Anno pastorale 2014 2015 web

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VOCE per la COMUNITA’

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO Ottobre 2014

la gioia del Vangelo edifica la comunità

Gv 20,21

NOTIZIARIO PASTORALE INIZIO ANNO PASTORALE 2014-2015


RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI

Licini don Raffaele, parroco cell. 3283108944 e-mail parrocchia: info@parrocchiebotticino.it Segreteria Unità Pastorale tel. 0302692094 Segreteria Unità Pastorale fax 0302193343 Salvetti don Luigi tel. 0303756648 Loda don Bruno tel. 0302199768 Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881 Scuola don Orione tel. 0302691141 sito web : www.parrocchiebotticino.it Suore Operaie abit. villaggio 0302693689 Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138

BATTESIMI

sabato 18 e domenica 19 ottobre 2014 domenica 7 e lunedì 8 dicembre 2014 sabato 10 e domenica 11 gennaio 2015 I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e sulla data della celebrazione, il parroco personalmente o tel.3283108944

PRESENTAZIONE

All’inizio del nuovo anno pastorale il Notiziario per le famiglie delle tre Parrocchie di Botticino. E’ un notiziario-documento perchè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale, compreso quello sulla conoscenza della Bibbia e del cammino di Chiesa universale,diocesana e parrocchiale. Viene riportata la lettera del Vescovo per l’anno pastorale 2014-2015. Gli argomenti vengono presentati con un linguaggio comprensibile a tutti e servono per essere aggiornati e istruiti nelle cose che riguardano il nostro essere Chiesa. Non va letto tutto d’un fiato, ma gustato e meditato pagina per pagina. Contiene un inserto che presenta la figura del papa bresciano Paolo VI in occasione della sua Beatificazione. E poi le pagine riguardanti la caritas, le missioni, l’oratorio, la scuola don Orione, attività di volontariato, ricreative e sportive. LUNEDI’

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI” PARROCCHIE DI BOTTICINO

CASA RIPOSO ore 16,45 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

MARTEDI’

ORARI S.MESSE da ottobre 2014

Festive del sabato e vigilia festivita’ SERA VILLAGGIO ore 16,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

MATTINA SAN NICOLA ore 18,00 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 17,30

MERCOLEDI’

MATTINA MOLVINA ore 17,00

(fino al 19 novembre poi è alle ore 18,00 in chiesa)

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,30

Festive della domenica e festivita’ SERA PARROCCHIALE ore 8,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 9,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00 SERA PARROCCHIALE ore 10,45 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

GIOVEDI’

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 MATTINA S.NICOLA ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00 (fino al 30 ottobre è alle ore 17,00 al cimitero)

VENERDI’ SAN GALLO TRINITA’ ore

17,30 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 (fino al 24 ottobre è alle ore 18,00 al cimitero)

SERA PARROCCHIALE ore 18,30

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all’inizio di un nuovo anno pastorale

Carissimi è terminato il periodo estivo, che è stato di lavoro per alcuni, di ferie per altri, con momenti di riflessione e di preghiera ma anche di svago o di distrazione per altri. Anch’io avrei desiderato un po’ più riposo, ma non sempre ciò che si desidera è possibile. Come ogni anno il tempo scorre rapidamente e anche l’estate - anche se poco ha avuto di estate - sta per lasciare corso all’autunno imminente. L’attività e la vita stessa della parrocchia riflette il passaggio delle stagioni, nel senso che vi sono attività proprie di ogni periodo dell’anno; è inevitabile che ciò accada, perché la vita di una comunità cristiana è vita reale che subisce gli influssi della vita delle persone, la chiusura e la riapertura delle scuole, le ferie dal lavoro... La vita estiva della parrocchia non si spegne e non rallenta ma, semplicemente, essa muta. Alcuni aspetti rimangono però immutati anche durante il tempo estivo: la vita liturgica soprattutto, la celebrazione dei sacramenti, le esequie. Tuttavia ciò che caratterizza maggiormente l’estate è la possibilità di vivere esperienze di fraternità e di comunione di vita che in altri momenti dell’anno sarebbe più difficile proporre e vivere. Incomincia così con il mese di ottobre un nuovo anno pastorale, il 12° della mia presenza a Sera, l’11° a San Gallo, il 5° a Mattina, tra voi, con voi e per voi. Lo inizio con un po’ di trepidazione per i miei limiti e per i vari problemi che il ministero di parroco mi pone. Nutro però anche tanta speranza perché so che Gesù è con me, con noi, perché so di poter contare su tante persone corresponsabili, con spirito di collaborazione e di unità nel lavoro pastorale. Un nuovo anno pastorale è un’occasione splendida che il Signore ci offre per sperimentare sempre più la sua meravigliosa presenza nella nostra vita. Il tempo non è uno sterile correre di eventi che si susseguono senza significato; al contrario è un’occasione di grazia per accorgerci che la nostra vita con la sua meravigliosa bellezza e le sue profonde contraddizioni è follemente amata da Dio. Vorrei raggiungere ciascuno e dire: “Tu sei importante per Dio, non temere gli insuccessi, i fallimenti, le precarietà dell’esistere, tu sei molto di più…”. In questo anno la Parola di Dio continuerà ad essere il faro luminoso da riscoprire: come comunità credente vogliamo riscoprire che niente può aiutare la nostra vita a crescere come fa la Parola di Dio. Custodendo, leggendo, meditando, interpretando la Sacra Scrittura ci si accorge di essere da Lei custoditi, letti, illuminati, interpretati. Carissimi amici, con tanta semplicità e con commozione sento di dire che mi accorgo che queste nostre comunità stanno crescendo nell’amore verso il Signore e nella consapevolezza che vivere il Vangelo umanizza la vita. E’ il Signore che sta guidando i nostri passi; solo Lui può compiere meraviglie di grazie con la nostra pochezza, Lui è vivo e questo ci riempie di profondo stupore. Lui vogliamo portare, solo Lui vogliamo annunciare; desideriamo profondamente che solo Lui regni nei cuori di ciascuno. Sarebbe bello far sentire il cuore di noi credenti soprattutto a chi ci sente lontano: per dire in nome Suo che li amiamo profondamente, che desideriamo che le nostre Parrocchie siano casa accogliente per ciascuno, palestra di “uomini nuovi” che insaporiti del Vangelo possano fare bella e nuova la nostra vita personale e comunitaria. Il nostro impegno principale, anche in questo nuovo anno pastorale, sarà quindi conoscere, seguire, annunciare, testimoniare Gesù Cristo con il suo Vangelo, la Buona Notizia, il Vangelo della gioia. Tante sono le iniziative che umilmente verranno proposte, ma la realtà più grande, dove ogni giorno è portato tutto Botticino, è l’Eucarestia. Nulla di più prezioso avviene ogni giorno - e in particolare ogni domenica - nel nostro paese: Cristo sull’altare dona tutto se stesso per sostenere la vita di ciascuno, per incoraggiare i passi stanchi, per consolare i cuori segnati dal dolore della vita, per gioire con le tante genuine gioie umane che toccano la vita di ciascuno. Sarebbe lungo ora descrivere le proposte formative che in Suo nome ci impegniamo a vivere. Ognuno potrà cogliere ciò che è a “misura della propria vita” e scegliere di provare a compiere un cammino di fede che lo aiuti a riscoprire la bellezza della propria esistenza. Buon cammino! Il Signore benedica ogni cuore. don Raffaele 3


diocesi in cammino - diocesi in cammino - diocesi in cammino - diocesi in cammino - d

IL VESCOVO DI BRESCIA

Lettera per l’anno pastorale 2014-2015 A tutti i presbiteri della Chiesa Bresciana insieme a tutte le comunità cristiane.

Fratelli carissimi, l’appuntamento che ci attende prossimamente, come sapete, è quello della beatificazione di Papa Paolo VI. A questo ci stiamo preparando al meglio e, proprio per far tesoro della ricchezza che tale Anno pastorale avvenimento porta con sé, si è pensato per nostra diocesi ad un “Anno 2014-2015 Montiniano” (dal 19 ottobre 2014, data della beatificazione, all’8 dicembre 2015, cinquantesimo della conclusione del Concilio). Di questo verrà data apposita comunicazione in una lettera di indizione di tale Anno. Il cammino pastorale delle nostre comunità, oltre che da tale evento particolare, è tuttavia segnato anche da altri impegni, che brevemente richiamo. Anzitutto in questo anno pastorale 2014-2015 vogliamo essere attenti alle sollecitazioni che ci vengono dalla Chiesa universale. Come sapete, sarà un anno dedicato alla vita consacrata e Dio sa quanto sia importante, in questo momento della nostra storia, cercare di capire e di vivere nel modo migliore questo straordinario dono di Dio al mondo. La diminuzione delle vocazioni di speciale consacrazione è chiaramente un segno della fatica che la nostra fede fa ad affermarsi nella società contemporanea. La vita consacrata, infatti, manifesta nel modo più chiaro la trascendenza della fede rispetto al mondo e agli interessi del mondo: se la vita consacrata arranca, vuol dire che stiamo diventando troppo ‘mondani’, che la nostra speranza ha il fiato corto, che la nostra testimonianza rischia di sciogliersi in un conformismo banale. Abbiamo bisogno di riscoprire la ‘diversità’ della fede rispetto al successo mondano; di tenere viva la tensione gioiosa verso il Regno di Dio. Vorremmo perciò, in questo anno, farci ascoltatori attenti di ciò che i nostri fratelli e le nostre sorelle consacrate hanno da insegnarci e da chiederci. Abbiamo chiaramente bisogno di loro, così come essi hanno bisogno del tessuto ecclesiale per poter dare senso alla loro esperienza di fede e di comunità. Ancora: l’anno che iniziamo sarà un anno nel quale saremo chiamati a riflettere anche sul valore e sulla forma della famiglia nel mondo. La riflessione sinodale che si sta sviluppando nella Chiesa è decisiva per il futuro della pastorale. La famiglia è e deve diventare sempre più il soggetto primo della trasmissione della fede e si capisce bene quanto questo obiettivo sia difficile nel contesto della cultura attuale. Il “Vangelo della famiglia” deve apparire quello che è: un Vangelo, cioè l’annuncio di una buona notizia che viene dall’azione di Dio e che si realizza in un modo pieno di vivere l’esperienza dell’amore umano; la fedeltà, la durata nel tempo, la fecondità sono altrettanti doni che permettono di vivere con stupore e con riconoscenza l’esperienza familiare. Ma questa dimensione fatica ad essere capita e vissuta da tanti. Il dono irrevocabile di sé è culmine dell’esperienza dell’amore, ma richiede una capacità di rischiare (e quindi una fede) per la quale non siamo pronti; vale molto per noi il rimprovero che Gesù rivolgeva ai suoi discepoli: “Uomini di poca fede, perché dubitate?”. La nostra azione pastorale avrà molto da fare per giungere a sostenere le famiglie nel loro cammino di fede e di amore. Dal Sinodo dei Vescovi attendiamo indicazioni che orientino la nostra riflessione e il nostro impegno. Come Chiesa italiana ci avviamo al 5° Convegno ecclesiale nazionale, che si terrà a Firenze nel novembre 2015 sul tema In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Sarà anche questa un’occasione particolare per il nostro impegno di Chiesa che cammina sulle strade dell’uomo e che proprio per questo trova modo di presentarsi, come diceva Paolo VI, “esperta in umanità”. È inoltre risaputo che, con l’aiuto dell’Università Cattolica, abbiamo impostato un’inchiesta per verificare l’andamento dell’ICFR dopo questi anni di sperimentazione. L’ho già detto più volte e non cambio parere: l’ICFR è stata una scelta straordinaria che la Chiesa bresciana ha fatto per rispondere creativamente alla sfida che la cultura contemporanea pone alla fede. Non rendersene conto significa essere ciechi sulla situazione concreta nella quale operiamo e nella quale dobbiamo cercare di trasmettere la fede alle nuove generazioni. Proprio per questi motivi nessuno può pensare che esista una soluzione perfetta, capace di garantire la fede dei ragazzi che crescono. Noi possiamo solo fare la proposta cristiana nel modo più chiaro e più completo possibile. La ri4


diocesi in cammino - diocesi in cammino - diocesi in cammino - diocesi in cammino sposta dipenderà dalla libertà delle persone e, anche, dal contesto culturale in cui esse operano. Che questo contesto non sia favorevole alla trasmissione dei valori tradizionali non ha bisogno di essere dimostrato tanto appare evidente. Il cammino sarà dunque difficile e lungo; ma a noi non viene chiesto di ‘vincere’; viene chiesto di essere fedeli e gioiosi nell’offrire a tutti il dono dell’amore di Dio in Gesù Cristo. A questo tende l’ICFR e per questo l’ho sostenuta e la sosterrò ancora. Come tutte le cose umane, anche l’ICFR ha bisogno, però, di verifica, di revisione, di correzione, di arricchimento. A questo tende l’inchiesta che abbiamo impostato e alla quale spero vorranno rispondere in molti. Abbiamo bisogno di pareri, di suggerimenti, di proposte per trovare le vie più efficaci del Vangelo oggi. In ottobre avverrà l’inizio ufficiale del cammino dell’Unità Pastorale delle parrocchie di Toscolano, Maderno, Montemaderno, Cecina, Fasano e Gaino e anche altre parrocchie durante il prossimo anno pastorale inizieranno questa nuova esperienza, frutto del nostro Sinodo sulle Unità Pastorali del 2012. Come non posso dimenticare che il Consiglio Pastorale Diocesano, al termine del suo mandato quinquennale, offrirà un progetto di pastorale missionaria, frutto di un particolare lavoro di discernimento comunitario; insieme inoltre accoglieremo il nuovo progetto educativo dell’oratorio. Fratelli carissimi, questi sono i temi più importanti che guideranno il nostro cammino nell’anno pastorale 2014-2015 e, come vi sarete accorti, la carne al fuoco è tanta. Non posso che esortare me e voi a vivere questo anno che inizia In nomine Domini (Paolo VI), riconoscendo in tutti gli eventi la chiamata a realizzare sempre più pienamente il nostro ministero. Vi ricordo al Signore nella preghiera quotidiana e vi chiedo una preghiera anche per me.

† Luciano Monari Vescovo di Brescia

LETTERA ALLA DIOCESI PER L’INDIZIONE DI UN “ANNO MONTINIANO”

19 ottobre 2014 - 8 dicembre 2015 Carissimi nel Signore, la beatificazione di Papa Paolo VI il prossimo 19 ottobre è motivo di gioia grande per la Chiesa bresciana; ma deve diventare anche l’occasione per riscoprire la figura di questo grande Papa e accogliere l’insegnamento che attraverso di lui il Signore vuole donarci. Non abbiamo la possibilità di fare molto in preparazione all’evento, che viene immediatamente dopo la pausa estiva. Ho pensato, perciò, di valorizzare il tempo che seguirà la beatificazione e di indire un “Anno Montiniano”, che andrà dal 19 ottobre 2014 (data della beatificazione) all’8 dicembre 2015 (cinquantesimo di chiusura del Concilio) e che permetterà alla nostra diocesi di riflettere sulla figura del beato, sul suo insegnamento, sui valori che hanno illuminato la sua esistenza e possono illuminare la nostra. Paolo VI è il Papa del Concilio. Se il Concilio è riuscito a giungere a termine assorbendo tensioni, creando ponti tra posizioni diverse, giungendo a conclusioni praticamente unanimi, lo si deve alla pazienza, alla lucidità, alla capacità di ascolto e di mediazione di questo grande Papa. Lo si deve, più in profondità, al suo amore senza riserve e senza condizioni nei confronti della Chiesa. Montini è cresciuto in un tempo nel quale la Chiesa “rinasceva nel cuore degli uomini” e si prendeva coscienza sempre più chiaramente che essa, prima di essere istituzione, è mistero della presenza di Cristo nella storia; nella coscienza di fede di Montini la Chiesa era davvero presente con un’immagine luminosa, positiva, senza ombre. Nello stesso tempo Paolo VI è stato un ascoltatore attento del mondo, della cultura contemporanea nelle sue molteplici e complesse manifestazioni. Basta leggere la sua prima enciclica, la Ecclesiam Suam, per intuire il suo modo di accostare le persone, i problemi, le idee che si confrontano nell’arena del mondo d’oggi. La Missione popolare a Milano è stata un’altra espressione della sua volontà di far conoscere agli uomini il mistero di Dio con il massimo di chiarezza, convinto com’era che se Cristo fosse conosciuto, non potrebbe essere rifiutato. Paolo VI ha immaginato e condotto il Concilio come una profonda riflessione della Chiesa su se stessa, nell’intento di permettere una riconciliazione sincera col mondo contemporaneo. La frattura tra fede e vita era per lui la vera sfida da affrontare e superare, perché il messaggio evangelico potesse essere capito e, in vista di questo scopo, ha operato con coerenza e perseveranza. Dire che egli ha raggiunto il suo obiettivo non sarebbe corretto. Il ‘mondo’ (cioè la cultura contemporanea nelle sue espressioni più significative) non si è lasciato raggiungere così facilmente e spesso ha risposto all’attenzione e all’amore della Chiesa con l’indifferenza se non con l’aggressività. Ma proprio per questo il messaggio e la testimonianza di Papa Montini divengono ancora più significativi. In qualche modo Paolo VI ha trasmesso a noi il testimone, chiedendoci di continuare lealmente il suo impegno. Forse, però, l’aspetto più interessante e meno noto della vita di Papa Montini è stata la sua spiritualità. A chi ripercorre i suoi discorsi e ricorda i gesti che hanno accompagnato il suo ministero, appare chiaramente la limpidezza del cuore di questo grande Papa; le motivazioni semplici e dirette dei suoi comportamenti; la ricerca appassionata della testimonianza a Gesù; il disinteresse personale. In questo egli ha molto da insegnarci; possiamo diventare umilmente suoi alunni e cercare di apprendere da lui l’arte di amare Gesù Cristo e l’arte di amare con verità l’uomo; possiamo imparare lo zelo per l’annuncio del Vangelo e le vie per un dialogo sincero e fruttuoso. Per tutti questi motivi credo che la celebrazione di un “Anno Montiniano” ci possa aiutare a prendere coscienza di questa sfida e ad assumerci più decisamente le responsabilità che ci toccano. Durante il prossimo “Anno Montinano” cercheremo di valorizzare come Chiesa bresciana tutte le occasioni per comprendere meglio la spiritualità, l’azione, la testimonianza di Paolo VI. Mentre benediciamo il Signore per quanto ha fatto attraverso il suo servo Giovanni Battista Montini-Paolo VI, Lo preghiamo perché doni alla nostra Chiesa la forza di una testimonianza forte, luminosa e intelligente. Potremo allora sentire attuali ancora oggi le parole rivolte da Paolo VI ai Bresciani: “Identificando nella posizione geografica e nella storia in cui Dio ha collocato la nostra Brescia, la missione assegnatale per il tempo presente, sappiate tenervi fede […], in modo tale che non solo voi potete avere la soddisfazione di avere un Papa per concittadino, ma a maggior ragione questo Papa è grato a Dio e riconoscente a voi d’essere Bresciano”. Tutti vi benedico In nomine Domini. +Luciano Monari, Vescovo 5


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Chiesa come famiglia domestica

La

L

a Chiesa è, secondo il Nuovo Testamento, la casa di Dio (1 P^2,5; 4,17; 1 Tm 3,15; Eb 10,21). La liturgia spesso definisce la Chiesa, familia Dei. Deve essere casa per tutti: in essa tutti devono potersi sentire a casa e come in famiglia. Della casa, spesso nel mondo antico facevano parte, accanto al capo famiglia, alla moglie e ai figli, anche i parenti che vivevano in casa, gli schiavi e sovente anche amici o ospiti. E a questo contesto che dobbiamo pensare quando della comunità dei primordi ci viene raccontato che i primi cristiani si riunivano nelle case (At 2,26; 5,42). Più volte si parla di conversione di intere case (11,14; 16,15.31.33). In Paolo la Chiesa era ordinata secondo case, vale a dire Chiese domestiche (Rm 16,5; 1 Cor 16,19; Col4,15; Fm 2). Costituivano per lui un punto di appoggio e di partenza nei suoi viaggi missionari, erano centro della

fondazione e pietra per la costruzione della comunità locale, luogo di preghiera, d’insegnamento catechetico, di fratellanza cristiana e di ospitalità verso i cristiani di passaggio. Prima della svolta costantiniana probabilmente erano anche luogo di incontro per la celebrazione della cena del Signore. Anche in seguito, nella storia della Chiesa le Chiese domestiche hanno svolto un ruolo importante: occorre ricordare, in particolare, le comunità laiche già nel Medioevo, le comunità pietistiche e le chiese libere, dalle quali, da questo punto di vista, abbiamo qualcosa da imparare. Nelle famiglie cattoliche c’erano, e tuttora ci sono, piccoli altari domestici (angoli del crocifisso), presso i quali riunirsi la sera o in momenti particolari (Avvento, vigilia di Natale, situazioni di bisogno e di calamità e così via) per pregare insieme. Vale pensare anche alla benedizione dei genitori ai figli, ai simboli religiosi, soprattutto il crocifisso nell’abitazione, l’acqua santa per ricordare l’acqua battesimale e altro ancora. Queste belle usanze della pietà popolare meritano di essere rinnovate. Il concilio Vaticano II, ricollegandosi a Giovanni Crisostomo, ha ripreso l’idea della Chiesa domestica (LG 11 ; AA 11). Quelli che nei documenti del concilio sono solo brevi accenni, nei documenti postconciliari sono diventati estesi capitoli. Soprattutto la lettera apostolica Evangelii nuntìandi, del 1975 (= EN), ha proseguito l’impulso del concilio nel dopo-con6

cilio. Ha definito le comunità ecclesiali di base come speranza per la Chiesa universale (EN 58; 71). In America Latina, in Africa e in Asia (Filippine, India, Corea e così via) le Chiese domestiche, sotto forma di “comunità di base” o di “piccole comunità cristiane”, sono diventate una ricetta pastorale di successo. In particolare nelle situazioni di minoranza, di diaspora e di persecuzione sono diventate una questione di sopravvivenza per la Chiesa. Nel frattempo gli impulsi provenienti dall’America Latina, dall’Africa e dall’Asia iniziano a dare buoni frutti anche nella civiltà occidentale. Qui, le antiche strutture della Chiesa popolare si dimostrano sempre meno solide, le aree pastorali diventano sempre più grandi e i cristiani si ritrovano spesso nella situazione di “minoranza cognitiva”. A questo si aggiunge che intanto la famiglia nucleare, sviluppatasi solo a partire dal XVIII secolo dalla grande famiglia del passato, è caduta in una crisi strutturale. Le condizioni lavorative e abitative moderne hanno portato a una separazione tra abitazione, luogo di lavoro e luoghi delle attività del tempo libero, e pertanto a una disgregazione della casa quale unità sociale. Per motivi professionali, i padri spesso devono allontanarsi dalla famiglia per periodi prolungati; anche le donne, per ragioni di lavoro, sono spesso presenti solo in parte in famiglia. A causa delle condizioni della vita attuale ostili alla famiglia, la famiglia nucleare moderna si trova in difficoltà. Nell’anonimo ambiente metropolitano, specie nelle periferie spesso desolate delle moderne megalopoli, anche le persone che non vivono sulla strada sono diventate senza patria e senza tetto in un senso più profondo. Dobbiamo costruire loro


er una nuova evangelizzazione - parrocchie, Chiesa in cammino, per una nuova evangelizzazione nuove case nel senso letterale e nel senso figurato. Le Chiese domestiche possono essere una risposta. Naturalmente non possiamo semplicemente replicare le Chiese domestiche della Chiesa dei primordi. Abbiamo bisogno di grandi famiglie di nuovo genere. Perché le famiglie nucleari possano sopravvivere, devono essere inserite in una coesione familiare che attraversa le generazioni, nella quale soprattutto le nonne e i nonni svolgano un ruolo importante, in cerchie interfamiliari di vicini e amici, dove i bambini possano avere un rifugio in assenza dei genitori e gli anziani soli, i divorziati e i genitori soli possono trovare una sorta di casa. Le comunità spirituali costituiscono spesso l’ambito e il clima spirituale per le comunità familiari. Accenni di Chiesa domestica sono anche i gruppi di preghiera, i gruppi biblici, catechetici, ecumenici. Come definire queste Chiese domestiche? Sono una ecclesiola in ecclesia, una “Chiesa in piccolo all’interno della Chiesa”. Rendono la Chiesa locale presente nella vita concreta della gente. Infatti, dove due o tre si riuniscono nel nome di Cristo, egli è in mezzo a loro (Mt 18,20). In virtù del battesimo e della confermazione, le comunità domestiche sono popolo messianico di Dio (LG 9). Partecipano alla missione sacerdotale, profetica e regale (1 Pt 2,8; Ap 1,6; 5,10; cf. LG 10-12; 20-38). Per mezzo dello Spirito santo possiedono il sensus fidei, il “senso della fede”, un senso intuitivo della fede e della pratica di vita conforme al vangelo. Non sono solo oggetto, ma anche soggetto della pastorale familiare. Soprattutto attraverso il loro esempio, possono aiutare la Chiesa a penetrare più in profondità nella Parola di Dio e ad applicarla in maniera più piena nella vita (LG 12; 35; EG 154s.). Poiché lo Spirito santo è dato alla Chiesa nel suo insieme, esse non devono isolarsi in modo settario dalla communio più ampia della Chiesa (EN 58; 64; EG 29). Questo “principio cattolico” preserva la Chiesa dalla disgregazione in singole chiese libere autonome. Attraverso tale unità nella molteplicità, la Chiesa è parimenti segno sacramentale di unità nel mondo (LG 1; 9). Le Chiese domestiche si dedicano alla condivisione della Bibbia. Dalla Pa-

rola di Dio traggono luce e forza per la loro vita quotidiana (DV 25; EG 152s.). Dinanzi alla rottura della trasmissione generazionale della fede (EG 70) hanno l’importante compito catechetico di guidare verso la gioia della fede. Pregano insieme per le proprie intenzioni e per i problemi del mondo, l’eucaristia domenicale deve essere da loro celebrata insieme all’intera comunità come fonte e culmine di tutta la vita cristiana (LG 11). Nell’ambito familiare, celebrano il giorno del Signore come giorno del riposo, della gioia e della comunione, come anche i tempi dell’anno liturgico, con le sue ricche usanze (SC 102-111). Sono luoghi di una spiritualità della comunione nella quale ci si accetta reciprocamente in spirito d’amore, di perdono e di riconciliazione, e in cui si condividono gioie e dolori, preoccupazioni e tristezze, letizia e felicità nella vita quotidiana, la domenica e nei giorni di festa17. Attraverso tutto ciò, edificano il corpo della Chiesa (LG 41). La Chiesa è per sua natura missionaria (AG 2); l’evangelizzazione è la sua identità più profonda (EN 14; 59). Le famiglie, in quanto Chiese domestiche, sono chiamate in modo particolare a trasmettere la fede nel loro rispettivo ambiente. Esse hanno un compito profetico e missionario. La loro testimonianza è soprattutto la testimonianza di vita, attraverso la quale possono essere lievito nel mondo (Mt 13,33; cf. AA 2-8; EN 21; 41; 71; 76; EG 119121). Così come Gesù è venuto per annunciare il vangelo ai poveri (Lc 4,18; Mt 11,5) e ha chiamato beati i poveri, gli afflitti, i piccoli e i bambini (Mt 5,3s.; 11,25;Lc 6,20s.), egli ha mandato anche i suoi discepoli ad annunciare il vangelo ai poveri (Lc 7,22). 7

Per questo le Chiese domestiche non possono essere comunità elìtarìe esclusive. Devono aprirsi ai sofferenti di ogni genere, alle persone semplici e ai piccoli. Devono sapere che il regno di Dio appartiene ai bambini (Mc 10,14; cf. EG 197-201). Le famiglie hanno bisogno della Chiesa e la Chiesa ha bisogno delle famiglie per essere presente al centro della vita e nei moderni ambiti di vita. Senza le Chiese domestiche la Chiesa è estranea alla realtà concreta della vita. Solo attraverso le famiglie può essere di casa dove sono di casa le persone. La sua comprensione come Chiesa domestica è quindi fondamentale per il futuro della Chiesa e per la nuova evangelizzazione. Le famiglie sono i primi e migliori messaggeri del vangelo della famiglia. Sono il cammino della Chiesa.


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La riscoperta del vangelo della famiglia

I

n quest’anno internazionale della famiglia, papa Francesco ha invitato la Chiesa a celebrare un processo sinodale sulle Sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della evangelizzazione. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (= EG) egli scrive: «La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società» (EG 66). Molte famiglie oggi devono confrontarsi con grandi difficoltà. Molti milioni di persone si trovano in situazioni di migrazione, fuga e allontanamento, oppure in condizioni di miseria indegne dell’uomo, nelle quali non è possibile una vita familiare ordinata. Il mondo attuale sta vivendo una crisi antropologica. L’individualismo e il consumismo mettono in discussione la cultura tradizionale della famiglia; le condizioni economiche e lavorative rendono spesso difficile la convivenza e la coesione in seno alla famiglia. Pertanto, il numero di coloro che hanno paura di fondare una famiglia o che falliscono nella realizzazione del loro progetto di vita è aumentato in modo drammatico, come anche quello dei bambini che non hanno la fortuna di crescere in una famiglia ordinata. La Chiesa, che condivide le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini (cf. GS I), viene sfidata da questa situazione. In occasione dell’ultimo anno della famiglia, papa Giovanni Pao-

lo II ha ritoccato le parole dell’enciclica Redemptor hominis (1979): «L’uomo è la via della Chiesa», affermando che «la famiglia è la via della Chiesa» (2 febbraio 1994). Perché normalmente la persona nasce in una famiglia e, di solito, cresce nel grembo di una famiglia. In tutte le culture della storia dell’umanità la famiglia è il normale percorso dell’uomo. Anche oggi tanti giovani cercano la felicità in una famiglia stabile. Dobbiamo però essere onesti e ammettere che tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso. L’insegnamento della Chiesa appare, anche a molti cristiani, lontano dalla realtà e dalla vita. Però possiamo anche dire - e possiamo dirlo con gioia - che ci sono anche ottime famiglie, che fanno del loro meglio per vivere la fede della Chiesa e che danno testimonianza della bellezza e della gioia della fede vissuta in seno alla famiglia. Spesso sono una minoranza, ma sono una minoranza significativa. La situazione della Chiesa di oggi non è una situazione inedita. Anzi, anche la Chiesa dei primi secoli si confrontava con concetti e modelli di matrimonio e di famiglia molto diversi da quello predicato da Gesù, che era nuovissimo sia per i giudei che per i greci e i romani. Pertanto la nostra posizione oggi non può essere un adattamento liberale allo status quo, ma una posizione radicale, che va alle radici, cioè al vangelo, e di là da uno sguardo in avanti. Così sarà compito del Sinodo parlare nuovamente della bellezza e della gioia del vangelo della famiglia, che è «sempre lo stesso», e tuttavia «sempre nuovo» (EG 11). Il presente intervento non può affrontare tutte le questioni attuali, né intende anticipare i risultati del Sinodo, vale a dire del cammino (hodós) comune (syn) dell’intera Chiesa, il cammino dell’attento ascolto reciproco, dello scambio e della preghiera.Vuole piuttosto essere una sorta di ouverture che introduca al tema, nella speranza che alla fine ci venga donata una symphónia, ovvero un

domenica 21 settembre il Vescovo ha conferito il Mandato triennale ai nuovi Ministri straordinari per la Comunione in servizio agli ammalati di Botticino COLOSIO TERZILIA ALBERTINI ADRIANA PICCINOTTI CHIARA DOLFINI ENRICA APOSTOLI ERMELINDA ROMANO PAOLO FERRARI GIUSEPPE BERTOLETTI BIANCA SCIOTTI FLAVIO FILIPPINI EDVIGE BISCELLA SR. MARIA REGINA SESANA GIOVANNI GAZZOLA OMAR BONINI SR. GEMMA STANGA LUISA GIOSSI GIOVANNI BULGARELLI GABRIELLA TAGLIETTI GIOVANNI GORNI DANIELA BUSI ADELINA TOGNAZZI SR. VINCENZA LONATI GIANNA BUSI GUERINA TOPINI ANNA MARTINELLI ENRICO CERESOLI ALDO ZILIANI ROSANGELA NOVENTA EMILIA CHIARINI GABRIELLA 8


er una nuova evangelizzazione - parrocchie, Chiesa in cammino, per una nuova evangelizzazione insieme armonico di tutte le voci nella Chiesa, anche quelle che al momento sono in parte dissonanti. Non si tratta, ora, di ribadire la dottrina della Chiesa. Ci interroghiamo sul vangelo della famiglia, e in tal mo do ritorniamo alla fonte dalla quale è scaturita la dottrina. La dottrina della Chiesa non è una laguna stagnante, bensì un torrente che scaturisce dalla fonte del vangelo, nel quale è affluita l’esperienza di fede del popolo di Dio di tutti i secoli. È una tradizione viva che oggi, come molte altre volte nel corso della storia, è giunta ad un punto critico e che, in vista dei «segni dei tempi» (GS 4), esige di essere continuata e approfondita. Che cos’è questo vangelo? Non è un codice giuridico. E’ luce e forza della vita, che è Gesù Cristo. Esso dona ciò che chiede. Solo alla sua luce e nella sua forza è possibile comprendere e osservare i comandamenti. Il vangelo della famiglia non vuole essere un peso, bensì, in quanto dono della fede, una lieta notizia, luce e forza della vita nella famiglia. Giungiamo così al punto centrale. I sacramenti, anche quello del matrimonio, sono sacramenti della fede. Il concilio Vaticano II ribadisce questa affermazione. Dice dei sacramenti: «Non solo suppongono la fede, ma [...] la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono» (SC 59). Anche il sacramento del matrimonio può diventare efficace ed essere vissuto solo nella fede. Dunque, la domanda essenziale è: com’è la fede dei futuri sposi e dei coniugi? Nei paesi di antica cultura cristiana osserviamo oggi il crollo di quelle che per secoli sono state ovvietà della fede cristiana e della comprensione naturale del matrimonio e della famiglia. Molte persone sono battezzate, ma non evangelizzate. Detto in termini paradossali, sono catecumeni battezzati, se non addirittura pagani battezzati. In questa situazione non possiamo né partire da un elenco di insegnamenti e di comandamenti, né fissarci sulle cosiddette “questioni roventi”. Non vogliamo e non possiamo aggirare queste domande, ma dobbiamo partire in modo radicale, ovvero dalla radice della fede, dai primi elementi della fede (Eb 5,12), e percorrere, passo dopo passo, un cammino di fede (FC 9; EG 34-39). Dio è un Dio del cammino; nella storia della salvezza ha compiuto un cammino con noi; anche la Chiesa nella sua storia ha compiuto un cammino. Oggi deve percorrerlo di nuovo insieme alle persone del presente. Non vuole imporre la fede a nessuno. Può solo presentarla e proporla come via per la felicità. Il vangelo può convincere solo attraverso se stesso e la sua profonda bellezza.

