VOCE per la COMUNITA’ UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO
HANNO PERSO TUTTO MA
È NATA LA SPERANZA Sussidio di formazione e informazione pastorale NATALE 2015
RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI Licini don Raffaele, parroco cell. 3371486407 (3283108944) e-mail parrocchia:info@parrocchiebotticino.it sito web: www.parrocchiebotticino.it Segreteria Unità Pastorale tel e fax 0302692094 e-mail segreteria@ parrocchiebotticino.it
Loda don Bruno, tel. 0302199768 Bonetta don Giacomo, tel. 3474763332 Pietro Oprandi, diacono tel. 0302199881 Scuola Parrocchiale don Orione tel.0302691141 Suore Operaie abitazione villaggio 0302693689 BATTESIMI sabato 9 e domenica 10 gennaio 2016 sabato 6 e domenica 7 febbraio 2016 Veglia Pasquale - Sabato Santo 26 marzo 2016 sabato 2 e domenica 3aprile 2016 I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e sulla data della celebrazione, il parroco personalmente o tel.3371486407
PRESENTAZIONE
In occasione del Natale il Notiziario per le famiglie delle tre Parrocchie di Botticino. E’ un notiziario-documento perchè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale e aggiorna/informa sul cammino di Chiesa universale, diocesana e parrocchiale. Contiene un inserto che riporta la lettera integrale del nostro Vescovo per l’anno pastorale 2015/2016. E poi le pagine riguardanti le attività e iniziative delle tre parrocchie di Botticino. Gli argomenti vengono presentati con un linguaggio comprensibile a tutti e servono per essere aggiornati e istruiti nelle cose che riguardano il nostro essere Chiesa. Non va letto tutto d’un fiato, ma gustato e meditato pagina per pagina. Tribunale Ordinario di Brescia Voce per la comunità - Natale 2015 Direttore Responsabile: Adriano Bianchi Autorizzazione del Tribunale di Brescia n°17/2014, del 28 ottobre 2014
sito web delle parrocchie di Botticino:
www.parrocchiebotticino.it
Stampato in proprio Botticino piazza IV Novembre,13 Unità Pastorale “S.Arcangelo Tadini” Parrocchie di Botticino
La busta per l’offerta in occasione del Natale
Come tradizione, in occasione del Natale, viene rivolto ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un’offerta straordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale. Gli impegni economici non sono pochi.
Il parroco e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno accogliere questo appello 2
Natale I
I Natale di quest’anno accade in un contesto tutto particolare: da un lato c’è il Giubileo della Misericordia, un’occasione per tutti di sperimentare l’amore personale, incondizionato e rigenerante di Dio, dall’altro ci sono i massmedia che abbondano di notizie, di scandali che coinvolgono persone di Chiesa, di Vatileaks e speculazioni su papa Francesco e di molto altro. Notizi spesso purtroppo vere, anche se esagerate e fuori contesto; i particolari sono i soliti di ogni scandalo e azione illecita. Forse il Natale, quello vero, può essere di aiuto per capire il senso di quanto sta succedendo. La storia di cui facciamo memoria è, di per sé, un’antistoria: quella del figlio di un povero senza terra che, appena nato, viene rifiutato dai potenti ed esaltato dagli umili. Partorito durante un viaggio, in una casa non sua, subito cercato per essere ucciso e reso profugo, va poi a vivere nel villaggio più umile e nascosto di tutto Israele, Nazareth. Altro che Messia glorioso e vittorioso, atteso e temuto, altro che «Signore dei Signori, re della terra». La storia del Natale è piuttosto quella di un ‘signor’ nessuno, ultimo degli ultimi, come cercheranno di dimostrare i suoi uccisori, esponenti di una strana alleanza politico-religiosa, facendogli subire il supplizio riservato agli schiavi inchiodandolo alla croce. L’evento ricordato a Natale è stato l’inizio di una storia che continua ancora oggi: la contrapposizione tra la logica di Dio e quella degli uomini. L’azione di Dio è libera, gratuita, nascosta, periferica, rispettosa, inclusiva; quella degli uomini, anche di «religione», cerca invece successo, approvazione, potenza, visibilità, centralità, onori e ricchezze. L’uomo vuole impadronirsi di Dio per usarlo per i suoi scopi; invece Dio si offre alla libertà dell’uomo in maniere sempre nuove e non convenzionali. Cinquant’anni fa il Concilio Vaticano Il iniziava un faticoso cammino per liberare la fede dalle sovrastrutture religiose accumulate nei secoli, per restituire alla Chiesa, popolo di Dio, la missione di essere testimone non della potenza giudicante e selettiva di un Dio glorioso nei cieli, ma dell’amore di un Dio che si è fatto uomo e tutti accoglie con una preferenza spiccata per i poveri, i peccatori, gli emarginati e gli scarti, un Dio che disdegna i grandi templi e preferisce i cuori; testimone di un Dio che non parla in lingue difficili
che hanno bisogno di interpreti, ma che comunica nel linguaggio comune perché tutti lo conoscano davvero come Padre misericordioso, Pastore buono che conosce ciascuno per nome, Fratello e amico che si fa pane spezzato. Il Concilio è stato un vento ‘gagliardo’ che ha disperso le nubi, aperto nuovi orizzonti, alimentato la speranza, ma ha anche creato scompiglio in chi ha visto i propri privilegi e le proprie sicurezze messi in discussione. In questo mezzo secolo sembra però che quel vento abbia pian piano perso vigore, non solo perché noi uomini abbiamo la memoria corta e ci abituiamo a tutto, ma anche perché quelli a cui piace un Dio sonnacchioso che dall’alto dei cieli si accontenta di nuvole d’incenso, di belle chiese e di tante candele, sono corsi a chiudere porte e finestre, a tagliare ponti e innalzare barricate. Poi è arrivato il ciclone delle dimissioni di Benedetto XVI, e il vento fresco di Francesco. «Poveri, scarti, emarginati, chiesa in uscita, chiesa ospedale, accoglienza, attenzione alla persona, povertà, trasparenza, sobrietà ... »: le parole di sempre, dette in modo nuovo, sgravate dal vecchio e stantio linguaggio dei documenti curiali, sono tornate in libertà. E non solo le parole, ma soprattutto i gesti di Francesco spiazzano e confondono, oppure confortano e incoraggiano. La reazione dei custodi della tradizione non si è fatta attendere, come abbiamo visto in questi ultimi mesi, prima, durante e dopo il Sinodo sulla famiglia. Lo schema del Natale si è ripetuto. Ma il Natale, storia di libertà e gratuità, di semplicità e incontro, non si lascia ingabbiare. Nemmeno dagli scandali che periodicamente scuotono la Chiesa. Come il primo Natale non è stato fermato dalle violenze di Erode o dall’ipocrisia dei custodi del «Tempio e della Legge», così anche il cammino iniziato anni fa dal Concilio e rianimato oggi dal carisma di Francesco, non sarà fermato. Anzi, come la storia sacra ci insegna, questi scandali e le sofferenze a essi legate, nelle mani di Dio stanno diven tando un’occasione di grazia e rinnovamento, un pungolo a continuare il cammino per la confusione degli «ipocriti» e la consolazione dei «miti e puri di cuore». Buon Natale. E che il 2016 sia davvero l’anno della misericordia. don Raffaele, parroco 3
La GIOIA di DIO è
Chiesa universale in cammino
PERDONARE Cattedrale di Bangui (Repubblica Centrafricana),Prima Domenica di Avvento, 29 novembre 2015
PAROLE DEL SANTO PADRE PRIMA DELL’APERTURA DELLA PORTA SANTA
per i Paesi che soffrono la guerra chiediamo la pace! E tutti insieme chiediamo amore e pace. Tutti insieme! (in lingua sango) “Doyé Siriri!” [tutti ripetono: “Doyé Siriri!”]” “Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L’An- DALL’OMELIA no Santo della Misericordia viene in anticipo in questa Terra. Una terra che soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incom- “...A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo prensione, la mancanza di pace. Ma in questa terra sofferen- mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti te ci sono anche tutti i Paesi che stanno passando attraverso di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e la croce della guerra. Bangui diviene la capitale spirituale del- della misericordia, autentiche garanzie di pace. Discepoli la preghiera per la misericordia del Padre. Tutti noi chiediamo di Cristo, sacerdoti, religiosi, religiose o laici impegnati in pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore. Per Ban- questo Paese dal nome così suggestivo, situato nel cuore gui, per tutta la Repubblica Centrafricana, per tutto il mondo, dell’Africa e che è chiamato a scoprire il Signore come vero Centro di tutto ciò che è buono, la vostra vocazione è di incarnare il cuore di Dio in mezzo ai vostri concittadini. Voglia il Signore renderci tutti «saldi … e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (1 Ts 3,13). Riconciliazione, perdono, amore e pace! Amen.”
E’ questa la porta del Signore. Apritemi le porte della giustizia. 4
Signore, io sono peccatore... peccatrice, Vieni con la tua misericordia! Roma, Basilica di S.Pietro 8 dicembre 2015 DALL’OMELIA “Questo Anno Straordinario è anch’esso dono di grazia. Entrare per quella Porta significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente. E’ Lui che ci cerca! E’ Lui che ci viene incontro! Sarà un Anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia! Sì, è proprio così. Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta Santa, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore, di tenerezza. Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma. Oggi, qui a Roma e in tutte le diocesi del mondo, varcando la Porta Santa vogliamo anche ricordare un’altra porta
che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio Vaticano II spalancarono verso il mondo. Questa scadenza non può essere ricordata solo per la ricchezza dei documenti prodotti, che fino ai nostri giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede. In primo luogo, però, il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro… dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo. Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano.”
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chiesa universale in cammino -
A CINQUANT’ANNI DALLA FINE DEL CONCILIO VATICANO Il
LA ”MISSIONE” ANIMA DELLA CHIESA CINQUANT'ANNI DI CAMMINO MISSIONARIO
DALL'AD GENTES
ALL' EVANGELII GAUDIUM
Il 7 dicembre 1965, nell'ultima sessione del Concilio Vaticano Il è stato approvato quasi all'unanimità il decreto Ad Gentes. La «missione» diventava cittadina di diritto nella vita della Chiesa, innescando un processo di rinnovamento che sta trovando nuova vitalità proprio ai nostri giorni grazie a papa Francesco, il papa venuto «dall'altro mondo».
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ono passati 50 anni da quel giorno, però ri cordo come fosse ieri la forte emozione spi rituale con cui da giovane missionario ho letto quel documento. Sentivo che esso accettava le sfide e la necessità del cambiamento, e che faceva passare le missioni dalla periferia al cuore della Chiesa. Vi era evidente la presa di coscienza della nuova realtà del mondo e della Chiesa e lo sforzo per dare a questa novità una risposta. Stavano cadendo molti imperi del Nord con la conquista dell’indipendenza da parte di molti paesi, specialmente in Africa e in Asia. Le culture non europee e le religioni non cristiane esigevano un riconoscimento e un posto nei nuovi scenari mondiali. Allo stesso tempo si faceva ogni giorno più evidente il nuovo volto della Chiesa: un volto con diversi colori per il nascere e il crescere delle Chiese dei vari continenti.
Personalmente, fin dalla prima lettura, ho considerato il decreto Ad Gentes non come un punto di arrivo ma come un punto di partenza: eravamo all’inizio di una nuova tappa della evangelizzazione. Questo è divenuto per me più evidente col Sinodo sulla evangelizzazione del 1974 e poi con l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (1975) di Paolo VI. Vi si sentiva il profumo di un nuovo stile e di una nuova spiritualità missionaria, attenta ai segni dei tempi e quindi in ascolto degli impulsi dello Spirito santo. Nel 1976 è apparso, coi tipi delle Edizioni Paoline, il libro del frate cappuccino svizzero, Walbert Bulhmann: La terza Chiesa alle porte. Dopo la prima Chiesa dell’Oriente e la seconda Chiesa dell’Occidente (europea-romana) stava nascendo la terza Chiesa, quella del Sud. Purtroppo molti in Europa non hanno saputo ve dere e accettare con gioia il nuovo che nasceva nel 6
- chiesa universale in cammino - chiesa universale in cammino - chiesa universale Sud e hanno continuato a piangere il vecchio che moriva nel Nord. Questo si è fatto evidente nell’en ciclica di Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio (1990), pubblicata in occasione dei 25 anni dell’Ad Gentes. A partire da quella enciclica molti hanno pensato e scritto che l’ Ad Gentes aveva fallito nel suo proposito di promuovere lo spirito missionario della Chiesa. Però non era vero. In realtà stava morendo una tappa dell’evangelizzazione, quella che aveva avuto la Chiesa europea come protagonista, e ne stava iniziando una nuova. Questa nuova tappa si è manifestata pubblicamente con l’elezione di papa Francesco, il papa venuto dal Sud. La terza Chiesa, che nel 1976 era alle porte, è entrata in casa. Egli ha realizzato questa nuova tappa, oltre che con la sua testimonianza di vita, anche con le sue parole e specialmente con l’esortazione Evangelii Gaudium (2013.) Alla luce di questa esortazione possiamo dire che quello che l’Ad Gentes aveva detto 50 anni fa si sta facendo realtà, però in una maniera diversa da quello che si pensava. E’ una delle tante sorprese dello Spirito Santo.
pompe e di vestiti solenni, di palazzi apostolici e titoli nobiliari, verso una «Chiesa - povera» e per i poveri, spogliata di simboli di onore, serva e profeticamente contraria al sistema di accumulazione del denaro, l’idolo che produce sofferenza, miseria e morte. • Uscita da una «Chiesa che parla» dei poveri, verso una «Chiesa che cammina» con i poveri, dialoga con loro, li abbraccia e li difende. • Uscita da una «Chiesa - equidistante» di fronte ai sistemi politici ed economici, verso una «Chiesa che si schiera» a favore delle vittime e chiama per nome i responsabili delle ingiustizie; una Chiesa che invita a Roma i rappresentanti dei Movimenti sociali mondiali per discutere con loro su come creare possibili alternative. • Uscita da una «Chiesa - disciplina», dell’ordine e del rigore, nello stile degli scribi e dei farisei, verso una «Chiesa misericordia» impegnata nella rivoluzione della tenerezza e della cura, secondo l’esempio del Buon Samaritano. • Uscita da una «Chiesa triste», «con faccia da fu nerale», verso una Chiesa che vive la gioia e la speranza del Vangelo. • Uscita da una «Chiesa senza il mondo», che ha l papa venuto dal Sud presenta questa nuova permesso che nascesse un mondo senza Chiesa, verso tappa dell’evangelizzazione come parte del cammino di una «Chiesa in uscita». Un uscire che si una «Chiesa - mondo», sensibile al problema dell’ecologia e del futuro della casa comune, la madre terra. realizza in diversi ambiti:
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• Uscita da una «Chiesa - fortezza», che proteggeva i suoi fedeli dai pericoli della cultura moderna, verso una «Chiesa - ospedale da campo» che si preoccupa di tutte le persone ferite, senza badare alle loro situazioni morali o ideologiche. • Uscita da una «Chiesa - istituzione», centrata in se stessa, verso una «Chiesa - movimento», aperta al dialogo universale, con altre Chiese, religioni e ideologie. • Uscita da una «Chiesa- gerarchia», creatrice di disuguaglianze, verso una «Chiesa - popolo di Dio», nel quale tutti sono fratelli e sorelle uniti in una immensa comunità fraterna. • Uscita da una «Chiesa- autorità» ecclesiastica, lontana dai suoi fedeli, a cui rischia di voltare le spalle, verso una «Chiesa - Buon Pastore», che cammina in mezzo al popolo, che ha l’odore delle pecore e il profumo della misericordia. • Uscita da una «Chiesa-papa» di tutti i cristiani e dei vescovi, che governa con il Diritto canonico, verso una «Chiesa - vescovo» di Roma, che presiede nella carità, e solamente così diventa papa della Chiesa universale. • Uscita da una «Chiesa - maestra» di dottrine e di norme, verso una «Chiesa - madre», tenera e misericordiosa, con le porte aperte per incontrarsi con tutti, senza guardare la loro appartenenza religiosa, morale o ideologica, ponendo al centro le periferie esistenziali. • Uscita da una «Chiesa- ricca» di potere sacro, di
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i tratta di formare una Chiesa nuova, che ritorni alla scuola di Gesù, che viva e dia te stimonianza del messaggio essenziale del Vangelo e si faccia collaboratrice di Dio nella costruzione di un mondo nuovo che sia sacramento del Regno. Nasce così la missione nuova della Chiesa del Sud: la missione dei discepoli missionari. Impegnati con la loro vita nella liberazione dei poveri, nella inculturazione del Vangelo, nel dialogo interreligioso, nella cura del Creato. Il seme gettato dall’ Ad Gentes (Concilio) e concimato dall’ Evangelii Nuntiandi (Papa Paolo VI) si è convertito in albero nell’ Evangelii Gaudium (Papa Francesco).
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chiesa universale in cammino - chiesa universale in cammino - chiesa universale in
CHIESA MISSIONARIA E CONCILIO VATICANO Il
UN DOCUMENTO PIETRA MILIARE DI UNA STORIA INFINITA
Mai come oggi, nella Chiesa riunita attorno a papa Francesco, si è presa coscienza che l'awenimento di cinquanta anni fa, il Concilio Vaticano Il, è vivo e interpella noi tutti a proseguire un cammino di cui l'Ad Gentes, riportando la «missione» nel cuore della Chiesa e ricordando che ogni cristiano è per sua natura missionario, è stata non un punto di arrivo, ma un punto di partenza.
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er le piazze e le strade di Roma, il Concilio si manifestò subito, all'immaginario colletti vo, con un volto ecumenico, universale, grazie all'avvicendarsi di vescovi provenienti da diverse latitudini e di «diversi colori». Quelli latinoamericani non si fecero notare granché, ma quelli asiatici e africani s’imposero all’attenzione della gente. La Chiesa mostrava, così, almeno il suo folclore, non necessariamente la sua missionarietà. In un primo momento, nei dibattiti conciliari, sembrò quasi che il tema della missione non fosse urgente. Esso si trovava già sottinteso nel documento Lumen Gentium sulla natura della Chiesa, pubblicato dallo stesso Concilio nel novembre 1964, e non sembrava esserci la necessità di renderlo esplicito. Eppure le perplessità sull’attualità e l’opportunità della missione erano forti e presenti in tutta la Chiesa. Non tutti, infatti, vede vano di buon occhio l’ansia di convertire le persone. In più l’opera missionaria era messa in discussione anche dal grande movimento contro il colonialismo, sfociato nell’indipendenza di molti paesi, soprattutto africani. Si pensava che fosse giunto il momento in cui ogni paese programmasse la propria politica e la propria religione. Alcuni rappresentanti delle chiese orientali, poi, erano preoccupati perché la chiesa occidentale sembrava più interessata alle forme organizzative che all’es-
senza e alle ragioni profonde della missione. Il nome stesso dell’organismo ecclesiale incaricato di guidare e animare la missione universale, «Propaganda Fide», suscitava dubbi. Quando, grazie alla richiesta di alcuni padri conciliari, venne presa la decisione di redigere un documento specifico sulla materia, la sua stesura fu travagliata e segnata da diversi rifiuti, al punto che si parlò di una «storia inusitatamente turbolenta» del documento. Nonostante ciò, il 7 dicembre 1965, al momento della promulgazione, l’ Ad gentes fu il decreto approvato con la maggioranza più larga, con appena 5 voti contrari. La Commissione che aveva preparato il decreto sull’attività missionaria della Chiesa si era basata su quanto già espresso nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, ma ne aveva sviluppato i temi in modo originale e profondo. La Chiesa, come un corpo vivo, deve crescere e manifestare la sua energia vitale, e la missione ne è l’essenza stessa, non la ricerca di un semplice aumento numerico dei suoi membri. Una simile visione di missione interessa tutto il popolo di Dio e non solo alcuni circoli o istituti specializzati. La relazione tra questa nozione ampia di missione e quella specifica di missione ad gentes è allora precisata dal fatto che la seconda seconda è l’attuazione dell’unica missione, nelle circostanze, nei luoghi e nelle realtà sociali più diverse.
I contenuti e le ragioni Se la Chiesa è definita come «sacramento universale di salvezza» vuol dire che la sua funzione di segno e di strumento della salvezza di Dio non ha confini, è uni8
cammino - chiesa universale versale, per tutti i tempi, i popoli, le lingue, i luoghi. La Chiesa da sacramento-mistero diventa missione. Con l’Ad gentes si mettono le basi per una teologia della missione che nasce nella stessa Trinita: il Padre manda il Figlio perché sia salvezza per tutti, e questi offre lo Spirito perché tutto sia riassunto nell’amore del Padre. La Chiesa prende forma nelle varie Chiese locali, che, pur nella loro povertà di mezzi e di personale, sono chiamate a essere, anch’esse, protagoniste della missione. La missione, dal canto suo, è servizio all’uomo, non a quello astratto, filosofico, uguale in tutto il mondo, ma a quello concreto, che, pur mantenendo l’uguaglianza di diritti e di doveri, è diverso di luogo in luogo, per la cultura, le tradizioni di cui è impastato, la concezione della vita e della morte, il rapporto con il sacro. L’attività missionaria non è altro che la manifestazione e la realizzazione del piano divino nel mondo e nella storia (Ag 9). Non spetta al missionario né alla Chiesa decidere che cosa sia la missione perché il volto della missione è stato deli neato da Gesù Cristo. A noi spetta la genialità dell’attuazione, non la fantasia dell’invenzione. La missione precede i missionari e la Chiesa stessa. Sono affermazioni, quelle contenute nel decreto conciliare, che esigono una revisione del pensiero e dell’azione: si passa dall’atto di impiantare (a volte semplicemente trasferire) la Chiesa, a quello di immergersi nella profondità del progetto divino, a cui si deve continuamente rendere conto.
La storia e le storie Prima del Concilio tutto era semplice. C’erano i paesi di missione e i missionari che sapevano cosa bisognava fare: portare un po’ di benessere, rendendo civili «gli altri», e, nella misura del possibile, fare l’impossibile per battezzarli e farli dive tare cristiani. Si cercava di trapiantare la propria chiesa di origine in Africa, in Amazzonia o in Asia, con gli stessi paramenti, vestiti per
i chierichetti, novene, feste, santi e devozioni. Eppure già nel 1659 Propaganda Fide raccomandava: «Cosa po trebbe essere più assurdo che trasferire in Cina la civiltà e gli usi della Francia, della Spagna, dell’Italia o di un’altra parte d’Europa? Non importate tutto questo, ma la fede che non respinge e non lede gli usi e le tradizioni di nessun popolo, purché non siano immorali». Tutto era iniziato in modo spettacolare, e degno di imitazione, con S.Paolo, ma poi, con il passare dei secoli, evangelizzata l’Europa, la missione era stata finalizzata soprattutto alla conversione degli eretici e, cosa molto difficile, dei musulmani. A metà del secondo millennio, la perdita di una porzione d’Europa, passata sotto l’influenza di Lutero, fu compensata dalla massiccia conquista, a forza di spada e di croce, dell’America Latina. Spagna e Portogallo sfornarono frati cattolici, In ghilterra e Olanda pastori riformati. Il mondo fu condotto a Dio, per sua gloria, sotto varie etichette. Il primo che arrivava faceva di tutto perché la sua porzione di gregge non fosse sequestrata dagli altri. Non mancarono esempi luminosi ma certo il metodo era assai poco cristiano. L’evangelizzazione unita alla colonia fu poi criticata, e con ragione. L’evangelizzazione più recente, nascosta sotto l’apparenza di una migliore civiltà, fu anch’essa criticata Se il Concilio volle far notare che «la Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbraccia9
re la fede» (Ag 13), lo fece perché questo succedeva e si sentiva la necessità di denunciarlo.
Dopo il Concilio È vero, il Concilio mise delle basi luminose nel cammino missionario della Chiesa, ma da quelle basi chiare scaturì una crisi, che coincise con la più ampia crisi della cristianità e della società. Venticinque anni dopo, l’enciclica Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II parlò di uno «slancio indebolito»: si era detto che tutta la Chiesa era missionaria e che tutto era missione, si era cominciato a parlare di missione del catechista, del gruppo dei cantori, dell’organizzatore dei tornei di calcio parrocchiali, delle signore che spazzavano la chiesa, ecc., ma allora, che cos’era la missione? Per fare chiarezza e delimitare il campo si era aggiunta l’espressione «ad gentes», cioè «alle genti». Ma dove si trovavano «le genti», o, più popolarmente, i pagani? Al bar e all’università, ad esem pio, o per strada, allo sballo del sabato notte e nei nuovi templi del consumismo. I contorni dell’azione missionaria diventarono meno netti, meno facili da decifrare in modo univoco, e questo generava un certo spaesamento. Intanto la strada che era stata aperta stimolava la riflessione. Allora, abbandonato l’esagerato risalto dato alla Chiesa, si cominciò a parlare soprattutto di annuncio di Cristo. E Cristo era unico salvatore, o salvatore di tutti gli uomini? Nel primo caso l’accento cade
- chiesa universale in cammino - chiesa universale in cammino - chiesa universa sull’esclusività (unico, via tutti gli altri), nel secondo caso, al contrario, sull’inclusività (nessuno è escluso dalla salvezza di Gesù, a meno che la rifiuti). Una frase che cominciò a risuonare dopo il Concilio affermava che «forse non è necessario che tutti diventino cristiani, ma è necessario che a tutti sia offerta l’esperienza di Gesù». È più o meno quello che affermava Paolo VI quando scriveva: «gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, ma potremo noi salvarci se trascuriamo di annunziare il Vangelo?» (Evangeli Nunziandi, 80). Non mancò chi disse: «Gesù va bene, ma il cristianesimo, come lo conosciamo, no, perché è troppo segnato dalla cultura occidentale. Se le prime comunità ebbero la saggezza di accettare che i Vangeli fossero quattro, e non uno solo, quattro buone notizie riferite a Gesù, come potremmo noi avere la pretesa di proporre un unico catechismo per tutti i continenti, le lingue e le culture? Annunciamo il Regno, questo ha fatto Gesù, e questo deve fare la Chiesa se vuole essere missionaria».
Speranze e delusioni
Più si rifletteva sulla missione, più questa diventava vera, ma anche, allo stesso tempo, evanescente. C’era perfino da scoraggiarsi. Ecco perché il papa nel 1990 parlò di uno «slancio indebolito». Alcuni elementi del Concilio prendevano sempre più forma: in tutti i popoli ci sono i germi, i semi del Regno. Gesù l’aveva presentato così: un piccolo seme, che già si trova in ognuno, profondamente immerso nella cultura. Non è trasportato da fuori. Quando il missionario arriva, deve abbandonare i suoi programmi per scovare, difendere e aiutare quel seme a crescere. La Chiesa è chiamata a inculturarsi per diventare «chiesa negra, indigena, asia tica», con i propri modi di esprimersi, mantenendo come suo unico criterio la fedeltà al Regno di Dio. Ovviamente nel dibattito c’era chi faceva l’avvocato del diavolo: «Non c’è il pericolo che, invece di un grande affresco, alla fine il Regno risulti un mosaico confuso, fatto di tanti piccoli pezzi separati tra di loro, che perdono di vista l’insieme? Inoltre, il seme del Verbo è seminato solo nelle culture o an-
che nelle religioni, che delle culture sono parte fondamentale?». Un altro documento dello stesso Concilio, la Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, Nostra Aetate, apriva all’incontro rispettoso con le varie realtà religiose. Ma la considerazione per esse era un mezzo utile o un fattore di confusione nell’impegno missionario? I teologi cercarono di destreggiarsi tra dialogo e missione, dialogo e annuncio, con il timore che il dialogo potesse diventare una strategia nuova e più raffinata di «conquista» delle persone. Che fare? Si doveva allora tacere riguardo alla superiorità della fede in Cristo per dialogare con tutti? Si iniziò a considerare tutte le religioni come realtà che offrono salvezza. Non allo stesso modo, ma ognuna contiene gli elementi sufficienti per dare, in quella certa realtà e cultura, le risposte necessarie alle persone. Tutte le religioni sono strade di salvezza, come aveva sostenuto anche Paolo VI: «Gli uomini si potranno salvare anche per altre strade». Il problema della salvezza è un problema che lasciamo a Dio. Non diciamo che questa o quella religione sia la migliore, semplicemente ringraziamo Dio che, attraverso tanti mezzi e strumenti diversi, le persone incontrino risposte per realizzare se stesse.
Nuovi linguaggi e contenuti Se ne è fatta di strada da quando il Concilio ha parlato di dialogo, di semi del Verbo, di inculturazione. Forse il cammino non piace a tutti. Forse si è andati troppo lontano o, forse, fuori percorso. Ma tant’è: la missione continua 10
ale in cammino - chiesa universale in cammino - chiesa universale in cammino a essere il laboratorio di esperienze nuove, in cui certi esperimenti hanno fortuna e altri sono un disastro, alcuni sono accettati e altri no, anche se interessanti, come lo erano state le riduzioni gesuitiche del Sudamerica o il tema dei riti cinesi ai tempi di Matteo Ricci. Il pluralismo religioso ci mette di fronte alla realtà: ai popoli non mancano le religioni, espresse in forme culturali, in strutture cultuali, in miti e dottrine, in esigenze morali, ma le diverse fedi puntano a un’unica meta: vivere il Regno, cioè la comunità fraterna in cui ci si trova tutti uniti, in un rapporto di intimità con l’unico Padre. La Chiesa è il segno del Regno, ma finché essa dà risalto soprattutto alla dottrina, alla gerarchia, alla verità e non al Vangelo, sarà semplicemente una religione come le altre, forse più strutturata e organizzata delle altre. «Tra voi non sarà così», diceva Gesù: egli chiedeva qualcosa di diverso da un corpo ben ordinato. Non esigeva l’assenza di peccato, la sua pratica era di vicinanza proprio con i peccatori, ma voleva che i suoi fossero totalmente estranei a ogni forma di potere, di apparenza o di divisione in classi: «Voi siete tutti fratelli». Ecco allora che la missione non porta la Chiesa ai popoli, ma avvia i popoli, con il colore vitale che ciascuno ha, verso una Chiesa che, superata la sua fisionomia religiosa, sia espressione del Regno, della famiglia di Dio: tutti figli, tutti fratelli. Jonathan Sacks, gran rabbino della Gran Bretagna afferma: «La missione della religione è la speranza», così come Pietro scriveva in una sua
lettera: «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). Lenire la sofferenza esistenziale degli esseri umani è sempre stato il grande affanno del Dio biblico, del Dio di Gesù e anche di quello di Muhammad, dei Veda e delle religioni attente alla realtà della persona umana. La missione è credere che la salvezza, la vita, la speranza sono aspirazione e diritto di tutti.
