NON SOLO ROCK
Edited by
The Friends of Poplar Associazione Culturale “Amici du Chiuppu”
Articolo e recensioni
By Jankadjstrummer www.friendsofpoplar.it
www.friendsofpoplar.it NON SOLO ROCK Scritto da Dr.Nac Mercoledì 25 Marzo 2009 00:20
Questa sezione del sito è curata da Jankadjstrummer che invita amici, navigatori solitari, nostalgici e non, ad unirsi alla band per interagire, comunicare e fruire insieme a noi di "NON SOLO ROCK"
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DA JANKADJSTRUMMER Mercoledì 25 Marzo 2009 01:36
C arissimi lettori, giorni fa ho sentito il Dr Nac, mi ha parlato
di questo gradevole sito e tra le
altre cose mi ha detto che sarebbe contento se io scrivessi qualcosa di musica , la cosa mi ha lusingato e stuzzicato anche se scrivere di rock non è molto popolare, credo, tuttavia, che sia stimolante iniziare questa collaborazione e tastare il polso dell’interesse a queste tematiche. Mi sforzerò di dare uno scritto non noioso ma avvincente, non prettamente tecnico ma cercando di romanzare e di stuzzicare la curiosità dei lettori. Vi segnalerò le novità discografiche fornendo delle recensioni che spero scongiurino degli incauti acquisti. Inoltre vorrei stilare una play-list quindicinale o mensile di pezzi nuovi che, a mio “insindacabile” giudizio rientrano in una ipotetica classifica, una sorta di Hit parade che ricorda Lelio Luttazzi. Inizierò rendendo omaggio ad uno dei migliori gruppi che la scena londinese di fine anni settanta è riuscita a sfornare: i mitici CLASH , è inutile sottolineare che questo gruppo è stato uno dei miei preferiti non a caso ho inserito nel mio nick-name il nome di Strummer ( lo strimpellatore ) era chiamato così il suo front-man.. Ma veniamo alla biografia dei nostri.
FINALMENTE! JANKADJSTRUMMER E’ APPRODATO SUL WEB Scritto da Jankadjstrummer Lunedì 30 Marzo 2009 18:55
Grazie alla collaborazione con il sito “amico” Friends of Poplar, dal 24 marzo di quest ’anno è stata creata una sezione musicale chiamata “Non solo rock”, uno spazio curato da me in cui saranno pubblicate monografie, recensioni di dischi, proposte di ascolto ed una hit parade alternativa con cadenza quindicinale in cui verranno segnalati i pezzi più interessanti che escono sul mercato ufficiale e sulle etichette indipendenti. Inoltre saranno pubblicati reportage fotografici e video (originali), mp3, dunque cose non banali e stereotipate. Invito tutti a inserire nei siti preferiti www.friendsofpoplar.it, navigare nello stesso e principalmente di votare la sezione e il sito altrimenti.... fulmini e saette. Fatemi sapere un vostro giudizio spassionato e se il caso di continuare o darsi all’ ippica. È inutile ricordarvi che questo link dovrete inviarlo a tutte le vostre mail-list, fareste una cosa buona e giusta. Ringrazio tutti Jankadjstrummer
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THE CLASH – ROCK DA COMBATTIMENTO Scritto da Jankadjstrummer Mercoledì 25 Marzo 2009 02:02 Michael "Mick" Jones e Tony James sono due ragazzi inglesi di Brixton, un distretto del sud di Londra, che insieme a Brian James nel 1975 decidono di dare vita ad un gruppo, che chiamano London S.S. (S.S. sta per Social Security, non ha niente a che vedere col nazismo): ma il gruppo intorno al Natale dello stesso anno si scioglie, senza mai avere suonato nemmeno un concerto, quando Brian se ne va per formare una nuova band, i Damned. Mick vorrebbe dare vita ad una nuova band insieme a Keith Levene, un ragazzo sedicenne che lo ha colpito per la sua bravura nel suonare il suo strumento, e a Paul Gustave Simonon, un giovane hooligan abituato alla guerriglia urbana, alla lotta fra gang, ai lanci di pietre contro le finestre dei ricchi, che Mick aveva conosciuto qualche tempo prima durante le audizioni per trovare un cantante per i London S.S., e che come lui è un ex studente ad una scuola d'arte. Ma Paul non sa suonare nessuno strumento, e pertanto Mick decide di insegnargli a suonare prima la chitarra e poi, quando si accorgono che è troppo difficile per lui, il basso (comprato tra l'altro da Tony James), sul cui manico disegna le note per ricordarsi dove mettere le dita. A fianco della band c'è, come già nei London S.S., il manager Bernard "Bernie" Rhodes, un socio d'affari al negozio d'abbigliamento "Let It Rock" di Malcolm McLaren, da qualche tempo a sua volta manager di un'altra band, i Sex Pistols, che sta ottenendo un notevole successo in quel periodo grazie alla sua volgarità e trasgressione. La band non riesce però, nonostante diversi tentativi, a trovare un cantante adatto alle sue esigenze: è per questo che Keith e Bernie agli inizi di giugno ad un concerto dei Sex Pistols al 100 Club (un locale situato in Oxford Street a Londra) approcciano John Graham Mellor, meglio conosciuto con il soprannome di Joe Strummer, leader di una pub-rock band piuttosto conosciuta a Londra chiamata 101'ers. I due, sapendo che Joe era rimasto colpito da quel nuovo movimento appena nato chiamato punk quando i Sex Pistols avevano aperto per i 101'ers al Nashville quello stesso aprile, gli chiedono se volesse provare a conoscere la loro band e magari vedere se gli può interessare diventare il suo frontman. Joe accetta di incontrarli al 22 di Davis Road, nel distretto di Shepard's Bush, dove è situata la loro sala prove: il 5 giugno Joe suona il suo ultimo concerto con i 101'ers al Clare Halls di Haywards Heath, diventando membro ufficiale del gruppo di Mick, Paul e Keith il giorno successivo, portando con sé il tecnico del suono dei 101'ers Mickey Foote, un suo amico da quando frequentava l'high school di Newport, nel Galles. Bernie a breve trasferisce la sala prove del gruppo in un vecchio capannone della stazione ferroviaria di Camden Town, nel nord di Londra, che affitta a basso prezzo e che viene battezzato dalla band "rehearsal rehearsals": nei giorni successivi, mentre dipingono le pareti della sala per personalizzarla, pensano a vari nomi per il nuovo gruppo finché, dopo avere adottato temporaneamente nomi quali The Weak Heartdrops, The Psychotic Negatives e The Mirrors, Simonon non se ne esce con "The Clash" dopo avere notato leggendo il quotidiano inglese "Evening Standard" che è una parola (che significa scontro, fragore) ripetuta di frequente. La prima formazione dei Clash è quindi composta da Joe alla voce, Mick e Keith alle chitarre e Simonon al basso, mentre dietro la batteria c'è Paul Buck, soprannominato Pablo LaBritain. Il gruppo compone presto i primi brani, organizzando il suo primo concerto per il 4 luglio del 1976 al Black Swan di Sheffield di supporto ai Sex Pistols, mentre poco dopo Terry Chimes prende il posto di Pablo alla batteria. Seguono altri shows, ma quello del 29 agosto al Screen On The Green di Islington (dopo il quale una rivista musicale li descrive come "una tipica garage band che dovrebbe tornare immediatamente in un garage") risulta essere l'ultimo con i Clash per Keith, che qualche giorno dopo viene cacciato dalla band in seguito ad una votazione (a cui Terry non vuole però prendere parte), a causa di differenze personali e musicali (anche se la band afferma che il suo allontanamento è stato dovuto al suo eccessivo
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consumo di droghe). In settembre i Clash effettuano il loro primo concerto senza aprire per i Sex Pistols, mentre nel frattempo si fa sempre più distintivo il loro look, caratterizzato da tute militari imbrattate di scritte a spray. Intanto a causa degli scontri provocati dai punk il governo emette una ordinanza che proibisce le esibizioni dei gruppi punk per un certo periodo. Ma il nuovo genere continua a tirare, ed anche i Clash entrano nelle mire delle major: la Polydor Records chiede infatti alla band di registrare un demo, ed i Clash si chiudono così per due giorni di novembre ai Polydor Studios per incidere cinque brani, ma l'etichetta tentenna ad offrire loro un contratto pienamente soddisfacente. Intanto Terry ha deciso di lasciare il gruppo perché non può più sopportare la vita difficile dei gruppi punk, e viene sostituito per qualche data live con Rob Harper: con lui la band parte come quarta band (insieme a Damned e Heartbreakers) per l'"Anarchy In The U.K. tour" del dicembre del '76 dei Sex Pistols, che però li vede suonare in sole tre date (a Leeds, Manchester e Plymouth) poiché le altre sedici vengono annullate in seguito ad uno scandalo che gli stessi Sex Pistols hanno suscitato durante un'intervista televisiva. Terry accetta di suonare per l'ultima volta con la band il primo gennaio del '77 al Roxy di Covent Garden, mentre in gennaio Bernie scarta l'offerta di 25.000 sterline della Polydor per accettare quella della CBS, un'altra major, che ne vale 100.000 (contro le 40.000 che i Sex Pistols avevano ricevuto nell'ottobre del '76 dalla EMI): è così che il 21 gennaio del '77 la band firma con lei un contratto da dieci anni per dieci album. Il gruppo chiede, ottenendolo, a Terry di suonare per l'ultima volta coi Clash (che altrimenti si sarebbero ritrovati senza un batterista che conoscesse bene i pezzi) durante le incisioni del primo album, che avvengono con Foote come produttore in tre fine settimana (sei giorni in totale) di fine gennaio ed inizio febbraio al CBS Studio di Whitfield Street, lo stesso dove è stato registrato "Raw Power" degli Stooges, uno dei gruppi idolo dei Clash e tra i più importanti precursori di questo movimento che sta prendendo sempre più piede in questo ultimo periodo, il punk. In marzo viene esce il primo singolo della band, "White Riot"/"1997", che arriva fino al 38° posto delle classifiche inglesi ma riceve pochi passaggi alle radio. "White Riot" è un brano di duro attacco alle istituzioni per gli scontri al carnevale di Notting Hill a Londra del 30 agosto precedente tra polizia e giovani della comunità nera, a cui lo stesso Joe (insieme a Paul e Bernie) aveva partecipato attivamente: con sessanta arresti e più di 450 feriti è stata una delle più grandi sommosse della storia recente in Inghilterra, e questa esperienza ha aumentato in Joe, ma anche in tutti gli altri membri dei Clash, l'ammirazione per la cultura giamaicana. In aprile la CBS rilascia "The Clash", primo LP della band, (in cui Terry è citato tra i crediti con il soprannome di Tory Crimes): l'album arriva al 12° posto in Gran Bretagna, mentre la Epic Records, associata statunitense della CBS, rifiuta di rilasciarlo in America a causa della scarsa qualità del suono. Intanto, sempre in aprile, dopo 206 batteristi audizionati e qualche data live ancora con Terry, viene trovato il sostituto definitivo di Chimes: è un ragazzo ventunenne di Dover, Nicholas Bowen Headon, soprannominato "Topper", con il quale il primo maggio la band dà il via al "White Riot tour". Otto giorni dopo, il 9 maggio, i Clash diventano la prima punk band a suonare come headliner al Rainbow Theatre di Finsbury Park, Londra, dove i suoi fans, sulle note di "White Riot", già diventato uno dei brani simbolo del punk (insieme a "Anarchy In The U.K." dei Sex Pistols), distruggono 200 sedili ed invadono il palco. Sempre lo stesso mese la CBS rilascia il secondo singolo "Remote Control"/"London's Burning (Live)" senza consultare il gruppo, che avrebbe preferito il più orecchiabile "Janie Jones". Nel settembre del '77 la band entra in studio con Lee "Scratch" Perry, famoso produttore giamaicano di reggae, per registrare "Complete Control", un brano di critica verso la CBS rea di avere rilasciato il singolo precedente senza l'autorizzazione del gruppo. Il brano viene rilasciato nell'ottobre del '77 con b-side "City Of The Road", e raggiunge il 28° posto, mentre intanto la CBS, desiderosa di lanciare i Clash sul mercato americano e chiedendo perciò un suono più pulito e radiofonico adatto a quel mercato, inizia a fare pressioni per un nuovo album, prendendo però un po' in controtempo la band: iniziano così una serie di tensioni con la casa discografica e conseguentemente anche con il manager Bernie Rhodes circa il tipo di atteggiamento da tenere rispetto a queste pressioni esterne. Mick propone allora di andare a fare un viaggio in Giamaica per immergersi in quella cultura che sta influenzando sempre di più i Clash: Bernie è d'accordo, e così Mick e Joe si recano nella patria del reggae, rimanendovi per due settimane,
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scrivendo durante il loro soggiorno al Trust House Fort Hotel vari pezzi per il nuovo lavoro. Agli inizi del '78 la band registra "Clash City Rockers", inteso per essere il nuovo singolo, sempre con Foote come produttore, che poi però viene licenziato perchè accusato dalla band di velocizzare le registrazioni per far sembrare i brani più energici e per la sua produzione tipicamente "sporca"; il singolo viene comunque pubblicato in febbraio con b-side "Jail Guitar Doors", una rielaborazione di una vecchia canzone dei 101'ers. Rhodes, con l'approvazione di Strummer e lo scetticismo di Mick, sceglie poi tra una lista approvata dalla CBS Sandy Pearlman come produttore del nuovo album, famoso negli Stati Uniti per i suoi lavori con Van Halen e Blue Öyster Cult, oltre che con qualche gruppo punk e pre-punk. Le registrazioni iniziano in febbraio al Basing Street Studio di Island, Londra, ma subiscono vari ritardi prima perché Simonon si trova a Mosca (costringendo il resto della band ad iniziare i lavori da sola), poi perché sempre in febbraio Joe deve essere ricoverato per una decina di giorni al Stephens Hospital a causa di un'epatite causatagli da uno sputo di un fans finitogli in bocca durante un concerto (quello dello sputare alla band è infatti uno stereotipo tipicamente punk). Il 30 marzo Simonon e Headon, dal tetto della loro sala prove, si divertono a sparare ai piccioni con delle pistole ad aria compressa, finché la gente su un treno di passaggio (la loro sala prove si trova nei pressi della stazione) non pensa di essere il bersaglio dei due: arrivano così sul posto volanti della polizia ed un elicottero, che conducono Paul e Topper alla stazione di polizia per chiarimenti. In seguito si scopre che i piccioni a cui sparavano era piccioni viaggiatori di un certo valore, ed i due vengono condannati ad una multa di 800 sterline. Le registrazioni possono poi riprendere nuovamente, ma a breve vengono interrotte ancora perché la band parte per un tour a cui sarcasticamente è stato dato nome "Out On Parole Tour", "fuori sulla parola", in riguardo alle vicende giudiziarie dei membri della band. Il 30 aprile i Clash suonano come headliner davanti a 100.000 persone al Victoria Park di Londra all'Anti-Nazi League festival organizzato dal "Rock Against Racism", rafforzando così la loro immagine di band impegnata nel campo sociale. In giugno esce il singolo "White Man In Hammersmith Palais"/"The Prisoner", che raggiunge il 32° posto in classifica, mentre l'8 luglio, ad un concerto della band all'Apollo di Glasgow, come alla maggioranza dei concerti punk (nonostante i Clash si siano sempre dichiarati anti-violenza - a differenza della loro musica -), scoppiano gravi disordini tra il pubblico, che culminano anche con l'arresto degli stessi Simonon e Strummer. Alla stazione di polizia dove vengono portati alcuni fans intonano ironicamente per loro "The Prisoner" ("il prigioniero"), la b-side del loro ultimo singolo. Ma intanto i litigi della band con Rhodes si fanno sempre più frequenti, impedendo sessioni di registrazione continue e serene, e Pearlman pensa perciò di allontanare la band un po' dall'Inghilterra, spostando così le registrazioni per tre settimane all'Automatt di San Francisco, in California, che il produttore ritiene inoltre essere uno dei migliori studi statunitensi per le sovraincisioni di chitarra (solo Mick e Joe, i due chitarristi, in realtà si recano in America per le registrazioni). Il mixaggio viene invece effettuato al Record Plant di New York, ma le continue incomprensioni con Bernie (che tra l'altro continua ad organizzare concerti in Inghilterra che la band non può effettuare perché Joe e Mick sono ancora in America per il mixaggio) principalmente sulla nuova strada che la band deve prendere, portano i Clash alla decisione (su spinta di Mick e Paul), di licenziarlo nell'ottobre del '78: la giornalista Caroline Coon, fidanzata di Simonon, prende il suo posto, mentre intanto Rhodes inizia una causa giudiziaria contro il gruppo, ricevendo in novembre dal tribunale il diritto a ricevere il 20% delle entrate dei Clash a cui ha partecipato come manager. Sempre in novembre esce il singolo "Tommy Gun"/"1-2 Crush On You" (la aside è tratta dal nuovo album appena terminato, mentre la b-side è una vecchia canzone dei London S.S.), che raggiunge il 19° posto e precede il rilascio, sempre lo stesso mese, da parte della CBS di "Give 'Em Enough Rope", il nuovo full-length nel quale la band inizia a sperimentare anche suoni reggae, che raggiunge il 2° posto delle classifiche inglesi (non venendo comunque acclamato dalla critica). La band parte così per un tour inglese intitolato "Sort It Out tour", facendo come di consueto ironia (questa volta sui problemi portati loro da Rhodes, la CBS e la loro musica stessa), mentre "Give 'Em Enough Rope" viene rilasciato negli Stati Uniti dalla Epic qualche tempo dopo, agli inizi del '79. Intanto,in febbraio, i Clash partono per un tour nordamericano (con inizio a Vancouver, in Canada), che una volta a New York viene battezzato provocatoriamente "Pearl Harbour '79": ma le provocazioni non terminano qui, perché i Clash iniziano ogni concerto del tour con il suo brano "I'm So Bored With The USA". In febbraio la CBS rilascia in Gran Bretagna il singolo "English Civil War"/"Pressure Drop", che tocca il 25° posto, mentre intanto il gruppo continua i tour di promozione di "Give 'Em Enough Rope", che nel frattempo, a marzo, è arrivato a vendere 40.000 copie negli Sati
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Uniti ma, fermandosi al 128° posto, ha deluso le aspettative della casa discografica. Intanto la band ha abbandonato le vesti punk ed è passata ad abiti neri alla gangster (Mick si è anche tagliato i capelli in stile anni '50) ed ha trasferito la propria sala prove nel distretto di Pimlico, dove si rinchiude dopo essere tornata dall'America per scrivere delle nuove canzoni, alcune delle quali vengono poi registrate al Wessex Recording Studios di Highbury per essere incluse in un EP esclusivo per il mercato inglese, "Cost Of Living", che contiene anche una cover di "I Fought The Law (And The Law Won)" dei Bobby Fuller Four e che viene rilasciato in maggio dalla CBS, raggiungendo il 22° posto in classifica. Ma durante il breve tour americano di inizio '79 si sono verificate incomprensioni tra Caroline e Joe, e perciò la manager in giugno viene licenziata. In luglio l'album di debutto omonimo viene rilasciato anche negli Stati Uniti (dalla Epic), con una tracklist differente, dove comunque è già diventato l'album di importazione più venduto di sempre, avendo già passato le 100.000 copie. In agosto i Clash tornano al Wessex per iniziare le registrazioni per un nuovo LP (che inizialmente si dovrebbe chiamare "The New Testament") con alla produzione Guy Stevens (che aveva già prodotto i demo della band per la Polydor nel '76): le condizioni in studio, considerata la sua dipendenza da droga, non sono delle migliori, ma ne esce comunque un buon lavoro. Nel frattempo viene assunto come management la Blackhill Enterprises, un'agenzia fondata da Andrew King e Peter Jenner (quest'ultimo in passato già manager dei primi Pink Floyd), mentre in settembre ed ottobre la band torna negli Stati Uniti per un secondo tour denominato "The Clash Takes The Fifth", nel quale vengono accompagnati da Mickey Gallagher dei Ian Dury's Blockheads alle tastiere. I pezzi registrati con Stevens sono tanti e la band ottiene dalla CBS, non senza fatica, la possibilità di rilasciare il nuovo album in doppio LP e venderlo al prezzo di un singolo LP (e contato anche dalla CBS come un album singolo per quanto riguarda il contratto della band…), rinunciando per questo ad una parte della propria percentuale sui profitti. Ad inizio dicembre esce il singolo "London Calling"/"Armageddon Time" seguito poco dopo, lo stesso mese, dal nuovo full-length, "London Calling", che contiene anche nuove sperimentazioni quali jazz e r'n'b. La sua copertina, raffigurante Paul che spacca il suo basso sul palco, è una chiara rielaborazione di quella del primo album di Elvis Presley, e questo aiuta a rendere ancora più popolare il nuovo lavoro dei Clash, che debutta al 9° posto in Inghilterra e viene acclamato da fans e critica. Sempre in dicembre i Clash partecipano ad una serie di concerti organizzati da Paul McCartney dei Beatles per raccogliere fondi per la popolazione di Kampuchea, cittadina della Cambogia, e così la band condivide il palco con gruppi quali Who, Queen, Elvis Costello e Pretenders. Nel gennaio del 1980 "London Calling" viene pubblicato anche negli Stati Uniti, mentre intanto la Blackhill sta cercando di bloccare l'imminente rilascio di un film semidocumentario sui Clash (approvato in precedenza da Rhodes, e per il quale la band ha già ricevuto una buona somma) che raccoglie filmati originali dei concerti dell'ultimo anno e mezzo del gruppo ma che secondo il management mostra i Clash sotto un profilo troppo politico e violento, che credono non gli si addica più. In febbraio il gruppo, dopo uno show a Manchester, registra un nuovo brano, "Bankrobber", insieme al deejay giamaicano Mickey Dread, mentre nel frattempo i tentativi della Blackhill di bloccare il rilascio del film, costato 500.000 sterline, falliscono, e "Rude Boy" esce in marzo, debuttando al cinema Prince Charles di Londra. In maggio "Train In Vain (Stand By Me)"/"London Calling", singolo rilasciato solo in America, è il primo dei Clash ad entrare nella Top 30 degli Stati Uniti, raggiungendo il 23° posto, mentre allo stesso tempo Strummer, durante un tour europeo, viene arrestato ad Amburgo, in Germania, per avere colpito con la sua chitarra un fan violento nel pubblico durante un concerto, salvo poi essere rilasciato dopo un test alcolemico negativo; ma la disavventura gli costa comunque la proibizione di entrare nella città per qualche tempo. In agosto la band si reca a New York per registrare, all'Electric Ladyland Studios, nuovi brani per un nuovo album, ma senza Simonon, che va in Canada per girare un film insieme a Steve Jones e Paul Cook dei Sex Pistols: le parti di basso vengono così registrate durante le sessioni da Joe Strummer e Norman Watt-Roy dei Blockheads, mentre numerosi artisti partecipano alle incisioni, tra cui anche Gallagher, che negli ultimi tempi ha agito praticamente da quinto membro, e Dread, con il quale registrano i due pezzi a cui lui partecipa al Channel One Studios in Giamaica; ma durante le registrazioni Topper ha iniziato ad assumere quantità sempre più imponenti di eroina, provocando non pochi intoppi… Durante questo soggiorno a New York la band conosce anche Martin Scorsese, famoso regista che aveva conosciuto la band grazie a "Rude Boy" e l'ha presa in simpatia, iniziando anche a pensare a come inserirli in uno dei suoi prossimi lavori… Sempre in agosto esce in Gran Bretagna infine, dopo essere stato rifiutato per lungo tempo dalla CBS (nonostante sia stato importato come b-side dall'Olanda., dove è uscito prima), il
