Pasqua 2015 web

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VOCE per la COMUNITA’ UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO Strumento di formazione e informazione pastorale

è Pasqua. Una nuova, inesauribile sorgente di vita è stata infusa nel mondo: Cristo risorto. Alleluia! (Beato Paolo VI)

PA S Q UA 2 015


RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI

Licini don Raffaele, parroco cell. 3283108944 e-mail parrocchia: info@parrocchiebotticino.it sito web: www.parrocchiebotticino.it Segreteria Unità Pastorale tel. 0302692094 - fax 0302193343 Loda don Bruno, tel. 0302199768 Bonetta don Giacomo, tel. 3474763332 Pietro Oprandi, diacono tel. 0302199881 Scuola Parrocchiale don Orione tel.0302691141 Suore Operaie abitazione villaggio 0302693689

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI” PARROCCHIE DI BOTTICINO

ORARI S.MESSE

Festive del sabato e vigilia festivita’

SERA VILLAGGIO ore 16,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45 Festive della domenica e festivita’ SERA PARROCCHIALE ore 8,00 MATTINA PARROCCHIALE ore 9,30 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00 SERA PARROCCHIALE ore 10,45 MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30 SERA PARROCCHIALE ore 18,45

LUNEDI’

BATTESIMI BOTTICINO MATTINA e SERA sabato 11 e domenica 12 aprile 2015 sabato 23 e domenica 24 maggio 2015 sabato4 e domenica 5 luglio 2015 SAN GALLO domenica19 aprile 2015

CASA RIPOSO ore 16,45 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00

MARTEDI’

MATTINA SAN NICOLA ore 18,00 SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 (da luglio a ottobre è alla Trinità)

I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e sulla data della celebrazione, il parroco personalmente o tel.3283108944

SERA PARROCCHIALE ore 17,30

MERCOLEDI’

MATTINA MOLVINA ore 17,00

(da dicembre a marzo è alle ore 18,00 in chiesa)

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 (da luglio a ottobre è al cimitero)

SERA PARROCCHIALE ore 18,30

GIOVEDI’

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30 MATTINA S.NICOLA ore 18,00 SERA PARROCCHIALE ore 20,00 (da luglio a ottobre è al cimitero)

sito web delle parrocchie di Botticino:

VENERDI’

SAN GALLO TRINITA’ ore 17,30 MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00

www.parrocchiebotticino.it

(da giugno a ottobre è al cimitero)

SERA PARROCCHIALE ore 18,30

La busta per l’offerta in occasione della Pasqua

Da tradizione, anche in occasione della Pasqua viene rivolto ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un’ offerta straordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale. Gli impegni economici non sono pochi.

Il parroco e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno cogliere questo appello e per esprimere l’augurio per le prossime festività. 2


PASQUA 2015

energia nuova nel mondo! La Pasqua, per i credenti, è la vittoria di Cristo sulla morte, della luce sulle tenebre, è il sì del Padre alla vita e alle scelte di Cristo, è il sì pieno e totale al Regno di Giustizia e di Pace, di Fratellanza e d’Amore che Gesù predicava e per il quale si giocò la vita. Con la sua Risurrezione questo progetto non resta più un sogno, ma si trasforma in una realtà possibile per tutti gli uomini. Nella Pasqua il Padre libera Cristo dall’inferno della morte, dimostrando così che la giustizia è più forte dell’oppressione e che l’Amore è più forte della morte: un fermento di vita nuova viene offerto al mondo. La risurrezione è la “ribellione” di Dio alla “giustizia” degli scribi e dei farisei e dell’esecuzione fatta nel pieno rispetto del codice romano per il quale Cristo era stato condannato; con la Risurrezione di Gesù viene ristabilito il diritto del debole e dell’innocente. La Risurrezione di Cristo diventa quindi speranza storica, tangibile, per ogni uomo. La Risurrezione viene a spiegare il senso della nostra speranza. La Risurrezione offre una risposta: ogni vita spezzata sulla croce non viene distrutta. L’uomo non nasce per morire, muore per risorgere. La Risurrezione di Cristo diventa così l’avvenimento più significativo della storia del mondo, perché dimostra che è la vita e non la morte a dire l’ultima parola. Colui che risorge è un vinto, un crocifisso, è quel Gesù di Nazareth che si é fatto ultimo con gli ultimi, che si è identificato nei poveri e negli sfruttati, è colui che è stato disprezzato e condannato per aver annunciato un messaggio d’amore nel quale si diceva che ogni uomo era figlio di Dio. Ma il carnefice non ha partita vinta; la morte che egli procura viene “inghiottita” dalla Risurrezione: “Dov’è o morte la tua vittoria?”. Con la Risurrezione si intravedono i cieli nuovi e la terra nuova annunziati da Cristo. Pasqua é rottura di catene! Pasqua è apertura di sepolcri! Pasqua è libertà! La fede cristiana che ne scaturisce ci invita ad impegnarci nello sforzo di costruzione di questa nuova creazione quello cioè di edificare una umanità nuova, dove tutti possono vivere in pace come fratelli e come figli dello stesso Padre. Con la Risurrezione di Cristo una energia nuova è entrata nel mondo e i cristiani ne sono i testimoni e gli annunciatori. La Pasqua così non si riduce a un ricordo o a una celebrazione, ma è un evento che continuamente trasforma la realtà della storia umana. Cristo infatti risorge nuovamente ogni volta che nel mondo cresce una vita autenticamente umana, ogni volta che trionfa la Giustizia sull’istinto di dominazione, ogni volta che la Grazia vince la forza del peccato, ogni volta che gli uomini instaurano rapporti più fraterni tra di loro, ogni volta che la speranza resiste alla disperazione, ogni volta che l’Amore supera l’egoismo. A chi crede nella Risurrezione non é più permesso vivere triste o scoraggiato, perché è chiamato a dare testimonianza di un progetto dove la morte è sconfitta e la vita trionfa. La Pasqua quindi è per il credente un impegno di vita, un cammino di liberazione, un annuncio di speranza per tutti gli uomini, specialmente per gli ultimi, per i più poveri, per chi continua ad essere crocifisso oggi come duemila anni fa. E’ necessario ritrovare quel coraggio evangelico che ci permetta di ripensare alla Pasqua “partendo dagli ultimi”, da chi non conta nulla, e proprio per questo continua a morire innocentemente. Il duello tra la vita e la morte continua, la lotta tra il Sinedrio e la libertà è tutt’ora in atto; tocca a noi scegliere da che parte stare: o con i potenti o con i crocifissi. La Risurrezione offre una risposta chiara per la scelta di ciascuno ed é la risposta di Cristo, il Crocifisso che ha sconfitto la morte. don Raffaele 3


FESTA UNITA’ PASTORALE

PARROCCHIE DI BOTTICINO 17-18-19-20-21

maggio 2015

A

maggio la 6^ Festa dell’Unità Pastorale. Giornate intense! La Festa dell’Unità Pastorale per stare del tempo assieme, per guardarci negli occhi, per sentire quanto ci apparteniamo. Un appuntamento ormai tradizionale. Ma non di routine. Ogni anno c’è il desiderio di riaffermare la gioia di essere comunità, famiglia di famiglie. E non bisogna mai stancarsi di ricordarcelo. La Festa è festa! Anche quest’anno la ricorrenza liturgica di S. Arcangelo Tadini (patrono dell’Unità Pastorale e di tutto il Comune di Botticino) ci coinvolge tutti, associazioni e movimenti... perchè ci riscopriamo appartenenti ad un’unica famiglia. Partecipiamo alla nostra festa, la festa delle tre parrocchie di Botticino insieme, la festa di tutti quanti si riconoscono parte viva di queste comunità cristiane, nel loro costruirsi sempre più in unità. La fraternità non è un’invenzione di qualche prete un po’ zelante! È Vangelo! Non semplici fruitori, ma tutti protagonisti. C’è il momento conviviale: seduti a tavola per il pranzo della domenica per dire che facciamo parte proprio della stessa famiglia! Il mangiare assieme è specifico di chi vive una intimità. Chi prepara luoghi accoglienti, chi lo spiedo, chi porta il dolce da condividere, gli adolescenti che servono, il parlarsi fraternamente... Trovarsi nella gioia del divertirsi insieme piccoli e grandi, giovani, adulti e anziani. Momento centrale della Festa la Santa Messa: per rinsaldare il cuore nell’Amore! Un amore che non è innato nell’uomo ma che si riceve da Dio attraverso Gesù! Se le famiglie stanno unite a Cristo non c’è pericolo di rimanere a secco d’amore! Insieme nell’incontro con il Signore e nell’accogliere la grazia di Dio nel segno della rosa blu di S. Arcangelo Tadini. Ecco perché, cara famiglia, in qualunque situazione ti trovi, desideriamo rivolgerti questo invito alla Festa della Famiglia, per gustare la bellezza del tuo esistere e, insieme alla comunità, ringraziare e lodare il Signore. Se ne hai la forza o riesci a vincere le mille resistenze, puoi offrire il tuo contributo alla riuscita dell’iniziativa, se invece ti senti distante dal clima festoso per ragioni tue, tutte serie e vere, ci sentiamo di insistere perché può essere cosa bella lasciarsi un po’ trascinare e contagiare da chi vive in modo più leggero: puoi scoprire nuove vie e possibilità di incontro che tanto fanno bene. Certo festeggiare ti richiede un po’ di energia, quella che occorre per avere occhi per il bene, per avere un cuore che rischi l’ascolto, per avere un gesto di tenerezza, uno sguardo d’intesa e comprensione. Insieme alle altre famiglie della comunità di Botticino, puoi far sì che l’edificio del bene si faccia più solido, capace di accogliere anche chi è stremato e non ce la fa. Buona festa! Un abbraccio affettuoso e benvenuti tutti alla nostra festa!

PARTECIPA ALLA 2^ LOTTERIA DELL’UNITA’ PASTORALE DI BOTTICINO 4


Mercoledì 13 maggio CENTRI DI ASCOLTO in preparazione alla festa

martedì 12 - giovedì 14 e venerdì 15 maggio ore 20,00

PENITENZIALI CON CONFESSIONI PER L’INCONTRO DI DOMENICA 17 dalle ore 11,00 alle 12,00 i genitori si trovano in sala Tadini, i ragazzi e adolescenti presso l’oratorio

FESTA UNITA’ PASTORALE parrocchie botticino sabato 16 maggio

VISITA MUSEO TADINI CASA MADRE SUORE CENA TADINIANA presso DON ORIONE

DOMENICA 17 MAGGIO

FAMIGLIE IN FESTA

TADINIFEST - ore 11,00- 12,00 incontro per le famiglie - ore 12,30 Pranzo in oratorio e festa - ore 15,00 Festa e giochi per le famiglie - ore 18,00 CELEBRAZIONE EUCARISTICA

CON LE FAMIGLIE INIZIAZIONE CRISTIANA

lunedì

18 maggio

ore 20,30

BANDA G.FORTI E CORO PARROCCHIALE

in concerto

martedì 19 maggio

PER IL PRANZO DOMENICA 17 MAGGIO

ore 20,30 in Basilica-Santuario INCONTRO con familiari e conoscenti dei consacrati e consacrate della zona

alle ore 12,30 presso il salone dell’oratorio

(giorno della morte di S.Arcangelo Tadini) - ore 16,00 in Basilica-Santuario

I tavoli saranno preparati a gruppi di catechesi e attività ... I volontari preparano polenta e spiedo. Occorre segnarsi presso la segreteria (0302692094). Per il dolce e altro ci pensa ogni famiglia.

“SAPERE E SAPORI ai tempi di don Tadini” Mostra dei lavori dei ragazzi della Scuola parrocchiale don Orione in sala Tadini.

mercoledì 20 maggio

CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER GLI AMMALATI E SOFFERENTI con Unzione degli Infermi

GIOVEDI’ 21 MAGGIO

festa liturgica di S. Arcangelo Tadini giornata dedicata alle confessioni, alla preghiera personale e incontri comunitari mattino dedicato ALL’incontro DEi sacerdoti della diocesi

ore 20,00 CELEBRAZIONE EUCARISTICA DELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO (benedizione e distribuzione delle rose blu)

Si invita la cittadinanza ad addobbare le proprie abitazioni con segni di festa. 5


Caritas

PARROCCHIE

DI

rinnovamento, creatività e fantasia della tenerezza di Dio «L'amore del prossimo radicato nell'amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma è anche un compito per l'intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi livelli: dalla comunità locale alla Chiesa particolare fino alla Chiesa universale nella sua globalità». (cfr. DCE, 20). La Caritas parrocchiale (o dell’Unità Pastorale) è l'organismo pastorale istituito per animare la parrocchia, con l'obiettivo di aiutare tutti a vivere la testimonianza, non solo come fatto privato, ma come esperienza comunitaria, costitutiva della Chiesa. L’idea stessa di Caritas esige, pertanto, parrocchie "comunità di fede, preghiera e amore". Questo non significa che non può esserci Caritas dove non c’è "comunità", ma si tratta piuttosto di investire le poche o tante energie della Caritas nella costruzione di "comunità di fede, preghiera e amore". Come se la testimonianza comunitaria della carità fosse insieme la meta da raggiungere e il mezzo (o almeno uno dei mezzi), per costruire la comunione. Un esercizio da praticare costantemente. Cosa ci si aspetta dalla Caritas? Ogni parrocchia, che è volto della Chiesa, concretizza la propria missione attorno: 1. all’annuncio della parola 2. alla celebrazione della grazia 3. alla testimonianza dell’amore. È esperienza comune che ci siano, in parrocchia, una o più persone che affiancano il parroco nella cura e nella realizzazione di queste tre dimensioni. Sono gli "operatori" pastorali, coloro che "fanno" concretamente qualcosa. Dopo il Concilio Vaticano II, la pastorale si arricchisce di una nuova figura: colui che "fa perché altri facciano", o meglio, "fa, per mettere altri nelle condizioni di fare". È "l'animatore pastorale". La Caritas, presieduta dal parroco, è costituita da figure di questo tipo: un gruppo di persone che aiuta il parroco sul piano dell'animazione alla testimonianza della carità più che su quello operativo di servizio ai poveri. L’obiettivo principale è partire da fatti concreti – bisogni, risorse, emergenze – e realizzare percorsi educativi finalizzati al cambiamento concreto negli stili di vita ordinari dei singoli e delle comunità/gruppi, in ambito ecclesiale e civile (animazione). La Caritas non fa direttamente opera di carità in prima persona, ma suscita, anima e coordina ogni dimensione caritativa diretta alla promozione integrale dell’uomo, nell’ambito della comunità ecclesiale e attraverso di essa in ogni ambito del vivere umano.

La caritas dell’Unità Pastorale continua, rinnovandosi

Diverse sono le espressioni di carità in atto nelle nostre comunità (ministri della comunione, visita agli anziani e ammalati, magazzino di raccolta e distribuzione (orto), doposcuola, consegna pasti, laboratorio taglio e cucito, Fondo Tadini….) o lasciate alla libera espressione del parroco e diacono, delle suore e dei fedeli laici.

In particolare in questi anni molto si è fatto con l’orto (impropriamente chiamato caritas, perchè questa non si riduce a distribuire viveri e vestiti), in via S.D’Acquisto, a Botticino Mattina. Ad esso si sono rivolte molte famiglie e persone in stato di bisogno, e non solo straniere, per avere un aiuto in generi alimentari ma anche trovando ascolto e risposte a tanti altri bisogni bollette, affitto, spese sanitarie, riparazioni, sostegno lavoro). - Si è avvertito il rischio che la maggioranza dei fruitori si limiti a riccevere ora qui ora là qualcosa che li mantenga in una specie di dipendenza, riducendo coì il servizio a solo assistenzialismo che si protrae nel tempo senza una risoluzione del problema.

Carità e... fantasia di Dio!

Sono state organizzate raccolte di generi alimentari fuori dai negozi e iniziative di raccolta fondi per ‘rifornire’ l’orto, ma anche per altri aiuti. - Pur apprezzando la grande disponibilità di tante perso6


BOTTICINO

IN

CAMMINO

ne nel contribuire alla raccolta, si è avvertito il rischio che siano gesti compiuti per ‘sistemarsi la propria coscienza’ senza cambiare più di tanto il cuore e gli stili di vita (accoglienza, farsi carico, condividere...). Che dire se, fuori dai negozi, dalle chiese, dalle scuole, dagli oratori, dai e nei bar ... si trovasse qualcuno che raccoglie non generi alimentari, ma adesioni di cuori, di persone, di famiglie che, insieme, si ‘fanno carico’ di chi vive, con grosse fatiche e in stato di bisogno, a distanza di pochi metri?

Carità e... rinnovarsi!

Chiesa povera con i poveri. Tutti chiamati alla scuola della povertà: nuovi stili di vita all’insegna del risparmio, contro ogni spreco, ritornare all’essenziale. Ma anche: aiutare la comunità a capire chi è il povero! Chi sono i poveri! I poveri sono quelli che non sanno condividere la vita con gli altri, chiusi in se stessi, concentrati sui loro bisogni. Il ricco è chi fa della propria vita un dono.

Carità e creatività

Per tutto questo, ecco la necessità di aprire ‘luoghi di ascolto’ in ogni parrocchia. Dove chi accoglie si presenta come comunità cristiana che è tale in quanto è segno della carità di Cristo e proprio per questo aperta a tutti, senza distinzioni, a chi chiede una mano e a chi offre la mano. Queste alcune caratteristiche: spontaneità, gratuità, personalizzazione, continuità, competenza, promozionale possibilmente a livello integrale (materiale e spirituale insieme). La carità continua a farci crescere e migliorare: il cristiano non fa la carità, ma è la carità che fa il cristiano. La Chiesa non fa la carità, ma la carità fa sì che la Chiesa sia Chiesa.

Parrocchie Botticino - Chiesa in uscita - Benedizione famiglie Incontro con le realtà associative, politiche, lavorative e gruppi locali

VISITA alle FAMIGLIE e INCONTRO con le REALTA’ LOCALI N

ell’impostazione pastorale delle parrocchie di Botticino è fondamentale l’impegno dell’essere una ‘Chiesa in uscita’, cercando di trovare concretamente modalità per entrare nel tessuto della vita delle persone. A tale proposito l’esperienza delle Missioni popolari, vissute nell’Anno missionario Avvento 2006-Pentecoste 2007, dal titolo “Cristiani oggi: credibili e visibili. Un cammino di grandi sogni e piccoli passi, fatti insieme”, ne è stata l’inizio. Da essa è nata, tra l’altro, anche l’esperienza di circa 70 centri di ascolto della Parola distribuiti su Botticino, chiamati a diventare sempre più “piccole comunità ecclesiali di base”. Un cammino che, con i suoi momenti di stanchezza, continua e che ha bisogno di essere sempre rinnovato. In questa impostazione pastorale i cristiani laici hanno riscoperto e attuato il loro ruolo specifico nella Chiesa come corresponsabili nell’evangelizzazione. Nei cammini di formazione degli animatori pastorali, di questi anni, tale consapevolezza è stata maggiormente evidenziata, maturata e indispensabile. Da qui l’annuncio che

DOPO PASQUA INIZIERÀ LA VISITA ALLE FAMIGLIE E L’INCONTRO CON LE REALTÀ LOCALI.

Sono coinvolti il parroco, il diacono, le suore e i laici. La visita alle famiglie, in particolare fatta a gruppetti di tre persone con la presenza di una religiosa, consisterà nella consegna di un messaggio/annuncio per ravvivare in essa la vita cristiana e l’appartenenza alla comunità, conoscenza della famiglia, raccolta di esigenze e disponibilità e si concluderà con una preghiera di benedizione. (Il rito - di benedizione delle famiglie - può essere usato ...anche da un laico con i gesti e le formule per esso predisposti. Dal Benedizionale Rituale Romano, n.405) L’incontro con le realtà locali, si intendono le Associazioni (volontariato, sportive, culturali, sociali, musicali,... e le Fondazioni ), i gruppi politici (Amministrazione, partiti), le espressioni lavorative (cooperative, fabbriche...) e i gruppi di ogni genere presenti in Botticino. Ogni realtà verrà contattata dal diacono per accogliere l’adesione. L’incontro avverrà con il parroco, il diacono e la rappresentanza delle parrocchie. Verrà illustrato il cammino delle parrocchie di questi anni; si ascolteranno e raccoglieranno esigenze, aspettative; potranno nascere forme di attenzione e collaborazione per il bene della realtà propria e di tutto Botticino. Si confida nella positiva accoglienza a beneficio della comunità. 7


"Dall'aratro all'altare" Padre GIOVANNI FRANZONI di Botticino missionario francescano in Cina

Le Parrocchie di Botticino pubblicheranno prossimamente un libro su Padre Franzoni, missionario francescano nato a Botticino Sera nel 1838 che per 42 anni, ininterrottamente, trascorse la sua vita in Cina, fino alla sua morte, avvenuta nel 1908. Il libro conterrà tutte le lettere inedite del francescano botticinese finora ritrovate nell'archivio francescano. Al libro su padre Franzoni, scritto da Gio.Pietro Biemmi, con la collaborazione del figlio prof. Giuseppe, appassionati di storia locale, sarà allegato anche quello sulla vita di un altro missionario botticinese Frate Rocco Dora, morto in Libia in concetto di santità, recentemente pubblicato da padre Massimiliano Taroni del Segretariato per le Missioni dei Frati Minori Lombardi. Ecco quanto scrive p. Giovanni Franzoni, il 25 maggio 1899, in un appassionato ricordo della sua terra d'origine e della sua adolescenza. Siamo nel cuore della Cina, a Ichang, nell'Hupé meridionale, sulle rive del fiume Jang-tse Kiang dove lui è approdato nel 1866. Sono, dunque, 33 anni che manca da casa. In quegli anni, la Cina sta vivendo uno dei periodi più burrascosi della sua storia........ "Avevo 10 anni quando la mia mamma morì e 15 quando ho perduto anche il padre; il Parroco di Botticino (don Sigalini) nel predicare disse molte volte chi non più ha padre o madre si raccomandi a Maria si metta sotto la sua protezione e Maria farà per lui l'officio dei genitori. Sentite queste parole andai a piedi nudi con le braghe e in camicetta (era il mese di luglio) al Santuario di Valverde; a un'ora dopo mezzogiorno la chiesa era semichiusa, tuttavia potei entrare, pregai davanti alla statua di Maria affinché mi prendesse sotto la sua protezione; mentre stavo pregando ecco compariva il sacrestano, in punta di piedi a vedere chi entrò in chiesa, quando m’ebbe conosciuto mi lasciò quieto e se ne andò, fatte le mie devozioni me ne andai anch’io tutto contento, tenendo per certo, che Maria avrebbe fatto verso di me l’officio di Padre e Madre; come lo dimostrò poi coi fatti........e tra tutti il più bello e grande fu d’avermi chiamato dall’aratro all’altare; gli altri continuati vengono da sé, posso dire che non mi abbandonò un istante. “

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C H I E SA D I O C E SA N A I N CA M M I N O

DIOCESI DI BRESCIA

In Preparazione al rinnovo dei consigli parrocchiali 2015-2020

Le tre schede che seguono sono uno strumento per la preparazione e l’animazione della comunità parrocchiale, dei gruppi, dei laici e dei consacrati che sono presenti in parrocchia, in vista della formazione dei nuovi Consigli Parrocchiali: Consigli Pastorali e Consigli Parrocchiali per gli Affari Economici. Le scadenze previste per tutta la diocesi sono le seguenti: domenica 19 aprile 2015 (III domenica di Pasqua) vi saranno le elezioni dei Consigli Pastorali Parrocchiali. Tra il mese di aprile e il mese di giugno 2015 andranno rinnovati i Consigli Parrocchiali per gli Affari Economici. Tutto questo per far sì che nel mese di settembre 2015, con l’avvio del nuovo anno pastorale, entrambi i Consigli possano iniziare le loro attività. Punto di riferimento imprescindibile restano il Direttorio per i Consigli Pastorali Parrocchiali e il Regolamento per il Consiglio Parrocchiale per gli Affari Economici, promulgati dal Vescovo il 1° dicembre 2004. Le pagine che seguono intendono introdurre, soprattutto con una riflessione di carattere pastorale, agli aspetti essenziali, che stanno sullo sfondo del tema della partecipazione e della corresponsabilità nella Chiesa.

Si possono, al riguardo, individuare tre aspetti per ricostruire l’ambito entro cui sensibilizzare alla corresponsabilità nella conduzione delle comunità cristiane: 1. Comunione e corresponsabilità nella parrocchia. 2. La comunità soggetto dell’azione pastorale e il progetto pastorale. 3. Presiedere e consigliare nella comunità: i Consigli parrocchiali. 9


CHIESA DIOCESANA IN CAMMINO

Comunione e corresponsabilità nella parrocchia?

I

l tema della c o munione e della corresponsabilità si colloca sullo sfondo della rinnovata coscienza ecclesiologica conciliare e delle scelte che la Chiesa è andata compiendo nel suo recente cammino. Significativo appare, al riguardo, quanto si legge nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia: La Chiesa è totalmente orientata alla comunione. Essa è e dev’essere sempre, come ricorda Giovanni Paolo II, «casa e scuola di comunione». La Chiesa è casa, edificio, dimora ospitale che va costruita mediante l’educazione a una spiritualità di comunione. Questo significa far spazio costantemente al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). Ma ciò è possibile solo se, consapevoli di essere peccatori perdonati, guardiamo a tutta la comunità come alla comunione di coloro che il Signore santifica ogni giorno. L’altro non sarà più un nemico, né un peccatore da cui separarmi, bensì «uno che mi appartiene». Con lui potrò rallegrarmi della comune misericordia, potrò condividere gioie e dolori, contraddizioni e speranze. Insieme, saremo a poco a poco spinti ad allargare il cerchio di questa condivisione, a farci annunciatori della gioia e delle speranza che insieme abbiamo scoperto nelle nostre vite grazie al Verbo della vita. Soltanto se sarà davvero «casa di comunione», resa salda dal Signore e dalla Parola della sua grazia, che ha il potere di edificare (cfr. At 20,32), la Chiesa potrà diventare anche «scuola di comunione». è importante che ciò avvenga: in ogni luogo le nostre comunità sono chiamate ad essere segni di

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unità, promotori di comunione, per additare umilmente ma con convinzione a tutti gli uomini la Gerusalemme celeste, che è al tempo stesso la loro «madre» (Gal 4,26) e la patria verso la quale sono incamminati. […] Ma non dimentichiamo l’avvertimento di Giovanni Paolo II: «Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita». [n. 65] Tutto questo rende consapevoli come sia necessario operare un profondo cambiamento di mentalità da parte di tutti, laici e preti, giovani e adulti, perché tutti si diventi «soggetti» della missione della Chiesa, più che i «destinatari» distratti di un’improbabile vita cristiana. E’ quindi necessario superare un certo «cristianesimo dei bisogni» per approdare ad un «cristianesimo delle responsabilità». Il primo, assai diffuso, è soddisfatto quando si è esaudito il proprio bisogno religioso (di amicizia, serenità, conforto, ritrovamento di sé e, perché no?, anche di Dio); il secondo comincia quando ci si accorge che non si può essere cristiani solo per se stessi, quando il prendersi cura della fede e della vita degli altri non è un lusso per chi è disponibile, per il cristiano “impegnato”, per quello che ha tempo per la parrocchia. Un «cristianesimo della vocazione e della responsabilità» è quello che ha trovato che la vita cristiana è logicamente consequenziale ad una fede adulta e matura, capace di farsi carico della testimonianza che il Vangelo porta con sé. La corresponsabilità è dunque capacità di rispondere insieme: gli uni agli altri e tutti al Signore e all’umanità, a cui il Signore ha destinato la salvezza di cui la Chiesa è missionaria e portatrice. Per questo corresponsabilità significa capacità e disponibilità a collaborare, rispondendo da adulti di quel che la Chiesa, ma soprattutto il Signore, ci chiede. Implica di saper obbedire, guardando ogni cosa con un orizzonte più vasto della nostra visione personale. Implica la coscienza della grandezza di ciò che ci è affidato da compiere, che non sarà eseguito tanto meglio quanto più meccanica sarà l’esecuzione, ma quanto più le nostre capacità e i doni dello Spirito 10


saranno giocati in pienezza nell’opera comune. Implica anche il coraggio di segnalare e di proporre, di obiettare e di dissentire, con coscienziosa umiltà e senza spezzare la comunione, perché questa si conservi non come conformismo, ma come obbedienza comune al Vangelo e alla missione. Accanto al tema della comunione-corresponsabilità va considerato anche quello della parrocchia, come luogo privilegiato per l’esercizio di tale dimensione peculiare dell’esperienza cristiana oggi. A tal proposito, torna utile il richiamo a quanto detto nel documento dei Vescovi italiani Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: La parrocchia è definita giustamente come «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». La parrocchia è una scelta storica della Chiesa, una scelta pastorale, ma non è una pura circoscrizione amministrativa, una ripartizione meramente funzionale della diocesi: essa è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare. Con altre forme la Chiesa risponde a molte esigenze dell’evangelizzazione e della testimonianza: con la vita consacrata, con le attività di pastorale d’ambiente, con le aggregazioni ecclesiali. Ma è la parrocchia a rendere visibile la Chiesa come segno efficace dell’annuncio del Vangelo per la vita dell’uomo nella sua quotidianità e dei frutti di comunione che ne scaturiscono per tutta la società. Scrive Giovanni Paolo II: la parrocchia è il «nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi». La parrocchia è una comunità di fedeli nella Chiesa particolare, di cui è «come una cellula», a cui appartengono i battezzati nella Chiesa cattolica che dimorano in un determinato territorio, senza esclusione di nessuno, senza possibilità di elitarismo. In essa si vivono rapporti di prossimità, con vincoli concreti di conoscenza e di amore, e si accede ai doni sacramentali, al cui centro c’è l’Eucaristia; ma ci si fa anche carico degli abitanti di tutto il territorio, sentendosi mandati a tutti. [n. 3]

La scelta privilegiata della parrocchia coincide dunque con la scelta del primato della pastorale ordinaria, che va intesa come cura della comunità e di tutte le persone, come attenzione a tutte le tappe dell’esistenza e alle diverse forme della vita cristiana. Tutto questo, tuttavia, non certo a prezzo di una banalizzazione degli obiettivi pastorali, quasi che nella pastorale ordinaria essi rimanessero generici e rinunciatari. Possono essere tre le direttrici su cui è chiamata a viaggiare la parrocchia nel realizzare il suo peculiare servizio all’annuncio del Vangelo: a) Una comunità che annuncia e celebra La prima linea del cammino della pastorale parrocchiale va individuata nel suo essere una comunità che arriva e parte dall’Eucaristia. La comunione tra i credenti trova nell’Eucaristia la sua sorgente e la sua meta verso cui tutti sono invitati a tendere. La fraternità che si sviluppa nella costruzione delle relazioni sociali, favorite dal vivere sullo stesso territorio, viene vissuta in una maniera del tutto singolare da una comunità che si stringe attorno allo stesso altare. b) Una comunità di credenti responsabili Vissuta così, la comunità di altare permetterà di far crescere carismi e ministeri al servizio dell’unico annuncio del Vangelo. La maturazione della responsabilità ecclesiale, come si è già detto, è segno di una fede adulta e matura, che sa farsi carico del bonum Ecclesiae come valore da costruire con pazienza e tenacia. c) Una comunità di missione La circolarità tra comunione e missione è la grande legge della Chiesa e, dunque, anche della parrocchia. Questa è, in fondo, la scommessa della parrocchia del futuro: che essa realizzi meno un cristianesimo per sé e di più un cristianesimo che, proprio perché si fa carico degli altri, finisce per ritrovare la sua giusta dimensione.