La primavera di Francesco Un papa che viene dalla fine del mondo, dove la missione è la quotidianità, non poteva non mettere nei credenti lo spirito dell’ «Andate a tutte le genti». Parole come «periferie, poveri, cultura dello scarto, sporcarsi le mani, odorare di pecore», sono entrate nel linguaggio ecclesiale. Certo, non è detto che siano diventate vita vissuta per i cristiani e neppure per i missionari: si richiede una profonda conversione, bisogna uscire dalle fortezze (conventi, parrocchie, strutture), per vivere in mezzo alla gente, per partecipare alla sua storia che è sempre, già, una storia di salvezza, dove si mescolano speranze e delusioni, eroismo e peccato, e dove, in ogni caso, il protagonista è lo Spirito, non l’individuo e neppure la chiesa, che non cerca la propria sopravvivenza, ma la capacità di servizio. A noi è affidato il compito di portare a maturazione la presente primavera. La missione come speranza è compassione, non è indicare il cammino da compiere, ma camminare insieme.
8 novembre 2015 Presentazione coppie fidanzati UP in cammino verso il matrimonio Battesimi Bott.Sera 8 dicembre 2015
Consegna Bibbia al Gruppo Unità Pastorale, 4° anno ICFR. Botticino Mattina. domenica 15 novembre 2015 11
TENTANO DI FERMARE UNA CHIESA SCOMODA IL SEGRETARIO DELLA CONFERENZA DEI VESCOVI DELLA CHIESA ITALIANA (CEI), MONS.GALANTINO: «ABBIAMO A CHE FARE CON UNA CHIESA PIÙ CREDIBILE E AD ALCUNI QUESTO NON PIACE PERCHÉ SI SENTONO MESSI IN DISCUSSIONE» «Non è vittimismo dire che una Chiesa credibile fa paura e dunque si cerca di screditarla». Monsignor Nunzio Galantino, segretario della Cei, parla chiaro: «Il materiale reso pubblico il Papa lo conosce benissimo perché è lui, sulla spinta degli incontri pre-Conclave, che ha fatto fare queste ricerche e ha intrapreso il processo di riforma. Riforma che era desiderio anche di Benedetto XVI. Fu lui, durante una Via Crucis, a parlare di sporcizia dentro la Chiesa. Ma la Chiesa ha sentito l’esigenza di chiamare per nome questi peccati, questi abusi, questi atteggiamenti che non sono in linea col Vangelo né con il buon senso né con il bene delle persone». La falsa notizia della malattia, la nuova Vatileaks: chi vuole fermare il Papa? «Abbiamo dei fatti che sono avve nuti in questi ultimi tempi che vanno tutti in una direzione. Senza fare del vittimismo, possiamo però dire che una Chiesa credibile fa paura a chi ritiene che il messaggio del Vangelo, che i valori portati avanti dalla Chiesa siano scomodi. E hanno un unico modo per fermarla: delegit-
NUNZIO GALANTINO Nato nel 1948, dal 25 marzo 2014 è segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)
Papa. Poi però ci sono anche coloro che, davanti a questi richiami, stanno lì ad aspettare, con la speranza che questo momento passi presto. Infine c’è chi, addirittura, Ha definito fisiologica l’opposi- mette in atto atteggiamenti che tenzione interna al Papa. Perché? E da tano di scoraggiare questa volontà di riforma all’interno della Chiesa. chi è composta? Che,ripeto,non è una riforma voluta «È nella natura delle persone solo da papa Bergoglio». che ci si abitui a certe idee, a certi Da Vatileaks torna l’accusa di comportamenti, forse anche a certe comodità, a un modello di Chiesa una Chiesa che spende per altro il che non necessariamente ripropone denaro dei poveri. Anche per 1’8 per sempre la volontà del Signore. Allo- mille alla Chiesa italiana ci sono pora quando arriva qualcuno che, sen- lemiche. Cosa risponde? za giri di parole, come ha fatto per «Che c’è una falsa informazioesempio Francesco parlando alla Curia romana due Natali fa, ti mette ne. È falso che la Chiesa spenda per di fronte alle responsabilità riferen- altro i soldi dei poveri. E in partidosi al Vangelo, e ti fa notare che colare per l’8 per mille: il bilancio certi comportamenti non sono in li- dettagliato è pubblicato da ciascuna nea con quanto richiesto dal Signo- diocesi e le informazioni si possono re, chi si è abituato ad altro, chi si è trovare sul sito della Conferenza creato i suoi schemi e i suoi interes- episcopale. Sulla ripartizione, è posi, si sente scosso. Tra queste per- lemica di questi giorni, va precisato sone ci possono essere coloro che, che la legge del 1985 suddivide la davanti al Signore, riconoscono che cifra per la quale non è stata indinon stanno camminando in maniera cata una destinazione in modo prolineare e corretta e tentano con fa- porzionale alle altre indicazioni, tica di venirne a capo. Queste per- come avviene per l’assegnazione sone cercano anche di godere della dei seggi in Parlamento. E, infine, bellezza di uno sprone che viene dal sull’utilizzo: i fondi vengono spesi per il sostentamento del clero, per l’edilizia di culto e per i poveri. Il che significa aiutare i 33 mila sacerdoti che tanto fanno nei nostri territori, ma anche, per esempio, i 700 cantieri tra beni culturali ed edilizia di culto che danno lavoro a tante imprese, o i 6 milioni di pasti preparati ogni anno dalle mense della Caritas». timarla. Abbiamo a che fare con una Chiesa più credibile e ad alcuni questo non piace perché si sentono messi in discussione».
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RESISTENZE INTERNE Papa Francesco tra vescovi e cardinali al Sinodo sulla famiglia. La sua azione di riforma incontra resistenze all'interno della Chiesa, dice Galantino.
IL PAPA NON È AFFATTO TURBATO
«AVANTI CON LA RIFORMA» FRANCESCO NON SI FERMA
Il trafugamento di documenti è «un fatto deplorevole che non aiuta», ma non lo ostacolerà nel suo lavoro
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apa Francesco va avanti e non è affatto turbato dalla pubblicazione dei documen ti riservati sulle finanze del Vaticano in due li bri. Ne ha parlato all'Angelus della domenica per assicurare che il «triste fatto» non lo di stoglie dal lavoro di riforma. E spiega senza mezzi termini che si tratta di un reato, oltre che di uno «sbaglio», un «atto deplorevole che non aiuta». Sta qui il nodo vero, perché la divulgazione di documenti riservati rischia di rallentare la pubblicazione di alcune deci sioni del Papa in ordine alla Curia, per evitare l’impressione che esse siano state prese in seguito alle rivelazioni. I due libri raccontano parte della grande in chiesta interna che il Papa e i suoi più stretti collaboratori hanno avviato. Bergoglio ha detto all’ Angelus che lui ha voluto lo studio e che quelle carte da lui e dai suoi collaboratori era no ben conosciute. Averle trafugate è un re ato per le leggi penali della Santa Sede. Per questo sono stati arrestati dalla Gendarmeria monsignor Vallejo Balda, sacerdote spagnolo, e l’italiana Francesca Chaouqui, poi rimessa in libertà per aver collaborato alle indagini. I due hanno fatto parte di una delle due commissioni che hanno indagato su dispo sizione del Papa sullo stato delle finanze vaticane. Bergoglio aveva deciso in seguito a quanto era stato suggerito dai cardinali di tutto il mondo durante le Congregazioni preConclave.
Una riforma della Curia romana, e quindi delle sue istituzioni finanziarie, era stata au spicata da tutti come urgente. E Bergoglio appe na eletto procede in questa direzione con la nomina del Consiglio degli otto cardi nali, che diventeranno nove con l’arrivo del nuovo segretario di Stato Pietro Parolin. Sono loro a suggerire al Papa un’anali si approfondita attraver so due commissio ni: la Cosea, che do veva valutare tutte le amministrazioni, e una simile per lo lor. I do cumenti trafugati vengono dalla Cosea, della quale facevano parte mons. Balda e France sca Chaouqui. La commissione aveva chiesto a tutte le amministrazioni informazioni su bilanci e consulenze. Parte di esse sono finite nei due libri, ma nei mesi scorsi qualcosa era stato passato a diversi giornali. L’indagine della Gendarmeria risale infatti a mesi fa, autorizzata dal Pm vaticano, pro prio perché in Vaticano è reato diffondere do cumenti sensibili per la sicurezza dello Stato, indipendentemente dal fatto che essi siano stati rubati o meno. La lettura dei due libri può impressionare. Forse anche papa Francesco quando ha visto le carte è rimasto sconcertato. Sicura mente non è arretrato di un passo e ha avvia to la più grande riforma della Curia e delle sue istituzioni, per ora soprattutto finanziarie, della storia recente della Chiesa cattolica. 13
A Firenze il V° Convegno della Chiesa Italiana
Un nuovo umanesimo per ridare fiato all’Italia Al crocevia tra Dio e la storia. Vogliamo ripartire più impegnati che mai su famiglia, giovani ed “ecologia umana”: ambiente, diritti ed equità».
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immi come respiri e ti dirò che Paese sei. «Non è una battuta. Fede e cultura sono due polmoni distinti, ma che insieme danno ossigeno tanto ai singoli quanto alla società. Fuor di metafora: cristianesimo e vita quotidiana di donne, uomini e giovani d’ogni tempo e d’ogni luogo traggono vigore a vicenda. In Gesù Cristo il nuo vo umanesimo: il tema scelto per il quinto Convegno ecclesiale nazionale convocato a Firenze l’ha ricordato con affetto, senza spocchia o pre sunzione, a una nazione sfiatata, che gli indica tori statistici raccontano sempre più ripiegata su sé stessa, in cui non a caso il 31,15 per cento della popolazione (sono dati Istat) vive da solo, chi per scelta, chi per necessità, chi per naufragio esistenziale». Monsignor Cesare Nosiglia ha da poco com piuto 71 anni. Biblista, esperto di catechesi, dal 2010 è arcivescovo di Torino. Ha presieduto il Comitato preparatorio del Convegno. «Abbiamo fatto tesoro dell’esperienza passata», spiega. «La Chiesa italiana ha già celebrato altri Convegni ecclesiali nazionali. Quattro per l’esattezza, dal 1976 a oggi, più o meno uno ogni dieci anni. Ci si è mossi volendo tradurre nel no stro tessuto sociale il Concilio». Nel frattempo l’Italia è cambiata. E con lei la Chiesa. «Dobbiamo individuare i segni dei tempi, evidenziando le criticità, ma anche cogliendo quanto di bello, di buono e di giusto esiste, dentro e fuori la Chiesa. Perché Dio semina ovunque. E occhi allenati scorgono le sue tracce anche in situazioni apparentemente non “battezzate”». Tutto ciò presuppone una bussola. E un metodo. «Ci siamo lascia-
ti guidare dall’Evangelii gaudium, l’esortazione apostolica di papa Francesco del novembre 2013. È un documento che rimotiva la nostra azione. E la orienta, rammentandoci che “il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio”». Il metodo, prosegue monsignor Nosiglia, è la “sinodalità”, «ovve ro il camminare insieme: solo una Chiesa che si rende vicina alle persone - compagna di strada e non giudice, teologicamente sicura, certo, ma non accademicamente astratta e astrusa - pone le condizioni per l’annuncio e la comunicazione della fede». A Firenze («la città di Giorgio La Pira, il sindaco santo come lo chiamavano i “suoi” poveri di San Procolo») si è arrivati con un capillare ascolto della base. «Abbiamo sollecitato le 226 diocesi nonché le associazioni e i movimenti a indicarci storie concre te e attuali di Vangelo. Siamo stati sommersi dalle segnalazioni, dall’impegno in campo economico (cito ad esempio Compralavoro, a Pavia, e l’Empo14
rio della solidarietà che caratterizza gli otto Comuni che danno vita alla diocesi umbra di Città di Castello) a quello al fianco di separati, divor ziati e risposati (da Milano ad Albano, dall’Anello perduto, di Fossano, in provincia di Cuneo, ai gruppi di preghiera attivi a Bologna). Per tacere delle tante iniziative a favore delle nuove generazioni. O di altre realtà originali, come Casa Betania, di Caltanisetta, nata come luogo d’incontro per famiglie e giovani, diventata scuola d’arte. «Da Firenze», conclude monsi gnor Cesare Nosiglia, «vogliamo ri partire più impegnati che mai in almeno tre ambiti: famiglia, giovani ed ecologia umana, cioè tutela dell’ambiente, sì, ma pure difesa dei diritti, più equa distribuzione dei beni, cura dei debo li».
A CAFARNAO PER TROVARE SENSO, FORZA E SPERANZA Là Cristo rende l'uomo più uomo compiendo azioni che interpellano anche noi oggi
U
n’icona evangelica è il filo rosso del Convegno Ecclesiale di Firenze: la giornata di Gesù a Cafarnao raccontata nelle pagine di Marco, dove Cristo «rende l’uomo più uomo, compien do delle azioni che continuano a interpellare ancora oggi la Chiesa e i credenti: prega, guarisce, perdona, entra in contatto e in relazione viva con le persone». Le esperienze di Gesù vis sute sulle sponde del Lago di Galilea (Cafarnao) somigliano a preoccupazioni, attese, speranze che abitano l’esistenza personale e il contesto ecclesiale italiano chiamato, attraIL LOGO AMA IL SIGNORE E IL PROSSIMO TUO Il logo del Convegno (frutto di un concorso cui hanno parteci pato oltre 200 progetti) esprime un doppio movimento. Un salire, con due frecce rosse che s'innalzano fino ad abbrac ciare la Croce. E un movimento verso il mondo, con cinque frecce (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) destinate a raggiungere tutti.
verso 2.500 delegati, in mag gioranza laici, a riflettere sul tema In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Se non è custodito da Cristo, l’uomo perde molto della sua umanità. «A Cafarnao il Signore dimostra nella preghiera, in una casa, per le strade, che è venuto proprio per liberare l’uomo LE OCCASIONI PER INCARNARE dai suoi demoni, dalle realtà che lo LA PAROLA DI DIO SONO rendono schiavo. Quali? Il potere, MOLTEPLICI, «IN UNA SOCIETÀ il denaro, la dipendenza da sostanPROVATA DALLA CRISI ECONOMICA E DAI FLUSSI ze, le relazioni occasionali ed effiMIGRATORI, CHE Cl SFIDANO A mere, solo per fare alcuni esempi. USCIRE DALLE FALSE SICUREZZE Cristo non toglie nulla all’umanità, E A TESTIMONIARE anzi: la fede permette all’uomo di CONCRETAMENTE LA essere più uomo». E solo la propria NOSTRA FEDE» umanità rinnovata può co struire «un’alleanza autentica con l’Altro, trato” in maniera paradigmatica con la A maiuscola, e con gli altri». nella giornata di Cafarnao. Sulle orme del Maestro, il cri Purtroppo è sotto gli occhi di tutti la disumanizzazione in atto nei stiano è sollecitato a una «solida rapporti interpersonali, le scissioni rietà che non può essere vissuta a profonde a livello individuale e nel distanza». Le occasioni per incarnatessuto sociale: fenomeni che han re questa Parola sono molteplici, «in no radici e motivazioni «nei grandi una società provata dalla crisi ecocambiamenti avvenuti forse troppo nomica e dai flussi migratori, che ci velocemente, hanno comportato nel sfidano a uscire dalle false sicurezmodo di vivere e nelle relazioni nuo- ze e a testimoniare concretamente vi modi di concepire l’uomo senza la nostra fede. Il nostro non è un punti di riferimento, sganciato del Dio che fa isolare in casa, costruire muri e barriere contro gli altri per tutto da Dio e dalla creazione». Assistiamo a un disorientamen- “proteggersi” dal nemico, stranie to e una sofferenza delle relazioni, ro o diverso che sia. Al contrario, quando sono impostate in modo Gesù insegna con la sua vita che lo vessatorio, violento, non rispettoso straniero ha il volto del samarita no che viene a soccorrerci». dell’altro. In questo contesto ferito I DATI appare cruciale «riportare l’uomo al centro: vertice della creazione CHIESA ITALIANA al sesto giorno, ma anche con Dio al settimo giorno. La Rivelazione E TERRITORIO: giudaico-cristiana dice nel COSÌ, OGGI testo biblico che l’uomo non si capisce se non al settimo giorno, 226 33.714 nell’incontro con Dio». Incontro le diocesi i sacerdoti che si fa contatto, carezza, guarigione, vicinanza: questo 27.133 84.406 è lo stile di Gesù, narrato nelle pagine evangeliche e “concen le parrocchie le religiose professe 15
FAMIGLIE FERITE ACCOGLIENZA, NON GIUDIZI. INDIETRO NON SI TORNA Separati, divorziati e risposati: «Il solco tracciato dal Sinodo apre la via lungo il sentiero della misericordia» Visto dall’osservatorio privilegiato di una coppia di sposi il Sinodo sulla famiglia è stata una boccata d’ossigeno. O, per dirla in gergo calcistico, un assist che la Chiesa ha colto in pieno. Perché Tommaso e Giulia, entrambi trentacinquenni, una bimba di due anni, si occupano di famiglie lacerate e ferite, di chi, per dirla con le parole lievi di papa Francesco, quando rientra a casa la sera «si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti, dove è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore, la sapienza stessa della vita». Che bilancio fate del Sinodo appena concluso? «È stata un’intensissima esperienza di collegialità. Questo è, senza dubbio, un tema rilevante, ma anche un punto centrale nella visione di papa Francesco. E forse non è un caso che questa caratteristica di sinodalità si sia mostrata riflettendo sul tema della famiglia. Davvero abbiamo visto una Chiesa che è a servizio del mondo e pertanto si è interrogata su come custodire, tutelare e annunciare il bene più prezioso: l’amore sponsale, in quanto amore fedele, fecondo. E per sempre». Si aprono spazi ulteriori per l’accoglienza delle fami glie ferite? «È finito il primo tempo di questa partita. Adesso la palla è tornata nelle mani del Papa e attendiamo l’uscita dell’esortazione post-sinodale. È stato un evento davvero epocale, ma alcune considerazioni si possono già fare. Innanzitutto i padri sinodali hanno ricollocato la questione delle famiglie ferite all’interno della cosiddetta dignità battesimale. È un aspetto estremamente significativo che per alcuni tratti sgretola la ragion d’essere di molte esclusioni. Inoltre, contraria mente a quanto è stato divulgato da molti organi di stampa, le sezioni che riguardano queste tematiche
hanno ricevuto una maggioranza di voti superiore ai due terzi, cioè vuol dire che all’interno del Sinodo c’è stata ampia convergenza. Per certi versi questa posizione è un segnale inequivocabile rivolto alle nostre comunità che ancora non saltuariamente rivelano un volto giudicante e diffidente. Il solco tracciato dal Sinodo apre la via lungo il sentiero della misericordia». Nella relazione finale si chiede una nuova sensibilità pastorale e soprattutto un vero discerni mento e l’accompagnamento per le famiglie ferite o in difficoltà. Cosa significa concretamente questo? «La Chiesa si fa vicina, ascolta, è attenta, e naturalmente aiuta a comprendere alla luce della Parola di Dio la verità sulla vita e la situazione di ciascuno.Nessuno può essere escluso, poiché non esiste condizione a causa della quale il messaggio del Vangelo non possa innestare una vita nuova. Mediante l’arte dell’accompagnamento e del discernimento sarà possibile completare il processo di inte grazione, cioè far sì che ogni persona, indipendentemente dalla situazione in cui si trova, possa sentirsi parte viva e responsabile della vita della Chiesa. Integrazione è l’altro termine che completa e chiude il processo. Così e a determinate condizioni, pare del tutto evidente che anche le fami glie ferite potranno giungere alla pienezza sacramentale, distinguendo, con l’intento di superarle, quelle forme di esclusione di natura liturgica, pastorale ed educativa».
LA STORIA DEI CONVEGNI DELLA CHIESA ITALIANA
FEDE, VITA E CULTURA IN DIALOGO
1976
Roma, “Evangelizzazione e promozione umana”
1985
Loreto, “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”
1995
Palermo, “Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia”
1985
Verona, “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”
Che significato ha per le fami glie lacerate il prossimo Anno Santo straordinario? «La Chiesa che vuole il Papa è una Chiesa in uscita, a braccia tese, capace di annunciare la misericordia di Dio. Per questa ragione le comunità cristiane sono chiamate a essere, come ha detto il Pontefice, “isole di misericordia in un mare di indifferenza’’. La Chiesa parte dalle situazioni concrete delle famiglie di oggi e tutte sono bisognose di misericordia, cominciando da quelle più sofferenti. È una sfida affascinante perché ci chiama alla conversione e sottolinea come il cuore della Chiesa sia vicino a coloro che vivono la sofferenza della lacerazione. 16
CINQUE VIE VALORI E BUONE PRATICHE
USCIRE
Come interagire con i cambiamenti socio-culturali «LA CHIESA CHE VUOLE IL PAPA È UNA CHIESA IN USCITA, A BRACCIA APERTE, CHE PARTA DALLE SITUAZIONI CONCRETE, CAPACE DI ANNUNCIARE LA MISERICORDIA DI DIO»
LE CINQUE PAROLE CHE INDICANO LA STRADA Uscire, annunciare, abitare educare, trasfigurare: così la Chiesa italiana si fa compagna di viaggio. La Chiesa italiana riparte da Firenze. La città di Giorgio la Pira ed Ernesto Balducci, di Mario Gozzini e Divo Barsotti -per citare solo alcuni dei protagonisti che nel capoluogo toscano hanno incarnato al meglio l'effervescenza del dopo Concilio e il dialogo Chiesa mondo - ha messo a disposizione strade e piazze, per cinque giorni, ai 2.500 delegati del V Convegno ecclesiale nazionale. “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, recita il titolo dell'appuntamento decennale che, dal 1976, riunisce pastori, presbiteri e laici per riflettere sulla fede nel nostro Paese e rendere proprie le indicazioni del magistero della Chiesa. A metà degli orientamenti pastorali che si era data per il 2010-2020 - Educare alla vita buona del Vangelo - la Chiesa italiana prova a rendere più concreto il suo passo, più attento il suo ascolto, più aperto il suo cuore. Per farlo ha scelto di rileggere l’enciclica di Francesco Evangelii gaudium, e di indicare ai fedeli cinque cammini, cinque vie, come le cinque parole che sintetizzano il documento pontificio: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. «Le cinque vie, cioè i cinque verbi dell’Evangelii gaudium, sono i percorsi attraverso i quali oggi la Chiesa italiana
può prendere tutto ciò che viene dal documento di papa Francesco e farlo diventare vita», ha spiegato monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Che, in concreto, significa aprire le porte, uscire appunto, per andare incontro agli altri, fuori dai territori dove ci sentia mo sicuri per ascoltare anche chi non la pensa come noi. E per annunciare, testimoniandolo con la vita, la gioia del Vangelo. Abitando la casa comune. Educando la nostra umanità. Avendo la capacità, come nella trasfigurazione, di vedere oltre i limiti umani. Firenze, allora, non è un punto di arrivo, ma di partenza. La pausa per un grande esame di coscienza colletti vo, sotto la guida del Papa che, non a caso, ha voluto aprire e non chiudere il Convegno. Il momento per riprendere slancio e andare avanti prendendo su di sé le attese dell’Italia di oggi e di quella che verrà. Per provare a essere sempre di più Chiesa compagna di viaggio degli uomini e delle donne del nostro tempo. 17
ANNUNCIARE
Come dire Dio oggi in Italia, nel privato e in pubblico
ABITARE
Come disegnare il futuro del cattolicesimo
EDUCARE
Come costruire relazioni gratuite, solide e durature
TRASFIGURARE
Come curare la fede di un popolo molteplice per origine e cultura
Chiesa diocesana di Brescia . La lettera pastorale
«Noi, in cammino e ricchi di misericordia» «Ricchi di misericordia» è il titolo della lettera pastorale per l'anno 2015-2016, che il vescovo Luciano Monari invia alle Comunità cristiane della Diocesi di Brescia. E’ un colloquio su quattro temi fondamentali: l'Eucaristia, la Famiglia, l'Amore, la Misericordia. Scopo della lettera è quello di riflettere sul cammino delle Unità Pastorali introdotte dal Sino do, «cammino che procede - scrive il vescovo non senza difficoltà e timori». Però, se lo spirito è quello del camminare nella fraternità, allora sarà possibile «sostituire all'oasi (confortevole?) abitata da egoismo isolato e sterile, destinata comunque a restringersi col passare degli anni, un'oasi dove tutti si sentono responsabili della vita, gli uni degli altri».Perché tutto ciò avvenga è necessario co struire basi sicure.
1. Il vescovo Luciano mette al primo posto «l'eu-
caristia della domenica (cioè la Messa), perché da essa dipende in gran parte il nostro cammino». Una Messa domenicale, però, vissuta e parteci pata con coerenza e fedeltà (non certo quella che in troppe banalissime occasioni «viene tralasciata senza grosse inquietudini di coscienza»), attesa perché «persone e famiglie disperse sul territorio, in questo giorno si trovano insieme, nella mede sima casa»; perché «ritrovandoci insieme condi
videremo la medesima speranza, metteremo in chiaro le tante cose che abbiamo in comune»; perché «nella Messa c'è l'essenza del perdono, c'è l'ascolto della Parola, c'è la Grazia che Dio concede, c'è il ringraziamento dovuto a Dio per i doni concessi». Ma se «non ci vogliamo bene a vicenda e se non ci lasceremo trasformare dalla comunione - scrive il vescovo -, la Messa sarà sta ta inutile». La lettera parla anche del numero delle Messe che occupano la domenica. Il vescovo, lucidamen te, mette in guardia dal pericolo di abusare dicendo, provocatoriamente, «meno Messe, più Messe», con ciò stabilendo che «non è importante il nume ro delle Messe che si celebrano in una parrocchia, ma il modo in cui sono celebrate, partecipate e vis sute». Sottovoce, ma non tanto da non essere in teso, monsignor Luciano spiega che «l'ideale (teo rico) sarebbe che ogni parrocchia avesse una sola Messa domenicale e tutti i cristiani partecipassero a quella Messa, perché allora il segno dell'unità sarebbe molto chiaro, perché così verrebbe meno
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del Vescovo 3. Segue il capitolo dedicato all'amore, che è cuore della vita, somma di responsabilità da as sumere e proclamare, tempo da vivere da prota gonisti e, per un cristiano, criterio supremo delle sue scelte. Il vescovo pone l'accento su alcune attenzioni: la sessualità nella visione dell'amore; il lavoro, forma dell'amore; diventare più umani. «La sessualità - scrive il vescovo - è dimensio ne fondamentale dell'esistenza umana».Però, la sessualità non è tutto. «Un'ulteriore dimensione essenziale dell'amore nella vita umana - spiega il vescovo Luciano - è quella della professione e del lavoro in genere, da fare bene, da usare come mezzo di vita e non solo di accaparramento di beni materiali, da esercitare con adeguata moralità. Da 2. Il capitolo dedicato alla «famiglia, cuore della qui l'importanza di educare le giovani generazioni comunità», dice chiaramente che «la famiglia è a uno studio serio e rigoroso, a un'azione precisa il primo luogo in cui la persona umana impara a ed efficace». pensare e ad agire come persona matura, impara ad amare, a servire e collaborare. Per tutti questi 4. Infine, la Misericordia, cuore di Dio e dono di motivi - scrive il vescovo - essa sta al centro an Dio, che inizia dalla conversione e si esprime con che dell'interesse pastorale. Ben sappiamo, infatti, gesti e comportamenti degni di tale conversione. che se crescono buone famiglie cresceranno an «Ma per accogliere la misericordia e per vincere il che buone comunità cristiane, crescerà anche una peccato - si legge nella lettera -, bisogna cambiare società sana; se invece il tessuto familiare si di il cuore, farlo diventare da disonesto onesto, da bu sgrega, gli effetti si ripercuoteranno inevitabilmen giardo sincero, da cattivo buono». Il che è possibile te sulle comunità cristiane e sui meccanismi della se crediamo in «una misericordia senza limiti». Il vita sociale». Consegue la necessità che le comu vescovo indica la «Chiesa, casa della misericordia, nità cristiane «imparino a educare ad amare, ad luogo in cui ottenere il perdono di Dio, dimensione educare alla famiglia insegnando, fin dai primi anni ideale per esercitare quella carità che redime e fa di vita, il rispetto, il sacrificio, il dono di sé, il rigore sorgere sentimenti buoni e azioni positive». nelle cose che si fanno, la correttezza nei rapporti con gli altri e così via». Un ruolo determinante è affidato ai genitori, perché «l'educazione all'amo re incomincia alla nascita e prosegue fin quando ai figli sarà assicurato un punto di osservazione da cui guardare il mondo e comprenderlo».Tutto è racchiuso nella capacità di «amare per sempre». Quando ci si sposa, dice il vescovo «ci si sposa per sempre. Il vincolo dell'indissolubilità non è un laccio posto per impedire la libertà delle persone; invece è un vincolo che permette alle persone di affrontare con maggiore libertà il futuro». Con que sto, precisa il vescovo «non voglio dire che la rot tura di un matrimonio non sia mai possibile. Ma vo glio dire che la possibilità della rottura non fa parte del progetto matrimoniale come fosse un'uscita di sicurezza sempre a disposizione». Poi, amare per sempre significa «dare la vita», mettere al mondo dei figli, che «è il primo elementare atto di cari tà nei confronti della società umana, figli che non sono mai un peso, ma un dono». quell'individualismo nel quale siamo così immer si che nemmeno ce ne accorgiamo». Per andare oltre questo individualismo «desidero ci siano in ogni comunità - scrive il vescovo - dei ministri stra ordinari della comunione che la domenica, quando si celebra la Messa parrocchiale, prendano il pane che è stato consacrato in quella Messa e vadano a portarlo ai malati e anziani che non possono uscire di casa». Il vescovo sposa anche l'idea che vuole in ogni parrocchia un referente scelto dalla comunità stes sa «al quale chiunque possa rivolgersi quando sorge qualche problema o un bisogno; ma non è necessario che questo referente sia un prete».