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singolo "Bankrobber"/"Rockers Galore… UK Tour", che tocca il 12° posto, mentre in ottobre viene rilasciato negli U.S.A. "Black Market Clash", una raccolta in mini-album 10" che permette ai fans d'oltreoceano di avere i primi pezzi dei Clash che non erano stati rilasciati nelle versioni statunitensi dei loro lavori. In ottobre Pennie Smith, ormai diventata fotografa ufficiale del gruppo (ha scattato anche la foto di copertina di "London Calling"), pubblica "The Clash: Before & After", un libro che raccoglie molte foto in bianco e nero che ha fatto al gruppo, mentre in novembre esce in Gran Bretagna "The Call Up"/"Stop The World", singolo che entra nella Top 40 e per la cui a-side viene girato anche un video, che costituisce il primo assaggio dell'imminente nuovo album, intitolato "Sandinista!" in onore della rivoluzione socialista Sandinista del Nicaragua che aveva posto fine al regime dittatoriale di Somosa. Ancora una volta i Clash ignorano volontariamente le ripercussioni che un titolo del genere potrebbe avere sulle vendite e sulla loro immagine, soprattutto negli Stati Uniti, che avevano appoggiato il regime. Ancora una volta i Clash hanno registrato un gran numero di canzoni (anche perché agli inizi del '80 avevano pianificato "una campagna di singoli", ovvero il rilascio di una consistente serie singoli - in modo da averne sempre uno nelle parti alte delle classifiche - , poi annullata dalla CBS contro i voleri della band) e l'album viene così stampato sottoforma di triplo LP, venduto ancora una volta a basso prezzo (al prezzo di un doppio) grazie alla rinuncia dei propri proventi da parte del gruppo, questa volta per intero per le prime 200.000 copie vendute. "Sandinista!", che contiene 36 brani orientati sempre più al reggae ma anche con inserzioni dub e suoni campionati, esce nel dicembre del 1980 in Gran Bretagna e nel gennaio dell'anno successivo negli U.S.A., toccando nelle rispettive classifiche il 19° ed il 24° posto. Sempre in gennaio esce anche il secondo singolo estratto da "Sandinista!", "Hitsville UK"/"Radio One", che però non va oltre 56a posizione in Gran Bretagna. Lo stesso mese si conclude anche il rapporto con la Blackhill, e così Kosmo Vinyl, prima uomo tuttofare del management che ha controllato gli affari dei Clash durante l'ultimo anno, diventa l'addetto stampa della band, mentre Simonon si occupa dei conti. Ma la situazione finanziaria dei Clash, anche a causa delle rinunce a parte diritti degli ultimi due albums, è difficile, e Strummer, nonostante il forte scetticismo di Mick, presto convince la band a riassumere Rhodes (minacciando di lasciare i Clash se non fosse stato così), il quale dal canto suo accetta di essere pagato con una percentuale sugli incassi netti. Agli inizi dell'aprile del 1981 Topper viene condannato per detenzione di sostanze illegali e viene messo in libertà vigilata: in questo periodo la sua dipendenza da eroina sta diventando sempre più critica, ed il batterista arriva a consumare in questo periodo anche 100 sterline al giorno in droga solo per non stare male. Sempre in aprile la CBS rilascia il singolo "The Magnificent Seven"/"The Magnificent Dance", che raggiunge la 34a piazza, mentre nel frattempo la band entra in allo studio Marcus Music per registrare il nuovo singolo, "This Is Radio Clash". A fine mese il gruppo parte per una tournée europea, mentre per fine maggio ed inizio giugno sono previste una serie di nove concerti al night club Bonds International Casino di New York, ma i vigili del fuoco dopo la prima serata chiudono il locale perché delle 4.000 persone che poteva ospitare in caso di incendio sarebbero riuscite ad uscirne solo un quarto: i fans danno così vita ad una mini sommossa, convincendo i Clash ad aggiungere altre sette date per consentire a tutti di assistere ai loro shows, che si tengono nel locale a capacità ridotta. "This Is Radio Clash"/"Radio Clash", il nuovo singolo, esce in novembre solo in Gran Bretagna, dove tocca il 47° posto, mentre nel frattempo il gruppo ha registrato alcuni nuovi pezzi in uno studio mobile: Joe vorrebbe continuare le incisioni in questo modo per dare respiro alle finanze, ma Mick, che ha insistito per occuparsi della produzione, preme per tornare agli Electric Ladyland di New York. Mick infine riesce ad ottenere ciò che vuole, ma lo studio è molto caro, ed inoltre il gruppo deve noleggiare l'intero equipaggiamento dato che non ha il proprio dietro, non avendo fatto un tour negli Stati Uniti di recente; inoltre Jerry Green, che lavorava con loro in studio da parecchio tempo, è appena diventato padre e decide perciò di non lasciare la propria famiglia, costringendo i Clash a registrare con gente sconosciuta. Questa serie di cose (unite ai problemi di Headon, che ormai è mentalmente instabile e scoordinato nei movimenti) non fa altro che aumentare i contrasti all'interno del complesso, e la situazione, che già da qualche tempo è difficile, si fa critica tra Joe e Mick, che non vuole in alcun modo sottostare alle restrizioni di budget a cui il gruppo è costretto. In dicembre i Clash fanno una pausa e tornano a Londra, ma all'aereoporto di Heathrow Topper viene arrestato per tentata importazione di stupefacenti: questo, per lui che è in libertà vigilata, significherebbe la prigione, ma il 17 dello stesso mese viene condannato solo ad una multa di 500 sterline, portando a sua difesa il fatto che il suo gruppo ha bisogno di lui per le incisioni (è stato inoltre recentemente eletto da una
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rivista come quinto miglior batterista del mondo) e mostra un grande desiderio di guarire dalla tossicodipendenza. La sentenza finale del magistrato è ironica, "se non accetta i trattamenti, sarà il migliore batterista del cimitero", ma Topper la prende in parola ed inizia così un periodo di disintossicazione. Alla fine del gennaio del 1982 i Clash partono per una tournée nel Sud-Est Asiatico ed in Australia, al ritorno dalla quale, in marzo, decidono di ingaggiare Glyn Johns, in passato produttore di Who, Rolling Stones e Led Zeppelin, per terminare le registrazioni ed il mixaggio dell'album. Joe in marzo partecipa, sponsorizzato dal giornale britannico The Sun, alla maratona di Londra percorrendo i 41,8 km in 4 ore e mezza, mentre in aprile la CBS rilascia il singolo estratto dal nuovo album "Know Your Rights"/"First Night Back In London". Ma poco dopo, appena prima della partenza per il "Know Your Rights tour" in Gran Bretagna, Strummer sparisce, costringendo i Clash a rinviare tutti i concerti. Intanto in maggio esce il nuovo full-length, "Combat Rock" (che inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi "Rat Patrol From Fort Bragg"), che contiene sempre maggiori quantità di pezzi funk e rap e annovera tra le collaborazioni anche il poeta Allen Ginsberg. L'album, la cui foto per la copertina è stata scattata su una ferrovia deserta in Thailandia nel marzo del 1982 durante il tour asiatico della band da Pennie Smith, raggiunge la 2a posizione in Gran Bretagna e la 7a negli Stati Uniti, venendo accolto benevolmente sia dal pubblico che dalla critica. Circa una settimana dopo, e tre dopo la sua scomparsa, Joe riappare, a Parigi (dove nel frattempo ha corso nuovamente la maratona), in tempo per partecipare al Lochem Festival in Olanda: la sua sparizione, una trovata pubblicitaria di Rhodes (insieme al desiderio di Joe di allontanarsi dai crescenti contrasti tra Mick e Bernie) scatenata dal manager a causa di un concerto a Inverness non del tutto esaurito in prevendita, non dà però i suoi frutti dato che il singolo di "Know Your Rights" non supera comunque il 43° posto in Gran Bretagna. Al ritorno dall'Olanda, Joe annuncia che Topper non fa più parte dei Clash a causa di differenze riguardo alla futura direzione politica che i Clash intendono intraprendere, ma in realtà l'abbandono è dovuto alla sua ormai incontenibile dipendenza da eroina. I Clash partono poi alla fine di maggio per un lungo tour negli Stati Uniti con Terry Crimes che ritorna a suonare la batteria, che in pochi giorni prepara la scaletta di una quarantina di pezzi che privilegiano il vecchio materiale. La band durante questo tour suona anche cinque date al Palladium di New York davanti ad un pubblico di 23.000 persone a sera, mentre nel frattempo, sempre negli Stati Uniti, gira con Don Letts (dj del Roxy, locale simbolo del punk londinese, con la passione per le riprese video) anche un video per "Rock The Casbah" (la cui musica è stata scritta interamente da Headon), il cui singolo viene poi rilasciato in Gran Bretagna in giugno dalla CBS con b-side "Long Time Jerk", entrando al 30° posto. In settembre i Clash, che non hanno suonato di come band di supporto dal '76, accettano di aprire i concerti del tour d'addio degli Who, suonando così otto concerti in alcuni dei più grandi stadi degli Stati Uniti, tra i quali anche lo Shea Stadium di New York (dove suonano per due sere consecutive davanti ad un totale di 130.000 persone), quello in cui nel 1965 i Beatles hanno dato vita al il primo grande concerto rock da stadio, venendo però in questo modo accusati da qualcuno di tradire i loro ideali anti-rock stars d'inizio carriera. Nel frattempo, sempre in settembre, esce il singolo "Should I Stay Or Should I Go?"/"Straight To Hell", che tocca il 17° posto in Gran Bretagna ed il 45° negli Stati Uniti, mentre in ottobre la band partecipa ad un enorme festival al Bob Marley Music Center di Montego Bay, in Giamaica, suonando insieme ad Aretha Franklin, tra gli altri. Nel gennaio del 1983 il singolo di "Rock The Casbah" diventa la maggiore hit dei Clash negli Stati Uniti (il suo video viene passato anche da MTV, un'emittente televisiva musicale nata da poco tempo), toccando l'8a posizione (facendo così entrare i Clash per la prima volta nella top ten statunitense dei singoli) e portando in questo paese "Combat Rock" a diventare disco di platino, riuscendo a passare il milione di copie vendute e facendo tornare finalmente le finanze della band ad alti livelli. Intanto i conflitti fra i componenti della band riemergono prepotentemente ed in particolare il rapporto fra Joe e Mick si guasta in modo insanabile: Terry, preso atto di questa situazione, in febbraio lascia nuovamente il gruppo, che è costretto così ad iniziare una nuova serie di 300 audizioni per trovare un rimpiazzo definitivo a Headon, che si concludono in maggio con la scelta di un giovane ventitreenne, Peter Howard. Ma la nuova line-up ha vita breve in questa forma, dato che il 28 maggio i cinque suonano insieme per l'ultima volta allo US Festival di Los Angeles (un festival di tre giorni): il 10 settembre infatti la CBS diffonde un comunicato che annuncia che Strummer e Simonon hanno deciso che Mick Jones non fa più parte del gruppo, ufficialmente perché si è allontanato dall'idea originale dei Clash. Nel gennaio del 1984 viene annunciata la nuova formazione: entrano a fare parte dei Clash due chitarristi, Vince Gregory White e Nick Sheppard, ma Joe, contrariamente a quanto deciso inizialmente, decide comunque di
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continuare a suonare anche lui la chitarra. La band testa i due nuovi membri per la prima volta al Santa Monica Civic Center, continuando poi per buona parte di quello stesso anno i tour in America ed in Europa, e verso la fine del gennaio del 1985 entra in uno studio di Amburgo per iniziare le incisioni di un nuovo full-length. Intanto Mick Jones ha iniziato una causa contro il gruppo per impedirgli di utilizzare il nome Clash, ma la band continua comunque ad effettuare concerti in Europa partecipando anche al Roskilde Festival in Danimarca in luglio, l'ultima esibizione prima dell'uscita di un singolo estratto dall'album in uscita, "This Is England"/"Do It Now", che viene rilasciato dalla CBS in ottobre e che raggiunge la 24a posizione. Il nuovo fulllength, "Cut The Crap", in cui i la stesura dei brani è accreditata congiuntamente a Clash e Rhodes, esce il mese successivo, entrando al 16° posto, ma viene fortemente criticato dalla stampa: questo convince Joe e Paul a licenziare gli altri membri del gruppo, compreso Bernie, e nei primi giorni del 1986 dare l'annuncio che i Clash non esistono più. Poco dopo, sempre nel 1986, la Mercury Records rilascia il primo album da solista di Topper, "Waking Up", ma l'anno seguente viene condannato a 15 mesi di reclusione per avere fornito della droga ad un amico poi morto di overdose. Nel marzo del 1988 la CBS (la Epic per l'America) rilascia la prima raccolta della band, "The Story Of The Clash", un doppio album che raggiunge la 7a posizione in Gran Bretagna, mentre nell'ottobre del 1989 il Rolling Stone, una delle principali riviste musicali americane, nomina "London Calling" il migliore album degli anni '80 (negli U.S.A. era infatti stato rilasciato nel gennaio del 1980, mentre in Gran Bretagna già nel '79). Nel 1989 Joe rilascia il suo primo album da solista, "Earthquake Weather", ma non ottiene un gran successo, mentre nel '90 le voci di scioglimento dei Big Audio Dynamite, il gruppo formato da Mick nel 1985, alimentano le voci di una riunione dei Clash, ma sono infondate. Nel '91 la marca d'abbigliamento Levi's utilizza "Should I Stay Or Should I Go" in un suo spot pubblicitario: la CBS ristampa il singolo (insieme al brano "Rush" dei Big Audio Dynamite), e per la prima volta, nel marzo del '91 (a più di cinque anni dal suo scioglimento) il gruppo riesce non solo a portare per la prima volta una sua canzone nella top ten britannica, ma addirittura al primo posto. Le voci di una riunione dei Clash so fanno ancora più pressanti, ma ancora una volta non si avverano. Intanto anche il nuovo progetto di Paul (nato nel 1988), gli Havana 3 A.M., nel '91 rilascia il suo primo album omonimo, mentre sull'onda del rinnovato successo dei Clash escono presto nuove raccolte della band, come "The Singles Collection" e "Clash On Broadway", quest'ultimo un triplo CD contenete anche degli inediti, entrambi usciti entro la fine del '91, e "Super Black Market Clash", rilasciato nel novembre del '93. Nell'ottobre del '99 esce prima "From The Westway To The World", un documentario curato da Don Letts contenente materiale inedito, e poi il primo CD live ufficiale del gruppo, "From Here To Eternity", che racchiude canzoni registrate dal vivo durante il periodo che va dal '78 al '82, l'epoca in cui i Clash erano all'apice della loro carriera, seguito poco dopo dalla ristampa su CD di tutti sei gli album della band. Il mese seguente torna a fare parlare di sé Strummer con la sua nuova band, i Joe Strummer & The Mescaleros, che rilasciano il loro primo album, "Rock, Art & The X-Ray Style", seguito nel giugno del 2001 dal secondo "Global A Go-Go", edito tra l'altro dalla Hellcat Records (una sottocasa della Epitaph) di Tim Armstrong dei Rancid. Nel novembre del 2001 Joe e Mick (con i Mescaleros) tornano per la prima volta dall'inizio degli anni '80 di nuovo insieme sul palco, per un concerto di beneficienza a favore dei vigili del fuoco inglesi, ma poco tempo dopo, il 22 dicembre, Joe muore a causa di un infarto nella sua casa di Somerset, in Inghilterra, dove dal '97 viveva con sua moglie Lucinda Tait (sposata nel '95), lasciando due figlie ed una figliastra. Pochi mesi dopo, nel marzo del 2003, i Clash vengono inseriti nel Rock 'N' Roll Hall Of Fame ed in contemporanea viene rilasciata una nuova raccolta, "The Essential Clash", contenente 41 brani della ormai storica band. Nel 1999 viene pubblicato, finalmente, il primo e unico disco dal vivo dei Clash. From Here To Eternity (Sony, 1999) è il degno testamento musicale di una band che, sul palco, ha dato tantissimo con calore, sudore ed elettrica energia. Nel momento in cui parte la roboante “I Fought The Law”, si torna indietro alla furia grezza di Strummer e soci, quando la missione principale era incendiare le strade per scuotere le coscienze. L’urlo impastato di “London’s Burning” e il riff di “Clash City Rockers”, le prime contaminazioni con il reggae di “White Man In Hammersmith Palais” e “Armagideon Time”.Dal fuoco di Victoria Park ai grandi concerti americani del 1982, il disco è il miglior itinerario di viaggio per scoprire il cuore dell’“unica band che conta”. Nel 2001 i Clash ricevono a Londra l’Ivor Novello Award per il loro innegabile contributo dato alla musica inglese. Anche se solo per ritirare il premio, Mick Jones, Joe Strummer, Paul Simonon e Topper Headon si ritrovano insieme su un palco. Non succedeva dal 1982. I quattro sembrano sereni, appagati, ma la risposta alle sempre insistenti proposte di reunion è sempre la stessa: la vecchia band è
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ormai una leggenda e nessuno ha intenzione di scalfirla. Nel novembre 2002, tuttavia, Mick Jones raggiunge Joe Strummer alla Acton Town Hall di Londra per un concerto benefico in favore del sindacato dei vigili del fuoco inglesi. Il solito impegno sociale si tinge di un colore del tutto particolare e inaspettato. “Bankrobber”, “London’s Burning” e “White Riot” sono i sussulti di un piccolo momento che i due musicisti non condividevano da quasi vent’anni. E’ l’ultimo saluto in musica al vecchio fratello gemello. Il 21 dicembre dello stesso anno, in un tranquillo pomeriggio nella sua casa del Somerset, Joe Strummer, seduto in cucina, viene stroncato da un infarto. Nel 1977 cantava: “Londra brucia di noia, sono nel sottopassaggio e cerco casa mia. Corro nel vuoto pietrificato perché sono solo”. Il suo cuore ha bruciato per cinquant’anni… ora lascia le fiamme a noi, perché non è solo e ha trovato casa. FONTE : THE CLASH – BIOGRAFIA ARCANA EDITORE DISCOGRAFIA ESSENZIALE
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The Clash 1977 Give Em' Enough Rope 1978 London Calling 1979 Sandinista 1980 Black Market Clash(collection) 1980 Combat Rock 1982 Cut The Crap 1985 The Story Of The Clash (collection) 1988 The Singles(collection) 1991 The Clash On Brodway (box-collection) 1991 Super Black Market Clash(collection) 1993 From Here To Eternity(collection) 1999
ANTONY AND THE JOHNSONS... DEL SUO VELOCE VOLO Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 02 Aprile 2009 08:28 Martedì 31 marzo 2009, Teatro Politeama di Prato sbarcano finalmente in Italia gli Antony and the Johnsons uno dei gruppi più attesi della stagione primavera 2009, pensate che non si trovavano più biglietti già dal 15 gennaio tanto che ho dovuto muovere i miei buoni Uffici per avere 2 “accrediti stampa” ( jankadjstrummer fa salti mortali per entrare, anche, nel ruolo di cronista ). La serata è piovosa e penso di essere nello stato d’animo giusto per apprezzare il concerto. Gli Antony and the Johnsons sono un progetto collettivo musicale, con base a New York, che ruota intorno alla figura del cantante Antony Hegarty,.Descrivere la voce di Antony, a chi non lo ha mai sentito è un impresa ardua, qualcuno lo paragona ad un sibilo, ad un lamento, un particolare timbro vocale “vibrato” baritonale che ricorda Demis Roussos o Bryan Ferry ma ancora più accentuato. Ambiguità, intensità e mistero sono gli ingredienti della sua arte, le liriche e le sonorità sono, dal vivo, una emozione pura. Su di lui ha dichiarato Diamanda Galas ( cantante e performer newyorkese di origine greca) : “ogni emozione del pianeta sta in quella