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CHIESA DIOCESANA IN CAMMINO

La comunità come soggetto dell’azione pastorale e il progetto pastorale

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n secondo aspetto, inteso a favorire un’adeguata preparazione al rinnovo dei Consigli, riguarda non più solo il significato teologico-pastorale di comunione e corresponsabilità nella parrocchia, ma la sua concreta attuazione. Il fatto che la pastorale non sia appannaggio esclusivo dei pastori ma sia impegno di tutti i credenti, deriva dalla comune radice battesimale. Tale consapevolezza consente di superare la mentalità della delega o della cooptazione nella partecipazione dei credenti – preti e laici – all’azione pastorale della comunità parrocchiale. E questo non solo a motivo della comune dignità battesimale dei credenti, ma insieme in ragione dello specifico dono vocazionale di ciascuno. In tal modo, gli sposi, i consacrati, i catechisti, i diaconi, le diverse vocazioni missionarie e di servizio, non 12

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partecipano alla comune azione pastorale della comunità in virtù di una delega o a motivo dell’attuale diminuzione del numero dei sacerdoti, ma nativamente in virtù del battesimo e del carisma sviluppato nel cammino di fede. Scegliere una effettiva presenza dei laici nella pastorale richiede una conversione anche nel pastore circa la sua consapevolezza ministeriale e il suo servizio ecclesiale. In questo senso si deve dire che non è possibile “far spazio ai laici” senza una profonda riconversione del ruolo dei ministeri ordinati. Tuttavia bisogna anche fare attenzione al fatto che quando si parla della comunità come soggetto unitario dell’azione pastorale nella parrocchia non si vuol certo cadere in un genericismo o in un democraticismo dove tutti sono responsabili allo stesso titolo e allo stesso modo. Il ruolo del parroco, in questo senso, diventa quanto mai indispensabile nella sua funzione di guida e di responsabile ultimo del cammino dell’intera comunità. La sua capacità di far sintesi dei vari carismi e ministeri si evidenzia in modo particolare nell’esercizio concreto della presidenza: egli diventa veramente come il direttore d’orchestra dove ognuno trova il suo spazio e il suo tempo di intervento e l’azione comune costruisce armonia. Significative sono, al riguardo, le parole dei Vescovi italiani nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, là dove, parlando dei sacerdoti, li si invita ad essere «servi della comunione ecclesiale, coloro che conducono a unità i carismi e i ministeri nella comu-


nità, gli educatori missionari di cui tutti abbiamo bisogno»; [n. 53] mentre ai laici viene rivolta l’esortazione a «crescere nella capacità di leggere nella fede e sostenere con sapienza il cammino della comunità nel suo insieme».[n. 54]

dell’orchestra sono chiamati a seguire; lo spartito garantisce una uniformità di indirizzo nell’esecuzione e, al tempo stesso, permette ad ogni singolo strumentista di trovare il suo spazio specifico nella coralità dell’insieme. Il risultato, ancora una volta, non può che essere Un elemento strategico in grado di favorire armonia. un’azione pastorale centrata sulla comunione-corresponsabilità a livello di parrocchia è senz’altro il Quando poi si passa al progetto pastorale conprogetto pastorale. creto bisogna essere coscienti che esso è uno struAnzitutto il progetto pastorale vuole favorire una mento in funzione dell’edificazione della comunità mentalità di collegialità, nel senso che l’agire pasto- e della cura della fede. Le linee che guidano il camrale non può essere che il punto di convergenza di mino di una comunità devono essere continuamenmolteplici letture e scelte e non l’arbitrio esclusivo te rinnovate in risposta al mutare delle situazioni. solo di qualcuno, fosse anche il parroco. E’ il senso Tutto questo dice la necessità di un continuo ripendella storia concreta di una comunità, al di là del samento e di una continua riformulazione in sintocambiamento dei suoi pastori, che ha bisogno della nia con il dinamismo della stessa azione pastorale. memoria viva di tutti i credenti; è il riferimento al discernimento concreto delle situazioni che esige l’intervento concorde di più competenze; è la storia della fede delle persone che invoca l’attenzione premurosa di molte presenze; è il compito educativo verso ragazzi e giovani che richiede lo sforzo unanime dei genitori e degli educatori; è l’attenzione agli ultimi che necessita di diverse collaborazioni con il territorio. Il progetto pastorale è quindi prima una mentalità che un programma; anzi, potrebbe essere definito un programma che si alimenta continuamente o muore penosamente se manca di questa mentalità e se non nasce da molte sinergie. Un progetto pastorale parrocchiale si fonda sulle linee tracciate dalla Chiesa universale e da quella diocesana ed è precisato sul cammino della parrocchia, riconoscendo e determinando gli obiettivi e gli strumenti, le modalità della collaborazione e le occasioni di revisione del cammino fatto. Se si vuol far ricorso alla citata immagine dell’esecuzione musicale, si potrebbe paragonare il progetto pastorale allo spartito che i componenti 13


CHIESA DIOCESANA IN CAMMINO

Presiedere e consigliare nella comunità: i consigli parrocchiali

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n questa fase di rinnovo degli organismi ecclesiali di partecipazione sia a livello di diocesi che di parrocchie è quanto mai opportuna una riflessione su tali organismi capace di sfuggire sia ad una celebrazione semplicemente retorica dei valori della partecipazione, della corresponsabilità, dell’impegno dei laici, sia a sfoghi di insoddisfazione e disagio per l’insignificanza e la scarsa vitalità degli organismi in questione. Alla luce soprattutto delle nuove norme diocesane che riguardano in particolare i Consigli parrocchiali (CPP e CPAE), pare opportuno soffermare l’attenzione sui dinamismi ecclesiali che interessano questa singolare forma di partecipazione al discernimento e all’agire pastorale, prestando inoltre debita attenzione alle dinamiche concrete di conduzione, di guida, di qualità del lavoro che emergono nei Consigli.

A. I dinamismi della presidenza e del consiglio

La presidenza della comunità fa riferimento alla titolarità del parroco, che ha il compito di fungere da guida di tutte le attività della parrocchia, al fine di promuovere una comunione di vocazioni, ministeri e carismi, in vista della formulazione e realizzazione del progetto parrocchiale. All’interno del CPP e del CPAE tale

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presidenza trova un momento di espressione del tutto singolare, dimostrandosi soprattutto capace di promuovere una sintesi armonica tra diverse posizioni. Il far convergere verso soluzioni mature nella comunione richiede nel parroco una capacità di guida che è fatta di ascolto, paziente accoglienza, disponibilità al confronto, lungimiranza e perseveranza. A delineare i tratti del corretto esercizio dell’autorità nella Chiesa valgono le esortazioni dell’apostolo Pietro: «Esorto gli anziani (presbiteri) che sono tra voi, quale anziano come loro [..]: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1Pt 5, 1-3). Viceversa, la lettera agli Ebrei raccomanda: «Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi come chi ha da renderne conto; obbedite perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi» (Eb 13,17). Il tema del consigliare richiama l’impegno dei battezzati a mettere al servizio della crescita comune il singolare dono del “consiglio”. Dono dello Spirito, il consiglio diventa momento peculiare per realizzare un corretto discernimento pastorale. Il discernimento pastorale (che cosa è meglio fare per vivere, qui ed oggi, il Vangelo) è un’operazione complessa, nel senso che essa non può che essere il frutto di molteplici decisioni. Una decisione pastorale può essere in questo senso considerata come il punto di arrivo di molti elementi, frutto soprattutto di un’accurata capacità di discernere la realtà alla luce del Vangelo.

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B. Metodologie e dinamiche di lavoro

Non sembra fuori luogo riconoscere come la sterilità e la scarsa incisività che interessa alcune esperienze di CPP e di CPAE debba essere fatta risalire alla scarsa attenzione prestata alle dinamiche che presiedono alla comunicazione di gruppo e alle metodologie capaci di favorire una migliore qualità del lavoro pastorale. Solo in apparenza possono essere ritenuti ininfluenti sull’obiettiva vivacità e produttività di un CPP e di un CPAE, aspetti quali la scelta della sede dell’incontro capace di coinvolgere i partecipanti, la disposizione delle sedie, la suddivisione dei ruoli, il rispetto del tempo massimo a disposizione per i singoli interventi, la preoccupazione di favorire la partecipazione di tutti i membri, la capacità di arrivare a una delibera finale, ecc. Ciò non significa certo che la soluzione di ogni problema sia da ricercare solo sul piano delle tecniche e delle metodologie: il discorso investe più generalmente lo stile ecclesiale ed il clima fraterno che si produce all’interno dei Consigli parrocchiali.

C. La formazione di consiglieri

Certamente, concorrono una svariata serie di ragioni a complicare una tale operazione (mancanza di tempo, scarsa organizzazione, esito negativo o insufficiente delle soluzioni prospettate, linguaggio o tematiche accessibili solo per addetti ai lavori, scarso interesse dei parrocchiani). E’ ragionevole comunque rivedere che una breve sintesi dei lavori di ogni seduta del CPP sia divulgata nelle forme opportune (es. mediante affissione in bacheca, pubblicazione sul bollettino parrocchiale, etc.) a tutti i parrocchiani, in particolare a quanti svolgono attività pastorale o fanno parte di gruppi ecclesiali. Lo stesso può valere, in forme e modi appropriati, anche per il CPAE. In ultima analisi resta la convinzione che il problema della comunicazione non può essere soltanto in senso unidirezionale (solo dai Consigli alla comunità), ma anche viceversa. La comunicazione non costituisce solo un fatto tecnicoorganizzativo: il discorso investe la fisionomia della comunità, che in un clima di fraternità e di corresponsabilità, deve divenire luogo di condivisione, di discernimento e di comunicazione nella fede.

Il tema della formazione di consiglieri merita di essere affrontato all’interno dell’orizzonte più ampio dello sforzo a far crescere laici adulti nella fede e maturi nel sapersi assumere concrete responsabilità ecclesiali. In questa linea, una robusta catechesi, l’attenzione alla crescita spirituale e lo stimolo ad una progressiva assunzione di compiti ed uffici nella vita della comunità costituiscono requisiti fondamentali per ricoprire il ruolo di membro del CPP e del CPAE. Inoltre, è bene che ai membri dei vari Consigli venga offerta la possibilità di partecipare a giornate di ritiro e di studio, di confronto con testi del Magistero da approfondire singolarmente e comunitariamente, ecc.

D. L’informazione e il coinvolgimento della comunità

Quello della comunicazione costituisce un nodo cruciale e di non facile soluzione per l’attività dei Consigli Parrocchiali, non soltanto sotto il profilo delle dinamiche di lavoro all’interno dei Consigli, ma ugualmente in ordine al compito di informare e rendere partecipe la comunità della riflessione, della progettazione e delle decisioni adottate. 15


Indicazioni di percorso per il rinnovo dei Consigli parrocchiali 2015 - 2020 sporre le liste dei candidati per il CPP. Il Direttorio, Quanto segue intende essere una sorta di vade- al riguardo, così recita: La lista verrà formata in base mecum, di facile consultazione, rivolto alle comunità a designazione da parte dei membri della comuniparrocchiali per sostenerle e accompagnarle nel rin- tà o per candidatura personale. Si lascerà un tempo novo dei Consigli Pastorali Parrocchiali e dei Consigli adeguato per la presentazione dei candidati. Già nella formazione della lista si dovrà tener preParrocchiali per gli Affari Economici. Esso si presenta sente un’adeguata rappresentatività, in relazione suddiviso in tre parti: non solo all’età e al sesso, ma anche ai vari ruoli esi• Fase della preparazione (marzo – aprile 2015) stenti nella comunità parrocchiale. Il Consiglio Pasto• Fase della costituzione (aprile – giugno 2015) rale deve infatti risultare immagine della parrocchia • Fase dell’avvio delle attività (settembre 2015) e pertanto deve comprendere tutte le componenti: ministri ordinati, consacrati e laici. A proposito di A. Fase della preparazione questi ultimi, va sottolineato che nel Consiglio de(marzo – aprile 2015) vono essere rappresentate le varie condizioni laica• Nei mesi di marzo – aprile 2015 è prevista la li: uomini e donne, giovani e anziani, associazioni, preparazione delle elezioni dei CPP e CPAE. La coin- professioni, esperienze, nonché le varie zone, i rioni cidenza con il tempo della quaresima e del tempo e le frazioni, i vari ministeri di fatto (lettori, catechipasquale non dovrebbe essere di disturbo al lavo- sti, educatori di oratorio ecc.). Il numero dei membri ro di preparazione, che consiste fondamentalmen- del Consiglio è determinato in base alla consistenza te nell’informare la comunità dell’appuntamento numerica della parrocchia: elettorale di domenica 19 aprile ( per le elezioni dei - 9 membri (di cui almeno 5 eletti) per parrocchie CPP) e del rinnovo dei CPAE ( tra maggio e giugno). fino a 1.000 abitanti; Può inoltre fare da guida quanto previsto nel nuo- 15 membri (di cui almeno 8 eletti) per parrocchie vo Direttorio dei CPP, che al punto 3.1. così recita : “Il fino a 2.500 abitanti; primo passo per una corretta costituzione del CPP è - 19 membri (di cui almeno 10 eletti) per parrocun’adeguata preparazione e riflessione sulla natura chie fino a 5.000 abitanti; e missione della Chiesa, sul compito del clero e dei - 25 membri (di cui almeno 13 eletti) per parroclaici, e sulla natura e funzione del CPP stesso. Tale chie oltre i 5.000 abitanti. sensibilizzazione e formazione vanno offerte in modo Possono essere membri del Consiglio Pastorale esteso a tutti i fedeli della parrocchia, in particolare Parrocchiale coloro che, battezzati e cresimati, abai gruppi, alle associazioni e ai movimenti ecclesiali. biano compiuto i diciotto anni e siano canonicamenSarà necessario inoltre, in spirito di fede, pregare per te domiciliati nella parrocchia od operanti stabilil nuovo Consiglio, sia comunitariamente che indivi- mente in essa. dualmente”. I membri del Consiglio Pastorale si distingueran• In questo periodo è inoltre necessario predi- no per vita cristiana, volontà di impegno, capacità di

Premessa

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dialogo e conoscenza dei concreti bisogni della parrocchia. Si preoccuperanno del bene dell’intera comunità, evitando lo spirito di parte o di categoria. Requisito del tutto ovvio e peraltro assolutamente irrinunciabile è la piena comunione con la Chiesa non solo negli elementi fondamentali della professione della stessa fede e del riconoscimento dei sacri pastori (can. 205), ma anche nelle indicazioni autorevoli, dottrinali e pratiche, del momento concreto. Circa la situazione dei divorziati risposati, ci si attenga a quanto previsto dal Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia, n. 218. Il Parroco si rende garante che non entrino nel Consiglio Pastorale persone che non abbiano i requisiti suddetti. Lo stesso Direttorio chiede che venga istituito un’apposita Commissione elettorale, presieduta dal parroco con i seguenti compiti: a) preparare la lista dei candidati con i requisiti sopra esposti; b) portare a conoscenza della comunità non meno di quindici giorni prima del giorno delle elezioni la lista dei candidati, in modo che gli elettori possano adeguatamente informarsi sui candidati stessi; c) indicare con precisione il giorno e il luogo delle elezioni; d) allestire il seggio elettorale, che sarà posto nelle immediate vicinanze della chiesa e sarà aperto nel tardo pomeriggio del sabato fino alla conclusione dell’ultima liturgia domenicale; e) provvedere allo spoglio delle schede indicando il numero di voti ottenuti da ogni candidato. Alle indicazioni del Direttorio si possono aggiungere le seguenti annotazioni: - Nella scelta delle persone da inserire nelle liste si dovrà tener conto di quanto previsto dall’art. 3 dello Statuto diocesano dei CPP, che così recita: Al Consiglio Pastorale Parrocchiale appartengono di diritto: 1) il parroco, 2) i vicari parrocchiali, 3) i diaconi che prestano servizio nella parrocchia, 4) i presbiteri rettori delle chiese esistenti nel territorio parrocchiale, 5) un membro di ogni comunità di istituto di vita consacrata esistente nella parrocchia, 6) il presidente dell’Azione Cattolica parrocchiale, 7) i membri del Consiglio Pastorale Diocesano appartenenti alla parrocchia. Alcuni fedeli sono designati secondo le modalità

proprie per l’elezione dei membri del Consiglio Pastorale Parrocchiale. Alcuni membri possono essere designati liberamente dal parroco. I presbiteri che svolgono compiti all’interno della pastorale di più parrocchie (per es., in riferimento alla pastorale giovanile), hanno, a loro scelta e previo accordo con i singoli parroci, la facoltà di inserirsi come membri di diritto nei singoli Consigli Pastorali Parrocchiali. La presenza dei vari operatori pastorali deve essere favorita in modo particolare. In caso di uno squilibrio derivante dalle elezioni, sarà compito del parroco, nelle nomine dei consiglieri di sua competenza, fare in modo che queste persone siano presenti nel CPP. Se la parrocchia è suddivisa in zone o diaconie, potrà essere opportuno riservare alcuni candidati per ciascuna di esse. - Il criterio delle fasce d’età è quanto mai opportuno per non correre il rischio di avere nel CPP pochissimi giovani e un numero eccessivo di anziani. - Il numero dei consiglieri, a titolo indicativo, è suggerito al n° 3.2.a del Direttorio. E’ necessario comunque evitare di costituire un Consiglio eccessivamente ristretto o al contrario troppo numeroso. - Quando ci fosse in parrocchia un numero significativo di cattolici extracomunitari, ci si preoccupi che, tramite elezione o nomina del parroco, essi siano sufficientemente rappresentati. - Pur lasciando la possibilità di candidature libere, attraverso autocandidature o segnalazioni di fedeli della parrocchia, si dovrà osservare quanto stabilito nel Direttorio (3.2.a) per quanto riguarda i requisiti dei candidati. - Non si dimentichi, infine, che sarà importante favorire un’intelligente e opportuna alternanza dei membri del CPP.

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B. Fase della costituzione (aprile - giugno 2015) Secondo il Decreto vescovile del 3.12.2009, la data per le elezioni dei CPP è fissata in tutta la diocesi per domenica 19 aprile 2015 (III domenica di Pasqua). Lo stesso Decreto prevede che da aprile a fine giugno 2015 si provveda alla costituzione dei nuovi CPP e dei nuovi CPAE.

1. Costituzione dei nuovi CPP a. Operazioni di voto Il Direttorio prevede che: “possono partecipare alle elezioni del CPP tutti coloro che, ricevuti i sacramenti del Battesimo e della Cresima, sono in comunione con la Chiesa, sono canonicamente domiciliati in parrocchia od operanti stabilmente in essa e hanno compiuto il 18° anno di età”. Alle indicazioni del Direttorio si possono aggiungere le seguenti annotazioni: - Le schede elettorali devono contenere l’elenco completo dei candidati, divisi secondo le liste (Cf. facsimile 1). Si consiglia di allestire il seggio elettorale nei pressi della chiesa e invitare a votare all’uscita delle celebrazioni eucaristiche. In alternativa, si può invece consegnare la scheda elettorale all’uscita della celebrazione eucaristica, far votare a casa, e invitare a riportare la scheda in un’urna predisposta in chiesa o nei pressi.

- Le operazioni di voto sono svolte dalla commissione elettorale. - I fedeli della parrocchia che per malattia o altro grave impegno fossero impossibilitati a partecipare all’Eucaristia, potranno essere invitati a consegnare il loro voto nel proprio domicilio a membri o a incaricati dalla commissione elettorale. La scheda verrà ritirata in busta chiusa e aggiunta alle altre nello scrutinio. b. Scrutinio Il Direttorio prevede che: “risulteranno eletti coloro che avranno ricevuto la maggioranza dei voti. In caso di parità si dovrà ricorrere al sorteggio. Ogni eletto dovrà sottoscrivere una formale accettazione degli obblighi inerenti alla sua elezione”. Alle indicazioni del Direttorio si possono aggiungere le seguenti annotazioni: - La commissione elettorale sceglie al proprio interno alcuni membri con funzioni di scrutatori, di cui uno come presidente e uno come segretario. - Gli scrutatori provvederanno allo spoglio delle schede indicando il numero di voti ottenuto da ogni candidato per ciascuna lista. Risulteranno eletti per ciascuna lista i primi nominativi che avranno riportato il maggior numero di voti fino al raggiungimento del numero di eleggibilità previsto. In caso di parità, si dovrà ricorrere al sorteggio. - Al temine dello scrutinio verrà redatto, a cura del segretario, un sintetico verbale, con l’indicazione del numero dei votanti, dei voti ottenuti da ciascuno, delle eventuali schede nulle e bianche e di altre osservazioni inerenti lo scrutinio (Cf. fac-simile 2). c. Nomina dei membri di pertinenza del parroco Il Direttorio prevede che: “susseguentemente alle elezioni il parroco provvederà alla nomina dei membri di sua pertinenza, previo consenso e sottoscrizione degli impegni da parte degli interessati”. d. Designazione dei rappresentanti degli istituti di vita consacrata Il Direttorio prevede che: “entro la settimana seguente al giorno delle elezioni, gli Istituti di vita consacrata provvederanno a segnalare al parroco i nomi dei loro rappresentanti”. e. Accettazione della carica Ogni eletto e ogni consigliere designato dal parroco dovrà sottoscrivere una formale accettazione della carica e degli obblighi inerenti, da consegnare al parroco antecedentemente alla prima sessione del CPP, utilizzando l’apposito formulario (Cf. fac-simile 3). In caso di non accettazione, i consiglieri saranno so18


stituiti: - se trattasi di eletti dalla comunità, con chi immediatamente li segue per numero di voti; - se trattasi di scelti dal parroco o dagli istituti di vita consacrata, con altre persone scelte dagli stessi. f. Proclamazione del nuovo CPP Il Direttorio prevede che: “i nomi del nuovo Consiglio Pastorale verranno proclamati la domenica successiva durante la celebrazione eucaristica”. Quindi domenica 26 aprile dovranno essere costituiti i nuovi CPP, che resteranno in carica fino al 2020. g. Insediamento del nuovo CPP Già nel mese di maggio il nuovo CPP dovrà insediarsi per procedere ad un primo adempimento: la designazione di due suoi membri a far parte del nuovo CPAE, da costituirsi entro fine giugno 2015. Il nuovo CPP rinvierà poi a settembre l’avvio delle sue attività con la ripresa dell’anno pastorale.

del CPAE i congiunti del parroco fino al quarto grado di consaguineità o affinità e quanti hanno in essere rapporti economici con la parrocchia. Il parroco, sentito eventualmente il parere del Consiglio Pastorale Parrocchiale, valuta la inopportunità chae facciano parte del CPAE persone che ricoprono incarichi di diretta amministrazione nell’ambito civile locale. Circa la situazione dei divorziati risposati, ci si attenga a quanto previsto nel Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia al n. 218”. Si ricordi che il CPAE non decade nel caso di vacanza della parrocchia. Inoltre, il mandato dei consiglieri non può essere revocato se non per giusti e documentati motivi. Infine, va ricordato che i nomi dei membri del CPAE devono essere comunicati ogni anno in Curia in occasione della presentazione del rendiconto economico della parrocchia.

2. Costituzione dei nuovi CPAE Il Regolamento per i CPAE all’art. 3 così recita: “Il CPAE è composto dal parroco, che di diritto ne è il presidente, dai vicari parrocchiali, da due membri del Consiglio Pastorale Parrocchiale indicati dal Consiglio stesso, e da alcuni fedeli competenti in ambito tecnicoamministrativo scelti dal parroco. Si raccomanda di mantenere il numero dei consiglieri in una proporzione ragionevole rispetto al numero dei componenti della comunità parrocchiale”. Nella prima seduta del CPP nei mesi di aprile – maggio 2015 il Consiglio provvederà a designare due suoi membri che entrino a far parte, oltre nel CPP, anche nel CPAE. Entro la fine di giugno 2015 il parroco sceglierà i consiglieri di propria nomina, facendo in modo che, per quanto è possibile, nel CPAE siano presenti le seguenti competenze: giuridica (es. un legale), economico-finanziaria (es. un funzionario di banca), economico–amministrativa (es. un ragioniere o un commercialista), tecnica (es. un geometra o un architetto). Nella formazione del CPAE va inoltre tenuto presente quanto disposto dal Regolamento per i Consigli Parrocchiali per gli Affari Economici, che all’art. 4 così recita: “Non possono essere membri

C. Fase dell’avvio delle attività (settembre 2015)

- In settembre, con la ripresa dell’anno pastorale, potrebbe essere utile che il CPP e il CPAE siano presentati alla comunità durante una celebrazione domenicale. Non si tratta di conferire un mandato (questo è già avvenuto con l’elezione e la nomina), ma di far conoscere le persone elette o nominate alla comunità. - Il nuovo CPP in settembre – ottobre provvederà inoltre alla designazione della sua rappresentanza nel Consiglio Pastorale Zonale.

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Consiglio dell’ Unità Pastorale

agli elementi costitutivi della vita ecclesiale (catechesi, liturgia, carità) e ad alcuni settori della pastorale ritenuti particolarmente importanti per quel territorio. Compito delle commissioni è studiare percorsi – da sottoporre al CUP – per programmare l’azione pastorale dell’UP.

n. 21. Il consiglio dell’UP è l’organismo rappresentativo di tutte le componenti delle comunità ecclesiali che risiedono nell’ambito dell’UP. Ad esso, sotto la presidenza del presbitero coordinatore, responsabile dell’UP, in comunione con gli altri eventuali parroci, spetta di elaborare il progetto pastorale dell’UP, verificarne l’attuazione e affrontare i problemi pastorali che emergono nell’UP. Il consiglio dell’UP funziona in stretta analogia con quanto stabilito dalla normativa diocesana e universale in riferimento al consiglio pastorale parrocchiale ed ha voto consultivo (cfr can. 536)1. n. 82. Il CUP, in quanto organismo rappresentativo, è formato dal presbitero responsabile dell’UP, dagli altri eventuali parroci e presbiteri e dai rappresentanti di tutte le parrocchie che formano l’UP. Nella sua costituzione si terrà conto del numero di abitanti delle parrocchie che formano l’UP, garantendo che anche le parrocchie più piccole abbiano almeno due rappresentanti. n. 83. La maggioranza dei membri del CUP è eletta dai fedeli dell’UP: ogni parrocchia, mediante il proprio organismo di partecipazione parrocchiale, elegge i rappresentanti da inviare al CUP. n. 84. Al presbitero coordinatore, responsabile della UP, è data la possibilità di nominare personalmente alcuni membri del CUP, sentito il parere degli altri eventuali parroci. n. 85. Se lo si ritiene opportuno, il CUP potrà avvalersi della collaborazione di commissioni corrispondenti

Dalle Linee guida per un Regolamento delle Unità Pastorali n. 4. Il consiglio dell’UP (CUP) viene costituito secondo le indicazioni dei nn. 21, 81-84 del DS. Esso funziona in stretta analogia con quanto stabilito dalla normativa diocesana e universale in riferimento al consiglio pastorale parrocchiale (cfr can. 536). Sotto la presidenza del presbitero coordinatore e in comunione con gli altri presbiteri, il CUP ha il compito di: elaborare il progetto pastorale dell’UP; verificarne l’attuazione; affrontare i problemi pastorali che emergono nell’UP. Ad esso appartengono di diritto: il presbitero coordinatore, gli altri presbiteri residenti con incarichi pastorali, i diaconi, due rappresentanti della vita consacrata. La maggioranza dei fedeli laici presenti nel CUP viene eletta in ogni parrocchia dal proprio organismo parrocchiale di partecipazione, in un numero variabile, da un minimo di 2 a un massimo di 6, in ragione della consistenza numerica della parrocchia stessa. Le elezioni di tali fedeli avvengono secondo le modalità previste per il consiglio pastorale parrocchiale. Il resto dei fedeli laici (da 1 a 3 per parrocchia) saranno nominati personalmente dal presbitero coordinatore. Il CUP dovrà essere riunito almeno quattro volte l’anno e ogni volta che lo richieda la maggioranza dei membri. Per la validità delle deliberazioni è richiesta la presenza di almeno i 3/5 dei membri. Al suo interno verrà nominato un segretario che avrà la funzione anche di verbalista. I membri del CUP hanno un mandato di 5 anni e non possono rimanere in carica più di due mandati consecutivi.

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1 Can. 536 §1. Se risulta opportuno a giudizio del Vescovo diocesano, dopo aver sentito il consiglio presbiterale, in ogni parrocchia venga costituito il consiglio pastorale, che è presieduto dal parroco e nel quale i fedeli, insieme con coloro che partecipano alla cura pastorale della parrocchia in forza del proprio ufficio, prestano il loro aiuto nel promuovere l’attività pastorale. §2. Il consiglio pastorale ha solamente voto consultivo ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano. 20


Commissione economica dell’ Unità Pastorale

Consigli Parrocchiali per gli Affari Economici e Unità Pastorali Dal Documento finale del 29° Sinodo diocesano sulle Unità Pastorali

n. 86. Nell’UP si potrà costituire una commissione economica che cerchi di ottimizzare le risorse presenti e di sensibilizzare le parrocchie a “sovvenire” alle necessità della Chiesa. Si invitano le comunità a studiare e ad avviare percorsi di comunione tra le parrocchie, soprattutto in vista di un sostegno a quelle che si trovano in particolare difficoltà. Si potrà a tale scopo istituire un fondo comune dell’UP, affidato al presbitero responsabile dell’UP. I Consigli per gli Affari Economici delle singole parrocchie siano riuniti periodicamente per favorire l’armonizzazione dell’utilizzo delle risorse in funzione del progetto pastorale delle UUPP. n. 87. Può essere utile che nell’UP ci sia un segretario economico, nominato dal coordinatore dell’UP sentito il parere dell’eventuale commissione economica, che lo sollevi da alcune incombenze burocratiche, giuridiche e amministrative nelle parrocchie. A tal fine, il coordinatore e il CUP avranno cura di sensibilizzare e promuovere la formazione di laici per la gestione delle attività economiche nonché dell’ordinaria e straordinaria amministrazione della parrocchia. Si tenga presente che l’UP non gode di personalità giuridica e il presbitero coordinatore non svolge funzioni di rappresentanza legale.

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n. 90. Secondo la normativa canonica (cfr. can. 537), in ogni parrocchia va mantenuto il Consiglio Parrocchiale per gli Affari Economici con i compiti specifici che ad esso competono. Esso dovrà agire in sintonia con l’organismo di partecipazione parrocchiale e tenendo presenti le scelte pastorali dell’UP e gli indirizzi della eventuale commissione economica dell’UP. Dalle Linee guida per un Regolamento delle Unità Pastorali n. 15. Il Consiglio Parrocchiale per gli Affari Economici (CPAE): secondo la normativa canonica (cfr. can. 537), esso va mantenuto in ogni parrocchia con i compiti specifici che ad esso competono. Esso dovrà agire in sintonia con l’organismo di partecipazione parrocchiale e tenendo presenti le scelte pastorali dell’UP e gli indirizzi della eventuale commissione economica dell’UP. Can. 537 - In ogni parrocchia vi sia il consiglio per gli affari economici che è eretto, oltre che dal diritto universale, dalle norme date dal Vescovo diocesano; in esso i fedeli, scelti secondo le medesime norme, aiutino il parroco nell’amministrazione dei beni della parrocchia, fermo restando il disposto del can. 532.


Due anni con Papa Fr ancesco Se si ricorda la Chiesa di due anni fa, c’è una parola che la definisce: crisi. Le dimissioni di papa Benedetto sembravano confermarla: lo scenario è cambiato. I problemi ci sono. Ma la Chiesa oggi è viva. La sorpresa di papa Francesco ha fatto riscoprire il valore del messaggio del Vangelo. La gente lo sente e ama ascoltarlo. E’ misericordioso ma non buonista. Non è un semplicista, ma un esperto di umanità. Francesco ha accettato la sfida con serenità per una Chiesa in uscita: figlio del Concilio invita a non alzare frontiere ma a seguire la legge dell’accoglienza. La preghiera, i gesti e le parole che caratterizzano il pontificato di Francesco che, con la sua semplicità e chiarezza, trasmette la gioia di annunciare e vivere il Vangelo nella quotidianità, anche nelle situazioni più difficili. Il Papa venuto “dalla fine del mondo”, che da due anni scuote la Chiesa, ci invita continuamente a non cedere alla globalizzazione dell’indifferenza.