Nelle pagine centrali di questo notiziario trovate il testo integrale della lettera del vescovo indirizzata a tutti i cristiani della diocesi di Brescia
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LASCIAMOCI
SORPRENDERE DA
DIO!
Siamo invitati a vivere il Giubileo straordinario della Misericordia, voluto da Papa Francesco. All’inizio - e come necessario fondamento spirituale - del cammino personale e comunitario di quest’Anno, accogliamo con entusiasmo e serietà l’invito del Santo Padre: “Lasciamoci sorprendere da Dio”, da questo Dio che si rivela a ciascuno di noi e all’umanità intera come “Misericordia; ‘’Amore”, “Tenerezza”, “Pace”.
I L GIUBI L EO: PE RCOR SO BIBL ICO S TO R ICO T EOLOGICO
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TUTTO HA INIZIO AL SUONO DELLA TROMBA Le origini bibliche del Giubileo
ella tradizione cattolica il Giubileo è un grande avvenimento religioso a livello planetario, significativo e coinvolgente. Giubileo richiama immediatamente, per assonanza, il sostantivo “giubilo”: i due termini sembrano apparentati etimologicamente e, in effetti, il Giubileo parla di un'incontenibile gioia non solo interiore ma anche visibile, udibile, tangibile este riormente. Quindi c'è veramente un legame profondo: il giubilo è la manifestazione spontanea conseguente del Giubileo. Se “giubilo" viene dal latino ("iubilare" = gridare con gioia), forse non tutti sanno che “giubileo" invece deriva dall'ebraico “Jobel" che è ... un antico strumento a
fiato ricavato da un corno di ariete! Questo imprevedibile e inspiegabile colpo di scena ci porta molto indietro nel tempo: nell'ambiente ebraico biblico dell'Antico Testamento. È proprio qui che comincia la tradizione del Giubileo. Inizialmente tale straordinario evento aveva una fondamentale connotazione religiosa e sociale. Secondo la Legge di Mosè ogni sette anni ricorreva l'anno sabbatico, durante il quale si lasciava riposare la terra e venivano liberati gli schiavi; era previsto inoltre il condono di tutti i debiti, secondo ben precise prescrizioni. E tutto ciò doveva essere fatto a gloria di Dio. Una cosa as- solutamente impensabile oggi! Ogni cinquant’anni poi cadeva l’anno giubilare, che riprendeva e ampliava tutte le usanze di quello sabbatico celebrandole ancor più solennemente. Questo periodo speciale era annunziato a tutti proprio dal suono dello jobel: “Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia” (Lv 25,8-10 ). Ecco l’aspetto più peculiare e significativo del Giubileo: la liberazione della terra e degli schiavi. Non si poteva essere privati in maniera definitiva della terra (venduta o perduta) né si poteva restare per sempre in una situazione di schiavitù, proprio perché era stato Dio a emancipare il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto (siamo tutti figli di Dio e fratelli fra di noi) e sempre Dio, Creatore e Signore dell’universo, aveva provvidenzialmente 20
donato la sua “terra promessa” (e tutta la creazione è un bene comune dell’intera umanità). L’anno giubilare apriva così orizzonti nuovi e originali di uguaglianza sociale, di solidarietà verso i più bisognosi, di remissione dei debiti, di riconciliazione tra contendenti, di una giustizia decisamente superiore a quella terrena, che proteggeva i più deboli e soccorreva i più poveri, restituendo dignità e speranza. Il profeta Isaia lo vedeva come un “anno di grazia del Signore”: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore ... per consolare tutti gli afflitti, per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, spirito di lode invece di uno spirito mesto” (Is 61,1-3). Occorre purtroppo constatare che questa concezione così elevata, così idealizzata rimase più utopia che reale applicazione pratica. Finché un giorno di circa duemila anni fa nella sinagoga di Nazaret, uno sperduto villaggio della Galilea, riecheggeranno nuovamente quelle parole profetiche, attraverso la voce autorevole di Gesù, il Figlio di Dio, che le dichiarerà finalmente compiute da Lui stesso,
con un significato inaudito, sorprendente, perché coinvolge direttamente Dio e il suo amore misericordioso: il riscatto dalla schiavitù materiale si realizza primaria mente in ambito spirituale e morale con la liberazione dal peccato, dal male e dalla morte, per poi ripercuotersi concretamente in tutte le nostre possibili relazioni (con Dio, con noi stessi, con i fratelli, con il creato). In pratica la realizzazione del progetto salvifico della Trinità, nell’incarnazione, passione, morte e risurrezione del Signore, apre una nuova era definitivamente “giubilare” il tempo della Chiesa, il nostro tempo.
GIUBILEO NELLA STORIA DELLA CHIESA
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a forma del Giubileo che vive oggi la Chiesa ha avuto inizio nel 1300, per opera di Papa Bonifacio VIII. Da alcuni anni un diffuso senso di pietà e di penitenza, un’ansia di purificazione dalle conseguenze del peccato accompagnata dall’esigenza di indulgenze, stava smuovendo la cristianità. Il Papa colse al volo questo sentimento, “inventando” una forma nuova delle concessioni indulgenziali tradizionali. Il 22 febbraio 1300, con la Bolla Antiquorum habet fida relatio, indisse il primo Anno Santo giubilare della storia: i pellegrini che avessero visitato con sincero spirito di pentimento e di conversione le Basiliche dei Santi apostoli Pietro e Paolo, avrebbero lucrato l’indulgenza plenaria. Una moltitudine di cristiani si riversò a Roma da Oriente e da Occidente, gente di ogni età, cultura e ceto sociale con l’umile abito del pellegrino, affrontando fatiche e spese di un viaggio spesso lungo e pericolo so. Unica condizione richiesta era un impegno penitenziale serio e autentico unito alla consapevolezza dell’inistimabile grazia ricevuta in dono. Il Papa volle imprimere una connotazione cristo logica al Giubileo, dando inizio - e di conseguenza efficacia - all’Anno Santo retroattivamente dal Natale del 1299: la nascita di Gesù sarebbe stata il punto di ri ferimento del Giubileo. Bonifacio VIII allargò l’indulgenza, con delicata sensibilità pastorale, anche ai “romei” (pellegrini) che erano morti lungo il cammino per la Città Eterna o che non erano riusciti a raggiungerla in tempo (entro il Natale del 1300). Fu tale il successo di quella prima esperienza giubilare che non si aspettarono altri cento anni per un secondo Giubileo: Clemente VI, da Avignone, ne fissò la scadenza ogni cinquant’anni, aggiungendo alle due Basiliche da visitare, anche quella di San Giovanni in Laterano. Fu Martino V, indicendo l’Anno Santo per il 1425, a introdurre la novità dell’apertura della Porta Santa, allora a San Giovanni in Laterano. Paolo II, con una Bolla del 1470, stabilì che in fu-
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prattutto per promuovere la santità di vita di ciascuno di noi, dalla conversione autentica al consolidamento della fede, dalla testimonianza credibile all’impegno concreto nelle opere di Misericordia. “Non lascia tranquillo alcuno il Giubileo, né alcuno il richiamo alla riforma interiore. Bisogna riprendere l’esame della coscienza, bisogna riconsiderare i benefici ricevuti da Dio, bisogna ricordare le tante promesse fatte, bisogna ripensare ai propri doveri, bisogna modificare tanti modi preferiti di pensare e di agire, e bisogna alla fine credere che è ancora possibile, con l’aiuto divino, diventare migliori. Non indugiamo di più” (Beato Paolo VI).
turo il Giubileo si sarebbe svolto ogni 25 anni. Nel 1500 Alessandro VI volle che le Porte Sante delle quattro basiliche (San Giovanni in Laterano, San Pietro, San Paolo fuori le Mura e Santa Maria Maggiore) venissero aperte contemporaneamente. Fino al 2015 si sono celebrati in continuità (con pochissime eccezioni causate da complesse situazioni politiche) ben 26 Giubilei “ordinari” e cioè legati a scadenze prestabilite, a differenza di quelli “straordinari” indetti per qualche avvenimento o tema particolare).
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SANTITÀ DEL TEMPO E TEMPO DI SANTITÀ!
l Giubileo venne chiamato anche “Anno Santo”. Cosa vuol dire il termine “santità”? Dio esorta il popolo eletto:” “Siate santi perchè io sono santo” (Lv 11,45; 19,2; richiamo ripreso da Gesù “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” in Mt 5,48 e da Pietro: “Come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta” in 1Pt 1,15-16), rivelandoci due verità complementari: prima di tutto che la “santità” è la caratteristica essenziale di Dio (tre volte “Santo” lo proclamiamo durante la Messa); e poi che, portando anche noi nel nostro DNA la sua santità - dal momento che siamo suoi figli, creati a sua immagine e somiglianza - dovremmo avere il desiderio e la gioia di vivere come il Padre, avendone la piena capacità: “La santità è una vocazione per tutti” (Papa Francesco). Quando il Verbo di Dio si è incarnato, ha introdotto nel tempo la sua eternità, redimendo e santificando il tempo stesso. Come già detto prima, da quel momento è iniziato - e continua tuttora - l”’Anno di grazia del Signore’’. L’Anno giubilare è, quindi, una ricorrenza speciale non solo per fare memoria, con gratitudine, della salvezza e della santificazione dell’umanità, ma so-
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IL PERDONO DI DIO CHE NON CONOSCE CONFINI: L’INDULGENZA PLENARIA
uante volte abbiamo sentito parlare di “Indulgenze” senza capirne veramente il senso o addirittura caricando il termine dispregiativamente a causa delle nozioni apprese sui banchi di scuola che ce ne hanno presentato l’uso scorretto in alcune epoche della storia della Chiesa ( come la “vendita delle indulgenze”). In realtà l’Indulgenza non è altro che l’espansio ne alla massima potenza del perdono gratuito di Dio il quale, oltre a cancellare definitivamente i peccati individuali nel sacramento della Riconciliazione, elimina anche gli strascichi di quelle azioni, le contraddizioni che portiamo nell’anima, l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri pensieri e nei nostri comportamenti. È un surplus di grazia misericordiosa che ci viene donata attraverso la Chiesa: di fronte alle estreme conseguenze del peccato, giunge efficace e travolgente l’estrema soluzione dell’amore tenerissimo di Dio. L’Indulgenza è plenaria quando distrugge definitivamente qualsiasi residuo della conseguenza del peccato. L’Indulgenza si può ricevere per se stessi e per i cari defunti. Ci sono varie occasioni e determinate condizioni per ottenere questa Indulgenza: il Giubileo è sicuramente uno dei momenti favorevoli più opportuni per viverla in pienezza e con frutti abbondanti di fede, speranza e carità. Le condizioni principali per fruire dell’Indulgenza sono: • confessarsi sacramentalmente • ricevere la SS. Eucaristia (possibilmente durante la Messa) • pregare secondo l’intenzione del Papa. A queste si aggiunge il compimento di determinate opere ( di pietà di carità o di penitenza) proprie per lo specifico Giubileo; in particolare quest’Anno Santo della Misericordia, il Santo Padre ha indirizzato la rifles22
sione e l’azione dei fedeli sulle Opere di Misericordia corporale e spirituale “per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della Misericordia divina’’. Nel compiere giorno per giorno queste Opere di Misericordia capiamo se viviamo da veri discepoli di Cristo ( cfr Mt 25,31-45), senza dimenticare che “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore” (san Giovanni della Croce).
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ANDATA E RITORNO DI UN VIAGGIO SPECIALE
l pellegrinaggio è sicuramente l’aspetto più tipico del Giubileo. “Tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l’amore incondizionato per ogni creatura umana, ed in particolare per il ‘figlio perduto’ (cfr Lc 15,11-32). Tale pellegrinaggio coinvolge l’intimo della persona allargandosi poi alla comunità credente per raggiungere l’intera umanità” (San Giovanni Paolo II). Il pellegrinaggio “geografico” che si compie durante l’Anno Santo è icona visibile di quel complicato cammino esistenziale; ed è pure “segno del fatto che la Misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione” (Papa Francesco). Come dopo aver raggiunto la meta si ritorna felici alle proprie case, arricchiti di esperienza, fortificati nell’animo, così anche il ritorno dal pellegrinaggio giubilare risulta importante quanto l’andata, perché è il tempo della risposta alla grazia divina, è il tempo dell’impegno e della testimonianza, senza il quale avrebbe poco senso lo stesso pellegrinaggio: • accolti, siamo chiamati a condividere; • perdonati, siamo chiamati ad essere misericordiosi; • graziati, siamo chiamati a non condannare; • confortati, siamo chiamati ad asciugare il pianto di chi soffre; • salvati, siamo chiamati a soccorrere chi è in difficoltà; • liberati dal male, siamo chiamati a guidare al bene chi si è smarrito; • risollevati, siamo chiamati a lottare per la pace e la giustizia; • incoraggiati, siamo chiamati a diffondere speranza; • vivificati, siamo chiamati a portare gioia; • amati, siamo chiamati a dare vita.
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UNA PORTA SPALANCATA PER ACCOGLIERE TUTTI
a “Porta Santa” altro elemento peculiare del Giubileo - concentra in sé una potente simbologia che dall’ambito biblico tocca la sfera ecclesiale e personale. Gesù ha detto: “Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,7-9). È Cristo, dunque, l’unica porta attraversando la quale siamo al sicuro, protetti, salvati e, allo stesso tempo, siamo introdotti nell’abbondanza della bontà di Dio. La Porta Santa allora - in quest’ottica cristologica - è “una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza” (Papa Francesco). La Porta aperta è invito a entrare, è chiaro segno di accoglienza, di comprensione, di solidarietà e di consolazione. Non ci sono ingressi principali e ingressi secondari, né accessi per le autorità e scorciatoie per i raccomandati: la “Porta Santa” è unica, non fa alcuna distinzione né discriminazione né emarginazione. Tuttavia varcare quella soglia non può ridursi a un mero rituale più o meno emozionante, bensì deve essere una scelta libera e responsabile che implica la volontà sincera di lasciar fuori tutta la zavorra dei vizi, delle infedeltà, delle incoerenze, dei peccati per definire una direzione netta di conversione e mettersi risolutamente alla sequela del Buon Pastore. Fino al 1975 la Porta Santa delle quattro basiliche romane era murata all’esterno e all’interno: all’apertura del Giubileo occorreva pertanto abbattere un vero muro, operazione che il Papa iniziava materialmente con tre colpi di martello per poi lasciare spazio ai muratori che completavano l’opera di demolizione; alla cer imonia di chiusura dell’Anno Santo, la Porta veniva nuovamente murata. Fu Paolo VI ad interrompere questa tradizione, non murando più esternamente la “Porta Santa” alla chiusura del Giubileo.
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per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della Misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi’’.
PERCHÉ UN GIUBILEO STRAORDINARIO DELLA MISERICORDIA?
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UN A NNO DI MISERICORDIA E D I S A N T I TA’ UNA SORPRESA STUPENDA!
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apa Francesco, con la Bolla Misericordiae Vultus dell’ll aprile 2015, ha indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la te stimonianza dei credenti. L’Anno Santo si aprirà 1’8 dicembre 2015 e si concluderà il 20 novembre 2016. Due date non casuali. L’8 dicembre è la solennità dell’Immacolata Concezione: “Questa festa liturgica ci ricorda Papa Francesco - indica il modo dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore ( cfr Ef 1,4 ), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La Misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona’’. In quella stessa data ricorre il 50° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, un avvenimento ecclesiale di immensa portata, che rende ancor più si gnificativo l’inizio dell’Anno Santo. Il 20 novembre 2016 è la solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo: in quel giorno - continua il Santo Padre - “affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua Misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di Misericordia
emplicemente perché la Chiesa, in questo mo mento di grandi cambiamenti epocali, è chia mata ad offrire più fortemente i segni della presenza e della vicinanza di Dio. Questo non è il tempo per la distrazione, ma al contrario per rimanere vigili e risvegliare in noi la capacità di guardare all’essenziale. È il tempo per la Chiesa di ritrovare il senso della missione che il Signore le ha affidato il giorno di Pasqua: essere segno e strumento della Misericordia del Padre (Gv 20,21-23). È per questo che l’Anno Santo dovrà mantenere vivo il desiderio di saper cogliere i tanti segni della tenerezza che Dio offre al mondo intero e soprattutto a quanti sono nella sofferenza, sono soli e abbandonati, e anche senza speranza di essere perdonati e di sentirsi amati dal Padre. Un Anno Santo per sentire forte in noi la gioia di essere stati ritrovati da Gesù, che come Buon Pastore è venuto a cercarci perché ci eravamo smarriti. Un Giubileo per percepire il calore del suo amore quando ci carica sulle sue spalle per riportarci alla casa del Padre. Un Anno in cui essere toccati dal Signore Gesù e trasformati dalla sua Misericordia, per diventare noi pure testimoni di Misericordia. Ecco perché il Giubileo: perché questo è il tempo della Misericordia. È il tempo favorevole per curare le ferite, per non stancarci di incontrare quanti sono in attesa di vedere e toccare con mano i segni della vicinanza di Dio, per offrire a tutti, a tutti, la via del perdono e della riconciliazione” (Papa Francesco).
UN MOTTO PER UN PROGETTO DI VITA AUTENTICAMENTE “TRINITARIA”
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apa Francesco ha scelto come motto particolare del Giubileo la frase: MISERlCORDIOSI COME IL PADRE, che condensa l’insegnamento di Gesù: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Non è un facile slogan, ma un impegnativo ed entusiasmante programma per vivere degnamente e coerentemente da cristiani, da figli di Dio. Mentre il Cristo ci indica il Padre come fonte inesauribile dell’amore misericordioso, il Padre contempora-
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neamente ci sollecita: “Siate miseri cordiosi come mio Figlio, vostro fratello è misericordioso’’. L’amore di Dio infatti “è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della Misericordia. Tutto in Lui parla di Misericordia. Nul la in Lui è privo di compassione” (Papa Francesco). Lo Spirito Santo, che abita in noi, è il catalizzatore che ci rende capaci di accogliere e realizzare il progetto divino di Misericordia.
UN GIOIELLO TEOLOGICO: IL LOGO DEL GIUBILEO
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l logo del Giubileo ideato e realizzato dal celebre artista gesuita padre Marko Ivan Rupnik è una preziosa lezione di teologia, che compendia sapientemente le tematiche dottrinali dell’Anno giubilare. L’artista riprende un soggetto caro all’iconografia antica e medievale anche con uno stile tipico dell’arte di quel periodo -, reinterpretandolo e caricandolo di folgoranti simbolismi.
Emerge la figura di Cristo, buon Pa store, che porta teneramente sulle spalle Adamo, recuperato dagli inferi, rappresentante dell’umanità perduta e salvata dal sacrificio del Figlio di Dio, che ha evidenti, nelle mani e nei piedi, i segni della sua azione redentrice. Da notare un particolare rilevante: gli occhi di Cristo e di Adamo si fondono in un unicco sguardo. Non è un’esigenza grafica, bensì una voluta e originale scelta catechetica dell’artista per illustrare verità profonda del mistero dell’incarnazioneredenzione: Dio, nel suo infinito amore, assume pienamente l’umanità, comunicandole tutto se stesso; “ciò che vede l’uomo vede anche Dio e l’uomo comincia a vedere in modo dì Dio” (M.I. Rupnìk). Il “centro” dell’insieme è senza alcun dubbio il volto dì Cristo, “volto della Misericordia del Padre” (titolo della Bolla di indizione de Giubileo straordinario). Anche ì colori giocano un ruolo dì primaria importanza, dando straordinario dinamismo e tridimensionalità all’icona: il colore bianco radioso del Signore mostra la vita, la luce che scende nell’abisso della morte, per liberare Adamo e ridare all’umanità decaduta la beatitudine e la gloria della figliolanza divina; questo movimento, dall’oscurità alla chiarezza, è fissato nelle diverse sfumature concentriche di blù (che si possono leggere anche in direzione opposta per evidenziare la profondità imperscrutabile della Misericordia di Dio). L’uomo è vestito di un colore dorato, una tonalità che indica il cambiamento di esistenza, la conversione da uno stato terreno di peccato (che nella simbologia cromatica tradizionale sarebbe stato indicato con il colore verde) allo stato divinizzato. Completa il logo a lato della “mandorla” (la caratteristica forma ovale che tradizionalmente richiama le due nature divina e umana di Cristo) il motto scelto da Papa Francesco: MISERICORDIOSI COME IL PADRE. 25
UN GIUBILEO TEMATICO CON TRE ECCEZIONALI NOVITÀ PASTORALI
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’Anno Santo della Misericordia si presenta come un Giubileo tematico, cioè non legato, come quelli precedenti, a determinate scadenze o a particolari anniversari (come i Giubilei straordinari del 1933 e del 1983 collegati cronologicamente al ricordo della redenzione compiuta da Cristo) ma ad un’esigenza travolgente, ad un desiderio inesauribile della Chiesa “di offrire Misericordia” (come rivela Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium). A caratterizzare armoniosa mente questo Giubileo così parti colare, ci sono tre eccezionali novi tà pastorali. 1. Il Santo Padre ha, infatti, stabilito che, insieme alla Porta Santa delle quattro Basili che Papali, in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale “Porta della Mi sericordia’’. È la prima volta nella storia! In questo modo ogni Chiesa particolare “sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa’’. Un’attenzione speciale il Papa, nella lettera del 1 ° settembre 2015, la
dedica a quanti sono impossibilitati a compiere materialmente il pellegrinaggio per attraversare la Porta Santa: gli ammalati e i carcerati. Per i primi “vivere con fede e gioiosa speranza questo momento di prova, ricevendo la comunione o partecipando alla Santa Messa e alla preghiera comunitaria, anche attraverso i vari mezzi di comunicazione, sarà il modo di ottenere l’indulgenza giubilare”; i secondi “nelle cappelle delle carceri potranno ottenere l’indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà’’. 2. La seconda iniziativa geniale del Santo Padre è stata quella di voler creare per l’occasione un “corpo specia le” di “Missionari della Misericordia”: sacerdoti che avranno dal Papa l’autorità di perdonare anche i pecca ti che sono riservati alla Sede Apostolica, ampliando notevolmente il loro normale mandato nel sacramento della Riconciliazione. Saranno inviati al mondo durante la Quaresima dell’Anno Santo. Essi si presentano come “un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il Popolo di Dio ... Un segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono. Saranno dei Missionari della Misericordia perché si faranno artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo’: Nella lettera del 1° settembre 2015, inoltre, il Papa ha deciso “di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto
Ci sono alcuni peccati gravissimi (per esempio: l'aborto - sono colpevoli sia la madre, sia chi induce a compierlo, sia chi lo procura materialmente-; la pro fanazione delle specie eucaristiche consacrate; la violenza contro il Papa ... ): chi compie questi delitti automaticamente incorre nella scomunica, cioè si pone al di fuori della comunione ecclesiale e non può più accedere ai sacramenti, finché non sia tolta tale scomunica. Solo la Sede apostolica e, in alcuni casi, il Vescovo diocesano possono farlo. Non basta pertanto la normale as soluzione sacramentale del sacerdote. Durante questo Anno Santo anche i sacerdoti Missionari della Misericordia avranno la facoltà di assolvere questi delitti.
quanti lo hanno procurato e pentiti dì cuore ne chiedono il perdono’’. 3. Il Giubileo - come terzo aspetto “innovativo” - oltre a voler coinvolgere l’intera cristianità, deve essere un abbraccio di reciproca Misericordia con i nostri fratelli ebrei, musulmani e di altre religioni, perché la Misericordia va oltre i confini della Chiesa e sap piamo oggi quanto sia necessaria per la realizzazio ne della pace in questo nostro martoriato pianeta. Il Papa si augura che “questo Anno Giubilare vissuto nella Misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione’’.
CON MARIA “MATER MISERICORDIAE”
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’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ... di generazione in generazione la sua Misericordia si stende su quelli che lo temono” (Lc 1,46-47.50): nel personale e comunitario itinerario giubilare, uniamoci con gioia e speranza al Canto di Maria, la Madre di Gesù, colei che più di ogni altra creatura “ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo” (Papa Francesco); colei che è stata testimone, ai piedi della croce, del supremo perdono del suo Figlio, e “ha reso possibile col sacrificio del cuore la propria partecipazione alla rivelazione della Misericordia divina” (San Giovanni Paolo II); colei che dai primordi della Chiesa i cristiani pregano fiduciosi come Madre della divina Misericordia.
