Pomezia Notizie 2021_4

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5350ISSN 2611-0954

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. - Il mensile è disponibile su: http://issuu.com/domenicoww/docs/

Anno 29 (Nuova Serie) – n. 4

- Aprile 2021 -

N° 3 della Serie online

PAPA FRANCESCO FRATELLI TUTTI di Maria Antonietta Mòsele ON l’ampia Introduzione del teologo e Vescovo mons. Bruno Forte e con i commenti in Postfazione di eminenti esperti in varie discipline, ci viene presentata l’opera più recente del nostro Papa. Innanzitutto il titolo deriva dalla preghiera insegnata da Gesù Cristo – e scritta nel Vangelo - il “Padre nostro”, formula indicante che siamo tutti figli di uno stesso Padre (Dio-Padre), quindi tutti fratelli di Gesù e fra noi: espressione testimoniata esemplarmente da molti Santi,

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All’interno: Ho sognato di vivere!, di Giuseppe Leone, pag. 5 Domenico Antonio Tripodi in un saggio di Defelice, di Lia Giudici, pag. 8 Intervista a Manuela Mazzola, a cura di Isabella Michela Affinito, pag. 11 Domenico Antonio Tripodi, pittore dell’anima, di Antonio Crecchia, pag. 14 Poeti arabi della diaspora, di Anna Vincitorio, pag. 17 Domenico Defelice e Domenico Antonio Tripodi, di Gianni Antonio Palumbo, pag. 21 La giovane poesia marchigiana, di Leonardo Bordin, pag. 24 La pittura poetica di Tripodi, di Luigi De Rosa, pag. 26 Giovanni Pascoli al liceo “Duni” di Matera, di Leonardo Selvaggi, pag. 28 Dediche, a cura di Domenico Defelice, pag. 32 Notizie, pag. 45 Libri ricevuti, pag. 46 Tra le riviste, pag. 50 RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Domenico Antonio Tripodi pittore dell’anima, di Domenico Defelice, pag. 34); Anna Aita (Domenico Antonio Tripodi pittore dell’anima, di Domenico Defelice, pag. 35); Elio Andriuoli (Le ore salvate, di Lucio Zinna, pag. 37); Tito Cauchi (Domenico Antonio Tripodi pittore dell’anima, di Domenico Defelice, pag. 38); Domenico Defelice (Frammenti di vita, di Manuela Mazzola, pag. 39); Giuseppe Giorgioli (Non circola l’aria, di Domenico Defelice, pag. 40); Giuseppe Giorgioli (Virus antipensionistico, di Luigi Fiordelisi, pag. 41); Manuela Mazzola (Per Luigi non odio né amore, di Gianni Antonio Palumbo, pag. 42); Laura Pierdicchi (Delirio di parole, di Anna Maria Bonomi, pag. 42); Liliana Porro Andriuoli (Frammenti di vita, di Manuela Mazzola, pag. 43).

Inoltre, poesie di: Italo Francesco Balbo, Mariagina Bonciani, Ferruccio Brugnaro, Lidia Are Caverni, Irène Clara, Antonio Crecchia, Domenico Defelice, Antonia Izzi Rufo, Gianni Rescigno

fra i quali san Francesco d’Assisi di cui il Papa ha scelto il proprio nome. In copertina è raffigurato, infatti, san Francesco che dona la propria sopravveste ad un povero (opera di Giotto). E la prima copia di questo volume, il Papa l’ha donata ad Assisi, presso la tomba di san Francesco, il 3 ottobre 2020, vigilia della festa del Santo. Bruno Forte mette in risalto vari punti chiave -seguendo i singoli otto capitoli componenti il libro - fra i quali la cultura dell’incontro e del dialogo tra le Religioni e tra gli Stati civili per giungere ad una civiltà di amore universale. Ora passo a descrivere a sommi capi quanto

dice Papa Francesco. Egli invita tutti ad una fraternità aperta, sincera, tra vicini e lontani, individuale e collettiva, in un impegno interreligioso, sociale, economico, politico, finanziario. Perché è vero che il progresso tecnologico e la globalizzazione sanno unificare il mondo, ma anche possono dividere ancor più le Nazioni e le persone (ricchi e poveri, potenti e non), spesso dominandole e seminando sfiducia. Quindi, in generale, ancora non c’è vera fratellanza. Un esempio: il Covid-19 ha dimostrato l’incapacità di agire insieme nel mondo, nonostante le azioni di solidarietà singole e di certe organizzazioni umanitarie.


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Altro esempio di mancata fraternità: le migrazioni, dovute a carestie e a guerre. Innanzitutto, dovrebbe esserci il diritto a non emigrare; ma se gli Stati non riescono a ciò, i migranti dovrebbero essere tutelati dai Paesi accoglienti che diano loro regole, dignità e lavoro. Certo, non è redditizio investire su persone fragili, ma è importante per il bene comune: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Matteo, 10, 8). Bisogna essere prossimo degli abbandonati e degli esclusi (anche nascituri e anziani): non scartarli (come si fa coi cibi), ma seguendo il Vangelo del buon Samaritano e delle Beatitudini. La migliore politica dev’essere al servizio del bene comune, con impegno, anche a lungo termine. Esistono da tempo la Carta dell’ONU che tutela i deboli, come pure la Dottrina Sociale della Chiesa che invita alla carità sociale e alla carità politica (quest’ultima, forma più preziosa della carità) attraverso macro attività. La proprietà privata è giusta, ma deve dare aiuto. Non bisogna aspettare che provvedano a tutto i Governi. La fraternità (famigliare e universale) è come un poliedro che è un unico solido, ma formato da tante facce: amicizia, giustizia, solidarietà, moralità, riconciliazione, pace, dove il tutto è più delle parti: dovremmo impegnarci a costruirlo. Infatti, la pace dona gioia e fiducia, mentre la guerra – anche se di religione - genera morte di persone, di cultura, dell’ambiente: è il fallimento della politica; non esiste guerra giusta! Eliminando la costruzione di armi nucleari, si potrebbe, con quel denaro, creare un Fondo mondiale per lo sviluppo dei Paesi poveri. Come anche bisognerebbe eliminare la pena di morte: pena, sì, vendetta, no. E le pene siano volte ad un giusto inserimento della persona nella vita sociale. (Pure l’ergastolo costituisce una pena di morte, anche se nascosta). Nella Genesi, infatti, sta scritto: ”Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo”. Come nei princìpi della Rivoluzione Francese, non bastano libertà e uguaglianza, ci

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vuole anche la fratellanza. In effetti, se la sola ragione sa giungere all’uguaglianza sociale – conquistata da certi Stati -, soltanto la religione può arrivare alla fratellanza. Altrettanto, solamente veri valori di trascendenza – fra i quali libertà di coscienza e di religione possono garantire giusti rapporti fra gli uomini. Nei dibattiti pubblici, si dovrebbe parlare non solo di scienza e di politica, ma anche di sapienza e di religione. Infatti, la Chiesa Cattolica (= Universale) che segue il Vangelo dell’amore e del perdono, oltre che apprezzare Dio nelle altre Religioni, è attenta anche alla dimensione politica per uno sviluppo umano integrale. Il Papa fa presente che nei suoi vari Incontri Internazionali di Religione, rappresentanti sia degli Ebrei, che della Cattolicità d’ Oriente e d’Occidente, sia dei Musulmani d’Oriente e d’Occidente hanno dichiarato all’unanimità la cultura del dialogo, della collaborazione e della conoscenza reciproci. Inoltre, egli vuole ricordare i molti che in ogni tempo sono stati grandi operatori di pace, pure se non cattolici, come Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi, ecc. Perché la pace non è un’utopia, un sogno, bensì una vera realtà, quando c’è la buona volontà del singolo e della collettività. Egli termina con una Preghiera che è un’esortazione a riconoscere Cristo anche in ogni uomo abbandonato perché possa risorgere: infatti, tutti sono importanti, anzi necessari. Qui vengono riportati riferimenti a molteplici suoi Discorsi, Lettere, Encicliche, Conferenze internazionali (anche all’ONU), Scritti dei tre Papi precedenti, nonché di Santi Dottori della Chiesa. Fra gli autorevoli commentatori, vorrei segnalarne alcuni. Il biblista Pietro Stefani puntualizza: se la libertà e l’uguaglianza costituiscono dei diritti, la fratellanza, invece, è un obbligo. Massimo Giuliani (docente del Pensiero ebraico) afferma che sia le Religioni che gli atei considerano un dovere quello di tutelare la vita e di stare tutti uniti.


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La docente di storia Chiara Frugoni auspica che si realizzi concretamente questo “nuovo sogno” di fraternità e amicizia. E il pedagogista Fulvio De Giorgi vede scaturire dalle proposte del Papa, una vera e propria rivoluzione educativa che possa superare le disuguaglianze. Salvatore Natoli, filosofo, che si dichiara non credente, dice che è facile per i ricchi essere beneficenti, anziché fraterni. E, per Mauro Ceruti, docente di logica della Scienza, purtroppo, siamo piuttosto anti-fraterni e indifferenti, e, fra noi, c’è più competizione che cooperazione. Pier Cesare Rivoltella, esperto di Istruzione, trova nei media un’importante opportunità per agire fattivamente, come risposta alle fittissime richieste di solidarietà che vengono segnalate. Il poeta sociale Arnoldo Mosca Mondadori vede nello sguardo del Papa la trasparenza dello sguardo del Cristo in croce (Lui, Figlio del Padre) che perdona tutti per redimerci tutti, per ri-crearci al nuovo amore di essere fratelli suoi e fra noi: cosa che l’antico Nemico vuole annullare in modo che nessuno sia fratello di nessuno. Francesco soffre, come sue, le ferite del mondo; vede “Cristo e tutti i Cristi nel Cristo che gemono nella croce”. Mondadori trova sconvolgente il forte richiamo del Papa di essere fratelli dell’intera creazione. Inoltre, egli evidenzia le seguenti peculiari novità in cui il Papa crede: “amicizia sociale”, quindi non solo giustizia sociale; “Fraternità”: programma essenziale, ma ancora non realizzato; “amore politico”: concetto rivoluzionario, destinato a fare scuola. Infatti, se ci crediamo anche noi compiendo azioni che “guariscono”, saremo “fratelli tutti”: il mondo sarebbe una “comune festa”, e il Regno di Dio sarebbe già presente. Il mio è un rapido accenno ad alcuni dei moltissimi temi qui, invece, trattati ampiamente e con importanti considerazioni, constatazioni (anche dei mali che esistono), idee e proposte concrete che dimostrano quanto al

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Papa stiano a cuore la pace, la giustizia, la disponibilità al bene, esortandoci e spronandoci ad attivarci a migliorare il mondo intero per attuare una fratellanza universale. Maria Antonietta Mòsele PAPA FRANCESCO, FRATELLI TUTTI - Sulla fraternità e l’amicizia sociale” (2020, Editrice Scholé, pagg. 256, euro 12,00).

PORTAE INFERI - 2 Eppure c’è ancora chi segue la strada che ampia conduce alle porte infuocate dell’Ade. C’è ancora chi incauto continua a ignorare le norme di vita civile, il rispetto di quanto di sacro c’è al mondo. C’è ancora chi irride alle proprie radici cristiane o comunque divine. E ormai si è perso il senso del buon gusto e l’amore per la bellezza che creando armonia purifica in chi l’ammira la mente e l’anima. Così assistiamo a indecorosi spettacoli e siamo in compagnia costante del male, dimenticando Dio e la preghiera. Mentre nel mondo si fa sera. 12 marzo 2021 Mariagina Bonciani Milano ___________________________________ BUONA PASQUA a tutti i Lettori e Collaboratori


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HO SOGNATO DI VIVERE! Ovvero la cultura del doppio nelle poesie inedite di Carmelo Bene di Giuseppe Leone

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ON una nota di Stefano De Mattia, I fiori del giovane Carmelo, e l’Introduzione di Filippo Timi Un giovane uomo che guarda il cielo, è uscito in libreria, nel marzo 2021 per conto della Casa Editrice Bompiani, Ho sognato di vivere! di Carmelo Bene. Una raccolta di poesie giovanili inedite, scritte, si legge nella prima aletta di copertina, tra il 1950, quando l’artista aveva 13 anni, e il 1958, custodite tra i documenti di famiglia e ora riportate alla luce, dopo essere passate di mano in mano per mezzo secolo tra i parenti più prossimi al Maestro: da Amelia a Maria Luisa, rispettivamente madre e sorella di Carmelo Bene, al nipote Stefano, che ne ha curato l’edizione presentandole come “la forma più embrionale e pura del genio ... ancora lontano

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ma non troppo da una possente consapevolezza legata alla condizione umana nonché a quella divina” (5-8). E non c’è che da credergli, se anche Timi, a seguire, nella sua autorevole, stupenda introduzione, parli di big bang primordiale (11); di un universo sonoro, in cui Bene ci fa “ascoltare l’origine dirompente della sua voce”. “Un universo in continua espansione” – prosegue il critico - che ci fa vedere “una sconfinatezza selvaggia, una foresta di costellazioni, nebulose e vie lattee”, che ci restituiscono un poeta già proiettato nella futura rivoluzione teatrale che egli stesso in seguito chiamerà copernicana; che crea già versi ad usum theatri, come “a scontare / abbandoni nell’inesistente, / il mio pensiero ed io: vittime sole! …”; su misura, per un giovane adolescente che all’improvviso scopre il vuoto esistenziale di non essere più il fanciullo di ieri, ma neanche il giovane che aveva sognato di diventare: “Solo con la mia ombra” (88) – scriverà - “io cerco un “nome/ per poter dire: io esisto. / Un giorno avevo un nome: / l’ho perso dimenticandomi …” (54); “Io sto sfogliando un libro / che si chiama vita, / alla ricerca d’una parola / che non trovo mai …” (57). Ed eccolo, di verso in verso, sempre alla ricerca di questa parola che non trova mai, dirci di che pasta è fatta la sua poesia, talvolta, anche, polemizzando con certa letteratura di maniera, come quando scrive che la sua è frutto di “idee già da tempo varate, / onde turbolente / fluttuanti tra la forma e il nulla” (25); altre volte, lasciando qua e là messaggi che illuminano sopra i suoi stati d’animo, sempre in bilico, per dirla ancora con Timi, fra rimpianti di quel mondo apollineo appena alle spalle e l’avvicinarsi dell’eco dionisiaca in cui presto il poeta s’immergerà (12). Lo fa, ora, per via di similitudini: “Come chi torni / a luogo che non ha mai / lasciato …” (26); ora, attraverso evocazioni, come: “Una perla / custodita in uno scrigno / di cui la chiave fu smarrita, / abbandonato in un mare / senza fondo / da un Dio pagano” (34); ora, rivelando d’aver sognato di vivere: “Io sono giunto là / dov’è il silenzio: là / dove il vento


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non può più / soffocare i miei sospiri, / e tutto è pausa! (87)”. Il tutto attraverso un andirivieni di picaresche sensazioni, proprie di chi, abbandonata l’età dell’oro della fanciullezza, si ritrovi improvvisamente smarrito in un paesaggio di “nebbia fitta che accomuna le case (23), dal quale il poeta avrebbe ben poche speranze di venirne fuori. Né, sembrerebbero aiutarlo le strade a ritornare indietro, “perché il sole / non brucerà le acque” (43), è un “sole indeciso” (95) e “la luna che inventava capanne / non si riscalda più sulla campagna: / il suo camino spento” (94). E non solo un viavai di sensazioni, anche di percezioni e idee, perché, innanzitutto, Carmelo Bene sente la responsabilità di questa crisi e vuole esserne interprete, nonché, s’è possibile, anche indicare una via d’uscita. Un aspetto che non ha trascurato lo stesso Filippo Timi, se, sempre nell’introduzione, immagina il poeta come un giovane uomo che guarda il cielo e si confronta con esso, domandandosi come “cogliere senza sosta / i frutti del presente / per preparare ciò ch’è da venire” (12). In altre parole, come “diventare egli stesso un’opera d’arte”, in un mondo sempre oscillante fra realtà e apparenza, verità e finzione, silenzio e voce, luce e ombra; consapevole, intanto, che “nulla è rimasto / delle barche di carta / che, fanciullo, affidava / sospinte dal suo alito / verso una pozzanghera d’acqua” (70) e che forse “un dì accadrà … di ammirare incantato / l’avvenire stellato di sogni” (47). Quando ho incominciato a leggere Ho sognato di vivere!, ho pensato subito a La vita è sogno di Calderon de la Barca, non

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certo per sospetta imitazione, ma per la temperie culturale che unisce il Salento alla Spagna; al barocco, al suo lessico, con cui il poeta condivide parole come vento, ombra, sogno, morte, notte; e a quel carteggio, fra Carmelo Bene e Vittorio Bodini, dove l’artista chiede all’amico poeta un giudizio sul suo Don Giovanni cinematografico, se sia da considerare barocco oppure no. Quello che colpisce, allora, scorrendo le 69 liriche di questa raccolta, è che queste poesie si presentano oggi come una prova letteraria degna del miglior Carmelo Bene, forse il migliore tra i tanti che sono sbocciati in seguito, compreso quello del teatro. E per una semplice ragione. Per averle scritte con barocca semplicità - mi si scusi l’ossimoro questa volta con un’eleganza che lo stile barocco nella letteratura italiana non s’era mai permesso prima. Perciò, se decidessi di ridurre queste poesie in una performance, le intitolerei, anche sulla scorta di altri titoli di Carmelo Bene che ora mi tornano alla mente, Un barocco di meno, che non significa che non perseguano fino in fondo i dettami di quello stile, anzi, il barocco lo respirano fin dalle estreme ragioni del loro titolo; significa solo che di meno hanno il fine della meraviglia, l’uso forsennato di metafore, a cui Carmelo Bene scientemente si sottrae fino a fare del barocco un’ispirazione leggera come una “piuma sospinta da ricordi dolci” (17). Io non so quello che avrebbe detto Bodini se le avesse avute tra le mani, lui che aveva visto rilucere il barocco anche nelle opere successive di Carmelo Bene, come


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in quelle girate in film, si diceva; e Giuditta Podestà, per la quale si doveva parlare di barocco anche a proposito di tutta la sua produzione teatrale. Quello che invece posso affermare io, certamente più fortunato di loro per averle lette, è che, con queste poesie, Carmelo Bene abbia chiesto ufficialmente scusa allo stile barocco dei Calderon, degli Shakespeare, dei Cervantes, per tutte le cattive prove del barocco letterario italiano, di ieri e di oggi, purtroppo sempre macchinoso e sempre più schiacciato sulla forma esteriore, piuttosto che preoccuparsi di lasciare intravedere “il disperato senso del vuoto che è ad esso sotteso e che si cerca con esso di colmare”. Giuseppe Leone Carmelo Bene, Ho sognato di vivere! (Poesie giovanili) Bompiani Editore, Milano, 2021. Euro 15.00. Pp. 104.

COMPIANTO PER GIUSEPPE DI NAZARETH Io Figlio piango i tuoi anni padre. Io Padre piango te padre, accompagnasti i miei anni sulla terra. Io Spirito piango te padre in spirito. Io, Trinità piangiamo la creatura che a noi s'abbandonò vigile e attenta. Educasti l'umana natura che si fece figlio della sua figlia.

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Accompagnasti consapevole l'attesa, fugando il dubbio all'angelico richiamo. Vedesti pastori e re adorare il bimbo e nascosta la croce. Sapevi della promessa antica e vivesti la salvezza dell'uomo. Fuggisti la minaccia del potente il cui dominio crudele è solo fine a se stesso. Perdesti tuo Figlio fermo nel comprendere la Parola. Vivesti con Lui e ora Lui piange. Piange, ma di gioia, finito l'esilio conoscerai il paradiso. A lui è risparmiato vederti affisso alla croce salvezza del mondo. Saprà della redenzione. Così il Figlio piange il figlio che gli fu padre. Italo Francesco Balbo


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Stampato dalla Gangemi Editore International

DOMENICO DEFELICE DOMENICO ANTONIO TRIPODI PITTORE DELL’ANIMA di Lia Giudici

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mia insaputa il saggio di Domenico Defelice su Domenico Antonio Tripodi mi aspettava nascosto in una busta appoggiata all’uscio di casa...per via della dimensione il postino non aveva potuto imbucarla nella mia cassetta. Di ritorno da una passeggiata mi chiesi subito di cosa si trattasse...non aspettavo consegne particolari. Il mittente poi mi diceva poco, il pittore non me ne voglia. La curiosità è femmina, dicono, ma anche se è un evidente pregiudizio, invece di aprire casa, aprii subito la busta per vedere che cosa contenesse, restando per un attimo in sospensione sui gradini che danno sulla strada. Sorpresa mi colse, perché era un doppio

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omaggio: da parte di Domenico Defelice che il libro aveva scritto, e di Domenico Antonio Tripodi che accompagnava il dono con una amabile missiva. Una volta entrata mi ricordai che il numero di Pomezia-Notizie uscito a gennaio 2021 riportava a pag. 11 la foto della copertina di questa recentissima opera di Domenico Defelice; la definizione “Pittore dell’Anima” mi aveva molto colpita, mi ero infatti ripromessa di leggerla prima o poi, pertanto il sentimento di gratitudine irruppe in me quando ebbi inaspettatamente quello scritto tra le mani. I libri sono creature strane, ci si affeziona a loro per i motivi più svariati; a volte il primo impatto è importante, soprattutto se il suo contenuto è da approfondire, e in questo caso, insieme a quanto già illustrato, ha giocato un ruolo rilevante l’estetica: il libro che stringevo tra le mani aveva “un bell’aspetto”…in copertina “Il Filosofo”, l’opera che nel 1984 aveva anche internazionalmente reso famoso Domenico Antonio Tripodi. Di lui solo la testa, immersa in un tripudio di colori. Si annunciava una lettura appassionata. Il libro consta di quattro parti: una Introduzione redatta dallo stesso artista, Domenico Antonio Tripodi; la seconda di Domenico Defelice, arricchita da un’intervista al pittore; la terza raccoglie molte delle sue opere (tutto il libro ne è in verità costellato) ed è suddivisa a sua volta in “Il Filosofo”, “Pittore dell’ Anima”, “Dante e Tripodi”, l’ultima parte è la biografia. Nell’Introduzione l’artista spiega i temi della propria pittura “svolti tra due poli apparentemente diversi, ma sempre orientati verso una visione unitaria e piena della Natura creata” (pag. 7). Un polo ha come obiettivo la creatura umana immersa nelle varie problematiche (l’opera “Il Filosofo” appartiene a quel periodo); l’altro invece gli animali, soprattutto gli uccelli. Queste immagini hanno ispirato moltissime persone con a cuore le sorti del nostro pianeta, la definizione “ecologiste”, attribuita loro dallo stesso autore, può starci quindi a pennello.