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rotagonista di grandi cambiamenti in Vaticano, continua a vivere nel segno dell’umiltà. Come quando portò fuori dalla sua stanza una sedia alla guardia svizzera per farla riposare. Nella stanza 201 della Domus Sanctae Martae la sveglia suona puntuale ogni mattina alle 4.45, le luci si accendono alle finestre del secondo piano che si affacciano a Nord sulla piazzetta e la facciata meridionale della Basilica di San Pietro. Non ci sono aiutanti di camera né procedure di vestizione, Bergoglio fa da sé e non si cura di quanto è sempre accaduto, con variazioni inessenziali, nei secoli precedenti. Giusto due anni fa cominciava il Conclave che l’indomani, alle 18.50 del 13 marzo, avrebbe eletto l’arcivescovo di Buenos Aires. Il cardinale occupava la stanza 207, il Papa si limitò a spostarsi nella 201 e cambiò tutto. Ne sa qualcosa la guardia che pochi giorni dopo vegliava in corridoio sul sonno pontificio. Marzo 2013, prima dell’alba. Si apre la porta ed esce il Papa che vede accanto alla soglia un giova-

ne svizzero, irrigidito sull’attenti, lo sguardo fisso davanti a sé. «Sei stato in piedi tutta la notte, figlio?». Il ragazzo deglutisce e mormora che in effetti non proprio tutta, ha dato il cambio a un collega. Francesco annuisce, rientra in camera e ne esce con una sedia. Si narra anche di un panino con la marmellata. La guardia svizzera cerca di obiettare che il regolamento vieta di sedersi (per tacere della colazione servita dal Pontefice, chi lo sente il comandante), ma il Papa lo rassicura - anche perché in Vaticano, in fin dei conti, comanda lui - e il ragazzo si siede. Ecco, i «muri» hanno cominciato a crollare anche così. A partire dalla scelta di non vivere nell’«imbuto rovesciato» dell’Appartamento apostolico ma in albergo, «non posso vivere da solo», riservando a sé quella cinquantina scarsa di metri quadri: anticamera, studio con tavolino e due librerie a parete, stanzetta da letto monastica, arredi ridotti all’essenziale di legno scuro, luci al neon. Non è stato facile, ma in un paio d’anni chi vive e lavora in Vaticano e soprattutto nel «Convitto» - il Papa gesuita chiama l’albergo così, come in una comunità di religiosi - ha finito col farci l’abitudine. «Mah, io cerco di essere libero, ci sono appunta22


menti di ufficio, di lavoro... Veramente mi piacerebbe poter uscire, però non si può... Ma poi la vita, per me, è la più normale che posso fare», ha spiegato ai giornalisti che gli chiedevano se non si sentisse prigioniero, lui che a Buenos Aires girava in metrò. «No, no. All’inizio sì, ma adesso sono caduti alcuni muri, non so, tipo “il Papa non può!”. Un esempio, per farvi ridere: vado a prendere l’ascensore e subito viene uno, perché il Papa non poteva scendere in ascensore da solo! E perché? Ma tu vai al tuo posto, che io scendo da solo!». Nel senso che non vuole accompagnatori: se invece le porte si aprono e c’è già qualcuno, altri ospiti o dipendenti che all’inizio tentavano imbarazzati di uscire («ma no, ci stringiamo e ci stiamo tutti»), Francesco non si fa problemi, conversa, chiede delle famiglie, «la normalità della vita». Una vita fitta di impegni e incontri, quella del Papa. Ma la seconda delle «malattie» che a Natale elencava alla Curia è quella della «eccessiva operosità» che «fa trascurare la parte migliore: sedersi sotto i piedi di Gesù». Prima di scendere per la messa delle sette - ogni mattina dal lunedì al venerdì, tranne il mercoledì dell’udienza generale - il Papa gesuita, formato alla meditazione ignaziana, resta per due ore da solo in camera. Ufficio mattutino, preghiera dei Salmi, Letture del giorno e preparazione dell’omelia. Qualche minuto prima delle sette è già nella cappella in fondo all’atrio. Dai dipendenti vaticani ai fedeli delle parrocchie romane, ogni giorno la messa si riempie di poche decine di fedeli. Il Papa saluta e parla con tutti, si sofferma ancora a pregare, quindi va a fare colazione nel «refettorio» comune. Siede a un tavolo laterale a sinistra dell’ingresso con i due segretari e gli aiutanti, il suo tovagliolo in una bustina come gli altri ospiti, salvo la scritta «P. Francesco», perché all’inizio glielo cambiavano tre volte al giorno e a lui non sembrava il caso: «Ma che spreco! Perché bisogna cambiare un tovagliolo pulito?». Poi gli impegni cominciano. Nello studio del Papa arrivano i «cifrati» dalle nunziature del mondo, la rassegna stampa, una selezione delle migliaia di lettere che gli arrivano dai fedeli, documenti vari. Le udienze di tabella e gli incontri avvengono di norma al Palazzo apostolico - salvo eccezioni, come quando accolse a Santa Marta Shimon Peres e Abu Mazen - così Francesco si sposta quasi ogni mattina nella residenza ufficiale: nella bella stagione si concede una passeggiata, sorvegliata con discrezione dai gendarmi vaticani, ma di solito usa la Ford Focus blu targata SCV 00919 che era assegnata ai servizi generali prima che Bergoglio («ecco, quella per me va bene») la vedesse per caso parcheggiata.

Avanti e indietro dal Palazzo apostolico a Santa Marta, da una a tre volte al giorno secondo i casi, c’è anche la macchina della Gendarmeria che porta al Papa la borsa di documenti inviata dalla Segreteria di Stato. Verso le 13 Francesco torna nel refettorio, dove pranzano anche gli altri ospiti - funzionari della Segreteria di Stato e vescovi, sacerdoti e religiosi - e il personale. Capita che vada a salutare in cucina. Qui si misura la portata della scelta di Bergoglio, capace di spezzare quel clima da «corte» rinascimentale nel quale il «potere» in Vaticano era misurato dall’essere o meno ammessi all’Appartamento del Papa. Dopo pranzo Francesco risale in camera per una mezz’ora di riposo, poi si ricava un altro spazio di preghiera prima di ricominciare a lavorare nello studio di Santa Marta per tutto il pomeriggio. Incontri, lettere, telefonate. Chi gli è vicino racconta di ritmi serrati, le uniche pause dedicate al Rosario. La cena è alle 20 ma «la sera, tra le sette e le otto, sto davanti al Santissimo per un’ora di adorazione», spiegava a padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica . «La preghiera per me è sempre una preghiera “memoriosa”... Per me è la memoria di cui Sant’Ignazio parla nella prima settimana degli Esercizi nell’incontro misericordioso con Cristo Crocifisso. E mi chiedo: “Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo?”». Dal refettorio, finito di cenare, Francesco torna in camera presto, intorno alle 21. Il letto sormontato da un Crocifisso, un armadio, un mobile con sopra una statuetta di legno policroma che si è portata da Buenos Aires e raffigura San Giuseppe dormiente. «Il riposo di Giuseppe gli ha rivelato la volontà di Dio», raccontava in gennaio alle famiglie di Manila. «Sul mio tavolo ho un’immagine di San Giuseppe che dorme. E mentre dorme si prende cura della Chiesa. Quando ho un problema, una difficoltà, io scrivo un foglietto e lo metto sotto San Giuseppe, perché lo sogni».

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UN ANNO PER

Il segno e il dono... D

«Scrivo a voi come successore di Pietro, a alcuni anni e per iniziativa di san a cui il Signore Gesù affidò il compito di Giovanni Paolo II, il 2 febbraio, nella confermare nella fede i fratelli (cf Lc 22,32) festa della Presentazione del Signore e scrivo a voi come fratello vostro, al tempio, la Chiesa è invitata tutta a rifletteconsacrato a Dio come voi» re, pregare e contemplare il dono che lo Spirito (papa Francesco a tutti i consacrati) Santo continuamente le fa suscitando forme di vita di speciale consacrazione. da parte di Dio, perché il popolo non dimenticasse e Un anno dedicato alla Vita Consacrata nella Chiesa, come ha voluto papa Francesco dal 30 novem- tornasse al Signore. Possiamo ricordare Geremia, Ezebre 2014 al 2 febbraio 2016, ci interroga e ci è occasione chiele, Amos... ed altri; Osea, poi, ha cantato il rapporto per scandagliare la portata di questo dono che adorna la d’amore tra Dio e il suo popolo come legame nuziale. La metafora delle nozze è la più vicina ad esprimere Chiesa rendendola bella e tutta attrezzata per ogni servizio nella carità. Esso coincide quasi totalmente con il la comunione del popolo con Dio; la reciproca appartenenza, l’indissolubile comunione di vita fondata solo e tempo tra due Sinodi sulla famiglia. Non c’è forse una consacrazione per tutti nel battesi- innanzitutto sulla fedeltà di Dio a se stesso, «per santimo, nella cresima e nell’Eucaristia? Non siamo tutti un ficare il suo nome» cioè esprimere chi è, manifestare la sua gloria e fin dove giunge la sua misericordia nonopopolo consacrato al Signore? In realtà da sempre il Signore ha agito così, e il filo stante le infedeltà del suo popolo. Dobbiamo ricordare il Servo del Signore, nei quattro rosso attraversa tutta la Scrittura, Antico e Nuovo Testacanti del profeta (cf Is 42,1-4; 49,1-6; 50,4-9; 52,13mento, con il vertice in Gesù. Dio sceglie alcuni perché stiano con lui: «Tu vieni con me! Tu segui me!». Elegge 53,12): egli è tutto del Signore; si definisce a partire da uno, lo riserva per sé, ne fa una sorta di sua proprietà, lo lui, Servo del Signore! A lui, per così dire, Dio ha chieconsacra per sé perché sia un segno, non viva più per se sto la vita: Dio può fare di lui ciò che vuole, per lui non stesso ma per lui e per i fratelli. Uno di cui può disporre. ce altro progetto che quello di Dio. Nelle Scritture ci imbattiamo poi nella «Sapienza» e Uno che, come il Figlio, nella più assoluta libertà scelnegli elogi di essa come personificata, tutta orientata a ga di relazionarsi a lui senza intermediari e totalmente. Dio e che trova le sue delizie tra gli uomini (cf 8,12-31). Uno che diventa benedizione per tutti. E così il primo Testamento ci conduce a Gesù, Sapienza Fin dal principio Dio scelse Abele, poi Enoc, Abramo; dopo di lui Isacco, Giacobbe, Giuseppe... Mosè, del Padre, Verbo di Dio; Egli, dal principio nel Padre, è Aronne e quindi uno smarrito gruppo di tribù e ne fece entrato nel mondo dicendo: «Non hai gradito sacrifìcio un popolo liberato dalla idolatria, portatore di benedi- e offerta, un corpo mi hai preparato e io ho detto: vengo zione per tutti gli altri popoli: «Voi siete per me un popo- per fare la tua volontà» (cf Sal 40,7-9; Eb 10,5-7); Gesù lo consacrato al Signore... io vi ho scelti perché vi amo» è l’uomo consacrato di Spirito Santo, nell’incarnazione, (cf Dt 7,6-8); «lo sono il tuo Dio tu sei il mio popolo». nel battesimo, nella trasfigurazione; fu aiutato dallo SpiPer dire che tutto è di Dio, che egli è l’unico Signore, rito a portare a compimento la sua obbedienza fino alla ci vuole uno, un piccolo popolo, che ne sia il segno, lo morte sulla croce. Egli è tutto Figlio, tutto del Padre per testimoni e lo viva; questi non deve dimenticare di esse- essere tutto benedizione per i fratelli che il Padre gli ha dato e anche per tutto il creato. re consacrato a Dio per tutti, in favore di tutti! Gesù compì questa sua consacrazione per tutti, «Per Così, dopo Mosè, ci furono alcuni giudici e quindi i loro io consacro me stesso...» (cf Gv 17,19), sulla croce, re in specie Davide, poi i profeti, spesso nella loro stessa vicenda personale, del tutto «espropriati» e fatti segno, e fu rivestito di gloria nella risurrezione. Donò la vita per crearsi un popolo che appartenga al Signore e che adesso 24


L A V I TA C O N S A C R ATA

comprende tutti perché tutti eletti e ricomprati in lui. Egli è morto per tutti, non per molti che non sono tutti! Prima di essere consegnato «depose», consegnò la sua vita nella più assoluta libertà: «Nessuno mi prende la vita, la do io quando voglio e la riprendo quando voglio» (cf Gv 10,18). Consegnò la propria vita nei segni del pane e del vino, la «pose giù», ai piedi degli uomini nella lavanda dei piedi: svuotò se stesso, depose le vesti di gloria e vestì quelle di servo. E fu servo. Poi comandò, di fare quello che aveva fatto lui. I suoi, come lui, dopo aver udito bene la Parola e nell’obbedienza più libera e assoluta, dovranno prendere la loro vita e metterla giù, nel segno eucaristico del pane e del vino e consegnarsi tutti, mettere a disposizione la propria vita, lasciarsene espropriare per significare l’assoluta appartenenza al Padre e alla sua volontà di salvezza che è per tutti. Nessuno vive per se stesso e nessuno muore per se stesso. Il Maestro Gesù ha legato l’umanità a sé come osso delle sue ossa e carne della sua carne nell’incarnazione in Maria ad opera dello Spirito Santo; furono quelle nozze di Spirito Santo per uno Sposo di sangue per l’ultima e definitiva alleanza. Queste nozze furono consumate nel segno del pane e del vino, nella lavanda dei piedi, trovando pienezza e verità sul talamo nuziale della croce dove, dal fianco squarciato dell’Adamo nuovo, nasce la Sposa da sangue e acqua. Tutto è compiuto dal dono dello Spirito Santo che via via, nel cuore dei battezzati, cresimati ed eucaristizzati opera la conformità al Divino Maestro. Dopo Gesù, già i Vangeli e gli scritti del Nuovo Testamento testimoniano di uomini e donne che si lasciarono consacrare dallo Spirito fino ad assomigliare a Gesù. Trascurandone molti possiamo ricordare Maria e Giuseppe, Giovanni il battezzatore, i dodici, Paolo e poi i santi come Antonio, Agostino, Benedetto, Francesco, Domenico, Caterina, Teresa, Ignazio e molti, molti altri fino ai nostri giorni, ne siamo testimoni oggi: schiere di martiri e santi come Romero, il beato Paolo VI e i martiri di ogni giorno per la fede. Sono un

nugolo di testimoni. Per l’incarnazione, Cristo è lo Sposo per tutti ma ad alcuni chiede di divenire un segno di ciò: tu vieni con me, tu seguimi. Quel che è per tutti qui è vissuto in maniera intensa si potrebbe dire, esemplare come profezia e segno per indicare quale sia il destino e la vocazione di tutti. Il segno chiede l’eccesso, assolutizza per essere ìndice e speranza. È nell’Eucaristìa, allora, che la vita consacrata trova il senso ultimo e vero: essa è, può, deve essere una vita eucaristica. Ma qui dovremmo dire: come quella degli sposi cristiani! Sì, perché il dono reciproco e incondizionato degli sposi sono il sacramento vivo dell’unione di Cristo con la Chiesa, umanità nuova fatta da lui. Questo dono ha sapore eucaristico. Gli sposi non possono fare a meno della Vita Consacrata perché questa ricorda loro che, insieme i due, sono la Chiesa sposa, tutta relativa a Cristo. L’incarnazione del Signore spiega ed è fondamento di entrambe queste due forme di vita che si illuminano e si aiutano a vicenda. Nella Lettera «Scrutate» della Congragazione per la Vita Consacrata si dice che «sono due i “luoghi’’ in cui, in maniera privilegiata il Vangelo si manifesta, prende corpo, si dona: la famiglia e la vita consacrata». «Benedico il Signore per la felice coincidenza dell’anno della Vita Consacrata con il Sinodo sulla famiglia. Famiglia e vita consacrata sono vocazioni portatrici di ricchezza e grazia per tutti spazi di umanizzazione nella costruzione di relazioni vitali, luoghi di evangelizzazione. Ci si può aiutare gli uni gli altri» (cf Lettera del papa ai religiosi 111,2). Ecco, la liturgia ci forma, ci accompagna con sapienza e amore fino a queste vette. Sino a tutta la volontà di Dio sulle creature che egli ama come abbiamo vissuto a Natale, nella fede e vedremo a Pasqua come al vertice.

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Nota del Vescovo Luciano

sulle apparizioni mariane

Da un avviso parrocchiale: “Domenica, …., alle ore 16,30… recita del santo Rosario; seguirà la celebrazione della Messa. Alle ore 18,40 la veggente avrà l’apparizione della Madonna…” Mi viene un sussulto: come? si può programmare anche giorno e ora dell’apparizione della Madonna? Immagino la Madonna che, assunta in cielo in corpo e anima, viene nella parrocchia x, nel momento in cui la veggente la invoca e mi sento un poco a disagio. Negli ultimi tempi le ‘apparizioni’ della Madonna si moltiplicano, tanto che si ha l’impressione di una strategia di rivelazione universale. Ai luoghi tradizionali (Lourdes, Fatima, La Salette…) se ne aggiungono molti nuovi, tanto che i vescovi fanno fatica a seguire tutto, a valutare la veridicità delle esperienze, a suggerire o scoraggiare l’afflusso dei pellegrini nell’uno o nell’altro luogo. Incoraggiare potrebbe essere un invito alla superstizione, al gusto dello straordinario; scoraggiare potrebbe es-

sere una mortificazione dello spirito religioso. Come comportarsi? Come vuole Dio che ci comportiamo di fronte a questi fenomeni? Si ricorre al criterio evangelico dei frutti: se i frutti sono buoni, vuol dire che è buono l’albero, e viceversa. Ma anche questo non è un criterio sicurissimo: bisognerebbe che i frutti fossero tutti di un tipo – o tutti buoni o tutti cattivi. E purtroppo, di solito, i frutti si trovano mescolati; ci sono molti che si convertono e ritrovano la fede, la voglia di pregare: frutti buoni; ci sono anche manifestazioni di fanatismo o interessi economici ambigui: frutti acerbi. Partiamo da una domanda semplice: dove si trova il Signore Gesù risorto? E dove si trova sua madre, risorta dopo di Lui e a motivo di Lui? Naturalmente non si trovano in un luogo particolare del mondo; in questo caso, sarebbe definibile il loro ‘luogo’ con delle coordinate cartesiane. Non è così: il luogo del Signore risorto, quello che sarà il luogo di tutti i risorti con Lui è semplicemente Dio. Gesù risorto vive in Dio; Maria assunta vive in Dio; noi risorgeremo in Dio. Naturalmente, né io né chiunque altro può spiegare come sia fatto questo misterioso ‘luogo’ che è Dio stesso o come si possa ‘abitare’ in questo luogo; non possiamo perché non conosciamo Dio se non in modo parziale, attraverso l’analogia. Vengono in memoria le parole decisive del Concilio Lateranense IV secondo il quale il vero Dio è “immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile” e, di conseguenza, “tra il creatore e le creature non si può osservare una qualche somiglianza che non si debba osservare tra loro una dissomiglianza più grande.” Quando diciamo di Maria che ‘appare’ a qualcuno in un luogo e in un tempo particolare vogliamo dire in quel luogo e in quel tempo una persona (o un gruppo di persone) ha vissuto un’esperienza singolare e intensa della presenza di Maria; che ha ‘visto’ una forma umana riconoscibile come quella di Maria e udito parole umane la cui origine viene attribuita a 26


Maria. Il fatto che altre persone, presenti nello stesso luogo e tempo, non facciano la medesima esperienza (non vedano la stessa forma e non sentano le stesse parole) significa che la percezione di Maria non è una percezione naturale (che ha origine cioè dai sensi e dal loro funzionamento usuale), ma, eventualmente, un dono speciale concesso a qualcuno per un motivo particolare di Dio. La forma, la natura, le caratteristiche di questa esperienza dipendono dal dono di Dio (che è libero) e dipendono dalla capacità ricettiva della persona stessa (che è comunque limitata). Posto questo, posso rivedere le immagini che mi erano venute in testa leggendo: alle ore 18,40 (colpisce la precisione!) apparirà la Madonna. Questo non vuol dire che la Madonna accorrerà in quel momento nella parrocchia di x lasciando il paradiso di Dio; e nemmeno che chi sfortunatamente in quel momento si trovasse lontano dalla parrocchia di x dovrebbe necessariamente rinunciare a incontrare la presenza di Maria perché Maria è ‘altrove’. Vuol dire invece che la veggente, che vive una devozione mariana particolarmente intensa e ha avuto doni di preghiera particolarmente vivaci, si porrà in quel momento in un atteggiamento di preghiera, nel contesto di una comunità che pregherà con lei; che questa preghiera potrà renderla ‘recettiva’ nei confronti della presenza soprannaturale di Maria (una presenza che, in qualche modo, c’è sempre quando un cristiano prega, ma che qualcuno, in un momento particolare, per grazia, può percepire con maggiore intensità e chiarezza); che addirittura, se Dio vorrà, in questa esperienza potrà accogliere un invito a un cammino di purificazione e di santificazione; che questa esperienza intensa potrà sollecitare altre persone presenti a fare anch’esse, nella preghiera, esperienza della vicinanza di Maria e, attraverso questa esperienza, esperienza dell’amore (anche) ‘materno’ di Dio stesso… Per que-

sto assume grande rilevanza il giudizio sulla maturità, la fede, la sincerità, l’umiltà, il disinteresse dei ‘veggenti’. In ogni modo vale anche per questa esperienza un principio della filosofia scolastica, secondo cui: “quicquid recipitur, ad modum recipientis recipitur”, e cioè: tutto ciò che viene ricevuto, viene ricevuto secondo la capacità e il modo di ricevere di colui che lo riceve. Il professore dice le medesime parole a una scolaresca intera, ma ciascuno degli ascoltatori riceverà i messaggi dell’insegnante secondo la sua capacità di ricevere (di capire, comprendere, afferrare). La ‘veggente’ parla e descrive la sua esperienza religiosa, sembra avere qualità buone di ‘ricezione’, altre persone sono portate ad aver fiducia in lei e accolgono come vere le sue parole, sono attirate a pregare a loro volta; ma, come per tutti, anche la ricezione della ‘veggente’ non è completa e perfetta e la sua esperienza non può diventare una regola che definisce l’esperienza religiosa degli altri. Ci potranno essere reazioni diverse: per alcuni pregare insieme alla veggente (o dove ha pregato la veggente) significherà fare un’esperienza particolarmente intensa, sentire un invito urgente alla fede, a una vita nuova e migliore; per altri quella esperienza rimarrà una semplice (che non significa banale!) esperienza di preghiera mariana. Bisogna però diventare attenti ai rischi che sono presenti in ogni esperienza religiosa di questo tipo: il primo è che la fede cristiana venga ridotta ai fenomeni straordinari mentre la vera misura della fede è l’obbedienza a Dio (“fare la volontà di Dio”) nel quotidiano; il secondo è che il gusto del miracoloso allontani dalla fatica di vivere la durezza del mondo per gustare la dolcezza dei mondi immaginari; il terzo è che nella figura di Maria vengano sottolineati elementi secondari e ci si allontani dall’essenziale: il suo ascolto della Parola di Dio, la sua fede obbediente, la sua maternità divina, la sua esemplarità nei confronti del mistero della Chiesa. In concreto: se qualcuno trova in queste esperienze un arricchimento della fede, se ne serva con semplicità. Ma stia bene attento a verificare in se stesso gli effetti reali: sappia distinguere una reale crescita di maturità spirituale da un’emozione spirituale ambigua. È sempre possibile vivere processi di regressione nei quali diminuisce il senso di responsabilità delle proprie azioni: andare 27


dietro a illusioni non è senza conseguenze negative sulla propria vita. Per un cristiano il criterio vero è Gesù Cristo: questa esperienza ti porta a conoscere meglio e ad amare di più Gesù Cristo? Ti spinge a una vita più evangelica, cioè più ricca di fede in Dio, di amore verso gli altri, di dominio di te stesso, di servizio umile…? O in questa esperienza sei portato a dimenticare Gesù Cristo, ad abbandonare la Messa, a considerare superflua la Chiesa? Cerchi forse una via di fuga facile dalla realtà troppo pesante? Se vuoi essere all’altezza della tua dignità di persona umana, devi porti questi interrogativi e devi rispondere con verità. Al contrario, se qualcuno non sente bisogno di queste esperienze o non trova in esse un nutrimento vero dalla sua vita spirituale, rimanga tranquillo; non si faccia scrupoli come se stesse rifiutando una grazia, ma non diventi nemmeno accusatore impietoso della fede (considerata infantile) degli altri. Una cautela particolare debbono avere, però, i preti. Il motivo è che un prete appartiene strutturalmente a un presbiterio e quindi coinvolge il presbiterio intero nella sua predicazione e nel suo ministero pastorale. I fedeli hanno il diritto di ricevere dai preti un insegnamento e una prassi sacramentale che li inserisca correttamente e in pienezza nel mistero della Chiesa, niente di meno (quindi un prete non può ‘facilitare’ l’appartenenza alla Chiesa esonerando da comportamenti necessari) e niente di più (quindi un prete non può esigere niente di più di quanto esige la Chiesa). Per questo un prete deve stare attento che i suoi comportamenti non si configurino (e non possano essere interpretati) come un’approvazione indebita di fenomeni sui quali la Chiesa non ha ancora dato un giudizio; si renderebbe responsabile delle illusioni

e delle conseguenti deformazioni spirituali delle persone. Ho steso queste riflessioni senza riferirmi a casi particolari. Ho parlato quindi di ‘apparizioni’ in genere, prescindendo dai ‘messaggi’ che a volte sono legati a questi fenomeni. Sui messaggi bisognerebbe aggiungere altre riflessioni: che debbono essere uno stimolo a un’autentica vita di fede, di speranza e di carità; che debbono essere conformi con l’insegnamento del vangelo, con la fede della Chiesa, con la morale cristiana; se un messaggio si oppone alla fede (al Credo), il messaggio certo non viene da Dio. Soprattutto bisogna essere cauti quando si tratta di ‘profezie’ che anticiperebbero eventi (generalmente paurosi) del futuro. Nella maggior parte dei casi queste profezie sono fughe da un presente difficile da capire e da vivere, nascono da un risentimento inconsapevole nei confronti del mondo e della storia, distraggono le persone dalla responsabilità di vivere qui, oggi la volontà di Dio. Ma su tutto questo il giudizio ultimo appartiene al Papa e al collegio dei vescovi insieme con lui. A me e al presbiterio insieme con me il Signore chiede di vegliare perché il cammino dei credenti sia indirizzato correttamente verso una crescita di fede e non devii invece verso un desiderio non sano di cose straordinarie. I segni sono certamente preziosi, ma, in sé rimangono insufficienti (cf. Mt 7,22-23) e possono anche essere ambigui (cf. Mc 13,22); la fede nel Signore Gesù morto e risorto, l’amore verso il prossimo sono invece pienezza di bene e fondamento sicuro di speranza. A questo ci conducono la Parola di Dio e l’eucaristia che debbono essere la traccia centrale del nostro impegno di tutti i giorni. Il Signore ci benedica e ci faccia crescere e abbondare nella fede e nell’amore.

† Luciano Monari Brescia, 8 settembre 2014 Festa della Natività della Beata Vergine Maria

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INSERTO

Tra il 9 e il 13 novembre 2015, a Firenze, si terrà un nuovo Convegno Ecclesiale Nazionale, che i Vescovi hanno titolato: In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. A tale appuntamento desideriamo avvicinarci con impegno ed entusiasmo. Queste pagine vogliono suscitare l’interesse e la disponibilità di tutti a collaborare affinché l’incontro di Firenze sia un autentico evento ecclesiale, comunitario e comunionale. Perché ciò avvenga serve un vero e corale discernimento, per realizzare un incontro capace di orientare la vita della Chiesa in Italia. In questo esercizio ci lasciamo ispirare da papa Francesco, che ne è interprete autorevole: «Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace. E questo è il tempo del discernimento, che si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente i poveri» (Intervista a La Civiltà Cattolica). 29


Un cammino mai interrotto, lungo la scia conciliare

Quello di Firenze sarà il quinto Convegno Ecclesiale Nazionale. Il primo si tenne nel 1976 a Roma sul tema Evangelizzazione e promozione umana, quindi fu la volta di Loreto nel 1985 (Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini), Palermo nel 1995 (Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia) e Verona nel 2006 (Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo). Di fatto nel nostro Paese i cinquant’anni dal Concilio sono stati cadenzati da questi eventi ecclesiali, quasi a rimarcare con anniversari decennali l’eredità conciliare. In questa luce, il tema di ogni Convegno ha incrociato di volta in volta quello degli Orientamenti pastorali del decennio entro cui il Convegno stesso si collocava: Evangelizzazione e sacramenti per il primo decennio (gli anni Settanta), quindi Comunione e comunità (gli anni Ottanta), Evangelizzazione e testimonianza della carità (gli anni Novanta), Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2000-2010) ed Educare alla vita buona del Vangelo per il decennio in corso. In tale cammino di rinnovamento non è difficile scorgere alcune costanti che complessivamente delineano il percorso delle nostre Chiese. Al centro dell’attenzione è sempre rimasta l’evangelizzazione, attuata in spirito di dialogo con il contesto sociale italiano. La Chiesa, infatti, esiste non per parlare di sé né per parlarsi addosso, bensì per annunciare il Dio di Gesù Cristo, per parlare di Lui al mondo e col mondo. La missione vive di questo «colloquio» – come scriveva Paolo VI- nell’enciclica Ecclesiam suam – tramite il quale la Chiesa annuncia la ricapitolazione di tutti e di tutto in Cristo Gesù, decifrandone gli indizi nella storia degli uomini e argomentandone i motivi alla luce del Vangelo. Di conseguenza, sempre desta è stata anche l’attenzione nei riguardi dell’humanum, chiamato insistentemente in causa: nella prospettiva della promozione umana a Roma; nell’orizzonte comunitario e in quello sociale rispettivamente a Loreto e a Palermo; infine, a Verona, sotto le cifre esistenziali degli affetti, del lavoro e della festa, della fragilità, dell’educarsi vicendevolmente e del convivere nel rispetto di regole stabilite democraticamente. Il Vangelo annunciato dalla Chiesa illumina di senso il volto dell’uomo e permette di intuire le risposte meno scontate ai suoi interrogativi più profondi (cf. Gaudium et spes 41).

Si può discutere – come del resto s’è fatto

– su modalità, contenuti ed esiti di questi Convegni ecclesiali, ma non si può non riconoscere che essi hanno contribuito a delineare il volto storico delle nostre Chiese, innescando una serie di reazioni virtuose utili a dare vitalità alle nostre Diocesi. Questa prassi realizza la Chiesa quale esperienza di comunione, allenandola a vivere la sua vocazione di «sacramento dell’unità del genere umano» in cammino verso Dio (Lumen gentium 9). Non è fatica da poco; per riuscire a sostenerla è necessario apprendere, sempre daccapo e sempre meglio, la lezione del dialogo, dell’incontro col mondo e, prima ancora, del confronto tra le varie componenti della comunità ecclesiale. Per questo, ancora una volta, a quasi dieci anni dal Convegno di Verona, torniamo a sentire il bisogno di “convenire”, di rimetterci in cammino per incontrarci in un luogo in cui esprimere sinfonicamente la comune e, insieme, sempre peculiare esperienza credente di ogni Diocesi; per verificare la strada percorsa a partire dall’evento conciliare e valutare seriamente i risultati dei processi di cambiamento. A questo proposito bisognerà registrare ciò che ancora non si è fatto al fine di attuarne le indicazioni, accogliendo sino in fondo le potenzialità che l’insegnamento del Concilio mantiene, specialmente quando ci ricorda che «nel mistero del Verbo incarnato viene chiarito il mistero dell’uomo. […] Solamente fidandoci di Gesù Cristo conosciamo che il destino dell’uomo è partecipare della sua stessa figliolanza; è chiamata a oltrepassarsi incessantemente, non per divenire altro da sé, bensì per assumere la propria identità grazie alla relazione con l’Altro. Si tratta di una promessa il cui profilo ultimo è costituito dal Risorto, nostra incrollabile speranza, che già si va realizzando – qui e ora – per ciascuno. Ciò avviene sulla base di alcune premesse fondamentali: la natura personale che ci distingue da tutti gli altri esseri, senza però indurci a disinteressarci o a separarci dal creato; la spontanea inclinazione alla reciproca dedizione e alla solidarietà; la nostra responsabilità a interloquire con Chi ci interpella nella profondità della nostra coscienza; un’autonomia non autoreferenziale, che si traduce in un maturo esercizio della libertà.

