Pomezia Notizie 2021_1

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50ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Anno 29 (Nuova Serie) – n. 1

- Gennaio 2021 -

N° 1 della Serie online

LA SCALA NON È IL PARTENONE di Giuseppe Leone

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UTTO mi sarei aspettato, meno di vedere una Prima della Scala in perfetto stile Grande Fratello, all’interno di un teatro senza pubblico e senza applausi. Un appuntamento certamente mancato ma candidamente spacciato come Prima della Scala 2020/21, né più né meno. E per di più, ispiratore di belle speranze già nel titolo A riveder le stelle, ultime parole della Commedia dantesca, la sera del 7 dicembre 2020, a pochi giorni dal giro d’onore del Poeta attorno al mondan romore nel settecentesimo anniversario dalla sua morte. Certo, un titolo con tanto di allegoria, ma che allude a cose pur sempre materiali e mondane: le stelle della lirica, in barba all’allegoria dantesca. Tutto questo, come surrogato di Lucia di Lammermoor, l’opera che avrebbe dovuto inaugurare la stagione scaligera, ma che non ha avuto luogo a causa del coronavirus.


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All’interno: Luigi M. Lombardi Satriani: Omnia vincit amor, di Carmine Chiodo, pag. 4 Corrado Calabrò, L’altro, di Domenico Defelice, pag. 6 Le parole a comprendere di Domenico Defelice, di Nicola Prebenna, pag. 8 Nazario Pardini, Dagli scaffali della biblioteca, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 10 Aiuto! Anneghiamo nel porridge!, di Domenico Defelice, pag. 12 Isabella Michela Affinito e Monet, di Antonio Crecchia, pag. 14 Sandro Angelucci: Titiwai, di Domenico Defelice, pag. 16 Tito Cauchi: Angelo Manitta e Il Convivio, di Domenico Defelice, pag. 19 Gli anni senza limiti, di Leonardo Selvaggi, pag. 21 Il traghettante, di Wilma Minotti Cerini, pag. 25 Dediche, a cura di Domenico Defelice, pag. 30 Notizie, pag. 42 Libri ricevuti, pag. 44 Tra le riviste, pag. 46 RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Anima, di Francesco D’Episcopo, pag. 32); Tito Cauchi (Poesie controcorrente e racconti in versi, di Fabio Dainotti, pag. 33); Tito Cauchi (Colori e stupori della vita e della natura, di Lina D’Incecco, pag. 33); Manuela Mazzola (L’alba di un nuovo giorno, di Wilma Minotti Cerini, pag. 34); Manuela Mazzola (Poesia intimistica e civile in Bruno Rombi, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 35); Manuela Mazzola (Delitto alle saline, di Danilo Pennone, pag. 36); Maria Antonietta Mòsele (Il coraggio dell’amore, di Marcello Falletti di Villafalletto, pag. 36); Maria Antonietta Mòsele (Colori e stupori della vita e della natura, di Lina D’Incecco, pag. 37); Maria Antonietta Mòsele (Verso lontani orizzonti. L’itinerario lirico di Imperia Tognacci, di Marina Caracciolo, pag. 38); Anna Vincitorio (Dagli scaffali della biblioteca, di Nazario Pardini, pag. 38); Anna Vincitorio (Venezia è un vestito di sale, di Isabella Michela Affinito, pag. 40).

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Marina Caracciolo, Antonio Crecchia, Domenico Defelice, Ada De Judicibus Lisena, Luigi De Rosa, Maria Gargotta, Antonia Izzi Rufo, Aida Pedrina, Gianni Rescigno, Franco Saccà

Non voglio entrare nel merito dei brani musicali, dei passi di danza o dei versi di poesia che sono stati eseguiti; né delle prestazioni degli interpreti, né del commento dei presentatori. Mi sia solo concesso di dire che anche una sola nota a Bellini gliel’avrei lasciata cantare. Preferirgli Giordano, m’è sembrata una scelta di dubbio gusto. Ma non è questo il problema. Quale senso abbia avuto un concerto del genere, continuo a domandarmelo ancora dopo la sua conclusione. Eppure, l’occasione per fare qualcosa di nuovo e di diverso, questa volta c’era, eccome se c’era!

C’era, se si dava a questo 2020 la numerazione di Anno Zero relativamente a un pianeta che vive per la prima volta dentro la dimensione di una realtà unica e unificata (la seconda, se si dà credito storico al diluvio universale). L’occasione l’aveva avuta nientemeno la Scala con questa sua Prima, se solo avesse trasformato la sua 243esima inaugurazione in una serata esclusivamente destinata alla prosa. Ma non l’ha fatto. Non l’ha fatto, forse perché il celebre teatro non è stato libero di pensare, di sentire, di


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vedere, di scegliere. Eppure io credevo (sbagliando, ahimè, in pieno) che la Scala godesse di una maggiore identità nazionale e internazionale, tale da poterla spingere a rivivere l’esempio di Marinetti che, molti anni prima, nel lontano 1933, nel manifesto dei giovani artisti futuristi greci in cui si chiedeva la demolizione dell’Acropoli, consapevole dell’orgoglio nazionale greco, fece parlare il Partenone per invitarli ad allontanarsi dalla tradizione. Si poteva, perché no, far parlare anche la Scala, attraverso uno spettacolo che esortasse a riaprire i teatri. Perché il governo ha, sì, dettato le regole (mascherine, distanza e sanificazione), ma senza poi dare ai teatri stessi la possibilità di metterle in pratica. E non solo ad essi, ma neanche al cinema, allo sport, alla scuola. Ha fatto le leggi, ma ha negato a cittadini e istituzioni il diritto di esercitarle, disattendendo così a quell’articolo della costituzione in cui si legge che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Eppure, sarebbe bastato far viaggiare quelle riforme su ruote. Bastava solo dare l’imput, partendo dai trasporti. Cosa che non è stata fatta. Né la stampa, ligia, più che altre categorie, a portare la mascherina, ma sugli occhi, ha visto nulla per gridare al gigantesco errore. Quella sera la Scala avrebbe potuto parlare e Quasimodo le avrebbe anche prestato i versi per iniziare: E come potevano noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto,

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anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento. E poi? poi, non sto a dire altro, perché lo scopo di questo articolo non è la stesura di un copione alternativo, ma la denuncia contro una Scala che non s’è fatta trovare pronta. Avrebbe dovuto e potuto sospendere il canto, per rispetto, prima, nei confronti di se stessa perché era vuota; e poi, di un bollettino, quanto a contagiati e morti, che richiedevano, senz’altro, più silenzio e maggiore attenzione. In questo modo, avrebbe onorato - per dirla con Tomasi di Lampedusa – i vincoli della decenza in mancanza di quelli dell’affetto. E perciò, l’impressione che ho ricevuto, assistendo a questa Prima televisiva, è stata quella di una Scala attenta solo alle sue paure, sicura solo se dimenticata e nascosta tra le mura del suo teatro. Tutte immagini, a cui mi hanno avvicinato certi versi della Pentecoste, in cui Manzoni, rimproverando la Chiesa nascente (gli apostoli che se ne stavano chiusi nel Cenacolo, mentre Cristo veniva condotto a morire sul Colle), dà tutta l’aria d’averne celebrato l’Anteprima di questa Prima del teatro milanese: In tuo terror sol vigile, sol nell’oblio secura, stavi in riposte mura, fino a quel sacro dì. Giuseppe Leone

D. Defelice: Autoritratto giovanile →


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LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI OMNIA VINCIT AMOR di Carmine Chiodo

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UIGI M. Lombardi Satriani, noto antropologo, è poeta assai originale nei temi e nel linguaggio come è ampiamente testimoniato da questa sua nuova silloge poetica, prefata da Dante Maffia che giustamente osserva che il poeta è il testimone di un <se stesso che accoratamente ‘visse d’ amor’> e ancora ama ardentemente: <<Ti penso ,/e mi si rende presente il tuo corpo / che freme per le mie carezze /leggere e vogliose; […]>>; <<Sei la mia Laura,/per la quale ho scritto /questo Canzoniere /ch’è collana nella quale ho infilato /ogni poesia pensata per te /che hai fatto sgorgare /l’Amore dal mio tempo deserto>> (<<Omaggio a Petrarca>>). Qui il poeta fa diventare <<parola>> l’amore e ciò perché appunto l’amore <<trascenda ogni tempo>>. Secondo me questa è una delle tante note precipue della raccolta poetica: <<Sei

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sempre con me /perché tu, Primavera dolcissima,/mia amata Fior di loto /…]/Tu sei la vita /e l’Amore>> (<<Abitato da te >>); <<ti seguo felice: ti strofino le spalle/e poi il seno, scendendo /verso il triangolo oscuro /e le cosce,/mentre anche tu mi insaponi /con mani sapienti e sicure>> (<<Il pensiero e le parole scavate a fatica>>. Ci troviamo davanti a un <<Canzoniere d’amore>> caratterizzato da un linguaggio chiaro e icastico, da metafore, analogie, metamorfosi che dicono tutta la forza, lo splendore, il senso di letizia e di gioia che dà appunto l’amore che si traduce nell’età anziana in <<voglia di futuro>>, perciò viene richiamata pure la carne che infonde vita o, meglio, prolunga e rende lieta la vita già avanzata. Il rammemorare l’amore e la gioia che procura è uno dei momenti centrali di questa silloge poetica in cui è assente ogni retorica, caduta, singhiozzo o narcisismo, ma il poeta esprime con naturalezza, anzi racconta la sua vita fatta di studio ma pure di amore, di vari amori e perciò sono affidate alla poesia che rende impotente la morte le varie esperienze amorose e per di più è ancora <<il gesto da ripensare /con cura di chi ti ha dato con slancio /il suo corpo accogliente /contrastando con i suoi giovani anni / il tuo erroneo vederti invecchiato […]>> (<<Poesia è per me>>). Chi è innamorato è sempre giovane anche se nella vita non mancano pure i dolori, la perdita di persone dilette. Ci aiutano a capire queste poesie le parole dello stesso poeta che si leggono nella <<Nota dell’autore>> che in modo significativo si intitola <<Voglia di futuro>> in cui, ad esempio, vien detto esplicitamente che in questi componimenti l’A. non si denuda fisicamente e <<nelle pieghe più riposte dell’anima>> ma è stato spinto a comporre questi versi dal <<bisogno di voler dire i miei amori, quelli che hanno dato calore e senso alla mia lunga esistenza, e di farlo conferendo alla parola il potere che essa ha di eternare, per quanto possibile, il vissuto, proiettandolo in un tempo futuro>>: <<Poni i dolci da te preparati /sul tuo nero vassoio/e io sono pronto a provarli /mangiandoli con impegno tenace>>;


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<<E’ mattina,/La mia colazione sei tu,/la tua bocca carnosa /che mangio con Amore goloso /e geloso>>; <<Con i versi le persone ricevono linfa /e ritornano vive,/come se fossero prossime /e ogni cosa potesse riprendere /annullando il tempo trascorso>> (<<Amore come un destino>>. A me pare che il senso di queste poesie sia questo. Lungo questa direttrice si muove questo, variegato nei toni e nei versi, canzoniere d’Amore, che presenta tre parti che si integrano tra di loro: <<La cognizione del tempo>>, <<Canzoniere. cronaca di un amore>>, <<Parole di amore>>. Il tutto poi forma – per usare parole dello stesso poeta <<delle boccate di vita rubate alla morte>>: <<Questo regalo mi inonda/ e si versa come pioggia benefica/sulle mie ore/assetato di te,/della tua bocca generosa/che sa come accogliermi>> (<<Nel vuoto di te >>), <<La mia è pura illusione/ma voglio continuare a pensare /che c’è qualcosa che sconfigge la morte/E’ che questo è l’Amore/che tutto può/e non abbandona l’amante/in qualunque girone sia collocato>> (<<Frammento dantesco>>). <<Mi piace pensare che ho il tuo corpo/da richiamare ogni volta che ho voglia/e goderlo>> (<<Desiderio>>). Ancora da notare che nella silloge versi lunghi, narrativi, s’alternano a versi brevi ma comunque tutti ricchi di immagini e paragoni e riflessioni ben contenute e sincere. Insomma, da ogni parola, da ogni verso sprizza la gioia di vivere nell’amore, raccontato, narrato appunto in vari modi sentiti e taluni momenti sono autobiografici, e penso alla poesia <<A Giusy>>: <<La tua morte inattesa/ma forse ogni morte lo è -/mi ferisce :/ti penso / e ti voglio ricordare commosso/ mia cara e luminosa poetessa>>, la tenerissima poesia dedicata al padre <<mite e dolce>> e ancora <<Una lunga, giovane storia>>: <<Partii/e telefonandoti /nella tua casa a Morcone /ti convinsi a incontrarci a Maratea,/ e li a Santa Venere, a picco sul mare, […]>>. In sostanza, nelle poesie sono presenti le figure, le persone amate dal poeta e che gli hanno dato momenti felici anche se i dolori non sono mancati. Questa poesia di Satriani è

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sincera e dice quello che è effettivamente l’uomo che ci mostra il suoi io e lo fa sempre con una poesia autentica che non sa per nulla di scuola, e che sia cosi è testimoniato da questi altri riuscitissimi versi per timbri, toni e linguaggio: <<ci siamo abbracciati ancora una volta/ché ci è dolce essere sommersi di baci>> (<<Fantasie delle notti trascorse>>, <<Sei il profumo che illumina i miei giorni/e continuo a sentirlo anche quando sei lontana/da me che ripenso il tuo corpo/e il suo dolce sapore>> (<<Soffice ovatta>>), <<Le mie ore sono divise/tra quelle che precedono /il nostro sentirci al telefono /e quelle dopo il colloquio:/in ogni caso è tutto il mio tempo /a essere abitato da te,[…]>> <<Abitato da te>>. Val veramente la pena leggere e soffermarsi su questi intensi e sinceri - lo ripeto – versi di Lombardi Satriani che vive una vita intensa di studi e di amori e di essa ci fa partecipi con questi mirabili e originalissimi versi, che non son dettati da nostalgia o rimpianti ma da voglia, molta voglia di futuro. Carmine Chiodo Luigi. M. Lombardi Satriani, <<Omnia vincit amor. Poetica dell’Amore>>, FERRARI, Rossano (CS), 2017, € 15,00.

FINZIONE Che giochi gioiosi, gai, stanno giocando nonna e nipotino! Gorgheggi nell'aria, grida allegre, argentine. Non appare piuma, uccello in volo la vecchina come quand'era bambina, ma curva, claudicante, e sembra stia fingendo. Ride il bambino, si diverte, dice: <<Sei brava, nonna, in modo identico sai imitare una vecchietta malata, carica d'anni e d'affanni>>. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo – IS


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CORRADO CALABRÒ

L’ALTRO di Domenico Defelice

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chi non è mai successo, almeno una volta, inavvertitamente, guardandosi allo specchio, di scoprire il proprio volto talmente mutato da risultare irriconoscibile, quasi quello di un altro? “M’incontro appena sveglio nello specchio/ed allibisco/dinanzi a un altro volto che mi guarda”, scrive Corrado Calabrò nel suo consueto stile evocativo. È “L’altro”, il primo brano di questo piccolo gioiello che il poeta calabro/romano pubblica con Thule di Palermo a meno di due anni da che, nel luglio 2018, “l’Unione Astronomica Internazionale, su proposta dell’Accademia delle Scienze di Kiev, ha dato all’ultimo asteroide scoperto il nome di Corrado Calabrò per avere rigenerato la poesia aprendola, come in sogno alla scienza”. La breve composizione reca la data dell’agosto 2019. Tutte le poesie sono datate, anche se non progressivamente; ce ne sono altre sei dello stesso anno e poi del 1992 (due), del 2007 (due), 2009 (l’ultimo brano del poemetto “Roaming”), 2012 (due), 2016 (uno); tutti gli altri sono del 2020, anno assai funesto per l’intera umanità, perché l’anno del Covid-19, nel quale – come scrive Win Wenders su Robinson del 31 ottobre – “è

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co me se i nostri sensi fossero parzialmente disattivati. Non è appagante vedere volti coperti dalle mascherine ed essere capaci di capire se stanno sorridendo o no (…) credo sia molto significativo, quasi ironico, il fatto che il coronavirus come primo effetto provochi la sparizione dell’olfatto e del gusto”; e Marco Belpoliti, sullo stesso periodico del 14 novembre: “Il Covid è la perfetta metafora di qualcosa che colpisce senza che noi possiamo vederlo, il corrispettivo di una economia guidata da regole invisibili che condiziona da lontano le nostre vite e a cui sembra non poterci in alcun modo sottrarre”. Covid-19 non viene mai nominato in questa silloge di Corrado Calabrò, ma se ne intuisce la presenza da termini quali “staminali”, “c’immunizza”, “occhi smarriti”, “attoniti”, per cui si coglie una drammaticità latente, subdola, impalpabile, scioccante, proprio per la sua intangibilità, la sua imponderabilità. In “Manca qualcosa”, quel “fruscio di fondo che persiste/oltre le voci e gli occhi dei presenti” ha la potenza terrificante di quell’ombra biblica che, in Esodo (cap. 12) – ma forse anche altrove - striscia per le strade recante morte agli abitanti delle case che non siano segnate dal sangue dell’agnello; sembra serpeggiare inquietudine, per non dire terrore. La presenza della morte è continua nei versi di questa raccolta; abbiamo quella della madre del poeta; quella futura, inevitabile – tutti siamo destinati a morire – del poeta stesso, giacché la morte è “il non senso della nostra esistenza”; quella della terra, che ineluttabilmente “Viaggia (…)/con la luna di scorta/verso la sua sorte”. Ci sono, naturalmente, anche la donna e l’amore, nonché il fascino panico di certe sintetiche, solari descrizioni di fenomeni naturali, come nel brano “Self sense”, che riportiamo per intero, essendo anche breve: “Scrosciare ipnotico di pioggia/tutta la notte;/e adesso inonda il cielo, limpidissima/- et lux fuit! – l’alba.//Oh quant’è bella e improvvisa la vita!/Perché dovrebbe pure avere un senso?”. “20 marzo” 2020 ci ricorda la primavera (il


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dannunziano “Ariete durocozzante”) che si annuncia prepotente come sempre e che - come scrive Quasimodo - “picchia la sua/ testa maschia contro alberi e rocce” e, anche in presenza del terribile Covid-19, rinnova la terra, incurante delle pene e degli affanni dell’uomo, spaurito da tutto quello che, ogni giorno, l’aggredisce e lo sciocca, costringendolo a mascherarsi, a tapparsi in casa, a scansare il proprio simile perché visto quale veicolo di morte; “l’ultimo giorno d’inverno” – dice il poeta alla madre – “s’aggrappa ai tuoi occhi smarriti”, occhi che sono il simbolo di tutta una umanità dolente e quasi senza speranza di riscatto e di ritorno al normale; occhi, che Covid-19 sembra, finora, non sia riuscito a aggredire. Un libricino di poche pagine, questo di Corrado Calabrò, nel quale, a ben scavare, si incontrano assai più temi di quelli da noi fugacemente rilevati; una poesia sempre e comunque ad ampio spettro, niente affatto narcisistica, che investe molte problematiche, compresa come da noi dimostrato - la pandemia che ormai da troppo tempo ci avvelena la vita; una collana confezionata in parte con brani tratti da altre opere, come il già ricordato poemetto Roaming, o La scala di Jacob, con la quale Calabrò ha vinto, nel 2017, la XXVII Edizione del Premio Letterario Internazionale Città di Pomezia, Domenico Defelice CORRADO CALABRÒ: L’ALTRO - In prima di copertina, a colori, “Equilibri”, di Enzo Tardia; in quarta, a colori, foto del poeta. Ed. Thule, settembre 2020, pagg. 40, € 10,00

RITORNERANNO I GIORNI Ritorneranno i giorni della poesia. Con sé riporteranno ricordi ed emozioni e la musica dolce del silenzio interiore. Allora l’anima riposerà tranquilla, perché saranno quelli giorni senza più impegni

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e senza alcuna preoccupazione. Saranno i giorni dell’allegria. E con loro ritorneranno i giorni della poesia: abbi pazienza e spera anima mia. Mariagina Bonciani Milano

NON CREDONO AI FANTASMI Oscilla la lanterna dei carrai che vanno per i monti. Incontreranno strade di luna, rime di usignoli. Non li impaurisce la notte, non credono ai fantasmi. Non sono come me: un fanciullo che trema udendo il silenzio, un sospiro di vento alla porta. Franco Saccà Da Tutto è memoria, Ed. La Procellaria, 1957

UN MIRACOLO Lento crepuscolo al Porto. Sull’orizzonte è ferma una nave; sembra un’isola viola, forse è l’isola sempre lontana l’altrove il luogo sognato che non c’è. Ha una magica luce quest’ora, un’aria che trascolora e scivola nell’irreale. Potrebbe avvenire un miracolo. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017


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DOMENICO DEFELICE LE PAROLE A COMPRENDERE di Nicola Prebenna

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PERA composita quella che il poeta Defelice ha recentemente dato alle stampe per i tipi di Genesi Editrice di Torino, Le parole a comprendere. Il titolo prende spunto dal componimento eponimo che l’autore ha inteso assumere come titolo dell’intera silloge. Essa si compone di quattro sezioni di cui la prima riporta il titolo che è anche quello della silloge intera, e altre tre che recano i seguenti titoli: Ridere (per non piangere), Epigrammi e Recensioni. Nella sezione Ridere sono compresi componimenti che tra il furore iconoclasta, il ricorso all’ironia, al grottesco, al caricaturale, risentono della vis polemica lasciando da parte la misura, l’armonia, il candore dei sentimenti che connotano la prima sezione, quella a mio avviso che meglio definisce il panorama concettuale che Defelice sente proprio e che meglio esprime la qualità della sua poesia. Per carità, non intendo affatto

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negare diritto di cittadinanza nell’universo della poesia a componimenti dal sapore realistico-giocoso, nella sua più vasta accezione, epigrammatico o anche sperimentale come nella breve sezione Recensioni. Per parlar del ben ch’io vi trovai, torno a concentrarmi sulla prima sezione. Qui ritrovo il cantore del buon tempo andato dell’infanzia, della diffusa e forte religiosità, che si nutre della consapevolezza della fugacità della vita e dell’approssimarsi del momento in cui ciascuno dovrà prendere congedo dalle fidate aure. Aleggia la consapevolezza che ogni tempo ha le sue gioie e i suoi limiti, la saggezza del sapersi contentare, come nel componimento Del poeta la dignità: “Non ho Suv, né iPhone, non ho il Pad. / Niente prebende, non son cavaliere. / Vesto modesto, non ho conti in banca, / non ho la villa con piscina / … Ho del poeta la dignità”, pure se al di là del tempo che passa, non è mai venuta meno l’attenzione per la donna, per le donne dell’esperienza terrena, ma anche per la donna per eccellenza, Maria, auxilium peccatorum che, come apertamente confessa il poeta in Sempre una ne ho amato, “sempre mi ha salvato dai perigli”. Spesso i temi si intrecciano e dalla rievocazione dell’infanzia l’autore passa ad avvertire la presenza del divino nella sua vita, con l’invocazione a Maria a rimanere accanto a lui: “Ti prego. o Madre, non abbandonarmi”. E’ un po’ il riepilogo di un’esistenza il componimento Oggi che avrei bisogno di certezze, con il richiamo dell’infanzia, che si nutriva di valori forti e di devozione immediata e convinta, della giovinezza fatta di ardori, di speranze e di abbandono fiducioso nel divino. Oggi, al volgere della vita che declina, si affollano i dubbi, si diradano le certezze e nasce il bisogno di protezione e la ricerca di aiuto. Sincero e profondo il dolore avvertito dal poeta quando, nell’età che dovrebbe segnare il prevalere del rispetto, della tolleranza, della fraternità, alcuni si abbandonano ad atti sacrileghi, scaricando su simboli religiosi la furia iconoclasta dell’odio. L’invocazione del perdono è l’arma della vendetta, e la


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preghiera si rivolge alla Madre perché mantenga gli occhi fissi sul figlio martoriato, come nei due componimenti ispirati alla devozione del crocifisso della chiesa dei santi Marcellino e Pietro di Roma vandalizzati da un gruppo di violenti black-bloc. Un tono disteso, colloquiale ma non sciatto, sereno ma non dimesso quello che connota la poesia di Defelice; percorre i suoi versi una tensione di oraziana memoria che coniuga, fonde sapienza e armonia, convivialità delle satire e equilibrio delle odi. Ci offre Defelice una poesia che senza troppe contorsioni cerebrali arriva diritta al cuore e lo fa rifuggendo da languidi sentimentalismi, ma affondando l’ispirazione in una classica compostezza che celebra la vita nella sua autentica consistenza, di memoria, di godimento dei sentimenti sani e quotidiani, dell’ansia di assoluto. L’afflato religioso non ignora il palpito universale che alita nella natura e, a riprova di quanto ho appena espresso, mi piace chiudere queste brevi note sulla poesia di Defelice con il componimento Vita effimera ma intensa: Quando morirò / neppure un fiore sopra la mia bara. // Lasciate che queste rugiadose / e splendide creature della terra / vivano la loro vita effimera / ma intensa come la preghiera / fatta d’un sol palpito / potente, il primo e l’ultimo del cuore. In questa unione con gli elementi della natura, con il divino che con forza il poeta avverte nella sua sensibilità, risiede il segreto di una saggezza che si fa, pur nelle inevitabili incertezze e titubanze, inno alla vita, all’arte, al divino che ci gratifica e ci proietta in una dimensione meno effimera e caduca. Nicola Prebenna DOMENICO DEFELICE: Le parole a comprendere, Genesi Editrice, Torino 2019, pagg. 140, € 14,50.

