Natale 2014

VOCE per la COMUNITA’ UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO

“E’ Natale!

Venite voi che siete attesi, conosciuti, amati.

Venite, perchè il mistero stupendamente buono è per voi preparato” (Paolo VI)

NOTIZIARIO PASTORALE NATALE 2014

RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI

Licini don Raffaele, parroco cell. 3283108944 e-mail parrocchia: i nfo@parrocchiebotticino.it sito web: www.parrocchiebotticino.it Segreteria Unità Pastorale tel. 0302692094 - fax 0302193343 Loda don Bruno, presbitero collaboratore, tel. 0302199768 Bonetta don Giacomo, presbitero collaboratore festivo, tel. 3474763332 Pietro Oprandi, diacono tel. 0302199881 Scuola Par. don Orione tel. 0302691141 Suore Operaie abit. villaggio 0302693689

BATTESIMI

sabato 10 e domenica 11 gennaio 2015 sabato 14 e domenica 15 febbraio I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e sulla data della celebrazione, il parroco personalmente o tel.3283108944

sito web delle parrocchie di Botticino:

www.parrocchiebotticino.it

Tribunale Ordinario di Brescia

Voce per la comunità - Natale 2014 Direttore Responsabile: Adriano Bianchi Autorizzazione del Tribunale di Brescia n°17/2014, del 28 ottobre 2014 Stampato in proprio Botticino piazza IV Novembre,13 Unità Pastorale “S.Arcangelo Tadini” Parrocchie di Botticino S.Maria Assunta Botticino Sera p.za IV Novembre 13 - 25082 Ss.Faustino e Giovita Botticino Mattina Via Verdi, 20 S.Bartolomeo Apostolo San Gallo via San Gallo, 79

La busta per l’offerta in occasione del Natale

Come tradizione, in occasione del Natale, viene rivolto ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un’ offerta straordinaria.

Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale.

Gli impegni economici non sono pochi.

Il parroco e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno accogliere questo appello e per esprimere l’augurio per le prossime festività.

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Pe r ch è s i a un vero Natale

Per essere in regola con le leggi vigenti abbiamo dovuto iscriverci nel Registro dei Periodici del Tribunale.

Ringraziamo don Adriano Bianchi, direttore Ufficio Comunicazioni diocesano che ha accettato il ruolo di Direttore Responsabile.

La redazione e la stampa resta affidata al parroco don Raffaele Licini che non può risultare direttore responsabile perchè non iscritto all’Ordine dei Giornalisti.

PRESENTAZIONE

In occasione del Natale il Notiziario per le famiglie delle tre Parrocchie di Botticino.

E’ un notiziario-documento perchè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale, compreso quello sulla conoscenza della Bibbia, e aggiorna/informa sul cammino di Chiesa universale, diocesana e parrocchiale.

Contiene un inserto che presenta la relazione finale del Sinodo sulla famiglia. Viene riportato il documento diocesano sul Progetto educativo per gli oratori bresciani. E poi le pagine riguardanti la caritas, le missioni, l’oratorio, la scuola don Orione, attività di volontariato, ricreative e sportive.

Gli argomenti vengono presentati con un linguaggio comprensibile a tutti e servono per essere aggiornati e istruiti nelle cose che riguardano il nostro essere Chiesa. Non va letto tutto d’un fiato, ma gustato e meditato pagina per pagina.

In copertina : Natività, olio su tela XVIII secolo Casa Canonica Botticino Sera

Questo momento dell’anno è atteso da tutti, credenti e non credenti, consumatori e commercianti: volenti o nolenti, tutti ne siamo più o meno coinvolti. Ma se riuscissimo a soffermarci qualche attimo per riflettere un po’ di più sulla natura e soprattutto sul perchè di questa festività, forse saremmo più coscienti e più accorti nel decidere ciò che sarebbe giusto fare e comportarci di conseguenza “secondo la volontà di Cristo”, riscoprendo il valore della sua nascita. È la buona Notizia (Vangelo) di una grande gioia.

Cos’è che ti riempie di gioia in questi giorni? Il pensiero di ciò che farai o la considerazione di ciò che Dio ha già fatto per te?

Sarà forse l’emozione di qualche momento trascorso tra gli amici, l’incontro atteso con una persona cara, o la consapevolezza di aver ricevuto un impareggiabile dono dal Signore?

Lo sai che, come dice la Buona Notizia, scritta in Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il Suo Unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non si perda ma abbia vita”?

Quale effetto ti procura sapere che Dio è venuto nel mondo come un uomo per stare tra gli uomini e per salvare gli uomini da ogni situazione di morte con il dono della sua vita? È un’occasione per glorificare Dio. Il giorno di Natale, quale sarà la tua principale occupazione?

Loderai il Signore e lo glorificherai per ciò che ha fatto per te e per l’immenso beneficio che è derivato dal suo dono? Oppure, dopo aver messo a tacere ‘la tua anima’ adempiendo il tuo dovere religioso più o meno sinceramente, ti assoderai a fare cose che non sono né utili, né onorevoli e, spesso addirittura offensive verso Dio stesso? È un occasione per testimoniare e per crescere nella fede.

I veri cristiani approfittano d’ogni occasione per parlare a tutti di ciò che il loro Signore ha fatto e della Grazia che hanno ricevuto.

Come fecero i pastori, essi “divulgano quello che era stato loro detto di quel bambino”; e come loro, tornano edificati nella loro fede: “E i pastori tornarono indietro, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, come era stato loro annunziato”.

Se queste feste passeranno e ti lasceranno come ti hanno trovato, se anche questo Natale trascorrerà senza che il tuo cuore si sia avvicinato di più al Signore, senza che la tua vita sia stata resa più conforme a quella del Salvatore... allora avrai perso il tuo tempo. Prima o poi ti allontanerai sempre più dall’amore, e il Signore stesso non gradirà per nulla la tua devozione superficiale e tradizionale.

Cosa farai in questo Natale ora che anche tu conosci la verità?

Che atteggiamento userai davanti agli altri: ipocrita o schietto e sincero? Che cosa intendi festeggiare? Adesso cosa ritieni sia più giusto: conformarti all’idea comune, o uniformarti alla volontà di Dio? E se siamo tra coloro che non festeggiano il Natale come lo festeggia il mondo, preghiamo che Dio possa rivelarsi a ogni persona e che tutti possano comprendere che il Natale vero è quello della nascita di Cristo nei nostri cuori, nel cuore di ogni uomo, affinché anche attraverso la nostra buona testimonianza quotidiana tutti possano comprendere ciò che è essenziale nella fede cristiana.

Auguro a tutti di vivere un vero Natale. Dio ci benedica! don Raffaele 3

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QUALE VOLTO DI CHIESA OGGI

Dalle periferie care a papa Francesco...

Partendo da papa Francesco c’è il pericolo di concentrarsi sul papa, non solo perché papa Francesco è di moda, ma perché c’è il rischio di vedere nella figura del papa una sintesi di chiesa. E’ un pericolo che in tempi recenti abbiamo corso abbondantemente, anzitutto come chiesa universale. La figura di Giovanni Paolo II è stata certamente significativa, ma anche problematica per il suo porsi come «parroco del mondo»; con il grande rischio di concentrare l’attenzione su di sé, oltretutto perché figura carismatica, facendo saltare le mediazioni dentro le quali invece noi quotidianamente facciamo chiesa. Ciò ha favorito quel capovolgimento che invece di mettere al centro la chiesa nel suo volto locale, come fa il concilio, vede nella chiesa universale la figura del papa alla quale riferirsi. Il concilio afferma invece che la chiesa nasce come chiesa locale, là dove il Vangelo è accolto dentro il territorio, la vita, la storia di uomini e donne concrete; certo, con un’apertura universale, perché ogni chiesa locale è in comunione con le altre chiese. Concentrare tutto sul papa e partire dal papa in una visione universalistica, significa perdere un elemento fondamentale del Vaticano II: il primato della chiesa locale, cioè di quella esperienza di chiesa che prende volto nelle differenti realtà.

Su questo si inserisce un modo di presentare la chie-

sa tipico dei mass-media, per i quali la chiesa è la gerarchia. C’è stato un capovolgimento nella Lumen gentium, il documento del Vaticano II sulla chiesa, perché alla struttura piramidale che parte dalla gerarchia si è deciso di contrapporre una figura di chiesa che contempla anzitutto il popolo di Dio e poi al suo interno il servizio dei pastori. Purtroppo un documento non basta a modificare una forma mentale, che non solo rimane, ma viene confermata da scelte che si rimangiano il concilio.

La concentrazione sul papa potrebbe essere pericolosa anche perché, come qualcuno afferma, «il papa passa e la curia resta». Il papa può fare quanti cambiamenti vuole, ma è là solo per un periodo; c’è invece una istituzione che permane oltre il papa stesso. Se si crede pertanto che a fare una riforma possa essere un papa da solo, in realtà sarà una riforma che rischia di tramontare con lui. E’ l’istituzione intera che si deve riformare.

Rilevati i possibili limiti di un discorso che parte dal papa, si tratta di cogliere d’altra parte le provocazioni significative che questo punto di partenza può avere.

La prima di queste provocazioni rinvia al cuore della fede cristiana: la singolarità di Gesù di Nazareth. Che significa?

Il volto di Dio non ci viene rivelato attraverso una forma universalistica, ma mediante il volto di un uomo concreto, Gesù di Nazareth. Nel cuore della fede e dell’esperienza cristiana non sta l’idea di Dio, ma il volto dell’uomo Gesù, che ha camminato per le strade della Palestina, ha incontrato persone, ha fatto dei gesti, entro i limiti di quel tempo

Papa Francesco parla con i segni ed egli stesso diviene segno esprimendo la realtà sacramentale tipica della fede cristiana 4

e di quello spazio. La storia della salvezza è fatta da figure singolari, non da idee «portate avanti». Molte volte noi siamo ideologici, pensiamo che se portiamo avanti un’idea allora il mondo cambia. In realtà sono le storie delle persone che cambiano il mondo. Per questo se leggiamo le Scritture non troviamo un trattato di buone idee per salvare il mondo, ma storie di uomini e donne con i loro limiti e fragilità.

Come fanno, queste storie così particolari e singolari, ad essere storia di salvezza per tutti? È questa la sfida e insieme la bellezza dell’incarnazione, centrale nell’esperienza cristiana. Quindi la provocazione posta da papa Francesco, nella singolarità della sua figura, ci rimanda a questa dimensione imprescindibile per la nostra fede. È stato osservato da più parti che questo papa parla con i segni ed egli stesso diviene segno esprimendo la realtà sacramentale tipica della fede cristiana. Dio ha parlato attraverso Gesù Cristo, uomo singolare posto come segno in senso forte: è il primo grande sacramento. Questa dinamica sacramentale investe in maniera analoga la chiesa, posta come segno tra le genti. Che significa? Anzitutto l’accettazione di una forma di povertà, difficile da assumere fino in fondo, perché tutti noi abbiamo deliri di onnipotenza, magari con buone intenzioni: cambio il mio partner, i miei figli, gli cambio la testa, risolvo i problemi... e invece ne provochiamo di più!

Il grande peccato delle chiese è che molte volte hanno pensato di proclamare Dio al mondo facendosi potenti, magari a fin di bene: per cambiare il mondo, per portare salvezza.

C’è un’unica strada scelta da Gesù di Nazareth per porre il segno di un Dio che ama e che salva, il Padre suo che diventa il nostro: la strada dello svuotamento per amore, della fragilità della carne. Allora accettare la dinamica del segno significa accettarne il limite; la debolezza diventa la forza. Nella teologia dei sacramenti si ricorda che la loro efficacia è consegnata a Dio, non compete a noi; ma la significatività sì compete a noi: che il segno sia significativo e che parli, sulla linea di come Dio ha parlato in Gesù, altrimenti poniamo un segno che non è evangelico. Un Vangelo annunciato con segni non evangelici è svuotato di se stesso, mentre troppe volte si è pensato che portandolo avanti in forme «vincenti» si potesse salvare il mondo.

Il papa, in quello che è e in quello che fa, ci ricorda

verso quale direzione deve andare il segno posto affinché sia significativo: nella direzione dell’umano. Lo spessore dell’umano è il vero annuncio del divino. Nel nostro immaginario rischiamo di pensare a Gesù uomo come tutti nella quotidianità della vita, ma poi per fortuna emerge qualcosa di fuori dell’ordinario — una guarigione, un miracolo — e allora ecco che appare il suo essere divino; come se il divino fosse ciò che è sopra l’umano. In realtà Gesù di Nazareth è divino nel suo essere profondamente, singolarmente, perfettamente umano; perché il divino non è l’aggiunta in più rispetto all’umano, ma l’umano vissuto nella sua interezza.

Tornando alla dinamica sacramentale, anche i sacramenti talvolta vengono letti come delle celebrazioni mediante le quali viene aggiunta una spruzzata di divino alla realtà umana: la nascita, l’amore, la morte...

Invece la nostra stessa vita deve essere sacramentalmente significativa. Il battesimo fa sì che tutta l’esistenza divenga segno sacramentale, e vivere il battesimo significa fare di tutta l’esistenza un sacramento, nello spessore dell’umano da vivere nei limiti e nelle fragilità.

Proviamo per un attimo a mettere vicine le due icone di papa Pio XII e di papa Francesco: da una parte una figura sacralizzata, ieratica, dall’altra un prete «con le scarpe grosse», traboccante di umanità concreta. Si potrebbe pensare ad una tecnica per catturare la gente, una mossa azzeccata dal punto di vista del marketing: il papa giusto al momento giusto. Si tratta invece dell’umano strutturante la fede cristiana, strutturante l’incontro con il Dio di Gesù Cristo, strutturante anche la nostra esistenza e le nostre relazioni.

Un’altra cosa che appare chiara nella singolarità di questo papa è la centralità delle relazioni, mentre troppe volte pensiamo di salvare il mondo con le idee. Questo non vuol dire che non dobbiamo pensare, tutt’altro; ma decisiva è la dinamica relazionale, mettere la relazione al centro.

Un ultimo elemento su cui ci sentiamo provocati dal papa è la parresìa, cioè la forza di libertà nell’annunciare il Vangelo senza paura e con modalità significative, di cui ci danno testimonianza i discepoli di Gesù in particolare negli Atti degli Apostoli. Parresìa significa ritrovare la stessa dinamica di libertà, che viene dal Vangelo e rende significativo l’annuncio; sapendo che la libertà ha sempre un prezzo, soprattutto quando ci si pone dalla parte di chi non conta.

Da dove viene a Francesco questa parresìa? Da dove gli viene questa libertà nel porsi, nel dire e nel fare, che diventa esempio ed invito per la chiesa e per ogni singolo cristiano? Dal fatto che proviene dalle periferie, come precisa egli stesso. La sua esperienza è maturata lontano da Roma — e questo ha il suo peso. Con uno sguardo più ampio è possibile cogliere forme di chiesa, di sequela di Gesù e di annuncio del Vangelo, che vanno oltre la rigidità dell’istituzione nel suo aspetto tipicamente «romano». Tutto ciò è evangelico, riafferma il valore di quanto viene dai margini. Gesù stesso è un profeta marginale: proviene dalla Galilea e non 5

parrocchie, Chiesa in cammino, per una nuova evangelizzazione - parrocchie, Chiesa in cammino, per una nuova evangelizzazione - parrocchie, Chiesa in cammino, per una nuova evangelizzazione dalla Giudea, non è in nessun apparato, è laico in tutto e per tutto. Nel linguaggio, ad esempio, e nelle modalità di porsi come segno: provate a vedere quante cose religiose fa Gesù nei Vangeli... assai poche! C’è una libertà particolare e quindi una maggiore presenza di Vangelo in ciò che viene dai margini. Permette di rileggere la stessa realtà dei confini: per noi sono le barriere poste, la preoccupazione di definire ciò che è dentro e ciò che è fuori; mentre i confini dovrebbero significare l’attenzione volta a ciò che è periferico, che spesso ha una forza che il centro rischia di non avere più. Ciò che sta ai margini è meno definito, meno strutturato, meno identificato in senso rigido, invece noi cerchiamo sicurezze nella certezza e nella stabilità. Il papa torna spesso a parlare delle periferie, ma non nel senso di andarci con spirito di riconquista, bensì perché là il Vangelo ci parla in maniera unica e risuona come non mai nella sua novità e radicalità. Pensiamo a cosa significa leggere in questa chiave la nuova evangelizzazione, che da alcuni viene interpretata come esigenza di ricompattare le fila, ritrovare un’identità forte, rimettere al centro i contenuti della fede e i valori non negoziabili; mentre per ascoltare e annunciare il Vangelo in maniera nuova bisogna accettare la sfida dei margini. Che vuol dire rischio, perché se stai al centro rischi meno.

La parresìa viene al papa anche dal fatto che si è incarnato in un cammino di popolo, il popolo del continente latinoamericano, fatto sì di esperienze di chiesa diversificate, ma in cui c’è un substrato comune. Questo cammino di popolo permette al papa di esprimere non solo se stesso, ma una realtà di chiesa che ha elaborato scelte pastorali significative, soprattutto nell’incrocio molto forte tra parole ed eventi, tra teoria e prassi. La chiesa latinoamericana, anche avvalendosi delle elaborazioni della teologia della liberazione, ha fatto della circolarità fra teoria e prassi un’istanza fondamentale.

Non è vero soltanto che prima si pensa e poi si agisce; è vero anche il contrario, al punto che molte volte un’azione cambia la mentalità più di mille discorsi. Porre in atto determinate azioni significa riplasmare certi modi di pensare. Molte realtà nell’esperienza di chiesa sono maturate prima a livello di pratica e poi di teoria; gli stessi dogmi sono stati preceduti dalle prassi delle chiese. Su alcune cose il popolo di Dio è arrivato prima del magistero. Va pertanto recuperata la figura del popolo di Dio, dimenticata dalla riflessione ma anche delle scelte della chiesa a livello di vertice, mentre è la categoria fondamentale attraverso la quale il concilio pensa la chiesa.

Ma la parresìa viene a Francesco soprattutto dalla centratura forte sul Vangelo. Il papa continua a dire che tutto viene dopo ciò che sta al cuore: la buona notizia che il Padre di Gesù è il Padre nostro, la buona notizia del Vangelo. C’è come una urgenza in lui, nel suo dire e nel suo fare intrecciati insieme, rispetto alla quale tutto il resto è dato in aggiunta: il Vangelo che è Gesù Cristo, la singolarità di Gesù di Nazareth che mostra il volto di Dio. Qui sta il cuore della salvezza, perché incontrare in

Gesù e negli altri il volto del Padre significa liberare le forme religiose ma anche le relazioni umane. Ci sono sì anche i discorsi etici, ma vengono dopo; la prima cosa è dire al mondo il Padre di Gesù. Francesco declina questo primato in vari modi - la misericordia, la chiesa ospedale da campo - con un rimando all’esperienza dell’apostolo Paolo, per cui l’Evangelo è tutto.

Significa tornare finalmente a mettere l’indicativo prima dell’imperativo, mentre una certa educazione cristiana aveva messo prima l’imperativo: «Sii buono, e il Signore ti vuole bene, ti premia». Mentre il Vangelo è l’annuncio all’indicativo: sei amato, sei accolto, sei figlio, sei dentro una relazione che ti accoglie, il resto di conseguenza viene. Noi abbiamo preso paura di questa libertà e siamo ritornati all’impostazione precedente; in un mondo alla deriva, senza religione né valori, dobbiamo fare argine. Usare l’imperativo, in questa ansia moralistica, trasforma la chiesa in un baluardo. E abbiamo proiettato questa preoccupazione anche su Dio, divenuto il grande moralizzatore del mondo; nella deriva, Dio non è uno che ama, meglio che sia uno che mette in riga. Il papa ha questa forza di parresìa perché ha rimesso al centro il Vangelo; è felicemente preoccupato di ridare alle chiese la capacità di dire Vangelo, ciò di cui l’umanità sente profondo desiderio.

Il papa, in quello che è e in quello che fa, ci ricorda verso quale direzione deve andare il segno posto affinché sia significativo: nella direzione dell’umano.

Lo spessore dell’umano è il vero annuncio del divino.

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... a uno stile nuovo di chiesa...

Con papa Francesco per la prima volta abbiamo un papa che non è un padre del concilio, ma un figlio di questo stesso concilio. I papi precedenti erano padri conciliari, che avevano partecipato al Vaticano II; Francesco è figlio del concilio, lo accetta pacificamente. Prima della sua nomina c’era molta discussione su come interpretare il Vaticano II. Si fronteggiavano due modalità: una che ne sottolinea maggiormente la novità — e la conseguente accusa, da parte di chi non lo accetta, di aver introdotto elementi di rottura con la tradizione — e l’altra che parla invece di una riforma continuativa, in linea con la tradizione. Oggi il dibattito si è come spento, a partire da un papa che sta dentro al concilio anche nelle sue forme più visibili. Quando ha concelebrato la prima messa con i cardinali, nella Cappella Sistina che ha l’altare addossato al muro, ha fatto mettere un tavolino e ha detto la messa come ormai tutti siamo abituati. E stato spontaneo per il papa agire così.

Una significativa ripresa conciliare ci ricorda che non dobbiamo avere paura di ciò che può essere anche traumatico per le modalità assodate di essere e di fare chiesa, in quanto il trauma fa venire alla luce. Chi è madre conosce bene questo. Il Regno avviene per modalità generativa, che implica le doglie, il rischio, la sofferenza, la crisi. Questo è il modo in cui lo Spirito agisce dentro la storia, con la modalità del generare; Paolo infatti dice che la creazione geme e soffre, in quanto il parto di cieli e terra nuovi avviene così.

Allora accettare pacificamente il concilio non significa sottrarsi a questa logica; per cui pensare a rinnovati stili di chiesa non significa una riaggiustata a quello che c’è sempre stato, senza pagare un prezzo.

Come quando nasce un figlio, si deve passare attraverso una situazione traumatica che fa venire alla luce, a rischio della madre e del figlio; ma la vita viene così.

In quest’ottica è importante riconsiderare il trauma della rinuncia di Benedetto XVI, paradossalmente provocato da un papa che voleva la continuità e invece ha «rotto le acque». Un trauma che è stato benedizione: in questa ferita/

feritoia si è inserito papa Francesco e si è cominciato a respirare un volto di chiesa diverso. Dimettendosi, il papa che era contro il relativismo ha relativizzato l’assolutezza di una carica che sembrava intoccabile; e in questo trauma abbiamo capito che di assoluto c’è solo Dio. E nemmeno Dio si assolutizza, nella rivelazione che ha dato di sé; anzi, si è così relativizzato a noi da svuotarsi per amore. Dio ha un volto che si mette in relazione, che non si assolutizza. Il papa, dimettendosi, ha detto di non essere un assoluto e così ha fatto capire che nemmeno la chiesa lo è.

Tutte le volte in cui noi assolutizziamo o ci assolutizziamo, ci blocchiamo dentro ad una staticità, che impedisce ogni parto del nuovo. Là l’albero comincia a morire, mentre è nei rami teneri e fragili che continua a vivere. Le dimissioni di Benedetto XVI sono la conferma di come procede la novità del Regno: per una rottura di acque, dentro cui avviene una nascita dall’alto, come dice Gesù a Nicodemo. In questo recupero del «trauma» del concilio, paradossalmente confermato dal papa che voleva la continuità e ha fatto partorire un possibile nuovo, abbiamo la ripresa in senso forte del rapporto tra chiesa e mondo. Allora la storia e il mondo non vanno guardati come la controparte e lo stesso annuncio del Vangelo è annuncio di qualcosa che ci precede, perché il Vangelo abita già.

Guardando al mondo e alla storia, ci sembra di vedere unicamente realtà di violenza e di morte; solo lo Spirito ci fa vedere dove si sta prospettando una dimensione di novità, pur dentro il negativo. Perché a niente e a nessuno è precluso il nuovo, ce lo dice il sigillo della risurrezione impresso nel cuore della storia. La risurrezione infatti è un evento uno e unico, ma è come un sasso nello stagno: tocca l’acqua in un punto, eppure un po’ alla volta tutto il bacino ne risente.

La chiesa è, insieme allo Spirito, grande levatrice del nuovo, per dire a ciascuno che può avvenire e per testimoniare che sta avvenendo. Non siamo condannati alla realtà negativa, alla morte, alla sterilità. Che cos’è questa, se non la buo7

na notizia, l’anticipo del Vangelo? E alla domanda del mattino di Pasqua: “chi ci toglierà la pietra dal sepolcro?”, ci si accorge che è già stata tolta. Questo è il lavoro di Dio: leva pietre, o apre grembi. E’ questo il lavoro di Dio, attraverso lo Spirito di Gesù morto e risorto; questo è il nuovo che avanza, non un rinnovare la chiesa affinché abbia un bel look. Stiamo attenti a cercare nuovi stili, solo per essere gradevoli. Non interessa che la chiesa sia più bella, che le comunità siano più fiorenti, ma che accanto a ogni uomo e donna ci sia qualcuno che annuncia che c’è un parto di vita nuova, che può prendere forma.

Se siamo chiamati a rinnovarci, è sempre in funzione di questo annuncio, di questo Vangelo; non per risultare più vendibili sul mercato.

Quale forma dare al nostro essere chiesa, per essere là dove lo Spirito apre grembi e genera il nuovo, per aiutare le persone a riconoscerlo?

Si tratta di una realtà che ci precede, noi possiamo riconoscerla, accompagnarla, celebrarla, viverla in noi, i primi chiamati a sentirsi rigenerati a vita nuova.

La grande prospettiva del concilio è stata questa: aver recuperato la storia come luogo in cui il Regno di Dio viene, e viene prima di noi e al di là di noi; ma viene affinché diamo forma a un essere chiesa che ne sia testimonianza, o quantomeno non sia ostacolo.

In questo senso anche l’istituzione deve riformare se stessa, togliendo gli ostacoli che ancora ci sono. Ad esempio dal punto di vista del diritto canonico, nonostante si continui a ribadire che siamo popolo di Dio e che il battesimo ci fa tutti chiesa, gli unici ad avere la potestas sono i titolari del ministero ordinato. Sarebbe come dire che nella chiesa unicamente chi è stato ordinato è maggiorenne, tutti gli altri sono minorenni; possono essere consultati, dare una mano, ma non sta a loro decidere.

Preti stressati e stanchi ce ne sono sempre di più, proprio per tutte le incrostazioni accumulatesi sul ministero del prete; la figura del ministero, cruciale soprattutto nella chiesa cattolica, domanda un volto diverso, uno stile rinnovato.

Si tratta di un cammino appena agli inizi e per nulla semplice, che richiede una forte ripresa cristologica. Il ministero

parrocchie, Chiesa in cammino, per una nuova evangelizzazione - parrocchie, Chiesa in cammino, per una nuova evangelizzazione - parrocchie, Chiesa in cammino, per una nuova evangelizzazione ordinato nella chiesa non c’è al fine di instaurare l’ecclesiocentrismo, ma il cristocentrismo; cioè non è in ordine al buon funzionamento della chiesa nel suo apparato istituzionale, ma per riferire tutto e tutti alla pietra d’inciampo, che è Gesù Cristo. Il ministero c’è appunto perché la chiesa eviti di pensare che deve instaurare se stessa, o riformare semplicemente la propria organizzazione; è chiamata a far risplendere il volto di Cristo.

La centralità di Cristo rinvia ad una sfida quanto mai urgente ed impegnativa. È la sfida di liberare Cristo da una cri- Poi vidi un nuovo cielo stianità che l’ha imprigionato, affinché ridiventi fratello di e una nuova terra... tutti nella sua singolarità; se infatti Gesù è cosa nostra, alloE vidi la santa città, ra divide invece di unirci. Bisogna trovare forme più leggere, la nuova Gerusalemme libere e liberanti di essere e fare chiesa, liberando Gesù Cri... Io son l’Alfa sto da tutte le incrostazioni di cristianità a causa delle quali e l’Omega, non riesce più a parlare a tutti. Quando cerchiamo nuovi il principio e la fine. stili di chiesa è perché emerga di più Gesù Cristo, nel suo essere davvero fratello universale.

... affinchè il

Regno venga!

L’ultimo passaggio — «... affinché il Regno venga» — possiamo leggerlo come invito a far sì che la chiesa e l’umanità siano sempre capaci di dimensione profetica.

I profeti hanno le grandi visioni, che impediscono di guardare e interpretare il mondo in maniera troppo ristretta, a partire solo da sé e dal proprio angolo visuale, autocentrati. Quando il papa parla della chiesa in uscita, è un altro modo per dire questo.

I profeti che hanno cercato, dentro la storia del popolo d’Israele, di aprire squarci profetici, visioni che non rendessero un assoluto il popolo eletto, ma l’umanità intera invitata al banchetto universale. La grande tentazione di Israele era infatti quella di misurare tutto a partire da sé e dalla propria autoconservazione. La visione profetica dilata, squarcia, pone in un orizzonte più ampio, a partire dal quale leggere e interpretare la realtà. Questo lo fa anche Gesù di Nazareth, che è sulla linea dei profeti; pur curvandosi sul concreto delle situazioni, legge la realtà dentro una grande visione: il Regno di Dio. Ritrovare una capacità di visione significa pertanto ricollocarci dentro alla grande prospettiva del Regno di Dio. E come farlo?

Anzitutto porre attenzione alla dimensione dell’umano che è la grande passione di Gesù, e che deve diventare anche la grande passione della chiesa, che anche quando riforma se stessa lo fa per accogliere, interpretare, vivere, custodire e accompagnare l’umano di tutti e di ciascuno. E’ chiamata a farlo secondo quella antropologia integrale di cui parlava Paolo VI nella Populorum progressio: tutto l’essere umano e tutti gli esseri umani. L’essere umano nella sua interezza: non posso preoccuparmi solo dell’anima, per usare un’espressione classica.

Il Regno viene se tutto l’essere umano trova respiro, quindi si impedisce che il Regno venga sia se ci si limita a dare pane, sia se si dispensano unicamente grazie spirituali.

Quindi tutto l’essere umano, ma anche tutti gli esseri umani; per cui la chiesa è pre-occupata - nel senso bello di «occupata in partenza» - della convivialità delle differenze, anzi della reciprocità delle differenze. Non si può pensare una forma di chiesa se non dentro alla bellezza delle differenze, che trovano una loro reciprocità. Recuperiamo il simbolo di Babele, che si compie nella Pentecoste. In Genesi 10 c’è la tavola dei popoli (che poi ritroviamo nel racconto di Atti 2), dove si mettono in risalto le differenze, dando loro un significato positivo. Ma gli esseri umani pensano che con un’unica lingua sia possibile edificare una torre che arriva al cielo, quindi tutti vengono uniformati e resi funzionali al folle progetto. A Dio questa cosa non piace, ama il giardino di tanti fiori, non la monocoltura; e allora interviene a confondere, a generare differenze. Oggi le differenze le abbiamo in casa, ed è una grande benedizione; eppure come chiese non abbiamo saputo dire grazie per queste differenze!

Quando c’era la monocultura - tutti cattolici apostolici romani il Regno di Dio era meno presente. Le differenze vanno vissute in un rapporto di reciprocità, che significa accoglierle, valorizzale, metterle in dialogo permettendo a ciascuna di offrire il proprio punto di vista all’altra.

Questo vale nelle reciprocità nel cammino ecumenico.

Quando le chiese cristiane troveranno unità? Quando accetteranno questa logica della reciprocità, riconoscendo che la tradizione di ciascuna confessione non è una deviazione eretica, è un cammino legittimamente differente; ma ce lo si dona reciprocamente, affinché ciascuno possa rileggere la sua posizione anche dal punto di vista dell’altro. In questo modo non si rinuncia alle proprie posizioni, ma nemmeno si assolutizzano.

La reciprocità delle differenze vale anche per le questioni di genere, che in ambito cattolico vengono purtroppo demonizzate. Maschio e femmina li creò, punto e basta: così si afferma; in realtà si è plasmanti nell’identità sessuale ciascuno a partire dalla propria realtà familiare a culturale, dalla storia personale magari accidentata... e in uno sguardo di fede ogni storia è storia di salvezza! Ciò non significa che va bene tutto, ma a prescindere dall’orientamento sessuale della persona; tutti abbiamo delle cose che non vanno e tutti ci affidiamo al perdo8

no e all’accoglienza di Dio. Questo discorso sul genere ha senso per una chiesa che voglia dare accoglienza e forma al Regno che viene, perché il Regno viene dentro a percorsi che fino a ieri non avevamo gli strumenti per immaginare. In questo senso la storia e in essa i segni dei tempi da discernere sono un banco di prova fondamentale. E’ comprensibile che la Bibbia scriva «maschio e femmina li creò», ma quanto avviene nella vita delle persone è deviazione o si tratta di storie concrete dentro le quali lo Spirito ci guida ad un dialogo di reciprocità? Dobbiamo solo verificare se sono in regola oppure no, se sono dentro o fuori? Molte volte c’è più Regno di Dio in realtà che non riteniamo moralmente a posto. Molte volte si trova più Vangelo in certe vite che nei conventi, perché in quelle storie le relazioni pur sgangheratissime sono di cura, accoglienza, accompagnamento.