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voce eccezionale”, vanta numerose collaborazioni con grandi artisti affascinati dalla sua voce: Lou Reed, Bjorg ma anche Franco Battiato con cui a duettato nel suo ultimo album Fleurs 2. “Mai un cantante è riuscito a commuovermi in questo modo», disse Lou Reed nel 1998, all'uscita dell'album d'esordio di Antony and the Johnsons. Accompagnato dal gruppo formato da 2 archi, chitarre, clarinetto/sax e batteria, Antony da dietro in suo pianoforte, diffonde vibrazioni soul da pelle d’oca. Il concerto inizia con una performance di una ballerina che ricorda la replicante di “Blade runner” che danza con un sottofondo musicale a dir poco inquietante, probabilmente allude al mondo tecnologico degradato e carico di distruzione e morte. Partono poi gli archi e il pianoforte di Antony che comincia col regalare scampoli di visioni oniriche e sognanti con la sua voce che domina ma che non copre i suoni degli strumenti, crea una atmosfera rarefatta ma solenne, dei veri capolavori tratti dal suo ultimo lavoro “The cryng light” L'album, dedicato al coreografo e ballerino giapponese Kazuo Ohno, parte da un'ottica diversa rispetto ai precedenti lavori . Il disco d'esordio parlava della propria vita (idoli, sogni, quotidiano) il secondo album era più intimista, scavava nell’”io “, "The Crying Light", invece, cerca una dimensione ancor più profonda e apre all'uomo in generale e all'universale, guardando al mondo e alla natura. Le canzoni scorrono cariche di spiritualità, fra la freschezza e l'oscuro, intrise di armonie classiche, canzoni anni 50, musica nera. Antony si permette il lusso di fare un po' di tutto, mostrando un forte eclettismo: folk carico di poesia ( ci concede anche meravigliosa cover di Bob Dylan ), gospel per sola voce e distorsione di fondo ci regalano momenti di arte pura. Le poche note di "Another World" ( al 1° posto nella mia Hit parade di marzo ) dimostrano l’intensità del suono,della voce e la dimensione artistica raggiunta. Il bis ci porta invece nella sua storia meno recente brani tratti da “ I’am a bird now “ che è l’album che lo ha fatto conoscere al grande pubblico. Insomma una bellissima serata di puro intrattenimento intelligente che ti mettono in pace col mondo e con te stesso. DISCOGRAFIA UFFICIALE • Antony and the Johnsons (Durtro, maggio 2000; Secretly Canadian 2004) • I Am a Bird Now (Secretly Canadian, febbraio 2005) #5 UK • The Crying Light (Secretly Canadian, febbraio 2009) Album live •
Live at St. Olave's (Durtro, maggio 2001)
BREVE BIOGRAFIA DI KURT COBAIN Scritto da Jankadjstrummer Lunedì 30 Marzo 2009 20:50 Kurt Cobain nacque il 20 febbraio 1967 in una piccola città nello stato di Washington. Era il primogenito di Donald, meccanico, e di Wendy, casalinga che in seguito trovò lavoro come segretaria. I primi ricordi di Cobain, bambino curioso e vivace, sono davvero felici: cantava, disegnava, recitava, ma poi, intorno al suo ottavo compleanno, la madre chiese il divorzio e così incupito e chiuso in se stesso, Kurt visse per circa un anno con lei, prima di trasferirsi dal padre. Ad accentuare il problema della sua vita familiare fu il fatto che la casa in cui abitava era un parcheggio per roulotte nel centro di Aberdeen, famosa comunità di taglialegna.A Kurt, spesso in mediocri condizioni di salute, veniva somministrato il Ritalin, per mitigare la sua iperattività di fanciullo. In seguito gli vennero però diagnosticate bronchiti e scoliosi. Nonostante questo, la sua fragile struttura venne messa in secondo piano dal suo carattere sempre più ostinato. Si racconta che Kurt fu
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picchiato da un taglialegna di quasi cento chili. Il ragazzino non reagiva, anzi, sorrideva mostrando il dito medio al suo aggressore ogni volta che veniva sbattuto a terra. La vita in famiglia non era certo facile. Quando Donald Cobain si risposò con una donna già madre di due figli, il rapporto già teso con il padre andò in pezzi : buttato fuori di casa, Kurt andò a vivere per un periodo con degli zii, prima di tornare nella casa paterna. Un altro scontro lo costrinse tuttavia a fare ancora le valige. E poi ancora. In breve, tra il 1975 e il 1984, Kurt visse un po' con suo padre, con i nonni paterni e con tre zii. Finalmente, convinse sua madre a ospitarlo nella sua abitazione. La permanenza durò un anno. Anche Wendy Cobain si risposò e l'impatto di un figlio eccentrico su una ambiente già in crisi creò una fortissima tensione. Una sera, dopo avere scoperto che il marito la tradiva, Wendy gli puntò un'arma alla testa minacciando di ucciderlo. I figli videro la madre che tentava di caricare l'arma senza successo. Alla fine, la donna esasperata raccolse tutte le armi da fuoco che c'erano in casa, uscì nel cuore della notte e le gettò nel fiume.Il giorno seguente, dopo aver pagato due ragazzi per ripescarle, Kurt vendette le armi e col ricavato comprò il suo primo amplificatore. Nel frattempo il punk rock stava prendendo piede ed esprimeva le stesse cose che Cobain sentiva: disperazione e rabbia. Abbandonò la scuola, fu cacciato dalla casa materna e rimbalzato dal divano di un amico alla macchina parcheggiata sul retro dell' abitazione di un altro conoscente e addirittura sotto un ponte. Parlò con il suo amico Chris Novoselic della possibilità di formare un gruppo; nel giro di un paio d'anni e dopo aver cambiato qualche nome, nacquero i Nirvana. La liberazione letterale e spirituale di Cobain giunse finalmente nell'autunno 1987. Olympia ed Aberdeen distano solo sessanta chilometri, ma per Kurt rappresentavano due estremi, come il paradiso e l'inferno. La prima divenne per lui la base psicologica. Trasferitosi a vivere nella nuova città con la sua ragazza, Tracy Marander, Kurt scoprì una comunità che accolse e apprezzò il suo talento. Subì il fascino di Calvin Johnson, leader dei Beat Happening e capo della K Records, il cui marchio, Cobain, si fece tatuare sull'avambraccio. Oggi si può dire che i giorni ad Olympia equivalsero all'istruzione e alla vera formazione di Cobain. Si dedicò a fare collage e disegni e iniziò a scrivere testi e a provare seriamente con i Nirvana. Nel 1988 il gruppo aveva ormai registrato una serie di demos e pubblicò il suo primo singolo con la Sub Pop, Love Buzz / Big Cheese . Nel 1989 il loro album di debutto "BLEACH" dimostrò che si trattava di qualcosa di promettente ed insolito. Era sconvolgente e graffiante, ma possedeva una qualità che era stranamente familiare, che trasmetteva un senso di conforto. I Nirvana partirono in tour, sostituirono il batterista Chad Channing con Dave Grohl e si prepararono a registrare nuovamente. A questo punto avvenne il grande passo. "NEVERMIND" uscì nel settembre 1991 con scarsa pubblicità e ancor meno aspettative. Nell' arco di qualche mese divenne il primo disco punk rock a raggiungere l'apice delle classifiche e vendette alla fine dieci milioni di copie in tutto il mondo. Stracolma dei conflitti del suo autore, la musica presentò Kurt Cobain al mondo. Era violenza e rifugio, colpiva nell' esatto momento in cui leniva il dolore. Al di là del messaggio in esso contenuto, fu il carattere di Nevermind a catturare quel che gli ascoltatori desideravano esprimere. Esso urlava. Fuori dal palco, invece, Cobain era tranquillo, malinconico ed introverso. E gli episodi che lo avvolgevano in maniera vorticosa avevano spesso una risonanza molto maggiore rispetto alla realtà. I Nirvana stavano cambiando il volto della musica degli anni '90 e, nonostante i tentativi di Cobain di starsene in un angolino, lontano dalla luce dei riflettori, era sempre nell' occhio del ciclone. Si portò dietro storie di droga che lo afflissero fino alla fine dei suoi giorni. La sua storia di amore con Courtney Love, lasciò una scia di racconti, come un sentiero carico di detriti. Mesi dopo il matrimonio della coppia (avvenuto alla Hawaii il 24/2/92) e poche settimane dopo la nascita di Frances Bean (18/8/92), Kurt se ne stava seduto sull' erba a giocare con la sua bambina al "MTV Video Music Awards". Sorrideva al ricordo della sua amorosa baldoria punk con Courtney Love. "Mi spiace" disse. "Era una specie di rituale animale di accoppiamento. Adesso sono papà, è cambiato tutto." In realtà era cambiato ben poco. Le voci sul consumo di eroina della moglie durante la gravidanza condussero a una lunga battaglia con il dipartimento dei servizi sociali all'infanzia di Los Angeles per la custodia di Frances Bean. Una lite domestica, durante la quale la polizia requisì un certo numero di armi da fuoco, procurò titoli a lettere cubitali anche quando i Nirvana non stavano suonando. Dopo l'uscita di "INCESTICIDE", una raccolta di singoli e brani minori, la formazione registrò "IN UTERO", prosecuzione ispirata e meno commerciale di Nevermind. Il disco del 1993 fu al centro di una controversia con la Geffen, l'etichetta dei Nirvana, che verteva sulla produzione dell' album. Gli amici si cominciarono a preoccupare per i tentativi di Cobain di combattere l'eroina. Ma c'era la musica. In Utero raggiunse il primo posto delle classifiche. Il gruppo fu ospite principale ad un concerto di beneficenza a favore delle vittime
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dello stupro in Bosnia, partì per un tour e partecipò a una brillante esibizione a "MTV Umplugged" che, tristemente divenne una specie di epitaffio dei Nirvana. Le amicizie e il matrimonio, malgrado la pessima pubblicità da cui era circondato, sembravano dare a Cobain il gusto più vero della felicità e, addirittura, della pace che non aveva mai conosciuto. E poi, naturalmente, c'era Frances Bean: la splendida bambina che portava il nome dell' attrice Frances Farmer, un'altra figlia di Seattle che fu tormentata dalla celebrità e dallo scontro della sua visione artistica con i suoi demoni personali. Al di là delle difficoltà, sostengono gli amici, Kurt si rese conto che sua figlia era stato il regalo più grande. Il fatto che il mondo lo stia piangendo insieme alla sua famiglia testimonia il potere dell' incertezza e del bisogno di purificazione condivisi da Cobain. Malgrado i tentativi di dipingerlo in modo diverso, Kurt Cobain non era la reincarnazione o la manifestazione del nuovo idolo della sua generazione. Era semplicemente Kurt Cobain, un elemento singolare e paradossale di una generazione piena di individui singolari e paradossali come lui. Era un uomo estremamente fragile che possedeva però un urlo così penetrante da esplodere nel silenzio delle radio di fronte al rock dell' epoca di Nevermind. Era un appassionato genuino della musica, che aveva restituito ai suoi idoli quanto essi avevano dato a lui. A volte era dolce, altre passivamente antisociale e preferiva ritirarsi in se stesso piuttosto che sputare in faccia a coloro che voleva evitare. Era figlio di un divorzio, marito e padre. Era tossicodipendente. Era un appassionato difensore dei diritti delle donne e degli omosessuali. E ormai, è un altro numero nelle statistiche del tasso nazionale dei suicidi, raddoppiato negli ultimi dieci anni. Kurt Cobain è morto a ventisette anni. Lascia una moglie che lo amava, una figlia che non lo conoscerà mai e milioni di fans le cui vite sono state certamente arricchite dalla sua presenza.
IL LIBERISMO HA I GIORNI CONTATI Scritto da Jankadjstrummer Martedì 07 Aprile 2009 08:06 Mai come in questo periodo, siamo di fronte ad una crisi senza precedenti, anche il rock è sensibile a queste tematiche e crede che l’origine di tutti i mali della nostra società sia nel liberismo esasperato della economia globale. "Ecco un testo eloquente che piace molto a Rocco Russo ( lupo ) da Prato": - BAUSTELLE - dall’album “AMEN “ È difficile resistere al Mercato, amore mio. Di conseguenza andiamo in cerca di rivoluzioni e vena artistica. Per questo le avanguardie erano ok, almeno fino al ’66. Ma ormai la fine va da sé. E’ inevitabile. Anna pensa di soccombere al Mercato. Non lo sa perché si è laureata. Anni fa credeva nella lotta, adesso sta paralizzata in strada. Finge di essere morta. Scrive con lo spray sui muri che la catastrofe è inevitabile.Vede la Fine. In metropolitana. Nella puttana che le si siede a fianco. Nel tizio stanco. Nella sua borsa di Dior. Legge la Fine. Nei sacchi dei cinesi. Nei giorni spesi al centro commerciale. Nel sesso orale. Nel suo non eccitarla più. Vede la Fine in me che vendo dischi in questo modo orrendo. Vede i titoli di coda nella Casa e nella Libertà. E’ difficile resistere al Mercato, Anna lo sa. Un tempo aveva un sogno stupido: un nucleo armato terroristico. Adesso è un corpo fragile che sa d’essere morto e sogna l’Africa. Strafatta, compone poesie sulla Catastrofe.Vede la Fine. In metropolitana. Nella puttana che le si siede a fianco. Nel tizio stanco. Nella sua borsa di Dior. Muore il Mercato. Per autoconsunzione. Non è peccato. E non è Marx & Engels. E’ l’estinzione. E’ un ragazzino in agonia. Vede la Fine in me che spendo soldi e tempo in un Nintendo dentro il bar della stazione e da anni non la chiamo più.
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SKA-P RAYO VALLEKANO Scritto da Jankadjstrummer Mercoledì 08 Aprile 2009 21:29 Il gruppo proviene da un sobborgo operaio della estrema periferia di Madrid che si chiama Vallekas, quartiere in cui il gruppo è ben radicato ( nei testi si fa sempre riferimento alla rabbia Vallekana ). La periferia di Madrid è fortemente degradata, la violenza, la droga ma nonostante tutto questi quartieri hanno rappresentato, da sempre, una avanguardia di lotta con una lunga tradizione di opposizione alla dittatura franchista; credo che questo abbia rappresentato l’humus vitale per la nascita di un collettivo di lotta che si riflettesse anche nella musica e nell’arte popolare e qui che 5 ragazzi formano un gruppo aperto a coloro i quali intendono contribuire con esperienze musicali anche diverse e molta voglia di lottare e quello che si definisce per brevità, un gruppo musicale“militante” . Il nome del gruppo è chiaramente riferito al genere musicale, ma rappresenta anche un gioco di parole: gli spagnoli pronunciano SKA-P "escápe", che significa "scappare". Pulpul, voce e prima chitarra, Pako, alla batteria, Julio, al basso, Kogote, alle tastiere, e Toni, seconda chitarra, danno vita al gruppo che vuole rompere il perbenismo e lanciare sfide e provocazioni. Per fare ciò hanno preso come riferimento musicale lo "ska" e i ritmi delle lotte che hanno percepito nei quartieri operai di Londra, Berlino e Parigi, senza però escludere tutte le altre espressioni musicali che gli permettono di dare sfogo al loro messaggio di denuncia e di far smuovere le coscienze di chi li ascolta. Pur incitano alla lotta, non disdegnano lo svago puro e semplice, il divertimento i loro concerti sono anche una grande festa di balli e cori. Pulpul "Le nostre canzoni sono intrise di contestazione sociale perché in Spagna nonostante Zapatero c'è ancora tanta "schifo" da pulire ed è ciò che noi vogliamo fare!". Il debutto è stato duro perché,senza soldi e idee decisero di infrangere le norme del business musicale e non cercando major che li producessero, ma preferirono autoprodursi. Gli SKA-P cominciano ad esibirsi nei piccoli locali di Vallekas e ha creare un gruppo itinerante facendo tour in tutte le regioni della Spagna, Francia. Molto particolare e degna di nota è la figura del Pipi (una sorta di artista del popolo ), che spettacolarizza ed intrattiene, protagonista di simpatiche follie sulla scena con interpretazioni teatrali dei brani. Se a qualcuno interessa, vi racconterò del bellissimo concerto tenutosi a Firenze nel 2005.
IL TRIP-HOP DEI M A S S I V E A T T A C K Scritto da Jankadjstrummer Venerdì 24 Aprile 2009 06:31 Mi è pervenuta giorni fa una e-mail in cui un amico mi chiedeva di omaggiare i grandi Massive Attack gruppo originalissimo, non conosciuto dalla grande massa: leggete tutto, incuriositevi, cercate i dischi (internet fonte inesauribile) e sarete folgorati sulla “ via di Damasco “. Nel corso degli anni ’90 dall’hip-hop si sono staccate due costole: il trip hop e la jungle, che hanno influenzato l'evoluzione del suono contemporaneo. Mentre la jungle e' iperveloce, quasi a rispecchiare i ritmi frenetici della metropoli, il trip
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hop e' lento e dilatato, come una forma di hip hop in cui il rap si e' trasformato in una specie di monologo introspettivo condito con melodie sinuose e spiazzanti. Gli indiscussi precursori del trip hop sono i Massive Attack, originari di Bristol, porto dell'Inghilterra sud-occidentale famoso in passato per il commercio degli schiavi, e verso la fine degli anni '70 si era distinta musicalmente per la singolare commistione funk-punk operata dal Pop Group di Mark Stewart. I Massive fanno al loro prima apparizione come membri del Wild Bunch, un Collettivo di writers, rappers e djs attivo a Bristol durante gli anni '80. Piu' avanti al Wild Bunch si unirono anche 3-D, un graffiti artist che aveva collaborato con Goldie, la futura star della jungle, e il dj Mushroom. Il Wild Bunch Sound System aveva la particolarita' di mixare dischi di hip hop con punk, funk e reggae, una miscela che rispecchiava l'eterogeneita' del loro pubblico, inizialmente composto per lo piu' da punks e da neri. Il Wild Bunch Sound System, inoltre, fu il primo sound system britannico a fare un tour in Giappone. Adrian Sherwood, boss dell'etichetta londinese On-U Sound, presento' ai futuri Massive la cantante Shara Nelson, con cui nell'86 incisero un singolo, "The look of love", una cover di Burt Bacharach che anticipava quello che poi sarebbe stato universalmente conosciuto come il "suono di Bristol". In seguito alla dipartita di Nellee Hooper e del dj Milo Johnson, che si era trasferito in Giappone, il Wild Bunch si sciolse e i membri superstiti, 3-D, Daddy G e Mushroom, formarono i Massive Attack. Con la collaborazione di un altro ex-membro del Wild Bunch, il rapper Tricky, e di Shara Nelson, nell'ottobre del '90 pubblicarono il loro primo singolo, "Daydreaming". Nel frattempo, 3-D aveva scritto una canzone per l'album "Raw like sushi" di Neneh Cherry, una vecchia conoscenza del Wild Bunch, nel '91 usci' il secondo singolo, "Unfinished Sympathy", una canzone iniziata come una jam in studio con Shara Nelson che improvvisava su una base di tastiere e drum machine, poi evolutasi fino a contenere un'orchestra di 50 elementi. L'album da cui era tratta, "Blue lines", un miscuglio di generi assolutamente innovativo che sarebbe diventato un classico, influenzando la musica del decennio appena iniziato, vedeva anche le partecipazioni vocali di Tony Brian e dell'artista reggae jamaicano Horace Andy. L'interesse dei Massive per il cinema e l'arte era evidente nella copertina del disco, in cui erano riprodotte alcune opere di 3-D, e nei video diretti da Baillie Walsh. Nelle note di copertina veniva citato "Taxi Driver", e nei video, soprattutto in quello di "Unfinished Sympathy" (in cui la cantante percorre una strada di Los Angeles incrociando un'umanita' varia e sconcertante) si respira la stessa atmosfera di malessere urbano che caratterizzava il film e buona parte dell'album. "Blue Lines" venne osannato dalla critica ed entro' al tredicesimo posto della classifica britannica, ma nel '92, dopo un ep accolto freddamente da pubblico e critica, e l'insuccesso del tour americano, i Massive scomparvero dalla scena per un paio d'anni. ma nel '94, risolti i problemi con manager e produttori, i Massive si rifecero vivi con "Protection", che vedeva tra l'altro il ritorno di Nellee Hooper nelle vesti di produttore. L'intenzione di esplorare nuovi territori traspare gia' nella scelta dei collaboratori:Nicolette, una cantante anglo-nigeriana, Tracey Thorn e Ben Watt degli Everything But The Girl. Il risultato e' un album meno soul del precedente, ma ricco di atmosfera e di spunti musicali che verranno portati all'estreme conseguenze in "No Protection", versione dub di "Protection" remixata da Mad Professor e pubblicata nel febbraio del '95. L'uscita quasi consecutiva di "Dummy" dei Portishead, di "Protection" dei Massive e del primo album solista di Tricky, "Maxinquaye", attira l'attenzione dei media sulla "scena di Bristol". Nonostante gli interessati si affrettino a prendere le distanze, rifiutando di
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essere incasellati in qualunque categoria, un legame tra loro esiste: i Massive avevano giocato un ruolo fondamentale nella carriera dei Portishead, presentandoli al loro manager Cameron McVey. Con l'uscita di "Protection", i Massive partono per il loro primo tour vero e proprio, completo di sound system ed esposizione delle opere di 3-D, tra cui l'Eurochild, il pupazzo raffigurato sulla copertina dell'album, che rappresenta il commento di 3-D sull'unificazione europea, vista soprattutto come un fenomeno consumistico. Per le date italiane i Massive vengono accompagnati dagli Almamegretta: il cantante Raiss aveva collaborato a "The Napoli Trip", una delle versioni di "Karmacoma" contenute nel singolo. 3-D infatti e' di origini italiane, ed e' un grande tifoso di calcio; si dice che la sua passione lo aveva addirittura spinto a rinunciare ad un incontro con Madonna, interessata a lavorare con i Massive, per poter assistere alla finale della Coppa del Mondo. La collaborazione annunciata alla fine va in porto con il pezzo "I want you", cover di un classico di Marvin Gaye, inclusa sia nell'album del '95 "Inner City Blues - a tribute to Marvin Gaye" che sulla raccolta di Madonna "Something to remember". Con "Fake the aroma", una versione alternativa di "Karmacoma", i Massive prendono parte ad "Help", una compilation ideata per aiutare le vittime della guerra in Bosnia. In un sondaggio i Massive erano risultati il gruppo piu' ascoltato dai giovani durante i bombardamenti, quasi come se l'atmosfera paranoica che permea la loro musica fosse la piu' adatta a sottolineare quei momenti di angoscia. I Massive continuano la loro attivita' di remixers: nel corso della loro carriera, tra gli altri hanno remixato brani di U2, Peter Gabriel, Garbage e Primal Scream. Nel '98 esce il terzo album vero e proprio, "Mezzanine", preceduto nell'agosto '97 dal singolo "Rising Son", che conteneva un campionamento dei Velvet Underground. Il disco, se possibile ancora piu' cupo ed introspettivo dei precedenti, questa volta vede le partecipazioni di Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, della cantante di Sheffield, Sarah Jay e naturalmente dell'"ospite fisso" Horace Andy. Il video del singolo cantato da Liz Fraser, "Teardrop", diretto dal regista Walter Stern, vince il premio come miglior video agli MTV Europe Music Awards, confermando i Massive come uno dei gruppi piu' innovativi anche a livello visivo. Nel frattempo Mushroom se n'e' andato e i Massive sono rimasti in due e lo scioglimento è inevitabile. A questo punto non resta che chiedersi: quale sara' la loro prossima mossa? Intanto SCARICATE la
DISCOGRAFIA ESSENZIALE: BLUE LINES etichetta Virgin 1.