NATALE 2020 Un Natale diverso? Per me un Natale di raccolta di versi. Il mondo, avvilito dalla lunga lotta contro l’assedio di maligno virus, vive il rigore di coatta prigionia;

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stanco si trascina verso non sa qual riva, di salvezza oppure di rovina. La penna tra le dita che tremano d’emozione al rintocco di campana nel buio della notte tanto attesa, me ne sto pensieroso, assorto, in ascolto della voce flebile del vento che si compiace a cantare ninna nanna a tutti i bimbi della terra, che vivono gioiosi il Natale nell’iridata intimità familiare, accanto al presepe apprestato amorosamente da materne mani. Lontano nel tempo, il primo Natale, più bello, più vero, più santo, raccolto in sofferto arcano silenzio, nel nitore di stelle e pace sulla terra. Un Bimbo che nasce, lontano da torri e palazzi, nell’anfratto d’una roccia, in una grotta, alla luce d’un fuoco di sterpi e di paglia, reca in sé il divino Verbo che libera e accomuna tutte le genti, nell’Alfa e nell’Omega fidenti. Il Vangelo scrive la sua prima pagina, a lettere universali, indelebili, e con suprema maestà la depone nell’arido cuore della storia, a fiorire petali d’amore, ad accendere faville di bontà, ad aprire le porte di giustizia nuova, a dare all’uomo conforto e dignità, ad ammonire i lupi di sempre a non tormentare pastori e agnelli, a non coltivare tundre di odi, incomprensioni e risentimenti… È suonata l’ora di togliersi di dosso il florido mantello dell’arroganza, fondere orgoglio e intemperanza, prendere in mano il metro dell’equità, aprire la mente ai raggi di luce che sprigiona la Grotta della Natività. Antonio Crecchia Termoli, CB


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NAZARIO PARDINI DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA di Liliana Porro Andriuoli

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AGLI Scaffali della Biblioteca è il titolo della nuova raccolta di versi di Nazario Pardini, il quale compie con questa silloge una duplice operazione letteraria: quella del recupero del proprio vissuto, da lui tradotto in poesia, e quella della creazione di un’ideale biblioteca nella quale inserire i poeti da lui più amati. Il libro di Pardini infatti inizia con l’evocazione della propria famiglia, composta alle origini oltre che da lui e dai genitori, da un fratello. E la mente che corre indietro nel tempo, li rivede con affettuoso sguardo: “Cari miei cari, ho scritto tutto e a tutti, / vi ho portati con me in riva al mare, / là dove spesso pescavamo

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sogni”. Una famiglia non certo ricca quella descritta da Pardini, ma molto unita e serena nel suo assiduo ed onesto lavoro: “La mia casa non ha preziosi in cassaforte / ha solo l’uscio aperto nell’attesa / di qualcuno che passi e si soffermi, / per dire due parole” (La mia casa). In questa casa Nazario Pardini è nato ed è cresciuto, nutrito dal calore degli affetti domestici; e in essa ha studiato, divenendo un uomo colto e capace di inventarsi un futuro nel quale la poesia ha un largo spazio. Essenziale nella vita di Pardini è stato sempre il rapporto con i membri della sua famiglia, tra i quali, oltre ai genitori, compaiono in primo luogo il fratello Saverio con la moglie Graziella, la nipote Carla e il nipote Sandro, con le due figlie Diletta e Camilla, che per lui costituiscono “il tesoro più grande”. Con costoro Pardini è vissuto, ha gioito e sofferto; ha maturato la sua personalità e ha perfezionato la sua sostanza umana. Con costoro ha condiviso i “ricordi che pungono” e che costituiscono la sua vera ricchezza. E a costoro egli si rivolge nei suoi versi con affettuose parole: “Oh padre, oh madre, / oh fratello, oh focolare / dove scaldai le quattro mie nozioni / prima di andare presto alla città / che mi voleva giovane. Oh tutti voi miei cari / dove siete finiti?” (A mio fratello Saverio e Graziella – Per il cinquantesimo anniversario del matrimonio). Sono queste le poesie della parte introduttiva del nuovo libro di Pardini, cui fa seguito quella nella quale egli va alla ricerca dei suoi poeti preferiti che dagli scaffali della sua biblioteca si affacciano e lo chiamano. È con essi che egli è maturato ed è di essi che si è nutrito il suo spirito. Ecco allora da quegli scaffali affacciarsi Leopardi con le sue liriche immortali, a cominciare da A Silvia; ecco il Manzoni con la sublime malinconia dell’Addio ai monti; ecco i classici, a cominciare da Catullo, che emerge con i suoi Carmina, eterna scuola di poesia e di vita; ecco Platone, il grande filosofo che per primo teorizzò il mondo delle Idee; ecco D’Annunzio, con la seduzione della sua parola dagli echi innumerevoli; ecco Saba, che ci viene incontro con la schiettezza umanissima


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della sua parola e con la sua sommessa malinconia; ecco Pavese, con il suo “vizio assurdo” di corteggiare la morte e così via. Si affacciano poi da quegli scaffali altri poeti, come Ungaretti, dalla voce un po’ roca, le cui poesie di guerra costituiscono il grido di un’umanità ferita, mentre quelle di pace scavano a fondo nella vicenda dei giorni per ricavarne il senso; o s’affacciano poeti come Montale, con le sue visioni di Liguria e il suo “male di vivere”. Ma anche s’incontrano tra questi autori Attilio Bertolucci, il poeta del quotidiano e specialmente Giorgio Caproni, il poeta che come nessun altro ha cantato Genova nella sua più intima essenza. Dopo aver evocato Dino Campana, con i suoi Canti orfici e la sua vicenda amorosa con Sibilla Aleramo, Pardini fa ritorno ai grandi poeti dell’Ottocento e principalmente al Foscolo e ai suoi Sepolcri, per terminare, dopo una rissa in Biblioteca, causata dallo scontro tra poeti appartenenti a diverse correnti letterarie e dopo l’incontro con Salvatore Quasimodo, poeta dalla voce ferma e perentoria, con un delicato poeta novecentesco: Sergio Solmi. L’espediente della Biblioteca è servito a Pardini per compiere un excursus tra i poeti da lui più amati, che ha assiduamente letti e che maggiormente hanno contribuito alla sua formazione letteraria. Per parlarne egli ha adoperato un verso dall’andamento narrativo, che esclude movimenti più schiettamente lirici, quali erano stati quelli delle poesie della prima parte del libro, intitolata Ricordi che pungono. Nell’ultima sezione della silloge egli però fa ritorno ai movimenti più sommessi e ispirati, che sono propri della poesia lirica, la quale si riaffaccia nelle Dieci poesie d’amore che chiudono la raccolta. Vi è in esse infatti quella pienezza e quella freschezza del canto che sono proprie di chi va alla riscoperta dei suoi anni giovani, nei quali il mondo gli si dischiudeva con tutte le sue attrattive. Ed è in esse che egli meglio tocca la compiutezza dei suoi mezzi espressivi, come può rilevarsi da questi versi: “il tempo tace, / il tutto si fa chiaro, ed io rinnovo / quell’aria fresca che ci vide audaci; /

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quell’aria fresca che ritorna chiara / per chi ricorda ancora / le orme di una corsa senza fine” (Non è più tempo). Un libro di notevole interesse questo nuovo di Nazario Pardini, per la felice sintesi che in esso si compie tra diversi registri di scrittura poetica. Liliana Porro Andriuoli NAZARIO PARDINI: DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA, (Guido Miano Edizioni, Milano, 2020, € 12,00)

È uscito in libreria, ma può essere acquistato anche su internet:

Autore: Domenico Defelice Collana: Arte Formato: 17 x 24 cm Legatura: Filorefe ISBN13: 9788849239911 ISBN10: 9788849239911 Ub.int: VFdS Anno di edizione: 2020 Pagine: 96


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AIUTO! ANNEGHIAMO NEL PORRIDGE! di Domenico Defelice ’anno più nefasto per l’intera umanità – almeno per quanto si legge e si dice , l’orrendo 2020, ci ha lasciato, ma non ci ha lasciato ancora la sua tragica eredità: migliaia e migliaia di morti per Covid-19 in ogni nazione; l’annullamento del contatto umano; il costringerci a tapparci in casa come lemuri delle caverne; il guardaci quasi di traverso, scostandoci l’uno dall’altro come se fossimo tutti appestati. Continuiamo a mascherarci e questa volta solo per difenderci. L’augurio è che il vaccino programmato e promesso possa avere una qualche efficacia – ma ci sono molti dubbi - e consentirci il ritorno a una vita il più vicino al normale. Cosa non semplice, perché la pandemia è veramente planetaria, come planetaria è divenuta ogni cosa e velocemente: il commercio, in particolare, la conoscenza, soprattutto la comunicazione. Leggendo i giornali, assistendo ai programmi televisivi, scambiandoci notizie – sempre più raramente in diretta e sempre più per telefono e per elettronica -, si ha l’impressione che le diverse lingue non esistano più, che tutto sia diventato una zuppa, una pappa inglese, il famoso quanto – almeno per noi – disgustoso porridge. Ci vien da domandarci: ma viviamo, ma siamo ancora il Italia?

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Accanto a termini ormai consolidati da tempo - come Leader (capo), Big (grosso, grande), Premier (primo, primo ministro), Dossier (fascicolo), Navigator, Partner (compagno/a), Weekend (fine settimana), Test (prova, collaudo), Brand (marca), Click (suono metallico breve e secco) -, grazie ai nostri politici “detto questo” (non c’è uno che non ripeta continuamente la frase come un pappagallo) e a una stampa anch’essa pappagallescamente esterofila, l’Inglese oggi dilaga, per niente arginato dalla nostra dabbenaggine, dal nostro atavico ritenerci alla cavezza degli altri, incapaci di parlare, di agire e vivere con orgoglio la nostra realtà e la nostra diversità di Italiani. Con il nostro miserevole provincialismo, insomma, il nostro senso di dipendenza, di sudditanza, ci lasciamo coinvolgere e trascinare da ogni refolo proveniente dall’estero; dall’Inghilterra, specialmente, e storpiando l’Inglese - giacché non in grado di pronunciarlo correttamente -, ci copriamo di ridicolo. Grazie a politici “detto questo” – dicevamo e a Media che le amplificano e codificano, le espressioni esterofile e, in particolare, quelle economiche, scientifiche e culturali, che in passato venivano virgolettate e sottolineate, per evidenziare che non ci appartenessero, oggi circolano liberamente nel testo a carattere normale, ad affermare che fanno parte del nostro linguaggio comune, come se tutti, ma proprio tutti, conoscessero e parlassero correntemente l’Inglese, e fossero in grado di conoscere il perfetto significato; invece, è il contrario: la gran parte della popolazione non comprende la stragrande dei termini che sente o che legge, che si ripete pappagallescamente, sicché, senza volerlo, li trasforma in maccheronico; insomma, nella zuppa, nel porridge già ricordato. Ciò che qualche anno fa sembrava ancora limitato, in questo tempo funesto di pandemia, di clausura forzata e di diffidenza indotta, è letteralmente esploso, è straripato; così, leggere un giornale o assistere a un programma tv è diventato veramente difficile, un vero rompicapo, un intontimento, un’assurdità. Grazie a


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governanti e politici pecoroni, ignoranti e clonati “detto questo”; grazie a un giornalismo e a una stampa “esterofilizzati” - cioè, drogati e snaturati come se avessero subito una trasfusione di lingua -, per la gran parte degli Italiani è autentica follia leggere e comprendere la selva di Green (ma dove è finito il nostro splendido “verde”?), di Recovery Plan (cari politici e giornalisti “detto questo”, ma vi fa così schifo “Piano di recupero”?), Recovery Fund (fondo di recupero), Cashless (senza soldi), Cashback (rimborso), Lockdown (confinamento), Question Time (tempo delle domande), Next Generation (prossima generazione) e poi ancora Task Force, Cluster, Cloud, Patent Box, React-Eu, Disrupper, Postepay, E-Commerce, App, Show, Beyond Fashion, Beyond Luxury, Skill Tranformation, Botanical Drink, Botanical Spirit, Delivery, Governance eccetera eccetera eccetera – lieve diarrea chi vi prenda! -, migliaia e migliaia di termini e sigle che hanno imbarbarito e distrutto la nostra splendida, cantante lingua italiana. Finiremo col non comprare più e con il non leggere più giornali; con lo spegnere la Tv (e ciò non sarebbe gran danno!); col tapparci le orecchie; già non capiamo quasi nulla di questa selva e di questo mare di termini esterofili; sembra d’esser diventati tonti, imbecilli, analfabeti e di annegare in una melma, molto più che nella zuppa dell’acquoso porridge. Domenico Defelice

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queste tue lacrime saranno nuove gemme."1 Aida Isotta Pedrina USA 1 - Poesia scritta dall’Autrice mentre era fra i pini, una settimana prima che morisse suo nipote e pochi minuti dopo aver pregato piangendo per lui; aveva ancora viva la speranza che un miracolo salvasse la vita a quel giovane a lei molto caro.

IL VOLTO DI IERI Hai il volto di ieri, creatura di mattini in fiore, affacciata alla finestra della primavera. Anche oggi il vento ti spinge nelle mie braccia. Sventola bandiera di limoni; svelto rincorre la tua risata. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019

Un libro da leggere e da regalare:

LE LACRIME DI UN PINO Ogni giorno ti abbraccio e ti chiedo forza e coraggio. Oggi, alzando lo sguardo ho visto piccole lacrime brillanti uscire da un tuo ramo moribondo; riflettevano il sole, sembravano vere, umane, e mi han commossa: "Non piangere!" Fai ancora parte di chi ti ha dato vita; nel sole, in primavera,

Racconti “veramente notevoli” Sandro Gros-Pietro Genesi Editrice – via Nuoro 3 – 10137 Torino – genesi@genesi.org; http://www.genesi.org – Pagine 210, € 12,00


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ISABELLA MICHELA AFFINITO SI CHIAMAVA CLAUDE MONET di Antonio Crecchia

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L prossimo 14 novembre ricorre il 180° anniversario della nascita del pittore parigino Claude Monet, il quale, con la sua celebre opera “Impression – Solei levant” (Impressione - Sole nascente) ha offerto al critico d’arte Louis Leroy, in una recensione-stroncatura apparsa sulla rivista “Le Chiarivari” nell’aprile del 1874 ad una mostra di pittori tenuta nello studio del fotografo Nadar (pseudonimo di Gaspar- Félix Tornachon, 1820-1910) la denominazione di quel vasto movimento artistico che va sotto il nome di “impressionismo”, nelle cui file sono da ascrivere altri eminenti artisti del pennello quali Edgar Dégas, Éduard Manet, Pierre-August Renoir, Alfred Sisley, Paul Césanne, Jean-Frédéric Bazille,

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Tutti animati dall’intento di rivolta verso l’accademismo imperante, con la pratica pittorica incentrata sul disegno, si proposero di uscire in strada, nei parchi, nelle campagne, sulle rive dei fiumi o del mare per “impressionare” le loro tele con rapide e “danzanti” pennellate, con racconti continui della vita e delle opere architettoniche dell’epoca e della natura nel suo immobilismo o nel suo irrefrenabile fluire dentro le fauci del tempo. Il colore è l’elemento materiale, centrale della nuova arte. Isabella Michela Affinito, che interpreta la cultura come veicolo di trasmissione dei valori che fanno progredire nel bene e in avanti la civiltà, non si è lasciata sfuggire questa occasione per omaggiare, con un’opera notevole di poesia e di intenti istruttivi, la figura, le opere, lo stile di vita e di arte, le innovazioni artistiche, le immancabili crisi interiori, le ansie e tensioni spirituali per cogliere rapenti e suggestive impressioni momentanee dal mondo circostante, di un personaggio che la lasciato un ricco e ineguagliabile patrimonio artistico, realizzato in modo personale e romantico, all’insegna della originalità. Dedicato “Alla madre Delia un anno dopo la sua scomparsa”, introdotto da una poesia (di Isabella) “pensata come ringraziamento all’amica torinese” Marina Caracciolo, che ha steso una pertinente prefazione, seguita dalla “Introduzione” a firma dell’autrice, il libro si compone di 51 testi poetici, in cui il mondo familiare, umano, naturale, sociale, artistico, culturale di Monet viene ampiamente esaminato, interiorizzato, rivitalizzato e attualizzato dalla nostra poetessa che, con il suo fervido, incessante e qualificato operare in ambito creativo, si è conquistato un posto di rilievo nella storia letteraria di questo incipiente Terzo Millennio. Leggere le poesie del bel volume di 140 pagine significa entrare con curiosità, delicatezza di spirito e d’intenti nel mondo delle esecuzioni artistiche di Monet, e uscirne arricchito di conoscenze, di stupori, amore per una stagione d’arte e di storia che continua a parlare al cuore e alla mente dell’intera umanità. Come sempre accade alle persone che hanno


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preso piena coscienza delle proprie attitudini creative, in cui si manifestano chiaramente i segni della genialità e del talento, Isabella Michela Affinito procede dritta e sicura nel suo cammino di compositrice di versi, in cui la sostanza culturale si lega indissolubilmente all’intenzione e alla resa lirica ed espressiva. Con la finezza e la caparbietà nell’operare per fini non soltanto estetici ma anche educativi, ella riafferma e potenzia di continuo la sua fluviale vena comunicativa di quanto urge nella propria interiorità e reclama di farsi parola vivente. La conoscenza profonda della vita, delle opere e dello stile “perfettamente distinguibile” di questo eccelso artista del pennello, di cui Isabella ha “ammirato smisuratamente i suoi quadri attraverso le riproduzioni a colori sui tanti libri d’arte” consultati e studiati con sempre rinnovato interesse e amore, le permettono un intimo e affettuoso legame di simpatia con Claude Monet, al quale dedica una lettera rivelatrice della familiarità con i temi ispirativi e la visione del mondo elettivo e operativo del grande artista, e una “intervista immaginaria”, che completa egregiamente un quadro concettuale, ma anche d’epoca e di mentalità assuefatta ad una concezione accademica rigida e, quindi, poco propensa ad accogliere le illuminazioni di pittori, poeti e scrittori, etichettati come “decadenti”. Saranno le generazioni successive di critici e intellettuali ad avviare il processo di rivalutazione e apprezzamento del valore reale e simbolico delle arti espressive, indubbiamente innovative e rivoluzionarie di fine Ottocento. Antonio Crecchia

può bastarmi un pigro sole? Io temo il fascino il veleno del nulla, temo le spire lente dell’apatia.

ISABELLA MICHELA AFFINITO - Si chiamava Claude Monet - Poesie, Con intervista immaginaria a Monet - Bastogilibri – Settembre 2020

Les troncs élancés et les branches nues font des dessins en treillis sur les architectures sévères et hautes, que l’on peut voir derrière.

L’INDIFFERENZA E può bastarmi una vita dietro lo schermo dei vetri dietro un cancello che mi sia schermo all’urlo, all’urto di questo tempo amaro? Come a lucertola ferma

Miei anni, non più armata a voi cedo. Ma non fate di me un’indifferente. Ada De Judicibus Lisena Da Omaggio a Molfetta, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017

In coda, fuori della Posta Non serba oggi ombra di nubi il cielo. Il tiepido sole invernale tinge di oro antico le cime dei giovani alberi. Gli esili tronchi e i rami spogli fanno disegni a graticcio sulle severe, alte architetture che dietro ad essi si scorgono. Nel rado fogliame lieta all’azzurro terso ride una gazza. Il mondo è tutto suo. En file d’attente, devant la poste Il n’y a pas d’ombre de nuages dans le ciel aujourd’hui. Le soleil d’hiver teint les sommets des jeunes arbres d’or ancien.