La chiesa dovrebbe essere capace di vedere e celebrare questo umano denso e significativo, non di garantire l’etichetta di regolarità. Una chiesa attenta a scrutare, accogliere, celebrare i segni del Regno che viene nell’umano non perfetto eppure amato, che cerca con fatica di far emergere l’amore.

E il nostro essere chiesa? La prospettiva del Regno di Dio ci interroga: come convertirsi, curvandosi sul nuovo che nasce? La dimensione istituzionale, che c’è nella chiesa come in ogni realtà storica, va messa a servizio anzitutto di quanto essendo nuovo è fragile, quindi ha più bisogno di sostegno. Purtroppo di solito l’istituzione si mette a servizio di ciò che è già forte, per cui le forze si spendono per ciò che si è sempre fatto, per quanto è già consolidato, così si rischia meno. La chiesa, nel piccolo e nel grande, è tentata di investire sulle cose che garantiscono un ritorno. Il nuovo che potrebbe spuntare si ripiega su se stesso, perché l’istituzione con la sua forza non l’aiuta a germogliare.

Ma così non siamo nella logica del Regno di Dio. Vale anche a livello personale: cercare la verità di sé nei margini non è facile.

Preferisco dare fiato a ciò che di me è già

consolidato, perché è quello che riesco a vendere meglio, quindi le mie energie le spendo in questa direzione. Come invece avere una custodia di me a partire da ciò che è più marginale e fragile, da ciò che è più indefinito e problematico, affinché il Regno possa venire nella mia esistenza?

In riferimento al nostro essere chiesa, c’è un’altra provocazione che ci viene dal Vangelo, quando Gesù parla del vino nuovo in otri nuovi. Non siamo in grado di gustare il nuovo, in quanto abituati al boccato di quello vecchio ritenuto migliore.

Li sentiamo spesso questi discorsi: «Che bello una volta... tutti in chiesa, grandi processioni, i fioretti, le quarant’ore!».

Vino nuovo in otri nuovi; ma come chiesa sappiamo dare contenitori al nuovo? Ci vuole l’intelligenza e la pazienza di tessere ciò che tiene insieme, raccoglie, non spreca, dà possibilità al nuovo. Per una riforma della chiesa non basta dare una mano di bianco ai muri. Quando non si sa come concretizzare tempi e luoghi per ospitare il nuovo, allora ci si mette a restaurare; in questi anni si è restaurato tutto il restaurabile. Non è che bisogna lasciar crollare le cose che ci sono, anche se in qualche occasione forse bisognerebbe farlo; ma quante energie spendiamo per immaginare prima e concretizzare poi otri che contengano il nuovo?

Il Regno viene nella modalità del parto, nella modalità pasquale: qualcosa deve morire, affinché qualcosa nasca; facciamo fatica ad accettarlo, vorremmo sempre tenere tutto. La logica pasquale accetta che ci sia qualcosa che muore, altrimenti niente nasce. Occorre chiederci se la provocazione del Regno non

ci chieda anche di accettare alcune morti: in noi, nella struttura ecclesiastica, nel modo di essere cristiani, preti, donne e uomini, genitori e figli... cosa accettiamo che muoia, affinché ci sia spazio per il nuovo? Nelle relazioni talvolta avviene, se non altro perché costretti dai cambiamenti: del proprio partner, dei figli, di noi stessi. Ma nella realtà ecclesiale? Quando un’iniziativa pastorale funziona è giunto il tempo di cambiarla; noi invece pensiamo che se funziona significa che ci siamo assestati, abbiamo trovato l’equilibrio. E’ vero che quando sono fermo ho trovato l’equilibrio, ma se voglio camminare devo squilibrarmi per trovare un equilibrio nuovo, più avanzato. Essere vivi è accettare questo continuo squilibrio. Invece da una parte dico: «venga il tuo Regno», dall’altra penso: «speriamo di no, altrimenti si squilibra tutto».

Va recuperata la tensione escatologica, che non significa proiettarsi nell’aldilà, ma invocare che il nuovo venga. Qui diviene fondamentale l’opzione dei poveri, in quanto è da loro che arriva il grido: «venga il tuo Regno!». Chi sta bene non ha certo fretta che venga il Regno, chi non ne può più lo invoca urgentemente.

Alla scuola dei poveri, non di chi è già sistemato, possiamo vedere il nuovo; possiamo vederlo più facilmente nelle chiese giovani e povere, piuttosto che in quelle vecchie dei paesi ricchi, che tengono duro su quanto è assestato.

«La chiesa povera per i poveri» di papa Francesco è una chiesa che, ritrovando la capacità di invocare «venga il tuo Regno», scorge e accompagna la nascita del nuovo.

Vino nuovo in otri nuovi. ma come chiesa sappiamo dare contenitori al nuovo?

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diocesi in cammino - diocesi in cammino - diocesi in cammino - diocesi in cammino -

UNA LETTERA DEL VESCOVO DI BRESCIA AI GIOVANI

Fate della vostra vita un capolavoro A quasi 50 anni di distanza dalla fine del Concilio e all’inizio dell’Anno montiniano che segue la beatificazione di Paolo VI, Monari fa sue le parole e le esortazioni di Paolo VI. Il vescovo Monari ha preso carta e penna per aiutare i giovani ad “amare la vita, ad assumerla personalmente con la vostra intelligenza e col vostro cuore”. Monari esorta i giovani bresciani, partendo dal messaggio di Paolo VI alla fine del Concilio, a vivere la loro vita da protagonisti: “La vita è un patrimonio che riceviamo senza poterlo meritare; ma,una volta ricevuta, diventa compito che ci dobbiamo assumere responsabilmente”

“C

arissimi giovani, ho scritto questa lettera (si può scaricare anche dal sito della diocesi, nda) con il desiderio (il sogno) di aiutarvi ad amare la vita, ad assumerla personalmente con la vostra intelligenza e col vostro cuore. In tutti questi anni ho camminato in alcuni momenti con lena, in altri con fatica, in altri mi sono trovato dolorosamente fuori strada. Posso però dire, parafrasando le parole di san Policarpo, che Gesù non mi ha mai fatto del male, non mi ha mai tradito, non mi ha mai impedito di desiderare e di compiere cose buone”. Nelle ultime righe della sua lettera ai giovani il vescovo Monari apre le porte del suo cuore e della sua esperienza, si confida come fa un nonno con un figlio al quale vuole consegnare i “segreti” del buon vivere. Ancora una volta Monari ribadisce la sua fiducia e la fiducia della Chiesa nei giovani. Già Paolo VI l’8 dicembre del 1965, al termine del Concilio, aveva affermato con forza, rivolgendosi ai giovani: “La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore. Ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, essa è la vera giovinezza del mondo. Essa possiede ciò ALCUNI PASSAGGI DELLA LETTERA

“La vita è un patrimonio che riceviamo senza poterlo meritare; ma, una volta ricevuta, diventa compito che ci dobbiamo assumere responsabilmente.

Siamo persone intelligenti, consapevoli di noi stesse; abbiamo perciò la libertà di scegliere la nostra strada tra le tante possibili”.

che fa la forza e la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e ripartire per nuove conquiste”. A quasi 50 anni di distanza e all’inizio dell’Anno montiniano che segue la beatificazione di Paolo VI, Monari fa sue le parole e le esortazioni di quella lettera: “Vi esortiamo ad ampliare i vostri cuo“Camminate insieme: ri secondo le dimensioni molte cose si vedono del mondo, ad ascoltare solo attraverso l’appello dei vostri fratelli gli occhi degli altri; e a mettere arditamente aiutatevi a vicenda, le vostre giovani energie al loro servizio”. “La vita - senza gelosia e invidia, a crescere” scrive Monari - è un patrimonio che riceviamo senza poterlo meritare; ma,una volta ricevuta, diventa compito che ci dobbiamo assumere responsabilmente. Siamo persone intelligenti, consapevoli di noi stesse; abbiamo perciò la libertà di scegliere la nostra strada tra le tante possibili. Naturalmente, dobbiamo tenere conto della realtà in cui ci muoviamo. Il mondo esisteva prima di noi e ha una forma precisa nella quale alcune cose sono possibili, altre

“Gli inglesi hanno

un termine significativo per indicare il ‘lasciarsi vivere’: drifting, essere portati dalla corrente. È anche questo un modo di esistere ma, bisogna, dire chiaramente, un modo non umano, un modo nel quale una persona rinuncia a diventare se stessa e si lascia condurre dalle correnti della moda”.

“L’uomo ha bisogno

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di imprimere il suo logo personale su qualche realizzazione sua; la persona che si lascia condurre dalla corrente non ha un logo personale, è solo la risultante delle forze che si muovono attorno a lei. Potrà anche essere fortunata, ma non riuscirà mai a raggiungere se stessa”.

“La vita di un parassita

può anche sembrare desiderabile perché è una vita che succhia linfa da tutti e non dona nulla a nessuno; ma in realtà è una vita triste, che non riesce a sperimentare e nemmeno a immaginare la gioia di creare, di far vivere, di trasmettere gioia”.

diocesi in cammino - diocesi in cammino - diocesi in cammino - diocesi in cammino no. (...)Non possiamo partire da zero e non possiamo andare indifferentemente in qualsiasi direzione; alcune possibilità ci sono date e altre negate; alcune scelte ci sono possibili e altre no. E tuttavia, questo non toglie che abbiamo la libertà di fare una cosa od ometterla, di andare in una direzione o in un’altra. Il primo passo decisivo, perciò, è scegliere di ‘vivere’ e di non ‘lasciarsi vivere’. (...) Per dare un senso alla vita bisogna inevitabilmente porsi la domanda: “Che cosa voglio fare della mia vita? Quali obiettivi intendo raggiungere?”. La risposta a questa domanda è preziosa perché mette ordine nei valori che dirigono le scelte; se so verso dove voglio andare, avrò un criterio prezioso per distinguere quello che è utile (perché contribuisce ad avvicinarmi alla meta) da quello che è nocivo (perché finisce per allontanarmi dalla meta); quello che è più importante da quello che è meno importante. Potrò anche riconoscere la rilevanza di scelte che, sul momento, possono sembrare non necessarie, ma che aprono delle strade nuove per il futuro. (...) La persona che ama trasmette agli altri il desiderio di amare, mostra la bellezza di un cuore semplice che non nasconde doppi fini. Verso questo obiettivo deve dirigersi l’esistenza di ogni persona umana se vuole essere degna di questo nome. (...) Che cosa aggiunge, a questo progetto, il fatto di credere, e di credere in Gesù Cristo? Il progetto della società degli uomini è irrealizzabile senza un ricco patrimonio di fede (di fiducia) che permetta all’uomo di uscire dalle sue paure, di allacciare rapporti con gli altri, di collaborare con gli altri al bene di tutti. Se l’uomo fosse dominato dalla paura del mondo, del futuro, degli altri, tenderebbe a rinchiudersi sempre più in se stesso in un atteggiamento di sospetto e di difesa. (...) Per questo la fede (fiducia) in Dio contribuisce anche al bene dell’uomo: se il mondo è creato da Dio, la fiducia in Dio facilita anche una fiducia di fondo verso il mondo; se la storia non sfugge al potere di Dio, si può guardare con speranza verso il futuro... e così via. Soprattutto la fiducia in Dio permette di superare meglio i “punti morti” che sono prodotti dai nostri errori e dai nostri peccati. (...) Per un cristiano Gesù Cristo è il dono di Dio agli uomini”. (...) Il Vescovo conclude con un auspicio: “Mi piacerebbe che diventaste migliori di noi, migliori della mia generazione. Sappiate scegliere correttamente i vostri modelli di vita; chiedetevi quanto di verità, di sincerità, di amore, ci sia nei singoli modelli che i mass “Se l’uomo fosse media ci propongono come perdominato dalla paura sone ‘riuscite’. E scegliete voi il del mondo del futuro, cammino della vostra vita. Camdegli altri, tenderebbe minate insieme: molte cose si a rinchiudersi sempre vedono solo attraverso gli occhi più in se stesso in un degli altri; aiutatevi a vicenda, atteggiamento di senza gelosia e invidia, a cresospetto e di difesa.

Il risultato non potrebbe scere, ad amare, a lavorare per che essere un tessuto il bene di tutti. In questo sta la sociale debole... sorgente della vera felicità in Per questo la fede (fiducia) questo mondo e nel mondo fuin Dio contribuisce turo”. anche al bene dell’uomo”.

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19 ottobre 2014 Battesimo a Botticino Mattina e rinnovo promesse 2° anno ICFR

Battesimo Botticino Mattina 7 dicembre 2014

Battesimi Botticino Sera 8 dicembre 2014

Battesimi Botticino Sera 19 ottobre 2014

Celebrazione inizio anno scolastico Scuola Parrocchiale don Orione 4 ottobre 2014

30 novembre 2014 2 febbraio 2016

VOR R R E I

anno della vita consacrata (...) “L’Anno della Vita Consacrata non riguarda soltanto le persone consacrate, ma la Chiesa intera. Mi rivolgo così a tutto il popolo cristiano perché prenda sempre più consapevolezza del dono che è la presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno fatto la storia del cristianesimo. Cosa sarebbe la Chiesa senza san Benedetto e san Basilio, senza sant’Agostino e san Bernardo, senza san Francesco e san Domenico (...) (...)Invito dunque tutte le comunità cristiane a vivere questo Anno anzitutto per ringraziare il Signore e fare memoria grata dei doni ricevuti e che tuttora riceviamo per mezzo della santità dei Fondatori e delle Fondatrici e della fedeltà di tanti consacrati al proprio carisma. Vi invito tutti a stringervi attorno alle persone consacrate, a gioire con loro, a condividere le loro difficoltà, a collaborare con esse, nella misura del possibile, per il perseguimento del loro ministero e della loro opera, che sono poi quelli dell’intera Chiesa. Fate sentire loro l’affetto e il calore di tutto il popolo cristiano. Sia questo Anno un’opportunità per accogliere cordialmente e con gioia la vita consacrata come un capitale spirituale che contribuisce al bene di tutto il corpo di Cristo (cfr Lumen gentium, 43) e non solo delle famiglie religiose. «La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa». Per questo, in quanto dono alla Chiesa, non è una realtà isolata o marginale, ma appartiene intimamente ad essa, sta al cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo della sua missione, in quanto esprime l’intima natura della vocazione cristiana e la tensione di tutta la Chiesa Sposa verso l’unione con l’unico Sposo; dunque «appartiene ... irremovibilmente alla sua vita e alla sua santità» (...) invito (...), a una speciale sollecitudine nel promuovere nelle vostre comunità i distinti carismi, sia quelli storici sia i nuovi carismi, sostenendo, animando, aiutando nel discernimento, facendovi vicini con tenerezza e amore alle situazioni di sofferenza e di debolezza nelle quali possano trovarsi alcuni consacrati, e soprattutto illuminando con il vostro insegnamento il popolo di Dio sul valore della vita consacrata così da farne risplendere la bellezza e la santità nella Chiesa.”(...)

Papa Francesco, lettera in occasione dell’anno della vita consacrata.

«Vorrei essere sempre in Te, Signore Gesù.

Lo vorrei oggi, come lo è stato ieri, come non smetterà di essere domani.

E guardarTi ricomporre con pazienza e tenerezza i frammenti sparsi di me.

Tutto mi hai chiesto, tutto ho voluto donarti.

Mi hai fatto tua e ti ho voluto fare mio.

Nella fraternità e nella solitudine.

Nel lavoro e nel riposo.

Nella consolazione e nella desolazione.

Nella fede e nel dubbio.

Nella fedeltà e nelle cadute.

In tutto Tu hai cercato me e in ogni cosa ho desiderato Te. Vorrei averTi in me.

E ascoltar con il solco delle mie ferite i racconti della misericordia che viene da Te. E contemplare nelle vene delle mie mani la forza delle compassioni che nascono da Te. E riconoscere nei palpiti del mio cuore l’abbondanza della provvidenza che trabocca da Te. Vorrei.

Solo vorrei.

Come chi ha ancora strada da fare, fede da raffinare, carità da consumare.

Solo vorrei.

Con quel senso di umiltà e fragilità che non osa dire «voglio».

Solo vorrei.

Ed è il suono della mia fede e del mio grazie.

Tutta la mia fede e tutto il mio grazie.

La sola fede che ho.

Il solo grazie che posso.

Attendo Te, in questo mio vorrei.

Perché risuoni ancora e sempre il Tuo «Voglio»: «Voglio essere in te.

Voglio averti in me».

E sarà quella la salvezza.

Tutta la mia salvezza.

La sola salvezza che spero.»

AMEN! (sr. Mariaregina)

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60° anniversario Consacrazione Religiosa di sr. Mariaregina Biscella

Rinnovo delle promesse di sr. Mariaregina con le consorelle domenica 30 novembre 2014

G

ioia, gratitudine, stupore, sono i sentimenti che mi accompagnano. E’ il “Sì” pronunciato e maturato dopo anni con la crescente consapevolezza di aver semplicemente risposto ad un Amore che mi ha preceduto, nonostante i momenti di fatica, di buio, di confusione, di dubbio, di sofferenza.Sono giunta ad un traguardo impensato umanamente. E oggi, 30 novembre 2014, giornata di apertura dell’Anno dedicato alla Vita Consacrata, canto la mia lode per la fedeltà del Signore, il mio Magnificat di “Grazie”, come Maria, questa piccola Donna di Nazareth, che ha camminato con me, ha sostenuto i miei passi, tante volte stanchi e tremolanti, dandomi energia e coraggio.

Rileggo la mia storia attraverso la Parola di Dio, la preghiera, la missione pastorale, il servizio, la comunione fraterna e dico a Gesù “Grazie”, perchè gli anni vissuti sono stati tutti un tempo di crescita spirituale e umana; hanno concretizzato il mio “sì” a Dio nel riconoscere la sua fedeltà nelle varie esperienze che la Provvidenza mi ha affidato e nelle persone che ha messo sulla mia strada.

Quando sembra di aver raggiunto la meta, ci si rende conto che Lui è sempre oltre, è sempre altro e ti dona il gusto e la forza di cercarlo di nuovo per aprirti e allargare nuovi e ampi orizzonti.

Cerco di fare miei alcuni obiettivi che Papa Francesco suggerisce alla vita consacrata: - Vivere il passato con gratitudine: per raccontare la propria storia e tener viva la propria identità di appartenenza alla Chiesa, alla Famiglia religiosa e alla famiglia naturale, senza inutili nostalgie, ma per vivere i valori della fede nella carità pastorale e operosa.

-Vivere il presente con passione: è avere memoria grata di quanto lo Spirito dice ancora alla Chiesa attraverso luci nuove, strade aperte alla fantasia della carità per servire l’umanità. La compassione dei santi e di tante figure carismatiche deve suscitare anche in noi: attenzione, solidarietà e condivisione.

- Abbracciare il futuro con speranza: conoscere le sfide delle incertezze, dei numeri, del tempo che corre velocemente e osare con audacia e speranza cammini di dialogo, di apertura, di entusiasmo fresco e genuino, per intraprendere modi nuovi di vivere il Vangelo e di annunciarlo nella gioia.

“Svegliate il mondo” con la vostra vita, ci dice papa Francesco, siate sentinelle che vegliano sulla vita degli uomini attraverso la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza, della diversità, della comunione e dell’amore reciproco. Troverete la vita, dando la vita!

Benedico il Signore, il Parroco don Raffaele, i sacerdoti, il diacono Pietro, la mia famiglia naturale e religiosa e tutta la comunità cristiana che ho sentito vicini per sensibilità, premura, sollecitudine, preghiera in questa ricorrenza del mio 60° anniversario di consacrazione: hanno valorizzato la bellezza, la santità e il dono alla Chiesa della vita consacrata. A tutti il mio Grazie.

Suor Mariaregina

HO SEMPLICEMENTE RISPOSTO

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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN TURCHIA (28-30 NOVEMBRE 2014)

BENEDIZIONE ECUMENICA E FIRMA DELLA DICHIARAZIONE CONGIUNTA Istanbul, Domenica 30 novembre 2014 Si è conclusa la visita del Papa in Turchia. Al termine della Divina Liturgia, il Papa e il Patriarca hanno raggiunto il secondo piano del Palazzo patriarcale per la Benedizione ecumenica a cui è seguita, nella Sala del Trono, la lettura e la firma della “Dichiarazione Congiunta” in cui il Papa e il Patriarca hanno ribadito l’impegno per l’unità e lanciato un appello di pace per il Medio Oriente e l’Ucraina.

N

oi, Papa Francesco e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, esprimiamo la nostra profonda gratitudine a Dio per il dono di questo nuovo incontro che ci consente, in presenza dei membri del Santo Sinodo, del clero e dei fedeli del Patriarcato Ecumenico, di celebrare insieme la festa di Sant’Andrea, il primo chiamato ed il fratello dell’Apostolo Pietro. Il nostro ricordo degli Apostoli, che proclamarono la buona novella del Vangelo al mondo, attraverso la loro predicazione e la testimonianza del martirio, rafforza in noi il desiderio di continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia, gli ostacoli che ci dividono.

In occasione dell’incontro a Gerusalemme dello scorso maggio, nel quale abbiamo ricordato lo storico abbraccio tra i nostri venerabili predecessori Papa Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico Atenagora, abbiamo firmato una

dichiarazione congiunta. Oggi, nella felice occasione di un ulteriore fraterno incontro, vogliamo riaffermare insieme le nostre comuni intenzioni e preoccupazioni.

Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi. Vogliamo inoltre sostenere il dialogo teologico promosso dalla Commissione Mista Internazionale, che, istituita esattamente trentacinque anni fa dal Patriarca Ecumenico Dimitrios e da Papa Giovanni Paolo II qui al Fanar, sta trattando attualmente le questioni più difficili che hanno segnato la storia della nostra divisione e che richiedono uno studio attento e approfondito. A tal fine, assicuriamo la nostra fervente preghiera come Pastori della Chiesa, chiedendo ai fedeli di unirsi a noi nella comune invocazione che «tutti siano una sola cosa … perché il mondo creda» (Gv 17,21).

Esprimiamo la nostra comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente.

Siamo uniti nel desiderio di pace e di stabilità e nella volontà di promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione. Riconoscendo gli sforzi già fatti per offrire assistenza alla regione, ci appelliamo al contempo a tutti coloro che hanno la responsabilità del destino dei popoli affinché intensifichino il loro impegno per le comunità che soffrono e consentano loro, comprese quelle cristiane, di rimanere nella loro terra natia. Non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni. Molti nostri fratelli e sorelle sono perseguitati e sono stati costretti con la violenza a lasciare le loro case. Sembra addirittura che si sia perduto il valore della vita umana e che la persona umana non abbia più importanza e possa essere sacrificata ad altri interessi. E tutto questo, tragicamente, incontra l’indifferenza di molti. Come San Paolo ci ricorda: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le mem14

bra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Questa è la legge della vita cristiana e in questo senso noi possiamo dire che c’è anche un ecumenismo della sofferenza. Come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così anche la condivisione delle sofferenze quotidiane può essere uno strumento efficace di unità. La terribile situazione dei cristiani e di tutti coloro che soffrono in Medio Oriente richiede non solo una costante preghiera, ma anche una risposta appropriata da parte della comunità internazionale.

Le grandi sfide che ha di fronte il mondo nella situazione attuale, richiedono la solidarietà di tutte le persone di buona volontà. Pertanto, riconosciamo l’importanza anche della promozione di un dialogo costruttivo con l’Islam, basato sul mutuo rispetto e sull’amicizia. Ispirati da comuni valori e rafforzati da un genuino sentimento fraterno, musulmani e cristiani sono chiamati a lavorare insieme per amore della giustizia, della pace e del rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona, specialmente nelle regioni dove essi, un tempo, vissero per secoli in una coesistenza pacifica e adesso soffrono

insieme tragicamente per gli orrori della guerra. Inoltre, come leader cristiani, esortiamo tutti i leader religiosi a proseguire e a rafforzare il dialogo interreligioso e a compiere ogni sforzo per costruire una cultura di pace e di solidarietà fra le persone e fra i popoli.

Ricordiamo anche tutti i popoli che soffrono a causa della guerra. In particolare, preghiamo per la pace in Ucraina, un Paese con un’antica tradizione cristiana, e facciamo appello alle parti coinvolte nel conflitto a ricercare il cammino del dialogo e del rispetto del diritto internazionale per mettere fine al conflitto e permettere a tutti gli Ucraini di vivere in armonia.

I nostri pensieri sono rivolti a tutti i fedeli delle nostre Chiese nel mondo, che salutiamo, affidandoli a Cristo nostro Salvatore, perché possano essere testimoni instancabili dell’amore di Dio. Innalziamo la nostra fervente preghiera a Dio affinché conceda il dono della pace, nell’amore e nell’unità, a tutta la famiglia umana.

«Il Signore della pace vi dia la pace sempre e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi» (2 Ts 3,16).

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“Buon Natale”

intanto,

“che sia quello di Gesù” Rivolgere due parole “natalizie” alla vostra comunità, magari ogni anno, ma senza la continuità della relazione con voi che mi permetterebbe di conoscere i vostri cammini attuali, mi costringe a chiedermi cosa io possa mai dire da un anno all’altro, senza ripetermi e fuori da ogni contesto del vostro vissuto parrocchiale.

Gesù è lo stesso ieri, oggi e domani... anche quello che chiamiamo Bambino. E allora?

Ho chiesto un’idea al mio capo, e lui mi ha suggerito di parlare, dato che sono salesiano di don Bosco, da una prospettiva-sensibilità salesiana.

Proviamo, ma non garantisco niente.

Buon Natale, intanto. Che sia quello di Gesù.

Poco a vedere, nella sua sostanza, con gli abbellimenti (o appesantimenti?!) tradizionali, culturali, folcloristici, consumistici.

Alcuni di questi, senza dubbio, bellissimi e utili per dare alla celebrazione quel senso di festa eccezionale che il natale umano del Figlio di Dio non può che meritare. Gli abbellimenti non lasciateli perdere. La nostra fede in Gesù e l’affetto che gli portiamo devono vedersi anche nella materialità della nostra carne. Anima e corpo, mente e cuore, volontà. I figli guardano e imparano.

La fede deve farsi anche cultura, radicarsi nella nostra quotidianità.

Facciamo festa: la nostra umanità è con Gesù nel seno del Padre, è liberata e salvata.

Presto festeggeremo con molto più gusto, faccia a faccia. E’ la nostra speranza, che va rinfrescata con senso di vigilanza e furbizia (diamo una ripassatina ad Abele, a Noé e a Lot, ad Abramo...!), per non lasciarci sfuggire questo destino d’amore e di pace senza ombre né pause. Il Natale di Gesù è solo un assaggio.

Si dice “Natale con i tuoi...”.

Siamo sempre così sottosviluppati da pensare che il piacere fisico e il divertimento esteriore e altrove, chiassoso e superficiale (cioè che non va giù nel profondo), riempiano il cuore e diano consistenza e durata alla nostra felicità?

Insieme in famiglia, papà e mamma e figli e nonni, si trova quella pienezza di gioia (perché abbiamo paura di questa parola?) che non ha bisogno di alimentarsi con evasioni e compensazioni fuori casa e magari trasgressive. Gesù, Giuseppe e Maria: Betlemme e Nazareth; unità e semplicità, fede e lavoro. Casa. La giusta atmosfera è nelle nostre mani. Spirito di famiglia, dice don Bosco.

Ma il focolare aspetta la legna da tutti.

Si canta “Aggiungi un posto a tavola...”.

Abbiamo perso quel senso di ospitalità caratteristico di un sano e sicuro cristianesimo, che sa benissimo che Gesù è nell’altro, che lo incontriamo attraverso gli altri, che si immedesima in chi soffre, è solo, ha bisogno, è giovane? Lui abita lì se lo vuoi andare a trovare.

C’è una radicalità evangelica a cui Gesù avrebbe chiamato tutti, non solo qualcuno.

Se gli altri non-cristiani non ci stanno, dovremmo cambiare noi?

Amare il prossimo: e se qualcuno è venuto a rompere è veramente molto molto prossimo; amare il nemico: e se qualcuno ci dà fastidio, ci danneggia ruba e ammazza è molto molto nemico;

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perdere la propria vita: e amare il prossimo e il nemico è spesso perderla davvero; perdonare settanta volte sette: e farlo sembra troppo spesso buttarsi la zappa sui piedi...

Ma chi ce lo fa fare? Proprio a questo però siamo stati chiamati. E’ un privilegio. L’offerta l’abbiamo accettata qualche anno addietro, dal battesimo in su. Cosa è cambiato? Ci vediamo meglio e la fedeltà ci pesa? Bene. Riforniamoci di olio per tenere la lampada accesa: usciamo di casa e di chiesa; andiamo alle “periferie” (dice papa Francesco), che ci interpellano e hanno diritto a sentire e a ricevere la nostra stessa fortuna. Difficile? Sì, ma è il solo olio per le nostre lampade. Una volta queste periferie le chiamavano buone opere.

Mettiamoci poi parola di Dio, preghiera (=unione di tempo, cuore e affetto con chi si ama e ci ama) e la grazia dei sacramenti. Senza queste tre cose non ce la possiamo fare, non ci sono storie.

Non basta? Tentenniamo?

Allora non ci resta che seguire le parole di Gesù a Giuda: “quello che devi fare, fallo subito”.

In due staffe non ci si può stare.

L’aratro a cui abbiamo messo mano non proseguirà più. Pace! Né semina né raccolto.

Si esulta “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra...”

Penso ai pastori adesso, felici di sentire quell’ annuncio di festa, proprio loro che venivano poco considerati e tenuti alla larga dalle frequentazioni abituali del tempio, perché forse un po’ sporchi e quindi impuri. Quante storie!

Si alzano e partono. Non hanno da perdere niente. Anzi, non hanno paura di portare qualcosa.

Ce lo diciamo spesso che sono i poveri a vedere meglio la realtà e che sono i ricchi ad essere ciechi e a chiudersi nel loro guscio come in un fortino inattaccabile dalle bruttezze del mondo.

Noi da che parte stiamo? Di fortini inespugnabili non ce ne sono. Smettiamola di guardare a chi ha il portafoglio gonfio ed è lustro di gloria in televisione e sui giornali e sui tabelloni pubblicitari.

Disoccupazione, malattie, incidenti, guerre, terrorismi, catastrofi non risparmiano nessuno.

Siamo interconnessi. I ricchi poggiano sui poveri. Se questi si spostassero (magari è un segreto desiderio), i ricchi sprofonderebbero.

Conviene fare scelte da poveri secondo il vangelo, staccarsi un po’ dai beni che non ci portiamo nella tomba e che non costruiscono il futuro del cielo.

Meglio investire. E si investe non sotterrando o tenendo in cassaforte, ma trafficando, anche l’eventuale unico talento che abbiamo.

Don Bosco diceva ai ricchi, un po’ sfacciatamente, che se non tiravano fuori i soldi con generosità e bontà aiutandolo a provvedere ai suoi giovani poveri e orfani, questi avrebbero potuto farsi vivi un po’ più avanti col pugnale.

I pastori ci insegnano a condividere. Può capitare anche a noi che, senza saperlo molto chiaramente, finiamo per fare un regalo a un bambino che è figlio di Dio. Anzi, è sicuro che è così.

Dicono poi che ci sia più gioia a dare che a ricevere. Vediamo se è vero.

Il sorriso del bambino che riceve è pegno del Paradiso che ci accoglierà. Perché avere paura?

“Buon Natale, Maria e Giuseppe!” ... stendendo la mano, perché nella capanna di Betlemme (nome comune di capanna) sia festa.

don Isidoro Apostoli, salesiano in Etiopia 17

IIl figlio era un dono, un frutto della vita.

Ora è il risultato di una programmazione.

Che cosa comporta tale cambiamento?

Infanzia U

n importante elemento che contraddistingue il profilo postmoderno della società attuale riguarda lo statuto immaginario che in essa ha assunto l’infanzia, cioè il modo in cui i genitori in primis, ma poi tutta la cultura, immagina l’essere del bambino. A tale proposito, il noto filosofo francese Marcel Gauchet ha parlato di rivoluzione antropologica, sottolineando il passaggio epocale dal desiderio del figlio (di ieri) al figlio del desiderio (di oggi).