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“Il Filosofo” e le opere “ecologiste” hanno fatto il giro del mondo, le seconde soprattutto nei paesi affacciati sul Mediterraneo; peccato per me poterle ammirare solo su una pubblicazione, ma sono stati bravi i fotografi Gigino Nostrale e Gianni Saracchi che sono riusciti a riprodurle in modo convincente; non è infatti semplice, credo, trasporre su carta ciò che è stato dipinto su tela, conservarne l’anima, l’intento di chi li ha dipinti, soprattutto in questo caso: “L’artista cattura l’intimo, la parte più nascosta del reale” (pag. 11). Il già menzionato “Il Filosofo”, il suo quadro più celebre, che faceva già sfoggio di sé in copertina, appare quindi nuovamente nella terza parte, ma con una nota: “Intensa e luminosa visione di un personaggio serenamente pensoso, ormai riconciliato con la vita: in alto, un tempio dorico appena accennato, connubio ideale tra religione, arte e storia; vampate di azzurro, di rosso, di bianco quali idee; in basso a sinistra, una colomba a richiamare la mente umana, essa pure alata, incontenibile.” (pag. 34). Ecco anche, come se fossero vivi, animali vari: cormorani, rapaci nel cielo dell’Aspromonte (luogo di nascita del pittore), il gallo cedrone, il pavone...ahimè senza vita, l’allodola, il cavallo, il gabbiano, gatti, aringhe sul desco di casa; ortaggi come i carciofi; o semplicemente luoghi: Scilla, Torre Marrana, un paesaggio umbro e uno lombardo e poi uno ancora dell’Aspromonte, la Cassinetta di Lugognano, la rupe e la fortezza di San Leo, Capo Vaticano, il mare al tramonto; tra le opere anche la rappresentazione di persone che in tal modo vengono omaggiate: Manfredi, Figura Antica, Antonino Martino; quest’ultimo poeta e prete calabrese, liberale, che dopo aver avversato i Borboni e aver quindi gioito per la riunificazione dell’Italia, si ritrova disilluso, si sente tradito a seguito di leggi che sembrano portare la firma di una potenza straniera e nemica. Emblematiche le sue due poesie più famose: “Il Paternoster dei liberali calabresi” (1866) e la “Preghiera del Calabrese al Padreterno contro i Piemontesi” (1874);

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La Storia quindi veicolata dalla pittura, quale ruolo sublime gioca l’Arte in tutte le sue articolazioni! Ma Tripodi veicola anche la Poesia, quella più alta; si confronta infatti con il Sommo Poeta, “Tra poesia e pittura alla ricerca del Paradiso” (pag. 89); le due sue opere qui riportate riguardano Ulisse e la sua fine, avvenuta quando lui e i suoi compagni si addentrano nelle acque dell’Oceano Atlantico, fine mirabilmente evocata da Dante nel canto XXVI dell’Inferno. Quindi ben dice Defelice quando afferma: “Le sue pitture sono libri aperti, tomi che narrano di religione, di filosofia, di miti, di vicende diverse; spaziano dalla Storia dell’Arte alla Letteratura, dal classicismo al moderno…” (pag. 13). Le tecniche usate sono varie; principalmente l’olio, poi l’acquerello, la tempera e anche la china e la matita. Come ho già accennato, lungo tutta la pubblicazione si possono ammirare altre opere non inserite nella terza parte, tra le quali un ritratto del pittore e una foto della casa nel suo luogo di nascita, Sant’Eufemia d’Aspromonte, foto che rimanda all’inizio della sua vita e il cui sviluppo viene egregiamente illustrato da Defelice e dall’artista stesso nell’intervista a lui fatta, completato poi nella biografia che troviamo alla fine del libro. Si viene quindi a sapere che Tripodi non solo è pittore, ma ha conosciuto pure l’arte del restauro, della poesia, della musica ed è stato anche insegnante. E’ figlio d’Arte, poiché apprese i primi ferri del mestiere nella bottega del padre, pittore e anche scultore, L’Arte è un pungolo formidabile alla conoscenza e questa sete spesso non può essere placata restando dove si è nati e così anche Domenico Tripodi lasciò il suo luogo natio per approdare infine a Roma, soggiornando prima in vari altri luoghi, tra cui Milano, suo domicilio per trentasette anni, che impresse una svolta nella sua vita: “Il mio primo successo l’ho avuto in via Bagutta a Milano (zona San Babila) esponendo la mia prima pittura.” (pag. 32, intervista pagg. 29-32). Domenico Defelice narra nella seconda


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parte, successiva alla Introduzione, l’incontro con Domenico Tripodi, avvenuto a Roma l’8 gennaio 2018, concordato al telefono per la mattinata, dopo un paio di decenni senza vedersi. Roma e Pomezia (dove Defelice vive) non sono per niente distanti, ma è pur sempre un viaggio; le difficoltà nel suo snodarsi e l’accenno all’ implacabile scorrere del tempo non privano la narrazione di leggerezza, l’atmosfera rimane gaia e questo tono lieve ci accompagna alla dimora di Tripodi a Roma. Successivamente si intrecciano sapientemente note biografiche, di ambedue gli artisti, e annotazioni sulle opere di Tripodi, una tra tutte: “Come ogni poeta, scrittore, musicista, anche Domenico Antonio Tripodi, dipingendo, fa autobiografia, così ogni sua composizione è carica di armonie, di filosofia, di messaggi vari che rispondono al suo vissuto, agli studi, ai luoghi calpestati; nature morte, uccelli cavalli, scorci di paesaggi hanno umori e toni che lo riguardano e, a volte, son persino legati a storie vere.” (pag. 13). Non posso che concordare con Defelice e anche una semplice recensione non sfugge a questa legge; si recensisce ciò che risuona nella propria autobiografia, aldilà dell’età. I protagonisti della pubblicazione infatti ormai si trovano in una fase dell’esistenza definita veneranda, ma la loro ricerca di senso lascia senza fiato. Questi due artisti non hanno smesso di riflettere sul significato profondo della vita e a questa ricerca continuano a dare voce, la portano all’esterno, contribuiscono con la loro arte a elargire bellezza, pur non dismettendo il ruolo che i venerandi hanno e cioè quello di essere “uno scrigno di ricordi” (definizione di un’amica che a breve compirà novantacinque anni). Quando scorsi la pubblicazione davanti a casa, ero immersa in quella bellezza che la Natura dona, perché rientravo dopo essere stata vicina al lago, su quel ramo reso famoso da Alessandro Manzoni, e forse non solo gratitudine mi colse, ma anche “Sehnsucht”, un vo-

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cabolo tedesco tradotto in italiano con nostalgia, ma che in verità è intraducibile, perché contiene qualcosa che va ben oltre, la travalica, sconfinando in un altrove intriso di struggimento perché alla Bellezza Naturale, si aggiungeva quella dell’Arte. Un grande privilegio. Lia Giudici

DA VIRUS aprile 2020 Sventola sul filo nel giorno di sole non è un panno steso ad asciugare non è una bandiera per la libertà è solo una mascherina per il nostro abbigliamento quotidiano una povera cosa per il nostro riparo la contendono le ghiandaie che oltraggiano le cince i merli che si costruiscono il nido non possiamo dimenticare. * Ci vestivamo a festa nei giorni d'aprile i visi splendenti di sole parlavamo d'amore a chiunque incontrassimo ora risuonano poche parole mozziconi affiorati a fior di labbra come fossimo stanchi anche di vivere la casa è una tana dove stare malati di tedio. * Non c'è che un'impronta di passi un segno di solitudine una voce lieta che rischiarava il giorno una farfalla bianca che cercava il fiore una lucertola dalla coda lunga sfuggita al morso del gatto un albero colmo di foglie che nascondeva finestre un canto di cince intente al nido che ci cerca. Lidia Are Caverni Venezia Mestre


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L’Intervista

MANUELA MAZZOLA POETESSA E SAGGISTA a cura di Isabella Michela Affinito

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ANUELA Mazzola, dottoressa in Lettere poetessa saggista collaboratrice di testate quali “Pomezia-Notizie”, “Il Pontino Nuovo”, “L’Attualità”, “Il Convivio”, “The world poets quarterly” (rivista cinese), “L’Eracliano”, etc., ha al suo attivo diversi favorevoli riscontri, con le sue pubblicazioni di poesia, dalla critica odierna. L’illustre professoressa saggista, anche lei poetessa, di Torino, Marina Caracciolo, ha prefato sia il secondo (con lo stesso titolo del precedente) Quaderno letterario della collana “Il Croco”, a cura della redazione del mensile online “Pomezia-Notizie”, Sensazioni di una fanciulla del 2020, sia la nuovissima silloge fresca di stampa, Frammenti di vita. Tra passato, presente e futuro, ambedue di Manuela Mazzola, di cui si riporta il seguente stralcio per stimare di più la visione interiore della Nostra. «[…] L’amore per la Natura coincide allora con la ricerca di qualcosa di innocente, di autentico, di non mai adulterato. Nei versi si rincorrono giochi infantili, sogni fugaci, perduti amori di gioventù, dubbi esistenziali. E soprattutto memorie, ricordi di qualcuno o di qualcosa che

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la poetessa ancora gelosamente conserva, mentre, dalla parte opposta, il filo che li regge è stato – per oblio, superficialità o distrazione – lasciato andare… » (Dalla Presentazione di M. Caracciolo a Frammenti di vita. Tra passato, presente e futuro, Il Convivio editore di Catania, Dicembre 2020, pag. 5). 1) Gentilissima Manuela Mazzola, Lei si è laureata con Lode all’Università “La Sapienza” di Roma, indirizzo Antropologia, scienza che si occupa delle complessità in seno alla specie umana in varie ramificazioni: antropologia filosofica, criminale, culturale, sociale, fisica, etc. Ci parli di questa Sua scelta. L’Antropologia è una disciplina affascinante e non prevede alcun giudizio verso le comunità o le culture studiate; parte dall’osservazione su campo per giungere, poi, a comprendere il motivo per cui esistono alcune tradizioni o avvengono alcuni fenomeni. All’interno della disciplina, lo sguardo antropologico ha evidenziato come modalità di comunicazione il linguaggio, il corpo e lo spazio. Ad esempio il linguaggio è uno strumento per radicare la conoscenza dandole una struttura. La conoscenza non è altro che la facoltà del sapere, ma anche del saper organizzare nozioni. Quindi, la cultura, fondamentale nell’Antropologia, è definita come conoscenza di modelli di pensiero condivisi, ma anche come forme assunte da ciò che le


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persone hanno in mente, i modelli necessari per percepire, correlare ed interpretare le cose come sosteneva Ward Hunt Goodenough, antropologo americano. Dunque, ho scelto di seguire questo curriculum universitario perché la materia non prevede giudizi, ma arriva fino in fondo nella comprensione dell’uomo e delle sue diverse culture. Non vi è una cultura giusta o sbagliata, ognuno vede il mondo dalla sua ottica, l’unico limite sta nel non violare i diritti fondamentali dell’uomo e dunque nel non ledere la libertà dell’altro.

ma con coraggio si devono superare. Il passato fa parte della nostra storia, mai dimenticarlo e bisogna sempre farne tesoro. La raccolta Sensazioni di una fanciulla l’ho composta da ragazzina, in un periodo in cui ancora non avevo abbastanza strumenti per affrontare le difficoltà della vita.

1) Lei è nata il 2 luglio, Segno zodiacale del Cancro governato dalla Luna, a cui si ricollegano il periodo dell’infanzia, la figura materna, i ricordi, le percezioni, l’emotività, la mutevolezza, una spiccata sensibilità. È da tutto ciò che le è pervenuto il titolo della Sua doppia silloge di poesie, Prima e Seconda parte, Sensazioni di una fanciulla (Collana “Il Croco” del 2019 e del 2020 a cura di Pomezia-Notizie)? Il titolo della silloge è nato da un confronto tra me e Marina Caracciolo, scrittrice e saggista, nonché attenta osservatrice e donna dalla spiccata sensibilità. Le brevi poesie sono state scritte sull’onda di sensazioni ed esprimono concetti e pensieri che erano, in quel momento, ancora completamente istintivi, non vi era una presa di coscienza. I versi infatti esprimono preoccupazioni e paure di una ragazza, smarrita dai tanti fatti che le accadevano intorno e da alcuni problemi di salute.

4) Quando qualcuno La conosce, secondo Lei, cosa risalta subito del Suo carattere? Non saprei, lascio giudicare gli altri...sempre che ce ne sia bisogno!

2) Traspare in diverse Sue poesie la presenza di qualcosa d’indecifrabile, oscura, a volte minacciosa, forse irrazionale davanti alla quale Lei sembra ‘bloccarsi’, tentennare il cammino, fuggire a ritroso per riappropriarsi anche solo con l’immaginazione del Suo caro passato. Sa spiegare cos’è? Sono gli eventi della quotidianità che a volte ti bloccano e possono sembrare minacciosi,

3) Quali sono i Suoi autori preferiti della letteratura mondiale? George Byron, John Keats, Rainer Maria Rilke, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Alda Merini e Wistawa Szymborska.

5) Che ruolo ha, secondo Lei, la Poesia nel nostro odierno? Le persone avvertono il bisogno di esprimersi. Credo perché in questo momento storico manchi proprio l’attenzione all’altro e sia presente una preoccupante frustrazione che spinge alcuni individui ad esprimere giudizi razzisti, di odio e disprezzo. Siamo tutti impegnati, la vita è frenetica, lavoriamo tante ore e non c’è più né la possibilità né la voglia di un confronto diretto per mancanza di tempo, ma anche per paura. Abbiamo perso anche l’abitudine di stare in mezzo alla natura, di fare passeggiate nei parchi, nei boschi. Gli esseri umani hanno bisogno di cultura, ma anche di natura. Il rapporto con essa elimina lo stress, è in grado di stimolare le endorfine e i ricettori del benessere, migliora la respirazione e rilassa. Purtroppo siamo chiusi nelle città e negli appartamenti, soprattutto ora a causa della pandemia. In questa situazione la poesia sta ottenendo sempre più consensi: sono aumentate le adesioni ai concorsi, le presenze nelle riviste letterarie, anche in alcune reti televisive ho notato che sta prendendo sempre più piede la lettura poetica. Sicuramente manca un rapporto diretto con l’altro, ci si incontra solo nei social e proprio su queste piattaforme avvengono


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fatti di aggressività e di bullismo. Pur vivendo nell’era della comunicazione, le persone si sentono molto sole, avvertono un malessere e una solitudine che li spinge ad esprimersi in versi. La scrittura è sempre stata un’azione solitaria e permette alle anime più sensibili di esprimersi senza la paura del giudizio altrui. Nella poesia vi è una esigenza antica e profondamente radicata nelle menti umane, ossia quella di comunicare a più persone, attraverso la musicalità dei versi, il proprio Sé. 6) A proposito della Sua recente pubblicazione poetica, Frammenti di vita. Tra passato, presente e futuro (Il Convivio Editore, Catania 2020), c’è la poesia Il futuro contenente due fatidiche domande, terminando proprio col punto interrogativo. Lei nutre speranza o ha timore del futuro? Il futuro sarà sempre migliore del passato poiché da ciò che è avvenuto possiamo capire gli errori e cambiare le nostre idee, le nostre azioni, migliorando così la qualità dei nostri rapporti e della vita stessa. Il futuro rappresenta la speranza, il cambiamento, le opportunità nuove da saper cogliere. Il futuro è sempre positivo! 7) C’è un’altra Sua intensa vocazione che avrebbe voluto esplicare o che esplicherebbe se dovesse nascere di nuovo? No. Da bambina desideravo avere una famiglia e dei figli, insegnare e scrivere. I miei desideri sono stati esauditi. Naturalmente tutto ciò è il risultato di anni di studio e di impegno, non solo dal punto di vista professionale, ma anche privato. Prendersi cura della famiglia costa molti sacrifici e rinunce, soprattutto per una donna.

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8) Come definirebbe il Suo modo di fare poesia, nel senso che è riconducibile ad una corrente in particolare o nasce istintiva? La mia scrittura nasce in maniera istintiva. Ho iniziato a sentire il bisogno di esprimermi verso i dieci anni, poi ho iniziato a scrivere a quattordici. Ho composto poesie fino ai vent’anni, poi ho ricominciato trenta anni dopo. Dunque da Sensazioni di una fanciulla a Frammenti di vita. Spero di poterlo fare anche in futuro. 9) Lei crede nell’aldilà? Oltre al presente, passato e futuro, crede nella dimensione ultraterrena e in che modo? Credo che esista un Dio che abbracci tutte le religioni del mondo e che noi, esseri umani, siamo corpo e anima e che non possa finire tutto con la morte del corpo. La vita ci è stata donata per crescere e per affrontare l’esistenza nella maniera più giusta ed onesta e nella più completa libertà senza ledere, però, quella altrui. L’al di là non è altro che un luogo, forse in un’altra dimensione, dove potremmo ritrovarci tutti nell’abbraccio universale di Dio. 10) Possiede un motto da ottemperare? Se sì, ce ne parli. Non possiedo motti, ma ho sempre vissuto difendendo la mia libertà: fisica, ideologica e religiosa. Nella libertà le persone possono trovare la condizione migliore per esprimersi e per ritrovare se stessi. Questa mia idea si ricollega all’antropologia che, come disciplina, non giudica mai l’operato altrui, ma lo osserva e cerca di capirne il motivo, riuscendo attraverso lo scambio di conoscenze ad arricchirsi. Isabella Michela Affinito


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DOMENICO DEFELICE DOMENICO ANTONIO TRIPODI PITTORE DELL’ANIMA di Antonio Crecchia

C

ON la complicità della pandemia che sconsiglia di mettere il naso fuori dalla porta di casa, ho concluso la disamina di un libro particolare, curato da Domenico Defelice, incentrato sulla vita e l’attività pittorica di Domenico Antonio Tripodi, figlio d’arte, nativo di Sant’Eufemia d’Aspromonte, “terra di Magna Grecia”, vale a dire terra che possiede ed emana il fascino delle arti musive e della cultura dell’età dell’oro. Anche Defelice è figlio della terra calabra e, quindi, incontrare e scrivere di un amico fraterno di vecchia data è stato un momento di gioia e di arricchimento dello spirito, di per sé già tanto alacre e disposto ad affrontare nuovi percorsi creativi e culturali, anche se l’età gli

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consiglia di prendere in maggiore considerazione la sua salute; a vincere, però, è sempre la volontà di dedicarsi ad altre cure, in particolare a prestare la massima attenzione, e la maggior parte del suo tempo, alla sua creatura “cartacea”: Pomezia Notizie, alle soglie dei cinquant’anni di vita, e da questo inizio d’anno, mensile di varia cultura disponibile esclusivamente “on line” (in linea). Alla pelle di Defelice, però, sono attaccate le muse della poesia, della narrativa, della critica, della pittura... tiranne che non gli danno tregua e anche a ciascuna di esse deve dedicare tempo, impegno e diligenza. La salute può aspettare. Il pittore D. Antonio Tripodi abita a Roma, e Defelice, per intervistarlo, deve faticare non poco a trovare adeguati mezzi di trasporto per raggiungere la capitale. Superate tutte le difficoltà, anche quelle di deambulazione, raggiunge felicemente la casa del famoso corregionale, che è ad attenderlo sulla soglia. “Scambievole caloroso abbraccio”, quindi la rivelazione del mondo umano, culturale e artistico di Tripodi, l’anamnesi di un passato in famiglia, numerosa (Domenico è il sesto di otto figli) nella terra natale, e poi la fuga vero il nord Italia, a diciassette anni; gli studi in scuole superiori d’arte che gli permettono di inserirsi nell’ambito dell’insegnamento superiore; il suo lavoro di apprendistato nell’arte del restauro a fianco “di valenti restauratori e pittori dell’area toscana, veneta e lombarda”; la creazione di una propria scuola di pittura e l’esposizione delle sue opere nelle maggiori città e capitali del mondo. La glorificazione di pittore “sui generis” gli arriva con “Il filosofo senza nome” (1984). Il pittore, alle soglie dei novant’anni, ha una “chioma ancora abbondante – scrive Defelice – bianca, con zone di grigio. Quel che non troviamo cambiato in lui è il sorriso quasi timido e nel contempo ironico; sono la fronte e gli occhi, anche se un po’ affossati, che brillano di pensiero alto, mobili, con guizzi da furetto”. Dalla conversazione, Defelice trae la convinzione che il pensiero di Tripodi “affonda nel classico, la sua cultura stratificata è vasta.