Safe From Harm (5:18)
2.
One Love (4:48)
3.
Blue Lines (4:21)
4.
Be Thankful for What You've Got (4:09)
5.
Five Man Army (6:04)
6.
Unfinished Sympathy (5:08)
7.
Daydreaming (4:14)
8.
Lately (4:26)
9.
Hymn of the Big Wheel (6:37
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PROTECTION etichetta Virgin 1.
Protection (7:51)
2.
Karmacoma (5:16)
3.
Three (3:49)
4.
Weather Storm (4:59)
5.
Spying Glass (5:20)
6.
Better Things (4:13)
7.
Eurochild (5:11)
8.
Sly (5:24)
9.
10.
Heat Miser (3:39) Light My Fire [live] (3:15)
MEZZANINE etichetta Virgin 1.
Angel
2.
Rising son
3.
Teardrop
4.
Inertia creeps
5.
Exchange
6.
Dissolved girl
7.
Man next door
8.
Black milk
9.
Mezzanine
10.
Group 4
11.
Exchange (2)
PUNKS NOT DEAD Scritto da Jankadjstrummer Domenica 26 Aprile 2009 07:52 Musicalmente il punk nasce agli inizi degli anni settanta scavando le proprie radici nel rock'n'roll, in forte dissenso con le case discografiche, che sfruttano la musica pop. ... Carissimi, oggi mi cimento in un campo molto ostico, in cui si fronteggiano estimatori e detrattori del fenomeno punk che nonostante tutto stenta a morire; lo affronterò, in maniera molto sommaria, ( mi è stato segnalato che gli articoli a volte sono molto lunghi…io dico che è possibile leggerli anche in due tranches.. ) parlando esclusivamente del filone musicale e non del fenomeno di costume che ha caratterizzato per oltre un ventennio la scelta del look bizzarro e trasgressivo ma anche lo stile di vita di tantissimi giovani anche in Italia. Per correttezza vi svelo che alcuni pezzi della monografia traggono spunto da pubblicazioni di altri e riadattati per seguire un filo logico e per la difficoltà di reperire materiale dell’epoca e scavare nei ricordi, spero mi perdonerete. Jankadjstrummer
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La punk music Musicalmente il punk nasce agli inizi degli anni settanta scavando le proprie radici nel rock'n'roll, in forte dissenso con le case discografiche, che sfruttano la musica pop. I primi gruppi nascono negli Stati Uniti, principalmente nelle zone di New York e di Los Angeles, ma prima che questi si possano affermare vengono surclassati dalla nascita di altre band in Inghilterra. E’ proprio in questo paese che sono presenti in maniera più forte le cause che hanno dato vita al punk: le grandi case discografiche, che non solo producono le registrazioni, ma fabbricano anche i nastri e i vinili,vendono direttamente al pubblico nei negozi di loro proprietà. Ma le major vogliono potere vendere i loro artisti anche all'estero, e questi perciò, per ottenere un contratto sono costretti ad addolcire i suoni e principalmente i testi, parlando d’amore e luoghi comuni, non potendo così parlare di condizioni sociali e politiche locali, che soprattutto in Gran Bretagna è un problema attualissimo. Inoltre sta prendendo piede la musica pop - fatta di suoni diversi dai classici strumenti del rock (basso, batteria e chitarra), riproducibile dal vivo ( il pubblico vuole sentire ai concerti brani rigorosamente identici a quelli registrati in studio) solo grazie ad apparecchi elettronici e personale aggiunto, che naturalmente fanno lievitare i costi che il gruppo deve sostenere, permettendo così solo alle band già affermate di riuscire a continuare a vivere e rendendo la vita difficile alle nuove. Inoltre la nuova musica pop conta fortemente per la sua diffusione su programmi televisivi e riviste, che stabiliscono arbitrariamente successo e fallimento di un gruppo. Da questa situazione trae vita il punk, che fa il primo passo della lotta contro lo sfruttamento della musica da parte delle major producendo e distribuendo album indipendenti (il D.I.Y., "Do It Yourself", ovvero "fai da solo") e facendo tornare, dopo tanto tempo, i gruppi a suonare in garage e piccoli locali, a stretto contatto con i fans, invece che in grandi stadi davanti a migliaia di persone. Inoltre non si affida ai mass-media, come televisione o stampa, per la sua diffusione, ma principalmente su un'imponente attività live e su giornali autoprodotti e fanzines.Tra le prime punk band degne di nota sono i Ramones, nati nel 1974, e i Sex Pistols, nati verso la fine dell'anno seguente, che rispettivamente da New York e dall'Inghilterra iniziano a diffondere il nuovo genere. Sono proprio quest'ultimi che per primi portano il punk alla conoscenza di un pubblico più vasto e rivoluzionano l'idea comune del rock'n'roll, più che altro grazie alla crudezza dei loro testi ed ai violenti concerti live, piuttosto che per le innovazioni portate dalla loro musica.La fine degli anni '70, e soprattutto il '77, è il periodo d'oro per la nuova musica: tanti ragazzi seguono le prime punk band formando nuovi gruppi, ma il movimento rimane ancora confinato negli U.S.A. e in Inghilterra. Con la nascita delle nuove band il baricentro del nuovo stile musicale inizia a spostarsi verso la costa ovest statunitense, in California, ma ancora New York e soprattutto l'Inghilterra mantengono il ruolo di vere roccaforti del punk: nella zona di Los Angeles nascono però gruppi come Black Flag, Misfits, Descendents, Bad Religion, Social Distortion, Circle Jerks e Dead Kennedys, mentre in Inghilterra i gruppi interessanti nati in questo periodo sono i Clash ( di cui abbaiamo già parlato), che peraltro sono tra i primi a sperimentare l'unione musicale di punk e raggae, creando così suoni più pop, i Buzzcocks, primi esponenti del vero pop punk, e gli Exploited. In questo periodo, verso il 1980, nasce sempre a New York un nuovo stile musicale, un "sottogenere" del punk, l'hardcore, portato avanti da band come gli Agnostic Front, che ne diventano i principali esponenti. Sempre nei primi anni '80 l'interesse per il punk cala, anche se in questo periodo riesce comunque a sfondare in paesi diversi da quelli d'origine come il Canada (dove nascono gli SNFU, considerati i fondatori dello skate punk); riesce a "produrre" band come NO-FX, Vandals e Offspring, e a fare passare per la prima volta nel 1984 a MTV il videoclip di un gruppo punk CircleJerks .Negli stessi anni comincia però il suo declino, confermato dallo scioglimento di band come Misfits e Black Flag, e dalle difficoltà che quelle sopravvissute incontrano nell'andare avanti (i Bad Religion ed i Descendents si sciolgono e riuniscono, quest'ultimi più volte). Sempre in questi anni di declino, nasce lo ska, versione velocizzata del raggae, contenente però anche sonorità punk; e presto i classici strumenti del punk (basso, chitarra e batteria), che sono poi gli stessi dello ska, vengono accostati a trombe, tromboni e sax, dando vita ad un genere ibrido, lo ska punk, del quale tra i primi esponenti Snuff .Verso la fine del decennio, nel quale il punk ha rischiato di scomparire, il genere rinasce: nascono band come Good Riddance, Green Day, Operation Ivy (un gruppo prevalentemente ska, ma ormai i due generi vengono accomunati), i quali anche se vivono solo due anni
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giocano un ruolo importante nella rinascita, No Use For A Name, Mr. T Experience, Samiam e Pennywise. Alla fine degli anni '80 dunque ha avuto luogo la ripresa del punk, ma questa si è avuta solamente negli Stati Uniti (e soprattutto in California, diventata il nuovo centro del punk): in molti altri stati infatti il genere ancora praticamente non esiste. Invece l'inizio dei '90, il punk si diffonde anche nel resto d'Europa, seguendo la ripresa avuta in America: in Francia nascono i Burning Heads, in Italia i Punkreas, in Svezia No Fun At All, Satanic Surfers e Millencolin, in Olanda Heideroosjes e Undeclinable Ambuscade, mentre in Germania i Wizo esistono già dai primi anni '80.In questi anni l'ascesa del punk comunque continua anche negli U.S.A.: nascono band come A.F.I., Rancid, Ten Foot Pole, Lagwagon, Strung Out, Mxpx e Blink 182, alcuni peraltro portatori di generi musicali differenti da quelli già sperimentati e pertanto relativamente innovativi. Agli inizi degli anni '90 inizia anche a prendere piede lo ska punk: vengono a crearsi infatti varie punk band con una sezione fiati, come Voodoo Glow Skulls (che esistono dall'88, ma solo nei primi anni '90 aggiungono i fiati) e Less Than Jake. Ma il vero boom avviene nel '94: il punk diventa commerciale, grazie al pop punk di Green Day e Offspring e dei loro album "Dookie" e "Smash" che, con i loro 10 milioni di copie vendute ciascuno, portano i gruppi al livello dei cantanti pop, con i loro video in rotazione continua su MTV. A questo punto le major si interessano al genere rinato, offrendo contratti un po' a tutti i più famosi gruppi punk, spesso riponendo in essi troppe speranze, che le porta a volta ad incappare in delle "fregature", come succede con i Samiam: il punk è pur sempre un movimento underground, non tutti possono vendere milioni di dischi. Il successo si riflette nelle nascite di tante nuove band, anche in paesi dove il punk è quasi sconosciuto, e dal rifiorire di vecchi gruppi ( Misfits, Sex Pistols, Agnostic Front) e porta alla fortuna anche lo ska punk, che nella metà degli anni '90 raggiunge il suo apice, con l'attracco dei Less Than Jake e dei Reel Big Fish ad una major. Negli ultimi anni le punk band approdate su una major aumentano esponenzialmente, portando a conoscenza del grande pubblico gruppi come Offspring, Blink 182 e Sum 41. Discografia essenziale del fenomeno Sex Pistols Ramones Clash Damned The X Dead Kennedys Black Flag Circle Jerks The Gun Club Misfits Agnostic front Henry Rollins Pennywise Green day Offspring Nofx Rancid
Never mind the bollocks (1977) Rocket to Russia (1977) Clash(1977) Damned,damned,damned (1977) Los Angeles (1980) Fresh fruit for rotting vegetables 1980) Damages (1981) Group sex (1981) Fire of love (1981) Walk among us (1982 ) cause for alarm (1986) Hot animal machine (1987) Pennywise (1991) Dookie (1994) Smash (1994) Punk is Drublic (1994) Let’s go (1994)
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A PROPOSITO DELLA STORIA DEL PUNK ... Giovedì 30 Aprile 2009 21:31 Appendice di Jankadjstrummer Un appendice a proposito della storia del punk pubblicata giorni fa. Si discuteva con il mio amico Otys (esperto di rock ) della “ Grande truffa del Rock& roll “ un film famoso mi sembra di Julian Temple che ripercorreva le tappe della meteora di Syd Vicius e dei Sex Pistols in cui si dimostrava che un impresario furbo un tale Malcom McLaren che possedeva un negozio in Carneby Street a Londra convinse quei poveri ragazzi che sfasciare gli strumenti sul palco fosse un gesto “trasgressivo”, evitando accuratamente di spiegare loro che il disagio giovanile era già stato raccontato più di dieci anni prima da Pete Townshend, con una profondità lirica e uno spessore musicale ben diversi: quando gli Who cantavano My Generation erano autentici!
M.C.R.: LA LOTTA CONTINUA Scritto da Jankadjstrummer Lunedì 04 Maggio 2009 06:44 La cosa più strana di questo gruppo è l’andarivieni dei suoi membri, le tante defezioni che però non ne hanno mai causato lo scioglimento, anzi restano sempre una band sempre attivissima e rinnovata; certo se ricordiamo i Modena City Ramblers degli anni ’90, per capirsi, quelli che hanno fatto ballare persino Fidel Castro, che hanno portato il combat folk in Italia ad essere oltre che un genere musicale anche uno stile di vita, non ne troviamo quasi nessuno. Comunque bisogna riconoscere che i musicisti di ora non fanno rimpiangere la vecchia formazione capitanata da CISCO che nel frattempo ha intrapreso la carriera solista quasi cantautorale. La nuova formazione dei M.C.R reduci dal successo del 2006 dell’album "Dopo il Lungo Inverno" escono con Onda Libera, il nuovo disco, l’undicesimo della loro produzione. Già la copertina del CD è sintomatica, è un chiaro messaggio all’ascoltatore: una bandiera a strisce, in cui è stampato l’articolo della dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo. I temi che dominano in tutto il lavoro sono le libertà siano esse individuali come nel brano “prigioniero di chi?” che collettive come nel brano “Figli del vento”. Il lavoro richiama sempre lo stile che li caratterizza da un ventennio, pezzi allegri, ironici e coinvolgenti ma anche struggenti ballate condite con ritmi reggae, valzer, echi di musica dei Balcani senza però tralasciare la tradizione Irlandese e del sud Italia. E’ proprio quest’ultimo riferimento ai suoni tradizionali italiani che è il leit-motive di queste dodici canzoni intrise di tammurriate e pizziche che ne caratterizzano il disco come quello più carico di riferimenti al nostro patrimonio popolare. La vocazione della band di abbattere steccati e far coesistere le diverse culture italiane si nota nell’uso dei dialetti: l’emiliano ma anche il napoletano che possono fondersi come espressione di una tradizione che accomuna tutti. Un disco che consiglio caldamente. Per chi volesse approfondire e non conosce questo gruppo propongo l’album più bello del gruppo dal titolo “RIPORTANDO TUTTO A CASA “.
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QUARTA AUMENTATA Scritto da Jankadjstrummer Mercoledì 06 Maggio 2009 09:10 Quando si parla di musica folk calabrese a me personalmente mi vengono in mente Otello Profazio e le canzoni popolari che venivano cantate nelle feste di piazze in onore dei vari Santi e Madonne. Tuttavia bisogna riconoscere che negli ultimi anni è cambiato un po’ tutto, il folk è un pò salito in cattedra e sono nati una serie di gruppi giovanili che fondono il ritmo della tarantella con un testo non banale, gruppi che sembrano delle vere e proprie “ensamble” che mediano la strumentazione elettronica con quella acustica e tradizionale creando un sound gradevolissimo e moderno. Un amico mi ha passato un album dei “Quarta Aumentata” mi dice che si tratta del loro terzo lavoro già uscito un paio di anni fa, dal titolo “ bballamu cu ventu “ personalmente non so niente di loro se non che vengono dalla Calabria quattro musicisti che riescono a creare un caleidoscopio di colori e dove ogni suono ricorda la cultura e gli odori della Calabria. Nella nota di copertina leggo che i musicisti rivolgono lo sguardo verso il mare oltre la linea dell’orizzonte, condivido in pieno questa immagine perché quando parte il primo pezzo “ comu me piace” ti senti catapultato in una spiaggia primaverile senza bagnanti, in cui si sente l’eco dei flutti del mare e sei inebriato dalla salsedine, una vera suggestione che ti lascia il segno. Inoltre bisogna riconoscere che i testi fortemente impegnati fanno riflettere sulla condizione della Calabria e sulle prospettive non rosee di questa terra violentata dalla criminalità e dalla rassegnazione, un bel pugno nello stomaco a quelli che pensano che la Calabria abbia uno destino già segnato,è un invito a reagire, il tutto condito con una forte dose di ironia e giovialità. Molto bella ed originale è la cover “ e cantava le canzoni” omaggio a Rino Gaetano figlio di questa terra. La caratteristica del gruppo è il ritmo corale dove tutti gli strumenti seguono il testo cantato una fusione che secondo me è vincente, sembra una processione a cui tutti gli ascoltatori partecipano con devozione; mi piacerebbe sentirli dal vivo perché sono sicuro che riescono a dare una forte dose di passione e di calore. Chissà se tra qualche tempo non li vedremmo calcare ben più prestigiosi palchi, glielo auguro. Non so nulla della distribuzione dei loro dischi, dove si possono trovare ecc, anzi se qualcuno dei lettori sa qualcosa non faccia l’omertoso e ci dica qualcosa di preciso.