Con le sue parole: «Il bambino è diventato un figlio del desiderio, del desiderio di un figlio. Era un dono della natura o il frutto della vita attraverso di noi, certo, ma senza di noi o malgrado noi. D’ora in poi non potrà che essere il risultato di una volontà espressa, di una programmazione, di un progetto». Il cambiamento qui evocato risulta dal fatto che, grazie ai progressi della medicina, l’atto della procreazione è sempre più sganciato dai fattori della naturalità e casualità, legati all’esercizio piuttosto immediato della sessualità nel passato. In termini molto semplici, si può dire che il bambino al presente non è più un semplice dono della natura, del caso, chiamato alla prosecuzione della specie umana sulla terra. È ora un figlio dei loro genitori, voluto, scelto: è «un’emanazione del loro essere più intimo». È il risultato di un desiderio che lo precede e che lo determina in misura profonda.

Questo cambiamento, come ogni cambiamento, va considerato con grande attenzione: da una parte dice di una nuova cura rispetto ai piccoli, dall’altra pone in essere nuove situazioni e nuove domande. Accenno ad entrambe.

Il figlio come meta...

Ciò che cambia è in definitiva lo sguardo dei genitori sul piccolo, come da tempo ha pure segnalato Gustavo Pietropolli Charmet. Non è più visto, il nuovo arrivato, come un “piccolo selvaggio” da introdurre dentro la società civile, ma come una conquista, una meta (e a volte non mancano le difficoltà). E perciò, quando arriva, è una sorta di piccolo “Buddha”, una specie di “gal-

lina dalle uova d’oro”. Non è più un essere in divenire, che dovrà capire il senso della sua chiamata all’esistenza, ma è un essere già individuo, una sorta di piccolo adulto. Non è più l’inizio di un uomo, ma un uomo all’inizio. Non deve pertanto conquistarsi un posto in famiglia, in società, nella vita. Lo ha già. Quello spazio è stato preparato, immaginato, desiderato per lui, prima di lui, senza di lui. La vita non sarà più la semplice faticosissima occasione di conquistarsi la felicità o più tragicamente di evitare il maggior dolore possibile. Il figlio moderno, il figlio del desiderio, più radicalmente ha diritto alla felicità.

... e donatore di senso

Gauchet sottolinea, tuttavia, che in tal modo viene fuori una mitologia dell’infanzia. I piccoli non sono più recettori di senso, ma donatori di senso. E quindi meritano tutto. Da ciò deriva una prassi educativa fondamentalmente antitraumatica e iperprotettiva, tutta tesa a favorire nel piccolo la libera espressione di un sé, la quale tuttavia dovrà continuamente fare i conti con il fatto di essere venuto al mondo solo grazie al desiderio dei suoi genitori, a cui in qualche modo si sentirà perennemente legato e di conseguenza faticherà non poco a realizzare una piena individuazione di sé, la quale comporta sempre un autentico distacco da essi. Come si vede, si perpetua qui il gioco di nuove conquiste e di nuove fatiche, che il cammino dell’uomo sulla terra continuamente porta con sé. Per Gauchet l’approccio più corretto a tutti i risvolti di tale rivoluzione antropologica è quello di una discussione aperta e libera. Che abbia soprattutto di mira il rischio concreto che il nuovo culto del bambino comporta: quello che l’infanzia diventi una sorta di prigione dorata, nella quale il figlio del desiderio resti paradossalmente abbandonato a se stesso. È così speciale, è così completo, che di nulla avrebbe bisogno. Anche questo mutamento, in ogni caso, non può lasciare indifferenti i credenti veramente interessati alla diffusione della vita buona del Vangelo.

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INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

Lettura e sacramentalità della Parola

Come crescere nella fede?

Come nutrire la fede?

Conosciamo la Parola di Dio. Continuiamo la conoscenza del testo sacro per cogliere meglio i tesori contenuti in esso

Abbiamo concluso le pagine dedicate alla «Introduzione alla lettura della Bibbia», un sussidio semplice ed efficace che ha aiutato molti a familiarizzare con le pagine del tesoro delle Scritture. Ma, come impariamo da Gesù e la Chiesa ci insegna, non basta leggere la Parola di Dio per una conoscenza solo intellettuale o un’informazione, essa va «celebrata» nell’esperienza sacramentale, dove diventa «evento» di salvezza: quanto dice essa fa; la Parola accade!

Per questo proponiamo un contributo sull’importanza, il senso e il ruolo della Parola di Dio nella celebrazione liturgica-sacramentale. atteggiamento di gioioso rendimento di grazie, si ricrea il contesto originale in cui la Parola fu pronunciata e per cui al soffio dello Spirito Santo fu fissata, e perciò osì recita la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia: «Dio parla al suo popolo e Cristo an- lo scritto ridiventa Parola viva. nunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a sua Nella liturgia della Parola è presente l’interlocutore volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera» Cristo crocifisso e risorto, che di tutti gli scritti e (Sacrosanctum Concilium 33). dell’Antico e del Nuovo Testamento è il contenuto e la Più preciso e circostanziato è l’Ordinamento ge- chiave di comprensione (cf Lc 24,27.44-47), colui al nerale del Messale romano (OGMR 55): nella liturgia quale le Scritture si riferiscono e al quale danno testidella Parola «Dio parla al suo popolo, gli manifesta il monianza (cf Gv 5,39.46), Cristo, nel quale il Padre ci mistero della redenzione e della salvezza e offre un nu- ha detto tutto e ci ha dato tutto. trimento spirituale. Cristo stesso è presente per mezzo Cristo, oltre che contenuto, ne è pure l’esegeta: della sua parola tra i fedeli. Il popolo fa propria questa come ha spiegato le Scritture il giorno della risurrezioparola divina con il silenzio e i canti e vi aderisce con ne, le spiega ogni volta che la comunità dei discepoli la professione di fede. Così nutrito, prega nell’orazione si raduna per celebrare l’Eucaristia. Dicevano i rabbini universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la che dove si ha un’assemblea di dieci persone radunate salvezza del mondo intero». in ascolto della Torah, ossia del Pentateuco, la shekiSecondo la SC il gesto della lettura, dell’ascolto e nah, ossia la dimora di Dio, è in mezzo a loro. della risposta costituisce un’azione simbolica efficace In Mt 18,20 Gesù attribuisce a sé questa prerogatinella quale si realizza il dialogo salvifico tra Dio e il va, abbassando a due o tre il numero sufficiente perché suo popolo. Essa ha un valore sacramentale. si abbia un’assemblea cui è assicurata la sua presenza.

E di sacramentalità della lettura della Parola di Dio Metz, con espressione scultorea, commenta: «Si legge parla Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica Ver- il Vangelo: in esso Cristo stesso parla con la sua bocca bum Domini, n 56. al popolo, come è detto nel Vangelo di Matteo: “AprenIn continuità con il mistero dell’incarnazione - egli do la sua bocca istruiva i discepoli”. dice - nella quale la Parola di Dio si rende percepibile Gli fa eco il Pontificale romano-germanico. «Si legalla fede attraverso il segno di parole e gesti umani, e ge il Vangelo nel quale Cristo di sua bocca parla al poin analogia con l’Eucaristia, nella quale accostandoci polo... per fare risuonare il Vangelo nella Chiesa, come all’altare e prendendo parte al banchetto eucaristico se Cristo stesso parlasse al popolo». noi comunichiamo realmente al corpo e al sangue di I riti di tutte le liturgie si sono compiaciuti lungo i Cristo, la proclamazione della Parola di Dio nella cele- secoli nel sottolineare questa misteriosa presenza del brazione comporta il riconoscere che Cristo in persona Cristo pasquale nella Parola che a lui si riferisce, cirè presente e si rivolge a noi per essere accolto. condando di onore soprattutto l’Evangeliario, prezioInfatti, quando il popolo di Dio è radunato in nome samente ornato, posto sull’altare sul quale si pone il di Cristo per far memoria delle grandi opere di Dio in corpo di Cristo; con la processione con ceri e incensi,

La lettura delle Scritture nella liturgia e la sacramentalità della Parola

C

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INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

accompagnata dal canto dell’Alleluia, tradizionalmente inteso come acclamazione a Cristo risorto presente tra i suoi; con la lettura del Vangelo ascoltata in piedi, preceduta e seguita da acclamazioni a Cristo: «Gloria a te, Signore»; «Lode a te o Cristo».

Nella liturgia copta, prima della proclamazione del Vangelo, il presbitero supplica: «0 Signore Gesù Cristo, nostro Dio, tu che hai detto ai santi apostoli: “Molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non l’hanno visto, e sentire ciò che voi sentite, e non l’hanno udito; ma beati i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi, perché odono”; rendici degni, per la preghiera dei tuoi santi, di ascoltare il tuo santo Vangelo e di conformare ad esso la nostra condotta».

Dopo aver proclamato il Vangelo, il Libro viene elevato sui fedeli perché acclamino il Signore. «È Cristo che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (SC 7).

E al diacono che annunzia la lettura, i fedeli rispondono: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». I fedeli radunati in assemblea, che ascoltano l’annunzio evangelico sono beati al pari dei testimoni immediati della presenza e della parola di Cristo: essi vedono e sentono quanto fu oggetto della promessa e della speranza di tutto l’Antico Testamento.

La presenza di Cristo e della sua Parola nell’assemblea celebrante è resa possibile dallo Spirito Santo che ha parlato per mezzo dei profeti, ha consacrato Gesù di Nazaret, ha ispirato gli agiografi. Egli, che ha il compito di introdurre i discepoli nella verità tutta intera, interiorizzando nei credenti e attuando lungo i secoli quanto Gesù ha detto e ha compiuto, fa ricordare tutte le parole di Gesù, ne fa il memoriale, e quindi le fa rivivere”. Accompagna la Parola che ha donato, perché diventi dono accettato e conquista, venga capita e riceva una risposta di fede.

Per questo, analogamente a quanto avviene nell’anafora, dove nell’epiclesi è invocata la sua presenza per trasformare il pane e il vino in corpo e san-

infondi in noi il timore dei tuoi santi comandamenti, affinché calpestati tutti i deside ri mondani, pratichiamo una vita tutta spirituale, pensando ed operando tutto ciò che è di tuo gradimento»’’.

Nella proclamazione della Parola, dunque, è in azione lo Spirito della Pentecoste, che ispirò i profeti e gli agiografi, che purificò e aprì il cuore dei discepoli alla comprensione della verità e li santificò con la luce della sapienza divina. È lui che vivifica la Parola, rende i ministri capaci di mediare la Parola di Dio e i fedeli di accoglierla con frutto, suscita la risposta di fede e di conversione, di rendimento di grazie e di supplica.

La Parola nella comunità

Nella celebrazione liturgica si ha la presenza della comunità credente che è la destinataria originaria della Parola. Lo Scritto sacro è stato fissato primariamente per un ambito comunitario, l’assemblea che ascolta e celebra è, perciò, il luogo dove la Parola di Dio può espletare il massimo dei suoi fini. Da ciò segue che la liturgia è autentica esegesi che vivifica la Parola e la Parola per conseguire le sue finalità, ha bisogno di un’assemblea autenticamente liturgica.

Ricreando l’ambiente e le emozioni in cui il Libro è nato, essa offre la possibilità di cogliere il testo in qualche modo nel suo stato nascente, con la conseguenza di vederlo crescere sotto i nostri occhi con tutto lo stupore di chi è testimone di un’esperienza epifanica.

«Le parole divine crescono insieme a colui che le legge», afferma Gregorio Magno commentando il libro di Ezechiele, dove colui che legge non è il singolo ma la Chiesa radunata in assemblea per la celebrazione liturgica. Infatti, egli aggiunge di aver provato diverse volte a leggere e rileggere certi testi della Parola di Dio, senza riuscire a capirli, invece, quando li ha letti insieme ai fratelli, allora li ha compresi. Una magnifica esemplificazione di ciò si trova nella vita di sant’Antonio scritta da sant’Atanasio. Egli conosceva molto bene il testo di Mt 19,21 e la sua mente era frequentemente occupata in esso, ma soltanto quando lo ascotta nell’assemblea liturgica si sente personalmente interpellato da esso”.

Dopo aver proclamato il Vangelo, il Libro viene elevato sui fedeli perché acclamino il Signore. «È Cristo che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (SC 7). gue di Cristo, radunare e rendere conformi a lui quanti di essi si nutrono, quasi tutte le liturgie all’inizio della liturgia della Parola o prima della proclamazione del Vangelo prevedono l’implorazione dello Spirito Santo che prepari i cuori all’ascolto e renda viva ed efficace la Parola.

La liturgia bizantina di san Giovanni Crisostomo inizia con questa invocazione: «Re celeste, Paráclito, Spirito di verità, che sei presente in ogni luogo e ogni cosa riempi, tesoro di bene e datore di vita, vieni e abita in noi, purificaci da ogni macchia e salva, o Buono, le nostre anime»’’.

E prima della proclamazione del Vangelo fa pregare il presbitero: «Fa’ che risplenda nei nostri cuori, o misericordioso Signore, la pura luce della tua divina conoscenza. Apri gli occhi della nostra mente, perché possiamo intendere le tue predicazioni evangeliche, 20

Il brano evangelico nella liturgia costituisce il vertice e la chiave interpretativa dell’Antico e del Nuovo Testamento nella liturgia; l’accostamento tra le letture, il tempo dell’Anno liturgico, insieme all’omelia, orientano al sacramento che è il compiersi qui, ora, per noi della Parola. La liturgia della Parola non è un monologo, vi è la riposta di fede dell’assemblea nell’adesione, nella preghiera e nel rendimento di grazie.

La novità creativa della Parola del Signore nella liturgia

Ciascun brano biblico utilizzato nella liturgia ha un suo significato preciso all’interno del libro in cui si trova e nel contesto di tutta la Bibbia.

Quando la liturgia lo colloca in una sequenza di brani biblici, o in una sequenza rituale, o in un contesto celebrativo, quel medesimo brano amplia o restringe il suo significato in parecchie direzioni.

Il significato totale e reale non è solo quello contenuto nella lettera della Bibbia e neppure quello contenuto nel Lezionario, ma quello che risulta dal mistero pasquale che soggiace ad ogni pagina della Scrittura, a tutte le celebrazioni liturgiche e dalle variabili che costruiscono la celebrazione. La celebrazione in tal modo rigenera la parola, così che è possibile parlare, come fa l’Introduzione al Lezionario, di «un nuovo evento» che «arricchisce la Parola stessa di una nuova efficace interpretazione».

La comunità in atto radunata non è quella cui si rivolgeva il profeta Isaia, Osea o Geremia, né quella a cui si rivolgeva Gesù a Cafarnao, e neppure quella per

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

la quale Luca redigeva il suo Vangelo, o a cui Paolo indirizzava la sua lettera, ma una comunità con propria storia e collocazione geografica, lingua e cultura, con propri problemi, ansietà e peccati, una comunità di uomini e donne che vivono in una precisa situazione esistenziale. Dio da parte sua non si ripete: pur servendosi di parole pronunziate molti secoli addietro e trasmesse in modo intangibile, Cristo si rivolge a questa comunità per darle una nuova comprensione del suo mistero, consolarla, chiamarla a conversione, annunziare ad essa il perdono del Padre e ciò che giova alla sua pace.

La novità dell’evento risulta: 1. dalla collezione delle letture con al vertice il Vangelo, chiave ermeneutica del Nuovo e dell’Antico Testamento. Nella Veglia pasquale i brani anticotestamentari della creazione, del sacrificio di Abramo, della liberazione dalla schiavitù egiziana, le promesse profetiche delle nozze tra Dio e il suo popolo, della nuova ed eterna alleanza, dell’abitazione della sapienza in mezzo al popolo di Dio, di un cuore nuovo e di uno spirito nuovo, e la catechesi battesimale della lettera ai Romani trovano illuminazione nel racconto evangelico della risurrezione di Cristo che restaura la creazione e conduce a perfezione i mirabilia Dei. 2. Dall’accostamento tra le letture che introduce a una nuova comprensione della rivelazione, nuova rispetto a quanto era presente nella mente del profeta o dell’agiografo. Si pensi all’accostamento di Isaia 60 con Matteo 2 ed Efesini 3 nella solennità dell’Epifania: è la Chiesa la nuova Gerusalemme sulla quale splende la luce di Dio, verso la quale si dirige il pellegrinaggio dei popoli e di questa fila fanno parte i fedeli radunati nell’assemblea, ambasciatori come Paolo della vocazione universale alla salvezza.

3. Dall’assegnazione di una pericope ad un particolare tempo dell’Anno liturgico, ad una determinata festività o circostanza, alla memoria di un santo che quella Parola ha incarnato in modo originale, ad un’ora canonica, dalle eventuali omissioni, dalle sottolineature ed enfatizzazioni risultanti dal canto al Vangelo. L’assegnazione di Efesini 1,3-6.11-12 alla solennità dell’Immacolata permette di vedere in Maria l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, santa e immacolata, e insieme la primizia della promessa, dell’offerta di grazia e della vocazione rivolta ad ogni figlio di Eva e di Adamo.

4. Dalla collocazione di una lettura nel contesto di una celebrazione sacramentale o semplicemente rituale. La lettura di Giovanni 2,1-11 nel rito nuziale proclama che Cristo è presente alla celebrazione con tutti i discepoli, offre ai convitati il vino nuovo dell’Eucaristia, somma dei beni messianici, e manifesta nei due sposi la sua gloria per rinvigorire la fede dei discepoli. Il brano di Romani 6,3-9 nel rito esequiale afferma che la morte del cristiano è compimento della conformazione alla Pasqua di Cristo iniziata nel battesimo.

5. Importantissimo fattore di attualizzazione nella liturgia della Parola è il salmo responsoriale, in cui facendo suo il canto ispirato dallo Spirito Santo 21

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

perché lo ridicessimo a Dio, l’assemblea ripete a se stessa la Parola ascoltata ed esprime lo stupore per i prodigi evocati dalla proclamazione biblica in modo che essa più soavemente penetri nel cuore e i fedeli si sentano coinvolti nei fatti e nelle parole ascoltate.

Il Venerdì santo, il Salmo 30 dopo il quarto canto del servo di Yahvé (Is 52,13-53,12) permette all’assemblea di unirsi all’implorazione di Cristo e quindi d’immedesimarsi con il suo atteggiamento: «Padre nelle tue mani affido il mio spirito». L’importanza del Salmo nella liturgia della Parola non può essere sopravvalutata. Esso è parte integrante della liturgia della Parola, perché la sua scelta dipende dalle letture, ed è da lamentare il fatto che solitamente venga ignorato dal discorso omiletico. Il genere lirico e la funzione che svolge all’interno della liturgia della Parola esigono che esso sia eseguito in canto, almeno per quanto concerne il ritornello, e secondo l’Introduzione al Lezionario, richiede un ministro apposito, il salmista, diverso dal lettore, dotato di una buona pronunzia e dizione.

6. In questo ambito si colloca pure l’omelia. Essa ha il delicatissimo compito di evidenziare per la comunità radunata e storicamente situata i nessi tra le letture e il contesto celebrativo e la novità che ne risulta, per far cogliere l’oggi della Parola, come cioè attraverso quanto è stato proclamato, Dio parla a questa assemblea per ammonire, convertire, consolare, istruire, guarire, perdonare, ma soprattutto per svelare se stesso, il suo progetto, la sua offerta di grazia e fare scaturire gioioso il rendimento di grazie. Non è senza ragione che l’omelia nella sequenza rituale è seguita dalla Preghiera eucaristica: «Rendiamo grazie al Signore nostro Dio».

Per questo le omelie dei Padri terminano sempre con la dossologia.

7. Ma il fattore più importante di attualizzazione della Parola nella liturgia è dato dal sacramento e soprattutto dall’Eucaristia cui essa è orientata. Nel Sacramento eucaristico la Chiesa ha il compimento di quanto la Parola annuncia.

Lì è massimamente presente la Pasqua di morte e risurrezione del Signore, vertice e ricapitolazione di tutte le parole dette da Dio ai Padri per mezzo dei profeti e di tutti gli eventi della storia salvifica. Lì giunge a compimento il mistero dell’incarnazione e della Pasqua, quando Cristo offre al Padre in se stesso il culto spirituale, la preghiera, il lavoro, l’obbedienza e l’amore della comunità radunata e di coloro che sono incorpora-

ti a lui per la fede e il battesimo. Lì si rinnova il mistero della Pentecoste, quando l’assemblea, nutrita del pane riempito e santificato dallo Spirito santificatore, con una sola voce invoca Dio Padre e proclama le sue meraviglie. Lì, nel convito imbandito da Cristo si anticipa, si pregusta e si affretta la parusia. Sicché la liturgia bizantina può cantare al termine della comunione: «Abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito sovraceleste, abbiamo trovato la vera fede e adorato la trinità indivisibile, poiché essa ci salvò». Nella liturgia romana questo compimento sacramentale della Parola spesso è sottolineato dal canto di comunione. Il giorno dell’Epifania dopo aver ascoltato il Vangelo di Matteo 2,1-12, accostandoci alla mensa eucaristica cantiamo: «Noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti con doni ad adorare il Signore». Siamo noi i saggi che, guidati dalla fede, abbiamo offerto non oro, incenso e mirra, ma colui che nei doni eucaristici è significato, immolato e ricevuto, e ora apprestiamo al pane e al calice le nostre labbra. Gli esempi si potrebbero moltiplicare, anche perché la seconda edizione italiana del Messale romano, pur conservando le vecchie antifone di comunione, ha esteso questo criterio praticamente a tutte le Messe.

8. La liturgia della Parola però non è un monologo, come non è un monologo la rivelazione divina. La Parola di Dio suscita anzitutto la risposta dell’assemblea a cui si rivolge: «Quanto il Signore ha detto noi lo faremo». Questa risposta è significata anzitutto dalla confessione di fede, il Credo, con cui l’assemblea si associa all’Amen di tutto il popolo di Dio alla sua proposta, fa sua la risposta di Pietro dinanzi alla rivelazione del Mistero di Cristo da parte del Padre: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16ss), di Marta dinanzi alla rivelazione di Gesù come vita e risurrezione di chi crede in lui: «Io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che viene in questo mondo» (Gv 11,27), di Maria all’annuncio dell’angelo: «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

L’altro momento della risposta è la preghiera, in primo luogo la preghiera universale in cui il popolo cristiano, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, fa suo il disegno di Dio sulla Chiesa e sul mondo invocando l’avvento del suo regno. Giustamente all’esigenza di universalità di questa preghiera, la più importante dopo la Preghiera eucaristica, l’Introduzione al Lezionario aggiunge quella di un rapporto stretto con la Parola proclamata, di cui costituisce per così dire il primo frutto.

Ma il frutto più maturo della Parola ascoltata, la risposta più completa è data dal rendimento di grazie e dalla dossologia che si esprime nella Preghiera eucaristica e nelle grandi preghiere sacerdotali che ne imitano la struttura. In esse il popolo ridice a Dio la Parola ascoltata e la storia che la sua proclamazione ha reso presente alla sua fede, in gioioso rendimento di grazie, con la certezza che il Dio che ha operato nel passato è presente nell’oggi con lo stesso amore e la stessa potenza per portare a termine il suo disegno. Nell’Eucaristia anzi la Parola ascoltata si fa offerta di pane e vino, frutti della terra e del lavoro umano, per divenire poi, per virtù del22

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

lo Spirito Santo implorato dalla Chiesa, corpo e sangue anche per insegnare agli altri quanto avrete appreso». di Cristo, segno della sua Pasqua di morte e risurrezione. Molto spesso il disagio di fronte alle letture bibliche del nuovo Lezionario dipende proprio dal fatto che i testi ci Perché la Parola riacquisti vita risultano assolutamente nuovi. È un disagio che è posPerché la Parola di Dio, passando dallo scritto alla sibile superare con la pratica dei Salmi, con la catechesi celebrazione, possa sortire gli effetti della Parola che biblica che, occasionale e sistematica, nei gruppi e nella ha chiamato all’esistenza il mondo, ha creato il popolo preparazione ai sacramenti, sta entrando nello stile delle di Dio del Primo e del Nuovo Testamento, ha sanato comunità. gli infermi, perdonato i peccatori e risuscitato i morti, è • Una proclamazione che permetta di cogliere la viva, efficace, tagliente e penetrante, devono verificarsi presenza di Dio e di Cristo che parla attraverso le Scritalcune condizioni. ture, e lettori che siano veramente idonei, dal punto di • Anzitutto è indispensabile l’atteggiamento vista biblico e liturgico e tecnico e coscienti di prestare dell’ascolto. Quello dell’ascolto è il primo e fondamen- la propria voce a Cristo che parla per mezzo loro. tale comandamento (cf Dt 6,4) e quello a cui è promes• L’ambone, non oggetto, ma luogo della proclasa la beatitudine propria di colei nel cui grembo la Pa- mazione, elevato, stabile, adornato, ben collegato con rola si è fatta carne (cf Lc 11,28). Esso è disponibilità, l’altare, che dica con la sua architettura, iconografia e apertura personale, gratuità, libertà interiore. decorazione, anche fuori della celebrazione, la trascenÈ frutto di educazione, d’impegno ascetico ed esige denza della Parola che da lì si proclama, ed evochi il sela capacità del silenzio, grembo materno, ambito e spa- polcro vuoto, dall’ingresso del quale l’angelo annunzia zio vitale della Parola, quel silenzio su cui giustamente la risurrezione del Crocifisso, vero contenuto di tutte le insistono i libri liturgici.

Scritture, e ne sia celebrazione. È necessario, poi, che i fedeli acquistino familiarità • Un Libro dignitoso, che dica la nobiltà e santità con la Scrittura. Nella celebrazione non si tratta di sco- della Parola: il Lezionario, mai sostituito da altri susprire il testo, ma di riconoscerlo per scoprire in esso un sidi, quali messalini e foglietti che, secondo l’Introduvolto e una voce nota e amica che ci rivela sempre più zione al Lezionario servono per prepararsi alla Messa e meditarne personalmente le letture dopo la celebraziose stesso e noi. È un tema su cui insisteva Giovanni Crisostomo con ne, e soprattutto l’Evangeliario, vero scrigno, teca o taespressioni che a distanza di mille e seicento anni non bernacolo del Verbo, portato in processione all’ingresso hanno perduto nulla della loro attualità e pertinenza: e al momento della proclamazione, deposto sull’altare, «Ecco ciò che vi chiedo: che un giorno alla settimana o intronizzato, incensato, baciato, almeno qualche volta la domenica ciascuno di voi prenda in mano il passo del da tutti i fedeli.

• Preghiere e canti, d’ingresso, di offerta, di comuVangelo che vi verrà letto nella liturgia, per leggerlo e nione, inni, litanie dell’Atto penitenziale e dell’Agnello rileggerlo in anticipo, che ne facciate in casa uno studio di Dio, che siano veramente permeate della Parola che è attento e ponderato, notando ciò che vi è di chiaro e di proclamata, ne siano risonanza, permettano di gustarla, oscuro, ciò che sembra contraddittorio, senza esserlo in di assaporarla, di ridirla a Dio. realtà. Dovreste venire ad ascoltare la Parola sacra sol• Infine, non dovrebbe escludersi nelle maggiori sotanto dopo una tale preparazione, diligente e completa. lennità l’utilizzazione di un’icona della festa che metta Questo lavoro sarebbe di grande utilità per me: io non dinanzi agli occhi l’immagine trasfigurata di quanto ritroverei grande difficoltà a farvi comprendere il senso di suona all’orecchio, come avviene nella liturgia bizanogni testo essendo la vostra intelligenza già familiarizzatina. ta con i testi; voi sareste più chiaroveggenti e perspicaci, In conclusione, tutti gli elementi della celebrazione: non solamente per ascoltare e apprendere meglio, ma parole, immagini, luci, suoni, vesti, colori, profumi, sapori, gesti, movimenti, oggetti, tempi, spazi, canti, preghiere, formule di saluto, benedizioni, didascalie, monizioni, invocazioni, acclamazioni, dossologie, devono diventare trasparenza e risonanza del mistero indicibile della Parola, che la rendano udibile, visibile, tattile, odorifera, saporosa, la celebrino e la ridicano a Dio carica dello stupore, del pentimento, dell’implorazione e soprattutto della gioia che si fa rendimento di grazie, di quanti il Padre ha radunato alla sua presenza per manifestare e affidare ad essi i misteri del regno.

Il coro o solista imparerà pian piano a cantare salmi e testi biblici nella Messa come indicatonello stesso Messale romano.

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all’oratorio di Botticino Mattina

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E’

arrivata una nuova realtà a Botticino Mattina, che si potrebbe sintetizzare con lo slogan riportato sopra.

Dopo le numerose sollecitazioni fatte dal Parroco all’interno della Comunità, abbiamo trovato che questa poteva essere una risposta: un gruppo aperto , formato da genitori e bambini, che ha preso coscienza dell’importanza dell’oratorio come principale luogo di aggregazione e fonte di educazione ai valori, per la fascia d’età che va dall’infanzia fino a tutta l’adolescenza.

COME E’ NATA L’IDEA? Da un gruppo di genitori che in modo autonomo si sono ritrovati un sabato mattina al parco per riflettere sul come avvicinare i propri figli ad una realtà aggregante come l’oratorio, per farla diventare realtà entusiasmante,

AVANTI !

E’ APERTO! appassionante e soprattutto partecipata.

Al primo incontro se ne sono succeduti altri, con una partecipazione sempre più ampia e una condivisione di idee, sensazioni, informazioni, obiettivi.... assieme è nata la volontà e la voglia di “tirarsi su le maniche” , mettendo a disposizione i talenti di ognuno per creare -all’interno dell’oratorio- spazi ed esperienze ludiche ed educative: momenti di gioco, di attività, di merenda comune,.. e ancora laboratori, attività motorie...

Avendo chiaro cosa si voleva raggiungere, abbiamo voluto condividere le nostre proposte con il Don,... e anche qui abbiamo trovato le porte aperte! Abbiamo ricevuto attenzione, approvazione, consigli e soprattutto libertà di azione e di pensiero.

E in questo terreno, che cosa poteva nascere, se non qualcosa di bello?

Già il clima disteso, cordiale e di collaborazione tra genitori e tra genitori e Parroco era una premessa positiva, faceva ben sperare.

Avevamo quasi tutto per partire: idee, disponibilità, la voglia esuberante dei bambini di partire con questo percorso... di cosa o di chi avevamo bisogno ancora?

MA DI PIETRO FOST! Il giovane animatore che il Don ci ha affiancato il martedi ed il giovedi e che intrattiene i bambini che non sono impegnati nei laboratori creativi.

GLI OBIETTIVI di questi momenti comunitari sono piccoli e grandi insieme e innanzitutto nascono dall’ esigenza di sperimentare nuove idee e nuove scelte, che partono dalla necessità di essere partecipi” al cambiamento che sta avvenendo nella società “attuando proposte positive e propositive” per i nostri ragazzi. E’ anche questo un modo concreto, attivo, per sensibilizzare la comunità, è “la possibilità della comunità educativa di proporre cammini veri ed adeguati” Come gruppo, vogliamo proporre ai ragazzini, che troppo spesso passano le giornate davanti a tv o computer, momenti diversi di aggregazione riscoprendo la voglia di stare insieme in un luogo protetto - pieno di valori -, sperimentando il significato di condivisione, accettazione, solidarietà, divertimento; e ritrovando la gioia di creare nei laboratori, oggetti e plastici con materale di riciclo(!) o sperimentare ed inventare situazioni e scenette attingendo al baule dei travestimenti.

Per noi genitori è una volontà (o desiderio) di riappropriarci del tempo, di un po’ di tempo, per dedicarlo ai nostri ragazzi (ai figli nostri, ma anche ai figli di chi ci sta vicino, riscoprendo così il vero senso del “fare rete” e comunità) che manifestano rinnovati bisogni e attenzioni.

CONDIVIDERE...”

E’ la specificità dell’Oratorio, quella di essere “luogo” aperto a tutti, messo a disposizione dei bambini perchè crescano in armonia e gioia; di essere momento in cui sperimentare la vera partecipazione, condivisione, l’aiuto reciproco, insomma l’INCONTRO!

COSA TROVATE IN QUESTO MOMENTO ALL’ORATORIO? Un clima accogliente, un gruppo positivo e propositivo di genitori e di bambini.

-Piccola biblioteca per bambini e per piacevoli letture, bookcrossing.

-Laboratorio creativo (con materiale di recupero abbiamo costruito mangiatoie per uccelli, dipinto sassi e allestito due presepi) -Momenti di gioco animati da Pietro (calcio, calcetto, pallavolo etc.)

-Giochi da tavolo -Merenda con torte fatte in casa dalle mamme...

RIPARTIAMO QUINDI DALL’ORATORIO! “Per non stare fermi, ma per incontrare.

Per non ridurre il mondo alla nostra misura e rinchiuderlo dentro l’oratorio, ma per aprire l’oratorio alle dimensioni della storia e della PERCHE’ UN “GRUPPO APERTO”?