In consonanza 30


In consonanza con gli Orientamenti pastorali del decennio «Chiunque segue Cristo, uomo perfetto, di-

venta anche lui più uomo» (Gaudium et spes 41). Quest’affermazione non ha nulla in comune con il mito del super-uomo che alcuni pensatori della tarda modernità hanno teorizzato. Ci dice, piuttosto, che la perfezione dell’umanità si lascia intravvedere nella figura martoriata di chi, innocente, viene condannato a morte. «Ecce homo»: il Vangelo, paradossalmente scandaloso per chi non attinge alla sapienza di Dio, annuncia una nuova visione dell’uomo. Nella croce Dio si mostra non più lontano rispetto alla sofferenza umana, la quale assume così un significato nuovo che consente di vincerne l’aspetto disumanizzante. La modernità – con i suoi proclami sulla morte di Dio, le sue antropologie pervase da volontà di potenza, le sue conquiste e le sue sfide – ci consegna un mondo provato da un individualismo che produce solitudine e abbandono, nuove povertà e disuguaglianze, uno sfruttamento cieco del creato che mette a repentaglio i suoi equilibri. È tempo di affrontare tale crisi antropologica con la proposta di un umanesimo profondamente radicato nell’orizzonte di una visione cristiana dell’uomo ricavata dal messaggio biblico e dalla tradizione ecclesiale, e per questo capace di dialogare col mondo. Tale relazione non può prescindere dai linguaggi dell’oggi, compreso quello della tecnica e della comunicazione sociale, ma li integra con quelli dell’arte, della bellezza e della liturgia. Perché questo dialogo col mondo sia possibile dobbiamo affrontare insieme quella che gli Orientamenti pastorali definiscono una vera e propria «emergenza educativa», «il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”» (Educa-

Il tu e il noi – gli altri – nell’epoca in cui viviamo sono spesso avvertiti come una minaccia per l’integrità dell’io. La difficoltà di vivere l’alterità emerge dalla frammentazione della persona, dalla perdita di tanti riferimenti comuni e da una crescente incomunicabilità. I fraintendimenti più gravi sono, però, di carattere teologico: per un verso, si presume unilateralmente che “Dio non è l’Altro”, per cui se ne misconosce la trascendenza e lo si confonde col mondo stesso; per altro verso, si giunge a considerare esclusivamente che “Dio è l’Altro”, fino a ipotizzare la sua irrilevanza per il mondo e per l’uomo o a interpretarlo secondo un lacerante autaut, che implica l’alternativa tra Dio e l’uomo. Come superare l’interruzione della relazione con l’Altro, così nociva per la giusta comprensione dell’uomo? Di questo interrogativo il Convegno ecclesiale di Firenze intende farsi carico per ripensare, guardando a Cristo Gesù, il rapporto tra Dio e l’uomo e degli uomini tra di loro. A tale riflessione vogliamo prepararci. Si tratta innanzitutto di riguadagnare la consapevolezza del nostro provenire da Dio: non siamo Dio, ma siamo da Dio e, conseguentemente, per Dio. Non possiamo più pensare: “O io, o Tu”, ma siamo spinti a riconoscere: “Io grazie a Te”. L’uomo proviene dall’Intimo di Dio; anzi, è impastato di Dio. È Lui che ci permette di diventare consapevoli delle nostre migliori e più nobili possibilità, della nostra dignità, della nostra altissima vocazione. Non siamo archetipo di noi stessi, ma immagine di Dio, riflessi di un’icona che sta nell’Intimo di Dio. Egli non è l’Altro estraneo e irraggiungibile; è Padre, che – grazie all’inedita prossimità con l’uomo in Gesù Cristo – ci consente di riconoscerci figli, e dunque fratelli. Ogni volta che lo dimentichiamo, soprattutto nell’esperienza amara del peccato, impoveriamo noi stessi: rifiutando Dio, gli uomini «divennero disuniti in se stessi e smarrirono il sapere circa se stessi. Il loro essere dimenticò il proprio nome. Da allora in poi il nome e l’essere si cercarono a vicenda senza mai trovarsi» (R. Guardini).

Di fatto, esser uomo significa per ciascuno di noi fare i conti con l’esperienza dei nostri limiti, da intendere non come dei rassicuranti confini cui rassegnarci, ma come una soglia da valicare continuamente, per incontrare e conoscere ciò che sta oltre noi e rientrare poi in noi e sedimentare nella nostra coscienza il senso dell’incontro e i contenuti della conoscenza. Può compiersi così il riscatto della verità dell’uomo, ritrovata nel rapporto con Dio e perciò ricompresa non più in termini individualistici, bensì in re alla vita buona del termini autenticamente personali e relazionali. Vangelo 9). 31


L’umanesimo cristiano nella storia

zioni” culturali, a cominciare da quella copernicana, rappresentasse un’interruzione della concezione dell’uomo pensato come creatura di Dio. In realtà l’umanesimo rinascimentale fu un crocevia delicato, in cui divenne evidente l’intima connessione tra la dipendenza dell’uomo da Dio e la sua capacità creativa, entrambe riflesso di quella somiglianza con Dio di cui parla la Genesi. Da quel crocevia, nondimeno, ha preso le mosse un processo di differenziazione interna all’umanesimo che ha separato ciò che in realtà è unito, contrapponendo artificialmente creaturalità e creatività, e teorizzando la libertà della seconda nella negazione della prima. Oggi l’umanesimo cristiano sembra essere soltanto una variante minoritaria tra i numerosi e differenti umanesimi che preferiscono non richiamarsi ad alcuna ispirazione evangelica. Secondo taluni pensatori saremmo entrati nell’epoca post-moderna, definita anche come epoca post-secolare. Il processo di secolarizzazione, iniziato con la messa in discussione del cristianesimo quale principio sintetico dell’umanesimo, dopo vari tentativi di cercarvi alternative sembra ormai giunto al suo esaurimento. Oggi non esiste più un principio sintetico che possa costituire il fulcro di un nuovo umanesimo. Per questo, pur nella consapevolezza della natura plurale dell’odierna società, uno degli scopi del Convegno è quello di proporre alla libertà dell’uomo contemporaneo la persona di Gesù Cristo e l’esperienza cristiana quali fattori decisivi di un nuovo umanesimo. Crediamo, infatti, che l’annuncio dell’evento di Cristo sia capace di interagire con Chiese e confessioni cristiane, con le religioni e con le diverse visioni del mondo, valorizzando tutti gli elementi positivi che la modernità può offrire in abbondanza. I cristiani, in quanto cittadini, desiderano abitare con questo stile la società plurale, protesi al confronto con tutti, in vista di un riconoscimento reciproco. D’altra parte, nell’Italia contemporanea, lo stesso umanesimo cristianamente ispirato si è configurato come un fenomeno pluralistico: nel suo alveo sono confluite le esperienze di personalità diverse per stato di vita, per estrazione culturale, per sensibilità spirituale, dai grandi santi ai tanti testimoni impegnati nel servizio della carità, nell’opera educativa, negli spazi dell’impegno culturale, sociale e politico. Quella del Convegno è, così, l’occasione perché ogni Chiesa possa ripensare anche alle figure s i g n i f i cat i ve che in epoche diverse hanno indicato la via di un autentico umanesimo cristiano.

Se partecipiamo di Cristo, Uomo nuovo, non possiamo che comportarci da uomini rinnovati: solidali a Lui, di Lui viviamo e con Lui camminiamo. Come ha scritto papa Francesco a proposito dell’essere umano, «nel suo aprirsi all’amore originario che gli è offerto, la sua esistenza si dilata oltre sé. “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) [...]. L’io del credente si espande per essere abitato da un Altro, per vivere in un Altro, e così la sua vita si allarga nell’Amore » (Lumen fidei 21). Dai Padri della Chiesa antica al monachesimo medievale quest’intuizione è rimasta al centro del patrimonio spirituale e culturale con cui il cristianesimo ha dato il suo contributo alla storia d’Europa. Molte opere d’arte italiane dei secoli XI-XIII testimoniano un precoce interesse per l’uomo come soggetto: si pensi, ad esempio, alla facciata del duomo di Modena, dove il maestro Wiligelmo scolpì la sua originale interpretazione della creazione di Adamo, che il Creatore anima davanti a sé sino a conferirgli la Sua stessa sovrana postura, la Sua medesima altezza, facendone un riverbero fedele della Sua dignità. Se dal versante della creazione volgiamo lo sguardo a quello della redenzione, nella Pietà di Michelangelo, che la cattedrale di Firenze custodisce nel suo museo, il volto dello scultore ormai anziano si riproduce in quello di Nicodemo: quasi una confessione di fede dell’artista che propone all’uomo la missione di “portare” Cristo, il quale sembra “nascere” dal suo petto. Proprio nella città di Firenze l’incontro tra umanesimo classico e visione cristiana dell’uomo ha raggiunto il suo vertice storico tra il XIV e il XVI secolo. Un tempo gli storici presumevano che l’umanesimo rinascimentale, facendo da apripista alla modernità e alle sue “rivolu

Duomo di Modena, dove il maestro Wiligelmo scolpì la sua originale interpretazione della creazione di Adamo 32


Per una Chiesa esperta in umanità

Tenendo presente questo straordinario

panorama, prepararsi al Convegno di Firenze può rappresentare per le Chiese che sono in Italia l’occasione propizia di ripensare lo stile peculiare con cui interpretare e vivere l’umanesimo nell’epoca della scienza, della tecnica e della comunicazione. La speranza è di rintracciare strade che conducano tutti a convergere in Gesù Cristo, che è il fulcro del «nuovo umanesimo»; della sua «nascita» dentro la storia comune degli uomini noi cristiani siamo consapevoli e convinti «testimoni» (cf. Gaudium et spes 55). Questa fede ci rende capaci di dialogare col mondo, facendoci promotori di incontro fra i popoli, le culture, le religioni. Come ha scritto papa Francesco, «il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la strada del dialogo con tutti». La verità dell’uomo in Cristo non è opprimente e nemica della libertà: al contrario, è liberante, perché è la verità dell’amore e, come tale, «può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo » (Lumen fidei 34). Ecco perché vale la pena di accogliere il richiamo all’umano con cui veniamo proiettati verso Firenze. È stato il magistero pontificio contemporaneo a lanciare quest’appello: pensiamo all’attenzione verso le «realtà nuove» auspicata da Leone XIII, al richiamo in favore della «causa dell’uomo» risuonato nei radiomessaggi natalizi di Pio XII, alla discussione sui temi della giustizia sociale, della solidarietà economica, del rispetto per i più deboli, della pace tra i popoli, avviata in encicliche che hanno segnato un’intera epoca come la Mater et magistra e la Pacem in terris di Giovanni XXIII, o la Populorum progressio e l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, per giungere alla Redemptor hominis, alla Centesimus annus, alla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II e alla Caritas in veritate di Benedetto XVI. L’appello all’umano, fatto proprio dal Concilio, chiama in causa valori, grazie ai quali e per i quali l’uomo formula le sue rivendicazioni, affronta le sue preoccupazioni, vive le sue speranze: l’uomo inteso, però, non solo nella sua essenza, bensì nella sua storicità, e più esattamente nella sua storia rea-

le. Per questo la vera questione sociale oggi è diventata la questione antropologica: la difesa dell’integrità umana va di pari passo con la sostenibilità dell’ambiente e dell’economia, giacché i valori da preservare sul piano personale (vita, famiglia, educazione) sono pure determinanti per tutelare quelli della vita sociale (giustizia, solidarietà, lavoro). Nelle pieghe della storia, l’umano – con i suoi valori intrinseci – non è evidente e neppure ovvio; perciò, se vogliamo ripensarlo e riaffermarlo, dobbiamo esercitare il discernimento, affinare le nostre capacità di interpretazione. Indicazioni importanti vengono, a tal proposito, dal Concilio Vaticano II. Una prima indicazione può essere rintracciata nella Gaudium et spes, secondo cui «dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (22). Il «tutti» cui si riferisce il testo conciliare indica non solo i cristiani ma «anche tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia». In essi la buona volontà è risvegliata in modo misterioso dall’intervento di Dio, la cui voce risuona all’interno della coscienza, che resta istanza decisiva con cui confrontarsi (cf. 16). Una seconda indicazione può essere trovata ancora nella stessa Costituzione, lì dove «attira l’attenzione su alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti», invitando a considerarli «alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana» (46). Tra i «problemi » ci sono quelli della famiglia, della cultura, dell’economia, della politica, della convivenza sociale, della custodia del creato, della pace. Di questi problemi, secondo il Concilio, occorre maturare un’intelligenza credente, in forza dell’intreccio reciproco tra fede e ragione e, ancor più radicalmente, tra il dirsi di Dio e il vissuto dell’uomo. Così l’umano – considerato alla luce del Vangelo – viene da ogni lato raggiunto da Dio.

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Smettere di fare calcoli

E’ stato delineato un percorso di idee e passi da com-

piere per la preparazione al Convegno. Ricordiamoci che quello che maggiormente vale è mettere al centro dell’umanesimo cristiano l’Eucaristia, fonte e principio ispiratore di novità di vita in Gesù Cristo. «Che cos’è questo per tanta gente?»: viene da chiederselo ancora, enfatizzando di nuovo l’evidenza oggettiva con cui ci scontriamo allorché registriamo – come già gli apostoli (cf. Gv 6,1-13) – le nostre insufficienze ecclesiali, l’esiguità delle nostre risorse ed energie pastorali, persino la patina ossidata che intacca la nostra speranza, mentre scenari difficili si squadernano con ritmi incalzanti davanti a noi. Sì, in questo facciamo veramente la medesima esperienza di inadeguatezza con cui i primi discepoli dovettero fare i conti quando si sentirono provocati da Gesù a farsi carico della fame, delle attese, delle rivendicazioni della folla: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Tale affermazione esprime una buona dose di realismo, una immediata attitudine alla disamina e al calcolo, una consapevolezza lucidamente critica e coerente con la situazione; ma dichiara anche l’impotenza a intervenire. Dall’immobilismo rinunciatario, tuttavia, Gesù si smarca con serena risolutezza, insegnando ai suoi a fare altrettanto, grazie a un gesto nuovo, d’impronta eucaristica: prende i cinque pani e i due pesci di cui essi dispongono e, rendendo grazie al Padre, li distribuisce a tutta quella gente. E, così, già nelle dimensioni prima prese in considerazione: la relazione con l’Altro, cui ricondursi e consegnarsi con la propria povertà, e il rapporto con gli altri, cui volgersi e dedicarsi senza titubanze e senza riserve. Per i discepoli si aprono strade che sino a quel momento non avevano osato percorrere: verticalmente verso Dio e, orizzontalmente, incontro a coloro di cui si avvertono e condividono i bisogni, per toccarli e lasciarsi toccare da loro, per prendersene cura e accogliere tutti in solidale e fraterna custodia (cf. Lc 9,11; Mt 14,16; Mc 6,36-37). Così – scrive san Paolo – i discepoli inaugurano una novità destinata a trasfigurare l’umanità: nella comunione con e in Gesù Cristo, superano ogni discriminazione tra giudeo e greco, tra schiavo e libero, tra uomo e donna (cf. Gal 3,28), incontrano tutti – «coloro che sono sotto la legge», «coloro che non hanno legge», «coloro che sono deboli» – e, per «essere partecipi del Vangelo insieme con loro», si sottopongono alla legge, vanno oltre la legge, si fanno piccoli e si mettono al servizio (cf. 1Cor 9,19-23), sapendo di doversi sobbarcare la debolezza di chi non ce la fa (cf. Rm 15,1). Dandoci appuntamento a Firenze, desideriamo anche noi esercitarci secondo lo stile di Gesù, con nel cuore seminata la certezza che ha fatto cantare i nostri giovani alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro: «Annunciare il Vangelo a tutti,

e (tornare a) fare Eucaristia Pietà di Michelangelo, museo cattedrale di Firenze, il volto dello scultore ormai anziano si riproduce in quello di Nicodemo: una confessione di fede dell’artista che propone all’uomo la missione di “portare” Cristo, il quale sembra “nascere” dal suo petto.

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vuol dire già trasformare l’uomo vecchio in un nuovo uomo».


DALLE CHIESE LOCALI: IL “DI PIÙ” DELLO SGUARDO CRISTIANO

I

l primo importante aspetto che risalta è che, a fronte di un Paese descritto dai media e dalle statistiche come in crisi, sfilacciato e stanco, dove le forze positive, pur presenti, non riescono a trovare una rappresentanza e dei canali per esprimersi, dalle Diocesi e dalle associazioni e movimenti emerge un’immagine alquanto diversa.

Quattro forme incarnate Quale figura dell’umano scaturisce dunque dalla narrazione del cammino delle comunità? È possibile riconoscerne quattro: un umanesimo che è in ascolto; concreto; plurale e integrale; d’interiorità e trascendenza.

1 Un umanesimo

Il tema del Convegno è stato percepito come in ascolto cruciale e insieme problematico. Per evitare il rischio di teorie prescrittive e astratte, la raccomandazione condivisa è di partire dall’ascolto del vissuto: una via, questa, capace di riconoscere la bellezza dell’umano “in atto”, pur senza ignorarne i limiti. Un umanesimo, perciò, consapevole sia dell’inadeguatezza delle forze («abbiamo solo cinque pani», come si legge nei vangeli) sia del “di più” di umanità che si sprigiona dalla fede e dalla condivisione. «In ascolto» non vuol dire, infatti, appiattito sul dato di fatto, in apparenza liberante ma in realtà foriero di nuove e più cogenti schiavitù. Ascoltare l’umano significa, dunque, vedere la bellezza di ciò che c’è, nella speranza di ciò che ancora può venire, consapevoli che si può solo ricevere. Altra sentita raccoman2 Un umanesimo dazione riguarda il priconcreto mato di un umanesimo incarnato («La realtà è superiore all’idea» leggiamo in Evangelii gaudium 233), che offre risposte concrete alle sfide odierne. “Concretezza” significa parlare con la vita, trovando la sintesi dinamica tra verità e vissuto, seguendo il cammino tracciato da Gesù. Le esperienze raccontate offrono diverse sfumature di questa concretezza: riconoscere i bisogni anche meno manifesti; immaginare azioni di risposta adeguate, non ossessionate dall’efficienza; la disposizione accogliente delle varie situazioni e, in qualche modo, persino eccedente la domanda; la capacità delle azioni intraprese – pur nel loro

essere orientate – di fermarsi e ridefinirsi lungo il cammino. I percorsi non si appiattiscono sulla contingenza, ma colgono acutamente il presente perché illuminati da una tradizione e orientati verso un orizzonte, in una prospettiva che non è solo materiale. Le azioni sanno guardare oltre il gruppo ristretto e sono capaci – come suggerisce papa Francesco in Evangelii gaudium 224 – di dar vita a processi, mobilitare risorse, combattere l’indifferenza con l’attenzione all’altro. Da una parte oggi è viva la tentazione di sentirsi onnipotenti: l’umanità inebriata dalle possibilità tecniche e dalle sue nuove capacità. Dall’altra parte, la pretesa autosufficienza rivendicata dall’uomo lascia sempre più spazio a una altrettanto diffusa percezione del limite umano, legata alla difficoltà dei tempi, alla finitezza delle risorse ambientali, all’incapacità di costruire rapporti durevoli di collaborazione e non ostilità tra i popoli. Davanti alla carenza di bussole per orientarsi in un presente in cui le mappe conosciute sembrano non essere più di aiuto, le comunità cristiane rappresentano un importante riferimento. Pur condividendo il senso diffuso di fragilità, alla rassegnazione rispondono gettando semi di speranza. Con tanti piccoli “miracoli” silenziosi, del resto, si arriva ben aldilà di quel che si pensava di compiere con le risorse a disposizione. È il metodo eucaristico dei pani moltiplicati: consegnandosi a Dio e incontrando i desideri e i bisogni di fratelli e sorelle, non ci s’impoverisce, ma si scopre un’abbondanza che sazia. Mai dunque i metodi rispondono a procedure astratte e a protocolli rigidi, bensì rivelano una sintonia profonda con le finalità: «Si può educare all’affettività solo affettivamente», si legge in uno dei contributi. Non ci sono due livelli – teorico e pratico – separati o giustapposti; c’è, invece, il tentativo di «imparare facendo». E di formulare un discorso credibile, che passa attraverso il dar corpo alla parola: «Essere testimoni di Cristo attraverso gesti di vita nuova e di umanità diversa».

3 Un umanesimo

“Nuovo umanesimo” non significa un modello monolitico. Umanesimo è – a ben considerarne la storia – un termine che si declina al plurale, e l’umanesimo nuovo in Cristo è un umanesimo sfaccettato e ricco di sfumature dove solo dall’insieme dei volti concreti, di bambini e anziani, di persone serene o sofferenti, di cittadini plurale e integrale

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italiani e d’immigrati venuti da lontano, emerge la bellezza del volto di Gesù. L’accesso all’umano, difatti, si rinviene imparando a inscrivere nel volto di Cristo Gesù tutti i volti, perché egli ne raccoglie in unità i lineamenti come pure le cicatrici. Così si configura una famiglia umana segnata non dall’omologazione e dall’uniformità ma dalla bellezza e dalla «convivialità delle differenze», come amava dire mons. Tonino Bello: differenze di generazioni e di popoli, che esprimono legami di figliolanza e fratellanza, dove ciascuno è custode del fratello. Fragilità vecchie e nuove: dalla disabilità fisica e mentale all’immigrazione, che espone allo sfruttamento e rischia di riversarsi nelle “fabbriche di povertà”, fino ai casi sempre più numerosi di famiglie rese fragili, spezzate e riaggregate con grande travaglio. Se di umanesimo “integrale” si parla s’intende l’orizzonte che consente di superare sia lo sguardo riduttivo sull’umano, sia la frammentazione riscontrabile anche nelle nostre comunità. Come risposta a questo rischio si è avviata in non poche Diocesi la progettazione di una “pastorale integrata”, forte di proposte unitarie (numerosi gli esempi di collaborazione tra pastorale familiare e pastorale giovanile e anche del lavoro), basata sulla sinergia tra comunità educative (scuola, famiglie, associazioni) e la ricerca di collaborazione con le istituzioni civili in vista del bene comune. Nessun dualismo, inoltre, tra “dimensione veritativa” e “prassi caritativa”: l’evangelizzazione non si separa dalla solidarietà o dalla custodia del creato, né la santità dalla legalità; la catechesi dei ragazzi da quella per i loro familiari più adulti; l’assistenza da una restituzione di dignità che faciliti il protagonismo; la progettazione dalla condivisione che include i destinatari. La via dell’intero è riconosciuta come via dell’umano.

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4 Un umanesimo

«L’uomo proviene dall’intimo di Dio», perciò – potremmo parafrasare – è «impastato di Lui»: è la peculiare consapevolezza dell’umanesimo cristiano. «La divina trascendenza e la prossimità d’amore – che nel Dio annunciato da Gesù Cristo coincidono – diventano l’ordito e la trama che s’intersecano nel fondo più intimo e delicato della persona umana, rappresentato dalla coscienza (cf. Gaudium et spes 16). Molte sono le testimonianze che documentano esperienze d’incontro orante e silenzioso, di preghiera personale e comunitaria in luoghi significativi come le case di spiritualità, i santuari, i monasteri, gli eremi disseminati ovunque nel Paese. Nell’affanno della vita quotidiana, spesso schiacciata dalle tante pressioni esterne, emerge il desiderio di occasioni propizie al colloquio con Dio: una risorsa di umanizzazione che la Chiesa non può tralasciare. «Senza Dio l’uomo non sa dove andare – ricordava Benedetto XVI – e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia» (Caritas in Veritate78). E’ l’invito a aprire spazi di silenzio e di preghiera nelle parrocchie e nelle famiglie, nelle associazioni e nei movimenti, per offrire nella quotidianità il pane della Parola (lectio divina), il sostegno dell’Eucaristia (liturgia e adorazione eucaristiche) e la compagnia nel cammino (guida spirituale). di interiorità e trascendenza


A

LO SCENARIO DELL’ANNUNCIO DEL VANGELO

ttraverso le esperienze narrate dalle Diocesi intravediamo, come in filigrana, la complessa realtà in cui l’annuncio evangelico è lievito di un umanesimo rinnovato in Cristo Gesù. Luci e ombre si mescolano, disegnando uno scenario in cui se da un lato la frammentarietà e la precarietà dei legami sembrano condurre a smarrire il senso dell’umano, dall’altro appaiono persistenti tracce di una dignità avvertita come inalienabile, e forte appare la tensione a comprendere più a fondo il nostro essere uomini e donne. L’orizzonte storico nel quale siamo entrati è oscurato da nubi minacciose. Siamo sfidati da un capitalismo meno liberale e più autoritario, dove il potere politico appare indebolito. Le armi riprendono a farsi sentire in scenari in cui le guerre si combattono in modo nuovo, sempre più tecnologico, su diversi fronti regionali e nazionali, e anche sui palcoscenici mediali globali. La stessa religione è spesso invocata per scavare solchi di odio e di violenza, di cui sono vittime anche tanti fratelli battezzati. La loro fede semplice e limpida brilla come luce di speranza perché proprio dove l’umano sembra distrutto, la forza della risurrezione lo volge in vita e la morte non ha l’ultima parola. Al pari delle società europee, quella italiana diventa sempre più plurale e complessa, per l’evolversi della cultura occidentale e per l’arrivo di tanti immigrati, portatori di valori e mentalità diverse. La recente crisi economica, inoltre, con le sue drammatiche conseguenze (la drastica diminuzione dei posti di lavoro, l’impoverimento crescente del ceto medio, l’assottigliarsi delle possibilità occupazionali per i giovani che nega loro ogni aspirazione a un giusto protagonismo...) ha appesantito la dinamica culturale e sociale del Paese. In uno scenario internazionale di mutamenti geopolitici e culturali, sembriamo avviati anche in Italia alla definizione di una nuova struttura della società, rispetto alla quale noi cristiani, accanto agli altri, condividiamo disagi e disorientamento ma anche slanci e desideri, consapevoli di essere comunque tutti chiamati a costruire insieme il futuro del Paese. Nella Evangelii gaudium papa Francesco ricorda la «responsabilità grave» di «tutte le comunità ad avere – come aveva affermato Paolo VI (Ecclesiam suam 19) – una sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi» (n. 51). I segni, possiamo dire, dell’avvento di Cristo e quindi anche dell’Anticristo e, di conseguenza, i segni del possibile umanesimo e del possibile anti-umanesimo. Questo giudizio può essere direttamente applicato alle sfide contemporanee, dove s’interpreta

l’umano e ci si orienta riguardo al suo futuro. Comprendere i segni dei tempi significa anche collocare in un contesto sempre più complesso e globale le esperienze di umanesimo di cui è ricca la nostra Chiesa. Questo è un importante compito delle comunità cristiane: aiutarsi a vicenda a non rimanere disorientate e quindi solo reattive o rassegnate di fronte a fenomeni culturali di cui non comprendono a sufficienza la provenienza e l’intenzione; a evitare di subire interpretazioni fabbricate altrove; a testimoniare con la vita ciò in cui credono, incarnando nella concretezza dell’esistenza il valore universale dell’umano. Un uomo senza senso?

In questa fase di grandi cambiamenti culturali assistiamo perciò non semplicemente al confrontarsi, e a volte al confondersi, di molte prospettive sull’umano, bensì anche al frantumarsi o allo smarrirsi dello sguardo. Nel modo di vivere, prima ancora che sul piano teorico, si diffonde la convinzione che non si possa neppure dire cosa significhi essere uomo e donna. Tutto sembra liquefarsi in un “brodo” di equivalenze. Nessun criterio condiviso, per orientare le scelte pubbliche e private, sembra resistere e tutto si riduce all’arbitrio e alle contingenze. Esistono solo situazioni, bisogni ed esperienze nelle quali siamo implicati: schegge di tempo e di vita, spezzoni di relazioni da gestire e da tenere insieme unicamente con la volontà o con la capacità organizzativa del singolo, finché ce la fa. Gli eventi e le relazioni così rischiano di diventare frammenti isolati di un’esistenza che sta accanto a quella altrui per caso, per necessità o per convenienza, ma raramente riconoscendo un senso che accomuna, né la bellezza dell’essere insieme. L’individualismo esasperato ha indebolito i nessi che disegnano lo stesso volto umano. Come sarà possibile rigenerare questi legami costitutivi per dar voce al desiderio di riconoscimento, unità e comunione della famiglia umana? Perdere i legami che ci costituiscono porta a concepire l’uomo come una costruzione indeterminata, affidata esclusivamente alle proprie mani, alle leggi del sistema o alla tecnica. Più timore, però, si ha del futuro, più incerto si fa l’orizzonte, più spasmodica diviene la ricerca di punti di appoggio artificiali, quali garanzie che riducano i rischi del vivere. Si oscilla tra l’inseguire le possibilità aperte dinanzi all’individuo, senza precludersene alcuna, e la rigida definizione di un programma di vita. In ogni caso, si rischia di rima-

Un uomo solo prodotto?