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INDICAZIONI PER IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA IL NOSTRO VESCOVO ha dato alcune indicazioni per vivere al meglio l’Anno Santo. Anzitutto mette in evidenza l’insistenza del Papa “perchè il Giubileo si svolga in primo luogo nelle singole Diocesi, come un vero momento di rinnovamento della vita pastorale attraverso la riscoperta della misericordia di Dio, che è l’essenza del Vangelo.” E poi : - Il pellegrinaggio sia soprattutto un “pellegrinaggio spirituale della misericordia” - il Giubileo sia un’occasione particolare per richiamare e far vivere le opere di misericordia corporale e spirituale. A LIVELLO DIOCESANO La Porta della Misericordia nella Diocesi di Brescia è una ed è quella della Cattedrale. E’ stata aperta il 13 dicembre 2015 e lo rimarrà fino a domenica 20 novembre 2016. Ogni parrocchia o Unità Pastorale è invitata a programmare un pellegrinaggio alla Cattedrale: per le parrocchie di Botticino sarà nel pomeriggio di domenica 6 marzo 2016 (verranno date indicazioni precise per il suo svolgimento). Durante l’anno verranno proposti Giubilei per le diverse categorie (vedi specchietto). -mercoledì 6 gennaio: giubileo dei migranti; -giovedì 28 gennaio: giubileo del mondo della scuola; -martedì 2 febbraio: giubileo delle persone consacrate; -domenica 14 febbraio: giubileo degli ammalati; -sabato 19 marzo: giubileo dei giovani; -domenica 1 maggio: giubileo per il mondo del lavoro; -martedì 12 maggio: giubileo delle Scuole cattoliche -mercoledì 7 settembre: giubileo dei sacerdoti; -sabato 24 settembre: giubileo dell’Unitalsi; -sabato 22 ottobre: giubileo dei missionari; -mercoledì 16 novembre: giubileo dell’università; -in data da definirsi: giubileo del mondo carcerario. A LIVELLO MACROZONALE In ogni macrozona (cioè un insieme di più zone pastorali) sono state individuate una o due “chiese giubilari”. Queste non vanno viste come luogo di pellegrinaggio (riservato alla Porta della misericordia in Cattedrale), ma come luoghi di preghiera personale e comunitaria, dove si può ascoltare l’annuncio della misericordia di Dio, farne l’esperienza soprattutto attraverso la celebrazione della Riconciliazione e ottenere l’indulgenza. (verranno date indicazioni più precise riguardo alla chiesa giubilare a noi vicina che è il Santuario di Rezzato)
A LIVELLO PARROCCHIALE È importante che per tutto il tempo del Giubileo, in ogni parrocchia o almeno in ogni Unità Pastorale, ci sia l’indicazione di un tempo e di una chiesa dove potersi incontrare personalmente o in gruppo con il sacerdote, ascoltare l’annuncio della misericordia e potersi accostare alla Riconciliazione. Il tempo più opportuno per il Giubileo della misericordia sarà comunque la Quaresima e il Tempo di Pasqua. In questo tempo si propone di approfondire nella catechesi soprattutto “Le opere di misericordia corporali e spirituali”, sottolineando però che prima delle nostre opere viene l’esperienza della misericordia di Dio. Sempre a livello parrocchiale saranno da tener presenti alcuni appuntamenti, già previsti nella Bolla Misericordiae Vultus e dal programma in atto: - venerdì 4 e sabato 5 marzo 2016: “24 ore per il Signore” - ogni lunedì ore 20,00 S.Messa in Basilica, segue adorazione fino alle 22,00. Presenza di un sacerdote per la confessione e il colloquio personale (a partire da lunedì 11 gennaio 2016; altre occasioni di incontro con il sacerdote nelle chiese di Botticino verranno presto comunicate). - domenica 6 marzo 2016 pellegrinaggio di Botticino alla Porta Santa della Cattedrale di Brescia. - Centri di Ascolto (avvento e Quaresima) sulle opere di misericordia. - Valorizzare l’esperienza della misericordia di Dio e con i fratelli: partecipando alle celebrazioni penitenziali e nella stessa giornata muovere passi di riconciliazione con i fratelli. - Valorizzare l’atto penitenziale all’inizio della Messa. - Valorizzare anche l’indulgenza che si può ricevere nella Basilica-Santuario di Sera, nelle date stabilite. - Calendario delle parrocchie con immagini di Gesù crocifisso (trovate nelle nostre chiese), che è il volto della misericordia del Padre; riporta riflessioni di s. Arcangelo, di papa Francesco e un commento di ogni opera di misericordia spirituale o corporale. - Con la commissione cultura e sociale (e Acli) iniziative sulle opere di misericordia - In data da destinarsi pellegrinaggio a Roma. A livello personale È pure importante prevedere che ogni fedele sia messo in grado di poter vivere la grazia del Giubileo anche a livello personale, soprattutto nel caso di chi non può uscire di casa o partecipare agli incontri comunitari, come nel caso degli ammalati e delle persone anziane e sole. “Vivere con fede e gioiosa speranza questo momento di prova, ricevendo la Comunione o partecipando alla S. Messa e alla preghiera comunitaria, anche attraverso i vari mezzi della comunicazione, sarà per loro il modo di ottenere l’indulgenza giubilare”. (Papa Francesco) Soprattutto a livello personale bisogna insistere sul tema di una “spiritualità della misericordia” che si incentra su questi punti: Lasciarsi riconciliare, Non giudicare, Perdonare, Donarsi. Si sta pensando inoltre ad un’ app ad hoc che si realizzerà mediante l’Ufficio Comunicazioni per il tempo della Quaresima. 27
CONSIGLI PARROCCHIALI E DELL’UNITA’ PASTORALE 2015-2020 CONSIGLIO UNITA’ PASTORALE (CUP)
Membri di diritto LICINI don RAFFAELE OPRANDI PIETRO BISCELLA SR. MARIA REGINA Membri rappresentanti TOGNAZZI SR. VINCENZA (Casa Madre Suore) BUSI DOMENICA (Scuola don Orione) BENETTI MARIO (Acli) MATTEI FRANCESCO (Unione sportiva oratori SCIOTTI FLAVIO (Caritas) Membri nominati VENTURINI CLAUDIO (Accolito) APOSTOLI ERMELINDA BOCCHI EMANUELE BUSI GUERINA LONATI ANNA MARIA SCARPARI ROBERTO TRECCANI ANNALISA APOSTOLI ERIK (oratori)
Membri eletti APOSTOLI LIDIA BALDUZZI CATERINA BARESI MONICA BENETTI STEFANO BONIOTTI MICHELA BUSI GIULIO BUSI VITTORIO CERESOLI ALDO FASSOLI PAOLA FERRARI GIUSEPPE LAZZARINI BATTISTA LONATI SILVANA MORESCHI STEFANO NOVENTA ALESSANDRA NOVENTA IRMA OPRANDI ROBERTO OPRANDI SARA PICCINOTTI CHIARA POLASTRI FRANCESCO ROSSETTI ROMINA SANZENI ROBERTA SMILLOVICH GIANPAOLO TREGAMBE GIUSEPPE UNGARINI MARCO
CONSIGLI AFFARI ECONOMICI (CPAE) BOTTICINO SERA LICINI don RAFFAELE BOCCHI EMANUELE CAMADINI GIANFRANCO COCCATO MICHELE BONAZZA PIETRO BONTEMPI RICCARDO GIOLI GUIDO MANTOVI ALBERTO ZAMPATTI EOLO ADRIANO GIORGIO
rappresentante per la scuola don Orione
BOTTICINO MATTINA LICINI don RAFFAELE MORESCHI STEFANO BENETTI MARIO PRATI ELISIO TREGAMBE GIUSEPPE ZANOTTI ALESSANDRO CAVAGNINI SERGIO NOVENTA LIDIA ROSSI GIACOMO APOSTOLI ERIK RAPPRESENTANTE DUMPER (Tecnico TONOLI SANTO)
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SAN GALLO
LICINI don RAFFAELE OPRANDI diac.PIETRO OPRANDI SARA BUSI GIULIO GALIZIOLI FABIO POLLIO CLEMENTE BAVELLONI EMER MICHELI MICHELE LONATI RENZO
LUCIANO MONARI VESCOVO DI BRESCIA
LETTERA ALLE UNITA’ PASTORALI E ALLE COMUNITA’ CRISTIANE PER L’ANNO 2015-2016 29
LUCIANO MONARI VESCOVO DI BRESCIA
LETTERA ALLE UNITÀ PASTORALI E ALLE COMUNITÀ CRISTIANE PER L’ANNO 2015-2016 INTRODUZIONE Più volte ho ringraziato il Signore per gli incontri avuti con voi, nella visita che ho fatto alle singole Unità Pastorali nell’anno appena trascorso. È regola fondamentale della fede ringraziare tutte le volte che si viene a contatto con l’azione di Dio e per me è stata proprio questa l’esperienza gioiosa che ho vissuto nelle diverse comunità. Ho riconosciuto l’opera del Signore nella vostra fede, nell’amore che avete verso gli altri, nella speranza che sostiene il vostro cammino nei momenti difficili, nell’impegno costante a servizio della comunità, nel desiderio di incontrare il vescovo e di sentirlo vicino. È sempre stato vero che la fede viene da Dio e che quindi, dove si riscontra anche solo un briciolo di fede, lì c’è il dito di Dio, l’opera del suo Spirito. Ma questo è vero soprattutto oggi perché il contesto culturale in cui tutti viviamo è quello dell’ateismo pratico. Intendo, con questa espressione, una forma concreta di vita che fa a meno di Dio e della religione; che usa criteri “mondani” quando deve progettare il futuro e prendere decisioni per il presente. Se in un contesto di pensiero e di vita come quello attuale sono tuttavia presenti comunità che custodiscono e testimoniano la fede in Dio, che vivono l’amore fraterno fino alla dimensione del dono generoso e gratuito, questo significa che Dio continua
a lavorare nei cuori delle persone; che continua a suscitare la fede in chi ascolta il vangelo; che continua a fare desiderare quel compimento della vita che è l’amore di Dio e del prossimo. Di tutto questo ho reso grazie e continuo a rendere grazie al Signore. So bene che la costituzione delle Unità pastorali non va senza difficoltà e timori. Si teme che le diverse piccole comunità vengano trascurate per riservare l’attenzione solo ai centri maggiori; si teme che la presenza del prete venga concentrata in alcune comunità e venga a mancare nelle singole parrocchie; si teme che le piccole comunità vengano subordinate alle grandi e perdano così la loro identità. Tutti timori comprensibili di fronte a cambiamenti non ancora sperimentati e consolidati. Ma, in realtà, il motivo per cui abbiamo scelto di costituire delle UUPP è quello di fare vivere meglio tutte le comunità cristiane offrendo loro il servizio migliore possibile, ma soprattutto aprendole a vivere l’esperienza gioiosa della comunione. Bisogna respirare a pieni polmoni il senso della Chiesa, della cattolicità, della comunione tra le diverse comunità, del servizio reciproco. Solo le comunità che sapranno aprirsi a tutta la Chiesa e al mondo stesso potranno realmente crescere; chiudersi in se stessi significa correre il rischio serio di soffocare e di costruire non un’esistenza cristiana, ma un’oasi (confortevole?) di egoismo isolato e sterile; per di più un’oasi che tenderà inevitabilmente a restringersi col passare degli anni. L’obiettivo a cui dobbiamo tendere è appunto la edificazione di autentiche comunità cristiane. Cosa s’intende con questa espressione? La risposta più bella verrebbe dalla lettura attenta degli Atti degli Apostoli e delle lettere paoline: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere… La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola.” (At 2,42; 4,32) La comunità cristiana è un insieme di persone che condividono la fede in Gesù Cristo (l’insegnamento degli apostoli); che sulla base di questa fede intendono la vita come itinerario di crescita verso Dio attraverso l’amore per il prossimo (avevano un cuore solo e un’anima sola); comunità dove le persone, a motivo della medesima fede, si sentono legate tra loro da un vincolo di fraternità effettiva; dove tutti si sentono responsabili della vita gli uni degli altri e quindi stabiliscono e rafforzano lega30
Il dipinto venne realizzato nel 1648 per la Scuola del Santissimo Sacramento di Chiari dall’artista lucchese che al momento era presente a Brescia. Diviso in due registri, presenta nella parte alta un gruppo di angeli con gli strumenti della passione e in quella inferiore l’Imago pietatis (Cristo morto con gli angeli, la Madonna e San Giovanni), aggiungendo la solenne figura del dolente che sostiene il Figlio. Il dipinto è uno dei punti di snodo nella carriera di Ricchi: soprattutto la figura dell’Eterno Padre, intrisa di essenza luminosa nello schiarirsi delle vesti, segna il punto più alto di un aggiornamento in senso cromatico e psicologico.
Pietro Ricchi (Lucca 1606-Udine 1675) Olio su tela, 320 x 224 cm Chiari (Bs) Duomo, Cappella del Santissimo Sacramento.
Il gesto del Padre che sostiene il Figlio è anche il segno del dono che il Padre fa del Figlio, l’offerta e l’ostensione della sua misericordia. Realizza la parola di Gesù: “Non c’è amore più grande di chi dà la vita per gli amici”. Il dolore silenzioso dei personaggi, gli angeli che mostrano i simboli della passione, sono il modo per dire che quel dono di misericordia è stato vero e si presenta come segno sul quale non si può solo meditare, ma con il quale si deve agire, per realizzare l’altra parola di Gesù: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre”.
mi di conoscenza reciproca, di aiuto reciproco, di sopportazione reciproca. Per potere crescere verso queste mete, le comunità cristiane sanno di avere bisogno di ascoltare con perseveranza la Parola di Dio annunciata con autorevolezza e di celebrare l’eucaristia in comunione con la Chiesa universale. Hanno quindi bisogno della presenza del ministero ordinato e cioè di preti e diaconi che, in obbedienza alla missione ricevuta dal Signore, con il dono dello Spirito, leghino sempre più profondamente le comunità a Gesù Cristo (attraverso la Parola e i sacramenti) e a tutta Chiesa (attraverso la comunione col vescovo). Nello stesso tempo le comunità cristiane sono presenti in mezzo alla società e non si disinteressano del contesto sociale, politico, economico, culturale nel quale vivono. Al contrario, esse sanno di esistere per animare il mondo intero immettendo nel mondo la ricchezza di convinzioni, di giudizi, di esperienze che vengono da Gesù Cristo e, attraverso di Lui, da Dio stesso (“Voi siete il sale della terra… la luce del mondo…” Mt 5,13.14). Nel disegno di Dio, infatti, il mondo è chiamato a riflettere nel modo più chiaro la bellezza e la forma della vita trinitaria che è vita di amore, di dono reciproco, di santità. La comunità cristiana “serve” a
questo: non desidera diventare solo un luogo umano in cui si vive meglio (anche se questo dovrebbe pur essere vero), ma vuole trasformare tutto lo spazio umano secondo la logica dell’amore fraterno e dell’amore per Dio; vuole contribuire alla costruzione di una autentica “civiltà dell’amore”. Verso questi obiettivi tende anche la costituzione delle UUPP. Ricordarlo è fondamentale per non perdere l’orientamento e per non perdersi in dispute secondarie. Non vogliamo fare della costituzione delle UUPP una pura e semplice forma di razionalizzazione amministrativa – anche se, è evidente, dobbiamo utilizzare nel modo migliore le poche forze che abbiamo. Desideriamo piuttosto cogliere l’occasione per rigenerare la vita delle comunità e renderla sempre più coerente e feconda. Dobbiamo “crescere in ogni cosa tendendo a lui che è il capo, Cristo” (Ef 4,15) e fino a che non lo avremo raggiunto non possiamo accontentarci di quello che siamo. Per questo motivo ho pensato di scrivervi per ricordare le cose che ci siamo detti negli incontri positivi che abbiamo vissuto e per rilanciare il vostro impegno che ho visto solido.
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CAPITOLO I EUCARISTIA, CUORE DELLA COMUNITÀ Al primo posto mi sembra necessario mettere l’eucaristia della domenica perché da essa dipende in gran parte il nostro cammino. L’eucaristia, infatti, ci è donata per edificare la Chiesa e renderla sempre più conforme alla volontà del Signore. Uno dei motivi più forti di preoccupazione (e di sofferenza), oggi, è vedere che i bambini e i ragazzi fanno fatica a partecipare all’eucaristia e che le famiglie, anche quelle cristiane, sembrano poco determinate; un week end fuori città, un viaggio, un interesse diverso sono sufficienti a tralasciare la Messa senza grosse inquietudini di coscienza. Questo, naturalmente, significa che la Messa è considerata un optional del quale si può ragionevolmente fare a meno. In realtà il problema non è nuovo. Già la lettera agli Ebrei doveva esortare i suoi destinatari: “Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare.” (Eb 10,25) Ma perché è così importante l’eucaristia? E perché nella celebrazione dobbiamo esserci tutti? L’eucaristia non è una forma sublime di preghiera personale, che risponde ai bisogni delle singole persone; è invece l’azione del Signore risorto che costruisce la comunità cristiana come suo corpo. Partecipiamo all’eucaristia non perché “ne abbiamo voglia”, ma perché il Signore ci ha chiamato a essere suoi discepoli e continua a chiamarci per fare di noi la sua comunità. C’è bisogno di riscoprire questa dimensione ecclesiale, che è il cuore dell’eucaristia. Il Concilio lo ha richiamato con forza, ma non abbiamo ancora interiorizzato questo modo di sentire. Provo allora a ricordare le cose fondamentali. Supponiamo il caso ideale: la domenica mattina tutti i cristiani di una comunità si recano in Chiesa e partecipano attivamente, come autentici attori, alla ce-
lebrazione dell’eucaristia. Che cosa succede? Anzitutto succede che persone e famiglie disperse sul territorio, che vivono in case diverse, che hanno interessi diversi, in questo giorno si trovano insieme, nella medesima casa. Che cosa li ha raccolti insieme? A volte succede che ci troviamo con gli altri perché condividiamo un interesse (al cinema, per esempio, o allo stadio); a volte perché siamo parenti o conoscenti (a una festa di compleanno). Nella Messa ciò che ci mette insieme è l’amore di Gesù per noi e la nostra fede in Lui: Congregavit nos in unum Christi amor, dice uno degli inni più famosi della Chiesa: “Ci ha raccolti insieme l’amore di Cristo (cioè l’amore che Cristo ha per noi)”. In altri termini: non siamo in Chiesa per una nostra scelta, per un nostro interesse. Siamo in Chiesa perché il Signore ci ha invitati e perché, volendo bene al Signore, abbiamo accettato il suo invito. Già questo dovrebbe liberarci da quella tendenza individualista che ci fa dire spesso: “Vado in Chiesa quando ne ho voglia, quando me la sento; andarci senza un desiderio sincero, sarebbe peggio che stare a casa”. Se la Messa fosse qualcosa che faccio io, potrei dire: ci vado se voglio. Ma la Messa è un invito a partecipare al dono che il Signore offre. Naturalmente ho la libertà di dire: il dono del Signore non m’interessa! I doni non si impongono, ma si offrono e chiedono di essere accettati liberamente. Non posso però pensare che se rifiuto il dono del Signore il mio rapporto con lui non ne soffra. Certo, il Signore mi ama ugualmente e senza riserve, ma i miei “no” creano inevitabilmente una barriera che mi separa da Lui; una barriera che tenderà, col tempo, a diventare sempre più impenetrabile. L’immagine del Signore non sarà più così luminosa dentro di me, il desiderio di lui si affievolirà progressivamente nel mio cuore, lo stile di vita non sentirà più il bisogno di misurarsi su di Lui e diventerà più incoerente; soprattutto decadrà facilmente il senso di appartenenza alla Chiesa e quindi il senso di fraternità di fede nei confronti degli altri. Se invece la domenica mattina accetto l’invito del Signore e mi reco in Chiesa per la Messa, mi troverò con altre persone che in parte conosco, in parte no. Tuttavia siamo nella medesima casa; ci sediamo alla medesima tavola, gomito a gomito; canteremo e pregheremo insieme, all’unisono; insieme ci metteremo in ginocchio o in piedi o seduti; ci scambieremo un segno di comunione… Tutto questo potrà essere senza effetto? Non scomparirà almeno un poco il senso di estraneità nei confronti degli altri? Non li conosco ma so già di loro alcune cose: che sono figli di Dio amati da Lui; che credono in Gesù Cristo e lo amano; che fanno parte della Chiesa e quindi condividiamo la medesima speranza. Insomma, so che abbiamo molte cose – e le cose più importanti! – in comune. Basta già questo per sciogliere alcuni timori istintivi. 32
1.1. Nella Messa il perdono La Messa inizia con un atto penitenziale e cioè col riconoscimento di essere peccatori davanti a Dio. Quando siamo semplicemente davanti agli altri – per strada, in ufficio, al bar – è difficile che ci sentiamo peccatori; siamo tutti galantuomini, anzi gentiluomini; se qualcuno ci accusasse di qualcosa, saremmo portati istintivamente a negare, a diventare a nostra volta aggressivi. Qui, in Chiesa, no: “Confesso a Dio Onnipotente… e a voi fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni…” Sotto lo sguardo di Dio, ci riconosciamo peccatori e non solo peccatori davanti a Lui ma anche davanti ai fratelli. Scopriamo così una prima, elementare condizione che abbiamo tutti in comune: di non essere senza responsabilità nei confronti del male che c’è nel mondo. Supponiamo di fare l’atto penitenziale consapevolmente e sinceramente: l’effetto immediato è un atteggiamento di apertura nei confronti di tutti gli altri. Non possiamo più rifiutare la vicinanza degli altri con la motivazione che essi sono peccatori dal momento che ci riconosciamo anche noi tali. Incominciamo a pensare secondo il vangelo che dice: “Non condannate per non essere condannati; perché con la misura con la quale giudicate (gli altri), sarete giudicati anche voi.” Ci diventa possibile comprendere le affermazioni di San Paolo: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono resi giusti gratuitamente per la sua grazia.” (Rm 3,2324). Le parole dell’assoluzione: “Dio Onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna” scendono su tutta l’assemblea come rivelazione e dono della misericordia di Dio; Dio non ha rifiutato i peccatori, ma dona loro il suo perdono.
1.2. Nella Messa l’ascolto Il secondo momento è la liturgia della Parola. Vengono proclamate tre letture della Bibbia: una dal primo Testamento; la seconda dal Nuovo Testamento; la terza da quello che è il cuore del Nuovo Testamento, i vangeli. Ho usato il termine “proclamare”; questo non significa che le letture debbono essere lette con enfasi; al contrario! Vuol dire invece che per noi non si tratta solo di ascoltare la lettura di un libro, ma soprattutto di ascoltare, attraverso quella lettura, la parola stessa di Dio, del Signore risorto. Per questo le letture si concludono con un’acclamazione: “Parola di Dio! Parola del Signore! – Rendiamo grazie a Dio! Gloria a Te, Signore!” Perché è così importante questo ascolto? Perché attraverso l’ascolto nasce e prende forma il popolo di Dio, la comunità del Signore Gesù. Una nazione possiede sempre una “memoria” che contiene gli eventi fondativi della nazione stessa e quelli che hanno contribuito più efficacemente a darle un’impronta
particolare. Ebbene, la Bibbia è la memoria del popolo di Dio; quando i membri del popolo di Dio ascoltano la lettura della Bibbia, prendono coscienza della loro origine, di quello che Dio ha fatto per loro, di quello che Dio si aspetta da loro. Ascoltano insieme; sono convinti di ascoltare il Dio vivente; rispondono insieme di “sì” a quello che il Signore dice loro. Si può pensare che questo non cambi nulla nella loro vita? Che non si formi tra loro una solidarietà che nasce dalla condivisione della stessa memoria (passato), della stessa speranza (futuro), della stessa legge di vita (presente)? “Un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza… un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti.” (Ef 4,4-6) Tutto questo hanno in comune i figli di Dio, i membri di una comunità cristiana. Ma la coscienza di avere tutto questo in comune nasce e cresce e si mantiene solo attraverso un ascolto perseverante e sempre nuovo della Sacra Scrittura. Non solo: perché le letture sviluppino tutta la loro forza di trasformazione e di comunione, bisogna che siano conosciute e amate. Non basta ascoltarle la domenica; bisogna che siano familiari e che, quando vengono proclamate, risveglino una conoscenza e un affetto già presente. Senza questo ascolto frequente, la nostra memoria sarà riempita dalle notizie che ascoltiamo dai mezzi di comunicazione; ma nessuna persona ragionevole può pensare che queste notizie favoriscano in noi uno stile di vita evangelico. Senza la parola di Dio i nostri pensieri diventano pagani e, poco alla volta, diventa pagana la nostra vita. 33
1.3. Nella Messa la Grazia Il terzo momento della Messa, quello centrale, è la Grande Preghiera Eucaristica, cioè la preghiera solenne di ringraziamento a Dio per il suo amore e per i suoi doni, per quello che ha fatto per noi e per quello che ci ha promesso. Prima, però, di iniziare la Grande Preghiera (il Cànone della Messa, l’Anafora) c’è un piccolo rito che spesso viene chiamato “Offertorio” e che i liturgisti ci invitano a chiamare: “Preparazione delle offerte”. In processione vengono presentati al celebrante pane (le ostie), vino e acqua. Sul pane e sul vino viene recitata una preghiera di ringraziamento che riconosce essere il pane e il vino frutti della terra e del lavoro dell’uomo. Sono frutti della terra (quindi doni che riceviamo), sono lavoro dell’uomo (quindi fatica, attività nostra), sono presentati a Dio (quindi debbono essergli graditi, degni di lui); ma non sono ancora “offerti” in senso pieno. Questo è il vero problema. Scrivendo ai Romani, san Paolo li esorta a offrire a Dio i loro corpi (e cioè: la loro vita) come sacrificio vivente, santo e gradito a lui; in pratica li esorta a vivere un’esistenza che sia pienamente conforme alla santità di Dio – un’esistenza fatta di giustizia, di sincerità, di amore, di dono di sé; questo è il vero sacrificio che Dio desidera e che il credente è chiama-
to ad offrire. Si tratta, in pratica, di cambiare la nostra vita nel mondo in modo che la nostra vita e il mondo stesso possano diventare specchio della bellezza e della santità e dell’amore di Dio. Quasi un sogno, tanto che verrebbe da dire con Paolo: “E chi è mai all’altezza di questi compiti? (2Cor 2,16) La risposta del cristiano è, in fondo, semplice: Gesù. Gesù è quell’uomo che ha vissuto tutta la sua vita in perfetta sintonia con la volontà del Padre, che ha sacrificato la sua vita come dono di amore agli uomini, che non ha cercato di farsi servire ma si è fatto liberamente servo di tutti, che non ha rifiutato nemmeno la vergogna e la sofferenza della croce pur di portare a compimento la sua missione. Non c’è dubbio: la vita di Gesù è veramente sacrificio gradito a Dio, offerta pura e immacolata, amore oblativo portato fino alla pienezza di un dono irrevocabile; l’umanità di Gesù è un frammento di mondo nel quale si rispecchiano chiaramente la bellezza, la santità, l’amore di Dio. A questo punto possiamo capire il contenuto della Grande Preghiera Eucaristica. Rendiamo grazie a Dio per i suoi doni innumerevoli perché tutto viene da Lui nella nostra vita e nel mondo attorno a noi; ma rendiamo grazie a Dio soprattutto per quel dono che è Gesù perché in lui si riassume tutto l’amore di Dio per noi (“Ci ha amato e ha donato la sua vita per noi!” Ef 5,2) e perché in lui la nostra natura umana è diventata offerta perfetta al Padre (“Cristo, mosso dallo Spirito eterno, offrì sé stesso senza macchia a Dio” Eb 9,14). Terminando la preghiera potremo cantare: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo a Te, Dio Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli!” Ma la preghiera eucaristica ‘funziona’ in un modo particolare. Noi facciamo la Messa non perché abbiamo inventato un modo straordinario di ringraziare Dio ma perché obbediamo al comando esplicito di Gesù. È stato Gesù che, il giorno prima di morire, ha condiviso con i suoi discepoli una cena pasquale dando a questo pasto un significato nuovo. Ha preso infatti del pane, ha ringraziato il Padre, ha spezzato il pane e lo ha dato da mangiare ai discepoli dicendo loro: “È il mio corpo che sarà consegnato per voi. Prendete, mangiate!” Lo stesso ha fatto con una coppa di vino: “È il mio sangue, il sangue che sigilla la nuova ed eterna alleanza; sarà versato per voi e per la moltitudine degli uomini in remissione dei peccati. Prendete, bevete!” Poi ha detto: “Fate questo in memoria di me.” Si può dire molto semplicemente che il pane spezzato è tutta la vita di Gesù: appunto, una vita “spezzata” per noi; che il vino versato è tutta la vita di Gesù come sacrificio: appunto, una vita “versata, effusa” per noi. Il pane viene spezzato quando lo si dà da mangiare; la vita di Gesù viene spezzata quando diventa amore oblativo (e cioè amore nella forma del dono che sacrifica se stesso per la vita degli 34
altri). Il vino viene versato nella coppa quando è presentato ai commensali perché bevano; il sangue di Gesù è versato sulla croce quando deve trasmettere vita agli uomini, la vita che viene da Dio e che è fatta di amore. Noi desideriamo che la nostra vita possa diventare “sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”. Siamo convinti che solo in questo modo la nostra vita acquisterebbe quella bellezza e quella pienezza a cui aspira; ma sappiamo anche di essere inadatti a questo compito che ci supera immensamente. Nell’eucaristia la nostra vita (il pane e il vino) viene santificata dallo Spirito per essere il pane e il vino dell’ultima cena, cioè per essere il corpo e il sangue di Cristo. Come corpo e sangue di Cristo la nostra esistenza diventa davvero rinnovata e santificata, degna di essere accolta da Dio nella sua infinita bontà. Nel pane e nel vino noi abbiamo deposto il materiale concreto della nostra vita: la vita di famiglia con le sue gioie e le sue sofferenze, con la sua bellezza e le sue preoccupazioni; la vita di lavoro con le sue fatiche, il rigore, la responsabilità necessaria; la vita sociale con tutti i rapporti interpersonali e politici; la vita economica… Insomma, tutto il variopinto universo delle esperienze umane è collocato nel pane e nel vino della Messa. E il dono dello Spirito trasforma tutto questo patrimonio nel corpo e nel sangue di Cristo – quindi in sacrificio vivo e santo. In questo modo il ringraziamento a Dio non è fatto solo di parole; è fatto di vita: della vita di Cristo che assume anche la nostra; della nostra vita che ha preso la forma di quella di Cristo. Ecco perché dicevo all’inizio che l’eucaristia edifica il corpo di Cristo; l’eucaristia prende il materiale di cui è fatta la nostra vita e imprime su questo materiale quella forma unica che è stata la forma del corpo umano di Cristo. Questa, e niente di meno, è la forma dell’esistenza cristiana. Non possiamo rivolgerci verso altri obiettivi; questo deve diventare il centro in cui ogni altra attività e pensiero trovano il loro giusto posto. In fondo, si tratta di una cosa semplice: dell’amore oblativo, cioè dell’amore trinitario. Vivere pienamente da persone umane coincide col donare liberamente e pienamente se stessi; trasformare in dono (in amore) i diversi talenti che ciascuno possiede e quelli che ciascuno si guadagna con la sua intraprendenza. Se l’eucaristia funziona, se quindi raggiunge il suo scopo, questo deve potersi riscontrare in un’esistenza che sia fatta davvero di amore, di bontà, di affabilità, di perdono… “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amato, perché anche voi vi amiate gli uni gli altri. Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri.” (Gv 13,34-35) Se non ci vogliamo bene a vicenda, se non cerchiamo di perdonarci a vicenda, se non operiamo per diventare un cuore solo e un’anima sola, la Messa è stata inutile. L’eucaristia non è una formula magica che magicamente trasforma un’esistenza umana
egoista in un sacrificio perfetto davanti a Dio. L’eucaristia è il dono di amore di Dio (Gesù Cristo) messo nelle nostre mani perché, scegliendo di liberamente di vivere di questo dono, con la grazia dello Spirito Santo, la nostra esistenza quotidiana (famiglia, lavoro, cultura, società…) possa assumere sempre più coerentemente i lineamenti dell’amore trinitario. Non basta certo la Messa a rendere cristiana una vita; ma ugualmente non si può rendere seriamente cristiana una vita senza la grazia che ci è data nella Messa.
1.4. Trasformati dalla comunione L’ultimo momento della Messa che debbo ricordare è la comunione. Il pane e il vino consacrati – cioè il corpo e il sangue di Cristo – debbono diventare cibo mangiato, assimilato. E quindi: la vita di Gesù diventata pane spezzato deve essere mangiata, assimilata. Questo cibo unisce intimamente la nostra vita con quella del nostro Signore Gesù e, attraverso Lui, con il Padre: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.” (Gv 6,56-57) Ma nello stesso tempo, proprio perché ci fa essere una cosa sola con Cristo, il pane eucaristico ci unisce tra noi e ci fa diventare un unico corpo, appunto: il corpo di Cristo. San Paolo lo dice in un modo che non potrebbe essere più chiaro: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, tutti noi, benché molti, siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo di quell’unico pane.” (1Cor 10,16-17) Ora, è esattamente questo ciò che l’eucaristia vuole ottenere. Da parte del Signore non ci sono dubbi: Egli realmente ha donato se stesso e questo straordinario dono ci è offerto nel sacramento eucaristico. Da parte nostra, si tratta di lasciarci coinvolgere nel dinamismo che l’eucaristia produce. Anche qui vale il discorso già fatto: non c’è nessuna magia nell’eucaristia. Il cambiamento dentro di noi non avviene automaticamente, per il solo fatto di “fare la comunione”; avviene se il “fare la comunione” è un atto di fede, se siamo disposti a lasciarci trasformare dalla comunione, se accettiamo e confermiamo personalmente quello che l’eucaristia è e vuole fare. Ora, ciò che l’eucaristia vuole fare è che noi stessi diventiamo “pane spezzato da mangiare”. Il vero problema è se noi siamo davvero disposti a diventare pane spezzato. Che cosa questa espressione significhi l’abbiamo visto con chiarezza nella vita e nella morte di Gesù; siamo disposti a percorrere questo cammino? Lo percorreremo con tutta la nostra fragilità e forse non giungeremo a vette eccelse; ma faremo con sincero desiderio e lealtà quello che il vangelo ci dona, quello che l’eucaristia ci trasmette. 35
1.5. Meno Messe, più Messa Debbo chiedere scusa della riflessione lunghissima, ma era necessaria per fondare quello che sto per dire e cioè che non è importante il numero delle Messe che si celebrano in una parrocchia, ma il modo in cui sono celebrate, partecipate e vissute; che anzi, paradossalmente, moltiplicare le Messe significa articolare la presenza della comunità in più assemblee e quindi fare vedere meno bene il segno di unità che la Messa vuole essere. L’ideale (teorico) sarebbe che ogni parrocchia avesse una sola Messa domenicale e tutti i cristiani partecipassero a quella Messa. Allora il segno dell’unità sarebbe molto chiaro: ci si trova tutti insieme, si ascolta la parola tutti insieme, ci si scambia il segno della pace e si fa la comunione tutti insieme. Capisco che “l’ottimo è nemico del bene” e non si deve scegliere ciò che è bene in modo astratto. In comunità numerose come le nostre è necessario che ci siano più Messe. Ma bisogna avere chiaro che cosa il Signore ha voluto e noi vogliamo ottenere con l’eucaristia. Se vogliamo ottenere che tutti abbiano la Messa all’orario per loro più comodo, dovremo inevitabilmente moltiplicare le Messe e celebrarne quante più è possibile, a ritmo continuo. Ma che cosa otterremmo in questo modo? Forse, che più gente vada a Messa. Otteniamo anche che diventi parte della comunità in modo più consapevole e profondo? anche che consideri gli altri come fratelli e impari a ragionare secondo un criterio di amore e oblatività? anche che la parrocchia si apra alle necessità dei deboli e diventi luogo di amore fraterno? Temo di no: la moltiplicazione delle Messe vuole rispondere a un desiderio (o bisogno) individuale delle persone mentre dovrebbe essere l’obbedienza delle persone a rispondere all’azione di grazie comunitaria della Messa. Torna fuori quell’individualismo nel quale siamo così immersi che nemmeno ce ne accorgiamo. È per questo medesimo motivo che desidero ci siano in ogni comunità dei ministri straordinari della comunione che la domenica, quando si celebra la Messa parrocchiale, prendano il pane che è stato consacrato in quella Messa e vadano a portarlo ai malati e anziani che non possono uscire di casa e non riescono a partecipare alla Messa parrocchiale. Non è la stessa cosa partecipare alla Messa domenicale e fare la comunione in un altro giorno della settimana. Evidentemente la comunione è buona sempre; sempre comunica i doni di grazia che vengono dall’amore di Dio. Ma nella Messa domenicale c’è il segno dell’unità dell’assemblea che partecipa concorde; il sacramento esprime meglio (e quindi opera più efficacemente) la comunione e la fraternità tra tutti i parrocchiani. Abbiamo un bisogno immenso di questo modo di vivere l’eucaristia e quindi vi chiedo di discutere queste cose nei Consigli Pastorali e di prendere le decisioni che possono favorire questo orientamento pastorale.