PERCHE’ TUTTI POSSONO PARTECIPA- geografia che stiamo vivendo”.

RE, TUTTI POSSONO PROPORRE, TUTTI Gruppo Aperto Genitori POSSONO FRUIRNE..., E’ IL SENSO VERO dell’Oratorio di Botticino Mattina DELL’ INCONTRO CON L’ALTRO. “CI IMMAGINIAMO QUINDI UN PROGETTO EDUCATIVO NON STATICO MA Volete saperne di più? Vi aspettiamo DINAMICO, FECONDO, CAPACE DI GENE- all’Oratorio di Mattina ogni martedi e giovedi, RARE NUOVE PRASSI DA RACCONTARE E dalle 14,30 alle 18,00 24

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dalla scuola don orione - dalla scuola don orione -dalla scuola don orione - dalla scuola don orione - dalla scuola don orione -

Scuola tempo di iscrizioni.

Perchè non pensare al “ don Orione”?

Scuola don Orione

SCUOLA PRIMARIA E SECONDARIA DI PRIMO GRADO

paritarie

via Don Orione 1 Botticino Sera

E’ una scuola paritaria pubblica esistente a Botticino Sera dal 1980 come scuola media e dal 2006 come scuola primaria.

Accoglie ragazzi di tutta la zona pastorale della Valverde, coprendo l’intero ciclo della primaria e della secondaria di primo grado.

Scuola così come l’aveva sognata Don Orione: “ una famiglia ben ordinata, portata avanti con Parrocchie di Botticino molta cura nel Signore”, la scuola del rispetto di tutti e di ciascuno, la scuola che ha la pazienza del seminatore e crede che ogni ragazzo può e deve raggiungere suoi traguardi, la scuola dove gli educatori non “contano” il tempo che dedicano ai ragazzi, alla progettazione, al confronto e volentieri si rendono disponibili, la scuola dove veramente genitori e docenti si possono serenamente confrontare, la scuola dove crescere insieme.

SCUOLA PRIMARIA: organizzazione Settimana corta: 30 ore da lunedì al venerdì con orario scolastico dalle 8,15 alle 12,15 e dalle 14,00 alle 16,00; possibilità di accoglienza assistita dalle 7.30. Doposcuola fino alle 17,30. Insegnante prevalente coadiuvata da insegnanti specialisti: di Inglese, motoria , informatica e religione.

SCUOLA SECONDARIA: organizzazione Dalle 7,50 alle 13,30 con possibilità di accoglienza assistita dalle 7.30. Attività di doposcuola fino alle 16,30.

Attività integrative : •Settimana bianca •Corsi di arte e decoro- latino- allenamento Invalsi- teatro •English camp •Campus estivo con svolgimento dei compiti delle vacanze Tempo di iscrizioni dunque…

La nostra scuola è sempre aperta e disponibile per qualsiasi informazione.

PRECISAZIONI RIGUARDO ALLA SCUOLA CATTOLICA Non sono pochi i fraintendimenti e gli equivoci circa le scuole cattoliche.

Anzitutto le scuole paritarie non sono scuole private, ma pubbliche. Ci chiediamo: riguardo ai costi: sappiamo che allo Stato ogni alunno di scuola paritaria costa annualmente 584 euro nell’infanzia, 866 nella primaria, 106 nella scuola secondaria di primo grado, 51 nella secondaria di secondo grado? E che la spesa per studente delle istituzioni scolastiche pubbliche statali nel 2009 è di 6.351 euro per la scuola primaria, e di 6.880 per la secondaria? (dati MIUR 2009-2010) A conti fatti, dunque, l’esistenza delle scuole paritarie garantisce allo Stato un risparmio annuo di oltre 6 miliardi di euro che è quanto spenderebbe se tutti gli alunni che le frequentano passassero alla scuola statale.

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Una SCUOLA per DIVENTARE GRANDI

A che cosa serve la scuola, se non per crescere e diventare grandi?

Le nuove iniziative della scuola parrocchiale Don Orione rivolgono l'attenzione proprio ai più piccoli nel delicato momento del passaggio: dalla scuola dell’infanzia alla primaria e dalla primaria alla secondaria di primo grado, meglio conosciuta come “le medie”.

Le insegnanti hanno messo in campo un progetto denominato “Un giorno da grandi” per fare sperimentare a tutti i bambini che la scuola è una realtà fatta di luoghi, materiali e soprattutto persone accoglienti, dove si lavora con impegno, creatività e motivazione nel rispetto degli altri e delle regole. E' dall'esperienza che si impara più che da ogni nozione; l'esperienza lascia il segno nel cuore e nella mente, costruisce punti per il futuro basati sulle solide fondamenta di ciò che si è appreso nel passato.

Parte dall'esperienza anche il progetto “Pane e farina” attraverso il quale gli studenti, guidati da un biologo, scoprono i diversi tipi di farine, si cimentano in cucina con il loro utilizzo per realizzare decorazioni natalizie e prodotti gastronomici.

Sono ancora una volta costruite sull'esperienza le toccanti testimonianze con le associazioni locali, in particolare per quando riguarda le tematiche delle dipendenze da fumo, alcol e droghe.

La scuola Don Orione è la scuola di tutti. In quanto pubblica, offre un servizio paritario mantenendo forte la sua identità di strumento di educazione cristiana.

Crediamo in una scuola libera e aperta, una scuola che ospita, fa riflettere, genera esperienze fruibili per tutti.

Ne sono un'ulteriore dimostrazione i numerosi corsi extrascolastici, vera offerta per i cittadini del territorio.

Infine, in occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio 2015, i ragazzi prepareranno una riflessione sulla Shoah attraverso degli elaborati digitali che verranno presentati ai genitori e a tutta la comunità.

E’ un'attività che permetterà loro di partecipare al processo di “fare memoria” previsto dalla legge italiana e compito morale irrinunciabile per ogni cittadino.

La scuola Don Orione lancia ponti verso l'esterno, verso la vita; non si chiama fuori dalla responsabilità sociale, culturale e educativa che tanto rappresenta un'emergenza oggi, ma prova ad esserci attraverso i suoi studenti, che sono il “sale della terra”, il nostro futuro, protagonisti che hanno bisogno di essere accompagnati sapientemente da insegnanti e famiglie.

L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE A SCUOLA: UNA SCELTA ANCORA ATTUALE Le famiglie sono tenute a indicare nei mesi di gennaio/febbraio se intendono avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico successivo. Sarebbe importante considerare tale scelta da parte delle famiglie che vivono l’iniziazione cristiana (ci sono, infatti, ragazzi che frequentano l’ICFR ma non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica). L’Ufficio della Diocesi ha anche predisposto un articolo per bollettini parrocchiali qui di seguito riportato.

A

ll’interno del dibattito pubblico sulla “Buona scuola” indetto dal governo, anche l’insegnamento della religione cattolica (IRC) è diventato uno dei temi particolarmente sentito: sia da chi lo sostiene sia da chi lo vorrebbe eliminare. Di conseguenza ci pare utile suggerire qualche orientamento sui modi in cui l’IRC possa essere ripensato e riproposto dentro il clima scolastico attuale, senza cambiarne la conformazione concordataria.

Un primo aspetto per pensare il valore dell’IRC nella scuola di oggi è rapportarlo alla catechesi.

L’IRC è una forma di catechesi esercitata a scuola, come molti pensano? La risposta è negativa. Infatti, la nuova “Intesa” fra lo Stato e la Chiesa cattolica (siglata nel DPR 175/2012) ribadisce che l’IRC “E’ impartito nel rispetto della libertà di coscienza de27

genitori che vivono il mondo della scuola, potremmo non solo promuovere la partecipazione all’IRC, ma impegnarci anche a sostenere le altre tre opzioni possibili ed alternative all’IRC: lo studio assistito, lo studio non assistito e l’ora di attività alternativa all’IRC. Questo, forse, potrebbe educare molti studenti a modificare l’immagine che si fanno, su spinta della comodità, dell’IRC come un’ora superflua o inutile alla loro formazione scolastica.

gli alunni, secondo indicazioni didattiche che devono essere conformi alla dottrina della Chiesa e collocarsi nel quadro delle finalità della scuola”. Questo, molto semplicemente, segnala il fatto che l’IRC va impartito in maniera non confessionale, in modo da presentare i contenuti della materia in modo scolastico, non catechetico. In questo senso frequentare l’IRC potrebbe essere utile come formazione culturale anche a chi, pur non essendo cattolico, vuole comprendere la società e la cultura in cui vive. Inoltre, interpretato in questo modo, l’IRC non contrasta affatto con l’idea della tolleranza religiosa o della laicità dello Stato e anzi potrebbe diventare un laboratorio di tolleranza e di promozione della laicità secondo i valori propri della cittadinanza repubblicana.

Un secondo aspetto per ripensare l’IRC è quello di fare in modo che non venga etichettato come un’ora in meno da fare a scuola. Anche se la legge permette di non avvalersi dell’IRC uscendo da scuola, la comunità cristiana non può accettare come educativa l’idea che imparare qualcosa in più e fare nulla di scolastico abbia lo stesso valore. In questo senso, soprattutto come

Un terzo aspetto per ripensare l’IRC può essere collegato al suo valore di promozione dell’intelligenza in materia di spiritualità. L’IRC, infatti, può concorrere anche alla formazione religiosa degli alunni, ma alla maniera che è propria della scuola. A scuola ogni materia può formare religiosamente un alunno che sia disponibile in tal senso. Ogni volta che qualsiasi docente insegna ai suoi alunni ad utilizzar intelligenza e ragione per comprendere le meraviglie del creato, in un qualche modo li aiuta a formarsi anche religiosamente e cristianamente. La fede cristiana, infatti, non va a nozze con l’essere creduloni, ma con la meraviglia davanti al modo in cui Dio ha fatto l’universo. Per cui l’IRC può promuovere la formazione spirituale dei ragazzi non tanto perché l’insegnante propone di pregare in aula o di fare messa a scuola. Piuttosto, attraverso l’attività di studio della dottrina cattolica secondo le indicazioni didattiche con cui va impartito nei diversi ordini e gradi di scuola, l’IRC sviluppa l’intelligenza degli studenti in ambito religioso, promuovendo l’accoglienza e la tolleranza verso alunni di altre culture e religioni. In questo, l’IRC si inserisce, in comunione con tutte le altre discipline e senza diventare motivo di conflitti o contrasti sulle pratiche di vita religiosa, in una scuola che forma il religioso dell’umano sviluppando l’intelligenza e il suo esercizio critico.

Questi sono solo alcuni dei modi con cui si può cogliere qualche occasione per ripensare il valore scolastico dell’IRC oggi. La speranza è che le comunità cristiane siano pronte, in nome della fede del Signore di ogni uomo e donna, a promuovere accettazione della diversità, l’entusiasmo dell’imparare e la spiritualità dello studio.

Luciano Pace, responsabile per l’IRC Diocesi di Brescia

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“Relatio Synodi” della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi:

“Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” 5-19 ottobre 2014

INDICE

Introduzione

I Parte L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia Il contesto socio-culturale La rilevanza della vita affettiva La sfida per la pastorale II Parte Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza La famiglia nel disegno salvifico di Dio La famiglia nei documenti della Chiesa L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili III Parte Il confronto: prospettive pastorali Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali) L’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale La trasmissione della vita e la sfida della denatalità La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione Conclusione 29

Introduzione 1. Il Sinodo dei Vescovi riunito intorno al Papa rivolge il suo pensiero a tutte le famiglie del mondo con le loro gioie, le loro fatiche, le loro speranze. In particolare sente il dovere di ringraziare il Signore per la generosa fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione e missione. Lo fanno con gioia e con fede anche quando il cammino familiare le pone dinanzi a ostacoli, incomprensioni e sofferenze.

A queste famiglie va l’apprezzamento, il ringraziamento e l’incoraggiamento di tutta la Chiesa e di questo Sinodo. Nella veglia di preghiera celebrata in Piazza San Pietro sabato 4 ottobre 2014 in preparazione al Sinodo sulla famiglia Papa Francesco ha evocato in maniera semplice e concreta la centralità dell’esperienza familiare nella vita di tutti, esprimendosi così: «Scende ormai la sera sulla nostra assemblea. È l’ora in cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto. È anche l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore; in quante case è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore – la sapienza stessa – della vita [...] Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera, una preghiera per tutti».

Synodus – che vuol dire? Fare strada insieme!

– è l’espressione che indica il luogo ecclesiale in cui si conviene per incontrarsi e riflettere – nella duplice fedeltà a Dio e all’uomo – di fronte alle sfide della famiglia di oggi.

2. Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite, la famiglia è veramente “scuola di umanità” (cf. Gaudium et Spes, 52), di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del “villaggio globale”, il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia” che le è stato affidato con la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa. La famiglia assume per la Chiesa un’importanza del tutto particolare e nel momento in cui tutti i credenti sono invitati a uscire da se stessi è necessario che la famiglia si riscopra come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione. Il pensiero va alla testimonianza missionaria di tante famiglie.

3. Sulla realtà della famiglia, decisiva e preziosa, il Vescovo di Roma ha chiamato a riflettere il Sinodo dei Vescovi nella sua Assemblea Generale Straordinaria dell’ottobre 2014, per approfondire poi la riflessione nell’Assemblea Generale Ordinaria che si terrà nell’ottobre 2015, oltre che nell’intero anno che intercorre fra i due eventi sinodali. «Già il convenire in unum attorno al Vescovo di Roma è evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale»: così Papa Francesco ha descritto l’esperienza sinodale, indicandone i compiti nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue.

4. Alla luce dello stesso discorso abbiamo raccolto i risultati delle nostre riflessioni e dei nostri dialoghi nelle seguenti tre parti: l’ascolto, per guardare alla realtà della famiglia oggi, nella complessità delle sue luci e delle sue ombre; lo sguardo fisso sul Cristo per ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo quanto la rivelazione, trasmessa nella fede della Chiesa, ci dice sulla bellezza, sul ruolo e sulla dignità della famiglia; il confronto alla luce del Signore Gesù per discernere le vie con cui rinnovare la Chiesa e la società nel loro impegno per la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.

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PRIMA PARTE L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia Il contesto socio-culturale 5. Fedeli all’insegnamento di Cristo guardiamo alla realtà della famiglia oggi in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre. Pensiamo ai genitori, ai nonni, ai fratelli e alle sorelle, ai parenti prossimi e lontani, e al legame tra due famiglie che tesse ogni matrimonio. Il cambiamento antropologico-culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato. Vanno sottolineati prima di tutto gli aspetti positivi: la più grande libertà di espressione e il migliore riconoscimento dei diritti della donna e dei bambini, almeno in alcune regioni. Ma, d’altra parte, bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto. A ciò si aggiunge anche la crisi della fede che ha toccato tanti cattolici e che spesso è all’origine delle crisi del matrimonio e della famiglia.

6. Una delle più grandi povertà della cultura attuale è la solitudine, frutto dell’assenza di Dio nella vita delle persone e della fragilità delle relazioni. C’è anche una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso finisce per schiacciare le famiglie. Così è per la crescente povertà e precarietà lavorativa che è vissuta talvolta come un vero incubo, o a motivo di una fiscalità troppo pesante che certo non incoraggia i giovani al matrimonio. Spesso le famiglie si sentono abbandonate per il disinteresse e la poca attenzione da parte delle istituzioni.

Le conseguenze negative dal punto di vista dell’organizzazione sociale sono evidenti: dalla crisi demografica alle difficoltà educative, dalla fatica nell’accogliere la vita nascente all’avvertire la presenza degli anziani come un peso, fino al diffondersi di un disagio affettivo che arriva talvolta alla violenza. È responsabilità dello Stato creare le condizioni legislative e di lavoro per garantire l’avvenire dei giovani e aiutarli a realizzare il loro progetto di fondare una famiglia.

7. Ci sono contesti culturali e religiosi che pongono sfide particolari. In alcune società vige ancora la pratica della poligamia e in alcuni contesti tradizionali la consuetudine del “matrimonio per tappe”. In altri contesti permane la pratica dei matrimoni combinati. Nei Paesi in cui la presenza della Chiesa cattolica è minoritaria sono numerosi i matrimoni misti e di disparità di culto con tutte le difficoltà che essi comportano riguardo alla configurazione giuridica, al battesimo e all’educazione dei figli e al reciproco rispetto dal punto di vista della diversità della fede. In questi matrimoni può esistere il pericolo del relativismo o dell’indifferenza, ma vi può essere anche la possibilità di favorire lo spirito ecumenico e il dialogo interreligioso in un’armoniosa convivenza di comunità che vivono nello stesso luogo. In molti contesti, e non solo occidentali, si va diffondendo ampiamente la prassi della convivenza che precede il matrimonio o anche di convivenze non orientate ad assumere la forma di un vincolo istituzionale. A questo si aggiunge spesso una legislazione civile che compromette il matrimonio e la famiglia. A causa della secolarizzazione in molte parti del mondo il riferimento a Dio è fortemente diminuito e la fede non è più socialmente condivisa.

8. Molti sono i bambini che nascono fuori dal matrimonio, specie in alcuni Paesi, e molti quelli che poi crescono con uno solo dei genitori o in un contesto familiare allargato o ricostituito. Il numero dei divorzi è crescente e non è raro il caso di scelte determinate unicamente da fattori di ordine economico. I bambini spesso sono oggetto di contesa tra i genitori e i figli sono le vere vittime delle lacerazioni familiari. I 31

Papa Francesco, aprendo i lavori, ha indicato come condizione per una vera «sinodalità» il «parlare chiaro» e «dire tutto ciò che si sente», e «al tempo stesso ascoltare e accogliere con cuore aperto ciò che dicono i fratelli».

Lo scopo dell’incontro è di proporre al mondo odierno la bellezza e i valori della famiglia, che emergono dall’annuncio di Gesù Cristo che dissolve la paura e sostiene la speranza.

padri sono spesso assenti non solo per cause economiche laddove invece si avverte il bisogno che essi assumano più chiaramente la responsabilità per i figli e per la famiglia. La dignità della donna ha ancora bisogno di essere difesa e promossa. Oggi infatti, in molti contesti, l’essere donna è oggetto di discriminazione e anche il dono della maternità viene spesso penalizzato piuttosto che essere presentato come valore. Non vanno neppure dimenticati i crescenti fenomeni di violenza di cui le donne sono vittime, talvolta purtroppo anche all’interno delle famiglie e la grave e diffusa mutilazione genitale della donna in alcune culture. Lo sfruttamento sessuale dell’infanzia costituisce poi una delle realtà più scandalose e perverse della società attuale.

Anche le società attraversate dalla violenza a causa della guerra, del terrorismo o della presenza della criminalità organizzata, vedono situazioni familiari deterioratee soprattutto nelle grandi metropoli e nelle loro periferie cresce il cosiddetto fenomeno dei bambini di strada. Le migrazioni inoltre rappresentano un altro segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto il carico di conseguenze sulla vita familiare.

La rilevanza della vita affettiva 9. A fronte del quadro sociale delineato si riscontra in molte parti del mondo, nei singoli un maggiore bisogno di prendersi cura della propria persona, di conoscersi interiormente, di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti, di cercare relazioni affettive di qualità; tale giusta aspirazione può aprire al desiderio di impegnarsi nel costruire relazioni di donazione e reciprocità creative, responsabilizzanti e solidali come quelle familiari. Il pericolo individualista e il rischio di vivere in chiave egoistica sono rilevanti. La sfida per la Chiesa è di aiutare le coppie nella maturazione della dimensione emozionale e nello sviluppo affettivo attraverso la promozione del dialogo, della virtù e della fiducia nell’amore misericordioso di Dio. Il pieno impegno richiesto nel matrimonio cristiano può essere un forte antidoto alla tentazione di un individualismo egoistico.

Dal Sinodo dei Vescovi sulla famiglia il mondo cristiano e no attende una maggiore apertura alle problematiche della famiglia oggi; e grande è l’attenzione di Papa Francesco e dei Vescovi per onorare al meglio il dono di Dio che è la Famiglia.

10. Nel mondo attuale non mancano tendenze culturali che sembrano imporre una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi.

Di fatto, la questione della fragilità affettiva è di grande attualità: una affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità. Preoccupa una certa diffusione della pornografia e della commercializzazione del corpo, favorita anche da un uso distorto di internet e va denunciata la situazione di quelle persone che sono obbligate a praticare la prostituzione. In questo contesto, le coppie sono talvolta incerte, esitanti e faticano a trovare i modi per crescere. Molti sono quelli che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale. La crisi della coppia destabilizza la famiglia e può arrivare attraverso le separazioni e i divorzi a produrre serie conseguenze sugli adulti, i figli e la società, indebolendo l’individuo e i legami sociali. Anche il calo demografico, dovuto ad una mentalità antinatalista e promosso dalle politiche mondiali di salute riproduttiva, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire. Lo sviluppo delle biotecnologie ha avuto anch’esso un forte impatto sulla natalità.

La sfida per la pastorale 11. In questo contesto la Chiesa avverte la necessità di dire una parola di verità e di speranza. Occorre muovere dalla convinzione che l’uomo viene da Dio e che, pertanto, una riflessione capace di riproporre le grandi domande sul significato dell’essere uomini, possa trovare un terreno fertile nelle attese più profonde dell’umanità.

I grandi valori del matrimonio e della famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l’esistenza umana anche in un tempo segnato dall’individualismo e 32

dall’edonismo. Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono.

II PARTE Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza 12. Al fine di «verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto [...]. Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate» (Papa Francesco, Discorso del 4 ottobre 2014). Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con verità, pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio. 13. Dato che l’ordine della creazione è determinato dall’orientamento a Cristo, occorre distinguere senza separare i diversi gradi mediante i quali Dio comunica all’umanità la grazia dell’alleanza. In ragione della pedagogia divina, secondo cui l’ordine della creazione evolve in quello della redenzione attraverso tappe successive, occorre comprendere la novità del sacramento nuziale cristiano in continuità con il matrimonio naturale delle origini. Così qui s’intende il modo di agire salvifico di Dio, sia nella creazione sia nella vita cristiana. Nella creazione: poiché tutto è stato fatto per mezzo di Cristo ed in vista di Lui (cf. Col 1,16), i cristiani sono «lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti; debbono seguire attentamente la trasformazione profonda che si verifica in mezzo ai popoli» (Ad Gentes, 11). Nella vita cristiana: in quanto con il battesimo il credente è inserito nella Chiesa mediante quella Chiesa domestica che è la sua famiglia, egli intraprende quel «processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio» (Familiaris Consortio, 11), mediante la conversione continua all’amore che salva dal peccato e dona pienezza di vita.

14. Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. In tal modo, Gesù mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, guarisca e trasformi il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù che è paradigmatico per la Chiesa. Gesù infatti ha assunto una famiglia, ha dato inizio ai segni nella festa nuziale a Cana, ha annunciato il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (Mt 19,3). Ma nello stesso tempo ha messo in pratica la dottrina insegnata manifestando così il vero significato della misericordia. Ciò appare chiaramente negli incontri con la samaritana (Gv 4,1-30) e con l’adultera (Gv 8,1-11) in cui Gesù, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione (“va’ e non peccare più”), condizione per il perdono.

La famiglia nel disegno salvifico di Dio 15. Le parole di vita eterna che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli comprendevano l’insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Tale insegnamento di Gesù ci permette di distinguere in tre tappe fondamentali il progetto di Dio sul matrimonio e la fami33

Il segretario generale del Sinodo è il cardinale Lorenzo Baldisseri Cardinale diacono di Sant’Anselmo all’Aventino.

Nato il 29 settembre 1940 (74 anni) a Barga.

Creato Cardinale il 22 febbraio 2014 da Papa Francesco

Il Papa va al Sinodo da solo e poi ha dispensato sorrisi e strette di mano, prima di mettersi a lavoro.

253 i partecipanti al Sinodo.

Nello specifico, i Padri Sinodali saranno 191, tra cui 25 capi dicastero della Curia e 114 presidenti di Conferenze episcopali: 36 dall’Africa, 24 dall’America, 18 dall’Asia (per la Cina, ci sarà l’arcivescovo di Taipei, mons.

Shan-Chuan), 32 dall’Europa, tra cui il cardinale italiano Angelo Bagnasco, e 4 dall’Oceania.

62 saranno gli altri partecipanti, inclusi 8 delegati fraterni. Dalle Chiese Orientali arriveranno tredici esponenti, provenienti anche da Paesi in conflitto, come l’Iraq e l’Ucraina, rappresentati dal Patriarca caldeo Louis Sako e dall’arcivescovo maggiore grecocattolico Shevchuk.

Tredici, inoltre, le coppie di coniugi che faranno parte dei 38 uditori, con diritto di parola ma non di voto in Aula; altri due consorti rientrano, invece, tra i 16 esperti, ovvero i collaboratori del Segretario speciale.

glia. All’inizio, c’è la famiglia delle origini, quando Dio creatore istituì il matrimonio primordiale tra Adamo ed Eva, come solido fondamento della famiglia. Dio non solo ha creato l’essere umano maschio e femmina (Gen 1,27), ma li ha anche benedetti perché fossero fecondi e si moltiplicassero (Gen 1,28). Per questo, «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Questa unione è stata danneggiata dal peccato ed è diventata la forma storica di matrimonio nel Popolo di Dio, per il quale Mosè concesse la possibilità di rilasciare un attestato di divorzio (cf. Dt 24, 1ss). Tale forma era prevalente ai tempi di Gesù.

Con il Suo avvento e la riconciliazione del mondo caduto grazie alla redenzione da Lui operata, terminò l’era inaugurata con Mosé.

16. Gesù, che ha riconciliato ogni cosa in sé, ha riportato il matrimonio e la famiglia alla loro forma originale (cf. Mc 10,1-12). La famiglia e il matrimonio sono stati redenti da Cristo (cf. Ef 5,21-32), restaurati a immagine della Santissima Trinità, mistero da cui scaturisce ogni vero amore. L’alleanza sponsale, inaugurata nella creazione e rivelata nella storia della salvezza, riceve la piena rivelazione del suo significato in Cristo e nella sua Chiesa. Da Cristo attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia necessaria per testimoniare l’amore di Dio e vivere la vita di comunione. Il Vangelo della famiglia attraversa la storia del mondo sin dalla creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 26-27) fino al compimento del mistero dell’Alleanza in Cristo alla fine dei secoli con le nozze dell’Agnello (cf. Ap 19,9; Giovanni Paolo II, Catechesi sull’amore umano).

La famiglia nei documenti della Chiesa 17. «Nel corso dei secoli, la Chiesa non ha fatto mancare il suo costante insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Una delle espressioni più alte di questo Magistero è stata proposta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, che dedica un intero capitolo alla promozione della dignità del matrimonio e della famiglia (cf. Gaudium et Spes, 47-52). Esso ha definito il matrimonio come comunità di vita e di amore (cf. Gaudium et Spes, 48), mettendo l’amore al centro della famiglia, mostrando, allo stesso tempo, la verità di questo amore davanti alle diverse forme di riduzionismo presenti nella cultura contemporanea. Il “vero amore tra marito e moglie” (Gaudium et Spes, 49) implica la mutua donazione di sé, include e integra la dimensione sessuale e l’affettività, corrispondendo al disegno divino (cf. Gaudium et Spes, 48-49). Inoltre, Gaudium et Spes 48 sottolinea il radicamento in Cristo degli sposi: Cristo Signore “viene incontro ai coniugi cristiani nel sacramento del matrimonio”, e con loro rimane. Nell’incarnazione, Egli assume l’amore umano, lo purifica, lo porta a pienezza, e dona agli sposi, con il suo Spirito, la capacità di viverlo, pervadendo tutta la loro vita di fede, speranza e carità. In questo modo gli sposi sono come consacrati e, mediante una grazia propria, edificano il Corpo di Cristo e costituiscono una Chiesa domestica (cf. Lumen Gentium, 11), così che la Chiesa, per comprendere pienamente il suo mistero, guarda alla famiglia cristiana, che lo manifesta in modo genuino» (Instrumentum Laboris, 4).

18. «Sulla scia del Concilio Vaticano II, il Magistero pontificio ha approfondito la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia. In particolare, Paolo VI, con la Enciclica Humanae Vitae, ha messo in luce l’intimo legame tra amore coniugale e generazione della vita. San Giovanni Paolo II ha dedicato alla famiglia una particolare attenzione attraverso le sue catechesi sull’amore umano, la Lettera alle famiglie (Gratissimam Sane) e soprattutto con l’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio. In tali documenti, il

Pontefice ha definito la famiglia “via della Chiesa”; ha offerto una visione d’insieme sulla vocazione all’amore dell’uomo e della donna; ha proposto le linee fondamentali per la pastorale della famiglia e per la presenza della famiglia nella società. In particolare, trattando della carità coniugale (cf. Familiaris Consortio, 13), ha descritto il modo in cui i coniugi, nel loro mutuo amore, ricevono il dono dello Spirito di Cristo e vivono la loro chiamata alla santità» (Instrumentum Laboris, 5).

19. «Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus Caritas Est, ha ripreso il tema della verità dell’amore tra uomo e donna, che s’illumina pienamente solo alla luce dell’amore di Cristo crocifisso (cf. Deus Caritas Est, 2). Egli ribadisce come: “Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano” (Deus Caritas Est, 11). Inoltre, nella Enciclica Caritas in Veritate, evidenzia l’importanza dell’amore come principio di vita nella società (cf. Caritas in Veritate, 44), luogo in cui s’impara l’esperienza del bene comune» (Instrumentum Laboris, 6).

20. «Papa Francesco, nell’Enciclica Lumen Fidei affrontando il legame tra la famiglia e la fede, scrive: “L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità” (Lumen Fidei, 53)» (Instrumentum Laboris, 7).

L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme 21. Il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del battesimo che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. Nella reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante l’aiuto della grazia del sacramento. Dio consacra l’amore degli sposi e ne conferma l’indissolubilità, offrendo loro l’aiuto per vivere la fedeltà, l’integrazione reciproca e l’apertura alla vita. Pertanto, lo sguardo della Chiesa si volge agli sposi come al cuore della famiglia intera che volge anch’essa lo sguardo verso Gesù.

22. Nella stessa prospettiva, facendo nostro l’insegnamento dell’Apostolo secondo cui tutta la creazione è stata pensata in Cristo e in vista di lui (cf. Col 1,16), il Concilio Vaticano II ha voluto esprimere apprezzamento per il matrimonio naturale e per gli elementi validi presenti nelle altre religioni (cf. Nostra Aetate, 2) e nelle culture nonostante i limiti e le insufficienze (cf. Redemptoris Missio, 55). La presenza dei semina Verbi nelle culture (cf. Ad Gentes, 11) potrebbe essere applicata, per alcuni versi, anche alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane.

Ci sono quindi elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano –comunque fondato sulla relazione stabile e vera di un uomo e una donna –, che in ogni caso riteniamo siano ad esso orientate. Con lo sguardo rivolto alla saggezza umana dei popoli e delle culture, la Chiesa riconosce anche questa famiglia come la cellula basilare necessaria e feconda della convivenza umana.

Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili 23. Con intima gioia e profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli agli insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza che offrono. Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del matrimonio indissolubile e fedele per sempre. Nella famiglia,«che si potrebbe chiamare Chiesa domestica» (Lumen Gentium, 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità. «È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono ge-

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«Nel Sinodo c’è sì la dottrina, ma c’è anche l’azione evidente di Gesù, piena di misericordia e di compassione. Come unire entrambi gli aspetti è la sfida di sempre: della Chiesa, dei pastori e, ovviamente, anche dei laici». Così il Cardinal Christoph Shönborn, Arcivescovo di Vienna, durante il briefing giornaliero sui lavori del Sinodo straordinario sulla famiglia.

Il relatore generale del Sinodo è il cardinale Peter Erdö Arcivescovo di Strigonio-Budapest e primate d’Ungheria.

Nato il 25 giugno 1952 (62 anni) a Budapest.

Creato Cardinale il 21 ottobre 2003 da San Giovanni Paolo II

Monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e segretario speciale per il Sinodo sulla famiglia, interviene nel dibattito sulla comunione dei risposati e dei divorziati, uno dei punti nodali su cui verte il Sinodo straordinario sulla famiglia.

neroso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657). La Santa Famiglia di Nazaret ne è il modello mirabile, alla cui scuola noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo» (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964). Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati.

24. La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede. «Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute» (Evangelii Gaudium, 44).

25. In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Seguendo lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; Gaudium et Spes, 22) la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano.

Interviene il Cavaliere Supremo dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo, Prof. Carl A. Anderson sul tema: “La famiglia icona della comunione con Dio”

26. La Chiesa guarda con apprensione alla sfiducia di tanti giovani verso l’impegno coniugale, soffre per la precipitazione con cui tanti fedeli decidono di porre fine al vincolo assunto, instaurandone un altro. Questi fedeli, che fanno parte della Chiesa hanno bisogno di un’attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante, distinguendo adeguatamente le situazioni. I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa.