Dans le feuillage clairsemé une pie rit joyeusement dans le bleu clair. Le monde entier est à lui. TORINO, fine novembre 2020 Poesia e traduzione in francese di Marina Caracciolo


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SANDRO ANGELUCCI

TITIWAI di Domenico Defelice HIARISCONO l’inconsueto termine una breve nota in apertura e l’ultimo brano che dà il titolo all’intera raccolta, mentre temi fondamentali - come musica e viaggio - sono ben evidenziati da Franca Alaimo nella sua puntuale Prefazione; una musica contrapposta “al rumore della guerra e al pianto degli uomini”, nella certezza che “il canto poetico possa essere risanatore dell’attuale disequilibrio del mondo, sconvolto dall’indifferenza, dalla sperequazione sociale, da una politica che affanna”; “Il tema del viaggio e dell’esilio – invece - si sviluppa nei testi di Angelucci secondo una duplice traccia: quella epico-letteraria (…) e quella religiosa, che sposta l’enfasi dal luogo di partenza a quello di arrivo”. E al tema della fede si sofferma Franco Campegiani, che evidenzia come Angelucci si pone e ci pone molti “interrogativi metafisici”, molte domande “che non sono solo domande, ma anche e soprattutto ri-

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sposte, giacché fede e dubbio sono fratelli siamesi, facce della stessa medaglia, inseparabili tra loro”. Titiwai, insomma, è opera complessa, anche filosofica, che coniuga passato e presente, realtà e finzione, mito come metafora e narrazione del nostro presente, delle nostre frustrazioni e delle nostre tensioni, a volte non volute, a volte, addirittura, caparbiamente negate, ma sempre latenti in ciascuno di noi, perché polvere di un mondo al quale si anela fin dal primo barlume della nostra coscienza. Come la crisalide, una volta divenuta farfalla, a poco a poco si allontana dal bozzolo, così l’uomo, una volta acquisita la conoscenza a causa della trasgressione, a poco a poco si allontana dal Paradiso, dall’Eden. Il connubio tra mito e religione è continuo e, a volte, spiazzante. Dio – meglio, il Cristo - è il Gigante, è Polifemo, il figlio di Poseidone, fratello di Zeus – il Dio Padre -, e della ninfa Toosa; l’uomo è Ulisse, è Nessuno. Dio è “L’occhio che ci guarda e poi ci mangia” sono tanti i droni occhio di Dio nella teologia e nella filosofia e, quindi, nelle figurazioni artistiche di ogni tempo -, ma è anche il Dio che si fa mangiare, perché si fa uomo e ci dà il suo corpo quale pane eterno. Spazio e Silenzio possono essere identificati con Dio e sono loro – o, meglio, “Lo spazio del silenzio”, come si esprime il poeta – che ci chiedono, che ti chiedono di “Fare il vuoto”, “di eclissarti/di toglierti di torno/di non essere invadente/con il tuo io/che si vergogna a essere se stesso”. L’uomo, fuggendo dall’Eden, dopo aver colto “il frutto/del melo proibito”, pensa di allontanarsi da Dio, di perderlo, di staccarsi da Lui per sempre; in realtà, ha fatto sicché Dio ci amasse sempre di più, proprio per la nostra debolezza, attraendoci a Lui continuamente e fortemente, più che una calamita titanica, smisurata. Siamo, in questo mondo, veramente uguali e liberi? No, perché, per essere effettivamente uguali, bisognerebbe prima esserne consapevoli del valore dell’essere “differenti” e consapevolmente operare, altrimenti si vive solo nell’ipocrisia; e così è anche per la libertà, poco compresa dagli uomini, che cominciano


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ad apprezzarla, che cominciano a comprenderla solo nel momento in cui la perdono, allorché “saremo/prigionieri”, come scrive Angelucci. In realtà, noi siamo “Schiavi di un libero arbitrio/che vuole soltanto proteggerci/dall’abuso del libro arbitrio”. Impareggiabile è la bellezza del crepuscolo, della luce fioca prima del levar del sole o subito dopo il suo tramonto; ma, il colore del crepuscolo, è anche “il colore del petrolio”, che gli uomini usano “per affamare i popoli dei deboli, /degli ultimi, dei vinti”, allontanandosi, così, dalla vera crescita e votandosi a un lento, inesorabile spegnimento, a un autentico crepuscolo. Bella l’immagine degli uccelli che continuano a cantare, a riempire di armonia il mondo, mente l’uomo è intento a desertificarlo. Abbiamo trascorso l’infanzia in mezzo alla campagna, tra selve di ulivi e di agrumi, pioppi e boschi di castagni; non c’era, allora, un solo albero che non nascondesse fra i suoi rami diecine e diecine di nidi; era una melodia continua, nella quale ci sembrava naufragare. Poi, un giorno, improvvisi, son giunti gli aerei con il loro carico di morte e cessati gli scoppi, mentre il fumo e la polvere cominciavano a diradarsi e appariva un mondo devastato, a impressionare maggiormente è stato il silenzio, l’assoluta mancanza del canto degli uccelli. Un tempo – Dio non voglia - che rischia di tornare, perché vivi continuano a essere le nostre pazzie, “le nostre cervellotiche menzogne/il nostro dissennato chiacchiericcio”; increduli e cinici, non sappiamo più pregare, al contrario degli alati, giustamente invocati dal poeta: “vi prego non smettete, /pregate, voi che sapete farlo”. L’esplosione dei fiori del pesco il poeta la paragona a una “bomba d’amore”. Non si può apprezzare pienamente tale immagine se, almeno una volta, non si è sostati sotto una pioggia di petali in un giorno di primavera; e sarebbe la stessa cosa, e si avrebbe la medesima impressione, se l’albero, anziché di pesco, fosse di melo o d’albicocca. Il termine “bomba” sembra apparir più volte in questa silloge, anche nella forma di

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“esplosione” (“inattesa esplosione/che mi ha fatto saltare per aria”); ad una bomba atomica, “più potente di mille megatoni”, è paragonato il becco del pulcino che rompe la scorza dell’uovo nel quale si trovava imprigionato. Il colore della morte non è il nero, al quale d’abitudine l’associamo; il colore della morte è quello del “fieno giallo”. È ciò che noi abbiamo scritto fin dagli anni sessanta, allorché, al tema, abbiamo dedicato il racconto “Arturo dei colori”, che, poi, ha dato il titolo a una intera raccolta, edita nel 1987: “Arturo aveva trovato il colore della morte. Era il giallo il colore della morte! Una rivoluzione, una rivoluzione sarebbe stata la sua scoperta! Non più cavalli neri e carri neri e uomini neri ai funerali, ma cavalli gialli e carri gialli e uomini e donne vestiti di giallo: uno splendore, una vera orgia di giallo splendere!” È “La notte buia:/perfetta per la luce delle stelle”, scrive Angelucci, quasi sulla scia del nostro or citato racconto; ma non è così, è solo che le sue e le nostre sensazioni son le stesse: “Forse gli antichi avevano associato la morte alla notte – scrivevamo ancora noi –. Ma la notte è così bella, col suo cielo stellato, coi monti, i fiumi, le piante stilizzate, quasi ombre d’una delicata, aerea pittura orientale”. Potremmo continuare a lungo nel citare e chiosare. Ogni brano di questo autentico gioiello - autentico dono d’amore - è stimolo al nostro interiore, è trampolino per voli sempre in più vasti spazi alla nostra fantasia. Tutto è interiorizzato, tutto sembra precipitare, convergere verso un nucleo centrale per poi esplodere di nuovo; un linguaggio della immagine, insomma, come funzione dello sviluppo della funzione creativa. Il libro è un breviario; piccolo nel formato, da finire in una tasca; grande e profondo nel contenuto, al quale ci si deve avvicinare come a un’autentica preghiera, la sola che possa darci consapevolezza d’essere veramente uomini, farci comprendere la follia che domina il nostro tempo e convertire in sole raggiante, in certezza di vita, l’inarrestabile crepuscolo che incombe: “Sono le cinque/e si avvicina l’ora


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del tramonto”, immagine evocativa, perché ne richiama altra: la lorchiana “a las cinco de la tarde”, pure sovraccarica di dramma, dolorosissima, fino a provocare intontimento. Le poche immagini, da noi fin qui estrapolate fra le tantissime altre, non sono fine a se stesse, ma a paragone e spiegazione di temi e concetti vasti e impegnativi; la poesia di Angelucci è profonda quanto è chiara e spazia dal filosofico al sociale, dagli affetti alla natura, e ogni brano potrebbe dare stimolo a un trattato. Attengono alla filosofia, per esempio, versi come: “sopra di me/l’immenso universo” e “Chi siamo? Dove andiamo? /vorrei quelle risposte/che nessuno, io compreso, /conosce veramente”. Ci portano nel sociale “l’uomo che dorme avvolto/nella sua lurida coperta” o quello che ”- non richiesto -/vorrebbe pulirti quel vetro/perché meglio tu possa vederlo”; Angelucci sta sempre “dalla parte dei perdenti”, dell’ “uomo o ciò che resta/(che) si accartoccia/sul suo letto di cartone”. Riportano agli affetti “gli occhi sofferenti di mia madre” e “gli sbagli presunti di mio padre”, nonché i brani dedicati al ricordo dell’amico Gianni Rescigno e delle amiche Innocenza Scerrotta Samà e Aminah De Angelis. Infine, dicono, del suo amore alla Natura, quel Sole “Padre e Madre”; quelle “foglie lungo i viali”; l’indescrivibile bellezza di “Un esile ramo di melo/con le gemme appena dischiuse”; “il fuoco dei papaveri, /tra i cori degli uccelli” e quegli anatroccoli che danzano sull’acqua in un tripudio di luce e di suoni, con “i sibili del vento fra le canne”, vero ambiente da Paradiso terrestre. Domenico Defelice SANDRO ANGELUCCI – TITIWAI - Prefazione di Franca Alaimo, Postfazione di Franco Campegiani – Giuliano Ladolfi Editore, 2019 – Pagg. 88, € 10,00

LO SCRIGNO DEI RICORDI Ognuno di noi ha in serbo un piccolo tesoro personale del cui valore reale non sempre si sa rendere conto: i ricordi, il passato, le vicende della propria esistenza.

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Non si tratta di ignorare il fardello dei mali accumulati, ma di valorizzare quei piccoli brillanti la cui luce è rimasta soffocata nella nebbia degli anni. Non trascuriamo quei nostri ricordi, viviamo in sintonia con la Natura, continuando a coltivare il miele dei sentimenti, dell’Arte e dell’umana solidarietà. Spente le fiamme, rimane pur sempre la brace: evitiamo che questa si trasformi subito in cenere. Luigi De Rosa Da Fuga del tempo, Genesi Editrice, 2013

Senza poesia La parola non canta in questa notte orfana di luna non sente i palpiti del sogno senza la luce diafana nel buio. La parola tace in questa notte d’ombre, cerca un foglio, bianco come la luna, che risvegli il cuore. Ohne Poesie Das Wort singt nicht in dieser mondlosen Nacht, ohne das durchsichtige Licht hört es nicht den Herzschlag von Träumen im Dunkel. Das Wort schweigt in dieser Nacht der Schatten, es sucht ein Blatt so weiß wie der Mond, das das Herz erwecken kann. (Poesia di Maria Gorgotta. Pomezia-Notizie, dicembre 2020, p. 8. Traduzione in tedesco di Marina Caracciolo)


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TITO CAUCHI ANGELO MANITTA E IL CONVIVIO di Domenico Defelice

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L titolo afferma con forza che non si può trattare di Angelo Manitta senza includere la sua trimestrale creatura di carta – Il Convivio – che da molti anni, dalla autentica miniera e dal crogiolo di culture che è stata sempre la Sicilia, porta per il mondo la voce di poeti e scrittori italiani, nonché di stranieri, per lo più tradotti nella nostra lingua proprio dallo stesso fondatore della rivista; e si tratta, in maggioranza, di autori francesi, spagnoli, greci, dei quali Manitta pubblica i testi originali con a fianco la propria versione. Ed è sulle pagine de Il Convivio, e su quelle dei supplementi Cultura e prospettive, prima, e, ora, dal gennaio 2019, di Letteratura e Pensiero – entrambi autentiche antologie, andando sempre oltre le duecento pagine – che abbiamo letto e leggiamo interessantissimi saggi, perché Angelo Manitta non è solo poeta, ma studioso di storia e critico esigente e rigoroso. Non è l’unico volume pubblicato in questo nefasto 2020 dallo studioso Tito Cauchi; ricordiamo, stampati dalla stessa Editrice Totem, Pasquale Montalto. Sogni e ideali di vita nella sua poesia, uscito in agosto, e, in novembre, Lucia Tumino una vita riscattata. Scrivendo del poeta di Acri (Cosenza), Cauchi afferma che “Pasquale Montalto segue degli ideali di vita, condivide spazi naturali, culturali, sociali e esistenziali con l’ambiente

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umano che lo circonda, che amplificano l’animo rendendolo forte di energie e di virtù nascoste che egli utilizza per filtrare e trasformare le negatività che ci circondano”. Lucia Tumino (1928 – 2020) è stata una donna che ha sofferto molto, e per le condizioni economiche che ha dovuto affrontare per portare avanti la famiglia, e per le incomprensioni umane, alle quali non furono estranei genitori e parenti. Anche per tutto ciò, la poetessa appare, agli occhi del critico, una donna che ha dato senso al riscatto della vita; “La condizione della dona – scrive Cauchi -, mortificata dalle leggi non scritte degli uomini”, l’hanno bersagliata di continuo; eppure, dalla sua bocca e dalla sua scrittura non è uscita mai “un’imprecazione”; così, la sua, sembra “Una poesia monocorde che commuove”. Per la Tumino, “La scrittura [è stata] come cucitura delle sue ferite e riscatto della sua doppia condizione di donna e di miserevole essere umano”. “È la storia esemplare della condizione femminile mortificata”, afferma Cauchi, concordando con Giovanna Ricca Gianni che parla di “vicende dolorose e spiacevoli”. Ma torniamo a Manitta, il quale, sebbene abbia composto, tra le altre, un’opera ponderosa di ben 50.000 versi, dichiara modestamente: “Non sono un poeta perché non so capire/ l’ animo umano, non so descrivere/l’universale, non so leggere le vicende/ dello spirito”, affermando, secondo quanto riportato da Cauchi: “non credo che scriverò più poesia”. Sciocchezze, perché Angelo Manitta poeta lo è. Le pagine che, in questo libro, trattano specificatamente di Angelo Manitta, son le prime sessantotto. Cauchi, dopo una breve premessa, si interessa delle opere in versi: La ragazza di Mizpa; Big bang Visione di luce; Il Mondo dei viventi Big Bang – La terra; Big Bang – La Via dello Zodiaco; Big bang, Canto del villaggio globale; La chioma di Berenice. Dei saggi letterari esamina: Antonio Filoteo Omodei e Giulio Filoteo di Amadeo; Aci e Galatea. Riproposizione topografica di un mito; Capitoli, Consuetudini e Usi Civici di Castiglione di Sicilia e Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, nel quale Manitta afferma ciò che


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assolutamente condividiamo e, cioè, che “La sua ‘filosofia negativa’ è solo di superficie”, che Leopardi, insomma, non fosse un vero pessimista e neppure un miscredente. Questo saggio, in particolare, rappresenta, secondo Cauchi, “una pregevole opera” e “costituisce un ottimo testo di metodologia critica, (…) per tutti coloro che si accingessero allo studio analitico di un’opera letteraria, e non solo per la vasta opera di Giacomo Leopardi”. Infine, Cauchi ci ricorda l’opera di narrativa Ceneri di Fenice. Pochi lavori, rispetto ai tanti di Angelo Manitta, ma sufficienti a dare una immagine chiara, se non esaustiva, del poeta e dello scrittore siciliano, oltretutto fine divulgatore culturale coadiuvato, in ciò, dall’intera famiglia: la moglie Enza Conti e i figli Giuseppe e Guglielmo. Proprio a Giuseppe e a Guglielmo Manitta sono dedicate alcune pagine successive del libro, quelle da 69 a 80 e anche Giuseppe Manitta si interessa di Leopardi in un corposo saggio. Le altre restanti pagine sono occupate da recensioni riguardanti Giovanni Tavčar, Giuseppe Melardi, Santo Consoli, Michele Albanese, Corrado Chiaroscuro (ma è lo stesso Michele Albanese), Serena Careddu, Fiorella Gobbini, Mariagina Bonciani eccetera, tutti autori che hanno avuto contatti con Il Convivio e, alcuni, anche con Pomezia-Notizie. Un libro composito, questo su Angelo Manitta e il Convivio, di conoscenza, e, quindi, anche di ricchezza. Domenico Defelice TITO CAUCHI: ANGELO MANITTA E IL CONVIVIO - Editrice Totem, 2020, pagg. 172, € 20

Nella foto di pag. 19, da sinistra: Domenico Defelice, Angelo Manitta e Tito Cauchi

BAMBINI DEL 2020 Uno strillo e la paura della luce che t’investe. Subito ti plachi al sorriso dell’infermiera, all’allegrezza di tua madre, chioma buna, occhi grandi, ciglia nere e folte, le labbra vermiglie e pronunciate socchiuse in un angelico sorriso,

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la parola soave e musicale. Così l’avevi immaginata navigando nella placenta; tale e quale la voce t’invocava e ti cantava la ninnananna del cuore; così il volto di tuo padre, simile a quello di cavaliere antico (lo so, tu nulla sai dei cavalieri antichi, capelli lunghi, barbe nere o bionde o rossicce, le vesti ricamate e frange e cordoncini, volontà e coraggio sempre al fianco con la spada affilata e luccicante per difendere l’onore e la giustizia). Aperti gli occhi non ci riconosci, bimbo nato nel 2020, perché ci siamo tutti mascherati. Ci guardi con timore e con sospetto. Ieri, per un istante, tuo nonno se l’è tolta e tu gli hai cinto il collo col tuo piccolo braccio, poggiato sul suo, aspro e rugoso, il tuo tenero viso, sparito all’improvviso il broncio. Comprendere non puoi il nostro dramma, bambino del 2020. Noi, che spesso ci siamo mascherati ad ingannare, oggi lo facciamo per difenderci. Bambini del 2020, bambini figli di mostri. Qualcuno, dopo lo strillo – ce l’ha fatto vedere la Tv ha tentato di togliere la maschera all’esultante dottore. La madre che vi allatta e che vi abbraccia non è quella sognata navigando nella placenta; neppure la voce è quella, cancellato il sorriso. Guardate noi e guardate la Tv. Mascherati non sono Tommy e Gerry, non lo sono Masha e l’Orso, neppure l’uomo in giallo, la vispa scimmietta, il cuoco siciliano, il leone, il coniglio… Guardate loro e poi guardate noi, bambini del 2020, e non sapete darvi una ragione perché ci siamo tutti mascherati, perché ci presentiamo da pagliacci. Domenico Defelice


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GLI ANNI SENZA LIMITI di Leonardo Selvaggi Il lenzuolo disteso all’aperto. GUALE momento di chiusura meccanica della serranda, gli automi stanno attenti non vogliono che entri più luce di quella voluta. Io ho lasciato aperto il balcone; non mi sono sentito questa sera la pelle addosso, la penombra come lenzuolo mi ha tenuto ravvolto, diafana con il candore mobile dell’aria. Ho portato il mio sonno per la strada, trasportato incontro a quelli che di notte la rabbia esplodono, gridando forte le loro ferite ubriache. Nella luce adombrata felpata come da fili invisibili orlata, i passi miei leggeri davanti alla panchina. Il vento inaspettato che viene dalle montagne penetra nella camera, spingendo fasce di sole. Freschezza mobile nella casa, aridità attorno a letto che è muto senza amore, le pareti hanno poco da dire. Il matrimonio di mio padre che si portò la sposa da un paese vicino. Il falco che dilania la gallinella, messi gli artigli entro le piume intatte, il becco si bea traforando l’intestino. La voracità impaziente attraversando la serata inoltrata. La pioggia tempestosa che interrompe il corteo significa dovizia di piaceri, fatiche di una vita intera. Non c’era bisogno che la suocera guardasse il lenzuolo disteso all’aperto, fatica ci voleva invece ad aprire i petali del fiore che il profumo resistente teneva stretti geloso di se stesso. All’inizio poco cammino e tanto ardore ad andare verso l’orizzonte. Dopo gli anni lo spazio si è allungato alle spalle, ci si guarda intorno per paura in cerca di sicurezza. La solita storia di quelle cose che non si possono comprare. Si annidano dentro di noi ricchezze che farebbero nuovo il mondo delle persone. L’egoismo è una barriera di cecità e di malvagia acrimonia verso gli altri. I principi che tanto calore umano detengono potrebbero immettere in ciascuno fiamme di vita, benessere totale come flussi di felice comunione con quello che è intorno a noi. Espressioni artificiose con il gusto del macabro, parole vuote che vogliono creare effetto in chi ascolta. Gioco di contrapposizioni sia nel contenuto

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che nella disposizione delle parti scritte con un enorme capolettera all’inizio dell’articolo che sa di falsa idolatria. Affossamento della semplicità d’animo che vede con immediatezza ed equilibrata commisurazione il vero. Il sesso troppo usato e barattato in tanti modi, non ha sapore, un meccanico sovrapporsi, quasi il corpo fattosi di metallo, la pelle munta rinsecchita non ha una goccia di linfa. Faccia rotonda come il sorriso dell’occhio che ha sapore ancora di latte, cammina rientrata nel grembo; qualcosa rimasta a metà che appena si regge, risente l’ultimo contatto con il calore mantenuto. Una giumenta distesa di lato ricca di glutei e fianchi; tutta la sagoma divisa in simmetriche parti, si scova l’occhio dell’insieme nel taglio che scopre la carne fumigante e sapida. È poesia quando il corpo si fa sintesi; spirituale la fusione legati, in un solo flusso si conducono il sangue e il respiro. Punto del sistema, sincronia del tutto, la bocca che sugge dall’altro essere, quasi aggancio voltaico, superandosi il particolare in un afflato continuo con le cose che esistono. Non puoi contraddirla, gira la groppa, recalcitra e dice di no, tira avanti la mula, si va d’accordo, due bestie che si seguono, ma non si fanno confronti. Cammino con le mie fisime, la cavezza strappata per terra. La meccanicità puntigliosa non lascia adito a liberi giudizi. L’afa ha fatto un miracolo, sono ritornato indietro, la scioltezza dei pensieri segue i desideri che l’istinto dei primi anni sbandiera correndo dietro fantasmagoriche illusioni, i programmi e gli impulsi giovanili, i fremiti si scuotono dai duri irragionevoli pregiudizi. Figlio di famiglia, gli umori mutevoli; la stanchezza e la rabbia degli arti che vogliono svincolarsi. Cominciano le dimore fuori del paese, le strettezze finanziarie non valgono rispetto al libero girovagare dei pensieri dietro le sensazioni che non hanno compressione, svolazzano nei luoghi diversi, selvatiche e timorose di prendere il miele dai bei fiori della primavera cominciata. Il piacere sognato di stare con me stesso, le attese nella tarda sera alla luce del comodino. Appena dopo il concorso, l’orgoglio di poter


