza


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e mi ha portato la gioia del ricordo nel presente e la tristezza di tanta nostalgia per il passato. Più che le immagini ridonano la vita i suoni, più che le immagini trasmettono i suoni una persona. Più che le immagini. Perché ferma è l’immagine, ferma, fissa e fredda, ma muove l’aria il suono, anche se riprodotto, ed esso stesso muovendosi nel tempo ci trasmette con le sue vibrazioni sentimenti e sensazioni. Il suono è vita e questa sera tu vivevi con me in questa stanza con il suono della tua voce. Mariagina Bonciani Mariagina Bonciani vive a Milano dove è nata e si è diplomata in Ragioneria, ma ha sempre prediletto le materie letterarie e le lingue. Ha lavorato come segretaria di direzione, capo ufficio e corrispondente presso tre diverse ditte nel settore import-export. Ama la lettura, i viaggi e la musica classica. Non si è mai sposata. Nel 2007 ha iniziato a presentare le sue poesie a concorsi letterari nazionali ed internazionali, ottenendo molti primi premi e sempre successi e riconoscimenti. Sue poesie sono state pubblicate in molte antologie e compaiono regolarmente nella rivista mensile “POMEZIA-NOTIZIE”, saltuariamente nelle riviste “SILARUS”, “IL CONVIVIO” e “IL PONTE ITALO-AMERICANO” (U.S.A.) . Ha pubblicato libri di poesie con le Edizioni HELICON, con l’editrice IL CONVIVIO e con l’editore MENNA. E’ presente in molte opere sui poeti italiani contemporanei ed in raccolte di poesie con altri autori. Alessandro Quasimodo ha letto una sua poesia in un audiolibro (con video in internet) per le Edizioni Aletti. La sua raccolta di poesie “SOGNI” (ed. Il Convivio) è stata nominata “Libro d’Argento” 2018.” “Poeta di Valore” finalista al premio

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“Massa città fiabesca” 2019.3° premio per poesia inedita al Concorso “Le Grazie Porto Venere – La Baia dell’Arte” 2019. Nel settembre 2019 le edizioni IL CONVIVIO hanno pubblicato la sua silloge “Gabbiani”, che ha ottenuto il 3° premio ex aequo ad Aulla alla 1a edizione del premio “Il Canto di Dafne”.

DIMMI Ti lamenti di vivere in un paesino deserto, spopolato, dove il silenzio è interrotto soltanto dal soffio volubile del vento, dal cinguettio degli uccelli, dallo zampillo della fontana, dallo scorrere monotono del tempo e dici che vorresti abitare in città dove c'è vita, movimento, frastuono, gente... Ma dimmi: chi, più di questo borgo sconosciuto, ti offre la possibilità di scoprire la Poesia, di ascoltarne la voce, goderne le emozioni, procedere con essa in sintonia fino alla vetta del Parnaso, fino alle stelle, fino all'immenso, illimitato infinito? Antonia Izzi Rufo Antonia IZZI RUFO, insegnante in pensione, laureata in Pedagogia, è nata a Scapoli (IS) e risiede a Castelnuovo al Volturno (IS), frazione di Rocchetta. Ha pubblicato opere in prosa e poesia, saggi e altro, circa una sessantina di testi finora. Ha vinto moltissimi Premi Letterari. Noti critici ed esponenti della cultura nazionale e internazionale hanno scritto di lei, tra gli altri Costas M. Stamatis, Paul Courget, Giovanna Li Volti Guzzardi, Giorgio Barberi Squarotti, Massimo Scrignòli, Enrico Marco Cipollini, Marco Delpino, Angelo Manitta, Sandro Angelucci, Emilio Pacitti, Luigi Pumpo, Carmine Manzi, Aldo Cervo. Tra le tante sue opere, che sarebbe troppo lungo enumerare, si ricordano: Ho conosciuto Charles Moulin (1998), Ricordi d’infanzia, ricordi di guerra (1999), Tristia - Ovidio (1999), Saffo, la decima musa (2002), Per una lettura della


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“Vita Nuova di Dante” (2004), Catullo, il poeta dell’amore e dell’amicizia (2006), Il poeta e l’emozione (2009), Dolce sostare (2010), Dilemma (2010), Perché tu non ci sei più (2012), Felicità era... (2012), Paese (2014), Voci del passato (2015), La casa di mio nonno (2016), Sensazioni (2016), Oltre le stelle (2017), Giorno dopo giorno e Donne (2018), I racconti di Lucio I. (2019).

Stanza 12 Ad Antonia Pozzi Tornerò nella stanza piccola, confetto d’antan tra pizzi e rassicurazioni di ieri che vivono tra i lembi dell’abitacolo. Respiro aria buona – di montagna-; si staglia come una vecchia nonna impetuosa e sicura, dinanzi a me. M’affaccio su quel pezzo di verde calma assoluta sotto un cielo pezzato, nuvole con strascichi di veli nunziali. Qui raccolgo il pensiero con sazietà, respiro con pienezza e calore sento d’intorno – tempo arreso e inoculato vivo in un decennio pregresso con sospiro pieno e beltà negli occhi imprimo l’aria della Grigna, i colori decisi, i margini amici, ingordo di requie boschiva e tregua piena di un percorso di ricerca. Saperti qui tra i vicoli stretti passeggiare lesta, beata dal sole è confluenza di acque sorelle, ti cerco davanti l’augusto palazzo, ma sei seduta in una roccia-panchina nel fitto di verde, corri con impeto a scattare immagini di vita che germina senza esser presa. Lorenzo Spurio

UNA MAESTRA AL TEMPO DEL COVID-19 La mia borsa di scuola afflosciata sulla sedia, uomo dal ventre rilassato che sta affogando nella depressione

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della disoccupazione. Sul bordo della scrivania il pacchetto di cracker, spezza-digiuno di una ricreazione mai più suonata, guarda il vuoto del precipizio come una soluzione alla scadenza tatuata sulla confezione. Ho giurato che avrei acceso fuochi e non riempito vasi, ora accendo computer e riempio di biscotti vuoti virali incolmabili. Risuona nella mente il ricordo stridore di gesso sulla lavagna come di gabbiano che volando sulla riga dell’orizzonte scrive storie di resilienza. Lontani ma insieme, ripeto a quei giovani volti che i pixel privano di gioia, Lexotan per la mia anima. Sono una maestra senza scuola, penna rossa con il cappuccio mordicchiato ma ancora piena di inchiostro per ricamare parole di speranza. Ludovica Mazzuccato Nessun curriculum; sappiamo solo che l’illustre scrittrice e poetessa Ludovica Mazzuccato è nata a Ferrara il 20/02/1978 e risiede in S. Martino di Venezze (RO).

EUROPA Seduta di bianco a cogliere fiori, s’adagia una fanciulla nel giardino che fu d’Europa. Con un sorriso ella si tende ad ogni mossa dello Scirocco, carezzevole la guancia, guarda lo stelo suo prigioniero, un giovane già reciso, ancora prima di sapere vivere. Eppure raggrinzisce un fiore chiuso in una mano, se cade poi preda del buio, solo così muore.


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Nella luce tutto traspare: strana è l’età e scivola in un attimo, quando l’eterno divenire avanza tra le ombre senza sosta, come un magma al corpo già s’attacca, ma con l’idea già vede, peregrina la sua strada mai finire. Emanuela Lazzaro Emanuela Lazzaro è nata a Pordenone (PN) il 15 ottobre 1978 e risiede ad Azzano Decimo (PN). Si è laureata in giurisprudenza presso l’università di Trieste nel febbraio del 2008. Ha ottenuto numerosi premi e segnalazioni in concorsi poetici in tutta Italia e sue poesie sono state inserite in molte qualificate antologie, tra cui: Ossi di seppia (2019), Società liquida - Omaggio a Zygmun Bauman (2019), Capire per capirsi (2019), Buongiorno Alda (2019), Ninna nanna… ti racconto una favola (2019).

PRIMAVERA 2020 Un silenzio mi trattiene all’umida finestra. Questa notte è fiorita la zolla abbandonata ricoperta dalla brina, tutto fiori il biancospino come velo ricaduto sopra i rami. Primavera triste e scalza, tu che avanzi a passi cauti tra veleni e pandemia tocca il seme bianco, che fiorisca la parola, dammi il segno d’un vagito nel turgore del mattino. Anna Maria Gargiulo

LE PAROLE CHE NON SO DIRE (o canto di un ragazzo autistico) Ogni notte io sogno di essere un pesce qualunque per nascondermi nell’immensa profondità del mare fino a dove si possa imitare il canto delle balene. Da quando le fate mi hanno generato un minuto prima della mezzanotte il mio mondo è rimasto quel fermo immagine di silenzio

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che mi fa rimanere sospeso dentro una bolla di sapone un tempo, un luogo, una pianura sconfinata che io solo conosco incapace di contenere tutte quelle parole che non so dire una stanza deserta dove ogni giorno mi sorprendo a rimettere in ordine una sintesi di gesti e ali frantumati dai miei atti furibondi all’apparenza distanti. Se il mio sguardo scende altrove come l’orma eclissata di un abbraccio immaginato a fissare le cose in fondo all’infinito è perché io non so tendere la mano ad ascoltare questo mio silenzio e camminarvi accanto come una mollica d’aria per mano al vento. Lo so, per voi non sarò mai completamente adulto mi considerate un errore di ortografia lunare fra le righe del cielo, una parola intraducibile del vostro dizionario solo perché siete così complicati da non saper distinguere nell’inerzia delle mie labbra ingenuamente esposte agli altri la sottile bellezza delle parole senza voce celate dalla mia diversità quando, senza veli né bugie, nelle immense profondità oceaniche dell’anima mi sforzo ogni notte di sognare il canto delle balene Stefano Baldinu Stefano Baldinu è nato a Bologna nel 1979, risiede a San Pietro in Casale (Bologna). Diplomato in Ragioneria lavora come impiegato in provincia di Bologna. Dal 2009 inizia a partecipare regolarmente a concorsi dove ha ottenuto numerosi e lusinghieri riconoscimenti sia in lingua che in vernacolo. Sue poesie sono state tradotte in spagnolo, in inglese e albanese. E' membro di Giuria in vari concorsi letterari. Ha all'attivo la pubblicazione di quattro sillogi poetiche, l'ultima delle quali dal titolo “Le creazioni amorose di un apprendista di bottega” (Helicon ed.). Nel 2018 gli è stato assegnato il Premio Histonium alla carriera. E' Socio familiare della Associazione Nazionale Carabinieri-Sezione


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di San Giorgio di Piano e Socio Poeta Accademico della Associazione Histonium di Vasto.