27. In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna consiste nel prestare attenzione alla realtà dei matrimoni civili tra uomo e donna, ai matrimoni tradizionali e, fatte le debite differenze, anche alle convivenze. Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. Molto spesso invece la convivenza si stabilisce non in vista di un possibile futuro matrimonio, ma senza alcuna intenzione di stabilire un rapporto istituzionale.

testimonianza di una coppia di coniugi australiani che ha parlato del ‘matrimonio come il sacramento della sessualità’

28. Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Consapevoli che la misericordia più grande è dire la verità con amore, andiamo al di là della compassione. L’amore misericordioso, come attrae e unisce, così trasforma ed eleva. Invita alla conversione. Così nello stesso modo intendiamo l’atteggiamento del Signore, che non condanna la donna adultera, ma le chiede di non peccare più (cf. Gv 8,1-11).

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III PARTE Il confronto: prospettive pastorali Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti 29. Il dialogo sinodale si è soffermato su alcune istanze pastorali più urgenti da affidare alla concretizzazione nelle singole Chiese locali, nella comunione “cum Petro et sub Petro”. L’annunzio del Vangelo della famiglia costituisce un’urgenza per la nuova evangelizzazione. La Chiesa è chiamata ad attuarlo con tenerezza di madre e chiarezza di maestra (cf. Ef 4,15), in fedeltà alla kenosi misericordiosa del Cristo. La verità si incarna nella fragilità umana non per condannarla, ma per salvarla (cf. Gv 3,16 -17).

30. Evangelizzare è responsabilità di tutto il popolo di Dio, ognuno secondo il proprio ministero e carisma. Senza la testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie, chiese domestiche, l’annunzio, anche se corretto, rischia di essere incompreso o di affogare nel mare di parole che caratterizza la nostra società (cf. Novo Millennio Ineunte, 50). I Padri sinodali hanno più volte sottolineato che le famiglie cattoliche in forza della grazia del sacramento nuziale sono chiamate ad essere esse stesse soggetti attivi della pastorale familiare.

31. Decisivo sarà porre in risalto il primato della grazia, e quindi le possibilità che lo Spirito dona nel sacramento. Si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che «riempie il cuore e la vita intera», perché in Cristo siamo «liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (Evangelii Gaudium, 1).

Alla luce della parabola del seminatore (cf. Mt 13,3), il nostro compito è di cooperare nella semina: il resto è opera di Dio. Non bisogna neppure dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione.

Tra i temi sui quali è stata chiesta una riflessione più approfondita c’è quello della poligamia. In particolare, ci si è chiesti come porsi nei confronti di chi, in questa condizione, si converte e chiede di accostarsi ai Sacramenti. “Stiamo cercando una risposta”, spiega mons.

Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos in Nigeria

32. Per questo si richiede a tutta la Chiesa una conversione missionaria: è necessario non fermarsi ad un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone. Non va mai dimenticato che la crisi della fede ha comportato una crisi del matrimonio e della famiglia e, come conseguenza, si è interrotta spesso la trasmissione della stessa fede dai genitori ai figli. Dinanzi ad una fede forte l’imposizione di alcune prospettive culturali che indeboliscono la famiglia e il matrimonio non ha incidenza.

33. La conversione è anche quella del linguaggio perché esso risulti effettivamente significativo. L’annunzio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità, nella comunione e nella fecondità. Non si tratta soltanto di presentare una normativa ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi anche nei Paesi più secolarizzati.

34. La Parola di Dio è fonte di vita e spiritualità per la famiglia. Tutta la pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie.

35. Allo stesso tempo molti Padri sinodali hanno insistito su un approccio più positivo alle ricchezze delle diverse esperienze religiose, senza tacere sulle difficoltà. In queste diverse realtà religiose e nella grande diversità culturale che caratterizza le Nazioni è opportuno apprezzare prima le possibilità positive e alla luce di esse valutare limiti e carenze.

36. Il matrimonio cristiano è una vocazione che si accoglie con un’adeguata preparazione in un itinerario di fede, con un discernimento maturo, e non va considerato solo come una tradizione culturale o un’esigenza sociale o 37

Mons. Paglia:Sinodo: evento di libertà al servizio di tutto il mondo

Card.Ravasi: una Chiesa vivace che ha colpito anche i non credenti

giuridica. Pertanto occorre realizzare percorsi che accompagnino la persona e la coppia in modo che alla comunicazione dei contenuti della fede si unisca l’esperienza di vita offerta dall’intera comunità ecclesiale.

che nella proposta ecclesiale, pur affermando con chiarezza il messaggio cristiano, indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso.

37. È stata ripetutamente richiamata la necessità di un radicale rinnovamento della prassi pastorale alla luce del Vangelo della famiglia, superando le ottiche individualistiche che ancora la caratterizzano. Per questo si è più volte insistito sul rinnovamento della formazione dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti e degli altri operatori pastorali, mediante un maggiore coinvolgimento delle stesse famiglie.

42. È stato anche notato che in molti Paesi un «crescente numero di coppie convivono ad experimentum, senza alcun matrimonio né canonico, né civile» (Instrumentum Laboris, 81). In alcuni Paesi questo avviene specialmente nel matrimonio tradizionale, concertato tra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. In altri Paesi invece è in continua crescita il numero di coloro dopo aver vissuto insieme per lungo tempo chiedono la celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto.

38. Si è parimenti sottolineata la necessità di una evangelizzazione che denunzi con franchezza i condizionamenti culturali, sociali, politici ed economici, come l’eccessivo spazio dato alla logica del mercato, che impediscono un’autentica vita familiare, determinando discriminazioni, povertà, esclusioni, violenza. Per questo va sviluppato un dialogo e una cooperazione con le strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenuti i laici che si impegnano, come cristiani, in ambito culturale e sociopolitico.

Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio

Teresa e Gianni Andreoli, responsabili nazionali dell’Equipe Notre Dame (End), guardano con fiducia al dibattito avvenuto durante il Sinodo

39. La complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio. È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale. Riguardo a questa necessità i Padri sinodali sono stati concordi nel sottolineare l’esigenza di un maggiore coinvolgimento dell’intera comunità privilegiando la testimonianza delle stesse famiglie, oltre che di un radicamento della preparazione al matrimonio nel cammino di iniziazione cristiana, sottolineando il nesso del matrimonio con il battesimo e gli altri sacramenti. Si è parimenti evidenziata la necessità di programmi specifici per la preparazione prossima al matrimonio che siano vera esperienza di partecipazione alla vita ecclesiale e approfondiscano i diversi aspetti della vita familiare.

Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale 40. I primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e delicato durante il quale le coppie crescono nella consapevolezza delle sfide e del significato del matrimonio. Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale che continui dopo la celebrazione del sacramento (cf. Familiaris Consortio, parte III). Risulta di grande importanza in questa pastorale la presenza di coppie di sposi con esperienza. La parrocchia è considerata come il luogo dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani, con l’eventuale concorso di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Occorre incoraggiare gli sposi a un atteggiamento fondamentale di accoglienza del grande dono dei figli. Va sottolineata l’importanza della spiritualità familiare, della preghiera e della partecipazione all’Eucaristia domenicale, incoraggiando le coppie a riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della vita spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita. Liturgie, pratiche devozionali e Eucaristie celebrate per le famiglie, soprattutto nell’anniversario del matrimonio, sono state menzionate come vitali per favorire l’evangelizzazione attraverso la famiglia.

Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze

“La sessualità è un fattore di santificazione” Sinodo: la testimonianza sull’amore di coppia dei coniugi Zamberline (Brasile)

41. Mentre continua ad annunciare e promuovere il matrimonio cristiano, il Sinodo incoraggia anche il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà. È importante entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza. I pastori devono identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale. Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze. Occorre 38

43. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della faGiuseppe Petracca Ciavarella e Lucia miglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e Miglionico tra gli uditori delicatezza. A questo scopo è importante la testimonianza attraente di autentiche al Sinodo, due medici famiglie cristiane, come soggetti dell’evangelizzazione della famiglia.

Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali) 44. Quando gli sposi sperimentano problemi nelle loro relazioni, devono poter contare sull’aiuto e l’accompagnamento della Chiesa. La pastorale della carità e la misericordia tendono al recupero delle persone e delle relazioni. L’esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali si superano in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare. Il perdono tra gli sposi permette di sperimentare un amore che è per sempre e non passa mai (cf. 1 Cor 13,8). A volte risulta difficile, però, per chi ha ricevuto il perdono di Dio avere la forza per offrire un perdono autentico che rigeneri la persona.

45. Nel Sinodo è risuonata chiara la necessità di scelte pastorali coraggiose. Riconfermando con forza la fedeltà al Vangelo della famiglia e riconoscendo che separazione e divorzio sono sempre una ferita che provoca profonde sofferenze ai coniugi che li vivono e ai figli, i Padri sinodali hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari, sapendo che esse, spesso, sono più “subite” con sofferenza che scelte in piena libertà. Si tratta di situazioni diverse per fattori sia personali che culturali e socio-economici. Occorre uno sguardo differenziato come San Giovanni Paolo II suggeriva (cf. Familiaris Consortio, 84).

46. Ogni famiglia va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco: «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (Evangelii Gaudium, 169).

47. Un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono, oppure sono stati 39

della Casa Sollievo della sofferenza.

Celebrazioni penitenziali di tipo comunitario per i divorziati risposati che desiderano rientrare nella comunione ecclesiale. È una delle strade proposte durante la Congregazione di ieri pomeriggio al Sinodo sulla famiglia, che ha visto stamattina protagoniste le testimonianze delle uditrici e degli uditori presenti.

costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità di una pastorale della riconciliazione e della mediazione attraverso anche centri di ascolto specializzati da stabilire nelle diocesi. Parimenti va sempre sottolineato che è indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli, in ogni caso vittime innocenti della situazione. Essi non possono essere un “oggetto” da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena. In ogni caso la Chiesa dovrà sempre mettere in rilievo l’ingiustizia che deriva molto spesso dalla situazione di divorzio. Speciale attenzione va data all’accompagnamento delle famiglie monoparentali, in maniera particolare vanno aiutate le donne che devono portare da sole la responsabilità della casa e l’educazione dei figli.

48. Un grande numero dei Padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati: il superamento della necessità della doppia sentenza conforme; la possibilità di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano; un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria. Alcuni Padri tuttavia si dicono contrari a queste proposte perché non garantirebbero un giudizio affidabile. Va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo. Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento.

49. Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas Connubii, art. 113, 1).

50. Le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà.

Famiglia. Ricchezza antica, parole nuove

51. Anche le situazioni dei divorziati risposati esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità.

52. Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la 40

responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735).

53. Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio.

54. Le problematiche relative ai matrimoni misti sono ritornate sovente negli interventi dei Padri sinodali. La diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese ortodosse pone in alcuni contesti problemi sui quali è necessario riflettere in ambito ecumenico. Analogamente per i matrimoni interreligiosi sarà importante il contributo del dialogo con le religioni.

L’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale 55. Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).

56. È del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso.

La trasmissione della vita e la sfida della denatalità 57. Non è difficile constatare il diffondersi di una mentalità che riduce la generazione della vita a una variabile della progettazione individuale o di coppia. I fattori di ordine economico esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale, compromette il rapporto tra le generazioni e rende più incerto lo sguardo sul futuro. L’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell’amore coniugale. In questa luce, la Chiesa sostiene le famiglie che accolgono, educano e circondano del loro affetto i figli diversamente abili.

58. Anche in questo ambito occorre partire dall’ascolto delle persone e dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali per la procreazione responsabile. Esso aiuta a vivere in maniera armoniosa e consapevole la comunione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. Va riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, che sottolinea il bisogno 41

«Potrei dire serenamente che – con uno spirito di collegialità e di sinodalità – abbiamo vissuto davvero un’esperienza di “Sinodo”, un percorso solidale, un “cammino insieme”». Così Papa Francesco nel suo discorso a conclusione del Sinodo straordinario sulla famiglia, tenuto sabato 18 ottobre dinanzi all’intera aula sinodale.

Quello del Sinodo – ha proseguito il Santo Padre – è stato «un cammino dove il più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte, dove il più esperto si è prestato a servire gli altri, anche attraverso i confronti.

E poiché essendo un cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni». Ma queste ultime, ha ricordato il Papa, «non ci devono né spaventare né sconcertare e nemmeno scoraggiare, perché nessun discepolo è più grande del suo maestro; quindi se Gesù è stato tentato – e addirittura chiamato Beelzebul (cf. Mt 12, 24) – i suoi discepoli non devono attendersi un trattamento migliore. Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni...».

LA CHIESA NON HA PAURA DI CAMMINARE NELLA STORIA I lavori si sono conclusi. Si può tentare un primo, sommario bilancio: le opinioni diverse, anche i contrasti e i conflitti, sono positivi se non chiudono porte e intralciano cammini.

Anche al Concilio si confrontarono due linee, se non di più.

Poi, alla fine... Il ruolo del Papa e il primato del Vangelo.

La XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi – che tratterà nuovamente di famiglia – è stata convocata dal Santo Padre: si svolgerà il prossimo anno dal 4 al 25 ottobre 2015 e si intitolerà “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Ne è stata data notizia, durante i lavori del Sinodo straordinario sulla famiglia, il cui documento finale, la Relatio Synodi, sarà la base di partenza per l’Assise ordinaria del 2015.

di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità. L’adozione di bambini, orfani e abbandonati, accolti come propri figli, è una forma specifica di apostolato familiare (cf. Apostolicam Actuositatem, III,11), più volte richiamata e incoraggiata dal magistero (cf. Familiaris Consortio, III,II; Evangelium Vitae, IV,93). La scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, non solo quando questa è segnata dalla sterilità. Tale scelta è segno eloquente dell’amore familiare, occasione per testimoniare la propria fede e restituire dignità filiale a che ne è stato privato.

59. Occorre aiutare a vivere l’affettività, anche nel legame coniugale, come un cammino di maturazione, nella sempre più profonda accoglienza dell’altro e in una donazione sempre più piena. Va ribadita in tal senso la necessità di offrire cammini formativi che alimentino la vita coniugale e l’importanza di un laicato che offra un accompagnamento fatto di testimonianza viva. È di grande aiuto l’esempio di un amore fedele e profondo fatto di tenerezza, di rispetto, capace di crescere nel tempo e che nel suo concreto aprirsi alla generazione della vita fa l’esperienza di un mistero che ci trascende.

La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione 60. Una delle sfide fondamentali di fronte a cui si trovano le famiglie oggi è sicuramente quella educativa, resa più impegnativa e complessa dalla realtà culturale attuale e della grande influenza dei media. Vanno tenute in debito conto le esigenze e le attese di famiglie capaci di essere nella vita quotidiana, luoghi di crescita, di concreta ed essenziale trasmissione delle virtù che danno forma all’esistenza. Ciò indica che i genitori possano scegliere liberalmente il tipo dell’educazione da dare ai figli secondo le loro convinzioni.

61. La Chiesa svolge un ruolo prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall’iniziazione cristiana, attraverso comunità accoglienti. Ad essa è chiesto, oggi ancor più di ieri, nelle situazioni complesse come in quelle ordinarie, di sostenere i genitori nel loro impegno educativo, accompagnando bambini, ragazzi e giovani nella loro crescita attraverso cammini personalizzati capaci di introdurre al senso pieno della vita e di suscitare scelte e responsabilità, vissute alla luce del Vangelo. Maria, nella sua tenerezza, misericordia, sensibilità materna può nutrire la fame di umanità e vita, per cui viene invocata dalle famiglie e dal popolo cristiano. La pastorale e una devozione mariana sono un punto di partenza opportuno per annunciare il Vangelo della famiglia.

Conclusione 62. Le riflessioni proposte, frutto del lavoro sinodale svoltosi in grande libertà e in uno stile di reciproco ascolto, intendono porre questioni e indicare prospettive che dovranno essere maturate e precisate dalla riflessione delle Chiese locali nell’anno che ci separa dall’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi prevista per l’ottobre 2015, dedicata alla vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Non si tratta di decisioni prese né di prospettive facili. Tuttavia il cammino collegiale dei vescovi e il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio sotto l’azione dello Spirito Santo, guardando al modello della Santa Famiglia, potranno guidarci a trovare vie di verità e di misericordia per tutti. È l’auspicio che sin dall’inizio dei nostri lavori Papa Francesco ci ha rivolto invitandoci al coraggio della fede e all’accoglienza umile e onesta della verità nella carità.

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“LABORATORIO DI CUCITO E NON SOLO”

E

’ passato un anno e sembra proprio che questa iniziativa funzioni.

Vi partecipano donne di tutte le età e di varia nazionalità (anche un maschietto a dire il vero).

Chi entra in laboratorio saltuariamente o con frequenza costante si sente a proprio agio, si sente libero di svolgere qualsiasi lavoro, di comunicare pensieri e condividere idee o semplicemente di passare un po’ di tempo in compagnia.

In media la presenza è stata di 10/15 persone e si è deciso di conseguenza di aprire il laboratorio un terzo pomeriggio per riuscire a gestire meglio il lavoro e la collaborazione.

Pertanto i giorni di apertura sono: martedì, mercoledì e venerdì dalle 16 alle 18 sempre in canonica, sala don Vespa, a Botticino Mattina.

Ricordiamo brevemente le finalità: •offrire suggerimenti ed aiuti per realizzare un risparmio economico familiare all’interno di un consumo ecosostenibile; •recuperare tecniche di lavoro che sono un patrimonio creativo femminile e passarle alle nuove generazioni; •educare alla capacità di ascolto, alla disponibilità al dialogo e all’attenzione verso l’altro; •favorire lo scambio di osservazioni ed esperienze in campo domestico e sociale.

Crediamo che questi siano obiettivi riconfermabili e conseguibili. Anzi potremmo aggiungere che, piano piano, si sta anche maturando insieme il concetto di “Caritas” cristiana.

Condivideremo alcune osservazioni in merito e saremo disponibili ad accogliere suggerimenti il giorno venerdì 19 dicembre.

Anche la comunità sta prendendo atto di questa realtà presente sul territorio e interagisce portando materiali, offrendo gratuitamente aiuto tecnico nella riparazione degli strumenti e delle macchine. Per questo ringraziamo tutti.

Ausilia

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UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINO

Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per la famiglia e... dintorni

“Famiglia, via per una nuova evangelizzazione”

I

n maniera illuminata, San Giovanni Paolo II nella Lettera alle famiglie del 1994 viene ad affermare da una parte la priorità dell’azione della Chiesa verso la famiglia e dall’altra sottolinea la centralità della famiglia cristiana fondata sul sacramento del matrimonio: “Nell’Enciclica Redemptor hominis … scrivevo: l’uomo è la via della Chiesa (RH 14).

Con questa espressione intendevo riferirmi anzitutto alle molteplici strade lungo le quali cammina l’uomo, e in pari tempo volevo sottolineare quanto vivo e profondo sia il desiderio della Chiesa di affiancarsi a lui nel percorrere le vie della sua esistenza terrena …

Tra queste numerose strade, la famiglia è la prima e la più importante: una via comune, pur rimanendo particolare, unica ed irripetibile, come irripetibile è ogni uomo; una via dalla quale l’essere umano non può distaccarsi” (nn. 1-2). Il Sinodo Straordinario sulle sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione cade proprio a vent’anni dal documento di San Giovanni Paolo II e sembra lasciarvisi ispirare, soprattutto nel tematizzare l’urgenza improrogabile di ri-annunciare il matrimonio e la famiglia, rendendo la stessa chiesa domestica motore di nuova evangelizzazione. La metafora della strada ci aiuta a comprendere come la nostra vita sia un viaggio, si esprima nel tempo e nello spazio, nasca cioè dalla chiamata d’amore di Dio e si rinnovi definitivamente nella risurrezione di Cristo, in un quadro di cammino comune come Chiesa, famiglia di famiglie. Facendo memoria dei

due famosi discepoli di Emmaus, sappiamo che i nostri passi non si devono fare in solitudine e che sempre il Divino viandante ci accompagna, paziente e speranzoso nella nostra conversione.

Anche il costituire una propria famiglia e realizzare in essa la propria esistenza possono benissimo essere intese nella metafora del cammino di fede, il pellegrinaggio. Nel buio dei passi quotidiani servono luci brillanti e segnali degni di fiducia, una bussola chiara ed il conforto dei compagni di viaggio. Ora, la Parola di Dio e la voce materna della Chiesa nel suo Magistero, la santità cristiana e la vita comunitaria, divengono autentiche concretizzazione di un buon accompagnamento. Non è possibile annunciare Gesù Cristo e l’avvento del Regno di Dio, quindi, senza allo stesso tempo annunciare la famiglia cristiana fondata sul matrimonio sacramento: si tratta di un vero e proprio vangelo dell’amore divino nell’amore umano, dove l’impronta del Dio creatore viene compiuta in maniera sovrabbondante dal Redentore. Siamo creati a sua immagine e somiglianza nella comunione complementare e solidale, nella potenza generativa e nella tensione fedele verso un futuro celeste; d’altra parte, siamo stati redenti nei nostri limiti e dal peccato, per far risorgere quel suo amore soffocato, quasi ammutolito dal maligno.

L’unione sponsale tra un uomo e una donna, con la potenza del sacramento, hanno ricevuto la grazia dell’indissolubilità e, unitamente, 44

l’azione generativa nella paternità-maternità ha assunto la dignità di collaborazione con l’opera divina. Se tutto il Testo Sacro è percorso e quasi incluso (prime pagine della Genesi e ultime dell’ Apocalisse) dall’amore specifico degli sposi in cui scorre la rivelazione di Dio, come potremmo rivitalizzare in noi oggi questa Parola? Come accogliere e diffondere questo Vangelo? Sappiamo inoltre quanta cura e premura la Chiesa ha sempre profuso nei confronti della famiglia, seppure le diverse epoche storiche siano difficili da paragonare.

Ultimamente, però, è fuor di dubbio che il Magistero pontificio (come anche la CEI) continui a ribadire la centralità della vita familiare, sia come bene insostituibile in se stesso, sia come necessario strumento di evangelizzazione.

Così, a volo pindarico e per far sorgere la curiosità di approfondire, pensiamo a questo tracciato: dal Concilio Vaticano II (nella Gaudium et spes) all’Humanae Vitae di Paolo VI, passando per la Familiaris Consortio di San Giovanni Paolo II, per arrivare alla Deus Caritas Est di Benedetto XVI e alla Evangelii Gaudium di papa Francesco. E sulle tavole delle nostre famiglie, di tutto questo, cosa sta arrivando?!!!

“S

e un regola c’è, non lo chiedere a me, te ne devi fregare se lo vuoi. Se l’umore va giù, se non ce la fai più, guarda che non esiste solo lei!...”

(Nek, Se una regola c’è, 1998). Probabilmente qualcuno dei lettori si ricorderà questa simpatica canzone e il testo qui riportato ne racchiude il significato centrale. È quasi scontato dirlo che qui il cantautore allude a una norma, a una regola tra due innamorati. Nella calda estate del 1998 molte radio echeggiavano questa canzone, la cui melodia era facile da imparare e metteva subito buon umore. Forse, però, pochi si saranno soffermati a pensare davvero il testo, a considerare cioè che cosa vorrebbe dire metterlo in pratica...

Al di là adesso del caso specifico, il contenuto fa parte della cultura che respiriamo e, se ci prendessimo la briga di fare un sondaggio, probabilmente troveremmo che molti, più o meno, lo condividono.

Infatti, nel considerare la vita umana nella sua completezza e le relazioni fondanti l’essere personale, oggi si pongono seri dubbi che esista un codice assodato, già dato e da seguire. Anzi, le proposte che palesemente vengono fatte vanno proprio in direzione opposta: fai quello che vuoi, non c’è un tracciato da seguire, ogni scelta deve corrispondere al solo assoluto del desiderio individuale; e quando questo non avviene, tutti contro tutti, perché ora “dio è il mio io”!

Il Sinodo Straordinario sulle sfide pastorali per la famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, celebrato lo scorso ottobre, ha messo proprio in chiaro questa situazione, partendo da un concetto caro al Magistero, quello cioè di “legge naturale”. La domanda potrebbe risuonare così: “La vita di ogni essere umano, il modo in cui le persone formano dei lega-

L’armonia della vita dentro un ordine di senso

mi di bene duraturi, come quelli presenti in famiglia, ha dentro di sé un progetto da scoprire e seguire, oppure tutto deve essere inventato ogni volta e da ciascuno?”. Dal punto di vista filosofico, la risposta da un paio di secoli è ormai più che conosciuta, almeno nelle correnti di pensiero principali, quelle che fanno tendenza; non di meno, in queste brevi righe mi vorrei porre su di un livello esistenziale, dove la fede gioca un grande ruolo. La risposta, a questo punto, non appare poi così scontata: ciascuno con un pizzico di amor proprio e di senso di responsabilità dovrebbe almeno provare a ricercare senso nella vita, a rendere “ragionevole” ogni scelta importante, pur sapendo che cuore e mente non remano sempre dalla stessa parte. Insomma, nessun adulto, in pieno possesso di sé evita in assoluto questa domanda e in alcuni momenti prova a cercare una risposta, attingendo sia da risorse interne che da fonti esterne.

Certo è che la “legge naturale”, così come usa il termine il Magistero, non si identifica con alcuna corrente di pensiero filosofico e d’altro canto non è un concetto che possa essere diluito in un relativismo assoluto, dove ciascuno pensa di questo argomento quello che vuole. Per la Chiesa è un buon vettore di incontro con le culture di ogni tempo e luogo, dal momento che mette in mostra una realtà comune a tutti, quella cioè di essere partecipi della stessa natura (l’umanità) e di vivere nello stesso ambiente vitale (la terra).

Ci sono due presupposti, però, che devono essere evidenziati e senza i quali tutto il significato esistenziale di “legge naturale” rischia tragicamente di svanire come neve al sole: ogni essere umano non si fa da se stesso, ma viene alla luce come un “donato”, preceduto da un altro attore (il donatore); tutti, poi, se messi nelle giuste condizioni di vita, godiamo di una sufficiente libertà, che ci rende capaci di autodeterminazione e ci chiama alla responsabilità.

Ora, i credenti sanno che dalla rivelazione biblica Dio ha creato ogni cosa e in questa creazione 45

spicca in maniera eccezionale proprio l’essere umano, ovvero l’essere uomo e l’essere donna intrinsecamente in relazione (Adamo ed Eva). Inoltre, la libertà è parte sostanziale del riflettere l’immagine - somiglianza divina ed è la reale possibilità di esprimere la comunione d’amore con Dio, di essere chiamati figli e di poterlo seguire in Cristo ogni momento. Colui che ci ha creati ha impresso in noi il significato del vivere bene e la sete di poter raggiungere questa meta: ci ha fatti capaci di conoscerlo (ri-conoscerlo) e di amarlo, vincendo ogni limite con il sacrificio dell’Unigenito Figlio, Gesù Cristo. I grandi significati della nostra persona, corpo e spirito, sono da ricercare seguendo un tracciato già donato, ma anche mettendo originalità nei modi di vivere la nostra strada. Nelle esistenze concrete, la libertà è una questione che attiene sì al singolo, ma sempre perché compreso in qualche relazione. Se questo ragionamento viene riportato con Dio, si potrebbe dire: “Il suo amore per noi ci precede ed è impresso nella nostra felicità; riconoscerlo, vuol dire liberare la libertà!”. Così, la legge naturale non è matematico biologismo o peggio ancora bieco determinismo, ma confronto con la vita che abbiamo ricevuto e con il mondo circostante in cui ci siamo venuti a trovare. Anche per chi non crede in un dio creatore e redentore, diventa così possibile un dialogo rispettoso e una convivenza fruttuosa, dal momento che possiamo riconoscere una bellezza e una grandezza impressa in ciascuno, non conferita né dalla cultura, né dal ceto sociale o da qualsivoglia volontà umana. Il Sinodo dei vescovi ha voluto mettere l’attenzione su questa dimensione dell’essere umano, descritta classicamente con la legge naturale, conoscendo la confusione oggi circolante, spesso montata ad arte da tendenze ideologiche; situazione che non può che destare preoccupazione per il rispetto della persona e il significato dei suoi legami, il campo educativo e la vita familiare. don Giorgio Comini segretariato diocesano pastorale familiare

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La preghiera in famiglia

Ho chiesto ai nostri figli se per loro la preghiera in famiglia è importante e perché.

I due adolescenti mi hanno risposto che è importante per l’unità familiare e perché aiuta lo spirito dell’essere famiglia.

Senza tanti giri di parole sono andati all’essenziale: conviene ritagliarsi un tempo per pregare insieme in famiglia, fa bene alla comunione e alle relazioni.

A partire da quella coniugale.

Ma non si può comprenderne il valore se non facendone esperienza.

Quando manca la preghiera in casa “tira un’aria diversa”, sia tra gli sposi che con i figli e tra i fratelli.

L

a Familiaris Consortio dedica alcuni numeri al significato e alla specificità della preghiera familiare. In questa pagina vi offriamo alcuni passaggi dai nn. 59 e 62: “La preghiera familiare ha sue caratteristiche. È una preghiera fatta in comune, marito e moglie insieme, genitori e figli insieme. La comunione nella preghiera è, ad un tempo, frutto ed esigenza di quella comunione che viene donata dai sacramenti del battesimo e del matrimonio. Ai membri della famiglia cristiana si possono applicare in modo particolare le parole con le quali il Signore Gesù promette la sua presenza: «In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,19s).

Tale preghiera ha come contenuto originale la stessa vita di famiglia, che in tutte le sue diverse circostanze viene interpretata come vocazione di Dio e attuata come risposta filiale al suo appello: gioie e dolori, speranze e

S

tristezze, nascite e compleanni, anniversari delle nozze dei genitori, partenze, lontananze e ritorni, scelte importanti e decisive, la morte di persone care, ecc. segnano l’intervento dell’amore di Dio nella storia della famiglia, così come devono segnare il momento favorevole per il rendimento di grazie, per l’implorazione, per l’abbandono fiducioso della famiglia al comune Padre che sta nei cieli.

La dignità, poi, e la responsabilità della famiglia cristiana come Chiesa domestica possono essere vissute solo con l’aiuto incessante di Dio, che immancabilmente sarà concesso, se sarà implorato con umiltà e fiducia nella preghiera. Non si dovrà mai dimenticare che la preghiera è parte costitutiva essenziale della vita cristiana, colta nella sua integralità e centralità, anzi appartiene alla nostra stessa «umanità»: è «la prima espressione della verità interiore dell’uomo, la prima condizione dell’autentica libertà dello spirito» . Per questo la preghiera non rappresenta affatto un’evasione dall’impegno quotidiano, ma costituisce la spinta più forte perché la famiglia cristiana assuma ed assolva in pienezza tutte le sue responsabilità di cellula prima e fondamentale della società umana. In tal senso, l’effettiva partecipazione alla vita e missione della Chiesa nel mondo è proporzionale alla fedeltà e all’intensità della preghiera con la quale la famiglia cristiana si unisce alla Vite feconda, che è Cristo Signore. Dall’unione vitale con Cristo, alimentata dalla liturgia, dall’offerta di sé e dalla preghiera deriva pure la fecondità della famiglia cristiana nel suo specifico servizio di promozione umana, che di per sè non può non portare alla trasformazione del mondo”.

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iamo in un tempo particolare che precede il Natale: l’Avvento. È un appuntamento che ritorna ogni anno.

Questa ciclicità dei tempi forti liturgici aiuta a consolidare delle buone abitudini e dei riti familiari. È l’occasione per ritagliare uno spazio familiare con la preghiera, magari intorno al presepe, con gesti concreti e segni che dicano che ci si sta preparando a qualcosa di bello, sia addobbando la casa ma preparando anche il cuore.

La preghiera permette a Dio di parlare al nostro cuore, alla nostra volontà, ai nostri desideri, alle nostre convinzioni. Con la preghiera riconosciamo l’importanza della presenza di Dio nella nostra vita che ci dona uno sguardo nuovo e attiva in noi le risorse che abbiamo per il bene di tutti.