Rinnovo promesse Battesimo a Botticino Mattina 2° anno ICFRR 8 giugno 2014

Battesimo Botticino Mattina 8 giugno 2014

Battesimi S.Gallo 22 giugno 2014

Questo mistero è grande (Efesini 5) Gli sposi Aquila e Priscilla.

Battesimi Botticino Sera 14 settembre 2014 9


Decimo anniversario Ordinazione Diaconale di Pietro - Decimo anniversario Ordinazione Diaconale di Pietro

a Pietro, diacono Con grande gioia e gratitudine al Signore celebriamo il 10° anniversario di ordinazione diaconale di Pietro. Ogni tappa significativa della nostra vita è sempre una nuova partenza, è andare oltre, è prendere di nuovo il largo, è scrutare l’orizzonte, è volare ad alta quota nell’azzurro cielo della nostra esistenza. Quanti doni, quante gioie in questi dieci anni! Ma fermiamoci un istante e guardiamo dentro di noi per scoprire, con rinnovato stupore, il prezioso regalo della vita e della vocazione che Dio ha posto nelle tue mani e in quelle di ognuno di noi. Un dono per il quale oggi rendiamo grazie, da alimentare alla fonte della Vita, e condividere con i fratelli e in particolare con coloro che ci vivono accanto. Uno scambio di ricchezze per crescere insieme nel campo di Dio dove ognuno si sente a casa e trova anche attraverso il tuo ministero il proprio spazio per incontrare Gesù Cristo, per offrire, donare e amare, per essere ascoltati, per aprire il proprio cuore alla bellezza del Vangelo. Dalla tua bocca, parole di luce e di speranza, dal tuo cuore libertà per un ‘Amore’ più grande, dalle tue mani gesti di servizio, e mai di potere. E, lungo la strada, come accadde ai discepoli (Mt 20,25-27), non indugiare mai nei discorsi vani della carriera e del ruolo, discussioni che non sono mai piaciute a Gesù: “sono venuto per servire e non per essere servito!”(Mt 20,28) Perché il Vangelo, la Chiesa, i cristiani(vescovi, preti, diaconi e fedeli laici) sono un altro stile e un altro modo di pensare e di vivere, “tra voi non sarà così...” (Mt 20,26). Lungo la strada, al contrario, ripensa all’ apostolo Filippo: aiuta gli altri a salire sul carro, spiega le Scritture e dona la grazia dei sacramenti … e poi continua il cammino senza chiedere ringraziamenti e gratificazioni. Libero, generoso e gioioso nella tua diaconia ministeriale! Desidero che tu continui ad essere per le nostre comunità il segno luminoso della diaconia permanente di Gesù. L’icona del suo radicale rifiuto per ogni mentalità “part-time”. Il simbolo dell’antiprovvisorietà del suo servizio. Il richiamo contro tutte le tentazioni di interpretare con moduli da dopolavoro l’impegno per i poveri, la diaconia della carità, della Parola e della lode liturgica. Preti, religiosi e laici, vedendoti, si sentano messi in crisi per le resistenze nel dare al loro servizio ecclesiale lo spessore del tempo pieno. Sii un uomo liberato, non solo un uomo libero che dà il tempo libero agli altri. Quanti hanno bisogno e faticano nella vita non hanno bisogno del nostro tempo libero, ma del nostro tempo liberato, liberato dagli impegni che vi sovrastano. Sii un uomo liberato e un uomo liberatore. Grazie, perché nel solco della tradizione di queste comunità cammini con noi, condividendo con me, come primo collaboratore, il viaggio della fede, della speranza e della carità. Auguri Pietro. Con me, il popolo di Dio di Botticino, benedice te e la tua famiglia. don Raffaele, tuo parroco e ...amico. 10

Il diaconato è un ministero della soglia: il diacono riceve il Sacramento dell’Ordine Sacro nel suo primo grado (gli altri sono presbiterato ed episcopato) e normalmente continua a vivere la sua solita vita di sposo, di padre nella sua famiglia, con il suo lavoro, nella sua casa, nel suo ambiente. Il diacono non è un mezzo prete e non è neppure un laico: è un diacono! Nella maggior parte dei casi è una persona che vive contemporaneamente due sacramenti nella sua realtà personale e familiare: quello di essere ordinato, cioè di aver ricevuto l’ordine sacro, e quello di vivere nel matrimonio, di avere una moglie e una famiglia. Ci possono essere e ci sono diaconi permanenti celibi, come i sacerdoti, che fanno promessa di celibato e non possono più sposarsi. Non è un chierichetto o un sacrestano maggiore, è un diacono; è un uomo che è chiamato a vivere da cristiano non in un volontariato, che può terminare, che può non esserci, ma in una dedicazione, in una dedizione condivisa soprattutto dalla moglie e accolta e accettata dalla famiglia, in una determinata comunità cristiana. Egli è chiamato a vivere anzitutto la sua professione da cristiano, facendo bene il suo lavoro, vivendo onestamente, dando testimonianza che si può vivere anche oggi da cristiani, anche in questa società. Egli è chiamato a vivere il suo ruolo di marito e padre da cristiano; non perché si ritenga migliore degli altri, ma perché vuole dare testimonianza; non pretende di essere maestro, ma vuole essere un fratello, un amico che si pone accanto agli altri cristiani con una scelta specifica di consacrazione al servizio di Dio e dei fratelli, avvalendosi dei doni e della grazia di Dio che il Sacramento dell’Ordine gli assicura con l’assistenza e l’opera dello Spirito Santo.


Decimo anniversario Ordinazione Diaconale di Pietro - Decimo anniversario

IL

VALORE

Il valore dei carismi. Così titola la Bibbia CEI al capitolo 12 della lettera di san Paolo apostolo che rivolge ai Corinzi riguardo i carismi, doni che vengono conferiti dallo Spirito Santo ad una persona; diversità di ministeri, di attività, non per la persona, ma per il bene della comunità. I carismi devono essere accolti non soltanto per un beneficio personale, ma prima di tutto per il bene della Chiesa:” ciascuno - dice san Pietro - vive secondo il dono ricevuto, mettendolo a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio” (1Pt 4,10). In forza di questi carismi la vita della comunità è piena di ricchezza spirituale e di servizi di ogni genere. La diversità è necessaria per una ricchezza spirituale più ampia; ognuno dà un contributo personale che altri non danno. La comunità esprime il corpo di Cristo. Nell’unico corpo ciascuno deve svolgere il proprio ruolo secondo il carisma ricevuto. Una grossa responsabilità ha la persona verso Dio, che gli ha conferito un determinato carisma. Ricordiamo tutti la parabola dei talenti, di quell’uomo che partendo per un viaggio, chiamò i servi e consegno loro i suoi beni. Distribuì i talenti secondo le capacità di ciascuno, poi partì. Al suo ritorno chiese conto, complimentandosi con quelli che li avevano fatti fruttare, ma si indignò con il servo pigro che per paura di perderlo , lo nascose sotto terra. In questi dieci anni ho pensato e ripensato più volte al mio essere diacono, alla vocazione inserita nella mia famiglia, condivisa con Romina e testimoniata a Filippo e Chiara, alla responsabilità verso una comunità parrocchiale, che guarda con attenzione e curiosità a questo ministero ecclesiale. Sono consapevole di non essere stato sempre all’altezza delle aspettative della nostra unità pastorale. Anche con don Raffaele; avrei dovuto sostenerlo di più nei momenti di difficoltà, non sempre sono riuscito a capirlo e di conseguenza a seguirlo. Gli sono grato della fiducia dimostratami, di avermi voluto come collaboratore coinvolgendomi nella costruzione e guida della prima unità pastorale. Di questi dieci anni ricordo l’ esperienza del sinodo, con la partecipazione di tutte le rappresentanze diocesane , insieme per pensare la chiesa del futuro e far fronte alle nuove sfide che l’attendono. La partecipazione al concistoro che indiceva la data della canonizzazione di sant’Arcangelo Tadini, così come il giorno della canonizzazione in san Pietro, vicini a papa Benedetto XVI, mentre in piazza migliaia di persone lodavano il Signore per il nuovo santo . Quanta gioia nel nostro cuore, quanta grazia… I pellegrinaggi, gli incontri, i dibattiti, la visita di Papa Benedetto a Botticino, l’incontro con papa Francesco, le tante persone che ho avvicinato e avuto modo di ascoltare nel ministero, le famiglie

DEI

CARISMI

dell’ICFR, dei battesimi, i ragazzi, le persone anziane e gli ammalati... da tutti ho ricevuto e imparato; grazie anche a loro sono cresciuto, mi sono interrogato, ho cercato di capire la fede, di non dare risposte preconfezionate, ma vissute e sperimentate. So che un giorno il Signore domanderà conto dei miei talenti, ne chiederà i frutti, e io spero di avere qualcosa da restituirgli. Dopo dieci anni di ministero diaconale nella Up di Botticino è maturata l’idea e la necessità di una chiesa aperta e di un cristianesimo non di sacrestia, ma che si compromette con le situazioni della vita, della famiglia, del lavoro, della scuola, inserito dentro la società degli uomini. Una Chiesa che opera con l’unico scopo di annunciare il vangelo, che è parola di Dio che salva , e mette al centro della sua azione, (preghiera e formazione), la persona umana e sopratutto i più deboli e come dice papa Francesco una Chiesa: ”che va incontro all’uomo a partire dalle periferie”, in cerca di chi è perduto o fa fatica a trovare la strada, rigenerando quanti incontra, con il messaggio di gioia e pienezza di vita. Una Chiesa in grado di comunicare, nuovi modelli sociali, nuovi stili di vita, che ricerca un’economia di giustizia e una politica veramente attenta alle esigenze delle persone, senza discriminazione di fede o di provenienza, che non guarda l’altro con sospetto, ma lo accoglie come un fratello. Il Signore mi ha chiamato a servirlo, la sua parola ha aperto il mio cuore, il nostro cuore (mio e di Romina) la nostra casa, per non pensare esclusivamente alla nostra famiglia e ai nostri figli, ma per essere attenti a un bene più grande fatto di molte famiglie e tanti figli, a un bene non individualista ma comunitario. Costruire secondo il comandamento nuovo che Gesù dà ai suoi discepoli: ”Come io ho amato voi, cosi amatevi voi gli uni gli altri. Da questo sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri “( Gv 13,34 -35). Questo è lo scopo di ogni vocazione e di ogni carisma: aiutare il mondo a conoscere e vivere l’ amore. La Diaconia a servizio della famiglia, piccola Chiesa domestica 11

Pietro diacono


Chiesa Universale Beatificazione Paolo VI / Chiesa Universale Beatificazione Paolo VI / Chiesa Universale Bea

Paolo VI

Una luce che brilla sulla vetta del monte Il 6 agosto 1978, nella domenica in cui si celebrava la festa della Trasfigurazione del Signore, papa Paolo VI, alle ore 21.40 nella residenza estiva di Castel Gandolfo, faceva ritorno alla casa del Padre. Così un mistico dell’Islam parla della morte di Paolo VI: «L’inviato di Dio è salito ogni giorno sul monte santo, ma ieri, festa del monte santo, Dio gli ha detto: non scendere più in mezzo agli uomini, ma resta quassù, nella luce, con me». Pochi giorni dopo la sua elezione a Sommo Pontefice avvenuta il 21 giugno 1963, in un ritiro spirituale, Paolo VI annotava: «La lucerna sopra il candelabro arde e si consuma da sola. Ma ha una funzione, quella di illuminare gli altri, tutti se può». E lui il Papa «esperto in umanità» fu veramente luce che brilla sulla vetta del monte e lo continua ad essere tuttora grazie al suo grande e sempre attuale insegnamento. Il suo profondo amore per Cristo fu una costante che animò la sua ricca spiritualità e la sua sofferta ed impegnativa azione pastorale. Insegnava che si deve conoscere Gesù per viverlo e che

si è sempre alunni di primo grado alla sua scuola. Aveva fatto suo il motto di S. Ambrogio: «Cristo per noi è tutto». La sua gioia, la sua pace profonda provenivano dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo. I problemi che lo assillavano e che gravavano sulle sue spalle, i problemi della Chiesa e del mondo, le sofferenze dei singoli e dell’umanità erano da lui affrontati con uno spiccato senso di responsabilità e del dovere e sempre con una conoscenza e lucidità coraggiose, con fede granitica, in­crollabile, e alla luce della speranza cristiana. Fu un uomo altamente contemplativo: la preghiera era come l’humus che rendeva fertile il terreno in cui cresceva la sua vita. Amò molto la Madre di Dio. Il 21 novembre 1964 - nel contesto del Concilio Ecumenico Vaticano II - proclamò Maria «Madre della Chiesa», suscitando il consenso dei Padri conciliari, i quali si alzarono in piedi spontaneamente facendo un prolungato applauso. C’è un titolo con cui sia possibile tentare di esprimere il ruolo di Paolo

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VI nella storia della Chiesa? Il Patriarca di Costantinopoli Atenagora, quando il 5 gennaio 1964 incontrò il Papa in Terrasanta, non esitò a definirlo «Paolo Il», poiché ravvisava una fortissima affinità tra l’apostolo delle genti e Paolo VI. Riscoprendo poi il grande valore di Paolo VI, lo si potrebbe definire il «primo Papa moderno». E ancora: «il Papa del dialogo», «il Papa del Concilio Vaticano II», «il Papa dell’ecumenismo», «il Papa pellegrino», «il Papa della civiltà dell’amore», «il Papa difensore della vita», «il Papa dei tempi futuri», «il Papa esperto in umanità», «il Papa della pace», «il Papa della gioia», «il Papa maestro e testimone», «il Papa innamorato di Cristo e della Chiesa». Una persona che gli è stata particolarmente vicina così sintetizza la vita di Paolo VI: «Posso affermare la sua caratteristica di essere sempre servitore. Servitore di Cristo e dell’uomo; servitore nel Concilio Ecumenico Vaticano II e nell’impegno della sua attuazione; servitore costante, audace e prudente dell’aggiornamento della Chiesa; servitore nei viaggi apostolici, nell’impegno per la pace, nella tensione ecumenica; servitore nella difesa della fede attraverso la solenne professione di fede nota come il “Credo di Paolo VI”; servitore nelle sue encicliche, nei suoi discorsi, in tutto il suo magistero; servitore umile, sempre disponibile e generoso nelle sue opere di carità». I suoi quindici anni di pontificato (1963-1978) furono però costellati di grandi sofferenze, contestazioni, critiche ed anche calunnie. Un pontificato


atificazione Paolo VI / Chiesa Universale Beatificazione Paolo VI / Chiesa Universale Beatificazione Paolo VI che è stato spesso agonia nel Getsemani e che ha condotto l’uomo, il cristiano Giovanni Battista Montini a vivere il mistero della croce, conformandosi sempre di più a Cristo Crocefisso. Basti pensare all’attentato da lui subito il 27 novembre 1970 a Manila e all’uso del cilicio come pratica penitenziale. Non a caso poi Paolo VI ha istituito il rito della Via Crucis del Papa al Colosseo il venerdì santo e ha introdotto la croce in mano al Papa durante la liturgia. Gesti emblematici del suo sforzo di condurre la Chiesa ai piedi della Croce, là dove la Chiesa è nata. Non va poi dimenticato che Paolo VI, nel corso della sua ricca esperienza di Sacerdote-Vescovo-Papa, ha accettato con entusiasmo e coscienza critica il confronto con la cultura degli uomini del proprio tempo. È un «grande» in senso evangelico, che ha saputo incarnare in sé l’amore, la passione, il sacrificio di Gesù per il bene della Chiesa. Nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi Paolo VI evidenziava una verità assai importante: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Questa affermazione è forse il miglior commento che implicitamente Paolo VI fa della sua vita: maestro, ma soprattutto testimone. E testimone credibile perché non ha esitato a testimoniare Cristo fino all’effusione del sangue. Ecco allora l’immagine iniziale della lucerna che arde e si consuma da sola: è la più significativa, è la luce che ha sempre illuminato la personalità di Paolo VI. Così scrive nel suo Testamento: «Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara; e perciò con umile e serena fiducia. Avverto la verità che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero, e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce. Dinnanzi perciò alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita [...]. Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica». E nel Pensiero alla morte: «E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo. Amen. Il Signore viene. Amen». La luce della lucerna spentasi il 6 agosto 1978 nella festa della Trasfigurazione del Signore, ora è per sempre viva e rispendente in Gesù Risorto e diventa per tutti luminoso riflesso della gloria e della gioia che Dio dona ai suoi Santi. don Antonio Lanzoni Vicepostulatore della Causa di Beatificazione di Paolo VI

INTERVENTO DEL VESCOVO PER LA

BEATIFICAZIONE DI PAOLO VI

La tradizione religiosa bresciana è una tradizione sana che è capace di produrre dei beati e dei santi e credo che questo sia il criterio fondamentale per valutare una comunità cristiana: quanto riesce ad educare le persone al Vangelo, all’amore del prossimo, alla capacità oblativa nel proprio servizio e nel proprio lavoro, quindi quanto riesce ad aiutare le persone a vivere, come si dice, in modo eroico le virtù quotidiane dell’esistenza umana e cristiana. Paolo VI viene riconosciuto come persona che ha vissuto eroicamente il suo servizio alla Chiesa e all’umanità e di questo non possiamo che esserne fieri, gioiosi e con un briciolo di responsabilità, nel senso che non possiamo mica lasciare che i Santi siano quelli del passato. Ricordare i Santi del passato è uno stimolo a vivere noi oggi il tempo che il Signore ci dona in una medesima prospettiva di pienezza di vita umana e cristiana. Ci sono due cose diverse: un paio di maniche è il giudizio storico sul pontificato di Paolo VI, che è un giudizio che tocca agli storici, un altro paio di maniche è invece la valutazione della sua vita di fede e di virtù evangeliche e da questo punto di vista credo non ci possono essere dei grossi dubbi. Paolo Vi è stata una persona straordinariamente innamorata di Gesù Cristo e a noi piacerebbe andare a riprendere il discorso che fece a Manila, nel contesto di una visita alla Filippine e della Giornata Mondiale della Gioventù, per trovare quello che lui sentiva e pensava di Gesù di Nazareth. E la seconda cosa che salta agli occhi di tutti è l’amore immenso per la Chiesa, quell’amore a cui fa riferimento nel suo testamento con parole anche toccanti… proprio belle. Non ci sono stati, credo, nella storia della Chiesa dei periodi recenti, una ricchezza di Papi santi come quelli che abbiamo avuto nel XX secolo e credo che questo sia significativo. Vuol dire che il servizio pontificale ha preso sempre di più, nel tempo che viviamo, un colore evangelico. Finché il Papa è stato anche sovrano dello Stato pontificio, doveva mettere insieme l’annuncio del Vangelo con il governo di uno Stato e questa credo che sia una di quelle quadrature del cerchio che non riescono mai benissimo del tutto. Credo che dei Papi dedicati unicamente al cammino della Chiesa, a sostenere il cammino di tutte le comunità cristiane e ad annunciare il Vangelo, siano Papi che hanno un aspetto di esemplarità particolarmente forte e credo che le canonizzazioni dei Santi del XX secolo ci riportino a questo. Poi come sarà il futuro non lo so, però è significativo che ci siano così tanti Santi nel servizio di Pietro. Quello che il Concilio voleva promuovere era una santità cristiana autentica e all’altezza dei tempi, cioè capace di incarnarsi nel vissuto e nei problemi della società contemporanea e credo che la testimonianza dei Papi da questo punto di vista sia significativa e credo che vada nella direzione giusta. Quello che noi dobbiamo recuperare del messaggio del Concilio è proprio questo. Non è semplicemente un aggiornamento esterno, una riforma esterna della Chiesa. Una riforma esterna c’è e ci vuole inevitabilmente, ma questo per rendere il nucleo della fede e della carità, che è il nucleo essenziale della vita cristiana, più evidente, più coerente, più forte. Io sottolineerei quello che ricordavo prima, cioè l’amore per la Chiesa. La percezione della Chiesa non come una pura istituzione umana di organizzazione di una religiosità, ma piuttosto come il luogo dell’incontro con Dio attraverso Gesù Cristo nello Spirito Santo e quindi luogo di crescita spirituale e di crescita nella capacità di amare e di donare. A me sembra che questo sia l’aspetto più significativo, non che gli altri non siano significativi, ma questo in Paolo VI ha una valenza, mi sembra, unica, particolare, particolarmente forte più che nelle esperienze frequenti della Chiesa. Faremmo fatica noi ad avere un senso così vivo della Chiesa come l’ha avuto Paolo VI e questo dovremmo impararlo. Mons. Luciano Monari Vescovo 13


DAL MONDO

Nigeria,

la domenica non è festa

P

tro i cristiani. Dice monsignor John Olorunfemi Onoiyekan “Boko Haram rappresenta una minaccia per tutti, non solo per i cristiani”. Se vengono attaccate le moschee, la cosa non fa notizia.

Boko Haram Questo gruppo è il responsabile principale delle stragi. In lingua hausa la designazione suona così: “L’educazione occidentale è il peccato”. La denominazione più esatta sarebbe“Discepoli del profeta per la diffusione dell’Islam e della Jihad”. Il movimento è nato nel 2002 nella regione di Maidaguri. Il suo padre spirituale è il predicatore Mohammed Yusuf. Nel 2009 esordisce con un attentato. Provoca in quell’anno più di 900 morti. I membri sono legati da un giuramento di fedeltà. Sono disposti, negli attentati, a perdere la vita. Si tratta non di un’organizzazione unitaria, piramidale, ma di una galassia di cellule armate semi-indipendenti. Prima si limitavano a colpire stazioni di polizia, caserme militari, edifici governativi. Negli ultimi tempi nel mirino sono finite le chiese cattoliche. Hanno constatato che l’impatto era molto più forte. La notizia partiva subito e aveva una risonanza mondiale. Si hanno anche le prove che questi estremisti coinvolgano, dietro pagamento, gli indigenti e i disoccupati. Questo per dare l’immagine di un fronte comune, quasi universale, con-

Primo piano su Jos C’è un punto di osservazione molto interessante: Jos, la capitale dello Stato del Plateau. È una città cosmopolita che, nel tempo, ha attirato migranti da tutta la Nigeria. Vi è una presenza molto significativa di cristiani. Tutti ricordano i tempi in cui i musulmani facevano visita alle famiglie cristiane in occasione del Natale. Questi ricambiavano la cortesia durante la festività che segna la fine del mese di Ramadan. Nella stessa città operava Apurimac, un’organizzazione non governativa italiana, impegnata in operazioni di mediazione e di pace che coinvolgevano sia cristiani sia islamici. In un istante le stragi operate da Boko Haram hanno distrutto vecchie amicizie. Ci sono stati abbandoni dei cristiani dalle zone a maggioranza musulmana per trasferirsi in aree cristiane e viceversa, dopo aver svenduto le proprietà. La città di Jos un tempo era stata definita “la casa della pace e del turismo”; ora è una specie di Belfast africana. Cristiani e islamici vivono separati in tutti i mercati e nelle scuole. La domenica, per scongiurare attentati, vengono sbarrate le vie di accesso alle chiese cattoliche. Sono bloccate da pesanti sbarre di metallo. Militari in divisa controllano le auto di passaggio. Poliziotti armati di metal-detector perquisiscono chiunque vuole entrare in chiesa. Tutti ricordano le cinque persone letteralmente disintegrate da una bomba presso la chiesa di Fin-Barre. Di segno esattamente contrario era stata la reazione dei cristiani inferociti che avevano fermato i tassisti musulmani di passaggio e li avevano fatti a pezzi. Ci sono ancora, per fortuna, le squadre di rapida risposta formate da volontari: cercano di prevenire gli scontri attraverso il dialogo tra le due comunità religiose.

er la Nigeria si potrebbe usare l’immagine biblica del gigante di argilla. Vi abitano più di 150 milioni di persone. Il paese arriva all’indipendenza nel 1960, dopo essere stato colonia e protettorato britannico. È il terzo produttore di petrolio in Africa. Paradossalmente, nel 2012, il Pil cresce dell’8%, ma il 75% della popolazione vive in condizioni di assoluta povertà, con meno di un dollaro al mese. Come dice il vescovo di Kaduma, nella sua diocesi sono molti a non avere né cibo né lavoro. Ci sono le condizioni ideali per alimentare la violenza. Il paese, da sempre, è diviso tra il Nord musulmano e il Sud a prevalenza cristiana e animista. A più riprese i militari hanno assunto il potere, ma anche ora il governo è incapace di controllare la situazione.

Basta il dialogo? Secondo monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza Episcopale, la setta di Boko Haram non è da confondere con l’intera popolazione musulmana, con la quale, anche ora, sono in atto buoni rapporti. I vari leader religiosi continuano a incontrarsi. Il cardinale Tauran è stato ricevuto sia da Nomadi Samboche leader islamico e vicepresidente nigeriano, 14


Stragi di cristiani e sequestri di tecnici italiani: questi sono i due fenomeni che più hanno eco in Italia. È in atto, in Nigeria, una vera e propria persecuzione dei discepoli di Cristo? Oppure il quadro è più complesso? sia da Abubakar Sa’Ad III, sultano di Sokoto e massima autorità islamica del paese. Il fatto è che dietro Boko Haram si nascondono altre figure. Autori delle stragi sono giovani disoccupati, assoldati da politici senza scrupoli. Essi giocano la carta della religione per ottenere voti. Non è un caso che la maggior parte delle violenze avvengano in prossimità delle elezioni. Si cerca di arrivare a imporre un prezzo al tavolo dei negoziati. Ci sono tribù che cercano alleati nei terroristi per combattere altre tribù. Il vescovo di Sokoto, monsignor Mattew Hassan Kulah, indica anche alcune cause storiche. Nel periodo di colonialismo britannico, il potere ha praticato la non ingerenza. Fece però in modo che gli insediamenti di non islamici avvenissero fuori dai centri abitati. Nacque quindi un’architettura con un muro di separazione fra le due religioni. Le città crescevano ma senza armonia. I cristiani, nel Nord, erano visti come stranieri. I loro luoghi di culto erano confinati in zone specifiche. Altro errore storico: nel periodo postcoloniale, i governi hanno scelto, come interlocutori, emiri a loro fedelissimi, anzi nominati da loro. Non sono emersi, nell’Islam, leader liberi e alternativi. Il dialogo non serve. Occorre fare attenzione alla diagnosi delle malattie. Per più di trent’anni i militari hanno distrutto le fondamenta democratiche del paese. I nigeriani per questo si sono rifugiati nella religione attendendo da essa la soluzione di istanze sia spirituali sia socio-economiche. È ciò che continua a dire il vescovo di Sokoto.

Li operano i missionari portoghesi degli ordini Cappuccini e Agostiniani. La strategia è quella usuale: convertire i re e poi, tramite questi, tutti gli abitanti. Difficoltà climatiche inducono ad abbandonare il paese. Si riprende nel corso del 1800 con i missionari della Società delle Missioni Africane. Solo nel 1917 vengono ordinati i primi preti autoctoni. Giovanni Paolo II visita il paese nel febbraio 1982 e nel 1998. In questa data beatifica il primo santo nigeriano Ywenw Tansi. Le cifre attuali mostrano una Chiesa consolidata. Ecco i dati del 2005: - 1905 parrocchie; - 4146 preti, di cui 3452 diocesani e 694 religiosi; - 3755 seminaristi; - 3674 suore e religiose; - 4163 istituti scolastici; - 1202 istituti di beneficenza. Nel 1961 viene costituita la Conferenza dei vescovi cattolici. La Chiesa cattolica è presente nel paese con nove sedi metropolitane, 43 diocesi suffraganee e due vicariati apostolici. I fedeli sono circa 18 milioni, pari al 14,5% della popolazione totale del paese. Quale futuro si prospetta? I vescovi sono stati molto accorti nell’evitare questi atteggiamenti: - il vittimismo (ci stanno sterminando. Dobbiamo solo aspettare la nostra fine!) - l’interpretare la situazione come “guerra di religione”. Hanno avviato un processo per identificare il vero problema: qui ci sono cause politiche e sociali; va attivata un’azione per eliminarle. Le terapie usate si sono rivelate inadeguate. Il governo Insieme si vive o insieme si muore. Queste stragi rischiano di L’attuale presidente Goodluck Jonathan è di fede cristiana. lasciare ferite non rimarginabili. Svolge il suo secondo mandato, sta cercando di arginare i ter- Con questo trend si rischia di andare verso la secessione. Le roristi: ha cacciato via il responsabile della sicurezza nazio- religioni devono funzionare da ponti, non da muri. nale nonché ministro della difesa. Nel 2012 ha stanziato quattro miliardi di euro nel bilancio per la sicurezza. Finché lo Stato non garantirà un governo stabile – conclude il vescovo di Sokoto sopra citato – la Nigeria, resterà un contenitore di materiale infiammabile sempre pronto a esplodere. Un passato glorioso, ma quale futuro? La Chiesa cattolica ha, in Nigeria, un passato glorioso. I primi tentativi di evangelizzazione avvengono alla fine del XV secolo. 15


Non è il

IL CONCILIO DAVANTI A NOI

Vangelo che cambia

Il Concilio Vaticano II è sempre al centro del dibattito. È stato accusato da alcuni di aver smarritola via della tradizione. È invece la risorsa più gradde per affrontare il presente e il futuro.