TUS MANOS Palomas que vuelan a mis días para tejer la ternura. Tus manos: lluvia que calma toda espera y roce que desgrana el deseo. Tus manos: certeza de que la vida se prolonga en cada despertar. Tus manos: aviso de la hojarasca tras el otoño siempre perdurables para el viajero que soy. Carlos Chacón Zaldivar LE TUE MANI Colombe che volano sui miei giorni per tessere tenerezza. Le tue mani: pioggia che colma ogni attesa e strofinio che spettina il Desiderio. Le tue mani: certezza che la vita si prolunghi ad ogni risveglio. Le tue mani: che annunciano la caduta delle foglie d' autunno sempre saranno viatico per il nomade que sono. Traduzione di Carla Zancanaro Carlos Rafael Chacón Zaldívar (Mayarí, Cuba 1958). Poeta, narrador y crítico literario. Integra la Asociación de Escritores de la UNEAC. Fundador de la Casa Iberoamericana de la Décima y la Casa del Joven Creador, Las Tunas, Cuba. Doctor en Ciencias sobre Arte por la Universidad de las Artes. Profesor Auxiliar de Literatura y Escritura

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creativa en la Universidad de Matanzas. Coordinador del Taller de Creación Literaria Pablo Neruda en la Universidad de Matanzas. Coordinador del Coloquio Día de la Décima Hispanoamericana. Presidente de la Cátedra de Estudios sobre la Décima Jesús Orta Ruiz. Reconocimientos literarios: Premio Nacional de Cuento Raúl Gómez García, 1995; Premio de Cuentos Valdemera. España, 1995; Premio Assoluto de Poesía San Valentino, Italia, 1998; Premio Bienal de Cuento. Matanzas, 2000. Premio Hoja de Encina de poesía breve, España, 2002. Premio Publio Virgilio MARONE en poesía en lengua extranjera. Italia, 2005. Ha publicado los cuadernos Viejo buscador del agua (1993), Cuentos de Noche buena (1994), Oratoria lírica por América (1994), Angel de mi guarda y otros textos (1995), Antología Cósmico-lírica Frente de Afirmación Hispanista, México (2001), El caballo y las voces (2002), El retrato femenino en la poesía de Carilda Oliver Labra (2004). Para un discreto naufragio, Editorial La Tinta del Alcatraz. México, 2004. Ha publicado las antologías Poetas del mediodía (1995) y Aguas del ciervo que canta (1998) y Versos en el horizonte de la isla. Poesía cubana contemporánea, Ediciones Caronte, Chile, 2016. Su obra poética ha sido publicada en Poesía Cubana Hoy (Madrid, 1995), Poesía Cósmica Cubana (México, 2001), Antología Terceiro Milenio (Brasil, 2001), Prometeo Siglo XXI (Madrid, 2002), Tejedores de palabras (Asociación Prometeo de Poesía, (Madrid, 2005), Muestra Internacional de Poesía en Español por Internet. (Madrid, 2005, Exposición Internacional de Poesía en Póster, Asociación de Hispanista en Canadá, 2005-2006. En el Congreso Internacional Universidad 2020 intervino en torno a las Estrategias para la promoción de los jóvenes creadores universitarios. En Italia la Accademia Internazionale Il Convivio, Pomezia-Notizie y Pragmata Edizioni han promovido poemas, cuentos y ensayos críticos. Numerosas revistas y publicaciones por Internet han acogido también su producción literaria.

VOLANDO IN PUGLIA PIANA 2019 Sorrideva una quercia solitaria nella piattezza della campagna pugliese immensa e generosa. E quasi si beava di quella bucolica pace senza rumori al frinir delle cicale.


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Li scupenire Spettinate dallo zefiro, le nuvole volavano nella libertà dello spazio e l'estesa solitudine di cielo e terra m'invitava a volare con l'ali della fantasia nell'abbagliante luce del creato. Volteggiando nel mio firmamento m'abbandonavo allora tra sogno e realtà nella magia dell'albe e dei tramonti e dei bagliori serali delle stelle ascoltando confusa e disorientata la voce del silenzio nell'immensità. Silvana Del Carretto Silvana DEL CARRETTO, nata a Serracapriola, ha seguito gli studi classici. Vive a San Severo da 50 anni. Sin da giovanissima si è dedicata alla poesia, in seguito anche alla narrativa e alla ricerca etnografica su alcuni centri della provincia di Foggia e del Molise con relative pubblicazioni in volume (dal 1984 al 2016): Serracapriola, San Severo, Campomarino, Santa Croce di Magliano, San Paolo di Civitate, Celenza Valfortore, Castelnuovo della Daunia. Del 2002 è il suo primo libro di racconti “Antiche storie della terra dauna”, adottato anche come libro di testo in parecchie Scuole Medie della provincia di Foggia, come il suo secondo libro “Racconti variopinti”, seguito da “Racconti” e da “Ritorni e Ricordi”. Del 1984 è il volume su “Le edicole devozionali di San Severo” (con Armando Gravina) e del 2013 “I giardini di San Severo”. Due infine le sue raccolte di poesie: “Quattro passi fra le nuvole” e “Gargano magico”. Coi suoi articoli collabora da oltre trenta anni con giornali locali e provinciali e con alcune riviste letterarie a livello nazionale. Fa parte del gruppo di redazione de “Il Provinciale” e della Rivista del Sapere "Pianeta Cultura" della Provincia di Foggia. Molti suoi racconti, ricerche, poesie sono comparsi in diverse antologie: “Pagine”, “Poeti del 900” , “Cultura e prospettive”,“Convivio”, “Silarus”, “Poeti allo specchio”, “Poeti e Poesia”, "Pianeta cultura" e sono stati premiati o segnalati in alcuni concorsi letterari nazionali. Già socia collaboratrice del Centro Etnostoria di Palermo e del Centro di Etnostoria Garganica, è tra i Soci ordinari della Società di Storia Patria per la Puglia. Ha recensito e presentato libri di diversi Autori in versi e in prosa. Ha tenuto conferenze nell'ambito delle attività di Associazioni culturali. Da circa quindici anni è sua la pagina culturale della Rivista “Le Rotisseur”. Dai suoi numerosi viaggi in Italia e all’estero sono scaturiti vivaci “Appunti di viaggio”.

Venèje a la Nuvène de Natale da la Majèlle a nnù li scupenire: chiòchje 'ntrecciate sott'a li gambale, cazzètte bbianche e la mandélla nire. Da la matine préste a vendunóre pe' ccase e casarèlle jève ngire, zuffelè' nche la vocca e nche lu córe e hugne zzuffelàte nu suspire. A chelu sóne j'aspunnè' lu cante: “Lu Bbambenélle à nate a la capànne, la notte de Natale è notta sante! Á nate tra la paje e senza sciànne, sta 'mbbracce a San Ggiuseppe e la Madónne: è fésta bbélle hógge pe' lu mónne!”. Emilio Marcone Traduzione:Gli zampognari Venivano alla Novena di Natale / dalla Maiella da noi gli zampognari : / chioche intrecciate sotto i gambali, /calzettoni bianchi e la mantella nera. // Dal mattino presto fino a tre ore dal tramonto / per case e casette andavano in giro, / soffiavano con la bocca e con il cuore / e ogni soffiata un sospiro. // A quel suono rispondeva il canto: / “ Il Bambinello è nato nella capanna, / la notte di Natale è notte santa! // E' nato tra la paglia e senza culla, / sta in braccio a San Giuseppe e la Madonna: / è festa bella oggi per il mondo!”. Emilio Marcone risiede ad Atri (TE). Dirigente Scolastico in pensione, collaboratore di periodici culturali, poeta in dialetto abruzzese e in lingua.

TORNEREMO AD ABBRACCIARCI Torneremo ad abbracciarci dopo vuoti bui di silenzio e dolore. Quando non sentiremo più mute frasi imbarazzate allontanarci l’uno dall’altro. Quando vedremo per l’ultima volta i nostri eroi togliersi il male indossato. Torneremo ad abbracciarci lasciando lontano gli echi di una morte incomprensibile.


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Senza più lacrime da asciugare, bambini da tenere a bada o numeri che non vuoi più contare. Torneremo per le strade, non più desolate lande senza un cuore e nei prati, con la vita che preme come una rabbiosa primavera mai sbocciata. Usciremo a riveder le stelle? Ne usciremo. E sarà festa sulle tavole apparecchiate con il vino nuovo e fiori nei bicchieri. Torneremo ad abbracciarci e a piangere un’altra volta. Liberi e sorpresi di stare nuovamente insieme. Senza vergogna ci guarderemo negli occhi e finalmente potremo piangere di felicità. Domenico Pujia

CENERE NEL VENTO Neanche il mare mi tenta quest’oggi, tanto non ci saranno mani foriere di carezze. E il viaggio, oh il viaggio a far lontananza e tempo di solitudine che si specchia livido nell’azzurro intenso d’indulgente inverno. Ma quanto sa d’assurdo il vuoto dei silenzi, il posarsi degli occhi su spazi senza parole. E lesto insorge il passato a gridare per momenti ormai cénere nel vento. Domenico Novaresio Numerosi i concorsi vinti (1° premio assoluto), oltre altri importanti riconoscimenti (2°, 3°, 4° classificato eccetera) 5 i libri di poesia pubblicati, buona la critica (Giorgio Bàrberi Squarotti, Gaetano Salveti, Angiola Sacripante, Sandro Gros-Pietro, Stefano Valentini, Renato Micheli, Graziella Corsinovi, Giuseppe Nasillo, Franco Boveri…). Sue poesie sono apparse su riviste e antologie varie.