Pregare significa affermare anche di fronte ai figli che c’è un Padre comune al quale affidarsi e come genitori significa credere che Lui si prende cura dei nostri figli. Pregare insieme è anche invocare la presenza dello Spirito d’amore donatoci fin dal Battesimo ed effuso in modo speciale il giorno del matrimonio, è lo stesso Spirito che è rimasto con noi per aiutarci a rinnovare l’alleanza coniugale e a riconoscere umilmente che da soli non bastiamo ne a noi stessi ne agli altri. La preghiera in famiglia è un’esperienza di Dio, perché “dove sono due o tre riuniti nel mio nome...”. Pregare insieme è la più bella eredità che possiamo passare ai nostri figli. Il tempo dell’Avvento/attesa ci fa riflettere sul fatto che poi il resto dell’anno viviamo tante altre attese: un referto medico, un incontro con una persona cara, l’esito di un test, la maturazione di certe scelte da parte dei figli o del coniuge, una guarigione, una parola di ringraziamento, un gesto di tenerezza, il perdono per un’offesa arrecata, la gravidanza, la risposta ai curriculum mandati, una richiesta di sov-

Pastorale familiare

“La preghiera: respiro divino in famiglia” sabato 17 gennaio 2015

Suor Benedetta Rossi - biblista

Programma: ore 9,00 Accoglienza e preghiera ore 9,45 Intervento di Sr. Benedetta ore 11,00 Dialogo con l’assemblea ore 12,00 Conclusione Luogo: Centro Pastorale Paolo VI, via Gezio Calini 30, Brescia. Parcheggio interno

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896

venzionamento, il ritorno di un familiare da un viaggio, un regalo sperato, la fine di un libro, la fine di una sofferenza, il ritorno della serenità, un momento di svago, “Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momenuna offerta di to di difficoltà, di grave crisi, che aiuto quando pensano alla separazione o sono già serve... . Atseparati ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di coppia tendere nella chiara e stabile. preghiera è Per info: info@retrouvaille.it e un’attesa atwww.retrouvaille.it. tiva perché ci cambia e alimenta in noi la speranza che apre al futuro, alla possibilità di ricominciare sempre.

Vi lasciamo con un passaggio dal n. 60 della Familiaris Consortio: “In forza della loro dignità e missione, i genitori cristiani hanno il compito specifico di educare i figli alla preghiera, di introdurli nella progressiva scoperta del mistero di Dio e nel colloquio con lui: «Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e della missione del matrimonio-sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo e ad amare il prossimo secondo la fede che hanno ricevuto nel battesimo» . Elemento fondamentale e insostituibile dell’educazione alla preghiera è l’esempio concreto, la testimonianza viva dei genitori: solo pregando insieme con i figli, il padre e la madre, mentre portano a compimento il proprio sacerdozio regale, scendono in profondità nel cuore dei figli, lasciando tracce che i successivi eventi della vita non riusciranno a cancellare. Riascoltiamo l’appello che Paolo VI ha rivolto ai genitori: «Mamme, le insegnate ai vostri bambini le preghiere del cristiano? Li preparate, in consonanza con i sacerdoti, i vostri figli ai sacramenti della prima età: confessione, comunione, cresima? Li abituate, se ammalati, a pensare a Cristo sofferente? A invocare l’aiuto della Madonna e dei santi? Lo dite il Rosario in famiglia? E voi, papà, sapete pregare con i vostri figliuoli, con tutta la comunità domestica, almeno qualche volta? L’esempio vostro, nella rettitudine del pensiero e dell’azione, suffragato da qualche preghiera comune, vale una lezione di vita, vale un atto di culto di singolare merito; portate così la pace nelle pareti domestiche: “Pax huic domui!” Ricordate: così costruite la Chiesa!» (Discorso all’Udienza generale 11 agosto 1976).”

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L

a fede cristiana annuncia una verità che, prima di essere raccolta dalla Parola di Dio ed essere pensata e detta con parole umane, è già in qualche modo rivelata dalla vita quotidiana, mediante le tracce di trascendenza in essa contenute. Diventare madri e padri è sicuramente una delle esperienze umane nelle quali, con più intensità, si affaccia il divino. La cultura moderna, tuttavia, ha pochi strumenti per esprimere il mistero. Non riesce a formulare altro che un’indefinita fede nel progresso o un’alterna euforia per il cambiamento e l’innovazione. Ogni altro tipo di «trascendenza» provoca un irresistibile bisogno di essere spiegato e smascherato, come un comune processo empirico. La nascita di un bimbo, tuttavia, resiste a questo corso e i genitori chiedono il Battesimo.

La liturgia accoglie il senso del Mistero che non ha i tratti del tremendo e del lontano, quanto piuttosto il volto luminoso e debole dell’Amore. Nell’esperienza della fede, Dio è Persona che ama e che parla, mistero che si manifesta e non cessa di lasciare segni della sua invisibile presenza.

L’evangelizzazione cerca di far entrare Dio nella famiglia, la catechesi scopre che, in realtà, da sempre Dio la abita, perché lui l’ha creata a sua immagine. La catechesi familiare sfoglia le pagine straordinarie del «testo» dei legami affettivi dei bambini e dei loro genitori, nella storia dell’amore familiare.

La lettura di questo «testo», però, ha bisogno di un altro testo, quello della Parola di Dio. Senza quest’ascolto e la formazione della coscienza che ne deriva, i riti religiosi restano chiusi in un orizzonte soggettivo: non danno forma alla vita quotidiana, piuttosto ne rivelano drammaticamente la mancanza di fondamento. Senza il riferimento alla sacra Scrittura non si può cogliere il significato (che cosa avviene) e il senso (perché è necessario che avvenga) del

RITUALITÀ E FAMIGLIA

La Parola di Dio nella fede

Consegna Bibbia alle famiglie 4° anno ICFR Botticino Mattina - 23 novembre 2014

La parola della conversazione in famiglia Battesimo. Il sacramento dona, infatti, la stessa vita di Dio, introduce in una dimensione nuova, quella del cielo, come ricorderà poco dopo la preghiera d’intercessione e l’invocazione dei santi.

La vita cristiana è generata nella risposta all’invisibile Presenza, che convoca attraverso la Parola. Non diventiamo cristiani da soli, per autodeterminazione, ma rispondendo a un dono. La comunità cristiana è costantemente creata e fatta rinascere dalla Parola di Dio. Quanto i cristiani sono, lo devono a quella Parola. Che cosa vede chi, dall’esterno, osserva un’assemblea liturgica tutta «presa» dall’ascolto della Parola proclamata? Un racconto di cronaca? La lettura di una poesia? L’esposizione di un

La famiglia nell’ascolto domenicale della Parola di Dio 48

discorso? No. L’appello di un Presente. Tutto parte, dunque, dalla Parola di Dio che interpreta la vita ma anche la mobilita, la interpella. La fedeltà al Battesimo comporta, infatti, di dover rispondere ogni giorno alla domanda, suggerita dalla coscienza cristiana: «Che cosa vuole il Signore da me?». La Parola di Dio è proclamata in chiesa e letta in casa, in un clima di preghiera e di devozione, precisamente per rispondere a quella domanda. La fede, compresa secondo la formula della Lumen gentium n 25 («Fede da credere e da applicare nella pratica della vita») si realizza mediante l’adesione della vita, e non solo mediante l’assenso a singole verità di fede.

L’esperienza che facciamo in chiesa, quando ascoltiamo Dio che parla, la viviamo, in una certa misura, anche nelle nostre relazioni familiari. Immaginiamoci una giornata in cui, in famiglia, nessuno parlasse, nessuno si rivolgesse all’altro, dove ognuno facesse i fatti suoi, in totale disinteresse! Sarebbe una giornata devastante. Ci sentiremmo annullati.

Noi riprendiamo a vivere quando qualcuno ci parla.

D’altra parte chi parla lo fa perché ha ascoltato o presuppone di essere ascoltato, altrimenti parlerebbe «da solo» e la parola perderebbe il suo senso. Ascoltare, infatti, non significa solo sentire ma anche comprendere. Ora, comprendere è già un po’ come rispondere, perché significa essere «sintonizzati», essersi posti nei panni (nel cuore) dell’altro.

In chiesa s’impara a comunicare con Dio attraverso la partecipazione liturgica, la risposta corale, il dialogo scandito dal rituale. Nella celebrazione dei sacramenti avviene, quindi, una sorta di «conversazione» tra l’Invisibile e il suo popolo. Dio parla e la comunità risponde: «Amen», «Alleluia», «Lode a Te!», «Rendiamo grazie»...

Avviene un po’ come in famiglia, durante i pasti, quan-

do si rientra a casa e si trova (si spera) un po’ di pace.

In casa vale il diritto-dovere della conversazione: poter fare all’altro qualsiasi genere di domanda e rispondere in modo esaustivo, parlare di sé e ascoltare l’altro, partecipare in modo attivo al dialogo e non solo chiacchierare del più o del meno. Nulla è più fastidioso, a tavola, del rumore delle posate che scandiscono il vuoto delle parole. In casa, infatti, è difficile passare inosservati o nascondersi: le persone si rivolgono le une alle altre senza maschere e con disinvolta schiettezza. Si vestono, conversano, si trattano reciprocamente, come non farebbero in nessun altro luogo. Nella conversazione familiare desiderano parlare di ogni argomento, porre all’altro qualsiasi domanda e non vorrebbero mai sentirsi rispondere: «Questo non ti riguarda!».

Ascoltare sinceramente le persone è un vero sacrificio: l’altro domanda, invade lo spazio della prossimità, si differenzia. La parola scava un distacco, genera un vuoto necessario per ospitare la risposta. L’io deve retrocedere e fare spazio, l’egocentrismo dev’essere smontato per lasciarsi trasformare.

Per i medesimi motivi, anche l’ascolto della Parola di Dio è sempre sacrificio. Colgo ogni volta un appello che è sempre oltre, in eccesso rispetto a quanto riesco a rispondere. Diventa così chiaro che la Parola, mentre è ascoltata, apre nuovi spazi, dove la concretezza del sacrificio si confonde con la sorpresa della grazia.

Quando rispondo «Sì», anche se non ne ho voglia, quando dico «Grazie!», fermando l’impulso della pretesa o la distrazione dell’irriconoscenza, le parole umane raggiungono la più alta possibilità performativa. La vita familiare si rigenera! Rispondendo, la parola produce vita. In modo simile, la disponibilità a lasciarsi toccare dalla Parola di Dio riempie la comunità di commossa riconoscenza.

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RITUALITA’ E FAMIGLIA

Il silenzio davanti al mistero

L

e celebrazioni battesimali con molti bambini sono spesso rumorose e anche caotiche. Non è, però, solo la possibile indisponibilità dei piccoli a creare disturbo. Lo è molto di più il «rumore» degli adulti, fatto di distrazione, di disturbo, di disinteresse al rito.

Al mistero del sacramento si addice il silenzio. Per accorgersi di Dio occorre tacere, così come per coltivare i legami occorre ascoltare.

Alla proclamazione della Parola di Dio segue un breve tempo di silenzio perché l’eco dell’ascolto continui a risuonare nell’interiorità personale. Tutta la celebrazione, d’altra parte, richiede che ai gesti e alle parole corrispondano l’attenzione e la meditazione.

L’assemblea che celebra va quindi continuamente richiamata al silenzio della comunicazione con l’Invisibile presente. Non servono a molto le didascalie ai gesti liturgici e, meno ancora, i richiami espliciti al silenzio (se non quando il rumore supera la soglia della mancanza del rispetto per le cose sacre). Sono più efficaci, invece, la preparazione catechistica al sacramento e la cura del rito. La Parola di Dio, per rivestirsi di forza comunicativa, richiede la conoscenza della fede e l’efficacia della ritualità: la comprensione del testo, la lettura accurata, la proclamazione efficace, la solennità della processione all’ambone, la forma dignitosa del leggio, il pregio

dell’Evangelario, il lume dei ceri, il profumo dell’incenso. La Scrittura esce dalla forma del testo antico scritto e diventa un segno vivo quando è letta, proclamata, ascoltata, come Parola che interpella, quando è performativa perché opera ciò che dice. Nel silenzio della fede, la Parola di Dio può rinascere ogni volta nuova, può essere trasformata dal rito per essere «Parola di vita».

Il rito potrebbe però appiattirsi, diventare celebrazione morta, luogo comune, pura pratica di religione civile. Parole che hanno celebrato la fede in una lunga storia cristiana, possono diventare preghiere meccaniche, formule vuote, gesti senz’anima.

La Parola di Dio, attraverso la ritualità liturgica, è invece azione divina, intervento efficace nella vita del credente. Lo Spirito è colui senza il quale niente esiste e nulla avviene. Senza la sua azione, il rito rimarrebbe pratica magica, sterile fantasticheria.

La secolarizzazione dei riti

Nella nuova condizione della secolarizzazione questa trasformazione operata dal rito non è più spontanea. È richiesta una consapevolezza particolare della fede per rendere manifesto l‘«invisibile».

Nel nostro quotidiano parlarci, le parole acquistano il loro significato attraverso il riferimento a cose che conosciamo bene: diciamo «latte» e sappiamo che cosa 50

è, vediamo un sorriso e ne comprendiamo il significato. La comunicazione di tutti i giorni usa per lo più il linguaggio descrittivo, spesso anche calcolatore. Le parole della liturgia, invece, alludono a realtà di cui non facciamo piena esperienza: Dio, Grazia, Spirito, l’Invisibile. Noi non potremo mai conoscere Dio che si cela dietro la creazione. Le cose di Dio possono diventare oggetto di pensiero e riflessione solo attraverso i simboli. La liturgia dà forma ai nuovi significati e li esprime in parole e gesti. Le parole, pur avendo lo stesso significato della vita quotidiana, hanno un altro senso. Le azioni e gli oggetti (acqua, olio, lume) sono tolti dal loro utilizzo pratico e sono trasformati in segni divini. Nella celebrazione liturgica si compiono azioni, ma gli effetti ordinari che ne derivano non sono quelli fisici. Il corpo non smette di essere essenziale, come lo è nella vita di ogni giorno, ma nella liturgia, si rende quasi trasparente alla Luce che proviene da Altrove. La liturgia si sforza di rappresentare Dio e la sua invisibile azione, tentando di definire qualcosa che trascende il linguaggio. Attraverso segni e simboli istituisce nuovi significati che danno forma alla vita e al mondo.

Il simbolo, unico luogo in cui alcuni significati giungono all’esistenza per noi, prende corpo nel silenzio, assumendo forma nel modo della coscienza e della riflessione senza che si esaurisca il mistero, che supera ogni comprensione. L’azione dei simboli e non solo la conoscenza rende performativa la parola e apre un varco per fare esperienza e incontrare il Dio di Gesù Cristo, e rendere reale l’azione dello Spirito del Signore.

Il rito del Battesimo è celebrato bene quando diventa un evento dotato di forza performativa: le parole stabiliscono un contatto, rendono manifesto qualcosa che trascende il linguaggio. Comprende la lingua dei riti della fede, però, solo chi ne è diventato consapevole, per esempio attraverso la catechesi degli incontri battesimali.

La secolarizzazione dell’amore

La secolarizzazione non svuota solo le parole del rito, intacca e corrompe anche il linguaggio dell’amore. È sempre possibile che la parola in famiglia sia depauperata, degradata, ridotta a monosillabi, a suoni incomprensibili. La comunicazione può perdersi nella banalità e le parole d’amore esaurirsi nel sentimentalismo del kitsch.

Anche in famiglia sono quindi necessari tempi di silenzio, di riflessione e spazi di attenzione all’altro. Servono riti che rendano performative le parole dell’amore. Parole efficaci non sono quelle che descrivono l’amore, ma quelle che lo danno, come avviene per le parole liturgiche.

Negarsi alla comunicazione o limitarsi alla chiacchiera casuale, sostituire la conversazione con la «parlata» televisiva, ostentare dialogo ma non dire ciò che abita dentro, diffonde il modello della «casa-albergo» nelle sue disparate versioni.

La comunicazione che non incontra l’altro come «altro», ma solo come funzionale a sé o proiezione di sé 51

Ascolto e partecipazione al Mistero si addice il silenzio

è «parola vuota» (J. Lacan). «Parola piena» è, invece, quella che dischiude uno spazio d’incontro, che stabilisce un contatto, che risponde a una domanda di senso e rende percepibile l’invisibile: l’amore.

La quotidianità familiare funziona quindi come un test che rivela quanto si è disposti a condividere, è una prova della capacità comunicativa di ogni persona.

Le parole della fede, annunciate nel sacramento del Battesimo: «grazia», «salvezza», «vita eterna» rischiano oggi di essere distanti dalla possibilità di una comprensione reale degli adulti, se non sono riportate da un lato all’esperienza umana della «parola piena» nel rito come nella vita, dall’altra al riferimento assoluto che è la Parola di Dio. Il sacramento cerca questa sinergia, il silenzio la rende possibile.

Diocesi di Brescia

dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano

L’esigenza di nuove idee e di nuove scelte parte da più necessità.Quelle educative e pastorali, prima di tutto: i ragazzi che continuamente cambiano e manifestano rinnovati bisogni, la possibilità della comunità educativa di proporre cammini veri ed adeguati. Ma anche quelle ecclesiali: i curati che diminuiscono, la nuova prassi dell’Iniziazione cristiana, la scelta del Sinodo che incammina tutta la nostra Chiesa locale verso la prospettiva delle unità pastorali. Dentro questa storia ci sono innovazioni e preoccupazioni, tentazioni e opportunità, paure e desideri. È giusto rispondere a tutto e continuare a camminare insieme.

Dal Cortile!

Ecco le nuove idee e scelte per l’oratorio bresciano E’ stato presentato e consegnato ufficialmente sabato 22 novembre, all’Istituto Paolo VI di Concesio, con la firma del decreto da parte del Vescovo Luciano il nuovo documento di riferimento per gli oratori bresciani, dal titolo: “Dal cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano”.

Tale documento, ora verrà approfondito da parte degli organismi pastorali e dalla Commissione per gli oratori dell’Unità Pastorale e concretizzato per la stesura definitiva del progetto educativo dei nostri oratori di Botticino.

INTRODUZIONE «Nessuno è fermo… tutti sono in movimento, in cammino: si dice che le donne sono andate, che la terra trema fortemente; l’Angelo scese dal cielo, ha fatto rotolare la pietra, anche le guardie tremarono. Poi, l’invito: Egli andrà in Galilea, tutti devono andare in Galilea. Le donne, con quel miscuglio di timore e di gioia – cioè, con il cuore in movimento – si allontanano rapidamente e corrono a diffondere la notizia. Si incontrano con Gesù e si avvicinano a Lui e gli abbracciano i piedi. Movimento delle donne verso Cristo, movimento di Cristo verso di loro. In questo movimento avviene l’incontro.[…] Il Vangelo plasma un avvenimento di incontro, di incontro vittorioso tra il Dio fedele, appassionato del suo popolo e noi, peccatori, ma assetati di amore e di ricerca, che abbiamo accettato di metterci in cammino… metterci in cammino per incontrarLo… per lasciarci incontrare da Lui. In quell’istante, esistenziale e temporale, verifichiamo quello che sperimentarono le donne: timore e gioia allo stesso tempo; sperimentiamo quello stupore dell’incontro con Gesù Cristo che porta a compimento i nostri desideri ma che mai dice: «fermatevi», bensì «andate».

L’incontro non ci ferma, ci rinsalda l’identità e ci invia di nuovo. Torna invece a rimetterci in cammino perché, incontro dopo incontro giungiamo a quello definitivo».

(J. M. Bergoglio, Omelia nella Veglia Pasquale Buenos Aires, 22 marzo 2008).

Il cortile dell’oratorio ospita, da sempre, il movimento e l’incontro.

Nel cortile si fanno tante cose, ma soprattutto si incontrano le persone: «Fa’ quanto puoi per passare in mezzo ai giovani tutto il tempo della ricreazione, e procura di dire all’orecchio qualche affettuosa parola, che tu sai, di mano in mano ne scorgerai il bisogno. Questo è il gran segreto che ti rende padrone del cuore de’ giovani». In questo ricordo di don Bosco è racchiuso tutto il perché del cortile: in questo luogo si ha la possibilità di essere attenti ai ragazzi, ascoltandoli ma anche proponendo, indicando con dolcezza e determinazione che il cortile (l’oratorio) serve per crescere, per andare, per uscire. Per riscrivere il nostro Progetto Educativo ripartiamo da qui.

Da tempo in Diocesi si avvertiva la necessità di un nuovo Progetto Educativo degli Oratori. Il primo, datato 1988, presenta alcune scelte da rivisitare: le intuizioni di fondo sono ancora profondamente valide, i percorsi operativi ed educativi sono quelli che più risentono del tempo.

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Quale tipo di documento può essere utile per il bene dei nostri oratori?

Abbiamo scelto un testo agile, capace di ridare intuizione e prospettiva, positivo ma non ingenuo, che partisse dal basso ma non volesse solo dare ricette facili. Così abbiamo ascoltato, molto. I curati, i parroci, le associazioni, i delegati giovani degli oratori. Nella intuizione iniziale ci piaceva far nascere una specie di “regola di vita” degli oratori, sullo stile delle antiche regole monastiche, capace di leggere la realtà senza imbrigliarla troppo, attenta ad attivare le risorse proprie di ciascun cammino, profondamente evangelica senza scivolare nell’ecclesiastico, concreta e ideale nello stesso tempo.

Da ultimo, un passaggio che ha accompagnato tutto il cammino: il ruolo della Commissione diocesana sugli oratori e dei membri del CDA del Centro Oratori Bresciani, che hanno accompagnato la scrittura del testo con annotazioni, idee pedagogiche e pastorali, limature necessarie, integrando fra loro alcune scelte che, altrimenti, sarebbero risultate troppo unilaterali.

L’ascolto, le esigenze raccolte e le speranze riposte in questo lavoro ci hanno suggerito una modalità di pubblicazione inedita. Ciò che qui viene presentato sono le linee pastorali che fondano tutte 5 le scelte, diocesane e parrocchiali, sui nostri oratori. A questo nucleo centrale vanno aggiunti altri pezzi, collegati e, insieme, modificabili: sul sito www.oratori.brescia.it viene aperta una sezione dedicata al nuovo progetto, che ospita anche le parti che qui non sono pubblicate: il pensiero dei nostri Santi sull’oratorio, le indicazioni per la gestione delle cose e degli spazi dell’oratorio, i regolamenti diocesani collegati, la raccolta delle esperienze particolarmente significative dei nostri oratori… Sono tutte sezioni che cambieranno nel tempo, si arricchiranno e si aggiorneranno con più o meno frequenza.

Non hanno la normatività del cuore del documento, ma sono ugualmente determinanti perché ne fanno vedere le conseguenze pratiche. Ci immaginiamo, quindi, un progetto educativo non statico, ma dinamico, fecondo e capace di generare nuove prassi da raccontare e condividere.

RACCOLTA FERRO E TAPPI

Ripartiamo dal cortile. Per non stare fermi, ma per incontrare. Per non ridurre il mondo alla nostra misura e rinchiuderlo dentro l’oratorio, ma per aprire l’oratorio alle dimensioni della storia e della geografia che stiamo vivendo.

Brescia, novembre 2014

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dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano

1. Il cuore dell’Oratorio 1.1 L’oratorio è “l’espressione della cura materna e paterna della Chiesa e nasce dall’amore della comunità ecclesiale per le giovani generazioni”; è lo strumento e il metodo più consolidato, sebbene non unico, tra le proposte della pastorale giovanile delle comunità cristiane della diocesi di Brescia.

Crocevia tra le domande e il desiderio dei giovani di trovare una “vita buona” ed il tesoro della fede custodito e messo a disposizione dalla comunità, l’oratorio si mette in cammino ed esce dalle sue tradizionali certezze per parlare con interesse al proprio tempo; si mette in cammino ed ascolta i dubbi e le speranze dei giovani, come Cristo con i discepoli sulla via di Emmaus; si mettein cammino ed annuncia, nei luoghi della vita, che Gesù è la strada, la risposta, la vita.

1.2 L’oratorio accoglie con entusiasmo la sfida della “scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione”. È un oratorio in missione: sebbene continui a convocare, accogliere e fare proposte, sceglie, come prima opzione evangelizzatrice, di andare, uscire, incontrare, ascoltare ed osservare – in particolare guardando al contesto sociale e territoriale nel quale è inserito – per offrire ai giovani una risposta autentica alle loro domande più vere.

Grazie a questa caratterizzazione missionaria l’oratorio non trattiene i giovani che ha contribuito a formare ma li invia nel mondo e li invita con forza a fare scelte di vita chiare e responsabili, rispondendo positivamente al progetto che Dio ha su di loro.

1.3 L’incontro con Cristo, che ha trasformato la vita di coloro che fanno parte della comunità educativa, genera la gioia tipica della vita dell’oratorio, secondo lo stile

più volte suggerito da don Bosco.

Una gioia missionaria, figlia della consapevolezza di essere una piccola parte nella grande avventura della missione del Padre, che diventa la misura e il riferimento della capacità di stare in oratorio della comunità educativa.

Una gioia contagiosa, che diventa il motore della passione educativa ed evangelizzatrice dell’oratorio i cui frutti sono il desiderio di dire, donare e raccontare Dio come la realtà più bella e preziosa per la vita di ogni persona.

1.4 La catechesi è una dimensione essenziale e connaturale della vita dell’oratorio, che accoglie lo stile catecumenale del nuovo Progetto di Iniziazione Cristiana, riconoscendolo affine al proprio metodo educativo, che pone al centro l’esperienza. Da un lato sono annunciate e spiegate la verità rivelata e i comportamenti insegnati da Gesù, dall’altro i contenuti di fede sono messi in relazione con la vita di ognuno, in un rapporto personale di fiducia, amore e obbedienza con il Signore Gesù e, tramite Lui, con il Padre e i fratelli.

1.5 L’oratorio nasce come espressione della carità della comunità parrocchiale nei confronti dei giovani e, in particolare, dei più bisognosi: è aperto a tutti. Servire i più piccoli, in particolare i poveri, i più svantaggiati (materialmente e spiritualmente) e i disabili è proprio della sua vocazione originaria.

Questa dimensione della carità, che si concretizza nell’accoglienza e nell’attenzione personalizzata, ha come riferimento il tentativo di rendere ogni giovane protagonista della propria vita, accettando con responsabilità i propri limiti e valorizzando i propri doni.

1.6 L’oratorio è parte integrante della comunità parrocchiale e dell’Unità Pastorale nella quale è inserito e – insieme agli altri oratori dell’UP – ne respira e condivide i tempi di vita. L’Eucaristia domenicale in parrocchia è il centro della vita della comunità educativa dell’oratorio, la proposta dell’attività segue ed accompagna i tempi liturgici della chiesa.

1.7 La vita dell’oratorio si basa su un processo educativo dinamico che alterna tempi strutturati (catechesi, incontri, proposte, momenti associativi e di gruppo, allenamenti, spettacoli…) e informalità, tra cortile e aule, tra invito ed uscita. I momenti meno formalizzati (la parola, il bar, il gioco libero, la pastorale del tempo estivo – con grest, campi estivi, follest… – le sale prova e i campi da gioco, lo sport, le esperienze espressive, artistiche, musicali e teatrali…) se vissuti con spontaneità ed attenzione rendono l’oratorio più gioioso e accogliente. Questi tempi e spazi dovranno sempre prevedere la presenza discreta, allegra, disponibile e attiva di un giovane o un adulto.

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dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano

2. I soggetti ed i contesti 2.1 Sono le donne e gli uomini che vivono l’oratorio a costituirlo. Sono le relazioni, gli incontri, gli sguardi, i gesti di affetto e di riconoscenza che ne determinano il clima e lo stile. È Gesù l’uomo da cui parte e a cui guarda la vita dell’oratorio. Alle parole e ai gesti di Gesù si rifanno le parole e i gesti della comunità educativa dell’oratorio; il Vangelo di Gesù, il suo volto e la sua Croce sono presenti, rappresentati e annunciati con semplicità, negli spazi e nelle attività dell’oratorio.

Incontriamo Gesù soprattutto nella testimonianza dei membri della comunità parrocchiale in cui l’oratorio è inserito. L’oratorio non sarà mai altro rispetto alla comunità, il suo legame sarà sottolineato dal suo inserimento nella progettazione pastorale della parrocchia, in comunione con il parroco e con le indicazioni del consiglio pastorale parrocchiale e nella sua attenzione ai momenti principali della vita della comunità.

2.2 I giovani e gli adulti che – insieme con il parroco e il responsabile della pastorale giovanile e vocazionale della propria unità pastorale – si impegnano a costruire e servire l’oratori sono definiti Comunità Educativa dell’oratorio. I membri dei gruppi, delle associazioni e dei movimenti che fanno parte dell’oratorio sono parte integrante di questa comunità. La Comunità Educativa non è qualcosa di astratto, ma una comunità reale che trova modi e tempi per vivere occasioni di comunione fraterna, condivisione e formazione; si confronta con le finalità educative dell’oratorio, con la vita e le situazioni concrete dei propri giovani, verificando periodicamente la coerenza del proprio agire educativo con il progetto dell’oratorio.

La Comunità Educativa aiuta i propri membri a formarsi, anche personalmente, sia in relazione al servizio offerto che, più in generale, per la propria crescita.

La Comunità Educativa dell’oratorio deve essere aiutata a vivere e praticare il significato del dono, proponendo momenti di ritiro e formazione spirituale, curando con attenzione i momenti di preghiera, attingendo con sensibilità alla Sacra Scrittura come fonte di riflessione e di approfondimento.

Caratteristiche tipiche dei membri della Comunità Educativa sono: • il riferimento alla buona notizia del Vangelo, come carta di orientamento per la propria vita; • la passione educativa, la gratuità del servizio e il desiderio di stare con i ragazzi (“perdendo tempo” con loro e per loro); • l’accoglienza consapevole del Progetto Educativo dell’oratorio; • la capacità di andare verso ogni ragazzo (trovando modi, tempi e luoghi adeguati); • la capacità di prendere l’iniziativa perché il clima dell’oratorio si mantenga positivo, anche intervenendo 55

nelle situazioni diseducative per proporre occasioni di coinvolgimento, svago e riflessione.

La comunità educativa dell’oratorio si dota di strutture, il più possibile semplici, agili e fraterne, per scegliere operativamente come svolgere la propria azione educativa. I soggetti indispensabili per la conduzione della vita dell’oratorio sono: il Consiglio Il 29 maggio vengono dell’oratorio e la guida. consegnate al Papa le maglie dell’USO 2.3 Botticino con la scritta “Francesco 1” Il Consiglio dell’oratorio è il luogo della programmazione, dell’organizzazione e della verifica della vita dell’oratorio: elabora e aggiorna un semplice progetto educativo dell’oratorio (se inserito in una UP, lo recepisce e redige il regolamento), che si impegna a mettere in pratica. È composto dal parroco, dalla guida dell’oratorio e da alcuni membri che rappresentano i principali gruppi di responsabilità e impegno dell’oratorio. Il Consiglio aiuta la guida nello svolgimento del proprio incarico.

2.4 La guida è la figura di riferimento dell’oratorio. È guida il curato dell’oratorio, ma, dove non vi sia, è indispensabile individuare una persona, presente e riconosciuta, che svolga questa funzione.

La guida dell’oratorio è uomo, donna o famiglia che offra una sincera testimonianza di fede cristiana e, in accordo con il parroco, sarà il riferimento per le scelte operative dell’oratorio.

La guida dell’oratorio dovrà dare una disponibilità di tempo adeguata, dovrà formarsi in modo permanente, potrà essere retribuita per il servizio prestato. È un incarico che deriva da un mandato esplicito della propria comunità parrocchiale, previa approvazione diocesana.

La guida non sostituisce la responsabilità giuridica del parroco, ma diventa punto di riferimento operativo che lo affianca. È attenta ai suggerimenti, ai bisogni e all’accompagnamento delle persone presenti in oratorio, valorizzandone le capacità e promuovendo buone relazioni; coordina le azioni educative in un’ottica di integrazione di progetti e contributi; sostiene la comunità educativa nel servizio offerto.

La guida incontra frequentemente il Consiglio dell’oratorio per la stesura del calendario annuale,

dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano per individuare le scelte di fondo delle singole attività e iniziative e per verificare quanto attuato. Si impegna ad allargare la partecipazione favorendo la corresponsabilità di altri adulti e giovani e, con l’aiuto del Consiglio dell’oratorio, individua e definisce i responsabili delle varie attività dell’oratorio.

Laddove l’oratorio sia inserito in un Unità Pastorale, la guida sarà riferimento per il proprio oratorio nell’elaborazione del Progetto Educativo e farà parte dell’equipe di Pastorale Giovanile e Vocazionale, dove presente.

corresponsabilità. L’oratorio è attento ai bisogni delle giovani coppie, di fronte ai sogni e alle difficoltà per la costruzione di una nuova famiglia; ai bisogni dei giovani genitori, sia rispetto alla crescita dei figli, che rispetto alla propria necessità di formazione umana e cristiana. Le persone in età evolutiva sono, però, i principali destinatari dell’azione educativa dell’oratorio; sarà opportuno vigilare affinché tempi e spazi d’uso delle strutture da parte degli adulti non rendano difficile o scoraggino la presenza dei più piccoli.