Q

uelli del Foglio dicono che bisogna andare a Marsiglia. Non per il pastis, non per il sapone, non per la bouillabaisse, ma per un prete. «Un prete così potentemente prete come padre Zanotti, così ardente e appassionato, così trascinatore, in Italia non riesco a trovarlo», scrive Langone, giornalista del quotidiano di Giuliano Ferrara. E cos’ha di particolare? Veste la talare «perché indossarla significa essere immediatamente riconosciuti come operai di Dio, e subito interpellati per riparare anime». Mentre «andando in giro in borghese sei sicuro di una cosa: che non succederà niente». Lo scrive lo stesso Zanotti in un testo pubblicato recentemente da Mondadori: I tiepidi vanno all’inferno. Un libro, secondo Langone, che «dovrebbe essere portato nei seminari perché insegna a fare il prete». Padre Zanotti esorta il sacerdote a «non essere uno tra gli altri», a non mimetizzarsi. «Non lasciare che i fedeli ti diano del tu. E se lo fanno per lunga consuetudine con te, che premettano padre al tuo nome». Grazie anche a questo, scrivono sempre quelli del Foglio, Marsiglia è testimone di un miracolo. «Miracolo di una fede fiammeggiante che ha fatto tornare le pecore all’ovile con la predicazione (dal pulpito, l’ho visto su YouTube, fa impressione), la bellezza (candele vere, organo vero, confessionali veri), il fervore («solleva la mano per benedire le persone e le cose, credi nel potere dell’acqua santa, sii soprannaturale! ») e l’estrema disponibilità: «chiesa sempre aperta e lui sempre pronto a confessare, a incontrare chiunque anche senza appuntamento, anche nei caffè e nelle case» Un disagio che interpella tutta la Chiesa L’articolo del Foglio è solo l’ultimo di una serie che proviene dal nutrito e agguerrito mondo dei tradizionalisti. Essi imputano al Vaticano II (alla sua ecclesiologia, in modo particolare) e al tempo moderno la crisi del sacerdozio la cui soluzione, secondo loro, passa attraverso la riproposizione di un modello che,

a prescindere dall’idea di Chiesa che comporta, a noi pare dia risposte semplici – e semplificate – a problemi ben più complessi. È il riparo offerto, in tempo di incertezza, dalle identità forti e rigide che non si lasciano mettere in discussione. Non è difficile intravvedere questo modello anche dalle nostre parti, in alcuni preti, soprattutto quelli più giovani. In realtà, burnout, fine del regime di cristianità, marginalità crescente, fine del “ruolo”, recezione non armonica del Concilio, sono solo alcuni dei molti aspetti di un disagio dei preti che, benché non dialettizzato, interpella fortemente la Chiesa. Almeno su due aspetti fondamentali: il discernimento sulle modalità storiche con le quali il ministero sacerdotale possa vivere oggi nella Chiesa e nelle società odierne e i modi attraverso cui il ministero possa rappresentare una contraddizione per il tempo presente. Quello che è certo è ciò che afferma con lucidità Greshake: «Negli ultimi anni il tema del prete è diventato una specie di muro del pianto su cui battono il capo tanti sacerdoti, ma anche vescovi sconsolati e laici disorientati. Ci si lamenta della mancanza, sempre più palpabile, di sacerdoti e della scarsa disponibilità dei giovani a impegnarsi in questo ministero (o non forse nella forma in cui attualmente tale ministero viene esercitato?). Ma anche parecchi sacerdoti considerano oramai superato, non più sostenibile, un modo di vivere (da celibi, soli, privi di assistenza) e un modo di operare che li propone come manager responsabili di un numero sempre crescente di comunità e quali distributori di “servizi” con il compito di soddisfare i bisogni religiosi di fedeli sempre meno interessati». Ripartiamo dal Concilio Stiamo assistendo da troppe parti ad accuse nei confronti del Concilio reo di aver abbandonato la strada maestra della “tradizione” e della “dottrina” e di aver posto la Chiesa in un atteggiamento di subalternità di fronte al tempo presente. L’abbiamo scritto più volte e lo ripetiamo convintamente: il Concilio Vatica16


no II è stato l’evento fondatore del cattolicesimo moderno. In esso la Chiesa si è posta umilmente e seriamente di fronte al mondo moderno: ha cercato di ridire chi Essa è e quali sono le sue misteriose ricchezze; e si è sforzata di comprendere questo mondo e di dialogare con esso. Sono passati quasi cinquant’anni dalla sua conclusione: tutto ciò che nella Chiesa abbiamo fatto in questo tempo ha tratto da quell’evento il fondamento, le ispirazioni, le linee di cammino: ecco perché il nostro attuale camminare nella fede è «memoria» del Concilio; ma d’altra parte ciò che il Concilio ha fondato e iniziato deve ancora in buona parte realizzarsi: siamo ancora alla «ricerca» del Concilio. Non bisogna dunque spaventarsi se ci si trova in mezzo al guado e si deve traghettare le nostre comunità cristiane verso una comprensione del tempo presente più autentica e una testimonianza del Vangelo più coerente. Forse la chiave ce la offre, ancora una volta, chi il Vaticano II l’ha voluto e iniziato: Papa Giovanni XXIII. Una decina di giorni prima di morire, davanti ai suoi collaboratori, Angelo Giuseppe Roncalli uscì con questa espressione: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, noi siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici. A difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica. Le circostanze odierne, le esigenze degli ultimi cinquant’anni, l’approfondimento dottrinale, ci hanno condotto dinanzi a realtà nuove... Non è il Vangelo che cambia. Siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Un analfabetismo conciliare di ritorno Occorre dunque guardare con coraggio le sfide aperte da questa “Pentecoste del nostro tempo”. Che certo ha influenzato largamente non solo la vita della Chiesa cattolica (al suo interno e all’esterno), ma anche gli altri mondi religiosi, cristiani e non, con le sue intuizioni, i suoi passi coraggiosi, le sue contraddizioni, le questioni irrisolte. A cinque decenni di distanza, è lecito interrogarsi su quanto sia vivo e quanto sia morto, di esso; su quanto ne conoscono i giovani, e quanto essi ne percepiscano la portata, in ogni caso straordinaria. Quello che ci preoccupa, infatti, è che più andiamo avanti e più ci sembra che aumenti, dentro le nostre comunità, il numero di persone che del Concilio non sanno proprio niente. La spinta di riforma che esso conteneva e che ha mobilitato i sogni e addirittura la vita di alcuni di noi sembra essersi ridotta a un ricordo coltivato solo da alcuni esperti di cose ecclesiastiche. La cosa fa un po’ paura. Non tanto perché bisogna ricordarsi a tutti i costi un evento o dei documenti, ma perché il silenzio sul Concilio è per lo più il segno di comunità che sopravvivono senza slanci e senza progetti. Alcune questioni di fondo poste dal Concilio al cristianesimo moderno sembra non siano arrivate alle coscienze di molti cristiani. E i dubbi e le obiezioni che molti hanno nutrito nei suoi confronti non sono stati rielaborati. Molti giovani delle nostre parrocchie non sanno neanche cos’è il Concilio; e molti anziani

non sono ancora stati aiutati a digerirne le novità e i cambiamenti. È un lavoro che, affrontato, potrebbe dare slancio all’attività pastorale e fornirebbe dei criteri per valutare molti aspetti incerti e confusi delle proposte e dei cammini che si fanno nelle nostre comunità. Si tratta di riprendere in mano quei documenti e, soprattutto, di rileggerli alla luce di ciò che è avvenuto e sta avvenendo in questi anni nelle nostre parrocchie: il senso di quei testi si illumina alla luce di ciò che è avvenuto; e ciò che sta avvenendo si trova indirizzato da quei documenti. Non è il Vangelo che cambia. Siamo noi che lo comprendiamo meglio. Di sicuro il Vaticano II con le sue quattro Costituzioni, nove Decreti, tre Dichiarazioni, ha portato la Chiesa cattolica ad acquisire alcuni punti di non ritorno: la liturgia (celebrata in lingua volgare e non più in latino) fonte e culmine della vita cristiana, la centralità della Parola di Dio a lungo e per secoli lasciata fuori dalle chiese e dalla coscienza credente, la storia come luogo teologico dove rintracciare nei volti degli uomini i frammenti del volto di Dio, la Chiesa, popolo di Dio in cammino nella storia, comunione e non più «società gerarchica tra ineguali». E ancora, la crescita di partecipazione delle diverse componenti del popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa, il cambiamento avvenuto nell’atteggiamento verso l’altro: gli ebrei, innanzitutto, poi i cristiani di altre Confessioni e gli appartenenti ad altre religioni. Dall’ostilità alla ricerca della comunione, dal disprezzo al dialogo, dall’anatema e dall’arroganza di chi possiede la verità alla ricerca comune di vie di pace e di giustizia. In questo senso, anche noi sosteniamo che il concilio è davanti a noi, in gran parte ancora da realizzare. Papa Francesco sta indicando, con la sua pedagogia dei gesti, la strada su cui incamminarci. Coraggio, dunque! Letta nella storia lunga delle Chiese cristiane, la ricezione del Vaticano II è appena cominciata, più che finita. È nelle mani di Dio, certo, ma anche nelle nostre, chiamati a discernere con coraggio e senza nostalgie come vivere da credenti nella città degli uomini. Perché non è il Vangelo che cambia. Siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio.

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DEVOZIONI

La devozione al Sacro Cuore Il Sacro Cuore chi è? Quale senso hanno le pratiche a lui dedicate? Ecco una specie di filo di Arianna per muoversi dentro il labirinto.

I

l Sacro Cuore chi è? Ci risponde il Vangelo di Giovanni con due testi che vanno sempre tenuti congiunti: Giovanni 19,28-37 e Giovanni 20,19-31. Partiamo dal secondo. Si dice di Gesù: viene, sta in mezzo ai discepoli e mostra loro le mani e il costato (Giovanni 20,20). Si fa riconoscere nella sua identità. La storia ha lasciato profonde tracce in lui. Egli è il Crocifisso Risorto. È colui che viene per effondere lo Spirito (Giovanni 20,22). Egli è l’immagine visibile del Padre, inteso come dedizione incondizionata (1 Giovanni 4,8-10). “Il cuore di Cristo è Gesù con la totalità del suo essere, nel suo nucleo più intimo; è proteso, nello Spirito, con infinito amore divino-umano verso il Padre e verso gli uomini suoi fratelli1. È il Cristo della Pasqua. L’evangelista Giovanni tiene in grande equilibrio le tre dimensioni: la sofferenza, l’esaltazione, l’effusione dello Spirito. Il grande segno

supremo (Giovanni 13,1), di superare ogni limite, di portare a compimento ogni parola di Dio (Giovanni 19,30). Si è parlato di Regno del Sacro Cuore. L’espressione è esatta tenendo presente che il suo trono è la croce, la corona è quella di spine, suo manto è un abito scarlatto. Il Regno del Sacro Cuore ha poi avuto due sviluppi: la dimensione interiore (nei cuori) e quella politica e sociale (nella società). Sono due aspetti da tenere congiunti. La devozione al Sacro Cuore Giovanni ne è l’espressione simbolica. Egli ha uno sguardo di profondità: in una scena di agonia e di morte coglie le movenze dello sposalizio di Dio con l’umanità (Giovanni 19,31-37). L’evangelista supera la cronaca, coglie il senso globale. La devozione al Sacro Cuore è rimasta talora a un livello di percezione più superficiale, simile a quella del centurione. Si è interrogata su questi aspetti: dove ha colpito la lancia? Qual è stata la causa del decesso di Gesù? Che cosa può dirci la sindone? La devozione, rettamente intesa, suscita un atteggiamento permanente, molto ben espresso da Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Galati 2, 20). Si muove sulla linea di ciò che ha ricevuto: • un amore che non dice mai basta; • un’offerta di sé in oblazione per il mondo; • il coinvolgimento in un progetto di riparazione, riconciliazione, rigenerazione.

Il costato trafitto di Cristo è, per l’evangelista Giovanni, un segno. Unifica tutti gli altri: il tempio, l’acqua, il pane, lo sposo, il pastore, la vite. Ha tutti i caratteri del paradosso: • Gesù, assetato e dissanguato, diventa perenne fonte di vita, di grazia (Giovanni 7,37- 39, Giovanni 19,34); • un’inutile crudeltà (il colpo di lancia del centurione) apre il cuore di Dio. Ne rivela i sentimenti più profondi, i progetti, le decisioni più segrete; • Colui che è cacciato via dalla città attira tutti gli uomini a sé (Giovanni 12,32). È re che conquista con l’attrazione dell’amore; • il suo ultimo respiro è, in realtà, emissione dello Spirito Santo (Giovanni 19,30), principio della creazione 1 Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramennuova (Giovanni 20,20); ti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, • gli uomini vogliono mettere a tacere Gesù. Gli consentono invece di amare i suoi sino al segno LEV 2002. 18


Le

immagini sacre

L

a vita di Dio si è manifestata: ci annuncia la prima lettera di Giovanni (1Giovanni 1,2). E poi esplicita l’esperienza del gruppo apostolico in questi termini: abbiamo visto con i nostri occhi il Verbo della vita, lo abbiamo contemplato, le nostre mani lo hanno toccato (1 Giovanni 1,1-3). È accaduta l’incarnazione, evento che qualifica la fede cristiana (CCC 463). Si è inaugurata una nuova economia, quella delle immagini (CCC 1159). Il Concilio di Nicea II ha difeso la loro venerazione: “Noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini sia dipinte in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte alle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie” (Concilio di Nicea, 23 ottobre 787, DS600). Le immagini: quali? Ci poniamo in un punto d’osservazione caratteristico: il tempio, il cuore della comunità. Quali immagini non possono mancare? • Quelle di Gesù. Egli è icona del Padre. Nessuno mai ha visto Dio; Lui ce lo ha narrato (Giovanni 1,18). Lo ha fatto (e lo fa) con i suoi misteri: la Natività a Betlemme, l’esistenza a Nazaret, la vita pubblica, la croce e resurrezione. È bello che nel tempio questo arco di eventi sia reso familiare agli occhi (e al cuore) dei credenti mentre essi vengono celebrati. È bello che dipinti, mosaici, immagini facciano scorrere lo stesso percorso mentre il lezionario lo racconta. Il Cristo può essere rappresentato. Non così il Padre. Lo Spirito viene dipinto con un simbolo (la colomba). • La Vergine Maria. È intimamente associata al Cristo. I Padri della Chiesa la paragonano alla luna perché vive di luce riflessa. Essa addita il Figlio: attendendolo nel grembo nell’Annunciazione, generandolo a Betlemme, educandolo a Nazaret, prendendolo tra le sue braccia quando viene deposto dalla croce. • I personaggi del Vangelo. Dovrebbero, nel tempio, sbucare da tutte le parti: il paralitico guarito da Gesù, Zaccheo da lui visitato, la peccatrice perdonata, il leb-

Ha un senso la venerazione delle immagini sacre? In quale contesto si colloca? Quali risorse sprigiona per la vita cristiana?

broso riammesso alla convivenza, Pietro che paga il tributo... L’ i c o n o g r a f i a cristiana trascrive, attraverso l’immagine, il messaggio evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la parola. Parole e immagini si illuminano a vicenda (CCC 1160). • I santi. In essi il Cristo è glorificato. Sono il nugolo di testimoni (Ebrei 12,1) pronti a dirci che, in tutti i secoli e a tutte le latitudini, il Cristo è presente e attivo. La forma ideale è quella del corteo che va verso la mensa. Purtroppo, specie nelle chiese di stile barocco, i santi hanno un proprio altare (con relative candele e cassette per le offerte). Ci guardano con i loro occhi stupiti. Sentiamo che, pur trovandosi nella gloria, partecipano alla vita del mondo e della Chiesa. Le immagini sacre: significato e i limiti Chi venera l’immagine venera la realtà che in essa è rappresentata (Concilio di Nicea DS 601). Né mosaici, né statue, né oggetti preziosi sono terminali del culto. Nulla hanno di magico. È la fede che li rende preziosi. Sono festa per gli occhi (CCC 1162) e per questo rappresentano uno stimolo alla preghiera. Non preoccupiamoci di far benedire le immagini: preoccupiamoci invece di benedire Dio, fonte di ogni grazia. Questo è lo scopo della venerazione delle immagini. Preziose non sono le medaglie ma le persone che le portano.

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H

Siamo spesso affiancati, assiepati nel grande universo della folla, ma ognuno sta per conto suo. Come e perché?

a destato molta attenzione una recente analisi della nostra società posta sotto il titolo di “La morte del prossimo”, che è pure il titolo del saggio che la espone. Si deve allo psicanalista Luigi Zoja, già molto noto per un intenso libro sul destino della paternità nella civiltà occidentale, e con essa si intende mettere in rilievo un’importante e sfidante caratteristica del nostro tempo sotto il profilo antropologico, che non può non interrogare l’intelligenza e le passioni della comunità ecclesiale. Proviamo a capire meglio che cosa vi sia in gioco. Un’altra significativa morte Zoja afferma che, dopo l’annuncio nicciano della morte di Dio, al termine del secolo XIX, oggi si deve prendere atto di un’altra significativa morte: quella del prossimo. Ma cosa significa che il prossimo “muore”? L’annuncio della morte del prossimo consiste fondamen talmente nella presa di coscienza che la parola “prossimo” stia perdendo nel corso degli ultimi decenni concretezza e profondità, divenendo un termine astratto e distante dalla vita reale. Stiamo cioè procedendo verso una società dominata da una “privazione sensoriale del prossimo”, nel senso che, pure nella grande molteplicità di occasioni di stare con gli altri, di fatto viviamo sempre più da soli, da isolati. Si sta perdendo insomma il senso della prossimità, della sua necessità, del suo concorso per la nostra umanizzazione. Scollegati dai prossimi reali Per rendersene conto basta pensare a una scena molto ordinaria: la presenza di tanta gente all’interno di un vagone della metropolitana o su un bus di linea o ancora in un treno. Pur nell’incredibile folla che spesso qualifica tali ambienti, ciascuno rimane chiuso in se stesso, si “scollega” dai prossimi reali accanto a sé, per collegarsi ad altro, grazie ai tanti strumenti di comunicazione oggi a disposizione. La prossimità fisica non è più occasione per una prossimità di comunicazione né ovviamente per una comunicazione di prossimità; al contrario gli strumenti di comunicazione diventano occasione per bypassare il vicino di viaggio accanto a noi, con il quale si potrebbero pur fare due chiacchiere. Un altro esempio: l’utilizzo dei navigatori satellitari rende sempre più superflua la richiesta di informazioni lungo il percorso e quindi il contatto con le persone reali che potrebbero aiutarci in caso di dubbi. E così gli autisti diventano sempre più “autistici”. Insieme cioè da soli Ma non è solo una questione di tecnologia. Più in profondità ad agire è la pressione degli impegni lavorativi, della necessità di “non perdere tempo”, dell’imperativo economico del guadagno e della crescita, dell’urgenza indotta dal sistema neocapitalista di stare sempre connessi con il pensiero agli affari, alle trattative in corso, e così via, a far sì che si realizzi quello stare “insieme da soli”, che contraddistingue molti aspetti della nostra vita. Questo è la morte del prossimo. Con le parole chiare di Zoja: «Quando Nietzsche disse che Dio era morto non voleva riferire di aver visto una morte: voleva solo dire che, diversamente dai secoli precedenti, Dio non era più necessario per spiegare le relazioni sociali, familiari, politiche, le forme dell’arte e del sapere: la vita, insomma. Dopo l’industrializzazione del secolo XIX, dopo lo stretto legame tra guerra e produzione del XX secolo, e con la globalizzazione del XXI, non si può più descrivere una società senza parlare di merci e commerci. Si può, invece, spiegare la stessa società facendo a meno non solo di Dio ma anche del prossimo: come se le relazioni economiche non avvenissero in una comunità, come se non fossero una sottospecie delle relazioni umane. Tutte e due le idee su cui si basa la morale giudeo-cristiana sono diventate superflue (cioè optional) sia per le nostre azioni sia per la nostra mente». Il risultato più eclatante di questa eliminazione del senso della prossimità è alla fine dei conti la perdita del carattere umano e umanizzante della dimensione sociale dell’esistenza. Un’altra bella sfida per i cristiani. 20


La Scuola di formazione all’impegno sociale e politico è promossa dall’Ufficio per l’impegno sociale della Diocesi di Brescia. DESTINATARI Il corso è biennale ed è rivolto a persone dai 19 ai 35 anni, già coinvolte o disponibili ad impegnarsi in attività sociali e politiche. Si richiede una partecipazione assidua e costante, un coinvolgimento diretto e attivo: pertanto la frequenza è obbligatoria. SEDE DEL CORSO Centro pastorale Paolo VI, Via Gezio Calini 30 Brescia,con ampia possibilità di parcheggio. ISCRIZIONI L’iscrizione si effettua telefonicamente presso la segreteria della Curia al numero 030.3722 253 (Stefano) o tramite posta elettronica all'indirizzo psl@diocesi.brescia.it La quota di iscrizione per il primo anno è di euro 50,00 da versare in occasione del primo incontro presso la sede del corso. PRIMO ANNO Intende offrire contenuti, metodi e criteri per una adeguata comprensione dei temi fondanti la politica alla luce della Dottrina Sociale Cristiana. Consente di sperimentare un metodo diretto per

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sapercogliere i problemi derivanti dai temi fondamentali affrontati, in un dialogo che valorizza le diversità di pensiero e l’approfondimento di studio. SECONDO ANNO Si propone di affrontare i temi basilari del vivere sociale: il valore della persona, della famiglia, del lavoro, della vita economica, della salvaguardia dell’ambiente. Sono in programma anche viaggi di studio e di approfondimento.


La Caritas parrocchiale anima la Parrocchia

L

o specifico della Chiesa in un territorio è la Diocesi e, in questa, la parrocchia. Benedetto XVI, raccogliendo la ricca tradizione sviluppatesi in modo particolare a partire dal Concilio Vaticano II, nel Motu Proprio Intima Ecclesiae Natura ci ha ricordato che «L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro» (Lett. enc. Deus caritas est, 25). Il n. 10 del documento della CEI “il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia” dopo aver ribadito che “la parrocchia nasce e si sviluppa in stretto legame con il territorio, come risposta alle esigenze della sua ramificazione”, così scrive: “Presenza nel territorio vuoi dire sollecitudine verso i più deboli e gli ultimi”. In un documento caro al mondo Caritas, la Carta Pastorale Lo riconobbero nello spezzare il pane, del ‘95, al n.24 leggiamo: “... In questi ambiti, tradizionali o nuovi (zone, unità pastorali ...), la Chiesa si esprime come dialogo, servizio e accoglienza. Insieme ai momenti e alle strutture di evangelizzazione e catechesi e insieme ai momenti e luoghi di culto, la comunità cristiana deve fornirsi di tempi, strumenti e servizi permanenti di ascolto e di condivisione con i poveri...in cui è presente Cristo. Per manifestare questo volto umano del Cristo che cammina con la gente, accoglie e sana le ferite, ha compassione e spezza il pane, è necessario che la Chiesa si doti di strumenti validi, capaci di coinvolgere tutto il popolo Dio in un’organica azione pastorale di annuncio, santificazione e testimonianza. È in questo contesto che si colloca la Caritas, organismo pastorale per promuovere la testimonianza della carità di tutta la comunità cristiana, chiamata a porsi alla sequela”.

ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica. Ogni Diocesi, anche in ottemperanza a quel triplice compito di cui all’inizio, ha o dovrebbe avere la propria Caritas, come strumento di animazione in ordine alla testimonianza della Carità, che è della comunità intera, e dovrebbe favorire la nascita delle Caritas parrocchiali. La testimonianza della Carità non è un optional, essa “è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza; tutti i fedeli hanno il diritto ed il dovere di impegnarsi personalmente per vivere il comandamento nuovo che Cristo ci ha lasciato (cfr Gv 15,12), offrendo all’uomo contemporaneo non solo aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima (cfr Lett. enc. Deus caritas est, 28). All’esercizio della diakonia della carità la Chiesa è chiamata anche a livello comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari, fino alla Chiesa universale”: ogni parrocchia dovrebbe essere dotata di questo strumento, in ogni città deve splendere il suo servizio, affinchè l’attenzione al territorio e alla sua animazione rispondano pienamente allo sviluppo dell’uno e dell’altro. A tale proposito, Benedetto XVI, in occasione della celebrazione del 40° di Caritas ebbe modo di dire:”...è per questo motivo che c’è bisogno della Caritas; non per delegarle il servizio di carità, ma perché sia un segno della carità di Cristo, un segno che porti speranza”.

La Caritas in parrocchia

La parrocchia resta oggi il luogo privilegiato della Chiesa nel territorio entro cui veicolare l’attenzione della Caritas; non tanto in quanto fine a se stessa, cioè per la promozione della Caritas, ma in quanto servizio alle persone che si trovano in quel preciso territorio. Un servizio che deve tener conto in primis di quanto Papa Francesco ebbe modo di dire a Cagliari agli operatori Caritas in Cattedrale: “Dobbiamo fare le opere di misericordia, ma con misericordia! Con il cuore lì. Le opere di carità con carità, con tenerezza, e sempre con umiltà! Sapete? A volte si trova anche l’arroganza nel servizio ai poveri! Sono sicuro che voi l’avete vista. Quell’arroganza nel servizio a quelli che hanno bisogno del nostro servizio. Alcuni si fanno belli, si riempiono la bocca con i poveri; alcuni strumentalizzano i poveri per interessi personali o del proprio gruppo. Lo so, questo è umano, ma non va bene! Non è di Gesù, questo. E dico di più: questo è peccato! E’ peccato grave perchè è usare i bisognosi, quelli che hanno bisogno, che sono la carne di Gesù, per la mia vanità. Uso Gesù per la mia vanità, e questo è peccato grave! Sarebbe meglio che queste persone rimanessero a casa!” La funzione pedagogica e di conseguenza l’attenzione eduLA CARITAS cativa sono valido antidoto contro le tentazioni attivistiche e La Caritas è lo strumento pastorale di cui la Chiesa italiana il cosidetto “delirio d’onnipotenza”; la Caritas deve dunque in si è dotata al fine di promuovere, anche in collaborazione con primo luogo porre dei segni di prossimità là dove maggiore è altri organismi, la testimonianza della carità della comunità il bisogno e dove molti si disinteressano, in modo che lo stare 22


dalla parte degli ultimi e degli emarginati sia condivisione effettiva prima che denuncia, e che la comunità si metta in discussione di fronte ai mali del territorio e del mondo.

Dalla parte degli ultimi

Preferire gli ultimi significa anche partire da loro, scegliere i poveri come criterio di progettazione e verifica dell’azione sia pastorale che sociale. Tutto questo perché, come scritto da Papa Francesco nel messaggio per la Quaresima: “Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo”, questo perché come già ebbe modo di scrivere nella Evangelii Gaudium (198): “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”. Significa perciò attenzione, accoglienza, condivisione a partire dai poveri; scegliere di camminare con loro e da lì partire per facilitare la condivisione e la edificazione della comunità. Per questo motivo il “posto” dei poveri non può essere solo il Centro d’ascolto, come spesso si usa dire in Caritas, caratterizzato dalla presenza di particolari casi di emarginazione. La nostra attenzione ai segni dei tempi, a questo tempo che la provvidenza di Dio ci sta dando la grazia di vivere con il magistero di Papa Francesco, ci esorta ad uscire, piuttosto, da una situazione che ci vede in attesa di qualcuno, verso una progettualità pastorale che sappia intercettare luoghi, diversi e significativi, in cui la comunità, in tutti i suoi membri si ascolta, comunica se stessa. “Perché vicino alle case di persone diverse per età, cultura, fede, la parrocchia è chiamata a farsi laboratorio di relazioni che aiuta i singoli e le comunità a costruire legami e tessere amicizia attorno ai poveri, al Vangelo, ai sacramenti. Sono le relazioni a sostenere la vita parrocchiale, qualificare la celebrazione domenicale, costruire la comunità”. Coloro che si mettono a servizio della comunità attraverso la Caritas parrocchiale dovranno quindi possedere o acquisire lo stile e la mentalità degli animatori, diventare moltiplicatori di attenzione e impegni, coinvolgere sempre più la comunità e ciascuno dei suoi membri nell’accoglienza, nel servizio, nello spirito della gratuità. È la logica dell’educare facendo e facendo fare. Mi pare importante richiamare anche quanto scritto al n.207 dell’Evangelii Gaudium:” Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinchè i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benchè parli di temi sociali o critichi i governi”. Qui mi pare importante, mettere in evidenza sottolineandolo ulteriormente quell’anche: “correrà anche il rischio della dissoluzione”. Mi verrebbe da chiedere in quale altro grave rischio si incorrerebbe oltre a quello già nefasto della dissoluzione? Indirettamente viene affermato che per la comunità il fatto di starsene tranquilla è già di per sé un gravissimo pericolo per la propria sussistenza. A latere del discorso potremmo anche chiederci quante volte invece quasi quasi non sogniamo questa tranquillità! Una tranquillità fatta di non problemi, assente di fatto dalla vita ordinaria in contrasto con le stesse esigenze della Carità in atto.

Chiesa in uscita

Dunque la parrocchia è una comunità, è la prima comunità e deve essere lievito di fraternità. Essa, secondo quanto sottolineato dalle parole del Papa, se vuole realizzare se stessa deve adoperarsi affinchè nessuno ne sia escluso e tutti si sentano parte viva e attiva. In altre parole deve investire in Carità.

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accogli un minore nella tua casa perché torni più felice nella sua.

Ambito Distrettuale n. 3 - Brescia Est - Via Zanelli, 30 Virle/Rezzato Azienda Speciale Consortile per i servizi alla persona

Comuni aderenti: Azzano Mella, Borgosatollo, Botticino, Capriano del Colle, Castenedolo Flero, Mazzano, Montirone, Nuvolento, Nuvolera, Poncarale, Rezzato, San Zeno Naviglio

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Per fare questo possiede già degli strumenti; strumenti che innanzitutto sono dei doni. Il primo di questi è la stessa comunità. Nella misura in cui la comunità ha la piena consapevolezza di essere un dono, avrà anche la capacità di mettersi in relazione. La consapevolezza di essere tale, alla comunità le proviene dal fatto che essa è il frutto dell’ amore di Dio, della Carità di Dio. Ritornando ancora al numero 207 dell’ Esortazione Apostolica, il Papa usa 2 verbi molto interessanti ed eloquenti. Essi sono: occuparsi e cooperare; occuparsi creativamente e cooperare con efficacia. Innanzitutto occuparsi creativamente, ossia non in maniera estemporanea, né approssimativa e neanche ripetitiva, ma creativa, vale a dire in maniera sempre nuova, dinamica, generativa...in sostanza mettendo in atto quanto Giovanni Paolo II intendeva dire col termine “fantasia della carità”. L’altro verbo è cooperare. Ossia operare con. Nel territorio le cooperazioni, le collaborazioni a favore del bene comune assumono diverse connotazioni e generano alleanze, non soltanto sulla carta, ma vivificate da azioni e iniziative concrete. E’ questa la Chiesa “in uscita” cara a Papa Francesco, che “sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi” (EG, n.24). Direttore di Caritas Italiana


“sr Erminia è partita per il Mali” Ciao a tutti! Sono Sr Erminia Apostoli - originaria di San Gallo - appartenente alla Famiglia delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth, sorella di Don Isidoro e missionaria da pochi mesi in Mali. Non mi è stato possibile, per mancanza di tempo, presentarmi a tutta la Comunità dell’Unità Pastorale per un saluto, ma sono felice di poter raggiungere tutti attraverso questo ottimo mezzo di comunicazione che arriva in ogni casa, in ogni famiglia. Come certo saprete, la nostra missione specifica di Suore Operaie, che ci ha lasciato in eredità il nostro caro Santo, Arcangelo Tadini, è l’evangelizzazione del mondo del lavoro attraverso la pastorale sociale, la condivisione del lavoro, la formazione umana e cristiana dei giovani lavoratori, la promozione della donna, delle famiglie e dei poveri, vivendo la spiritualità della Santa Famiglia di Nazareth. La nostra congregazione, pur piccola, è ormai di carattere internazionale e, quindi, aperta alle varie necessità della Chiesa universale: da quasi 50 anni alcune sorelle sono presenti in Burundi con sei missioni, da oltre 25 anni in Brasile con quattro missioni ed ora, su invito di Mons. Fonghoro, Vescovo di Mopti, Mali, anche in questo paese africano. Nel rispondere a quest’ultima richiesta abbiamo sentito molto forte l’invito a fidarci del Signore e a non guardare alle nostre povertà, per essere presenza e testimonianza di carità anche in mezzo a quei fratelli e a quella società. È necessario avere il coraggio di rischiare tutto per Dio, di andare nelle periferie, come ci invita Papa Francesco, e di fidarci della Provvidenza che guida i nostri passi, mettendo nelle mani di Dio le nostre poche risorse umane, con la certezza che Lui stesso saprà far fiorire il nostro deserto. Ecco perché, con gioia e timore, ho detto al Signore: “Eccomi, ancora una volta, dove vuoi Tu!”. E Lui mi ha scelta, con altre sorelle, per aprire questa nuova missione in Mali. L’inizio era stato previsto per il mese di ottobre del 2012 ma, a causa della guerra iniziata al nord del Paese e subito diffusasi in quasi tutto il Mali, la nostra partenza è stata rimandata a tempo indeterminato. Da alcuni mesi la pace nella zona in cui vivremo si è ristabilita. Più a nord ci sono ancora grossi focolai di violenza, ma speriamo e preghiamo perché la pace possa ritornare in tutto il paese. Il 23 dicembre scorso, con una sorella del Burundi, Sr Sekunda Ntarukundo, accompagnate da una Consigliera generale, Sr Enza Frignani, che è rimasta con noi una decina di giorni, siamo partite per Mopti, per renderci conto della situazione politica e per capire cosa avremmo potuto fare per rispondere ai bisogni più urgenti di quella popolazione e della Chiesa locale. Siamo rimaste a Mopti soltanto due mesi e mezzo e poi abbiamo dovuto rientrare in Italia perché nominate Delegate al Capitolo Generale della nostra Famiglia religiosa. Ai primi di giugno sono ritornata, con sr Sekunda, a Mopti per dare stabilmente inizio alla nuova missione. Ci raggiungeranno, nei mesi di luglio e ottobre, due altre Sorelle del Burundi, Sr Euphémie e Sr Fabiola, ora impegnate a terminare alcuni corsi di preparazione alla missione. La diocesi di Mopti ci ha preparato la casa e offerto un appezzamento di terreno per poter costruire o creare qualche attività per la promozione delle donne e delle giovani. Nel breve tempo del nostro soggiorno a Mopti abbiamo potuto conoscere alcune famiglie e donne del quartiere dove abiteremo, che è in forte espansione. Ci hanno colpito molti casi di “schiavitù di ragazzine domestiche” e la situazione difficile di tanti ragazzi di strada. A questi gruppi di giovanissimi in gravi difficoltà vorremmo rivolgere la nostra attenzione, cercando di capire quali progetti potremmo assumere, oltre alla pastorale ordinaria, per dare un aiuto concreto alla loro promozione umana. Mentre mi affido alle vostre preghiere, vi ringrazio di cuore per la vostra accoglienza e auguro che il Cristo morto e risorto, contemplato e celebrato solennemente in questo tempo liturgico, sia sempre per tutti noi fonte di pace, di serenità e di attenzione alle povertà di tanti fratelli. E che Sant’Arcangelo ci accompagni. Con riconoscenza e stima per quanto vorrete fare a sostegno anche di questa missione, porgo i miei più cari saluti. Sr Erminia Apostoli S.C.N. Brescia, 8 giugno 2014

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MALI è uno stato repubblica dell’Africa Itanti,loccidentale, con circa 15 milioni di abisituato all’interno e senza sbocchi sul

mare, la capitale è Bamako. Il suo territorio, 1.240.142 km², (4 volte l’Italia,) per la maggior parte pianeggiante, è costituito al nord da deserto e altipiani rocciosi, al sud dalla savana. La popolazione è composta da diverse etnie: Bambara, Sarakolé, Peulh, Senoufo, Minianka, Bobo, Dogon, Bozo, Tuareg, Songhai, Pana, Mossi, ecc. Le lingue ufficiali sono il francese e il bambara. È un paese turistico, soprattutto al Centro-Nord: la falesia del Dogon, Tombotctou, Mopti Gao e Kidal. Le principali attività si svolgono attorno: - alla pesca per la presenza di tre grandi fiumi: Niger, Senegal e Bani che attraversano il sud del paese; - all’allevamento di mucche, capre e animali domestici (polli, faraone, ecc); - all’agricoltura: miglio, riso, cotone, mais. Sul piano sociale il Mali è indipendente dal 22 settembre 1960. E’ un paese democratico dal 1991 e vive in pace nonostante le sue diverse etnie. Soltanto al nord del paese, al confine con la Mauritania, con l’Algeria e il Niger ci sono stati e ci sono tuttora alcuni problemi con alcuni gruppi di Tuareg che reclamano l’indipendenza associati ad alcuni gruppi fondamentalisti islamici. Sul piano della religione ci sono tre grandi gruppi: L’Islam (80%), la religione tradizionale o animista (17%) e la religione cristiana (3%). Non c’è guerra di religione, tutte e tre convivono in pace. La Chiesa cattolica in Mali inizia a muovere i suoi primi passi tra il 1876 ed il 1881 quando il cardinale Lavigerie invia alcuni missionari a Timbuctu, che però vengono uccisi. Il sangue dei martiri diventa così il seme di nuovi cristiani. Nello stesso periodo infatti i padri Spiritani, dal Senegal, inviano alcuni missionari che riescono a fondare la prima parrocchia in Mali. Siamo nel settembre del 1888: è l’inizio dell’evangelizzazione del Paese che si rinforzerà con l’arrivo, nel 1895, dei padri Bianchi. Nel 1988 la Chiesa del Mali celebra il primo centenario di vita e, dopo due anni ha la gioia di accogliere la visita pastorale di papa Giovanni Paolo II. Oggi dopo 126 anni la chiesa cattolica è strutturata in sei diocesi (Kayes, Bamako, Sikasso, Segou, San e Mopti), erette tutte da vescovi maliani, con circa 360.000 cattolici. Mopti è stata l’ultima diocesi ad essere eretta, nel 1964. Copre i 2/3 della superficie del paese, con più di 800 mila kmq su un totale di 1.240.000 kmq con una popolazione stimata a più di 6.500.000 abitanti. Essa copre 4 regioni amministrative che sono: Mopti, Tombouctou, Gao e Kidal. Conta 35.000 cristiani, 21 sacerdoti: 3 Missionari d’Africa(Padri Bianchi), un fidei donum francese e 17 preti diocesani; 23 religiose; 250 catechisti. Ci sono 6 parrocchie (oggi 5 perché la sesta è stata distrutta con la guerra e ancora occupata), la più vicina alla sede vescovile dista 70 km, la più lontana 600 km. In 4 di queste parrocchie la gente parla lingue diverse per cui c’è sempre bisogno di un interprete. Vescovo e sacerdoti devono avvalersi sempre dell’aiuto del catechista che conosce la lingua locale. La lingua liturgica è il Bambara e il francese. Ogni celebrazione è quindi bilingue. Per capire un po’ il lavoro pastorale delle parrocchie prendiamo come esempio la nostra parrocchia che si estende su un territorio di 48.000 kmq (Lombardia e Piemonte insieme) con più di 100 comunità di base sul territorio. Nel corso di un intero anno non tutte le comunità riescono ad essere raggiunte dai sacerdoti anche se, ogni fine settimana, sabato-domenica, due dei tre sacerdoti partono per visitare le comunità più lontane. Le piccole comunità cristiane sono aiutate e animate sempre dai catechisti locali.