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I TUOI OCCHI “ Come l’occhio vede al di là di se stesso, così il suo sguardo vede oltre l’apparenza immediata, cogliendo il meraviglioso” (Sorin Kierkegaard - diario di un seduttore -) Incredibili i tuoi occhi, legge di segreto il luogo dove fare l’amore con te i laghi d’immenso della stanchezza e della giocosità, furfante del mio sonno. Grandiosi i tuoi occhi che toccano, abbracciano e baciano di nascosto in allegria, baldanzosi e amorosi. Immensi i tuoi occhi che ho vissuto al primo istante e oltre. Magici i tuoi occhi da tuffarsi in prigione. Belli i tuoi occhi, anche solo a ricordarli con la mente, il mio Io si confonde. Restano chiusi i miei, per invadere di stupendo lo schermo luminoso della mia anima innamorata fulgida la voce che si sprigiona nel riecheggiamento il tuo talento diffuso, d’inaspettato, ha serpeggiato ed ho rivisto l’ignoto: amato, esplorato, odorato nei tuoi occhi assassini mi sono abbandonata. Filomena Iovinella Filomena Iovinella è nata a Frattaminore in provincia di Napoli, vive a Torino, dove ha lavorato per molti anni nel settore amministrativo come impiegata. Scrive poesie da molto tempo e negli ultimi anni ha pubblicato varie opere con editori diversi: nel 2014 “e un giorno arrivo la libertà”; l’anno successivo l’inizio della fine storia di famiglia. Ha partecipato ad alcuni concorsi di poesie e ha pubblicato parte delle sue poesie nella collana Impronte, nella collana Poeti contemporanei e la sua prima raccolta personale nella collana perle d’inchiostro dal titolo Amore delirio e desiderio il mistero dei sensi che scandisce il tempo. Ha vinto il concorso letterario Città di Pomezia nell’anno 2013 con la fiaba “segui me” e nello stesso anno il primo premio assoluto al concorso POESIAMO del circolo sportivo Pianacci di Genova con la poesia “Confusione te”. Alcune menzioni di merito negli ultimi periodi sia per la narrativa che per la fotografia. Ha


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collaborato con alcune riviste: Pomezia notizie, il Convivio e la rivista Talento. Ama il teatro e il cinema ha scritto la sua prima pièce teatrale lo scorso anno dal titolo Magnolia e un cortometraggio per un concorso cinematografico.

UN CONSUNTIVO... Quando ero ragazzo e pure dopo, quando maturità dovuto avrebbe un uom posato farmi diventare, ho vissuto di sogni, di chimere. La realtà rimasta è sempre ai bordi del mio cammino, mentre m'illudevo di essere importante, di avere doti speciali, che m'avrebber spinto in alto, come il vento gli aquiloni... Or che son vecchio, io mi rendo conto d'aver donato sempre troppo poco a chi stava al mio fianco, a chi avrebbe meritato d'aver molto di più... Pareva sempre che, di là dall'angolo, ci fosse tutto ciò ch'io aspettavo, ch'avrebbe ripagato tutto quello che non avevo ancora dato loro... Dietro l'angolo invece c'era il nulla, ma un po' più in là c'era un'altra svolta, che nascondeva certo quei tesori che m'avrebbe donato non appena là fossi giunto... Povero illuso! Di svolta in svolta sono arrivato quasi al traguardo degli ottanta anni: la strada ora è diritta, senza curve non finge di nasconder grandi cose. Vedo là in fondo solo un cipresso, che l'ombra sua proietta nel tramonto. Come non esser tristi, se si vede il "traguardo finale" senza avere vinto mai neppure una tappa in questa corsa che chiamano ...vita? Mario Manfio Trieste DI NUOVO Amore mio che errore commisi di nuovo, a perdermi in te

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e allo stesso tempo nel calore delle tue mani sul mio codesto corpo, perché dentro di me! so che ciò che facemmo non era giusto; perché tu non sei più mio. Perché ormai sei solo di lei. E con questo errore che commisi di nuovo, condannai per sempre il cuore mio al dolore eterno. Falbo Vanessa Cassano allo Ionio, Cosenza

IL NEMICO INVISIBILE C’è un nemico invisibile che ti rende invivibile quella vita spensierata che rallegra la giornata. T’impedisce di giocare sopra i prati e in riva al mare. Con le unghie sta in agguato pronto a suggerti il fiato. Questo Virus birichino che si crede un Principino puoi sconfigger solamente se ‘ste cose tieni a mente: - Col sapone e le amuchine lava spesso le manine. - Non toccare bocca e occhi quando giochi coi balocchi. - All’amico non dar mano, più di 1 metro stai lontano. - Niente lavoro per mamma e papà. Niente scuola per la tua età. - Solo in casa devi stare. Tante cose ci puoi fare. Così infin con la linguaccia la fai in barba a ‘sta bestiaccia. Te lo giuro, son sicuro,


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se noi tutti terrem duro poi insieme riusciremo a sconfiggerlo in pieno. Zia Polly Paolangela Draghetti Livorno

CURON GRAUN Bluastro biancore di montagna prolunga la corsa del silenzio Spettrale il vuoto Pilastri nudi si legano ai fili di luce Non traccia d’uomo L’acqua, immota nel suo slargarsi, nasconde il suo segreto: una non vita affiorante tra i flutti grigi Un campanile si leva sull’acqua con colpi sordi Suoni, un tempo, animavano la valle e canti si levavano al cielo Mute, ora, le tue campane scavano nel profondo suoni fantasma Danza di ombre e non più l’argenteo garrulare di voci Non più la corsa del vento su messi biondeggianti L’acqua è salita senza arresto La vita si è dissolta in bolle d’aria Suona campana, ancora i tuoi muti rintocchi nel livido bagliore di una sterile acqua Ma pur sempre sarà ricordo nelle note di un requiem1 Anna Vincitorio Firenze 1 - Cantus in memoriam Benjamin Britten di Arvo Pärt – Estonia

Pag. 41 IL CANE RANDAGIO Insieme è bello cantar tenendoci uniti per man insieme è bello cantar.

La gioia d’un bimbo che gioca con gli altri l’eterna tristezza d’un cane randagio. L’attivo castoro che crea la sua casa e l’onda spietata che gliela travolge. Insieme è bello cantar tenendoci uniti per man insieme è bello cantar. Le tinte festose d’un prato fiorito i tetri quartieri corrosi dal fumo. Il canto armonioso dei passeri a sera il rombo assordante di tanti motori. Insieme è bello cantar tenendoci uniti per man insieme è bello cantar. Il frullo improvviso di due coturnici nel volo d’amore sui monti assolati. La cerva che assiste con ansia impotente il cucciolo suo ferito e morente. Insieme è bello cantar tenendoci uniti per man insieme è bello cantar. Camillo Berardi L’Aquila Camillo Berardi, oltre che poeta, è bravo musicista e anche questa poesia/canzone è stata da lui musicata.

‘O cafè ‘A matina è ‘o Re da tazza e te mette dint’’o còre ‘o sole e forze nove co sapore antico. ‘O doce buongiorno fà lucere ‘o nuovo journo, chillo do munno, ca tutti ne facimmo parte.


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Iesce ‘a dint’’a casa e và ‘a faticà e ‘a fine e ‘nu pranzo, ‘nu cafè lisc, macchiat, corrett, ristrett, luongo, fridd e decaffeinat te rend’’a pausa viva e culurata, e ce fà sentì felici e vulunterosi tant ‘’a ce fà suppurtà ‘o suonno c’arriva. È ‘a magia ‘a vierno, quann’’ a casa annanz’’o fucular alliet’’a fine do commensal, che sensazione è ‘a stagione ‘o Gran Cafè, quann’’incuntra ‘e parienti e l’amic luntan e assettat ‘‘o tavulino vicin ‘‘a ‘nu vial alberat gustann’’a granita ‘e cafè, pienz’’o primm’’ ammòre e dint’’a chillu mument ‘nu fil ‘‘e vient co sapore ‘e cafè te fà na carezza ncopp’’o viso e te fà venì ‘a mente ammòre che bell che è cu l’emozion e ‘o ricord co sapore do cafè. Traduzione: Il caffè Al mattino il re della tazza* dipinge nella mente e nel cuore albe e forze nuove con la fragranza del suo sapore antico. Il suo dolce buongiorno ravviva la luce del nuovo giorno, quella del mondo, di cui ognuno di noi ne facciamo parte. Si esce di casa e si va a lavoro e alla fine del grande ristoro* un caffè liscio, macchiato, corretto, ristretto, lungo, freddo e decaffeinato rende il dolce break più vivo e colorato, facendoci sentire felici e volenterosi nell’affrontare i momenti più tenebrosi*. Magico è il caffè d’inverno, quando a casa davanti ad un focolare allieta la fine del commensale; sensazionale è d’estate al Gran Caffè, quando si ritrovano parenti ed amici lontani e seduti al tavolino del grande viale alberato,

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gustando una granita di caffè, si pensa al primo amore e in quel preciso istante un sottile filo di vento all’aroma di caffè accarezza il nostro viso facendo venire in mente l’amore quanto bello è con emozioni e ricordi al sapore di caffè. Antonio Nicolò Note: 1*) si intende il caffè 2*) si intende il pranzo 3*) si intende il sonno che arriva dopo pranzo

___________________________________ (Segue al prossimo numero con i Racconti e i Saggi)

IL CROCO i Quaderni Letterari di

POMEZIA-NOTIZIE il mezzo più semplice ed economico per divulgare le vostre opere.