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Le sue vedute, comunque, non collimano tutte con le nostre…” Quanto alle sue pitture “son libri aperti, tomi che narrano di religione, di filosofia, di miti, di vicende diverse; spaziano dalla Storia dell’Arte alla Letteratura, dal classicismo al moderno, perché, sebbene egli lo neghi, le sue pennellate son, per certi aspetti, dirompenti”. Dalle risposte alle dodici domande rivolte da Defelice vengono fornite da Tripodi varie indicazioni e precisazioni sulla sua vita, ricordi, incontri, attività professionale, opere (non soltanto pittoriche, ma anche letterarie, in prosa e in poesia), opinioni, considerazioni personali sul mondo della scuola e dell’arte. Una confessione a cuore aperto, con qualche reticenza a riguardo dell’infanzia e dell’adolescenza, e sul ruolo e influenza della famiglia nel suo “percorso artistico”. La seconda parte del libro riporta una trentina di tele del pittore Aspromontano. Qui di seguito sono riportate alcune mie personali, dilettantistiche considerazioni, vale a dire libere impressioni di chi non è un critico d’arte, ma un semplice “lettore” e osservatore di manifestazioni artistiche. Se per Winckelmann alla base dell’arte classica c’è una “nobile semplicità e quieta grandezza”, Tripodi, uomo moderno, vissuto in un’epoca dove “semplicità” e “quiete” sono concetti arcaici, indicativi di una vita campestre, bucolica, non ha potuto eludere i fragori, i rumori, le agitazioni, le smanie, le frenesie, le follie, del mondo moderno, meccanizzato, industrializzato, velocizzato, complicato e caratterizzato da stravaganze difficili da quantificare e enumerare. Quindi per lui, viaggiatore senza posa nel mondo naturale, sociale, storico, culturale, musicale e artistico, s’imponeva la scelta della “complessità” e del “fermento”, da conciliare con “l’armonia”. L’approccio scientifico alle opere d’arte della tradizione pittorica, lo hanno ammaestrato sul piano della tecnica ma anche suggerito di non adeguarsi sul piano della rappresentazione personale a modelli preesistenti, ma operare quella magia trasfigurativa che ricrea la realtà secondo le

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proprie idealità e capacità rappresentative. Le sue sono opere che si fanno ammirare, che fanno riflettere, perché sicuramente ispirate da una concezione nuova, personale dell’arte raffigurativa della realtà, o di parti di essa, in cui siamo immersi o di cui abbiamo conservato una memoria viva nel tempo. È evidente in D. Tripodi la volontà d’immergere le figure in un alone di mistero: un mistero che ha i colori del cielo e della terra, del sacro e del profano, della natura e dello spirito. Come l’attore professionista, il pittore non si emoziona davanti alla tela in composizione; opera per “produrre” emozioni, attraverso il sapiente uso dei colori, in quel saperli fissare metaforicamente sulla tela, operando sintesi di finito e infinito, di particolare e universale, di soggettivo e oggettivo. Tra i colori che Tripodi mette frequentemente in campo spicca il rosso, il colore del sole, che illumina e riscalda e che, come “la gloria di Colui che tutto move / e per l’universo penetra e risplende / in una parte più e altrove meno” (Dante, Paradiso, I, 1-3) è un richiamo all’ardore dello spirito, creatore di nuove armonie, bellezza e varietà di forme. Ardore, sì, come il fuoco, che abbaglia e s’innalza fiammeggiante nel cielo, e trova la sua suprema collocazione, la sua vita perenne, proprio nella pittura, nella raffigurazione dell’anima oggetto, tra pensiero e materia, tra presente e futuro. Altro colore, indicativo della vita “perenne” che anima la figura pitturale e il blu, richiamo della vita eterna, della verità, dell’infinito trasfuso nel finito. In “Figura antica” (1986) successiva al celebre dipinto “Il filosofo senza nome” (1984), l’austerità, la pensosità del personaggio anonimo, sono come imprigionate dalla gamma dei colori, emanazioni di spiritualità che non si esaurisce nell’interiorità dell’essere ma si irradia intorno come la luce solare in una calda giornata di primavera. Uomo del meridione, conosce i rapporti uomo-natura presenti in ambienti che conservano ancora espressioni di vita campestre, boschiva, fluviale, dove la fauna prospera, ma è anche insidiata dalla mania distruttiva


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dell’uomo moderno, non più custode ma provocatore di guasti e disastri ambientali; non più fecondatore e diffusore di nuove vite, ma minaccia assidua, reiterata, funesta di ogni ecosistema naturale. Il pittore non parla volentieri del lontano periodo vissuto in famiglia, a Sant’Eufemia; di questo conserva “tanti ricordi”, ma “vaghi e sfuggenti”; tra essi non poteva mancare, nel repertorio artistico, la montagna dell’anima, cui oltre a una celebre poesia (L’Aspromonte) tradotta in varie lingue, ha dedicato un dipinto a olio nel 1976 (Piani dell’Aspromonte). In primo piano, una macchia scura di alberi, dietro cui (spero di non sbagliarmi) scorre un ruscello, e da cui prende quota la montagna, brulla, opaca, deserta, come immersa nella foschia dei ricordi. Il corpus pittorico incluso nel bel volume curato da Domenico Defelice, dopo l’intervista, è costituito da 29 tavole, raffiguranti personaggi antichi, uccelli, nature morte, cavalli, un “Paesaggio umbro”, noti ambienti calabresi, quali Scilla la mytique, Torre Marrana, Piani dell’Aspromonte, La rupe e la fortezza di San Leo, Capo Vaticano. La varietà degli uccelli, ritratti in volo o nell’immobilità della morte, sono già sufficienti a darci un segnale della perizia tecnica dell’autore, della sua estrosa fantasia volta a creare forme non stilizzate ma mosse da istinti naturali, dominati da impulsi originati da necessità biologiche o dalla paura, dal dolore o dalla gioia di cantare a gola aperta. Un senso di profonda pietà suscitano gli uccelli morti, raffigurati nella straziante agitazione estrema prima di cedere alla violenza della morte. Non posso concludere senza un cenno alla maestosa figura del “Filosofo senza nome”, il quale, nella sua forma così vistosamente scultorea, richiama alla mente il volto del “Mosè” di Michelangelo e, al pari di quello, suscita emozioni e sensazioni di diletto artistico. La vitalità del “filosofo”, il suo fascino, il suo atteggiamento pensoso, non sono ravvisabili soltanto nei tratti segnici, marcati e eloquenti, ma anche in quell’alternarsi di luci e di ombre,

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simboli di illuminazioni e riflessioni, di certezze e di dubbi che si agitano nella mente del “sapiente” e pare vogliano espandersi intorno, prolungarsi nel seno sconfinato del divenire. In questi tiepidi e luminosi giorni di metà febbraio, grazie a Domenico Defelice e a D. Antonio Tripodi, ho provato il godimento di una doppia luce: una naturale, preludio di nuova primavera, l’altra, improvvisamente accesa con l’apertura del libro di cui si parla, soave e radiosa, profondamente penetrata nell’anima. Antonio Crecchia Termoli, 20 febbraio 2021. Domenico Defelice: Domenico Antonio Tripodi Pittore dell’anima - Gangemi Editore – International Arte – Dicembre 2020

RICORDI Quel giorno ho deciso di fare lavori domestici nel mio cervello gettare a mare ombre di ricordi in pietra nera affinché il fiume dell’oblio se le portasse nell’attimo di sollevare il mio fardello Caronte, vecchio navalestro, guardandomi dritto negli occhi mi ha fatto comprendere che il fiume straripa di ricordi foschi e che io debba andarmene ed a lui congiungermi senza possibilità di ritorno prendo le mie ombre e le mie luci i ricordi che colano nelle mie vene chiamata martellante al cuore della mia vita Irène Clara (Libera versione di Domenico Defelice dall’originale apparso a pag. 25 della rivista Florilège, n° 181, dicembre 2020).


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Considerazioni sulla lettura di

QAYS – VII sec., Traduzione R. La Scaleia1

POETI ARABI DELLA DIASPORA

Qays, poeta che iniziò una vita raminga e girovaga, fu chiamato “il re errante”. Poesia che nasce dai nomadi dei deserti d’Arabia. Steppe e infinite distese desertiche. Con la parola poetica si rievocano paesaggi, lontani eventi scolpiti nel cuore. I versi venivano recitati nelle veglie notturne (samar) attorno al fuoco. Tradizione orale ricca di fascino dove la voce con cadenze ritmiche evocava memorie. Le parole echeggiavano nelle ombre lunghe del deserto con sulla testa un tetto infinito di stelle. Poesia d’amore e di memorie recitata in rime. Linguaggio di una società patriarcale legata ad origini perse in un tempo di sabbie, di lunghe ombre e di luci.

di Anna Vincitorio Ed i miei occhi piangono d’amore Risplendi o Layla, quando ormai è l’ora che all’orizzonte già cala la luna. Sorgi, quando nel ciel tarda l’aurora: la luce e i raggi che il sole aduna. splendono in te ma il sole non ricuce col filo dei tuoi denti il tuo sorriso. Di luna e sole assieme tu hai la luce, essi non hanno gli occhi che ha il tuo viso. […]

LAULAT AL – LAYALI Di notte sulla raggiante Rialto2 vicino alle stelle nelle loro case di vetro, vagavo con l’anima in tasca pregando che quel momento non finisse mai… E quante migliaia e migliaia di volte ho camminato all’ombra di una Layla3 Ma l’estasi e la beatitudine della visione finivano sempre in una frustrazione profonda… Ho desiderato che ogni edificio intorno a noi fosse un cedro, un pioppo, un pino, che gli uomini e le donne fossero statue e la pioggia che cadeva fosse vino, che le luci fossero fuori, eteree e le automobili fossero rifugi nel bosco […] “Oh basta così” esclamò lei e mi diede un bacio: “Questa soffitta e questo letto vanno benissimo”. Ameen Rihani, Traduzione di Francesco Medici

1 La biblioteca di Repubblica – Poesia Araba – n° 17. 2 Area di Broadway a New York.

3 L’amata di Qays – donna bella e irraggiungibile


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Ameen Rihani (1876-1940 – Libano settentrionale). Uno dei poeti della diaspora emigrati negli USA. Si nota il verso libero che permette ampi spazi ma che nulla toglie all’armonia delle parole usate. Contrasto tra le case di vetro contrapposte all’estasi di visioni che acuiscono il rimpianto della terra lontana, dei cedri del libano, di pioggia che cadeva come vino. L’amore per una donna come Layla, il grande amore del poeta Qays. L’amore nei suoi aspetti è dentro e fuori il tempo anche se alla fine della poesia la donna di Rihani ridimensiona il rapporto: Basta con i ricordi e lontana dalle piogge e dalle luci che la fantasia trasfigura, è appagata dall’amplesso in una stanza qualsiasi. Non le interessa guardare le stelle ma il soffitto. Moderna realtà di un rapporto in una società occidentale. Ho messo accanto una poesia araba del VII secolo ad una del primo novecento scritta a New York. È presente la necessità per lo spirito arabo di impegnarsi combattivamente nel campo politico, sociale, essendo consapevole di essere erede di un’antica civiltà che ha dato un fondamentale contributo allo sviluppo storico dell’umanità. Dalla miseria, indigenza, privazione, nasce la letteratura araba in terra straniera. Dietro ogni poeta immigrato (muhagirun), un passato di emarginazione e sfinimenti. Vivere a New York, una megalopoli e, nel cuore, il ricordo struggente e il tormento verso la terra dell’infanzia e giovinezza. Poter sperare in un ritorno. Mikhail Naimy (nativo del Libano – 18891988). È particolarmente provato dalla solitudine che gli procura un amore non completamente appagato dalla sua condizione di esule. Mia solitudine Mia solitudine, lei non saprà mai4 i tuoi cieli senza sole e senza luna. Non attraverserà mai i tuoi deserti senza traccia, né affronterà i tuoi mari senza approdi…

4 Niunia.

Probabilmente una donna chiamata

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Soli eravamo, mia Solitudine, e soli saremo per sempre. Eppure, quale immensità mia solitudine, quale libertà abbiamo conquistato! In lei e per mezzo di lei ci libriamo a toccare l’infinito. Traduzione di Francesco Medici Risaltano, la cadenza dei versi e il ripetersi come un mantra della parola solitudine. Solitudine in una terra diversa ma foriera di libertà. La libertà incondizionata che si conquista con la forza del pensiero, ci libra verso l’infinito. Libertà che però riporterà il poeta in Libano in un eremo a Baskintà. Mikhail Naimy fu soprannominato “Il Vecchio della Montagna”. Elia Abu Madi (1890-1957 – nato in Libano). Molto popolare nella sua terra. Nel 1900 si trasferisce ad Alessandria d’Egitto dove studia e lavora. Nel 1912 viene esiliato dalle autorità ottomane e si trasferisce a New York nel 1916. Mare … Mare sei tu a inviare le nuvole per dissetare la terra e gli alberi. … Ti abbiamo bevuto e abbiamo detto: abbiamo bevuto la pioggia. È vero o è falso? Non so. Mare, ho chiesto alle nuvole se ricordavano le tue spiagge, agli alberi rigogliosi le dolci piogge, e alle perle il luogo in cui nacquero. Insieme li ho uditi dire: non so… Nel tuo seno


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hai raccolto vita e morte. Sei culla o tomba? Non so… Mare custodisco in me molti segreti ricoperti da un velo E io stesso sono il velo. Più mi avvicino e più sono lontano. … Non chiedermi cos’è domani cos’è ieri. Non so. Traduzione di Francesco Medici Poesia originale e innovativa. Abu Madi sa esprimersi con eleganza e saggezza. Parole suggestive, profonde, quasi enigmatiche; rivelano una sensibilità inquieta. Sicuramente il mare è per lui origine e distacco dalla sua terra. Si pone interrogativi ma non li risolve. Di fronte a lui un interlocutore silenzioso: l’immensità dell’acqua che può disperdere ma anche unire in una realtà nuova, incommensurabile e fonte di vita. Lui non fece mai ritorno in Libano. Scrisse esclusivamente in Arabo ed è stato poco tradotto. Molti critici affermano che con la sua opera “I ruscelli” del 1927, nacque la poesia romantica araba. Kahlil Gibran (Libano settentrionale – 18831931) Oggi come ieri Oggi il sole risplende in cielo proprio come ieri e gli uccelli cantano senza sosta nel bosco, ma senza luce è il mio giorno e senza canzoni … Amore, tu che percorri la terra in cerca della vita, posa ancora la tua mano sul mio cuore e digli che non è morto. Traduzione di Francesco Medici Sabbia e spuma

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Per sempre camminerà su queste spiagge, tra la sabbia e la spuma L’alta marea cancellerà le mie orme, e il vento soffierà via la spuma. Ma il mare e la spiaggia resteranno Per sempre Una volta riempii di nebbia la mia mano Poi l’aprii ed ecco, la nebbia era un verme E io chiusi e aprii di nuovo la mia mano e vidi che vi era un uccello E io chiusi e aprii di nuovo la mia mano e vidi che nel cavo stava ritto un uomo con viso mesto, rivolto verso l’alto. E ancora chiusi la mia mano e quando l’aprii vi era solo nebbia Ma udii un canto di straordinaria bellezza. Traduzione di Francesco Medici I versi su riportati sono forti e melanconici; le immagini imbevute di colore. Gibran Kahlil Gibran nacque in Libano a Bisharri nel 1833. A 12 anni emigrò negli Stati Uniti e risiedette a Boston. Tornò in Libano a studiare per poi ritornare in America nel 1902. Non rivide più il suo paese natale. Gravi lutti in famiglia. Profonda la sua formazione culturale: letteratura araba e francese. Legge la Bibbia e il Corano. Nel 1905 il suo primo libro sulla musica “Al Musiqah”. Il suo spirito è profondamente ribelle come appare in “Spiriti ribelli” del 1908. Frequentò a Parigi l’Académie Julien e l’École des Beaux Art affermandosi validamente come pittore. Conosce Rodin che paragonò la sua opera a quella di William Blake per la visionarietà e il senso del colore. Nel 1912, su consiglio dell’amico scrittore Ameen Rihani, affittò uno studio al 51 West 10th street. Lo chiamò Eremo. Intorno al 1916 con un gruppo di scrittori arabi emigrati (muhagirun – i pionieri) dette vita all’arrabitah (il legame della penna), società letteraria che eserciterà una influenza stilistica fondamentale sulla rinascita della letteratura in lingua araba. Tale società ebbe però vita breve. La scuola poetica siro-americana nasce a New York il 28 aprile 1920 quando una decina di scrittori emigrati tra il XIX e il XX secolo si


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riunì nello studio di Gibran per promuovere la rinascita della lingua araba in tutto il suo fascino dopo secoli di stagnazione e sterilità. L’influenza del movimento romantico di New York si diffuse in tutto il mondo arabo inaugurando una nuova era che si allontanava dai rigidi canoni del gusto letterario di Beirut, Damasco e del Cairo. Furono infrante le regole stilistiche e si adottò il genere della poesia in prosa. Naimy indicò in Walt Whitman il modello da seguire perché quello della poesia classica ostacolava la libertà di espressione. Le opere di Abu Madi in Arabo non ebbero rilievo nel Nuovo Continente. Il gruppo, per divergenze interne si sciolse anche perché Gibran aveva assunto posizioni radicali in relazione all’indipendenza della madre patria dal gioco turco. Importante il Congresso Arabo di Parigi del 1813. Gibran non partecipò perché in disaccordo con la maggioranza del gruppo a cui aveva raccontato di essere scampato a diversi attentati da parte turca. Mary Elisabeth Haskell disse: “Per Kahlil la diplomazia non basta […]. Kahlil è per la rivoluzione: la forza militare araba è pronta e non c’è bisogno di alcun piano”. Al Congresso di Parigi andò Rihani iniziando così una importante carriera diplomatica. Gibran iniziò a scrivere in Inglese e “Il Profeta” è del 1923. Riconoscimento e plauso universali e, a cento anni di distanza, è molto popolare e letto in tutto il mondo. Gibran si spense nel 1931 per una cirrosi epatica. Riposa nel suo Libano a Busharri. Mary Haskell, sua mentore e poi moglie, lo ricorda: “…poeta veggente, profeta, ama ed è riamato dalla sua gente. Ma tutto sommato c’è in lui una specie di solitudine”. Al Mustafà, il prescelto, l’amato, alter ego di Gibran, nel “Profeta” si rivolge ai marinai che chiama “cavalieri dei flutti” e dice: “Quanto spesso veleggiaste nei miei sogni, e ora arrivate a questo risveglio che è il mio sogno più profondo. Sono pronto a partire è la mia brama, spiegate le vele, è in attesa del momento… E tu, vasto mare, madre insonne,/

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unica pace e libertà per fiumi e rivi;/ Solo un’altra volta farà questa corrente,/ solo un altro mormorio in questa radura,/ e poi io verrò da te,/ una goccia sconfinata in uno sconfinato oceano”. Per Gibran “L’amore non conosce la propria profondità se non nell’ora della separazione”. La sofferenza al suo acme, vivifica; e l’amore, soltanto lui potrà salvare il mondo. “Quando l’amore vi chiama, seguitelo” ci dice. L’amore va oltre la vita e la morte poiché “la vita e la morte sono unite e indivisibili come lo sono il fiume e il mare”. Il logo realizzato da Gibran attribuito al profeta è: “Dio custodisce tesori sotto il Suo trono, le cui chiavi sono le lingue dei poeti”. Firenze, 28 febbraio 2021 Anna Vincitorio POETI ARABI DELLA DIASPORA - Versi e prose liriche di Kahlil Gibran, Ameen Rihani, Mikhail Naimy, Elia Abu Madi - Traduzione a cura di Francesco Medici, Stilo Editrice – 2015

TEMPO DI MIMOSE Quel giallo intenso di mimosa, cui vecchie canne s’inchinano dall’altra sponda del rio, - rito di mistica riverenzaha, nella luce aurorale del mattino, il largo sorriso di donna al suo incipiente fiorire. Ali di gazze e colombi sfiorano la curva chioma, che pare luce viva a terra deposta da calda vampa di sole, in onore di muliebre figura, cui si dona, per amore, rispetto simpatia o per caldo affetto. Miracolo della natura che si ridesta, in questo clima tetro, scandito da funebre orchestra, che suona il requiem a chi s’addormenta su una coltre d’eterno e più non si desta. Antonio Crecchia Marzo 2021


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DOMENICO DEFELICE E LA PITTURA DI DOMENICO ANTONIO TRIPODI di Gianni Antonio Palumbo il frutto di un felice connubio tra parola e arte figurativa il bel volume Domenico Antonio Tripodi. Pittore dell’anima, opera dello scrittore Domenico Defelice, edita dalla romana Gangemi International, nel 2020. L’opera ripercorre l’itinerario creativo di Domenico Antonio Tripodi, nato a Sant’Eufemia d’Aspromonte da una famiglia di artisti (il padre, Carmelo, era pittore e scultore di valore), per poi approdare, dopo periodi di studio trascorsi in Toscana e in Piemonte, a Milano e coniugare l’attività di pittura e restauro con l’insegnamento presso l’Istituto superiore di Restauro “Aldo Galli” di Como e la partecipazione ad allestimenti di respiro internazionale. A raccontare la sua vicenda, a commentare con acribia le sue opere e a intervistarlo all’interno di una sezione del volume, è lo scrittore Domenico Defelice, giornalista e poeta di lungo corso, direttore del mensile «PomeziaNotizie». Un dialogo tra artisti, insomma, che genera un lavoro di gran pregio, il quale offre al lettore anche la possibilità di ammirare un cospicuo numero di tavole atte a riprodurre alcuni dei più celebri lavori di Tripodi. In copertina lo splendido Filosofo realizzato con tecnica mista nel 1984, inserito nella Storia della Filosofia e delle Religioni (Edizioni

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Paoline – Tutto sapere), quadro di grande suggestione che isola – come spesso avviene nelle opere di Tripodi, rileva Defelice – la testa del pensatore, connotata dalla canonica barba fluente, in continuità con le chiome, e dall’occhio cavo che sembra volgere all’infinito perché scruta in interiore homine. Significativa la presenza di “un tempio dorico appena accennato” e dell’attributo della colomba, ipostasi – come il curatore suggerisce – dell’alata mente umana. Il nostro pensiero corre anche alla memoria biblica dell’annuncio di una nuova era dopo il diluvio. A un momento precedente all’alluvione che ci ha tutti colpiti nel 2020 rinvia la cornice narrativa in cui Defelice innesta il racconto del suo incontro con Tripodi. Una mattina trascorsa a viaggiare su mezzi pubblici, più o meno affollati, istantanea della nostra tanto amata normalità prima dell’arrivo del Covid. Seguiamo un Defelice eccitato come quando giovane ‘andava a quadri’, seppure portato a misurare il divario tra le energie di quella trascorsa stagione e il presente. Tra l’altro già il momento del viaggio diviene occasione per introdurci alla produzione di Tripodi, perché all’autore sembra di intravedere, quasi in un’attuazione della capuaniana Redenzione dei capolavori, personaggi che richiamano i soggetti delle opere dell’artista. Il suo percorso di arrivo alla meta si popola così di volti tripodiani: un sikh indiano e ancora visi di fanciulle che avrebbero benissimo potuto ispirare all’artista la sua raffigurazione di Beatrice. Segue il momento dell’incontro, con bei passaggi quali la descrizione della casa di via Avicenna, rispetto alla quale Defelice annota: “Pittore della luce, non poteva non mirare al cielo anche nella scelta della casa”. La prima impressione che nell’abitazione lo scrittore riporta è l’immagine di Dante che “sale verso l’Empireo”, lavoro di cui Defelice segnala l’estrema luminosità, in perfetta consonanza con l’aura paradisiaca, in cui la luce è somma e indiscussa protagonista. Dopo le notizie sulla famiglia del pittore e sulla sua vita, Defelice ne traccia con pochi, sintetici tratti l’iter creativo, muovendo dalle


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nature morte come quella Mela e uva, in cui – come giustamente rileva il curatore – “il non finito lascia libera la fantasia del fruitore, che ne viene stimolata”. Realismo e dono dell’evocazione trasformano quella che poteva essere pura e semplice fedeltà al dato retinico in una prova suggestiva. Defelice muove poi a ripercorrere l’attenzione di Tripodi verso il mondo animale e, in particolar modo, ornitologico. Lo scandaglio di quella che è stata definita “fase ecologica” è caratterizzato dall’attenzione non solo a “momenti gioiosi” e “giochi d’amore” dei soggetti effigiati, ma anche alle creature che cadono perché vittime dell’uomo, spesso anche solo per passatempo. In tal direzione, valido ci pare l’accostamento che Defelice effettua tra le opere del pittore aspromontino e la poesia di Franco Saccà e Francesco Fiumara, di cui l’autore fornisce anche rapidi specimina, a riprova delle sue argomentazioni. Suggestivo è l’esame, corredato da un’accurata e precisa descrizione, delle opere più celebri di Tripodi, quali Il filosofo e Figura antica, dotata quest’ultima di tratti di similarità con la precedente, nel ricorrere quasi ossessivo di un preciso tipo umano, rappresentato in differenti declinazioni e qui impreziosito da dettagli quali “il volto bluastro” e “il riverbero del copricapo rosso” nelle cromie di sfondo. Molto efficace anche il commento al Manfredi, che ci introduce nell’ultima sezione esaminata, quella dell’omaggio tributato a Dante, costituito da circa 150 opere. Tra queste spicca un Ulisse di cui Defelice coglie lucidamente l’accostamento – forse attraverso la rammemorazione – tra l’immagine dell’uomo “vecchio e carico d’anni”, il viaggiatore dantesco, e il momento, antecedente, dell’incendio di Troia, vissuto, per così dire, da un Odisseo ancora senza odissea. Un Laerziade che non aveva ancora accumulato tanti grumi di dolore nello sventurato e al contempo esaltante itinerario per mare. L’ultima sezione prima delle riproduzioni fotografiche è dedicata all’intervista. Poche, significative domande che aiutano Tripodi a ripercorrere momenti dell’infanzia e della sua