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avere un modo di essere. L’esuberanza incontenibile, manca la serenità per gestirla e goderla, è una fiammata che mi percorre, non so prendere le occasioni e sono sfuggente. Ma l’accensione della mente dà le ali alla fantasia delle espressioni. Penso avido che gli anni sono senza limiti, la carriera può riempirsi. I viaggi all’intorno della residenza; le passeggiate della gioventù all’ora del primo pomeriggio, una policromia di facce, la magia delle simpatie mette il chiodo fisso sui lineamenti di certi virgulti freschi appena spuntati, sono flessibili e fugaci al primo getto del verdeggiante odore. Le letture nella camera, la sedia è il letto perché da una posizione di amabile indolenza; i padroni di casa e la cucina. Il piatto mi distende e mi tiene distratto, mescolo pietanze e immagini che ho delineate, rifaccio il sapore della minestra con altri ingredienti, capelli, guance piene e rosee, ci mangio sopra. C’è una voce appena incrinata che passa dolce dalle narici, penso che nel cuore chiusi tanti silenzi se ne stanno prigionieri. Una vita contrariata, nemmeno l’approssimazione ha potuto avere: un contatto di pensieri indovinati lascerebbe passare fuori quelle patite nascoste lacerazioni. L’uomo iconoclasta A Torino si impara l’italiano dice la bibliotecaria seria agguerrita che vede l’istituto in una deprecabile debolezza di servizio. Viso reattivo, vitreo, la pelle tirata. Il Sud, terra di dialetto e di mafia. Si vuole tagliare tutta una parte ubertosa del Settentrione che difende i recinti della razza e le bandiere delle leghe. Sarei lieto che un giorno ci sfrattassero da questa residenza e finisse un’ipocrita convivenza: chiarezza gridata e padroni di esprimersi, rilevando le differenze marcate che fanno essere stranieri. Gente come rami che dritti s’ergono lungo il tronco. I riti con tanto intreccio superstizioso legano i villaggi alla vita. Qui la barbarie dell’egoismo che è l’emblema della modernità; una lancia brandita contro i simili. Pietra la carne assetata e disagiata che asciutta senza umori morbosi riveste la spalla lunga os-

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suta e nerastra dell’uomo d’Africa. Sguardo silenzioso fatto di allungato muso d’animale. Io sono con la mia vita di ogni giorno lamentata, eterno presente in ogni momento. Al funerale la ragazza appoggiata alla colonna si alza sui tacchi dentro l’impermeabile bianco amidato. Per il morto la celebrazione è canto già del paradiso nella chiesa di Gubbio. L’uomo iconoclasta uccide il passato, una crassa visione ha dell’utile. Oggi la civiltà è sbriciolata, senza vita. Ho intravisto davanti al palazzo dei Consoli l’ombra dell’uomo molto vicino alle forme adamitiche, è rimasto impresso sui blocchi di pietra dura; attorno ai marmi c’è un odore indomabile di purezza, sfrecciano le ali dei colombi. Felicità dalle finestre del medioevo spaziando lo sguardo nell’aria ventilata dell’Umbria. Si proiettano con lo scalpello i lineari pensieri che sono ricami bianchi splendenti eterni nel tempo. Le monumentali costruzioni storiche sono cementate dall’immagine appassionata dell’artigiano che curvo con il deretano prominente e le braccia arcuate solleva il grosso peso. Scalinate e volte, archi e portali sono ancora caldi della mano che vi ha lavorato. I napoletani che non hanno programmi, l’stinto li spinge ad agire per fatti minuti, tutti per la soddisfazione momentanea. L’indolenza è la matrice della loro filosofia; le prospettive che non concepiscono, il loro movimento senza complessi, liberi e irregolari; disordinati sono nella stanza che si rimescola, un insieme di cose e circostanze. Lontani da problematicità vanno avanti spontanei, diversi da quelli che invece ad ogni passo incontrano ostacoli, presi da irretismo e meticolosi all’eccesso, l’azione più semplice li trattiene per l’assenza di quella praticità che fa risolvere tutta la gestione dei particolari atti del momento. Temono sempre che vi sia dell’illecito, tanto stretta è la minuta riflessione raziocinante. Vedono possibili rappresaglie, immaginarie difficoltà che sono proprio di patologici stati privi di flessibilità mentale. I napoletani vuoto hanno il subconscio, niente disagio farebbe lo schiamazzo dei bambini al


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loro sonno facile. Zoccoli per le scale, reggiseni alle maniglie, la cucina riversata sulla tavola. La città ove dimoro, solo materiale peso di contrapposizione, cintura stretta attorno alla vita che è assenza piena di corrispondenza. Quello che tu fai viene guardato con ipocrito sorriso. La pelle rossiccia di tanti, suocere puntigliose che hanno un minuto modo di fare, parole astiose, vedono i buchi più piccoli, il pelo nell’uovo. Non si ha quella elasticità che congloba un insieme di fatti dando soluzioni per un fondo di base dialogato. Aciduli, pronti nel momento che non vuoi per rinfocolare i diverbi che vanno lasciati maturare nel loro stesso alveo. Una prestabilita cruda contrarietà, vischiosa sadica erosione per tutto quello che manifesti. Davanti ad un accaduto o situazione che farebbe subito parlare ai vicini col muso prominente preso da strappi di sensazioni per avere un segno di colloquio, trovi la solita repulsione conseguente al dialetto diverso. È più facile tirare fuori gli intestini e non un cenno di accondiscendenza. Tutti livellati nella città, dentro l’anonimato. Trovi gli ultimi venuti dal Sud di fresca e ingenua forza che si mascherano, senza personalità, poco coerenti, persi carattere e costumi dei propri luoghi. Non li riconosci più, quella corteccia ruvida che faceva il viso e la parola si è staccata ed è venuta fuori una pelle senza espressione, nessun segno che contraddistingue la appartenente vecchia storia, quella vera natia. Le forme libere La pioggia annulla le dimensioni, attornia lo spazio proprio circoscritto. Le lontananze del cielo, che vedono l’uomo cellula vivente dispersa, si sciolgono. Sotto la furiosa pioggia le raffiche di colate di acqua all’ozono. La terra porosa inzuppata si sazia, la terra irrorata ci chiude nel recinto più vivo, l’aridità astrale, i deserti della luna non ci sono più. Le piante le vediamo muoversi. La vita dell’uomo un grande calice che sente tutto quello che c’è, il mondo è tutto in un quadrato, intercomunicabilità con le persone. L’ingordigia della tettoia, che raccoglie acqua precipitosa, ingolfa il tubo

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della grondaia. Le nubi di nero carbone, metri di acqua addensata scenderanno, le case segmentate dalla caduta della pioggia si fanno baracche e noi siamo affacciati sul limitare, le persone si fanno coabitazioni di contatti. Pure il linguaggio è denso di allegorie perché prende più significati sintetici, si fa figurativo. Dopo la pioggia il sole di luglio dà una spinta ai germogli per nuove crescite, gli animi felici, il corpo ferace dallo stato di benessere è invaso. Al mercato la commistione delle persone accodate, sentendo il calore di chi mi segue. La spinta delle femmine prosperose e vivaci mi piace. Le vesti diventano trasparenti, il sangue è un flusso scorrevole per quella maggiore dinamicità che la pioggia ha portato all’epidermide. Il calore e il sorriso in modo facile uniscono in subitanea simpatia. L’occhio verginale delle fanciulle scintilla. Pare che la pioggia abbia innaffiato la pianta dell’uomo, le sensazioni come rami si distendono, le foglie di vista più acuta, l’udito amplificato ha preso le antenne. Ripulita la pelle eccitata al tatto delle mani, trovo il mondo ristretto, articolati i tentacoli degli sguardi. Al mercato del paese, per l’intestino dello spazio che fra le bancarelle si allunga le donne si affollano, debbono comprare per abbellirsi, riempire i cassetti, ornare la casa. Lo sguardo a uncino va dove vuole, squadra le forme, seleziona e si mette dove la rosea morbidezza si gonfia. Le gocce sospese per l’aria e sulle superfici riflettono la lucentezza del mattino purificato, spandono iridescenze dappertutto. I momenti succeduti alla pioggia si lievitano di esuberanze; fermentazione delle spoglie bagnate, la carne accaldata si intravede dalle vesti umide. Le forme libere, snellite danno movimento sagomato, flessuose le anche, liete le natiche, la pioggia caduta ha acceso i colori del viso. I capelli di odore selvatico sciolti e divisi sulla simmetria della faccia. I peli del corpo di sudorazione acre. Si sente la femmina in quest’aria gravida di calore. Dalle nubi torbide sono eruttate esplosioni di tuoni. La pioggia si è infiltrata per tutte le fessure, la terra ha richiuso le secche crepe ed ora spugnosa ribolle di germi attorno alle radici.


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I solchi neri ubertosi, le rosse zolle sgretolate per coprire di vello nutrito il terreno degli orti. Il verde degli sguardi è lucido come quello delle foglie di stagione, gli arti deambulano leggeri come quelli degli animali usciti dai ripari con la pelle gocciolante, si scuote tutto il corpo che ritrova la nuova energia. Le parole umorose salgono dal cuore, si incrociano con voluttà e pienezza viscerale. Le persone strette si sorpassano, si fermano rimescolate perché è intasato il poco spazio che si snoda da un capo all’altro del mercato. Mi sento un bambino e posso fare tutto, non ci sono limiti convenzionali. La libera spontaneità rigogliosa. Il bancone delle sottovesti e di indumenti intimi mi spingono l’immaginazione; vedo le sagome nude come piante ombreggiate di rami e fiori. Allora la fila di corpi vedi quasi lunghezza tortuosa di un serpente, la pelle unica allungata con sfumature varie, chiazze cromatiche lucide. Fusione amalgamata di un solo corpo che si attorciglia, si taglia e si ricompone. Mi sono trovato bloccato, ho dietro il tronco dell’uomo, duro e secco, davanti la sofficità del deretano di una donna, mista di bruno e di biondo, il collo snello della gazzella che saltella, la stretta sinuosità dei fianchi. Nel cervello mi sento la terra piena di pioggia, le radici che si muovono spingendo la linfa alle foglie. La massa si rimuove da giovanili spinte corporee. Il sereno stato vegetativo, il caldo terso che vivifica tutto, aprica è aria che ha scrostato i giorni fermi. Leonardo Selvaggi

SILLABE NUOVE Sillabe nuove mi scrivi e non ruota la bussola del cosmo; solamente la tua voce mi sommerge. Hai annunci primaverili, mi regali aromi di cuore fanciullo e occhi in cui navigo dimentico come tra balenii di onde

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lungo assolate riviere. A cumuli di macerie sei lievito di sogni. Più non sono rondine esiliata. Anche se distante, ogni notte te intravedo -astro del Sud, mio Espero. Rocco Cambareri Da Versi scelti, Guido Miano Editore, 1983.

Natale di una volta Mancavano soltanto tre giorni al Natale, ma c'era già, intorno, aria di festa: torroni e panettoni esposti nei negozi, suono delle zampogne, per le vie, per la nascita di Gesù Bambino, eccitazione nei bambini per la festa più bella dell'anno, super-attività per le masaie che preparavano il pane fresco per i giorni di festa e i "turcinielli" (frittelle a forma di biscotti, salati, fritti nell'olio nuovo). Quella mattina mia madre si alzò, come al solito, prima di tutti, e mentre girava per casa, dedita alle solite faccende, cantava, in sordina, una canzone popolare, in dialetto: <<Ecc' Natal, / n' teng' rinar' / pigl' la pipa / e m' mett' a fumà>>. (Ecco Natale, non ho denaro, prendo la pipa e mi metto a fumare). Finiva la breve canzone e ricominciava. Noi (io, mia sorella e mio fratello, più piccoli di me), a quella voce, ci alzammo e andammo in cucina, eccitati. Mia madre ci guardò, con tenerezza, e disse: <<E' presto, tornate a letto>>. E noi. <<Ma è quasi Natale! >>. Ed ella: <<Avete ragione, ma Gesù non è ancora nato ed io devo preparare i "turcinielli", perché la pasta è cresciuta>>. Ci baciò e : <<State solo mezz'ora sotto le coltri. Poi verrete a far colazione, coi "turcinielli", s'intende>>. Noi tornammo a letto. Mio padre, presso la finestra, con uno specchietto davanti, strofinava il pennello insaponato sul viso, per la barba, e rideva sotto i baffi. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo (IS)


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Il Racconto

IL TRAGHETTANTE di Wilma Minotti Cerini ’attendevo>>, disse con un respiro di sollievo. <<Si, mi scusi per il ritardo, ma ho dovuto andare precipitosamente da una giovane ragazza di diciassette anni>>. <<Non si preoccupi, sapevo che sarebbe venuto, ho cercato in me il massimo delle risorse vitali ed ho potuto esaminare i miei ricordi, perlomeno i più significativi, altri li ho proprio scordati o rimossi; ma poi quel dolore lancinante è risalito fino al cervello ed ho dovuto desistere per prendere un poco di respiro. Grazie di essere qui>>. <<Ed ora in questo momento come si sente! >> << Mi sembra un po’ meglio, anzi ne sono sicuro; dal momento che è arrivato la mia ansia si è chetata>> << Sono contento, tra non molto lei starà finalmente bene. Sono venuto anche per prepararla a saltare. È già stato sulla riva? >> << Si >> <<E ha avuto paura?>> << Si ho paura di non farcela, è un salto molto lungo, ci vuole molta buona volontà ed un corpo agile. Come vede il mio è ridotto male>> <<Ma con la volontà troverà l’agilità dei suoi vent’anni, è stato pure campione di salto in lungo nei corsi ginnici dell’Università, lo ha forse dimenticato? >> <<No no, ma sono passati così tanti anni che potrei dire di non rammentare più quella lontana epoca. Ma se non ce la facessi e cadessi, che possibilità avrei di essere salvato? >>, chiese ansioso << Non si preoccupi, anche per chi cade c’è sempre un pescatore, solo occorre attenderlo, non sempre è li a portata di mano. Ci sono pochi pescatori rapportati a coloro che cadono; bisogna allora avere molta pazienza e aspettare

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il proprio momento. Ma lei non deve avere simili dubbi, tutto fa presupporre che ce la farà. Sono qui per questo, per aiutarla a saltare e ci riuscirò anche se lei non avrebbe bisogno del mio aiuto, basterebbe per lei essere certo di poterlo fare, è una cosa tanto semplice. I ragazzi lo fanno senza pensarci due volte e in un momento sono all’altra riva, a loro sono riservate delle feste particolari quando giungono, in fondo è come ritornare a casa dopo aver fatto solo un piccolo giretto. Per gli adulti c’è un bagaglio da esaminare, è meglio lasciare quanta più zavorra possibile sulla riva, ne conviene? >, <<Si ha ragione, anche se non so da dove incominciare >> <<Incominciamo dal dolore. C’ è qualcosa che l’addolora particolarmente e la trattiene? >> << Mia figlia. È ancora così giovane! Quando viene, percepisco il suo dolore, sento le sue lacrime bagnare le mie braccia e quando si avvicina per baciarmi il viso, mi stillano sulle guance, a volte sugli occhi e mi dice di resistere, di non lasciarla sola. Questo mi fa disperare e così stringo i denti. Ma non so per quanto tempo potrò farlo ancora. Non riesco a comunicarle che è impossibile e che…alla lunga dovrò pur andare alla riva. Da quando è morta sua madre, la mia adorata Elisa, sono vissuto per lei, ho cercato di riempire quel vuoto immenso con tutto l’amore che mi era possibile >>. << Ah! Si, lo so, lei è stato veramente un ottimo padre, anzi: padre e madre, più di così non poteva fare. Non ha nulla di che rimproverarsi>>. <<Ma vede, poi col tempo crescendo, speravo che si facesse una famiglia propria, in fondo è una bella ragazza, senza essere superlativa, posso dire che si distingue dalla media, e poi è talmente gentile e dolce! Sarebbe assai fortunato il marito che la prendesse in moglie. Ma lei ha sempre rifiutato per paura di lasciarmi solo e a nulla è valso ogni mio ragionamento. Ho così paura di lasciarla sola, la solitudine è una gran pena, se non avessi avuto mia figlia non so cosa avrei fatto. Quando Elisa se ne andò così in fretta,


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senza darci la possibilità di essere preparati, entrai in uno sconforto senza fine. Fu mia figlia che mi salvò. Dopo aver pianto tanto a lungo abbracciati, la mia piccola, con un filo di voce, mi disse che aveva fame. Questo pensiero così semplice e vitale mi scosse dal mio dolore. Lei era me ed Elisa insieme e mi chiedeva di accudirla, di proteggerla, di amarla, e così feci: l’accudii, la protessi e l’amai con una devozione simile, così almeno pensai, a quella che le avrebbe dato Elisa. Ma ora ha venticinque anni. Bisogna che si rassegni anche a stare sola, perché sono giunto all’estremo>>. << Vuole conoscere colui che sarà il marito di sua figlia? >> <<Posso … veramente? >> <<È molto più vicino di quanto lei crede, venga con me, glielo mostro, sta nella stanza accanto alla sua, dove c’è sua madre >> Entrarono nella stanza accanto, dove un giovane uomo di circa trent’anni era chino sulla propria madre a scrutare ogni possibile segno di vitalità. Il suo sguardo era soffuso di una malinconia contenuta, ma il suo cuore soffriva terribilmente. La madre li accolse con un sorriso, <<Siete qui per i nostri ragazzi?>> <<Si mi è appena stato detto che si incontreranno. Forse stasera, forse questa notte>>. << Sono felice per loro. All’inizio si consoleranno l’un l’altro, ma tra poco per loro sarà un amore vero, di quelli che durano nel tempo. Il cuore di una madre sa, sapesse come sono sollevata! È un buon ragazzo mio figlio. Molto affettuoso ed anche molto forte. Guardi vorrebbe piangere, ma non lo fa per non dispiacermi. Ma questa notte piangeranno l’uno nelle braccia dell’altro. Se non le spiace vorrei venire con lei sulla riva, non ci sono ancora stata. Lei ha già visto? Sa come si deve fare? >> << Si ci sono stato, occorre fare un grande salto. Questo signore è qui per aiutarmi, ma certamente aiuterà anche lei, ne sono sicuro. Glielo chieda >>. << Crede che sia possibile aiutarci a fare il

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salto insieme? >>, gli chiese quasi supplicandolo. << Ma si, non è la prima volta. Anzi, lei potrà aiutare, il suo bagaglio è talmente leggero! Veniamo a prenderla tra un’ora e faremo una prova>>. << Grazie, a tra poco … sono così sollevata di non essere sola>> Rientrarono nella camera accanto. << È più contento ora? >> << È come un macigno che si sgretola, grazie a Dio! >> << Vuole parlare dei rimorsi? C’è qualcosa che ha lasciato incompiuto e che le dispiace? >> << C’è un grosso rimorso che mi segue da tanti anni: Amerigo. Avrei potuto salvarlo e non l’ho fatto. Avevo detto tante volte: “si”, perché quella sera ho detto: “no”? Non me lo sono mai perdonato. Quando il giorno dopo lo trovarono annegato nel lago ho subito pensato che fosse per colpa mia. E questo è un macigno che mi stritola>>. <<Crede veramente che la causa sia dovuta a lei? >> <<Si, che altro dovrei pensare? È certamente causa mia. Ma quella sera ero troppo esasperato. Gli ho fatto non so quale discorso da moralista senza dargli quanto chiedeva, avrei potuto trattenerlo, in fondo lo avevo fatto altre volte e una volta in più non avrebbe cambiato la mia vita. Invece la sua fu distrutta dal mio rifiuto di ascoltarlo ed aiutarlo ancora>>. << Ricorda perché non lo fece? >> << Quella sera mia figlia si stava preparando per andare ad una piccola festa organizzata dalla scuola. Ci teneva moltissimo ed era tutta gioiosa per il suo bell’abito nuovo. Era quasi pronta quando venne Amerigo. Era certamente ubriaco e diceva parole sconnesse. Avevo cercato di calmarlo, sperando che Oretta non sentisse e che uscisse per la sua festa. Invece lui incominciò a imprecare a voce talmente alta che Oretta sentì e scese le scale per accorrere da noi. Questo mi fece così male che guardai Amerigo con uno sguardo carico di odio per quella gioia così


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rara della mia bambina. Colmo di esasperazione gli dissi di andarsene immediatamente da casa mia e che non avrei dato quei maledetti soldi che mi chiedeva ancora e sempre. Gli dissi che doveva andare in un ospedale a farsi disintossicare, che era un ubriacone. Mia figlia cercò di mettere pace tra noi, ma io ero troppo esasperato e così’ gli diedi un gran ceffone. Non avevo mai picchiato nessuno, ma quella volta sulla guancia rimasero impresse le orme delle mie cinque dita. Alla fine lui se ne andò, lanciandomi non so quali maledizioni, dicendomi che io ero sempre stato fortunato, mentre a lui non gliene andava mai bene una. Quando disse questo pensai alla mia povera Elisa e a tutto il dolore che il mio cuore ancora tratteneva, mi accasciai su una poltrona e mi misi a singhiozzare. Oretta l’accompagnò alla porta e lui se ne andò, e lei rimase tutta la sera seduta ai miei piedi abbracciando le mie ginocchia. Piangevo per Elisa, ma soprattutto per Oretta: non aveva avuto il suo momento di gioia per una festa tanto desiderata. Quella sera odiai con tutte le mie forze Amerigo, ma egli era tuttavia il fratello di Elisa, l’unico zio di Oretta. Quando il giorno dopo seppi che era stato trovato annegato fui preso da un rimorso infinito che ancora non mi lascia e mi sentii responsabile. Mia figlia cercò in tutti i modi di consolarmi e dissuadermi dal prendere su di me una simile colpa, dicendomi che per lui non vi erano speranze, ribelle com’era ad ogni consiglio. Ma io dovevo pur sapere che un alcolizzato è troppo fragile per intendere ed il mio aiuto poteva salvarlo almeno quella sera …. invece …>>. <<Scarichi questo bagaglio che la stritola, non morì per causa sua >>. << Ne è certo? >> <<Assolutamente si >> << E quale fu allora la causa? >> << Quella sera sua figlia, prima di accompagnarlo alla porta, andò velocemente in camera sua e tolse tutti i suoi risparmi da un cassetto dello scrittoio e glieli diede. Come vede, lui ebbe ciò che voleva. Poi uscì ed andò a bere nuovamente degli alcolici in un pub vicino al