il Mali

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OTTOBRE MISSIONARIO periferie, cuore della missione

La parola “periferie” ricorre frequentemente nel magistero di papa Francesco, che si è presentato come ”venuto dalla fine del mondo” e che ci spinge continuamente a “uscire”, a creare nelle comunità le condizioni per favorire l’”inclusione”. Lui stesso non poteva che richiamare tutta la Chiesa a raggiungere le “periferie esistenziali”: dimenticati, esclusi, stranieri, umanità insomma ai “margini” della nostra vita (ma possiamo considerarci “noi” centro?). Nel tema della prossima giornata missionaria mondiale è contenuta una duplice “provocazione” per le nostre Chiese locali: accogliere l’invito a uscire dal nostro modo di pensare e vivere, per essere Chiesa attratta dai “lontani della terra”, per riscoprire il “cuore” della missionarietà, che è la gioia sperimentata dal missionario mentre evangelizza, sapendo che annunciando Gesù, tutti sono arricchiti e resi testimoni della gioia del Vangelo (= lieta notizia). Soffermiamoci sul termine “periferia” per assimilare quale stile viene richiamato con questo tema: la periferia è il cuore della missione della Chiesa, è il cuore di ciò che vibra, ciò che raccoglie i desideri e le scelte dell’uomo, infatti chi pone il suo cuore nelle periferie è uno che esce continuamente dalle sue sicurezze e s’incammina verso l’altro che vive lontano da sé… Dio ci spinge a uscire da noi stessi per incontrare, nel volto dei fratelli, il suo stesso volto: “Ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Dio s’identifica coi miei fratelli… il cuore paterno di Dio vuole abitare tra gli ultimi… Andare/Uscire verso gli ultimi (poveri e peccatori) per i cristiani non vuol dire solo andare verso i fratelli e le sorelle, ma scoprire che Dio è già qui, Lui accanto all’umanità. Se le “periferie” sono il “luogo” dove si converte la Chiesa, andare verso le periferie (e abitarvi da poveri in mezzo ai poveri) significa far risuonare l’annuncio del Regno che libera dall’attaccamento disordinato nei confronti delle ricchezze. Nella settimana di formazione di Assisi, a fine agosto 2013, meditando il passo di Atti 3,4, è stato fatto notare che la guarigione dello storpio presso la porta del Tempio, è una immagine chiara del dinamismo che qui vogliamo illustrare: Gesù ordina all’uomo storpio: “Alzati, mettiti nel mezzo” (la periferia diventa il centro della scena, mentre Gesù si colloca in secondo piano); Gesù vuole che tutti guardino con benevolenza e con misericordia quell’uomo, perché in modo fraterno si comprenda che la malattia lo ha “spinto fuori”, lo ha costretto a vivere ai margini… Potrebbe sembrare in controtendenza questo tema rispetto al titolo del prossimo Convegno Missionario Nazionale di Sacrofano: “Alzati e va’ aNinive, la grande città”. In realtà il suggerimento è quello di vedere nella “grande città” e nella vita della “gente di Ninive” le periferie, o comunque un luogo di molteplici povertà materiali e spirituali, dove moltissimi uomini e donne “non sanno distinguere la destra dalla sinistra”. Al numero 127 dell’Evangelii Gaudium, papa Francesco scrive, parlando della predicazione (e Giona si è dimostrato profeta efficace verso quelli di Ninive): “C’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai vicini quanto agli sconosciuti. E’ la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa…” L’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (traducibile sia in “la gioia del vangelo” ma anche “la gioia di evangelizzare”) ci guiderà sicuramente neIl’itinerario di questi anni. Il Signore ci aiuti a uscire dalle nostre certezze per incontrare chi sembra “lontano”; lo Spirito ci richiami a essere Luce del mondo alla periferia di ogni uomo, dove le tenebre impediscono ai nostri fratelli di essere pienamente uomini; il Padre ci renda misericordiosi e, commuovendoci per i fratelli più poveri, ci renda Dono per tutti.. 26


AI RUCC E DINTORNI”: TRENT’ANNI AL SERVIZIO DEL DISAGIO Il testo che segue è tratto da “Ai Rucc e Dintorni”: trent’anni al servizio del disagio pubblicato dalla Società Cooperativa Sociale Ai Rucc e Dintorni – onlus e dalla Comunità terapeutica Ai Rucc di Vobarno per celebrare i trent’anni di attività. Il lavoro racconta la “profetica avventura” di un giovane curato, la storia di un sogno che si è realizzato negli anni grazie al lavoro di decine e decine di uomini e donne di buona volontà. Quel giovane curato è oggi il parroco delle Comunità di Botticino. I nomi dei luoghi nascono da sé: non è una grande osservazione, ma ci permette qualche riflessione. La collinetta formatasi, in chissà quanti milioni di anni, dallo scarico dei detriti della valle che scende dal Dos dele Puse, tra la Seresöla e la Corna de Paraine da una parte e il Los dall’altra, quella che i geologi definiscono “conoide di argilla”, in passato, che si sappia, non ha avuto un toponimo tutto suo; fino agli anni Settanta, ci stava un vecchio fabbricato agricolo di proprietà del Beneficio parrocchiale; forse, per indicare il luogo, si faceva riferimento al nome di chi se ne serviva. Questa località, dagli anni Ottanta in poi, ha un nome: la Comunità; si sente abitualmente dire “Sö en Comunità…”, “So pasàt dala Comunità…” ecc. Ormai la Comunità o, se vogliamo ricorrere alla denominazione ufficiale, la “Società Cooperativa Sociale Ai Rucc e Dintorni - onlus”, è un tutt’uno con il luogo che la ospita: il lavoro, la sofferenza, il sudore, la passione, ma anche la gioia e la speranza, che la animano sono ormai radicate, compenetrate, fuse insieme alla terra su cui ancora e sempre camminano, sostano, arrancano, faticano i passi di chi ci è vissuto e ci vive; i passi di quanti hanno speso energie e fatiche a favore di chi era in difficoltà; i passi di quanti sono giunti su quel colle con la speranza di poter riconquistare la propria esistenza.

D’accordo: il toponimo ha ancora il sapore della realtà che lì si è insediata; ma è solo questione di tempo: nei secoli a venire quel colle è ormai La Comunità. Non usano forse ancora i Vobarnesi, per indicare quella che all’anagrafe è Via Asilo, l’espressione “Lé dale suore”, anche se ormai da anni le Suore Maestre di Santa Dorotea non abitano più lì? (…) Nata nell’ambito della Comunità parrocchiale vobarnese, la Cooperativa Ai Rucc e Dintorni non poteva non recepire il significato più intenso dell’esperienza comunitaria – della communitas appunto – vivendola come relazione di solidarietà, di corresponsabilità, di partecipazione nella dipendenza che deriva dalla fede comune; quindi partecipazione ai bisogni dei fratelli, comunanza di intenti; ma soprattutto spirito di comunione. E si parva licet componere magnis – se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi – in fondo anche la Comunità sta su un colle, proprio come la Madonna della Rocca; anch’essa, seppur da un’altura più modesta, domina il paese. Alla Madonna della Rocca i Vobarnesi guardano chi con lo sguardo della fede, chi più semplicemente con quello della storia e della tradizione; alla Comunità si dovrebbe guardare tutti come si guarda a tutte le opere di cui l’uomo è capace quando è animato dalla buona volontà, dal desiderio del bene, dallo spirito di solidarietà, dall’amore fraterno. Ebbe modo di scrivere don Raffaele Licini, in occasione dell’inaugurazione degli edifici in cui ha sede la Comunità: (…) La sua residenza è collocata in un luogo ben visibile, in un luogo dove gli uomini vivono e lavorano, soffrono e cadono, sperano e si rialzano (don Raffaele Licini, …ai Rucc 1989, La Comunità «Ai

Rucc», opuscolo edito in occasione dell’inaugurazione della struttura, Vobarno 1989, pag. 3) E più oltre leggiamo: La posizione in

cui ha sede la struttura è per il paese davanti ai propri occhi, quotidianamente, una presenza positiva che innesta il coinvolgimento positivo della popolazione locale e della zona (La Comunità Terapeutica: una realtà aperta, La Comunità «Ai Rucc», opuscolo edito in occasione dell’inaugurazione della struttura, Vobarno 1989, pag. 7, non è indicato l’autore dell’articolo). “Ai Rucc e Dintorni”: trent’anni al servizio del disagio, curato da Fabrizio Galvagni, può essere richiesto alla Società Cooperativa Sociale Ai Rucc e Dintorni – onlus, via Ronchi, 25079 Vobarno - www.airuccedintornionlus.altervista.org. Giovedì 29 maggio 2014 Papa Francesco incontra la Comunità “Ai Rucc” 27


Scuola don Orione

SCUOLA PRIMARIA E SECONDARIA DI PRIMO GRADO

paritarie

via Don Orione 1 Botticino Sera

“Settembre andiamo è tempo di” tornare sui banchi di scuola.

La campanella segna l’avvio del nuovo anno al Don Orione, nell’aria, come sospese le emozioni di tutti, insegnanti, genitori, alunni: attese, speranze, aspettative, dubbi, timori, nostalgie dell’estate… Primo giorno di scuola di un nuovo anno ,che siamo pronti ad affrontare con rinnovato slancio e impegno perché la nostra scuola sia sempre più un ambiente bello non solo perché sono state ritinteggiate le pareti e rifatti i tetti, ma soprattutto perché sappiamo insieme creare quel Parrocchie di Botticino clima di famiglia che sa accogliere, ascoltare, accompagnare. Questo il saluto della Preside: Sia un anno ben educato dove le REGOLE non siano vissute come un macigno, ma come opportunità di crescita. Concetto ben rimarcato dal saluto del nostro don Francesco, insegnante di religione , la scuola può sembrare un peso caricato su una piccola palma , che però grazie a quel peso è riuscita ad andare in profondità, sviluppando solide radici che hanno trovato la “fonte” della vita, permettendole di crescere più delle altre palme. Fede, scienza e cultura siano le fonti del nostro vivere! E cosa dà valore a una scuola? Ce lo dice il nuovo assessore alla cultura Giorgio Maghella, che è stato nostro alunno, educatore, insegnante e presidente dell’associazione ex allievi: il valore primo sono le persone che ne fanno parte, genitori, alunni, insegnanti, che consapevolmente scelgono di collaborare per raggiungere il grande obiettivo di “essere” persone sempre più autentiche e credibili. SIA PER TUTTI UN BUON NUOVO ANNO SCOLASTICO!

PER INFO E ISCRIZIONI CHIAMARE LA SEGRETERIA DELLA SCUOLA 0302691141 (lun-ven 8,00-12,00

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PAOLO VI

Il Papa che ha rinnovato la Chiesa

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Un bambino dalla “pessima salute di ferro “

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n bambino dalla “pessima salute di ferro “ II 30 settembre 1897 il mondo cristiano si sentì più povero. A Lisieux, in Francia, morì a soli 24 anni santa Teresa del Bambino Gesù, una delle persone più grandi che abbia vissuto sulla Terra. Ma Dio non lascia mai soli i suoi figli. Quello stesso giorno, a Concesio, in provincia di Brescia, fu battezzato e divenne “figlio di Dio” un bimbo nato da quattro giorni, Giovanni Battista, della famiglia Montini. Era un esserino gracile, sofferente. Mamma Giuditta lo tirò su con mille riguardi, consigliata dallo zio Giuseppe medico. Un giorno, sconfortata dai continui malanni, avrebbe detto: “II mio Battista ha una salute pessima”. Ma quella “pessima salute di ferro” l’avrebbe aiutato a vivere per 81 anni, e ad essere Papa in tempi difficilissimi per ben 15 anni. Giovanni Battista, chiamato familiarmente Battista, fu il secondo bambino della famiglia Montini: un anno prima era nato Ludovico, e tre anni dopo avrebbe visto la luce il terzo fratellino, Francesco. Per tredici mesi Battista fu irrobustito dal latte di una fiorente nutrice, Corinda Zanotti, che tra il verde della campagna nutriva con allegria lui insieme alla sua bella e numerosa fìgliolata. Così Battista fu presto in grado di afferrarsi alle gonne di mamma Giuditta, e di ridere e gattonare felice insieme al fratellino. Un suo coetaneo, Primo Savoldi, di Concesio, ricordava che Battista era un fanciullino “semplice, riservato, pronto ad obbedire alla prima chiamata della mamma, però sempre pronto a giocare e a rotolarsi sull’erba”. Formavano un bel mucchietto i bambini che giocavano vicino alla casa Montini, e ogni pomeriggio aspettavano con ansia che la signora Giuditta li chiamasse tutti in casa, attorno alla tavola per una bella merenda. La casa di vacanze dei Montini a Concesio era una vasta casa campagnola, con un bel cortile e tanti prati intorno. Passata l’estate, la famiglia faceva poi ritorno in città, a Brescia.

La storia di Giuditta e di Giorgio

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I genitori di Giovanni Battista Montini: Giuditta Alghisi e il papà Giorgio Montini

a mamma, Giuditta Alghisi, era una donna delicata e dolcissima. Era nata a Verolavecchia (BS) e aveva solo 18 anni quando incontrò Giorgio Montini in un pellegrinaggio dei cattolici bresciani a Roma. Sui passi di quel pellegrinaggio nacque il loro amore. Fu subito un amore “per sempre”. Ma allora la maggiore età si raggiungeva a 21 anni, e Giuditta, per indossare il vestito bianco, dovette aspettare. Si sposarono il 1° agosto 1895 nella chiesa di San Nazzaro a Brescia, e con l’amore, Giuditta volle conservare sempre il suo vestito bianco. Lo sacrificò soltanto quando il suo Giovanni Battista divenne prete, e lei ritagliò in quell’abito bianco la pianeta della sua prima Messa. Giorgio Montini veniva da una famiglia bresciana colta e cristiana. Suo padre era medico, e partecipava attivamente alle iniziative del movimento cattolico. Purtroppo morì nel pieno della maturità, e mamma Francesca, che era in attesa della sua bimba Maria, si trovò in strettezze economiche. Per allevare Maria e far continuare negli studi Giorgio, dovette vendere e ipotecare molte cose. Ma Giorgio, nato nel 1860, potè frequentare l’università di Padova e laurearsi in Legge. Aveva 18 anni quando fu fondato il giornale, “II Cittadino”, organo del vasto movimento cattolico bresciano. Aveva 21 anni, ed era fresco di laurea, quando fu chiamato ad assumerne la direzione. Fece un corso di esercizi spirituali per prepararsi. Poi con giovanile entusiasmo prese sulle spalle la pesante responsabilità. Dirigerà il giornale cattolico per trent’anni, e ne farà il centro delle grandi opere che il movimento cattolico stava facendo nascere in Brescia: la Tipografia Queriniana, l’Editrice La Scuola, la Banca San Paolo di Brescia, l’Ufficio del Lavoro, il Ricovero per gli anziani, il Dormitorio popolare, l’organizzazione di pellegrinaggi. E fu proprio durante uno dei pellegrinaggi programmati dall’organizzazione che 30


incontrò Giuditta Alghisi, più giovane di lui di 14 anni, che diventerà la sua sposa incantevole e la madre tenerissima dei loro tre figli, fino a quel lontano 1943 quando entrambi, a distanza di pochi mesi, lasceranno la terra e andranno incontro a Dio. In una lunga intervista concessa allo scrittore francese Jean Guitton, Giovanni Battista Montini (ormai diventato Paolo VI) ricorderà: “A mio padre devo gli esempi di coraggio, l’urgenza di non arrendersi supinamente al male, il giuramento di non preferire mai la vita alle ragioni della vita. Il suo insegnamento può riassumersi in una parola: essere un testimone. Mio padre non aveva paura. Aveva un che di intrepido. A mia madre devo il senso del raccoglimento, della vita interiore, della meditazione che è preghiera, della preghiera che è meditazione. Tutta la sua vita è stata un dono”. La mancanza di paura e l’essere intrepido Giorgio Montini li manifestò ogni giorno, facendo del suo giornale una coraggiosa missione al servizio della verità, della democrazia, del bene pubblico. Li manifestò specialmente quando le squadracce fasciste devastarono il suo giornale, mentre in tutta l’Italia il fascismo (dopo il 1922) faceva naufragare la libertà.

“Sacrestani” della Madonna delle Grazie

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Brescia i Montini avevano la loro casa in via delle Grazie. Papa Giorgio passava buona parte della giornata alla direzione del giornale “II Cittadino”, e tornava stanco ma sorridente allargando le braccia ai figlioletti che gli correvano incontro in un lungo abbraccio. Mamma Giuditta accompagnava sorridendo i suoi bambini alle prime scuole, seguiva con serenità i compiti che facevano a lettere grandi sul tavolo della cucina. A dare il nome alla strada in cui era la loro casa, è il Santuario della Madonna delle Grazie. Sorgeva proprio a fianco della casa Montini, e a raggiungerlo bastavano quattro passi. “Noi - diceva scherzando Ludovico, il fratello maggiore di Battista -siamo ‘i sacrestani’ delle Grazie”. Davanti all’immagine della Madonna veniva a pregare ancora fanciullo, poi ragazzo e giovane, Giovanni Battista. Pregava, rifletteva, apriva la mente e il cuore ai grandi ideali che cominciavano a delinearsi davanti a lui. Qui ogni anno, nella festa dell’8 settembre (nascita della Madonna), si radunava tutta la famiglia Montini. Lo ricordava lo stesso Paolo VI: “A Brescia l’8 settembre è giornata solenne per quel Santuario. Essa era l’occasione abituale di riunione per la nostra famiglia; e in quel pio domicilio di culto mariano, casa e chiesa, maturò la mia giovanile vocazione sacerdotale”. All’epoca dalle mani della Madonna pendevano tre medaglie d’oro che recavano incisi i nomi della famiglia Montini.

Nei 14 anni della sua breve vita, la storia aveva camminato

La famiglia Montini in una fotografia dell’epoca

La nonna paterna Francesca Buffali col nipotino Giovanni Battista

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al 1910 (appena compiuti 13 anni) al 1920 (anno della sua Ordinazione Sacerdotale) Giovanni Battista frequentò il liceo classico presso il collegio “Arici”, retto dai Gesuiti. Quando aprì i libri e ascoltò le prime lezioni, Giovanni Battista fece una scoperta che lo lasciò stupito: nei quattordici anni della sua breve vita, che egli aveva trascorso trastullandosi con i fratelli sotto gli occhi sereni di mamma Giuditta, la storia degli uomini aveva camminato nel bene e nel male a passi da gigante, anche se lui non se n’era accorto. Nel 1898 (Battista aveva un anno) il generale Bava Beccaris a Milano aveva fatto sparare con i cannoni contro gli operai che scioperavano e dimostravano: 80 morti. Il motivo delle dimostrazioni era: ottenere orari di lavoro più umani, poiché nelle fabbriche si lavorava 12-14 ore al giorno, e gli operai morivano giovanissimi. Era il tragi31

I tre fratelli Montini. Da sinistra Francesco, Giovanni Battista e Ludovico


co sviluppo italiano della “questione operaia”, della lotta dei lavoratori per avere più giustizia. Leone XIII aveva già espresso il pensiero del Vaticano sul mondo del lavoro e sulla questione sociale con la famosa Rerum Novarum del 1891 (Giovanni Battista Montini ritroverà questa “questione” in ogni fase della sua vita, finché da Papa vi darà un poderoso contributo con l’enciclica Populorum Progressio). Come reazione alle stragi di Milano, un anarchico due anni dopo aveva ucciso a Monza re Umberto I. Ai cattolici (per una decisione del Vaticano che Montini da Cardinale avrà il coraggio di dire “sbagliata”) era proibito votare alle elezioni politiche e mandare i propri deputati in Parlamento. “Per protestare contro l’occupazione di Roma”, avevano sentenziato i monsignori. E così, approfittando dell’assenza dei rappresentanti cattolici per trent’anni, i massoni e gli atei si erano impadroniti del Parlamento, della scuola, della vita pubblica. L’Italia era diventata uno stato anti-cristiano. Nelle singole province (come Brescia) l’attività dei cattolici creava giornali, casse di risparmio, editrici, sindacati, case di carità per malati e anziani. Ma le leggi erano sempre fatte dai nemici della Chiesa, e potevano annullare ogni iniziativa cristiana. Nei campi della scienza e della tecnica era stato inventato l’aereo, si era scavata la Galleria del Sempione, un americano aveva raggiunto per la prima volta il Polo Nord, Guglielmo Marconi col suo telegrafo senza fili congiungeva ormai l’Europa con l’America, e il Premio Nobel dal 1901 premiava con una grossa somma di denaro le persone che più si erano impegnate per la pace e per il progresso umano.

Amicizie e pagelle

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Con il papà 9 settembre 1917

Altare del Santuario della Madonna delle Grazie di Brescia dove don Montini celebrò la sua prima Messa

ui 17 anni nascono le prime, profonde amicizie. Uno degli amici fraterni di Giovanni Battista è Andrea Trebeschi, suo coetaneo che verrà immolato, nel 1945, nel campo di concentramento a Gusen, dopo essere stato internato a Dachau e a Mathausen. Andrea, nel 1916, gli scrive: “Mi chiedi se la nostra amicizia continuerà. E perché non dovrebbe continuare? I tuoi ideali di bene e di apostolato... devono essere i miei ideali. Potremo camminare l’uno accanto all’altro, aiutarci a vicenda”. Mesi dopo gli scrive ancora: “È dolce pensare che attraverso gli anni della mia vita, avrò di fianco te come amico, che comprenderà i miei ideali. Mi domanderai: quali sono i tuoi ideali? Una volta, camminando di sera; guardavo le stelle lucide del firmamento, e procuravo che la mia mente fosse compresa dall’immensità del creato: capivo che tutti gli astri non erano che pulviscoli giranti rispetto all’immensità dello spazio... Allora sentii che ogni cosa sotto il sole è vanità e afflizione di spirito, e provai il vivo desiderio di salire in alto... Mi si presenta una lunga storia d’amore e di pianto: la Redenzione. Ecco dunque il mio ideale: la mia vita passerà rivolta in alto” (GIOVANNI BATTISTA MONTINI, Lettere a un giovane amico, Queriniana, pp. 17; 21; 23). Sono ancora conservate nel collegio “Cesare Arici” in Brescia le pagelle di Giovanni Battista Montini. Esse lo indicano come un giovane di qualità eccellenti e di grandi promesse. Ma non è un “secchione” il giovanissimo Battista. È allegro, gli piace stare in compagnia, ama le gite, le camminate, i canti in comitiva. I giovani della scuola, se vogliono, possono partecipare alle attività dell’Oratorio dei Padri Filippini, dove funziona, fra l’altro, una buona “San Vincenzo” che s’interessa delle famiglie più povere e le aiuta. Giovanni Battista vi partecipa con impegno, dà una mano ad organizzare “banchi di beneficenza”, e mette sovente nella “cassetta degli oboli” una parte della “paghetta” mensile che riceve dal papà per le “piccole spese”.

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“Sul no non si può costruire la vita “

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ell’Oratorio Giovanni Battista conobbe un grande prete, che diventò il suo direttore spirituale: Padre Giulio Bevilacqua. Era dolce, ma aveva guizzi infuocati. Era diventato prete già adulto, dopo la laurea in Scienze Sociali alla celebre università di Lovanio. Fu impegnato sempre nella “questione sociale”, e divenne un formatore di giovani sensibili alle condizioni disumane in cui vivevano i lavoratori. Fu un pensatore instancabile e un conferenziere di eccezionale potenza. Viveva la povertà di san Francesco. Giovanni Battista si legò con ammirazione e affetto a lui. Da Papa ricorderà: “Vincoli spirituali ci unirono fin dall’adolescenza a questa incomparabile figura di sacerdote, di educatore, di apostolo” (Paolo VI lo vorrà tra i Cardinali). Giovanni Battista fece sua un’incisiva consegna di valori che Padre Giulio affidava ai giovani in quel tempo di crisi: “Sul no non si può costruire la vita” . Fu accanto a questo prete eccezionale e ad altri sacerdoti di valore, come Padre Paolo Carisana, che il giovane Battista maturò la vocazione al sacerdozio. Fu così che nel 1916 intraprese il suo cammino di formazione. Il Vescovo di Brescia, Giacinto Gaggia, che lo conosceva bene e lo stimava, gli permise di seguire gli studi senza risiedere in Seminario. Conosceva infatti il suo forte ingegno ma anche la sua delicata salute. Lo dispensò pure dal vestire l’abito talare dei seminaristi.

Giovanni Battista Montinicon i compagni del liceo festeggiando la maturità classica (1916)

Il grande mattatoio di 5 anni di guerra

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el 1914, il mondo precipitava in una catastrofe immane: la Prima Guerra Mondiale: Austria e Germania contro Francia, Inghilterra e Russia. Nei cinque anni di massacri, alla catastrofe si uniranno l’Italia e gli Stati Uniti. Risultato finale: 10 milioni di morti, 20 milioni di feriti e mutilati. Fu un mattatoio insensato. Lo stesso Winston Churchill, ministro della marina inglese, nelle sue Memorie chiamerà la Prima Guerra Mondiale “la guerra più inutile che fu mai combattuta”. Ma quando nel 1917 il Papa Benedetto XV, in un pubblico documento, definì quella guerra “l’inutile strage”, fu coperto di insulti. I ministri che si arricchivano col mercato delle armi, i generaloni che spingevano fuori delle trincee le file infinite di soldati mandandoli a farsi falciare dalle mitragliatrici, gridarono sui giornali che il Papa era “un disfattista”, “uno che toglieva il coraggio ai soldati”, “uno che non capiva la gloria della morte in combattimento”. La “gloria” fu tanta che, per sgombrare le sterminate pianure tra Francia e Germania dai cadaveri di cui erano piene zeppe, si dovette far venire un’enorme quantità di lavoratori dalla Cina.

Papà Giorgio deputato cristiano

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apa Benedetto (che era stato Arcivescovo di Bologna e sapeva quanto male avrebbero potuto evitare i cattolici nella vita politica) tolse loro finalmente la proibizione di votare e di mandare i propri deputati al Parlamento. Nel 1919 don Luigi Sturzo fondò il “Partito Popolare”, il primo partito cristiano, chiamando a lottare “per la giustizia e la libertà gli uomini liberi e forti”. Giorgio Montini fu tra i primi ad iscriversi, e nel 1920 i bresciani lo elessero deputato al Parlamento. Giovanni Battista, intanto, si impegnava negli studi teologici necessari a chi vuol diventare sacerdote e soprattutto preparava il suo cuore a ricevere il dono della grazia per diventare un degno ministro del Vangelo.

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Padre Bevilacqua creato Cardinale da Paolo VI


La prima Messa davanti alla Madonna delle Grazie

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Ricordo della Prima Messa, Brescia 30 maggio 1920

l 29 maggio 1920, nella Cattedrale di Brescia, Giovanni Battista Montini si prostra con la faccia a terra dinanzi all’altare, rivestito del camice e della stola traversa. Piovono dall’organo le austere note del canto gregoriano, e vengono invocati ad uno ad uno gli Apostoli e i grandi Santi che in duemila anni di Cristianesimo hanno portato dalla Palestina fino alle nostre terre la parola e la fede in Gesù: Pietro, Paolo, Andrea, Giovanni... Ambrogio, Carlo... Pallido di emozione, Giovanni Battista si alza e s’inginocchia ai piedi del Vescovo mons. Giacinto Gaggia. Nel silenzio teso egli, successore degli Apostoli, pone le mani sulla testa e invoca lo Spirito Santo perché venga e consacri come suo sacerdote Giovanni Battista Montini. Vicinissimi all’altare fanno corona mamma Giuditta, papa Giorgio, i fratelli Ludovico e Francesco. Il giorno dopo don Giovanni Battista, vestito della pianeta bianca ricavata dall’abito da sposa della mamma, celebra la sua prima Messa all’altare della Madonna delle Grazie. Da allora ritornò ogni volta che poteva, ai piedi della Vergine: infatti sui registri delle Messe, sono calcolate 232 sue firme (l’ultima fu nel 1963 per una breve sosta sulla via di Roma dove lo aspettava il conclave ad eleggere il successore di Papa Giovanni e che una voce ricorrente indicava nel Cardinale di Milano). Gli sono intorno tutta la famiglia e un gran numero di amici. Don Angelo Zammarchi, amico di famiglia, tiene l’omelia che senza volerlo è una grande profezia: ripete le parole che Zaccaria disse tanti anni prima, alla nascita del suo figlio san Giovanni Battista: “E tu bambino sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati”.

I primi mesi da diplomatico del Papa

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don Giovanni Battista giovane prete

Un momento di intimità con i genitori novembre 1922

ochi mesi più tardi don Giovanni Battista e papà Giorgio partono per Roma. Papa entra in Parlamento come deputato del Partito Popolare, don Battista entra all’Università Gregoriana, dove approfondirà gli studi teologici già iniziati, e si laureerà in Diritto Canonico (una disciplina che studia la leggi della Chiesa). Vorrebbe frequentare anche l’Università statale per laurearsi in Lettere, ma il futuro cardinal Pizzardo, Sostituto alla Segreteria di Stato del Papa, vede in questo giovane prete una stoffa molto buona, e lo chiama ad entrare nell’Accademia Ecclesiastica, dove la Santa Sede prepara i suoi futuri diplomatici. Dopo soli due anni (1923) don Giovanni Battista ha brillato talmente per l’intelligenza acuta e la prudenza nell’affrontare le situazioni, difficili, che viene inviato come “addetto alla Nunziatura Apostolica in Polonia, al Varsavia. È un “posto” delicatissimo. La Polonia ha riacquistato l’indipendenza sol nel 1918, e nel suo territorio ci sono diverse province che da decenni erano state considerate territorio tedesco. Sta vivendo quindi un momento molto difficile della sua storia. In Germania un furioso agitatore, Adolf Hitler, ha fondato il partito “nazional-socialista”, e nei suoi discorsi infuocati sostiene che la Polonia è un territorio tedesco, che la Germania deve tornare a possedere. Ha tentato un colpo di stato in Baviera, è stato arrestato e messo in prigione. Ma tornerà presto libero. Tra pochi anni Hitler diventerà il dittatore assoluto della Germania, e per la Polonia inizieranno anni durissimi. A Varsavia don Battista Montini lavora bene, ma il rigido clima della città lo mette k.o. Raffreddori, tossi, bronchiti paralizzano praticamente la sua attività, e deve essere richiamato a Roma. Nei due anni 1924-25 riprende gli studi all’Accademia. Qualche anno dopo gli viene assegnata la cattedra di Storia della Diplomazia Pontifìcia. Se la cava molto bene. 34


Tra i giovani universitari pensando e scrivendo per il Papi

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erché non diventi un prete “solo fasciato dai libri”, nel 1924 viene nominato assistente spirituale della Federazione Universitari Cattolici Romani. Tra i “fucini” di Roma ci sono giovanotti che diverranno politici illustri: Aldo Moro, Giulio Andreotti, Guido Concila... Dalle note lasciate da questi suoi amici apprendiamo che a don Montini premeva specialmente fermentare la mente degli universitari con il lievito del Vangelo, staccarli dalle filosofie materialiste e razziste di moda in quel tempo, e irrobustirli con le certezze cristiane attinte da letture sode e da profonde don Battista riflessioni sulle opere di pensatori antichi come S. Paolo, S. Agostino e modernissimi Montini come Jacques Maritain. Nel 1926 (a 29 anni) Montini è ammesso come “minutante” alla Segreteria di Stato del Papa. Sembra una parola da niente “minutante”, invece indica una responsabilità grandissima: minutante è colui che deve scrivere la “prima stesura” dei documenti papali (lettera a un Primo Ministro, esortazione a un’organizzazione cattolica, risposta a un Arcivescovo che ha chiesto il parere del Papa su una questione delicata...). Il Papa leggerà la “minuta”, la perfezionerà, poi la firmerà. Per 28 anni (dal 1926 al 1954) il silenzio più rigoroso cala sull’attività di Giovanni Battista Montini. Da “minutante”, nel 1937 viene promosso a “Sostituto della Segreteria di Stato”, e dal 1952 a “Pro-Segretario di Stato”. Queste parole un po’ misteriose significano che gli vengono affidati compiti e documenti sempre più importanti. È lui a consigliare il Papa sugli argomenti più delicati e carichi di responsabilità; è lui a scrivere a suo nome i documenti più carichi di storia (come il grande discorso che Pio XII terrà alla vigilia Nel giugno 1923 è destinato a Varsavia della Seconda Guerra Mondiale, con il grido: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può come addetto alla esserlo con la guerra”). Nunziatura In questi 28 anni Montini è come “nascosto” dietro il Papa. Esplora le situazioni per lui, ne trova le soluzioni e, con eccezionale finezza diplomatica, consiglia e suggerisce. Ma in primo piano la gente vede una sola persona: il Papa. La storia, in questi 28 anni, è così aggrovigliata e carica di eventi, che la mente di Montini è sottoposta a un lavorio stressante e continuo.