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nere centrati su se stessi mentre viene a mancare, o si fa fatica a collocare, l’altro: l’altro con cui ci incontriamo e ci scontriamo, l’altro che costituisce un limite al nostro io, l’altro con le sue esigenze a volte irritanti o il suo interpellarci col volto contratto in un muto grido. La difficoltà a riconoscere il volto dell’altro causa il dissolversi del nostro stesso volto perché solo nella relazione e nel reciproco riconoscimento prendono forma i volti. Il volto è il modo in cui l’altro mi si manifesta e in cui io mi manifesto all’altro: «il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo» (Evangelii gaudium 88). Se perdiamo la capacità di correre questo rischio, difficilmente comprendiamo che cosa significhi essere umani. In effetti, il male del quale Solo io al mondo? il nostro tempo sembra soffrire è l’autoreferenzialità. Se pensiamo di poterci costruire e ricostruire, indefinitamente e in maniera sostanzialmente illimitata, è perché pensiamo di essere riferiti unicamente a noi stessi. Tutto ci spinge a ritenere di essere autosufficienti e che questo poggiare unicamente su noi stessi sia il principio della vera libertà. L’autoreferenzialità è così pervasiva che s’insinua nella vita dei singoli come in quella delle comunità, nella vita del Paese e anche in quella della Chiesa. La pretesa di bastare a se stessi elimina l’altro dal proprio orizzonte, facendone un elemento di supporto oppure una possibile minaccia da cui guardarsi; sicuramente lo esclude come colui dalle cui mani riceversi. Questa pretesa chiude gli occhi e il cuore, rende asfittica la nostra vita, consumandola dall’interno proprio nel momento in cui pretende di rafforzarla e di garantirne l’espansione. A ben guardare, all’origine di tante forme d’ingiustizia e di corruzione, all’origine di situazioni d’intolleranza e di aggressività, fino ai gesti di violenza compiuti a danno dei più deboli – dei bambini e delle donne in particolare – c’è il considerare l’altro unicamente in funzione di se stessi. La persona vive sempre in relazione (Lumen fidei 38)

Sbaglieremmo però se ci fermassimo a considerare unicamente questi aspetti. Il tempo che viviamo è complesso e registra un enorme bisogno di relazione. La ricerca di una relazione autentica attraversa, come un filo rosso, le contraddizioni del presente: la si coglie nella comunicazione permanente e globale della rete, nella frenesia della condivisione immediata degli eventi e nel diffondersi contagioso delle emozioni; prende anche corpo in tante esperienze d’impegno per altri e con altri, capaci di te38

stimoniare il valore e la dignità dell’umano. Il senso dell’umano riemerge nella solidarietà intergenerazionale all’interno delle famiglie, laddove le generazioni adulte non si appiattiscono sul loro benessere, ma affrontano sacrifici per costruire il bene di chi viene dopo. Riemerge nelle tante esperienze in cui le famiglie riescono a percepirsi come soggetto sociale, che estende i confini della propria capacità di cura oltre il nucleo ristretto. È poi mutato l’approccio ai consumi: il consumismo non è più un dovere sociale e culturale come fino a qualche anno fa. C’è una rinnovata attenzione a stili di vita più sobri; si fa strada l’idea di un’economia a valore contestuale che tenga conto dell’ambiente e tratti le relazioni sociali, e i valori che le reggono, come un capitale da far crescere. Nell’attività produttiva e nella scelta dei cibi si recuperano i legami con la tradizione. Si profilano esperienze innovative d’imprenditorialità giovanile e di cooperazione che ripartono dalla terra e che, in non pochi casi, vedono protagoniste le donne. Aumenta la sensibilità nei confronti della difesa dei beni ambientali. Nello stesso tempo, e nonostante i livelli ancora troppo alti di corruzione e illegalità presente nel Paese, cresce la tutela della legalità come bene comune. Partita dalla Calabria e dalla Sicilia, si diffonde, seppur tra mille contraddizioni, un’esplicita scelta di campo del commercio e dell’impresa liberi dalle mafie. Un segno da incoraggiare e sostenere. L’imp e g n o educativo continua, inoltre, a rappresentare una delle migliori risorse per il nostro Paese ed è via privilegiata della difesa e della promozione della dignità dell’uma-


no. Pur tra disagi strutturali ed economici, la scuola non cessa di essere un riferimento importante per le famiglie. Accanto alle negatività, fin troppo denunciate, sono tante le esperienze di dedizione e d’impegno competente che sostengono la crescita dei più giovani. E insieme alla scuola, l’impegno formativo di associazioni, di esperienze oratoriali e sportive, che contribuiscono a creare una rete di relazioni sane in cui la famiglia trova un valido supporto. Il volontariato, autentico dono di tempo e di talenti, non cessa di essere un’altra grande risorsa per il Paese, nonché concreta attestazione del valore impareggiabile di ogni essere umano. Alla generosità verso gli ultimi e i penultimi, notevolmente cresciuta con il dilagare dei drammatici, e spesso tragici, effetti della crisi, oggi tende ad aggiungersi la competenza. Sono tante le persone comuni che si preoccupano di rendere più qualificato il proprio servizio, e le esperienze di reti di professionisti che offrono prestazioni gratuite o a prezzi popolari. Non va inoltre taciuto lo splendido esempio di un’umanità accogliente offerto dalle popolazioni direttamente interessate dallo sbarco degli immigrati. Nella semplicità dei gesti, e nonostante le innumerevoli difficoltà, esse hanno mostrato quell’apertura del cuore e della vita che è nelle

corde più profonde della nostra terra, e che hanno fatto e continuano a fare del Mediterraneo un crocevia di popoli e di culture. Queste esperienze di relazione sono segni talvolta flebili, forse “poco notiziabili” per i media, ma certamente concreti; tracce che aprono cammini di speranza, varchi per l’annuncio di un Vangelo che è pienezza di umanità. Riconoscersi figli

Occorre allora prima di tutto imparare ad ascoltare la vita delle persone, per scorgere i segni di un’umanità nuova che fiorisce. La vita, con le sue fatiche e le sue contraddizioni, se ascoltata fino in fondo, lascia trasparire un desiderio e una capacità di rela zione e di comunione. Se riconosciamo l’intreccio di interdipendenze che ci costituisce, i frammenti isolati si ricompongono in una unità delle differenze. Anche le scienze, aldilà di certe chiusure ideologiche, sembrano confermare questa dimensione relazionale dell’essere umano, mostrando i legami che ci uniscono agli altri esseri viventi e alla vita del cosmo, e cogliendo la direzione nella quale si sviluppano i dinamismi della vita, già a un livello semplicemente fisico e biologico. Se provassimo a chiederci onestamente che cosa davvero cerchiamo e vogliamo, scopriremmo, forse con sorpresa, un desiderio di comunione al fondo di tutto ciò che siamo e che facciamo. Se una tensione d’incontro s’innesca in noi, se siamo capaci di sbilanciarci verso altri con eccedenza e gratuità, è perché siamo in qualche modo quel che desideriamo. La relazione non si aggiunge dall’esterno a ciò che siamo: noi siamo, di fatto, relazione. Lo siamo prima ancora di sceglierlo o di rigettarlo consapevolmente, perché non veniamo da noi stessi, ma ci riceviamo da altri, non solo all’origine della nostra vita ma in tutto ciò che siamo e abbiamo. Il nostro esistere è un «esistere con» e un «esistere da»: impensabile, impossibile senza l’altro. L’essere generati è al fondo di ogni nostra possibile e necessaria autonomia. Non c’è autonomia e responsabilità autentica, senza riconoscere questa dimensione relazionale, vera matrice della nostra libertà. La difficoltà a vivere le relazioni è determinata dalla difficoltà a riconoscersi come «donati a se stessi». Una vera relazione s’intesse a partire dal riconoscersi generati, cioè figli, cifra più propria della nostra umanità. D’altronde, al cuore del senso dell’umano rivelato in Gesù Cristo non sta il nostro essere figli? Non comprenderemmo nulla di Gesù – il senso delle sue parole, dei suoi gesti, il suo modo di vivere le relazioni, la sua libertà – fuori dal rapporto che egli ha con il Padre, cioè il suo essere figlio, il Figlio. «Tutto mi è stato dato dal Padre» (Mt 11,27); «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). Nel Figlio incarnato è svelata la verità del nostro essere. 39


LE RAGIONI DELLA NOSTRA SPERANZA

S

e l’umano e il divino sono uno in Gesù Cristo, è da Lui che l’essere umano riceve piena luce e senso. Questa profonda e gioiosa consapevolezza non può però essere la giustificazione per imporsi al mondo, quasi nella presunzione di “possedere” Cristo. Prima di tutto perché in noi stessi questa consapevolezza va sempre risvegliata e rigenerata: per questo ci proponiamo di scrutare continuamente il volto di Cristo, nel suo stare con i poveri e i malati, con i peccatori e gli increduli, accettando la sofferenza e vivendo un’autentica fraternità. Solo così potremo annunciarlo a ogni essere umano, perché il metodo che Gesù ci ha consegnato per diffondere il suo messaggio è quello della testimonianza. Se Gesù si è incarnato, accettando e facendo propri, al contempo, i limiti e le risorse dell’umano, è da qui che dobbiamo partire, consapevoli del nostro limite ma anche della luce che possiamo lasciar risplendere in noi. Quella luce Egli ha diffuso nel mondo il mattino di Pasqua e donato alla Chiesa col fuoco di Pentecoste. E che sempre ci meraviglia quando scopriamo che anche attraverso le nostre fragilità e fatiche può arrivare ad altri. Dio incontra le periferie dell’umano con Gesù figlio

Per queste ragioni sappiamo di dover cercare l’autenticamente umano non sul piano delle idee, talmente alte e nobili da rischiare di restare astratte o, peggio, degenerare in ideologie, bensì in Cristo Gesù, nel suo esser-uomo. Il suo concreto vissuto umano rivela anzitutto Dio: in lui, nato povero a Betlemme, cresciuto nella quotidianità familiare di Nazareth, itinerante per le strade di Palestina, morto innocentemente sulla collina del Golgota, Dio supera ogni distanza, rendendosi visibile nella storia comune degli uomini. Gesù lo rivela con le parabole, con i gesti accoglienti e con quelli prodigiosi, con il suo modo nuovo di pregare; lo indica presente nella vita degli uomini e delle donne con cui s’incontra e cui rivolge l’attenzione. Ai suoi occhi costoro hanno sempre un’importanza superiore rispetto a ogni pretesa dell’antica religione, le cui consuetudini egli comunque rispetta. Ogni volta che un essere umano può essere salvato o aiutato a vivere, egli infrange apertamente e senza esitare ogni tabù, sconfinando continuamente nel cosiddetto “profano” e inaugurandovi la visita di Dio: mangia coi pubblicani, dialoga con le prostitute, biasima i farisei e confuta i dottori del tempio, entra nella casa di Zaccheo e si porta dietro Levi l’esattore, 40

come pure Pietro e altri uomini esperti nei vari mestieri umili dell’epoca e non addetti al culto sacerdotale o a quello sinagogale. A un fariseo come Nicodemo chiede di «rinascere», di ricominciare daccapo, incontrandolo non nell’atrio del tempio ma nella notte: andandogli incontro, cioè, nell’oscurità dei suoi dubbi. Da quel momento in poi non c’è più un tempio in cui celebrare il culto a YHWH, poiché il nuovo tempio è quello dello Spirito e della Verità, come il Maestro insegna alla samaritana. Lui stesso è considerato un rabbì “laico”, non della tribù di Levi. La parabola del buon samaritano lascia intuire bene questa sua consapevolezza: capace di abitare la strada, come si addice a Dio stesso, non rinchiuso e fermo in templi di pietre, ma in cammino col suo popolo. La maggior parte dei suoi gesti pubblici sono operati in coerenza a un nuovo canone: «Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27). La legge si radica nell’essere amati e si attua nell’amare: «Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio» (Sinodo dei Vescovi 2014). E, così, Dio si rivela in una suprema tensione verso l’uomo: Dio è per l’uomo, si mette al servizio dell’uomo. Dio per primo – come s’intuisce nella cosiddetta parabola del figliol prodigo (cf. Lc 15,20) – esce incontro all’uomo, lo raggiunge lì, dove si trova, persino nella lontananza estrema del suo peccato, nella precarietà della sua esistenza ormai minata dalla morte. L’uomo è la periferia presso la quale Dio si reca in Gesù Cristo: al suo peccato non è opposto un rifiuto sdegnoso, poiché ormai di esso Cristo accetta di farsi carico («Dio per noi lo fece peccato»: 2 Cor 5,21). Il Verbo fatto uomo è la meraviglia sempre nuova di Dio

Tutto ciò non deve suonare come una bestemmia che contraddica l’annuncio biblico del tre volte Santo, o che smentisca l’antico detto teologico secondo cui Dio è sempre il più grande. Dio davvero è e rimane santissimo. Davvero è e rimane il più grande. Il racconto biblico è attraversato da questa permanente sovreccedenza di Dio, dove ogni compimento supera sempre la promessa. In quest’orizzonte Dio raggiunge il suo massimo in Gesù di Nazareth. Egli che è già tutto,


non ha altra via per superarsi se non quella di procedere senza termine in direzione dell’uomo, scegliendo di diminuire: se è già l’Altissimo, allora si abbassa sino a terra; se è già il Signore, allora entra nella condizione del servo; se è già pienezza, allora si svuota di Sé, rinuncia alle sue divine prerogative e abbraccia la morte (cf. Fil 2,6-8). Dio, nella carne umana di Gesù Cristo, ridiventa ancor più Se stesso, com’è annunciato nel Nuovo Testamento: Cristo Gesù «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8), cioè visse in una forma del tutto inedita la sua stessa figliolanza (“obbedienza” significa biblicamente, appunto, l’ascolto che il Figlio presta al Padre). Per questo possiamo affermare che in Cristo Gesù proprio l’uomo è quel semper maior di Dio. I Padri della Chiesa antica l’avevano ben compreso. Si pensi a Sant’Ireneo: «L’uomo vivente è la gloria di Dio», o a Teofilo di Antiochia mentre dialoga con chi non credeva in Cristo: «Tu mi dici: mostrami il tuo Dio ed io ti dirò: mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il mio Dio». La meraviglia inaudita non è aver conosciuto un Dio tanto potente e grande verso cui elevarci, tanto buono e misericordioso per cui consolarci, quanto un Dio la cui potenza e bontà l’hanno condotto a svuotarsi per sposare l’umanità. Con Gesù non ci troviamo, però, dinanzi a un uomo che brama di primeggiare sugli altri uomini («Tra di voi non sia così», dice il Salvatore ai suoi discepoli secondo il racconto dei vangeli sinottici, in Mt 20,24-28, Mc 10,41-45 e Lc 22,24-27), bensì a un uomo che è nella condizione umile e umiliata del condannato. La kenosis, lo svuotamento di sé, l’uscita da sé, è il primo paradigma di un umanesimo nuovo e “altro” e la via paradossale di un’autentica libertà, capace di costruire fraternità. Non si tratta però, come molti superficialmente ritengono, di accettare una visione vittimistica e, forse, pessimistica dell’umano. Si tratta piuttosto di uscire dallo schema mondano vincitori/ vinti, per assaporare su un piano diverso la bellezza della lieta notizia: mentre è inchiodato sulla croce (sul legno), e dunque sconfitto agli occhi del mondo, Gesù viene anche innalzato da terra e ricondotto alla gloria del Padre (cf. Gv 8,28 e Fil 2,911). Nella vicenda pasquale del Crocifisso Risorto ogni uomo ferito, reietto, rifiutato, emarginato, scartato, è anche “più uomo”, abbracciato nella figliolanza del Figlio, vivificato dal suo stesso Spirito che torna a gridare gioioso nel cuore di molti: «Abbà, Padre» (cf. Rm 8,15-16 e Gal 4,6).

In Gesù Cristo, dunque, la verità dell’uomo è manifestata al pari di quella di Dio. Essa, tuttavia, non è immediatamente evidente. Difatti, quest’umanesimo segnato dal paradosso non è scontato e ovvio; occorre discernerlo dentro le pieghe e le piaghe della storia, come esige il Vangelo di Gesù che, alla domanda di chi chiede al Figlio dell’Uomo «quando mai ti abbiamo visto?», risponde: «Ogni volta che l’avete fatto a uno di questi fratelli più piccoli» (Mt 25,37-40). Una nuova possibilità per l’uomo In tale di oltrepassarsi verso Dio p r o s p e te verso i fratelli

tiva, nella vita di Gesù possiamo rintracciare le due direttrici principali di un sempre nuovo umanesimo: la cura e la preghiera. La cura, innanzitutto. Se si leggono nell’originale greco i racconti evangelici delle guarigioni compiute dal Figlio di David, ci si accorge che spesso la voce verbale usata per dire che Gesù guariva coloro che incontrava è terapéuo, che significa letteralmente curare, prendersi cura. La cura, dunque, esercitata secondo lo stile di Gesù, è una coordinata imprescindibile dell’esser-uomo come lui. Essa significa custodire, prendersi in carico, toccare, fasciare, dedicare attenzione, proprio come faceva Gesù, allorché si fermava a cogliere il grido del cieco nato o del lebbroso o della cananea che lo rincorrevano per strada, o quando cercava di incrociare lo sguardo dell’emorroissa in mezzo alla calca, o quando soccorreva il paralitico sempre da tutti emarginato presso la fonte di Betzaetà. E come ancora il cristianesimo fa sin dai suoi inizi, con lo sguardo e l’attenzione che Pietro e Giovanni rivolgono al paralitico presso la Porta Bella del Tempio (cf. At 3,1-10), o con la testimonianza di Paolo che si fa compagno di strada di tutti, senza riserve e senza parzialità di alcun genere, sottoponendosi alla legge e al contempo proclamandosi un fuori legge, facendosi debole e servo di tutti (cf. 1 Cor 9,19-22). «La comunità evangelizzatrice – ha scritto a tal proposito papa Francesco – si mette, mediante opere e gesti, nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo [...] il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice» (Evangelii gaudium 24). La preghiera, inoltre, non meno della cura: esercizio non semplicemente devozionale, bensì 41


comprensione e interpretazione e quindi occasione «di ascolto, di confronto e di discernimento». Nella preghiera sono tradotti in invocazione ogni grido d’aiuto, ogni fatica, persino ogni apparente bestemmia, ma anche ogni «grazie», tutto comprendendo alla luce del Vangelo, tutto vedendo con lo sguardo di Dio, tutto ascoltando con le orecchie di Dio, affinché la cura non si risolva in mera filantropia. Ogni autentica liturgia, del resto, con le sue preziose riserve di contemplazione, è una cura orante e, al contempo, una preghiera efficace. E la stessa vita familiare ha bisogno di nutrirsi di questo linguaggio della gratitudine e

dell’affidamento, per rigenerare e far fiorire i legami tra i suoi membri. La cura e la preghiera sono i due modi in cui Gesù stesso vive la propria attitudine a mettersi – gratuitamente e per puro dono – in relazione con gli altri e con l’Altro, con i suoi conterranei e contemporanei non meno che col Padre suo. E se la cura costituisce la traduzione dell’identità filiale nella fraternità con gli uomini, la preghiera costituisce a sua volta il fondamento della capacità di realizzare una radicale condivisione di tutto con tutti.

LA PERSONA AL CE NTRO DELL’AGIRE ECCLESIALE Il mistero della Chiesa realtà umana e divina

Il Concilio Vaticano II ha insegnato che «in Cristo» la Chiesa è «come un sacramento, ossia segno e strumento» dell’«unità di tutto il genere umano», perché lo è dell’«intima unione con Dio» (Lumen gentium 1). Ne è scaturita una netta consapevolezza: l’uomo è la prima via che la Chiesa percorre nel compimento della sua missione. Ciò significa che le ragioni dell’uomo e la prassi ecclesiale possono e devono incontrarsi. Il dono che Dio ci ha fatto nel Figlio suo apre, difatti, un’esperienza di umanizzazione senza precedenti o paragoni. Grazie a Gesù, Dio rivela le profondità di se stesso svelando al contempo all’uomo chi egli sia veramente (cf. Gaudium et spes 22). Nell’umanità traspare Dio e in Dio l’umanità va trasfigurandosi. La Chiesa italiana ha seguito questa trasparenza luminosa per dare forma alla propria figura e all’azione pastorale, rimanendo fedele all’umanità dentro la sua storia per rimanere fedele al Dio di Gesù Cristo. Il Concilio ha ribadito che «qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero», perciò «l’attesa di una terra nuova non deve inde42

bolire, bensì stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo» (Gaudium et spes 39). La ricerca dell’umanità nuova che cresce anche nel nostro tempo richiede di affinare l’attitudine del discernimento. Questa umile ricerca della volontà di Dio nascosta nel paradosso dell’Incarnazione e del Crocifisso Risorto schiude lo sguardo attraverso cui intravedere l’umanità nuova, il divino nell’umano e l’umano nel divino, e, perciò, vorrebbe essere il nostro stile anche dopo del Convegno. I Santi ci aiutano in questo cammino, perché grazie alla loro luce “vediamo” che Dio non smette di amare, di curare e di attrarre verso il Regno il mondo intero. «Discernimento comunitario» è un termine ricco di significato per la Chiesa italiana. Indica la volontà di costruirsi come corpo non clericale e ancor meno sacrale, dove ogni battezzato, le famiglie, le diverse aggregazioni ecclesiali sono soggetto responsabile; dove tutti insieme cerchiamo di essere docili all’azione dello Spirito. Significa vedere che lo Spirito Santo risveglia in chi si lascia raggiungere dalla sua


grazia l’immagine di Gesù e che, soprattutto, disegna una Chiesa che si lascia seminare nel campo del mondo, accanto ai più piccoli come loro voce e speranza, nell’attesa vigile e fiduciosa dello Sposo. Radicamento orante nella Parola di Dio, letta dentro la Chiesa alla luce della Tradizione e delle nuove domande che la storia ci sollecita; ricerca dei semi di verità sparsi nella storia degli uomini; interpretazione della società e della cultura alla luce della verità di Cristo; accettazione delle sfide, nella fiduciosa consapevolezza che camminando nella direzione indicata da Gesù potremo affrontarle come occasioni di pienezza, anziché mortificazione, dell’umano: sono questi gli elementi per un discernimento comunitario, affinché ogni comunità cerchi e scopra la bellezza di essere uomini e donne in Gesù, cioè uniti per sempre a Dio. Fare del discerniCome Gesù nella vita mento il nostro stile quotidiana ecclesiale non è impossibile, benché impegnativo. Torniamo alla scuola di Gesù, per esempio al suo ministero per le vie della Galilea. Esso si delinea in pochi ma essenziali tratti, che lo vedono concentrato sull’unica cosa necessaria («Mio cibo è fare la volontà del Padre»: cf. Gv 4,34). La tipica giornata (come, per esempio, a Cafarnao) si struttura su precise operazioni: dedicarsi al legame intimo con il Padre nella preghiera; non disperdere il primato dell’annuncio del Regno; confermare con autorità questo annuncio, grazie alla cura delle persone (il perdono, la guarigione, la rivelazione del volto misericordioso del Padre); non lasciarsi imprigionare dall’ordinarietà, ma tener desta l’urgenza della missione. Implicitamente questo stile disegna un percorso di umanità nuova, “insaporita” dall’unzione dello Spirito. Le operazioni della vita quotidiana di Gesù sono richiamate da papa Francesco nella Evangelii gaudium: una Chiesa in uscita, che abita il quotidiano delle persone e, grazie allo stile povero e solidale, rinnova la storia di ciascuno, ridà speranza e riapre le nostre vite morte alla gioia della resurrezione. Una Chiesa gioiosa, perché sempre piena di meraviglia nello scoprire che la vita quotidiana è visitata dalla misericordia di Dio. «Qui sta la nostra vera forza, il fermento che fa lievitare e il sale che da sapore a ogni sforzo umano contro il pessimismo prevalente che ci propone il mondo » (Papa Francesco, Omelia per la beatificazione di papa Paolo VI). Al Convegno di Verona la Chiesa italiana scelse di mettere al centro della propria pastorale la persona, con gli ambiti che ne costituiscono l’identità. Già allora si parlò di «Chiesa missionaria»: per non rimanere chiusi a ragionare della cura pastorale in termini produttivi ed efficientistici, la Chiesa italiana decise di mettere al centro della missione la persona umana. In questi anni si è cercato di pensare a

ciò che la caratterizza e la sfida, toccando gli ambiti della cittadinanza, della fragilità, degli affetti, del lavoro, della festa, dell’educazione e della trasmissione della fede. Luoghi,frontiere,periferie Assunti sempre più

come il nucleo della pratica ecclesiale, questi ambiti sono da sempre incarnati in luoghi, ossia spazi dell’umano dentro i quali impariamo ad annunciare il Vangelo, secondo la strategia della contaminazione. Siamo, infatti, uomini e donne situati in uno spazio e in un tempo, che condividono con altri la sete di gioia e di felicità, le speranze e le paure; con loro costruiamo i legami che esprimono la nostra identità, ciò che crediamo, i valori che vogliamo vivere; e, dentro questo intreccio, mettiamo a prova la nostra fede e spendiamo la nostra tradizione. Con la crescente complessità del mondo globalizzato, con le nuove forme d’ingiustizia che allargano il divario tra ricchi e poveri, con lo strapotere del sistema tecnologico e la crisi delle istituzioni (dalla scuola alla famiglia), i luoghi hanno perso molte rigidità, ma anche solidità e unità, e sono diventati più permeabili, vulnerabili, sempre più sfidati e messi in questione. Si può dire che i luoghi siano diventati oggi sempre più frontiere: linee di incontro/ scontro tra culture, e anche tra visioni del mondo diverse dentro una stessa cultura. La famiglia, per esempio è attaccata da tanti fronti, e non sono rari quei bambini che vivono tra diverse case, costretti a fare i conti con complesse geografie relazionali. Come vivere il Vangelo in questi cambiamenti? Le frontiere si possono difendere, cercando di costruire muri. Ma possono essere anche soglie, luoghi d’incontro e dialogo, senza i quali rischiano di trasformarsi in periferie da cui si fugge: abbandonate e dimenticate. Il movimento non è quello della chiusura difensiva, ma dell’uscita. Senza paura di perdere la propria identità, anzi facendone dono ad altri. Come dice Papa Francesco: «Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada» (Evangelii gaudium 46). In questo modo, gli ambienti quotidianamente abitati, come la famiglia, l’educazione, la scuola, il creato, la città, il lavoro, i poveri e gli emarginati, l’universo digitale e la rete, sono diventati quelle “periferie esistenziali” che s’impongono all’attenzione della Chiesa italiana quale priorità in cui operare il discernimento, per accogliere l’urgenza missionaria di Gesù. Un simile discernimento può realizzarsi lungo 5 vie, suggeriteci da Papa Francesco nella Evangelii 43


gaudium. Queste azioni, che riconoscono l’urgenza di mettersi attivamente e insieme in movimento, esprimono in modo sintetico il desiderio e la volontà della Chiesa di contribuire al dischiudersi dell’umanità nuova dentro la complessità della nostra epoca, indicando nello stesso tempo una direzione da intraprendere: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Cinque verbi che non si accostano semplicemente l’uno all’altro, ma si intrecciano tra loro e percorrono trasversalmente gli ambienti che quotidianamente abitiamo. Le cinque vie verso l’umanità nuova

1 L’insistenza Uscire con cui papa Francesco invoca una

Chiesa «in uscita» s’intreccia con il cammino compiuto in Italia sulla strada della conversione pastorale e di una prassi missionaria: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. [...] Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. [...] Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti» (Evangelii gaudium 24). Sorge la domanda: come mai, nonostante un’insistenza così prolungata sulla missione, le nostre comunità faticano a uscire da loro stesse e ad aprirsi? Il rischio di un’inerzia strutturale, della semplice ripetizione di ciò cui siamo abituati è sempre in agguato. Gli obiettivi per le azioni delle nostre comunità non possono essere predeterminati o delegati alle tante istituzioni create al servizio della pastorale. Piuttosto, devono essere il frutto di un discernimento dei desideri dell’uomo operato dalle medesime comunità e dell’impegno per farli germinare. Liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto, per aprirle all’ascolto delle parole dei contemporanei, che risuonano anche nei nostri cuori: questo è l’esercizio che vorremmo compiere al Convegno di Firenze. Ascoltare lo smarrimento della gente, di fronte alle scelte drastiche che la crisi globale sembra imporre; raccogliere, curare con tenerezza e dare luce ai tanti gesti di buona umanità che pure in contesti così difficili sono presenti, disseminati nelle pieghe del quotidiano. Offrire strumenti che diano lucidità ma soprattutto serenità di lettura, convinti che, anche oggi, i sentieri che Dio apre per noi sono visibili e praticati.

2 Annunciare Le tante povertà, antiche e nuove, che la crisi

evidenzia ancor di più, si condensano nella povertà constatata da Gesù con preoccupazione: la carenza di operai che annunciano il Vangelo della misericordia (gli apparivano «come pecore senza 44

pastore», ricorda l’evangelista: Mt 9,36). La gente ha bisogno di parole e gesti che, partendo da noi, indirizzino lo sguardo e i desideri a Dio. La fede genera una testimonianza annunciata non meno di una testimonianza vissuta. Con il suo personale tratto papa Francesco mostra la forza e l’agilità di questa forma e di questo stile testimoniali: quante immagini e metafore provenienti dal Vangelo egli riesce a comunicare, soddisfacendo la ricerca di senso, accendendo la riflessione e l’autocritica che apre alla conversione, animando una denuncia che non produce violenza ma permette di comprendere la verità delle cose. Le nostre Chiese sono impegnate da decenni in un processo di riforma dei percorsi di iniziazione e di educazione alla fede cristiana. Il Convegno di Firenze è il luogo in cui verificare quanto abbiamo rinnovato l’annuncio – con forme di nuova evangelizzazione e di primo annuncio; come abbiamo articolato la proposta della fede in un contesto pluriculturale e plurireligioso come l’attuale. Occorrono intuizioni e idee per prendere la parola in una cultura mediatica e digitale che spesso diviene tanto autoreferenziale da svuotare di senso anche le parole più dense di significato, come lo stesso termine “Dio”. dimensione della fede è da sempre iscritta 3 LaAbitare nella configurazione stessa delle nostre città, con le tante Chiese che raccolgono intorno a sé le comunità nello spazio (la parrocchia è parà-oikía, vicina alla casa), e con il suono delle campane che scandisce e sacralizza il tempo. Ma ancor più il cattolicesimo non ha mai faticato a vivere l’immersione nel territorio attraverso una presenza solidale, gomito a gomito con tutte le persone, specie quelle più fragili. Questa sua peculiare “via popolare” è riconosciuta da tutti, anche dai non credenti. Il passato recente ci consegna un numero considerevole di istituzioni, strutture, enti, opere assistenziali ed educative, quali segni incarnati della risposta al Vangelo. Nelle attuali veloci trasformazioni, e in qualche caso a seguito di scandali, corriamo il rischio di perdere questa presenza capillare, questa prossimità salutare, capace di iscrivere nel mondo il segno dell’amore che salva. Una vicinanza che ha anche una forte presa simbolica e una capacità comunicativa più eloquente di tante raffinate strategie. Occorre allora un tenace impegno per continuare a essere una Chiesa di popolo nelle trasformazioni demografiche, sociali e culturali che il Paese attraversa (con la fatica a generare e a educare i figli; con un’immigrazione massiva che produce importanti metamorfosi al tessuto sociale; con una trasformazione degli stili di vita che ci allontana dalla condivisione con i poveri e indebolisce i legami sociali).


L’impegno, dunque, non consiste principalmente nel moltiplicare azioni o programmi di promozione e assistenza; lo Spirito non accende un eccesso di attivismo, ma un’attenzione rivolta al fratello, «considerandolo come un’unica cosa con se stesso». Non aggiungendo qualche gesto di attenzione, ma ripensando insieme, se occorre, i nostri stessi modelli dell’abitare, del trascorrere il tempo libero, del festeggiare, del condividere. Quando è amato, il povero «è considerato di grande valore»; questo differenzia l’opzione per i poveri da qualunque strumentalizzazione personale o politica, così come da un’attenzione sporadica e marginale, per tacitare la coscienza. «Se non lo hai toccato, non lo hai incontrato», ha detto del povero Papa Francesco. Senza l’opzione preferenziale per i più poveri, «l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone» (Evangelii gaudium 199). In questo quadro, l’invito a essere una Chiesa povera e per i poveri assurge al ruolo d’indicazione programmatica. Questo richiamo, infatti, non è come gli optional di un’automobile, la cui assenza non ne muta sostanzialmente utilità e funzionalità. L’invito del pontefice, invece, radicandosi nella predicazione esplicita di Gesù ai piccoli e ai poveri, culminata nel ribaltamento della crocifissione e della risurrezione, dovrà sempre più connotare la Chiesa nel suo intimo essere e nel suo agire.

4 Educare

In questo decennio le comunità cristiane sono impegnate ad aggiornare l’azione pastorale, assumendo come punto prospettico l’educazione, divenuta una vera e propria emergenza: il mondo digitalizzato e sempre più pervaso dalla tecnica apre prospettive inedite non soltanto sul fronte della ricerca ma anche nelle sue applicazioni, che modificano sempre più le abitudini quotidiane; la cultura si vuole affrancare in modo disinvolto da qualsiasi tradizione e dai valori da esse veicolati, ritenendoli superati e obsoleti; l’urbanizzazione ridisegna gli spazi e i ritmi della vita umana, modificando le principali forme dei legami sociali e ambientali; in un’epoca prolungata di crisi generalizzata, la povertà sempre più estesa rischia di alimentare modelli che causano miseria umana e perdita di dignità. Come affrontare queste sfide? Il primato della relazione, il recupero del ruolo fondamentale della coscienza e dell’interiorità nella costruzione dell’identità della persona umana, la necessità di ripensare i percorsi pedagogici come pure la formazione degli adulti, divengono oggi pri-

orità ineludibili. È vero che le tradizionali agenzie educative (famiglia e scuola), si sentono indebolite e in profonda trasformazione. Ma è anche vero che esse non sono solo un problema ma una risorsa, e che già si vedono iniziative capaci di realizzare nuove alleanze educative: famiglie che sostengono famiglie più fragili, famiglie che attivamente sostengono la scuola offrendo tempo ed energie a sostegno degli insegnanti per trasformare la scuola in un luogo di incontro; ambiti della pastorale che ridefiniscono e rendono meno rigidi i propri confini e così via. In questo senso l’educazione occupa uno spazio centrale nella nostra riflessione sull’umano e sul nuovo umanesimo. Il prossimo Convegno ci impegna non soltanto nella comprensione attenta delle ricadute di queste trasformazioni sulla nostra identità personale ed ecclesiale (la nozione di vita umana, la configurazione della famiglia e il senso del generare, il rapporto tra le generazioni e il senso della tradizione, il rapporto con l’ambiente e l’utilizzo delle risorse d’ogni tipo, il bene comune, l’economia e la finanza, il lavoro e la produzione, la politica e il diritto), ma anche sulle loro interconnessioni. Educare è un’arte: occorre che ognuno di noi, immerso in questo contesto in trasformazione, l’apprenda nuovamente, ricercando la sapienza che ci consente di vivere in quella pace tra noi e con il creato che non è solo assenza di conflitti, ma tessitura di relazioni profonde e libere. Come possono le comunità radicarsi in uno stile che esprima il nuovo umanesimo? Come essere capaci, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali ed esposte al veloce consumo, di costruire spazi in cui tali relazioni scoprano la gioia della gratuità, solida e duratura, cementate dall’accoglienza e dal perdono reciproco? Come abitare quelle frontiere in cui la sterilità della solitudine e dell’individualismo imperanti fiorisce in nuova vita e in una cultura di persone generanti? Le comunità cristiane sono nutrite e trasformate nella fede grazie alla vita liturgica e sacramentale e grazie alla preghiera. Esiste un rapporto intrinseco tra fede e carità, dove si esprime il senso del mistero: il divino traspare nell’umano, e questo si trasfigura in quello. Senza la preghiera e i sacramenti, la carità si svuoterebbe perché si ridurrebbe a filantropia, incapace di conferire significato alla comunione fraterna.