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vita. Bella ci pare, in particolar modo, l’immagine del padre che sembra rimproverare il Cristo di cui sta modellando la forma nella creta, per il pericolo corso da Domenico. L’artista è indotto a parlare anche del suo rapporto con la poesia, che ha coltivato con esiti felici. Non a caso, in nota vengono riportati bei versi di Tripodi, tratti da Aspromonte, in cui rivivono il borgo natio, Sant’Eufemia, l’icona del fiume che “si gonfia e si rabbuia”, i primi anni dell’esistenza e la bellezza struggente di una natura brulicante di vitalità, perché vestita dallo sguardo fanciullo. L’ultima domanda, dedicata a Dante, consente all’artista di individuare, prima dello spartiacque dell’attenzione all’immortale Comedìa, i due poli d’estrinsecazione della sua ricerca, quello umanistico e la cosiddetta “Ecologia”. Un bel lavoro, sorretto dall’eleganza di uno stile limpido, questo di Defelice. Monografia che ci consente di accostarci con interesse all’attività di un pittore di notevole espressività. Le tavole raccontano la poesia di uno sguardo sempre nitido e mai superficiale sul mondo e sull’interiorità delle terrene creature. La memoria dantesca del Convivio (III, 8) ritorna nell’effigie dell’anima, rappresentata dall’artista attraverso due occhi e una bocca che sembrano esprimere smarrimento e che pure si spalancano a contemplare chissà cosa e chissà dove. Forse in direzione di quei cormorani ritratti in molteplici pose, ora in coppie forse pronte a effusioni amorose ora in solitari individui, i cui cromatismi dialogano con lo sfondo, mai meramente naturalistico e sempre essenzializzato allo scopo di isolare gli elementi fondamentali della composizione. A tratti può sembrare che il cielo sia quasi per incendiarsi, come accade nel volo di Rapaci nel cielo dell’Aspromonte. Pochi, significativi tratti in quest’olio del 1989 e non sai dire se quel librarsi in un fuoco celeste sia ansia di libertà o mortifera promessa. A tratti i soggetti sembrano quasi in parte smaterializzarsi nell’atmosfera che li circonda, quasi il mondo potesse inghiottire d’un tratto il canto del gallo cedrone o la morte del pavone, con lo splendido piumaggio ormai rapito


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allo sguardo (vanitas vanitatum et omnia vanitas), sul punto di polverizzarsi nella grigia terra. E poi l’acquerello dell’Allodola che canta in cielo aperto, con la tecnica che suggerisce l’idea degli spazi che si slargano; la memoria corre non solo a Dante, ma anche a Guillaume d’Aquitaine, con la sua struggente dolcezza del tempo novello. È come se l’arte di Tripodi, nel cogliere il movimento, mostrasse anche l’incessante metamorfosarsi delle creature, gli animali come l’uomo. Nei suoi paesaggi senti vivido il senso dell’ atmosfera, come se una bruma avvolgesse tutto. Nelle rappresentazioni di fortezze e torri, poi emerge l’idea heideggeriana di un’arte che si staglia nella natura, mettendo ancora più in evidenza la Terra su cui e da cui essa sorge, in una sorta di suggestiva alchimia visiva. L’opera che però più ci conquista è il Manfredi vittima della guerra. Tutto intorno a lui è polvere, sangue (quel rosso così caro agli sfondi di Tripodi); l’elmo poco discosto dal suo proprietario rivela il cruore che ha deturpato le chiome bionde. Eppure anche nella polvere tale figura conserva una sua ineffabile nobiltà; ti sembra di sentir riecheggiare i versi “biondo era e bello e di gentile aspetto, / ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso” (anche quest’ultimo particolare è reso con efficacia da Tripodi). Un grande decorum vibra nel viso di Manfredi, di cui cogli i lineamenti, laddove ogni cosa intorno pare quasi disfatta. Un’aura che sembra anticipare la maestosa compostezza del personaggio che nel Purgatorio invita l’Alighieri a guardarlo, così, senza fermarsi, domandandogli se lo riconosca, per poi mostrargli le ferite, in una sorta di paradossale cristificazione dello scomunicato. Un’arte, insomma, che coglie con sensibilità la morte del germano reale e quella dello scultoreo figlio del Puer Apuliae, la Natura in devastante Nemesi del canto XXVI dell’Inferno e quella confidente di un canterino lodolesco volo primaverile. Gianni Antonio Palumbo DOMENICO DEFELICE, Domenico Antonio Tripodi. Pittore dell’anima, Gangemi, Roma 2020.

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ERO ODORE SONO PROFUMO Verrò ad amarti e sarà come non ci fosse stato tempo tra noi. Verrò a dirti che non ha mai dormito il mio pensiero per te. Vi è dentro un albero grande con nidi aerati da migliaia di foglie rallegrati da strida di rondini che salgono salgono l’azzurro e poi via di scatto all’indietro a salutare le onde. Verrò ad amarti a dirti: ora non ho né giorni né notti sono completamente svestito: ero odore di terra sono profumo di cielo. Gianni Rescigno Da Il vecchio e le nuvole, BatogiLibri, 2019

DOMANI Vorrei che la parola domani non sparisse giammai dal mio vocabolario che nei dizionari fossero consacrate intere pagine a questa parola che non si possa più pensare né tantomeno pronunciare che non si possa cercare negli annali della lingua ciò che domani voglia dire nella speranza che non si trovi parola desueta che non si usi più Irène Clara Libera versione di Domenico Defelice dall’originale pubblicato a pag. 23 di Florilège, n° 182, marzo 2021)


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Riflessioni sull’antologia

'LA GIOVANE POESIA MARCHIGIANA' DI LORENZO SPURIO di Leonardo Bordin Body poetry come coralità. Mi accingo a scrivere con il corpo A viverlo fuori e dentro Saltando contretemps Fuori rima e tempo. Tra sottili epidermidi E ribollire d'organi interni. Come due opposti In uno spazio aperto. Sillabando il no-me Di cose sconosciute

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Appena scoperte A cui stranamente appartengo. Un gioco che ripete L'infanzia nel senescente Passand o per una strana stazione Dove un treno senza rotaie È fermo, dicono per sempre. Nell'antologia LA GIOVANE POESIA MARCHIGIANA di Lorenzo Spurio incontro cantori come cantautori di poesie senza ritmo, utile da Omero ai Poeti Latini, per la memoria e il racconto orale. Loro, i poeti negli anni 2000, come attori o menestrelli silenziosi, di cui ascoltare la voce interiore, di cui immaginare il corpo, il particolare bioritmo del loro sillabare pa-ro-le che ci pensano. Solo la lingua italiana (ci) connette qualche dialetto (ci) distingue qualche anglicismo (ci) proietta o (li) introietta oltre ipotetici confini. Accomunati da immagini intense in poche parole (questo forse l'attrattore comune): parole che sono immagini o vivide sensazioni, risonanze di eventi avvenuti e che si rinnovano nella particolare condizione evocativa della parola gettando un ponte tra due sentimenti, quello dell'ascoltatore e quello dello scrivente, lo scrivente che si ascolta, solipsistico e duplice. Ecco Ilaria Romiti con “Io ballo... da sola” (da Emozioni a colore, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 2018): la parola cardine di quest'opera è 'emozione', termine che sta ad intendere un universo prismatico e in sé indicibile che coinvolge una persona nella sua dimensione intima, introspettiva, psicologica, capace di produrre un sensibile mutamento attitudinale ed empatico. Colgo dall'antologia La giovane poesia marchigiana (Santelli Editore, Cosenza), a cura del poeta e critico letterario Lorenzo Spurio, prezioso volume che da lui indirettamente mi è stata donato:


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'Ho pensato in parole con voce interiore, trascritte poi e solo a volte in grafemi di suoni, simboli e immagini. Le ho quindi cantate, parlate a viva voce, la mia o di altri; le ho danzate, con il mio o altrui corpo. Anzi no, dapprima le parole erano agite in impulsi, in bassa intensità solcavano il corpo, cercando o creando... Emozioni. Ballando da sola. In ascolto...' (Ilaria Romiti). Ecco ancora l'altra voce, quella di Francesca Innocenzi 'Andria-Corato, 12 luglio 2016' (inedito). Lo scontro tra due treni in Puglia, nell'estate del 2016, la tragedia in una terra rossa, la Puglia: '...Ho lasciato il cuore nella terra rossa tra lamiere e spighe è sbocciato un grumo da frantumare in olio d'autunno e spargere piano sul tuo viso chiaro...' (Francesca Innocenzi, inedito). Sentiamo la ferita provocata dallo scontro tra due treni locali, nella coralità di un démos attonito, di una campagna non indifferente, nel corpo di Francesca, nella sua e nostra ferita: sentire, patire e, forse, rinascere attraverso le parole. Ascoltatore così il riverbero del proprio sentire in brevi versi: una condizione di body art generalizzata alla nostra contemporaneità che accomuna, forse, tutte le poesie senza rime e assonanze particolari di una Regione, la Regione Marche, ma tutto questo potrebbe essere vero per tutte le regioni di una lingua comune a molte realtà differenti. Questa veramente l'unica Regione nel nostro tempo, dentro e fuori ciascuno di noi. Leonardo Bordin Arti della Rappresentazione, Monteviale (Vicenza), 14 marzo 2021

NEVICA Scendono i fiocchi danzando nell'aria

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e sostan a terra in candido manto. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo (IS) -

I SUOI LUOGHI INTIMI Il treno si è fermato improvvisamente davanti a un grande lago. Mi è saltata addosso ora una felicità di sole e d’azzurro che non avevo mai incontrato. L’amore, ecco l’amore i suoi luoghi intimi la sua forza di costruzione. Ecco come spazza via silenzio e morte. Ecco come dalla gioia della sua caverna profonda sono scattati i cieli e la terra e il nostro cuore al di sopra di tutto. Ferruccio Brugnaro

SES LIEUX INTIMES Le train s’est arrêté à l’improvise devant un grand lac. M’est arrivé dessus à présent un bonheur de soleil et d’azur que je n’avais jamais connu. L’amour, voilà l’amour ses lieux intimes sa force de construction. Voilà comment il balaie silence et mort. Voilà comment de la joie de sa caverne profonde ont jailli les cieux et la terre et notre cœur au-dessus de tout. Ferruccio Brugnaro Traduction de Béatrice Gaudy


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LA PITTURA POETICA DI TRIPODI IN UN SAGGIO CRITICO

DI DEFELICE (Il contributo al Settecentenario della morte di DANTE) di Luigi De Rosa

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O ricevuto con vero piacere copia del volume dello scrittore e critico d'arte Domenico Defelice su “Domenico Antonio Tripodi- Pittore dell'anima” (Gangemi Editore International – Roma 2018). Un volume ricco e illustratissimo. Con la sua sensibilità artistica e preparazione critica, ancora una volta Defelice ha colto nel segno. Stavolta ha messo in tutta evidenza i caratteri originali della pittura spiritualista ed ecologista di Domenico Antonio Tripodi, che,

partendo dal natio Aspromonte e dalla Magna Grecia, ha gettato un potente fascio di luce poetica sul mondo artistico di questi tormentati anni.


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Sesto di otto fratelli, cresciuto alla bottega del padre (restauratore, pittore e scultore) Tripodi ha studiato e insegnato pittura in scuole superiori, ha esercitato l' arte e la tecnica del restauro per moltissimi anni (solo a Milano per ben trentasette anni). Come pittore in proprio ha esposto con successo nelle principali capitali del mondo, mentre come restauratore ha ridato la vita a capolavori di firme prestigiose antiche. Ha esplorato con successo sia la forma esteriore che, soprattutto, lo spirito interiore che rende concreta la materia. Specialmente quello

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degli animali. Oltre al mondo umano ha contemplato il mondo della Natura. Ha vinto numerosissimi premi e collezionato riconoscimenti qualificati. L'amore per la letteratura e la poesia gli ha fatto raggiungere vette altissime con la pittura. Il suo autore preferito è il Sommo Poeta Dante Alighieri, di cui ha illustrato la Commedia (Divina, come la definì il Boccaccio già nel Trecento). Gli acquerelli per Dante lo hanno portato per il mondo. Tra le varie mostre e conferenze ha presentato il Poeta anche a Mosca, su iniziativa della Società

Dante Alighieri. Anche per questo Tripodi è in prima linea sul fronte degli onori resi a Dante in questo 2021 che segna il Settecentesimo anniversario della morte di Dante, avvenuta a Ravenna nel 1321. (Non tutti ricordano che il divino Poeta fu distrutto da una banalissima puntura di zanzara anòfele, che gli inoculò la malaria, sulla via del ritorno da una positiva ambasceria presso il Doge di Venezia in favore del Signore di Ravenna...Relatività della “grandezza” dell'Uomo...). Luigi De Rosa


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GIOVANNI PASCOLI AL LICEO “E. DUNI” DI MATERA di Leonardo Selvaggi I IOVANNI Pascoli arriva a Matera, professore reggente di latino e greco del Regio Liceo “E. Duni”, dopo un viaggio disagiato, lungo estenuante, quasi un’avventura. È il 7 ottobre 1882 a mezzanotte con una pioggia a dirotto. Rimane fino al mattino, sfinito stanco, seduto sulla valigia, al riparo sotto il voltoncino di due case. Difficile trovare alloggio a quell’ora in una cittadina isolata, agricola, in tempi arretrati. Sin dall’inizio della sua carriera il Pascoli ha saputo portare nell’insegnamento liceale modestia e amabilità, intrinsicità di partecipazione, mettendo nelle lezioni tanto alimento, improntato ai sentimenti, alla fede scristiana, sempre l’impulso della generosità e della dedizione, fondamenta di una ricca personalità e di una vera cultura umanistica. L’umiltà del Pascoli, il suo umanitarismo, l’invito alla fratellanza fra le classi, l’attenzione al proletariato. Le “Miricae”, “I canti di Castelvecchio”. Il suo rapporto di immediatezza con il mondo, la sua poesia che adempie il compito di darci una rappresentazione intuitiva del mistero cosmico. Lo spirito di comunione fraterna con i più deboli. Le poesie “La piccozza”, “La voce”. La vita piena di amarezze, priva di conforti, una solitudine che invade i giorni, desolazione, in uno stato di continua lotta, di ascesa, senza un segno di croce, senza una protezione per tutte le vie accidentate.

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II La poesia è consolazione della nostra pochezza umana, non ci fa preoccupare dei desideri inappagabili di una felicità troppo orgogliosa e transitoria. Le tristezze familiari gli hanno rotto il cuore; gli occhi dei “trogloditi” di Matera, lucidi, fissi di fronte lo raddolciscono e mettono pace nelle sue angustie. Da Massa nel 1885 scrive che aveva vissuto per due anni confortato dagli alunni amorevoli e buoni del “Duni”, come piccoli passeri implumi, nelle loro genuinità i visi candidi, un alone di purezza attorno. La voce fine e gentile del Pascoli, entusiasta e dimessa. Orgoglioso dà tutto se stesso nel biennio trascorso in un Liceo fra i più antichi d’Italia come il “Galvani” di Bologna. In una terra diversa, con gente patita trova se stesso. Fa sentire gli umori, le asprezze e le ansie, la forza e le virtù antiche che risaltano dai versi incisi e fermi nella musicalità e nei ritmi metrici, la saggezza che è nelle espressioni pacate e lunghe, piene di echi lontani. Il poeta diffonde l’erompente, solare sua poesia nostalgica, dolce, idilliaca; mostra, leggendo i passi di Omero, di Aristofone, di Platone, la loro vitalità. Le verità storiche in piena evidenziazione davanti agli occhi attoniti degli scolari di Matera, i personaggi come rappresentati. Il “Duni”, istituzione scolastica e rinomata di allora, quasi un’antica Università, in una regione immersa nella solitudine senza confini. Matera pare di appartenere alle civiltà del passato, vecchia di secoli, un monumento storico in terre desertiche, rosa all’intemperie. III L’arrivo del Pascoli costituisce un fatto straordinario, comparso come una meteora nelle vaste zone del Sud, ove Matera è un punto inavvertibile. Sembra non credibile che il grande poeta della Romagna sia arrivato in Basilicata, piombato quasi dall’alto, è impossibile un viaggio per via terra. Le distanze da altri centri sono incommensurabili, le vie di comunicazione sono appena segnate. Qualcuno solo sa che Matera esiste, ma misterioso si fa il luogo dove si trovi. Le passeggiate del


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Pascoli solitario, preso dalla sua poesia, intorno al castello Tramontano, per i Sassi, lungo la Gravina. Matera ricca di tradizioni, fra le più antiche città d’Italia: le donne caratteristiche alle fontane, riempiono le brocche con grazia greca. Il senso del chiuso e del silenzio grava nelle menti. Un’infinità di case bianche di calce, brulicanti al sole, vestite di tufo giallo. Il gioco delle nuvole che si muovono basse e si frantumano attraversate dalla luce, facendo una varietà di sfumature. All’imbrunire le case dure appoggiate alla roccia: i campi nel vicino orizzonte, argillosi, secchi, si vedono i corvi roteare da lontane altezze, puntando in basso, fissi sulla preda della loro voracità. Giovanni Pascoli ammira l’autenticità della fisionomia di una terra che affascina. Luoghi di malaria e desolati con la presenza di figure umane sofferte, ma orgogliose e temprate. IV Giovanni Pascoli a Matera, giovinetto ventitreenne, dagli occhi vivaci e nel contempo pieni di malinconia, dai piccoli baffetti, dai capelli corti divisi in riga sulla fronte, smagrito per le privazioni, ma più per un vecchio dolore di famiglia. Comincia la sua carriera in un lontano liceo di provincia, in una città quasi sconosciuta. I motivi che lo hanno portato a Matera sono vari. Le simpatie e le ingenuità, le idee anarchico-socialiste, gli studi che continua dopo la vicenda del carcere, l’amicizia del Carducci, la laurea in letteratura greca con una tesi sulla metrica di Alceo. Dall’82 all’ ’84 in una città avvolta in oscuri ricordi di brigantaggio, in una terra in lontananze allora poco concepibili. In una lettera alle sorelle parla del

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viaggio disastroso, per vie selvagge, attraverso luoghi intravisti di notte paurosamente belli. A distanza di anni il ricordo si mantiene ancora vivo, con tanta nostalgia. Parla di foreste intricate al lume della luna, cullato nella carrozza dalle monotone e dolci canzoni del postiglione. Realtà e poesia sempre presenti nell’anima e negli occhi del poeta. Di quelle impressioni di viaggio troviamo riferimenti in diverse descrizioni di carrettieri nelle Miricae. Lontano dalla sua casa è preso da tanta malinconia, in una delle lettere inviate a S. Mauro riferisce la descrizione che il Carducci fa di Matera, si parla di grumo, villaggio puzzolente, fangoso. Solo orgoglio e astio per le terre meridionali, arretrate è vero, ma con gente buona, dolce e ospitale, piena di entusiasmo, perseverante nelle fatiche. Carducci non aveva mai visto Matera, aveva dei pregiudizi soltanto, la definisce ancora con disgusto città merdosa e patria dello Stigliani. Pascoli che l’ha conosciuta, ha mantenuto memoria per tutta la vita, tramite l’amicizia con il più geniale scolaro avuto fra i banchi del “Duni”, Nicola Festa, divenuto ellenista fra i più famosi. Il Pascoli ha espressioni gentili e dice spesso che Matera è una città abbastanza bella, sebbene un po’ lercia. Lo incantano i contadini, i loro scarponi grossi e senza tacco, le giacche corte, in testa un berrettino di cotone bianco e sopra di questo un cappello tondo. V Un altro pascoliano, Giuseppe Lipparini, docente pure al liceo “Duni”, in prima nomina attorno al ’94, è affascinato dalle bellezze dei Sassi, caveoso e barisano, due immensi anfiteatri, due enormi catini intorno ai quali, una sopra l’altra, come gradini di un circo ciclopico, si aggruppano le case. Un panorama immenso di finestre, di vicoli e scale contemplato con un senso di meraviglia dalla piazzetta davanti alla bella cattedrale normanna e anche dalle finestre del Liceo. Testimonianze del soggiorno materano del Poeta di San Mauro ne abbiamo diverse. Da scolari e da presidi, fra quanti ricordiamo Ernesto Pranzetti che ha dettato nel 1912 le parole


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della lapide che ricorda l’insegnamento del Pascoli al “Duni”: “In questo ateneo insegnò per la prima volta nell’ottobre 1882 Giovanni Pascoli, l’umanista dell’età moderna, il poeta buono che raccolse in una sola armonia le voci più tenui della natura e dell’umanità. Il Municipio, i maestri, gli alunni per eterno ricordo. Giugno MXMXII”. Il Pascoli comprende la miseria, le privazioni, le virtù la laboriosità ostinata dei Lucani. Sparsi per gli assolati campi i contadini, non sentono dolori alle ossa spossate, la pelle dura coriacea, le vene sembrano cordoni. Gli sforzi sono continui al caldo e al freddo: lavori che non finiscono, operazioni che si ripetono meccaniche come attorno a un perno che fa girare da mattina a sera fra i solchi sgretolati e nelle piccole, misere, annerite, oscure officine. Il Pascoli questi operai, contadini e artigiani li guarda in faccia, li ascolta e li ammira per la loro serenità e l’aspetto cordiale il giorno di festa, nella piazza centrale, mentre parlano e discutono. Si mangia pane asciutto molte volte, senza niente che possa insaporirlo e farlo morbido al palato. VI La sensibilità del Pascoli ha capacità sottile di compenetrarsi con le umili persone di Matera, rimasta negli anni come immersa in una nebbia di lontananze, sepolta da lunghe dimenticanze. Si sa bene che dalle magrezze si tira fuori il meglio che si può. Come per un sortilegio o per un naturale processo, dalle tristi situazioni di vita, dalle ristrettezze, dagli stati di oppressione sempre si è tenuto risollevato lo spirito dell’uomo, si sono alimentate volontà e perseveranze. Delle città dove è stato, Matera è quella che gli ha sorriso di più, quella che ha ricordato negli anni sempre attraverso un velo di poesia e di malinconia. Durante il biennio il Poeta ha una vita ritirata, poca possibilità di dedicarsi alle ricerche per mancanza di libri, sempre il conforto della poesia, anche se non si è mai manifestata appieno, nostalgia per il suo dolce nido. Pochi soldi, tanta parsimonia, vita semplice, quasi misera, quella che continuerà ad avere in seguito. Al liceo “Duni” il