2.5 Laddove l’oratorio è inserito in un’Unità Pastorale il luogo della progettazione della pastorale ordinaria è il Consiglio dell’Unità Pastorale. Data la specificità della progettazione per quanto riguarda l’ambito giovanile e vocazionale il Consiglio dell’UP si avvale della consulenza degli oratori, del sacerdote incaricato per la Pastorale Giovanile e Vocazionale ed, eventualmente, di un’equipe per progettare la PG, formata da alcuni membri del Consiglio dell’UP e da alcuni membri rappresentanti dei singoli oratori.

2.6 Sono i bambini, i ragazzi, gli adolescenti e i giovani le persone per le quali l’oratorio è pensato e vive. Progressivamente e accompagnando la loro crescita, l’oratorio diventa luogo accogliente, propositivo, capace di offrire occasioni per mettere in gioco le proprie qualità, stimolante e liberante rispetto alle proposte culturali, luogo dove imparare a diventare protagonisti della propria vita e della vita della propria comunità.

Promuove il protagonismo giovanile non per “usare” i più giovani come risposta ai bisogni della comunità ma integrando il loro servizio con idonei momenti di formazione umana, culturale e spirituale. Senza fretta, per non bruciare le tappe, e con opportuna sensibilità, la comunità educativa continuerà a stimolare e privilegiare i più giovani nel definire i progetti e le responsabilità di servizio.

2.8 Anche chi fatica a sentirsi parte della comunità educativa ma offre il proprio servizio e le proprie competenze, viene accolto e valorizzato.

A partire da questa disponibilità, sarà invitato a partecipare in modo sempre più consapevole alla vita dell’oratorio, e ad essere presente almeno ad alcuni momenti fondamentali di carattere formativo.

Considerando che ogni adulto che presta servizio in oratorio ricopre per i ragazzi un ruolo educativo, è bene valutare con attenzione, serietà e prudenza la compatibilità tra il servizio richiesto e la situazione personale dell’adulto.

2.9 Nell’Oratorio sono presenti diversi gruppi, associazioni, movimenti: la loro presenza, raccolta in unità di intenti, “è vissuta come dono e motivo di ricchezza”. L’Azione Cattolica, dove presente, è particolarmente legata all’oratorio, per la vicinanza al suo metodo educativo e per la sua natura radicata nella comunità parrocchiale.

La pluralità di gruppi ed esperienze, inserita nel contesto della progettualità dell’oratorio che guarda alla formazione della globalità della persona, è un’occasione perché, attraverso l’utilizzo di stili, linguaggi e sensibilità differenti, sia possibile trovare una chiave di accesso per l’incontro con i giovani del 2.7 Le strutture dell’oratorio sono pensate per accogliere le proprio territorio. famiglie e gli adulti della comunità cristiana e sempre più 2.10 sono chiamate a farlo. L’oratorio collabora con la soggettiLa sfida dell’incontro con tanti minori migranti e vità educativa delle famiglie nella crescita dei loro figli, va- con le loro famiglie, con culture, appartenenze e relorizza e stimola la partecipazione degli adulti, si sforza di ligioni diverse è facilitata da questa pluralità di proallargare e coinvolgere il maggior numero di persone nella poste e, attraverso il coinvolgimento, può diventare capacità di dialogo e sfida reciproca nell’apprezzare i doni specifici che le diversità portano con sé.

L’oratorio, dentro il rapporto rispettoso con le tradizioni culturali e religiose dei ragazzi che accoglie, trova una rinnovata occasione di annuncio della buona notizia del Vangelo.

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dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano

3. L’azione educativa dell’oratorio 3.1 La proposta pastorale dell’oratorio nasce da una radicale fedeltà alla parola di Dio e alle esigenze concrete degli uomini, e in particolare dei giovani. Per questo studia, legge e parla alla propria realtà territoriale per accogliere e suscitare le domande dei ragazzi e dei giovani che gli sono affidati. L’oratorio ritiene quindi importante intessere relazioni che possono generare rapporti stabili e fruttuosi con i mondi educativi del proprio territorio (soprattutto la scuola, le amministrazioni pubbliche, la cooperazione e le associazioni, il mondo dello sport…)

L’oratorio promuove e partecipa ad occasioni di confronto culturale in ambito formativo e collabora nella progettazione e realizzazione di iniziative a favore dei più giovani .

3.2 Come è noto, il contesto sociale in cui opera l’oratorio è complesso, in continuo mutamento e transizione, dentro una società che – se da una parte rimanda a valori quali la libertà e l’amore come riferimenti per iniziare a proporre un percorso educativo – d’altra parte sembra aver smarrito la bussola di come educare le giovani generazioni.

Oggi i giovani vivono una molteplicità di riferimenti valoriali, sperimentano culture e stili di vita differenti, accedono con facilità alle informazioni; al contempo appaiono più fragili nel percorso di crescita e nella maturazione necessaria a definire una propria identità.

Svantaggiati nel realizzare il progetto di vita sperato, risultano più confusi nell’adozione di regole, incerti verso le scelte ed i rischi personali, meno inclini ad assumere responsabilità e compiti di cittadinanza attiva.

La scelta della Chiesa Italiana di dedicare alla questione educativa il decennio pastorale dal 2010 al 2020, nasce dalla preoccupazione che le difficoltà oggettive dell’educazione in un tempo e in un mondo che cambia, si trasformino in disimpegno e scetticismo.

L’oratorio vince questa sfida educativa se non riduce il cortile ad un recinto sicuro e protetto, ma si apre all’esterno ed esce con coraggio, portando il suo stile per metterlo al servizio dei bisogni e delle attese delle giovani generazioni.

prattutto il loro stile e le modalità.

La finalità ultima dell’oratorio consiste nell’aiutare ogni giovane a prendere posizione liberamente ed efficacemente a favore della realtà, di sé stesso, degli altri, di Dio; per aprirsi a questa possibilità l’oratorio offre l’incontro e la conoscenza della persona di Gesù.

L’esito della proposta è il dono di sé, perché “il valore supremo dell’esistenza umana è l’amore; l’amore si compie nel dono di sé, a imitazione del dono che Cristo ha fatto per noi”.

3.4 Il metodo dell’animazione, propriamente inteso, è tipico dell’esperienza educativa dell’oratorio. L’animazione non è semplicemente un repertorio di tecniche di comunicazione o un insieme di strumenti relazionali privi di contenuto, ma un metodo basato su relazioni gratuite, generose e fedeli che testimonino la vita nuova in Cristo, aiutando i giovani a liberarsi dalle proprie paure; dai condizionamenti sociali (e culturali) dominanti; da una visione consumistica della vita e delle relazioni; dalla passività e dall’incapacità di prendere in mano la propria vita e scegliere per essa il bene.

Caratteristiche tipiche dell’animazione in oratorio sono: • l’attivazione di tutte le dimensioni della persona (corporeità, intelligenza, sensibilità, emotività) attraverso l’utilizzo di linguaggi e strumenti diversificati (lettura, ballo, ascolto, teatro, musica, dinamiche di gruppo, sport, nuove tecnologie...); • la sobrietà e la semplicità dei mezzi utilizzati che cerca un equilibrio tra la bontà e le bellezza dei contenuti proposti e la fruibilità e contemporaneità delle forme; • la scelta privilegiata del gruppo e di altre forme di aggregazione (come occasione di confronto, di scambio di esperienze, di lettura critica delle proprie idee); • la necessità di un continuo rimando tra esperienza vissuta; rilettura-interpretazione dell’esperienza con l’aiuto di una guida, un sacerdote, un animatore; il confronto con sé stessi, che porta alla trasformazione di sé (conversione); È solo attraverso questa dinamica tra esperienza, rilettura e riappropriazione della vita che la molteplicità del vissuto viene integrata in una “narrazione” e diventa significativa.

3.5 La proposta pastorale dell’oratorio nei confronti delle

3.3 La proposta pastorale dell’oratorio ha natura vocazionale: insiste nella prospettiva dell’uscire da sé, del decentrarsi, dell’aprirsi all’altro e a Dio; vive come dimensioni tipiche della sua proposta educativa la relazione personale e la gratuità; implica scelte generose e coraggiose in risposta alla chiamata del Signore. Sua caratteristica tipica è la forte intenzionalità educativa ed evangelizzante, che non determina solo la tipologia e la quantità di attività che l’oratorio propone, ma so57

dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano giovani generazioni è articolata per età; individua accessi, linguaggi e sensibilità diverse in ogni fase della vita. È attenta a fornire – soprattutto nella preadolescenza e nell’adolescenza – strumenti e occasioni differenti per ragazzi e ragazze.

Questi momenti aiuteranno ad introdurre i più giovani nella vita della comunità, gradualmente ed attraverso tappe visibili. Per ogni fascia di età si dovranno delineare specifici obiettivi educativi, già tracciati nel Progetto Educativo dell’Oratorio e poi riscritti in modo pertinente nei documenti della Chiesa bresciana. A questi documenti si può far riferimento soprattutto per i contenuti della proposta di fede dell’oratorio.

Concretamente, per ogni fascia d’età (bambini, ragazzi, adolescenti e giovani) è necessario siano attivati cammini stabili di gruppo. Se i gruppi, per mancanza di educatori preparati o per carenza di ragazzi, non potranno essere presenti nel singolo oratorio, l’unità pastorale (o il livello zonale) provvederà ad attivarli.

Conclusione la spiritualità dell’oratorio Tutta la tensione educativa dell’oratorio apre alla dimensione dell’altro, testimonia la necessità di fondare la propria vita su atteggiamenti, valori e scelte che derivano dal Vangelo ed esprime un’idea di uomo costituzionalmente aperta al rapporto con Dio ed, in particolare, all’azione trasformante dello Spirito sulla vita propria e della comunità.

Lo sguardo dell’educatore in oratorio non si ferma a giudicare in base all’esistente, ma è orientato alla crescita, che valorizza il bene da costruire: è uno sguardo contemplativo, frutto di preghiera, di ascolto e di un serio discernimento. Vissuto in questo sen-

dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano

so, il processo educativo che avviene in oratorio assume sempre una caratterizzazione spiritualmente vivace ed arricchente.

Allegato Soggetti ed organismi di riferimento per l’oratorio La comunità parrocchiale (e il Consiglio Pastorale Parrocchiale)

È la comunità parrocchiale il luogo e il soggetto primo della pastorale. Da qui nascono il suo dovere e la sua passione educativa nei confronti di ogni persona e in particolare verso coloro che ha iniziato alla fede.

«La comunità parrocchiale non può delegare l’educazione dei giovani unicamente all’oratorio ed é sua costante preoccupazione garantire la presenza di animatori», catechisti ed educatori per l’educazione e l’evangelizzazione dei più piccoli.

L’organismo pastorale di riferimento della vita parrocchiale è Il Consiglio Pastorale Parrocchiale (C.P.P.), per quanto riguarda il proprio oratorio: » il C.P.P. è il luogo in cui il Progetto Educativo dell’oratorio assume il valore di azione pastorale e viene collegato a tutte le altre presenze e azioni pastorali » il C.P.P. è attento e verifica periodicamente la proposta educativa dell’oratorio: membri del Consiglio dell’oratorio e della Comunità Educativa possono essere chiamati a relazionare (meglio se in maniera periodica e programmata) e offrire la propria sensibilità educativa al C.P.P.

L’Unità Pastorale e il consiglio dell’Unità Pastorale

Laddove la parrocchia è inserita in un’Unità Pastorale il luogo della progettazione della pastorale ordinaria è il Consiglio dell’Unità Pastorale, guidato dal coordinatore dell’UP, al quale fa quindi riferimento anche l’attività dei singoli oratori.

In particolare il XXIX Sinodo diocesano individua nel Consiglio dell’Unità Pastorale le seguenti responsabilità: » elaborazione del progetto pastorale comune; » sollecitazione e verifica della sua realizzazione; » coinvolgimento e incoraggiamento alla partecipazione di tutte le persone, aggregazioni e istituzioni.

Rispetto alla pastorale giovanile e all’oratorio, compito specifico del Consiglio dell’Unità Pastorale sarà quello di “valorizzare le risorse esistenti con un razionale utilizzo delle strutture, con l’accorpamento di alcune attività e, dove possibile, con la specializzazione nella gestione delle stesse”. Per la progettazione della pastorale giovanile e vocazionale il Consiglio dell’UP si avvale della consulenza degli oratori, del sacerdote incaricato per la Pastorale Giovanile e Vocazionale ed, eventualmente, di un’equipe per progettare la PG, formata da alcuni membri del Consiglio dell’UP e da alcuni membri rappresentanti dei singoli oratori.

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Incaricato della pastorale giovanile e vocazionale dell’Unità Pastorale

Nelle unità pastorali l’ordinario diocesano indicherà un sacerdote incaricato della pastorale giovanile e vocazionale. Il sacerdote incaricato farà da riferimento nella progettazione pastorale a livello di UP e da collegamento con le guide dei vari oratori e con le comunità educative, verificherà la necessità di formare un’equipe di pastorale giovanile e vocazionale.

L’equipe di pastorale giovanile e vocazionale dell’Unità Pastorale

L’Equipe, ove costituita, sostituisce la Consulta Zonale di Pastorale Giovanile, per evitare la presenza di troppi livelli di riflessione e progettazione: si collega con il livello zonale e macrozonale in caso di progettazione di azioni specifiche.

L’Equipe di Pastorale Giovanile e Vocazionale è il luogo di supporto specifico per il Consiglio dell’UP nello studio e nella progettazione per quanto riguarda la pastorale giovanile e vocazionale. Azioni tipiche dell’equipe di Pastorale Giovanile e Vocazionale sono: » la lettura dei bisogni e delle risorse della realtà giovanile del territorio (anche in collegamento e collaborazione con altri enti e istituzioni); » la scrittura del Progetto Educativo degli oratori dell’UP; » la progettazione di iniziative comuni tra gli oratori, in particolare laddove le risorse e le proposte dei singoli oratori appaiono insufficienti, anche in collegamento con la pastorale giovanile diocesana; » la progettazione di iniziative di pastorale vocazionale, anche in collegamento con la pastorale vocazionale diocesana; » la progettazione di iniziative dedicate ad adolescenti e giovani che non partecipano alla vita dell’oratorio: iniziative che possono essere realizzate nei loro luoghi di vita (scuole del territorio, piazza, teatro…); » l’attivazione di un gruppo giovanile dell’Unità

Pastorale, che offra spunti di confronto e approfondimento, sotto la guida di un catechista preparato, sui contenuti della fede, in relazione alla vita dei giovani e alla loro presenza nel mondo; » il confronto e la razionalizzazione dei calendari delle proposte dei singoli oratori dell’Unità Pastorale.

Consiglio dell’oratorio

Il Consiglio dell’oratorio è il luogo della programmazione, dell’organizzazione e della verifica della vita dell’oratorio: valuta e coordina le principali attività dell’oratorio, predispone il calendario degli eventi e discute di eventuali presenze di gruppi o associazioni che non fanno parte della parrocchia all’interno della struttura dell’oratorio. È composto dal parroco (che lo presiede), dalla guida dell’oratorio e da alcuni membri (non meno di 5 e non più di 20) che rappresentano i principali gruppi e settori di attività e impegno dell’oratorio (catechisti, società sportiva, volontari per la gestione del bar, la manutenzione e le pulizie, gruppo teatrale, gruppi missionari e di carità, gruppi adolescenti e giovani, da un rappresentante dei genitori, da un rappresentante dell’Azione Cattolica, dai rappresentanti dei gruppi e movimenti parrocchiali che partecipano alla programmazione e all’organizzazione della vita dell’oratorio…). È necessario che i membri del Consiglio dell’Oratorio rappresentino le varie anime dell’oratorio, diventando così luogo di comunione e corresponsabilità: quindi ogni gruppo è invitato, autonomamente, ad indicare un proprio rappresentante. Il parroco potrà aggiungere, per migliorare la composizione del Consiglio, due membri a propria scelta. Mantiene attraverso alcuni suoi membri uno stretto contatto con il Consiglio Pastorale Parrocchiale.

Nel limite delle possibilità, è opportuno i membri del Consiglio non ricevano più di due mandati consecutivi e siano rappresentativi delle età e delle differenze di sesso.

Rimane in carica per tre anni. Recepisce dal Consiglio dell’UP il Progetto educativo degli oratori, che si impegna a mettere in pratica e verificare, e redige il Rego-

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dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano

dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano

Contributo 2

L'accoglienza dei disabili in oratorio A cura del CentroVolontari della Sofferenza Diocesi di Brescia

Oratorio: casa accogliente!!!

lamento del proprio oratorio. Laddove la parrocchia di riferimento non sia inserita in una UP sarà compito del Consiglio la scrittura del Progetto Educativo dell’Oratorio.

In caso uno o più membri del Consiglio dell’Oratorio vengano eletti come rappresentanti di istituzioni civili è bene valutare l’opportunità che continuino a far parte del Consiglio stesso (salvaguardando la possibilità di mantenere i propri incarichi educativi e di servizio), affinché possano meglio e con più libertà svolgere il proprio servizio alla collettività e all’oratorio.

Il Consiglio aiuta la guida nello svolgimento del proprio incarico e dalla guida dell’oratorio viene convocato almeno 5 volte all’anno, secondo le necessità: è bene che si dia modalità di lavoro ben strutturate (ad esempio redigendo e pubblicando un ODG e un verbale dell’incontro, richiedendo una rendicontazione delle singole attività), definendo tempi opportuni per la preghiera, per la formazione dei suoi membri e per la discussione delle principali iniziative.

Curato dell’oratorio e Guida dell’oratorio

L’oratorio necessita di una figura di riferimento, presente e riconosciuta: la guida dell’oratorio, che risulta indispensabile.

In molte parrocchie la figura del curato, dedicato all’oratorio, svolge anche il ruolo di guida dell’oratorio, nelle altre è bene individuare una persona che possa svolgere questo ministero (non sempre il parroco, pur rimanendo il legale rappresentante, può garantire la propria presenza costante in modo da essere effettivamente il riferimento per la vita dell’oratorio stesso).

La guida dell’oratorio è un uomo, una donna o una famiglia che offra una sincera testimonianza di fede cristiana e che, in accordo con il parroco, sarà il riferimento per le scelte operative dell’oratorio. Può essere scelto tra i membri della comunità educativa oppure essere cercato esternamente: dovrà comunque aver compiuto un percorso formativo adeguato.

La guida dell’oratorio dovrà dare una disponibilità

di tempo adeguata, dovrà formarsi in modo permanente, secondo le indicazioni e le possibilità offerte dall’Ufficio diocesano e potrà essere retribuita per il servizio prestato. La guida mantiene i contatti necessari con il livello diocesano per il buon funzionamento dell’oratorio. È un incarico che deriva da un mandato esplicito della propria comunità parrocchiale, previa approvazione diocesana. Laddove l’oratorio sia inserito in un’ Unità Pastorale, la guida sarà riferimento per il proprio oratorio nell’elaborazione del Progetto Educativo e farà parte dell’equipe di Pastorale Giovanile e Vocazionale, dove presente.

La guida non è un semplice custode degli ambienti ma è il più immediato riferimento per la realizzazione del Progetto Educativo dell’oratorio e gestisce, in comunione con il parroco, l’amministrazione ordinaria dell’oratorio. Rimane in carica per tre anni, insieme al Consiglio dell’oratorio e con esso frequentemente si incontra per la stesura del calendario annuale, per individuare le scelte di fondo delle singole attività e iniziative, per verificare quanto attuato. Una volta all’anno è tenuto ad una rendicontazione economica al Consiglio per gli Affari Economici Parrocchiale. La guida non è il responsabile di ogni attività dell’oratorio, anzi, si impegna ad allargare la partecipazione favorendo la corresponsabilità di altri adulti e giovani e, con il Consiglio dell’oratorio, individua e definisce i responsabili delle varie attività. È attenta ai suggerimenti, ai bisogni e all’accompagnamento delle persone presenti in oratorio, valorizzandone le capacità e promuovendo buone relazioni; coordina le azioni educative in un’ottica di integrazione di progetti e contributi; sostiene la comunità educativa nel servizio offerto.

Per quanto riguarda tutti gli aspetti disciplinari e normativi in ambito canonico e civile del mandato ministeriale della guida dell’oratorio si rimanda ad un successivo documento redatto in collaborazione con i competenti uffici di curia.

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Se dunque occorre far maturare una mentalità che sfoci nell’accoglienza vera, la quale porta l’oratorio a prendersi cura del disabile come un suo membro che ha particolari bisogni, come muoversi concretamente?

Sappiamo che tutte le imprese di ispirazione evangelica hanno bisogno dell’impegno e della collaborazione di tutti i membri della comunità cristiana. Occorre essere pronti ad intraprendere ogni iniziativa possibile ed essere poi geniali a comunicarla a tutti coloro che partecipano alle normali attività della parrocchia e in particolare dell’oratorio.

Iniziative concrete

Le iniziative concrete possono essere riassunte dai quattro verbi nominati nel nuovo progetto: Conoscere le persone con handicap sul proprio territorio chiedendo aiuto al proprio parroco o curato.

Quest’opera serve per rendersi conto di chi manca abitualmente in parrocchia e chiedersi per quale motivo.

Per poter conoscere una persona, e questo vale anche per un disabile, devo essere animato dalla volontà di entrare nella sua casa proprio come Maria ha fatto con Elisabetta cioè con rispetto, con la voglia di mettermi accanto ed iniziare un rapporto di amicizia. Questo se fondato su umiltà e sincerità, porta a vedere la persona prima della sua malattia e a condividerne la sofferenza e le difficoltà quotidiane, anche a compiere atti che sembrano banali ma che per un disabile implicano ogni volta la dipendenza dagli altri che va dal voler un bicchiere d’acqua perché si ha sete e dover chiedere di darmi da bere, all’essere

aiutato a svolgere tutte le dimensioni della vita anche per esempio partecipare alla Santa Messa. Spesso infatti, i disabili battezzati, che non partecipano alla vita della comunità, non ne sono sempre responsabili in prima persona perché hanno bisogno di un aiuto materiale per essere presenti in parrocchia; se sappiamo, ad esempio, che fa parte della nostra comunità un discreto numero di disabili che desiderano partecipare alla Santa Messa, basta fare una semplice telefonata e chiedere loro: “Volete partecipare alla Santa Messa? Non preoccupatevi, veniamo noi a prendervi!!!”. Ovviamente, se si è al corrente che la Chiesa e l’oratorio hanno barriere architettoniche, per cui chi è in carrozzina non riesce ad entrare, dovrò trovare soluzioni per superare l’ostacolo, per esempio munendomi di una pedana.

Altra cosa molto importante è capire le esigenze del disabile: se so che ha difficoltà a muovere gli arti superiori, sarò io per primo a dargli la mano allo scambio della pace.

Accogliere le persone con handicap offrendo loro amicizia e coinvolgimento nella vita della comunità. La relazione di amicizia con una persona disabile deve avere come cardine il principio della schiettezza e della massima libertà da entrambe le parti. Se da un lato la persona disabile deve sentirsi libera di chiedere ad un amico “Andiamo a mangiare una pizza? Hai voglia di venire al cinema con me? Andiamo a Messa insieme?” dall’altra parte la persona “sana”, se vuol essere veramente amica, deve essere il più sincera possibile dicendo di sì, non per compiere un atto di carità cristiana, ma solo perché ha voglia di condividere il proprio tempo con l’amico e non nascondere eventuali impedimenti. Se non può, perché ha altri impegni, perché ha deciso di uscire con altre persone o perché sa che il luogo non è idoneo all’amico, in quel momento, deve sentirsi libero di dire di no spiegandogli il motivo. La persona disabile infatti, non deve credere che la propria condizione di bisogno di aiuto la possa mettere in una posizione di autorità per cui tutto gli è dovuto.

Occorre però tener sempre presente la sua condizione e le sue esigenze. Se l’oratorio programma una gita e ci

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sono dei ragazzi disabili, occorre organizzare il viaggio in modo che anche loro possano essere presenti, per esempio prenotando un pullman che porta le carrozzine e interessandosi che la metà sia adatta.

Nell’accoglienza, vale la regola del buon senso. Se sono a conoscenza che il mio amico è un fan dei Nomadi e che tra un paio di mesi a Brescia c’è il concerto, ma già di partenza so che non potrò partecipare o che andrò con altri amici, non devo dirglielo, per evitare di farlo soffrire inutilmente.

Rivolgere una grande attenzione alla famiglia del disabile, affinché non sia lasciata sola col proprio figlio malato. Il luogo naturale in cui esso acquisisce un’educazione e la prima riabilitazione è la famiglia, che deve essere aiutata dalla comunità cristiana per prima cosa ad accogliere il figlio disabile, poi ad essere in grado di sostenerlo ed educarlo.

La nascita di un figlio in tali condizioni spesso è la rinuncia a tutti i progetti fatti tante volte dalla coppia. Pensiamo alla situazione pesante in cui si trovano molti genitori che hanno come prospettiva quella di essere legati per tutta la vita ad un figlio incapace di gestirsi autonomamente, che avrà sempre più bisogno di cure e che crescendo diventerà sempre più difficile da sollevare e accudire. Fra genitori e figlio viene così a crearsi un rapporto di dipendenza, che al sacrificio unisce l’impossibilità, da parte dei genitori, di condurre una vita sociale e di instaurare veri rapporti di amicizia perché essi non si fidano a lasciarlo nelle mani di estranei. In tale situazione, che crea molte volte nelle famiglie atteggiamenti di tensione e depressione, diventa molto importante l’aiuto che la comunità cristiana può offrire, per esempio di rendersi disponibili a stare un po’ di tempo con il loro figlio disabile, per permettere alla coppia di uscire e avere momenti privati. Al momento della nascita del bambino infatti sono i genitori ad avere più bisogno di aiuto, come afferma anche la Santa Sede nel Documento del 04/03/1981 al punto 6: “… Il trauma che ne deriva può essere di natura così profonda e determinare una crisi talmente forte che scuota tutto un sistema di valori. La mancanza di una precoce assistenza e di un adeguato sostegno in questa fase può avere conseguenze nefaste tanto per i genitori che per il bambino disabile… Occorre dunque

che le famiglie siano circondate da profonda comprensione e simpatia da parte della comunità e ricevano dalle associazioni e dai pubblici poteri un’assistenza adeguata fin dall’inizio della scoperta dell’handicap in un loro membro”. Di fronte a tale drammatica situazione, i genitori si chiedono il perché di ciò che è loro capitato; vanno perciò aiutati a non sentirsi in colpa per quanto è accaduto e a trovare un senso alla vita del figlio che desideravano sano: solo se lo vedranno accettato e valorizzato dalla comunità cristiana e quindi in oratorio, per esempio invitandoli a partecipare a degli eventi, ai percorsi formativi di carattere spirituale dove si sentano liberi di esprimere il proprio disagio, le proprie perplessità, le proprie paure e la propria testimonianza, allora capiranno che in fondo questo figlio è comunque un dono anche se impegnativo, che va accolto e non nascosto. Essi vanno aiutati a non cadere nell’isolamento che è purtroppo una triste realtà, soprattutto per motivi assistenziali; diventa importante allora donare amicizia. E’ difficile infatti per un familiare parlare di una situazione così grave con persone che non conoscono il problema; al contrario se ad ascoltarli è una persona amica si aprono ricevendone sicurezza e serenità.

All’interno della comunità cristiana il sacerdote dovrebbe essere per i genitori il primo compagno di viaggio che mette a disposizione il proprio tempo per star loro accanto anche in silenzio, senza la pretesa di pronunciare frasi fatte di conforto che spesso, di fronte al dolore, risultano vane. Egli dovrebbe accompagnarli con discrezione e umiltà, cercando di far comprendere che la loro sofferenza, se unita a quella di Cristo, ha un valore, e la presenza di questo figlio può far nascere, se accolto nella fede, un nuovo progetto di vita. Troppe volte però questa presenza amica non c’è e nelle famiglie si arriva anche a sperimentare la ribellione verso Dio. E’ necessario che la Chiesa compia un’intensa opera di sensibilizzazione di fronte al problema della disabilità; il cammino da compiere è ancora lungo, ma un segno di speranza è rappresentato da quelle famiglie che generosamente e coraggiosamente hanno accettato di prendersi cura e persino di adottare bambini handicappati; a queste la Santa Sede rivolge un contributo di apprezzamento ed esprime profonda riconoscenza.

Valorizzare i carismi delle persone in situazione di handicap, tenendo presente che è sufficiente chiedere a ciascuno quello di cui è capace. Nella comunità parrocchiale, ad esempio, si possono affidare ai disabili tanti servizi: leggere una preghiera, portare l’offertorio durante la Santa Messa, preparare un canto, affidargli nella preghiera situazioni particolari di famiglie in difficoltà, situazioni di altri compagni di viaggio, …, oppure renderli catechisti affidando loro la preparazione dei ragazzi ai sacramenti di Iniziazione Cristiana o renderli testimoni di una vita condotta in pienezza in oratorio. Da buon catechista la persona disabile quando affronterà il tema della missionarietà della Chiesa, oltre che far conoscere ai propri ragazzi le realtà dei paesi in via di sviluppo e testimonianze di missionari, laici o

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dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano consacrati, in tali luoghi, dovrà far capire che si può essere missionari anche all’interno della propria parrocchia, ad esempio mostrando loro comunità alloggio per disabili, se nella parrocchia esistono, facendo provar loro momenti di volontariato e condivisione, andare a trovare famiglie in cui un loro membro è disabile facendo loro capire e condividere le gioie e le difficoltà della vita quotidiana, organizzare una tombolata per anziani. Sempre da buon catechista il disabile non dovrà aver timore di farsi aiutare dai suoi ragazzi durante l’ora di catechismo, per esempio se ha problemi motori e non riesce, mentre sta spiegando, a girare la pagina del libro dovrà chiedere aiuto facendo loro capire che l’atto che stanno compiendo non è altro che imitare l’esempio di Cristo: “il quale non è venuto per essere servito ma per servire” (Mc 10,45).

Guidare il disabile ad una propria maturità spirituale La famiglia è solo il primo nucleo in cui ha inizio la vita relazionale di ogni individuo; crescendo infatti avvengono una serie di bruschi cambiamenti che riguardano sia l’aspetto fisico sia la sfera affettiva. Se fino all’età adolescenziale il punto di riferimento sono i genitori e il rapporto con loro, in seguito nel ragazzo esplode la voglia di staccarsi dalla famiglia perché questa non basta più: è il periodo in cui ci si innamora facilmente, si scopre il sesso e lo si vuole sperimentare.

Il problema dell’affettività e di come viverla è forse il più trascurato con il portatore di handicap: non si pensa infatti che tutta questa “rivoluzione adolescenziale” investe anche la sua persona. Si è convinti che l’amore nei suoi confronti vada sempre inteso come assistenza e protezione; questo rimane vero finché è un bambino, da adulto anche in lui emerge il problema della vita affettiva, emotiva, sessuale perché egli vuole essere amato e dimostrare che è capace di amare.

Quasi sempre nel momento in cui un sano vede un disabile non sa come porsi accanto a lui, è imbarazzato e spesso si fa delle domande che sono giustificate, ma che dimostrano quanta distanza crei ancora la diversità, ad esempio “Parla?

Capisce? Cosa gli dico?”.

Se è già difficile per un sano aprire un dialogo con lui, anche quando ci si riesce è comunque assai remota la possibilità di affrontare argomenti quali come vivere l’affettività o il sesso.

Nella nostra cultura è difficile pensare che anche un portatore di handicap possa desiderare di avere accanto a sé un partner con cui poter formare una propria famiglia. Egli ha bisogno di non sentirsi escluso a priori dal realizzarla solo perché ha qualche handicap, ma va compreso e aiutato in tutte le esigenze della sua vita affettiva. Per questo è necessario che abbia accanto persone disposte e preparate ad affrontare questo aspetto della sua personalità, che è uno dei più difficili.

Il desiderio di vivere l’affettività e soprattutto di formare una famiglia tante volte rimane tale per la condizione di non autonomia del disabile, al quale rendersi conto di questo limite e affrontarlo risulta spesso doloroso; proprio in questo caso la comunità cristiana deve essere ancora più presente e offrire al disabile attenzione, interesse e amore.

Nel Documento della Santa Sede del 04/03/1981 al n.8 si dice a tal proposito: “La vita affettiva delle persone handicappate dovrà ricevere particolare attenzione. Quando soprattutto per causa del loro handicap fossero impossibilitate a contrarre matrimonio, è importante che non solo siano convenientemente protette dalla promiscuità e dallo sfruttamento ma possano anche trovare una comunità piena di calore umano in cui il loro bisogno di amicizia e di amore sia rispettato e soddisfatto in conformità alla loro inalienabile dignità morale”.