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Recensioni FRANCESCO D’EPISCOPO TEMPO (Terebinto Edizioni, Avellino, 2020) Tempo è il titolo del nuovo libro di versi di Francesco D’Episcopo, professore emerito di Letteratura italiana per lunghi anni presso l’Università Federico Secondo di Napoli. Viene dopo il precedente Vita, che è del 2018, e sta a dimostrazione della fecondità della sua vena, che si rivela non effimera. Ciò che subito si scopre in queste poesie è l’attitudine meditativa di questo autore, che trae lo spunto dalle mille occasioni del vivere per ricavarne testi nei quali pensiero ed emozione compiutamente si fondono. Ecco allora nascere incipit quali quello di Natura: “La vita semina, la morte miete” e l’explicit di Dimmi: “In fondo, davvero, / basta poco per vivere” o ancora nascere questi versi de Il cappero: “La bellezza, la bontà, / si mostrano e si nascondono / nel verde fogliame di una vita” e questo di Solitudine: “oggi si è, un po’ tutti, più soli”. C’è inoltre in D’Episcopo (e facilmente a leggerlo ci se ne avvede) l’osservazione attenta del nostro vivere quotidiano, che emerge da poesie quali Automi, Vecchiaia, Sud. Ciò che però costituisce la fonte maggiore della sua ispirazione è la meraviglia di fronte alle chiare apparenze del mondo e per il miracolo della vita che ognora si rinnova in forme sempre nuove, come si ricava da poesie quali Volare: “Da bambino sognavo ogni notte di volare. / Avevo costruito un colorato aereo di legno, che, / quando era stanco della meraviglia del mondo, / si riposava sulle terrazze delle case per poi ripartire, / sorvolando palazzi, giardini”.

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Ricompare in questo libro di D’Episcopo la figura paterna, che già altrove aveva avuto risalto, in una poesia intitolata Mio padre: “incantava il mondo / con le sue parole felici / … / Io, bambino, lo amavo e ammiravo / con la gelosia di chi vorrebbe/ che l’amore fosse solo suo”. Ma c’è specialmente la riflessione sul proprio vissuto, che compare in poesie quali Fraintendimenti: “Ho molto lavorato, / ho fatto come il mio Maestro mi aveva insegnato, / il filologo, scoprendo e studiando cose nuove, / che hanno girato il mondo, / senza che nessuno se ne accorgesse”. Ma pure si trova in D’Episcopo il movimento puramente lirico, che colpisce e fa soffermare, come avviene in Cercami: “Cercami dove non sono. / nell’apparenza di una presenza, / che la vita a tutti impone. // Cercami nella grotta, deserta e solitaria / della saggezza…”. Molte altre cose si trovano però in questo libro, come la riflessione sulla funzione della poesia, che tende a “svelare il mistero che avvolge la vita” (Insegnare la poesia); sul significato della “muta presenza” dei vecchi che “Solitari, parlano sulle panchine / delle grandi città, sperando che qualcuno / li ascolti…” (I vecchi); sul valore della “letteratura come vita”, secondo l’insegnamento di Carlo Bo (Letteratura). Ci sono poi in questo libro le parole che inseguono il poeta, nella volontà di “essere dette” e che creano delle “vicine lontananze” (Le vicine lontananze); così come vi sono i forti legami del sangue (Madre) e quelli non meno robusti del pensiero e della cultura (Maestri). Su tutto domina poi la saggezza che si acquista con l’avanzare dell’età (Vecchiaia) e un’armonia ormai raggiunta con se stessi e col mondo, che dona la gioia di sereni pensieri (Salerno) e la pace dell’anima (Via Tasso). Sono queste le poesie che riconducono alla mente ed al cuore di chi le scrive o le legge i colori e le luci dell’infanzia da tempo perduti (Domenica). È pertanto quello di D’Episcopo un mondo smarrito e ritrovato con gli anni, dal quale gli giunge una felicità che soltanto la poesia può donare, con la magia del suo sempre nuovo messaggio e del suo sempre vivo stupore di fronte alle chiare apparenze del mondo. Ed è inoltre un messaggio che qui gli giunge attraverso poesie quali Sì, viaggiare, che costituisce un invito alla scoperta di sempre nuovi orizzonti o Amore, che è dedicata alla sua donna, ed è un inno all’amore e un’esortazione a godere della vita e dei suoi splendidi doni. Nel che sta in fondo il significato segreto di tutta la sua poesia. Elio Andriuoli


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ISABELLA MICHELA AFFINITO UNA RACCOLTA DI STILI 18° volume - Associazione Culturale Carta e Penna Edizione, Torino 2020, Pagg. 84. Come le precedenti opere sullo stesso genere, questo 18° volume, Una Raccolta di Stili, contiene poesie che riguardano pittori e scultori. Isabella Michela Affinito, espone un quadro dell’opera nella prefazione e nel riproposto saggio presentato alla 18a Edizione Gran Premio Internazionale d’Arte e Cultura di Avenza di Carrara (MS). In particolare questa Raccolta è dedicata al trevigiano Antonio Canova (Possagno 1757 - Venezia 1822), che seppe “rendere loquace ed elegante” il gelido e solido marmo. Lo scultore ebbe una vita di sacrifici, avendo perduto il padre quando era in tenera età e la madre lo abbandonò lasciandolo al nonno paterno, un tagliapietre specializzato, presso la bottega del quale il giovane praticò il mestiere e in seguito studiò presso la scuola di nudo all’Accademia. Canova visse al tempo dell’epopea napoleonica e fu richiesto dallo stesso Imperatore, come pure da sovrani d’Europa e da Caterina II di Russia. Celeberrime sono il gruppo de Le tre Grazie e la Venere vincitrice distesa (Paolina Borghese Bonaparte), opere entrambe di circa due metri di lunghezza, la superficie delle quali è così levigata da essere suggestiva. La Nostra argomenta intorno al neoclassicismo dicendo essere sorto a seguito del pensiero degli Illuministi, del pittore e teorico Anton Raphael Mengs e dello storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann, entrambi tedeschi. Roma era diventata il centro più significativo di questo genere e con la morte del Canova, al neoclassicismo subentrò la corrente del Romanticismo. Isabella Michela Affinito nei testi poetici rivisita le opere, coniugando versi e arte figurativa, con il tocco e l’amore inesauribile della esperta d’arte qual è; ma non solo, poiché offre spunti psicologici dei soggetti indagati. Ci avvicina al suo sapere con competenza e gioia, partendo dai cenni biografici dei personaggi che riesce a ben caratterizzare, in modo coinvolgente, ora con descrizioni teoriche, ora offrendo spunti poetici, ora segnalando particolari curiosità. I titoli sono sintetici ed emblematici; alcuni brani sono incisivi, ricchi nel contenuto e belli nella loro modulazione ritmica. Ricalcherò le espressioni della Poetessa e sicuramente commetterò delle improprietà di linguaggio, chiedendo venia fin da adesso. Così possiamo godere di un ventaglio di figure, tele o sculture. Nel Rinascimento abbiamo il celeberrimo Leonardo da Vinci (1452-1519), che ancora ci fa interrogare sullo sguardo enigmatico di

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Monna Lisa, così che la Nostra risponde che la Gioconda, come è denominata, “Sa stare sulla scena/ senza essere la/ protagonista, sa sorridere/ senza palesare allegria, sa/ di essere coniugata e non/ mostra anelli fra le dita,”; sulla stessa opera, ci soffermeremo in chiusura. Un altro grandissimo italiano nato un secolo dopo è Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610), un uomo dal temperamento inquieto che visse, in un certo senso, girovago e dissoluto, così da trasferire i suoi drammi interiori sulle tele, finì per essere ucciso. I suoi colori e chiaroscuri accesi emanano il terrore come quello degli “occhi di Oloferne/ mozzato della testa”. Per il piacere del’intrattenimento ci soffermiamo a godere le visioni che la Nostra ci offre. Facciamo un salto di tre - quattro secoli e ci portiamo ai tempi nostri. In più occasioni vediamo opere del francese Claude Monet (1840-1926) che caratterizzava i soggetti attraverso gli effetti del vento. Un omaggio alla poetessa russa Anna Achmatova che visse tragedie personali e che fu la musa del livornese Amedeo Modigliani (1884-1920) frequentatore del celebre quartiere parigino di Montparnasse; ma il loro legame sentimentale non vide la luce sperata. Il professore russo teorico dell’astrattismo Vasilij Kandinsky (1866-1944), che ci porta dentro il “regno dell’Astratto”. L’americano Paul Jackson Pollock (1912-1956) che, detto con parole mie, è stato un dissacratore della pittura, stravolgendone i canoni, per esempio introducendo sulle sue tele “sgocciolamento dei colori gettati sulla superficie”, a caso e “Schizzi dappertutto/ per rintracciare poi/ le cicche delle sue/ sigarette finite sulla/ tela, insieme ai bottoni,”. Uno sguardo alle tele della messicana Frida Kahlo (1907-1954), la mancata medico, i cui soggetti aztechi richiamano la sua terra. Assistiamo alla natura floreale rivisitata del pittore francese Henri Rousseau (1844-1910), e agli animali dipinti con la fantasia dei bambini, una sorta di “Primitivismo in chiave positiva”. Il viennese Gustav Klimt (1862-1918) che esaltava le donne attraverso il “contrasto della notturnità con le stelle,”. Ricordiamo lo scultore rumeno Costantin Brancusi (1876-1957); l’artista slovacco emigrato in America che aveva cominciato come vetrinista, figurinista, disegnatore di scarpe e altro. Andy Warhol (1928-1987), ingegnoso fotografo sperimentò meccanismi per replicare con varie sfumature a piacere, come le icone famose di Marilyn Monroe, Marlon Brando, Elvis Presley. La Nostra ci trasporta nella classicità del tempo di Minosse o alle colonne doriche del tempio di Giunone, di Caspar David Friedrich (1774-1840). Vediamo la luna naïf di Ligabue; e la luna che diventa il volto dei personaggi nel pittore russo Mark Cha-