1.6. Referenti della vita comunitaria Qui si innesta anche il problema spinoso del parroco o del prete residente. Avere un prete residente in ogni parrocchia non è più possibile e ancor meno sarà possibile in futuro. Ma non è nemmeno necessario. In ogni comunità cristiana è necessario ci sia un referente al quale chiunque possa rivolgersi quando sorge un qualche problema o un bisogno; ma non è necessario che questo referente sia un prete. Bisogna, invece, che questo referente sia scelto della comunità stessa, sia gradito alla comunità e compia il suo servizio in comunione col parroco che rimane sempre il responsabile ultimo della vita comunitaria. Dovrà essere una persona competente, che conosca bene le persone della parrocchia, i problemi del territorio; che sia un testimone di vita cristiana e quindi abbia una forma di vita che faccia benedire Dio; che sia umile e non si senta al di sopra di nessuno per il compito che gli viene affidato; che ami servire e quindi sia sempre disponibile quando viene richiesto il suo servizio. Questi referenti possono essere “parrocchiali” se si interessano di tutte le persone che vivono sul territorio parrocchiale. Ma possono essere anche al servizio di una porzione di parrocchia (una frazione, un quartiere, un gruppo di case raccolto attorno a un oratorio…). L’obiettivo è quello di creare un tessuto robusto di conoscenza, di amicizia, di aiuto reciproco. Non è certo una meta facile da raggiungere. Viviamo, infatti, in una società che abitua alle pretese e disabitua al sacrificio, alla rinuncia. Il risultato è che ciascuno vive quanto più può separato dagli altri perché il confronto con gli altri esige sacrificio ed è motivo di disagio. Se sono più povero, sento invidia; se sono più ricco, desidero stare per conto mio e non essere disturbato. In una società simile, l’amicizia diventa sempre più rara e con l’amicizia scompare uno degli aiuti più “umani” a vivere meglio. Dobbiamo andare contro corrente, dobbiamo stabilire legami umani solidi e concreti. In una comunità cristiana nessuno deve essere isolato; se qualcuno vuole vivere da isolato, può evidentemente farlo, ma deve sapere che vive in contraddizione con l’eucaristia della domenica quando egli prega insieme ad altri e si scambia il segno di pace con altri. Non sto sognando un paradiso irreale. So bene che i nostri rapporti sono condizionati dalle nostre nevrosi e che le nevrosi rendono difficili i rapporti, creano incomprensioni e disagi a volte difficili da controllare. Ma so anche che la fede in Gesù ci chiede di andare con decisione verso questo traguardo e che non possiamo rinunciarvi per nessun motivo. A che cosa conduca l’eucaristia, lo si può vedere nella cura dei malati, degli anziani, dei poveri, dei deboli. Quando in una comunità qualcuno è malato, bisogna che lo si sappia e che si faccia insieme quel (poco) che è possibile per aiutare la persona e la sua famiglia a 36
portare meglio il peso della malattia. Quando una persona diventa anziana, deve sapere che la sua età non lo emargina dalla comunità ma che egli rimane partecipe e attore del cammino della comunità stessa. Se l’eucaristia non produce questa sensibilità e i comportamenti conseguenti, c’è da temere assai che le nostre celebrazioni siano inutili. Basterebbe ricordare le parole di Isaia o di Amos sul culto autentico, sul digiuno che Dio vuole (Is 1,10-16; 58,1-11; Am 5,21-24).
CAPITOLO II FAMIGLIA, CUORE DELLA COMUNITÀ Un centro essenziale d’interesse per la pastorale – non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo – è quello della famiglia. La famiglia interessa alla comunità cristiana perché è fondata sul matrimonio e il matrimonio cristiano è un sacramento, cioè una forma concreta di vita nella quale opera lo Spirito di Cristo; ma interessa anche perché la famiglia è la cellula originaria che può mantenere sano il corpo sociale o può, con le sue malattie, indebolirlo in modo irreparabile. È naturale il desiderio che porta l’uomo e la donna a unire le loro esistenze: a questo spinge la complementarità dei sessi nelle sue diverse dimensioni: biologica, psicologica, affettiva, sociale. Ora, il dinamismo dell’incontro sessuale, se viene percepito e vissuto nella sua integralità, conduce progressivamente verso un legame di amore, di gratuità, di dono; anzi, riesce a condurre fino al sacrificio di sé per il bene dell’altro. È quanto avviene spesso nel rapporto tra marito e moglie: si pensi, ad esempio, come espressione-limite ma non così rara, alla dedizione eroica di una moglie o di un marito nei confronti del coniuge colpito da malattia cronica; o ai sacrifici non calcolabili che i genitori fanno gratuitamente per i loro figli. La famiglia è il primo luogo in cui la persona umana dà prova di sé, impara a pensare e ad agire come persona matura, impara ad amare, a servire e collaborare. Per tutti questi motivi essa sta al centro anche dell’interesse pastorale; sappiamo che se crescono buone famiglie, cresceranno anche buone comunità cristiane, crescerà anche una società sana. Se invece il tessuto familiare si disgrega, gli effetti si ripercuoteranno inevitabilmente sulle comunità cristiane e sui meccanismi della vita sociale che rischieranno di incepparsi.
famiglia fin dai primi anni di vita insegnando il rispetto, l’amore, il sacrificio, il dono di sé, il rigore nelle cose che si fanno, la correttezza nei rapporti con gli altri e così via. La famiglia cristiana deve diventare un luogo in cui si fa insieme esperienza di fede, si prega insieme, si vivono insieme le feste, si impara la sensibilità nei confronti dei bisognosi, dei malati, degli anziani. Non abbiamo (troppa) paura della visione distorta di famiglia che è entrata con prepotenza nella cultura contemporanea (occidentale); ci sembra sia semplicemente il portato di un degrado culturale e che quindi non abbia futuro. Siamo invece serenamente convinti del valore umano della fedeltà e del dono di sé rispetto a una visione individualista, centrata sulla gratificazione personale; questo è l’impegno primario che ci interessa. Vorrei, perciò, che nei Consigli Pastorali delle UUPP si riflettesse sulla situazione concreta delle famiglie cristiane che fanno parte della comunità; su quali siano le difficoltà più gravi che esse si trovano ad affrontare; su quali strumenti possano servire per aiutare le famiglie a svolgere positivamente la loro funzione ecclesiale e sociale, e così via. Questo richiede una particolare attenzione a tutto il cammino formativo che è necessario per giungere a formare famiglie solide, umanamente ricche, evangelicamente animate. L’educazione all’amore – bisogna ricordarlo sempre – incomincia alla nascita. Sono certamente necessari i corsi di preparazione al matrimonio; ma sarebbe davvero illusorio sperare che questi corsi possano dare, a coloro che li frequentano, tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere bene il matrimonio.
2.1. Educare ad amare Oggi la famiglia è sottomessa a pressioni varie, provenienti da ambiti diversi (l’economia, la politica, la cultura, i mezzi di comunicazione sociali); è necessario perciò che le comunità cristiane imparino a educare alla 37
L’educazione inizia da bambini quando si impara a rispettare gli altri, a ubbidire, a essere sinceri, a servire, a perdonare, a collaborare, a riflettere su se stessi, a studiare e lavorare con serietà, a stare in silenzio, a cercare di migliorare i propri comportamenti e così via. Il primo elemento fondamentale nell’educazione dei figli è la testimonianza dei genitori; sono loro, i genitori, che rappresentano per i figli il punto di osservazione da cui guardare il mondo e comprenderlo. Ogni presa di posizione dei bambini davanti alla vita parte da quella figura di convivenza che essi sperimentano nella loro famiglia. Per questo, all’interno del matrimonio, diventa decisiva la testimonianza di amore e di fedeltà reciproca.
superare insieme gli ostacoli che si sono presentati. Non voglio dire che la rottura di un matrimonio non sia mai possibile. Ma voglio dire che la possibilità della rottura non fa parte del progetto matrimoniale come fosse una uscita di sicurezza sempre a disposizione. Naturalmente questo discorso sta in piedi solo se la medesima scelta (il “per sempre”) è fatta da entrambi i coniugi e se ciascuno di essi s’impegna con lealtà a vivere quanto ha scelto, a donare all’altro il massimo possibile di amore e di dedizione. Se si bara al gioco, se uno dei due cerca di ottenere tutto dall’altro senza rischiare niente di sé, il rapporto ne soffrirà inevitabilmente e potrà verificarsi anche una dolorosa rottura.
2.2. Amare per sempre Quando ci si sposa, ci si sposa per sempre; un cristiano deve saperlo e deve non solo accettarlo, ma desiderarlo e deciderlo con tutto il cuore. Il vincolo dell’indissolubilità non è un laccio posto per impedire la libertà delle persone; è invece un vincolo che permette alle persone di affrontare con maggiore libertà il futuro. Quando in un rapporto, davanti a ogni singola difficoltà e ostacolo, ci si comincia a chiedere se vale la pena stare insieme o no, la convivenza diventa per ciò stesso problematica. Non si può mai essere sicuri dell’impegno dell’altro; non ci si sente sicuri nemmeno della propria fedeltà; ci si domanda sempre di nuovo se vale la pena continuare il proprio impegno. In questo modo si spendono le energie migliori a rimuginare gli sgarbi subiti, a rinfacciarsi i comportamenti sbagliati, a immaginare ipotetici scenari futuri. Se invece l’indissolubilità è data per acquisita, tutte le energie psichiche saranno convogliate a trovare le vie per vivere meglio il rapporto, per
2.3. Amare è dare vita Nello stesso modo è decisiva, per la testimonianza cristiana, la fedeltà coniugale. Vale la pena ripeterlo perché la nostra società ha sdoganato l’adulterio che appare agli occhi di molti (e viene contrabbandato dai mezzi di comunicazione sociali come) uno sport piacevole e senza conseguenze. Per un cristiano l’adulterio è una ferita grave al matrimonio: è un’umiliazione imposta al coniuge, è il tradimento di un impegno solenne, è la smentita di un sacramento che, in quanto tale, dovrebbe rispecchiare la fedeltà di Dio nei nostri confronti. Non ci sono scuse per l’adulterio. Naturalmente, come per tutti i peccati, la misericordia di Dio rimane attiva anche di fronte a questa colpa; ma la misericordia di Dio non è mai un motivo di scusa, anzi eventualmente sarà motivo di colpa più grave. Il matrimonio funziona se i coniugi sanno crescere passando da un amore egocentrico (mi piaci, ti voglio per me) verso un amore oblativo (sei bella, voglio che tu sia felice); quando entrambi i coniugi imparano questa logica di vita, la vita coniugale diventa un’avventura sempre nuova, uno stupore che si rigenera davanti a ogni manifestazione di amore. Ciascuno inventa ogni giorno l’amore per l’altro e ogni giorno ciascuno scopre con riconoscenza di essere amato dall’altro, oltre ogni merito. L’adultero è fatalmente condannato a perdere la fiducia in se stesso perché non mantiene una promessa solenne che aveva fatto; ed è condannato a perdere la fiducia negli altri perché è portato a proiettare sugli altri i dinamismi dei suoi comportamenti. Il risultato è non solo la difficoltà nel matrimonio, ma tutto uno stile di vita più individualista, una mentalità più diffidente in tutte le relazioni umane. Educare ad amare; questo è il compito che i genitori hanno nei confronti dei figli. Siccome amare significa apprezzare la vita dell’altro e volere il suo bene, l’educazione all’amore comprende lo stimolo a conoscere e apprezzare l’esistenza degli altri; comprende l’impegno a prendere le proprie decisioni tenendo presente il bene dell’altro e cercando, per quanto è possibile, di favorirlo Il primo, elementare atto di carità nei confronti della 38
società umana è quello di mettere al mondo dei figli. Da questa responsabilità potrebbero sentirsi esonerati coloro che considerano la vita umana una condanna che non vale la pena trasmettere ad altri. Ma qui bisogna essere onesti; non basta dire: “Per me la vita è un peso” per non doversi assumere impegni e sacrifici nei suoi confronti. Della vita che viviamo (e che abbiamo davanti a noi) non ci è lecito lamentarci troppo. Insegnava il vecchio Seneca (siamo quindi nella sapienza pagana; un discorso di fede aprirebbe ben altre prospettive!) che se entriamo nella vita senza volerlo, possiamo uscire dalla vita quando vogliamo; e proprio perché abbiamo sempre questa via di uscita, non ci è lecito lamentarci. A meno che, s’intende, i lamenti non siano solo superficiali, una commedia che rappresentiamo davanti al mondo, una scusa per chiuderci in noi stessi. Insomma, il fatto stesso che noi viviamo fonda il dovere (con senso di responsabilità, s’intende!) di trasmettere la vita. E questa trasmissione è un autentico atto di amore: verso il figlio e verso la società. Che poi si tratti di un atto di amore impegnativo e che ha un costo elevato, tutti i genitori lo sanno, loro che debbono tutti i giorni fare i conti con le esigenze dei figli, con i problemi spinosi dell’educazione, con i bilanci familiari che faticano a quadrare.
CAPITOLO III AMORE, CUORE DELLA VITA Accanto alla pastorale familiare, viene immediatamente la pastorale giovanile che si collega con tutto quanto abbiamo detto dell’educazione all’amore. Anche qui l’impegno delle nostre comunità dev’essere grande. Anzitutto bisogna trasmettere la convinzione che l’esistenza umana comporta una responsabilità. Siamo esseri consapevoli e liberi; dobbiamo prendere in mano la nostra vita, diventarne protagonisti, scegliere che cosa ne vogliamo fare. Le vie concrete di realizzazione della vita sono infinite, ma per un cristiano la vita è sempre una risposta all’amore di Dio attraverso l’amore del prossimo. Il che significa che se uno vuole essere cristiano e vuole vivere da cristiano deve porre l’amore come criterio supremo delle sue scelte. Poi ciascuno scoprirà la strada concreta attraverso la quale egli può e deve realizzare la vocazione all’amore; ma questo avverrà sempre all’interno di una scelta generale, che vale per la persona umana in quanto tale. La domanda: che cosa voglio fare della mia vita? si salda inevitabilmente con l’altra: che cosa sono in grado di fare e che cosa desidero fare per il bene degli altri? Qui appaiono necessarie alcune attenzioni.
3.1. La sessualità nella visione dell’amore La sessualità è una dimensione fondamentale dell’esistenza umana. Unita biologicamente con la procreazione, la cultura umana l’ha arricchita anche con la dimensione dell’amore e della responsabilità. Sennonché questa visione integrale della sessualità si è spezzata fragorosamente negli ultimi anni. La possibilità della contraccezione ha separato il sesso dalla procreazione e questo distacco è diventato un punto fermo, assiomatico, della nostra cultura. Il risultato è che l’incontro sessuale appare meno impegnativo, libero da quella responsabilità che l’apertura alla procreazione comportava inevitabilmente. La sessualità ha sempre avuto per la persona umana anche un aspetto di gioco, di piacere; oggi, questo aspetto è diventato dominante, proprio perché non ci sono altri possibili effetti da tenere in considerazione. Ma non solo: questa separazione ha portato con sé anche una separazione del sesso dall’amore che era invece sempre stato considerato una dimensione essenziale. Così è accaduto che si dice generalmente “fare sesso” al posto del tradizionale ‘fare l’amore”. Le conseguenze di questa trasformazione culturale sono numerose e profonde, proprio perché la sessualità è una dimensione centrale della persona e della società. Ora, quale che sia l’opinione dominante in una concreta cultura, l’esistenza cristiana è chiamata a fare della sessualità (come, peraltro, delle altre dimensioni della vita!) un ambito di esperienza e di maturazione dell’amore, di impegno nei confronti dell’altra persona e della società intera, di crescita nella capacità di comprendere e guidare i propri impulsi, di esperienza di libertà. Che tutto questo non sia facile, non ha bisogno di essere dimostrato; la difficoltà 39
sta nell’impresa in se stessa (umanizzare una funzione biologica come il sesso) e dipende anche dal contesto culturale che non favorisce questa umanizzazione. Ma a questo impegno non possiamo sottrarci. È illusione pensare che la persona possa essere egoista nel modo di vivere il sesso e possa poi mostrarsi altruista nelle altre dimensioni della vita; che possa fare sesso badando solo alla gratificazione personale e che poi sia responsabile nei confronti della società nel modo di vivere la proprietà materiale (la vita economica) o il potere (la vita politica). Certo, le incoerenze sono sempre possibili (e in una certa misura inevitabili), ma l’uomo vive un’inevitabile tendenza ad armonizzare tra loro i propri comportamenti. Chi è egoista nella sessualità, tenderà a esserlo anche negli altri campi della sua esistenza; e viceversa. Da qui la necessità e l’urgenza di un’educazione sessuale che sappia integrare l’esperienza del sesso nella visione più ampia della vita e dell’amore umano. Le nostre comunità debbono lavorare molto in vista di questo obiettivo; debbono proporre ai giovani dei modelli desiderabili di vita. Soprattutto debbono aiutare ad acquisire un senso critico sereno nei confronti delle prassi e delle convinzioni dominanti: la capacità di vedere quali sono le conseguenze di un certo modo di considerare la sessualità; quali sono le ripercussione nei rapporti interpersonali e in quelli sociali. Deve essere ben noto quello che Paolo ha scritto ci Corinzi a proposito delle contraddizioni che sono presenti in una condotta sessuale “pagana”: 1Cor 6,12-20.
3.2. Il lavoro, forma dell’amore Ma la sessualità non è tutto. Un’ulteriore dimensione essenziale dell’amore nella vita umana è quella della professione e del lavoro in genere. Attraverso il lavoro la persona mette in atto alcune sue abilità per produrre qualcosa di utile e apprezzato nella società: che il risultato del lavoro sia un prodotto materiale o intellettuale o spirituale, è in ogni modo qualcosa che contribuisce al benessere integrale (materiale, psicologico, relazionale, spirituale) degli altri. Per questo il lavoro ha una così grande importanza. Nella società contemporanea, il lavoro ha acquistato una dimensione di specializzazione sempre più spiccata e questo comporta un’acquisizione più complessa delle abilità necessarie per svolgerlo con efficacia. Ora, se il lavoro è una forma di amore per gli altri (e non ci possono essere dubbi su questo), anche tutto il tirocinio per apprendere le abilità necessarie a fare bene un lavoro sarà a sua volta una forma di amore. Diventa allora una forma di amore tutto il tempo e l’impegno messo nello studio, dall’apprendimento dell’abc alle diverse, sofisticate specializzazioni universitarie. È vero che non tutti i lavori richiedono studi lunghissimi. Chiunque ha solo un poco di esperienza, sa quale aiu-
to prezioso sia un buon elettricista o un buon idraulico. Ma rimane vero che diventa sempre più importante possedere nozioni anche complesse per fare bene un lavoro. Ci sono posti di responsabilità dai quali dipende il lavoro di migliaia di persone; non è possibile ricoprire queste responsabilità senza avere una preparazione adeguata (e senza possedere una altrettanto adeguata moralità). Da qui l’importanza di educare le giovani generazioni a uno studio serio e rigoroso, a un’azione precisa ed efficace. Rimane sempre valido e prezioso il vecchio adagio latino: age quod agis, e cioè: quando fai una cosa, falla bene; non fare una cosa pensando a un’altra; in quello che fai impegna mani e testa e cuore, tutto te stesso. Allora il risultato sarà certamente utile per te e molto probabilmente sarà utile per gli altri. L’approssimazione, la superficialità, la pigrizia non pagano mai. È vero che la società dello spettacolo offre a volte un quarto d’ora di successo sfolgorante anche a persone che non si sono impegnate molto, ma queste sono eccezioni e chi facesse conto su di esse andrebbe incontro a delusioni cocenti.
3.3. Diventare più umani Ma naturalmente l’educazione all’amore richiede ancora di più di quanto abbiamo detto; richiede lo sviluppo di sentimenti positivi, l’individuazione e il contrasto dei sentimenti negativi. Non sarebbe difficile ripercorrere le parti esortative delle lettere di san Paolo ed evidenziare questi precetti di vita. Si pensi, ad esempio, all’enumerazione che Paolo fa di quelle che egli chiama “le opere della carne”: “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere.” E, in contrasto, quello che egli definisce “il frutto dello Spirito”, cioè: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé.” (Gal 5,19-22) Nessuno può illudersi di essere cristiano se non si rispecchia in queste parole. Non voglio dire che il cristiano debba essere impeccabile; dico solo che deve essere chiaro nelle sue decisioni; che deve sapere che cosa lo rende più cristiano e che cosa lo rende meno cristiano, che cosa lo fa diventare più umano e che cosa invece offusca in lui l’umanità dell’uomo. Su questo non ci debbono essere ambiguità. L’uomo si costruisce con le scelte che fa; se fa scelte sbagliate, inevitabilmente costruisce una personalità sbagliata. Nei tran tran ordinari della vita, i difetti, le immaturità della persona rimangono nascosti dietro le abitudini di un quotidiano ripetitivo e di basso impegno. Ma quando s’impongono scelte importanti, le debolezze della personalità vengono a galla e producono danni gravi. Quante persone che nella vita seriale sono oneste e affabili si rivelano all’improvviso aggressive o violente o disoneste? Vuol dire che i comportamenti 40
corretti erano veri ma erano superficiali; non provenivano da una scelta consapevole ma da una conformità con la moralità corrente. Quando la vita ha messo di fronte a scelte che costavano, tutto l’edificio delle abitudini buone è crollato miseramente perché non aveva fondamento. Fino a che non rientriamo in noi stessi e non scegliamo noi, nella nostra libertà e responsabilità, quello che vogliamo essere, i nostri comportamenti rimarranno instabili, incoerenti. Può darsi che tutta la vita passi senza dover affrontare una prova grave e che si riesca a morire “galantuomini”; ma questo non è garantito a priori. E in ogni modo non è questa la vocazione del cristiano. Una fede che conduca alla mediocrità è una fede che non serve e che è pericolosamente vicina alla scomparsa.
CAPITOLO IV MISERICORDIA, CUORE DI DIO Ancora: una dimensione fondamentale dell’esistenza cristiana è quella della conversione. Il giusto non è quello che non pecca mai, ma rimane vero che “se il giusto cade sette volte, egli si rialza.” (Pr 24,16). Questo è evidente se si considera l’esistenza dell’uomo e del cristiano come la realizzazione di una vocazione all’amore totale di sé, quindi come un cammino di maturazione che non ha fine. Il confronto con il peccato accompagna come un’ombra l’esistenza dell’uomo, che egli ne sia consapevole o no. Anzi, quando l’uomo non è consapevole del suo peccato vuol dire che l’ha rimosso e quindi si trova in una condizione spirituale più pericolosa. Uno dei pericoli più gravi del peccato, infatti, è che tende a creare una corazza sempre più spessa di autodifesa spirituale. Siccome non posso cambiare il mio passato e quindi non posso cancellare i miei errori (il male che ho fatto), tento di giustificarli in modo consapevole o inconscio: “gli altri fanno peggio! Sono una persona umana e posso sbagliare! Ho fatto quello che era possibile: a nessuno si chiede di essere eroi!...” Il rischio di queste razionalizzazioni è che tendono a confermarmi nei miei errori e impediscono che la mia coscienza mi spinga a conversione. Quando un comportamento, anche sbagliato, è ripetuto più volte, non si sente più nemmeno il bisogno di discuterlo; va da sé e appare giustificato. Nasce quella che si chiama una “coscienza erronea”, che non sa più valutare il bene e il male. San Paolo descrive così questa condizione di corruzione interiore: “E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte [si tratta di comportamenti ingiusti, malvagi], non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.” (Rm 1,32) C’è un rimedio a questo degrado spirituale? C’è, e si chiama misericordia di Dio.
4.1. Misericordia, dono di Dio La misericordia è il modo proprio di Dio di essere giusto e di promuovere la giustizia nel cuore e nella società degli uomini. Cosa significa questa espressione? Una prima cosa: “Quando noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito… Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.” (Rm 5,6.8) Ancora: “È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.” (2Cor 5,19) Ciò che deve essere osservato in questi testi è che, davanti al peccato dell’uomo, è Dio che prende l’iniziativa. Dio non aspetta che l’uomo si converta e ritorni a lui (che pure è una cosa necessaria, come vedremo), ma è Lui che va incontro all’uomo peccatore e attua nei suoi confronti un’azione di perdono: Cristo è morto per noi! Dio non ha imputato agli uomini le loro colpe; e cioè: non ha lasciato che il peccato compisse la sua opera e giungesse a produrre la morte dell’uomo stesso. Ha invece risposto al peccato dell’uomo con un gesto di amore e di benevolenza, ha fatto Lui il primo passo (quanto è difficile questo primo passo!) e ha posto nella vita dell’uomo un dono di riconciliazione e cioè di amicizia, di comunione con Dio (con tutto ciò che questo comporta: perdono, vita nuova, speranza, consolazione, libertà interiore, gioia…).
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libertà non si sana senza di lei. Se la radice di male è dentro alla libertà dell’uomo è necessario che la libertà dell’uomo consenta all’azione di Dio, si lasci strappare il male di dosso, percorra un itinerario di conversione, di rinnovamento e di grazia. Solo in questo modo l’azione di Dio diventa realmente efficace. Se il cambiamento interiore non avviene, ciò è segno che l’azione di Dio non è stata realmente accolta nel cuore umano. Potremmo forse riassumere così: il peccato introduce nel cuore dell’uomo un dinamismo disgregante di morte; la misericordia di Dio dona all’uomo, anche al peccatore, un dinamismo divino di vita; se l’uomo, nella sua libertà, accoglie realmente il dono di Dio, il suo cuore diventa “buono”, “umano” e quindi comincia a produrre sentimenti e comportamenti buoni, umani. Se il cuore dell’uomo non comincia a produrre questi comportamenti nuovi e buoni, vuol dire che il cuore non è stato raggiunto realmente dalla grazia di Dio. Difetto della grazia che non era abbastanza grande? Mai. Difetto piuttosto del cuore umano che non è stato abbastanza docile.
4.3. Una misericordia senza limiti 4.2. Accogliere la misericordia Vuol dire allora che “tutto va bene così”? che Dio aggiusta tutto? che dobbiamo solo credere con un atto di fede al dono di Dio? Se uno sta all’aperto, viene inevitabilmente bagnato dalla pioggia che scende, senza bisogno di fare nulla. È così anche per il perdono di Dio? Sarebbe così se tutto si riducesse a una sentenza giuridica da pronunciare: se in tribunale viene pronunciata una sentenza di assoluzione, ogni accusa è cancellata e l’imputato può andarsene tranquillamente libero, quale che sia la sua reale condizione interiore: buono o cattivo, sincero o menzognero, leale o traditore. Ma per il peccato le cose stanno in modo diverso. Il peccato è per definizione una decisione libera che nasce nell’intimo della coscienza umana. Questa decisione ha degli effetti esterni all’uomo (se l’uomo ha rubato, per esempio, o frodato o offeso), ma ha degli effetti anche e soprattutto dentro l’uomo: se uno ruba, diventa disonesto; se mente, diventa bugiardo; se odia, diventa malvagio. Per vincere il peccato non basta cancellare la punizione esterna; bisogna cambiare il cuore, farlo diventare da disonesto onesto, da bugiardo sincero, da cattivo buono. E tutto questo non può avvenire senza il consenso, la condizione, l’impegno libero della persona. Il perdono di Dio, la riconciliazione in Cristo sono una forza di Dio capace di compiere il miracolo di assorbire il veleno, di ricostruire la coscienza, di rendere buono un cuore che si era piegato al male. Ma tutto questo significa sanare la libertà e la
Un’illustrazione precisa di questo dinamismo è la parabola del servo spietato in Mt 18,23-35. Un servo, che ha nei confronti del suo padrone un debito immenso, riceve gratuitamente e senza merito alcuno il condono del suo debito. Mentre però sta uscendo dal palazzo, egli s’imbatte in un collega che ha verso di lui un piccolo debito; e siccome il debitore non può pagare subito, egli lo fa gettare in prigione. A questo punto il padrone richiama il primo servo e usa nei suoi confronti la medesima misura che questi (il servo creditore) ha usato verso il suo collega (il servo debitore), cioè lo fa gettare in galera. Spiegazione: il re aveva davvero cancellato il debito del suo servo; ma quando il servo si rifiuta di usare misericordia nei confronti di un altro servo, con questo comportamento egli manifesta che il condono ricevuto non lo ha realmente cambiato; l’azione ‘buona’ del re-padrone non lo ha reso ‘buono’. È rimasto quello di prima, una persona senza pietà. Applicazione: la misericordia di Dio è senza limiti e Dio la usa nei confronti di tutti, anche dei peccatori più incalliti. Non c’è nessuno che debba considerarsi ‘definitivamente perduto’ di fronte a Dio, a causa delle sue colpe passate; ma l’uomo fa propria la misericordia di Dio solo quando almeno inizia a usare misericordia nei confronti degli altri. La conversione non è propriamente la ‘condizione previa’ del perdono di Dio ma è il modo concreto attraverso cui il perdono di Dio da grazia esterna diventa novità interiore di vita e solo a questo punto si può dire che il perdono è realmente effettivo. Ogni cristiano è chiamato a crescere verso la pienezza dell’amore; ma ogni cristiano conosce la sua fragilità e 42
sa per esperienza che questa crescita verso la pienezza (verso la santità) è costellata di cadute, più o meno gravi. Di fronte alle cadute ripetute potrebbe nascere la tentazione di disperare e cioè di non tendere più verso il traguardo dall’amore sincero, considerandolo troppo alto. La misericordia di Dio ci è assicurata proprio per evitare che questo avvenga, che una persona si rassegni alla mediocrità.