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lago. Quando uscì, era talmente ubriaco che anziché prendere il vialetto delle Acacie, prese il sentiero verso il lago, costeggiò la piccola darsena e, senza avvedersene, precipitò nel lago. Se non fosse stato così ubriaco con due bracciate avrebbe potuto conquistare la riva, ma non fu così. Si sentì male e svenne e così annegò >>. << Ma se io non l’avessi cacciato ma trattenuto non si sarebbe forse potuto salvare? >> << Forse quella sera, ma non per le successive. Il suo destino era irreversibile. Comunque sappia che lui non la colpevolizza affatto, lo troverà all’altra riva, quando dovrà saltare. Non è stato punito perché a suo modo non era cattivo e poi, quando era in sé, soffriva di dover far soffrire. Non ha mai pensato di uccidersi. Fu solo un tragico epilogo di una vita sprecata. Al contrario, lui sa quanto bene fece a lui, anche se alla fine era inutile, era troppo schiavo dell’alcool. Glielo dirà lui quando vi incontrerete >> <<Lei mi toglie un grande peso, come potrò mai ringraziarla? >> << C’è un modo >> <<Mi dica>> << Quando le dirò è arrivato il momento, andremo insieme sulla riva e quando le ordinerò di saltare, lei deve fare il più lungo salto della sua vita. Pensi, in quel momento di essere un grazioso uccello, dispieghi le ali e voli, raggiungerà l’altra riva e sarà salvo>> <<Andrò con la signora accanto?>> << Si, andiamo ad esaminare la riva, è giunta l’ora>>. La signora della camera accanto si trovò all’improvviso vicino a loro <<Eccomi pronta>> disse Si recarono immediatamente sulla riva << E’ riuscita a vedere l’altra sponda?>> <<Mi pare di si >> disse la signora << Vedo qualcosa di indistinto >> disse lui <<Avanzate ancora un poco, è sufficiente un metro>> << Oh mio Dio! Vedo mio marito tutto sorridente che agita le braccia >> disse la signora al colmo della commozione <<guardi anche lei>> disse rivolta al vicino di camera


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<<guardi meglio, non vede delle braccia agitarsi?>> <<Forse, mi pare di vedere qualcosa, ma ancora non vedo chiaramente>> disse un po’ deluso <<Venga qui>> gli disse l’uomo misterioso, << Le metto un po’ di fango sugli occhi, è argilla, la tenga per un minuto e poi sciacqui con l’acqua del fiume, vedrà anche lei>> Così fece dopo pochi minuti guardò nuovamente l’altra riva, vedeva benissimo. Scorse il marito della signora e poi di fianco due persone che tendevano in avanti le braccia in attesa di abbracciare. Guardò meglio e una forte emozione lo prese. Gli rigarono le gote di un pianto sommesso. <<Vede, vede, chi ci aspetta! >> disse alla signora pieno di gioia <<Elisa e Amerigo. La mia Elisa mi tende le braccia!>>, disse in un sussurro. <<Crede che non faremo quel salto. Mi creda, mi sembrerà di volare >> << E se cadessimo? Se qualcosa ci impedisse di fare un salto così lungo? >> disse pieno di timore. <<Senta non mi dica che avrà paura. Che cosa ci trattiene qui? I nostri ragazzi si incontreranno e questo lo sappiamo. Si ameranno come noi abbiamo amato i nostri cari, di quell’amore che non marcisce. Forse avranno dei figli e saranno i nostri nipoti. Li lasciamo l’uno nelle braccia dell’altro. Cos’altro di meglio avremmo potuto desiderare? Ci toglieranno i tubi, le flebo, e i nostri corpi entreranno nella pace e poi si dissolveranno. Ora sappiamo che questo non ha alcuna importanza. I nostri figli piangeranno, ma poi si consoleranno e finalmente avranno un po’ di gioia. Vuole vederli soffrire ancora? Loro stanno in bilico tra volerci vivi e vederci morti perché non sopportano la nostra sofferenza. E noi li amiamo. Non facciamoli più soffrire! Facciamo questo salto con fiducia, se fosse per me lo farei adesso>> << Lo farete esattamente tra un’ora , ora rientriamo>> <<Mi scusi, ma lei è forse il nostro Angelo? Salterà anche lei non noi? >> chiese la signora

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<< No, io rimango da questa parte. Io sono colui che aiuta a saltare togliendo quanta più zavorra possibile che pesa come un macigno. Diciamo che sono un’entità incorporea e sono visibile solo a coloro che stanno per lasciare la vita corporea>> << Ma io la vedo e lei mi parla>> disse assai stupita la signora. <<Noi ci parliamo, ma nessuno ci può udire, al di fuori di noi e di tutti coloro che come voi sono in partenza per l’altra riva. Diciamo che sono un Traghettante, ma non sarebbe esatto perché io rimango. A volte faccio anche il pescatore quando qualcuno cade e riesco ad afferrarlo dalla corrente di questo fiume che trascina altrove molto velocemente. Se riesco a pescare, allora faccio riprovare a saltare. Sono così felice quando coloro che mi sono affidati raggiungono l’altra riva! >> rispose con gentilezza <<Come potremo mai ringraziarla?>> <<Voi siete il mio ringraziamento, poiché io vi amo >> <<Dio è davvero misericordioso>> dissero entrambi << Vi è concesso di vedere i vostri due figli, dopo aver raggiunto l’altra riva. Li vedrete piangere entrambi ed abbracciarsi. Sapete cosa succederà dopo. Il dopo è solo loro. Quando, col tempo, sarà giunto il loro momento, li verrete ad attendere alla riva, come ora attendono voi, è tutto così semplice>>. Oretta guardava il corpo tanto amato di suo padre, sommerso da tubi, flebo e aggeggi che registravano il ritmo cardiaco e l’elettroencefalogramma. Piangeva sommessamente, cercando di trattenere le lacrime che scendevano da sole. Prese delicatamente la mano inerte del padre e la baciò ripetutamente, e lui sentì le sue lacrime come una pioggia leggera bagnargli il dorso. << Figlia mia >> cercò di gridare <<non piangere perché non muoio! Muore solo il mio corpo che non ce la fa più!>> <<Non la può sentire, è inutile>> disse con delicata fermezza << Vorrei poterle comunicare che all’altra riva c’è Elisa che mi attende. Ma come posso


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fare?>> << Le leverò il tubo che sta in gola, ma userò la sua mano, così Oretta crederà che sia lei a farlo, subito dopo dica solo: <<Elisa è all’altra riva, io vado là >>. Si recò nell’altra stanza dove Francesco, come Oretta, piangeva sommessamente e fece lo stesso. La signora era raggiante. <<Dica a suo figlio Francesco “Papà è all’altra riva, io vado là” >> << È giunta l’ora, andiamo >> Si alzarono e andarono alla riva. Stranamente pareva l’altra riva si fosse avvicinata talmente che il fiume altro non era che un piccolo torrente. Bastava forse solo allungare le braccia per toccare quella amata. <<Attenti, ora…saltate! >> Spiccarono un volo leggero e incorporeo e furono accolti tra le braccia delle persone amate. Elisa strinse il suo amato sposo lungamente e il loro amore ebbe la fragranza di una rosa bianca nel colmo del suo profumo. Poi abbracciò Amerigo ed un calore di fraterna pace li avvolse. La signora era ancora abbracciata al suo sposo, quando all’improvviso capì che doveva restare ancora un poco su quella sponda prima di essere avvolti dall’amore Universale. Si avvicinò con suo marito al suo vicino di camera, ad Elisa e Amerigo e disse << Da qui vedremo i nostri ragazzi per l’ultima volta>>. <<Si >> disse Elisa << È il miglior punto di osservazione, potrò vedere la mia Oretta con il tuo Francesco>>. Oretta e Francesco suonarono nello stesso istante il campanello per chiedere aiuto. Entrambi avevano visto i loro genitori, quasi con una forza sovrumana, togliersi il tubo del respiratore automatico. Entrambi avevano sentito la voce flebile dire: <<Elisa è all’altra riva io vado là>> <<Papà e all’altra riva, io vado là >> e poi un leggero rantolo e l’elettroencefalogramma divenire piatto e il cuore affievolirsi e fermarsi. I medici sopraggiunti non avevano fatto altro che constatare il decesso, sorpresi da molte coincidenze, i tubi della respirazione forzata

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levati, la strana coincidenza dell’ora del decesso sopraggiunta allo stesso istante per entrambi. Oretta uscì dalla camera nello stesso istante nel quale usciva anche Francesco. Entrambi piangevano. Si guardarono con il viso colmo di dolore e fu più forte di loro abbracciarsi e piangere l’uno sulla spalla dell’altro, mentre le braccia si stringevano convulsamente. Piansero a lungo così e, quando ebbero un po’ di fiato dissero quasi all’unisono: << Sono rimasta sola>> << Sono rimasto solo>>. Quando ripresero un poco fiato, Oretto disse cos’era capitato poco prima a suo padre. Francesco, stupefatto, disse che la stessissima cosa era capitata a sua madre. Si tenevano stretti per mano, quando Oretta disse: <<Ma noi non ci lasceremo>> e Francesco << No, non ci lasceremo>>. All’altra riva tutti sorridevano. Wilma Minotti Cerini

FIUMI DI VENTI I venti erano fiumi in quelle strade impolverate. Lì c’erano le nostre voci disperse come petali di ciliegi e il respiro della terra che in ogni stagione ci palpitava nel sangue e ci parlava. Lì c’erano corse a piedi nudi, erbe falciate, scarpe aperte, dita punte dagli arbusti, canzoni gridate dietro ai voli dei fringuelli, mani battute per fermare fisarmoniche di cicale, e mare intravisto da lontano tavola per la danza della luna che saliva ai monti con sorriso pieno: li scavalcava, sostava, ci salutava ad uno ad uno, illuminandoci negli occhi il sogno di domani. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BastogiLibri, 2019


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“UNA VERA ARTE” (Matteo Collura) - 10 -

DEDICHE a cura di Domenico Defelice “Al prof. Domenico/De Felice, valido/giornalista e scrittore/questa “pagina” della storia/della mia Città con/nuova fraterna (incomprensibile)/affmo Natino Aloi/lì 10 - 1 - 2015” (opuscolo: Fortunato Aloi - La Chiesa e la Rivolta di Reggio, Nuovo Domani Sud, 2009). *** “ROMA, NOVEMBRE 2014/Al caro Professor De Felice,/con stima e un abbraccio di fede./Gian Piero Stefanoni” (suo volumetto Da questo mare, Gazebo, 2014). *** “Al Dott. Domenico Defelice/con stima ed amicizia./Imperia/Roma, 3 Marzo.2015” (volume: Imperia Tognacci - Là, dove pioveva la manna, Edizioni Giuseppe Laterza, 2015). *** “19-02-2016/A Domenico/con grande stima/e Sincera amicizia/Laura Pierdicchi” (suo volume: Oltre, Genesi Editrice, 2016). *** “Con stima e amicizia/Giorgina Busca Gernetti/Ottobre 2015” (suo volume: Echi e sussurri, Edizioni Polistampa, 2015). *** “All’ottimo De Felice/Grazie di leggermi!/Serena Siniscalco/Milano febbraio 2014” (suo

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volume: Il Poesiario IX, Genesi Editrice, 2014). *** “Al carissimo Amico Vittorio Martin,/poeta e pittore molto sensibile/ai richiami della Natura/ed alle voci del cuore/con tutta la mia ammirazione/per la sua bontà/e per il suo amore./Carmine Manzi/7 agosto 2009” (volume: Vittorio “Nino” Martin - …il piacere di scrivere…, Poeti nella Società, 2015). *** “14/05/2010/A Domenico Defelice,/instancabile e impareggiabile/promotore di cultura/Lucia Sallustio” (volume: AA. VV. - Il gioco dei quindici (in principio erano verbi), Giulio Perrone Editore, 2010). *** “A Domenico Defelice/con affettuosa stima/Giuseppe Napolitano/3/3/2012” (suo volume: È questo un figlio?, Edizioni EVA, 2012). *** “Al prof. Domenico/De Felice, intellettuale/raro ed attento, ottimo/scrittore e poeta, queste/note sull’esperienze/tratte da viaggi in/terre culturalmente diverse-/se non opposte - con stima/ed amicizia affso/Fortunato Aloi/lì 12/4/2014” (suo volume: Piccolo Taccuino di Viaggio, Città del Sole Edizioni, 2009). *** “02/05/2011/A Domenico, scrittore/e promotore culturale,/con l’amicizia e la/stima di sempre/Vincenzo” (volume: Vincenzo Rossi Valentina, Edizione Il Ponte Italo-Americano, 2010). *** “All’esimio professore Defelice,/alto cultore e custode/premuroso dello “Usignolo/d’Aspromonte”./Con stima e grande affetto./Antonio Roselli/Oppido Mamertina, sabato 28 dicembre 2013/ - CONSEGNO IN MEMORIA DI GEPPO TEDESCHI -“ (volume: Rosa Frisina - Meriggio Statico, Nuove Edizioni Barbaro, 2011). *** “Ciao, Amico!/hai fatto qualcosa/per mio padre…/perché non me lo mandi?/Grazie/Giuseppe” (volume: Poeti del Mediterraneo Yact


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Med Festival Gaeta 2011 Il viaggio della parola, a cura di Giuseppe Napolitano, Tipografia Ellegrafica, 2011). *** “25.VI.2014/Egregio Direttore,/Le invio questo/volumetto su invito della/prof.ssa Piera Bruno/di Genova./Cordiali saluti/Paolo Zoboli” (volume: Enrica Gnemmi - Requiem, Interlinea, 2014). *** “A Domenico Defelice,/con stima, il dono di/questi miei racconti/pubblicati nel 1987/Caterina Felici/Via Padre M. Kolbe, 72/61122 Pesaro” (suo volume: Il Vecchio e altri racconti, Maggioli Editore, 1987). *** “Al caro Amico/Domenico Defelice, che/per primo ha pubblicato/le mie poesie/Mariagina/1/9/2014” (volumetto: Mariagina Bonciani - Poesia e musica, Casa Editrice Menna, 2014). *** “PER LA BIBLIOTECA DI POMEZIA/CON I MIEI AUGURI PASQUALI AI CARI/AMICI LETTORI e AL MIRABILE PRESID./D. DEFELICE e FAM. Antonina/Ales Scurti/via M. D’Azeglio, 32/90011 Bagheria (PA)/ Tim 3488110538/BUONA PASQUA 2009” (suo volume: Scambio di cuori, Edizioni Universum, 2008). *** “ottobre 2011/A Domenico, con sentimenti/sinceri di stima, ammirazione/e amicizia/Anna” (volume: Anna Aita - La lettera smarrita, RCE Multimedia Communication Company, 2011). *** “Con stima e simpatia/Daniela Quieti/Luglio 2009” (suo volumetto: Altri tempi, Edizioni Tracce, 2009). *** For the poet/Dr DOMENICO DEFELICE/with our compliments./Stathis GRIVAS/Poet/and Zacharoula GAITANAKI/poetess, translator, critic/Greece/10/02/09” (volume: Stathis Grivas - Different ways, 2008). *** “marzo 2010/Al poeta e scrittore/Domenico

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Defelice/con cordialità e stima/Andreina Solari” (suo volume: Oltre le parole, Genesi Editrice, 2009). *** “A Domenico Defelice,/Con amicizia e sensi di stima,/Franco Campegiani/18/07/2012” (suo volume: Ver sacrum, Edizioni Tracce, 2012). *** “Perugia Settembre 2011/Al Direttore/Domenico Defelice,/perché mai dimenticherò/chi ha saputo apprezzare il mio umile/lavoro donandomi tanta gioia./Con amicizia sincera, cordiale/e affettuosa./Mirella Pasqualoni” (suo volume: Come Magico Sogno, Minerva Etrusca, 2009). *** “Per Domenico Defelice/Con stima/Paolo Amati” (suo volume: Impegno nel sociale di un credente: Zaccaria Negroni, Tipografia S. Lucia, Marino, 2013). *** “Questo scritto è poca cosa,/ma il nobile scopo che si prefigge/è quello di testimoniare (attraverso un/percorso cronologico di eventi) come/”a volte” la forza dell’amore, unita/alla fede e a tanta determinazione/può permettersi di invertire situazioni/che appaiono irrimediabilmente compromesse./A Mimmo e Clelia/….con affetto/Franco” (volume: Francesco De Santis - Verso l’arcobaleno, Vistosistampi, Campobasso, 2012). *** “A Domenico Defelice/con l’affettuoso augurio/di Buon Anno e la viva/stesura d’una Sua recensione/su questi bambini e i loro Angeli/Maria Teresa Daniele Toffanin/Anno Nuovo 2011” (suo volume: E ci sono angeli, Tipografia Veneta Editrice “La Garangola”, 2011).

Invitiamo lettori e collaboratori a inviarci le dediche, indicando con chiarezza, però, nome e cognome degli autori, titoli dei libri sui quali sono state vergate, casa editrice e anno di pubblicazione. Grazie!


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Recensioni FRANCESCO D’EPISCOPO ANIMA (Premo “Il Croco”, 2020), Ed. Il Croco/PomeziaNotizie, 2020 Anima è il titolo della quarta raccolta di poesie di Francesco D’Episcopo, con la quale egli ha vinto il Premio “Il Croco” 2020 e subito ci trasporta in un’atmosfera di alta spiritualità. Ecco pertanto nascere in

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lui, sin dall’apertura della silloge, la serena contemplazione della morte: “Quando morirò, / sarà un giorno come gli altri. / … / Qualche lacrima, / qualche rimpianto e rimorso, / ma tutto passerà / e tornerà come prima” (Quando morirò). Ecco salire dal suo io più profondo un desiderio ardente di libertà: “Lasciatemi essere ciò che sono, / non costringetemi ai lacci / di una prigione, che non mi appartiene (Libertà). Ecco, nella poesia eponima, il concetto stesso di “anima”: “Anima è quel soffio di vento, / che ti scompiglia i capelli / … / … che soffia da lontano / e, quando si avvicina, ti prende / senza che tu lo voglia, lo cerchi…”. Ed è legata a “quell’aria / d’infinito che porta con sé” (Anima). C’è nei versi di questa silloge il rimpianto per tutto ciò che si lascia per via nel corso degli anni: “Quanti tesori lascerò, / non goduti, non vissuti, / come avrei voluto” (Vita incompiuta) e c’è l’attesa di ciò che ancora deve avvenire: “Quanti incontri / ancora mi aspettano” (Amore), così come c’è il desiderio di tornare indietro nel tempo: “Vorrei un amico / con cui tornare a giocare / … / a inventare la vita” (Vorrei un amico). Ma soprattutto c’è la capacità di meravigliarsi, di fronte alle chiare apparenze del mondo, con l’animo puro di chi le vede per la prima volta e ne gode: “La nostra pietra / è lava che trattiene il sole” (Pietra). Come ogni vero poeta, Francesco D’Episcopo gode delle parole che nascono in lui e le invoca: “Parole mie / fatemi compagnia, / non lasciatemi naufragare / nella tempesta” (Salvataggio). Egli apprezza inoltre i doni dell’età: “Capisco / tutto ciò che non avevo capito prima: / ogni cosa / ha un altro sapore, / un altro valore” (Vecchiaia). Ed è l’età che gli fa vedere il mondo come da un’altra specola: “Mi piace, / ormai / assaporare la vita, / lentamente” (Lentezza). Talvolta egli si rifugia nel sogno: “Sogno che appari e scompari / senza lasciare traccia: /torna a farmi compagnia” (Invocazione); talaltra si perde nella contemplazione della natura: “Fiorita è la ginestra, / la pianta femmina, / che implora al vento / il suo seme” (Ginestra) o si affida alla dolce malia dei ricordi: “Ricordami / quello che ho lasciato / lungo le strade del mondo” (Ricordami). D’Episcopo rimane a volte anche sgomento di fronte all’irrazionalità della vita: “Inutile è cercare di capire ciò che sfugge” (Caos); così come talvolta si rammarica della perdita di alcune sue creazioni dovuta all’inaffidabilità degli strumenti elettronici ai quali si è incautamente affidato: “Poesie perdute / nel gioco perverso / di un computer, / strano aggeggio / che smarrisce / ciò che più non si trova” (Poesie perdute). E talvolta può anche abbandonarsi, lui


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uomo attivo e dedito a severi studi, persino ad un’improvvisa abulia: “Non ho voglia di fare niente, / di dormire, come feci da bambino, / per due giorni, senza che nessuno / potesse risvegliarmi / da quel dolce letargo” (Niente). Altre volte egli può invocare Gesù affinché lo venga a trovare e gli faccia compagnia: il che dimostra l’esistenza in lui di una sete del Divino che rimane per lo più nascosta, ma che talvolta inaspettatamente riaffiora. Il libro si conclude con una poesia dedicata agli amici, che si tinge di una sommessa nostalgia per tutti coloro che sono stati a lui legati da un forte sentimento di fratellanza e che ora non sono più: “Amici miei, / scomparite troppo presto, / troppo in fretta, / lasciandomi sempre più solo / in questo mondo senza amore” (Amici). Delle molte corde di questa silloge questa è forse quella che risuona con più sofferto e dolente stupore, certo con più accorata e umana malinconia. Elio Andriuoli