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gall (o anche Sagal, 1887). Non poteva mancare l’olandese Vincent Van Gogh (1853-1890) e la sua corrispondenza epistolare artistica e umana con il fratello Theo. Alcuni componimenti sembrano una trasognata evasione, in cui la Poetessa si abbandona alle reminiscenze che le fanno sentire l’odore della laguna di Venezia, al tempo dell’Accademia; così come quando si chiede se ascolterà l’urlo di Edvard Munch. Si incanta dinanzi alle donne ritratte dal Vermeer e sulle donne del pittore novarese Felice Casorati (1883-1963) che era stato pure sindaco. Ed anche un pensiero alla “musa del teorema” innamorata di Pitagora, di Euclide (e di Talete). Giunti fin qua, come promesso, Isabella Michela Affinito si sofferma nella critica cinematografica al film Mona Lisa Smile, del regista Mike Newell (USA, 2003, colore, 117 minuti). Ad ogni buon conto ripetiamo l’identità del soggetto raffigurato sulla tela, che riguarda la moglie di Francesco Del Giocondo, una posa che, fra l’altro, ha fatto supporre “un riverbero” dello stesso Leonardo, “l’effige del suo alter ego”. Torna utile un breve riferimento alla trama. In un college femminile, degli anni cinquanta del secolo scorso, una professoressa di storia dell’arte, “matura e con uno stipendio regolare”, stupiva le sue allieve snob per essere rimasta nubile; ebbene la tesi è che si tratta della “libertà di scelta da parte soprattutto dell’essere femminile”. Così la signora Giocondo, ovvero la Gioconda, nelle intenzioni di Leonardo, vuole dirci “faccio quello che voglio, pensate un po’!)” (mie virgolette); e con tutto il rispetto dovuto alle circostanze anticipa di cinque secoli le rivendicazioni delle donne, i movimenti femministi. Tito Cauchi

CARLO MORGANTI DIKTAT Rescissione unilaterale del trattato di pace del 10 febbraio 1947 Book Sprint Edizioni, 2019, Pagg. 158, € 19,90 Riflessioni di estrema sintesi Il volume dell’avv. Carlo Morganti, Rescissione unilaterale del trattato di pace del 10 febbraio 1947 – Diktat, è un vero e proprio testo articolato; che si sviluppa entro un ampio panorama storico che affonda le radici nella civiltà romana, cristiana, sociale. Richiede molta attenzione sulle argomentazioni relative agli antefatti e sulle conclusioni che vengono anticipate fin dalle prime righe. Il sottoscritto in estrema sintesi asserisce che l’autore ripropone argomenti imperniati sugli eventi di fine guerra, giudicati sotto l’aspetto di dottrina

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giuridica che portarono alla Costituzione della Repubblica Italiana. Disquisisce ampiamente nelle vesti di quattro figure (conferenziere, consultore, legale di fiducia, firmatario di petizione) e cita particolarmente tre persone (dott. Duvina, Guido Mussolini, dott. Giannini) che sono fulcro dei tre temi trattati: 1- Discendenti di Casa Savoia (Art. XIII, D.T. e Finali della Costituzione); 2- Dall’arresto di Benito Mussolini al Referendum Costituzionale (25 luglio 1943 - 2 giugno 1946); 3- Trattato di Pace (da cui il titolo). Sono argomenti che ha discusso nell’ambito delle conferenze al “Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace” (dal 1981 al 1994; per quanto ne sappia trattasi di organizzazione fondata dal vescovo palermitano Vittorio Busà, da qualche anno defunto, che preferiva firmarsi Victor e vantava origini importanti). L’Autore è Responsabile del settore giuridico, della “Consulta dei Senatori del Regno” (altra organizzazione di cui ignoro la natura giuridica). Legale di fiducia nel processo, dinanzi al Tribunale penale di Como, promosso da Guido Mussolini, nipote diretto di Benito Mussolini “per la ricerca e la condanna degli assassini del nonno Benito e degli eventuali mandanti” e primo firmatario della petizione presentata alle Camere del Parlamento e a Istituzioni Governative, con il patrocinio del “Movimento patriottico Fiamma Tricolore”, in due Legislature (2017 e 2018). Dagli incarichi ricoperti si comprende perché il Nostro si rivolga con intento di fare informazione di cultura storica e politica, con tesi ideologica definita. Nel corso della trattazione richiama la “situazione costituzionale che investe la personalità giuridica dei Discendenti di Casa Savoia”, riferita dal Prof. Dott. Pier Luigi Duvina, Presidente della “Consulta”, con espressa richiesta di riparare a una ingiustizia verso i due eredi (Vittorio Emanuele figlio del Re Umberto e di suo figlio Emanuele Filiberto). Afferma con Guido Mussolini: “si giunge alla conclusione che all’ Italia fu dato consiglio di entrare in guerra, dietro segreto suggerimento, da Winston Chur-


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chill” (pag. 56). Infine si sofferma sulla “Consulenza Tecnica Storica di Parte Lesa” del Dott. Filippo Giannini, sull’uccisione di Benito Mussolini. L’ampia disanima dell’avv. Carlo Morganti viene condotta sia sotto l’aspetto costituzionale, sia richiamando la prima guerra mondiale, sia ricordando gli interessi occulti delle grandi potenze, per commentare: “avanza sempre di più la divulgazione della primordiale ‘cultura celtica’ del tutto estranea alla Civiltà romana” (pag. 60). In sintesi, se la destituzione di B.M. era illegittima, diventa illegittimo tutto il seguito, quindi anche il Trattato di Pace del quale si chiede la Rescissione. Questa nostra Repubblica edificata sulle macerie della seconda guerra mondiale e sui conflitti fratricidi, stenta a risorgere dopo la tre volte dormiente Araba Fenice, dalla caduta dell'Impero di Roma (mi si passi lo svolazzo letterario). 4 maggio 2020, Tito Cauchi

TITO CAUCHI DOMENICO DEFELICE Operatore culturale mite e feroce Editrice Totem, Roma 2018, pp.347 Esaustiva, chiara è questa splendida monografia che Tito Cauchi dedica all’artista geniale e versatile che è Domenico Defelice, che ha al suo attivo molte opere che vanno dalla poesia, alla prosa, alla critica nelle sue varie forme. Si aggiunga, a tutto ciò, che Defelice è un instancabile operatore culturale. Senz’altro egli occupa un posto di primo piano nella letteratura italiana contemporanea e sulla sua opera esiste una ricca e folta, qualificata bibliografia. Nella monografia viene presentato Defelice poeta <<Sognatore con i piedi a terra>> e si ripercorre la sua vita: dalla giovinezza alla maturità. Poi viene affrontato il Domenico Defelice critico <<Severo e onesto. Dal letterario alla pittura>>; nel terzo capitolo sono analizzati i saggi letterari, e, poi, nel capitolo quarto, quelli sociologici; nel quinto ci viene offerto il profilo dell’A. attraverso scritti autobiografici. Nell’attenta monografia si legge pure come la critica ha visto e giudicato l’opera e la personalità dello scrittore, poeta e saggista calabrese, ma che ormai da tanti anni vive e opera a Pomezia, e qui dirige la benemerita rivista mensile di arte e letteratura <<Pomezia notizie>>. Tito Cauchi ci fornisce ancora notizie varie, ed ecco la presenza del poeta nell’Università di Roma <<Tor Vergata>>,dove è intervenuto varie volte a parlare di

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poesia e dove, ancora, si è incontrato con vari studenti in occasione di giornate di studio sulla sua scrittura poetica. Questa monografia nasce dalla conoscenza profonda che Cauchi ha di Defelice: i due si sono conosciuti nel 1993 e Cauchi, a mano a mano, scopre la varia e complessa personalità di Defelice: editore, operatore culturale, saggista, professore, scrittore, poeta, cronista, giornalista ed anche vignettista, pittore, amante della campagna, uomo di fede, attaccato alla famiglia e infine amico. Sono parole che pure io sottoscrivo personalmente. Le parole riportate prima si possono leggere all’inizio della Premessa di Cauchi al suo libro che si propone di presentare <<un quadro >> della personalità di Defelice. Leggendo il libro si vede come Defelice si muove nel suo ambiente e nella letteratura. Balza fuori dalle pagine un autore – lo dicevo prima - versatile, poliedrico, che spazia dai temi amorosi a quelli sociali, fustigando per esempio gli apparati corrotti del <<potere e del sottobosco che vive nell’ombra>> (p. 10). Cauchi molto bene analizza il Defelice poeta, e l’analisi parte da <<Piange la luna >>, una raccolta di dieci poesie risalente al 1957, e viene notato, tra le altre cose, che la poesia che apre la raccolta, <<Visita al cimitero in un mezzogiorno d’ estate>>, è <<magnificamente descrittiva>>. In questa raccolta si mostra un Defelice assai giovane ma che ha già un suo linguaggio <<intenso>>, <<delicato>>, <<maturo>>. Cosi, ancora, sono bene analizzate altre due raccolte poetiche che indicano le diverse facce del poeta, <<Con le mani in croce>> del 1962 e <<Un paese e una ragazza>> del 1963, e ancora << 12 mesi con la ragazza>>, e varie altre sillogi poetiche. In sostanza, Tito Cauchi, con opportune citazioni dei versi, risale e indica quelle che sono le caratteristiche fondamentali della poetica di Defelice, che nel corso del tempo ci ha dato sempre sorprendenti e belle sillogi poetiche. <<Nenie, ballate e canti>> del 1963, la mirabile composizione <<Alpomo>> del 2000, poi ancora <<Resurrectio>> del 2004, <<Alberi?>> del 2010, <<A Riccardo (e agli altri che verranno) >> del 2015, per esempio. Puntuali e ben documentate le pagine che riguardano l’attività critica di Defelice che è stata svolta nel corso degli anni dall’A.; che si è concretizzata in vari e importanti libri: <<Le poetesse e l’ amanuense>> del 1996, <<Pagine per autori calabresi del Novecento>> del 2005, <<Poeti e scrittori d’oltre frontiera>> del 2005. Defelice non si è solo dedicato alla critica letteraria, ma pure a quella artistica, a quella d’arte ed ecco il libro del 1975 dal titolo suggestivo <<Andare a quadri>> e poi suoi vari interventi e pagine critiche su pittori vari