La storia tragica, il suicidio dell’Europa

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el 1922 in Italia diventa dittatore Benho Mussolini. Nel 1933 in Germania è dittatore Adolf Hitler. Perseguita gli ebrei. Le sue “leggi razziali” li privano di ogni diritto politico e civile. Mussolini fa alleanza con lui, e nel 1938 emana lui pure le “leggi razziali”. L’attività del Papa e del Vaticano è tesa a salvare gli ebrei (facendoli emigrare, nascondendoli nei grandi Seminari di Roma, in parrocchie lontane, chiese, conventi) e a scongiurare una seconda guerra mondiale. Ma nel settembre 1939 Hitler scatena la guerra contro la Polonia: Francia e Inghilterra rispondono all’attacco dichiarando guerra alla Germania, sostenute, in seguito, anche dalla Russia e dagli Stati Uniti. Nel giugno 1940 Mussolini getta anche l’Italia nella guerra. Seguono cinque anni di incubo. Mentre ebrei, polacchi, cattolici, zingari, omosessuali sono eliminati nei campi di concentramento, le città italiane sono devastate dai bombardamenti aerei. L’Italia è distrutta paese per paese dalle truppe alleate che risalgono la penisola dalla Sicilia alla Lombardia. La pace arriva, prima, per l’Italia nella primavera del 1945, e quindi per tutta l’Europa, nell’estate dello stesso anno, ma con un prezzo di vite altissimo: secondo le stime più note il numero dei morti ammonta tra i 50 e i 60 milioni. 35

Con il papa Pio XII nel dicembre 1939


In mezzo alla grandissima tragedia, Giovanni Battista Montini vive il suo piccolo ma intensissimo dramma: nel 1943 muoiono il papa e la mamma.

L’ombra cupa di Stalin

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In visita alle borgate della periferia di Roma(1943)

Un momento della sua vita come Sostituto alla Segreteria di Stato ( era stato nominato il 13 dicembre 1937)

ra su tutte le nazioni dell’Est europeo si stende la minacciosa ombra di Stalin che, oltre alla Lituania, l’Estonia e la Lettonia inglobate già nell’URSS, con un colpo solo espande la sua influenza sulla Polonia, la Germania-Est, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Bulgaria, la Romania, l’Albania. In tutte queste nazioni comincia una crudele persecuzione contro i cattolici: vengono sottoposti a terribili torture preti, vescovi e cardinali. Il lavoro della diplomazia vaticana (di cui nel 1952 Giovanni Battista Montini diventa il vertice) è sfiancante: occorre tentare una trama di rapporti nuovi, fragilissimi, con le autorità comuniste, cedendo tutte le cose cedibili (i beni materiali: case, scuole, terreni...) e non cedendo l’essenziale (la libertà di predicare, fare catechismo, amministrare i Sacramenti). In una parola: occorre salvare il salvabile, che è il bene delle anime. Anche questo tremendo lavoro Montini lo compie in silenzio, all’ombra e per incarico del Papa. Solo lui, Papa Pio XII, vede la fatica e la preziosità di questo lavoro. E quando si sente ormai invecchiato, decide nel 1955 di mandare il suo fedelissimo e silenzioso braccio destro (che tocca ormai i 58 anni) a guidare la Diocesi che ha più parrocchie di tutte le diocesi del mondo: Milano. Lì il “suo” Montini potrà uscire dall’ombra papale, far vedere a tutti le grandi doti di cui è fornito e mostrare le sue grandi capacità di lavoro apostolico. E così quando lui, il vecchio Papa, se ne andrà incontro a Dio, il “suo” Montini potrà essere uno dei candidati a succedergli sulla cattedra di Pietro, al vertice di tutta la Chiesa. Questa nomina è vista però come una “sorpresa”; si parla di allontanamento, di esilio, di incomprensioni con alcuni collaboratori del Papa. Alla luce dei fatti successivi, un dato è certo: si tratta di un fatto provvidenziale.

Sotto l’acqua gelida a baciare la terra

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Il suo primo gesto è il bacio alla terra milanese. In ginocchio per terra sulla strada bagnata tra lo stupore di chi lo accompagna

ra una giornata spaventosamente i fredda e piovosa quella del 6 gennaio 1955. Su Milano e su tutta la Lombardia il ciclo era una cappa nera che rovesciava ininterrottamente acqua gelida. Eppure in quel giorno stava arrivando a Milano il nuovo Arcivescovo, il lombardo Giovanni Battista Montini, mandato direttamente dal Papa. Quando l’auto che lo portava toccò i primi metri della Diocesi di Milano, Montini la fece fermare. Scese sotto la pioggia scrosciante, si inginocchiò sulla strada, si curvò e baciò la terra. Era la sua “nuova terra”, quella che Dio gli affidava perché vi portasse con umiltà la sua parola, la sua bontà e la sua misericordia. A Milano la folla, inneggiante sotto un plumbeo cielo, si assiepava ai margini delle strade, incurante del diluvio. E Montini volle che la sua auto fosse scoperchiata, e con la persona coperta da un semplice velo di nailon, in piedi, benedisse la gente, la “sua gente”, che gli dava il benvenuto in nome di Dio. La macchina si allagava, ma lui continuò a benedire, a salutare, finché giunse al Duomo, e vi entrò tra una folla fittissima e applaudente, si inginocchiò a lungo davanti al tabernacolo, e poi salì con gli occhi bassi al “suo posto”: la cattedra del Vescovo, del successore degli Apostoli, che era già stata la cattedra di sant’Ambrogio e di san Carlo. 36


Dentro di sé, Giovanni Battista Montini era serenamente atterrito dall’enorme responsabilità che in quel momento Dio gli affidava, e che lui non aveva mai cercato. Ma era anche serenamente deciso a compiere fino in fondo il suo dovere: essere Gesù tra la gente di Milano e della vastissima archidiocesi, imitarlo in ogni momento mettendosi al servizio di tutti. Senza badare allo strombazzamento dei giornali che annunciavano per Montini “una breve sosta a Milano” prima di diventare il nuovo Papa, egli avrebbe speso la vita che il Signore ancora gli dava come Vescovo di Milano, senza pensare al proprio futuro né ad altre promozioni ecclesiastiche.

Due buchi neri nella metropoli

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In visita al nuovo reparto di maternità presso l’ospedale Melloni a Milano il 12 giugno1955

nsieme ai suoi collaboratori e ai migliori studiosi cattolici della città, Montini conduce in tempi rapidi un’analisi concreta ed accurata della grande metropoli. Si individuano immediatamente due minacciosi “buchi neri”. Innanzitutto la città sta diventando un mare di case, casupole, tuguri dove le industrie attraggono folle di emigrati: gente che non si conosce, non comunica, non vive. Milano sta diventando un immenso dormitorio dove ci si sveglia per andare a lavorare e per ritirare un salario. Quando si potranno tirare compiutamente le somme, si costaterà che tra il 1950 e il 1963 sono emigrate in Milano 560.000 persone, e altre 600.000 si sono fermate nei comuni che gravitano attorno alla città. La maggior parte di queste persone sono meridionali e isolani. Il livello professionale è modesto, l’istruzione insufficiente. Milano, che nel 1951 non conosceva l’analfabetismo, cinque anni dopo aveva il 15% di analfabeti. Numerosi milanesi manifestano disagio e aggressività verso i nuovi venuti. Li vedono come perturbatori, disintegratori dell’ordine, disponibili a paghe da fame, a contratti illegali, e quindi pericolosi concorrenti sui luoghi di lavoro. Gli immigrati, isolati dall’ostilità, finiscono per chiudersi tra loro, incapsulati in gruppi a base regionale che rifiutano di L’Arcivescovo di Milano Montini, inserirsi nelle strutture associative della città: religiose, sindacali, culturali, sportive. con l’allora Patriarca Il secondo buco nero è l’atteggiamento della classe imprenditrice-borghese. di Venezia Angelo Giorgio Bocca, giornalista arrivato da poco a Milano, la fotografa in poche righe Roncalli graffianti: “Di persone oneste ce n’erano molte anche in quella Milano, ma l’onestà (3 marzo 1958) non era più una virtù di moda; non ne parlava nessuno, tutti parlavano di soldi, solo i soldi davano rispettabilità...”. L’Arcivescovo concluse amaramente che in Milano al Vangelo stava subentrando la 840 parrocchie sono logica dell’egoismo. Occorreva reagire con forza. state visitate da Montini. Con l’approvazione dei suoi collaboratori l’arcivescovo Montini lanciò la prima L’11 agosto 1958 sta grande “missione” (Milano terra di missione!) condensata nelle parole: “Dio è nostro salendo verso Monterone a dorso di Padre”. mulo come S.Carlo Montini chiamò all’appello i parroci, i predicatori, i religiosi e le religiose, le associazioni cattoliche, i responsabili delle iniziative sociali e caritatevoli, le scuole di religione, gli uomini politici cattolici. Ripetè e martellò davanti a tutti questa verità-realtà che è il cuore del Cristianesimo: “Dio è nostro Padre, e di conseguenza noi siamo fratelli e sorelle. Solo se si immerge la propria vita in questa convinzione, si riesce ad abbattere gli idoli del denaro e dell’egoismo, e capire che la ricchezza o serve a fare del bene o è una maledizione per chi la possiede e per chi non la possiede. Solo se siamo convinti che Dio è nostro Padre riusciamo a fare di una città, di un quartiere, di un paese una comunità. 37


Solo se Dio è mio Padre vedo nell’altro (qualunque sia il colore della sua pelle o la cadenza del suo idioma) un fratello che ha fame come me, ha bisogno di lavorare come me: un fratello, e non un concorrente da cacciare in fondo alla fila”. Una necessità urgente era costruire chiese nelle “coree” affollate di emigrati nella cintura della città, perché diventassero “centri di nuove comunità”. Lo slogan con cui venne lanciata questa particolare iniziativa fu “Gesù va cercando casa”. Montini non ebbe paura a vendere beni venerandi dell’Archidiocesi per la costruzione di queste nuove chiese. E i Cristiani, ricchi e poveri, contribuirono finché furono costruite oltre 100 nuove chiese.

Grave notizia da Roma

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Con i bambini poliomelitici parte per un pellegrinaggio a Lourdes (1 maggio 1962)

ontini aveva appena cominciato una nuova, importantissima iniziativa, la “Visita pastorale” alle parrocchie della sua vastissima Archidiocesi, quando da Roma giunse un notizia grave, e per lui anche molto triste. Era il 9 ottobre 1958, e nella pace del Signore si era spento Pio XII, il “suo” Papa. Pio XII negli ultimi tempi aveva una salute molto precaria. Problemi molto difficili (primo fra tutti la tremenda situazione delle nazioni cattoliche cadute sotto la dominazione del comunismo staliniano) lo impegnavano allo spasimo. Di giorno in giorno si aspettava che annunciasse un “Concistoro”, cioè la nomina di nuovi Cardinali, tra cui certamente ci sarebbe stato l’Arcivescovo di Milano. Ora la sua morte improvvisa interrompeva ogni attesa. I Cardinali, gli elettori del Papa, raggiungevano normalmente il numero di 70. In quel momento, invece, per la morte di molti Cardinali anziani, il loro numero era di 51. Essi si radunarono a Roma da ogni parte del mondo per i solenni funerali del Papa defunto e per il Conclave in cui eleggere il nuovo Papa. Ma nel loro incontro non ci fu gioia festosa: a tutti pareva impossibile colmare il vuoto lasciato dal grandissimo Pio XII. Da quel Conclave uscì Papa il Patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, che prese il nome di Giovanni XXIII. A molti sembrò un vecchietto di 77 anni capitato nella lista dei Papi per sbaglio. Ma presto ci si accorse che quell’impressione era sbagliatissima. “Papa Giovanni”, come in breve tutti lo chiamarono, inaugurò con semplicità una maniera nuova e simpatica di essere Papa. Per tutti era diventato semplicemente il “Papa Buono”. E intanto prendeva grandi e coraggiosissime iniziative per la vita della Chiesa. Il 15 dicembre (57 giorni dopo la sua elezione) creò ventitré nuovi Cardinali: il primo della lunga lista era Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano. Papa Giovanni lo chiamò “sua prima creatura”. Erano amici da molto tempo, e Roncalli aveva per lui una stima grandissima. Il 25 gennaio (98 giorni dopo la sua elezione) radunò i Cardinali residenti a Roma e disse con semplicità: “Per venire incontro alle presenti necessità del popolo cristiano, annunciamo la celebrazione di un Concilio Ecumenico universale... Sarà un compito immenso, ma il Concilio presenterà la Chiesa in tutto il suo splendore, senza macchia e senza ruga... La Chiesa sarà allora luce incandescente, faro luminosissimo, e i fratelli lontani, immersi nella notte dell’errore e del materialismo, potranno orientarsi e vogare verso il porto di salvezza”.

2.500 Vescovi cercano il modo di essere “Gesù presente nel mondo del 2000” Papa Giovanni XXIII il “Papa buono”

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I Concilio Ecumenico era un’iniziativa enorme, che avrebbe assorbito per anni tutte le forze della Chiesa. Avrebbe radunato a Roma tutti i Vescovi della Chiesa (circa 3.000 anche se poi furono quasi 2.500 quelli che riuscirono a partecipare) 38


per discutere e rinnovare la vita dei Cristiani, dei preti, dei Vescovi, per essere “Gesù presente nella vita del mondo alla fine del secondo e all’inizio del terzo millennio dell’era cristiana”. Il Concilio doveva costituire e produrre una revisione generale della vita cristiana, profonda e coraggiosa. Da quel momento il tempo e il lavoro di Montini furono spezzati in due parti. Continuò la visita pastorale alle parrocchie di Milano sepolte nei quartieri più poveri e costellati di bandiere rosse; entrò sotto i capannoni delle industrie circondato anche da volti chiusi e nemici. A tutti rivolse una parola di fratello, di padre. Disse che la Chiesa era accanto ai lavoratori, faceva sue le loro giuste rivendicazioni, anche se condannava la violenza che germinava sempre più frequente in ogni zona della città. E rispose docilmente a Papa Giovanni che lo coinvolgeva sempre più nella preparazione del Concilio. Questo si aprì l’11 ottobre 1962, con la sfilata imponente di 2.500 Vescovi tra 200.000 cristiani che avevano invaso Piazza San Pietro. Le discussioni apertissime su ogni argomento furono guidate da dieci Cardinali, tra cui Montini, e durarono due mesi. All’inizio di dicembre le linee di fondo erano ormai chiaramente delineate. Papa Giovanni, l’8 dicembre, dichiarò “conclusa” la prima sessione del Concilio, e diede a tutti l’arrivederci alla “seconda sessione” che si sarebbe aperta dopo nove mesi. Ma Papa Giovanni non sarebbe arrivato alla “seconda sessione”. Un male grave l’aveva assalito da tempo, ed egli andò incontro al suo Signore il 3 giugno 1963.

Basilica di S.Pietro. Concilio Vaticano II aperto da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 e chiuso da Paolo VI l’8 dicembre 1965

“Mi chiamerò Paolo “ Il 19 giugno i Cardinali si riunirono in Conclave per eleggere il nuovo Papa. Due soli giorni bastarono. Il 21 giugno fu eletto il Cardinale di Milano, Giovanni Battista Montini. Disse: “Mi chiamerò Paolo”, e tutti pensarono all’Apostolo delle genti, il grande missionario che aveva portato la fede cristiana all’Occidente pagano. Il paganesimo stava tornando e davvero era necessario un nuovo Paolo. Subito dopo egli disse che il Concilio Vaticano II sarebbe continuato, riprendendo regolarmente i lavori il 29 settembre. Fu questo l’impegno più grande, in cui Paolo VI profuse tutte le sue forze e la sua intelligenza. Presiedette il Concilio con mano delicata e ferma nella seconda, terza, quarta ed ultima sessione, fino alla sua chiusura, celebrata l’8 dicembre 1965. Ci furono dispute serrate, a volte sofferte e incandescenti, tra chi voleva prima di tutto “conservare” le tradizioni venerande, e chi voleva prima di tutto “rinnovare” la vita della Chiesa, per renderla più viva e vitale per i tempi nuovi. Con serena fermezza l’8 dicembre Paolo VI pose la sua firma e il sigillo papale sotto 16 documenti che tracciavano la vita della Chiesa rinnovata: 4 Costituzioni: le 3 Costituzioni dogmatiche Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, Dei Verbum sulla Divina Rivelazione e Lumen Gentium sulla Chiesa; e la Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo; 9 Decreti: Unitatis Redintegratio sull’Ecumenismo; Orientalium Ecclesiarum sulle Chiese orientali; Inter mirifica sui mezzi di comunicazione sociale; Christus Dominus sui Vescovi; Perfectae Caritatis sul rinnovamento della Vita religiosa; Optatam Totius sulla formazione sacerdotale; Apostolicam Actuositatem sull’apostolato dei Laici; Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa; Presbyterorum Ordinis sulla vita e il ministero sacerdotale; 39

Il Cardinale Montini entra in Conclave il 19 giugno 1963

Il cardinale Ottaviani incorona Sommo Pontefice Paolo VI


Paolo VI con madre Teresa di Calcutta e John Kennedy

3 Dichiarazioni: Dignitatis HuPaolo VI con i campesinos colombiani, manae sulla libertà religiosa; NoBogotá il 23 agosto 1968 stra Aetate sulla relazione con le religioni non cristiane; Gravissimum Educationis sull’educazione cristiana. Da questi straordinari frutti del Concilio emerge prima di tutto un concetto di Chiesa come comunione, unita solidalmente alla famiglia umana, immersa nel mondo e a servizio dell’uomo, soprattutto del più debole e sofferente. Una grande e nuova importanza viene data ai laici: più partecipazione e più responsabilità per loro nella missione della Chiesa. Ciò è favorito anche dalla liturgia, non più solo in latino, ma nelle diverse lingue locali, e dalla diffusione della Bibbia, per troppo tempo tenuta distante dai fedeli, tramite traduzioni appropriate e corrette nei vari idiomi. Con i fratelli separati non si mettono più in evidenza le differenze e le divisioni, ma i punti di unione, per un fecondo cammino di dialogo verso l’Unità visibile. Anche verso le religioni non cristiane la Chiesa ha un mutamento di direzione nei rapporti, mostrando stima per tutti, rispetto e volontà di pace. Un’interessante novità è l’attenzione del Concilio verso i mezzi di comunicazione sociale, riconoscendone i pregi e le potenzialità, ma anche i pericoli, per i quali si raccomanda senso di responsabilità e prudenza. Paolo VI, conoscitore della storia, sapeva che per far entrare nella mentalità e nella vita dei Cristiani il Concilio di Trento (1545-1563) che aveva profondamente rinnovato la Chiesa, c’erano voluti una settantina d’anni. Ora, anche se le comunicazioni erano diventate molto veloci, le persone erano rimaste persone, con la loro mentalità, le loro usanze, le loro resistenze difficili da vincere. Da questo momento, perciò, Paolo VI divenne il “Papa paziente”. Verso i documenti elaborati dal Concilio ci furono resistenze, proteste, anche ribellioni. Il Papa sopportò tutto, come il maestro che attende pazientemente che anche gli ultimi scolari lo capiscano e lo seguano.

Pellegrino e difensore dei poveri Papa Paolo VI durante il suo discorso al palazzo dell’ONU

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egli anni che accompagnarono e seguirono il Concilio, Paolo VI fece 23 pellegrinaggi. Il più delicato e significativo fu quello in Palestina (4-6 gennaio 1964). In quella Terra Santa aveva camminato, predicato, sofferto Gesù. Il suo Vicario tornava a camminare per le stesse strade, a parlare alla gente, e percorrere la Via Dolorosa del Calvario. In quell’occasione incontra ed accoglie a braccia aperte, per la prima volta (dono provvidenziale) il Patriarca ortodosso Atenagora, grande fratello di Papa Montini sulla strada dell’Unità dei Cristiani. Altri pellegrinaggi notevolissimi portarono Paolo VI: • in India (dicembre 1964), dove partecipò al Congresso Eucaristico Internazionale e compì un gesto indimenticabile: regalò pubblicamente la sua automobile (dono della Chiesa americana) a Madre Teresa, la missionaria dei poveri; • alle Nazioni Unite in New York (U.S.A., ottobre 1965), dove parlò all’Assemblea Generale della pace e della convivenza tra i popoli; • a Firenze ferita dall’alluvione (dicembre 1966); • a Fatima (maggio 1967) dove incontrò Lucia, l’ultima sopravvissuta dei pastorelli che videro la Madonna; 40


• a Istanbul (Turchia, luglio 1967) dove abbraccia di nuovo fraternamente il Patriarca Atenagora. Accanto ai Documenti del Concilio, Paolo VI inviò ai Cristiani Esortazioni apostoliche e 7 Lettere Encicliche. Quella che più impressionò il mondo fu la Populorum Progressio (1967). Vedendo l’estendersi nel mondo della miseria e dello sfruttamento dei poveri, il Papa richiamò tutti al dovere di uno sforzo globale per lo “sviluppo culturale, morale, sociale e religioso” dei popoli arretrati. E dichiarò che questo dovere nasceva dal fatto che tutti siamo fratelli, e che i beni della terra sono dell’intera famiglia umana, e non di pochi privilegiati che se li sono accaparrati. E poiché i beni della terra venivano dilapidati in continue guerre e incamerati da fiorenti industrie che costruivano armi, Paolo VI proclamò il 1° gennaio del 1968 “Giornata della Pace”. Chiamò tutti i Cristiani a ripeterla ogni anno dettando personalmente lo slogan per ogni giornata: La pace è possibile - La pace è dovere - Ogni uomo è mio fratello - Se vuoi la pace, lavora per la giustizia — Se vuoi la pace, difendi la vita - Se vuoi la pace, prepara la pace. “Sulla terra - egli scriverà - deve essere costruita la ‘Civiltà dell’Amore’. Essa prevarrà sull’affanno delle implacabili lotte sociali... e darà al mondo la sognata trasfigurazione dell’umanità, finalmente cristiana, amalgama degli ideali umani e cristiani”. Un’altra sua lettera che fece moltissimo clamore e fu segno di contraddizione fu la Humanae Vitae, in cui chiamò i Cristiani a resistere all’ondata di sensualità che invadeva il mondo, a rispettare la legge di Dio nel matrimonio e a denunciare l’illiceità dei mezzi innaturali di regolazione delle nascite. Nel sottolineare il cuore dell’importante Enciclica, così afferma: “Nel difendere la morale coniugale, nella sua integrità, la Chiesa sa di contribuire all’instaurazione di una civiltà veramente umana: essa impegna l’uomo a non abdicare alla propria responsabilità e, al tempo stesso, difende la dignità dei coniugi”.

In Turchia con il Patriarca Ortodosso Atenagora

Come un macigno sul cuore

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aolo VI aveva varcato gli 80 anni, eppure la sua “pessima salute di ferro” 10 spingeva ancora avanti nel lavoro per il Regno di Dio. Ma poi venne qualcosa di devastante, che fece precipitare tutto, come un macigno che si abbatte sul cuore. Fu la tragica fine dell’onorevole Aldo Moro, 62 anni, padre di famiglia, cinque volte Capo del Governo italiano, allora Presidente della Democrazia Cristiana. Era stato uno dei giovani universitari che sotto la guida di don Giovanni Battista Montini si era preparato seriamente alla vita politica. Erano amici da sempre. L’Italia, in quegli anni, era devastata dalle azioni criminali di gruppi terroristi chiamati “Brigate Rosse”. Il 16 marzo 1978 le auto che portavano Aldo Moro furono attaccate da un commando di Brigatisti in Via Fani a Roma: i cinque uomini della scorta furono barbaramente trucidati e Aldo Moro fu sequestrato. Per 55 giorni l’Italia trepidò per quell’uomo saggio e mite. I terroristi annunciarono che Moro sarebbe stato ucciso se non fossero stati liberati molti terroristi detenuti in carcere per delitti e omicidi. Nella notte del 16 aprile Paolo VI scrisse una lettera “agli uomini delle Brigate Rosse”. Essa venne pubblicata da tutti i quotidiani nazionali il 21 aprile. In ginocchio li implorò perché lo liberassero. La risposta non arrivò mai. La mattina del 9 maggio ritrovarono il cadavere di Aldo Moro rannicchiato in un’auto rossa parcheggiata in una strada di Roma. Quella mattina Paolo VI cominciò a morire. Volle celebrare lui stesso la Messa in suffragio del suo amico, davanti all’Italia tutta, che assisteva impietrita davanti ai televisori. Nell’omelia disse parole amare e dolcissime: “Le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla gros41

Con i minatori nel Natale 1972

Roma, 13 maggio 1978 Paolo VI volle celebrare lui stesso le esequie di Aldo Moro


Roma, 12 agosto 1978 I funerali di Paolo VI nella semplicità da lui desiderata: la semplice bara in legno d’olivo a terra. un Evangeliario aperto. Semplice anche la sua tomba nelle grotte vaticane.

Lo stemma di Paolo VI: La forma dello scudo è a testa di cavallo. I simboli interni sono dello stemma di famiglia: sullo sfondo rosso (amore e fortezza), sei cime (simbolo di possedimenti montani) e tre gigli (purezza e umiltà); le chiavi e il triregno sono i contrassegni della dignità papale.

sa pietra rotolata davanti al sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il grido e il pianto dell’ineffabile dolore, con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non tu, Dio della vita e della morte”? Tu non hai esaudito la nostra supplica per l’incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente e amico... In questa giornata di sole che inesorabilmente tramonta non è vana (la nostra fede): la nostra carne risorgerà, la nostra vita sarà eterna... Aldo e tutti i viventi in Cristo li rivedremo... Il nostro cuore sappia perdonare l’oltraggio ingiusto e mortale, inflitto a questo carissimo amico e a quelli che hanno subito la medesima sorte crudele... “. Nei giorni seguenti l’artrosi, che sempre lo aveva fatto tribolare, raggiunse limiti che devastarono il cuore. Scrisse lentamente nel suo testamento: “Mentre il mio essere esterno si logora, il mio essere interiore si rinnova di giorno in giorno. Ho combattuto la buona battaglia, ho ultimato la mia corsa, ho conservato la fede”. Il cuore di Paolo VI cessò di battere il 6 agosto 1978, mentre la Radio Vaticana iniziava la quotidiana recita del santo Rosario. La causa di beatificazione, su incoraggiamento di Giovanni Paolo II, fu avviata nel 1990 dalla Diocesi di Brescia, dietro sollecitazione dei Vescovi latinoamericani e italiani. Quasi vent’anni dopo, il 20 dicembre 2012, Benedetto XVI ha riconosciuto le “virtù eroiche” di Papa Montini, proclamandolo Venerabile. Sotto il pontificato di Papa Francesco viene riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione che apre le porte alla Beatificazione: la guarigione (avvenuta negli Stati Uniti nel 2001), inspiegabile per la scienza, di un feto al quinto mese di gravidanza in condizioni critiche, tanto che la diagnosi aveva previsto la morte del piccolo nel grembo materno o gravi malformazioni alla nascita. La mamma rifiutò di interrompere la gravidanza e si rivolse nella preghiera a Papa Paolo VI: le condizioni migliorarono improvvisamente e il bambino nacque senza problemi. Il Santo Padre Francesco il 19 ottobre 2014, a conclusione dell’Assemblea Generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, organo istituito proprio da Paolo VI, proclama Beato Papa Paolo VI.

Maggio 1970 . Il seminario di Brescia incontra Paolo VI In occasione del suo 50° di sacerdozio. Nella foto don Raffaele, allora giovane seminarista, consegna al papa un dono, alla presenza dell’allora vescovo di Brescia mons. Luigi Morstabilini.

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INTRODUZIONE ALLA BIBBIA Come crescere nella fede? Come nutrire la fede? Conosciamo la Parola di Dio. Continuiamo la conoscenza del testo sacro per cogliere meglio i tesori contenuti in esso

La Bibbia e i suoi

linguaggi

La Bibbia contestata

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ogliamo ora esemplificare alcuni atteggiamenti, cui può condurre una non corretta interpretazione della Bibbia e la non comprensione del vero significato della «verità» in essa racchiusa e comunicata. Spesso si rifiuta la Bibbia contestandole di non favorire il progresso e di opporsi alla scienza. Una simile motivazione non ha ragione di essere. Infatti tra scienza e fede, Bibbia e progresso non può esistere alcuna contrapposizione, perché la verità di cui parla la Bibbia non è quella scientifica, ma quella che conduce alla salvezza. A ciò ha contribuito anche la conoscenza più profonda che oggi abbiamo delle lingue della Bibbia e dei generi letterari, cioè dei modi di esprimersi e di narrare degli antichi. Ecco alcune esemplificazioni: • Nel testo di Qoèlet 1,4 («Una generazione se ne va e un’altra arriva, ma la terra resta sempre la stessa») il verbo ebraico originario riferito alla terra è «stare fermo». Esso non va inteso nel suo significato scientifico, ma è usato per creare letterariamente una contrapposizione tra il continuo succedersi delle generazioni umane e la stabilità dell’ambiente in cui l’uomo vive (perciò il verbo «stare fermo», grazie a questa interpretazione, viene tradotto giustamente «la terra rimane la stessa»). • II testo di Giosuè 10,10-15 (nel quale appare il grido: «“Fermati, sole, su Gàbaon, luna, sulla valle di Aialon”, Si fermò il sole e la luna rimase immobile») è da interpretare non come affermazione scientifica (pur sapendo che il mondo antico si basava sul sistema geocentrico o tolemaico), ma come libera esclamazione poetica, in un contesto letterario che ha i toni della poesia o narrazione epica.

• II racconto della creazione in sei giorni (Gen 1,131), nell’intenzione dell’autore sacro non vuole indicare sei epoche o sei periodi (per cui non bisogna arrabattarsi per farli concordare con i dati della scienza astronomica), ma è un modo di raccontare che «incornicia» l’opera creatrice di Dio nella settimana ebraica, per inculcare (soprattutto agli ebrei esuli a Babilonia, che rischiavano di perdere il valore sacro di questo giorno) l’osservanza del sabato, giorno di riposo e di festa, proprio come aveva fatto Dio che «nel settimo giorno portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto» (Gen 2,2). Come si vede, la conoscenza dei generi letterari e la loro applicazione al testo biblico, sono di incalcolabile utilità per una retta interpretazione della Bibbia. La Costituzione conciliare Dei Verbum, che inculca lo studio e la conoscenza dei generi letterari, giustamente afferma: «Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per venire a conoscere ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi realmente hanno inteso indicare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole». Per scoprire l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto, tra l’altro, anche dei generi letterari. La verità infatti viene in modi diversi proposta ed espressa nei vari testi: storici o profetici o poetici o con altri generi letterari. È necessario, dunque, che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo ha inteso e ha espresso in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso. Infatti, per comprendere esattamente ciò che l’autore sacro ha voluto asserire nello scrivere, si deve fare molta attenzione sia ai modi abituali e originari di intendere, di esprimersi e di raccontare in voga ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che allora si usavano abitualmente nei rapporti umani» (Dei Verbum, 12). Se al tempo di Galileo (come pure in altri momenti

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INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

critici nella storia dell’interpretazione biblica) si fossero conosciuti i generi letterari con tutte le loro implicanze, i testi della Bibbia che sopra sono stati presentati come esemplificazione (ma anche tanti altri ancora) non sarebbero diventati il cavallo di battaglia per lo scontro tra scienza e Bibbia, scienza e fede.

una traslitterazione non corretta del nome ebraico Jahwèh, «il Signore») giungono a far screditare la Bibbia. Fra i tanti casi che confermano questa loro posizione fondamentalista, possiamo ricordare come essi confondano il termine ebraico «sangue» con il termine italiano «vita», proibendo così le trasfusioni di sangue. Oppure quando essi limitano il numero dei salvati ai soli 144.000 descritti nel libro dell’Apocalisse cap 7,4 («E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquaran-taquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli di Israele»), non tenendo minimamente conto del simbolismo dei numeri nella Bibbia, come vedremo proseguendo in questa trattazione.

