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Uno spettro s’aggira per l’Italia: l’analfabetismo funzionale
Uno spettro s’aggira per l’Italia, si chiama analfabetismo funzionale
di / Beppe Castellano /
Analfabetismo funzionale: Incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni di vita quotidiana.
Che gli italiani non fossero poi dei gran lettori, benché “figli” di Dante e Manzoni, era un fatto già risaputo da decenni. In Italia solo il 44% (dati Istat, 2019) legge almeno tre libri l’anno. Consola un pochino il fatto che il 15,6% può annoverarsi fra i “lettori forti”, cioé persone che leggono almeno un libro al mese.
In Italia l’analfabetismo “totale” non arriva all’1% della popolazione. Ciò che invece deve preoccupare, e parecchio, è il fenomeno dell’analfabetismo funzionale. Rispetto all’analfabeta strutturale - che non sa né leggere, né scrivere - il moderno “analfabeta funzionale” sa leggere, scrivere e far di conto (di solito soprattutto quest’ultima funzione), ma non è in grado di comprendere, elaborare, interpretare e tantomeno commentare a proposito un testo scritto. Ciò porta all’impossibilità, o limitata capacità, di comprendere e interpretare le informazioni di cui siamo bombardati, ormai tutti e tutti i giorni.
In particolare, durante gli ultimi due anni con la pandemia, la mole di informazioni che ci ha raggiunto attraverso ogni canale di comunicazione è stata oceanica. La parte del leone (“da tastiera” concedetemi la facezia) l’ha fatta Internet con tutti i social annessi e connessi.
Il rapporto OCSE-PISA del 2016 indicava molto chiaramente 6 diversi livelli di alfabetizzazione. eccoli: 1: competenza alfabetica molto modesta al limite dell’analfabetismo (analfabetismo funzionale grave); 2: possesso di un limitato patrimonio di competenze di base (analfabetismo funzionale non grave). Implica saper riconoscere l’idea principale in un testo semplice; 3: competenze sufficienti per poter analizzare un testo di cui si ha familiarità; 4: buone conoscenze per poter analizzare la maggior parte dei testi; 5: capacità riflessive ed interpretative tali da rendere possibile analizzare la quasi totalità dei testi, anche alcuni tra quelli complessi; 6: conoscenze elevate o molto elevate che permettono di confrontare ed integrare in maniera dettagliata e precisa più informazioni da più testi complessi.
Sotto il “livello 1” si parla di quell1% di analfabeti totali. Ma vediamo, sempre secondo il programma dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), com’era la situazione nel nostro Belpaese. Ebbene il 21% circa degli italiani (8 milioni di persone fra i 16 e i 65 anni) non superava il livello uno. Il 25,4% (quasi 10 milioni di cittadini) arrivava a malapena al livello 2, analfabeti funzionali “lievi”. In soldoni il 46% degli italiani non raggiungono il livello 3, che vorrebbe dire analizzare un testo con cui si ha già una certa familiarità. Solo il 5% di noi italiani raggiunge il livello 5.
Sempre da un’indagine OCSE del 2019: il 5,5% comprende solo informazioni molto elementari, in testi molto brevi. Un altro 22% si ferma ad “assorbire” informazioni in testi dal linguaggio misto, purché non troppo prolissi.
Secondo uno studio presentato al Forum di Cernobbio da The European House-Ambrosetti, la vera emergenza in Italia sarebbe proprio il fenomeno dilagante dell’analfabetismo funzionale e di “ritorno”. Secondo il report “Ridisegnare l’Italia. Proposte di governance per ridisegnare il Paese” le generazioni italiane nate fino alla fine degli anni ‘60, hanno avuto la possibilità di “salire” nella scala sociale, rispetto alla famiglia di origine. Per i nati fra il 1972 e il 1986, invece, c’è stata una notevole inversione di tendenza. “L’ascensore sociale”, invece di continuare a salire, ha iniziato a ridiscendere. Sempre secondo gli interessanti dati Piaac-OCSE l’Italia primeggerebbe in Europa per un dato: il più alto numero di analfabeti funzionali che, inevitabilmente, porta a una altrettanto numerosa fascia di popolazione di low skilled (termine inglese che indica lavoratori poco qualificati).
Durante la pandemia Covid-19, se possibile, il fenomeno si è ulteriomente aggravato. Con il forzato “confinamento” (per non usare l’odiatissimo termine lockdown) durato diversi mesi nel 2020, molti si sono ritrovati a dover imparare a usare giocoforza personal computer o tablet, anche per seguire i figli studenti nella Didattica a Distanza (Dad). È stato come aver dato una Ferrari a chi non ha mai conseguito la patente. Un mondo immenso di informazioni con tutto e il contrario di tutto, s’è s’è spalancato davanti chi non aveva le “armi” per difendersi. E i “ bufalari” hanno gongolato.

La “lettera dei 600” sul semianalfabetismo universitario e una petizione...
“Molti studenti scrivono male in italiano, servono interventi urgenti”. L’avevano firmata in 600 fra linguisti, docenti universitari di ogni facoltà, rettori di università, filosofi, storici e accademici della Crusca e perfino economisti. Nella lettera, redatta e vergata a inizio 2017 e inviata all’allora Governo e al Parlamento, si lanciava un vero e proprio allarme sociale: gli studenti universitari “scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente”. “Da tempo - si leggeva fra l’altro nella lettera - i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcune facoltà hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana” Ma ci andavano anche più pesanti: “il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico”. E si denunciava come c’erano docenti universitari che passavano parte del proprio tempo a correggere l’italiano delle tesi universitarie. L’allarme è stato forte, ripreso anche dai mass media dell’epoca. Risposta a quella lettera, circostanziata, dal Governo non ci fu. È arrivata a novembre 2021, grazie a una petizione lanciata su change.org e firmata da 50mila studenti. Al Ministro dell’Istruzione chiedevano l’abolizione della prova scritta di... italiano agli esami di Maturità. Gli esami scritti di italiano sarebbero “pleonastici” e portatori di “stress”. La speranza - chi aveva lanciato la petizione era un anonimo - è che si sia trattato di una moderna goliardata.