ROADSINGER: IL RAFFINATO RITORNO DI CAT STEVENS Scritto da Jankadjstrummer Domenica 10 Maggio 2009 07:51 Yusuf Islam - Cat Stevens: Roadsinger (To Warm You Through The Night) Cantante di strada - a caldo attraverso la notte E’ uscito in questi giorni il secondo album, dopo la svolta religiosa, di Yusuf Islam alias Cat Stevens dal titolo Roadsinger, il primo era “ An other cup” pubblicato nel 2007. Il ritorno dell’artista che mancava dalle
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scene da 1978 quando, dopo una carriera di grandissimo successo, decise di abbandonare la sua musica e lo star-sistem per dedicarsi alla religione musulmana e alle attività benefiche ed umanitarie. Questo nuovo lavoro riporta Yusuf alle origini, 11 brani nello stile Stevens, ballate in cui è percepibile l’intensità della sua spiritualità, in cui campeggia la sua voce inconfonbile che continua a stupire per la sua freschezza, come se il tempo per lui si fosse fermato. Lo trovo un disco non di svolta ma di conferma della raffinatezza della sua musica. Ti porta a sognare ma anche a riflettere sulla condizione umana, insomma un album da ascoltare intensamente. Sono d’accordo con chi asserisce che la voce e le melodie di Yusuf sono semplicemente senza tempo. Ma facciamo un salto nel suo passato con qualche nota biografica che non guasta mai: a cavallo degli 60 e primi anni 70, Steven Demetre Georgiou di padre greco-cipriota e madre svedese, con il nome d'arte Cat Stevens ottiene un successo incomparabile durante l'era della 'pop revolution'. Persona sensibile, Cat Stevens è alla ricerca di risposte alle tante domande spirituali che lo assillano. Si ammala di tubercolosi e durante la degenza ospedaliera inizia a studiare le religioni, lo Zen Buddismo, l'Induismo e altre forme di misticismo e poi 'incontra' l'opera del poeta musulmano Jalalluddin Rumi. Si narra che durante un soggiorno a Malibu a casa del suo produttore discografico, decide di andare a nuotare nell'oceano Pacifico, ignaro delle forti correnti. Non riesce a tornare a riva, e resta in balia della corrente rischiando di morire annegato - in quel momento invoca Dio e dice"Se mi salvi dedicherò la mia vita a Te". E così fu. Poco tempo dopo suo fratello gli regala il Corano e nell'inverno del 1977 entra per la prima volta in una moschea per dichiarare la sua fede. Il Corano non vieta la musica, ma dichiara immorale avere falsi idoli, essere avidi, egoisti e in continua competizione, e Cat Stevens, che ora si fa chiamare Yusuf Islam, non riesce più a conciliare la sua vita da popstar con quella da uomo religioso e spirituale. Molti fans ed estimatori della sua musica non si capacitano di questa sua decisione. Ma i suoi dischi continuano a vendere incantando fans di tutte le generazioni (Catch Bull At Four, Tea For The Tillerman, Buddha and the Chocolate Box ecc). Dopo 28 anni, a causa delle tensioni che si sono create fra la sua religione d'adozione e il mondo occidentale trova l'ispirazione di tornare ad occuparsi di musica e completa le molte canzoni ed opere che giacevano da anni nella sua memoria musicale. "C'erano 100 motivi per lasciare l'industria discografica, non meno quella di aver trovato la mia strada spirituale. Oggi ci sono forse 101 motivi per spiegare il perchè sento che è giusto tornare a fare musica e cantare della vita in questo fragile mondo. Sono in una posizione unica come lo specchio attraverso il quale i musulmani vedono il mondo occidentale e l'occidente vede l'Islam" dice con serenità Yusuf Islam. Negli ultimi anni ha partecipato a numerose iniziative umanitarie, per il suo impegno ha ricevuto il 'World Social Award' un premio assegnato in anni precedenti a Papa Giovanni Paolo II, Steven Spielberg, e Paul McCartney. Nel 2004 gli è stato assegnato anche il premio "Man Of Peace" dal comitato 'Nobel per la Pace', nel 2005 ha ricevuto una laurea ad honorem dall'Università di Gloucestershire per i suoi contributi all'educazione e alle sue molteplici iniziative a scopo umanitario (ha formato una società benefica, riconosciuta dall'Onu, per aiutare le vittime della fame nel mondo).
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"BLACK" PEARL JAM Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 21 Maggio 2009 06:08 Rispondiamo a Dino che ha richiesto di parlare dei Pearl Jam e del pezzo Black, cosa dire, si tratta di un pezzo classico dei PJ tratto dall’album TEN che considero il migliore, quello più ispirato. Eddie Vedder esprime molta poesia, lo stato d’animo di chi ha perduto un grande amore, non si capisce chi dei due ha lasciato l’altro certo che Eddie ne parla con amarezza e nostalgia dovrebbe essere lui l’abbandonato. Sono sicuro che lui saprà consolarsi ne ha tutti gli strumenti.Mi ricordavo di avere in archivio una versione acustica di Black dal vivo ma non riesco a trovarla, mi dispiace Dino, accontentati del testo in Italiano del brano e una rarissima versione live acustica di Redemption song di Bob Marley che Eddie Vedder ha cantato in un concerto a Seattle. BLACK Carte di tele vuote carte di argilla non toccate erano disperse davanti a me come aveva fatto una volta il suo corpo tutti i 5 orizzonti, sono imperniati sulla sua anima come la terra sul sole adesso l'aria che ho assaggiato e respirato ha preso il suo turno oh e tutto quel che pensavo lei fosse, tutto oh so che mi ha dato tutto, tutto quel che indossava e adesso le mie mani amare si sfregano al di sotto delle nuvole di tutto ciò che era tutto oh le foto si sono tutte scolorite in nero ho tatuato tutto ho fatto una camminata fuori sono circondato da alcuni ragazzini che giocano riesco a sentire le loro risate quindi perchè sto appassendo? oh e pensieri contorti che girano per la mia testa sto raccontando, oh sto raccontando quando il sole possa velocemente tramontare e adesso le mie mani amare tengono con delicatezza del vetro rotto di tutto ciò che era tutto oh le foto si sono tutte scolorite in nero ho tatuato tutto tutto l'amore è andato a male ha trasformato il mio mondo in nero ho tatuato tutto quel che vedo tutto quel che sono, tutto quello che sarò so che un giorno tu avrai una bella vita so che sarai una stella nel cielo di qualcun altro ma perchè non può essere il mio?
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PISTOIA BLUES Scritto da Jankadjstrummer Mercoledì 27 Maggio 2009 08:25 Continuiamo con le segnalazioni dei grandi raduni estivi di musica. Sempre i primi di luglio dal 3 al 5 parte il Week – end di Pistoia blues. Giunto alla 28 ima edizione porta in Toscana i più grandi nomi del blues mondiale nella suggestiva cornice della piazza del Duomo di Pistoia. Anche questo festival richiama tantissima gente da ogni parte di Italia e d’Europa, per tre giorni il centro storico è invaso da giovani e meno giovani, irriducibili freaks, venditori di bigiotteria artigianale, artisti di strada, che creano uno scenario forse un po’ di altri tempi ma molto suggestivo, il grande palco situato al centro della piazza centrale irradia musica che si incanala tra i vicoli del centro storico così che molti preferiscono non pagare il biglietto d’ingresso in Piazza ( peraltro non caro e con possibilità di abbonamento scontato per le 3 serate ) e godersi comunque la buona musica ed una pinta di birra. Il programma di questa edizione è molto variegato e come al solito porta sul palco le tante contaminazioni del blues: Jon Spencer - Heavy Trash - venerdi' 3 luglio il mitico cantante dei Pussy Galore e della Jon Spencer Blues Explosion nella sua unica data italiana con il suo nuovo progetto: Heavy Trash. Vero eroe della musica rock indipendente dell'ultima generazione, Jon Spencer e' riuscito a gettare un ponte tra il blues piu' sporco, la tradizione americana degli anni 60, e le tensioni metropolitane della nostra quotidianita'. Chickenfoot – Sempre giorno 3 Luglio quattro straordinari musicisti con il loro nuovo progetto: CHICKEN FOOT, ovvero Joe Satriani, guitar hero per eccellenza, Sammy Hagar, grande voce del rock made in USA ed ex Van Halen, Micheal Antony, basso dei Van Halen e Chad Smith, batteria dei Red Hot Chili Peppers! Iron Man - sabato 4 luglio un grande Bluesman: Michael Burks. Michael Burks e' sicuramente uno tra gli artisti che stanno attirando l'attenzione degli addetti ai lavori nel panorama Blues mondiale! Con il suo ultimo lavoro discografico, "Iron Man" della nota Alligator Records, Burks ha appena ricevuto ben tre "nominations" per il Grammy Award 2009 nelle seguenti categorie: miglior artista blues maschile contemporaneo, miglior chitarrista blues e miglior album rock/blues. Confermati altri due interessanti chitarristi per venerdi' 3 luglio: Guthrie Govan Band e Kaki King. Lauryn Hill – ancora il 4 luglio in piazza del duomo, la cantantautrice che ha reinventato la musica nera integrando rap, reggae, soul and R&B sara' infatti l'artista che chiudera' il sabato sera. Lauryn Hill e' stata la prima artista femminile a vincere 5 Grammy Awards in un'unica edizione ed arrivera' a Pistoia insieme alla sua band all'interno di un tour che la vedra' partecipare ai piu' importanti festivals europei. P F M - Domenica 5 luglio per la prima volta al Pistoia Blues si esibirà la piu' rappresentativa band del prog-rock italiano, la P F M Larry Carlton - Sempre il 5 luglio sara' a Pistoia il fuoriclasse statunitense della chitarra vincitore di ben tre premi Grammy per le sue performances e composizioni. Larry Carlton e' da oltre trent'anni protagonista nella scena musicale Blues - Rock - Jazz. Roberto Ciotti - - Esponente di punta del blues nostrano sul palco del Pistoia Blues domenica 5 luglio. Roberto Ciotti ha partecipato, nel 1980, alla prima edizione del festival pistoiese. Taj Mahal, figura fra le piu'importanti ed eclettiche della musica blues torna al festival pistoiese dopo 11 anni. Confermato anche Alvin Yougblood Hart, con il suo blues contaminato di country e rock. Scott McKeon - Scott Mckeon il giovane e talentuoso chitarrista britannico .
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GOODS VIBRATIONS Scritto da Jankadjstrummer Mercoledì 27 Maggio 2009 07:57 Arriva la stagione estiva e finalmente, come ogni anni iniziano i festival all’aperto con cartelloni di artisti veramente interessanti, cominciamo con il segnalare,il Rototom Sunsplash, il più grande raduno di reggae d’Europa. E’ un festival longevo già dal 1994 richiama migliaia di giovani, trasforma il grande Parco di Osoppo in Friuli in un villaggio multietnico in cui la convivenza tra le persone è fondata sulle grandi utopie della libertà, della pace, del rispetto, della fratellanza. L’edizione 2009 è programmata dal 2 al 11 luglio 2009 sempre nel parco del Rivellino a Osoppo (Udine). Per 10 giorni si alternano grandi concerti ad attività ad ogni ora del giorno e della notte:dibattiti, proiezioni di film e documentari, mostre fotografiche, corsi di percussioni, danza africana, sessioni di meditazione e medicina naturale, incontri sulla musica reggae e sulla cultura rasta. La dimensione freek è assicurata da un campeggio attrezzato all’interno del parco e da un area riservata per i camper. L’originale formula dell’evento coniuga musica ed impegno, divertimento e momenti d’incontro, d’informazione, di riflessione. Al tramonto si accendono le luci sul grande palco dell’area spettacoli e la musica diventa indiscussa protagonista. Sfilano, uno dopo l’altro, le superstar della musica giamaicana, i grossi nomi africani, poi tutti a ballare, fino all’alba nella tenda dedicata ai sound system o sotto una delle innumerevoli tende etniche presenti. Sono aperti giorno e notte i bar e gli stand gastronomici che propongono drink e piatti di cucina da tutto il mondo, mentre nell’affollato mercatino dell’artigianato etnico, gli stand dei più forniti negozi di dischi reggae d’Italia diffondono musica e buone vibrazioni. L’evento,come tutti gli anni, è trasmesso in diretta radiofonica sul circuito nazionale di Popolare Network e in Diretta televisiva in web streaming. Il cartellone è dei più interessanti, saranno presenti sul palco tra gli altri : SKA P – STEEL PULS – ALBOROSIE – BARRINGTON LEVY – SKATALITES – SUD SOUND SYSTEM – LINTON KWESI JOHNSON – HORACE ANDY –FREDDIE MC GREGOR – UB 40 - MICHAEL FRANTI – BUJU BANTON – BUNNY WAILER – CAPLETON – U-ROY – SLY & ROBBIE – PABLO MOSES – ANTONY B – THIRD WORLD
IL VOLO DI DEMIS ROUSSOS Scritto da Jankadjstrummer Mercoledì 27 Maggio 2009 07:18 Abbiamo anticipato sulle news che scorrono sul sito l’uscita sul mercato mondiale di un nuovo disco di Demis Roussos, incuriosito me lo procuro, lo inserisco nel lettore, faccio partire la prima traccia “September” un blues tenero e leggero su cui sovrasta una voce roca, impastata probabilmente di alcol e tabacco, un ritornello arricchito da un coretto soul, parte il secondo pezzo, poi il terzo, un aggettivo mi ronza per la testa “ sorprendente “, questa, penso, sia la definizione giusta per questo album che segna il suo ritorno sulla scena musicale. Cerco su internet qualche notizia in più su questo disco ma trovo poco, solo un sito francese Demislegrec.com pubblica una piccola intervista in cui Demis afferma: "I cantanti della mia generazione in genere cercano di rilanciarsi con raccolte di covers oppure reincidono i loro successi del passato duettando con le giovani star del momento. Io ho voluto fare il mio nuovo album dal titolo"Demis” avvalendomi di un autore d’eccezione
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Sebastien Tellier e ad accompagnarmi ho voluto i giovanissimi ma bravissimi Little Barrie “ Il disco scorre veloce brani rock, blues si alternano a ballate soul, penso che questo disco riporti l’artista greco alle sue origini, quando con gli Aphrodite’s Child firmava tante canzoni e album di successo e vendendo milioni di dischi in tutto il mondo. Fra tutti basti ricordare brani tipo “ it’s five O’ clock”, “Rain and Tears” e l’albun “ 666 “ un vero capolavoro. E’ considerato una delle migliori voci della storia della musica perchè ha saputo esprimere il passato ellenico e la bellezza delle terre in cui ha vissuto attraverso un canto poetico e soave, prestato a generi diversissimi, dal rock progressivo, alla disco music (Midnight is the time), alle tante varianti del pop. Recentemente ha ringraziato l’Italia perché proprio in Italia iniziò la sua carriera come solista. Accogliamo con un inchino questo graditissimo ritorno di questo gigante di 130kg che con estrema leggerezza ci dona scampoli di purissima arte. Discografia essenziale:
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On The Greek Side Of My Mind (1971) Forever And Ever (1973) My Only Fascination (1974) Souvenirs (1975) Senza Tempo (1985)
SIMPLE MINDS Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 04 Giugno 2009 07:36 ALLA RICERCA DEL SOUL PERDUTO Negli anni ’80 l’uscita di un album dei Simple Minds rappresentava, per me, un evento imperdibile. Tutto era iniziato nel 1979 quando un carissimo amico mi passò un pacco di dischi di produzione inglese di quello che poi sarebbe diventata la New Wave, registrai tutto su cassetta ( i dischi hanno sempre avuto prezzi proibitivi, lo scambio era una necessità). Si trattava di gruppi che mi hanno accompagnato, poi, nell’ascolto per quasi un decennio ( October e Boy degli U2, tree imaginary boys e Faith dei CURE, Closer dei Joy Division, the Sound, ed il primo album dei Simple Minds ) Il suono dei Simple Minds mi colpì perche possedeva una grande peculiarità: la coralità, mi colpì molto l’uso delle tastiere e la voce di Jim Kerr che sovrastava e diventava quasi epica, Menti semplici che, però, mi hanno traghettato verso mondi mistici, verso paesaggi nordici scozzesi su cui ergeva il castello diroccato abitato dal fantasma, storie di amori e di buoni sentimenti che hanno raggiunto Il massimo della ispirazione con l’album “ New gold dream “ che li consacrò come la migliore band di pop / new wave del Regno Unito. Alla fine degli anni '80, I Simple Minds, sulla scia del loro disco folk e molto politico, "Street Fighting Years", avevano fatto una scelta ben precisa decidendo una sterzata verso territori sconosciuti ma già affollati del rock da stadio, una scelta probabilmente necessaria di rinnovamento che però pagheranno molto cara e che li spingerà lentamente nell’oblio. Ma Kerr e soci non hanno mai smesso di credere nella rinascita ed hanno continuato a lavorare con alti e bassi sfornando album non particolarmente eccitanti ma sempre di buon livello. Nel 2005 Simple Minds hanno cercato con l'album "Black &White ", di ripartire da ciò che sapevano fare meglio, rimettendo insieme i pezzi lasciati in cantina e inseguendo la forza e il nervosismo New Wave dei loro primi anni di successi. Pur essendo una buona idea infatti, le canzoni, addirittura anche più potenti dei primi album apparivano patinati, gradevoli ma senza anima. Anno 2009 esce "Graffiti Soul" sedicesimo album in studio dei Simple Minds. Il disco è un affresco nostalgico dello stile new wave perchè riprende nel tempo le sonorità del periodo immediatamente precedente l'apice del loro successo ottenuto a metà degli anni ’80, la produzione di Graffiti Soul è curata e tirata a lucido ma va riconosciuto che non pecca
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eccessivamente di artificiosità, contendendo tracce di godibile pop-rock e lasciando soprattutto trasparire una energia vitale di cui si era persa traccia. DA UN IPOTETICO DIARIO DI JANKADJSTRUMMER Scritto da Jankadjstrummer Martedì 09 Giugno 2009 07:30 Anticipazione monografia sulla cultura Reggae Giugno 1980 – lo studio è matto e disperato, abbiamo 2 esami all’università molto duri, il primo viene superato brillantemente, il secondo ci da filo da torcere, siamo in tre a studiare, io Rocco e Marina, Diritto Internazionale, la materia è affascinante ma il prof. è una carogna Certo se superiamo questo scoglio potremmo concederci qualche giorno di svago. Ho una idea fissa, il 27 e 28 giugno sbarca finalmente in Italia dalla Jamaica Bob Marley & the Wailers due sole date Torino e Milano. Che ne dici, Rocco, di chiedere a Paolo ( che studia a Torino) di comprare i biglietti così qualunque sia il risultato degli esami dovremo comunque partire per Torino e sia…..i biglietti ci sono, il prezzo è un po’ alto per le nostre tasche vuote così pensiamo di ridurre i costi al minimo, ormai non si torna più indietro questo viaggio va fatto, bisogna arrivare in Via Cirenaica a Torino spendendo il meno possibile, l’idea di Rocco è arrivare in autostop, come nelle migliori tradizioni hippies- on the road. Generalmente lo studente modello dice: ho superato gli esami con il massimo dei voti, per noi è valso un po’ il contrario abbiamo superato con il minimo!Ma è tutto OK 26 GIUGNO 1980 - Uno zaino con il necessario, arriviamo in bus fino all’Autostrada, due panini giganteschi con mortadella e via alla piazzola con il pollice alzato, la giornata inizia bene, sono le otto di mattina e veniamo caricati da un auto che ci porta fino a Viareggio, comincia a fare caldo, poi un furgone rumorosissimo, al limite della sopportazione, ci porta fino a Genova, siamo raggianti, nell’attesa divoriamo il panino ma di salire su un’auto non se ne parla, il tempo scorre, finalmente un’anima pia si ferma, ci porta ad un centinaio di km sulla GE-TO ad un casello che per noi rimarrà impresso nei ricordi: Uscita Masone, dove ci accoglie un nubifragio spaventoso, vento freddo, siamo inzuppati fino alle mutande, 1 ora poi 2 nessuno si muove a compassione per caricarci, ci assale un certo sconforto fino a quando un poliziotto ( tutto di un pezzo ) a cui abbiamo omesso di dire il motivo del viaggio ci fa salire e ci porta fino a Torino, ore 19 raggiungiamo la meta dove ci attende una ottima cena confezionata dalle sapienti mani di Paolo. 27 GIUGNO : il concerto del re del reggae è previsto per le ore 21:00 ma l’apertura dei cancelli è alle ore 15:00 sei ore prima, noi siamo li puntuali, sul prato calpestato dai grandi del calcio arriviamo a due passi dal palco, da qui non mi muovo nemmeno con le cannonate, che, peraltro,non tardano a farsi sentire…..di tutte le dimensioni e forme, cylum con foulard indiani, pipette, spini, cannoni di tutte le dimensioni, ho visto un cannone retto con due mani, il profumo penetrante e acre della Maria è nell’aria e ci avvolge. In quel frangente ho scoperto come possa essere dannoso il fumo passivo…… Si susseguono sul palco numerosi artisti, Roberto Ciotti bluesman milanese, Pino Daniele da Napoli riempiono l’attesa che diventa sempre più febbrile, siamo un bel gruppo di amici, si ride, si chiacchiera, il tempo scorre, il sole tramonta e disegna nel cielo colori vivacissimi che ricordano la bandiera giamaicana,quasi a suggellare questa magia, siamo in attesa di un grande artista, un grande uomo capace di comunicare sentimenti, pace, e buone vibrazioni, capace di parlare ai popoli africani per proporre un riscatto comune, sono molto emozionato, finalmente è buio, le luci si spengono salgono sul palco i musicisti, le coriste abbigliate con colori molto sgargianti, parte il ritmo sincopato in levare del reggae che ha stregato milioni di giovani occidentali, storie di strada, di povertà, di fede, d’amore raccontate da un grande profeta di pace. Entra lui, in scena, rigorosamente con pantaloni e camicia jeans e le sue inconfondibili dreadlocks (treccine rasta ) lavorate dalla fedelissima moglie Rita, anche lei nel coro. Comincia la sua danza fatta di saltelli un po’ accelerati al ritmo di Trenchtown rock, è una grande ovazione quasi non mi ero accorto che lo
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stadio è stracolmo e sono sotto il palco a ballare, a cantare con il mio inglese ridicolo passi del testo imparato a memoria di cui conosco al massimo il senso delle strofe; ma che importa, la carica umana ed artistica del mio mitico Bob rompe qualsiasi steccato e qualsiasi inibizione, ti spara al cuore come spara allo sceriffo (I shot the sceriff ), ti aiuta a superare le tue paure e le tue debolezze ( Lively up yuorself ) ti incita alla lotta ( get up stand up ), una guida spirituale che mi fa venire in mente il saggio padre di famiglia che ti conduce tra le brutture del mondo, mostrandole, ma che ti da la speranza che un giorno se ne possa venire fuori. La grande Redenzione del popolo Rasta ( redemption song ), la sublimazione della ganja, il ritorno verso l’Etiopia di tutti i popoli africani per ritrovare il Messia ( Exodus ) credo che sia una ricerca non solo del popolo Rasta ma di tutti noi. Questi sono i miei pensieri mentre sono affascinato dal ritmo e dalla voce nasale di Bob Marley che mi conduce in territori inconsueti e a me sconosciuti. Sono veramente appagato, il saluto e il ringraziamento di Bob mi colgono di sorpresa, non è possibile che questo incanto sia terminato, non basta il bis di “No woman,no cry”, e di “Positive vibrations” ha sedare la mia eccitazione,avrei continuato ad ascoltarlo per tutta la notte nonostante la stanchezza, lui esce di scena ma continua il sottofondo reggae dei Wailers che per un paio di minuti ci abbassa la tensione, anche queste accortezze fanno grande un artista, non si lascia all’improvviso il proprio pubblico ma se ne decomprime lo stato d’animo a poco a poco. Una giornata che mi ha lasciato un segno indelebile che, però, senza prenderci troppo sul serio abbiamo concluso con una birrà gelata per toglierci l’arsura.