5 Trasfigurare

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È la vita sacramentale e di preghiera che ci permette di esprimere quel semper maior di Dio nell’uomo descritto sopra. La via dell’umano inaugurata e scoperta in Cristo Gesù intende non soltanto imitare le sue gesta e celebrare la sua vittoria, quasi a mantenere la memoria di un eroe, pur sempre relegato in un’epoca, ormai lontana. La via della pienezza umana mantiene in lui il compimento, perché prosegue la sua stessa opera, nella convinzione che lo Spirito che lo guidò è in azione ancora nella nostra storia, per aiutarci a essere già qui uomini e donne come il Padre ci ha immaginato e voluto nella creazione. Questo è, per esempio, il senso della festa e della Domenica, che sono spazi di vera umanità, perché in esse si celebra la persona con le sue relazioni familiari e sociali, che ritrova se stessa attingendo a una memoria più grande, quella della storia della salvezza. Lo spirito delle Beatitudini si comprende dentro questa cornice: la potenza dei sacramenti assume la nostra condizione umana e la presenta come offerta gradita a Dio, restituendocela trasfigurata e capace di condivisione e di solidarietà. Al Convegno verifichiamo la qualità della presenza cristiana nella società, i suoi tratti peculiari e la custodia della sua specificità. A noi, popolo delle beatitudini che si radica nell’orazione di Gesù, è chiesto di operare nel mondo, sotto lo sguardo del Padre, proiettandoci nel futuro mentre viviamo il presente con le sue sfide e le sue promesse, con il carico di peccato e con la spinta alla conversione.

LA RESPONSABILITA’ DELLA PIU’ ALTA MISURA

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l tenore interrogativo con cui questa traccia si conclude non è casuale: in vista del Convegno ecclesiale nazionale vogliamo stimolare, infatti, una comune presa di coscienza riguardo al senso dell’umano. Il Vangelo si diffonde se gli annunciatori si convertono. Perciò mettiamoci in questione in prima persona: verifichiamo la nostra capacità di lasciarci interpellare dall’esser-uomo di Cristo Gesù, facciamo i conti con la nostra distanza da lui, apriamo gli occhi sulle nostre lentezze nel prenderci cura di tutti e in particolare dei «più piccoli» di cui parla il Vangelo (cf. Mt 25,40.45), ridestiamoci dal torpore spirituale che allenta il ritmo del nostro dialogo col Padre, precludendoci così una fondamentale esperienza filiale che sola ci abilita a vivere una nuova fraternità con gli uomini e le donne d’ogni angolo della terra e ad annunciare la bellezza del vangelo. Ci aiuta a interrogarci efficacemente l’eco delle domande poste da Gesù ai suoi discepoli nei pressi di Cesarea di Filippo (cf. Mt 16,13-19). In quell’episodio evangelico il Messia chiede, dapprima, a chi lo segue: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’Uomo? ». I suoi amici gli rispondono che egli è considerato uno dei grandi profeti d’Israele. Gesù allora incalza con un altro interrogativo: «Voi chi dite che io sia?». Segue stavolta la risposta di Pietro, che ricomprende la missione messianica del Maestro alla luce della sua identità filiale: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Un’affermazione inedita, questa, che annuncia la novità evangelica come la massima “evoluzione” non tanto dell’antico profetismo, quanto dell’avvento di Dio ormai compiutosi in colui che è «nato da donna, sotto la legge» (Gal 4,4). Ma anche un’intuizione straordinaria: riusciamo a sapere chi è davvero il Figlio dell’Uomo non quando ci attardiamo a parlare di Gesù in terza persona, bensì allorché accettiamo di interloquire con lui, in un confronto diretto, declinato in prima e in seconda persona. Veramente riconoscere il volto di Dio manifestatosi umanamente in Gesù Cristo ci permette di capire a fondo il nostro esser uomini, con le sue potenzialità e responsabilità. Tentare sempre tutto il possibile per risolvere qualsiasi nodo, impegnare al massimo grado la nostra creatività per districare ogni matassa, non trovar requie prima d’aver tagliato tutti i legacci che frenano l’uomo, e prima d’aver spezzato le catene che gli impediscono di raggiungere la sua più alta misura.


FRANCESCO E IL POPOLO DI DIO «È stato un gesto coraggioso della Chiesa avvicinarsi al popolo di Dio perché possa capire bene quello che fa, e questo è importante per noi, seguire la Messa così»

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l culto ha a che fare con la vita e «la liturgia non è anzitutto UNA SVOLTA EPOCALE una dottrina da comprendere o un rito da compiere, ma è una sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede». Le parole di papa Francesco, pronunciate cinquant'anni dopo la prima Messa in italiano celebrata da Paolo VI (nella foto), riassumono il senso di quella svolta epocale. L'altare girato verso i fedeli, le parole del sacerdote nella lingua del popolo, il canto corale non furono solo un cambio di scenografìa, ma l'approdo di un lungo cammino teso a riportare i fedeli a essere partecipi e non solo spettatori della celebrazione eucaristica. Perché Cinquant'anni fa ci potesse essere sempre più sinPaolo VI celebra tonia, come recita la Costituzioper la prima volta ne del Vaticano II, Sacrosanctum la Messa in italiano Concilium, «tra ciò che la liturgia celebra e ciò che viviamo nella nonella parrocchia di Ognissanti a Roma. stra esistenza». I nostalgici del rito di san Pio V E papa Francesco e quanti in questi anni hanno fatto rilancia il gesto resistenza alla riforma sostenendo di papa Montini. che si sarebbe perso il senso del sacro e del mistero, trascurano il significato della celebrazione che è banchetto eucaristico apparec-

LA LINGUA PARLATA ENTRA NEL CULTO LITURGICO

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chiato per tutti, comunità che prega insieme. Oggi possiamo dire insieme il Padre Nostro, l'unica preghiera insegnataci direttamente da Gesù. E che, invece, nel rito precedente, solo il sacerdote poteva pronunciare mentre la platea ascoltava silenziosa. Oggi, la Messa è animata, più partecipata. Fino a cinquant'anni fa i fedeli assistevano e non capivano, o recitavano il rosario mentre il sacerdote procedeva per suo conto a pronunciava formule in latino a bassa voce. Papa Francesco che si reca nella parrocchia di Ognissanti, il 7 marzo, come fece il suo predecessore, ricorda a tutti che quella domenica del 1965 fu davvero, come disse all'Angelus papa Montini, «una data memorabile nella storia spirituale della Chiesa, perché la lingua parlata entra ufficialmente nel culto liturgico. La Chiesa ha ritenuto doveroso questo provvedimento per rendere intelligibile e far capire la sua preghiera. Il bene del popolo esige questa premura, sì da rendere possibile la partecipazione attiva dei fedeli al culto pubblico della Chiesa». E, nonostante le polemiche che hanno accompagnato, in questi anni, la riforma liturgica, papa Bergoglio non ha dubbi: «È stato proprio un gesto coraggioso della Chiesa avvicinarsi al popolo di Dio perché possa capire bene quello che fa, e questo è importante per noi, seguire la Messa così. E non si può andare indietro, dobbiamo andare sempre avanti, sempre avanti e chi va indietro sbaglia».


MA E’ RISORTO PER DAVVERO? (con Tizio e Caio a contarsela)

San Paolo ci dice che se Gesù non è risorto, se non è IL Risorto, siamo cristiani... “buggerati”. Come la mettiamo? Credere o non credere? Fate voi. Tanti però dicono: “Nel mio piccolo <io ci credo>”. Il vero problema viene dal “che significato, che contenuto” dare a questo credere alla Resurrezione. TIZIO - Va be’, è risorto, okay. Da che cosa? CAIO - Scusa?! Da che cosa si risorge secondo te? TIZIO - Come al solito, sei un fulmine di comprendonio. Da morte, non c’è bisogno che me lo dica tu. CAIO - Una morte violenta che te la raccomando. TIZIO - Tutti muoiono, in un modo o nell’altro. Certo io preferirei morire a letto piuttosto che cadendo dal 7° piano o schiacciato da un trattore o... CAIO - ... con la gola tagliata da un bravo jihadista. Non ci piove. Però questo morto era Figlio di Dio, e il suo risorgere ha una ricaduta significativa sul nostro destino. Lui era uomo ed è risorto. E‘ in Dio. Noi siamo uomini come Lui e perciò risorgeremo per andare Antica Icona Etiope che riporta la Resurrezione di Gesù con in mano lo stendardo della vittoria

dove è Lui. TIZIO - Mica male, mi piace sentirlo. Ma è poi così automatico? Si deve pagare dazio, per caso? CAIO - Beh, se tutte le cose che hanno valore costano, questa ciao che costo dovrebbe avere! TIZIO - Non mi sembri molto sicuro sul prezzo. CAIO - Ho usato “dovrebbe” perché ho di fronte un mezzo ateo come te. Una chiara idea ce l’ho perché è da tempo che sto pagando. TIZIO - Come? Non si paga una volta per tutte? CAIO - Non fare lo gnorri! Nelle cose che toccano la vita reale e la condotta sai benissimo che ci sono alti e bassi, errori, pentimenti, ricadute, rallentamenti, crescite e anche regressi. Tu, per esempio, mi sembri un po’ stordito e ritardato. Ah, scusa, forse vieni da un’altra cultura, anche se non proprio scampato dalla traversata su un barcone del mare nostrum. TIZIO - Taglia corto. C’è un sottofondo leghista che sta facendo capolino e io non voglio finire in politica. Stiamo sul ‘serio’. Facciamo così. Io mi siedo ai tuoi piedi, ma per rispetto a me non toglierti le scarpe... perché non mi fido. Sono disposto invece a sentirti, perché mi interesserebbe risorgere anch’io, senza ritrovarmi però in un mondo uguale a questo, che mi sembra un po‘ troppo storto per starci per sempre. CAIO - Allora... E‘ un po‘ dura in due parole, ma guardando al tuo cuore (pronto, mi pare) più che al tuo cervello (duretto, sicuramente) credo di potercela fare. TIZIO - Non raccolgo la provocazione. Perderesti. Sono tutto orecchi... “professore”. La Quaresima si era presentata come “tempo favorevole per credere al Vangelo e convertirsi”. In questo periodo abbiamo letto di Nuovo e Vecchio Testamento una dose superiore agli altri periodi dell’anno. Da qui ne è venuta luce più chiara per capire la nostra vera situazione di uomini per strada, con voglie di crescita umana e cristiana, ma anche con difficoltà e sbandamenti. L’ascolto della Parola ci ha dato anche forza per adeguarci, non solo luce per capire. Questo è l’effetto della Parola di Dio. Poi, come in altre religioni - per esempio, come nel Ramadan per i musulmani - ci siamo dati, per questo periodo di 40 giorni che chiamiamo deserto in ricordo della scelta di Gesù di andarci prima di iniziare la sua 48


missione di predicare il regno di Dio, tre indicazioni: preghiera, digiuno, elemosine (qui sarebbe più serio dire ‘carità’). Dunque, a * digiunare noi occidentali siamo “bravissimi”, come sai. Con le diete innanzitutto, perché generalmente mangiamo troppo. Allora, ecco, digiuniamo (abbiamo digiunato) con pasti senza carne e salami di venerdì, e quindi sbizzarrendoci in “piatti diversamente nutritivi”. A dire il vero, però, seguendo il profeta Isaia - cap. 58, oltre a quel finto digiuno nostro, il vero digiuno, che qualcuno avrà sicuramente fatto, è quello che Dio stesso ha detto piacergli, quello che si confonde con * la carità vera e propria: sciogliere catene e legami che poniamo sulle spalle del prossimo (debiti, affitti, usure, condizioni di lavoro pesanti e senza sicurezza, multe e tasse ladresche, tangenti bustarelle e pizzo...); dividere il pane con l’affamato (in tante parti si sono fatte e/o migliorate raccolte e distribuzioni di cibo ...); introdurre in casa i miseri/i senza tetto (magari anche solo accogliere nel nostro paese qualche immigrato); vestire chi si vede nudo o quasi; non puntare il dito e sparlare;consolare chi è sofferente per disgrazie o malattie ecc. ecc. Ho preso da Isaia, non pensare che predico io così. La preghiera era l’altra indicazione da seguire. Più preghiera e col cuore doveva essere. La relazione con un Dio che è ‘Padre Buono‘ e ci dà in pratica tutto non dovrebbe essere un problema. Si sta volentieri con chi si ama. Sempre Isaia mette sulla bocca di Dio queste testuali parole al cap. 58: “Se tratterrai il piede dal violare il sabato, dallo sbrigare affari nel giorno a me sacro (...) allora troverai la delizia nel Signore”. A noi consumisti e super lavoratori un po‘ di tregua per pensare a Lui e agli sbocchi definitivi della

nostra vita (morte, giudizio, condanna o premio alla resurrezione) ci ha fatto sicuramente bene. La domenica era il tempo privilegiato per incontrarLo, per pregare. Il problema perenne è di far diventare buone abitudini (le chiamavano virtù una volta) queste cose che rinfreschiamo almeno una volta all’anno: Parola di Dio, digiuno, preghiera, elemosina/carità. A Pasqua dunque si risorge (è qui che volevi arrivare, no?!) Se il cammino, a imitazione di quello di Gesù, è stato di salita un po‘ dura verso il monte/traguardo della nostra vita. Risorgere è un dono che ci arriva, ma deve essere stato preparato da battaglie per vincere contro le nostre pericolose deviazioni, contro le spinte ad agire male rovinandoci la vita (il diavolo tentatore è sempre lì accovacciato alla nostra porta), contro... ecc. So che mi hai capito. CAIO - Non sei molto brillante, ma essendo intelligente (sto parlando di me), ho capito tutto. Me le scrivo giù queste due idee e il prossimo anno farò meglio... per risorgere. TIZIO - No, scusa eh... Io parlavo di tempo favorevole per vivere meglio da cristiani acquistando buone abitudini da subito. Mica ho detto che da qui alla prossima Quaresima vai in vacanza e rimani o torni lo stordito di prima! CAIO - Al giudizio, quello di cui dicevi tu, la tua lingua non è che peserà molto. E poi citavi Isaia... “non puntare il dito né sparlare”... Vedo che tu le buone abitudini te le sei già fatte. TIZIO - Amen. Mi hai convertito.

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don Isidoro Apostoli, salesiano in Etiopia


Dal Mali un caro saluto

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entre mi accingo a scrivere per condividere con tutti voi qualcosa della nostra vita, il Natale è appena passato e stiamo celebrando la festa dell’Epifania, della manifestazione di Gesù al mondo, festa della luce, festa dell’incontro dell’amore di Dio per tutta l’umanità. Festa e annuncio di pace ai vicini e ai lontani, perché tutti siamo parte della Famiglia di Dio. Festa che continuiamo a celebrare ogni giorno, perché Dio ha infiniti modi di manifestarsi, di manifestare il suo amore all’uomo, credente o no. Da sette mesi ormai mi trovo in questa terra maliana. Che dirvi del mio primo impatto in questa terra straniera, deserta, tanto inospitale, quanto invece è accogliente e ospitale la gente che la abita, gli abitanti di questa regione del Nord del Mali? L’accoglienza è un valore grande in terra africana, tanto da farti sentire a casa tua. Un proverbio maliano dice: “Hai lasciato la tua casa e sei arrivato a casa tua” e davvero ci sentiamo a casa nostra, anche se il clima, le abitudini, la lingua ti fanno capire che… questa casa è diversa, molto diversa dalla nostra. Per la gente la gioia di accogliere uno “straniero” mandato da Dio è grande e ognuno te lo dimostra con ringraziamenti, benedizioni a non finire, incoraggiamenti a perseverare. È così che la festa dell’Epifania è di ogni giorno. Non ha forse detto Gesù: “Chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie il Padre che mi ha mandato”? E Dio continua a manifestarsi a questi fratelli in umanità, che hanno un credo diverso dal nostro, ma vivono con passione il comando del Signore. La gente con cui viviamo, quasi totalmente musulmana (i cristiani della nostra zona sono lo 0,6%), vive in armonia e collaborazione con i cristiani, tanto che i matrimoni misti sono frequenti. La nostra casa è frequentata da tanti bambini, tutti di famiglie a religione musulmana; siamo divenute un po’ le loro mamme: entrano in casa, ci parlano, ci raccontano e noi non capiamo niente o pochissimo, ma non importa, ritorneranno ancora e chissà che anche noi tra un po’ riusciremo a balbettare un po’ la loro lingua, come loro imparano un po’ il nostro francese! Durante le feste natalizie tra musulmani e cristiani c’è stato uno scambio di auguri. A Natale il Governatore della città, della nostra regione di Mopti, ha voluto incontrare la comunità cristiana nei suoi rappresentanti, sacerdoti, religiose, responsabili delle comunità di base e dei vari gruppi cristiani impegnati nel sociale, per farci gli auguri, ringraziare per quanto la Chiesa cattolica fa per il popolo maliano e invitarci a pregare e operare per la pace. Il 1° giorno dell’anno è stato il nostro turno per ricambiare gli auguri e rinnovare pubblicamente il nostro impegno e la nostra preghiera per la pace. Vi dicevo che la terra è inospitale: noi siamo al limite del deserto che avanza implacabile con le sue bufere di sabbia, con il freddo della notte (un mese all’anno) e il sole cocente del giorno. Spesso le case si riempiono di sabbia, le piccole pianticelle dell’orto reclamano acqua e rischiano di soffocarsi, ma quando questa arriva nella stagione delle piogge (2-3 mesi all’anno), le case si riempiono di acqua, le strade non sono percorribili e l’orticello coltivato con tanto amore annega nell’acqua spietata. “La vita è dura qui anche per noi - ci dicono - ma occorre abituarsi. Noi ci viviamo ogni giorno, pochi accettano di venire ad abitare qui”. Per questo quando ci incontriamo con loro per la preghiera o al mercato o nel quartiere, rimangono meravigliati nel vederci e ci ringraziano perché rimaniamo e ci incoraggiano. Sì la vita è dura, ma bella, se il Figlio di Dio ha accettato di venire su questa terra e assumerla con tutte le sue fatiche e durezze. Anche noi siamo felici di condividere la vita dei nostri fratelli maliani del Nord, ma vi chiediamo la preghiera, perché abbiamo la forza di restare e manifestare loro concretamente l’amore che Dio in Cristo ha per ogni uomo. Insh’Allah. sr. Erminia e sorelle 50


incontri genitori (2)

incontri genitori (1)

dei ragazzi 3 media e 1^ superiore

dei ragazzi 2 media

“ACCOMPAGNARE LA MATURAZIONE PSICO-SESSUALE DEI FIGLI NELL’OTTICA DELL’AMORE CRISTIANO”

“NAVIGARE A VISTA?

Ultimo incontro sull’importante compito di educare i figli all’amore e alla sessualità.

COME AIUTARE GLI ADOLESCENTI AD AFFRONTARE IL MARE DELLA VITA”

Ultimo incontro sull’importante compito di educare i figli nell’eta’ dell’adolescenza. Venerdì 17 aprile 2015 - ore 20,30 “L’APPRODO: LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ NELL’ADOLESCENZA” dott.ssa Laura Piccinelli,Psicologa presso oratorio Bottiicino Sera

- giovedì 16 aprile 2015 - ore 20.30 “STILI EDUCATIVI GENITORIALI EFFICACI” dott.ssa Beatrice Ruggeri presso oratorio Botticino Sera

incontri genitori (3) degli adolescenti in età di 1^ e 2^ superiore

“ADOLESCENTI: MANEGGIARE CON CURA”

Ultimo incontro sulle problematiche legate in particolare all’età adolescenziale - giovedì 14 aprile 2015 - ore 20.30 “GENITORI AUTOREVOLI: LA RELAZIONE EDUCATIVA CON GLI ADOLESCENTI” dott.ssa Chiara Sandrini presso oratorio Botticino Sera 51


CRESIME sabato 24 gennaio 2015 Basilica/Santuario S.Arcangelo Tadini Botticino Sera

Foschetti Federica Garbi Alice Gelmi Federica Lazzarini Letizia Castegnati Giorgia Maria Lazzarini Stefano Ambrosi Roberto Lonati Marco Castellini Ilaria Apostoli Tommaso Marini Elisa Cerqui Gabriel Bedussi Michela Masserdotti Giada Chimini Francesca Bendotti Edoardo Massetti Lorenzo Corsini Giorgia Bentil Boris Medeghini Filippo Benzoni Leonardo Mario Corsini Riccardo Medeghini Riccardo Donini Francesco Bertoli Martina Milesi Giovanni Eugenio Doria Stefano Bettini Alice Moretti Sveva Durin Pietro Bettini Filippo Nkansah Erika Facchini Beatrice Bianchetti Marta Falappi Mattia McDavis Noventa Patrizia Biemmi Andrea Noventa Simone Favalli Luca Biena Federica Oprandi Chiara Ferdico Annalisa Bodei Raffaele Pagani Chiara Bornati Marco Maria Ferrante Giorgio Peretti Giulia Ferrante Marco Busi Angelo Pisoni Filippo Ferrari Federico Busi Giorgia Pluda Christian Filippini Alessio Busi Noemi 52


PRIME COMUNIONI domenica 25 gennaio 2015 nelle chiese parrocchiali di Botticino Sera, Mattina e S.Gallo

Pluda Rebecca Protano Leonardo Rossi Roberta Rumi Beatrice Saccomani Alessandro Sberna Vittoria Serina Giulia Soldi Sara Taetti Giacomo Tedoldi Giorgia Tempali Alessandro Tognazzi Giada Tonni Penelope Alisa Maria Tortelli Andrea Vavassori Luca Viola Matilde Wadoux Nicole Zanetti Samuele Zennaro Giorgia Zennaro Matilda solo Cresima

Cerullo Domenico Feroldi Argia Barbara

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OSTENSIONE DELLA SINDONE Nel 2015, dopo cinque anni dall'ultima Ostensione e a due anni dall’Ostensione televisiva del 30 marzo 2013, la Sindone sarà nuovamente esposta nel Duomo di Torino dal 19 aprile al 24 giugno. Nei giorni finali dell'Ostensione, domenica 21 giugno 2015, papa Francesco sarà a Torino, come da lui stesso annunciato, «per venerare la Sindone e onorare san Giovanni Bosco nella ricorrenza del bicentenario della sua nascita». Cos'è la Sindone La Sindone è un lenzuolo di lino tessuto a spina di pesce delle dimensioni di circa m. 4,41 x 1,13, contenente la doppia immagine accostata per il capo del cadavere di un uomo morto in seguito ad una serie di torture culminate con la crocefissione. L'immagine è contornata da due linee nere strinate e da una serie di lacune: sono i danni dovuti all'incendio avvenuto a Chambéry nel 1532. Secondo la tradizione si tratta del Lenzuolo citato nei Vangeli che servì per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro.Questa tradizione, anche se ha trovato numerosi riscontri dalle indagini scientifiche sul Lenzuolo, non può ancora dirsi definitivamente provata. Certamente invece la Sindone, per le caratteristiche della sua impronta, rappresenta un rimando diretto e immediato che aiuta a comprendere e meditare la drammatica realtà della Passione di Gesù. Per questo Papa san Giovanni Paolo II l'ha definita "specchio del Vangelo". Sindone e Vangeli Sul telo sindonico è visibile un’immagine di uomo, di cui è identificabile non solo la condizione di morte ma anche la causa della morte: la crocifissione. Nonostante l’immagine presenti qualche difficoltà di lettura, a causa di un’inversione di toni chiaro-scuri simili a quelli del negativo fotografico, se ne distinguono alcuni caratteri, come quello della rigidità cadaverica e dell’assenza di qualsiasi segno di putrefazione. Si notano inoltre sul corpo numerosissimi segni di ferite da flagellazione, la presenza alle mani e ai piedi di buchi da ferita di corpo acuminato (i chiodi), i segni di numerose punture sul cuoio capelluto, una grande ferita al fianco sinistro (sulla Sindone, e dunque fianco destro sull’uomo che vi fu avvolto). I segni della Sindone trovano un riscontro diretto nella testimonianza dei Vangeli circa l’esecuzione capitale di Gesù di Nazaret: crocifissione preceduta da flagellazione, battiture sul volto, incoronazione di spine, uso dei chiodi per la crocifissione stessa, e seguita dalla ferita inflitta con la lancia leggera da uno dei soldati mentre non sono

spezzate le gambe, secondo la profezia riportata in Es. 12, 46 e citata in Gv. 19,36. Le stesse caratteristiche del liquido fuoruscito dalle ferite (identificato sulla Sindone come sangue umano del gruppo AB si lasciano distinguere, sul lenzuolo sindonico, come dovute al momento del versamento, prima o dopo il decesso (sangue cadaverico). È appropriato parlare di una eccezionale corrispondenza (senza nessun altro esempio paragonabile) fra la testimonianza dell’evento della risurrezione secondo i Vangeli. I racconti evangelici della sepoltura di Gesù sono meno chiaramente interpretabili che quelli della crocifissione, perché i sinottici (Marco, Matteo e Luca) sono più parchi di particolari, mentre Giovanni parla di «teli» al plurale, di un sudario usato per Gesù, e di un rinvenimento del suo sepolcro vuoto, dove però si vedono ancora i panni funerari privi del corpo del defunto. Non sembra che ci sia contraddizione fra i sinottici e Giovanni, e neppure fra Giovanni e la Sindone, se si pensa che un lenzuolo dalle dimensioni sindoniche doveva giacere abbandonato sulla pietra sepolcrale piegato a metà e quindi con l’apparenza di un lenzuolo superiore e di uno sottostante; il sudario potrebbe esser stato il fazzolettone della mentoniera, arrotolato. È dunque giustificato dire che fra racconto evangelico e ‘racconto’ sindonico della sepoltura di Gesù non c’è contrasto, ma possibile completamento. I quattro evangelisti ricostruiscono la deposizione di Gesù dalla Croce e la sua sepoltura in quella "tomba nuova", scavata nella roccia, nel cui silenzio si compirà il mistero della Resurrezione. Ne danno testimonianza scritta Matteo, Marco, Luca e soprattutto Giovanni, il quale parla di «teli» al plurale, di un sudario usato per Gesù, e di un rinvenimento del suo sepolcro vuoto, dove però si vedono ancora i panni funerari privi del corpo del defunto.

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San Giovanni Bosco Giovanni Bosco nasce a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815 da una famiglia di contadini. Il padre, Francesco Bosco, lo lascia orfano a soli due anni, e Margherita Occhiena, la madre, si trova da sola ad allevare Antonio, Giuseppe e Giovannino. Con una dolce fermezza unita a una fede senza confini, Margherita, saggia educatrice, fa della sua famiglia una Chiesa domestica. Giovanni comincia a sentire sin da piccolo il desiderio di diventare sacerdote. Raccontò di aver fatto un sogno a 9 anni che gli rivelò la sua missione: “Renditi umile, forte e robusto”, gli disse una donna splendente come sole “e quello che vedi succedere di questi lupi che si trasformano in agnelli, tu lo farai per i miei figli. Io ti farò da maestra. A suo tempo tutto comprenderai”. Fin da ragazzo Giovanni incominciò a intrattenere i suoi compagni con giochi di prestigio, imparati con duro allenamento, alternati a lavoro e preghiera. L’anziano don Calosso lo iniziò agli studi sacerdotali, che dovette affrontare con fatica, fino a lasciare la sua casa per l’opposizione del fratello Antonio, che voleva che Giovanni lavorasse i campi. Seminarista a Chieri, ideò la Società dell’Allegria, che raccoglieva i giovani della cittadina. Nel giugno del 1841 venne ordinato sacerdote. Il suo direttore spirituale, don Cafasso, gli consiglia di perfezionare gli studi nel convitto ecclesiastico. Intanto Don Bosco raccoglie intorno a sé i primi ragazzi, e organizza un oratorio festivo, inizialmente itinerante e poi stabile a Valdocco, Torino. Dai primi ragazzi arrivano anche i primi collaboratori. Si sviluppa così il suo metodo educativo, il famoso Sistema Preventivo: “State con i ragazzi, prevenite il peccato con ragione, religione e amorevolezza. Diventate santi, educatori di santi. I nostri ragazzi si accorgano di essere amati”. I primi collaboratori diventano col tempo, grazie anche all’aiuto del Papa Pio IX, una Congregazione che mira alla salvezza della gioventù, combattendo tutte le povertà e facendo proprio il motto “Dammi le anime, e tieniti tutto il resto”. Il giovane Santo Domenico Savio è il primo dei frutti del sistema preventivo. Maria Ausiliatrice, che sempre sostenne Don Bosco nella sua opera, gli ottenne numerosissime grazie, anche straordinarie, e i mezzi necessari per tutte le sue imprese. Il 18 dicembre 1859 vide la luce la Società di San Francesco di Sales, cioè la Congregazione religiosa clericale dei Salesiani. Con l’aiuto di santa Maria Domenica Mazzarello fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e insieme ai suoi benefattori e ai laici impegnati diede vita ai Cooperatori Salesiani. on Bosco morì logorato dal lavoro a 72 anni, il 31 Gennaio 1888. Oggi i salesiani sono presenti in oltre 130 paesi in tutto il mondo, ed egli è stato riconosciuto dalla Chiesa come “padre e maestro dei giovani”. Pio XI, che lo aveva conosciuto, lo beatificò nel 1929, e lo canonizzò il giorno di Pasqua, 1° aprile 1934.