La Bibbia addomesticata Ci sono anche coloro che oggi addomesticano la Bibbia, leggendola senza tener conto delle indicazioni del Magistero della Chiesa, né delle lingue in cui i testi sacri sono stati scritti (ebraico, aramaico, greco), né dei generi letterari. Rischiano, cosi, di farle dire proprio ciò che essa non intende dire! È il caso delle diverse sette fondamentaliste, quelle cioè che prendono alla lettera tutto ciò che il testo biAlcuni suggerimenti blico afferma, senza rispettarne il contesto, la lingua, Tradotta nella nostra lingua, la Bibbia ormai ci è il genere letterario e tutta la tradizione interpretativa diventata familiare. La scorrevole traduzione voluta della Bibbia. In particolare i Testimoni di Geova («Geova» è dalla Conferenza Episcopale Italiana (2008) ha contri-

Nella figura, la concezione tolemaica della terra centro dell’universo che fu capovolta da Niccolò Copernico con la scoperta che è la terra, con altri pianeti, a ruotare intorno al sole. 44


buito a renderne più facile la lettura e la comprensione, con particolari adattamenti e con la cura di tutto ciò che può favorirne la proclamazione nelle nostre assemblee domenicali (accenti, spazi, punteggiatura, pause, eco). Tuttavia alcuni testi possono risultare difficili e per questo vogliamo qui riportarne qualcuno, come esempio, e cosi dare qualche suggerimento per saperli interpretare nella fede della Chiesa, senza cadere in errore. 1. Conoscere le lingue della Bibbia: la conoscenza dell’ebraico, dell’aramaico e del greco ci fa capire meglio l’esatto significato dei termini biblici. Ad esempio, nei Vangeli si parla di «fratelli» e «sorelle» di Gesù (cf Mc 6,3: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di loses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?»). Dalla lingua ebraica sappiamo che il termine «fratello» può significare anche «cugino». Questa precisazione aiuta ad evitare ogni equivoco sulla persona e sulla famiglia di Gesù. 2. Conoscere i generi letterari: i «modi» di esprimersi e di raccontare degli antichi aiutano a interpretare meglio il racconto della creazione e del diluvio, presenti anche nelle antiche letterature mesopotamiche (come l’Enuma Elish, «Quando in alto», e l’Epopea di Ghilgamesh), i racconti dei Patriarchi e i racconti dell’esodo dall’Egitto, la predicazione dei Profeti e le immagini e i simboli dei Salmi e altri passi difficili per la nostra sensibilità moderna (come gli episodi di violenza e di immoralità, la pratica della guerra santa e dello sterminio, ecc). Inoltre la conoscenza del mondo dell’antico Vicino Oriente, della sua cultura e del suo modo di rapportarsi alla divinità, rende più accessibile anche al lettore del nostro tempo il linguaggio con cui la fede biblica esprime Dio, che possiamo così esemplificare: * il linguaggio militare e della guerra: «Signore combatti chi mi accusa, afferra scudo e corazza... impugna lancia e scure contro chi mi insegue» (Sal 35,1-3); * il linguaggio del pastore e della terra: «II Signore è il mio pastore... su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce» (Sal 23,1-2); * il linguaggio forense, che adatta a Dio la terminologia del tribunale e del giudice: «Dio è giudice giusto»(Sal 7,12), «Giustizia e diritto sono la base del tuo trono... il popolo si esalta nella tua giustizia» (Sal 89,15.17); * il linguaggio sponsale, al quale si ispira in particolare la predicazione dei profeti (come Osea e Isaia) e l’intero libro del Cantico dei Cantici: «lo gioisco pienamente nel Signore... perché mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli» (Is 61,10), «Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5;

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

cf Is 54,1-14). Anche nel Nuovo Testamento è presente questo linguaggio (Mt 9,15; 22,1-4; Lc 12,35-39; 14,15,24; Gv 2,110; Ef 5,25-27) e il libro dell’Apocalisse, che in diversi passi ad esso si ispira, così si conclude: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). 3. Conoscere il simbolismo dei numeri: nella Bibbia i numeri hanno quasi sempre valore simbolico e raramente vengono usati con la precisione che attribuisce loro il valore reale che ciascuno esprime. Ecco alcuni esempi: - il numero sette indica perfezione; - il numero dodici pienezza; - il numero mille una quantità incalcolabile (pensiamo ai 144.000 di Ap 7,14, che è il risultato della moltiplicazione di altrettanti numeri simbolici: 12x12x1000); - il numero quattro indica la totalità (pensiamo ai quattro punti cardinali che inglobano la totalità del mondo); - il numero sei è simbolo di limite e di imperfezione; - il numero quaranta indica simbolicamente gli anni di una generazione, ma anche un periodo particolare di prova oppure di preparazione alla missione cui una persona è stata chiamata. Non dobbiamo neppure dimenticare che, presso gli ebrei, i numeri corrispondono anche alle 22 lettere dell’alfabeto in generale si può dire che le unità sono rappresentate dalle prime nove lettere e le decine dalle altre nove, mentre le ultime quattro sono utilizzate per le prime centinaia (per le migliaia si ricorreva a una particolare combinazione di lettere alfabetiche). Ad esempio, nel numero 666, che appare in Ap 13,18, viene visto il valore numerico delle lettere dell’alfabeto ebraico che corrispondono al nome «Cesare Nerone», il persecutore dei cristiani: «Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei». Riguardo al simbolismo dei numeri biblici, giustamente sant’Agostino affermava: «Con le sacre Scritture Dio voleva fare dei buoni cristiani, non dei matematici» (AGOSTINO, Contro il manicheo Felice, 1,10).

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INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

Dalla lettura della Bibbia dei Padri della Chiesa alla lettura storico-critica

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al tempo in cui papa Clemente XI (1713) condannava come erronea l’affermazione di chi sosteneva che «la lettura della sacra Scrittura è per tutti» (alludendo probabilmente alle traduzioni della Bibbia in lingua volgare, non approvate), fino al Concilio Vaticano II che afferma: «I fedeli abbiano largo accesso alla Scrittura... La Parola di Dio dev’essere a disposizione di tutti»(Dei Verbum, 22), la storia della lettura della Bibbia ha compiuto un lungo cammino. Questo cammino viene tracciato quasi in ogni sua «tappa» dal documento emanato nel 1993 dalla Pontificia Commissione Biblica con il titolo «L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa», che presenta i vari «metodi» e i vari «approcci» che hanno caratterizzato i diversi modi di accostarsi alla Bibbia. Il metodo è definito dal Documento l’insieme dei procedimenti scientifici adottati per spiegare i testi biblici, come si propone l’esegesi (cioè la scienza che studia i testi della Bibbia). Tra questi «metodi» vengono esaminati il metodo storico-critico e i nuovi metodi di analisi letteraria, quali sono l’analisi retorica, l’analisi narrativa, l’analisi semiotica (la loro presentazione è alle pp 30-44 del Documento nell’edizione della Libreria Editrice Vaticana). L’approccio, invece, è inteso dal Documento come una ricerca orientata secondo punti di vista particolari (elencati alle pp 45-62 del Documento), quali possono essere l’approccio canonico, l’approccio (o punto di vista) sociologico, l’approccio attraverso l’antropologia culturale, gli approcci (o punti di vista) psicologici e psicanalitici, l’approccio liberazionista (cui si ispira la teologia della liberazione) e l’approccio femminista (sorto con il movimento di liberazione della donna).

forma protestante in una situazione di impoverimento biblico, dovuta a diversi fattori. Come abbiamo rilevato frequentemente lungo questa trattazione, il Concilio di Trento (1546-1563), con la definizione del canone delle Scritture (cioè l’elenco dei libri biblici da accogliere nella Chiesa) e con la piena valorizzazione della Volgata (come era chiamata la traduzione latina della Bibbia), segnò una tappa decisiva nella storia dell’interpretazione biblica. Ma l’epoca dell’Illuminismo (secolo XVIII), preceduta dall’Umanesimo e dal Rinascimento (secoli XV e XVI), operò una profonda frattura con il mondo antico, mettendo in discussione l’interpretazione data fino allora alla Bibbia e sottoponendola alla critica storica e letteraria. Si può dire che è da questo momento che si apre nella storia dell’interpretazione della Bibbia l’ampio orizzonte delle molteplici letture che oggi conosciamo, con i loro metodi e approcci. Da una lettura della Bibbia unanimemente condivisa nell’epoca dei Padri della Chiesa, si è giunti, così, a una pluralità di letture, che ora vogliamo presentare sinteticamente, nella loro epoca, con le loro caratteristiche (metodi e contenuti, limiti e ricchezza) e i loro esponenti.

La lettura dei Padri della Chiesa Nell’epoca dei Padri della Chiesa (I-VII secolo) si erano delineate, nei confronti della lettura della Bibbia, due principali tendenze, che facevano capo luna alla Scuola alessandrina (sorta nella città di Alessandria d’Egitto) e l’altra alla Scuola antiochena (sorta nella città di Antiochia in Siria).

» La Scuola alessandrina privilegiava la lettura allegoriCome si è giunti a questa «varietà» di letture ca dei testi biblici e prestava molta attenzione al loro senso Dallo splendore dell’epoca dei Padri della Chiesa, quan- spirituale o tipologico, che nutriva la fede del lettore. do la lettura della Bibbia era al centro della liturgia, della Il ricorso all’allegoria era anche un aiuto per non lasciapreghiera e della catechesi, si era giunti al l’epoca della Ri- re disorientato il lettore di fronte alla narrazione biblica di 46


INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

episodi che potevano risultare a prima vista non edificanti («pagine oscure della Bibbia», le chiama l’esortazione postsinodale Verbum Domini, 42). Suo principale esponente fu Origene (185-254), grande commentatore e studioso della Bibbia. Con lui vanno ricordati anche Clemente Alessandrino (150 circa - 215) e Grillo Alessandrino (376 circa - 444), Gregorio di Nissa (330 circa - 395) e Gregorio Nazianzeno (329-389).

La lettura della Bibbia, sia nell’ambito monastico (liturgia e preghiera) sia nell’ambito dei commentatori (studio e insegnamento), in questa epoca era caratterizzata dall’applicazione dei «quattro sensi medievali della Scrittura»: il senso letterale, il senso allegorico, il senso morale e il senso anagogico. Essi venivano sintetizzati e spiegati in un testo in lingua latina facile da ricordare e da memorizzare: Littera gesta docet, quodcredas allegoria, Moralis quidagas, quo tendas anagogia (= «Il senso letterale esprime ciò che è accaduto, il senso allegorico ciò che bisogna credere, il senso morale ciò che bisogna fare, il senso anagogico ciò cui bisogna tendere»). Si trattava quindi di giungere dal senso letterale alla ricerca del senso spirituale, che si esprimeva secondo queste tre direttrici: allegorica, morale (o tropologica) e anagogica. Ma il Medioevo è anche l’epoca nella quale si assiste a un graduale impoverimento biblico, dovuto in modo particolare all’abbandono dello studio delle lingue antiche (ebraico, greco, aramaico), che ormai non erano più conosciute, e al diffuso analfabetismo delle popolazioni. Il nascere dell’Umanesimo, con la riscoperta del mondo classico (delle sue lingue e delle sue opere letterarie), contribuì alla ripresa di un nuovo interesse per la Bibbia, favorendo anche il nascere di una metodologia per il suo studio e per la sua lettura, come testimoniano le opere di filologia (o analisi linguistica) di Erasmo di Rotterdam (1467 circa -1536; grande umanista olandese, che applicò il suo vasto sapere a quella branchia dello studio del Nuovo Testamento, conosciuta come «critica testuale», basata sul confronto tra i vari manoscritti greci e latini, per contribuire a formare quello che già conosciamo come «testo critico» del Nuovo Testamento). Da allora l’accostamento alla Bibbia è andato via via arricchendosi di apporti e di metodologie, fino a sfociare nelle molteplici «letture» che, lungo le varie epoche, hanno caratterizzato lo studio della Bibbia e la sua interpretazione.

• La Scuola antiochena privilegiava invece il senso letterale o storico, ponendo così i presupposti per un’interpretazione della Bibbia ancorata alla storia e al mondo dell’uomo, quale sorse nei secoli successivi. Suoi principali esponenti furono Giovanni Crisostomo (345 circa - 407) e Teodoro di Mopsuestia (350 circa - 428; egli fu il primo commentatore che interpretò il Cantico dei Cantici nel suo senso letterale e non in quello allegorico). L’esegesi di sant’Agostino (354-430) seppe sintetizzare i metodi interpretativi di queste due scuole, componendoli in un’armonia che trovò nel Medioevo un fecondo campo di applicazione. La lettura della Bibbia nel Medioevo Infatti, anche quest’epoca (che si estende ali’incirca dal secolo V al secolo XV) non è lontana dallo splendore dell’epoca dei Padri della Chiesa. Essa ha conosciuto metodi di lettura della Bibbia che oggi sembrano ritornati attuali, come testimonia l’esortazione postsinodale Verbum Domini, pubblicata nel 2010, dopo il Sinodo su «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa»: • la lectio divina, propria delle comunità monastìche, che vedeva nella Bibbia il nutrimento della fede, della preghiera e della vita quotidiana. Oggi essa viene vivamente raccomandata a tutti i fedeli (cf Verbum Domini, 86-87). » La lectio scholastica, propria delle scuole di teologia, che trovava nella Bibbia la risposta ai problemi teologici e morali. La Costituzione conciliare Dei Verbum e diversi altri documenti del Magistero ribadiscono la centralità della Bibbia nella teologia: «Lo studio della sacra Pagina sia come l’anima della sacra teologia» (Dei Verbum, 24). Anche il Decreto conciliare Optatam totius, sulla formazione sacerdotale, si ispira a questo orientamento (n 16). • La lectio cursiva, intesa come «lettura continua» di tutti i libri della Bibbia che costituivano il piano di studi del teologo. Ad essa si ispira l’attuale ciclo liturgico festivo e feriale delle letture proclamate nella celebrazione eucaristica, che propongono la «lettura continua» dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

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La Parola di Dio, scrutata assiduamente, è fuoco che forgia, istruisce e scalda il cuore.


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINO

Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per la famiglia e... dintorni

Verso il Sinodo per la Famiglia “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” è il titolo che Papa Francesco ha voluto dare al prossimo Sinodo Straordinario, che verrà celebrato a Roma dal 5 al 19 ottobre. Si tratta di un evento eccezionale per la Chiesa universale, sia perché è appunto “straordinario” rispetto al ritmo consueto, sia perché mette a tema l’esistenza e i significati della famiglia, cellula della società e chiesa domestica. L’ultimo sinodo che si è occupato della famiglia risale al 1980, da cui poi è scaturito nel 1981 quel mirabile e fruttuoso documento che è la “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II, vero alfabeto evangelico per il mondo familiare, ancora tutto da scoprire e da sbriciolare nella vita quotidiana. Anche il modo con cui è stato indetto e preparato questo sinodo ha sicuramente dell’eccezionale, mi riferisco al vasto impatto mediatico e al questionario divulgato a pioggia verso tutti. La sua natura è di essere sapien-

te lettura dell’esistente e di aprire ad un’intensa fase successiva di approfondimento, la quale a sua volta si concluderà con un secondo sinodo nel 2015 (questo sì ordinario), che avrà lo scopo di offrire nuovi cammini pastorali per affrontare le sfide nell’odierno universo familiare. Questi articoli di apertura della Promessa cercheranno di accompagnare il tempo che intercorre tra i due sinodi, approfondendo passo dopo passo le tematiche fatte emergere dal questionario preparatorio e ponendo attenzione agli sviluppi di pensiero in itinere. Per non sciupare le occasioni e rischiare di sovrapporre troppo materiale, ci focalizzeremo sul Convegno di metà decennio della Chiesa italiana, Firenze 2015 dal titolo: “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”, solo dopo la sua effettiva celebrazione. Iniziamo dicendo che la famiglia è prima di tutto una realtà benedetta e voluta da Dio, una speranza certa per la Chiesa e per tutta l’umanità, sempre presente nella storia e precedente ad ogni sistema politico. Secondo l’antico testo sacro della Genesi (Gn 1,36), essa è nell’ordine della sovrabbondanza di bene e del pieno compiacimento divino. Con Gesù, Parola salvifica definitiva del Padre, la famiglia acquista un valore aggiunto, atteso e coerente con la propria natura: significare in forma vivente l’unione tra Cristo e la sua Chiesa, trasmettere fede dentro la linfa vitale dell’amore oblativo tipico del familiare. Quindi, solo nell’amore divino, espresso pienamente in Gesù ed esperimentato da noi nella fede, può trovare davvero senso e compimento l’amore esclusivo, fedele e fe48

condo degli sposi, capace di rivisitare anche l’amore di genitori, di figli e di fratelli. La famiglia cristiana, fondata sul matrimonio sacramento, è fatta dono di essere reale manifestazione del cuore del messaggio evangelico: l’amore misericordioso di Dio si è fatto carne, si è reso persona concreta, per noi è morto e risorto. Ora, nelle vicende del mondo contemporaneo, molte fratture vengono a sfilacciare la forza della testimonianza cristiana anche nel familiare, rendendo spesso indifferente o quantomeno marginale la sua stessa esistenza. Sembra che la famiglia possa essere assimilata a qualsiasi altra convivenza, che sposarsi sia solo uno dei modi di “mettersi insieme” etero o omosessuale, che accogliere dei figli ed educarli possa diventare una tra le variabili, in cui anche un affettuoso animaletto di casa potrebbe entrare, infine, ma ancor più in profondità, l’identità personale riferita all’essere uomo e all’essere donna è messa profondamente in discussione. L’elenco potrebbe a questo punto diventare più lungo e maggiormente dettagliato, ma penso che per noi possa bastare … La Chiesa cosciente della propria missione, di diffondere il Regno di Dio e di custodire i figli a lei affidati, non può permettere che il bene primario ed insostituibile della famiglia venga travolto, svilito e negato. Con i due Sinodi intende rinnovare l’annuncio del Vangelo del matrimonio e della famiglia con un linguaggio attuale ed efficace, senza paura e nel rispetto di tutti. don Giorgio Comini segretariato diocesano pastorale familiare


pastorale familiare e di coppia

Sinodo sulla famiglia

2014-2015: il cammino sinodale sulla famiglia

La famiglia tenuta come in un ideale abbraccio, tra il Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e il Sinodo generale del 2015. Un percorso originale che vede coinvolte e interpellate tutte le componenti ecclesiali e non solo. Nella scelta della famiglia, con le sue sfide inedite e le grandi risorse, la Chiesa respira a pieni polmoni, per se stessa e per tutta l’umanità. Il vangelo sulla famiglia è la buona novella dell’amore divino che va proclamata a quanti vivono questa fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli, che è la comunità familiare. Il magistero della Chiesa sul matrimonio va presentato e offerto in modo comunicativo ed efficace, perché raggiunga i cuori e li trasformi secondo la volontà di Dio manifestata in Cristo Gesù.

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I Vangelo della famiglia; le situazioni familiari difficili; l’educazione alla fede e alla vita dell’intero nucleo familiare; sono questi i tre ambiti nei quali si sviluppa l’Instrumentum laboris per l’Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, che si svolgerà a Roma dal 5 al 19 ottobre per riflettere sul tema «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto generale dell’evangelizzazione». Un Sinodo straordinario che potrà offrire elementi decisivi per l’Assemblea ordinaria che si svolgerà nel 2015 e che avrà come tema «Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione della famiglia». Sfogliando le pagine dell’Instrumentum laboris, un dato emerge su tutti; l’atteggiamento scelto dalla comunità ecclesiale, che vuole declinare una parolachiave del pontificato di papa Francesco: «misericordia», adottando uno stile e indicando un obiettivo ben preciso, quello cioè di accompagnare le famiglie «come sono nella realtà», con le loro «storie e sofferenze complesse, che necessitano di uno sguardo compassionevole e comprensivo». In particolare, «urge permettere alle persone ferite di guarire e di riconciliarsi», come ha sottolineato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, presentando in Vaticano il nuovo documento. Si tratta di «proporre, non imporre: accompagnare non spingere: invitare, non espellere: inquietare, mai disilludere». L’Instrumentum laboris raccoglie le testimonianze e i suggerimenti inviati dalle Chiese particolari, in risposta al questionario del Documento preparatorio, reso pubblico nel novembre 2013. Il

testo, come abbiamo detto, è strutturato in tre parti. La prima parte è dedicata al «Vangelo della famiglia» e tratta del disegno di Dio, della conoscenza biblica e magisteriale e della loro ricezione, della legge naturale e della vocazione della persona in Cristo. La seconda parte affronta in maniera particolare «le situazioni pastorali difficili» inerenti alla famiglia che riguardano le convivenze e le unioni di fatto, i separati, i divorziati, i divorziati risposati e i loro eventuali figli, le ragazze madri, coloro che si trovano in condizione di irregolarità canonica e quelli che richiedono il matrimonio senza essere credenti o praticanti. Nel Documento si sottolinea l’urgenza di avviare una pastorale capace di far conoscere la misericordia che Dio concede a tutti senza misura. La terza parte presenta le tematiche relative all’apertura alla vita e alla responsabilità educativa dei genitori. Nel Documento si denuncia dapprima la scarsa conoscenza dell’Enciclica Humanae vitae; quanto poi alla responsabilità educativa dei genitori, dal Documento emerge la difficoltà nel trasmettere la fede ai figli e nel dar loro un’educazione cristiana, soprattutto in situazioni familiari difficili, i cui riflessi sui figli sì estendono anche alla sfera della fede. Una panoramica, dunque, a 360° sulla famiglia, senza reticenze o ipocrisie; una serie di scatti fotografici il cui soggetto è la realtà concreta della famiglia, che nelle diverse zone del mondo, pur con sfumature e accenti a volte anche molto diversi, si trova in un momento molto difficile. 49

La famiglia è oggetto di particolare cura e attenzione da parte della Chiesa perché essa è a fondamento della serena e sana convivenza umana. Le conclusioni dell’Assemblea straordinaria formeranno il testo di riferimento per i lavori della prossima Assemblea ordinaria del Sinodo nel 2015. In seguito, il papa utilizzerà tutto il materiale, frutto delle due Assemblee e dell’ampia consultazione dei vescovi, per le sue conclusioni pastorali.

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia

La preghiera in famiglia Quest’anno pastorale due dimensioni ci accompagneranno nella riflessione, alle quali dedicheremo un’attenzione particolare: la preghiera in famiglia, la maternità e la paternità. Riserveremo questo spazio alla preghiera in famiglia. Iniziamo offrendovi passaggi del discorso del beato Paolo VI, del il 3 maggio 1964 per la Festa della Preghiera. “Le ultime parole rivolte da Gesù agli Apostoli al termine della sua vita temporale. Sono le parole di commiato estremo del Signore durante l’ultima Cena, prima della grande preghiera sacerdotale. Gesù, prevedendo la Passione, vuol staccarsi con infinita delicatezza dai discepoli: e le sue parole sono di una chiarezza che non ammette dubbi; come colui che è sul punto di morire, dice le cose supreme e fa le raccomandazioni più importanti. Il Signore ci lascia questa sua ultima raccomandazione: pregate, state uniti a me e al Padre, mediante questo sforzo dell’anima che si chiama la preghiera. Con me non ci sarà che il distacco dei sensi, ma le vostre anime saranno in contatto con Dio. Gesù conforta questa sua suprema raccomandazione con un rilievo che sa di rimprovero: ancora c’è molto da fare nel campo della preghiera e ciò è notificato anche a noi per nostra riflessione e per il nostro perfezionamento. Egli infatti dice: finora non avete pregato. Eppure gli Apostoli avevano chiesto a Gesù di insegnar loro a pregare, ed avevano condiviso con Lui tanti momenti di preghiera; conoscevano le orazioni dei Salmi e quelle che avevano recitate durante la Cena pasquale. Perché allora Gesù dice così? Lo spiega soggiungendo: pregate nel Nome mio; nel Nome di Cristo che - come dice San Paolo - è anello di congiunzione fra l’umanità e Dio; mediatore, tramite fra la Chiesa e Dio. È difficile parlare di preghiera all’uomo moderno, proprio perché moderno, perché sempre più a contatto perfezionato e interessante, col mondo, con la terra, con le sue energie, con questo magnifico quadro della natura che ci circonda, con questo universo, che avviciniamo con i nostri sensi, e con l’intelligenza, che tra-

sformiamo e rendiamo utile; che conquistiamo, e che ci inebria. E questo rapporto tra noi e il mondo sembra placare e soddisfare i desideri dell’uomo, così che l’uomo dice a se stesso: questa è la soluzione: io devo cercare di conquistare la terra, il mondo che mi circonda; ed ecco le meravigliose realtà che saldano questo rapporto e sono le macchine, gli strumenti, le invenzioni della scienza. Ed ecco che l’uomo non ha più allora il desiderio e neppur l’attitudine di cercare qualcosa che non si misura con i nostri mezzi di osservazione. Non sentiamo più il bisogno né abbiamo l’attitudine al colloquio con Dio. E quando il tema della preghiera torna nella sua essenzialità dinanzi a noi e diciamo delle preghiere, e andiamo la domenica in chiesa, ci crediamo paghi di aver soddisfatto in tal modo a questo fondamentale dovere della vita cristiana. Qualche preghiera, un pellegrinaggio, l’accendere una candela sono forse la formula esatta degli atti di religione? Sono atti esteriori e talvolta diventano perfino superstiziosi; allora, dinanzi all’esteriorità, l’anima intelligente, che vuol riaffermare il regno dello spirito, si raccoglie in se stessa ed entra in un ambito interiore di ripensamento, in cui cerca di esprimere da sé la vera vita spirituale, ed è una spiritualità che si potrebbe dire psicologica, umana, sentimentale, cioè quella che riguarda solo il punto di partenza, cioè l’io; che si pone in condizione di sforzo per trascendere ciò che la supera. Ed ecco la preghiera secondo quanto ci dice il Vangelo: colloquio, conversazione, contatto con Dio. Incontro quasi terrificante fra l’io, povera cosa di questo mondo, e l’Infinito, il Creatore. Ma di fronte allo sgomento che può prenderci, Gesù ci invita a parlare con colloquio vero e vivo. La preghiera suppone quindi la realtà di Dio e la realtà dell’io, e deriva dal contatto fra le due realtà. La parola di Gesù: pregate nel Nome mio, risolve ogni difficoltà. E allora la preghiera diventa dolce, diventa facile, bella, consueta, nostra. La liturgia è mistero di presenza di Dio dinanzi a noi e formula di soluzione del rapporto fra l’anima e Dio. Da ciò la felicità di parlare con Dio sapendo di esser ascoltati: non c’è al di là il vuoto o la sordità, ma la bontà e l’amore; c’è il Padre, felice Lui stesso di amarci e di venire incontro a noi. Il Santo Padre esorta a ricordare che la preghiera non distrugge i nostri rapporti col mondo ma li sublima e li trasforma, li vivifica, li santifica e li indirizza ai destini veri della nostra vita”. 50


incontri genitori (1)

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dei ragazzi 2 media

dei ragazzi 3 media

“NAVIGARE A VISTA?

“ACCOMPAGNARE LA MATURAZIONE PSICO-SESSUALE DEI FIGLI NELL’OTTICA DELL’AMORE CRISTIANO”

COME AIUTARE GLI ADOLESCENTI AD AFFRONTARE IL MARE DELLA VITA”

Una serie di incontri con l’intento di fornire alcuni stimoli sull’importante compito di educare i figli all’amore e alla sessualità. Occasione quindi per il dialogo e per poter condividere con altri l’impegnativa e arricchente arte del vivere in relazione con i propri figli e altre figure educative.

Continuano gli incontri con l’intento di fornire alcuni stimoli sull’importante compito di educare i figli nell’eta’ dell’adolescenza. Occasione quindi per il dialogo e per poter condividere con altri l’impegnativa e arricchente arte del vivere in relazione con i propri figli e altre figure educative.

giovedì 23 ottobre 2014 - ore 20.30 CHI È MIO FIGLIO CHI E È MIA FIGLIA PRE-ADOLESCENTE ? Far riflettere i genitori sui principali aspetti educativo-evolutivi dell’adolescenza

Venerdì 24 ottobre 2014 - ore 20,30 “NAVIGARE A VISTA? COME AIUTARE GLI ADOLESCENTI AD AFFRONTARE IL MARE DELLA VITA”

giovedì 20 novembre 2014 - ore 20.30 “MIO FIGLIO E MIA FIGLIA SONO FATTI COSÌ. IL MONDO PSICOSOCIALE DEI PREADOLESCENTI “

Venerdì 21 novembre 2014 - ore 20,30 “SALPARE: SOGNI E BISOGNI DEGLI ADOLESCENTI OGGI” Venerdì 16 gennaio 2015 - ore 20,30 “NAVIGARE: STRUMENTI PER LA RELAZIONE ORIENTATRICE”

giovedì 15 gennaio 2015 - ore 20.30 “E’ BELLO CIÒ CHE È GIUSTO E NON SOLO CIÒ CHE È PIACEVOLE. CRITERI ETICI UMANI E CRISTIANI SULLE RELAZIONI AFFETTIVE”. giovedì 12 febbraio 2015 - ore 20.30 “ACCOMPAGNARE I PREADOLESCENTI IN CAMMINO VERSO L’AMORE”

Venerdì 13 febbraio 2015 - ore 20,30 “COMPAGNI DI VIAGGIO: RESPONSABILITÀ EDUCATIVA E PROCESSI DI CAMBIAMENTO NELLA RELAZIONE GENITORI-FIGLI DURANTE L’ADOLESCENZA”

giovedì 16 aprile 2015 - ore 20.30 “STILI EDUCATIVI GENITORIALI EFFICACI”

Venerdì 17 aprile 2015 - ore 20,30 “L’APPRODO: LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ NELL’ADOLESCENZA”

incontri genitori (3)

degli adolescenti 1-2 superiore

S.O.S. ADOLESCENTI genitori che fare?

Una serie di incontri sulle problematiche degli adolescenti in aiuto ai genitori. Le date verranno presto comunicate. 51


P

erché…perché…perché..? quante domande ci fanno i nostri bambini quando cominciano a ragionare, curiosare e a vedere tutto quello che accade intorno a loro. Intorno all’età dei tre anni, quando ormai il sistema cerebrale è giunto a completa maturazione, i bambini cominciano a porsi diversi interrogativi che ovviamente inoltrano ai genitori, agli insegnanti, ai nonni e a tutte le persone che si prendono cura di loro. Porre domande rappresenta una tappa importante nella vita di un bambino e ottenere delle risposte è una restituzione utile per soddisfare la loro curiosità e ampliare cosi il loro bagaglio conoscitivo. A volte il passaggio più difficile per noi adulti è proprio quello di rispondere ai loro incalzanti interrogativi che a volte ci imbarazzano, ci disorientano o ci intimoriscono. Le domande dei bambini, a volte banali, ingenue o imbarazzanti riguardano i fondamenti dell’esistenza umana (dal mistero della nascita al razzismo o alle guerre) e devono necessariamente trovare una risposta il più possibile comprensibile per la loro età. Come dobbiamo comportarci quindi di fronte ai loro innumerevoli quesiti? Dobbiamo innanzitutto rispondere sempre. I bambini hanno piena fiducia in noi perché rappresentiamo la fonte da cui abbeverarsi sotto vari aspetti incluso quello del soddisfacimento del loro apprendimento; spesso gli adulti rispondono in maniera elusiva lasciando in tal modo i bambini frustrati e confusi. Per non dar voce alla confusione e ancor più alla frustrazione è indispensabile quindi dare delle risposte che devono essere, a seconda dell’età dei bambini, quanto più possibile veritiere e corrispondenti alle realtà… questo perchè i bambini vanno protetti ma assolutamente non vanno ingannati. I genitori, gli insegnanti, gli educatori a volte preferiscono restituire risposte evasive e fuorvianti perché sono “vittime” di una cultura che ha risposto loro in maniera ambigua e sfuggente con risposte del tipo: ”sei ancora piccolo per queste cose” e si trovano quindi veramente in difficoltà di fronte ad alcuni tipi di domande. Ma per conquistarci la fiducia dei nostri piccoli in-

Perché…perché perché..? Le domande dei bambini terlocutori è indispensabile liberarci di questo nostro background culturale fornendo loro invece delle risposte concrete e significative. Comportandoci cosi saremo per loro dei veri punti di riferimento di fronte agli innumerevoli interrogativi della loro esistenza. La concretezza è ciò che più è utile per la comprensione in un bambino. Quindi di fronte a domande tipo: ”Cos’è la morte?”per esempio possiamo aiutarci rispondendo con situazioni concrete come la morte di un pesciolino che avevamo in casa o quella del cane della nonna o anche di qualche persona conosciuta… Il bambino anche molto piccolo sarà soddisfatto di questa tipologia di risposta perché l’ha realmente compre, ha capito che ora il pesciolino e il cane non esistono più… Se avessimo dato loro un’altra restituzione molto più astratta ad es: ”è volato in cielo e da lì ti guarda” il bambino rimarrebbe, a seconda dell’età, insoddisfatto e confuso in merito al tipo di risposta. Questi tipi di risposte in bambini in età scolare possono inoltre attivare stati di ansia e preoccupazione in quanto ci si può convincere di essere continuamente sotto sorveglianza del pesciolino o del cane in qualsiasi momento della giornata. Non esiste una regola universale per fornire risposte ai nostri bambini, vi è però la possibilità di crescere ancora insieme a loro attraverso un rapporto fatto di dialogo, ascolto che ci permetterà di guidarli favorendo apprendimenti importanti per la loro crescita mettendoli così nella condizione di affrontare la vita con coraggio e senso di responsabilità anche al di fuori del nido famigliare.

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le domande dei bambini

Il mio angelo non mi abbandona mai? L

a psicologia ha mostrato, ormai inequivocabilmente, che tutte le paure che attraversano e tormentano la vita dei bambini hanno una comune matrice: la I nostri nomi sono scritti in cielo. paura di esseI nostri angeli vedono il volto del re abbandonaPadre. Che cosa comporta questo ti, di non essere più amati. per i nostri bambini? Una paura che, peraltro, viene sovente addirittura provocata e accentuata da certi interventi poco felici di adulti che minacciano i bambini di non amarli e di non volerli più se fanno i cattivi e continuano a comportarsi male. L’angelo custode Dei bambini Gesù dice che i loro angeli nel cielo vedono sempre il volto del Padre celeste. Da queste parole i Padri della Chiesa hanno sviluppato la credenza nell’Angelo Custode assegnato ad ogni bambino fin dalla nascita. È una credenza importante, che aiuta il bambino (ma anche l’adulto, come vedremo) a non sentirsi solo nel cammino della vita e dunque protetto dalla paura dell’abbandono. Molti bambini chiedono di essere rassicurati nelle loro paure: «Davvero il mio angelo non mi abbandona mai?» «Sì, certo». «Anche se sono cattivo?» «Sì, l’angelo è paziente con te». «Non mi abbandona nemmeno se continuo ad essere cattivo?». Una simile insistenza talvolta deriva dal fatto che, evidentemente, i bambini sentono altri messaggi del tipo: «Sei impossibile. Nessuno ti sopporta più. Sei un peso per noi!». Per questo motivo i bambini hanno bisogno di avere la certezza che l’angelo li accetta incondizionatamente. Indipendentemente, cioè, da come si comportano e dal fatto che a volte proprio non ce la fanno ad essere diversi.