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che sono stati pure poeti, e accanto a questi vanno citati altri nomi di artisti, scrittori critici ed ecco Rudy de Cadaval, scrittore veneto, e poi ancora Francesco Pedrina, e altri ancora: Nicola Napolitano, la poetessa Maria Grazia Lenisa. Ben messi a fuoco i saggi sociologici, saggi che alcuni risalgono al 1963 e altri al 1987. <<Arturo dei colori>>, e ancora sono discussi altri saggi risalenti al 1989. In sostanza, ci si imbatte in vari artisti molto validi e significativi: Saverio Scutellà, Michele Frenna, per esempio. Per quanto attiene ai saggi letterari cito quello su Rocco Cambareri del 1968, e ancora quell’altro su Geppo Tedeschi del 1969, su Franco Saccà del 1980, su Ada Capuana del 2000. Defelice ha pure lumeggiato e indagato la personalità di vari artisti e operatori culturali ed ecco il Calabrese Francesco Fiumara che fondò la rivista <<La Procellaria>>. Tito Cauchi analizza molto bene questi scritti di Defelice dedicati a questi autori. Ben messi a fuoco sono i lavori di prosa di Defelice <<La mania del coltello >> del 1963, <<Arturo dei colori>> del 1987, <<L’orto del poeta>> del 1991, opera questa definita dal poeta stesso <<schegge di articoli mai completati, riflessioni, […], in più di trent’anni abbandonati nel pozzo dell’orto e della dimenticanza>>, e che vanno dal 1958 al 1989. Ancora da segnalare l’altra significativa opera dal titolo <<Meditazioni sulla morte della prima Repubblica>> del 1994. Comunque, dai suoi scritti emerge il profilo umano, la vita, le frequentazioni letterarie, le amicizie del poeta e scrittore, e cosi ci sono date varie e diverse notizie su poeti, scrittori, artisti, critici, pittori e via dicendo. Non vanno taciute le lettere ed ecco quelle di Solange De Bressieux, quelle della Lenisa che si leggono nel bel quaderno <<Il Croco>>. Oramai su Defelice – come dicevo prima - esiste una vasta e qualificata bibliografia critica, e penso soprattutto alle analisi e ai giudizi di studiosi e autori come Orazio Tanelli, le indagini puntuali e penetranti di Sandro Allegrini (<<Percorsi di lettura per Domenico Defelice >> del 2006), analisi ben tenute presenti da Cauchi, e poi ancora vanno segnalati gli scritti di Eva Barzaghi e le finissime analisi di Claudia Trimarchi e Aurora De Luca. Un libro, questo di Tito Cauchi, molto utile e che illumina in modo magistrale la vita, la personalità, l’opera di un autore ben presente e attivo nel panorama della letteratura contemporanea, come è appunto Domenico Defelice che ha lavorato e lavora con intelligenza e sensibilità, raggiungendo esiti grandissimi nelle varie espressioni dell’arte. Carmine Chiodo

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DOMENICO DEFELICE LE PAROLE A COMPRENDERE Genesi Editrice S.A.S., 2019 Una cavalcata possente nella vita, nei ricordi, nei pensieri questa del poeta Domenico Defelice (specialmente nella prima parte della silloge). Nella sua personale concezione della poesia affiorano echi classici e novecenteschi. È lui il patriarca di una famiglia felice che sovente lo ispira e lo esalta. Numerose le poesie dedicate ai matrimoni dei figli e alla nascita dei nipotini. Identico stato d’animo gli deriva dalla natura, si tratti dell’amata Calabria o del suo giardino. Un esempio: “Ho legato un’amaca/ ai rami alti del cedro./ Supino una brezza leggera mi culla./ Che mare vasto il cielo!”. Altra caratteristica di queste liriche deriva dal linguaggio usato: i versi liberi possono incorniciare una vena epica, romantica, o una coloritura popolaresca, che si fa malinconia nella rievocazione di amici scomparsi. Qualche esempio: “Autunno, fantastico, bizzarro,/ messaggero di male sottile,/ all’ inverno e alla fine incammini”. Nella lirica che dà il titolo alla raccolta l’autore esprime l’ inadeguatezza della parola. “Singolarmente o in prosa/ sempre inadeguate sono/ le parole a comprendere/ il senso della vita e delle cose”. Il senso della vita (un rovello per tutti i poeti e per tutti i filosofi) però viene risolto da Defelice con un totale abbandono a Dio. “Mi dici che sono il tuo tempio./ Una topaia l’ho ridotto, un porcile./ Aiutami a spazzarlo/ nel lasso di tempo che mi resta”. Decisamente mutata l’atmosfera nella seconda parte del libro (Ridere per non piangere), più tendente al sociale, all’ironia, allo sberleffo, all’esame impietoso della politica. Vi ritroviamo i nomi di tutti gli esponenti dei vari partiti. Si va dal Partito dell’amore al Bunga bunga, al menù raffinatissimo a prezzi stracciati che si degusta al ristorante dei senatori. “Di pollo il petto? Di manzo una bistecca?/ I ristoranti dei parlamentari/ felici te li servono di botto/ al costo veramente eccezionale: solo due euro appena e sessantotto!” Ritroviamo in questi versi gli echi di una celebre raccolta dell’autore (Alpomo). Segue la parte terza: epigrammi decisamente iconoclasti. Si legga “A un borioso”. “Tutta la tua sostanza è una targhetta/ appiccicata sopra il tuo portone/ una carta intestata, un’etichetta/ che un giorno finiranno in un bidone”. Infine recensioni dove letteralmente si gioca con le parole: “Par olé parole,/ in vece paro le/ orlape lorape praole…”. Si loda infine la sregolatezza: “Cara schizofrenia,/ cara delirante pazzia,/ cara logorroica follia/ cara


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mente in ludi ottenebrata…”. Nella postfazione Emerico Giachery riscontra (specie nella seconda parte) il rovescio della medaglia della poesia canonica e la giustifica con la frase di Giovenale “Facit indignatio versus”. La coltissima prefazione di Sandro Gros-Pietro segue lirica per lirica la poetica di Domenico Defelice, poeta che si inserisce negli “Archivi della memoria letteraria dell’ultimo Novecento e della prima metà del Duemila come scrittore di alacre impegno esercitato sui diversi fronti della poesia, della narrativa, della critica e della rivista letteraria di spessore culturale”. Elisabetta Di Iaconi

ALDO RIPERT PAROLE IN PENTAGRAMMA Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto - Anscarichae Domus Accademia de’ Nobili Editore, 2019 - Pagg 62, € 10,00 Parole come note musicali/ in melodica sequenza,/ ardite e schive,/che parlano di vita”. Questi sono i versi che troviamo nella poesia che apre la silloge “Parole in pentagramma”, composta da quarantadue liriche, nelle quali le parole, come le note di una canzone, scivolano tra i versi di Aldo Ripert. Molti sono i temi affrontati: la nascita, la morte, l’infanzia, le città, i luoghi del mondo, la vita contadina ed il rapporto amoroso tra mamma e figlio, descritto sempre con delicata purezza: “ come bimbo s’abbraccia alla madre/ che bellezza più bella divien”; “la mamma e il bimbo [...] uniti nell’ intesa, [...] si scambieranno pe’l resto della vita/ l’illusione dell’infinito amore”; “Misto di gioia e di dolore è il pianto/ della madre che nasce al suo bambino”. Particolarmente bella è la poesia che descrive il poeta che ascolta il silenzio del mondo, cogliendo il pallido fiore dell’alba, bacia l’aurora e cattura la stella primiera; il poeta è l’unico in grado di ascoltare la voce della prima stella del mattino, nel silenzio della solitudine. Lo stile dell’autore è raffinato ed elegante, grazie all’uso di parole dotte o latinismi, l’uso di varianti antiche e poetiche come spirto, avea, imago, priego, vetusta, etade, adusa, spandea, al cangiar del sembiante, desio, speme, alma e molti altri che impreziosiscono il testo rendendolo garbato e ricercato. Scrive nella prefazione Marcello Falletti di Villafalletto: “Accanto a temi più attuali, ai ricordi del passato, a personaggi osservati, ad avvenimenti che hanno segnato in modo indelebile un animo sensibile, si può rintracciare una non più silenziosa vena romantica che, unendosi a quella stilistica, riesce a creare quella magia at-

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ta a rendere l’esistenza più gradevole, seppur attraversata dalle inevitabili sofferenze alle quali il genere umano è costantemente sottoposto”. Poesie soffusamente malinconiche che descrivono quello che il poeta vede, giocando con le parole con grande maestria: “Sopita nel profondo,/ la fantasia s’asconde,/ culla di sogni fragili/ e solide realtà”; descrive in quale modo si formano i versi nella sua mente : “ cotali parole/ fascinose e altere,/ turbinando a vagar/ nel campo del pensiero/ danzan ritrose/ evanescenti e schive”. Aldo Ripert ha pubblicato numerose poesie e sillogi, nel 2016 ha vinto il terzo premio alla 11° edizione del Concorso Internazionale di Poesia “Danilo Masini” con la lirica “Il bambino e l’aquilone” che chiude la raccolta. Il giorno prima di andarsene, il maestro Ezio Bosso ha detto in un’intervista che la musica sussurra e ci svela la vita, così come le parole in pentagramma del poeta Ripert ci svelano la vita passata, presente e futura per un’orchestra di emozioni e suoni dell’anima. Manuela Mazzola