Per il portatore di handicap il bisogno tanto di dare quanto di ricevere affetto è un problema reale; egli dovrà essere aiutato a vivere la dimensione dell’amore anche senza la dimensione del sesso e a capire che quest’ultimo è solo una delle sue manifestazioni. Sicuramente un aiuto determinante può essergli dato dai sacerdoti che vivendo in prima persona la condizione del celibato conoscono il peso della solitudine e quindi possono capire il bisogno che il disabile ha di manifestare l’affettività; essi devono mostrargli che l’amore viene anche inteso come donazione e servizio agli altri; questo non esclude che siano proprio loro ad abituarlo a ricevere e quindi educarlo poi a compiere atti di affetto: un abbraccio, un bacio, una carezza, manifestazioni affettuose che spesso si ha vergogna a realizzare.

E’ necessario che in età giovanile i disabili, in particolare se affetti da handicap fisico o sensoriale, possano sperimentare la direzione spirituale proprio perché, come tutti i cri-

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dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano

stiani, sono continuamente in cammino.

L’accompagnamento spirituale dovrebbe far comprendere al portatore di handicap che egli non è solo ma può trovare nel padre spirituale un compagno di viaggio che, come diceva Sant’Ignazio di Loyola nei suoi “Esercizi spirituali”, deve avere innanzitutto un atteggiamento di discrezione e stando in mezzo come una bilancia è chiamato a lasciar operare il Creatore con la creatura e viceversa: il suo compito è un ruolo di servizio che consiste nel saper rimandare a quello che è il vero maestro interiore cioè lo Spirito Santo. “Si tratta – afferma il Catechismo degli adulti “La verità vi farà liberi” al n. 934 – di un educatore, che servendosi prevalentemente del dialogo, aiuta a discernere la volontà di Dio e a compierla. Viene scelto liberamente e mantenuto stabilmente, perché possa conoscere bene, consigliare con chiarezza, istruire, stimolare, verificare, correggere con gradualità. E’ preferibile che sia un sacerdote, anzi il confessore, ma può essere anche un’altra persona purché abbia le qualità necessarie: pietà, zelo, umiltà, equilibrio, scienza, esperienza, bontà, disinteresse, riservatezza”. A questa presenza-accanto il disabile fisico e sensoriale deve sentirsi libero di aprire il cuore con sincerità e fiducia. La direzione spirituale, intesa in questi termini, è allora una forma di catechesi permanente che educa il disabile alla preghiera e gli propone itinerari per la maturazione di una fede adulta.Anche il portatore di handicap, infatti, come tutti i cristiani, deve avere un unico obiettivo: conformarsi sempre di più a Gesù Cristo seguendo un programma personale di vita che sia commisurato alle proprie possibilità perché ciò che conta in questo cammino è che ognuno, secondo il proprio “passo”, vada verso di Lui con perseveranza.

Educazione morale per disabili mentali

Per quanto riguarda i disabili mentali, che costituiscono il gruppo più numeroso e di difficile classificazione per la varietà e la diversità dei disturbi causati dall’handicap, vale quanto detto nei quattro verbi delle iniziative concrete e tutto quello che è stato detto parlando di oratorio come “casa accogliente”.

Se l’oratorio è chiamato a compiere un’educazione mora-

le, con soggetti psicologicamente fragili, è legittimo chiedersi: a) possono capire ciò che è loro permesso e vietato? b) hanno essi una sufficiente coscienza di ciò che fanno per modificare il loro comportamento?

Molte volte non manifestiamo una grande fiducia nelle loro possibilità; questo, da un punto di vista educativo, non va forse contro i principi di una buona educazione e soprattutto non limita le possibilità di un annuncio della Buona Novella?

Un cristiano non può rassegnarsi a pensare che delle persone non possano diventare minimamente responsabili del loro agire o che non si possa aiutarle ad acquisire un minimo di libertà di fronte al bene e al male.

Generalmente si constata che un bambino, per costruire la propria coscienza morale, ha bisogno di essere approvato o disapprovato dai genitori, ma pian piano crescendo scopre che anch’essi hanno delle norme da rispettare: così adattandole ed interiorizzandole egli inizia a discernere con la propria ragione il bene dal male morale.

Questa evoluzione della coscienza morale del bambino, vale anche per un portatore di handicap mentale. Infatti, la sua fragilità che si esprime nel bisogno di essere in un ambiente che lo protegge e che decide per lui ciò che è bene e ciò che è male, non toglie al disabile mentale la possibilità di avere una coscienza morale.

Egli manifesta comportamenti diversi per esprimersi e farsi capire dagli altri: spesso grida, piange, rompe oggetti, si fa del male, mente. Egli ha bisogno di questa trasgressione per sapere di esistere e di essere considerato.Quando un educatore in oratorio o un catechista si trova dinnanzi a tali comportamenti, non deve colpevolizzare il disabile mentale ma accoglierlo così com’è, spiegandogli che egli è importante agli occhi di Dio e che la sua vita ha un senso, cercando però di richiamarlo ad atteggiamenti più corretti perché non diventino patologici. Anche il portatore di handicap mentale, per costruire la propria coscienza morale, come il bambino ha bisogno di incontrare nella propria vita approvazioni e divieti, è necessario che capisca che non sempre tutto è possibile perché la sua libertà finisce dove danneggia quella dell’altro. Questa educazione al comportamento è il presupposto di un buon progetto educativo in oratorio, che non si limita ad infondere nel disabile mentale sani principi morali, ma cerca di creare atteggiamenti nuovi.

Parlare di disabilità mentale è piuttosto generico poiché questa terminologia raggruppa soggetti che presentano disabilità intellettive, cioè una menomazione nelle funzioni dell’intelligenza e soggetti con disabilità psico-mentale, che manifestano disturbi mentali quali squilibri della personalità, ossessioni, fobie. Nonostante le difficoltà di comprensione e di comunicazione che entrambe queste tipologie di soggetti presentano, è possibile presentare loro il messaggio evangelico.

In particolare, con i disabili intellettivi è importante

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dal Cortile, idee e scelte per l’oratorio bresciano predisporre esperienze educative e religiose semplici nel- pretendere da loro ciò che non possono dare. la loro struttura, ripetute in tempi ed in ambienti diversi. Una condizione necessaria per riuscire ad instaurare Occorre puntare all’essenzialità del messaggio, cioè pro- un rapporto interpersonale con i disabili psico-mentali è porre loro obiettivi religiosi e morali limitati, illustrando avere una pazienza che non ha mai fretta di raccogliere un una proposta di fede che presenti i nuclei più importan- risultato anche minimo, ma che sa quanto sia importante ti del messaggio cristiano ed usi un linguaggio semplice, non tener conto del tempo per constatare possibili camchiaro e lento; attraverso canti, utilizzo di cartelloni con biamenti. disegni, drammatizzazione di episodi evangelici, semplici Infatti anche se all’inizio questi soggetti oppongono redomande… sistenza agli inviti ed alle sollecitazioni, in realtà essi ne I contenuti della proposta catechistica devono essere rimangono coinvolti a tal punto che, spesso, anche dopo strutturati in sequenze, che partendo dai concetti essen- molti incontri, l’educatore della fede può notare le loro ziali dell’insegnamento di Gesù, a poco a poco si ampli- reazioni positive, a volte del tutto inaspettate, espresse in no, cercando il più possibile di mantenersi fedeli ai ritmi gesti, parole, preghiere. dell’anno liturgico, cosicché il disabile intellettivo non Per concludere possiamo affermare che, al di là dei metrovi discrepanza tra l’insegnamento catechistico e l’am- todi e degli strumenti con cui il messaggio cristiano viene biente che lo circonda. proposto, anche l’obiettivo finale di un oratorio per tutti Egli infatti, per la peculiarità del suo handicap, si estra- ed in particolare per questi soggetti è quello di condurre il nea spesso dalla realtà, perciò il rispettare i tempi dell’an- disabile ad un’esperienza autentica, viva e gioiosa di Dio. no liturgico e il fargli quindi vivere intensamente un deDisabili: “Apostoli nel mondo” terminato periodo, ad esempio il Natale, è un modo per Al termine di questo lavoro, possiamo affermare che le mantenerlo ancorato alla realtà. azioni descritte precedentemente non solo portano a suRiferendoci allo studio di un itinerario catechistico per perare la mentalità assistenzialistica, ma danno soprattutsoggetti con handicap psico-mentale, occorre ricordare to la possibilità all’ammalato di diventare testimone all’inche, per quanto riguarda il contenuto della catechesi, essi, terno degli oratori per aiutare altre persone in difficoltà attraverso le parole del catechista, non devono apprendea valorizzare la propria sofferenza e a vivere serenamente re una dottrina, ma incontrare la persona di Gesù.Il Suo insieme a tutta la comunità cristiana. insegnamento infatti, i Suoi atteggiamenti, devono essere Il disabile quindi non è un cristiano di seconda categovisibili attraverso la testimonianza concreta della comuniria. Anch’egli deve farsi santo e deve essere un apostolo: tà cristiana e, più in particolare, dell’educatore alla fede i sacerdoti hanno il dovere pastorale di seguirlo proprio perché essi apprendono più per imitazione che per comcon l’intenzione di aiutarlo a scoprire la propria vocazione prensione. Per questi soggetti una catechesi sistematica è e a svolgere con dignità il proprio compito di testimoniare molto difficile: in tale contesto allora, può diventare veCristo nel mondo, sensibilizzando tutta la comunità Criramente “speciale” l’intervento di quell’educatore che ristiana a non considerarlo solo come persona da assistere, esca gradualmente a penetrare nel nucleo profondo della evangelizzare, confortare, curare e consolare ma anche loro “impermeabile” personalità, scardinando così, inconcome soggetto capace di dare il proprio apporto alla Chietro dopo incontro, le ansie, i sensi di colpa, le ossessioni sa e al mondo. Nell’esortazione apostolica Christifideles e le aggressività; per esempio avere una grande tenerezza, Laici al n. 53 infatti, il Santo Padre Giovanni Paolo II affercapacità di ascolto, utilizzare del contatto fisico e allo stesma: “Anche i malati sono mandati dal Signore come operai so tempo grande fermezza.

Per raggiungere questo scopo, occorre mettersi da- nella Sua Vigna”.

Laura & Ilario(CVS Brescia)

vanti a queste persone con enorme rispetto, non avendo paura di accostarle, ma cercando anzi di accoglierle così come sono, con immensa fiducia e cordiale serenità, senza

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Itinerario oratoriano 2014-2015

a s a C a L a i o i G a l l de

Il percorso tematico dell’anno, nelle pagine del Nuovo testamento Seguendo la traccia proposta da Paolo VI nella Gaudete in domino, recuperiamo alcune pagine bibliche che ci accompagnano alla scoperta della gioia.

1. Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. La grande gioia annunciata dall’Angelo, nella notte di Natale, è davvero per tutto il popolo. “C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. (Lc 2, 8-11) 2. Per prima, la Vergine Maria ne aveva ricevuto l’annunzio dall’angelo Gabriele e il suo Magnificat era già l’inno di esultanza di tutti gli umili. I misteri gaudiosi ci rimettono così, ogni volta che noi recitiamo il Rosario, dinanzi all’avvenimento ineffabile che è centro e culmine della storia: la venuta sulla terra dell’Emanuele, Dio con noi. (cfr 1, 44 e ss.)

3. Soffermiamoci ora a contemplare la persona di Gesù, nel corso della sua vita terrena. Nella sua umanità, egli ha fatto l’esperienza delle nostre gioie. Egli ha manifestamente conosciuto, apprezzato, esaltato tutta una gamma di gioie umane, di quelle gioie semplici e quotidiane, alla portata di tutti. La profondità della sua vita interiore non ha attenuato il realismo del suo sguardo, né la sua sensibilità. Egli ammira gli uccelli del cielo e i gigli dei campi [...] Queste gioie umane hanno tale consistenza per Gesù da essere per lui i segni delle gioie spirituali del Regno di Dio: gioia degli uomini che entrano in questo Regno, vi ritornano o vi lavorano, gioia del Padre che li accoglie... [cfr Mt 6,26-30; Lc 15,4-7] “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. (Lc 15,11-3) 4. Nella coscienza umana di Gesù, la gioia è l’eco dell’amore che egli conosce da sempre come Dio nel seno del Padre: «Tu mi hai amato prima della creazione del mondo». Vi è qui una relazione incomunicabile d’amore, che si identifica con la sua esistenza di Figlio,

ed è il segreto della vita trinitaria: il Padre vi appare come colui che si dona al Figlio, senza riserva e senza intermissione, in un impeto di generosità gioiosa, e il Figlio come colui che si dona nello stesso modo al Padre, con uno slancio di gratitudine gioiosa, nello Spirito Santo. Ed ecco che i discepoli, e tutti coloro che credono nel Cristo, sono chiamati a partecipare a questa gioia. Gesù vuole che essi abbiano in se stessi la pienezza della sua gioia, (cfr. Gv 17, 20-26).

5. Questa gioia di dimorare nell’amore di Dio incomincia fin da quaggiù. È quella del Regno di Dio. Ma essa è accordata su di una via scoscesa che richiede una totale fiducia nel Padre e nel Figlio, e una preferenza data al Regno. Il messaggio di Gesù promette innanzi tutto la gioia, questa gioia esigente; non si apre essa attraverso le beatitudini? (Lc 6) 6. La risurrezione di Gesù è il sigillo posto dal Padre sul valore del sacrificio del suo Figlio; è la prova della fedeltà del Padre, secondo il voto formulato da Gesù prima di entrare nella sua passione. D’ora innanzi, Gesù è per sempre vivente nella gloria del Padre, ed è per questo che i discepoli furono stabiliti in una gioia inestinguibile nel vedere il Signore, la sera di Pasqua.

Ne deriva che, quaggiù, la gioia del Regno portato a compimento non può scaturire che dalla celebrazione congiunta della morte e della risurrezione del Signore. È il paradosso della condizione cristiana: né la prova né la sofferenza sono eliminate da questo mondo, ma esse acquistano un significato nuovo nella certezza di partecipare alla redenzione operata dal Signore, e di condividere la sua gloria.

7. La gioia pasquale non è solamente quella di una trasfigurazione possibile: essa è quella della nuova Presenza del Cristo Risorto, che largisce ai suoi lo Spirito Santo, affinché esso rimanga con loro. In tal modo lo Spirito Paráclito è donato alla Chiesa come principio inesauribile della sua gioia di sposa del Cristo glorificato.[...] Lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, dei quali egli è il reciproco amore vivente, è dunque comunicato d’ora innanzi al Popolo della nuova Alleanza, e ad ogni anima disponibile alla sua azione intima.

Egli fa di noi la sua abitazione: dulcis hospes animae.

Allora noi possiamo gustare la gioia propriamente spirituale, che è un frutto dello Spirito Santo. “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge”. (Gal 5,22-23).

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2a tappa

AVVENTO-NATALE IN ORATORIO

L’avvento ci prepara all’incontro con Gesù. Il tema della casa, che è stato presente durante il Grest e che ci accompagna nel percorso dell’anno diventa particolarmente signiicativo: Dio trova casa tra gli uomini. I racconti evangelici sulla nascita di Gesù ci offrono molti spunti in questo senso: il Figlio di Dio ha bisogno di una casa dove nascere, non c’è posto per lui. La mangiatoia - umile persino per i pastori - è la casa della nascita di Dio. Nel nostro oratorio sappiamo fare spazio a tutti o per qualcuno non c’è posto? Siamo convinti che la bellezza e la gioia dello stare insieme debba essere condivisa con tutti o ci chiudiamo in piccoli gruppi?

3a tappa

GENNAIO FEBBRAIO IN ORATORIO A gennaio viviamo tradizionalmente il mese della pace . Se vogliamo fare dell’oratorio la Casa della gioia non basteranno quindi rilessioni e discussioni: dobbiamo provare a costruire insieme occasioni di pace.

Facile a dirsi ma come fare?

Nelle nostre comunità non mancherà la possibilità di vivere segni concreti di attenzione e promozione degli ultimi, di chi ha subito ingiustizie, di chi vive in situazioni di miseria.

Non è vera gioia quella di chi finge di non vedere la sofferenza e le difficoltà degli altri!

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30° edizione

Presepio oratorio San Gallo

Q

uale miglior modo per celebrare la trentesima edizione del presepio di San Gallo se non quello di provare a rappresentare l’Unità Pastorale Parrocchiale che unisce San Gallo stesso a Botticino Sera e Mattina. È in una sorta di abbraccio alle nostre tre realtà che abbiamo voluto dare forma al Presepio 2014, con accenni a luoghi simbolo del territorio e a persone che ne hanno segnato la storia. Quanti di voi verranno a trovarci anche quest’anno, in questo speciale 30° compleanno, si ritroveranno direttamente nel mezzo dell’ambientazione, perché anche noi Presepio San Gallo siamo parte del Presepio, e potranno anno 2013 vedere una ricostruzione come sempre nuova, imperniata sul consueto ciclo che prevede l’alternarsi del giorno e della notte, e il verificarsi di eventi atmosferici. Come sempre, da ottobre ad oggi, ci siamo dati appuntamento per tre volte a settimana, ritrovandoci in un buon gruppo composto dai fedelissimi, ma pure dai giovani che non disdegnano mai di darci il loro aiuto. Speriamo che quanto fatto possa essere apprezzato e contribuisca a portare un bel messaggio nel Natale dell’intera comunità.

Il presepio rimarrà aperto da Natale, i festivi dalle ore 14,30 alle 19,30 fino al 18 gennaio, e i feriali fino all’Epifania, dalle 14 alle 17.

Per maggiori informazioni consulta il nostro sito web: sangallopresepio.it Buone feste, gruppo presepio oratorio di San Gallo

USO BOTTICINO

ADOLESCENTI E GIOVANI

NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO

durante la settimana varie opportunità di incontro di formazione presso l’oratorio per adolescenti ogni giovedì e venerdì ore 20,30 per giovani ogni venerdì ore 20,30

ZONA PASTORALE

La gioia e la speranza nel cuore dei giovani

Giovani viandanti della fede

itinerario zonale di spiritualità per ado e giovani presso Casa Madre Suore Operaie di Botticino Sera Venerdì 16 gennaio 2015- Venerdì 13 febbraio 2015 Per soli giovani : 7-8 marzo 2015

Esperienze di carità, di festa, di fraternità, di divertimento

gruppo vocazionale diocesano per le giovani i giovani dai 18 anni aperto al

discernimento di tutte le vocazioni (vita matrimoniale, consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale… ) una domenica al mese - dalle 9,00 alle 17.00

SICHAR

Nessuno escluso dalla gioia che Tu porti

20-21 dicembre/ 11 gennaio /8 febbraio/22 marzo/19 aprile/17 maggio

EMMAUS

gruppo vocazionale diocesano per giovani dai 18 anni che non escludono la vocazione sacerdotale presso il Seminario diocesano una domenica al mese dalle ore 12.30 alle 18.00

la GIOIA nel cuore dei SANTI

Giornata della gioventù

21 dicembre/11 gennaio 22 febbraio/29 marzo/26 aprile/24 maggio/21 giugno

sabato 28 marzo 2015 Veglia delle Palme domenica 29 marzo festa in parrocchia Toccare con mano la realtà della missione per i giovani di buona volontà che si rendono disponibili. Insieme ai missionari bresciani vedono e vivono, magari anche solo marginalmente, cosa significa essere testimoni in paesi lontani dalla nostra cultura. Un viaggio nel Giornate di spiritualità per giovani cuore della missione e nello spirito dei missionari.

NUOVI STILI DI VIAGGIO

Progetto Giovani & Comunità

Un anno calcistico impegnativo.

Dopo la meritata vacanza estiva e la partecipazione alle finali nazionali del campionato ANSPI a Bellaria, le squadre “Scarabocchio” e “Miniscarabocchio” hanno ripreso gli allenamenti e i rispettivi campionati.

L’Uso 2005 guidato dal team Fabio, Luca e Francesco (master, mister e preparatore dei portieri) può contare su un gruppo rodato e già ben organizzato che quest’anno gioca due campionati contemporaneamente allo scopo di far ruotare tutti i 18 ragazzi della rosa, coniugando risultati, partecipazione e divertimento e, allo stesso tempo, crescendo per impegno e applicazione.

Questa annata calcistica presenta, sul campo dell’oratorio, anche la formazione dell’USO Botticino 2006 che accoglie le nuove leve provenienti dalla scuola calcio: è un bel gruppo che sta crescendo in impegno e partecipazione.

La crescita tecnica, atletica e formativa è certamente l’obiettivo che più fa inorgoglire la società a partire dal presidente Stefano a tutti i dirigenti, Francesco in testa, dell’USO. Un augurio ai piccoli atleti del Mini Calcio che rappresentano la speranza per future squadre che possano rinnovare la tradizione USO. Un ringraziamento a tutti i genitori dei ragazzi che accompagnano i loro figlioli con tanta pazienza (ore a bordo campo) e collaborazione con i tecnici.

A tutti un grande in bocca al lupo per la continuazione della stagione sportiva nel 2015.

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quattro mesi di esperienza per i giovani e le giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la vita comunitaria e il servizio, si confrontano sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristiani info: Ufficio Caritas 030.3757746 -Ufficio Vocazioni 030.3722245

presso l’Eremo di Bienno

la gioia cristiana meditazioni del Vescovo Luciano 1-2-3 maggio 2015

Buone feste dalla DUMPER Ottimo girone di andata per la Dumper Botticino, impegnata anche per questa stagione nel campionato provinciale Anspi di calcio a 7: primo posto nel girone a punteggio pieno, miglior difesa e miglior attacco, cosa si può chiedere di meglio ?!...

Classifica a parte, sabato 20 Dicembre, come ormai da tradizione, squadra e tifosi si ritroveranno per i consueti auguri natalizi; perché quello che si definisce comunemente con il termine “ fare spogliatoio” da queste parti viene “seriamente” preso in considerazione!

Buon Natale quindi ai nostri simpatizzanti e che il 2015 in arrivo sia carico per tutti di piccole o grandi positive novità!

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UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ - PARROCCHIE DI BOTTICINO

Grecia Classica e Meteore

8-15 giugno 2015 1° . BOTTICINO - ANCONA

Pranzo in ristorante. Al termine della visita proseguimento per NAVIGAZIONE PER IGOUMENITSA Al mattino partenza in autopullman Gran Turismo da Bot- Atene, con sosta al Monastero bizantino di Ossios Louticino in direzione di Ancona. Pranzo in ristorante lungo kas (San Luca). In serata arrivo ad Atene sistemazione il percorso. Nel pomeriggio imbarco sulla nave-traghetto in hotel. Cena e pernottamento. per porto di Igoumenitsa in Grecia. Sistemazione nelle 4° . ATENE cabine riservate. Cena e pernottamento a bordo.

Prima colazione in hotel. Giornata interamente dedica2°. IGOUMENITSA–METEORE–KALAMBAKA (km 205) Prima colazione a bordo del traghetto. In mattinata sbarco al porto di Igoumenitsa ed incontro con la guida locale parlante italiano. Partenza in direzione di Kalambaka e della Valle delle Meteore. Pranzo in ristorante .

La parola greca “meteora” significa “elevato”, espressione che ben descrive la posizione dei monasteri, arroccati sulle alte torri di arenaria. Dei 24 monasteri della zona, oggi sono attivi e visitabili solo cinque. Visita a due monasteri: splendidi complessi dal punto di vista architettonico e grande espressione dell’arte bizantina.

I Monasteri delle Meteore sono annoverati dall’Unesco nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Al termine trasferimento a Kalambaka. Sistemazione in hotel. Cena e pernottamento.

ta alla visita di Atene, capitale della Grecia ed una tra le più antiche città del mondo occidentale. Tour panoramico della città con Piazza Syntagma, il Parlamento, il Memoriale del Milite Ignoto, presidiato dagli Evzoni nella loro pittoresca uniforme, la Biblioteca Nazionale ed il Palazzo Presidenziale. Sulla via per l’Acropoli si potranno ammirare l’Arco di Adriano, il Tempio di Zeus Olimpico e lo Stadio Panathinaikos dove furono tenuti, nel 1896, i primi Giochi Olimpici dell’era moderna.

Visita dell’Acropoli con i grandi capolavori architettonici dell’Età d’Oro di Atene: i Propilei, il Tempio di Atena Nike, l’Eretteo ed infine il Partenone. Questo tempio, dedicato ad Athena Parthenos, fu progettato dagli architetti Ictino e Callicrate e decorato dal famoso scultore Fidia. Visita del nuovo Museo Archeologico ai piedi dell’Acropoli. Il Complesso dell’Acropoli è annoverato 3° .KALAMBAKA – DELFI – ATENE (KM 390) dall’Unesco tra i siti Patrimonio dell’Umanità. Pranzo Prima colazione in hotel. Partenza per Delfi, percorin ristorante. In serata rientro in hotel. Cena e pernotrendo una bella vallata coperta di ulivi e sovrastata da tamento. alte montagne. La storia tramanda che a Delfi, città situata nella Grecia centrale, risiedeva l’Oracolo di Apol- 5°. MINICROCIERA NEL GOLFO DI SARONICO lo; la città era pertanto considerata il centro religioso Prima colazione in hotel. Partenza per il porto del Pidell’antica Grecia. Visita del sito archeologico con la Via reo ed imbarco sul traghetto per una minicrociera alla Sacra, il Santuario di Apollo, il Teatro ed il Museo Ar- scoperta delle isole del Golfo di Saronico, di origine cheologico che ospita una delle raccolte più importanti vulcanica, sorte proprio di fronte alla capitale. Sosta dell’arte greca. Il sito archeologico di Delfi è annovera- ad Egina, la preferita dagli Ateniesi, famosa per le sue to dall’Unesco nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità. belle ceramiche, il caratteristico porticciolo e per i tanti segni che la storia le ha lasciato. Deve il suo nome alla ninfa Egina, madre di Eaco, figlio di Zeus. Pranzo a bordo del traghetto. Continuazione con soste nelle isole di Idra, dalle coste spettacolari, caratterizzata dalla totale assenza di auto; e di Poros, splendidamente ricca di bellezze naturali. L’isola è anche sede di una delle più prestigiose ed antiche Accademie Navali della Grecia.

La giornata a bordo del battello sarà allietata da tipiche musiche e danze greche. In serata rientro ad Atene.

Cena e pernottamento in hotel.

6°. EPIDAURO - MICENE – OLIMPIA (KM 335) Prima colazione in hotel. Partenza per la regione dell’Argolide. Prima sosta all’imboccatura del Canale di Corinto, quindi visita del sito della città antica dove ancora risuonano le accorate parole delle lettere di Paolo ai Corinzi. Proseguimento per Micene, importante centro della civiltà minoica, sviluppatasi tra il XV ed il 70

XII secolo a.C.. Secondo la tradizione la città fu fondata dal mitico Perseo, figlio di Zeus. Visita delle rovine del Palazzo di Agamennone, delle tombe degli Atrei e della famosa Porta dei Leoni, che costituiva l’accesso principale alla città. Anche il sito archeologico di Micene è annoverato dall’Unesco nel Patrimonio dell’Umanità. Pranzo in ristorante.

Proseguimento per Epidauro, nella parte orientale del Peloponneso. Visita del sito archeologico dominato dal Teatro di Epidauro, costruito nel II secolo a.C. e famoso fin dall’antichità per la sua acustica perfetta. E’ uno dei capolavori dell’architettura dell’antica Grecia ed è annoverato nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. In serata arrivo ad Olimpia. Sistemazione in hotel. Cena e pernottamento.

7°. OLIMPIA – PATRASSO

NAVIGAZIONE PER ANCONA (KM 115) Prima colazione in hotel. Al mattino visita guidata degli scavi di Olimpia, celebre centro religioso e sede dei più famosi giochi del mondo antico. Essi avevano carattere sacro e vi concorrevano tutte le città dell’Ellade.

Visita degli scavi di Olimpia: Tempio di Zeus e Museo Archeologico. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio trasferimento a Patrasso in tempo utile per l’imbarco sulla nave traghetto per l’Italia. Sistemazione nelle cabine riservate. Cena e pernottamento a bordo.

8° giorno ANCONA – BOTTICINO KM 410 Prima colazione e pranzo a bordo del traghetto. Nel primo pomeriggio sbarco al porto di Ancona e proseguimento in autopullman verso Botticino con arrivo previsto in serata.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE € 1.250,00 SUPP. CAMERA SINGOLA € 210,00 QUOTA INDIVIDUALE PER CASSA COMUNE € 50,00

La quota comprende: •Viaggio in bus gran turismo per tutto il tour •Traghetto da Italia/ Grecia/Italia con sistemazione in cabine doppie con servizi •Trattamento di pensione completa dal pranzo del 1° giorno al pranzo dell’ultimo giorno con bevande ai pasti (¼ di vino ½ acqua) •Sistemazione in hotel 3* sup./ 4 * in camere doppie con servizi privati •Guida e accompagnatore per tutto il tour in Grecia •Cena folkloristica con spettacolo e escursione in nave alle isole del Golfo Saronico •Assicurazione medico bagaglio •Assicurazione contro annullamento (per motivi documentabili con certificato medico) •Organizzazione tecnica Ag. Vadus Viaggi srl La quota non comprende: mance, extra personali, entrate ai musei e tutto quanto non espressamente indicato ne “La quota comprende” DOCUMENTO RICHIESTO: Carta d’identità valida per espatrio (senza timbro rinnovo sul retro) o passaporto INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI: - SIG BENETTI BATTISTA tel. 3485920202 - SEGRETERIA UNITA’ PASTORALE tel. 0302692094 Iscrizione con acconto € 100,00

ultimo dell’anno in oratorio Presso gli oratori la festa dell’ultimo dell’anno

per le famiglie Per informazioni e iscrizioni:

con attività di animazione

BOTTICINO MATTINA Tecla 3404179216 - Claudia 3480325970 € 25,00 adulti €15,00 bambini SAN GALLO Silvana 0302199893 Carolina 0302199951 € 25,00 adulti € 15,00 bambini BOTTICINO SERA segreteria presso oratorio tel.0302692094 € 25,00 adulti € 15,00 bambini

Per preadolescenti, 3^ media delle tre parrocchie

presso l’oratorio di Sera con possibilità di cena e animazione Quota di partecipazione € 15,00; iscrizione presso la segreteria a Sera.

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venerdì 19 a San Gallo - lunedì 22 a Botticino Mattina martedì 23 a Botticino Sera GIORNATA PENITENZIALE e del PERDONO SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE per riallacciare i rapporti di pace con Dio e i fratelli

***Celebrazione Comunitaria della Riconciliazione con confessioni a San Gallo ore 20,00, Botticino Sera e Mattina 16,00 e 20,00 (Villaggio martedì 23 dicembre ore 9.30)

Confessioni individuali mercoledì 24 dicembre a BOTTICINO SERA dalle 10,00 alle 11,00 e dalle 15,00 alle 18,30 a BOTTICINO MATTINA dalle 15,00 alle 18,30 a SAN GALLO 18,00-20,00

festività natalizie ***SOLENNITA' DEL SANTO

S.Messa nella vigilia ore 17,00 chiesa Sacra Famiglia

SANTA MESSA NELLA NOTTE

NATALE

ore 21,00 a San Gallo - ore 22,30 a Botticino Mattina - ore 24,00 a Botticino Sera SANTE MESSE NEL GIORNO come orario festivo.

Vespro e benedizione ore 16,00 a S.Gallo e Sera - ore 17,00 a Mattina *** venerdì 26 dicembre: S.Stefano S.Gallo ore 10,00 - Botticino Mattina ore 9,30 - Botticino Sera ore 8,00 e 10,45

*** domenica 28 dicembre: SACRA FAMIGLIA: orario festivo ***mercoledì’ 31 dicembre S.MESSA DI RINGRAZIAMENTO a San Gallo ore 17,30 - Botticino Sera ore 18,45 (ore 16,00 villaggio) a Botticino Mattina ore 17,30

***giovedì 1 GENNAIO 2015

SS.MADRE DI DIO e GIORNATA DELLA PACE

A BOTTICINO SERA ore 10,45 - 16,00 - 18,45

A SAN GALLO ore 17,30 A BOTTICINO MATTINA ore 9,30 e 17,30 ***martedì 6 gennaio EPIFANIA DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo

Bacio a Gesù Bambino e benedizione bambini (ore 16,00 a San Gallo-ore 10,45 a Sera-ore 17,30 a Mattina)

***domenica 11 gennaio: BATTESIMO DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo

ore 10,45 a Bott. Sera consegna ai genitori dei figli battezzati nel 2014 del “Catechismo dei bambini”

sabato 24 gennaio 2015

Liturgia della Parola e Cresime celebrate dal Vescovo di Brescia per le parrocchie Unità Pastorale di Botticino Basilica-Santuario di Botticino Sera ore 16,00

domenica 25 gennaio 2015

S.Messa di Prima Comunione

ore 9,15 a San Gallo - ore 10,15 a Botticino Sera ore 11,30 a Botticino Mattina