PATTI SMITH "LA SACERDOTESSA DEL ROCK" Scritto da Jankadjstrummer Domenica 21 Giugno 2009 09:28 “Gesù è morto per i peccati di qualcuno, ma non per i miei” dal brano GLORIA album HORSES. A fine maggio di quest’anno Patti Smith era a Firenze all’inaugurazione di una mostra fotografica retrospettiva dedicata a Robert Mapplethorpe suo primo compagno, morto di AIDS negli anni ’80, in quell’occasione rilasciò una intervista in cui senza troppi preamboli definì Firenze la sua Woodstock, lei, affascinante icona del rock, vestita con una giacca di pelle da uomo, capelli in disordine, con un sorriso sornione ma sincero. Si riferiva al concerto fiorentino di 30 anni fa, il più importante della sua carriera, che ha avuto lo stesso valore di Woodstock, quella sera – disse – io e le migliaia di persone presenti abbiamo vissuto il rock come espressione di libertà, come affermazione di se stessi. Fu un gigantesco e corale “ io ci sono”.Anche io, con una miriade di amici, ero alla Stadio Comunale, per narrare il concerto parto dalla “mia” cronaca, dal modo in cui ho vissuto l’avvenimento e come sono stato segnato dalla sua arte. Un’avventura personale che ha coinciso con quella di migliaia di giovani ora, almeno anagraficamente, adulti, perché Patti Smith è uno dei pochi nomi del rock che può veramente vantarsi di aver inciso sulla storia e il costume del nostro paese. Era l’estate del ’79 i giornali annunciarono il mini tour di Patti Smith con un alone di mito che fece crescere l’interesse di tantissimi ragazzi che facevano ben sperare in un nuovo inizio, nonostante la consapevolezza del mondo ormai cambiato, della situazione politica e sociale Italiana ormai deteriorata, dove il terrorismo, la morte di Moro, i movimenti allo sbando gli ideali di libertà erano ormai svaniti. A questo richiamo risponde
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Firenze, con un bagno di folla, in nome del rock, un bagno di folla che avrebbe dovuto spazzare vie le scorie negative di una generazione, ma che segnò invece, l’inevitabile fine. Il mio approccio con la cantante-poetessa fu l’ascolto di una versione di Hey Joe che trovai in una compilation di musica pre–punk americana nel 1977 e poi l’ascolto in radio di una grande cover di Gloria dei Them di Van Morrison. La mia curiosità ha fatto il resto, l’acquisto dell’album Horses in un negozio di Firenze di dischi usati, un libro di sue poesie, aver letto sulle mie riviste di musica rock di cui ero un forte consumatore che i suoi ispiratori erano Arthur Rimbaud, Pierpaolo Pasolini e William Burroughs, personaggi intellettualmente molto affascinanti e straordinari. Era una ventata di novità e di interesse, Patti Smith incarnava la migliore tradizione del rock ribelle che ritornava a farsi sentire. Non aveva nessuna tecnica ma dotata di una voce straordinaria, era al tempo stesso profeta ma contraddittoria nelle sue esternazioni quello che si può definire una artista “ americana “ priva quindi del rigore intellettuale e politico che in quegli anni era dominante. Entrammo allo stadio dopo aver costituito una comitiva di amici, una trentina di persone, tutti studenti universitari provenienti da più sedi, tutti molto eccitati e pieni di entusiasmo, ci eravamo organizzati per dormire quella notte, a casa di una nostro amica, almeno 15 persone in 2 stanze, ma era bello così! Sul prato sotto un sole ancora cocente eravamo già più di ventimila,gli spalti già pieni, era chiaro che, questa volta non era un concerto di musica e di divertimento ma c’era febbrile attesa su quello che avrebbe detto la nostra sacerdotessa, che sermone ci avrebbe recitato. Il concerto iniziò all’imbrunire, era settembre, la musica potente, la sua voce che fendeva l’aria, eravamo un po’ lontani dal palco ma riuscivamo a vedere lei che si contorceva, ricordo il suo corpo accovacciato con le mani che impugnavano il microfono con una aria di sfida, sotto il palco un gran fermento fischi e lanci di ogni cosa, il popolo del rock non gradì affatto la bandiera americana tesa sul palco, né la voce di sottofondo del papa buono Albino Luciani trasmessa in uno stadio accaldato, lei che arringava la massa umana intimando un “ seduti” che non arrivava, la gente avrebbe voluto sentire ben altro, una incitazione, una proposta, una utopia, una rivoluzione, avrebbe voluto sentire che la forza della poesia e del rock nasce dal ritmo dei neri importati dall’Africa con il sangue e la sofferenza trasformatisi in rock’n’roll. Anche io rimasi un po’deluso, anche se appagato dalla musica, perché i discorsi tra un brano e l’altro puntualmente tradotti in simultanea da una ragazza australiana con noi al concerto, non andavano nella direzione da me sperata, tuttavia la serata fu splendida e la compagnia era quella giusta non si può chiedere di più ad una artista. A distanza di 25 anni ho rivisto un suo concerto, tutta un’altra atmosfera, tanti capelli grigi, un po’ di nostalgia, ma molta buona musica per le mie orecchie specie nella riproposizione di brani di rock classico riletti da Patti Smith con la sua inconfondibile originalità nell’ album Twelve del 2007.
“WOODSTOCK” Scritto da Jankadjstrummer Domenica 21 Giugno 2009 09:36
Parlare del festival di “Woodstock” non è molto semplice perché si rischia sempre di cadere nella retorica e nella nostalgia, lo faccio perché ricorre quest’anno il quarantennale del concerto che fu probabilmente il più importante evento collettivo nella storia della musica rock; mi sento di affermare che non c’è stata nell’intera storia contemporanea dei concerti una manifestazione che sia riuscita ad eguagliare la spettacolare combinazione di suoni, emozioni e visioni che Woodstock seppe regalare ai circa 800 mila eletti che furono
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ammessi nei giorni 15, 16, 17 agosto 1969 a Bethel, piccola località della contea di Sullivan nello stato di New York. Questo evento fu importante, storicamente, sia dal punto di vista musicale ma principalmente da un punto di vista politico e sociale perché rappresenta l’apice dell’era Hippies e della rivoluzione culturale del '68. Migliaia di giovani americani, per tre giorni e tre notti, hanno rincorso un sogno collettivo di riforma della società,"3 giorni di peace, love & music";.ma fu anche l'ultima grande manifestazione del movimento, che da allora si diffuse sempre più pure fuori dagli Stati Uniti, ma senza la coesione e l'originalità che avevano permesso, negli anni Sessanta, eventi come il Monterey Pop festival, la Summer of Love a San Francisco. Per questo anniversario, segnalo 2 importanti lavori: un film di Ang Lee presto nelle sale cinematografiche in cui viene celebrato l’evento che sconvolse, in tutti i sensi, una intera generazione. Il film di Ang Lee è tratto dal memoriale di Elliot Tiber, l’ideatore e l’organizzatore del mega-raduno. La storia di Tiber è la la storia del Concerto segue tutte le tappe della nascita e della crescita di Woodstock, della generazione di giovani che ne furono i protagonisti. Il tutto sullo sfondo di una rivolta che di lì a poco avrebbe cambiato profondamente il mondo a venire. La seconda segnalazione è letteraria: “ 1969, Storia di un favoloso anno Rock, da Abbey Road a Woodstock” , un volume a cura di Riccardo Bertoncelli che raccoglie immagini e storie del festival e che ricostruisce l'entusiasmante atmosfera di un anno che resta uno dei più creativi e intensi di tutta l'avventura della musica rock. Il 1969 è l'anno culmine di una mutazione sociale e culturale, con storie, dischi, concerti, festival che a distanza di tanti anni restano nell'immaginario collettivo. Un volume per quelli che hanno vissuto quell'epoca, ma anche per tanti giovani che oggi si rivolgono con curiosità ed eccitazione a quegli anni. Il libro contiene una dettagliata cronologia di avvenimenti musicali di quell’anno, un'ampia parte dedicata ai Beatles, una ricostruzione del Festival di Woodstock e degli altri grandi raduni musicali di quell'anno. Ma veniamo al Festival, trentadue musicisti e gruppi, fra i più noti di allora, si alternarono sul palco; l'esibizione durò un giorno in più del previsto. Jimi Hendrix aveva insistito per essere l'ultimo ad esibirsi al festival, e il suo show era previsto per la mezzanotte; ma riuscì a salire sul palco alle nove del mattino del giorno dopo quando la maggior parte degli spettatori aveva dovuto lasciare il festival e tornare alla routine dei giorni feriali, così che solo in 80.000 ascoltarono Hendrix, in una performance straordinaria culminata col pezzo “ The star-spangled banner “ l'inno nazionale degli Stati Uniti, eseguita da Hendrix con potenza, intervallato da suoni strazianti di chitarra che, impugnata come un fucile, echeggiava gli orrori della guerra del Vietnam e la protesta per la violenza della politica americana. L’inizio del festival fu affidato ai musicisti folk e a Richie Havens che concluse il suo concerto con "Freedom" un pezzo totalmente improvvisato che divenne l’inno del festival: il pubblico gli chiedeva tanti bis e lui esaurito il suo repertorio, suonando la chitarra, si mise a ripetere ossessivamente "freedom", cioè "libertà", la pura essenza del concerto. Poi John Sebastian, Country Joe McDonald, Arlo Guthrie, Ravi Shankar ed infine l’ottima performance della mitica Joan Baez, al sesto mese di gravidanza, che raccontò di come il marito, obiettore di coscienza, era stato arrestato per diserzione, chiuse il suo concerto con il traditional “ We shall overcome “ Il concerto di sabato iniziò a mezzogiorno con artisti minori: Keef Hartley Band e Quill ma proseguì con un gruppo che conobbe la popolarità qui a Woodstock, i Santana, bellissima la loro performance culminata nella lunghissima ma efficacissima “ Soul sacrifice “, poi Mountain ,Canned Heat, Janis Joplin & The Kozmic Blues Band e Grateful Dead. All'una e mezza di notte iniziò,se così si può dire, la seconda parte dello spettacolo Sly & The Family Stone, Creedence Clearwater Revival poi fu la volta degli The Who che iniziarono a suonare solo intorno alle quattro del mattino, nel film su Woodstock, si vede una scena bellissima mentre Roger Daltrey iniziava a cantare “See me, feel me” si vede il sorgere il sole; alla fine della performance degli Who, Pete Townshend,fracassò la chitarra sul palco per poi gettarla al pubblico gesto che diventò il suo biglietto da visita. I Jefferson Airplane, invece, conclusero la maratona notturna alle otto del mattino. Un giovanissimo Joe Cocker inaugurò alle due del pomeriggio l'ultima giornata,
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Superba la sua versione di “With a little help from my friends” dei Beatles. Dopo la sua performace, un temporale guastò la festa che riprese intorno alle sei di pomeriggio con Country Joe e The fish , poi Ten Years After, The Band, il bluesman Johnny Winter e Blood, Sweat & Tears che si esibirono intorno alla mezzanotte, poi fu la volta di Crosby, Stills, Nash & Young che iniziarono intorno alle tre del mattino, con due esibizioni: una acustica ed una elettrica, ancora Paul Butterfield Blues Band, Sha-Na-Na ed infine Jimi Hendrix che consacrò la fine gloriosa di una impresa irripetibile. Ogni dieci anni il festival viene riproposto, ma con scarsissimi risultati, addirittura nel 1979 fu portato in Europa, fecero tappa anche a Firenze, io andai al concerto suonarono numerosi artisti presenti a Woodstock ma non si ricreò minimamente lo spirito e la magia che si riesce a cogliere vedendo il film o ascoltando i 5 dischi pubblicati che ripercorrono l’intero festival. Spero che leggendo queste righe vi sia venuta voglia di fare un salto nel passato e di curiosare intorno a questo avvenimento epocale magari per nostalgia o semplicemente per mero diletto.
KOKO TAYLOR “ LA REGINA DEL BLUES" 1928 - 2009 Scritto da Jankadjstrummer Lunedì 06 Luglio 2009 07:30 In questi giorni, sommersi dai gossip sulla morte di Michael Jackson è passata in silenzio la notizia della morte di Koko Taylor, una leggenda blues, 80enne, morta giorni fa, nella sua Chicago. Conosciuta in tutto il mondo come la "Regina del Blues", Cora Walton, soprannominata Koko per il suo amore per il cioccolato, si innamorò della musica in giovane età. La sua fonte di ispirazione fu il gospel e il blues di BB King e Rufus Thomas. Koko Taylor, è stata una delle poche donne a trovare il successo nel “maschile” mondo del blues, il suo grande talento l’ha proiettata oltre i confini americani; all'inizio dei '60 era andata a vivere a Chicago con il marito, Robert "Pops" Taylor: "Senza soldi in tasca e con un pacchetto di crackers in due", come amava ricordare. Sbarcava il lunario facendo pulizie, ma la sera con il marito frequentata i blues club di Chicago, dove cominciò a esibirsi, fino a esser presto invitata come cantante ufficiale. Aveva un senso alquanto moderno del blues, dentro una voce potente e cruda che si richiamava però molto alla tradizione del sud. A seguito “Piece of man” un brano di KOKO per coloro i quali non avessero mai ascoltato niente e lo dedico ad un carissimo amico scomparso anni fa che per primo mi prestò un disco della regina del blues.
SHANTEL “ LA BEATITUDINE DI UNA FOLLA ESTATICA” Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 16 Luglio 2009 06:32 Stefan Hantel meglio conosciuto come Shantel viene da Francoforte ed è un DJ che deve la sua fortuna alla passione per le orchestrine di ottoni zingari, la sua maestria sta nel miscelare i battiti elettronici con le fanfare tradizionali dei Balcani. Shantel began his DJ career in Frankfurt , Germany , and was inspired by the audience reaction to gypsy brass bands such as Fanfare Ciocărlia and trumpeter Boban
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Markovic to infuse electronically-tweaked Balkan gypsy music into his DJ set. DJ Shantel ha iniziato inserendo nei ritmi elettronici, squisitamente da discoteca, la tromba di Boban Marković costruendo un suono molto singolare e godereccio. Se vogliamo, nel suo genere, è un pioniere ha saputo costruire un concetto nuovo di musica da ballo, il suo Bucovina Club è, ormai, itinerante e riesce ad attrarre folle di giovani accomunati dalla voglia di divertirsi e ballare con sonorità contaminate. Shantel nel 2007 è uscito con un suo disco intitolato “Disko Partizani”album, which lays the groundwork for a new brand of pop music. un album che getta le basi su un nuovo concetto di musica pop che rappresenta, secondo me, ilThis is the sound of new Europe, centered in the middle of our old continent, but incorporating vibrant influences from the emerging new frontier which stretches all the way to Mitteleuropa, the South East, Greece, Turkey and beyond… Disko Partizani! suono della nuova Europa che concentrata nel mezzo del nostro vecchio continente ha però subito influenze dalle nuove frontiere che si estendono a tutte la Mitteleuropa, a Sud-Est, alla Grecia e alla Turchia. Disko Partizani è un lavoro corale, una grande performance, una schiera di musicisti provenienti da sud-est Europa e da Shantel stesso che si insinua in diverse tracce con inattese ed eleganti incursioni. Sono molto cariche e divertenti le sue esibizioni dal vivo, Shantel ha scritto la musica originale di "The Edge of Heaven", il nuovo film di Fatih Akin che ha vinto un premio all’ultimo Festival di Cannes. Invito all’ascolto a chi volesse approfondire, scaricate e non vi pentirete.