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE ADDIO A GERVASO - Il 2 giugno 2020, a Milano, è deceduto Roberto Gervaso. Era nato a Roma il 9 luglio del 1937. Scrittore ironico, spiritoso, graffiante, fuori da ogni regola, da ogni coro, intelligente, di profonda cultura classica (si era laureato in lettere con una tesi su Tommaso Campanella), ma che non trascurava la lettura e la frequentazione di autori moderni. Amava, in particolare, Orazio e Seneca soprattutto. Collaborò con periodici e quotidiani, tra i quali Il Corriere della Sera, Il Mattino


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e Il Messaggero, sul quale ultimo era famosa la sua rubrica - quasi giornaliera e firmata per tanti anni Il Grillo parlante (titolo anche di un suo volume); ha collaborato con radio e tv e celebre è stato il suo programma Peste e Corna e… Gocce di storia. Politicamente era un liberale anticonformista tendente all’anarchia, come la maggioranza in Italia (“Italiani pecore anarchiche”). Importante è stata la sua collaborazione col grande Indro Montanelli, con quale ha firmato ben sei volumi della famosa Storia d’Italia. Soggiornò in tante città italiane e all’ estero, ma, in particolare, nella Capitale che lo vide nascere e alla quale riserbò non solo amore, ma anche celebri frecciate (tanto per non smentire la sua natura sgusciante!): “Finché Roma era un bordello con una maitresse - soleva dire -, era possibile viverci. Oggi non c’è una maitresse e Roma è diventata una porcilaia, una discarica a cielo aperto”. Non era cattolico, ma agnostico, pur augurandosi che l’Aldilà non fosse solo un buco nero: “Certe prediche mi fanno venir voglia di commettere i peccati che condannano”. Sostanzialmente spartano, vegetariano, pur amando

le donne, gli amici, il cibo. Tra i tanti Premi da lui vinti, ricordiamo il Bancarella del 1967. Numerosi i suoi saggi storici e le sue biografie, tra le quali: Casanova (1974), I Borgia (1976), Nerone (1978), Claretta (1982). Ha scritto romanzi e saggi vari. Tra i tanti volumi, citiamo: Il dito nell’occhio (1977), La pulce nell’ orecchio (1979), La mosca al naso (1980), Spiedi e spiedini (1981) eccetera. Tra i volumi di aforismi: Il grillo parlante (1983) già ricordato -, La volpe e l’uva (1989), La vita è troppo bella per viverla in due (2015). Ecco quattro dei suoi celebri afo-

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rismi: “Per essere giudicati intelligenti dai cretini basta non farsi capire”; “La vita è la più monotona delle avventure, finisce sempre allo stesso modo”; “La verosimiglianza è più vera della verità”; “L’uomo è un condannato a morte che ha la fortuna di non conoscere la data della sua esecuzione”. A Roma, gli è stata allestita la Camera ardente il 4 e il 5 giugno, nella Sala della Protomoteca del Campidoglio; i funerali sono stati celebrati sabato sei giugno, nella Chiesa degli Artisti, in Piazza del Popolo. D. Defelice *** È POSSIBILE, MA NON PROBABILE - Qualche giorno fa è apparso su Vatican News, l’articolo “Coronavirus l’improbabile alleato della Terra” di Padre Benedict Mayaki, che ha sollevato molte polemiche. Il gesuita ha scritto: “I cambiamenti nel comportamento umano dovuti alla pandemia del virus Covid-19 stanno portando benefici non intenzionali al pianeta”. Sembra quasi che la pandemia sia un’opportunità per cambiare i nostri comportamenti. Si evince dal testo che la riduzione dell'attività umana, sia da ritenere un aspetto utile dal momento che la Terra sta guarendo se stessa; il gesuita ha affermato, inoltre, che è diminuito l’inquinamento in Cina, da cui sembrerebbe provenire il virus; ha parlato del ritorno di alcune specie animali nelle città, come gli uccelli migratori ed il ritorno delle acque limpide a Venezia. In effetti abbiamo visto tutti, sia in televisione che sulla Rete i cigni, i cerbiatti sulle strade, gli orsi scendere dal balcone d’un edificio ed infine anche un lupo aggirarsi indisturbato nella zona tra Decima Malafede e Torvajanica. Questi benefici collaterali della pandemia sono stati messi troppo in evidenza, forse, elogiati più di quello che doveva essere, poiché molti lettori si sono scagliati contro il religioso anche con parole forti, tanto che l’articolo è stato eliminato. A parte le offese, il buon Mayaki ha dimenticato che il Coronavirus ha ucciso milioni di persone, ha cancellato una generazione intera, e lo ha fatto nel peggiore dei modi, attraverso sofferenze atroci e in piena solitudine; ha diviso intere famiglie, tutte isolate nelle loro case. E’ vero che l’isolamento in cui tutto il mondo si è trovato, ha portato il calo dell’inquinamento atmosferico, ma anche dei mari, degli oceani poiché le fabbriche si sono fermate, anzi, quasi tutto si è fermato, ma è anche vero che numerose persone hanno perso la vita e tante altre il lavoro, che ricordiamo nobilitando l’uomo, permette alle famiglie di vivere; molte persone lo hanno perso e stanno aspettando ancora il bonus di 600 euro messo a disposizione dal decreto Cura Italia. È


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stato osservato dagli scienziati di tutto il pianeta che i focolai virali più estesi di «SARS – COV-2» si sono sviluppati in aree, indiscutibilmente, molto inquinate, ossia la Pianura Padana, il Bergamasco e la provincia dell’Hubei, dove si trova la città di Wuhan, in Cina. Ma per quale motivo alcune zone hanno sofferto e veicolato di più il virus? La risposta viene dalla ricerca svolta dall’Unità investigativa di Greenpeace Italia in collaborazione con ISPRA, che spiega che gli ossidi di azoto, di zolfo e l’ammoniaca liberata in atmosfera si combina generando le polveri fini. In Lombardia ad esempio gli allevamenti intensivi sono responsabili dell’85 % delle emissioni di ammoniaca, la quale è un terzo del PM, ossia del Particulate Matter o Particolato, l’insieme delle sostanze sospese nell’aria che hanno una dimensione fino a 100 Micrometri, composte da fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi e solidi che si fermano nell’atmosfera per diversi motivi, a causa della terra, del sale marino, dei pollini, dell’eruzioni vulcaniche, del traffico, del riscaldamento, dei processi industriali e degli inceneritori. In Italia il settore più inquinante è il riscaldamento residenziale e commerciale, il 37% del totale, mentre quello degli allevamenti è del 17%. Secondo la ricercatrice Angela Marinoni dell’ Istituto di Scienze dell’Atmosfera, non è scientificamente provato che le polveri sospese in atmosfera possano veicolare il virus all’interno delle vie respiratorie, è possibile, ma non probabile. È invece noto che l’esposizione prolungata a elevate concentrazioni di inquinanti, in particolare le polveri sottili, provochi malattie respiratorie e cardiovascolari. Manuela Mazzola *** GENOVA DI CARTA - Con piacere segnaliamo l’edizione del volume Genova di carta – Guida letteraria della città, ideato e realizzato da Alessandro Ferraro. Un percorso dal ponente al levante di Genova, dalla fine dell’Ottocento a nostri giorni, per scovare o riscoprire i luoghi dei poeti (da Gozzano a Campana, da Sbarbaro a Montale, da Caproni a Sanguineti, da De Signoribus a Testa) ma anche dei narratori (da Remigio Zena a Flavia Steno, da Arpino a Soldati, da Tabucchi a Maggiani) e di qualche grande autore solo “di passaggio” in città (da Carlo Emilio Gadda ad Anna Maria Ortese). Per valorizzare questo patrimonio urbanistico-letterario con pagine affidabili e appassionanti; in una circostanza come quella che ci tocca di attraversare, in cui abbiamo voglia di riappropriarci degli spazi, dell’aria aperta,

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delle nostre città, questo libro potrebbe essere di conforto e di stimolo. C’è da camminare, da emozionarsi e divertirsi, e alla fine pure da bere, durante la chiacchierata con Enrico Testa ed Ernesto Franco sui luoghi letterari. Il libro è già disponibile nelle librerie e nelle piattaforme online. Fondazione Mario Novaro Onlus *** PREMIO FRANCESCO GRAZIANO L’Associazione Culturale ilfilorosso bandisce la nona edizione del Premio Nazionale di Poesia e Narrativa Francesco Graziano. Scadenza: 31 Agosto 2020. Cinque sezioni: Sezione A: Raccolta di poesia inedita in lingua italiana: si partecipa inviando una raccolta inedita di poesie. Sezione B: Poesia inedita a tema libero in lingua italiana: si partecipa inviando una sola poesia inedita, che costituisca un momento significativo nel percorso letterario dell’ autore. Sezione C: Haiku inediti in lingua italiana: si partecipa inviando cinque haiku in lingua italiana. È richiesta l’osservanza delle regole formali degli haiku: tre versi di 5-7-5 sillabe (osservando le regole metriche– non sillabiche – della lingua italiana). Sezione D: Romanzo inedito in lingua italiana: si partecipa inviando un romanzo o racconto lungo inedito. Il testo non dovrà superare le 150.000 battute (spazi inclusi). Sezione E: Narrativa breve a tema libero in lingua italiana: si partecipa inviando un solo racconto breve inedito, senza vincolo di contenuto. La prosa può appartenere a generi diversi: racconto, fiaba, dialogo, lettera ed ogni altra forma di narrazione. Il testo non dovrà superare le 4 cartelle (10.000 battute spazi inclusi). Chiedere bando completo a: Associazione Culturale ilfilorosso-Premio nazionale di poesia c/o Gina Guarasci Graziano, Via Dalmazia 11, 87100 Cosenza. Per informazioni: Scrivere all’indirizzo premiograziano@gmail.com oppure telefonare al 340 6105021.