4.4. La Chiesa, casa della misericordia Nell’esperienza della comunità cristiana la misericordia di Dio è proclamata sempre di nuovo quando viene annunciato e insegnato il vangelo. Il fatto solo che la parola di Dio venga ai nostri orecchi, che quindi ci sia una parola di Dio per noi, è la dimostrazione chiara che Dio non ci è nemico. Se Dio condanna senza esitazioni i nostri peccati, il suo amore per noi rimane sempre integro. Il fatto che Egli continui a parlarci significa che ancora Egli spera in noi. Quindi l’ascolto della parola di Dio è esperienza della misericordia di Dio, possibilità di conversione, perdono dei peccati. Non solo: nell’eucaristia noi abbiamo il dono dell’amore di Dio che si è incarnato nella vita di Gesù e in particolare nella sua passione e morte. E siccome la passione e la morte di Gesù sono l’atto con cui Dio ci ha riconciliati a sé, tutte le volte che celebriamo l’eucaristia ci viene offerto il dono supremo della riconciliazione; la misericordia di Dio ci raggiunge ancora una volta. Non è un caso che l’eucaristia inizi sempre con un atto penitenziale nel quale ci presentiamo davanti a Dio come peccatori e chiediamo umilmente a Lui il perdono: si
può dire che Dio ci ha perdonato prima ancora che noi lo chiediamo perché il perdono di Dio è contenuto già nel sacrificio di Cristo. Ma abbiamo bisogno di chiedere il perdono per il motivo che abbiamo sopra ricordato: che in questo modo il perdono di Dio viene liberamente accolto nello spazio della nostra libertà. Ancora: san Pietro ha scritto che la carità copre una moltitudine di peccati e vuole dire che un modo concreto per accogliere dentro di noi il perdono di Dio è proprio quello di beneficare gli altri. Già l’avevamo capito dalla parabo-
la del debitore spietato. Se fosse stato capace di condonare al suo fratello il piccolo credito che vantava, il grande perdono di Dio avrebbe invaso la sua vita e lo avrebbe reso definitivamente salvo. Quando il cuore si apre con compassione verso gli altri, la nostra stessa vita viene rinnovata e rigenerata. Non si tratta solo di una causalità esterna. Il discorso non è: se tu fai il sacrificio di fare del bene a qualcuno, io, in compenso, ti perdono i tuoi peccati. Piuttosto: il peccato è una forma di mancanza di amore che produce nell’interiorità dell’uomo un (piccolo o grande) buco nero, un centro di disgregazione. Ma se, graziato dalla misericordia divina, nella libertà del cuore tu compi degli atti autentici di amore, questi atti personali distruggono le radici di egoismo, di cattiveria, di orgoglio dentro di te, purificano il tuo cuore e lo rendono sorgente di sentimenti e di azioni positive. Insomma, la misericordia di Dio è presente nella vita delle comunità cristiane in molti modi, proprio perché di questa misericordia abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo: l’ascolto del vangelo, la preghiera, la Messa, la carità e l’elemosina… sono tutti modi concreti attraverso i quali il nostro cuore si apre a ricevere il perdono di Dio, si lascia trasformare da questo perdono e si presenta davanti al mondo con comportamenti nuovi e sani. Ma non solo: nella Chiesa c’è un sacramento apposito nel quale la misericordia di Dio prende una forma umana precisa, quella dell’incontro personale con un confessore e della narrazione umile delle nostre colpe a lui.
4.5. Il sacramento della misericordia Il sacramento della confessione è lo strumento concreto con il quale Dio, attraverso la persona del confessore e quindi attraverso la Chiesa, ci accoglie con cuore paterno e ci dona un perdono pieno e senza condizioni di tutte le nostre colpe. I sacramenti sono segni sensibili che, vissuti con fede in obbedienza alla volontà di Dio, generano nel cuore dell’uomo la grazia di Dio e quindi santificano l’uomo. Generalmente i sacramenti sono celebrati con materiali concreti: l’acqua (il battesimo), l’olio profumato (la cresima), il pane e il vino (l’eucaristia)… Il sacramento della penitenza si compie attraverso l’incontro personale tra il confessore e il penitente; è questo incontro stesso che diventa luogo di azione della grazia di Dio. Il racconto delle proprie colpe che il penitente deve fare non ha come scopo quello di umiliare il penitente costringendolo a dire cose che danno un poco di vergogna, di punirlo per quanto ha fatto. Lo scopo è un altro: è quello di liberare davvero il cuore della persona. Fino a che il peccato rimane nascosto, è facile che la consapevolezza del nostro peccato sia debole; quando siamo costretti a narrarlo e ci rendiamo conto di quanto ci costi il narrarlo, allora la 43
percezione del nostro errore comincia a diventare più chiara e comincia a diventare più libera la strada della conversione. Per questo bisogna accettare lealmente il ‘gioco’ della confessione con le sue regole. Se baro al gioco, se minimizzo i miei errori, se nascondo quello che mi dà vergogna, ottengo solo l’effetto di impedire il perdono di Dio; mi sottraggo all’azione purificatrice del dialogo con Dio attraverso un fratello. Purtroppo molte delle nostre confessioni sono poco efficaci per questo; perché il racconto delle nostre colpe è banale, ripetitivo, non profondo; e quindi lo spazio interiore che noi offriamo all’azione di Dio è limitato. L’anno giubilare che ci apprestiamo a celebrare è un’occasione che non dobbiamo perdere. È vero che il perdono di Dio è donato sempre di nuovo; ma non è vero che noi saremo sempre pronti a riceverlo. I nostri peccati creano, poco alla volta, delle concrezioni dure, difficili da sgretolare; le confessioni banali creano, poco alla volta, un’abitudine alla superficialità che può rendere più difficile la consapevolezza del proprio peccato. Come In tutte le cose, anche nella confessione bisogna mettersi in gioco. Bisogna che ci sia in noi un desiderio vero di cambiamento; che siamo consapevoli di quali sono i punti deboli del nostro edificio spirituale. Questo è il motivo per cui il rito di Paolo VI chiede con insistenza che la celebrazione del sacramento della penitenza vada insieme con la proclamazione e l’ascolto della parola di Dio. La parola di Dio, dice la lettera agli Ebrei “è viva ed efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla.” (Eb 4,12) Sono infinite le astuzie che sappiamo inventare per non doverci riconoscere colpevoli o per non doverci riconoscere colpevoli di quel comportamento particolare. La parola di Dio è capace di distruggere le nostre difese; a condizione, s’intende, che ci mettiamo in ascolto con sincerità. “Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio [alla sua parola], ma tutto è nudo e scoperto davanti a Lui.” (Eb 4,13) Lo sguardo di Dio fa paura perché spazza via tutte le nostre giustificazioni e ci mette davve-
ro davanti a noi stessi; ma lo sguardo di Dio è nello stesso tempo terapeutico, perché non condanna senza appello, ma purifica. Se abbiamo il coraggio di stare davanti a Dio – di “litigare” con Lui, dice il profeta Isaia – allora i nostri peccati, fossero anche di un rosso scarlatto, diventeranno bianchi come neve, candidi come lana (Is 1,18). Una comunità cristiana deve avere nel suo progetto pastorale l’impegno di valorizzare la disciplina penitenziale della Chiesa in tutte le sue espressioni. Quanto ho detto, è solo un piccolo accenno. Bisognerebbe parlare più approfonditamente del senso del peccato; del tempo penitenziale per eccellenza che è la Quaresima; delle celebrazioni della Parola penitenziali… ma perlomeno l’argomento è stato accennato. Una delle povertà della nostra società è proprio quella di non avere sorgenti di perdono. L’effetto è che nessuno riesce a confessare sinceramente il proprio peccato e che la tendenza diffusa è quella di attribuire solo agli altri tutta la colpa di ciò che non va bene. La disciplina penitenziale della Chiesa, in tutte le sue diverse forme, è una ricchezza che possiamo offrire al mondo perché il mondo viva.
CONCLUSIONE È tempo, ormai, che chiuda questa lettera troppo lunga. L’avevo iniziata col desiderio di dire semplicemente la mia gioia e la mia riconoscenza per l’esperienza di fede e di comunione che mi avete permesso di fare. Poi, uno dopo l’altro, sono venuti fuori i problemi che mi stanno a cuore. Non sono tutti, ma sono certo problemi importanti: ve li consegno con fiducia invitandovi a riflettervi soprattutto negli incontri tra i presbiteri, nelle riunioni dei Consigli pastorali* ma anche in tutte le occasioni in cui i membri della comunità possono fare sentire la loro voce. Dio vi benedica e porti a compimento il cammino di fede e di carità che avete iniziato spinti dalla sua grazia. Brescia, 1 novembre 2015 Festa di Tutti i Santi + Luciano Monari Vescovo * Negli anni scorsi il Consiglio Pastorale Diocesano ha elaborato le linee di un Piano Pastorale in prospettiva missionaria. Ha cercato, in questo modo, di rispondere all’urgenza di impegno missionario che da anni andiamo ripetendo ma che non ha trovato ancora espressione adeguata nella riflessione e nella prassi. Mia intenzione, come ho già detto, è quella di fare mio tale progetto. Desidero, però, che, prima di una promulgazione ufficiale, il testo venga esaminato ed eventualmente migliorato dal Consiglio Presbiterale Diocesano che è l’organo di comunione attraverso il quale debbono passare le decisioni più importanti del vescovo. 44
La comunità di Botticino e i richiedenti asilo
PROTAGONISTI DI UN CAMBIAMENTO L’ uomo è in continuo divenire. Mutamento, movimento, trasformazione o, più semplicemente, uno scorrere senza fine della realtà. Senza scomodare uno dei principi cardine della storia filosofica occidentale, possiamo certamente trovare in ognuno di noi più rappresentazioni concrete e quotidiane di questo principio. Quante volte la nostra vita ha subito delle trasformazioni? Quanti cambiamenti, non solo personali, hanno stravolto la nostra familiarità? Chiunque fra noi, immagino, può trovare diverse risposte a queste domande. Prendendo in considerazione l’enormità e la velocità con cui la nostra società muta, ci troviamo forse più spesso di quanto non ci rendiamo conto ad avere a che fare con fenomeni, tecnologie, informazioni e terminologie lessicali rivoluzionarie. Ecco, è proprio in questo momento che possiamo entrare nel punto centrale di questo articolo, ci stiamo rendendo conto di essere in un frangente di estremo e continuo cambiamento? Senza timore di esagerare, siamo in un momento di rivoluzione culturale, sociale e storica; e così come siamo disposti a aggiornarci sulle più stravaganti innovazione tecnologiche, credo valga la pena anche predisporci a conoscere ciò che ormai giornalmente ci coinvolge più o meno direttamente. Puntualmente sono entrate nel gergo di ogni ente di informazione le espressioni “richiedente asilo” e “rifugiato politico”. Si sono inserite a seguito dell’imponete flusso migratorio che a partire dalla crisi del 2012 hanno visto muovere e scorrere milioni di vite, esistenze disposte a rischiare la propria incolumità pur di apportare una mutazione alle loro condizioni.
Ma chi sono i richiedenti asilo? Chi sono i rifugiati politici? O meglio, appurato il fatto che sempre di persone si tratta, in cosa consiste la richiesta d’asilo? La richiesta d’asilo è un diritto che tutti i cittadini stranieri, a parte i cittadini comunitari, hanno possibilità di inoltrare in Italia. Nel nostro paese sono previste tre differenti forme di protezione di cui beneficiano le persone che per diversi motivi non possono tornare in condizioni di sicurezza nei loro paesi di origine. Lo status di rifugiato protegge chi è costretto a lasciare il proprio paese perché perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, secondo la definizione stabilita dalla Convenzione di Ginevra. La protezione sussidiaria, introdotta dalla Normativa comunitaria, viene riconosciuta a chi rischia di subire un danno grave, come una condanna a morte, atti di tortura o trattamenti inumani o degradanti, minaccia alla vita come avviene in contesti di conflitto generalizzato, nel caso di ritorno nel paese di origine. Infine la protezione umanitaria che viene concessa quando si valuta su base individuale, che esistono gravi motivi di carattere umanitario per i quali il rimpatrio forzato potrebbe comportare serie conseguenze per la persona. Nell’ambito di collaborazione fra il Comune di Botticino, la Parrocchia del paese e la Cooperativa Sociale K-PAX Onlus, ecco che questo scorrere senza fine della realtà ha forse trovato un punto di arrivo, o anche solo una stazione intermedia per quattro persone, quattro richiedenti asilo. 45
“Ogni giorno, i richiedenti asilo ospiti della parrocchia di Botticino e della cooperativa K-Pax, frequentano corsi di italiano per riuscire ad integrarsi meglio nella loro comunità. La lingua inglese, che loro parlano fluentemente, non basta per comunicare qui in Italia!”
Come scritto all’inizio di queste righe, ancora una volta, il cambiamento è arrivato a raggiungere non solo la vita di chi il viaggio l’ha già compiuto, ma anche (e forse con maggior responsabilità) chi ha il compito di accogliere ed aiutare il mutamento degli altri. Si, perché è proprio il modo con cui accettiamo di affrontare la trasformazione personalmente che può portare ad un divenire migliore. Il grande calore con cui la comunità parrocchiale e il comune di Botticino ha accolto Francis, Isaac, Foster e Cosmos è la dimostrazione di tutto questo. Arrivati da Ghana e Nigeria, inconsapevoli individui corresponsabili di questa rivoluzione, inseriti nel flusso di movimento che è linfa vitale per le nostre vite, hanno visto trasformare un viaggio colmo di speranza in un inizio di qualcosa di nuovo. Attraverso attività di volontariato e piccoli lavori (raccolta olive, sfogliatura del mais, giardinaggio) stanno velocemente inserendosi nel contesto sociale italiano. I preziosi e generosi doni che hanno ricevuto (vestiti e cibo), rappresentano non solo un gesto pratico di accoglienza, ma anche un’idea di cortese stabilità, lasciando l’impressione che forse, almeno nell’esperienza di Botticino, la comunità ha accettato con grande prontezza i nuovi confronti conseguenti al nostro stato di perenne mutamento. Se è vero che l’uomo è in continuo divenire, grazie alla vostra comunità, il loro, può fermarsi un attimo.
Andrea Ferrarese Operatore Sociale Cooperativa Sociale K-PAX Onlus
l i r e p I G G A MESS
da don Isidoro Apostoli
U
NATALE
da don Oreste Ferrari Carissimi, buon Natale! È un Natale tutto particolare quello di quest’anno, forse un po’ più tristE o pieno di timori, almeno al momento in cui io scrivo, dovuti alla situazione politica e di terrorismo in cui si trova gran parte del mondo. È una sofferenza pensare di dover celebrare la venuta del Re della Pace mentre le zone stesse dove lui è nato e cresciuto e tutti quei paesi in cui il
n messaggino dall’Etiopia mi dicono che non può mancare. Eccomi. Proprio oggi ho avuto l’ispirazione giusta... per voi. 9 dicembre: festa di tutte le nazionalità (o gruppi etnici, o tribù se preferite) dell’Etiopia. Qui si va fieri della diversità. In una grande città del sud, Hawassa, la capitale dei “popoli del sud”, ad una grande rotonda si leggeva, e forse si legge ancora: la nostra diversita’ è la nostra bellezza; la nostra bellezza è la nostra unità. In tutte le città e nelle scuole e negli stadi è un tripudio di costumi, di danze, di musiche e di poesie. Non è la Babele che divide, è la Bellezza che unisce. Bisogna aprire gli occhi, vederla, guardarla e cantarla. Penso tutti sappiano che un grande scrittore russo diceva che la bellezza salverà il mondo.
ZARQA, Giordania, Santuario Maria Regina della Pace
Cristianesimo si è prima sviluppato stanno vivendo in guerra. D’altronde è stato così fin dal principio, fin dall’inizio fu rifiutato e alla fine fu ucciso. Quest’anno ho deciso di passare il Natale proprio tra questi fratelli. Dal 15 al 29 Dicembre mi recherò alla nostra missione di Zarqa in Giordania dove abbiamo accolto in casa nostra da più di un anno oltre 60 rifugiati Iracheni delle zone intorno a Mosul, ora una delle capitali del sultanato islamico. Nel nostro centro, inoltre, con la collaborazione della Caritas e di una associazione legata a Comunione e Liberazione, abbiamo messo in piedi dei corsi di istruzione per i bambini del campo profughi siriani che si trova a pochi chilometri da noi. Lì a Zarqa dove io ho lavorato dal 1996 al 2002, abbiamo una scuola media e superiore con oltre 550 allievi, 80% dei quali musulmani, e abbiamo inoltre un santuario dedicato a Maria Regina della pace, costruito per volere dei Cristiani del luogo, durante la Guerra del Golfo nel 1993. Il saluto Ebreo/Arabo “pace”, “Shalom”, “Salam” non vuol dire solo mancanza di guerra, ma vuol augurare a chi lo riceve prosperità, felicità, presenza di tutte quelle situazioni di vita, salute, lavoro che gli permettano di vivere veramente come uomo soddisfatto. Ecco perché il nostro contributo alla pace passa attraverso accoglienza, educazione, vicinanza. Da questo piccolo angolo di “pace” in mezzo a un mondo di guerra, vi giunga il mio augurio e la mia benedizione per questo Santo Natale. Con le parole del Papa vi dico: “Non lasciamoci rubare la speranza” e con le parole di Don Orione aggiungo: “Coraggio! L’ultimo a vincere sarà Cristo e Cristo vince semZARQA, Giordania, pre nella carità”. Festa di Natale all’Asilo Buon Natale! 46
senza numero, espressioni visibili del nostro Dio. Qualcuno mi sa dire quante sono le specie di fiori o di foglie o di piante o di frutti o di pietre o di animali? Contemplare è un invito a scoprire e a vivere di riconoscenza e di speranza. Alla culla di Betlemme potremmo pensare un attimo a tutto questo, e superare lo scandalo, forse, della nostre miopie che fanno del posto della sua nascita un’occasione di spartizione di potere, seppur religioso. Non l’aveva pensata così Lui. Se siete stati a Betlemme o a Gerusalemme al santo Sepolcro (=la tomba vuota) sarebbe più facile capire. Non importa. Magari riusciamo a pensarla come Lui ugualmente. Con Possiamo anche metterci un paio di occhiali e usare un po’ di fatica, ma è la porticina stretta e bassa necesmicroscopi e cannocchiali e provare a godere saria per passare alla salvezza. delle infinite varietà del nostro bellissimo mondo: A Betlemme è proprio così: bisogna abbassarsi per minerali, vegetali, animali. E poi l’immensità dello spazio con le sue fantastiche e entrare in quella chiesa. Dall’altra parte inginocchiamoci: perfette costruzioni astronomiche. sulla stella che indica la sua culla, baciandola, Tutto per noi, e per Gesù, il nostro prototipo, re, siamo per forza uno... e belli, messia e Signore. come dicevano gli antichi, cioè salvi. Siamo predestinati a godere di queste bellezze Buon Natale. E se la bellezza viene dalle tante diversità, anche queste salveranno il mondo. Voi “Lumbard” che ne dite? Sono anch’io lumbard. Se abbiamo ancora un po’ di sentimenti e visione cristiana del mondo suppongo che dovremmo essere d’accordo. Se poi coltiviamo la bellezza ancora di più. Una volta anche in Italia c’era il festival delle regioni. C’è ancora? Veniamo al bambinello che andiamo a trovare. Avrebbe portato, a detta di san Paolo, l’unione dei due popoli che c’erano prima di Cristo: gli ebrei e i pagani. I pagani, cioè noi, e loro. Guardando più avanti dopo la sua parabola terrestre è Lui che ha inviato lo Spirito, alla Pentecoste. E la Pentecoste è la più bella realtà della nostra (=di tutti) umanità unita e salvata.
da suor Erminia Apostoli
“…da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi…” 2 Cor 8,9 on finiremo mai abbastanza di contemplare questo grande mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, che si è fatto povero per arricchirci della sua vita divina. Ha preso carne della nostra carne. Ha preso su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, per comunicarci la misericordia infinita di Dio. Unita alle Sorelle della mia comunità, Sr Sekunda, Sr Bénigne, Sr Estella, Sr Fabiola e Sr Euphémie e alle piccole collaboratrici familiari auguro a tutti un Santo Natale e buon Anno 2016 ricco di misericordia ricevuta e donata. Chi sono queste piccole collaboratrici familiari, che fanno parte ormai della nostra vita, della nostra missione? Sono ragazzine, la maggioranza dai 10 ai 16 anni, che lasciano le loro famiglie, i loro villaggi; vengono in città in cerca di lavoro e fanno le “servette” nelle famiglie. Ogni sabato sera, dalle 20,30 alle 22,30, fedelmente, nonostante la fatica di una giornata, anzi di una settimana di lavoro (infatti lavorano 12-15 ore al giorno per sette giorni), si riuniscono in casa nostra per un tempo di formazione, vogliono imparare a leggere e scrivere e cucito, un po’ di preghiera, di svago o sfogo. Sono felicissime che “qualcuno si occupi di loro”. Come il nostro Santo, Arcangelo, al suo tempo si occupò delle ragazze che lasciavano le loro famiglie, la parrocchia, in cerca di lavoro, così a noi oggi è dato di occuparci di queste ragazzine che lasciano i loro villaggi, le loro case, le loro parrocchie per avere due soldi e poter aiutare la famiglia. Sosteneteci come potete, soprattutto con la preghiera, in questa nostra missione. Con affetto Sr Erminia Apostoli
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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -
NON SPEGNIAMO IL SOGNO DI DIO
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ffinché la Chiesa in Italia rinnovi il suo annuncio missionario e la sua efficacia pastorale, dal 7 all’11 novembre 2015 a Firenze si è celebrato l’importante Convegno di metà decennio intorno all’affascinante tema antropologico: “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”. Per segnare sinteticamente la rotta del pensiero e offrire già una strada di azione comune, sono stati evidenziati cinque verbi basilari che riprendono la prassi salvifica di Cristo: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Ora, a pochi giorni dal meraviglioso evento dell’Incontro Mondiale delle Famiglie a Filadelfia, ancora una volta si è potuto toccare con mano quanto le azioni indicate nel Convegno di Firenze siano in piena sintonia con il pensiero di Papa Francesco e con i suoi più importanti gesti di pastore. Al fine di mettere in evidenza questa evangelica sinergia, prendo spunto proprio da uno degli interventi del Santo padre negli Stati Uniti, quello offerto ai vescovi riuniti in plenaria presso il Seminario “San Carlo Borromeo” (domenica 27 settembre 2015). Ecco il sogno del Papa per rinnovare l’umanità in Cristo, partendo dalle fondamenta, la famiglia fondata sul matrimonio, piccola chiesa domestica e cellula della società. “La famiglia, infatti, per la Chiesa, non è prima di tutto un motivo di preoccupazione, ma la felice conferma della benedizione di Dio al capolavoro della creazione.
Ogni giorno, in tutti gli angoli del pianeta, la Chiesa ha motivo di rallegrarsi con il Signore per il dono di quel popolo numeroso di famiglie che, anche nelle prove più dure, onorano le promesse e custodiscono la fede! Ecco, direi che il primo slancio pastorale che questo impegnativo passaggio d’epoca ci chiede è proprio un passo deciso nella linea di questo riconoscimento. La stima e la gratitudine devono prevalere sul lamento, nonostante tutti gli ostacoli che abbiamo di fronte. La famiglia è il luogo fondamentale dell’alleanza della Chiesa con la creazione, con questa creazione di Dio, che Dio ha benedetto l’ultimo giorno con una famiglia. Senza la famiglia, anche la Chiesa non esisterebbe: non potrebbe essere quello che deve essere, ossia segno e strumento dell’unità del genere umano (cfr Lumen Gentium 1)”. Pur rendendosi conto delle tante fragilità del mondo presente e delle ferite profonde nelle vicende umane, soprattutto nel contesto familiare, il Papa, con senso di realtà e speranza evangelica, chiede di guardare alle giovani generazioni e a non temere ad annunciare il matrimonio sacramento. “Oserei dire che una delle principali povertà o radici di tante situazioni contemporanee consiste nella solitudine radicale a cui si trovano costrette tante persone. Inseguendo un “mi piace”, inseguendo l’aumento del numero dei “followers” in una qualsiasi rete sociale, così le persone seguono – così seguiamo – la proposta offerta da questa società contemporanea. Una solitudine timorosa dell’impegno in una ricerca sfrenata di sentirsi riconosciuti. Dobbiamo condannare i nostri giovani per essere cresciuti in questa società? Dobbiamo scomunicarli perché vivono in questo mondo? Essi devono sentirsi dire dai loro pastori frasi come: “una volta era meglio”; “il mondo è un disastro e, se continua così, non sappiamo dove andremo a finire”? Questo mi suona come un tango argentino! No, non credo, non credo che sia questa la strada Noi pastori, sulle orme del Pasto48
pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia re, siamo invitati a cercare, accompagnare, sollevare, curare le ferite del nostro tempo. Guardare la realtà con gli occhi di chi sa di essere chiamato al movimento, alla conversione pastorale. Il mondo oggi ci chiede con insistenza questa conversione pastorale. «È vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugi, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno» (Evangelii Gaudium, 23)”. E sul finire del discorso, Francesco ritorna sulla necessità della conversione pastorale per una rinsaldata comunione tra famiglia e Chiesa. “Fratelli, Dio ci conceda il dono di questa nuova prossimità tra la famiglia e la Chiesa. Ne ha bisogno la famiglia, ne ha bisogno la Chiesa, ne abbiamo bisogno noi pastori. La famiglia è il nostro alleato, la nostra finestra sul mondo; la famiglia è l’evidenza di una benedizione irrevocabile di Dio destinata a tutti i figli di questa storia difficile e bellissima della creazione che Dio ci ha chiesto di servire! Tante grazie!”. Il Convegno ecclesiale di Firenze, ha riservato importanti novità e stimoli eccezionali per la missione delle Chiesa italiana, posto significativamente a metà del decennio dedicato al tema dell’educazione (9- 13 novembre). Come le cinque dita della mano misericordiosa del Padre, così è stata riaffermata l’unica via “prismatica” dell’opera salvifica compiuta nel Signore Risorto, lasciando a noi ora le cinque piste della medesima strada per annunciare ad ogni essere umano la presenza del Regno di Dio. Nel Figlio unigenito fatto uomo, la misericordia del Padre ha “preso carne”: è uscita verso di noi, ha annunciato la salvezza in opere e parole, ha preso casa nella nostra umanità, ha saputo educare, formare un popolo nuovo (la Chiesa), ha trasfigurato se stesso con la sua morte e risurrezione, affinché anche noi potessimo prendere la figura di figli per l’eternità. Anche la pastorale familiare si deve sentire interrogata da questa conversione missionaria di tutto il mondo ecclesiale, mediando con linguaggi e tempi propri queste cinque strade di testimonianza e di incontro, con Cristo e con l’umanità. “Uscire” come genuino ed entusiasta movimento evangelico per incontrare quell’umano che spesso non intercettiamo ed insieme costruire relazioni capaci di Cristo; “Annunciare” per dire il significato e il valore del matrimonio sacramento, della vita familiare fatta di relazioni feconde di comunione; “Abitare” nel senso di saper stare nelle più diverse situazioni con umiltà e accoglienza, ma anche nel significato di riqualificare il nostro modo di vivere tempo
e spazio nelle situazioni familiari; “Educare” sapendo che l’essere umano è capace di trascendersi, migliorarsi, andare oltre e può fare questo soprattutto attraverso percorsi efficaci di crescita, “Retrouvaille” propone weekend capaci però coniugi che vivono un momen di tenere per to di difficoltà, di grave crisi, che presente tutpensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritro to l’umano vare se stessi e una relazione di e sempre in coppia chiara e stabile. relazioni di Per info: info@retrouvaille.it e www. retrouvaille.it. testimonianza (es.: sposi che educano altri in cammino verso il matrimonio); “Trasfigurare” come meta dell’incontro con Cristo, per prendere la sua forma, cambiare assumendo i suoi sentimenti (cfr. Filippesi), soprattutto in quella cellula fondamentale per la società e quello strumento imprescindibile di vangelo dell’amore che è la famiglia. Il presidente del Comitato organizzatore di questo quinto Sinodo dal Vaticano II, mons. Nosiglia, nel suo discorso introduttivo ha puntato soprattutto su quattro ambiti che oggi necessitano di questa conversione pastorale, nello stile delle cinque vie: uno sguardo speranzoso su tutto l’umano; la famiglia fondata sul matrimonio; l’educazione integrale della persona; il rapporto responsabile col creato. Su questa stessa linea si era già espresso a più riprese anche il Card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, e nel Convegno lo ha nuovamente ribadito, rafforzando l’illuminato discorso inaugurale di papa Francesco. Per Bagnasco non devono più esistere lontani da cui siamo troppo distanti, ma semmai prossimi da raggiungere col Vangelo. Non basta credere in Dio, bisogna dire quanto Dio ci importa, ci tocca in profondità, tanto da poter dare la vita per Lui.
numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896
don Giorgio Comini segretariato diocesano pastorale familiare
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L’AMORE E’ LA NOSTRA MISSIONE
CREATI PER LA GIOIA Dedichiamo questo spazio agli spunti offerti dalle 10 Catechesi per L’incontro Mondiale delle Famiglie svoltosi a Philadelphia il cui titolo generale è “L’amore è la nostra missione. La famiglia pienamente viva”.