FABIO DAINOTTI POESIE CONTROCORRENTE E RACCONTI IN VERSI Biblioteca dei Leoni, Padova 2020, Pagg. 72, € 10,00 Fabio Dainotti (nato a Pavia nel 1948) è un letterato impegnato su vari fronti. La raccolta di cui ci occupiamo, Poesie controcorrenti e racconti in versi, si articola in sei sezioni; è dedicata alla moglie e nel contempo con essa ringrazia “Donatella Bisutti e Luigi Fontanella per i preziosi suggerimenti”. Nella prefazione Paolo Ruffilli rileva l’impronta autobiografica dell’Autore in una sorta di appunti diaristici, spolverati a ritroso attraverso i quali osserva l’altro da sé mettendo insieme il canto elegiaco e la necessità di non chiudere gli occhi su quanto ci sta intorno. Anticipiamo il giudizio che Carlo Di Lieto nella postfazione sintetizza così: “Fughe dell’Io e ‘tracce mnestiche’ nella poesia neo-crepuscolare di Fabio Dainotti”: si avvicendano memoria involontaria e immagini evocative e fra esse emergono vuoti esistenziali e sofferenze del passato; la realtà viene interiorizzata in una sorta di interlocutrice, troviamo rimandi, sogni e impulsi libidici. A noi spetta la verifica e l’osservazione della cadenza ritmica. Nel primo componimento e nell’ultimo, in un dialogo con una interlocutrice, il Dainotti menziona il proprio nome, Fabio. Assiste ad un approccio erotico per strada di Charlie francese; e in una poesia successiva, registra una tentazione su una corriera: “Il

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ragazzino stringe, tra le sue, / le gambe della bella sconosciuta. / La donna dorme. Finge?” (p. 24); viene da ricordare a chissà quante volte i giovani in erba, e non solo, vengono tentati dalle circostanze, a parte i malintenzionati. Sembra di avere una visione ripresa dall’alto o con distacco, un po’ sconquassata di personaggi assortiti. Così vediamo Milano con “Le signore che sfilavano eleganti / con ombrellini al braccio.” (p. 29); assistiamo ad un incidente stradale di giovani “strafatti”; osserviamo carezze al corpo “prima e dopo l’amore” di una donna “come una creatura di Allan Poe” (p. 34). Il movimento è scandito da incontri erotici occasionali: l’addio a Elvira in un ristorante di Caserta, a Max, a Claudio; amori senza sentimento, donne oggetto come Agostina. Le ultime poesie sono marcatamente di impegno sociale, senza la minima enfasi, ma succose e toccanti, nonostante vadano “controcorrente”. Così assistiamo al pianto superfluo di una madre che non dispone di “un abito da sera”, che mi richiama alla memoria quella madre che pensava ai suoi profumi senza curarsi di un balocco per la propria bimba. Crediamo alla fede su Padre Pio che esaudisce il desiderio di una madre bresciana di ritrovare il figlio scomparso nelle acque; vediamo disperati delle traversate sui barconi che “alzavano al cielo / le braccia che reggevano i bambini / per dare loro ancora un attimo di vita” (p. 49, Nelle tavole di Beltrame) cui ci riportano le cronache quotidiane. Fabio Dainotti frequentemente, così mi sembra, fa riferimento all’acqua, elemento vitale, nella duplice valenza di vita (liquido amniotico) e di morte (i barconi dei migranti). La vita è come un fiume, nella sua corsa travolge tutto e il nostro ha voluto nuotare controcorrente. Tito Cauchi LINA D’INCECCO COLORI E STUPORI DELLA VITA E DELLA NATURA Il Croco / I Quaderni letterari di Pomezia-Notizie, novembre 2020 - 4° Premio Il Croco 2020 Lina D’Incecco, molisana, insegnante di Francese ha un curriculum di tutto rispetto; fra i tanti riconoscimenti culturali ha conseguito il 4° Premio Il Croco 2020 partecipando con la silloge Colori e stupori della vita e della natura; sognatrice, come tutti i poeti, risente del momento storico che stiamo vivendo; mi riferisco alla pandemia in corso. Nella presentazione Domenico Defelice richiama le “meraviglie del creato e della natura” che sono fatti di


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colori e suscitano stupori in tutte le forme in cui si manifestano, affermando che la nostra poetessa scopre tali caratteristiche nelle persone e negli eventi, nel positivo e nelle piaghe sociali come vedremo. La raccolta inizia con questi versi: “Sorride al mondo / la Gioconda / dalle stanze del Louvre.”, ricordando il genio assoluto. Quel sorriso enigmatico sfida le menti eccelse da secoli che ne vorrebbero scoprire il senso o anche il “colore”: perciò la Gioconda vuole significare Leonardo da Vinci, così come il “cavallino rampante” identifica Enzo Ferrari che ha legato il proprio nome al marchio e al colore (rosso) dell’auto: e potremmo ancora continuare. Una parola che stiamo usando di frequente nel corso di quest’anno, che volge al termine (2020) è “Resilienza” (capacità, attitudine alla resistenza, nel tentativo di salvarsi). L’ombra delle migliaia di morti della pandemia in corso, rimandano la memoria alla pandemia del 1918, denominata Spagnola. Ed io aggiungo che da allora ad oggi possiamo considerare cent’anni di mancate carezze, per varie ragioni, se pensiamo alle due guerre mondiali e se riflettiamo che “I disastri ambientali / sono le conseguenze / del nostro agire.” (p. 10). La Nostra, forse, trova sollievo nel succedersi di quadri, come quello della donna dal viso colore ebano che porta in braccio un bimbo appena nato, e all’ascolto del “Canto gregoriano”; ma sa che la parabola dell’esistenza si conclude con il ritorno “a nutrire la terra”.

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Non so se faccio un servizio che torni utile esponendo impressioni a fior di pelle. Le varie correnti di pensiero a proposito di poesia ci fanno smarrire il senso della poesia; mi chiedo quanto ci debba essere di messaggio e di emozione in un testo poetico; cioè di poesia civile e di poesia di evasione o elegiaca o di altro tenore. Nel nostro caso penso che il pensiero poetico sia indirizzato alla fiducia basata sulle risorse tramandateci (si osservino le chiuse dei componimenti al positivo). Sommessamente la Nostra volge lo sguardo anche alla cronaca riguardante il coronavirus, risultando efficace nel descrivere i moti interiori (per esempio a p. 15, osserviamo a un crescendo psicoanalitico: malinconia, nostalgia, rimpianti). Frequente risulta il rapporto della Poetessa con l’autostrada percorsa con l’auto, e il rapporto con i fari e con le luci; rapporti che mi sembrano ambivalenti (positivo e negativo). Preferisco chiudere con i seguenti versi: “C’è il sapore dell’estate / con il filare di oleandri / dai colori fuxia e rosa / grossi bouquet sospesi / tra l’asfalto rovente / ed il cielo caliginoso.” (p. 16); trovo bellissima e veramente suggestiva, la descrizione che assurge a emblema del pensiero intimo di Lina D’Incecco. La vista del mare allarga i suoi pensieri; il suo cuore batte come le corde del violino; le auto sfrecciano e i bagnanti soddisfatti rientrano dalle vacanze. Mi sembra nel contempo che la Nostra sveli il senso pieno della vita al di sopra delle apparenze; nondimeno lascia a noi la scelta se propendere per la gioia dei bei colori e stupori della vita e della natura o se abbandonarsi alla frenesia delle mode. Tito Cauchi

WILMA MINOTTI CERINI L’ALBA DI UN NUOVO GIORNO Eugraphia 2020 Pagg 260 € 16,00 Ad ogni modo l’alba sorge sempre con la stessa traiettoria. Ogni mattina il sole sorge e un altro giorno inizia, è l’ineluttabilità della vita. Ma ogni vita è speciale ed ogni individuo affronta a suo modo le difficoltà, la malattia, le sofferenze e la morte. La silloge, scritta da Wilma Minotti Cerini, è divisa in sette sezioni per un totale di 132 poesie, accompagnata da tre interventi critici: il primo è di Mons. Franco Butti, XXV prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, il secondo è di Francesco Di Ciaccia e l’ultimo di Marco Travaglini. Le poesie riguardano l’amore, la vita, i temi sociali, i quesiti esistenziali, la guerra con le sue conseguenze ed i migranti. La poetessa si chiede il motivo di tanta sofferenza, di ciò che è avvenuto a Sarajevo, della guerra


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del Golfo. Poi ci sono tante liriche dedicate ai genitori, al suo compagno, agli artisti Peter Russell, Salvatore Quasimodo, Pablo Neruda, Alda Merini e Rabindranath Tagore. “Le riflessioni preliminari dell’ Autrice alla sua raccolta di poesie suonano come un grido di dolore e quasi come un grido di allarme per la condizione dell’umanità contemporanea” afferma Francesco Di Ciaccia. È una poesia, infatti, che parte dall’io e si allarga poi, nel sentire il mondo attraverso la sua sofferenza. “Eppure tu ed io/ nella diversità del sentire/ ci teniamo per mano”. È una raccolta di versi commovente, toccante, il linguaggio utilizzato è delicato, a volte tenero, ma sempre elegante. La struttura è estremamente libera, pochissima è la punteggiatura, il verso segue il ritmo dell’emozione: talvolta lento, talvolta veloce. È una poesia sussurrata che promana tranquillità: “Alle mani avvolgenti/ com’onda al naviglio/ A questo quieto amore/ che più non teme/ Ricevo ed offro/ la dolcezza matura/ di uno stanco sorriso”. La Minotti riesce a trasmettere la serenità che vive insieme al compagno, alla loro sintonia, alla loro condivisione e alla consapevolezza di amare e di essere amata. La sua è un’anima che si spoglia del dolore che la circonda, ma non può fare a meno di riflettere, di porsi domande sul perché si è arrivati a certo punto. All’autrice non interessa tanto la trasformazione fisica dell’essere umano, quanto piuttosto il divenire psicologico di quell’identità che abita in ciascuno di noi e che nel tempo, si apre alle attese di un futuro ricco di promesse che si nutre di sogni e progetti, fantasiosi o realistici che siano, raggiuge una maturità carica di buoni risultati, insieme a fallimenti e inevitabili delusioni e si volge verso un declino progressivo, vissuto in forma vigile e pienamente consapevole di potenzialità che non vengono meno, scrive così Mons. Buzzi. Riflessioni di un cuore che sente l’altro, anche se dalla parte opposta del pianeta e grazie alla sua empatia se ne fa carico, come fosse lei stessa colpevole della violenza, dei soprusi che i più indifesi sono costretti a subire. Una delle più strazianti liriche è Tempo sei maestro che ha composto Tesfali-da Tesfom, un giovane ragazzo che dall’Eritrea sbarca in Sicilia, denutrito e con la tubercolosi e che, purtroppo, è deceduto il giorno dopo. Era un’anima bianca che, nella sua breve permanenza nell’ospedale italiano, candidamente chiamò il dottore papà. Nel suo portafogli sono state trovate alcune poesie che indicano, appunto, quanto il giovane sia stato un’anima innocente, nata in un luogo troppo malvagio e crudele per lui. Come lui tanti altri sono arrivati in Italia in cerca di una possibilità, di un’occasione, nell’illusione di un’esistenza migliore.

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Wilma Minotti Cerini ha pubblicato diverse sillogi, romanzi e racconti; è presente nella Storia della Letteratura Italiana, nel Dizionario Autori - Poeti scelti a livello europeo. Scrive Marco Travaglini che questa è una silloge potente che celebra il fascino della parola e dei sentimenti, invitando i lettori a mettersi in cerca delle emozioni più profonde e nascoste, necessarie per illuminare un cammino, una ricerca, un pensiero che non si accontenta di stare in superficie. Un pensiero che condividono tutti coloro che riescono a vedere nell’altro se stessi. Manuela Mazzola

LILIANA PORRO ANDRIUOLI POESIA INTIMISTICA E CIVILE IN BRUNO ROMBI Il Geko Edizioni 2020 Pagg 143 € 12,00 “Però è legge andare,/ attraverso l’oceano, / non badando ai monsoni/ o ai terribili uragani, /.../ Perché è dell’uomo tentare, / andare, vedere, cadere, / sperare e risollevarsi, / e ripartire”. Questo è il pensiero del poeta Bruno Rombi, che emerge dal lungo percorso critico fatto dà Liliana Porro Andriuoli. Uno studio che inizia nel 2000, infatti la prima parte del libro era stata già pubblicata e poi rivista e aggiornata con una seconda parte, in cui l’autrice analizza i lavori scritti dopo il 2000. Purtroppo, però, poco prima di terminarlo il poeta Rombi è morto. Il saggio percorre il filone della poesia intimistica e civile che il poeta intraprese lungo tutta la sua carriera artistica, dall’esordio fino all’ultimo lavoro. La sua prima pubblicazione nel 1956 è una raccolta di poesie, I poemi del silenzio, composta da tre poemetti: Voce del mare, Dolorosa estasi ed Eterno sogno. Tra i versi si ritrova un giovane ragazzo pieno d’illusioni, di speranze, aveva infatti vent’anni, ma che da subito avverte la dura realtà del mondo. C’è pessimismo e sofferenza, ma anche “spiragli di luce”, scrive infatti la Andriuoli: “Emerge facilmente da quanto abbiamo osservato il carattere schiettamente intimistico di questo primo volumetto nel quale il nostro poeta ci confida le sue prime disillusioni ma anche le sue tenaci speranze”. Poi nei lavori successivi emerge una spiccata sensibilità verso i problemi morali e sociali del suo tempo. Si delinea così una denuncia vera e propria verso la società, descrivendo un’umanità dolorante, avvilita che attendeva la morte. Ma non manca mai la speranza, sia nel futuro, sia verso gli uomini. Sarà una costante in tutta la sua opera. Dunque, dalla poesia che cerca di


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esprimere i moti dell'animo, i sentimenti e le emozioni nelle sue sottili sfumature, Rombi approda alla narrazione lucida di una società che ha perso di vista le cose importanti. Difatti nell’ultima opera, “La nostra follia suicida” è presente la stessa visione pessimistica della vita, afflitta da inganni, dolore e precarietà. E anche in quest’ultima emerge l’idea di un Rombi “fustigatore dei costumi e moralizzatore”. Il poeta essendo un artista avverte e sente tutto ciò che avviene intorno a lui e descrive perfettamente ciò che sta accadendo in questi ultimi decenni: “Non abbiamo più la misura/ di quanto c’è consentito/.../ per noi tutto è possesso/ denaro, donne, bambini/ oggetti tutti di un uso/ sempre più momentaneo”. Manuela Mazzola

paese malsano e corrotto, in cui vincono quasi sempre i malfattori e le mazzette in Sicilia come nel resto della Nazione. Danilo Pennone vive ed insegna a Roma. Ha lavorato come assistente alla cattedra di Storia del Cinema presso l’Università “La Sapienza” di Roma; ha pubblicato numerosi saggi sul cinema su alcune riviste specializzate. È autore musicale e teatrale. Il suo primo romanzo Confessioni di una mente criminale, edito da Newton Compton nel 2008, è stato rappresentato in teatro e anche al Todi Arte Festival 2009 sotto la direzione artistica di Maurizio Costanzo. È stato uno dei finalisti del Premio letterario “Giallo Ceresio”. Con la Newton Compton ha pubblicato anche Il cadavere del lago. Manuela Mazzola

DANILO PENNONE DELITTO ALLE SALINE Le indagini del commissario Ventura, Newton Compton Editori, 2020 Pagg 314 € 9,90

MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO IL CORAGGIO DI AMARE Ascarichae Domus, 2020, pagg. 74, € 10,00

Delitto alle saline è l’ultimo romanzo di Danilo Pennone. È una storia amara, ambientata in Sicilia, nelle saline di Marina di Ragusa, nelle quali viene ritrovato il cadavere di Mimmo Capriolta, figlio dell’imprenditore Rosario Capriolta, l’uomo più invidiato e potente dell’Isola. Lo stile poliziesco è arricchito da intrecci linguistici tra la lingua siciliana e quella italiana. Intrecci che arricchiscono il testo dal punto di vista letterario e che danno anche una spinta al ritmo delle vicende, rendendo la storia più vivace e dinamica. La trama è attuale, infatti è ambientato nel 2017 ed il protagonista è un commissario in pensione, Mario Ventura, che inizia le indagini privatamente, mosso da un odio che lo porterà direttamente a scoprire l’assassino. L’ex commissario è un uomo di mezz’età che ha dovuto affrontare diverse difficoltà, alcune di esse sono legate proprio alle sporche azioni dell’imprenditore Capriolta. Ne viene fuori il ritratto di un uomo con tutte le sue fragilità, ostacolato anche dal maresciallo dei Carabinieri, dunque Pennone racconta le ingiustizie, i conflitti e anche le possibili rivalità che si creano all’interno dell’Arma. La storia si sviluppa in un ambiente sociale e politico tipico dell’Italia, infatti l’ex Commissario dice: “Qui siamo in una contea dove gli inquinanti finiscono nell’acqua di falda e nel suolo, dove le case vengono su in una notte e restano senza intonaci, con gli infissi anodizzati che fanno a pugni col cielo della nostra bella terra di Sicilia”. Si narra, quindi, di un

Molto toccante è il romanzo “Il coraggio di amare” di Marcello Falletti di Villafalletto. Nella Presentazione, Tiziana Caputo evidenzia il messaggio di quest’opera: regalare speranza e amore alle coppie che hanno ancora il “coraggio di amare”; amare al di là di ogni difficoltà, proprio in quest’ epoca in cui l’amore sembra essere quasi un sentimento deriso, offeso nella sua pretesa di durare. Invece, l’amore richiede fedeltà, non tollera mezze misure, vuole essere definitivo: “Forte come la morte è l’amore”, recita il biblico Cantico dei Cantici. “L’ amore è rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca”, dice Papa Benedetto. E von Balthazar aggiunge: “Solo l’amore è credibile; l’amore è dono; solo l’amore può riaccendere l’amore”. E’ la storia di due giovani innamorati dei nostri giorni: Margherita ed Andrea, che, superate le difficoltà a trovare lavoro, convivono felici, comprese le reciproche famiglie. Purtroppo, però, un improvviso gravissimo incidente sul lavoro, colpisce Andrea il quale dapprima rimane molti giorni in coma (fortunatamente “coma vigile”), per trovarsi poi - nonostante varie operazioni chirurgiche (tracheotomia ed altre) e superate ulteriori malattie virali e batteriologiche - completamente paralizzato nel movimento e nella parola. La situazione è disperata! Ma Margherita non si dà per vinta! Non vuole metterlo in istituti di cura pubblici o privati, bensì tenerlo nella propria casa per dargli lei stessa, con ferma tenacia e con un costante amore, l’aiuto, le sollecitazioni, gli incoraggiamenti, unitamente all’affezionatissimo zio Valerio, e alle terapie di operatori specializzati. Con tutto


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ciò, dopo anni, Andrea otterrà la graduale, lunghissima ripresa delle normali funzioni ed attività fisiche e psicologiche. Finalmente ritorna la felicità, completata dal matrimonio. Ma, quasi subito a turbare la loro gioia, viene a mancare il caro zio Valerio che per Andrea è come un padre. Altro dolore! Poco dopo, colpo di scena! Chiamati da un avvocato, vengono a sapere che c’è un bimbo di pochi mesi, figlio segreto di zio Valerio e della sua amante appena morta. Margherita ed Andrea, i quali sanno di non poter avere figli propri, scomparso il primo sconvolgimento, interpretano questo evento come il dono più bello della persona più cara, e decidono di adottarlo. E’ un romanzo pieno di alti e bassi, di drammi dolorosi e di felici riprese. Certo, il finale è davvero un’incredibile sorpresa, sia per i due sposini, sia per noi lettori. E’ un racconto appassionante, ricco di acute osservazioni, di precise spiegazioni, scritte con grande sensibilità, che attirano la partecipazione attiva di chi legge. Si tratta davvero di un doppio trionfo dell’amore: solidale nella disgrazia, generoso nell’adozione. Anche se immaginata dalla creatività e dall’abilità dell’Autore, potrebbe essere una storia vera, proprio per donare speranza ed amore a tutti! Maria Antonietta Mòsele LINA D’INCECCO COLORI E STUPORI DELLA VITA E DELLA NATURA Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2020 Illustrato in copertina da “La scapigliata” di Leonardo Da Vinci, per ricordarne il 500° anniversario della morte, Il Croco – Quaderno Letterario di Pomezia-Notizie di novembre 2020, presenta la poetessa Lina D’Incecco con una diversificata raccolta lirica: Colori e stupori della vita e della natura, meritevole del 4° Premio. E’ presentata da Domenico Defelice con grandi apprezzamenti su quest’opera che canta le meraviglie del creato e dell’umana esistenza. Dapprima, l’Autrice ricorda il nostro genio universale Da Vinci nelle sue opere artistiche dalle mille tonalità di colore, e scientifiche e tecnologiche dai mille stupori. Dei suoi appunti dice: “E, riflesso in uno specchio,/ rifulge il suo pensiero/ fonte creativa ed imput/ per la civiltà moderna/ ed il Progresso”. Se si guarda il cielo, che sia giorno o notte, quale varietà di tinte! Vivaci all’aurora, dorati col sole, azzurro forte col sereno, grigio-piombo con i temporali, blu intenso, “dove la luna/ è diamante”.