I bambini si chiedono sempre: chi o che cosa mi protegge? Come posso vivere al sicuro in questo mondo? Ebbene, il pensiero dell’Angelo Custode dà al bambino la sensazione di non essere solo nell’affrontare i pericoli del mondo. È importante che noi adulti accogliamo quest’esigenza, anche se a volte si esprime in termini eccessivamente concreti, al punto che un bambino può dire, andando con la mamma a fare laspesa: «Non chiudere così in fretta la porta, anche il mio angelo deve venire con noi!», oppure può pretendere che a tavola una sedia venga lasciata libera perché ci si possa sedere l’angelo. Per i bambini è importante l’idea di non vivere da soli: c’è un angelo che dà dignità, che ci protegge… anche dagli sbalzi di umore e dal nervosismo dei genitori. Accettare l’inaccettabile Osserviamo come questo bisogno profondo sia intimamente radicato anche dentro di noi, adulti. Sappiamo, sempre dalla psicologia, che nulla può essere trasformato se prima non viene accettato. Ma com’è possibile accettare l’inaccettabile? È possibile se abbiamo la grazia di fare l’esperienza che qualcun altro accetta questo inaccettabile, ci accetta, cioè, incondizionatamente. È evidente che il bambino pone questa più o meno esplicita domanda anzitutto ai suoi genitori e agli adulti in generale. Ma crescendo impariamo a non aspettarci più da nessun adulto un simile riconoscimento e iniziamo a cercarlo altrove, in un Assoluto. È qui che possiamo allora fare l’esperienza, profondamente religiosa, del sentirci amati e accolti, appunto incondizionatamente, da quel Dio Padre buono che Gesù ci ha fatto conoscere. Ebbene, aiutando i bambini a coltivare la credenza nell’angelo custode e accompagnandoli gradatamente ad ancorare i loro più intimi e profondi bisogni di riconoscimento e di accettazione in Altro, ecco che gettiamo le basi di una genuina educazione religiosa, non tanto insegnando loro concetti e verità astratti, ma aiutandoli a vivere un’esperienza. Quell’esperienza del sentirsi profondamente amati e accolti che poi li accompagnerà per tutta la vita successiva e li renderà anche capaci di amare, senza alcuna pretesa che sia il partner umano a soddisfare il loro bisogno. Appunto perché il loro bisogno è già stato soddisfatto, incondizionatamente, da Dio. 53


- pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

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i sono nei Vangeli racconti che riguardano l’infanzia di Gesù, i quali, nella loro semplicità aprono squarci di luce per chi sa abbandonarsi alla saggezza della vita familiare. Uno di questi narra la presentazione di Gesù al tempio e la purificazione di Maria. Secondo una disposizione di Mosè «Ogni maschio primogenito appartiene al Signore». Questa legge contiene una grande via di umanizzazione: ogni creatura, che viene alla terra, va sempre considerata dono. Nasce dai genitori ma non appartiene loro. Il credente ebreo conosceva bene questa condizione: «Èva sua moglie concepì e partorì Caino e disse: Ho acquistato un uomo dal Signore» (Gen 4,1). Presentare al tempio il primogenito è riconoscere Dio come Creatore, Padre da cui tutto proviene: «Questo bambino lo abbiamo avuto da Te e te lo ridoniamo! Ha in Te la sua strada, unica e personale. La segua». Anche Maria (con Giuseppe) compie nel tempio il rito della consegna. All’angelo aveva risposto: «Eccomi!» ed era diventata genitrice. Ora al medesimo Signore risponde «Eccolo» e diventa pienamente madre. Costò cara a Maria questa consegna: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). Più volte Maria e Giuseppe dovranno «lasciar andare» il loro figlio. Già a dodici anni, tra i dottori del tempio, ripresero Gesù: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo!» (Lc 2,49). Egli invece era preso dalle cose del Padre. «Ma essi non compresero le sue parole». Più tardi Gesù lascerà definitivamente Nazaret. Maria avrebbe voluto almeno salutarlo, quando lo cercava tra la folla che gli si stringeva attorno, ma Gesù non volle. L’ultima consegna avvenne al Calvario quando unì il suo sì a quello del

figlio, nel dono estremo. Avviene una consegna simile anche il giorno del Battesimo. Celebrando l’iniziazione cristiana del figlio, i genitori lo riconoscono uscito da Dio, che ha scritto il nome sul palmo della sua mano. Rinunciano a «possederlo» e si pongono al servizio della sua vocazione. Lo presentano al Signore. È questo il possibile significato della processione dall’atrio della chiesa all’altare. Una strada di purificazione e di sacrificio, come quella di Maria al tempio. Oggi è molto difficile questo atto di consegna. È una grande grazia sentirsi «creature di Dio», ma sono sempre meno quelli che credono di avere un Padre.Tolto il Padre, però, non ci sono neppure i figli. L’amore dei genitori diventa possessivo e ansioso: il bambino è loro e basta. Senza Padre più nessuno vuole essere figlio. Il compito genitoriale si delegittima, l’educazione rischia di apparire impraticabile. La processione verso l’altare, mentre separa il figlio dal possesso dei genitori, insegna loro come educarlo a essere figlio. Nella presentazione di Gesù leggiamo anche la sua manifestazione a due anziani, che avevano dedicato a Dio la loro vita. Avevano atteso a lungo e in quel momento, con indicibile commozione, poterono stringere tra le braccia il Messia. I genitori non sono soli. I due anziani rappresentano il sostegno di cui godono i genitori nel difficile cammino della loro donazione al Signore. Simeone e Anna in qualche modo fanno segno ai padrini e alla comunità parrocchiale. II vecchio saggio è un uomo del passato ma, nell’incontro con il Bambino, vede spalancarsi il futuro. Possiamo immaginare la commozione nei suoi occhi, simile all’intima emozione dei genitori credenti quando pronunciano il loro atto di fede: 54


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia «Nostro figlio è di Dio; e anche noi siamo suoi!». L’educazione è la straordinaria missione umana dove, nel presente, il passato diventa futuro. I genitori non sono soli: accolgono il loro figlio in una tradizione viva, di cultura e di fede. I padrini rappresentano questa tradizione, che supera e ingloba i genitori. La profetessa Anna «stava notte e giorno del tempio». Anche lei abbracciò il bimbo e si mise a cantare le lodi al Padre e a parlare del bambino. La tradizione cristiana vede in lei il servizio di coloro che si consacrano al servizio di Dio, nella straordinaria varietà delle vocazioni ecclesiali. Sono due le forme di vita con cui il cristiano, che è nel mondo ma non appartiene al mondo (Gv 17,1416), può imitare Gesù: il matrimonio e la vita consacrata. Le due vocazioni non possono essere disgiunte. La crisi dell’una trascina la decadenza dell’altra. Il drammatico crollo della vocazione religiosa non s’intreccia forse con il disfacimento evidente della missione genitoriale? Anche la loro rinascita potrà essere comune. I genitori non solo soli: nella comunità, con cui celebrano il rito battesimale, esistono persone consacrate. Ce ne saranno sempre, finché durerà la fede. La consacrazione a Dio fa un grande dono alla vocazione matrimoniale. Riporta la famiglia al primato di Dio. Riallaccia l’educazione alla fede. Senza Dio, infatti, il mondo non ha più il suo ordine e il suo senso,

e i valori il loro fondamento. La famiglia si ridurrebbe al solo ruolo affettivo: proteggere il bambino, più a lungo possibile, dai traumi della vita collettiva. L’obbedienza smetterebbe di essere virtù e le regole genitoriali, essenziali alla crescita, apparirebbero solo imposizioni autoritarie. La vocazione genitoriale fa alla Chiesa (e alla vita consacrata) un dono altrettanto essenziale. Ricorda a tutti che ciò che conta è l’amore, il quale è esperienza indistinguibilmente divina e umana. La sua incarnazione visibile più immediata avviene nella famiglia. La vita consacrata addita il futuro: in Dio solo ha senso l’avventura umana. La vita matrimoniale dice di Dio e del suo Vangelo cose che non potrebbero essere dette altrimenti. Riporta il comandamento nuovo dell’amore al presente. Entrambe le vocazioni si radicano nel passato della morte e risurrezione del Signore, e accompagnano le generazioni umane. Nei primi tempi della Chiesa, il Battesimo era chiamato «illuminazione», perché la maggior parte dei battezzati erano adulti convertiti. Cristo aveva cambiato la loro vita, riempiendola di luce. Questo rimane vero anche per i genitori cristiani di oggi. Essendosi interrotta la trasmissione culturale ci vogliono riti per non lasciare inaridire le radici. Sono i sacramenti della «illuminazione», dell’Iniziazione cristiana. Giunti all’altare non c’è che da mettersi all’ascolto della Parola, per entrare nella dimensione del Regno.

ANNIVERSARI DI MATRIMONIO domenica 21 settembre 2014

Insieme nel tempo Anche dopo anni e anni di matrimonio e di coppia, si possono provare tante emozioni ed essere felici. Guardare gli occhi tuoi che si inumidiscono per una carezza. Ascoltare i battiti del tuo cuore per un abbraccio. Sentire i sussulti del tuo respiro tagliato dall’aria leggera come una foglia argentata. Scoprendo ogni giorno sul tuo volto il sorriso d’un tempo: limpido come un cielo azzurro dove ci sono tanti gabbiani che dal vento si fanno cullare. 55

E ‘ bello fare coppia nel matrimonio e rinnovare il proprio amore davanti all’altare del Signore. Anche se il tempo con i suoi segni ti porta insieme ad invecchiare, i ricordi e le vere emozioni non si possono cancellare.

Pietro Stefana


Terrasanta,

sorgente d’ ”acqua viva” Emozioni e ricordi del Pellegrinaggio

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grande Goethe ammoniva: se vuoi conoscere lo spirito di un uomo devi conoscere la sua terra. Per capire gli uomini della Bibbia e lo stesso Gesù è necessario calpestare la terra in cui si sono manifestati: Palestina, terra di Gesù di Nazareth. E andare verso il Luogo Santo per antonomasia è come riscoprire il desiderio di abbeverarsi a quell’acqua offerta da Gesù alla samaritana sul pozzo di Giacobbe. Questo invito è stato raccolto dal gruppo pellegrini della Unità Pastorale di Botticino, guidato da don Raffaele e dal Diacono Pietro. Già il lento roteare dell’aereo su Tel Aviv strappa ognuno da quella Palestina intimista costruita negli anni dell’infanzia. Si viene calati in una geografia fatta di grattacieli, insediamenti ebraici, vanità architettoniche. È un impatto che può provocare disincanto: ma questa è proprio la terra di Gesù, dove è nato, ha lavorato e camminato tra questi villaggi e colline riarse. Dopo la visita al Carmelo e alla grotta del Profeta Elia ecco il cartello stradale di Nazareth: è un momento atteso! È il suo paese dei suoi trent’anni. Ma è anche il paese che gli fu ostile, lo cacciò e tentò di gettarlo dal ciglio del monte. Paolo, la nostra guida, ci accompagna nella Basilica della Annunciazione: ecco la casa Grotta, dove Maria ricevette l’Angelo e accettò. “Eccomi, sono la serva del Signore” (Luca 1,38). E di seguito la visita alla fonte di Maria “Sitti Mariam”, ove ella si recava ad attingere, nei pressi ecco i resti del villaggio Nazareth di duemila anni fa. Su un muro in lettere greche il graffito XAIPE MARIAM (Ave Maria), la prima testimonianza storica del suo nome, scolpito dal-

di Giulio e Graziella

la prima comunità cristiana. Sotto un sole abbacinante visitiamo Sefforis, città romana ove probabilmente Gesù e Giuseppe, “pendolari” dalla vicina Nazareth lavorarono. Qui nacque Anna, la madre di Maria. Attraversiamo la fertile pianura di Ezdrelon e saliamo al Tabor, l’alto monte della trasfigurazione. Qui il silenzio, il vento, i vasti spazi incantano l’animo. “E fu trasfigurato davanti a loro, il suo volto brillò come il sole” (Matteo 17,2). All’invito di Pietro di drizzare tre tende Gesù disse il suo “no” per rientrare e percorrere le strade della Palestina. Anche noi ridiscendiamo verso Cafarnao, la sua città di elezione. Ecco i resti della Sinagoga, ove Gesù predicava, luogo del discorso del “pane di vita” che tanto scandalizzò i presenti, molti dei quali gli voltarono le spalle. Cafarnao, città di Pietro, di Matteo, della figlia di Giairo, risvegliata dal sonno della morte. “Fanciulla, io ti dico alzati!” (Marco 5,41) e la restituisce alla delirante gioia del padre. Arranca il pulman e siamo sul monte delle Beatitudini. Il Diacono Pietro legge le pagine più alte del Vangelo: “Beati … Beati … Beati”. Un annuncio che rovescia il parametro di giudizio degli uomini e porta dallo smarrimento alla gioia. Davanti a noi i lontani monti della Galilea, la Giordania all’orizzonte. Visitiamo il luogo delle sette sorgenti, luogo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, raffigurati oggi nel meraviglioso mosaico della Basilica. Sulla riva del lago, la chiesetta del Primato di Pietro. All’interno si può toccare la roccia detta la mensa di Gesù: su di essa il risorto preparò un po’ di pesce arrostito per i discepoli, fuori, a pescare. Sulle acque agitate del lago onde e spruzzi investono il barcone che ci porta “all’altra riva”. Il comandante ci onora della bandiera italiana: ci troviamo tutti con la mano sul cuore a cantare il nostro inno. Certo un momento indimenticabile, in terra straniera. Nel sibilo del vento, il Diacono Pietro legge le parole dell’evangelista: “Gesù disse: Passiamo all’altra riva. Si sollevò una gran tempesta, ma Lui dormiva a poppa. Destatosi sgridò il vento e disse al mare: Taci 56


calmati” (Marco 4, 36-38). Parole forti che entrano nel cuore e lasciano anche noi al pari dei discepoli un po’ stupiti e scossi dalla loro potenza. Sulla via del ritorno sostiamo a Cana: le nozze, il primo segno miracoloso di Gesù. Nella chiesetta Don Raffaele invita gli sposi al rinnovo delle promesse coniugali. Entriamo in Samaria, terra aspra di grandi contrasti, oggi, come al tempo di Gesù, che però amò questa terra; dai suoi abitanti ebbe testimonianze di umanità e consenso. È la terra del lebbroso che tornò a ringraziarlo, del buon samaritano, ma soprattutto della donna di Sichem, che attinge acqua dal pozzo. Gesù assetato le dice: “Dammi da bere”. È il dialogo sublime che Pietro rilegge proprio sul pozzo di Giacobbe, profondo 35 metri nella cripta della Chiesa ortodossa. Alcuni bevono quest’acqua freschissima, ma l’acqua di Gesù è un’altra. “Chi beve l’acqua che gli darò io non avrà mai più sete” (Giovanni 4,14). Finalmente Gerusalemme! Reminiscenze, ricordi di letture bibliche riemergono mentre il pulman si ferma sotto le mura di Solimano il Magnifico. In ciascuno quasi un tumulto dell’animo, suscitato dalle parole del Salmo: “quale gioia quando mi dissero, andremo alla casa del Signore”. Singolare e famigliare nella sua semplicità l’alloggio nel Patriarcato della Chiesa Maronita: bello il chiostro che invita alla conoscenza e al dialogo. Percorriamo le strade del Monte degli Ulivi, entriamo nell’edicola dell’ascensione e qui è bello posare il nostro piede nell’impronta che Gesù lasciò secondo la tradizione quando si elevò; visitiamo la chiesa del Dominus Flevit (il Signore pianse), con splendida vista su Gerusalemme, e sull’immensa conca dei bianchi sepolcri del cimitero ebraico sembrano risuonare le terribili parole di Gesù: “Guai a voi, sepolcri imbiancati, belli fuori, ma pieni di putridume”. Entriamo nel giardino del Getsemani, punteggiato da mostruosi ulivi millenari. È il luogo dell’ora più disperata che si fa pianto di sangue, sulla roccia della Chiesa dell’agonia, sulla quale Gesù pregò e sudò sangue. “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice” (Luca 22,42). Quasi in punta di piedi entriamo nel Cenacolo, luogo dell’Ultima Cena, ove Gesù lasciò se stesso nel pane e nel vino, luogo nel quale i discepoli furono investiti dallo Spirito. Percorriamo ora la Via Dolorosa: è il momento più significativo del pellegrinaggio. Un po’ spaesati avan-

ziamo in questo budello della Gerusalemme vecchia tra il vociare dei mercanti sotto gli sguardi di compatimento di tanti, il silenzio enigmatico di molti. Ci fermiamo in preghiera davanti alle “stazioni”, minuscole targhette fissate in alto, lontano da mani sacrileghe. È una Gerusalemme assente, quasi astiosa nei confronti di coloro che ricordano la salita di Gesù al Golgota. Siamo finalmente nel grande cortile della Chiesa del Sepolcro, monumentale edificio crociato, dalle vicende storiche complesse. Entrati si viene accolti dalla semioscurità della grande basilica. Una ripida scaletta ci porta alla roccia del Calvario. Un grande crocifisso rivestito d’argento, un altare con alla base un’apertura per mostrare il foro nella roccia nel quale fu conficcata la croce. È il luogo dell’evento che ha dato senso alla storia dell’umanità. Nel momento in cui si accarezza con la mano quel foro, l’emozione è intensa e fortissima. Ciascuno è solo quando entra nel Sepolcro e accarezza la pietra dalla quale il Risorto balzò alla vita, per tutti. È un momento che certamente rimarrà scolpito nella mente e nel cuore di chi lo ha vissuto. Velocemente percorriamo poi l’enorme spianata della Moschea dorata di Omar, luogo sacro dell’Islam, dal quale Maometto è salito al Cielo secondo il Corano. In un angolo si erge un tempietto che ricorda il Santa Santorum del tempio ebraico distrutto da Tito nel 70 d.C. Scendiamo e siamo davanti al muro del Pianto, luogo sacro agli ebrei; si vedono i “datim”, ebrei ortodossi

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che offrono questo spettacolo tra commovente e grottesco: avvolti nei loro gabbani, i riccioli cadenti sulle spalle, con le strisce di cuoio vergate di precetti, si abbandonano a dondolii e sussulti che impegnano ogni fibra del corpo. Gesù stigmatizzò con incredibile coraggio le esteriorità di questi uomini pieni di giaculatorie ma lontani dall’Amore e dalla Verità. Saliamo sulla collina dell’Olocausto, punteggiata da centinaia di piante che ricordano i “Giusti d’Israele”. Entriamo nell’immensa cupola che ospita migliaia di loculi con stampati i nomi dei bambini sterminati nei lager nazisti. Il percorso nell’oscurità, la voce che ripete giorno e notte i nomi dei bambini, sono elementi che sconvolgono. All’uscita è difficile incrociare lo sguardo con altri, l’emozione prende alla gola! Si corre verso la depressione del Mar Morto. Monti lunari lo circondano; su uno di questi ecco Masada, la fortezza degli zeloti che resistettero per tre anni ai romani, prima del suicidio collettivo. Resti imponenti: i palazzi di Erode, torri, cisterne, alti muri … qui fu ritrovata una moneta coniata da quegli eroici difensori con la scritta “Libertà per Sion”. Masada, simbolo di libertà ancora oggi per Israele. Una breve sosta a Qumram, tra le rovine degli Esseni, “i puri”, comunità monastica fondata su preghiera e studio dei testi sacri. Qui nel 1947, ad opera di un beduino, avvenne il ritrovamento dei rotoli della Bibbia, con testi di Isaia e del profeta Abacuc. Gran regalo per i nostri biblisti, che si accapigliano ancora oggi in infinite discussioni ed interpretazioni. Attraversiamo Gerico, la città delle trombe bibliche di Giosuè, ma anche la città di Zaccheo, che piccolo, per vedere Gesù si arrampicò sul sicomoro. “Zaccheo – gli disse Gesù – scendi subito perché devo fermarmi a casa tua”. Egli scese in fretta e lo accolse con gioia (Luca 19,5).

Sostiamo sotto uno di questi sicomori, gigantesco e carico di simboli. Si risale verso Gerusalemme nel deserto di Giuda. Sostiamo avvolti da caldo vento che spira dalle dune. Uno scenario biblico che incute timore. Sembrano risuonare nell’aria le diaboliche proposte: “Se sei figlio di Dio, fa che queste pietre diventino pane”. Gesù rispose: “Non di solo pane vive l’uomo” (Matteo 4,3). Il nostro viaggio non poteva non concludersi dove tutto iniziò: Betlemme, luogo della nascita di Colui che ha cambiato le prospettive degli uomini e la loro storia. La porticina della grande basilica obbliga il pellegrino ad abbassare la testa, come ad un richiamo all’umiltà. L’interno è maestoso, con alte colonne scolpite da incisioni lasciate nei secoli dai pellegrini. Scendiamo nella Grotta, stracolma di lampadari alla moda degli ortodossi. Al centro “La Stella” d’argento con la scritta “Hic de Virgine Maria, Jesus Christus Natus est”. È un istante intenso: è bello inginocchiarsi e baciare la stella. Il canto “Tu scendi dalle stelle” è dentro l’animo di ognuno. Ora una breve sosta al campo dei pastori. “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano” (Luca 2,8). La caverna è estesa, bassa a forma di gigantesca conchiglia; la roccia è cruda e scabra. Nel brivido delle dita che l’accarezzano si coglie la grazia del Natale. È il tempo del ritorno: percorriamo le dolci discese verso Tel Aviv, verso il sorvegliatissimo Ben Gurion. Ai lati della strada mezzi militari anneriti, là abbandonati dal tempo della guerra del 1948, testimoni di una guerra purtroppo mai finita. Nel percorso verso casa, sulle belle strade lombarde ognuno si porta nel cuore non solo la memoria dei luoghi visitati, ma anche il ricordo dei volti e delle voci degli amici che hanno condiviso un’esperienza così intensa e unica: voci, volti, parole ed emozioni che rimarranno per sempre nella mente e nel cuore di chi ha compiuto il Pellegrinaggio per eccellenza. A coloro che visiteranno la terra di Gesù vogliamo augurare l’antica beatitudine del Salmo “Beato chi trova in te la forza e decide nel suo cuore il Santo Viaggio”.

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A un anno dalla inaugurazione

CONCERTO d’organo con il maestro GIANPIETRO ROSATO

DOMENICA 26 OTTOBRE ore 20,30 CHIESA PARROCCHIALE DI BOTTICINO MATTINA

GIAMPIETRO ROSATO

ha compiuto i primi studi musicali presso il Conservatorio di musica “C. Pollini”, diplomandosi in pianoforte con Dall’Alba Zancan e in Organo e Composizione organistica con Buja. Intrapreso lo studio della prassi esecutiva antica all’organo e al clavicembalo con Marcon, ha seguito contemporaneamente corsi con T. Koopman, M. Radulescu, A. Staier, G. Leonhardt, L.F. Tagliavini e J.C. Zehnder. Nel 1993 si è diplomato in clavicembalo e nel 1996 ha conseguito la specializzazione in “Organo storico” con A. Marcon e in Cembalo con H. Kirwald presso la Hochschule für Musik di Trossingen (Germania). E’ stato più volte premiato in concorsi nazionali ed internazionali di organo e pianoforte. Numerose le sue registrazioni radiofoniche (le radio tedesche SWF, MDR, e NDR e Bayerische Rundfunk, la televisione tedesca NDR3 e la radio austriaca ORF). Ha insegnato Cembalo, Basso Continuo e Musica da camera presso la Hochschule für Musik di Trossingen e, in Italia, è docente di Organo e Composizione organistica presso il Conservatorio di Adria. È stato invitato da numerosi Festival e Sale da Concerto italiani ed europei. Dal 1997, collabora regolarmente con l’Ensemble baroccco “I Sonatori de la Gioiosa Marca” con il quale affronta spesso esecuzioni di concerti solistici. Ha curato per la casa editrice Armelin di Padova, l’edizione moderna della “Sonata per Violino e Organo” di Oreste Ravanello e prossimamente saranno editi i “Sei Concerti per clavicembalo e orchestra” di B. Galuppi.

A CHE PUNTO SIAMO RIGUARDO AL DEBITO RESTAURO DELL’ORGANO E ALL’INIZIATIVA “ADOTTIAMO LE CANNE DELL’ORGANO”?

Riassumiamo: Come da tempo comunicato il costo dell’intervento di restauro radicale dell’organo della parrocchiale di Mattina è stato di € 95.146,00. Grazie al contributo della CEI (fondi 8X1000) di € 26.430,00, della Fondazione Comunità Bresciana di € 15.000,00 e di un privato di €1.000,00, per un totale di € 42.430,00, in totale alla Parrocchia di Botticino Mattina è venuto a costare € 52.716,00. Il Consiglio per gli Affari Economici della Parrocchia ha proposto l’iniziativa “Adottiamo le canne dell’organo”. Le canne dell’organo sono 1146. Dividendo la spesa rimanente per il numero di canne, ogni canna può essere adottata con € 46,00 con l’impegno di redarre una pergamena con segnato il nome di quanti hanno contribuito, anche ricordando un defunto, un anniversario, una nascita... A CHE PUNTO SIAMO? Al 30 settembre 2014 sono state adottate 466 canne ... ne rimangono ancora 680! In occasione del concerto del 26 ottobre, a un anno dell’inaugurazione, viene rilanciata l’inizitiva per l’adozione confidando nella generosità, gia dimostrata, dei parrocchiani di Botticino Mattina.

RACCOLTA FERRO E TAPPI Le parrocchie di Botticino, attraverso i volontari, riprendono la raccolta di materiali ferrosi. Le famiglie o ditte che hanno ferro, alluminio, ottone...ecc. che vogliono eliminare, possono contattare i seguenti numeri telefonici 3338498643 oppure 3283108944, o presso la segreteria dell’Unità Pastorale 030 2692094 per accordarsi sulla modalità del ritiro che può avvenire tramite le persone incaricate o indicare il luogo della raccolta. Si raccolgono anche tappi di plastica che possono essere direttamente consegnati presso gli oratori di Botticino. Il ricavato della vendita servirà per le necessità delle tre parrocchie. 59


in 270 a ROMA per incontrare PAPA FRANCESCO

5 autobus, 270 pellegrini di Botticino, direzione Roma, obiettivo: incontrare Papa Francesco. Sono i dati essenziali di un’esperienza che naturalmente ha significato molto di più per ciascun partecipante del pellegrinaggio a Roma dello scorso maggio. Un viaggio per le nostre famiglie, tante e con numerosi bambini, aperto anche alla scuola parrocchiale “Don Orione”, un momento intenso che ha cercato di coniugare la preghiera, la condivisione, lo stare insieme, la visita, seppur veloce, ai monumenti eterni di una città che non ha rivali al mondo per la sua storia e l’udienza con il Santo Padre in una gremita piazza San Pietro. Il lungo serpentone di botticinesi nella capitale guidato da don Raffaele non è certo passato inosservato agli occhi dei romani, sebbene abituati alla folla dei turisti; tanto che per le vie del centro poco prima di piazza Navona una signora con le borse della spesa in mano si è lasciata scappare un “Aho! Ma quanti siete?!?”. “Tanti signora”, la nostra allegra risposta, tanti e un po’ schiamazzanti, vista la giovane età dei nostri pellegrini, tanti perché il richiamo della fede e delle esperienze di fede è un bisogno sempre più forte nella nostra vita. Cartelli, spillette nominali di riconoscimento, numeri utili, guide per la preghiera sul pulman, il posto nei primi settori della piazza: insomma l’organizzazione è riuscita in pieno, il Papa ha anche ricevuto personalmente le rose blu Udienza del 28 maggio del nostro Santo Tadini. don Raffaele e Pietro consegnano Indimenticabili le parole di Papa al Papa il libro aperto in marmo Francesco il mercoledì durancon scritto le parole di S.Arcangelo: te l’udienza: “siate artigiani della “ Coraggio! Un’occhiata al cielo e avanti.” pace”. Nel cuore del nostro pontefirealizzata dalla Pro-loco di Botticino ce gravava, e grava tuttora, la situa60


zione internazionale di guerra ed ha chiesto il nostro aiuto non nelle terre lontane, ma in casa nostra, con i nostri cari e vicini: ci vuole artigiani pazienti, non super eroi, artigiani che non chiudono mai la loro bottega, anche se non hanno grandi guadagni, anche se a volte devono fare e disfare, artigiani infaticabili, miti e pieni di speranza. Oltre a questo compito che ci ha assegnato il pontefice, mi porto nel cuore anche una piccola esperienza vissuta con mia sorella e la mia amica Monica in piazza San PieIl 29 maggio vengono tro durante la lunga attesa del’udienza: un rosario improvconsegnate al Papa le maglie dell’USO visato con un gruppo di donne americane e una signora Botticino con la scritta “Francesco 1” spagnola, la sequenza delle Ave Maria recitata in inglese, poi italiano e infine spagnolo ci ha fatto sentire l’appartenenza al popolo di Dio come sorelle diverse per nazione, lingua, storia e cultura, ma uguali nella fede, ugualmente figlie dello stesso Padre.

PAPA FRANCESCO PORTA A SANTA MARIA MAGGIORE LE ROSE BLU DI S.ARCANGELO TADINI In occasione della visita di papa Benedetto a Botticino nel novembre 2009 si è mantenuto un bellissimo contatto anche con il corpo della Gendarmeria Vaticana. Nella mattinata di martedì 27 maggio portiamo come dono al Capo della Gendarmeria le rose blu benedette nella festa di S.Arcangelo Tadini. A lui spieghiamo il significato e inaspettatamente consegna alcune di queste rose alla guardia che stava partendo per portare papa Francesco a Santa Maria Maggiore per ringraziare la Madonna del viaggio appena terminato in Terra Santa. Durante il tragitto il papa si informa delle rose blu e legge l’opuscolo che spiega il quadro di S.Arcangelo Tadini di Botticino Sera e insieme ai fiori bianchi (come si vede nelle foto) consegna alla Madonna anche le rose blu di S.Arcangelo Tadini. Il giorno seguente durante l’udienza generale il grupo di Botticino, tramite sr Giuliana, dona al papa un mazzo di rose blu.

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Adolescenti dentro o fuori l’oratorio?

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remetto che questo scritto non fa parte di un libro di cucina. Non è l’agognata ricetta “Adolescenti dentro l’oratorio”. Perché gli adolescenti non sono ingredienti e l’averli in oratorio non è il piatto realizzato. Nemmeno mi piace quando gli adolescenti diventano figurine e l’oratorio l’album: «Tu quanti ne hai?», «A te quanti ne mancano?». Ma chi sono gli adolescenti? E cosa vuole la Chiesa per loro? «Beh, dopo tutto quello che noi sacerdoti con i nostri educatori abbiamo fatto per loro quando erano bambini e ragazzi, dal catechismo al Grest alle tantissime iniziative, ci aspetteremmo che continuassero a frequentare l’oratorio anche da adolescenti, visto che abbiamo un gruppo apposta per loro con tanto di catechisti che li aspettano, e magari potrebbero anche iniziare a restituire un po’ del tanto che hanno ricevuto e mettersi a disposizione per qualche servizio ecclesiale». Spero che anche a te manchi l’ossigeno ogni volta che senti considerazioni come quelle che hai appena letto. Riprendiamole velocemente. I bambini che frequentano il catechismo (1) come si trovano? Esiste un libro di uno psicoterapeuta austriaco, mai tradotto in italiano, che si intitola: Perdita della religione attraverso l’educazione religiosa. Cause e conclusioni psicologiche profonde. Beh, negli oratori spesso succede! E non dovrebbe meravigliare: cosa c’è di sbagliato nella riflessione di un preadolescente o di un adolescente che pensa: «Non mi sono trovato bene, mi hanno obbligato ad un triste catechismo per anni, ora che ho la Cresima e la Prima Comunione, ora che posso decidere da solo, perché dovrei continuare a farmi del male?». Allora: benedetto post-Cresima, che svela le vere intenzioni delle famiglie! E benedetta Cresima in quinta elementare e non più alle medie, che ci permette di riscoprire l’età spesso negata della preadolescenza! Prima della riforma dell’ICFR infatti li chiamavamo “le medie” o “i cresimandi” e li vedevamo quasi solo in funzione del per1 È urgente smettere di pensare che tutti i bambini italiani si iscrivono al catechismo. Ed è altrettanto urgente iniziare a pensare a come accompagnare i figli dei sedicenti atei.

corso verso il sacramento. Oggi li possiamo finalmente chiamare “preadolescenti”, cioè i non più bambini che si stanno preparando alla grande avventura dell’adolescenza, i ragazzi che, se hanno vissuto un buon catechismo alle elementari, ritornano e ancora per un attimo accettano la nostra guida adulta che li può traghettare per mano verso la terra delle tanto attese libertà e autonomie del tempo delle superiori. Ma forse la vera domanda è un’altra: un adolescente deve per forza venire all’oratorio? Il fatto che venga è l’unico modo perché possiamo prenderci cura di lui? Il fatto che non venga è segno di un fallimento nostro e suo? Se viene, cosa trova? E se non viene, cosa trova? A chi viene cosa siamo in grado di offrire, a livello di spazi, di persone, di proposte? C’è proporzione tra risultato sperato e tempo, competenza, risorse dedicate? Che comunità educante abbiamo a disposizione per l’oratorio? Quanto siamo coraggiosi nel formarla e nel rinnovarla? A volte ci lamentiamo dell’assenza in oratorio degli adolescenti. Ma a chi viene cosa diamo? Una scopa per pulire il cortile? Un posto come barista a 14 anni? Un gruppo scalmanato di bambini a cui fare il catechista? Una console con 100 giochi sopra? Il gruppo settimanale di coetanei in cui si parla di droga e di sessualità? Angoli appartati e poco controllabili? Calendari fittissimi di iniziative per loro, ma alle quali non si iscriveranno mai?(2) Se li vogliamo in oratorio dobbiamo prepararci, e prepararci bene. Un esempio: 2 A questo proposito, gli adolescenti fuggono da ciò che è troppo organizzato. Troppe agenzie succhiano gran parte del loro tempo e glielo blindano con orari, scadenze, regole, divieti... tutto ciò di cui l’adolescenza intende giustamente sbarazzarsi. Noi non possiamo infierire ulteriormente. Possiamo usare però alcuni trucchi: la stessa attività, ad esempio una giornata al lago a giugno, proposta tre mesi prima con tanto di volantino sortisce risposte del tipo «Bello! Però non so, forse sarò impegnato». Proposta una sera o due prima, dopo una giornata di Grest, la stessa iniziativa troverà più facilmente risposte del tipo: «Sì, bella idea, domani posso, danno anche bel tempo e penso di poter portare pure un amico». Per chi organizza è fatica in più! Ma le iniziative sono per le persone e non le persone per le iniziative! 62


La vera domanda ma piuttosto: non deve essere: “Come ci prepariamo “Perché non vengono ad accogliere i nel resto dell’anno?” tanti dell’estate. in estate vengono, ne vengono tanti! Vogliono fare gli animatori al Grest. Poi spariscono. In alcuni casi fino al Grest dell’anno dopo. La vera domanda non deve essere: “Perché non vengono nel resto dell’anno?”(3), ma piuttosto: “Come ci prepariamo ad accogliere i tanti dell’estate e ad offrire loro percorsi adatti, stimolanti e di crescita?”. E chi non viene, cosa trova? Dovremmo smettere di incolpare qualcuno (la data della Cresima o la società di oggi) di portar via i ragazzi dall’oratorio. Mentre noi cerchiamo il capro espiatorio, gli adolescenti diventano grandi senza di noi. Ma è proprio vero che chi non viene all’oratorio è spiritualmente perso?(4) C’è un segreto: si può dare anche a distanza! È la Chiesa in uscita che ci sta donando papa Francesco, la Chiesa che non chiede più agli altri (inutilmente) di adeguarsi ai propri schemi, la Chiesa che va a mani libere verso i suoi figli, lì dove abitano, senza chiedere loro nulla, ma semplicemente facendosi discreta e umile compagna di viaggio. Avere a che fare con gli adolescenti, significa cercare di conoscerli e di rispettarli. Vengano o no in oratorio. Qualcuno li ha definiti come una spugna che si imbeve dell’acqua limpida e sudicia del presente. Giudicarli, paragonarli ai loro coetanei di altri tempi, criticarli perché sono figli della società in cui vivono, fare previsioni catastrofiche sul loro futuro non serve decisamente a nulla! Sono invece da ammirare, e tanto. Stanno diventando grandi facendo molta più fatica di quanta ne abbiamo fatta noi che eravamo adolescenti qualche lustro fa: viene offerto loro tutto e il contrario di tutto, gli adulti che dovrebbero essere un riferimento sono spesso più smarriti e disorientati degli adolescenti stessi, la parola “valore” non si può più usare, le grandi scelte sono sconsigliate, il futuro è da temere e via di seguito. A me basta che loro sappiano che io ci sono, che penso a loro uno per uno. E che li stimo. In qualunque punto del cammino della vita si trovino.