S
coprirsi dentro un disegno più grande che racchiude anche i nostri propri progetti, scoprirsi voluti e amati da qualcuno, scoprire che non siamo noi il fondamento di tutto non è avvilente. Anzi, questa dinamica del dono per cui la vita non ce la siamo data ma qualcuno ci ha chiamato ad essa e ne ha avuto cura fin dall’inizio è una grande speranza: la radice del nostro esserci è l’amore ed è anche la chiave della nostra realizzazione. “L’uomo - sia uomo che donna - è l’unico essere tra le creature del mondo visibile che Dio Creatore «ha voluto per se stesso»: è dunque una persona. L’essere persona significa: tendere alla realizzazione di, che non può compiersi se non «mediante un dono sincero di sé». Modello di una tale interpretazione della persona è Dio stesso come Trinità, come comunione di Persone. Dire che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di questo Dio vuol dire anche che l’uomo è chiamato ad esistere «per» gli altri, a diventare un dono” (DM 7). Questo è quanto iscritto nella nostra umanità, come uomini e donne e per vivere questa vocazione ci vuole tutta la vita, non è una meta che una volta raggiunta ….
Al di fuori di questa scelta di vita regna l’illusione che il compimento siamo noi, che ce lo diamo da noi stessi o peggio che gli altri debbano esserlo per noi. Così perdiamo la coscienza della nostra radice creaturale, dell’essere figli del Padre e non rendiamo giustizia alla dignità di chi ci sta accanto. Cambia il nostro sguardo sugli altri, sul coniuge, sui figli, sui famigliari, sul nostro servizio pastorale, sulla nostra vocazione. Cambia il fine che diamo alla vita e il senso della sua fine. Ma L’amore di Dio Padre precede da sempre la nostra fragilità, la nostra fatica ad amare, il nostro peccato e si è spinto fino ad assumersi la nostra natura umana in Cristo Gesù, che nella carne ha dato la vita amando fino alla fine. La famiglia è pienamente viva quando attinge a questo amore, lo vive nel concreto delle relazioni e dei legami e lo offre perché la presenza di Cristo risorto sia salvezza e liberazione anche per altri. Questa è la sua missione. Chiara Pedraccini
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UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI” - PARROCCHIE DI BOTTICINO
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Scuola don Orione
SCUOLA PRIMARIA E SECONDARIA DI PRIMO GRADO
paritarie
via Don Orione 1 Botticino Sera
“
Oltre lo speciale: insegnare e apprendere nelle differenze Scuole speciali ... ma esistono ancora?
R
Parrocchie di Botticino
isale al lontano 1977 la legge che aboliva scuole speciali, classi differenziali, istituti per ragazzi difficili e emarginati. Non si capisce bene perché solo la scuola Don Orione dovrebbe essere sopravvissuta e appartenere a una categoria ormai morta e sepolta. Eppure pregiudizi e maldicenze continuano a circolare, ignorando quanto avviene davvero nelle nostre classi dove si fa Cultura, Educazione e Formazione in un clima sereno di attenzione ai bisogni di ciascuno e alla qualità delle relazioni. Più volte siamo tornati su questo argomento fornendo dati reali sui risultati ottenuti dagli studenti della nostra scuola, nella speranza che l’oggettività numerica fugasse ogni dubbio sulla sua identità di scuola perfettamente in linea con i parametri di rendimento richiesti a qualsiasi altra (vedi l’ Invalsi, la certificazione delle competenze e tutte le altre indicazioni provenienti dal Miur). Chi siamo? Siamo la scuola primaria e secondaria di primo grado paritaria Don Orione a gestione parrocchiale/diocesana. Perché scuola paritaria? Perché è inserita nel sistema scolastico integrato italiano ed europeo che prevede la coesistenza di scuole pubbliche a gestione statale e scuole pubbliche a gestione privata. La scuola paritaria offre un servizio pubblico, inoltre la nostra non essendo parificata non comporta costi per lo Stato, se non per la Dote scuola che la Regione Lombardia elargisce alle famiglie in base al reddito Isee. Speriamo così di avere chiarito anche il fraintendimento di chi pensa che sottraiamo risorse allo stato. Non dimentichiamo: le famiglie pagano una retta! Perché Don Orione? Perché la congregazione ha lasciato alla Parrocchia di Botticino l’onore e l’onere di gestire una scuola che ricordasse la grande figura di questo santo, seguendone lo stile e il clima di accoglienza, serietà, grande impegno a favore delle nuove generazioni che Don Orione amava definire “sole o tempesta del domani” . Perché parrocchiale/diocesana? Perché la parrocchia e la diocesi hanno fatto la scelta di sostenere e credere nella scuola, importante realtà per la formazione di buoni cittadini e possibili buoni cristiani.
LA SCUOLA DON ORIONE SI PRESENTA
L
a scuola don Orione di Botticino è una scuola primaria e secondaria di primo grado paritaria parrocchiale. Essa è inserita nel sistema scolastico integrato che prevede la coesistenza di scuole pubbliche a gestione statale e scuole pubbliche a gestione privata. La parrocchia e la diocesi hanno creduto nell’operato della scuola e hanno deciso di sostenerla e supportarla poiché la ritengono un’agenzia educativa significativa sul territorio che opera nell’ottica della formazione di buoni cittadini e di buoni cristiani. La scuola, grazie alle competenze didattiche e metodologiche del corpo docente e alla costante tensione verso i nuovi bisogni dei bambini e dei preadolescenti, garantisce l’assimilazione in modo sistematico e critico della cultura in linea con le indicazioni ministeriali, incentivando e motivando ogni singolo alunno nel proprio percorso di apprendimento. Attualmente sono iscritti presso la scuola 39 alunni alla scuola secondaria di I grado e 64 alla scuola primaria, provenienti da Botticino e zone limitrofe. 52
Per il prossimo anno scolastico la scuola metterà in atto alcuni progetti tra i quali ricordiamo: • Progetto continuità con la scuola dell’Infanzia e con la scuola Primaria • Progetto di musicoterapia • Progetto di Educazione alla salute e all’affettività’ PERCHÉ SCEGLIERE LA SCUOLA DON ORIONE PER LA CRESCITA FORMATIVA E SPIRITUALE DEI PROPRI FIGLI?
Abbiamo tentato di individuare alcune buone motivazioni: 1. Perché appartiene alla comunità ecclesiale e civile, “famiglia di famiglie” 2. Perché è attenta alla crescita integrale di ciascun alunno/a 3. Perché è un’ambiente accogliente ed inclusivo 4. Perché crede nella sinergia e nel rapporto di collaborazione tra scuola e famiglia 5. Perché la didattica e’ innovativa 6. Perché sostiene le fragilità e nello stesso tempo favorisce e stimola le eccellenze 7. Perché viene riservata una particolare attenzione all’educazione alla cittadinanza 8. Perché offre una serie di servizi aggiuntivi a costi concorrenziali (prescuola- mensa- doposcuola) 9. Perché le famiglie possono essere aiutate economicamente tramite la Dote scuola regionale e dalla Diocesi nel sostenere il pagamento della retta.
I SERVIZI OFFERTI:
frequenza scolastica: da lunedì a venerdì - dalle 7,50 alle 13,30 per la scuola secondaria di I grado - dalle 8,15 alle 12,15 e dalle 14,00 alle 16,00 per la primaria
Giovani: sole o tempesta del domani” don Orione
RETTA ANNUALE E COSTI AGGIUNTIVI
Scuola Primaria: € 1.900,00 suddivisi in 10 rate mensili Scuola Secondaria: € 2.900,00 suddivisi in 10 rate mensili 1. Accoglienza vigilata dalle ore 7,30 ( costo annuale € 50,00) 2. Servizio mensa (costo euro 5,50 al pasto) 3. Servizio di doposcuola dalle ore 14,30 alle ore 16,30 per la scuola secondaria di I grado e dalle ore 16,00 alle ore 17,30 per la scuola primaria con costi flessibili in base al numero dei giorni di frequenza
ATTIVITÀ INTEGRATIVE EXTRACURRICOLARI :
• Corsi di pianoforte, chitarra, danza • English Summer (due settimane di full immersion nella lingua inglese con docenti madrelingua) • A scuola fino alla fine di giugno (senza costi aggiuntivi ) e campus a fine agosto- settembre Nel ricordarvi l’open day di sabato 23 gennaio 2016, vi invitiamo a venire a visitare la scuola!
Contatti
Via Don Orione, 1, 25082 Botticino Sera (BS)
PER INFO E ISCRIZIONI SEGRETERIA SCUOLA
Via Don Orione, 1 - 25082 Botticino Sera (BS) 0302691141 Fax: 030.269.23.32 (lun-ven 7,45-13,00) email: sc.media.donorione@botticino.it sito web:scuoladonorionebotticino.blogspot.com Preside: prof.ssa Domenica Busi - 340 9863488 Delegato per la gestione: dott. Giorgio Adriano - 3388343101 53
CONTRIBUTI ALLE FAMIGLIE PER ISCRIZIONI SCUOLA CATTOLICA Alla cortese attenzione delle Scuole Cattoliche della Provincia di Brescia La Fondazione Comunità e Scuola, anche grazie al contributo della Diocesi di Brescia e di altri donatori, rinnova per l'A.S. 2015/16 il Bando per borse di studio per gli studenti frequentanti scuole cattoliche, come sostegno al reddito. Lo stan ziamento complessivo sarà, anche quest’anno, di circa 40.000 euro Alla presente comunicazione seguirà, nei prossimi giorni, il Regolamento attuati vo, ma anticipiamo alcune informazioni, nella speranza che questo progetto possa essere un aiuto alle scuole (anche nella fase di raccolta iscrizioni) ed alle famiglie. L'entità dei contributi sarà indicativamente di - € 250/300,00 per la scuola primaria, - € 400/500,00 per la scuola secondaria di 1° grado, - € 600/700,00 per la scuola secondaria di 2° grado. Per accedere al bando sarà condizione necessaria una attestazione ISEE, in cor so di validità, inferiore a € 12.000,00 ( ma per famiglie con più di un figlio frequen tante scuole cattoliche e per famiglie numerose, cioè a partire da 4 figli conviventi ISEE fino a € 16.000,00). Non saranno considerate le domande di studenti che abbiano già ricevuto per l'A.S. 2015/16 contributi da altri enti benefici. Saranno accettate solo le domande presentate dalle scuole con una lettera ac compagnatoria che illustri la singola situazione; inoltre per migliorare l'efficacia del progetto saranno accettate anche le situazioni particolari opportunamente segnalate dalle scuole stesse. La raccolta delle domande avverrà a gennaio e i contributi saranno erogati alla fine di marzo circa. Ricordiamo, inoltre, che anche la Regione Lombardia ha deliberato la Dote Regio ne per il 2015/16 (cfr. allegato qui sotto). Il contributo regionale è cumulabile alla Borsa di “Comunità e scuola”.
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PARROCCHIE DI BOTTICINO - GREST NATALIZIO
GRINV 2015 GRande INverno, il grest invernale
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È inverno. Da secoli tra il popolo dei nani e quello degli umani non scorre buon sangue, ma i loro rapporti sono rimasti perlopiù neutrali; ognuno finge che l’altro non esista, e nella valle tutto scorre tranquillo. Ognuno per sé, nel proprio villaggio di cartone, passa il tempo come meglio gli riesce: ripara le abitazioni, costruisce oggetti e monili, cerca risorse per garantire la propria sussistenza e quella dei propri compagni. Nessuno dei due può immaginare che l’altro custodisce un sapere segreto e prezioso, né ciascuno riesce neanche a comprendere quanto lo sia il proprio. Riusciranno i due popoli ad aprire un canale di comunicazione, che permetta loro di scoprire il tesoro che c’è nell’altro? Potrai scoprirlo solo partecipando al favoloso GRINV 2015, epico* gioco di strategia con personaggi reali (voi) dal finale aperto. Età: preferibilmente dalla 3a elem. Giorni: 27-28-29-30 dicembre 2015 Luogo: Oratorio di Botticino Sera Costo: 40€ Orario: dalle 9.00 alle 17.00 (accoglienza dalle ore 8.00)
Tra le attività che verranno svolte: -forgiatura di oggetti; -costruzione di edifici; -tornei tra popoli; il tutto con vero Cartone!
ISCRIZIONI PRESSO SEGRETERIA ENTRO IL 24 DICEMBRE: 030 2692094
OGNUNO DOVRÀ MUNIRSI DI PRANZO AL SACCO! NON VERRANNO FORNITE CIBARIE AI CITTADINI *ATTENZIONE: POTREBBE RISULTARE MENO EPICO DEL PREVISTO. GLI ORGANIZZATORI NON SI ASSUMONO RESPONSABILITÀ IN CASO DI MANCANZA DI NEVE
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Presepio San Gallo 31° edizione Puntuale come ogni Natale torna anche quest’anno il presepio del gruppo dell’oratorio di San Gallo. L’appuntamento ormai divenuto un classi co si rinnova e propone l’evento della na scita di Gesù in un’ambientazione nuova, un paese immaginario dove la gente si in contra e diventa comunità.... Il gruppo di volontari che si è occupato della realizzazione, composto da giovani e adulti, dai primi giorni di ottobre, si è ritrovato nei locali dell’oratorio per consegnare ai visitatori un presepio rinnovato in ogni suo particolare e sempre emozionante. Grazie al consueto ausilio dei personaggi in movimento, della colonna sonora con oltre dieci punti voce e dell’alternarsi del giorno e della notte, accompagnati anche da fenomeni meteorologici quali pioggia, neve e nebbia, il mistero che si rivela con umiltà potrà essere vissuto da quanti accorreranno in una scenografia quasi reale. Per quanti lo vorranno il presepio sarà visitabile da Natale fino al 17 gennaio nei giorni festivi dalle ore 10,30 alle 12,00 e dalle 14,30 alle 19,00 e nei giorni feriali fino al 5 gennaio dalle ore 14,00 alle 17,00. Buon Natale! Gruppo Presepio Oratorio di San Gallo
RIVIVERE LA NATIVITÀ NELLA QUOTIDIANITÀ A SAN GALLO di BOTTICINO IL MUSEO ETNOGRAFICO DIVENTA
PRESEPIO VIVENTE
Il 4° presepio vivente del “Castelliere ai Cap “ di San Gallo assume anche quest'anno un significato particolare perchè è il Museo etnografico che prende vita con tutti gli strumenti di lavoro tipici della tradizione locale e della civiltà contadina. Una quarantina di figuranti, provenienti da paesi diversi, sono impegnati a far rivivere la natività nella quotidianità della vita sociale, domestica o lavorativa d'altri tempi, in quel clima di solidale convivenza che caratterizzava la vita delle nostre contrade. “Anche i grandi sono stati bambini in mezzo a noi” sarà inoltre, a sorpresa, il tema di uno spazio dedicato all'anno montiniano. La sacra rappresentazione verrà proposta in un ambiente di rara suggestione; tra strutture rinascimentali e vedute paesaggistiche che spaziano dal monte Maddalena alla pianura, dal lago di Garda agli Appennini. Si segnala la partecipazione di vari gruppi musicali: le bande di Rezzato e Botticino, gli zampognari e i cantori diretti dal maestro Lazzarini e la presenza straordinaria del noto cantautore bresciano Francesco Braghini. Gli appuntamenti per rivivere la magia della Natività nel presepio sono fissati nei giorni 25, 26 e 27 dicembre 2015, 3 e 6 gennaio 2016, dalle ore 17 alle 19, presso l'azienda agrituristica “Il Castelliere ai Cap”, in via Maddalena 5, a San Gallo di Botticino. 56
LAVORI IN CORSO BOTTICINO SERA
CAMPANILE
Continua l’iniziativa: “UNA PIETRA PER IL CAMPANILE”. Il costo dell’intervento è di € 70.850,00. Il costo è stato diviso in pietre e ne servono 1.417, del valore ciascuna di € 50,00, per coprire l’intera spesa. Ogni persona, famiglia o gruppo potrà dare il corrispettivo di una o più pietre. Il contributo si può versare in sacrestia, in segreteria o al parroco, in modo anonimo o nominale. Verrà redatta una targa con segnato, per chi lo desidera, il nome di chi aderisce, anche ricordando un defunto, un anniversario, una nascita… In ogni caso saranno colorate una o più pietre sul modello a seconda dell’importo donato. Per le Ditte è possibile scegliere la forma “offerte deducibili”. Al 13 dicembre 2015 sono state offerte 178 pietre (€ 8.920); ne mancano ancora 1.239!
BOTTICINO MATTINA
ORGANO
Continua l’iniziativa “ADOTTIAMO LE CANNE DELL’ORGANO”. Il costo corrisponde a 1146 canne, del valore ciascuna di € 46,00. Al 13 dicembre 2015 sono state offerte 791 canne (€ 36.407,50); ne mancano ancora 355!
TETTO DELLA CANONICA E TEATRO E RICUPERO SOTTOTETTO
- Sistemato il tetto della canonica e del teatro si è in attesa delle autorizzazioni per continuare il ricavo di due appartamenti nel sottotetto da adibire a famiglie bisognose. Per tale opera un gruppo di famiglie di Mattina ha offerto € 6.000,00.
CAMPANA SAN NICOLA
- E’ stato necessario cambiare nella chiesa di S.Nicola, il ceppo in legno della campana e il battacchio, con una spesa di € 1500,00.
SAN GALLO - Siamo ancora in attesa di avere da parte dei tecnici incaricati le proposte di intervento per la messa in sicurezza della chiesa parrocchiale. Appena possibile verrà convocata un’assemblea aperta a tutti i parrocchiani per vedere insieme il da farsi. - In questi giorni viene sostituita la caldaia per il riscaldamento del bar dell’oratorio.
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4 giorni a ROMA da Papa FRANCESCO per il GIUBILEO dei RAGAZZI dai 13 ai 16 anni
PREZZI CONTENUTI !!! informazioni dettagliate verranno date al più presto
a tutti i partecipanti verrà consegnato il KIT DEL GIUBILEO dei ragazzi
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USO BOTTICINO Con le festività natalizie finiscono i gironi di andata dei campionati di calcio che vedono impegnate le squadre dell’ U.S.O. BOTTICINO. Un doveroso ringraziamento agli allenatori che seguono gli atleti negli allenamenti con passione e competenza. Un ringraziamento ai genitori che con la loro costante presenza e aiuto ci permettono di svolgere al meglio il nostro compito. Con la presente l’U.S.O. BOTTICINO, con DUMPER, augura a tutta l’UNITA’ PASTORALE un BUON NATALE e un felice Anno Nuovo. Il Presidente Stefano Franchini
giornata mondiale della gioventu’ informazioni e iscrizioni presso parroco e animatori
dai 17 ai 35 anni
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PROGETTO LEGALITÀ:
SPORCHIAMOCI LE MANI
L'
uso di Internet ed il cyberbullismo, ad esso collegato, sono fenomeni che coinvolgono un numero crescente di giovani in Italia e nel mondo. Per comprendere meglio le radici di questo e per fare prevenzione in ambito adolescenziale è neces sario accompagnare i giovani nel loro percorso di crescita "virtuale", facendo in modo che lo sviluppo delle competenze relative alla tecnologia sia accompagnato da una crescente consapevolezza nell´uso di tali strumenti. Per questo motivo un gruppo di genitori ha deciso di aderire ad un corso di formazione sul tema del cyberbullismo, con l´intento di fornire spunti di riflessione teorica, accompagnati da indi cazioni utili a chiunque avesse voluto confrontarsi con questo problema; si configura perciò come un valido supporto nella prevenzione del fenomeno. L' offerta consisteva e consiste in un progetto che coinvolge Domenico Geracitano, Patrizia Meo e Jessica Tinini attraverso degli incontri formativi con docenti, alunni e famiglie costruendo una rete. Il progetto di prevenzione al fenomeno è rivolto: -agli adulti, per far capire che “sicurezza web” non significa solo “proteggere i ragazzi dalla Rete” da gruppi estremisti, fanatici, da sette, adescatori, pedopornografia e altre cose simili. - ai ragazzi, per far comprendere loro che il mondo virtuale, come quello reale ha le sue regole e non è affatto “il luogo” dove poter fare tutto ciò che si vuole (illecito compreso) e tutto quello che nel mondo reale non farebbero mai. Con un po’ di attenzione, infatti, INTERNET può rappresentare una grande opportunità per il futuro, sia per gli adulti che per i ragazzi. Vuole essere una guida per aiutare i ragazzi ma anche gli adulti a conoscere un po’ di più il mondo virtuale, cer cando da una parte di far comprendere agli adulti quanto sia importante riuscire a conoscere il mondo virtuale anche solo per parlare con i ragazzi e aiutarli mentre navigano in Internet e utilizzano tali tecnologie, e dall’altra di far capire ai ragazzi che in internet non è solo tutto “rose e fiori”, tutto positivo ma ci sono anche delle insidie che devono essere conosciute per riuscire a navigare nel migliore dei modi e in sicurezza. Vuole far riflettere, vuole essere uno spunto di riflessione tra ragazzi, adulti, insegnanti, genitori ed educatori. Alcuni genitori, come quelli intervenuti vener dì 30/10/2015 presso la sala “Tadini”, hanno deciso di aprire gli occhi per saperne di più, per poter essere d'aiuto a tutta la comunità. Condividiamo con voi le nostre riflessioni perché “Internet è un mondo che ha bisogno di gente che sappia come costruirlo, non di spettatori passivi e senza parole”. Ecco qui di seguito i nostri consigli o per me glio dire il nostro decalogo. 60
10 TOCCHI PER FAR RETE DI DOMENICO GERACITANO, RIVISTI DA NOI GENITORI
PREMESSA: Questo è il primo tentativo di fornire un libretto di istruzioni all'uso responsabile di smarthphone ed internet non incluso nei tradizionali manuali d'uso di Apple, Samsung,.... E' una sorta di contratto su modello dei veri contratti di licenza d'uso da sottoscrivere con i nostri figli. Perchè dare le giuste competenze vuol dire dare anche delle regole a noi e ai nostri figli, i maggiori fruitori delle nuove tecnologie, per un invito ad usarle in modo responsabile ed intelligente. 1.Computer e cellulari non sono il “diario segreto” dei nostri ragazzi, quindi noi genitori possiamo, se non dobbiamo, essere a conoscenza di ciò che accade quando i nostri figli sono in rete. Perciò non abbiate paura di condividere con loro la Password, non solo per un libero accesso ma anche per una maggiore tutela. 2. Internet deve diventare un'attività familiare, cioè si può navigare insieme per condividere alcuni siti. 3. Spieghiamo l'utilizzo intelligente del telefonino intelligente, traduzione letterale di smartphone: ACCENDIAMO IL CERVELLO PRIMA DI UTILIZZARLO. 4. Il mondo virtuale non è un Selfservice aperto 24 ore su 24, quindi non dobbiamo aver paura di fissare e concordare orari prestabiliti, limiti di tempo e di utilizzo. 5. Non sottovalutiamo ciò che viene postato in rete, perché infatti può condizionare la vita futura dei nostri figli. E' infatti impossibile far sparire foto, commenti, frasi ingiuriose o infamanti da questo spazio come la “cattiva reputazione” ad essi connessa. 6. Insegniamo la buona educazione in rete, informiamoli che esiste l'identità virtuale e che non bisogna usare la tecnologia per mentire, deridere, ingannare o fare del male a un altro essere umano. Basta non scrivere in messaggio o in una mail ciò che non si direbbe mai di persona o in presenza di adulti. 7. Ricordiamo loro che esistono dei pericoli legati ad internet quali Sexting, Cyberbullismo, Pedofilia online, Dipendenza da videogiochi online, Dipendenza da internet. Noi genitori sappiamo sempre con chi chattano, siamo sicuri di ciò che fanno. 8. Controlliamo in fine ciò che i nostri figli fanno nel mondo virtuale e quali siano i loro interessi. 9. Osservare i nostri figli e le loro reazioni ci aiutano a capire quando è il momento di dire “ basta” alle comunicazioni virtuali. 10. E per finire ricordiamoci che INTERNET E' UNA GRANDE OPPORTUNITA', BASTA CONOSCERLA PER UTILIZZARLA CORRETTAMENTE. DIPENDE TUTTO DA NOI. N.B.: Se volete saperne di più acqui state il libro “INTERNET UN NUOVO MONDO.COSTRUIAMOLO” di Domenico Geracitano. È importante confrontarsi su questo tema e che se ne parli, perché è attra verso il discorso tra tutti noi che pos siamo migliorare il mondo virtuale e cercare di limitarne gli aspetti negativi che saranno sempre presenti. È per questo motivo che abbiamo deciso di coinvolgere maggiormente le famiglie per sensibilizzarle rispetto a questo tema e per cercare di favorire un dia logo circa queste tematiche. I genitori partecipanti 61
CONSIGLI
per imparare ad amare i figli ADOLESCENTI quando lo meritano meno Pretendere di abbracciare il significato e le sfide dell’adolescenza in un articolo o in un cortometraggio è un compito impossibile. Quello che però possiamo fare, basandoci sul video proposto, è offrire quattro idee generali su questa tappa della vita, che aiutino i genitori o i formatori di adolescenti a riflettere e a indagare un po’ di più su quello che implica il fatto di accompagnare un essere umano in questo momento della sua esistenza, in cui si mette in gioco una cosa così importante come avanzare verso l’autonomia responsabile e gettare solide basi per la maturità psicologica e l’adattamento sociale. 1. L’adolescenza non è un capitolo da reality C’è un’idea che a causa della proliferazione di contenuti mediatici sembra essere universale: la crisi dell’adolescenza è una tappa orribile in cui i genitori devono approntare scudi e lance per poterla superare. Non è così. L’adolescenza non si manifesta necessariamente in una ribellione quasi delinquenziale e demenziale. Quei giovani perduti che si vedono in televisione, che arrivano anche ad aggredire fisicamente i genitori, sono questo: casi eccezionali per lo schermo che non riguardano neanche il 15% degli adolescenti in generale. In genere, inoltre, questo tipo di condotta è direttamente correlata a problemi familiari più strutturali che non sono il tema di questo post. Se si è fatto un buon lavoro per formare i figli fin dall’infanzia, la cosa più probabile è che ci sia un adolescente che vive la sua crisi di crescita e i suoi dubbi personali senza sangue né barriere. Considerare l’adolescenza una crisi dalle tinte patologiche non farà altro che far interpretare tutti i comportamenti del figlio come qualcosa di negativo e genererà un atteggiamento difensivo da parte dei genitori. L’adolescenza sì, è una crisi, ma una crisi nella via della maturità. I genitori, come ci dice Gerardo Castillo Ceballos nel suo libro “El adolescente y sus retos: la aventura de hacerse mayor”, “vedendo l’a-
dolescenza come una malattia reprimono condotte che sono normali in questa età e che svolgono una funzione necessaria allo sviluppo personale. Hanno qui origine alcuni atteggiamenti negativi di molti genitori di figli adolescenti: l’autorità impositiva; l’incomprensione; la mancanza di rispetto; l’intolleranza; l’impazienza; la sfiducia. Sono genitori che anziché aiutare i figli a esercitare le nuove capacità (riflessione, senso critico, ragionamento, autonomia morale, intimità, apertura all’amicizia…) si dedicano, con le migliori intenzioni, a ostacolarle. In questo modo non solo ritardano la maturazione dei propri figli, ma provocano situazioni di mancanza di comunicazione e conflitto”. 2. Gli adulti sono guide alpine, non gli escursionisti L’adolescenza è un processo di costruzione personale. Questo vuol dire che nulla può sostituire il protagonismo dell’adolescente in questa tappa. Anche se i genitori sono artefici dell’educazione dei propri figli, il loro vero compito è essere un’autorità per loro. Qui ci riferiamo all’autorità come quando diciamo “il dottor Rossi è un’autorità in pediatria”, ovvero quando confidiamo pienamente nel criterio del dottor Rossi nel curare un bambino. Non perché Rossi grida o impone, ma perché dimostra con la sua azione professionale di essere competente. Nel caso dei genitori, intendiamo l’autorità come ci dicono Bárbara Sotomayor Rodríguez e Alberto Masó Portabella nel loro libro Padres que dejan huella: cómo ganarse la autoridad y el ser líder de tus hijos, ovvero come “quella competenza che possiedono per portare i propri figli alla maturità”. Per raggiungere questo obiettivo non ci si possono aspettare risultati a breve termine né si può vivere per i figli. Il ruolo di un genitore è essere una guida. “La guida alpina non cammina per gli escursionisti. Sono loro che devono camminare fino ad arrivare 62
3. L’adolescenza e lo tsunami affettivo Se c’è una cosa che caratterizza l’adolescenza è la “valanga” affettiva che in genere spiazza gli adulti. Nella pubertà l’adolescente inizia a sperimentare cambiamenti fisici che poi si spostano all’intimità, generando crisi di personalità, per poi finire, se è stato compiuto un buon cammino fin dall’inizio, in una tappa di equilibrio ed entusiasmo per la vita. Tutto questo in un periodo di circa 10 anni. In questo “tour dell’escursionista” appaiono risposte esagerate, grida, porte sbattute, pianti e ira che rivoluzionano la convivenza fino a quel momento pacifica. Questa valanga di emozioni si può manifestare anche nel ritrarsi, nell’incomunicabilità e nell’abbattimento. Ad ogni modo, ciò che conta è sapere che l’adolescente non è impazzito né è posseduto da un entità sconosciuta che ha soppiantato il tenero bambino che si aveva fino a poco prima. Prima di chiamare l’esorcista del quartiere, è raccomandabile cercare di capirlo, accettarlo e saperlo guidare (accompagnarlo). Per fare questo, è compito di ogni genitore o formatore informarsi e cercare aiuto per compiere i passi giusti come guide, creando un ambiente che favorisca l’adattamento del ragazzo. C’è letteratura in abbondanza al riguardo, come non mancano persone qualificate. Quello che non si deve fare è far passare inosservata questa tappa senza sapere come agire. Prevenire è meglio che lamentarsi in seguito, soprattutto se parliamo della vita di un figlio.
descrive una realtà che in definitiva non cambia quando quel piccolo bambino che guardava solo attraverso i nostri occhi diventa quell’essere strano che ci sembra più complicato di una formula di fisica quantistica. Ma, come dice bene il testo citato, in famiglia si ama permanentemente per il fatto di essere, di esistere, indipendentemente dal ruolo sociale o professionale. Non è un amore condizionato. È in famiglia che si entra liberamente e con fiducia, lasciando fuori tutte le maschere, perché dentro casa non sono più necessarie. Ed è con quell’amore che si devono amare i figli adolescenti, nonostante le loro grida, le sgarberie o le crisi esistenziali. Perché non si tratta solo di accettarli e quindi amarli con rassegnazione. È qualcosa di più grande: è solo attraverso un amore incondizionato – senza abbandonare la fermezza e l’esigenza – che riusciranno a compiere quel grande passo dall’infanzia all’età adulta in modo armonioso, sentendosi sicuri di sé, con un’autostima salutare e con speranza per il futuro. Amarli non è una cosa che si deve dare loro come premio per la buona condotta. Al contrario. Solo con un amore sereno e maturo da parte dei genitori impareranno ad amare in modo maturo, completo e incondizionato se stessi e il prossimo. Una cosa senz’altro imprescindibile per raggiungere la vera felicità.