MAN OF THE MOON “THE REM” Scritto da Jankadjstrummer Lunedì 27 Luglio 2009 07:26 Ripropongo un articolo che scrissi nel giugno 2006 e pubblicato sul blog “ ingresso libero”, in cui viene esposta una tesi molto attuale in questi giorni di celebrazione del quarantennale dello sbarco sulla luna anche alla luce delle ultime notizie che attribuiscono a Stanley Kubrick l’allestimento del set cinematografico per le riprese del finto sbarco. Come sempre a corredo dell’articolo il pezzo "Man of the moon dei Rem". Mi è piaciuto molto leggere questa teoria che ho voluto condividerla con voi cibernauti.... Se ci hai creduto che hanno portato un uomo sulla luna" (M. Stipe) La allusione contenuta nella canzone "Man On The Moon" dell'album "Automatic For The People" dei R.E.M. è rivolta ad una delle più note e ricorrenti leggende metropolitane americane, poi esportata in tutto il mondo, secondo la quale la impresa spaziale che ha portato gli astronauti di Apollo 11, Armstrong, Aldrin e Collins sulla Luna nel 1969 (solo i primi due in realtà, il terzo rimase in orbita lunare) è stata in realtà una montatura mediatica. La tecnologia dell'epoca, vista anche soltanto dal punto di vista delle evoluzioni di qualche anno dopo (la leggenda nasce a metà degli anni '70) sembra decisamente inadeguata alla più alta sfida mai tentata dall'uomo:la microelettronica(la micro miniaturizzazione citata all'epoca dal mitico inviato RAI Ruggero Orlando, cioè i circuiti integrati) era ai primi passi, quindi l'elettronica era pressoché tutta su schede a componenti discreti (transistor) e in buona parte ancora basata su tubi termoionici (valvole) o nu-vistor (valvole miniaturizzate, lanciate dalla RCA nel 1959, in competizione nei primi anni '60 con i transistor, usate ad esempio sul primo storico satellite per telecomunicazioni, il Telstar, lanciato negli anni '60);i calcolatori elettronici erano a componenti discreti o a bassa integrazione, avevano memoria centrale a nuclei di ferrite o a transistor, ma limitata a pochi Kbyte, memoria di massa a tamburi o a dischi a bassa densità, parola a 16-20 bit (i primi serie 360 IBM) o a 8-12 bit (i primi minicalcolatori PDP-8 Digital Equipment), la potenza di calcolo era inferiore a quella di un palmare di oggi; non esistevano ancora i microprocessori, i primi (gli Intel 4040 a 4 bit) saranno sviluppati all'inizio degli anni '70 per le esigenze della guerra del Vietnam (servivano per essere montati sulle prime bombe intelligenti che inseguivano il bersaglio pre-impostato); era quindi impossibile montare un computer su una unità mobile, la quale poteva essere governata solo con sistemi combinatori (flip-flop); i margini di approssimazione entro cui doveva muoversi il controllo della navetta Apollo erano
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particolarmente stringenti; secondo il più noto astronomo dell'epoca, Lovell dell'osservatorio britannico di Jodrell-Bank, l'angolo con il quale la navetta doveva "infilarsi" nell'atmosfera al ritorno era particolarmente critico, e una variazione di pochi gradi, inferiore a quella garantibile dagli strumenti di controllo dell'epoca, poteva comportare la sua distruzione per attrito. In sintesi la tecnologia appariva allora avanzata ma era un "effetto ottico" come quello raccontato nel primo avvistamento di UFO negli anni '40 da parte di due aerei militari, che si lanciarono all'inseguimento del disco volante, ma uno dovette ripiegare per problemi tecnici, mentre l'altro sembrava raggiungerlo ma poi sparì nel nulla; soltanto che gli aerei in questione non erano degli F10 ma dei P-51 Mustang della seconda guerra mondiale, i più veloci dell'epoca, ma comunque monomotori ad elica, ovviamente subsonici; il mitico inseguimento ci appare quindi ora vagamente ridicolo. La documentazione a corredo della impresa è rappresentata essenzialmente dalle trasmissioni TV, in bianco e nero, ragionevolmente disturbate, e ovviamente da trasmissioni radio in bassa frequenza, mancano o sono opinabili, pur essendo teoricamente possibili, altre documentazioni iconografiche: gli astronauti portarono con sé alcune cineprese (modello Leitz Leicina, mi sembra) ma le riprese, per risparmiare pellicola, si fecero a 1 fotogramma al secondo, quindi risultarono pressoché inutilizzabili (super-accelerate e prive di dettagli); le fotografie riportate furono molte e di grande qualità (le macchine erano Hasselblad EL appositamente modificate, con obiettivo supergrandagolare Biogon o altre ottiche Zeiss, quindi il meglio disponibile allora, come oggi) ma molte foto pubblicate in seguito, ad un esame appena attento, risultavano non scattate sulla Luna, analizzando l'angolo delle ombre e altri particolari. L'improvvisa resa dei russi nella gara per la conquista dello spazio I russi, in gara all'epoca con gli americani per la conquista dello spazio, e, fino a questa storica impresa, ancora in testa, dovevano essere ovviamente conniventi per qualche motivo particolare, se no con i loro osservatori astronomici, satelliti e radiotelescopi avrebbero facilmente scoperto l'inganno. E infatti persero la gara con l'onore delle armi, perché riuscirono, qualche mese dopo gli americani (nel 1970), a spedire un robot, il Lunakhod I, sulla Luna, a fargli fare prelievi di sassi lunari con un braccio meccanico, a farlo risalire su un modulo di atterraggio tipo LEM e quindi tornare a terra con il suo prezioso carico, e tutto ciò prima che gli americani facessero lo stesso, ma con un equipaggio umano e la jeep spaziale Rover (che poi lasciarono lì), riportando anche loro sassi lunari, ovviamente molti di più. Quindi l'ipotesi è di uno scambio di favori, una reciproca coperture delle altrui false imprese. inutile dire che anche questa impresa era tutt'altro che banale, e non venne mai più replicata dai russi né dagli americani in seguito, e neanche tentata fino a tempi recenti (si pensi al primo fallimento del rover americano inviato su Marte, subito perso dal contatto radio). Le imprese si sono svolte nell'arco di 2-3 anni, (Apollo-10 che girò attorno alla Luna senza scendere, e quindi la prima astronave che è uscita dalla attrazione terrestre e che è tornato alla base, Apollo-11 con lo storico allunaggio, Apollo-12 con il Rover già citato, Apollo-13 con i noti problemi) e sono rimaste senza seguito, nel senso che la NASA non ha più tentato niente di comparabile, anche se teoricamente, con l'avanzare della tecnologia, la ripetizione dell'impresa sarebbe stata di diversi ordini di grandezza più semplice. I russi non hanno neanche tentato di replicare l'impresa e di inseguire gli americani (come avevano fatto questi ultimi rispetto alle prime imprese spaziali dei sovietici) inviando sulla luna astronauti, pur avendo sostanzialmente tutta la tecnologia e la teoria pronta (come dimostra la impresa del Lunakhod) e mancando loro solo, eventualmente, vettori abbastanza potenti per lanciare in cielo un peso maggiore. Con queste premesse la leggenda ha avuto un grande seguito, ed ha anche ispirato un noto film americano del 1978, Capricorn One, di Peter Hyamas con Elliott Gould, nel quale però l'impresa è spostata prudenzialmente su Marte, ma tutti capiscono che si parla in realtà della Luna. Qui il cronista d'assalto Elliott Gould scopre che la impresa assolutamente necessaria per battere i russi nella gara tecnologica è fallita e per riparare viene creata tutta una messa in scena, con finte dirette televisive, astronauti che simulano Marte nel deserto del Nevada e così via. Naturalmente una leggenda è una leggenda, e risulta per tanti motivi ancora più insostenibile la "realtà" raccontata da Capricorn One, con buona pace di improbabili ex agenti della CIA che hanno scritto libri del tipo "Luna: non ci siamo mai stati" e del noto giornalista Cesco Ciapanna, editore della rivista Fotografare, trasformata nella sua personale tribuna per smascherare complotti internazionali. Pensate in particolare a come sarebbe difficile: mantenere un segreto di questo tipo e di questa importanza per tanti anni, con tanta gente disposta a vendere per soldi un qualsiasi segreto; convincere tutti i radiotelescopi e scienziati del mondo a guardare da un'altra parte; immaginare che, dopo la caduta del muro, nessun agente o scienziato russo sia andato a raccontare la verità dietro corresponsione di somme di
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danaro. le imprese non sono state ripetute semplicemente perché costavano troppo, e a seguito dei tagli di bilancio imposti dalla crisi petrolifera del '73 e dalla abolizione della parità dollaro-oro; i russi, abbiamo saputo dopo, erano già in grandissimo affanno per inseguire gli USA sul piano militare, e anzi hanno bruciato in questa gara ben più cruciale il consenso interno al regime; le foto "taroccate" avevano probabilmente lo scopo di vendere meglio l'impresa, ed integrare quelle originali, forse insufficienti o non abbastanza buone; la Luna non offriva nulla di economicamente interessante, e quindi altre imprese avrebbero avuto un ritorno dell'investimento pari a zero; la unica spinta dovuta alla guerra fredda ed alla competizione USA-URSS si è prima spostata sul piano puramente militare (lo "scudo spaziale") e poi ha perso di interesse con il disfacimento dell'URSS; d'altra parte nella storia della umanità le grandi esplorazioni hanno sempre avuto due spinte, spesso intrecciate, un desiderio di potenza di re, imperatori o presidenti, o la pressione dei bisogni elementari, che spingevano a cercare nuove terre, così è nato ad esempio l'investimento Colombo da parte della regina Isabella di Spagna (tre caravelle e un equipaggio pagato); nessuna di queste premesse è stata più vera dal '73-'75 in poi (anni della crisi petrolifera e della sconfitta militare USA in Vietnam) e quindi è rimasta solo la leva economica ed il ritorno a breve dell'investimento;le imprese spaziali si sono quindi concentrate su obiettivi meno epici e sfide meno epocali per l'uomo, ma non sono più state a ritorno investimenti zero, lo spazio è servito per la messa in orbita di satelliti orientati ad ogni scopo (dallo spionaggio alle previsioni meteorologiche, alle telecomunicazioni) per la produzione e la sperimentazione di materiali speciali ecc. e la tecnologia dispiegata a cavallo tra i '60 e i '70 è stata tutt'altro che senza ricadute, visto che la usiamo anche a livello di massa, con la TV via satellite o i sistemi di localizzazione GPS; la tecnologia a valvole poteva essere sufficiente, in quanto è solo essenzialmente più costosa, sia in termini di puro costo dei componenti sia di volume; gli ultimi caccia di combattimento russi, i Mig29, si è scoperto che avevano ancora parte della componentistica a valvole, ma erano ciononostante competitivi con gli equivalenti americani; le imprese sono state parecchie, anche se concentrate nel tempo, per gli scopi di propaganda ne sarebbero bastate meno; non aggiungo che è stato anche portato a terra un quintale o quasi di sassi lunari, perché naturalmente potrebbero provenire da qualche altra parte. In sintesi, l'uomo è andato sulla Luna ma il mondo non è cambiato un granché, almeno per ora, a seguito di questa impresa; in quel luglio del 1969 il telecronista RAI Tito Stagno, dopo aver annunciato che il piede umano aveva toccato il nostro satellite, aggiungeva enfatico: "Il mondo dopo questo passo non sarà più lo stesso"; ognuno può giudicare da sé, dopo così tanti anni, se i sogni della fantascienza di allora si siano realizzati o meno. Il grande autore di fantascienza Sidney Jordan (autore del fumetto Jeff Hawke) aveva azzeccato data e modalità dello sbarco sulla Luna in una sua storia degli anni '50 e, intervistato all'epoca dell'impresa di Apollo 11, aveva profetizzato "Entro il 2000 su Marte", ma evidentemente lo sviluppo della tecnologia e l'interesse della società si è orientato in altre, impreviste, direzioni. Tesi molto suggestiva ma non priva di spunti di discussione.
Il DECOLLO DEGLI U2 Scritto da Jankadjstrummer Lunedì 27 Luglio 2009 15:58 Propongo una biografia della ascesa dei mitici U2 con notizie ed aneddoti pescati di qua e la nel web e romanzati per rendere simpatica la lettura anche per i non amanti della musica rock. E’ un tentativo prendetelo come tale…e buon divertimento! “Dublino, ottobre 1976”. Fa un freddo cane, tanto è vero che fuori dal portone della Mount Temple School, si aggira solo un giovane liceale, mal vestito e chiaramente in preda ad una crisi di nervi. Si chiama Larry Mullen, ha appena perso il posto di batterista in una delle bande che girano per le vie della città con grancasse e tromboni, fatto fuori perchè non aveva il look giusto: questa la versione ufficiale del suo licenziamento. Sbollita la rabbia, Larry si avvia verso la bacheca degli annunci, per apporre il
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suo: "Batterista rock cerca musicisti per formare un gruppo". Non bisogna attendere tanto, pochi giorni e si fanno vivi cinque allievi della stessa scuola: Paul Hewson, i fratelli Dove e Dick Evans, Adam Clayton e Neil Cormick. La formazione a sei, denominata "Feed back", però, dopo pochi giorni di prove in una cantina di periferia, si rivela un disastro. Neil, infatti, decide di fare le valigie, senza aspettare che qualcuno gli dica di andarsene. I cinque rimasti, visto che non hanno più zavorra, decidono di continuare cambiando il nome in "The Hype". Dove, che per via della forma a punta della sua testa, viene denominato "The Edge", si aggiudica la chitarra solista, mentre il fratello Dick deve accontentarsi di quella ritmica; Adam continuerà a suonare il basso, mentre Paul, denominato "Bonovox" (dal nome di un negozio dublinese di cornetti acustici) viene eletto all'unanimità cantante. Bonovox, ancora sotto shock per la morte della madre Iris nel 1974, è un adolescente inquieto. Nella Mount Temple School si fa subito notare per i suoi improvvisi scatti d'ira che lo portano a distruggere tutto quello che gli capita sotto mano. Quando il punk non è ancora un fenomeno di massa, lui si presenta a scuola con capelli rossi sparati in alto, pantaloni viola attillati, giacca stile anni 60 e una catenella di acciaio che va dal naso all'orecchio. Tutto questo lo porta a qualche contrasto con The Edge, l'esatto contrario, un ragazzino timido, figlio di un ingegnere inglese, il cui suo unico interesse nella vita è quello di suonare la chitarra. L'unico vero musicista del gruppo è Adam, che però è il più vispo dei cinque, il ruolo del più figo del liceo gli va a gonfie vele; il suo vero obiettivo, più che a imparare a suonare il basso, è una vita spericolata a base di sesso droga e rock'n roll. Larry Mullen, che in questo periodo è il vero motore della compagnia, organizza la sala prove dove la band muove i suoi primi passi. Il luogo prescelto è un capanno per gli attrezzi nel giardino della casa di The Edge a Malahide, un sobborgo di Dublino. Nonostante il loro impegno ed il loro entusiasmo, i ragazzi si rendono conto, dopo poche settimane, che rifare le canzoni di Path Smith e dei Talking Heads, è un'impresa superiore alle loro capacità. Decidono così di iniziare a scrivere canzoni. Dick Evans non ci sta e lascia il gruppo per raggiungere i Virgin Prunes. Dopo una bevuta colossale in un pub di Dublino tanto famoso quanto malfamato, un amico di Bonovox, Steve Averill, conia la magica sigla U2. La trasformazione del gruppo è definitiva. U2 può significare "you too" (anche tu), ma è anche il nome del piccolo aereo usato dagli americani alla fine degli anni 50 per spiare le postazioni militari sovietiche. Con una manciata di canzoni appena sfornate, gli U2 si buttano nella mischia e decidono di suonare ovunque ci sia un palco. Una scelta coraggiosa che li porta ad esibirsi in situazioni tragicomiche davanti ad ubriachi cronici. Esauriti i posti dove esibirsi dal vivo, gli U2 afferrano al volo la loro vera prima occasione, stravincendo un concorso per giovani band organizzato dal quotidiano "Evening Press" e dalla birra "Harp Lager". In palio 500 sterline ed un'audizione presso la CBS. Con l'aiuto del manager Paul Mc Guinnes pubblicano il loro maxi singolo "U2-Three", in tutto tre canzoni ("Out of Control", "Stories for Boys" ,"Boy-Girl") che fanno della band il gruppo di punta della nuova scena irlandese. In pochi giorni la sala prove nel giardino di The Edge viene preso da assalto da centinaia di ragazzine urlanti, costrette ad andarsene per via di una pioggia fastidiosa, provocata dallo scorbutico Larry e dal suo idrante. Il 19 marzo 1980 è il momento della svolta. Bono e compagni vengono arruolati dalla "Island" di Chris Blackwell, l' uomo che ha fatto conoscere Bob Marley in tutta l'Inghilterra. Il sospirato contratto, però, ha l'effetto di una bomba. In vista delle registrazioni del primo album, la tensione sale alle stelle e gli incontri in studio si trasformano in risse. Gli ultimi giorni di marzo sono i più pesanti, e sono dedicati alla stesura di "I Will Follow". The Edge è isterico. Ha appena litigato con i genitori, gli ha chiesto di rinviare di un anno l' iscrizione all'università per concedere una chance agli U2. Alla tensione in sala si aggiunge quella in sala prove, ogni volta che parte con il giro di chitarra di "I Will Follow", vede Bono scuotere la testa. La scena si ripete un'infinità di volte, si arriva al punto che Bono strappa dalle mani la chitarra di The Edge, ferendolo nel suo orgoglio e scatenando così la reazione di quest'ultimo. Tra liti furibonde, si arriva al 20 ottobre, quando "Boy" compare nei negozi di dischi del Regno Unito. "Finalmente un gruppo pop con il cervello!": è il coro unanime della critica. Nella prima settimana di dicembre la band sbarca negli States, dove si esibisce al Ritz di New York. L'esperienza americana è devastante, il concerto funziona, ma Barry Ulead, primo manager del gruppo, è scomparso, lo ritroveranno più tardi in un commissariato di polizia dopo aver assistito ad un omicidio. Dopo due giorni viene ucciso John Lennon, a rivolverate, Bono ne rimane sconvolto. Dopo una breve esperienza in Europa, si ritorna in America, ai primi di marzo del 1981, dove quattro simpatiche "grampes" riescono ad introdursi nei camerini rubando una valigietta con 300 dollari ed i testi del nuovo album, "October". Bono è sull'orlo della depressione, è costretto ad improvvisare in studio i testi delle canzoni. L'atmosfera è tesissima, Bono, Larry e The Edge sono in preda ad
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una crisi mistica, iniziano a dubitare che la fede cristiana possa sfasare la militanza in un gruppo rock. Nell'aria c'è l'ipotesi dello scioglimento, che a questo punti sembra sicuro, ma, fortunatamente, dopo giorni di riflessione, e forse grazie all'illuminazione divina, i tre si convincono che essere cristiani e suonare in una rock band, non è una contraddizione. Il 1983 è l'anno del terzo album, il quale grazie a pezzi mitici come "Sunday Bloody Sunday" proietta gli U2 nell'olimpo delle mainstream band. E' l'anno frenetico che Bono e compagni vivono in tour, catapultandosi da un continente all'altro, i concerti sono delle vere e proprie maratone dove può succedere di tutto, ed infatti succede di tutto. Nel Massachuttes, arena di Worchester, scattano le manette per Bonovox. In una pausa tra un pezzo e l'altro, si accorge che due energumeni del servizio d'ordine schiaffeggiano una ragazzina intenzionata a salire sul palco, egli allora si avvicina e strappatala dalle mani dei due, la porta sul palco con lui e la invita a ballare. Appena Bono riprende a cantare, la fan, intrepida americana, si incatena alla sua caviglia con un paio di manette di cui, ovviamente, non ha le chiavi. Bono è costretto, così, a continuare buona parte del concerto con la ragazzina ai suoi piedi, fino a quando non riescono a liberarlo segando le manette. Nel Connecticut, a metà dello show, la batteria di Larry Mullen si spezza in due parti. A Bono saltano i nervi ed inizia ad inseguire il povero Larry ricoprendolo di insulti. Fortuna di Mullen, interviene The Edge che con un paio di cazzotti riporta Bono alla calma. A Los Angeles si arriva all'inverosimile, si sfiora la follia pura, il protagonista è ancora una volta lo scapestrato Bonovox. Verso la fine del concerto si scatena una rissa furibonda nelle prima file. Gli U2 cercano invano di ristabilire la calma, ma fallito ogni tentativo, Bono decide di a fare a modo suo. Sotto gli occhi increduli dei suoi compagni e nello stupore generale, si porta su una balconata e minaccia di lanciarsi nel vuoto. Visto che la folla non reagisce, Bono si tuffa. A salvare il cantante degli U2 sono le decine di persone che ne attudiscono la caduta. Nel 1984 con "The Unforgettable Fire", gli U2 sono ufficialmente candidati a sostituire i "Police" nel ruolo di band più famosa del mondo. Per il passaggio di consegne si deve aspettare fino al 1986 in occasiona dell'ultima data del tour organizzato per beneficenza da "Amnesty International". E' la serata che mette fine all'avventura di Sting e soci. La folla del "Giants Stadium" lo sa bene e accoglie i tre inglesi con un boato assordante, lo show prosegue senza sorprese fino a "Invisible Sun" quando succede quello che nessuno si sarebbe aspettato: uno alla volta i membri degli U2 entrano sul palco e sostituiscno quelli dei Police. Larry si siede al posto di Copeland, Adam si infila il basso di Sting, The Edge la chitarra di Summers e Bonovox si impossessa del microfono, dopo alcuni attimi di silenzio da parte del pubblico incredulo, è il delirio. Da questo momento in poi lo scettro di band del pianeta è nelle mani dei quattro di Dublino. Gli U2, sull'onda dello strepitoso successo, continuano a stupire: addirittura finiscono sulla copertina del "Time", prima di loro vi erani riusciti solo i Beetles. Le riprese del videoclip di "Where the streets have no name", girato sul tetto di un negozio di liquori a Los Angeles, paralizzano la città. Migliaia di persone prendono d'assalto l'edificio costringendo la polizia a chiudere il traffico per parecchie ore. Il concerto all' "Olimpic Stadium" entra direttamente nella storia: in onore della band viene accesa la fiaccola olimpica. Era accaduto solo per l'inaugurazione delle Olimpiadi e per l'arrivo del Papa. A questo punto non li può fermare più niente e nessuno. Non riesce a fermarli neanche il sindaco di San Francisco che trascina Bono in tribunale, dopo che quest'ultimo aveva imbrattato una statua con la frase: <>. Il risultato: Bono viene assolto, mentre il sindaco non viene riconfermato al rinnovo dell'am/ne cittadina. Non riescono a fermarli neanche la minaccie di morte, che li costringono ad esibirsi, per qualche anno, su di un palco protetto dalla polizia in borghese. Sono gli anni di "The Joshua tree”. Gli U2 sono ormai consolidati al punto di trasformare in oro tutto quello che toccano. Dopo lo sgretolamento del muro, mentre la DDR scompariva dalle carte geografiche, Bono e soci si muovevano per le strade di Berlino, cercando ispirazione dall'atmosfera di cambiamento che si respirava. La base operativa sono gli studi Hansa dove David Bowie ha inciso i suoi tre album più rappresentativi. Nascono qui i pezzi di "Actung Baby"(1991): il disco che cambia volto al sound di Bono e compagni. Musica elettronica, ritmi "industrial", noise rock ed il solito grande gusto melodico sono gli ingredienti della nuova avventura. Più del disco, però, quello che lascia a bocca aperta è la scenografia dello "Zoo TV Tour", fatta di schermi giganteschi, televisori dappertutto, macchine Trabant sospese nel vuoto, e cellulare a disposizione di Bono per chiamare durante i concerti gli uomini politici più rappresentativi. Non c'è mossa degli U2 che non finisca in prima pagina, figurarsi quando Bono e compagni manifestano insieme a Green Peace contro l'installazione di un impianto nucleare a Sellafield nel nord-ovest dell'Inghilterra. Intanto Bono da "The Fly", la famelica rockstar con gli occhiali neri protagonista dello "Zoo TV Tour", si trasforma in Maephisto, un piccolo diavolo con tanto
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di corna. Il cambio di look avviene in contemporanea con la pubblicazione di "Zooropa"(1993), insieme a "The Joshua Tree", uno degli album più belli in assoluto. "Zooropa" è l'ultimo album in studio prima di "Pop", uscito nel marzo del 1997. Dopo il grande spettacolo di Reggioemilia, che è di quelli che mozzano il fiato, con più di 150mila fans scatenati, dove Bono arriva agridare sul palco:<>, gli U2 sembrano volersi prendere un po' di riposo. Rimangono comunque sulla cresta dell'onda, restando sulla scena per il loro impegno sociale. In occasione del Giubileo, infatti, sperano la richiesta del Papa di eliminare, per questo evento, il debito dei paesi del terzo mondo, verso quelli più industrializzati. Bono si fa portavoce in tutto il mondo di tale richiesta, (chiamata "Jubilee 2000") arriva addirittura in Italia in occasione del Festival di San Remo, dove insieme a Jovanotti si esibisce sul palco dell'Ariston, dopo aver avuto un colloquio con il Presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, il quale, oltre a cancellare il debito che tali paesi hanno con l'Italia, si impegna anche a far si che le altre nazioni seguano l'esempio italiano. Segue qualche mese di lavoro in studio, e finalmente ritornano con "All that you can't leave behind". Il resto è storia recente. La mia amica Roberta da Firenze, di ritorno dal concerto di Milano mi ha inviato queste foto molto eloquenti che evidenziano il clima che si respirava Quella sera al momento dello sbarco dell’astronave U2 su S.Siro, mi fa piacere pubblicarle sul nostro sito, anzi approfitto per sollecitare i lettori a inviare foto, file audio e quant’altro possa essere interessante.