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suo insegnamento ha un carattere didattico che si terrà accentuato all’Università, quello di leggere e tradurre i classici con immediatezza, senza appunti e notazioni: il commento di getto, vivo, fatto con passionalità e trasporto di tutto se stesso. Ottimi gli apprezzamenti avuti dal Carducci e dal Vitelli, ordinario fiorentino, per il suo ingegno mostrato nella conoscenza e nell’esercizio pratico delle lettere classiche e italiane. Disdegnava gli schemi storiografici senza una contemporanea vicinanza agli autori. Si preoccupa di far vivere le memorie antiche, soffocate sotto le espressioni moderne, di curare il gusto della bellezza e l’abitudine del ragionare. Il Pascoli, come invasato, parla di Saffo, di Alceo, di Catullo. Le lezioni su Properzio tutte espresse con l’impeto della sua interiorità sofferta. Sentimentalità, fine raffinatezza, dottrina ed erudizione, studio e affetti – necessità di vita vanno insieme, contemplazioni, moti sinceri dell’animo in mezzo ai contrasti fra realtà e le aspirazioni ideali. VII La lettura con gli esercizi di metrica e i moti dell’intuizione intesa a far capire gli autori. Tutta una dedizione, tanta esperienza didattica. Grande senso delle lingue antiche, di gusto e di eleganza e nel contempo concretezza. Scuola di altri tempi, insegnamento con applicazione continua. Gli scolari di Matera sono stati i migliori, per carattere e bontà d’animo. Dal liceo di Massa e poi dal liceo di Livorno, in diverse corrispondenze li rimpiange per il loro affetto, la semplicità e gli slanci di ammirazione. Con la sua umanità, la profondità di sentire già in quegli anni di insegnamento riscontra poca motivazione di studi, in molti assenza di interiorità riflessiva: vuole gli scolari dotati di originalità e di iniziativa. Matera, amata dal Pascoli per quel senso di primitività diffusa nell’ambiente intorno, che si è mantenuta in una certa integrità anche nel tempo in cui lo scrivente era alla sua frequenza del “Duni”. Presente una particolare filosofia della vita e una interiorizzata sentimentalità come attaccamento geloso alle persone e alle cose. Ampiamente forti i legami fra gli abitanti e la


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propria terra, sentite le virtù della temperanza e della saggezza. L’antico liceo “Duni” ha conservato l’atmosfera austera con il ricordo dell’insegnamento di Giovanni Pascoli, emana dalla sua artistica facciata un’aria di aristocraticità e di imponenza monumentale. In questa grande, storica istituzione che risale al 1864 altri docenti, apprezzati per esperienza didattica e cultura. Oltre Giuseppe Lipparini, già ricordato, Arcangelo Ghisleri, il filosofo gentiliano Vito Fazio Allmayer, Paolo Orano, direttore del “Popolo d’Italia”, Giuseppe Piergili, Alessandro Veniero, Giuseppe Tarozzi, Francesco Notaro. Come Nicola Festa, sempre legato da affetto al Pascoli, hanno frequentato il Liceo Eustachio Paolo Lamanna, Giuseppe De Robertis. Il Liceo “Duni” è lì in un’aureola di glorioso tempo passato, si innalza la sua struttura come spiritualizzata. L’ombra del Pascoli si muove dentro, illuminata da ardore umanistico, in alta espressività intellettiva, come luce che si estende e permane duratura, fatta di sintesi, di circolarità, di simbiosi, di profondità, di amore-passione fremente per la poesia e la cultura classica, sorgenti di vitalità indistruttibili contro le adulterazioni, le strutture massificatrici, le alienazioni moderne. La voce del Poeta in tutta la sua elevatezza e intensità, sempre espressione di trionfo di un sapere integrato, maturo, vivificato da slanci di una personalità tutta immersa in spirituali meditazioni, in piena evoluzione, verso alte mete, conquistatrici di spazi e di idealità. Leonardo Selvaggi

TEMPI DI CORONAVIRUS Un vento nero in questi giorni smuove e gela le foglie. Le piante tremano forte. Il profitto alza la posta il telelavoro che bella sorpresa! il lavoro senza nessuno

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attorno. Le banche sono pronte. Le forze di opposizione sono morte. Un altro barbaro tempo è alle porte. Tronchiamo questa tragica corsa nel vuoto. Mettiamo al risparmio i bambini. Accendiamo il lume della fraternità e dell’amore universale. Ferruccio Brugnaro Maggio 2020

TEMPS DU CORONAVIRUS Un vent noir ces jours-ci meut et gèle les feuilles. Les plantes tremblent fortement. Le profit accroît l’enjeu le télétravail quelle belle surprise ! le travail sans personne autour. Les banques sont prêtes. Les forces d’opposition sont mortes. Un autre temps barbare est à nos portes. Arrêtons cette tragique course dans le vide. Mettons à l’abri les enfants. Allumons la lumière de la fraternité et de l’amour universel. Ferruccio Brugnaro traduction de Béatrice Gaudy


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“UNA VERA ARTE” (Matteo Collura) - 13 -

DEDICHE a cura di Domenico Defelice “Dono a Domenico Defelice/con la stessa passione/in riscontro culturale e letterario/e perché (parole non chiare)/la civiltà artistica e poetica/con amicizia e stima/Pasquale Montalto/Rende 29/5/’17” (suo volume: Siamo Uomini Innamorati della Bellezza e che dialogano in Amicizia, Apollo Edizioni, 2017). *** “Torino, Natale 2016/Allo stimatissimo Amico/Domenico Defelice, con/affetto e lunga riconoscenza/Marina Caracciolo/Auguroni!!” (suo volume: Oltre i respiri del tempo L’universo poetico di Ines Betta Montanelli, BastogiLibri, 2016). *** “Luglio 2017/Al prof. Domenico Defelice/Vola un pezzetto della mia/anima nelle sue mani/sicura di essere accolta/con calore./Con tutta la mia stima e/istintivo affetto/Luciana” (volume: Luciana Vasile Danzadelse’, Prospettiva editrice, 2012). *** “A Domenico De Felice/uno scrittore, un uomo di/cultura che dà valore all’arte/ed alla poesia in particolare./Nicola Lo Bianco/PA/giugno ‘17” (suo volume: In città al tramonto, BastogiLibri). ***

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“Ad Isabella Michela Affinito,/con il cuore./Antonio Vanni” (suo volume: Plasmodio, Edizioni EVA, 2017). *** “A Domenico/per le nostre/”stanze inquiete”/con sincero affetto/e profonda stima/Lucianna/Roma 8/10/2017” (Lucianna Argentino: Le stanze inquiete, La vita felice, 2016). *** “A Domenico/tempo, terra e poesia…/con stima/Aurora” (Aurora De Luca: Resta mio, Il Convivio Editore, 2017). *** “Torino, ottobre 2017/A Domenico Defelice,/con stima profonda,/affetto, e cordialità/Marina” (Marina Caracciolo: Otto saggi brevi, Genesi Editrice, 2017). *** “A Domenico De Felice,/con grande stima/Alessandro Cipparrone/Cs, 15/12 /2017” (suo volume: Betocchi il vetturale di Cosenza e i poeti calabresi, Edizioni Orizzonti Meridionali, 2015). *** “Per/Domenico Defelice/con affettuosa/stima ed/imperitura/amicizia/Angelo Manitta” (suo volume: La chioma di Berenice/Berenikini žametni lasjè, Il Convivio Editore, 2017). *** “A Domenico,/con segno di sincera stima/da parte di un fraterno Amico/di Antonio Piromalli e di Carmine Chiodo!/Giuseppe De Marco” (suo volume: Il sorriso di Palinuro Il visibile parlare nell’invisibile viaggiare di Ungaretti, Edizioni Studium, 2010). *** “Al Direttore/stimatissimo/Domenico Defelice/con grande amicizia/da Isabella Michela/Affinito” (suo volume: Insolite composizioni, volume VIII, Cenacolo Accademico Europeo Poeti nella Società, 2015). *** “All’illustre Direttore/Saggista Poeta/Domenico Defelice,/rinnovando la mia/amicizia e/stima/Isabella Michela Affinito” (suo volume: Il mistero Dickinson, Carta e Panna, 2015).


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*** “23 - 2 - 2018/Al Gentilissimo Direttore/Domenico Defelice, con/infinita ammirazione ed amicizia sincera da/Isabella Michela/Affinito” (suo volume: Insolite composizioni, 12° volume, Ed. Poeti nella Società, 2017). *** “A Mimmo De Felice/queste pagine su una/vicenda importante della/nostra storia con stima/ed amicizia affso/Natino/Aloi/lì 28/12/2013” (Fortunato Aloi: “Neutralismo” cattolico e socialista di fronte all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale”, Luigi Pellegrini Editore, 2007). *** “Gennaio 2010/All’Illmo/giornalista - scrittore/Domenico Defelice/dono/queste pagine/con sentimenti/di immensa stima/Pina Basile” (suo volume: Saint François de Paule et son époque, L’Harmattan, Paris, 2009). *** “A Domenico Defelice/con l’affetto di sempre/Giovanni Dino/25 - 02 - 2018” (suo volumetto: Nessuno va via, Pagine lepine 2017). *** “per sentire i pensieri/e non perdere l’identità/il segreto è il silenzio/Elena” (Elena Galbusera: Come un’ombra piena di luce, Edizioni Riva, 2015). *** “12 - 3 - 2018/Al Carissimo Direttore Poeta Scrittore/Domenico Defelice, con/gratitudine e stima amici da sempre!/Isabella Michela Affinito” (suo volume: Mi interrogarono le muse…, BastogiLibri, 2018). *** “Alla poetessa e critica letteraria/Isabella Michela Affinito/con profonda stima/Pietro Nigro” (suo volume: I Preludi, vol. V, Il Convivio Editore, 2017). *** “Al prof. Domenico/De Felice, giornalista/di valore e qualificato/uomo di cultura,/queste pagine sui valori/dello Stato con sincera/amicizia affso/Fortunato Aloi/lì 25/3/2018” (suo volume: Per lo Stato contro la criminalità, Luigi Pellegrini Editore, 2017). ***

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“Aprile 2018/A Domenico,/parole in volo…/Con stima e affetto/Luciana Vasile” (suo volume: Libertà attraverso Eros Filìa Agape, Edizioni Progetto Cultura, 2018). *** “Firenze, 17 maggio 2018/Per Domenico Defelice/amico sincero e/in perfetta sintonia/d’idee./Con affettuosa stima/Anna Vincitorio” (suo volume: Per vivere ancora, Guida Ed., 2012). *** “Lieta lettura…/con gratitudine./FRM” (Francesca Romana Mancino: La filosofia delle Rondini eleganti, UniversItalia, 2018). *** “Al Direttore illustre/Domenico Defelice/con amicizia e stima/da Isabella Michela/Affinito” (suo volume: Viaggio interiore, Edizioni EVA, 2015). *** “Al prof. Domenico De Felice,/con alta stima,/Ada De Judicibus Lisena” (suo volume: Omaggio a Molfetta nel centenario dell’Università Popolare Molfettese, Edizioni La Nuova Mezzina, 2017). *** “Ottobre 2019/Al Gentilissimo Direttore/Domenico Defelice, con/tanta amicizia alimentata dalla/scrittura e dall’Arte!/Isabella Michela/Affinito” (suo volume: Luoghi Personali e Impersonali, Brignoli Edizioni, 2018). *** “Termoli, 25.11.2019/A Domenico Defelice,/Poeta e Scrittore/seguito e ammirato,/questi versi conditi/con il sole della mia terra,/il Molise,/al quale è intimamente,/come me, legato./Antonio Crecchia” (suo volume: Costellazione di Versi, Edizioni Cronache Italiane, 2019).

Invitiamo lettori e collaboratori a inviarci le dediche, indicando con chiarezza, però, nome e cognome degli autori, titoli dei libri sui quali sono state vergate, casa editrice e anno di pubblicazione. Grazie!


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Recensioni DOMENICO DEFELICE DOMENICO ANTONIO TRIPODI – Pittore dell’anima Gangemi Editore S.p.A. di Roma, Anno 2020, pagg. 96, € 20,00. Reporter per un giorno nella casa al settimo piano dell’artista internazionale, suo conterraneo, Domenico Antonio Tripodi, a Roma nel gennaio 2018, il direttore del mensile online “Pomezia-Notizie”,

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poeta saggista, esperto d’arte e collaboratore di moltissime testate, Domenico Defelice ha realizzato un prestigioso saggio attorno all’uomo e al pittore poeta musico maestro-restauratore Tripodi, suo amico di vecchia data. Esperto d’arte perché Domenico Defelice, in precedenza, ha pubblicato saggi di questo genere: sui mosaici vitrei di Michele Frenna del 2001, sulla pittura di Eleuterio Gazzetti del 1980, su Saverio Scutellà del 1988, su L’arte raffinata di Giuseppe Mallai del 2004, su …La pittura emotiva di Ottavio Carboni del 2009, tanto per citarne alcuni. Era suo costume, di Defelice, all’inizio del suo tragitto di giornalista e uomo di cultura dalle ampie vedute, specie nei weekends, interessarsi alle mostre, alle opere pittoriche di personaggi più o meno conosciuti, quasi una sorta di ‘pellegrinaggio’ sul territorio variegato dell’Arte affrontando con bonarietà i relativi sacrifici. «[…] In gioventù, quando andavamo a quadri, avevamo ancora ciglia e capelli neri, peso appena sopra i 50 chili, occhi intensi e mutevoli secondo giornata e stagione. Nessuno a darci consigli e, a volte, neppure si tornava alla pensione; abbiamo dormito tra quadri e aspri odori di oli ed acqua ragia; più di una notte, d’estate, sul prato o sotto qualche pino di Villa Borghese, sempre in compagnia di chi, come noi, non aveva legami.» (Pagg. 9-10). Passati molti decenni da allora, il culto verso tale disciplina per il saggista Defelice è tuttora vivido, tuttora egli con fare da bohémien s’è lanciato a capofitta nell’impresa di redigere la pregevole trattazione, raccontando del suddetto multiforme artista dallo stile abbracciante moltissime correnti del passato – macchiaiolo, impressionista, con qualcosa del giapponismo dell’Ottocento, ritrattista anche d’animali come lo fu il pittore e grafico del rinascimento teutonico Albrecht Dürer, delle atmosfere suggestive alla William Turner, dei paesaggi di Paul Cézanne, con tracce del cubismo di Picasso soprattutto nella china Il pensiero comunicante – anche perché diverse sono le tecniche pittoriche da lui utilizzate negli anni. Nell’odierno, Domenico Antonio Tripodi risulta di gran lunga affermato in Italia e all’estero, e di recente «[…] su invito della Società “Dante Alighieri” e dell’Istituto di Cultura di Mosca, Tripodi ha esposto le sue opere dantesche nella Biblioteca Centrale della metropoli russa, con presentazione del critico internazionale Valery Prostakov e del critico Giorgio Tellan di Roma (Accademia Tiberina).» (Pag. 94). Avendo Egli ricevuto già in seno alla sua famiglia una formazione artistica su più fronti, restauratore scultore pittore e intenditore di musica grazie a suo padre, che fu anche notevole fotografo immortalando scene urbane locali dopo il terribile terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, Carmelo


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Tripodi (1874-1950), in un paese sull’Aspromonte calabrese, Sant’Eufemia, il giovane Domenico Antonio s’è lasciato trasportare docilmente come robusta zattera sulle dolci acque dell’Arte, nemmeno lui poteva immaginare dove sarebbe approdato col suo cospicuo retaggio interiore. Sua seconda terra, d’adozione, è stata la Toscana, dove si recò prima ancora della maggiore età e dove cominciò a porre attenzione al mondo faunistico, quasi alla maniera del grande Leonardo, nato a Vinci in provincia di Firenze, coi suoi studi, tra gli infiniti suoi interessi, sugli animali, le loro pose, ai cavalli agli uccelli, da cui scaturì il famoso Codice sul volo degli uccelli e altri suoi manoscritti che solitamente scriveva da destra verso sinistra, per conservare in forma criptata le sue scoperte. Se da una parte la Natura tanto ha affascinato il Nostro, dall’altra, man mano che diventava più adulto, Domenico Tripodi ha iniziato anche a comporre versi e di conseguenza è stato permeato dello spirito letterario albergante nel ricordo dei personaggi di risalto del passato, anche molto antichi come l’Ulisse di Omero e la figura emblematica del pensatore della Grecia classica: il filosofo, la cui omonima opera artistica ha fatto la differenza su tutta la produzione tripodiana, segnando la svolta. Lo stesso Leonardo da Vinci diceva che la pittura è filosofia e quindi scienza, per cui vagare tra un campo e l’altro diviene spontaneo per un artista che vuole sentirsi completo. È anche vero che Tripodi raggiunse il Nord-Italia con lavori sempre più professionali come «[…] la cattedra all’Istituto Superiore del Restauro, con sede a Como, e parallelamente produce opere pittoriche dalle pennellate sempre più leggere e fluttuanti. È qui, negli anni novanta, a Milano, nei pressi del teatro La Scala, che espone con successo il suo lavoro più celebre, poi conosciuto in tutto il mondo, quello che gli darà fama. Si tratta de Il Filosofo, che viene riprodotto sul quotidiano Avvenire e richiesto dalle Edizioni San Paolo; si grida al miracolo, all’incontro inaspettato quanto necessario, del quale si aveva bisogno. L’immagine verrà poi inserita in un volume dell’Enciclopedia sull’Arte. L’opera è del 1984. È un filosofo bonario, fermo nei suoi principi, ma disposto al dialogo, conciliante.» (Pagg. 21-22). La stessa immagine apologetica, che è stata degnamente posta a colori in prima di copertina del saggio di Defelice, ha un nesso col grande filosofo, che non lasciò nulla di scritto, Socrate, morto per aver bevuto cicuta quale condanna inflittagli ingiustamente tanto da divenire il simbolo della Filosofia, anche grazie al celebre ultimo discorso in sua difesa, da lui stesso ideato ed espresso, prima della morte.

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Da qui al mondo dantesco il passo compiuto dall’artista Tripodi è stato breve, nel senso che, passando per l’Odissea omerica, Egli, risucchiato dal vortice del paradigma Classico, ha voluto interpretare artisticamente anche l’Ulisse dantesco, l’uomo dall’indole inarrestabile che non poteva accontentarsi d’invecchiare nella sua Itaca, bensì riprendere indomito il mare stavolta verso le mitiche Colonne d’Ercole, ritenute confine ultimo del mondo antico conosciuto, per sapere cosa ci fosse al di là di esse. «[…] L’Ulisse tripodiano è vecchio, pur essendo rappresentato mentre assiste all’incendio di Troia. Allora, l’eroe omerico doveva essere giovane e gagliardo, non avere testa e volto di tanti Baldassarre o San Giuseppe che, nei secoli, l’arte ci ha forniti. L’Ulisse effigiato da Tripodi è quello dantesco, ormai vecchio e carico d’anni, ma sempre e ancora voglioso, assetato di conoscenza. Nel volto di questo Ulisse, insomma, Tripodi ha fuso i due momenti di questo universale personaggio: quello raccontato dal cieco vate e quello creato, intuito, dal genio di Dante.» (Pag. 25). Ma c’è stato anche il personaggio di Minosse, posto da Dante nell’Inferno, reinterpretato a modo suo da Tripodi, artista diremmo collocatosi alla pari di coloro che in passato si sono cimentati nell’illustrazione della Divina Commedia di Dante, a cominciare dal pittore toscano Sandro Botticelli, dall’autodidatta incisore francese Gustave Doré, il pittore e critico d’arte inglese Henry Füssli, il pittore spagnolo Salvador Dalí, il pittore incisore milanese contemporaneo Aligi Sassu ed altri ancora. Dopo un’intervista di dodici domande formulate sempre dal giornalista Defelice, chiude la dissertazione un repertorio vasto di fedeli riproduzioni a colori delle opere forse più veicolate nel mondo di Domenico Antonio Tripodi, tra olio tempera acquerello carboncino e pastello, sottolineando che le pagine pari riportano in basso a lato ognuna la firma dell’artista, insieme al sottotitolo del presente saggio defeliciano nella sezione fotografica a colori con un ventaglio di esemplari artistici, quale marchio inoppugnabile della riconosciuta notorietà mondiale tripodiana. Isabella Michela Affinito

DOMENICO DEFELICE DOMENICO ANTONIO TRIPODI PITTORE DELL’ANIMA Gangemi Editore International Arte, 2020, Pagg. 96, € 20,00 Un libro firmato Domenico Defelice, dal fascino singolare: da una parte la scrittura del noto personag-


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gio, fondatore del mensile Pomezia Notizie, dall’altra, le opere di uno straordinario autore, Domenico Antonio Tripodi, definito fin dalla copertina “Pittore dell’anima”. La competenza critica del Defelice è nota a tutti, essendo egli stesso un pregevole artista e direi che, particolarmente in questo viaggio lungo l’arte visiva del Tripodi, ci sorprende piacevolmente. Si confrontano, nelle pagine, due suggestioni: capacità espressiva nella competenza e straordinario estro artistico. Perfetto il titolo dato al volume, racchiudendo in sé proprio ciò che il Defelice desidera raggiungere e mettere in luce: la presenza dell’anima dell’Autore nelle opere, con i suoi sentimenti e i motivi ispiratori. L’Autore, nel trattare le opere del Tripodi, dà inizio alla scrittura sottolineando particolarmente il connubio di sensibilità esistente tra la specie umana e quella animale e, in particolare, nella prima fase, tra uomini e uccelli. Questi lavori testimoniano, a suo avviso, momenti di preparazione e di crescita, che porteranno l’Artista alle successive opere, di altissimo livello. Per rafforzare il suo pensiero su tale accordo, il Defelice richiama alcuni poeti, tra i quali Saccà e Fiumara, e riporta qualche loro pensiero, che trascriviamo: “La ragazza che nel mattino canta/è così estasiata che la sua gola/palpita come gli uccelli”;