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a destinazione. La guida non può neanche restare al rifugio e dire agli escursionisti di seguire le sue indicazioni. La guida e gli escursionisti camminano insieme. La differenza è che questo ha più esperienza degli altri”.
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CORSI ATTIVI PRESSO L’ORATORIO DI BOTTICINO
Il Teen STAR è un programma di educazione affettiva e sessuale diffuso in 40 nazioni. Un metodo educativo che considera la sessualità come un fattore che incide su tutta la persona nei suoi aspetti fisici, intellettuali, emozionali, sociali e spirituali. Il Teen STAR forma tutors che lavorando con gli adolescenti integrano nel processo formativo anche i genitori.
4. In famiglia si ama per il fatto di essere “Chi può non domandare alla famiglia umana di essere una vera famiglia, una vera comunità, dove si sta amando l’uomo, dove si sta amando ciascuno per il solo titolo che è un uomo, che è quello unico, irripetibile, che è una persona?”. Con queste parole Giovanni Paolo II
OBIETTIVI:
• Rinforzare l’identità e l’autostima attraverso il riconoscimento di sé. • Dare ai giovani un’educazione sessuale che li renda consapevoli della capacità biologica di essere padri e madri. • Promuovere la sessualità come una delle caratteristiche proprie dell’essere umano sviluppando il rispetto per il dono della vita. • Approfondire la capacità di prendere delle decisioni libere e responsabili. • Aiutare i giovani a comprendere che l’uomo è desiderio infinito di amare ed essere amato, la sessualità manifesta il suo profondo significato conducendo la persona al dono di sé nell’amore.
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AVVENTO - NATALE "TUTTI TI CERCANO" La vita pubblica di Gesù è appena iniziata e già “tutti lo cercano”. Sebbene cerchi di evitare che si diffonda la notizia dei suoi miracoli e delle sue guarigioni (cfr. Mc 1, 44), sono esse a fare il “tut to esaurito” intorno a Lui. E se Lui si preoccupa di predicare e pregare, tutti lo cercano per quello che fa. Inizia anche così, nei nostri ragazzi, una fede un po’ ingenua e un po’ superficiale, che deve però tradursi nel riconoscimento serio della presenza di Dio nella propria vita, padre di Misericordia, che li bera dall’angoscia e dalle paure per aprire ad una vita nuova. Ed ecco che incontriamo Gesù, il libera tore, sulla strada della speranza: Gesù che ci libera dalla pressione della legge (che non ci giustifica), dal peso del peccato, dal tentativo di trovare noi stessi attraverso il potere, il denaro, il divertimento. Quando incontriamo la misericordia di Gesù invo chiamo come il salmista: “Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido” (Sal 40).
...NELL'IMMAGINE
Gli sguardi e i volti di tutti gli apostoli rappresentati da Duccio sono rivolti verso Gesù. Sono volti tristi e impauriti, volti che rivelano una mancanza, un vuoto. Gesù che entra nel cenacolo chiuso si offre agli sguardi degli apostoli. La speranza entra nella vita degli apostoli APPROFONDISCI
Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato. (Papa Francesco MV, 2) 64
La speranza – so poco di lei. Se non che già ne sfolgora il suo viso che così illuminato mi ricorda la nube di fuoco del querceto un po’ sopra il nevaio. Senza questo, mi dico, anche meno. Anche meno saprei. (M. Luzi, Il corpo oscuro della metamorfosi)
IL TEMPO DELLA PACE "IN COMPAGNIA DI GIACOMO E GIOVANNI" Gesù ha da poco chiamato i suoi primi apostoli e già vive la sua missione con loro. In compagnia, eti mologicamente, con coloro con cui spezza il pane. L’amicizia è la chiave del nuovo rapporto con Dio, di cui Gesù ci fa partecipi: “non vi chiamo più servi ma amici” (Gv 15, 15). Il mese di gennaio, che tradizionalmente vede gli oratori impegnati a ricordare il tema della pace e la settimana educativa, sarà un’occasione per con centrare la nostra attenzione sulla nostra capacità di misericordia nei confronti degli ultimi, gli stranie ri, i lontani. Siamo in grado di vivere un rapporto di accoglienza che vuole diventare amicizia o il no stro approccio è quello paternalistico di chi si sente “superiore”? Del resto, affrontando con loro questo tema con l’approccio dei grandi santi educatori, pos siamo facilmente osservare come gli ultimi e i più piccoli sono stati i preferiti nell’azione educativa.
...NELL'IMMAGINE
Proviamo a contare gli apostoli nel cenacolo: sono 10. Mancano Giuda, che ha tradito, e Tommaso. Gli altri sono tutti insieme. Giacomo, Giovanni, Pietro… L’amicizia tra gli apostoli non svanisce neppure nel momento incerto e angoscioso dell’assenza di Gesù. E Gesù si fa presente: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18, 20) APPROFONDISCI Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provo cati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna so vrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo. [Papa Francesco MV, 15]
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Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è misura per il suo valore. Un amico fedele è medicina che dà vita: lo troveranno quelli che temono il Signore. Chi teme il Signore sa scegliere gli amici: come è lui, tali saranno i suoi amici. (Sir 6, 14-17)
Da San Gallo a Sankt Gallen Gita/Pellegrinaggio dell’Unità Pastorale di Botticino
Il senso di un viaggio può assumere molteplici valenze: c’è la dimensione della relazione umana, dell’essere uno accanto all’altro, dello scambio di idee; c’è la dimensione dell’esperienza di luoghi nuovi, città e paesaggi. Ma quando un viaggio, anche se breve, assume il carattere di pellegrinaggio verso Qualcuno, allora l’esperienza diventa esistenziale, soprattutto spirituale. Il viaggio-pellegrinaggio dell’Unità Pastorale di Botticino, da San Gallo verso Santk Gallen, città e monastero fondati dal monaco benedettino San Gallo, ha assunto questa dimensione: uscire dalla nostra piccola realtà parrocchiale per andare “verso” un’altra comunità cristiana, lontana geograficamente ma profondamente collegata da un tessuto religioso alimentato da quelle radici cristiane comuni che hanno vivificato l’Europa fin dai lontani secoli dell’Alto Medioevo ad opera del monachesimo benedettino, che ha lasciato anche da noi segni visibili, nei monasteri della Trinità e di San Pietro in Monte di Serle. Numeroso il gruppo, ben nutrito quello dei “sangallini”! Si corre veloci nella brumosa pianura padana, attraverso il passo Ceneri si entra nel Canton Ticino: passo Ceneri, luogo di sinistra fama un tempo, regno di briganti e taglieggiatori! Oggi, invece, un meraviglioso arcobaleno ci accompagna per molti chilometri, quasi a smentire quella nomea.
L’uscita della galleria del Gottardo ci svela un panorama grigio e nebbioso. Davanti gli occhi scorrono fitti boschi, distese di pascoli punteggiati dalle immancabili mucche, villaggi che sembrano usciti dalle fiabe dei fratelli Grimm. È il cuore della Svizzera, la terra della dolce Heidi. Sulle ali della fantasia si vola alla scoperta dei luoghi dove “lei viveva” in un paesaggio bucolico. L’indicazione stradale Schwyz risveglia ricordi storici legati alla nascita della Confederazione Svizzera: in questo piccolo Cantone, nel lontano 1291, in un prato, si stipulò il giuramento di mutuo soccorso fra i primi tre Cantoni: Schwyz, Ur e Obwalden. La memoria va anche alla storia avventurosa di Guglielmo Tell, vissuto in questi luoghi, eroe nazionale, simbolo della fierezza di queste genti. L’avvenimento, in parte leggendario della balestra e della mela da colpire, posata, per ordine del tiranno Gessler, sulla testa del figlio, rappresenta un’icona incancellabile nell’immaginario storico dei popoli! La grande facciata convessa del chiostro di Einsieldeln ci preannuncia la magnificenza della grande basilica, ricca di stucchi ed affreschi barocchi. La Messa celebrata nella piccola cappella della Madonna Nera, ritenuta miracolosa è un momento di raccoglimento e comunione fra noi pellegrini. Le ombre delle sera calano veloci e ci accompagnano nella visita ad uno dei più incantevoli paesi della Svizzera, Stein am Rhein:
Donato dalla Parrocchia di San Gallo (Svizzera) alla Parrocchia di S.Bartolomeo in San Gallo di Botticino in occasione della visita delle parrocchie di Botticino alla festa di San Gallo, il 16 ottobre 2015. Il quadro è un particolare di una copia presa da un libro della Biblioteca di St. Gallen (Cod. Sang. 602, pagina 43). Questo libro contiene biografie dei santi di St.Gallen (Gallus, Magnus, Otmar e Wiborada), illustrato con 142 miniature. È stato scritto/dipinto a St. Gallen, tra 1451 e 1460 in allemanno (“allemannisch”). 66
16 ottobre 2015 St. Gallen (Svizzera) Gruppo di Botticino al termine del Pontificale celebrato dal Vescovo in occasione della Festa Patronale di San Gallo.
edifici medievali, bovindi fiabeschi, facciate decorate. Finalmente Sankt Gallen ci accoglie con alcuni fiocchi di neve. Bella città, pulita con edifici ornati dai tipici “erker”, finestre a sporto, con graziosi intagli. È il momento più significativo del pellegrinaggio: nella grandiosa cattedrale la Messa episcopale. È una cerimonia senza tempo, coinvolgente e accompagnata dal possente coro. Nell’omelia il Vescovo presenta all’Assemblea e ringrazia il gruppo dei pellegrini bresciani venuti da lontano per onorare San Gallo. Ci sentiamo onorati e commossi da questa inaspettata accoglienza. Il parroco Don Beat ci guida nella cripta ove è custodita la reliquia del monaco e illustra i momenti salienti della vita del Santo, giunto dalla lontana Irlanda con San Colombano per evangelizzare quelle popolazioni pagane e fondare il monastero faro di religiosità e cultura per molti secoli. Il dono di un quadro rappresentante San Gallo suggella il gemellaggio spirituale tra le due comunità. Questo quadro è un particolare di una copia presa da un libro della biblioteca di St. Gallen (codice 602), che contiene le biografie dei Santi della città (San Gallo, San Mainardo e altri). Il manoscritto illustrato da 142 miniature, è stato steso a St. Gallen tra il 1451 e il 1460 in lingua alemanna (tedesco antico).
In religioso silenzio visitiamo la biblioteca ricca di 150.000 pergamene incunabili, manoscritti. Possiamo visionare con una certa emozione, il più antico manoscritto delle leggi dell’Editto di Rotari, duca di Brescia nel VII secolo e re dei longobardi. Uno spunto di legittimo orgoglio per noi bresciani, ci fa notare la guida, aver avuto un antenato di tale portata! Non poteva mancare una degna conclusione “laica” del pellegrinaggio; la “contemplazione” delle cascate del Reno, con l’assordante tuono delle sua acque vorticose e la visita all’isola di Mainau, luogo magico straordinario tripudio floreale, indimenticabile immersione nella natura. È ormai tempo del ritorno, del ricordare, del rinsaldare anche vecchie amicizie e allacciarne di nuove. Viaggiare ha il potere sempre di cambiare le persone; e le persone quando cambiano hanno sempre qualcosa da raccontare, trasmettere e testimoniare nel tempo azioni e parole. Doveroso un ringraziamento agli organizzatori Don Raffaele e diacono Pietro che hanno offerto alla nostra Comunità la possibilità di allacciare un dialogo culturale e religioso tra due realtà parrocchiali unite nella volontà di testimoniare oggi, nelle diverse situazioni temporali, quella fede che animò San Gallo nella sua opera evangelizzatrice. Giulio
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E’ disponibile il libro su
padre Giovanni Franzoni con allegata la pubblicazione su
fra Rocco Dora
missionari botticinesi
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ome annunciato sul Bollettino dell'Unità Pastorale (Pasqua 2015) sono lieto di salutare la stampa del libro dedicato alla vita del missionario francescano botticinese Padre Giovanni Franzoni. È dal 2008, centenario della morte di Padre Franzoni, che si è cominciato a mettere a fuoco la vita del missionario botticinese morto in terra cinese. Si prese contatto con gli archivi francescani che ci misero a disposizione le copie delle lettere e del necrologio. Si consultarono libri in cui si parlava della sua vita, si cercarono eventuali testimonianze sopravvissute al tempo e si assegnò il compito di ricostruire gli eventi più significativi della vita di Padre Franzoni a Gio. Pietro Biemmi, appassionato di storia locale. L'intento principale era di risvegliare l'interesse della comunità su un illustre personaggio che ai più risultava sconosciuto, lasciando eventualmente ad altri la possibilità di approfondire aspetti della multiforme personalità di Padre Franzoni che qui sono stati appena sfiorati. La storia di Padre Franzoni è patrimonio della comunità ed è compito nostro conoscerla e valorizzarla. Intendo ringraziare le comunità francescane che ci hanno fornito documenti ed informazioni: P. Abele Calufetti, P. Giancarlo Colombo, P. Massimiliano Taroni del Segretariato per le Missioni dei Frati Minori Lombardi di Milano. Ringrazio quanti hanno collaborato con Gio. Pietro Biemmi alla stesura del testo. Un ringraziamento particolare va ai fratelli Ettore e Fausto Lonati che, tramite la Fondazione Lonati, hanno voluto finanziare l'iniziativa dedicandola alla memoria del fratello Tiberio. Allegato al libro c’è la pubblicazione di P. Massimiliano Taroni che racconta la vita di un’altro botticinese, Fra Rocco Dora, Servo di Dio, morto a solo 36 anni a Bengasi. Nella pubblicazione si legge: “Le cronache della missione attestano che da quel giorno - giorno della sua morte - non vi fu più alcuna vittima del vaiolo, fra i cittadini di Bengasi. In quel tempo fu convinzione comune che ciò dovesse ascriversi all’offerta generosa dell’umile frate di Botticino Sera, che a soli 36 anni offrì la sua giovane vita, per salvare quella degli abitanti di Bengasi”. don Raffaele
INTRODUZIONE DELL’AUTORE GIO.PIETRO BIEMMI
Parlare della vita di Padre Franzoni (Padre Giovanni da Capistrano dell’Ordine dei Frati Minori Francescani), nato a Botticino Sera nel 1838 e missionario in Cina per 42 anni ininterrottamente fino alla sua morte avvenuta nel 1908, significa ripercorrere un pezzo di storia della nostra comunità. Vuol dire riscoprire nomi e volti di persone che lo hanno accompagnato nel cammino della sua vocazione. Significa parlare della sua personalità, della vita avventurosa che lo ha portato in terra cinese in un periodo storico turbolento, in cui i cristiani si sono trovati esposti a violente persecuzioni. Padre Franzoni merita di essere riscoperto. Probabilmente è il primo botticinese ad entrare in contatto con quella terra lontana, facendola diventare una nuova patria che mai più abbandonerà. Ne assumerà gli usi ed i costumi, la lingua, la scrittura, parteciperà intensamente alle drammatiche vicende che hanno coinvolto la sua missione. Oggi quel popolo lontano a cui Padre Franzoni ha dedicato la sua vita, per motivi diversi è presente tra di noi e vari imprenditori botticinesi intrattengono relazioni con la Cina. 68
E’ in stampa il libro di Avelino Busi e Fabio Secondi
“SUI CAMPANILI DI BOTTICINO” Le campane botticinesi simboli della comunità
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alla parola “campanile” deriva il termine “campanilismo” che il dizionario linguistico De Agostini definisce: “Attaccamento fanatico, gretto e meschino al proprio luogo natale.” Ma che colpa ne ha il campanile di vedersi attriTesti: Avelino Busi, Fabio Secondi buire un termine così negativo? In realtà, ancora oggi, questo Ricerche documentali: Giacomo Rossi edificio gode, in generale, di una buona reputazione. InolContributi di: Don Sandro Gorni, Gio. Pietro Biemmi, Nadia Lonati tre la letteratura e la poesia è sempre stata generosa nei suoi Relazioni tecniche: Angela Squassina, Michele confronti riservandogli giudizi più che positivi. In passato è Massarelli, Santo Tonoli sempre stato considerato un emblema delle varie comunità. Nella civiltà contadina il campanile scandiva lo scorrere del tempo e annunciava gli eventi tristi e lieti della vita quotidiana, segnalando, con la campana a martello, i pericoli imminenti; inoltre, la sua presenza è sempre stata percepita come elemento protettivo al punto da essere definita pastore vigilante sulle case del paese. Il suo aspetto e la sua funzione hanno sempre fatto breccia nel cuore della gente tale da alimentare sentimenti di affetto, ricordi ed emozioni soprattutto in coloro che dovevano emigrare. Chi lasciava il proprio paese se ne andava portandosi impresso nell’anima il ricordo del proprio campanile. Ora i tempi sono mutati e ci troviamo catapultati in una altra civiltà, quella industriale, dove ai prolungati silenzi della civiltà contadina sono subentrate le turbolenze e le frenesie del giorno d’oggi. Ora anche il campanile viene guardato con sospetto e questo è un segnale certamente non positivo. I tempi purtroppo stanno cambiando tumultuosamente ed è bene sospendere ogni commento anche perché il discorso ci porterebbe lontano. A questo punto va evidenziato che gli autori della presente ricerca sui tre campanili di Sera, Mattina e San Gallo hanno fatto bene ad unire i risultati in un unico testo, conferendo così un significato che va ben oltre le singole ricerche. Qui, le storie di tre campanili vengono raccontate insieme, in un unico opuscolo, diventando espressione di una comunità allargata, meno incline al “campanilismo”. Anche se i tre campanili continueranno a scandire i loro suoni nel territorio di appartenenza, ora la loro eco risuonerà nelle altre parrocchie come espressione di una unica comunità.
“Noi suoneremo le nostre campane” “Suonate pure le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane”. Così rispose Pier Capponi alle minacce degli ambasciatori di Carlo V che minacciavano l’assedio di Firenze. Questa frase, celebre per il senso di fierezza che esprime, è testimonianza storica, per quanto laica, dell’importanza e del significato delle campane che sono nate e si sono sviluppate come emblema di una comunità, di legame fra i suoi componenti, simboli di forza morale, civile e religiosa di un gruppo di persone. Tutti noi, specie chi è avanti negli anni, abbiamo un ricordo (felice, triste, nostalgico,...) legato al suono delle campane: l’Angelus che alla sera richiamava i lavoratori dai campi, il mezzogiorno festoso, i rintocchi a “morto” che parlavano di un parente, di un amico che ci aveva lasciato, l’avvertimento di un pericolo in arrivo, la chiamata a raccolta,... Nessuno può scordare il suono dellecampane “slegate” e battenti a festa la vigilia di Pasqua, all’approssimarsi della notte, quando le nostre mamme ci bagnavano gli occhi, come auspicio al mantenimento di una buona vista; noi ignari del significato religioso ci chiedevamo come mai quel suono che ci solletica-
va tanto l’udito, servisse ad un senso diverso, la vista ... ed ora, quello stesso scampanio, rinfocola la nostra nostalgia per quei momenti, per quelle emozioni ... Il suono delle campane è stato, volta a volta, strumento sociale per raccogliere il popolo, dettare i tempi del lavoro, e del riposo, è stato strumento religioso che dava, e tuttora dà, una connotazione concreta ai sentimenti di donne e uomini chiamati alle pratiche liturgiche di fronte al mistero dell’umanità che si rapporta a Dio; quel suono è stato momento di allegria, consolazione, aiuto, nello scandire i momenti della vita quotidiana. Quel suono è stato il simbolo sonoro della comunità raccolta intorno al campanile,ne ha dettato i tempi e il loro scorrere. Oggi la sempre più frequente richiesta di zittirle è uno dei segni dell’individualismo, dell’estremo pensiero dell’io egocentrico che vorrebbe dare un ritmo personale alla propria angoscia del vivere. Restituire la loro storia alle campane delle nostre contrade è un modo, seppure modesto, di riportare al senso di comunità uno strumento che la modernità e la tecnica hanno cambiato. Non è un’operazione nostalgica, ma la consapevolezza che il futuro ha radici antiche. E tra quelle radici ci sono anche i “sacri bronzi”. 69
UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ - PARROCCHIE DI BOTTICINO
BENELUX - OLANDA - FIANDRE GERMANIA con i Santuari di Beauraing e Banneaux 13 - 20 giugno 2016
1° GIORNO ITALIA – COLMAR – LUSSEMBURGO
Ritrovo dei partecipanti e partenza in pullman riservato Gran Turismo per COLMAR. Pranzo a Colmar. Pomeriggio proseguimento per STRASBURGO – LUSSEMBURGO. In serata arrivo a Lussemburgo. Sistemazione in albergo, cena e pernottamento.
2° GIORNO LUSSEMBURGO – BEAURAING – BRUXELLES
6° GIORNO AMSTERDAM - OLANDA SETTENTRIONALE – AACHEN Prima colazione. Visita di VOLENDAM E MARKEN, pittoreschi villaggi di pescatori – ALKMAAR, la grande diga. Pranzo a Volendam. Nel pomeriggio partenza per Aachen. In serata sistemazione in albergo a Aachen, cena e pernottamento.
Prima colazione. Partenza per Beauraing. Visita del santuario e pranzo. Proseguimento per Bruxelles. Arrivo a Bruxelles e visita della città. In serata sistemazione in albergo, cena e pernottamento.
7° GIORNO AACHEN – BANNEAUX - HEIDELBERG
5° GIORNO AMSTERDAM
La quota comprende: - Sistemazione in hotel 3* 4* in camere doppie con servizi- Trattamento di pensione completa dal pranzo del primo giorno al pranzo dell’ultimo giorno - Guida locale per le visite come da programma - Assicurazione medico/bagaglio- Org tec. Agenzia Vadus Viaggi srl
Prima colazione e visita della cattedrale. Al termine partenza per Banneaux, arrivo e visita della città e del Santuario della Madonna dei Poveri, dove apparve otto volte a par3° GIORNO BRUXELLES – GENT – BRUGES – BRUXELLES tire dal 15 gennaio 1933. Pranzo in ristorante . Nel pomeriggio proseguimento per Heidelberg, arrivo sistemazione Dopo la prima colazione. Intera giornata dedicata alla visita nella camere riservate. Cena e pernottamento. di Bruges e Gand. Pranzo a Bruges. Nel pomeriggio continuazione delle visite. 8° GIORNO: HEIDELBERG - BOTTICINO In serata rientro in albergo, cena e pernottamento. Prima colazione, visita della città e partenza per il rientro in 4° GIORNO OLANDA MERIDIONALE – AMSTERDAM Italia . Pranzo in ristorante. Arrivo previsto in serata nei luoghi di partenza. Prima colazione. Partenza per Delf, nota per le ceramiche blu. Pranzo a Delft. Pomeriggio inizio delle visite: DELFT Quota individuale di partecipazione € 1.100,00 - HAARLEM – L’AIA, sede del governo e del palazzo della (Comprensivo di € 90,00 per bevande e € 40,00 cassa Pace - AMSTERDAM. In serata sistemazione in albergo ad comune) Supp. camera singola € 230,00 Amsterdam, cena e pernottamento. Dopo la prima colazione, intera giornata dedicata alla visita della città. Amsterdam, fondata nel 1275 su un centinaio di isole, conserva nel centro storico l’antica struttura a canali che la rende una delle città più affascinanti d’Europa. Gli eleganti edifici affacciati sull’acqua erano proprietà dei mercanti arricchitisi con la Compagnie delle indie e la lavo- La quota non comprende: razione dei diamanti. Pranzo lungo il corso delle visite. - Eventuali ingressi durante le visite In serata rientro in albergo, cena e pernottamento - Gli extra e quanto non espressamente indicato alla voce “la quota comprende”. INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI: -SIG BENETTI BATTISTA tel. 3485920202 -SEGRETERIA UNITA’ PASTORALE tel. 0302692094 Iscrizione con acconto € 100,00 70
PARROCCHIE DI BOTTICINO
VINCI L’INDIFFERENZA E CONQUISTA LA PACE
“Vinci l’indifferenza e conquista la pace” è il tema scelto da Papa Francesco per la 49.ma Giornata Mondiale della Pace, che verrà celebrata il primo gennaio 2016. “La pace va conquistata: non è un bene che si ottiene senza sforzi, senza conversione, senza creatività e confronto”. Attenzione, sensibilità, spirito di iniziativa: non sono qualità che si acquisiscono semplicemente perché si è informati sui problemi del mondo. Se così fosse, oggi molti di quei problemi non esisterebbero. E invece è proprio “l’indifferenza nei confronti delle piaghe del nostro tempo” una “delle cause principali della mancanza di pace nel mondo”. L’indifferenza del 21.mo secolo “è spesso legata a diverse forme di individualismo che producono isolamento, ignoranza, egoismo e, dunque, disimpegno”. E “l’aumento delle informazioni non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da una apertura delle coscienze in senso solidale”. Una sfida collettiva, dunque, che può essere vinta, si afferma, con il contributo “indispensabile” di famiglie, insegnanti, formatori, operatori culturali e dei media, di intellettuali e artisti.Questo sforzo comune dimostra come la pace vada “conquistata”. “Non è un bene che si ottiene senza sforzi, senza conversione, senza creatività e confronto”. Si tratta “di sensibilizzare e formare al senso di responsabilità riguardo a gravissime questioni che affliggono la famiglia umana, quali il fondamentalismo e i suoi massacri, le persecuzioni a causa della fede e dell’etnia, le violazioni della libertà e dei diritti dei popoli, lo sfruttamento e la schiavizzazione delle persone, la corruzione e il crimine organizzato, le guerre e il dramma dei rifugiati e dei migranti forzati”. Così facendo, si riusciranno a cogliere anche le “opportunità e possibilità per combattere questi mali” e in quest’ottica, “la maturazione di una cultura della legalità e l’educazione al dialogo e alla cooperazione” sono “forme fondamentali di reazione costruttiva”.
DOMENICA
IN CASO DI CATTIVO TEMPO LA FESTA SI TERRÀ NELL’AMPIO SALONE L’ORATORIO DI BOTTICINO SERA
ultimo dell’anno in oratorio Presso gli oratori la festa dell’ultimo dell’anno
Per informazioni e iscrizioni: BOTTICINO MATTINA Tecla 3404179216 SAN GALLO Silvana 0302199893 - Carolina 0302199951 BOTTICINO SERA segreteria presso oratorio tel.0302692094 71
€ 25,00 adulti € 15,00 bambini
lunedì 21 a San Gallo - martedì 22 a Botticino Mattina mercoledì 23 a Botticino Sera GIORNATA PENITENZIALE e del PERDONO
SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE
per riallacciare i rapporti di pace con Dio e i fratelli ***Celebrazione Comunitaria della Riconciliazione con confessioni a San Gallo ore 20,00, Botticino Sera e Mattina 16,00 e 20,00 Confessioni individuali giovedì 24 dicembre a BOTTICINO SERA dalle 10,00 alle 11,00 e dalle 15,00 alle 18,30 a BOTTICINO MATTINA dalle 15,00 alle 18,30 a SAN GALLO 18,00-20,00
festività natalizie ***SOLENNITA' DEL SANTO S.Messa nella vigilia ore 17,00 chiesa Sacra Famiglia SANTA MESSA NELLA NOTTE
NATALE
ore 21,00 a San Gallo - ore 22,30 a Botticino Sera - ore 24,00 a Botticino Mattina SANTE MESSE NEL GIORNO come orario festivo.
Vespro e benedizione ore 16,00 a S.Gallo e Sera - ore 17,00 a Mattina *** sabato 26 dicembre: S.Gallo ore 17,30 - Botticino Mattina ore 17,30 - Botticino Sera ore 18,45
*** domenica 27 dicembre: SACRA FAMIGLIA: orario festivo ***giovedì’ 31 dicembre S.MESSA DI RINGRAZIAMENTO
a San Gallo ore 17,30 - Botticino Sera ore 18,45 (ore 16,00 villaggio) a Botticino Mattina ore 17,30
***venerdì 1 GENNAIO 2016
SS.MADRE DI DIO e GIORNATA DELLA PACE
A BOTTICINO SERA ore 10,45 - 16,00 - 18,45 A SAN GALLO ore 17,30 A BOTTICINO MATTINA ore 9,30 e 17,30 ***mercoledì 6 gennaio EPIFANIA DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo
Bacio a Gesù Bambino e benedizione bambini (ore 10,00 a San Gallo-ore 10,45 a Sera-ore 17,30 a Mattina)
***domenica 10 gennaio: BATTESIMO DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo
ore 10,45 a Bott. Sera consegna ai genitori dei figli battezzati nel 2015 del “Catechismo dei bambini”
sabato 30 gennaio 2016
Liturgia della Parola e Cresime celebrata dal Vescovo di Brescia per le parrocchie Unità Pastorale di Botticino presso Basilica-Santuario di Botticino Sera ore 16,00
domenica 31 gennaio 2016 S.Messa di Prima Comunione
ore 9,15 a Botticino Mattina ore 10,30 a Botticino Sera - ore 11,40 a San Gallo