LIBRI RICEVUTI VINCENZO GASPARRO - I gabbiani non conoscono il male - Introduzione critica di Vincenzo Di Oronzo - Ed. Youcanprint, 2020 - Pag. 50, € 10,00. Vincenzo GASPARRO è nato a Ceglie Messapica (BR). Poeta e scrittore. Tra le sue tante opere: La pampanella amara (1989), 5 Dicembre ’93 con altri (1993), Taccuino (1994), Parole mai distratte (2000), Grazie per i balconi fioriti (2001), Barchette


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arancio e limone (2002), Nel mattino disperso (2004), La cura di Gaia (2006), Il passero maldestro (2008), Una famiglia borghese (2009), Melagrane scarlatte more nere (2010), Il sortilegio della casa antica (2011), Tutte le poesie (1994 - 2012) (2014), Novecento. Biografia di un paese (2016), Fresco mattino come la tua spalla (2016), Paese mio vivrai (2019, Cartesio è andato via (2019). ** ANNA VINCITORIO - In tempi diversi il mio ritorno - Antologia critica a cura di Carmelo Mezzasalma - Ed. Blu di Prussia, 2020 - Pagg. 244, € 17,00. Anna VINCITORIO è nata a Napoli, ma è vissuta quasi sempre a Firenze. Studi classici, laurea in Giurisprudenza. Ha insegnato materie giuridiche. Dal 1974 si occupa di poesia, critica, letteratura, collaborando a prestigiose riviste letterarie. Tra i suoi volumi di poesia: “Nebbie e chiarori” (1982); “Trama verde sull’aria” (1986); “Il canto fermo della fine” (1988); “L’esilio delle tartarughe” (1991); “I girasoli” (1992); “Alchimie” (1993); “Dissolvenze/flots” (1995); “L’agguato sommerso” (1997); “Le nozze di Cana” (1999); “L’ultima isola” (2000); “Filastrocche per l’angelo” (2001, versione francese 2010); “La notte del pane” (2004); “Sognando Estoril” (2007, versione spagnola 2009); “Il richiamo dell’acqua” (2009); “Sussurri” (2013). Prosa: i racconti “San Saba”, dall’inedito “Il limo di Eva” (1990); “L’Adelina” (1994); “Lettera ad un amico” (1996); “Ermanno” (1996) e poi “Il limo di Eva” (2010); “Per vivere ancora” (2012); “Il dopo Estoril” (2014). Numerosi saggi critici e traduzioni. ** ALDO RIPERT - Parole in pentagramma - Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto - Immagine di copertina, a colori, di Diego Ripert - Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editore, 2019 - Pagg. 64, € 10,00. Aldo RIPERT è nato a Roma il 9 giugno 1939. Ha ricevuto premi e riconoscimenti. Tra le sue opere: Faran Faran in memoria di Gianni Rodari (1984), La leggenda del “misero Achille” (2010). ** ALESSIO ARENA - ELISA IACOVO - L’ importante è che non diventi un’abitudine. Intervista ad Alessio Arena - Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editore, 2019 - Pagg. 52, € 10,00. Alessio ARENA è nato a Palermo il 12 ottobre 1996. Laureato in Lettere. Ha condotto La biblioteca di Babele; ha collaborato con la Treccani; Ambasciatore del C. P. Per il Club per l’Unesco di Matera attraverso il progetto “Distributori di Poesia”; ha vinto numerosi premi; Accademico dell’Accademia Collegio de’ Nobili per meriti arti-

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stici e culturali; Presidente dell’Osservatorio Poetico Contemporaneo; Direttore esecutivo del Sito archeologico di Calathamet. Tra le opere pubblicate: Cassetti in disordine (2016), Lettere del Terzo Millennio (2016), Campi aperti (2017), Il mondo a ribaltone. Il teatro nel gesto di Dario Fo” (2018), Il cielo in due (2019). Elisa IACOVO è nata a Belvedere Marittimo (CS) nell’aprile del 1996. Laureata in Scienze dell’Informazione, indirizzo Giornalismo. Collabora con testate on line, con Radio Street Messina eccetera; ha conseguito il Master Digital Communications Specialist all’Università del Sacro Cuore di Milano e attualmente lavora per Show Reel nella sezione Factory, tra le più importanti realtà italiane di mamagement di talent provenienti dal web. *** MARIA TERESA INFANTE - Il richiamo L’Oceano nell’Anima Edizioni, 2017 - Pagg. 120, € 13,00. Maria Teresa INFANTE è nata a San Severo il 20 marzo 1961. Ideatrice e curatrice della trilogia poetica e letteraria “Ciò che Caino non sa”: La tela di Penelope (vol. I, 2014), Odi et amo (vol. II, 2015), Amore e Psiche (vol. III, 2016), è vicepresidente dell’associazione culturale L’Oceano nell’Anima e responsabile del settore editoriale della stessa; Collaboratrice del giornale Il Corriere di San Severo; Ambasciatrice di Pace della Universum Academy Switzerland e Accademico onorario della stessa; Ambasciatrice del Premio Letterario internazionale L. S. Senghor di Africa Solidarietà Onlus. Tra le sue opere edite: Quando parlerai di me (2012), C’è sempre una ragione (2014), Il viaggio (2016), Itinere (2016).

TRA LE RIVISTE LETTERATURA E PENSIERO - Rivista trimestrale di scienze umane diretta da Giuseppe Manitta - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Castiglione i Sicilia (CT) - E-mail: angelomanitta@gmail.com; angelo.manitta@tin.it; giuseppemanitta@ilconvivio.org - Riceviamo il n. 3, gennaio-marzo 2020, di pagine 256, del quale ne diamo il Sommario: Giuseppe Manitta, Leopardi, Paolo Costa e il ridicolo. Per una preistoria delle Operette morali; Vincenzo Guarracino, Leopardi e la felicità; Vittorio Capuzza, Isabella di Morra e Giacomo Leopardi: un’indagine fra le fonti; Gianfranco Barcella, Camillo Sbarbaro: un uomo solo, dall’anima stanca di godere e di soffrire; Carlo Di Lieto, Le risonanze dell’illimite nella Quinta di-


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mensione di Corrado Calabrò; Fabio Russo, Del pensiero e della letteratura. Dello scrivere onesto; Francesco D’Episcopo, Per un ritratto senza retorica: Renato Filippelli; Gianluca Sorrentino, L’eredità di Günter Grass: una lezione sulla carnevalizzazione della storia e dell’uomo moderno; Anna Gertrude Pessina, La scottante attualità e modernità dei feuilletons di Francesco Mastriani; Claudio Tugnoli, Sull’opera poetica di Maddalena Capalbi; Fabio Russo, Puro/impuro, sacro/profano nell’animale del Levitico e del Deuteronomio riguardo il rapporto dell’uomo verso Dio; Otilia Dorotea Borcia, “La crocifissione” nella pittura dei maestri italiani dal duecento al cinquecento; Vittorio Capuzza, Una lettera inedita di Luigi Capuana e la sua prefazione al libro di Astrid Ahnfelt sul terremoto del 1908; Angelo Manitta, La battaglia di Francavilla (20 giugno 1719) nel contesto della guerra di Sicilia (1718 - 1720) attraverso la relazione spagnola attribuita a Jean François De Bette, marchese di Lede; Nino D’Antonio, Luigi Mazzella, Elogio del pensiero libero; Ugo Piscopo, Carlo Di Lieto, Letteratura, follia e non-vita. In principio era l’Es; Claudio Tugnoli, Liliana Ianeva Satta, Frutto. Haiku; Carmine Chiodo, Angelo Manitta, La Sicilia nelle opere minori di Giovanni Boccaccio; Fabia Baldi, Corrado Calabrò, Quinta dimensione. Poesie scelte 1958-2018; Giuseppe Manitta, Domenico Cacopardo, Agrò e i segreti di Giusto; Maria Teresa Armentano, Dante Maffia, Profumo di Murgia; Angelo Manitta, Infinito Leopardi 2, a cura di Agostino Ingenito; Maria Gargotta, Bruno Prrisco, Il mistero di Ruth. Il racconto di un viaggio oltre la porta; Maria Gargotta, Anna Gertrude Pessina, La donna del ventesimo secolo. Dal cancan al charleston; Giuseppe Manitta, Gandolfo Cascio, Michelangelo in Parnaso. La ricezione delle “Rime” tra gli scrittori; Carmine Chiodo, Erick Pesenti Rossi, Fortunato Seminara lettore e critico. * POETI NELLA SOCIETÀ - Rivista letteraria, artistica e di informazione, diretta da Mariangela Esposito, redattore capo Pasquale Francischetti via Arezzo, 62 - 80011 Acerra (NA) - E-mail: francischetti@alice.it - Riceviamo il n. 99/100, marzogiugno 2020 e tra le tante firme, a diverso titolo, incontriamo quelle di Isabella Michela Affinito, Anna Aita e, in quarta di copertina, a colori, Vittorio “Nino” Martin con l’opera “Stevenà”, olio su tela 40 x 50.

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↑Domenico Defelice - Coste alberate di monti - biro, 2020 AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute). Per ogni materiale così pubblicato è gradito un contributo volontario. Per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. I libri, per recensione, vanno inviati in duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ ___________________________________ ABBONAMENTI (copia cartacea) Annuo, € 50.00 Sostenitore,. € 80.00 Benemerito, € 120.00 ESTERO...€ 120,00 1 Copia, € 5,00 (in tal caso, + € 1,28 sped.ne) Versamenti intestati a Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX Specificare con chiarezza la causale ___________________________________ POMEZIA-NOTIZIE Direttore responsabile: Domenico Defelice Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice Responsabile Posta Elettronica: Stefano Defelice ________________________________________ Per gli U.S.A.: IWA - Teresinka Pereira - 2204 Talmadge Rd. - Ottawa Hills - Toledo, OH 43606 - 2529 USA Per l’AUSTRALIA: A.L.I.A.S. - Giovanna Li Volti Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA


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