Progetto: “Giovani Insieme” Grazie ai finanziamenti di Regione Lombardia sarà possibile impiegare negli oratori lombardi 350 giovani con funzione educativa per i ragazzi. Assumere giovani negli oratori lombardi, preparandoli e formandoli per metterli al servizio delle comunità per fornire un servizio educativo che sempre più spesso non riesce ad essere opportunamente garantito in tutte le parrocchie: questo è l’obiettivo – ambizioso – del progetto “Giovani Insieme” nato dalla collaborazione tra ODL (Oratori Diocesi Lombarde) e Regione Lombardia, in ordine all’incremento della presenza educativa retribuita nei nostri oratori. Il progetto si propone di potenziare le capacità aggregative degli oratori, rafforzando l’offerta formativa e sostenendo le attività già in corso mediante l’inserimento di nuove figure educative. Le singole diocesi hanno provveduto a selezionare 350 giovani (49 per la Diocesi di Brescia), in possesso dei requisiti necessari, e ad assegnarli ad altrettanti oratori. I giovani individuati saranno presenti negli oratori per un totale di 720 ore annuali (dal 01/09/2014 al 31/08/2015), con il compito di accogliere e animare le attività educative. A tali giovani verrà corrisposta una retribuzione netta pari a € 400 al mese (tramite il sistema voucher), direttamente dalle parrocchie interessate con il contributo della Regione. Le dieci Diocesi lombarde (Bergamo, Brescia, Como, Crema, Cremona, Lodi, Mantova, Milano, Pavia, Vigevano) e le altre Diocesi che hanno giurisdizione su porzioni di territorio della Lombardia (Tortona, Vercelli e Verona) sono partner nel progetto. Alle parrocchie di Botticino sono stati assegnati due giovani (Simone Vanni e Pietro Fostini) che presteranno il loro servizio negli oratori di Sera, Mattina e San Gallo.

3 L’adolescente vuole essere finalmente protagonista della sua vita e vede nel fare l’animatore al Grest l’occasione per liberarsi da un’immagine infantile di sé che sente non appartenergli più. Tocca a noi adulti in oratorio, ai quali l’adolescente si affida (!), cogliere questa occasione e trasformarla in opportunità di crescita e non semplicemente in bassa manovalanza. 4 Per ridere: se il nostro sogno fosse esaudito dal genio della lampada e da domani tutti gli adolescenti della parrocchia venissero all’oratorio, non saremmo forse spacciati?!? Ma allora, quanti ne vogliamo? Più dei pochi che vengono adesso, ma non tutti perché sarebbero troppi? Quanto siamo assurdi a volte! 63


USO BOTTICINO una grande annata Vacanza estiva e pausa sportiva ridotte ed effervescenti per i ragazzi dell’USO Botticino 2005 che hanno conquistato il diritto di partecipare alle “mitiche” finali nazionali del campionato ANSPI a Bellaria dal 31 agosto al 4 settembre, dove hanno raggiunto la fase finale aggiudicandosi il 4° posto a livello nazionale. L’Uso 2005 guidato dal team Fabio, Luca, Marco e Francesco (master, misters e preparatore dei portieri) ha raggiunto il secondo posto nel girone di campionato 2014-15, poi il quarto alle finali provinciali e il secondo a quelle regionali: lungo il percorso si è aggiudicato il Torneo notturno di Botticino e il Roncaì di Bedizzole, oltre ad altri piazzamenti più che onorevoli in altre competizioni. Questa squadra ha raggiunto gli obiettivi citati riuscendo nell’impresa di far ruotare tutti i 18 ragazzi della rosa, coniugando risultati, partecipazione e divertimento e, allo stesso tempo, crescendo per impegno e applicazione. Questa crescita tecnica, atletica e formativa è certamente il più bel risultato raggiunto, che non fa che inorgoglire la società a partire dal presidente Stefano ai dirigenti, Francesco in testa, dell’USO. Un ringraziamento ai genitori dei ragazzi che hanno accompagnato i loro pargoli con tanta pazienza (ore e ore a bordo campo) e in collaborazione con i tecnici. Anche il gruppo USO Botticino 2004 ha concluso la sua stagione con buoni risultati finali, anche se ha dovuto scontare l’anno in meno rispetto alla categoria: nonostante le difficoltà anagrafiche ha ottenuto un ottimo piazzamento riuscendo a partecipare alle fasi finali provinciali piazzandosi in onorevole posizione. I ragazzi del 2004, guidati da Alberto ed Erica sono ora attesi ad un salto di categoria per il passaggio al settore FIGC in cui disputeranno un campionato altrettanto impegnativo, al quale però arrivano ben preparati dai loro tecnici. Anche ai genitori del 2004 va il ringraziamento per l’impegno e la partecipazione profusi in questi due anni, accanto all’augurio di un buon proseguimento nella passione sportiva dei loro ragazzi. La nuova annata calcistica vedrà al via, sul campo dell’oratorio, due formazioni: USO Botticino 2005 e USO Botticino 2006 che accoglierà le nuove leve provenienti dalla scuola calcio. A tutti un grande in bocca al lupo per la stagione sportiva 2014-2015. a definizione di “squadra” va sicuramente stretta alla Dumper Botticino , meglio infatti in casi come questo parlare di “gruppo” . Gruppo di calciatori, di dirigenti, di tifosi vicini e lontani, ma soprattutto gruppo di amici che grazie al caro e vecchio “fobal” continuano a rimanere uniti; non esiste molto probabilmente miglior vittoria dello stare bene insieme! L’ultima stagione ha visto la formazione gialloblù rivincere la coppa Anspi nella categoria “amatori calcio a 7“ (la seconda negli ultimi tre anni ....), concludendo inoltre al primo posto grazie ad una entusiasmante rimonta il proprio girone provinciale. Non sono andate purtroppo nel migliore dei modi le finali provinciali e nazionali ( per demeriti sportivi nel primo caso , per ignoranza nell’applicazione del regolamento da parte degli organi preposti nel secondo!), ma come si suol dire in questi casi “ce ne siamo fatta una ragione“ . Si riparte ora con la nuova stagione, carichi di voglia, di speranza e di certezze, tra cui quella di giocare sul vecchio, sabbioso e ormai “sassoso” campo dell’ oratorio di Botticino Mattina! La speranza è invece chiaramente quella di poter vedere nascere una nuova struttura, che possa essere soprattutto punto di riferimento per le nuove generazioni di tutto il paese: al di la’ dei “campanili” bisognerebbe come sempre e prima di tutto ricominciare a “seminare il terreno”. Buon campionato!

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GREST

Con UNA STORIA CHE NASCE CINQUANT’ANNI FA, caratterizzando da diverse generazioni l’estate dei più piccoli, il Grest continua a raccontare la profonda volontà che le comunità cristiane rivolgono nell’attenzione e nella CURA VERSO I BAMBINI ED I RAGAZZI, facendo nascere la possibilità di educare i più piccoli a creare relazioni vere d’amicizia e di fiducia. Sperimentando i valori della GRATUITÀ, DEL SERVIZIO, DELLA TESTIMONIANZA, le comunità, quella piccola dei Grest insieme a quella più grande della Parrocchia, vivono con forza la grande dimensione della Fede e della preghiera. Dopo la Parola nel 2012 e il corpo nel 2013, “L’ABITARE” È STATO IL TEMA SCELTO PER L’ESTATE 2014. Perché ogni parola, così come ogni corpo, se vuole essere veramente segno indelebile nel tempo, ha bisogno di prendere dimora nell’esistenza degli uomini. Il tema dell’abitare, come ci suggerisce il bisogno irrinunciabile di stare con i ragazzi, così CI INVITA AD APRIRE LA PORTA PER ANDARE INCONTRO ALL’ALTRO: nessuno su questa terra deve sentirsi straniero ma destinatario di una cura attenta e amorevole.

PIANO TERRA Nella mia stanza sta volando una farfalla, incuriosita dalle stelle che ho dipinto sul soffitto sfiora la bambola di quando ero bambina, che sorride ogni mattina, quando scendo dal mio letto. Dalla finestra spalancata sull’estate vedo il prato e sulla strada qualcheduno sta arrivando, ha già suonato il campanello, ma io sono un po’ indecisa, lascerò la porta chiusa, oppure no? Ora ci penso – mi spremo le meningi finché ha senso, ed ecco la risposta stare a sognare da sola non mi basta! Al piano terra la vita è bella, ed il vento sussurra nei nostri occhi la luce brilla, scoccherà una scintilla. E canteremo, respireremo nell’aria azzurra, questo è il posto per noi e per chi ci raggiungerà! Il tuo sorriso luminoso scalda tutta la mia casa e chiacchierando mi racconti la tua storia, ma suona ancora il campanello e vedo gente sul cancello, cosa dici meglio aprire oppure no? Ora pensiamoci spremiamo le meningi finché fumano, non tarda la risposta: facciamo entrare la gente e si fa festa! Al piano terra la vita è bella… È sorprendente! Adesso il mio giardino è pieno di gente che sorride e si saluta allegramente, come uno stormo di farfalle piene di curiosità, presto faremo festa in tutta la città! Che cosa folle – saltiamo tutti insieme come molle! Ed ecco la risposta: Venite a prendere posto in questa festa! Al piano terra la vita è bella… Questo è il posto per noi e per chi ci raggiunge Questo è il posto per noi e per chi ci raggiunge Questo è il posto per noi e per chi ci supererà! 65


Campo “Ragazzi 2” APRITI ALLA VERITA’ E PORTERAI LA VITA: la Chiesa nel mondo...è questo il tema che ha caratterizzato il campo a cui hanno partecipato i ragazzi del 2001, dal 20 al 27 luglio, nella suggestiva e selvaggia Val Daone. Ogni giorno attraverso le “parole chiave” ci siamo soffermati sulle varie dimensioni della persona umana (volti di gioia, servire con il cuore, voce che annuncia, sguardo che va oltre, piedi che camminano, braccia aperte) per capire che ogni persona è unica e irripetibile, a immagine del Creatore, ed è chiamata a condividere con gli altri i doni e talenti che ha ricevuto da Dio. Il tempo incerto (ogni giorno la nuvola fantozziana vegliava sulla nostra casa) non ha frenato la gioia e l’entusiasmo dei nostri eroi che tra giochi, attività ludico-pratiche, canti, giocate a risiko-a uno-a scala quaranta, hanno impegnato in modo originale il soggiorno sotto il coperto porticato accogliente. Non sono mancate le gite: martedì l’impegnativa salita alla Malga Danerba e venerdì la lunga, ma rilassante escursione nella ridente Val di Fumo, con sosta al rifugio e alla malga della comunità di don Raffaele per una degustazione del formaggio nostrano. Quest’anno oltre alla “Band della Patacca” , che ha allietato alcune serate, abbiamo assistito alla nascita del gruppo “The Legend”, i camminatori ed esploratori sempre davanti nelle varie camminate. Ogni sera andava in onda il telegiornale della Val Daone diretto dal Capocampo con la collaborazione a turno

delle varie squadre (Europa, Asia, Africa, America, Oceania) che informava in modo creativo gli accadimenti delle giornate. Venerdì sera i ragazzi hanno inventato la sfilata di moda mista: le femmine si sono trasformate in maschi e viceversa, poi una giuria ha premiato le esibizioni più originali. Alla fine per concludere l’allegra serata c’è stata l’inaspettata spaghettata di mezzanotte ideata dalle cuoche, che ha raccolto consensi unanimi ed entusiasti da parte dei ragazzi e degli animatori. L’ultima sera, con il cuore gonfio di emozioni contrastanti, abbiamo cantato in modo appassionato e travolgente numerose canzoni al karaoke, per poi piangere di gioia e di nostalgia con la consegna delle lettere. Un ringraziamento particolare va alle tre cuoche (Mara, Ilaria e Mirella) che hanno sfamato la truppa con abbondanti e sfiziosi pranzetti, oltre alla sensibilità e alla pazienza che hanno dimostrato con i ragazzi. Un grazie di cuore anche ai miei stretti collaboratori Germano, Paola, Pietro e Simone che hanno sopportato e assecondato le mie pazze idee e hanno aiutato i ragazzi a crescere rispettando le regole e diventando autonomi. E per ultimi ma non per ordine di importanza LE MIE 38 PERLE... ognuno di voi brilla di luce propria e pura..continuate così. SIETE UN MAGNIFICO GRUPPO! Il Capocampo Andrea Quarenghi

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UN ANIMATORE AI RAGAZZI Cari ragazzi e care ragazze, anche quest’anno la settimana di campeggio è arrivata, e con il trascorrere del tempo è giunta alla sua fine! Questa settimana è stata una bella opportunità! Un’occasione per costruire nuove amicizie, per rafforzare quelle vecchie; per conoscersi meglio; per capire cosa vuole la vita! Voi siete - siamo - un bellissimo gruppo, numerosissimo! Continuiamo a costruire il futuro senza mai abbandonare la serenità senza paura di scommettere sulle grandi cose. Siate felici per diffondere la felicità e siate felici per diffondere il vostro dolore. La felicità è una delle cose più belle che ci possono accadere! Non cercate di essere tanto ‘alla moda’, questa è la cosa più vecchia che ci sia, e se qualcosa non vi riesce in una posizione o in un’altra, buttatevi in terra perché è da distesi che si vede il cielo e le sue stelle! Cercate le parole giuste e scrivete la vostra vita come se fosse una poesia, tanto per fare poesia una cosa sola serve, tutto! Se è necessario piangete di fronte agli altri, fate vedere la vostra sofferenza e non abbiate paura di soffrire, tutto il mondo soffre, e se piangete quando il cielo è colmo di pianto e vi ricopre il viso con la sua pioggia, ricordatevi che la pioggia nasconde e maschera le lacrime del nostro cuore! Usate tutto voi stessi per diffondere l’amore che avete con gli amici veri, quelli che sono fratelli nati sotto un tetto diverso! Usate la vostra voce per far sentire ciò che avete dentro, usate le vostre mani per costruire il vostro futuro, usate il vostro cuore e i vostri volti per diffondere la gioia e l’amore che provate di fronte agli altri. Usate il vostro sguardo per andare oltre le apparenze e leggere il cuore della gente e le loro emozioni! Usate i vostri piedi per camminare nella vita a testa alta, e le vostre braccia e mani per afferrare i vari momenti e conservarli nel vostro cuore! Apritevi alla verità, verità che spesso fa male, che ferisce; ferita che guarisce in fretta e cicatrizzando crea fiducia nella persona che ci ha ferito con la sua verità, perchè come disse Faust “è con la forza della verità che in vita si conquista l’universo”. Non abbiate paura, la paura uccide e inquina i sentimenti, ma usate l’amore come arma di difesa, perché chi è amato non può far male a chi lo ama; non odiate gli altri, e se lo fate, ricordatevi che non sempre chi si odia ci odia. Innamoratevi! Quando non si è innamorati di qualcuno o di qualcosa, è tutto morto e fermo, mentre quando ci s’innamora, diventa tutto vivo, allegro e contagioso, l’amore è un virus che si diffonde nell’aria e invade tutto! Rimanete in silenzio e ascoltate ciò che lui ha da dirvi; il silenzio è il custode delle parole del nostro cuore ed è la migliore arte della conversazione con se stessi; il silenzio è ciò che ci fa sentire veramente noi, che ci fa restare vivi, che ci lega alle nostre emozioni. Se vi allontanate da qualcuno, ricordatevi che la lontananza rende più cara un’amicizia mentre l’assenza la fa più forte, tenete stretti i ricordi che avete nel cuore. Tutto quello che vi ho detto fino ad ora, sono solo dei consigli, e l’ultima cosa che vi dico è di stare cauti nell’accettarli e di essere paziente con chi li dispensa. A volte i consigli sono una forma di nostalgia, dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga. Ma accettate il consiglio per questa volta!! Spero di rivedervi tutti durante l’anno e al campo dell’anno prossimo, carichi di emozioni e avventure vissute, e ancora da vivere! il vostro Fost!!


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Campo “Ragazzi 3”

E’ Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento, et per aere et per nubile et sereno et onne tempo per lo quale a le tue creature dai sostentamento. Laudato si’ mi’ Signore per sor’acqua, la quale è molto utile, humile et pretiosa et casta. … Sicuramente ogni giorno c’era un motivo per lodare Dio. Nella settimana dal 7 al 13 luglio 2014, con 18 ragazzi di terza media abbiamo inaugurato la casa vacanze di Malga Boazzo – in Val Daone – che le parrocchie di Botticino hanno preso in gestione per due anni. Come sempre il campo estivo non è solo svago e divertimento, cose che anche queste non possono mancare, ma un’occasione per tutti – ragazzi ed animatori – per riflettere e crescere nella fede. Il tema di quest’anno è proprio S. Francesco che l’ha sug-

gerito, con il suo sì all’invito di Cristo: “Ripara la mia casa”. Una casa che si regge su Cristo come fondamenta. Una casa dove mattoni, travi, tegole siamo noi con le nostre attitudini e capacità ed il cemento sono le relazioni che coltiviamo ogni giorno: senza relazioni significative, pur ottenendo ogni tipo di successo umano, saremo sempre carenti di qualcosa. Riteniamo che questa esperienza sia stata molto positiva: i ragazzi hanno risposto con entusiasmo a tutte le attività proposte e, in generale, hanno espresso soddisfazione. Anche con il tempo poco clemente di quella settimana non ci siamo fatti mancare nulla. Nemmeno le due passeggiate in programma di una giornata: il mercoledì, in val di Fumo, ci hanno ospitato nella malga dove producono vari formaggi di montagna, i ragazzi della comunità “Ai Rucc”, mentre il venerdì una splendida giornata ci ha fatto veramente apprezzare un anfiteatro di monti presso Malga Gelo dove una famiglia di pastori trascorreva l’estate con le pecore. Un sentito ringraziamento ai cuochi Giulietta e Romano che (oltre alla partecipazione straordinaria di Luisa) anche quest’anno si sono confermati campioni della cucina. Gli Animatori Aldo, Francesco, Italo, Rachele, Pietro, Simone.

CAMPO ADOLESCENTI 1

In luglio, ai ragazzi della nostra parrocchia, è stato fatto l’invito di partecipare all’esperienze del campeggio, nella casa di Malga Boazzo, in Val Daone. Gruppi più o meno numerosi hanno partecipato, con entusiasmo, a questa proposta. Il gruppo, modesto, dei ragazzi di prima superiore, accompagnati dai catechisti, hanno vissuto una settimana nella quale hanno cercato di dare risposte al tema “Apriti alla VERITÀ, porterai la VITA” e, nello specifico, come oggi si possa rispondere a quella frase che ha contraddistinto la vita di San Francesco: “Ripara la mia casa, la mia chiesa…” Vari sono stati i temi affrontati, tra cui la pace, la fraternità e l’essere dono per gli altri, in primis rispondendo “SI” alla “chiamata” che ognuno di noi riceve. Le giornate di sole che ci sono state donate, ci hanno permesso di vivere al meglio la settimana. Non sono mancate le escursioni: paesaggi spettacolari, verdi pascoli e montagne innevate, corsi d’acqua e tutto ciò che la natura offre, ci ha permesso di sperimentare la bellezza e la difficoltà del camminare in gruppo: il saper rallentare il passo per aspettarsi; il portare, simbolicamente, con lo scambio degli zaini, il peso degli altri sulle proprie spalle; il riflettere in luoghi silenziosi e al tempo stesso ricchi di suoni che spesso dimentichiamo. Le varie giornate sono trascorse con esperienze ed attività diverse, si è riscoperto l’uso della fantasia, l’importanza della collaborazione e del dialogo per poter realizzare dei progetti concreti, anche con l’utilizzo di ciò che la natura mette a disposizione. La serata “magica” attorno al falò ad ammirare il cielo stellato, cantando insieme, accompagnati dalla chitarra, ci hanno fatto vivere emo-

zioni forti che nella frenesia delle nostre vite lasciamo nascoste negli angoli più remoti del nostro cuore. Il momento di crescita con don Raffaele, dove i ragazzi hanno fatto le loro proposte sulla vita in oratorio e nelle comunità, di cosa manca loro in questi ambienti e di cosa trovano. Un grazie di cuore per questa esperienza va rivolto ai ragazzi che hanno accolto l’invito. È anche merito loro se tutto questo è stato possibile, il loro esserci e la loro voglia di fare, ci hanno permesso di vivere questa settimana da protagonisti per essere domani costruttori di una chiesa viva e vera. Ogni giorno vissuto alla scoperta di noi stessi, di ciò che siamo e possiamo essere per gli altri, non può e non deve durare solo una settimana, ma deve continuare nella vita di tutti i giorni. Sono tante le cose che possono essere sperimentate, allora continuiamo questa esperienza con l’impegno di esserci e di ritrovarci insieme per crescere nella verità e portare al mondo la vita. A presto! Gli Animatori, Alessandro, Beppe, Elisa, Pietro e Simone 67


Un itinerario nella gioia Paolo VI ha parlato molto dell’oratorio. Senza, per altro, averlo frequentato così sovente: la sua costituzione fisica e il suo percorso di vita gli ha consegnato più il desiderio di andarci che la possibilità di farlo. Eppure, quando parla di oratorio, lo fa con una passione particolare, soprattutto da Vescovo di Milano. Intuisce che l’oratorio è un luogo irrinunciabile della comunità, un ambiente che completa la persona e la apre alla scoperta del Vangelo e degli altri. Tenta di convincere chi è reticente ad avere un oratorio bello, all’altezza dei tempi, capace di intercettare la vita e le sfide della cultura. Lasciamo parlare il nostro Papa bresciano: “Qui venite per imparare come si agisce, come si pensa, come si ama, come si conoscono tutte le questioni che ci circondano, come si misura la vita; dovete veramente farne la scuola perfettiva della vostra professione, della vostra cultura, della vostra esistenza. Qui s’inquadrano tutte le altre cognizioni che potete apprendere: qui si da il loro valore, il loro equilibrio, la loro sintesi; qui dovete imparare veramente a guardare l’orizzonte della vita. Figuratevi, quando venite all’Oratorio, di trovarvi su una torre dalla quale si guarda il panorama e si domina lontano: all’Oratorio voi siete su un osservatorio, che domina la vita e da cui potete guardare tutto quello che vi circonda: i vari punti cardinali che qui sono fissati dalle vostre idee, dalla vostra fede, dagli insegnamenti che vi sono impartiti” (Inaugurazione dell’oratorio di San Vittore a Varese, 14 maggio 1961). Ecco perché prendiamo a prestito, per tutto quest’anno, una sua espressione per definire l’oratorio: “la casa della gioia”. Casa dice familiarità, vicinanza, accoglienza, sicurezza, affetto, progettualità, relazione... Gioia dice voglia di esserci, partecipazione, fantasia, allegria, novità, futuro, spensieratezza, leggerezza, verità, profondità... Gioia è quello che chiede anche Papa Francesco pensando al rinnovamento della nostra pastorale, compresa quella degli oratori: questa assonanza rende ancora più attuale la definizione di Paolo VI. Continuare ad essere la casa della gioia è anche il senso del cantiere, che in questi mesi chiuderemo, della riscrittura del Progetto diocesano sugli oratori. Non ci servirà un testo noioso o di tipo didascalico, ma un testo capace di sprigionare una gioia autentica, rigeneratrice delle nostre fatiche educative (che rischiano di appesantirci), illuminante sulla fortuna di avere ancora così tanti oratori capaci di ospitare percorsi ed indicare mete (anche se sentiamo sulla nostra pelle la necessità di prendere serie decisioni perché questa fortuna ci accompagni anche nel nostro immediato futuro). Lo sappiamo che, da bresciani, siamo più propensi all’agire che a riflettere e perennemente tentati di contrapporre questi due momenti: ma se continuiamo a farci guidare dalla metafora della casa ci accorgiamo che il momento della gioia è da custodire non solo quando la si abita, ma anche quando la si progetta: perché il momento delicato dell’immaginarsi la casa, del progettarla, del valutarne gli ambienti può aprire o chiudere possibilità concrete di gioia. Riscrivere il progetto degli oratori è contribuire alla loro gioia. Ricominciamo dalla gioia, anche quest’anno. Ci sono tante motivazioni che potrebbero farci iniziare dalla tristezza, o dalla stanchezza, o dalla noia... Ma noi scegliamo la gioia! Con decisione, perché chi educa deve avere un cuore pieno di gioia. Con la consapevolezza che è una scelta teologica, perché è la gioia che manifesta il Vangelo.

a s a C La Gioia a l l de

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La pianta di Barbaria, una pianta grassa tipica del Marocco e della Costa Azzurra, per Matisse rappresenta la vita che si esprime con entusiasmo nel creato e nella natura che ci circonda.

Dall'esortazione apostolica di Paolo VI "Gaudete in domino"

Ci sarebbe anche bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell'esistenza e della vita; gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacriicio. Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle: non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali. Molto spesso partendo da queste, il Cristo ha annunciato il Regno di Dio.

IN ORATORIO

Viviamo il primo periodo dell'anno oratoriano: vogliamo fare dei nostri oratori la "casa della gioia". Seguendo le indicazioni che Paolo VI ci propone, il primo passo da compiere è quello di imparare a scoprire e riconoscere le occasioni di gioia che ci circondano. L'itinerario che ci propone Paolo VI è ampio e ricco di esempi, che possono diventare altrettante domande di veriica per il nostro oratorio. Viviamo con semplicità ed entusiasmo le occasioni di gioia e felicità che contrassegnano la vita nel nostro oratorio? Le sappiamo valorizzare?

Non questo ma il soprassalto di letizia che ti coglie a tradimento nè più nè meno di un lutto, magari in marcia, nella coda piovosa del ritorno, a un rosso, oppure in anticamera quando colui che ti precede suda freddo freddo di là dalla porta sotto i visor e smania. «Stavo all’erta, avevo qualcosa da dirti» canta all’improvviso una fibra di lucentezza riposta dio sa dove, nell’essere più abbietto o più liso a ricordarlo, ti apostrofa da un capo all’altro dell’annosa fossa. Ed è che il mondo per inattesa grazia ti parla dei suoi seppellimenti e dei suoi parti, ti svela il suo costrutto nei suoi boia e nelle sue vittime, vive nei suoi animali e nei suoi ciottoli, nelle sue opere di scienza e d’arte efficaci o logorein te e di te che ne sei parte dal cominciamento e giudice. «Non è d’amore che mi stai parlando?» (M. Luzi - Il pensiero fluttuante di felicità) 69


INCONTRI DI CATECHESI PRESSO LE TRE PARROCCHIE

CAMMINO DI FEDE - ICFR - 2014-2015

PREADOLESCENTI - ADOLESCENTI - GIOVANI

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ADOLESCENTI E GIOVANI

NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO

durante la settimana varie opportunità di incontro di formazione presso l’oratorio per adolescenti ogni giovedì e venerdì ore 20,30 per giovani ogni venerdì ore 20,30

ZONA PASTORALE

La gioia e la speranza nel cuore dei giovani

Giovani viandanti della fede

itinerario zonale di spiritualità per ado e giovani presso Casa Madre Suore Operaie di Botticino Sera Venerdì 21 novembre -Venerdì 16 gennaio 2015- Venerdì 13 febbraio 2015 Per soli giovani : 6-7-8 dicembre 2014 - 7-8 marzo 2015

SICHAR

gruppo vocazionale diocesano per le giovani e i giovani dai 18 anni aperto al discernimento di tutte le vocazioni (vita matrimoniale, consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale… ) una domenica al mese dalle 9,00 alle 17.00 il percorso è condiviso con l’Ufficio Missionario

Nessuno escluso dalla gioia che Tu porti 24 ottobre /9 novembre/14 dicembre/ 20-21 dicembre/ 11 gennaio / 8 febbraio/22 marzo/19 aprile/17 maggio

EMMAUS

gruppo vocazionale diocesano per giovani dai 18 anni che non escludono la vocazione sacerdotale presso il Seminario diocesano una domenica al mese dalle ore 12.30 alle 18.00

la GIOIA nel cuore dei SANTI

26 ottobre/23 novembre/21 dicembre/11 gennaio 22 febbraio/29 marzo/26 aprile/24 maggio/21 giugno

NUOVI STILI DI VIAGGIO

Toccare con mano la realtà della missione ai giovani di buona volontà che si rendono disponibili. Insieme ai missionari bresciani vedono e vivono, magari anche solo marginalmente, cosa significa essere testimoni in paesi lontani dalla nostra cultura. Un viaggio nel cuore della missione e nello spirito dei missionari.

Giornata della gioventù

sabato 28 marzo 2015 Veglia delle Palme domenica 29 marzo festa in parrocchia

Giornate di spiritualità per giovani presso l’Eremo di Bienno

Esperienze di carità, di festa, di fraternità, di divertimento

la gioia cristiana

meditazioni del Vescovo Luciano 1-2-3 maggio 2015 Corsi per animatori oratorio, per chi vuole fare esperienza in missione, per chi vuole specializzarsi in teatro, animazione e tecniche della comunicazione.... informazioni presso le parrocchie

Progetto Giovani & Comunità

quattro mesi di esperienza per i giovani e le giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la vita comunitaria e il servizio, si confrontano sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristiani info: Ufficio Caritas 030.3757746 Ufficio Vocazioni 030.3722245 71


UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI “ Parrocchie di Botticino

La Casa della Gioia

DOMENICA 12 OTTOBRE

inizio anno pastorale e di catechesi

2014/2015

ricordando 10° anniversario Ordinazione Diaconale di Pietro ore 12,30

PRANZO COMUNITARIO

presso il salone dell’oratorio di Botticino Sera

i volontari della cucina preparano le

secondo piatto e i dolci

LASAGNE per tutti

il ogni famiglia porta qualcosa da condividere. Prestano servizio gli adolescenti delle tre parrocchie. (E’ bene comunicare alla segreteria - 030 2692094 - il numero di quanti mangiano le lasagne)

ore 14,00

GIOCHI, FESTA CELEBRAZIONE S.MESSA

ore 17,00 in Basilica-Santuario all’inizio del nuovo anno di catechesi e del 10° anniversario ordinazione del diacono Pietro con le

PROMESSE e gli IMPEGNI, dei catechisti, dei genitori e dei ragazzi . Segue CASTAGNATA .

CELEBRAZIONI

SABATO 1 NOVEMBRE

SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI S.GALLO ore 10,00 S.MESSA in chiesa parr. segue processione al cimitero BOTT.SERA in Basilica ore 8,00 - 18,45 al cimitero ore 16,15 BOTT.MATTINA in chiesa parr. ore 9,30 al cimitero ore 15,00

DOMENICA 2 NOVEMBRE COMMEMORAZIONE DEFUNTI S.GALLO al cimitero ore 10,00 BOTT.SERA in chiesa ore 8,00 al cimitero ore 10,45 - 18,45 BOTT. MATTINA al cimitero ore 9,30 - 17,30

PENITENZIALI CON CONFESSIONI

a S.Gallo lunedì 27 ottobreore 20,00 a Botticino Mattina martedì 28 ottobre ore 20,00 a Botticino Sera giovedì 30 ottobre ore 20,00

DOMENICA 12 OTTOBRE INIZIO ANNO PASTORALE 2013/2014 SS.Messe come da orario festivo Pranzo comunitario in oratorio; alle 17,00 presso la chiesa di Botticino Sera S.Messa con promesse e impegni dei bambini, genitori e catechisti delle tre parrocchie di Botticino per inizio anno di catechesi segue castagnata

DOMENICA 19 OTTOBRE GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE SABATO 22 DOMENICA 23 NOVEMBRE

S.CECILIA PATRONA DELLA MUSICA MERCOLEDI’26 NOVEMBRE INIZIOCENTRIDIASCOLTO

utile feste d’estate nelle parrocchie

FESTA ORAT. BOTT. MATTINA € 7.800,00 FESTA PATRONALE SAN GALLO € 10.250,00 FESTA SAN FAUSTINO AL MONTE € 3.100,00 FESTA SAN FAUST PER CANNE ORGANO € 500,00 BANCARELLA (Maria) S.FAUST. AL MONTE € 531,00 PESCA SAN NICOLA € 680,00 CODORME’ SAN NICOLA € 500,00 CODORME’ PER CANNE ORGANO € 500,00 FESTA ASSUNTA BOTT.SERA € 844.00

visita il sito web delle parrocchie di Botticino:

www.parrocchiebotticino.it


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