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“Le ragazze di Saccà, nel fulgore primaverile, rincasano felicemente ciarlando ‘come uccelli”. Ci rivela il Defelice che, vivendo in Umbria, “Saccà è tutt’intero poeta ecologico”, come l’artista Tripodi, a suo tempo, in Toscana: entrambi nutriti dalle bellezze dei loro luoghi. Anche Fiumara presta agli uccelli voci e sentimenti propri dell’uomo: “La civetta si adira/disperata”. Su entrambi, l’Esegeta si sofferma spesso, per sottolineare la varietà di quelle emozioni che saranno fonti di capolavori. Per comprendere davvero le opere d’arte, egli esorta, non basta osservare il lavoro fugacemente, passando oltre, appagato dalla visione, ma bisogna ritornarci più volte nel tempo. Né bisogna trascurare, durante lo studio, la ricerca dell’interiorità del personaggio rappresentato e l’attenzione agli sfondi dell’opera, che hanno un loro preciso intento. Domenico Defelice riporta nel testo anche la figura di Claudio Strinati che argomenta sul “linguaggio figurativo” del Tripodi, definendolo “…aereo, trasparente, sensibile, meditato, delicatissimo e penetrante…”. Le pagine sono ricche di testimonianze pittoriche di vario tipo e tutte lasciano pensosi per la naturalezza della struttura umana o animale rappresentata, in qualunque posizione essa sia, statica o in movimento. Particolarmente impressionante, tra le foto da me rivisitate più volte, l’acquerello di pag. 19, intitolato “Lotta per la vita” nel quale, con rapidi tratti, è resa “visibile” tutta la drammaticità del momento. Realistiche trova, il critico, le immagini pittoriche (centocinquanta pezzi) che rappresentano alcuni personaggi descritti da Dante nella “Divina Commedia”. Di questi, perfettamente realizzati, ne vengono citati diversi, vedi Manfredi, Beatrice, Ulisse. Lo studioso precisa che l’impegno pittorico del Tripodi, è tutto concentrato nei volti, mentre il resto è “…per lo più abbozzato”. Nelle interessanti descrizioni, sulle quali il nostro esegeta si sofferma, leggiamo di realistiche pennellate concave, di drammatiche in marrone, nero, rosso, del bianco cinerino, di macchie di colore a risaltare le ombre, di esplosione di colori. Di certo, troviamo, in questo volume, una scrittura avvincente e la possibilità di visualizzare numerose opere che incantano e incatenano. Si potrà lasciare il volume per altre occupazioni più o meno urgenti, ma si ritornerà a sfogliarne le pagine per leggere ancora, scoprire nuove seducenti immagini, ammirare altre forme. Alla stessa maniera, oserei dire, dei dipinti preziosi che vanno studiati e compresi. Dopo un’interessante biografia del Tripodi e un’interista, viene riportata una pagina dedicata all’ammiratissima opera che figura in copertina: “Il filosofo” del 1984. Conclude il volume una serie di


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opere, realizzate con tecniche diverse: personaggi, animali e panoramiche di paesaggi. Anna Aita

LUCIO ZINNA LE ORE SALVATE (Thule Editrice, Palermo, 2020, € 10,00) Di Lucio Zinna è apparso nel 2020, presso l’Editrice Thule di Palermo, un nuovo libro di poesie, dal titolo Le ore salvate, che appare sin da una prima lettura una silloge di molto pregio, espressione di una vena limpida e schietta, volta a meditare con spontaneità e naturalezza sulla vita e sul mondo; il che avviene ad esempio in poesie quali Partenze e arrivi, che ha questo incipit: “Non la partenza conta / né la fermezza e l’instabilità / del punto da cui ti muovi. / Conta quel che lasci / e cosa ti porti / (nel centro della pupilla / in un rincón del cuore) / il dolce e l’amaro”. Ciò che subito emerge da questi versi è l’immediatezza con la quale ci vengono incontro e la perfetta scansione del ritmo, cioè il movimento musicale da cui nascono; il che può notarsi anche da un’altra poesia, Le briglie, che così inizia: “Conduciamo i giorni come fossimo noi / signori del tempo e il tempo – cavaliere / benevolo – ci lascia credere che sia così”. Talora quella di Zinna è una poesia della memoria, che si fa poesia-racconto, come è di Uomo a due ruote, in cui vengono rievocati eventi lontani, di quando egli era un ragazzo, ed aveva ricevuto in dono una bicicletta, sulla quale però non riusciva a tenersi in equilibrio, sicché aveva corso più di un grave pericolo. Più sovente però questa poesia scaturisce da eventi del presente, come è di Manu e l’asilo, dove è il comportamento del nipotino quattrenne ad attirare l’attenzione del nonno, che lo considera con affettuoso compiacimento. Quello che maggiormente contraddistingue le poesie di Lucio Zinna è comunque l’intensità della pronuncia e l’asciuttezza del dire, che s’incontra ad esempio in Per il «Transrealismo» del pittore Guadagniuolo; poesia che ha questo immediato incipit: “Si supera il reale percorrendolo / e (come per erbe di campo) indugiando a raccoglierne impressionisuggestioni-umori / e clamori-disarmonie-orrori”. S’incontra poi in questo poeta anche un sentimento di umana pietà, che si affaccia in poesie quali Il futuro dei vecchi, dove coloro che sono avanti negli anni vengono visti mentre “Ammiccano ansiosi e rassegnati / al tempo venturo ormai caffè / ristretto. Sulla soglia del Tutto / o su quella del Nulla”, mentre “scrutano senza binocolo” le parvenze del mondo. Più colpisce tuttavia in lui il rimpianto per ciò che non è stato e s’è perduto nella fuga perenne dei

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giorni che si susseguono senza posa; un sentimento che troviamo in poesie quali Orme: “Quante orme seminate nell’asfalto / quante strade nell’incertezza / della giusta direzione / quanti fogli di calendario volati via”. È questo un sentimento che talora si tinge di profonda tristezza per le ferite che la vita ci ha inferte e per tutte le attese tradite senza rimedio: “Bella la vita (se non si fa terrestre / inferno) un dono (ma con restituzione / e rendiconto). Un prestito non chiesto / un’opportunità” (Il dono). Zinna però dimostra anche di saper cogliere il lato luminoso del mondo, sicché a volte la sua voce si fa serena e lieve la sua parola, come avviene in Lungomare d’Aspra, che così inizia: “Planano lenti i gabbiani stamattina /non s’avverte uno strido / s’inseguono onde di robusta spuma / che alla battigia pettinano il mare”. Per converso, ne I giorni della merla si riaffaccia in lui l’umor nero, se può dirci: “Tutto ho temuto non solo caldo e freddo / e a tutto ho resistito ogni volta ho preso / il coraggio non so dove…”. Una costante in lui è invece la profondità del pensiero e del sentimento ed il gioco assiduo dell’intelligenza, che troviamo ad esempio in Squarci: “Quante volte i versi frugano / nell’anima si incuneano / a carpire vibrazioni / a leggerne il reticolato di pieghe / in incognite chiromanzie. / Altre volte è lei – l’anima – / a evadere / da sue in/controvertibili eternità / e sbirciare tra le parole…”. Qui è l’intensità della voce, altamente evocativa, che s’impone, come altrove in questo poeta, che sa far vibrare le corde più sottili dell’animo. Si veda ad esempio I molti e il loro altrove, dove intenso è il compianto per coloro con i quali il poeta aveva avuto una lunga consuetudine di vita e che ora non sono più. “Ormai i molti sono gli scomparsi / dal mio globo e non so che velo / li ricopra quale vento sottile / sussurri tra ora e allora tra qui e dove – / dove – come grido sommesso”. Altre volte Zinna si rivolge a Dio con animo fidente e con sommesso abbandono, come avviene in poesie quali Da qualche parte, nella cui chiusa leggiamo: “Ti cercherò ancora dentro di me / come in piazza in ora antelucana / quando non transita anima viva. / Ti scorgerò prima o poi / e un sorriso leggerò nei tuoi occhi / ora che si appannano i miei”. E un’assidua ricerca dell’Oltre può considerarsi l’ultima sezione del libro, A incalcolabili lune, dove troviamo poesie quali L’assenza intemporanea, dedicata alla memoria della nonna Giuseppina (“Te ne andasti nei tuoi sedici lustri / … / e fu per te / il placarsi dell’affanno di troppe insonnie”); Il coraggio e l’affidarsi, che contiene una riflessione sulla fede: “Somiglia al coraggio la fede / (nessuno può darsela se non c’è) / precede un comando di testa / è fiore di campo moto di cuore”; Variazioni sul Salmo 66,


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esaltante invocazione a Dio: “Muta – o Dio – in terraferma / di certezze il mare di angoscia / in cui si naviga rendi possibili / i nostri passi nel fiume delle ore…”; Simultaneità, espressione dell’inestinguibile sete di Eterno che da sempre ci accompagna: “Avventurosamente cerchiamo / (cercare non equivale a trovare) / di comprendere moti e modi / dell’Eterno…”. E di schietta ispirazione religiosa è la poesia che chiude il libro, Una sberla di vento, che ha il tono alto e forte dell’invocazione a Dio: “Nei nostri colloqui chiedo con filiale / improntitudine più aiuto che perdono / intanto che va scivolando questa fase / ultima del viaggio…”. Sono queste parole di pentimento e di speranza, che confermano l’impressione di aver incontrato un libro di profonda spiritualità; certo di quelli che ci offrono la compiuta misura delle capacità espressive del loro autore. E non è cosa di piccolo conto. Elio Andriuoli

DOMENICO DEFELICE DOMENICO ANTONIO TRIPODI PITTORE DELL’ANIMA Gangemi Editore, Roma 2020, Pagg. 96 Domenico Defelice nella sua molteplice attività culturale include la pittura, sia come artista sia come esperto; e in quest’ultima veste lo vediamo esaminare l’arte pittorica del corregionale cui dedica

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lo studio Domenico Antonio Trìpodi – Pittore dell’anima. L’Artista è detto l’Aspromontano (nativo di Sant’Eufemia d’Aspromonte, classe 1930). Il libro, di fattura pregiata, riserva buona parte del volume a illustrazioni a colori a piena pagina ed è come una galleria in cui incamminarci. L’Autore conosce da molti anni il Pittore e dopo circa venti anni che non si incontravano, si rivedono per una intervista (8 gennaio 2018). Osservatore per natura descrive il tragitto fatto con mezzi pubblici da Pomezia (dove risiede) alla casa dell’Artista a Roma, avendo modo di soffermarsi sugli aspetti esteriori della viabilità e sulle caratteristiche comportamentali dei passeggeri, come se facesse delle pennellate, fin quando giunge dall’amico. Commenta: “L’artista non deve mai essere succube dei Mostri Sacri, ma neanche il critico deve mai farsi condizionare dall’artista” (p, 13). Domenico Antonio Trìpodi, sesto di otto figli, appartiene ad una famiglia di cultori delle arti nelle varie espressioni. Ha appreso i primi rudimenti nella “bottega” del padre, Carmelo Tipodi, che era pure un affermato fotografo, le cui immagini sul terremoto del 1908 che distrusse Reggio e Messina, hanno fatto storia e il giro del mondo. Ha respirato arte in famiglia: restauro, scultura, pittura; i suoi interessi spaziano nei classici e anche nella musica e nella poesia. Ha conosciuto i pittori più all’avanguardia e si è confrontato con critici in tutto il mondo, ricevendone numerosi riconoscimenti. Le sue opere rientrano nel repertorio nazionale e internazionale, sono rappresentate in molti Musei, Gallerie e Istituzioni culturali; e inserite in testi d’arte ed enciclopedie. Lungo è l’elenco degli attestati, delle mostre e delle conferenze su cui sorvoliamo. Il Pittore ha occupato posti di responsabilità in istituzioni culturali prestigiose come docente all’Istituto Superiore di Restauro “Aldo Galli”, di Como; come pure a Roma. È l’artista stesso che dichiara di indirizzarsi su due poli, uno riguardante le persone, l’altro riguardante gli animali soprattutto gli uccelli. E Domenico Defelice fa notare come per le persone ritrae soprattutto i volti, trascurando il resto, e per gli uccelli si sofferma in particolare sui rapaci. Sono questi gli elementi che suggeriscono l’entrata in profondità negli esseri viventi, ecco perciò la denominazione di Pittore dell’anima. Fra i dipinti ammirati in tutto il mondo rientra Il Filosofo, del 1984, di cui alla copertina del presente lavoro defeliciano, valutato con una somma considerevole, ma di cui non si è voluto privare, allo stesso modo non si è voluto separare da un’altra sua opera che aveva venduta e poi riacquistata. Rapito dall’amore per la Commedia ha prodotto 150 opere su Dante, sì da essere annoverato


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come un esemplare dantista; fra tali opere abbiamo Beatrice all’età di nove anni, Manfredi, e Ulisse invecchiato ma sempre alla ricerca della conoscenza. Le sue immagini non sono una rivisitazione del Dorè (che illustrò la Divina Commedia) o di altri, perché egli non reinterpreta semplicemente l’opera dantesca ma la fa propria, entra in sintonia con il Divino Poeta e lo restituisce attuale, ai nostri tempi. Tripodi concentra lo sguardo sui volti dei personaggi o sui volatili in picchiata, senza curarsi di alcuni particolari, come s’è detto, lasciando così al fruitore di completare l’opera con la propria riflessione e stimolandone il gusto estetico. La sensibilità verso gli uccelli richiama al Nostro l’amore di alcuni poeti calabresi per i volatili come Franco Saccà e Francesco Fiumara che il Nostro ha frequentato a suo tempo, i quali usavano termini appropriati ai volatili prendendoli a modello per traferirvi sentimenti umani. Tornando a Il Filosofo, esso ha il volto come il Mosè di Michelangelo, folta barba, nell’essenza dei tratti; dovendo fare un accostamento, il Pittore si richiama a Sofocle, drammaturgo (contemporaneo di Euripide ed Eschilo, del V sec a. C.) che mi fa pensare alla tragedia umana. La tragedia lascia poco spazio alla retorica; nella sua essenza è risolutoria, perciò a poco valgono i contorni. Ed è così, in generale, per tutti i volti dipinti: la religiosità nel Pittore, gli fa sentire il dramma umano e la pace interiore. Aiuta a comprendere il profilo umano dell’Artista l’intervista fattagli da Domenico Defelice. In essa, per esempio, il Tripodi esprime disapprovazione del comportamento degli studenti in classe e dei loro genitori che vogliono riprendere un insegnante quando assegna un cattivo voto ai figli; ma d’altronde – aggiunge - considera che non tutti i docenti sono mossi dalla vocazione all’insegnamento, ed è così che pure un artista deve sentirsi vocato alla Musa che abbraccia. Osservando alcune immagini ad acquerello e a olio, mi sembrano svuotate dai nitidi contorni o lasciate incomplete, ma che comunque, rappresentano i soggetti, mi suggeriscono la “idea” platonica che intendo come il senso delle cose, è il cuore delle cose, è l’entelechia o anima o vita, ma non il soggetto. Così sono la serie di uccelli, cavalli, gatti, nature morte, paesaggi isolati; così è il “Gufo Reale” (1989), la “Lotta per la vita” (1980); così rende l’idea lo schizzo in china di un corpo accovacciato visto di spalle a terra riferito a “La strada” (1990); così pure l’immagine de “Il poeta Antonio Martino” (1999) patriota e ministro di Dio. È l’idea che travalica la materia, travalica la stessa immagine. L’Artista si rivela poeta dell’immagine nella sua essenza,

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perciò merita che Domenico Defelice lo abbia denominato “Pittore dell’anima”. Quanto al Dantismo di Domenico Antonio Trìpodi approfitto di due recensioni. Claudio Strinati ne sottolinea, nelle conferenze e mostre in Italia e all’Estero, “la capacità di parlare con un linguaggio moderno e nello stesso tempo ripieno di spiriti classici, per rappresentarci un Dante vicino alla nostra attuale sensibilità.”. A ben ragione Giovanni D’Alascio ne conferma l’universalità di un Dante nella pittura; nelle tonalità dei dipinti legge un misticismo che affratella il Pittore ad altri due corregionali che sono Gioacchino da Fiore e Tommaso Campanella; fra le conferenze “merita menzione speciale quella ospitata nella Biblioteca Centrale di Mosca” in occasione della celebrazione del 740° Anniversario della nascita del Divino Poeta. Molto rimane ancora da scoprire. Tito Cauchi

MANUELA MAZZOLA FRAMMENTI DI VITA Tra passato, presente e futuro. Presentazione di Marina Caracciolo – Il Convivio Editore, 2020, pagg. 40, € 8,00. C’è, senz’altro, continuazione con le precedenti Sensazioni di una fanciulla - e lo rileva anche Marina Caracciolo nella Presentazione -, ma questi frammenti non sono la stessa cosa; c’è maturità, nello stile e nel contenuto, e capacità di intrecciare presente, passato e futuro in un’unica visione della vita, superando con più scioltezza, con meno affanno, le quotidiane vicende. Scrive la Caracciolo che “Come già in Sensazioni di una fanciulla, ritroviamo quel senso di distacco dal mondo, dove tutto è uguagliato e appiattito, e dove regnano spesso, purtroppo, egoismo, insincerità e ipocrisia”, aggiungendo che tutti i brani di questa nuova opera costituiscano “un gioiello unico di cui non si possono scegliere le perle più belle e le altre buttarle via”. La fanciulla di


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allora torna ancora nei sogni e nei ricordi, con quei “Giochi di bambina/persi negli anfratti della mente” e che rivive “in alcuni momenti”. Per la donna di oggi, “Il futuro è proiezione/di desideri e di speranze”. Il passato, a volte, è torbido, “fondo” “granuloso” “come quello del caffè”. “Tra passato, presente e futuro/si sprigiona la magia dell’esistenza”. Il passato, che a noi spesso sembra idilliaco, nasconde, in realtà, gli stessi drammi che inquietano la società dei nostri giorni, “storie antiche/di uomini e donne/che si amarono,/si odiarono e/si uccisero in barbaro modo”. Il nostro pensiero, inevitabilmente, va ai tanti femminicidi. C’è maturazione, accennavamo; la fanciulla e divenuta donna tra le difficoltà, tra “Le corse e le cadute”, che la “hanno resa diversa”; oggi, alla violenza palese o latente, reagisce assaporando goccia a goccia i rari istanti di euforia che le fanno toccare il cielo e stendono balsamo sulle sue ferite: “Si alzano nel cielo/particelle di me./Fanno voli pindarici,/giravolte e piroette,/e la mia anima volteggia/come fosse ballerina”. È un continuo risalire “lungo il fiume della memoria” e tutti sappiamo quanto sia faticoso, ma anche stimolante, il remare contro corrente. Uno degli apici della sua conquista si verifica senz’altro nell’attimo della creazione letteraria, artistica e poetica, allorché, infrenabile, in lei si accende il bisogno di prendere penna o colori e istoriare la carta bianca: “Un attimo illuminante/e la penna scrive./Il cuore corre/in cerca di risposte./È un istante,/che irradia il presente,/e tinge di colore l’avvenire/colmandolo di speranza”. La fanciulla inquieta e insicura è decisamente sparita; c’è la donna più serena, proiettata nell’avvenire. Pomezia, 15 marzo 2021. Domenico Defelice

DOMENICO DEFELICE NON CIRCOLA L’ARIA Genesi Editrice, 2020, pagg. 210, € 12,00 ISBN 788874-147953 Questo libro è l’ultimo lavoro della prolifica produzione letteraria di Domenico Defelice. E’ un libro piacevole, ironico e che fa riflettere su tante vicende umane: la sua lettura risulta particolarmente adatta specialmente durante questo periodo di angoscia funestato dalla pandemia di Covid-19. La figura, presente in copertina “La battaglia fra il Carnevale e la Quaresima” di Pieter Bruegel il vecchio, dal mio punto di vista rappresenta la lotta fra il bene e il male, fra chi è povero e chi è ricco, un quadro raffigurante una moltitudine di persone, ciascuna con una propria storia e una propria peculiarità, nei tanti e variegati

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aspetti che rispecchiano la molteplicità delle situazioni sociali. Così, nel libro si alternano gioie, dolori, angosce, ironia, situazioni vicine al boccaccesco (come per esempio nel racconto “Non circola l’aria” da cui il titolo). Per certi versi il volume, costituito da ventuno racconti, ha in molte parti un’impronta autobiografica. Nel brano “In viaggio con google” (pubblicato nella rivista letteraria Pomezia-Notizie) l’Autore, dalla morte della madre, non vuole più fare ritorno al paese nativo per non commuoversi al cimitero vedendo sepolti anche tanti altri parenti e amici. La giovane Clarissa, con il computer gli fa rivedere il paese tramite google map: è un viaggio virtuale in cui, alla luce del presente, Defelice ricorda e rivive il passato, pur faticando a riconoscere i luoghi, in quanto trasformati nel tempo. E infatti esclama: “Nulla! Nulla! Il viaggio con google è stato fantastico, ma non sono riuscito a vedere, a riconoscere il mio Eden, l’antico paradiso della mia infanzia”. Nella presentazione di questo libro Sandro GrosPietro cita nel suo commento, come i più significativi, proprio questi due racconti. In particolare, in “Non circola l’aria” si descrive un roseto che viene giudicato in modo diverso secondo i due punti di vista dei personaggi, cioè piacevole per l’uno, soffocante per l’altro. Nel seguito di questo episodio, il roseto occupa lo stesso ruolo del libro per i danteschi Paolo e Francesca, cioè: galeotto fu il libro e chi l’ha scritto!. La novella “ Una lettera d’addio” parla dell’incomunicabilità fra due persone, che può portare al femminicidio. L’innamorato dice all’amata: ”Quale il nostro futuro? Tu ti stancheresti del mio fisico e del mio carattere e sarebbe l’inferno. Addio! Amore grande del quale non son degno, Addio! Tu sola sei e resterai l’amore vero. Ma l’amore è libertà, è non fare soffrire gli altri.” Appunto l’amore è libertà! Quante unioni stanno insieme forzatamente e sfociano in atti violenti fino ad uccidersi! I racconti si riferiscono alle vicende più svariate, per esempio: sulla mafia (Il pesce (g)rosso),


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sull’abusivismo edilizio (Boss senza volerlo), sullo sbarco degli Alleati in Sicilia (La banda tedesca e Un miracolo), sul problema del terrorismo (Khalid). Descrizioni di scene bucoliche sono rappresentate in Il rosso succo dei sicomori e in La fonte canora. Il brano Umanali con la tragica fine di due animali mi fa ricordare Edgar Allan Poe, mentre Naufragio, oltre a ricordarmi Edgar Allan Poe, evidenzia l’incomunicabilità fra le persone. Nel racconto Santa Prunella si mostra quanto è difficile per l’uomo pervenire alla santità. In La signora Lilly, nata con un corpo deforme, viene dimostrato come una disgrazia può essere compensata da una grande intelligenza e, come in una fiaba a lieto fine, Lilly riesce prima a laurearsi e poi a trovare un buon inserimento nella società. L’ultimo racconto, ambientato a Pomezia, e recentemente pubblicato sulla locale rivista Pontino Nuovo, che chiude questo avvincente libro, Miracolo a Natale, è un’altra bellissima favola, che dimostra come un elefantino, nato con una zampa menomata, si trasforma in risorsa per il Circo, diventandone la mascotte! Concordo con quanto afferma nel Pontino N. 3/ 2021 Manuela Mazzola, facendo la presentazione di quest’opera: “La paura di relazionarsi, la mancanza di tempo e di spazi in cui incontrarsi, i fraintendimenti, l’incomunicabilità rendono i rapporti asfissianti. La relazione con l’altro è sempre stato un terreno fertile per la crescita dell’individuo, portandolo ad una naturale evoluzione sia affettiva sia professionale.” Infatti Defelice nei suoi racconti dimostra pessimismo nel denunziare la mancanza di relazione fra i vari esseri umani. Bisogna invece vivere come dice Papa Francesco in “Fratelli tutti” che al pag. 87 afferma: “la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà.” Nella copertina interna è presente un elenco completo della vastissima produzione letteraria di Domenico Defelice. Giuseppe Giorgioli