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La Nostra ci sorprende (la sua creatività è davvero imprevedibile!) quando giunge a descrivere i colori e gli stupori, addirittura del rosso fiamma delle auto Ferrari - orgoglio della tecnologia italiana - e lo stupore e l’entusiasmo dei suoi tifosi e spettatori: “i fans sono un braciere/ di emozioni”. La resilienza infonde stupore e coraggio perché “si arma di scudo/ e respinge con perizia/ i duri colpi della vita”, con la sua ”Forza tenace e positiva”. Pensando alla Prima Guerra mondiale, stupore e soprattutto commozione suscitano quei giovanissimi soldati, pronti anche a morire: “ragazzi/ a cui solo sorrideva/ il volto della madre”. Altro stupore e altro dolore ha portato il coronavirus: ”giacciono corpi inermi/ col respiro della macchina./ Per molti non c’è risveglio./ Soli, in anonimo silenzio/ lasciano la vita./ Su camion militari/ l’ultimo viaggio.” La Poetessa passa anche a parlare della natura: quando essa si ribella, “I disastri ambientali/ sono le conseguenze/ del nostro agire.” E, se questa sua rivincita è funesta e negativa, esiste anche una sua rivincita positiva sull’inquinamento che noi produciamo: “con il filare di oleandri/ dai colori fuxia e rosa/grossi bouquet sospesi/ tra l’asfalto rovente/ e il cielo caliginoso”. Qui non si parla soltanto di colori - pure contrastanti - e di stupori, ma anche di sentimenti e riflessioni, come guardando la nigeriana vestita di rosso


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che porta “sulla schiena/ il suo piccino/ legato con una fascia bianca”, avvolto, come “una nocciola”, in un “nido d’amore”. O, pensando all’anzianità “Fiore appassito/ dimenticato/ in un bicchiere assetato./ Petali rugosi…”, anche se “Non è stato inutile/ il suo giorno.” E che dire dei sentimenti d’amore degli innamorati, o delle sensazioni che un canto o un brano musicale suscitano e infondono nel cuore? In questa gamma di “colori e stupori”, notiamo che anche ogni parola scritta e prescelta dall’Autrice possiede una propria vasta tonalità di tinte e di sfumature; nonché lo stupore di temi imprevisti trattati (ad esempio, la Ferrari)! Maria Antonietta Mòsele

MARINA CARACCIOLO VERSO LONTANI ORIZZONTI L’itinerario lirico di Imperia Tognacci BastogiLibri Editore, 2020 – Pagg. 82, € 10,00. E’ di Marina Caracciolo il volume “Verso lontani orizzonti” L’itinerario lirico di Imperia Tognacci (Bastogi Editore, 2020, pagg.82, euro 10,00). Si tratta di un lavoro monografico di critica letteraria. Da tempo conosciamo le opere di Imperia Tognacci che, via via ha prodotto, di cui anch’io ho eseguito le recensioni, tranne della sua più recente “La meta è partire”. Con grande capacità introspettiva e di giudizio, Marina Caracciolo evidenzia non solo il fulcro significativo ed il messaggio di ogni opera, ma ne descrive abbondantemente e puntualmente le rispettive peculiarità, aggiungendo anche gli apprezzamenti che un’infinità di Scrittori e Critici letterari hanno avuto sulla Tognacci (basta scorrere la lunga lista di pag. 78), e che l’Autrice ogni tanto cita. Imperia Tognacci, nata a San Mauro Pascoli, ha sempre percepito una grande affinità, una “sensibilità umbratile e delicata” col suo conterraneo Giovanni Pascoli. Trasferita stabilmente a Roma, nelle sue opere trasmette il rimpianto della sua terra natia, dovuto a questo distacco. Inoltre, i suoi scritti rappresentano un percorso, un viaggio nel tempo e nello spazio, concreti e metaforici, costantemente sostenuti da una profonda fede. Il suo è un linguaggio musicale, “mosaico prezioso come un finissimo merletto”. Passando in rassegna le varie opere, la Caracciolo evidenzia dal poemetto “La notte di Getsemani” la novità di pensiero della Tognacci: un

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Gesù veramente inedito, il quale vorrebbe rimanere ancora un po’ sulla terra perché, pur essendo stato ascoltato, non è però stato compreso. Soltanto la Natura, in quella notte, lo sa consolare. Il poemetto “La porta socchiusa” che racconta di un pellegrinaggio in Terra Santa, fa capire l’itinerario intimo, spirituale, quasi mistico affrontato dalla Poetessa, sempre “verso lontani orizzonti”. Come anche in “Là, dove pioveva la manna” vengono evidenziate le fatiche e i disagi non solo nell’attraversare il deserto, ma nel seguire i percorsi a volte altrettanto difficoltosi della nostra vita. Nelle liriche di “Natale a Zollara” che descrivono i ricordi dell’infanzia e della giovinezza, e le tradizioni e le consuetudini del luogo, l’Autrice denota una Tognacci che sa davvero scrutare i “sentieri dell’essere”. Analizzando il poemetto “Prigioniero di Ushuaia”, ambientato nel profondo gelido sud della “lontanissima” Patagonia, l’Autrice rileva l’originalità del testo: il dialogo immaginario fra la Poetessa ed un anonimo prigioniero, che riesce a trasformare la disperazione di questo carcerato in rassegnazione, proprio grazie al potere della Poesia “soffio di origine divina”. Circa “Il lago e il tempo”, si sottolinea la perfetta aderenza della parola poetica, nelle sue più delicate sfumature, a quanto viene pensato e ideato dalla Poetessa. Non mancano poemetti di ispirazione mitologica: “Il richiamo di Orfeo” e “Nel bosco, sulle orme del pastore”, in cui, nel primo, si esamina il ruolo stesso della Poesia che risulta essere ponte fra il contingente e l’infinito, e altissima espressione di sentimenti; nel secondo viene esaltata la Natura, quale “musica dei silenzi”, libera e spontanea, in contrapposizione dell’artificiosa costruzione della società civilizzata. E’ come un racconto in undici Capitoli, l’opera “La meta è partire”, poema cosmologico, mitologico, drammatico, con al centro il Poeta contemporaneo - fornito di tutte le attuali tecnologie – messo a confronto con personaggi dell’antichità – a cominciare da Eva –, di altri della Bibbia, della mitologia e della classicità, fino a giungere ai giorni nostri: tutto per esortare al ritorno al Bello, al Vero, all’Amore, all’Infinito, in una parola: alla Natura. Ogni opera, che va dal passato al presente al futuro, risulta essere “un cammino verso lontani orizzonti”, verso il mistero dell’Essere, con” intuizioni liriche quasi da brivido surreale, specchio del reale al di là del reale”, come l’Autrice ben definisce. Poetessa e Critico davvero encomiabili! Maria Antonietta Mòsele


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NAZARIO PARDINI DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA (Guido Miano Edizioni, Milano, 2020, € 12,00) Ho davanti agli occhi una fuga di endecasillabi sciolti e le memorie familiari di Nazario che si ripetono, rinnovandosi ogni volta come acqua sorgiva. La vita è un continuo ricordo. Ricordi che pungono sono il passato del poeta. Non può separarsene. Per lui, essenza presente nell’assenza. “Oh finestra/ che aprivi ad orizzonti larghi e vasti,/ o familiari stanchi/ di povertà nascoste dentro il cuore/ di chi conobbe stelle,/ e luna riposare dentro un pozzo/ di una madre sfinita;/ o padre o fratello, e focolare…”. Infanzia permeata di dure fatiche, di povertà, ma così ricca d’amore tra i componenti della famiglia da suscitare rimpianto. I suoi cari da lui inscindibili. Immagini visive, forti nel ricordo di un bambino. Nel sogno visioni: “Ho rivisto mio padre, un uomo stanco/ che scaldava la fatica ad una stufa/ povera di legna in un cantone”. Una miseria costruttiva che ha portato Nazario e i suoi fratelli ad una condizione sociale di sano benessere perché nato dal disagio ma con tanta presenza di amore. Amore che non si spegne con la morte dei suoi cari. Il fratello Sauro rivive nella figura del figlio Sandro. Dolci parole per i nipoti, gemelli, per Saverio e Graziella e tutti gli altri. Nella casa, appese le pitture del fratello che più non è ma di queste, fa da copertina a un libro: rivive una strada e, in quella strada, una comunione di anime che il tempo non intacca. È stanca la sua penna: “non ho più l’inchiostro sufficiente per descrivere/ il triste stato di una solitudine/ stordita dalle voci andate via”. E allora? “la campagna è fiorita. Sopra il prato/ sono seduto accanto/ a Catullo, Manzoni e Leopardi,/ il tempo si è fermato, si è stancato”. Il poeta è circondato dai suoi libri. Una vasta biblioteca e lì riuniti, i poeti. La sua è una solitudine ammantata di parole. Sono con lui maestri, nella prima giovinezza, poi, amici con presenza di parole. Tutti lì; uno accanto all’altro. Ho immaginato Nazario che socchiude gli occhi e il silenzio si fa voce e musica. Prima con vibrazioni, poi, con fuga di note. Pieno romanticismo; nel buio di un teatro, musica esaltante in un crescendo in movimento. Balocchi che prendono vita. Lui riconosce quella musica: è di Cajkovskij. È travolto dal movimento. Nel suo petto una sensibilità esasperata. È rapito come in un sogno ma presente, sia pur a occhi chiusi. La musica piano si dissolve; le pupille roteano

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nella stanza e cercano… Ad uno ad uno, dalle pagine dei libri sfuggono parole, appassionate, crude, ironiche, corrucciate. I poeti prendono forma e vita: Leopardi che declama A Silvia; D’Annunzio canta Ermione. Si addensano forti, i versi di Allegria di Ungaretti; Montale corrucciato e poi, struggente, una lettera di Sibilla Aleramo a Dino Campana. Lui, prigioniero della sua follia e la vita e la sua morte in quel di Castelpulci. E poi, Catullo, compagno di pene e gioie d’amore per Nazario. “dein mille altera, dei secunda centum,/ deinde usque altera mille, deinde centum/…”. Lesbia per Catullo, Delia per Nazario. Erotiche fantasie retaggio di una lontana giovinezza! Nazario prende il libro di Platone che inveisce: “Erano vent’anni/ che non mi sfilavi;/ via, vai altrove, quello che io penso della poesia/ lo leggerai più tardi. Vattene via!”. E così, come al terminare della musica i balocchi dello Schiaccianoci perdono la loro animazione, egualmente i libri, di nuovo riposti in bell’ordine, tacciono. Ma i loro contenuti sono nella mente e nel cuore di Nazario. Suoi compagni di vita. Sempre presenti in lui la figura materna nel suo lungo, faticoso vivere. “non portava i tacchi a spillo” ci ha raccontato. In lui i versi di Ungaretti dedicati alla madre: “E il cuore quando di un ultimo battito/ avrà fatto cadere il muro d’ombra/ per condurmi, Madre, sino al Signore,/ come una volta mi darai la mano./ In ginocchio, decisa,/ sarai una statua davanti all’eterno, come già ti vedevo/ quando eri ancora in vita./… I versi dei poeti incidono sulla vita di ognuno e il leggerli e il riascoltarli lascia una traccia profonda. Non muoiono i poeti; resta la parola che è vita e insegnamento per chiunque abbia sensibilità di ascolto. Nell’ultima parte della silloge, dieci poesie d’amore. Nazario, dal cuore rimasto giovane, ricorda e canta l’amore. La sua Delia dal sorriso di sole che irradiava luce nella stanza. Immagini che fluttuano; il mistero avvolge eteree figure che appaiono per poi scorrere via come l’acqua nel suo fluire. Abbiamo un Nazario giovane, ingenuo e folle di amore e di innocenza. Possono essere versi che appartengono a momenti magici anche se, forse non vissuti ma solo vagheggiati. Presenza lontana di una fiorita giovinezza. Sempre il mare e i suoi colori negli occhi della donna amata. Può esserci silenzio intorno a lui ma sempre viva la luce del ricordo. Poeta tra i poeti. Vita e pensiero come un fiore che anche se si sfoglia, rinascerà ad ogni primavera. Firenze, 28 novembre 2020 Anna Vincitorio


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ISABELLA MICHELA AFFINITO VENEZIA È UN VESTITO DI SALE Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2020 Venezia intrisa di salmastro. Venezia e i suoi colori che seguono la traccia del sole dal suo sorgere al tramonto. Venezia che rinasce ogni volta dal pennello di un pittore o dalle note di un musicista. Dimensione avvolgente, metafisica e reale insieme a seconda dello spirito con cui si mostra. Venezia, nell’immaginario collettivo, misterica e accattivante. Ognuno di noi avvolto nella bautta ha vissuto il mistero che scivola tra i flutti delle sue calli. Maschere coi colori che competono con i tramonti “con lo strascico verde”. Perché le maschere? Sono l’essenza dell’effimero che avvolge il reale come un mantello. Tutto e niente; gioia, angoscia, mistero. “Le maschere danzano al chiaro di luna”. Venezia nella sua essenza è silenzio che copre più vite, quelle delle maschere cangianti nel loro essere ma quasi mai quello che realmente rappresentano. Musica che trascina e balli per le strade. Piedi e mani calzate celano le fatiche. Tutto è illusione ma è tutto vero. È una città che nella sua colorata molteplicità nasconde sussurri di speranze violate. Malinconici irrealizzabili amori: Tadzio in Morte a Venezia di Luchino Visconti. L’incanto di notti lunghe come le favole, dove le gondole “restano a

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galleggiare all’alba/ brillano come perle nere/ sulle onde che: salgono e scendono/ nel dolore eterno…”. Venezia, avvolta dalla bellezza e dall’eleganza di maschere che celano e al tempo stesso ne rivelano l’essenza. Nulla sembra reale, ma tutto è vero nel diverso sentire di ognuno. Anna Vincitorio

È IN TRADUZIONE NEGLI STATI UNITI D’AMERICA la silloge di poesie

12 MESI CON LA RAGAZZA di Domenico Defelice A tradurla è la dottoressa scrittrice e poetessa

Aida Pedrina-Soto Ecco, di seguito, due brani nell’originale e nella bella traduzione:

BIONDO APRILE O biondo aprile, e chi ti disse ch’ero innamorato di Martellina? Portato hai le viole per i suoi capelli biondi, le rose per il suo seno e molli tappeti di margherite per i suoi piedi di fata. Ma gli anni son passati e la sua bocca odora del tabacco di mille drudi e le sue gambe hanno il brio delle danze sfrenate. Pure vivo ancora di ricordi, vivo di sogni. Oh, la sua bocca come un garofano rosso, le sue mani di fata, i suoi capelli biondi, biondo aprile! Domenico Defelice


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GOLDEN APRIL Oh, Golden April, and who told you that I was in love with Marcellina? You brought violets for her golden hair, roses for her breast and soft carpets of daisies for her fairy-like feet. But years have passed and her mouth now reeks of tobacco of a thousand men and her legs have the lively sway of the wildest dances. And yet I live of memories, I live of dreams. Oh, her mouth like a red carnation, her fairy-like hands, her golden hair, Golden April! (Translated by Aida Pedrina-Soto)

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Ecco, tu piangi! Tenerezza di foglie s’è disciolta nel tuo cuore indurito: oggi tu vivi! Ed io ritorno al primo tuo apparire vergine d’atti e di pensieri, aspiro il tuo profumo d’amarilli... O cara, cara! S’io m’abbandono al flusso dei ricordi questa teoria d’anni e di pene evapora d’incanto nel muschio settembrino dei tuoi occhi. Domenico Defelice

YOUR ASTRAL ORIGINS September has you grasped with its rains and a mortal weariness. By now, all you have left of summer is a flight of cranes. You become very dear to me in this season of ever denser clouds, you become almost sweeter to me; you forgo your astral origins that sets you apart from humans, you too are dissolving in this nature-infused eagerness.

IL TUO PRINCIPIO ASTRALE Settembre ti ghermì con le sue piogge ed un languore mortale. Ormai dell’estate non ti resta che un volo di gru. Tu mi giungi assai cara in questo tempo dalle nubi sempre più fitte, quasi più dolce mi ti fai; abbandoni il tuo principio astrale che ti distacca dagli umani, ti dipani anche tu in quest’ansia che infonde la natura. Ora il sogno di ieri non ti basta. Hai bisogno d’una carezza amica che ti commuova, di parole a luce di candele, di sguardi che riportino a te stessa mondi a lungo sommersi...

Now the dream of yesterday is not enough. You are in need of a friendly touch that moves you, of words in candlelight, of looks that bring back to you, worlds long submerged.... And now you are crying! A tenderness of leaves is melting your heart of stone: Today you live! And I come back when you first appear pure in thoughts and deeds, inhaling your scent of amaryllis.... Oh, dearest, dearest! If I give in to the flow of memories the notion of years and sorrows evaporates like magic in the September moss of your eyes. (Translated by Aida Pedrina-Soto)


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D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE FOTO ERRATA, CE NE SCUSIAMO - Riceviamo, il 4 dicembre: Caro e gentile dott. Oreste, mi scuso io a nome del nostro Direttore che gentilmente ci legge in copia: nel mio prossimo lavoro su Fogazzaro e Zanella e tanto altro, nel quale ancora la citerò ampiamente, avremo modo di riparare, se lei cortesemente vorrà fornirci la giusta immagine che la rappresenta... Come potrà leggere, sfogliando la Rivista, il 'nostro' direttore, prof. Domenico Defelice, in questo 2020 ha pubblicato cose di bella novità, soprattutto in relazione ai poeti cinesi da lui tradotti dall'inglese, con l'edizione THE WORLD POETS QUARTERLY, guidata dallo scrittore e poeta Zhang Zhi. Intanto la saluto con tanta cordialità e le auguro buona serata. Ilia Pedrina Il 04/12/2020 18:31 Oreste Palmiero <opalmiero@comune.vicenza.it> ha scritto: Gent.ma professoressa, grazie. Ho apprezzato molto le belle pagine (la foto non è quella mia ma di un mio omonimo cugino: pensi, che siamo in tre tutti con lo stesso nome e cognome!). Nessun problema, comunque. Leggerò poi con calma anche gli altri articoli. Un cordialissimo saluto Oreste Palmiero ***

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ADDIO, MARIO! – Lunedì 14 dicembre 2020, stroncato dal coronavirus, il terribile mostro che sta tenendo in scacco l’intera umanità, ha cessato di vivere Mario DE FELICE, fratello più giovane del nostro Direttore. Era nato ad Anoia (RC) 79 anni fa ed è stato, per lavoro, in Germania e altrove, prima di stabilirsi definitivamente a Pomezia, dove ha prestato servizio in una grande Cartiera. Alla moglie Rosina, ai figli Rita, Giuseppe e Roberto e ai numerosi nipoti e parenti tutti, le condoglianze del nostro mensile. Numerosi i messaggi di cordoglio ricevuti telefonicamente in questi giorni. Riportiamo solo alcuni tra quelli arrivati via e-mail: Da Marco Carnà, di Reggio Calabria, il 16/12/2020: Sono stato informato della scomparsa dello zio Mario, non ho avuto molto modo di conoscerlo, sinceramente speravo di avervi tutti al matrimonio, sarebbe stato un ottimo modo per approfondire i rapporti. Andarsene così, di colpo, è forse il modo peggiore. Vi sono vicino Con affetto Un abbraccio Marco Da Luigi De Rosa, Genova, il 16/12/2020:


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Affettuose condoglianze per tuo fratello. Auguriamoci di resistere. Speriamo nel vaccino. Ti abbraccio. Luigi Da Laura Pierdicchi, Mestre (Venezia), il 16/12/2020: Dio mio! Ti porgo le mie più sincere condoglianze Domenico e ti sono vicina. Siamo tutti immersi in questa vita/non vita, con il timore di essere infettati. Ci risentiamo quando potrai essere più sereno. Un grande abbraccio. Laura Da Manuela Mazzola, Pomezia, il 16/12/2020: Mi dispiace tantissimo. Ti sono vicina. Da Tito Cauchi, Lavinio, Roma, il 16/12/2020: Caro caro Domenico, leggo adesso del lutto che ti ha investito. Per quel poco che ho conosciuto Mario, lo sentivo come uno di famiglia, come lo sei tu. Non sarei di conforto se ti parlassi di pene. Concetta ed io ci stringiamo intorno al tuo dolore. Sempre, un abbraccio. Tito. Da Carmine Chiodo, Roma, il 17/12/2020: Carissimo Domenico condoglianze per tuo fratello. Da Giovanna Li Volti Guzzardi, Melbourne, Australia, il 18/12/2020: Carissimo Domenico, ti sono vicino con la tua tristezza. Un caro abbraccio con vera e grande Amicizia! Da Lia Giudici, Lecco, il 18/12/2020: Che tristezza, caro Domenico, mi dispiace veramente tantissimo e posso benissimo immaginare lo stato in cui vivete attualmente. Porta le mie condoglianze a tutta la tua famiglia e spero che possiate dare un ultimo saluto a tuo fratello Mario in un modo decoroso. Questa fase di vita è tremenda per tutti, ma chiaramente lo è di più per chi perde qualcuno caro. E personalmente mi colpisce profondamente. Da Giuseppe Leone, Pescate (Lc), il 19/12/2010: La notizia della morte di tuo fratello mi ha molto rattristato, caro Domenico. Solo ventiquattrore prima ti avevo inviato gli auguri di un Sereno Natale. Ma questo non mi induce a pensare che siano stati vani. Te li rifarei ancora oggi, se non te li avessi fatti prima. anche a margine della triste notizia. Questa volta, con il mio più sentito desiderio che il Natale ispiri forza consolatoria a te, alla famiglia di tuo fratello Mario e alla tua. Un abbraccio da parte mia e di Emanuela. Giuseppe. Da Giuseppe Giorgioli, Pomezia, il 20/12/2020: Mi dispiace per tuo fratello. Mi unisco al tuo dolore insieme a mia moglie Maria Antonietta. Pregherò per tuo fratello.