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UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINO

Commissione pastorale familiare e coppia Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per la famiglia e... dintorni

Accompagnare all’amore coniugale nell’amore coniugale Il Sinodo Straordinario sulla famiglia celebrato nello scorso ottobre, tra gli altri temi, si è soffermato con notevole rilievo alle sfide che la Chiesa si trova di fronte nell’azione pastorale di accompagnare i giovani al matrimonio sacramento. Da più parti sono emerse considerazioni di grandi cambiamenti sia rispetto ad un recente passato che dell’assoluta dinamicità del tempo presente. In questa direzione emergono alcuni punti critici che trovano come comun denominatore la fatica del credere e ancor di più del vivere la fede nella bellezza dell’amore coniugale, celebrato e testimoniato nella comunità cristiana. Perché i giovani in gran parte trovano nella convivenza una situazione migliore rispetto al matrimonio? Perché la visione vocazionale sembra così distante dalla scelta di vita coniugale in Cristo? E ancora, come mai nelle nostre comunità l’accompagnamento dell’amore dei giovani non viene considerato come prioritario o … non viene proprio del tutto considerato? Tre domande che aprono ad altrettanti piani di pensiero e di responsabilità: il trend socioculturale; le scelte individuali; la vita nella Chiesa. Oggigiorno in Italia il matrimonio è

da più parti non solo “sottovalutato” ma addirittura direttamente “svalutato”, e questo sia in ambito di società civile che rispetto alla dimensione religiosa. A questo riguardo, il diritto espresso dalla giurisprudenza e le prese di posizioni amministrative di alcuni importanti comuni sono solo la cartina di tornasole di un pensiero culturale diffuso, di stili di vita ampiamente condivisi. Fa specie che, tra tutti i problemi che ci assillano, il legislatore stia facendo in fretta e furia un grave ritocco alla normativa riguardante le procedure sul divorzio (tempi più brevi e modi più sbrigativi) o che tante parole si spendano per i famosi registri delle coppie di fatto (etero sessuali e omosessuali). Niente a che vedere col silenzio sulle politiche familiari e sui pantani in cui cadono di solito i bei pronunciamenti circa aiuti concreti alle famiglie con figli, nonché ai sostegni alle situazioni di marginalità sociale. Dopo i maestri del sospetto e i cantanti della morte del matrimonio, e quindi della famiglia su di esso fondato, oggi sembra si sia passati ai fatti, alle logiche conseguenze, con bande organizzate di “demolitori” di ogni costruzione relazionale che dica fedeltà, unicità e fecondità. Questi esperti “demolitori” a volte usa-

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no la pala del diritto, altre quelle dell’indifferenza, altre ancora quelle della propaganda anti matrimoniale e familiare, fino ad arrivare ad utilizzare le punte più penetranti, quelle che abbattono l’identità personale (maschile e femminile) e la bellezza della procreazione (mentalità contraccettiva e tecniche di fecondazione artificiali). I giovani vivono in questo contesto e respirano tutte queste tossine, rese ancor più pesanti dal poco fascino da parte degli sposi nei loro confronti e dai molti dolori per le separazioni familiari. A tutto questo si unisca la fatica di diventare adulti, di raggiungere sufficienti autonomie, di prendersi la responsabilità del “per sempre” con la persona amata e verso quelli che da questo amore potrebbero venire, i figli. I conviventi vanno accolti con gioia e accompagnati alla maturazione della loro relazione con grande serietà, pazienza e rispetto; non di meno, va sottolineato che la situazione che liberamente hanno scelto è caratterizzata da notevoli povertà, fragilità e insidie. Nella Relatio Synodi al n. 28 si afferma: “Consapevoli che la misericordia più grande è dire la verità con amore, andiamo aldilà della compassione. L’amore misericordioso, come attrae e unisce, così trasforma ed eleva. Invita alla conversione. Così nello stesso modo intendiamo l’atteggiamento del Signore, che non condanna la donna adultera, ma le chiede di non peccare più (cf. Gv 8,1-11)”. Questi giovani hanno mai sentito un annuncio importante sulla bellezza della vocazione al matrimonio?


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia Hanno mai potuto sperimentare una comunità materna e paterna che si sia interessata dei loro amori? Di fronte alla mentalità e alle situazioni di coppie eterosessuali conviventi le nostre parrocchie non possono cadere nel triplice errore del “girare lo sguardo”, o del “puntare il

dito” o del conformarsi al “tanto tutti lo fanno”. Non solo serve ripensare il cammino educativo verso i giovani, traducendo meglio il quadro vocazionale, ma ancor di più bisogna produrre una conversione pastorale tanto da credere fino in fondo che Dio è amore e che in Cristo

si è incarnato! Il matrimonio sacramento è la testimonianza vivente di questo credo, il “Mistero grande” che tanto ha appassionato San Paolo (cf. Ef. 5), quel missionario ardito ed ispirato che forse manca oggi al nostro essere Chiesa.

La grazia nel tempo dell’amore fragile “Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà”. (Realtio Synodi, 24) Il Sinodo Straordinario sulla Famiglia ci ha consegnato l’urgenza di porre mano alle tante situazioni di fragilità familiari e ai molti dolori causati dalle innumerevoli separazioni a cui assistiamo quotidianamente. Tenendo presente la necessaria e fondamentale opera educativa, che mai deve mancare e sempre dovrà essere rinnovata, guardiamo ora direttamente alle condizioni coniugali dette “irregolari” (termine questo relativo al matrimonio sacramento e non giudicante le singole persone). Il piglio però deve essere quello evangelico, sintetizzato nelle tre famose “A” di accogliere, annunciare e accompagnare, tutto in relazione alla concreta persona di Cristo, sperimentata nella comunità cristiana, nella rete cioè solidale di autentica fraternità. Ma proprio qui si ritrova una delle fonti problematiche del nostro essere Chiesa, nella quasi totale mancanza di questo sustrato di legami supportivi, concreti e sinceri. Così, nel vuoto della solitudine e nel pieno anonimato si può facilmente annidare l’effetto amplificatore, moltiplicatore, delle fatiche di ogni nucleo familiare, nel vivere cioè la pienezza della vocazione ad essere sposi, genitori, figli. A fianco di tanti esempi edificanti, ci si rende conto che spesso le situazioni sono esplosive, se non addirittura distruttive; realtà in cui il perdono e la fraternità rischiano di diventare solo delle illusioni, tanto che mestamente e con poca forza di resistenza lasciano il passo alle evasioni, alle fughe. I cammini di vita “interrotti” sono

complessi e sempre molto variegati nei loro contorni esistenziali; per questo è necessario prudenza nel giudizio e forte capacità di discernimento delle diverse situazioni, al fine di incontrarle sinceramente e poterle aiutarle a crescere, una per una. “Un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati” (id. 47). Se da un lato percepiamo immediatamente che c’è qualcosa di simile nelle condizioni coniugali di coppie conviventi, o sposate civilmente, oppure ricostituite dopo una precedente separazione, d’altro canto comprendiamo anche che già ciascuna di queste macro situazioni pone domande differenti alla vita di fede, nonché esprime posizioni diverse nella Comunità cristiana. Molto spesso, le intenzioni dei singoli non corrispondono alla oggettiva situazione in cui poi si vengono a trovare, tanto da faticare non poco nel capire la posizione del Magistero al riguardo, fino magari ad arrivare a denunciare la Chiesa di essere matrigna e non madre, sorda al dolore e poco accogliente. Una separazione è vista come soluzione estrema ad un problema troppo pesante o è subita come profonda ingiustizia, per chi viene abbandonato; così una nuova unione è ricercata per dare compimento al legittimo desiderio di futuro e di comunione. Se poi pensiamo ai conviventi (coloro che non vengono da un precedente vincolo formale), pur essendo un panorama dai contorni sfumati e fluttuanti, genericamente si potrebbe dire che affermano di scegliere di imparare a volersi bene, di allenarsi a fare gli sposi, oppure di non aver 57

bisogno di altro per amarsi, se non le loro volontà personalmente espresse. Non potrebbe la Chiesa ratificare i desideri di ciascuno? Non dovrebbe applaudire la felicità finalmente raggiunta da alcuni? Si tratta di una domanda provocatoria a cui non si può dare una risposta né banale, né affrettata; invece, chiedo ad ogni lettore di impegnare le proprie energie per camminare verso la santità in un dialogo fraterno ed evangelicamente costruttivo con tutti. Certo è che diviene necessario chiarire il significato delle cose: dell’essere discepoli di Cristo, dei legami familiari, del matrimonio sacramento, dell’indissolubilità, ecc. Comunque, non dimentichiamo mai che lo scopo di ogni azione pastorale è quello di condurre alla piena comunione con Cristo, capace di riempire ogni fragilità coniugale/ familiare di bellezza e di santità; non certo quello di scoraggiare o peggio ancora di allontanare... A questo riguardo, la Relatio Synodi, parafrasando l’evangelista Giovanni (cf. Gv 3,16- 17), afferma: “La verità si incarna nella fragilità umana non per condannarla, ma per salvarla” (29). don Giorgio Comini segretariato famiglia diocesi di Brescia


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La preghiera in famiglia La Giornata formativa del 17 gennaio ha proposto una riflessione sulla “Preghiera: respiro divino in famiglia” attraverso la lettura di alcuni testi dell’AT e NT, con la biblista Sr. Benedetta Rossi. Diamo solo alcuni passaggi sintetici della sua relazione.

L

a preghiera non è solo la parola dell’uomo per Dio ma anche la Parola di Dio che entra nella nostra vita e ci aiuta a leggerla e a scoprirvi la Sua presenza. Così la nostra vita diventa testimonianza e provoca domande anche in famiglia. Sono proprio le relazioni famigliari, bibliIl Gruppo Galilea è un cammino di fede per persone che vivono situazioni matrimoniali difficili o irregolari (es. divorziati-risposati). Gli incontri sono mensili, al centro la Parola di Dio, con ampi spazi di ascolto, riflessione e condivisione. Ogni primo sabato del mese. Gli incontri si tengono da calendario annuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Brescia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio Diocesano

di Pastorale Familiare.

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896 “Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momento di difficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di coppia chiara e stabile. Per info: info@retrouvaille.it e www.retrouvaille.it.

camente “la casa”, il luogo dove Dio visita anche attraverso la sua Parola. Da dove iniziare? Da un tempo per … ridonare senso al tempo. Noi abbiamo la domenica, per ridare significato al resto della settimana, per guarire la relazione col proprio lavoro, per curare in particolar modo le relazioni famigliari, riconoscendo Dio come Creatore e Padre. Proprio come l’esperienza dell’ Esodo: Dio libera le nostre vite. Ma anche negli altri giorni è possibile intrecciare vita e preghiera e la famiglia ne è il luogo privilegiato. Sr. Benedetta lo ha fatto comprendere attraverso la lettura e spiegazione di Dt 6,4-9.20-25, rendendo concreta questa parola nella dimensione domestica. Non si tratta di osservare dei precetti ma di offrire agli interrogativi dei figli un senso, a partire dalla propria vita che racconta l’esperienza personale di Dio. Così la Parola di Dio si attualizza nella vita e diventa preghiera. Da ultimo uno sguardo alla realtà descritta in At 1,14-15 e 2,42-47 dove il dono dello Spirito santo ed i suoi frutti sono dati ad una comunità che ha una dimensione familiare … La relazione ha offerto provocazioni e suggestioni che sono arrivate dritte al cuore, aiutandoci ad un confronto immediato con la nostra esperienza sia personale che familiare e a decidersi. Questa l’esortazione finale: «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,11-14). Le testimonianze che poi sono seguite nel dialogo con l’assemblea ne sono state una conferma. Pensandoci bene, alcuni anni 58

della vita familiare li passiamo la maggior parte del tempo fuori casa, perché la scuola o il lavoro e altri impegni ci portano a vivere sia da adulti che da bambini in altri luoghi. E l’abitudine alla preghiera può seguirci anche lì, anche quando non siamo tutti insieme, ben sapendo che poi tutto quello che abbiamo vissuto separatamente in qualche modo lo “riportiamo” in famiglia, e a volte proprio lo “scarichiamo” travolgendo gli altri come un fiume in piena. Quando però la preghiera ci segue anche fuori trasforma quello che stiamo vivendo, ci dona occhi e cuore nuovi sulla realtà, insieme a quel discernimento necessario ad agire il bene. Invocando la presenza di Dio Padre, Figlio e Spirito santo, nel tempo che scorre inesorabilmente, nelle occupazioni che si ripetono quotidianamente, il significato che gli diamo e ciò che viviamo è radicalmente diverso. Anche per coloro che ci incontrano. Vi lasciamo perciò un’altra citazione dalla lettera alle famiglie del card. Tettamanzi: per rendere “pieno”, felice, fruttuoso il tempo che si trascorre fuori casa non basta la sola buona educazione. Molti, mentre sono fermi nel traffico della tangenziale, recitano l’“Ave Maria”. So di persone che mentre aspettano il verde del semaforo ripensano alle parole ascoltate la domenica in chiesa. Non manca chi mentre viaggia in treno si domanda perché la figlia quindicenne si è tanto arrabbiata nella discussione della sera precedente, proponendosi un esercizio di pazienza e maggior comprensione. Non esiste tempo che per definizione è perso, sprecato: ogni minuto può essere occasione per riflettere, pensare, pregare, amare. Mi permetto di suggerire un atteggiamento per dare un’anima all’uscita di casa, il gesto semplice che ogni mattina apre le porte al mondo.


pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia È l’attenzione. L’attenzione è quella disposizione tipica della persona che si accorge della presenza e dei bisogni degli altri e li considera come “incontri possibili”. Chi è dotato di attenzione non è così ripiegato su di sé, sui suoi problemi a tal punto da ignorare gli altri o addirittura da considerarli un fastidio o una minaccia. Chi è attento sa raccogliere con gratitudine il dono di un sorriso o l’invocazione di un aiuto. Proprio come succede in una famiglia in cui ci si vuole bene: basta uno sguardo per decifrare un umore, indovinare una preoccupazione, accogliere un bisogno. Riesce ad essere attento chi lascia abitare dentro di sé la grazia del Signore che aiuta a riconoscere intorno a sé uomini e donne in cerca di gioia. L’attenzione è simile al portinaio simpatico che vigila e apre la porta appena t’avvicini: dice già della fraternità e della bellezza della famiglia che sta per visitare! Sento urgente suggerire a chi lavora in fabbrica, a scuola, in casa, in un ospedale, in ufficio di svolgere bene e con passione il proprio dovere così da essere l’anima anche del mondo del lavoro. So che non tutte le mattine è facile, so che non in tutte le situazioni è sempre possibile. Vorrei però raccomandare un atteggiamento, quasi una “spiritualità”, che mi sembra essere il principio di molte possibili prospettive promettenti. È il senso di responsabilità. Lo posseggono coloro che sono consapevoli che si deve rispondere, prima o poi, della qualità delle proprie azioni. Si deve rispondere di fronte a Dio: egli infatti domanderà conto di come sono state usate le doti di cui ciascuno dispone e le risorse naturali affidate all’uomo. Egli domanderà conto di come sono stati trattati i lavoratori, perché raccoglie il gemito degli sfruttati e di coloro che sono trattati ingiustamente e darà il giusto premio per il bene compiuto con giustizia e generosità. Il senso di responsabilità spinge anche a farsi carico degli altri per quanto è possibile e compete. Il politico e l’imprenditore, il dipendente e il sindacalista, l’insegnante e lo studente: tutti devono rendere conto, tutti sono chiamati a servire. E ciò può avvenire non solo con la forza della propria volontà, ma a partire dall’esempio e dalla grazia di Gesù, che con passione e tenacia ha servito gli uomini e le donne del suo tempo perché in essi vedeva “i benedetti, i figli del Padre suo”. Chiara Pedraccini

Dalla Lettera alle Famiglie

L’Educazione

In che cosa consiste l’educazione? Per rispondere a tale domanda vanno ricordate due verità fondamentali: la prima è che l’uomo è chiamato a vivere nella verità e nell’amore; la seconda è che ogni uomo si realizza attraverso il dono sincero di sé. Questo vale sia per chi educa, sia per chi viene educato. L’educazione costituisce, pertanto, un processo singolare nel quale la reciproca comunione delle persone è carica di grandi significati. L’educatore è una persona che «genera » in senso spirituale. In questa prospettiva, l’educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato. È una comunicazione vitale, che non solo costruisce un rapporto profondo tra educatore ed educando, ma li fa partecipare entrambi alla verità e all’amore, traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Per la « civiltà dell’amore » è essenziale che l’uomo senta la maternità della donna, sua sposa, come un dono: questo infatti incide enormemente sull’intero processo educativo. Molto dipende dalla sua disponibilità a prendere parte nel modo giusto a questa prima fase del dono dell’umanità, e a lasciarsi coinvolgere in quanto marito e padre nella maternità della moglie. L’educazione è allora prima di tutto un’« elargizione » di umanità da parte di ambedue i genitori: essi comunicano insieme la loro umanità matura al neonato, il quale a sua volta dona loro la novità e la freschezza dell’umanità che porta con sé nel mondo. Questo si verifica anche nel caso di bambini segnati da handicap psichici e fisici: in tal caso, anzi, la loro situazione può sviluppare una forza educativa del tutto particolare. A ragione, dunque, la Chiesa domanda durante il rito del matrimonio: « Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa? ». L’amore coniugale si manifesta nell’educazione come vero amore di genitori. Se, nel donare la vita, i genitori prendono parte all’opera creatrice di Dio, mediante l’educazione essi diventano partecipi della sua paterna ed insieme materna pedagogia. La paternità divina, secondo san Paolo, 59

costituisce il modello originario di ogni paternità e maternità nel cosmo (cfr Ef 3, 14-15), specialmente della maternità e paternità umana. I genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli ed hanno anche in questo campo una fondamentale competenza: sono educatori perché genitori. Essi condividono la loro missione educativa con altre persone e istituzioni, come la Chiesa e lo Stato; ciò tuttavia deve sempre avvenire nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà. La paternità e maternità, questo primo e fondamentale dato nel dono dell’umanità, aprono davanti ai genitori e ai figli nuove e più approfondite prospettive. Generare secondo la carne significa avviare un’ulteriore « generazione », graduale e complessa, attraverso l’intero processo educativo. Il comandamento del Decalogo esige dal figlio ch’egli onori il padre e la madre. Ma, come sopra si è detto, il medesimo comandamento impone ai genitori un dovere in un certo senso « simmetrico ». Anch’essi devono « onorare » i propri figli, sia piccoli che grandi, e tale atteggiamento è indispensabile lungo l’intero percorso educativo, compreso quello scolastico. Il « principio di rendere onore », il riconoscimento cioè ed il rispetto dell’uomo come uomo, è la condizione fondamentale di ogni autentico processo educativo. La Chiesa desidera educare soprattutto attraverso la famiglia, a ciò abilitata dal sacramento del matrimonio, con la « grazia di stato » che ne consegue e lo specifico « carisma » che è proprio dell’intera comunità familiare. È il vangelo dell’amore l’inesauribile sorgente di tutto ciò di cui si nutre la famiglia umana come « comunione di persone ». Nell’amore trova sostegno e senso definitivo l’intero processo educativo, come frutto maturo della reciproca donazione dei genitori. Mediante le fatiche, le sofferenze e le delusioni, che accompagnano l’educazione della persona, l’amore non cessa di essere sottoposto ad una continua verifica. Per superare quest’esame occorre una sorgente di forza spirituale che si trova solo in Colui che « amò sino alla fine » (Gv 13, 1). Così l’educazione si colloca pienamente nell’orizzonte della « civiltà dell’amore »; da essa dipende e, in grande misura, contribuisce a costruirla.


Scuola don Orione

SCUOLA PRIMARIA E SECONDARIA DI PRIMO GRADO

paritarie

via Don Orione 1 Botticino Sera

scuola parrocchiale don orione - scuola parrocchiale don

voci ….dalla scuola don orione

da Nicolò Sono arrivato in questa scuola in terza media, alla fine di un lungo percorso preceduto da esperienze scolastiche molto difficili. Una volta qua al Don Orione però, con mia grande sorpresa, ho trovato una bellissima accoglienza. La mia esperienza sta proseguendo bene, certo con un po’ di difficoltà come tutti, però molto più tranquilla, aiutata anche da insegnanti che sono sempre pronti a darti una mano e di compagni che sono anche dei grandi amici nel momento del bisogno. Un consiglio per tutti: è una scuola che non si trova ovunque, con un insegnamento che va ben oltre la semplice didattica ma che valorizza l’onestà, il dialogo... valori forse troppo i disattesi di questi tempi?

Parrocchie di Botticino Da Federica- Alice- Mattia( Pagella d’oro all’Arnaldo)

16 febbraio 2015: oggi è Carnevale le nostre scuole sono chiuse, quale occasione migliore per tornare alla nostra scuola media! Siamo ormai in terza superiore e ricordando i nostri compagni decidiamo di monitorare la situazione attuale : uno già lavora, un altro ha dovuto lasciare gli studi per gravi problemi di salute, 5 hanno cambiato indirizzo di studi dopo il primo anno( capita se non si segue il consiglio orientativo della scuola media!) 16 felicemente inseriti in scuole superiori con risultati più che positivi. E pensare che qualcuno sostiene che al Don Orione non ci preparano per le superiori! Da Francesca – Elisa ( 1A superiore) Ormai siamo alle superiori, frequentiamo una il liceo scientifico, l’altra il classico all’Arnaldo. Si tratta di scuole difficili, ma che danno parecchie soddisfazioni. Tutto ciò è stato possibile grazie all’ottima preparazione delle medie...... certo, al Don Orione, che oltre a donarci una buona conoscenza in tutte le materie, ci ha insegnato a confrontarci con gli altri. Se stiamo frequentando il liceo dobbiamo essere grati ai professori e al loro metodo di insegnamento! Dalla preside la crisi non molla e si sente anche al Don Orione. E continuano le letture ideologiche , gli attacchi gratuiti alle scuole non statali e quindi anche alla nostra, mentre si continua a mettere a rischio il pluralismo educativo. Nella cultura dell’opinabile, dell’incerto, almeno i numeri restino una scienza certa • Provenienza dei nostri alunni n. 50 di Botticino (32 primaria 18 secondaria) nessuno è profeta in patria! n. 27 di Rezzato ( 16 “ 11 “ ) n. 3 di Nuvolento - n. 3 di Brescia - n. 9 di Serle (5 primaria 4 secondaria) n. 3 di Leno ( 2 primaria 1 secondaria) - n. 1 di Manerba del Garda n. 2 di Paitone - n. 2 di Prevalle - n. 4 di Nuvolera • scuola di qualità? Da cosa si evince la qualità di una scuola? Naturalmente non da chiacchiere, da sentito dire, da pregiudizio o altro, ma dai numeri: licenziati dal 1982/ al 2014 alunni 591 e dopo ? Molti laureati- e/o in corso di laurea, l’80% diplomati...... ragazzi, come tutti, diventati bravi professionisti , insegnanti, registi, artisti ,avvocati, assessori , sacerdoti (2), ricercatori negli Usa, funzionari dell’esercito ....o tecnici qualificati, o bravi operai ,bravi genitori, brave persone , come tanti! E le famigerate PROVE INVALSI? Anche qui non abbiamo nulla da temere! Non siamo né superiori , né inferiori a nessuno, perfettamente in linea con i dati della Lombardia! E alunni in difficoltà? Quale scuola non ne ha? : 0 alunni con ritardo cognitivo e certificazione che necessitano di insegnante di sostegno 5 alunni con Dsa per i quali vengono messe in atto le misure compensative e dispensative previste dalla legge. Tutto nella norma dunque! In questo clima di incertezza le famiglie non investono in cultura. Certo si fa fatica, ma valga per tutti quanto un genitore mi ha detto iscrivendo il figlio: “ho deciso di smettere di fumare, i soldi che andavano in fumo, ( 1898 euro all’anno) saranno meglio impegnati per la scuola di mio figlio!” Non è solo questione di soldi, è questione di scelte! E se qualcuno pensasse “Mi piacerebbe, ma......” non esiti a contattarci! 60


n orione- scuola parrocchiale don orione- scuola parrocchiale don orione- scuola parrocchiale Da una famiglia Era una mattina piovosa d’ottobre di qualche anno fa e con rassegnazione e amarezza percorrevamo la strada che porta a Botticino. Avevamo preso telefonicamente appuntamento con la Preside, Prof.Busi, per avere informazioni circa la scuola Don Orione. I nostri figli avevano già fatto esperienza in altre scuole, anche private. Come genitori desideriamo lasciare ai nostri figli qualcosa che è invisibile agli occhi e che va ben oltre i beni materiali; qualcosa di cui niente e nessuno possa mai privarli. Cercavamo quindi una scuola che camminasse accanto a noi,che ci aiutasse a “crescere” i nostri figli, trasmettendo valori, oltre che conoscenze e che sapesse accoglierli e rispettarli con tutti i loro limiti e le loro potenzialità. Non dimenticheremo mai le parole della Preside: “Domani aspetto i bambini a scuola,trascorreranno con noi la giornata, poi, liberamente deciderete”. Per la prima volta non ci avevano offerto parole vuote o promesse. Da subito abbiamo assaporato il clima familiare,che contraddistingue il Don Orione. Nella quotidianità si verifica ciò che accade in ogni famiglia: ci si parla, ci si confronta e si fanno scelte condivise fra alunni, genitori, insegnanti e personale non docente. I nostri figli vivono la scuola con serenità, perché qui si sentono amati e rispettati e la gioia di vederli crescere in questo clima, ci porta oggi a dire che quella piovosa mattina di ottobre abbiamo scelto la scuola giusta.

Da Corriere. LA RIFORMA DELLA SCUOLA il 26 febbraio 2015

Il governo apre alle scuole private Sgravi fiscali per chi le sceglie Il sottosegretario Toccafondi: detrazioni sulle rette. I timori dei ricorsi dei precari ROMA - «Vorremmo dare la possibilità anche a due operai di scegliere se mandare il figlio in una scuola pubblica o in una paritaria». Come? «Detraendo fiscalmente almeno parte della retta da pagare». C’è anche questo nella Buona scuola del governo di Matteo Renzi, la cui discussione in Consiglio dei ministri è slittata da domani al 3 marzo. E nell’ultima bozza al Miur spunta la possibilità di un aiuto per le famiglie con i figli negli istituti non statali. «La rivoluzione delle Buona scuola - spiega il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi - non è un semplice decreto, ma una riforma complessiva del sistema», e il sistema «da legge 62 del 2000 dell’allora ministro Luigi Berlinguer, è composto da scuole statali e paritarie private». Parliamo di quasi 1 milione e mezzo di studenti, oltre 13 mila istituti e 100 mila tra insegnanti e personale amministrativo: tra questi ci sono almeno la metà di bambini delle scuole materne private .«Non si possono ignorare». Anche perché, in quanto paritarie e quindi riconosciute dallo Stato, «loro rispettano le stesse norme e regole della scuola statale». Ricevono ogni anno intorno ai 400-500 milioni di euro. «Ma lo studente della paritaria - fa i conti Toccafondi - costa circa 450 euro, contro i 6.800 di uno della statale». Anche la ministra Stefania Giannini, da sempre paladina della «libertà di scelta educativa per le famiglie» ieri ha ribadito che «il sistema pubblico ha due pilastri, scuola statale e non statale, lo stabilisce la legge, ma mancano le misure che rendono completamente attuato questo processo». I costi sono il punto dolente della questione. Il Miur pensa perciò a una detrazione parziale delle rette. Esultano la Compagnia delle Opere e l’Associazione dei genitori delle scuole cattoliche: «Si mette fine a una grave ingiustizia». Un po’ meno Sel che parla di «fatto grave da rigettare senza riserve». Ma nel Pd c’è chi, come Simonetta Rubinato e Simona Malpezzi, sostiene che «la libertà di insegnamento e scelta educativa debbano avere spazio» e che «la detrazione fiscale è un primo passo». Ma non tutte le paritarie sono uguali: il Miur pensa a controlli più severi per combattere i cosiddetti diplomifici. Ora, dice Toccafondi, «l’ultima parola tocca a Renzi». Non è l’unico nodo da sciogliere. Tutti i particolari sul piano di assunzioni restano da definire, a partire dai risvolti economici, al centro di un incontro tra tecnici dell’Istruzione e delle Finanze. La legge di Stabilità ha stanziato 1 miliardo, ma per specificare le ricadute che avrà l’assorbimento dei precari il Mef ha bisogno di numeri certi. Che ancora non ci sono. Dai 134 mila precari delle Graduatorie a esaurimento bisognerà eliminare 26 mila docenti che non hanno mai insegnato e 20 mila maestri di scuole dell’Infanzia. Cosa si farà con gli «esclusi»»? Il rischio di ricorsi a pioggia è massiccio. Si fa strada l’ipotesi di un maxi indennizzo e di coprire le cattedre scoperte con i precari di seconda fascia, facendoli entrare con supplenze almeno annuali, una sorta di contratto «ponte» per traghettarli fino al prossimo concorso. In quell’occasione, forti di un punteggio agevolato, potrebbero entrare nel mondo della scuola dal portone principale. Valentina Santarpia Claudia Voltattorni 61


grand’estate 2015 - PARROCCHIE DI BOTTICINO Il programma delle parrocchie ricco di inziative estive rivolte ai ragazzi nei nostri oratori con il Grest, le settimane in montagna per i preadolescenti, adolescenti e le esperienze forti per i giovani. Le parrocchie sono molto attente a valorizzare il tempo estivo promuovendo iniziative che diano la possibilità a chi vi partecipa di fare esperienze importanti per la propria crescita umana e cristiana.

GREST 2015

Il tema del Grest 2015 è il MANGIARE. Apparecchiare e sparecchiare, mettersi a tavola e sedere, spezzare il pane e versare il vino, mangiare in un fast food oppure intrattenersi in un ricevimento: nessun atto è così istintivo, spontaneo, scontato, irriflesso come il mangiare e nessun altro atto può essere così ricercato e bisognoso di un pensiero forte affinché possa riuscire nei suoi intenti. Ma soprattutto – non possiamo non riconoscerlo! - nessun atto è così capace di dire bene e fino in fondo chi è l’uomo. Vale proprio l’adagio - non così antico ma certamente qualche volta sentito – che dice: “Dimmi come mangi e ti dirò chi sei!”. Addirittura possiamo azzardare che l’esperienza del mangiare - e noi cristiani non siamo certamente fuori luogo nel dirlo! - è anche un’esperienza profondamente spirituale. Proprio perché la spiritualità deve avere a che fare con la vita, altrimenti rischia di restare un semplice esercizio di retorica. Provando a cambiare sguardo ci potremmo accorgere che il mangiare è occasione di incontro con il Mistero della Vita che sostiene ma, allo stesso tempo chiede una continua conversione della mente e del cuore. Come? Una certezza! Che anche Dio si è avvicinato a questa dimensione dell’esistenza e ne ha fatto il suo punto di forza. Cos’altro è l’eucarestia se non questo? Ovvero l’esperienza di un Dio che per incontrare l’uomo fa sua l’esperienza del mangiare? E mentre così ci sostiene, ci provoca anche ad una messa in discussione di chi siamo e dove vogliamo andare. Il mangiare quindi. Il mangiare sarà il tema che accompagnerà la prossima estate dei nostri oratori. L’orientamento non nasce a caso ma arriva già anni fa quando si decise di raccogliere un’altra sfida che l’estate 2015 porta con sé: l’evento - di portata mondiale - che risponde al nome di EXPO e che si concentrerà proprio sul tema del mangiare. Evocativo il titolo: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”; così come il titolo che la Santa Sede ha dato al suo padiglione: “Non di solo pane”. 1 - INVITARE - “MANGI CON ME?” Arriviamo a tavola perché qualcuno ci ha invitato. Dal più classico “c’è pronto!” che la mamma dice prima di ogni pasto, al più scontato “mangiamo insieme?” che amici o parenti si scambiano per rafforzare il loro rapporto, il mangiare è sempre frutto di un invito che qualcuno fa e che qualcuno riceve. E se l’invito è fatto bene, sia per consuetudine che per necessità, significa che c’è qualcosa da ricordare o festeggia- Una Per Ogni Giorno, Intenzioni Educative • PREPARARE ovvero “C’è pronto!”: siamo invitati re. Ma soprattutto che qualcuno ha preparato qualcosa per me! Tuttavia nessuno può arrogarsi il diritto di poter solo invitare! Perché alme- da qualcuno che ha preparato un posto e qualcosa per noi! • INVITARE ovvero “Vieni?”: siamo invitati da qualno una volta nella vita ovvero quando siamo nati, tutti siamo stati invitati alla cuno che si è rivolto a noi dicendoci parole belle e invitanti! tavola del vivere: nessuno ha infatti chiesto di nascere ma è stato invitato ad • AVVICINARSI ovvero “Siamo qui!”: siamo invitati affacciarsi su questo mondo. Sedersi a tavola allora è innanzitutto un gesto “pas- perché c’è qualcosa di bello da vivere! sivo” proprio perché frutto di un invito che ci è stato rivolto, di una possibilità • RINSALDARE ovvero “Insieme è bello!”: siamo inche ci è stata offerta. E chiede un’accoglienza “di fondo”, senza la quale qualsiasi vitati perché qualcuno tiene in modo particolare a noi! • GIOIRE ovvero “Buon appetito!”: siamo invitati peresperienza non potrebbe avere inizio. ché possiamo vivere una bella esperienza! E AL GREST? Anche il Grest non è da meno: cosa è l’esperienza dell’estate se non qualcosa alla quale tutti siamo invitati e che chiede un atteggiamento di accoglienza per incominciare ad essere vissuta? 2. RINGRAZIARE- “SI, GRAZIE!” L’accettazione dell’invito suppone meraviglia e stupore per ciò che ci è stato offerto. Ma non può non diventare anche gratitudine ovvero atteggiamento concreto che permette di far vedere il nostro apprezzamento a chi ha fatto il dono. E magari anche occasione per far nascere un nuovo rapporto dove il dono ricevuto diventa a sua volta un dono ricambiato. Diciamo “che buono!” quando ci accorgiamo che ciò che ci è stato preparato, è di nostro gradimento. Di più ancora, ci preoccupiamo di non 62


arrivare a mani vuote – “ho portato anch’io qualche cosa!” - proprio per dimostrare la gratitudine e l’affetto che ci lega. Sicuramente tutto questo dipende anche dallo sguardo che ciascuno di noi ha su le cose: un occhio buono è capace di cogliere il bello di ciò che è stato preparato e che ci viene donato. Un occhio “meno” allenato e buono farà sicuramente molta più fatica ad accorgersene. E AL GREST? Anche il Grest non può continuare se, accanto all’accoglienza dell’invito, non trova spazio la gratitudine per quanto è stato preparato: “che bello!”, “grazie per quanto avete fatto per me!”, “anche io ho portato qualche cosa”!