LUIGI FIORDELISI VIRUS ANTIPENSIONISTICO 12 maggio 2020, Euro 9,55 in versione cartacea con copertina flessibile e Euro 5,51 in formato Kindle (gratuito con iscrizione a Kindle) tramite Amazon libri Questo libro segue la prima edizione del luglio 1995, avente come autori Luigi Fiordelisi e la professoressa di lettere Maria Acunzo (attualmente

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deceduta) dell’I.T.I.S. Armellini di Roma. Luigi Fiordelisi mi regalò copia autografata di questo libro. Per quei tempi (1995) tale libro aveva un valore profetico, anticipando l’attuale situazione dovuta al Covid-19: un virus doveva risolvere la crisi dell’attuale sistema pensionistico! Il libro affronta il problema dei pensionati, attraverso la storia del dr. Pensi, neo aspirante pensionato, coadiuvato dal dr. Supposti, prossimo aspirante, e del sig. Sventura, fresco pensionato. Il tono è ironico, ma coperto da una velata tragedia… Quando fu il suo turno, il Governo dichiarò che non c’erano soldi, troppi pensionati .. Da qui una protesta generale, che mise in crisi il Governo. Quello nuovo iniziò una politica favorevole: aumento di pensione, ecc. Questo suonò strano, tanto che le statistiche rilevarono un forte aumento di mortalità dei pensionati. Era pura coincidenza oppure c’era un legame con la nuova politica di pensione? Così il dr. Pensi e Supposti si trasformarono in detectives e scoprirono un piano diabolico per eliminare i pensionati con un virus “antipensionistico”, e che… Da qui una serie di ironiche peripezie, alla ricerca di un antidoto, anche per salvare l’amico Sventura, fresco…”pensionato”! Sventura riuscirà a superare la sua… sventura? Riusciranno a sventare il piano del Governo? Ma, soprattutto, Pensi diventerà un signor Pensi …onato? Luigi Fiordelisi è stato docente d’informatica all’I.T.I.S. Armellini di Roma e collaboratore del Preside. Precedentemente è stato mio collega alla Elmer S.p.A. (gruppo Montedison) di Pomezia in qualità di progettista. Luigi Fiordelisi è nato a Napoli il 10 gennaio 1950 e si è laureato in ingegneria elettronica, specializzazione informatica. E’ stato consulente per il gruppo E.N.I. in Italia e all’estero (Cairo, Nigeria). Tra le esperienze artistiche è da citare che da studente ha lavorato come comparsa nel film “Cadaveri eccellenti” con Lino Ventura, regia di Franco Rosi. Ha ideato, brevettato e realizzato il “Carrello elettronico Pronta Cassa”, presentato in diretta da Rai Uno durante la trasmissione dei “Cervelloni” nel maggio 1994. Nel 1995 scrisse un altro libro in collaborazione con la professoressa Acunzo “L’asinello Papaleo e il computer sapientone”, che irrideva all’uso smodato del computer anche questo anticipatorio del tempo attuale in cui il computer ha stravolto i valori tradizionali con l’uso intensivo di social, internet, smart working, DAD… Attualmente Fiordelisi sta sviluppando vari brevetti. Giuseppe Giorgioli


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GIANNI ANTONIO PALUMBO PER LUIGI NON ODIO NÉ AMORE Scatole Parlanti, 2020 Pagine 201 15,00 € “Mi nutrirò dei libri, delle polveri, delle voci sensuali o dimesse degli studenti. Dei loro umori e odori. Del loro seme. Del vento che soffia nel viale dell’Accademia. Dei sogni sconfitti degli insegnanti. Dei discorsi di Robespierre. Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della virtù. Un giorno l’Uomo malvagio proverà terrore nel momento in cui percepirà la mia presenza. Quel giorno il suo destino si svolgerà come un filo di seta tra le mie mani”. Nel tranquillo paese di Candevari si verificano all’improvviso dei fatti misteriosi che sconvolgono la vita di provincia: l’omicidio di una ragazza, un insegnante che cade dalla torre campanaria della Chiesa della Maddalena e la scomparsa del giovane e affascinante docente, Mattia Landi. Le vicende ambigue e losche avvengono tra esistenze apparenti, tra segreti, abusi e violenze. Il commissario Fano e la sua collaboratrice Marta Salvo iniziano le indagini con un finale che porterà alla luce rapporti di facciata e relazioni di prepotenza. Il romanzo inizia lentamente, ma proietta da subito il lettore in un’atmosfera noir di paura e mistero, per poi arrivare ad essere più incalzante grazie agli scambi verbali tra i personaggi nei numerosi dialoghi. Il linguaggio si alterna da quello elegante e raffinato dei docenti a quello più semplice e a volte scurrile degli studenti. Il romanzo, infatti è corale con personaggi di diversa provenienza sociale e culturale. Ogni personaggio ha un suolo ruolo che si incastra come un tassello in una trama fitta e fornisce una diversa ottica da cui osservare il racconto. È un romanzo attuale poiché protagonisti sono gli abusi, il potere e la prevaricazione del forte sul più debole, relazioni segrete dal senso per nulla scontato. Gianni Antonio Palumbo dopo aver conseguito il Dottorato di ricerca in Italianistica a Messina, insegna materie letterarie al Liceo “Matteo Spinelli” di Giovinazzo ed è docente a contratto presso l’Università di Foggia. È giornalista pubblicista e collabora con diverse testate; ha pubblicato testi teatrali, racconti e sillogi, con il romanzo Krankreich, tramonto di un sogno ha vinto il Premio “Val-le dei Trulli” per la “Letteratura giovane”. Manuela Mazzola

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ANNA MARIA BONOMI DELIRIO DI PAROLE Il Croco – I quaderni letterari di Pomezia Notizie, 2020 La silloge Delirio di parole di Anna Maria Bonomi raccoglie liriche pregne di sentimento, che delinea una personalità complessa e ricca di sensibilità; doti che si attribuiscono ai poeti e che accentuano ogni accadimento del percorso vitale. Anna Maria Bonomi ha molto amato il suo uomo ma il rapporto non le ha mai dato quella gioia profonda che a volte fa toccare il cielo. Lei ha vissuto con questo rammarico poiché non ha potuto

condividere l’amore per ragioni caratteriali, trovandosi in una crescente solitudine. E’ questo sentire che serpeggia in tutta la raccolta e che rende un’atmosfera a volte malinconica e sofferente: “Comodo mondo / pagato con moneta sonante / che spezza l’anima / di chi si dona sempre.”. Anche le liriche che si aprono ad altro mantengono un’aria di tristezza perché, per esempio, il pensiero della poetessa va alla morte dell’alpino Matteo Miotto, deceduto con onore, e a tutti quelli, come lui, che hanno perso e perderanno la vita “incoronati dal sacro tricolore”. Oppure a Marco e Stefano, due ragazzi da ricordare con un “Epitaffio”: “Abbiamo tutto l’universo per noi, / l’amore di Dio, il coro dei


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Santi. /Siamo nel cerchio degli Angeli.” La stesura è ben calibrata e il dettato non si perde in voli lirici, bensì risulta essenziale e incisivo. Nella lirica che chiude la raccolta ci sono però dei cenni positivi, che fanno sperare in un sentire diverso e più sereno: “Adesso i pensieri, / devoti vassalli del cuore, / si affacciano agli occhi / baluardi di incaute visioni. / Sono atmosfere magiche / che vestono a festa / l’aria tiepida dei miei giorni.”. Forse Anna Maria Bonomi doveva scaricare l’amarezza che da tempo le pesava dentro, per una catarsi e una visione più limpida del tempo futuro. Laura Pierdicchi

MANUELA MAZZOLA FRAMMENTI DI VITA Il Convivio Editore, 2020

La poesia che Manuela Mazzola ci offre con questo suo libro Frammenti di vita, nasce dagli eventi dei giorni, sospesa tra passato, presente e futuro. È pertanto una poesia che trova nel vissuto le sue radici e il suo compimento. «Ho trovato, / sparsi sulla mia finestra, / frammenti di vita / di cristallo tagliente. / Un raggio di sole li attraversa / … / illuminando la mia fantasia». La poetessa si vede mentre cammina a passi affannati per le strade della sua città, tra la folla che la circonda, ed alla quale lascia un po’ di se stessa; o si vede mentre la penna scrive i suoi tumultuosi pensieri e si perde nei vicoli sinuosi della memoria. Innumerevoli sono le sue sensazioni, veloce il suo dire, che ci sorprende e ci tiene, come accade in Vibrazioni: «All’improvviso apro gli occhi: / è notte fonda. / Qualcuno ruba la mia memoria, / la confonde, / la mescola alla sua» o in Giochi di bambina: «Giochi di bambina / persi negli anfratti della mente. / Giochi antichi / che in alcuni momenti rivivo». Quello di Manuela Mazzola è un modo giusto di porsi di fronte alla vita, che ella ama e per la quale non cessa di manifestare la sua meraviglia, trascorrendo dal presente al passato e proiettandosi anche nel futuro. Tipica è a tale proposito una poesia quale Echi, che così suona: «Su una dolce collina / tra monti aguzzi, / c’è un piccolo mondo / di fate e folletti. / I muri tirati a secco / nascondono storie antiche / di uomini e donne / che amarono, / si odiarono e / si uccisero in barbaro modo. / Gli echi delle loro gesta / gravano sui loro figli / annichiliti anzitempo / dal destino». Immediata è in lei la capacità di percepire il presente, nell’attimo stesso in cui le si rivela, come quella di proiettarsi nel passato, per ritrovare le

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amate immagini di perdute stagioni. Ella può passare così da una poesia quale Percorsi («Percorsi incrociati / su piste mobili. / Come sabbia, / ingoiano gli istanti / trascorsi sul letto / di un ospedale malato») a poesie quali Sotto l’arco («Sere stellate / aspettando un sogno. / Balli sotto l’arco / di un’estate infuocata. / Un bagno di felicità / tra risate e giochi. / Spensierati e leggeri / ci preparavamo a vivere»). Manuela è poetessa dalle sottili sensazioni, colte con particolare evidenza nel loro nascere, quali: «Mi muovo nella casa / come fossi alito di vento, / non tocco il pavimento, / lo sfioro» (Come alito di vento). Ed è sempre pensosa sul miracolo dell’esistere: «Le corse e le cadute / mi hanno resa diversa, / straniera in un mondo / che rende affine ogni pensiero» (Straniera). Ella è capace di cogliere la meraviglia che trascorre nell’attimo («I riflessi accecavano, / donando una veste nuova / a quel luogo speciale / tra colline erbose» (Un luogo speciale); ed è capace di fermarla nel verso con particolare evidenza, come in Uno zampillo («All’improvviso dalla terra / uno zampillo d’acqua. / È sorgente pura / che dona respiro / a tutta l’umanità». Ma non soltanto con se stessa ragiona Manuela; ella è capace anche di scoprire nell’altro un interlocutore e un punto di riferimento cui rivolgersi con affettuose parole: «Ascoltavo la tua musica / con il naso all’insù. / Il ritmo rendeva ogni nota / calda e avvolgente» (Il battito del tuo cuore). E la figura dell’altro si ravviva in lei, nel mentre la contempla: «Nella scatola delle cose perdute / avevo gettato tutti i tuoi ricordi. / un giorno sono riemersi / fra strade e voci lontane. / Sono risaliti lungo il fiume della memoria / e sono arrivati fino a me» (Cose perdute). È questa una delle poesie più riuscite della raccolta e ci dà la misura delle capacità espressive della nostra poetessa, la quale oltre ad affusarsi con acutezza di sguardo in se stessa, sa trovare anche nei suoi simili un’occasione di poesia e di vita. Cosa rimarrà di noi, dei nostri dolori e delle nostre speranze, dei nostri amori e dei nostri pensieri? si chiede Manuela Mazzola in una poesia intitolata Il futuro, e un moto di tristezza sembra discendere nel suo animo. Ma poi il suo desiderio di vita prevale e ritorna in lei la volontà di esistere: «Tra passato, presente e futuro / si sprigiona la magia dell’esistenza. / Il contatto tra ciò che è stato, / che è e che sarà» (Il contatto). Ed è questa anche la poesia il cui verso iniziale funge da sottotitolo al libro. Un oscillare tra ottimismo e pessimismo, tra disperazione e speranza è dunque ciò che regge questi Frammenti di vita, nei quali tuttavia la speranza prevale, per il naturale ottimismo e la forza vitale che esistono in lei.


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«All’improvviso, / nel grigio della polvere, / un guizzo, una scintilla / e si riaccende la speranza. / Il segreto? / La vita» dice Manuela Mazzola in una delle ultime poesie della raccolta, Il segreto. Ed è qui che si trova il senso del suo libro, quello che lo regge e che gli dà un significato. Liliana Porro Andriuoli

È IN TRADUZIONE NEGLI STATI UNITI D’AMERICA la silloge di poesie

12 MESI CON LA RAGAZZA di Domenico Defelice A tradurla è la dottoressa scrittrice e poetessa

Aida Pedrina-Soto Ecco, di seguito, due brani nell’originale e nella bella traduzione:

GIUGNO DI SOLE E DI PIACERE Giugno è fatto di sole e di piacere, di sole e di piacere è la tua carne; io voglio te per vivere d’amore e di piacere e di gocce di luna, d’ansie pure e di pene. Oh, no, non dirmi ch’è finito il giorno, che non hai più mani d’anguilla... la sera ancora gravida di stelle e scoppiano rossi sopra il melograno i fiori voluttuosi del piacere... Sul prato ricamato dalle lucciole il grano è biondo come i tuoi capelli...

JUNE OF SUN AND PLEASURE June is made of sun and pleasure, of sun and pleasure is your flesh; I want you so I can live of love and pleasure and of moondrops, of pure eagerness, and of sorrows....

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Oh no, don't tell me that the day is over, that you no longer have your soft, lively hands.... The night is still filled with stars, and the voluptuous fruits of pleasure are bursting red on the pomegranate tree.... On the fireflies' embroidered meadow the corn is golden like your golden hair.... UN’ALTRA VITA E tu profumi come le felci, Amore, ch’hanno sapore di frescura, come il fieno maturo, come la limpida vena in mezzo al bosco adornata di muschio e viole ora che luglio t’inebria e ti stordisce con il suo fuoco. Forse tu non sai né comprendi questi odori di campagna, questa sinfonia d’insetti non odi; tu vivi sullo Stretto* in cui si specchia la magia e straniero è il mio canto: ben altri suoni e profumi racchiude l’arco di tua vita. Tu vivi un’altra vita. Tu ti dissolvi in altri incantamenti. Altri ricordi e sogni nutre il tuo cuore di farfalla. Così questa mia ballata triste la calda estate disperde, luglio divino che ti accarezza e t’innamora. Tu vivi un’altra vita sconosciuta forse anche al mio canto. -------* di Messina

ANOTHER LIFE And your fragrance is like the ferns, love, which have a flavor of freshness, like ripe hay, like the limpid stream in the forest Adorned with moss and violets


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now that July thrills and stuns you with his fire. Perhaps you don't know or understand these sweet smells of the fields, you can't hear this symphony of insects; you live on the Strait1 in which magic is reflected and foreign is my song; the arc of your life encloses other sounds and fragrances. You live another life. You are dissolving in other magics. Your butterfly's heart is nourishing other memories and dreams. And so, the hot summer dissolves this sad love song of mine, divine July that caresses you and seduces you. You live another life perhaps unknown even to my song. ________ 1) The Strait of Messina (Italy)

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE SOLE INDIGES A POMEZIA – Mentre chiudiamo il numero di aprile, riceviamo la notizia che il 29 marzo, a cura di Marcello Smarrelli, alla presenza del Sindaco della

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città Adriano Zuccalà e del vicesindaco Simona Morcellini, verrà presentato “Sole Indiges”, Arte pubblica a Pomezia tra mito e futuro. Si tratta di tre grandi murales che interesseranno gli edifici, ora, della Biblioteca Comunale “Ugo Tognacci” e, a ottobre, delle due scuole medie “Orazio” – di via Singen – e “Virgilio Marone” - di via della Tecnica. “Sol Indiges” è il sito archeologico che riguarda la zona del territorio pometino dove la mitologia vuole sia avvenuto lo sbarco di Enea, secondo quanto anche raccontato da Virgilio nel suo grandioso poema Eneide. Gli autori dei tre murales sono il foggiano Agostino Iacurci e il milanese Ivan Tresoldi (uno dei due si dice risieda a Berlino!), ai quali l’Amministrazione comunale ha devoluto rispettivamente trentamila e diciottomila euro; altri ventiquattromila euro sono stati passati alla Fondazione Pastificio Cerere, cui è legato il progetto di Marcello Smarrelli. Tralasciamo di dare un giudizio sull’iniziativa e sul valore delle opere, ma non possiamo non evidenziare le critiche, tra le quali quelle che vogliono il sito “Sol Indiges” lasciato nel più squallido abbandono, tra erbacce e rifiuti, nel mentre che si spendano tanti soldi (più di settantadue mila euro) per questi murales. Ecco un brano del lungo intervento dell’Associazione Latium Vetus: “Il progetto di Agostino Iacurci a cura di Marcello Smarrelli di Fondazione Pastificio Cerere – si legge – è dedicato… al ‘Sol Indiges’, “arte pubblica a Pomezia tra mito e futuro”. Sarebbe stato più corretto parlare di “arte pubblica tra abbandono e degrado”, visto che il patrimonio cul-


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turale, depositario del mito, rimarrà nel degrado anche a causa di queste spese. Pochezza e sciatteria. Il Comune di Pomezia piuttosto che affrontare e risolvere gli annosi problemi del patrimonio culturale, in modo da metterlo a sistema, si affida a fondazioni mai viste a Pomezia che, in tutta onestà, reputiamo abbiano poco o nulla da offrire per valorizzare il turismo in ottica futura ed incrementare il valore artistico del nostro territorio”. Pur tralasciando – ripetiamo - di darne un giudizio (anche perché i murales delle scuole verranno realizzati ad ottobre, l’unico ponto è solo quello della biblioteca), qualche perplessità la esprimiamo pure noi per simili iniziative, se si trascurano, poi, progetti di tutt’altro tenore e valore. Per esempio, il mai completamento del Teatro di via Virgilio/via Fratelli Bandiera; per esempio; per esempio, il Premio Internazionale Letterario Città di Pomezia, che ormai langue (usiamo questo eufemismo), da noi gestito fino alla ventisettesima edizione del 2017 e gratuitamente ceduto al Comune, il quale ha svolto alcune edizioni con un bel concorso di pubblico da ogni parte d’Italia (gliene diamo atto), ma senza mai pubblicare – o, meglio, è ciò che a noi risulta – le opere vincitrici, così come stabilito nel programma e come è stato regolarmente fatto nel corso della nostra lunga gestione (qualora le pubblicazioni fossero avvenute, siamo pronti a scusarci e a rettificare). Inoltre, al posto del regolamento snello e rodatissimo da noi ideato, il Comune ne ha voluto tirar fuori uno farraginoso, al limite del demenziale, neppure si trattasse di un appalto cementizio, quando è solo e tale vuole rimanere: una bella schermaglia letteraria! Avendo, noi ceduto, al Comune, un gioiellino, funzionante come un orologio, ci dispiace

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sinceramente ricevere critiche e saperlo languire per mancanza di fondi (noi, ogni anno, abbiamo sempre pubblicato le opere vincitrici e prima delle rispettive premiazioni). Murales sì, Premio Letterario no? Se i murales sono “futuro” (mito non di certo!), perché non dovrebbe esserlo, in primis, il Premio Letterario internazionale Città di Pomezia? Anche l’Amministrazione comunale ha potuto costatare il concorso di pubblico da ogni parte d’Italia (e, quindi, turismo) che si porta dietro una tale manifestazione culturale e dovrebbe, perciò, ritenerlo e gestirlo come un autentico fiore all’occhiello. Condividiamo, infine, il pensiero di Fabrizio Egizi, espresso a pag. 33 de “Il Pontino nuovo”, 16/31 marzo 2021, giacché quella immagine ben fatta, tratta dalla “Nascita di Venere” del Botticelli, poteva rimanere a suo posto, magari sapientemente inglobata nel nuovo murales. Pomezia, 20 marzo 2021 Domenico Defelice Nelle foto, i due artisti: Agostino Iacurci e Ivan Tresoldi. *** 20 ANNI DI POESIA ITALIANA NEL TERZO MILLENNIO – Le Edizioni Giuseppe Laterza stanno allestendo un’antologia dal titolo “20 Anni di Poesia italiana nel Terzo Millennio”, a cura e con la presentazione dell’illustre scrittore e poeta di fama internazionale Lucio Zaniboni. Agli autori antologizzati verrà spedita una copia; copie aggiuntive, € 20,00 più spese di spedizione. L’edizione sarà diffusa nel circuito librario nazionale e virtuale internet, previo attribuzione di Codice ISBN, e altresì inviata copia-omaggio a numerosi referenti letterari qualificati in Italia e all’estero. Copertina rilegata cartonata. info@edizionigiuseppelaterza.it

LIBRI RICEVUTI MARCO MALVALDI – Aria di montagna – Un’indagine del BarLume – Ed. La Stampa/La


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Repubblica, ottobre 2020, pagg. 46. Marco MALVALDI è nato a Pisa il 27 gennaio 1974. Ha frequentato il dipartimento di Chimica all’università della sua città, dove si è laureato. È stato assegnista di ricerca. Ha scritto numerosi racconti e saggi. Tra i suoi romanzi: La briscola in cinque (2007), Il gioco delle tre carte (2008), Il re dei giochi (2010), Odore di chiuso (2011), Milioni di milioni (2012), La carta più alta (2012), Angelo vivo (2013), Il telefono senza fili (2014), Buchi nella sabbia (2015), La battaglia navale (2016), Negli occhi di chi guarda (2017), La misura dell’uomo (2018), Vento in scatola (2019), Il borghese Pellegrino (2020). ** CRISTINA CASSAR SCALIA – Filinona di fine estate – Un’indagine di Vanina Guarrasi – Ed. La Stampa/La Repubblica, novembre 2020, Pagg. 62. Cristina CASSAR SCALIA è nata a Noto nel 1977; vive ad Aci Castello, dove fa il medico oftalmologo. Tra i suoi romanzi: La seconda estate (2014), Le stanze dello scirocco (2015), La sabbia nera (2018), La logica della lampara (2019), La Salita dei Saponari (2020), Tre passi per un delitto (2020). ** DIEGO DE SILVA – Patrocinio gratuito – Un’indagine di Vincenzo Malinconico – Ed. La Stampa/La Repubblica, novembre 2020, pagg. 46. Diego DE SILVA è nato a Napoli il 5 febbraio 1964. Scrittore, giornalista, sceneggiatore. Numerosi i suoi racconti. Tra i suoi romanzi: La donna di scorta (1999), Certi bambini (2001), Voglio guardare (2002), Da un’altra carne (2004), Non avevo capito (2007), Mia suocera beve (2010), Sono contrario alle emozioni (2011), Arrangiati, Malinconico (2013), Mancarsi (2013), Terapia di coppia per amanti (2015), Divorziare con stile (2017), Superficie (2018), I valori che contano (2020). ** LORIANO MACCHIAVELLI – Il confine del crimine – Un’indagine di Sarti Antonio – Ed. La Stampa/La Repubblica, novembre 2020, pagg. 45. Loriano MACCHIAVELLI è nato a Vergato, il 12 marzo 1934; scrittore,