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Saluti Giuseppe e Maria Antonietta Da Antonio Crecchia, Termoli (CB), il 21/12/2020: Carissimo Domenico, ti sono vicino in questo momento di sconforto e di dolore per la perdita del caro fratello. Quando se ne va una persona cara, se ne va anche qualcosa di noi stessi. Accogli più da fratello che da amico le mie più sentite condoglianze. Da Wilma Minotti Cerini, Pallanza, Verbania, il 21/12/2020: Sono vicina al dolore tuo e della tua famiglia per questa tragedia che colpisce indiscriminatamente tante persone ed ora tuo fratello. Da Antonia Izzi Rufo, Castelnuovo al Volturno, il 21/12/2020: Le mie più vive condoglianze Da Mariagina Bonciani, Milano, il 21/12/2020: Domenico carissimo, mi addolora profondamente apprendere la morte del tuo caro fratello Mario. So quanto tutti voi in famiglia siate molto legati e immagino il tuo strazio, ancora maggiore data la situazione attuale. Invio a te e famiglia le mie commosse condoglianze e un augurio di trovare nella fede il conforto necessario a superare questa crisi, e anche la forza e il coraggio per riuscirci presto. Con un forte abbraccio, Mariagina Da Giannicola Ceccarossi, Roma, il 22/12/2020: Egregio professore, ho appreso da Marina Caracciolo della grave perdita di suo fratello. Le invio le mie più sentite condoglianze Da Sandro Gros-Pietro, Torino, il 22/12/2020: Carissimo Domenico, ho appreso da Te la triste vicenda di tuo fratello e sono rimasto sconvolto, perché si è abituati a sentire in televisione le numerose centinaia di morti per Covid che quotidianamente vengono annunciate e si fa quasi la querimoniosa abitudine a dedicare loro un fugace pensiero di pietà, ma li si sente lontani, ma quando poi accade che Tu, amico da anni, mi racconti del tuo dolore per la perdita del fratello in età più giovane, anch'egli colpito da Covid, allora finalmente avverto il peso vicino della disgrazia, della fatalità, di mille colpe non bene identificate della autorità che malamente amministrano questa Patria di dolori e di derelitti. Mi spiace moltissimo, caro Domenico. Molti credono che l'anima dei defunti si fermi vicino alla salma, e successivamente aleggia per qualche tempo nei luoghi ove ha vissuto per prolungare il tempo del distacco in un rapporto silente con i parenti, gli


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amici, gli animali e le cose che furono suoi abituali compagni quando era attaccata al corpo mortale. Così penso che stia facendo tuo Fratello: Lui vi attende per la sua funzione, resta un poco nella casa, un poco passeggia le vie di Pomezia o dove ha abitato, prima di prendere il suo distacco per l'eternità che ci attende. Oh, caro Domenico, l'anno muore e l'anno rinasce, anche tuo Fratello compie lo stesso misterioso trapasso di morte e di rinascita; il nostro cuore diventa più pesante della pietra e allo stesso tempo è più leggero di una piuma. Ti abbraccio con immenso affetto sandro Nel ringraziare, chiediamo scusa a tutti gli altri, veramente tanti, da riempire, potendoli riportare, pagine e pagine La cerimonia funebre è stata celebrata il 30 dicembre, alle ore 10, nella chiesa di San Benedetto da Norcia, in piazza Indipendenza, a Pomezia, alla presenza dei parenti più stretti e di alcuni amici, giusto come esigono le regole di protezione e di distanziamento sociale dovute per il coronavirus. *** PREMIO PIEMONTE LETTERATURA – Scade il 25 febbraio 2021 il termine per la partecipazione alla XXVIII Edizione del Premio Piemonte Letteratura di Poesia e Narrativa, indetto dal Centro Studi Cultura e Società, coordinato dal dott. Ernesto Vidotto. Sezioni: 1) Poesia a tema libero; 2) Narrativa breve a tema libero; 3)Poesia su Identità e Territorio; 4) Narrativa breve su Identità e Territorio; 5) Poesia studenti del Piemonte su Identità e Territorio. Chiedere regolaaamento completo. culturaesocieta@gsvision.it; cultsoc@fastwebnet.it ; http://culturaesocieta.gsvision.it/index.php/regolamenti/premio-piemonte-poesia

LIBRI RICEVUTI CORRADO CALABRÒ – L’altro – Poesie – In copertina, a colori, “Equilibri”, di Enzo Tardia; in quarta, a colori, foto di Calabrò - Ed. Thule, settembre 2020. Corrado CALABRÒ è nato a Reggio Calabria il 13 gennaio 1935. Laureato in Giurisprudenza, ha fatto parte della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato e fino al 2012 è stato Presidente dell’AGICOM, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ha pubblicato monografie riguardanti il diritto del lavoro e il diritto amministrativo. Innume-

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revoli i Premi e i riconoscimenti. Proposto per il Premio Nobel. Per la sua opera letteraria l'Università Mechnikov di Odessa, nel 1997, e l'Università Vest Din di Timisoara, nel 2000, hanno conferito a Corrado Calabrò la laurea honoris causa; lo stesso hanno fatto altre università italiane e straniere. Ha pubblicato numerosi volumi di poesia e saggi, tra cui: Prima attesa (1960), Agavi in fiore (1976), Vuoto d’aria (1979, 1980, Premio Rhegium Julii), Presente anteriore (1981), Mittente sconosciuta (1984), Deriva (1989, 1990), Il sale nell’acqua (1991), Vento d’altura (1991), La memoria dell’acqua (1991), Rosso d’Alicudi (1992, Mondadori, tre edizioni, finalista Premio Viareggio), Lo stesso rischio (2003), Ricordati di dimenticarla (romanzo, 1999), Le ancore infeconde (2000), Una vita per il suo verso (2002), Poesie d'amore (2004), La stella promessa (2009), T'amo di due amori - raccolta tematica delle poesie d'amore con CD con poesie lette da Giancarlo Giannini (Vallardi, 2009), Dimmelo per sms (2011), Password (2011), Rispondimi per sms (2013), Mi manca il mare (2013), Stanotte metti gli occhiali di luna (2015), Mare di luna (2016), La scala di Jacob (Premio Città di Pomezia, 2017), Quinta dimensione. Poesie scelte 1950 – 2018 (2019). ** BRUNO VESPA – Perché l’Italia amò Mussolini (e come è sopravvissuta alla dittatura del virus) – Rai Libri Mondadori, 2020 – Pagg. 410, € 20,00. Bruno VESPA è nato a L’ Aquila nel 1944, ha cominciato a 16 anni il lavoro di giornalista e a 24 si è classificato al primo posto nel concorso che lo ha portato alla Rai. Dal 1990 al 1993 ha diretto il Tg1. Dal 1996 la sua trasmissione “Porta a porta” è il programma di politica, attualità e costume più seguito. Per la prima volta nella storia, vi è intervenuto un papa, Giovanni Paolo II, con una telefonata in diretta. Tra i premi più prestigiosi, ha vinto il Bancarella (2004), per due volte il Saint-Vincent per la televisione (1979 e 2000) e nel 2011 quello alla carriera; nello stesso anno ha vinto l’Estense per il giornalismo. Fra i suoi più recenti volumi pubblicati da Mondadori ricordiamo: Storia d’ Italia da Mussolini a Berlusconi; Vincitori e vinti; L’Italia spezzata; L’amore e il potere; Viaggio in un’Italia diversa (2008); Donne di cuori (2009); Nel segno del Cavaliere. Silvio Berlusconi, una storia italiana (2010) Il cuore e la spada (2010); Questo amore (2011); Il Palazzo e la piazza (2012); Sale zucchero e caffè (2013); Italiani voltagabbana (2014); Donne d’Italia. Da Cleopatra a Maria Elena Boschi storia del potere femminile (2015), C’ eravamo tanti amati (2016), Soli al comando. Da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi, da


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Hitler a Grillo. Storia, amori, errori (2017), Rivoluzione. Uomini e retroscena della Terza Repubblica (2018), Perché l’Italia diventò fascista (e perché il fascismo non può tornare) (2019). ** BRUNO VESPA – Bellissime. Le donne dei sogni italiani dagli anni ’50 a oggi, Rai Libri, 2020 – Pagg. 288, € 19,00. Le donne prese in esame sono: Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Claudia Cardinale, Brigitte Bardot, Alice e Ellen Kessler, Marisa Allasio, Laura Antonelli, Stefania Sandrelli, Barbara Bouchet, Edwige Fenech, Serena Grandi, Le ragazze del “Drive in”, Monica Bellucci, Claudia Koll, Francesca Dellera, Valeria Marini, Belén Rodriguez, Diletta Leotta. ** GIANNI ANTONIO PALUMBO – Per Luigi non odio né amore – Giallo, Ed. Scatole Parlanti, 2020 – Pagg. 206, € 15,00. Gianni Antonio PALUMBO è nato a Molfetta nel 1978 e ha conseguito il Dottorato di ricerca in Italianistica a Messina. Insegna materie letterarie al Liceo “Matteo Spinelli” di Giovinazzo ed è docente a contratto presso l’Università di Foggia. Pubblicista, collabora con diverse testate e ha creato il blog di critica militante “gianobifrontecritico.wordpress.com”. Direttore artistico della Notte bianca della Poesia, è autore di vari testi teatrali apparsi sulla rivista “La Vallisa” (Lena, Il diavolo a cavallo, Chi ha paura delle ombre?, La preghiera di Eleonora). Ha curato l’edizione delle “Rime” di Isabella Morra (2019). Ha pubblicato: Non alla luna, non al vento di marzo (poesia, 2004), Il segreto di Chelidonia (racconti, 2014), Krankreich, tramonto di un sogno (romanzo, Premio “Valle dei Trulli” per la “Letteratura giovane”). ** ALBERTO ANGELA – L’ultimo giorno di Roma. Viaggio nella città di Nerone poco prima del grande incendio. Libro I della Trilogia di Nerone – HarperCollins Rai Libri, novembre 2020, Pagg. 350, € 18,50 – Alberto ANGELA, figlio del famoso Piero Angela, è nato a Parigi nel 1962. Paleontologo, naturalista, divulgatore scientifico e scrittore. Specializzatosi presso le Università statunitensi di Harvard, Columbia University e UCLA, ha svolto per oltre dieci anni attività di scavo e di ricerca partecipando a numerose spedizioni internazionali di paleoantropologia; attualmente è membro dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana e della Fondazione Ligabue di Venezia. Tra i massimi esperti in materia di divulgazione scientifica e storica, Alberto Angela è autore e conduttore di diversi programmi di successo in onda sulle emittenti RAI quali “Ulisse, il piacere della

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scoperta”, “Stanotte a…”, “Meraviglie: la penisola dei tesori” e “Passaggio a Nord Ovest”. Giornalista pubblicista, ha collaborato con prestigiosi quotidiani e periodici ed è autore di numerosi volumi di successo tradotti anche all’estero dedicati alla storia, all’arte e alla scienza. Il suo ultimo libro, “Cleopatra. La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità”, è uscito da HarperCollins in Francia, Germania, Olanda, Spagna, Brasile. Lo stesso libro uscirà negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Bulgaria e in Polonia nella prossima primavera 2021. ** TITO CAUCHI – Pasquale Montalto. Sogni e ideali di vita nella sua poesia – In prima di copertina, a colori, “Fondale marino” di Alice Pinto, della quale, all’interno, sono riprodotti altri lavori in bianco e nero; in quarta, sempre a colori, Foto di Tito Cauchi e di Pasquale Montalto – Editrice Totem, 2020 – Pagg. 84, € 15,00. Tito CAUCHI, nato l’ 11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività professionali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005), “Il Calendario del poeta” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2015). Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone” (2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Angelone” (2010), “Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (monografia a cura di Gabriella Frenna, 2014), “Profili critici” (2015), “Salvatore Porcu Vita, Opere, Polemiche” (2015), “Ettore Molosso tra sogno e realtà. Analisi e commento delle opere pubblicate” (2016), “Carmine Manzi Una vita per la cultura” (2016), “Leonardo Selvaggi, Panoramica sulle opere” (2016), “Alfio Arcifa Con Poeti del Tizzone” (2018), “Giovanna Maria Muzzu La violetta diventata colomba” (2018), “Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce” (2018), Graziano Giudetti, Il senso della poesia (2019), Profili Critici 2012. Premio Nazionale Poesia Edita Leandro Polverini, Anzio. 163 Recensioni (2020). Ha inoltre curato la pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha partecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’aperto. È incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013), in “World Poetry Yearbook 2014” (di Zhang Zhi & Lai Tingjie) ed in altri ancora; collabora con molte riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ottenuto svariati


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giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (International Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. E’ presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini, giungo alla quinta edizione (2015). Ha avuto diverse traduzioni all’estero. ** TITO CAUCHI – Angelo Manitta e il Convivio – In prima di copertina, a colori, particolare de “La scuola di Atene”, di Raffaello; in quarta, sempre a colori, foto di Tito Cauchi e di Angelo Manitta – Editrice Totem, 2020, pagg. 188, € 20,00. ** TITO CAUCHI – Lucia Tumino una vita riscattata (26 gennaio 1928) – 14 ottobre 2020) – In prima di copertina, immagine tratta dal romanzo “Le sorelle Faustine”, della stessa Tumino; in quarta, a colori, foto di Tito Cauchi e di Lucia Tumino – Editrice Totem, 2020, pagg. 82, € 10,00.

TRA LE RIVISTE L’ERACLIANO – organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili – fondata nel 1689 – direttore responsabile Marcello Falletti di Villafalletto – Casella Postale 39 – 50018 Scandicci (Firenze). Email: accademia_de_nobili@libero.it – Riceviamo in via telematica il n. 273/275 dell’ottobre-dicembre 2020, dal quale segnaliamo l’interessante saggio d’apertura “Testimoniare la fede con il sacrificio della vita (San Miniato martire della Chiesa fiorentina)”, di Marcello Falletti di Villafalletto; “Intervista a Laura Landi”, di Carlo Pellegrini; la rubrica “Apophoreta”, a cura di Marcello Falletti di Villafalletto, nella quale, tra le altre, troviamo la firma della nostra collaboratrice Manuela Mazzola. * MAIL ART SERVICE – Bollettino del Centro “L. Pirandello” di Sacile, diretto da Andrea Bonanno – via Friuli 10 – 33077 Sacile (PN) – email: postmaster postmaster@andreabonanno.it – Riceviamo il n. 112 del dicembre 2020, dal quale segnaliamo: “I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello e l’urgenza della verifica”, di Andrea Bonanno. * RENDITION OF INTERNATIONAL POETRY – Quarterly, November 8, 2020 – dr. Zhang Zhi – P. O. Box 031, Guanyinqiao, Jiangbei District, Chongqing City, P R. China – E-mail: iptrc@126.com; iptrc1995@126.co; iptrc@163.com - La copertina,

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a colori, è dedicate a Hélène Cardona (USA), della quale vengono pubblicate poesie e nota biografica alle pagine 10-12; in seconda di copertina, a colori, foto, poesie e biografia di Maria Teresa Infante (Italia); in terza, sempre a colori, foto, biografia e 4 opere del pittore cinese Gu Fuhai; in quarta, foto a colori di: Hu Hongshuan (Cina), Despina Kontaxis (Grecia), Murat Yurdakul (Turchia), Wang Mengren (Cina), Liudmyla Diadchenko (Ucraina), Udekwe Chikadibia (Nigeria), Nadia Mujkić (Bosnia Erzegovina) e Zou Lian’an: di tutti, all’interno, son riportate poesie e biografie. Numerosi sono gli autori stranieri e, in particolare, quelli cinesi. * EUTERPE – Rivista aperiodica di Poesia e Critica letteraria – È uscito il n° 32 della rivista di poesia e critica letteraria «Euterpe», aperiodico tematico di letteratura online, ideato e diretto da Lorenzo Spurio e rientrante all’interno delle attività culturali promosse dall’Ass. Culturale Euterpe di Jesi. Tale numero proponeva quale tematica alla quale era possibile ispirarsi e rifarsi: “Poeti scrittori nascosti e dimenticati”. Il lungo editoriale di Lorenzo Spurio è volto a ricordare alcuni poeti che nel corso di questo funesto 2020 ci hanno lasciato. Vengono fornite, oltre a notizie bio-bibliografiche degli stessi, ricordi personali, occasioni d’incontro e di lettura nonché approfondimenti critici. Gli autori dei quali si parla sono Marisa Provenzano (1950-2020 di Catanzaro), Gregorio Scalise (1938-2020, di Catanzaro ma da molto tempo residente a Bologna), Anna Elisa De Gregorio (1942-2020 nativa di Siena ma residente in Ancona dal 1959), Umberto Cerio (1938-2020 di Larino, provincia di Campobasso) e Gabriele Galloni (1995-2020, romano), quest’ultimo morto prematuramente all’età di venticinque anni. Si segnala, poi, tra i numerosi contributi presenti in rivista tre interessanti antologie, la prima, curata da Lorenzo Spurio, rivolta al poeta e scrittore Gino Scartaghiande, autore di Sonetti per amore per King-Kong (accompagnata da una pregevole foto di Dino Ignani); poi gli estratti scelti da una vecchia intervista fatta da Anna Manna Clementi al poeta, scrittore e antropologo Gilberto Mazzoleni (1936-2013)e, infine, l’intervista che la poetessa milanese Donatella Bisutti ha rivolta al docente e poeta Roberto Veracini. Hanno collaborato e contribuito con proprie opere a questo numero della rivista (in ordine alfabetico) gli autori: ALEXANDRU Elena Denisa, ANGELUCCI Sandro, ANELLI Giorgio, ARIEMMA


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Angelo, BARDI Stefano, BERNARDO Lorenzo, BIANCHI MIAN Valeria, BIOLCATI Cristina, BISUTTI Donatella, BOMPADRE Rita, BONANNI Lucia, BUFFONI Franco, BUONOMO Felicia, CAMELLINI Sergio, CARMINA Luigi Pio, CARRABBA Maria Pompea, CASALI Samanta, CATANZARO Francesco Paolo, CHIARELLO Maria Salvatrice, CHIARELLO Rosa Maria, CONSOLI Carmelo, CORBI Melissa, CORIGLIANO Maddalena, DACHAN Asmae, DE FELICE Sandra, DEFELICE Domenico, DEIDDA Giorgia, DEMI Cinzia, ENNA Graziella, FERRERI TIBERIO Tina, FO Alessandro, FUSCO Loretta, GAMBINI Giuseppe, GAROFALO Domenico, GIANGOIA Rosa Elisa, GIANNINI Guido, GIOVANNINI Luciano, LANIA Cristina, LINGUAGLOSSA Giorgio, LOMBARDI Iuri, LUZZIO Francesca, MAFFIA Dante, MAGLI Simone, MANNA CLEMENTI Anna, MARANGONI Matteo, MARCUCCIO Emanuele, MARTILLOTTO Francesco, NEGRI Christian, OLDANI Guido, PACI Gabriella, PACILIO Rita, PASERO Dario, PASQUALONE Massimo, PECORA Elio, PELLINO Maria, PIERANDREI Patrizia, POLVANI Paolo, QUIETI Daniela, RICCIALDELLI Simona, ROMANO Nicola, RUFFILLI Paolo, SANTOLIQUIDO Anna, SARDZOSKA Natasha, SCALABRINO Marco, SCARTAGHIANDE Gino, SEGHETTA ANDREOLI Evaristo, SICA Gabriella, SIVIERO Antonietta, SPAGNUOLO Antonio, SPURIO Lorenzo, STANZIONE Rita, TAORMINA Emilio Paolo, TONINI Claudio, TRIVAK Bogdana, URRARO Raffaele, VARGIU Laura, VESCHI Michele, VINCITORIO Anna, VITALE Francesca, ZANARELLA Michela, ZINNA Lucio. Il nuovo numero può essere letto e scaricato in vari formati. Collegarsi a questo link: https://drive.google.com/file/d/19lWCzaVsnxZNRexyDrFtBI5HiamBZUBm/view Di particolare interesse è la sezione saggistica del presente volume che si compone dei seguenti contributi: ARTICOLI PAOLO RUFFILLI – “Sulla poesia di Pietro Bruno” LUCIA BONANNI – “«Mó ve raccónte»: linguistica e dialettalità nei versi di Antonio Pitoni” SAMANTA CASALI – “Tullio Colsalvatico, uomo e scrittore marchigiano” DANIELA QUIETI – “La prima età della cultura romana” SERGIO CAMELLINI – “Un poeta “trascurato”: Riccardo Bacchelli” GIORGIO ANELLI – “Antonio Neibo, il poeta

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amico di Dino Campana” GIORGIA DEIDDA – “Oltre il superuomo: tra Nietzsche e Mann” EVARISTO SEGHETTA ANDREOLI – “Ricordo di Giovanni Stefano Savino” SANDRO ANGELUCCI – “Aminah De Angelis: la poetessa della Vita con la “V” maiuscola” FRANCESCO PAOLO CATANZARO – “Zoomorfismo e brutalità animalesca dell’uomo nel percorso lirico di Umberto Bellintani” LORETTA FUSCO – “Piera Oppezzo: una ferma utopia” MICHELE VESCHI – “Assuefatti e felici” SAGGI IURI LOMBARDI – “Sergio D’Arrigo e Alberto Vianello: due universi contrapposti, due autori dimenticati” RITA PACILIO – “Il fuoco della poesia: Assunta Finiguerra” CINZIA DEMI – “Ripensando a Giovannino Guareschi: migrazioni e intrecci di stile e linguaggio nel rispetto religioso del mondo. L’uso della lingua, in sintesi” FAUSTA GENZIANA LE PIANE – “Francis Ponge: il partito preso delle cose” FRANCESCO MARTILLOTTO – “«Il cuore è nella mia anima». Note su Sergio Corazzini crepuscolare” DOMENICO DEFELICE – “Geppo Tedeschi tra poesia e ricordi” FRANCO BUFFONI – “Emanuel Carnevali” LUCIO ZINNA – “Elvezio Petix cantore di chi resta “dietro la porta”” MARCO SCALABRINO – “Paolo Messina: il Rinnovamento e Rosa Fresca Aulentissima” MASSIMO PASQUALONE – “La poesia dialettale di Natale Cavatassi” RENATO FIORITO – “Maria Marchesi, una grande poetessa dimenticata” ROSA ELISA GIANGOIA – “Margherita Faustini: una vita per la poesia” ANTONIO SPAGNUOLO – “Franco Capasso” DANTE MAFFIA – “Gli Esercizi di Giovanna Bemporad” DANTE MAFFIA – “Ricordo di Margherita Guidacci” DANTE MAFFIA – “Ritratto in bianco e nero di Rocco Paternostro” ELIO PECORA – “Quattro autori trascurati e dimenticati: Bodini, Wilcock, Romagnoli e Guidacci” GRAZIELLA ENNA – “Due scrittori e patrioti del Risorgimento italiano: Silvio Pellico e Antonio Ranieri”


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RAFFAELE URRARO – ““Nevicata”: un esempio concreto dell’attualità carducciana” NATASHA SARDZOSKA – “Il corpo come una crisalide: poesia che non teme il vuoto e non rifiuta il grido. Sulla poesia di Giselle Lucía Navarro” GIORGIO LINGUAGLOSSA – “Due poesie metafisiche e ontologiche di Maria Rosaria Madonna” ANNA SANTOLIQUIDO – “La poesia delle donne: la voce di Giuliana Brescia” LORENZO SPURIO – “Ricordando Gabriella Maleti, poetessa e videomaker” * Ricordiamo, inoltre, che il tema del prossimo numero della rivista al quale è possibile ispirarsi sarà “Amori impossibili tra arte, storia, mito e letteratura”. I materiali dovranno essere inviati alla mail rivistaeuterpe@gmail.com entro e non oltre il 14/03/2021 uniformandosi alle “Norme redazionali” della rivista (https://associazioneeuterpe.com/norme-redazionali/). Materiali che non rispetteranno le linee redazionali non verranno presi in considerazione. Non si daranno seguito a richieste in merito alla selezione e inserimento o alle motivazioni che hanno decretato il non inserimento, la Redazione assume le proprie decisioni in maniera libera e unilaterale. È possibile seguire il bando di selezione al prossimo numero anche mediante Facebook, collegan-

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dosi al link: https://www.facebook.com/events/373802013888230

Due grafiche di

Domenico Defelice↑ ← AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione o altro) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute); per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. Per eventuali versamenti, assolutamente volontari: Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009


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