Una Per Ogni Giorno, Intenzioni Educative • ACCOGLIERE ovvero “Non ci posso credere!”: diciamo grazie per riuscire a vedere anche ciò che passa inosservato. • RINGRAZIARE ovvero “Si, grazie!”: diciamo grazie per le buone relazioni che ci è dato di vivere. • STUPIRSI ovvero “Che buono!”: diciamo grazie per le cose belle che sono state preparate. • RICAMBIARE ovvero “Per te!”: diciamo grazie attraverso un dono per ciò che abbiamo ricevuto. • RELAZIONARSI ovvero “Con te!”: diciamo grazie per le nuove amicizie che possiamo costruire

3. CONDIVIDERE - “TUTTI A TAVOLA” Un dono ricevuto smette di essere tale se non è riconosciuto, ma soprattutto se non è condiviso e ricambiato: un dono egoisticamente trattenuto rischia di perdere il suo valore iniziale, trasformandosi in oggetto posseduto o, peggio ancora, in un idolo che rende schiavi. Anche il cibo, preparato e mangiato, rischia di diventare strumento di discriminazione se non si presta attenzione ad una sua equa distribuzione e condivisione: “mangiatene tutti” ci ricorda la Liturgia, proprio Una Per Ogni Giorno, Intenzioni Educative perché ciascuno abbia il suo per mezzo della condivisione. Sembra scontato • DESIDERARE ovvero “Attenzione!”: guardiamoci ma mai come oggi condividere fa rima con “suddividere”: pochi hanno molto e attorno per imparare a non sprecare. • PRENDER PARTE ovvero “Eccomi!”: condividia- molti hanno poco! Per noi occidentali allora, senza cadere in inutili moralismi, il condividere potrebbe assumere il sapore dell’“accontentarsi” di ciò che si ha mo per accorciare le distanze. • CONDIVIDERE ovvero “Tuttiatavola!”: condividia- perché altri possano avere la stessa nostra fortuna. A volte nelle ricette di cucina mo per portare il nostro contributo. si trova scritto “quanto basta”: banale eppure chiaro nel ricordarci che esiste • RICORDARE ovvero “Mi stai a cuore!”: condividiauna giusta misura nell’usare le risorse a disposizione e che l’esagerazione non è mo per non dimenticare. • ACCONTENTARSI ovvero “Quanto basta!”: condi- mai una buona compagna di vita. Il condividere però non può essere solo un gesto materiale. Quante volte un gevidiamo per riconoscere ciò che è necessario sto di generosità trasmette l’esatto contrario di quello che in realtà vorrebbe realizzare. Il condividere, se non è preceduto o almeno sostenuto da una buona intenzione, rischia di essere frainteso e causa di ulteriore distanza. Condividere allora non può non far rima con “compatire” ovvero con quella disposizione del cuore che costantemente mi riporta al senso di ciò che sono chiamato a fare. E AL GREST? Il Grest diventa ancora più bello se diventa luogo di condivisione, luogo capace di generare comunità, piccola trama di relazioni condivise. 4. GUSTARE - “CHE BUONO!” IN ALTRE PAROLE… È l’esperienza più “sublime” del mangiare. Quella che tocca i sensi. E che permette di dare il giusto valore alle cose. Chi mangia - e non solo si nutre! - si preoccupa di “gustare” ciò che mangia ovvero di riconoscere e apprezzare il valore del cibo in sé così come di tutto quello che vi appartiene. La capacità di gustare va a toccare quindi le radici più profonde dell’esistenza: Una Per Ogni Giorno, Intenzioni Educative s’infila nella mente e nel cuore contribuendo a costruire un ricordo indelebile cui • SALUTARE ovvero “Ciao ciao!”: gustiamo per avere fare piacevolmente ritorno in futuro soprattutto per trarre forza nei momenti di la voglia di darci un nuovo appuntamento. • GUSTARE ovvero “Cin cin!”: gustiamo per augurare sconforto. Quando stiamo per terminare un bel momento attorno alla tavola, siamo soliti tutto il bene possibile. brindare oppure dire “che bello che è stato!”. Ovvero: d’ora in poi non potrà più • INTERIORIZZARE ovvero “Che bello che è stato!”: gustiamo per fare nostro ciò che abbiamo vissuto. essere come prima! Abbiamo vissuto qualcosa di talmente bello che, proprio per • PROGETTARE ovvero “E adesso?”: gustiamo per questo, faremo di tutto perché il futuro vi assomigli! Che cosa è il brindisi se non guardare avanti. riconoscere il bello che c’è stato e augurare a sé e agli altri che anche il futuro • RICONOSCERE ovvero “Mai più!”: gustiamo per non fare gli stessi errori. possa essere altrettanto? E AL GREST? Un Grest diventa esperienza di crescita per la vita se gli è permesso di lasciare un segno indelebile nella vita dei bambini e dei ragazzi che vi partecipano. Un Cre-Grest però diventa ancor più significativo se è capace di aprire sguardi nuovi verso il futuro e invitare a tradurli in gesti concreti. Se così non è, il rischio lo consociamo bene: il tutto resterà una bella parentesi che, con il termine dell’estate, svanirà. Da qui l’invito a gustare l’esperienza dandole tutto il tempo perché venga non solo vissuta ma anche interiorizzata e rilanciata.

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PARROCCHIE DI BOTTICINO

GREST 2015 ORATORIO SAN GALLO 8-19 GIUGNO (da lunedì a venerdì - orario 13,30-17.30) Due settimane di giochi e allegria per stare insieme e cominciare alla grande la nostra Estate.

ORATORIO MATTINA 22 GIUGNO - 10 LUGLIO (da lunedì a venerdì - orario 9,00-17.30) Squadre, punteggi e lavori di gruppo, una grande sfida per divertirsi e riflettere, ma soprattutto per crescere insieme.

ORATORIO SERA 13 - 31 LUGLIO (da lunedì a venerdì - orario 9,00-17.30) Un nuovo modo di pensare l’estate.

Durante le giornate un aiuto per concludere i compiti di scuola. Il pomeriggio non un percorso unico per tutti ma una serie di laboratori durante i giorni della settimana a cui le famiglie potranno iscrivere i figli liberamente. Laboratori Sportivi - Laboratori Artistici - Laboratori Manuali - Laboratori Musica Ogni partecipante quindi frequenterà i laboratori a cui si iscrive e i genitori potranno decidere quanti e quali laboratori vogliono attivare.

CAMPUS don Orione 17 AGOSTO - 4 SETTEMBRE (da lunedì a venerdì - orario 8,30-17.30) Attività di recupero scolastico e pre-scuola.

CAMPI ESTIVI

L’estate è alle porte. Per i ragazzi la scuola sta per finire, li attende un ultimo sforzo con gli esami, poi le vacanze … il tempo libero, le giornate con gli amici ... e per i più fortunati il mare o altre località di villeggiatura. Nella seconda metà del mese di luglio vengono organizzati dalle parrocchie di Botticino i Campi Estivi in località presso la Casa Boazzo in Val Daone, i ragazzi delle scuole fine prima, seconda, terza media e adolescenti. I Campi sono un esperienza di “vita vera”. Un insieme di giorni (una settimana) dove si vivono le relazioni di amicizia, il gioco, la riflessione, il lavoro di gruppo, la gita ... la bellezza dello stare insieme, vivendo in pienezza ogni giornata in un paradiso naturale. Dice un proverbio “Non sprecare tempo perchè il tempo non conosce retromarcia”. A breve le date, i luoghi e le modalità per le iscrizioni.

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NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO

durante la settimana varie opportunità di incontro di formazione presso l’oratorio per adolescenti ogni giovedì e venerdì ore 20,30 per giovani ogni venerdì ore 20,30

ADOLESCENTI E GIOVANI

SICHAR

gruppo vocazionale diocesano per le giovani i giovani dai 18 anni aperto al discernimento di tutte le vocazioni (vita matrimoniale, consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale… ) una domenica al mese - dalle 9,00 alle 17.00

Nessuno escluso dalla gioia che Tu porti 19 aprile/17 maggio

EMMAUS

Esperienze di carità, di festa, di fraternità, di divertimento

gruppo vocazionale diocesano per giovani dai 18 anni che non escludono la vocazione sacerdotale presso il Seminario diocesano una domenica al mese dalle ore 12.30 alle 18.00

Giornata della gioventù sabato 28 marzo Veglia delle Palme

la GIOIA nel cuore dei SANTI 26 aprile/24 maggio/21 giugno

NUOVI STILI DI VIAGGIO

Toccare con mano la realtà della missione per i giovani di buona volontà che si rendono disponibili. Insieme ai missionari bresciani vedono e vivono, magari anche solo marginalmente, cosa significa essere testimoni in paesi lontani dalla nostra cultura. Un viaggio nel cuore della missione e nello spirito dei missionari.

Progetto Giovani & Comunità

quattro mesi di esperienza per i giovani e le giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la vita comunitaria e il servizio, si confrontano sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristiani info: Ufficio Caritas 030.3757746 -Ufficio Vocazioni 030.3722245

PELLEGRINAGGIO CON IL VESCOVO LUCIANO per giovani dai 18 ai 35 anni a piedi da Subiaco a Roma dal 31 luglio al 7 agosto 2015

PRIMA TAPPA_31/07: da Brescia a Subiaco in autobus. Salita a piedi ai monasteri di Santa Scolastica e San Benedetto. SECONDA TAPPA_01/08: da Subiaco a S. Vito Romano attraverso il Parco dei Monti Simbruini. TERZA TAPPA_02/08: da S. Vito Romano a Genazzano. Celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Domenico Sigalini al Santuario della Madonna del Buon Consiglio. Arrivo a Palestrina. QUARTA TAPPA_03/08: da Palestrina a Castel Gandolfo attraversando il Parco dei Castelli Romani. QUINTA TAPPA_04/08: riposo a Castel Gandolfo e nel pomeriggio partenza per Roma, Via Appia, Catacombe di San Callisto. SESTA TAPPA_05/08: dalle Catacombe di San Callisto alla Basilica di San Giovanni in Laterano. Arrivo nel pomeriggio a San Pietro. SETTIMA TAPPA_06/08: Roma, visita libera della città. Viaggio notturno per Brescia. Arrivo a Brescia nella mattina del 7 agosto. IMPORTANTE: il percorso è a piedi su strade e sentieri e potrebbe subire delle variazioni; i pernottamenti saranno con sacco a pelo in strutture messe a disposizione dalle parrocchie lungo il percorso; l’organizzazione provvederà ai pasti come sarà indicato successivamente nel programma dettagliato e definitivo.

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Giornate di spiritualità per giovani dai 18 anni in su, presso l’Eremo di Bienno

la gioia cristiana meditazioni del Vescovo Luciano 1-2-3 maggio 2015

Lectio divina, preghiera, tempi prolungati di silenzio e momenti di condivisione, testimonianze, accompagnamento spirituale, celebrazioni.



BILANCIO 2014 PARROCCHIA Ss.FAUSTINO E GIOVITA BOTTICINO MATTINA USCITE

ENTRATE

REMUNER.E COLLABOR. CLERO 20.202,00 1.300,00 COLLETTA S. MESSE FESTIVE .E FERIALI RIMBORSO SPESE COLLABOR. LAICI 4.470,00 5.240,00 OFF.SERVIZI RELIGIOSI (BAT.FUN..MATR…) SPESE ORDINARIE DI CULTO 2.806,80 580,00 OFFERTE IN CASSETTE E CANDELE SPESE UTENZE (GAS,TEL,ELETTRICITÀ, ACQUA) 2.278,00 26.195,67 ALTRE OFFERTE ORDINARIE TECNICI PER TORRE CAMPANARIA 12.721,07 8.706,10 RIFUSIONI E RIMBORSI ASSICURAZIONI RC INFORT. FURTO INCENDIO 11.428,00 6.372,00 CONTRIBUTI DA ENTI PUBBLICI SPESE PER ATTIVITÀ PASTORALI 1.257,50 OFFERTE BOLLETTINO, RIVISTE, STAMPATI 2.905,00 RIVISTE, STAMPATI, CANCELLERIA 17.877,91 6.131,99 ENTRATE BAR USCITE BAR 3.500,00 11.887,43 FABBRICATO(AFFITTO) VIA VERDI CURIA 2% SU RENDICONTO 2013 161,98 635,00 INTERESSI DA CONTI CORR.E DEP. PROGETTO “METTI I GIOVANI IN CIRCOLO” 20.351,00 12.200,00 ENTRATE STRAORD. FESTE, SPIEDI… MANUTENZIONE ORDINARIA 8.184,00 5.269,08 ENTRATE STRAORD. TRIDUI E BUSTE IMPOSTA IMU E TASSE 6.300,00 4.496,08 RECUPERO CREDITI RATE MUTUO CAPITALE 17.627,50 39.961,36 CANNE ORGANO INT.PASS.SU MUTUI/FIN.AUTORIZ. 5.386,80 5.221,28 UTILIZZO AMBIENTI SPESE C/C BANCARI E POSTALI 3.419,00 1.675,16 RACCOLTE MENSILI MANUTENZIONI STRAORDINARIE 2.000,00 17.200,00 ACLI PROGETTO “METTI I GIOVANI IN CIRCOLO” AFFITTO TERRENO LAZZARETTO 1.121,00 237,86 COMITATO TORRE CAMPANARIA U.STR.(CONCERTI ,ANNIV., CERO PASQUALE) 4.110,00 TOTALE USCITE 142.740,06 158.676,51 TOTALE ENTRATE Disavanzo 2014 - 15.936,45 Organo: a febbraio 2015 sono adottate 674 canne x € 46 Al 31.12.2013 + 40.332,00 per un totale di € 31.007,50, ne mancano ancora 472. Al 31.12.2014 + 34.949,18 Mutuo del 10/7/2009 (scadenza 21/11/2026) al 31/12/2014 - 195.780,25 Partite di giro € 1.985,00

BILANCIO 2014 PARROCCHIA S. BARTOLOMEO SAN GALLO USCITE

REMUNER. E COLL. CLERO 732,00 SPESE ORDINARIE DI CULTO 404,00 SPESE UTENZE (GAS,TEL,ELETTRICITÀ, ACQUA) 9.009,78 COMPENSI A PROFESSIONISTI 1.782,66 ASSICURAZIONI RC INFORT. FURTO INCENDIO 5.182,04 ATTIVITÀ PASTORALI 2.951,43 RIVISTE, STAMPATI, CANCELLERIA 2.034,30 CURIA 2% SU RENDICONTO 2013 122,00 PROGETTO “METTI I GIOVANI IN CIRCOLO” 4.160,00 MANUTENZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA 2.981,65 IMPOSTA IMU E TASSE 673,95 RATE MUTUO CAPITALE 5.218,00 INT.PASS.SU MUTUI/FIN.AUTORIZ., C/C, 2.084,58 STRAORDINARIE (CONCERTI ,ANNIV., CERO PASQUALE) 4.750,00 TOTALE USCITE 42.086,39

ENTRATE

COLLETTA S. MESSE FESTIVE .E FERIALI 4.195,26 BUSTE 1.580,00 OFF.SERVIZI RELIGIOSI (BATTESIMI, FUNERALI…) 840,00 OFFERTE IN CASSETTE E CANDELE 1.885,70 RIFUSIONI ASSICURAZIONI 152,04 CONTRIBUTI DA ENTI PUBBLICI COMUNE 2.200,00 UTILE BAR 4.316,49 INTERESSI DA CONTI CORR.E DEP. 41,34 STRAORDINARIE DA ATTIVITÀ 1.512,00 FESTE IN ORATORIO E PATRONALE 17.651,80 UTILIZZO AMBIENTI, COMPLEANNI 813,00 RIMBORSO PARROCCHIE PERSONALE ASSUNTO 900,00 6.962,86 RIMBORSO FOTOVOLTAICI

TOTALE ENTRATE Al 31.12.2013

Mutuo fotovol.e tetto orat.(scadenza 21/11/2026) al 31/12/2014 - 78.869,97 Partite di giro € 495,00 67

43.050,49

+ 4.937,25


BILANCIO 2014 PARROCCHIA S.MARIA ASSUNTA BOTTICINO SERA USCITE

1.606,00 36.449,28 1.306,73 41.692,09 1.435,00 14.090,60 13.283,51 30.648,53 743,00 12.497,27 10.642,65 2.923,99 100.253,73 13.854,99 9.894,09

ENTRATE

29.054,34 COLLETTA S. MESSE FESTIVE .E FERIALI 15.239,70 TRIDUI E BUSTE 5.280,00 OFF.SERVIZI RELIGIOSI (BATT., FUN., MATR…) 6.400,96 OFFERTE IN CASSETTE E CANDELE 6.501,94 OFFERTE GOCCIA 8.449,54 RIFUSIONI E RIMBORSI (ASSICURAZIONI, UTENZE) 1.600,00 RECUPERO CREDITI 4.050,00 EROGAZIONI LIBERALI 6.751,00 CONTRIBUTI DA ENTI PUBBLICI 8.162,00 ATTIVITÀ (USO, BANCARELLE, MANIFESTAZIONI...) 46.770,30 ENTRATE BAR 5.000,00 CONTRIBUTO IMMOBILI VIA COLOMBO 80,33 INTERESSI DA CONTI CORR.E DEP. 32.501,77 ATTIVITÀ VARIE (TOMBOLATE, PESCA,, FERRO…) 7.399,50 UTILIZZO AMBIENTI 8.390,00 RIMBORSO PARROCCHIE E FONDAZ PER PERSONALE 4.685,98 291.321,46 FOTOVOLTAICI TOTALE USCITE 63.000,00 Prestiti da privati 2014 259.317,36 SCUOLA PARROCCHIALE “DON ORIONE” TOTALE ENTRATE Disavanzo 2014 - 32.004,10 ENTRATE 483.857,00 USCITE 484.406,00 al 31/12/2014 + 549 Mutuo UBI al 31/12/2014 (scadenza 27/10/2026) - 849.038,45 Mutuo UBI fotovoltaici al 31/12/2014 (scadenza 21/11/2026) - 54.537,72 Mutuo IST.CRED.SPORTIVO (scadenza 31/12/2015) al 31/12/2014 - 44.106,11 Mutuo IST.CRED.SPOR UBI (scadenza 31/12/2015) al 31/12/2014 - 19.575,76 Mutuo BCC (scadenza 31/1/2016) al 31/12/2014 - 14.941,13 Prestito Curia - 100.000,00 Prestiti famiglie - 124.000,00 Fondo T.F.R. (dipendenti scuola e parrocchia) - 102.000,00 REMUNER. E COLLABOR. CLERO PERSONAL: STIPENDI E RITEN. FISC. SPESE ORDINARIE DI CULTO SPESE UTENZE (GAS,TEL,ELETTRICITÀ, ACQUA) ATTIVITÀ PASTORALI ASSICURAZIONI RC INFORTUNI FURTO INCENDIO RIVISTE, STAMPATI, CANCELLERIA USCITE BAR CURIA 2% SU RENDICONTO 2013 PROGETTO “METTI I GIOVANI IN CIRCOLO” MANUT. ORDINARIA E STRAORDINARIA IMPOSTA IMU E TASSE RATE MUTUO CAPITALE INT.PASS.SU MUTUI/FIN.AUTORIZ., C/C, ALTRE USCITE STRAORDINARIE

Partite di giro (Giornate, Fond. Folonari, pellegrinaggi, Progetti, Attività caritative 63.112,06

UNITA’ PASTORALE

Attività caritative.

Le parrocchie di Botticino nell’anno 2014 hanno raccolto (offerte, mercatini, feste, contributi...) e impegnato per le attività specifiche di carità circa € 18.000,00. Per l’acquisto di generi di prima necessità circa € 8.000,00; per progetti di inizio lavoro € 8.000,00; per aiuto pagamento utenze, affitti, medicine, visite mediche... € 2.000,00.

Attività estive e intervento educatori oratorio e “Metti i giovani in circolo”.

Grazie al ricavato della 1^ lotteria dell’Unità Pastorale (2014), della vendita dei calendari e il contributo della Fondazione Comunità Bresciana, pur con alcune difficoltà, riusciamo a far fronte agli impegni di spesa per le attività estive e per l’utilizzo di educatori nei tre oratori. Confidiamo nella Lotteria 2015.

Progetto Armenia

Tutto ciò che può essere l’insieme di un calzificio completo del necessario ha raggiunto l’Armenia, impiantato, pronto per iniziare l’attività lavorativa appena le persone volontarie raggiungeranno il posto per ‘far partire le macchine’ e istruire quanti attraverso questo lavoro potranno guadagnarsi da vivere e mantenere la propria famiglia. Le parrocchie di Botticino con attività specifiche hanno contribuito raggiungendo la somma di € 6.554,00.

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lavori in corso BOTTICINO SERA

- Rifacimento pareti esterne campanile Botticino Sera.

Ancora verso la fine dell’agosto 2013, durante un forte temporale, dalle pareti del campanile si staccavano alcune parti di intonaco cadendo sulla strada (via Valverde), sul tetto del teatro Tadini e sulla piazzetta adiacente. Fer fortuna in quel momento nessuno si trovava in prossimità dei luoghi interessati dai distacchi. Nei giorni seguenti, visto che il fatto si ripeteva, veniva tempestivamente informata la Sovrintendenza dei Beni storici, artistici e paesaggistici di Brescia, comunicando l’intervento urgente per mettere in sicurezza il campanile. Mediante l’utilizzo di una piattaforma si saliva per verificare le pareti e per rimuovere l’intonaco in fase di distacco. Dopo ulteriori verifiche,approfondimenti e valutazioni fatte da tecnici, Curia e Sovrintendenza si è giunti alla conclusione che l’intervento deve essere fatto su tutto il campanile perchè tutte le pareti necessitano di intervento urgente. Nella parte più bassa, quella più antica, verranno rimessi in luce pietre e intonaci originari, mentre nella parte superiore, di sopralzo più recente, si procederà con integrazioni di nuovo intonaco con materiale affine a quello esistente. Dopo Pasqua, come è stato fatto per il restauro dell’organo della chiesa di Botticino Mattina, con l’iniziativa dell’adozione delle canne, nella parrocchia di Botticino Sera verrà proposta una sottoscrizione per raccogliere quanto necessario per la sistemaFoto dall’alto del campanile con zione del campanile. le parti di intonaco cadute sulla piazzetta e via Valverde

BOTTICINO MATTINA

- L’iniziativa iniziata nei mesi scorsi, per l’adozione delle canne dell’organo, è stata accolta favorevolmente dalla comunità con l’adozione di 674 canne per un totale di € 31.007,50. Ne mancano ancora 472 canne. Si spera nella continuità facendo appello ancora ai parrocchiani di Botticino Mattina che anche in questa occasione hanno dimostrato attenzione e generosità. - Si rende necessario un intervento urgente alla parte del tetto (in cemento) della cononica a confine con il teatro che versa in cattive condizioni causa forti infiltrazioni di acqua, dovute a sconnessione del manto di copertura , rottura di tegole e marciscenza dei canali di raccolta, e predisposizione per eventuali alloggi. - Per quanto riguarda l’intervento di sistemazione messa a norma della parte ricreativa dell’oratorio (campo calcio, campi da gioco, spazio bambini, recinzioni, spogliatoi...) rimaniamo in attesa delle risposte alle domande e proposte presentate all’ Amministrazione Comunale.

SAN GALLO

Ancora deve essere sistemata la chiesa parrocchiale per il danno avuto con il terremoto del novembre 2004. Si è in possesso del Decreto che obbliga a intervenire per le opere di consolidamento statico. Si è concluso lo studio, il progetto e superate alcune difficoltà di ordine tecnico/burocratico. Quindi prima o poi, meglio il prima possibile, bisogna che la comunità di S.Gallo prenda in considerazione la necessità di realizzare l’intervento soprattutto per mettere in sicurezza la chiesa. Dopo Pasqua la comunità di S.Gallo verrà convocata a un’assemblea dove verrà illustrato il progetto e cercate insieme le modalità - portando a conoscenza di quanto già si sta facendo - per far fronte all’impegno economico.

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FESTE NELLE PARROCCHIE UNITA’ PASTORALE A BOTTICINO SERA 17-18-19-20-21 maggio ORATORIO A BOTTICINO MATTINA 1-5 luglio PARROCCHIA S.MARIA ASSUNTA BOTTICINO SERA 14-16 agosto SAN BARTOLOMEO PARROCCHIA SAN GALLO 21- 30 agosto SAN FAUSTINO AL MONTE 4-5-6 settembre SAN NICOLA 9-10 settembre

7° 6

al 19 luglio 2015

7° torneo di STREET SOCCER

presso l’oratorio di SAN GALLO

per maschi,femmine e bambini e esibizioni Costo iscrizione euro 25 a squadra. Per info e iscrizioni 3200430683 Michele

PARROCCHIE DI BOTTICINO

viaggi-pellegrinaggi 2015 GRECIA CLASSICA E MONASTERI DELLE METEORE 8-15 GIUGNO

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SAN GALLO 15 - 17 OTTOBRE Gita-Pellegrinaggio all’Abbazia di San Gallo in Svizzera in occasione della festa di San Gallo. Informazioni e prenotazioni presso: -segreteria Unità Pastorale Tel 030 2692094 -parroco don Raffaele 3283108944 70

RACCOLTA FERRO E TAPPI Le parrocchie di Botticino, attraverso i volontari, sospendono per il momento la raccolta di materiali ferrosi. Siamo in attesa di ottenere la autorizzazioni necessarie per essere in regola. Si ringrazia l’Amministrazione Comunale per il suo interessamento, dimostrando sensibilità e disponibilità nel cercare soluzioni possibili. Continua senza problemi invece la raccolta dei tappi di plastica che possono essere direttamente consegnati presso gli oratori di Botticino.


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Preghiera di benedizione della casa Tutta la famiglia si riunisce sulla porta della casa, all’interno. La sposa, la mamma o il singolo porta una coppetta con dentro un po’ d’acqua benedetta e il ramoscello d’olivo che serve per aspergere. Lo sposo, il papà o il singolo tiene il libretto e inizia la preghiera.

Benedizione della porta

Benedizione pasquale della casa

La Benedizione Pasquale è una tradizione molto antica nella Chiesa e ha come scopo di far irrompere nella famiglia la forza di Gesù Risorto, vittorioso sulla morte e sul male. La benedizione viene da Dio e a lui ritorna: si benedice lui per le persone, frutto del suo Amore. Non sono i muri o le case vuote ad essere benedette, come per un rito che parrebbe superstizioso. L’aspersione con l’acqua benedetta è ricordo del Battesimo e segno di vita. Ciò che allontana il male dalle nostre case è proprio la vita buona e serena delle persone che si mantengono unite al Signore, alla Madre di Dio, ai Santi. Soggetto primario della benedizione, quindi, non sono le “cose” ma la famiglia: sono le persone “santificate” che portano benedizione con la loro presenza. Ogni battezzato è consacrato a Dio e per questo porta in sé la forza del Risorto, che lo chiama a santificare i luoghi in cui vive con la sua presenza. Per quanto però riguarda la benedizione delle famiglie, vi è un elemento nuovo, particolare: la coppia consacrata con il sacramento del Matrimonio è la benedizione della propria casa. È quindi il sacramento del Matrimonio la sorgente speciale di benedizione della casa e della famiglia. Per il Sacramento del Matrimonio Cristo Risorto è presente nella famiglia in modo particolare e agisce attraverso gli sposi, che sono visibile attuazione dell’amore che Lui ha per la Chiesa. È in forza di questo sacramento che gli sposi possono benedire la casa, il cibo e in primo luogo i loro figli. Dunque, con le parole (testo a lato), con l’acqua benedetta e il ramoscello di olivo le famiglie che lo desiderano possono benedire le loro persone e la loro casa. Lo possono fare anche le persone vedove che pure posseggono ancora la grazia del sacramento del Matrimonio. Anche i singoli possono invocare la benedizione del Signore, in forza del sacramento del loro Battesimo. Questa mentalità ci aiuterà a superare il concetto di “benedizione” come qualcosa di “magico”, “automatico” o “scaramantico” e a recuperare invece la famiglia come realtà “fatta da Dio”, già da Lui santificata e fonte di benedizione. Nella certezza che lo stesso pregare insieme come famiglia anche solo per breve tempo è fonte di benedizione, auguriamo ancora a tutti una Santa Pasqua.

Lo sposo, il papà o il singolo:

Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo Tutti: Amen Lo sposo, il papà o il singolo dicono: Con la forza dello Spirito Santo benedici questa casa, chi entra e chi esce. Proteggila da ogni insidia del maligno perché rimanga fuori la corruzione del mondo. Fa che ogni persona che entra sperimenti la tua accoglienza e ognuno che esce porti nel mondo la gioia dell’amore vissuto. Per Cristo nostro Signore. Tutti: Amen Si asperge la porta d’ingresso con l’acqua benedetta a segno di croce. Ci si porta tutti nel luogo dove è la tavola da pranzo ed ognuno si mette al proprio posto. Uno della famiglia legge:

Ascoltiamo la Parola dal Vangelo di Giovanni (Gv 20,20-22): “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo.” Tutti: Benedici Signore la nostra casa. Lo sposo, il papà o il singolo :

Signore, in forza del nostro Battesimo [e del sacramento del nostro Matrimonio], ti consacriamo la nostra casa e la nostra famiglia, perché diventi luogo d’incontro col tuo Amore. Preghiamo Tutti: Benedici Signore la nostra casa. Lo sposo, il papà o il singolo:

Tu che entri a porte chiuse, spalanca i nostri cuori all’accoglienza piena tra di noi, alla preghiera, all’ascolto profondo della tua Parola. Facci scoprire la tua presenza nella nostra famiglia. Preghiamo. Tutti: Benedici Signore la nostra casa. Lo sposo, il papà o il singolo:

Trasforma i nostri cuori e i nostri gesti perché ognuno di noi sia “casa” per l’altro [e fa di noi sposi, casa per i nostri figli]. Preghiamo. Tutti: Benedici Signore la nostra casa. Benedizione della casa

Lo sposo, il papà o il singolo:

Uniti dal Signore Gesù che ci ha fatti sua famiglia diciamo la preghiera che ci ha insegnato: Tutti: Padre nostro... Lo sposo, il papà o il singolo: Benedetto sii tu, o Dio nostro Padre, in questa nostra famiglia e in questa nostra casa. Fa che custodiamo sempre i doni del tuo Spirito e manifestiamo in gesti concreti di carità la grazia della tua benedizione, perché trovino sempre quel clima di amore e di pace che è segno della tua presenza. Per Cristo nostro Signore. Tutti: Amen Lo sposo, il papà o il singolo asperge le altre stanze della casa dicendo:

Ravviva in noi, o Padre, nel segno di quest’acqua benedetta l’adesione a Cristo, via, verità e vita. Si conclude con la preghiera di invocazione alla Madonna: Tutti: Ave, o Maria...


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