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drammaturgo, sceneggiatore. Ha vinto numerosi premi. Lunghissimo veramente l’elenco delle sue opere. Ricordiamo solo alcuni dei suoi romanzi: Le piste dell’attentato (1974), Sequenze di memoria (1976), Santi Antonio un diavolo per capello (1980), Coscienza sporca (1995), Delitti di gente qualunque (2009), L’ironia della scimmia (2012), Noi che gridammo al vento (2016), Uno sterminio di stelle (2017), Delitti senza castigo (2019). ** ALESSANDRO ROBECCHI – Il tavolo – Una indagine di Carlo Monterossi – Ed. La Stampa/La Repubblica, novembre 2020 – Pagg. 48. Alessandro ROBECCHI è nato a Milano il 16 giugno 1960. Giornalista (Il Manifesto, Il Fatto Quotidiano), autore televisivo (Samarcanda; collaboratore di Maurizio Crozza), scrittore. Ha vinto numerosi premi, tra i quali il Viareggio per la satira (2001). Tra le tante sue opere: Manu Chao. Música y libertad (2000), Questa non è una canzone d'amore (2014), Dove sei stanotte (2015), Di rabbia e di vento (2016), Killer (La gita in Brianza, 2017), Torto marcio (2017), Follia maggiore (2018), I cerchi nell'acqua (2020). ** GAETANO SAVATTERI – La città perfetta – Una indagine di Saverio Lamanna – Ed. La Stampa/La Repubblica, novembre 2020, pagg. 46. Gaetano SAVATTERI è nato a Milano il 7 giugno 1964. Giornalista (Giornale di Sicilia, L’Indipendente), fondatore del periodico Malgrado Tutto, scrittore. Numerosi i suoi racconti e i suoi romanzi, tra cui: La sfida di Orlando (1993), Voci del verbo mafiare. Aforismi di Cosa Nostra (1993, con Pietro Calderoni), Premiata ditta servizi segreti (1994, con Paola Bolaffio), Ladri di vita. Storie di strozzini e disperati (1996, con Tano Grasso), L'attentatuni. Storia di sbirri e di mafiosi (1998, con Giovanni Bianconi), La congiura dei loquaci (2000), La ferita di Vishinskij (2003), Pirandello detective? Così è (se vi pare) (2004), I siciliani (2005), Gli uomini che non si voltano (2006), La volata di Calò (2008), Uno per tutti (2008), I ragazzi di Regalpetra (2009), Strani nostrani (2010), Non c'è più la


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Sicilia di una volta (2017), Il delitto di Kolymbetra (2018), Il lusso della giovinezza (2020). ** ISABELLA MICHELA AFFINITO – Si chiamava Claude Monet (Poesie) con intervista immaginaria a Monet – Presentazione di Marina Caracciolo; in copertina, lavoro grafico dell’Autrice realizzato con colore a vernice per l’architettura di fondo e collage per le figure femminili – BastogiLibri, 2020 – Pagg. 144, € 14,00. Isabella Michela AFFINITO è nata in Ciociaria nel 1967 e si sente donna del Sud. Ha frequentato e completato scuole artistiche anche a livello universitario, quale l’Accademia di Costume e di Moda a Roma negli anni 1987 - 1991, al termine della quale si è specializzata in Graphic Designer. Ha proseguito, poi, per suo conto, approfondendo la storia e la critica d’arte, letteraria e cinematografica, l’antiquariato, l’astrologia, la storia del teatro, la filosofia, l’egittologia, la storia in generale, la poesia e la saggistica. Nel 1997 ha iniziato a prendere parte ai concorsi artistico-letterari delle varie regioni italiane e in seguito ha partecipato anche a quelli fuori dei confini d’Italia, tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori di Melbourne. Ha reso edite quasi 60 raccolte di poesie e volumi di critiche letterarie, dove ha preso in esame opere di autori del nostro panorama contemporaneo culturale e sovente si è soffermata sul tema della donna, del suo ruolo nella società odierna e del passato, delle problematiche legate alla sua travagliata emancipazione. Con “Da Cassandra a Dora Maar” (2006) ripropone le infinite donne da lei ritratte nei versi per continuare un omaggio ad esse e a lei stessa. Inserita in moltissime antologie, tra cui l’ “Enciclopedia degli Autori Italiani” (2003), “Cristàlia” (2003), “8 Marzo” (2004), “Felicità di parole...” (2004), “Cluvium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005) eccetera. Sempre sul tema della donna ha scritto un saggio sulla poetessa Emily Dickinson. Pluriaccademica, Senatrice dell’Accademia Internazionale dei Micenei di Reggio Calabria, collaboratrice di molte riviste, è presente in Internet con sue vetrine poe-

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tiche. Tra le sue recenti opere: “Vittorio Martin: Storia di un pittore del nostro tempo” (2005), “Insolite composizioni” - vol. VIII (2015), “Viaggio interiore” (2015), “Dalle radici alle foglie alla poesia” (2015), Una raccolta di stili (15° volume, 2015), “Percorsi di critica moderna - Autori contemporanei” (2016), Mi interrogarono le muse… (2018), “Luoghi Personali e Impersonali” (2018), “Autori contemporanei nella critica (Percorsi di critica moderna)” (2019), “Una raccolta di stili” (17° volume, 2019), “Una raccolta di stili (18° volume, 2020), “Lettera a…” (2020). ** CARLO DI LIETO – L’inconscio. La letteratura e l’”ospite inquietante” – Prefazione di Claudio Toscani; in copertina, a colori, “Ritratto della marchesa Luisa Casati con un levriero”, di Giovanni Boldini – Marsilio Editori, 2020, pagg. 408. Carlo DI LIETO vive e lavora a Napoli. Docente di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, è assiduo collaboratore delle riviste “Ariel”, “Misure Critiche”, “Riscontri”, “Silarus”, “Vernice”, “Nuova Antologia” e fa parte della Redazione di “Gradiva”, oltre che di “Vernice” e de “Il Pensiero Poetante”. Ha a suo attivo pubblicazioni inerenti al rapporto Letteratura/Psicanalisi e saggi critici, in chiave psicanalitica, sulla produzione pirandelliana, su Carducci, Leopardi e Pascoli, sulla poesia Otto- Novecento e su quella contemporanea. Critico militante, collabora a quotidiani con articoli letterari. Inoltre, ha scritto saggi su Papini, Bonaviri, Colucci, Mazzella, Calabrò e Fontanella e le seguenti monografie: “Pirandello e <la coscienza captiva>” (2006), “La scrittura e la malattia. Come leggere in chiave psicanalitica <I fuochi di Sant’Elmo> su Carlo Felice Colucci” (2006), “L’identità perduta”. Pirandello e la psicanalisi” (2007), “Pirandello Binet e “Les altérations de la personnalité” (2008), “Il romanzo familiare del Pascoli delitto, “passione” e delirio” (2008), “Francesco Gaeta la morte la voluttà e “i beffardi spiriti” “ (2010), “La bella Afasia”, Cinquant’anni di poesia e


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scrittura in Campania (1960 - 2010) un’indagine psicanalitica” (2011), “Luigi Pirandello pittore” (2012), “Psicoestetica” il piacere dell’analisi” (2012), “Leopardi e il “mal di Napoli” (1833 - 1837) una “nuova” vita in “esilio acerbissimo” (2014), “La donna e il mare. Gli archetipi della scrittura di Corrado Calabrò” (2016). Vincitore per la saggistica del 1° Premio del XLI Premio Letterario Nazionale, “Silarus” 2009, del 1° Premio Letterario internazionale 12a edizione “Premio Minturnae” 2009 e del 1° Premio Letterario Internazionale per la saggistica “Emily Dickinson”, XVII edizione 2013-2014. Componente della giuria del “Premio Corrado Ruggiero”, per la poesia e la narrativa italiana; socio dell’Accademia Internazionale “Il Convivio” e dell’Unione Nazionale Scrittori e Artisti. I suoi testi sono in adozione presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, l’Accademia di Belle Arti di Napoli e presso la Cattedra di Lingua e Letteratura italiana dell’ Università Statale di New York. Dirige la collana “Letteratura e Psicanalisi” della Genesi Editrice e dal 2013 è componente la giuria del Premio Nazionale di Poesia, Narrativa e Saggistica “I Murazzi”. Altre sue opere: “La coscienza captiva” in Maliardaria di Fabio Dainotti (2006), “Scena onirica” e “radialità dell’immaginario” nell’opera di Ugo Piscopo (2020). ** CARLO DI LIETO – “Scena onirica” e “radialità dell’immaginario” nell’opera di Ugo Piscopo – Prefazione di Felice Piemontese e Postfazione di Matteo Palumbo – Edizioni Scientifiche Italiane, 2020, pagg. 334, € 38,00. ** FABIO DAINOTTI – Ultima fermata. Poesie e racconti in versi, con una nota i Luigi Fontanella – Edizioni La Vita Felice, 2021 – Pagg. 60, € 12,00. Fabio DAINOTTI è NATO A Pavia, ma vive a Cava de’ Tirreni (Salerno). Poeta e saggista, è presidente onorario di Lectura Dantis Metelliana ed è condirettore dell’annuario di poesia e teoria “Il Pensiero poetante”. Ha pubblicato: L’araldo allo

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specchio (prefazione di Francesco D’Episcopo, 1996), La ringheria (con nota di Vincenzo Guarracino, 1998), Ragazza Carla Cassiera a Milano (2001), Un mondo gnomo (2002), Ora comprendo (prefazione di Luigi Reina, 2004), Selected Poems (2015), Lamento per Gina e altre poesie (Premio I Murazzi, Torino 2015), Requiem For Gina’s Death And Other Poems/Lamento per la morte di Gina (2019), Poesie controcorrente e racconti in versi (2020). ** FORTUNATO ALOI – Inquiete faville di Dio – Introduzione dell’Autore e Nota di Riccardo Colao – Titani Editori, 2020 – Pagg. 58, € 10,00. Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è nato a Reggio Clabria l’otto dicembre 1938 ed è stato per anni docente nei vari licei della Città. Sin da giovanissimo ha operato nel mondo della politica, da quella universitaria alla realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itinerario: da consigliere comunale nella sua Città ed in altri centri della provincia (Locri) a consigliere provinciale, da consigliere regionale a deputato. Come parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato temi di diverso genere ed in particolare si è occupato, con grande impegno, di scuola, cultura e di Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottosegretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale della Destra calabrese, ed anche Segretario per la Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Presidente dell’ Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e la Lucania, è componente la Direzione nazionale del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attualmente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”. Autore di numerose pubblicazioni di storia, pedagogia, saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto riconoscimenti di valore scientifico come il “Premio Calabria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Caterina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio letterario saggistica storica (1995) per il volume “Reggio Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto”


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(2004). Altri suoi lavori: La Questione Meridionale: radici, inadempienze e speranze (1985), “Cultura senza egemonia (Per un umanesimo umano)” (1997), Ricordi liceali (2001), Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004), “Tra gli scogli dell’Io” (2004), “<Neutralismo> cattolico e socialista di fronte all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale” (2007), “Riflessioni politico-morali e attualità dei valori cristiani” (2008), “Piccolo Taccuino di Viaggio” (2009), “La Chiesa e la Rivolta di Reggio” (2009), “Vox clamantis... Come può morire una democrazia” (2014), “Per lo Stato contro la criminalità” (2017), Vaganti… frammenti di io (2017). ** MARCELLO FOIS – Ti ho fatto male – Ed. La Stampa/La Repubblica, 21 novembre 2020 – Pagg. 48. Marcello FOIS, scrittore, poeta, saggista, commediografo, sceneggiatore, è nato a Nuoro il 20 gennaio 1960 e si laurea in Italianistica all’università di Bologna. Tra le sue opere: Ferro recente (1992), Falso gotico nuorese (1993); Meglio morti (1993), Il silenzio abitato delle case (1996), Gente del libro (1996), Sheol (1997), Nulla (1997), Radiofavole (racconti in musica con CD; con Fabrizio Festa (1998),Gap (1999), Sangue dal cielo (1999), Sola andata (1999), Cerimonia (2000), Compagnie difficili (2000), Dura madre (2001), Piccole storie nere (2002), L'altro mondo (2002), Materiali (2002), Tamburini. Cantata per voce sola (2004), Memoria del vuoto (2006), L'ultima volta che sono rinato (2006), In Sardegna non c'è il mare. Viaggio nello specifico barbaricino (2008), Stirpe (2009), Paesaggi d'autore (2010), Paesaggi d'autore. Itinerari turistici (2011), Carne (2012), Nel tempo di mezzo (2012), L'importanza dei luoghi comuni (2013), Luce perfetta (2015), Ex voto (2015), La formula esatta della rivoluzione (2016), Manuale di lettura creativa (2016), Quasi Grazia (2016), Del Dirsi Addio (2017), L'infinito non finire (2018), Tuttinuoresi (2018), Renzo, Lucia e io. Perché "I Promessi sposi" è un romanzo meraviglioso (2018), Pietro e Paolo (2019).

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** GIAMPAOLO SIMI – Il comandante Oberdan – Un’indagine di Dario Corbo – Ed. La Stampa/La Repubblica, 22 novembre 2020, pagg. 46. Giampaolo SIMI è nato a Viareggio il 10 settembre 1965 e ha frequentato il liceo classico Giosuè Carducci. Giornalista, scrittore, sceneggiatore; collabora a Il Tirreno, La Repubblica; ha ottenuto numerosi premi. Tra le sue opere: Il buio sotto la candela (1996), Direttissimi altrove (1999), Tutto o Nulla (2000), L'occhio del rospo (2001), Caccia al re (2001), Figli del tramonto (2002), Il corpo dell'Inglese (2004), Rosa Elettrica (2007), La notte alle mie spalle (2012), Cosa resta di noi (2015), La ragazza sbagliata (2017), Come una famiglia (2018), I giorni del giudizio (2019), L'estate di Piera (2020). ** FRANCESCO RECAMI – Ottobre in giallo a Milano – Una indagine di Amedeo Consonni, Ed. La Stampa/La Repubblica, 28 novembre 2020 – Pagg. 46. Francesco RECAMI è nato a Firenze il 24 agosto 1956. Numerose le sue opere, tra le quali segnaliamo: Assassinio nel Paleolitico (1997); Trappola nella neve (1997), Celti e vichinghi (1998),Vichinghi e antichi anglosassoni (2001), L'errore di Platini (2006), Il correttore di bozze (2007), Il superstizioso (2008), Il ragazzo che leggeva Maigret (2009), Prenditi cura di me (2010), La casa di ringhiera (2011), Gli scheletri nell'armadio (2012), Il segreto di Angela (2013), Il caso Kakoiannis-Sforza (2014), L’uomo con la valigia (2015), Morte di un ex tappezziere (2016), Commedia nera n. 1 (2017), Il diario segreto del cuore (2018), La clinica Riposo & Pace. Commedia nera n. 2 (2018), La verità su Amedeo Consonni (2019), L'atroce delitto di via Lurcini. Commedia nera n. 3 (2019), La cassa refrigerata (2020).

TRA LE RIVISTE SÌLARUS – Rassegna bimestrale di cultura fondata da Italo Rocco e diretta da Pietro


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Rocco – via Buozzi 47 – 84091 Battipaglia (SA) – e-mail: lorenzorocco@virgilio.it – Riceviamo, inviatici dall’amico Prof. Carlo Di Lieto, i numeri 332 e 333, rispettivamente del novembre/dicembre 2020 e del gennaio/febbraio 2021, con le firme, nel primo fascicolo, di: Pietro Rocco, Antonietta Benagiano, Alessandro Di Napoli, Luigi Ferrara, Lorenzo Rocco, Claudio Toscani, Carmela Parlato, Marcello De Simone, Giorgio Colombo, Fabio Dainotti, Maria Luisa Bressani e, nel fascicolo 333, di: Lorenzo Rocco, Michele (Lillino) D’Orsi, Stefano Pignataro, Anna Signorino, Luigi Ferrara, Nicola Prebenna, Giuseppe Gargano, Marcello De Simone, Paolo Saggese, Mario Lunetta, Maria Daniela Pierri, Giorgio Colombo, Furio Allori. * ILFILOROSSO – semestrale di cultura, direttore responsabile Valter Vecellio, direttore Luigina Guarasci – via Marinella 4 – 87054 Rogliano (CS) – e-mail: info.ilfilorosso@gmail.com – Riceviamo il n. 69, luglio-dicembre 2020, con le firme di: Gina Guarasci, Valter Vecellio, Raffaele Guadagnin, Lorenzo Coscarella, Pierluigi Pedretti, Francesco Graziano, Pasquale Emanuele, Enzo Ferraro, Franco Araniti, Pasquale Scarpita, Antonio Avenoso, Lella Buzzacchi, Simone Francesco Mandarini, Leonardo Pelagalli, Nikos Milòpulos, Ettore Marino, Michele Lalla, Maria Virginia Basile, Paolo Ragni, Maria Lenti, Carmine Chiodo, Rosa Dileo. * LETTERATURA E PENSIERO – Trimestrale di scienze umane diretto da Giuseppe Manitta – via Pietramarina-Verzella 66 – 95012 Castiglione di Sicilia (CT) – e-mail: giuseppemanitta@ilconvivio.org – Riceviamo il n. 6, ottobre-dicembre 2020, con le firme di: Vittorio Capuzza, Giuseppe Rando, Marilena Genovese, Angelo Manitta, Carmine Chiodo, Giorgio Moio, Giuseppe Piazza, Bruna Pandolfo, Alfio Grasso, Stefano Cazzato, Fabio Russo, Claudio Toscani, Claudio Tugnoli, Corrado Calabrò, Michela Donatelli, Marco Pavoni, Piero Antonio Toma, Carlo Di Lieto,

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Maristella Dilettoso. * KAMEN’ – rivista di poesia e filosofia diretta da Amedeo Anelli – Libreria Ticinum Editore – via Bidone 20 – 27028 Voghera (PV) – email: amedeo.anelli@alice.it – Riceviamo il n. 57-58, giugno 2020 – gennaio 2021. Ecco il sommario: Kamen’/Giuseppe Baretti, saggi a cura di Amedeo Anelli: Amedeo Anelli: Baretti intellettuale europeo; Daniela Marcheschi: Giuseppe Baretti: un classico come prisma per rileggere la letteratura; Gandolfo Cascio: “More virility of Thought and Vigour of Stile than any other Poem antient or modern”: Baretti patrono di Dante. Poesia/Miklavž Komelj: Miklavž Komelj Poesie. Umorismo/Roberto Barbolini: Roberto Barbolini: Il Tovagliolo di Formaggino. Quando ridere è volare con una torre; Roberto Barbolini: Racconti. * L’ORTICA – pagine di informazione culturale, direttore Davide Argnani – via Paradiso 4 – 47121 Forlì – e-mail: orticadonna@tiscali.it – Riceviamo il n. 127, luglio-settembre 2020, con firme di: Claudia Bartolotti, Davide Argnani, Gian Piero Stefanoni, Graziella Poluzzi, Giampaolo Chiarelli, Alessia Rovina, Corrado Calabrò, Giulio Stocchi, Josef Pascal Virvall eccetera. * FLORILÈGE – Rivista trimestrale di creazione letteraria e artistica, diretta da Stéphen Blanchard - 19 allée du Mâconnais, 21000 Dijon, Francia. E-mail: aeropageblanchard@gmail.com - Riceviamo il n. 182, marzo 2021, con in prima di copertina, a colori, in quarta e alle pagine 28 e 29, le belle riproduzioni delle opere poetiche di Albena Vatcheva, pittrice nata a Sofia, in Bulgaria, nel 1967. Tra i numerosissimi poeti, oltre il direttore, troviamo Irène Clara, la quale, tra l’altro, recensisce numerose riviste, compreso il numero di novembre 2020 di Pomezia-Notizie (a pag. 30). Tante le rubriche, le foto e opere degli artisti: Loui Jover, Arfoll, Lidia Wylangowska, Marc Andriot, Cécile Cayla-Boucharel, Jeff. Invitiamo a collaborare e ad abbonarsi,


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perché veramente meritevole. * L’ATTUALITÀ mensile di società e cultura fondato e diretto da Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini – via Lorenzo il Magnifico 25 – 00013 Fonte Nuova, RM – e-mail: lattualita@yahoo.it – Riceviamo il n. 2, febbraio 2021. Tra tantissime firme, rileviamo quelle delle nostre collaboratrici Isabella Michela Affinito e Manuela Mazzola. * NUOVO DOMANI SUD – Periodico di informazione politica e culturale, direttore Fortunato Aloi, responsabile Pierfranco Bruni – via S. Caterina 62 – 89121 Reggio Calabria. Riceviamo il n. 1, gennaio-febbraio 2021. * MAIL ART SERVICE – Bollettino dell’Archivio di Mail Art e Letteratura “L. Pirandello” di Sacile, diretto da Andrea Bonanno – via Friuli 10 – 33077 Sacile (PN) – E-mail: postmaster@andreabonanno.it – Riceviamo il n. 113, marzo 2021, dal quale segnaliamo: “La pittura di Domenico Antonio Tripodi fra amori ecologici e le spirituali verifiche del sommo Dante”, di Andrea Bonanno; “Retrospettiva di Giulia Napoleone “Viaggi e costellazioni alla ricerca dell’infinito” – Opere 1956 – 2020”, a cura di Sandro Bongiani.

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Un libro da leggere e da regalare:

…Tutto il libro ricostruisce, attraverso lo scheletro autobiografico ricavato dalla vita dell’autore, un ricco mosaico che racconta la personalità comune a tutti gli uomini di buona volontà: essere alacri sognatori onesti e straordinariamente operosi, impegnati a difendere e diffondere la giustizia, la libertà, l’uguaglianza nel tentativo assai difficoltoso di fare circolare aria nuova nel mondo in cui viviamo, continuamente osservato per ciò che è nella realtà e prospetticamente vagheggiato per ciò che potrebbe essere nella ricostruzione che noi rielaboriamo con la nostra cultura.

Sandro Gros-Pietro Genesi Editrice – via Nuoro 3 – 10137 Torino – genesi@genesi.org; http://www.genesi.org – Pagine 210, € 12,00 AI COLLABORATORI

Domenico Defelice: La stalla ↑ e Sulla scrivania (biro) ↓

Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione o altro) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute); per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. Il mensile è disponibile sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ Per eventuali versamenti, assolutamente volontari: Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009


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