IL SOGNO PSICHEDELICO DI MERCURY REV Scritto da Jankadjstrummer Martedì 28 Luglio 2009 15:30
Nell’ottica di scoprire e far conoscere musicisti e gruppi che non hanno molta visibilità in Italia, segnalo una formazione che viene da Buffalo (USA) i Mercury Rev Il nucleo originario della band comprende David Baker voce, la flautista Suzanne Thorpe, Sean Mackiowiak alla chitarra, Dave Fridmann al basso, Jimmy Chambers alla batteria, Jonathan Donahue alla chitarra e alla seconda voce. La loro musica coglie a piene mani dal passato: il pop più puro dei Beatles, la psichedelia lisergica, la perfezione orchestrale dei brani che ricorda un po’ il rock progressivo degli anni ’70, il tutto amalgamato in maniera magistrale ed originale. Ripercorrere la carriera dei Mercuri Rev significa imbattersi in 2 distinti periodi della loro evoluzione artistica ma principalmente del loro sound: una prima fase che va dagli esordi discografici del 1991 fino al 1998 caratterizzata da una psichedelia caotica e demenziale in cui echeggiavano i trip schizofrenici dei primi Pink Floyd di Syd Barrett, coniugata con il sound proveniente dai college universitari californiani; la seconda (1998-2008) è invece una bella riscoperta del pop di maniera e un po’ barocco degli anni Sessanta, grazie soprattutto all’uso più massiccio dell’orchestra e di toni più delicati e sognanti, lontani dal rumore degli esordi. Il lavoro migliore della prima fase del gruppo è Yerself Is Steam, del 1991. È infatti un disco fuori dagli schemi del rock dell’epoca, se vogliamo è un disco anarchico, che gioca sui chiaroscuri ma anche sulle tinte forti, sulle improvvisazioni estrose delle chitarre ma anche sulla delicatezza del flauto e degli archi in un groviglio di suoni e di atmosfere. il filo conduttore della loro musica è tracciato da una melodia di accordi di chitarra acustica che pian piano lasciano il posto a chitarre corrosive, a percussioni e flauto ben in evidenza che ne fanno un gruppo veramente originale . Invito i lettori all’ascolto di "Frittering", un pezzo inizia come una deliziosa ballata folk con
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chitarra acustica e voce filtrata, ma che viene risucchiata in un vortice di distorsioni deliranti. All’epoca questo disco fu considerato dalla stampa specializzata un capolavoro proprio per questa doppia anima di puro “noise” ma anche di melodie raffinate, ma non ottenne il successo meritato per problemi legati alla dipendenza dalle droghe del cantante David Baker. La seconda fase del nuovo percorso dei Mercuri Rev si apre con il disco Deserter's Songs, del 1998 con cui tornano in forma smagliante. Il titolo dell’opera è un chiaro riferimento ad una pratica, in auge nel tardo-medievo, adottata da alcuni monaci asceti:ritirarsi in solitudine nel deserto per la preghiera e la venerazione di Dio. Una immagine che si adatta perfettamente alle senzazioni sognanti, alle antiche melodie che ci rapiscono nell’l’ascolto. Vi riporto un brano di una eloquente intervista a Donahue "Uno dei segreti della nostra musica - afferma - è la sua qualita' onirica. Vogliamo creare un nostro piccolo mondo. Anche per questo abbiamo chiamato l'album 'Deserter's Songs'. Volevamo abbandonare il nostro passato, le cose che avevamo fatto, il mondo in cui viviamo. E il titolo voleva esprimere anche un segno di distacco da certa musica in voga oggi, una musica da cui ci sentiamo molto distanti. Vogliamo evocare un senso proustiano di 'atemporalità', fare in modo che anche un innocente frammento di melodia possa riuscire a destare ricordi turbolenti. Da bambino, mia madre mi faceva ascoltare classici della musica leggera come Sinatra e Bartok. Io mi ribellavo contro questo, ma ora è come se avessi metabolizzato le sensazioni che provavo a cinque anni di fronte a quella musica, e molte delle nostre melodie hanno a che fare con tutto questo". Un altro disco dei M.Rev che segnalo, dopo lavori passati a vuoto è “Snowflake Midnight” dell’anno scorso che reputo senza dubbio quello della rinascita della band, il lavoro riporta alle atmosfere oniriche che li hanno caratterizzati nell'ultimo decennio ma questa volta inserendo suoni eletrtronici tralasciando la pura sinfonia. Le due tracce migliore tra le nove sono "People Are So Unpredictable (There's No Bliss Like Home)", e"Dream Of A Young Girl As A Flower". Discografia essenziale Yerself Is Steam (Columbia, 1991) Deserter's Songs (V2, 1998) Snowflake Midnight (V2, 2008) Strange Attractor (Self-release, 2008) ( disco autoprodotto scaricabile gratuitamente dal loro sito ufficiale ) Il file audio inserito nel sito non è presente in nessuno degli album recensiti ma è una famosissima cover di Neil Young “Cortez the Killer” rienterpretata dai Mercury Rev in versione acustica. A proposito dei file audio a corredo degli articoli, rispondo ad un lettore che mi chiede di inserire un brano magari più significativo degli album che recensisco, non è possibile farlo, potremmo essere colpiti dalla scure della legge sul copyright e non è il caso, accontentiamoci di file audio registrati dal vivo o non presenti negli album ufficiali. BUON ASCOLTO.
JAFFERSON AIRPLANE "VOLONTARI D'AMARICA" Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 30 Luglio 2009 08:18 Un salto nel passato non fa mai male quando si parla di grandi gruppi rock che hanno influenzato la cultura,diritti civili ed anche l'approccio ai grandi temi sociali. Jefferson Airplane - Portabandiera del rock alternativo "west coast" fin dal primo album Takes Off (del 1966) e dalle partecipazioni ai primi festival rock, con l'apice a Woodstock nel 1969, il gruppo guidato da Paul Kantner, Grace Slick e Marty Balin è stato in grado di coniugare la sperimentazione, la tradizione, la protesta e l’ antitesi alle logiche di mercato, con un grande successo di pubblico, soprattutto negli Stati Uniti. Formatisi intorno a Kantner e Balin, con la
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significativa alleanza del duo di virtuosi della chitarra e del basso Kaukonen e Casady, custodi della tradizione blues, e supportati dal batterista Spencer Dryden, amante delle radici country, hanno subito puntato ad una front-woman, che nel primo disco era la cantante di origine scandinava Signe Anderson. Subito dopo venne però sostituita dalla cantante, pianista e compositrice Grace Slick, anche lei di origine straniera, che aveva tutto, bellezza, potenza della voce, capacità musicali, presenza scenica, spirito libero e trasgressivo. Già nel febbraio del 1967, Slick firma uno dei super-classici del gruppo, White Rabbitt, nell'album Surrealistic Pillow, che conteneva anche il loro primo smash-hit Somebody To Love, che li fece diventare i numero 1 nella "summer of love" hippy e psichedelica della San Francisco del 1967. Nel 1969 un altro album epocale, Volunteers, ma soprattutto la estensione e partecipazione del gruppo ad una autentica famiglia allargata musicale, che vedeva coinvolti nelle stesse esperienze (anche quelle negative, "viaggi" e droghe) tutti i principali personaggi delle band californiane, da David Crosby ai Quicksilver Messenger Service, ai Grateful Dead di Gerry Garcia, ed i Jefferson interpretare alcuni dei brani migliori di Crosby, come Wooden Ships e Triad. Album tipici di questi ensemble sono il capolavoro assoluto di Crosby "If I Could Only Remember My Name" e il disco uscito nel 1973 a nome di Kantner, Slick e Freiberg dei Quicksilver, "Baron Von ToolBooth & The Chrome Nun", ma anche il disco dedicato dai due alla loro figlia appena nata, China, vale a dire "Sunfighter" La fase sperimentale ebbe il suo culmine nel 1970 con "Blows Against Empire" nel quale l'aeroplano diventava già una astronave (da Jefferson Airplane a Jefferson Starship), per poi germinare ancora buoni lavori ma preparare la separazione, con Kaukonen e Casady che abbracciano decisamente il root blues elettrico con i loro Hot Tuna (disco mitico: Quah!, a nome del solo Kaukonen) ed i Jefferson che attorno a Kantner, Slick e il ritrovato Balin iniziano una nuova vita come gruppo di grande successo del rock FM USA, con il nuovo nome Jefferson Starship. Negli anni '80 l'abbandono di Grace Slick, messa fuori gioco dagli eccessi dei suoi anni giovanili ed il sostanziale inaridirsi di una esperienza tra le più feconde nella musica rock americana. Traduzione del testo di White Rabbitt: “ Una pillola ti fa diventare più grande, e una pillola ti rimpicciolisce E quelle che ti dà tua madre, non hanno alcun effetto Prova a chiederlo ad Alice, quando è alta dieci piedi E se tu sei a caccia di conigli, e ti accorgi che stai per cadere Dì loro che un bruco che fuma il narghilè ti ha mandato a chiamare E chiama Alice, quando è proprio piccola Quando gli uomini sulla scacchiera si alzano e ti dicono dove devi andare E tu hai appena preso qualche specie di fungo, e la tua mente sta affondando Prova a chiedere ad Alice, penso che lei saprà (la risposta) Quando la logica e le proporzioni (delle cose) sono cadute morte al suolo E il cavaliere bianco sta parlando (rivolto) all’indietro E la regina rossa ha perso la sua testa Ricorda quello che aveva detto il ghiro Alimenta la tua mente, alimenta la tua mente” Note: La celebre canzone composta da Grace Slick, è contenuta nel secondo LP dei Jefferson Airplane, il primo con la Slick come cantante. E' evidente la metafora e la analogia delle esperienze lisergiche della California degli anni '60 con i celebri romanzi di Lewis Carroll dedicati al mondo fantastico della piccola Alice ("Alice nel paese delle meraviglie" e "Attraverso lo specchio" del quale è citato il catastrofico cavaliere bianco). Traduzione del testo del brano - Volunteers (1969) “Guarda cosa sta succedendo fuori nelle strade, C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione. Sto ballando nelle strade, C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione. È divertente incontrare tanta gente C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione. Una generazione sta invecchiando, Una generazione sta mettendoci l’anima, Questa generazione non ha nessuna meta da raggiungere, Basta piangere, È giunto il momento per te e per me,C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione Forza adesso stiamo avanzando verso il mare C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione Chi continuerà (la rivoluzione)? Lo faremo noi, e noi chi siamo? Siamo i volontari d’America. Un saluto a tutti dal vostro jankadjstrummer
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JOY DIVISION “UN PUNTO FERMO DEL ROCK ANGLOSASSONE” Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 30 Luglio 2009 08:53 Qualche giorno fa alla macchinetta del caffè dell’Ufficio in cui lavoro ( luogo ameno che ricorda i caffè letterari ) mi sono stupito che molti ragazzi chiaramente più giovani di me appassionati di musica rock ignorassero un gruppo che, per quanto mi riguarda, rappresenta un punto fermo del rock anglosassone i JOY DIVISION, metto in linea una brevissima scheda del gruppo sperando che incuriosisca qualcuno. Dalle ceneri dei Warsaw ( gruppo d'esordio di Ian Curtis )nascono a Manchester nel 1977 i Joy Division che devono il loro nome ai gruppi di prostitute a disposizione dei soldati tedeschi che presiedevano i campi di concentramento; sin dalle prime apparizioni emerge la tendenza del gruppo a creare una musica suggestiva e ipnotica, lontana dai canoni del punk allora in voga. Il primo album dei Joy Division, "Unknown Pleasures" (1979 Factory), segna profondamente le sorti della new wave piu' oscura immergendosi in atmosfere cupe, quasi immobili da cui emerge un canto visionario; a melodie isteriche e grezze ("She’s lost control") si alternano ballate marziali che ricordano i Velvet Underground tenebrosi di "All Tomorrow's Parties" (New Dawn fades). La voce solenne e sospesa richiama fortemente Jim Morrison, mito del passato dall'esistenza tormentata, che cede a Curtis lo scettro di sciamano di una musica funerea, che si ripete ossessiva come la vita della civiltà industriale a cui appartiene. Le composizioni sono comunque molto accessibili (uno dei ultimi singoli prodotti, "Love will tear us apart", è un classico della new-wave) e collocano il gruppo tra i maggiori esponenti della nuova onda, apprezzati sia dalla critica che dal pubblico il quale ritrova nelle liriche gelide e angosciose una descrizione semplice ma molto profonda del proprio travaglio interiore. Il secondo e ultimo album ,"Closer" (1980 Factory), attenua la velocità d’esecuzione e lascia maggiore spazio alla meditazione, alla trance; una pacata freddezza attraversa i brani che vengono recitati dal cantante con rassegnazione ("Heart and soul", "Isolation"), generando un sentimento di epica depressione: è la consacrazione di uno stile che ha trovato il suo tenue e drammatico equilibrio. Spesso indicati come profeti del dark, i Joy Division possono difficilmente essere inquadrati in un filone; la loro musica e' fuori da una collocazione spazio-temporale e sembra piuttosto evocare emozioni e tormenti che da sempre turbano l'uomo, e che porteranno il cantante a suicidarsi a soli 23 anni; quasi una morte annunciata per un culto che mai avra' fine e che ha lasciato alla storia canzoni stupende, in bilico tra crudezza e dolcezza (memorabile in questo senso è il singolo "Atmosphere"). I superstiti dei Joy Division danno vita ai New Order, gruppo orientato verso un techno-pop commerciale e danzabile, che in rare occasioni (ricordiamo il loro secondo album "Power Corruption an lies") è stato in grado di eguagliare le geniali e macabre intuizioni della band di Ian Curtis, giovane e sfortunato poeta del malessere della vita. FORMAZIONE: Ian Curtis/ voce, Bernard Albrecht/chitarra, Peter Hook/basso, Steve Morris/ batteria DISCOGRAFIA CONSIGLIATA: " Unknown Pleaures": (Factory 1979 GB); "Closer": (Factory 1980 ).
DISCHI STORICI RIASCOLTATI PER VOI The Smiths “The Queen Is Dead” Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 30 Luglio 2009 07:36 Inaguriamo questa nuova rubrica con un album che considero uno dei migliori degli anno ‘80, The Queen Is Dead, degli Smiths. Viene pubblicato nel giugno 1986; siamo in Inghilterra in piena epoca Tachteriana, il disco doveva originariamente intitolarsi "Margaret On The Guillotine" e doveva essere l’ennesima bordata alla Lady Thatcher che finisce al patibolo, con tanto di colpo di lama finale – questa storia costerà a Morrissey una visita a casa con
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perquisizione da parte della polizia. Il disco mette in risalto la forte insofferenza nei confronti di un paese decaduto sia dal punto di vista morale che da quello politico. Qualcuno ritiene che è riduttivo interpretare il titolo e l’opera nel suo insieme in una chiave esclusivamente antiinglese, la crisi a cui gli Smiths fanno riferimento riguarda le illusioni, le speranze collettive di cui sono nutriti i grandi movimenti libertari dei decenni precedenti ridotte a macerie e solitudine. Musicalmente il disco è in perfetto stile smithsiano ed entra di fatto nella storia del rock britannico più degli altri perchè qui sono nate le perle più pure e convincenti della coppia Morrissey-Marr vere anime della band. Da questo punto di vista il lavoro è perfetto la voce di Morrissey è ai suoi apici interpretativi: i brani sono "Cemetery Gates" un country-rock dal sapore antico su cui ruota un bel giro di basso, "Bigmouth Strikes Again" e "The Boy With The Thorn On His Side", sono dolci melodie vocali sulla quali Morrissey tesse le sue trame, due pezzi leggeri ma intensi ed ancora "There Is A Light That Never Goes Out" una canzone senza fine, al tempo stesso elegante ed essenziale che ricorda vagamente la migliore canzone francese Anche i pezzi della prima metà del disco catturano l’ascoltatore: "The Queen Is Dead" è una composizione di oltre sei minuti è rappresenta il pezzo più sperimentale dell’album. "Frankly, Mr. Shankly" è un ritornello scanzonato mentre "I Know It’s Over" è un altro pezzo interessante di soul leggero e malinconico. Il clamoroso successo del disco è accompagnato dalle inevitabili polemiche sulle sortite anti-monarchiche di Morrissey che in un’intervista va giù pesante: "Disprezzo la famiglia reale. L'ho sempre disprezzata. E' un non-sense fiabesco, l'idea stessa della loro esistenza in giorni come questi, durante i quali la gente muore quotidianamente perché non ha abbastanza denaro per pagarsi il riscaldamento, tutto ciò è immorale". Devo dire che ho riascoltato con attenzione l’album e mi sento di affermare che gli anni ’80 senza gli Smiths sarebbero stati monchi.
SUD SOUND SYSTEM “I suoni, i colori e il raggae del Salento” Scritto da Jankadjstrummer Mercoledì 05 Agosto 2009 06:37 E’ strano, ma quando si decide di seguire un concerto reggae, sia esso un grande nome che un gruppo misconosciuto, si è assaliti da una grande euforia che comincia a manifestarsi già prima di uscire di casa. Assistere ad un concerto reggae, credo sia la cosa più coinvolgente delle espressioni musicali. Non si può fare a meno di dondolarsi seguendo il ritmo lento sincopato delle percussioni e della chitarra. Anche il concerto del Sound Sound System non ha deluso le mie aspettative. In una serata caldissima di fine luglio sono riusciti a ricreare una atmosfera giamaicana nel cuore di Firenze, ritmo, calore e suono caraibico fanno da tappeto ad una vitalità, una voglia di reagire che è forte e radicata nella Italia del sud. La cosa che più convince è che questo gruppo è semplice, onesto ed immediato, molto maturo musicalmente rispetto a le loro prime esperienze musicali. Nel corso degli anni è cresciuto il loro sound ma anche la loro presenza scenica mentre è rimasta intatta la loro voglia di esprimere la rabbia per le condizioni del sud, per l’ipocrisia dominante. Anche la voglia di divertirsi, il ballo, lo stare insieme senza steccati ne sono la loro essenza. Il gruppo ruota intorno ad un collettivo molto affiatato che nutre un amore viscerale per la propria terra , sono la punta di iceberg di una scena musicale salentina che si esprima prevalentemente con il raggae e il raggamuffin di cui loro sono stati i pionieri in Italia. Anche il nome della band è sintomatico di una espressività culturale, i Sound Systems sono quello che si può definire una discoteca itinerante, quasi sempre montata su dei camioncini e spostati in
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luoghi naturali e non urbanizzati: spiagge, giardini pubblici. L’elemento caratterizzante è la spontaneità, due piatti, un mixer, degli amplificatori scalcinati e i microfoni con cui si riesce creare un feeling con il pubblico, suoni da ballo ma anche raggamuffin ( per i non addetti: è un particolare modo di esprimere, tipicamente giamaicano, la rabbia, i sentimenti, la fede attraverso in un mix di musica reggae e parlato che ricorda i sermoni dei predicatori gospel. Ma torniamo ai Sud Sound System, attivi dagli inizi degli anni ’90, hanno già ottenuto un forte successo di pubblico nonostante cantino in dialetto stretto salentino e siano una band di nicchia non supportata da passaggi pubblicitari (l’unica loro apparizione in TV che mi ricordo fu nel programma di Celentano, poi niente più ) quindi devono la loro popolarità solo al passaparola e alla loro attività live in giro per l’Italia. Il concerto non aveva l’intento di promuovere un disco per cui si sono lasciati andare ad improvvisazioni raggamuffin e a rispolverare vecchi cavalli di battaglia “ a me piace lu sule” “reggae international” “ erba erba”“ uscimu a ballari, “ fuecu” e una versione riveduta di “ li radici ca tieni” che ritengo in assoluto il miglior pezzo che i S.S.S. abbiano proposto, parte con un motivo tradizionale:. Se non dimentichi mai le tue radici , rispetti pure quelli dei paesi lontani Se non dimentichi da dove vieni, darai più valore alla tua cultura. Siamo Salentini, cittadini del mondo, radicati ai messati, ai greci e bizantini Uniti nello stile anche con i giamaicani, dimmi da dove vieni?....
e continua con una bella manifestazione d’amore per la propria terra, per la cultura ma anche per la contaminazione con altri popoli condito con un ritmo veloce, quasi rap. Un capolavoro. Una bella serata fatta, come si suole dire, di ottima compagnia, birra e buona musica. Massimo rispetto per i Sud Sound System!
CROSBY STILLS E NASH Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 10 Settembre 2009 06:59 Ricevo e pubblico volentieri le piacevoli impressioni di un amico chitarrista al concerto di un gruppo storico della west-Cost Lucca, nell'ambito del Summer Festival, si esibiscono gli dei di Woodstock. Manca Neil, lo "zappatore" della chitarra, ma l'avevo visto sempre dallo stesso palcoscenico qualche anno prima. Insomma posso dire di aver visto pure se slegati e a puntate - il mitico supergruppo CSN&Y. Il primo supergruppo rock della storia del rock. La formazione: Crosby: trapiantato di recente, un anno di galera, figlio ritrovato (che gli fa da tastierista) dopo 25 anni, donatore nell'ambito di fecondazione eterologa ricevente l'amica lesbica Melissa Etheridge (cantautrice americana di notevole spessore anche lei), droghe di tutti i generi, già componente dei Byrds. Sthephen Stills: "Mr Soul", voce negroide, chitarrista indomito, droghe di tutti i generi, già componente degli Buffalo Springfield. Graham Nash, inglese di nazionalità, americano, anzi californiano d'adozione, voce di gran classe, droghe idem, già componente di uno dei gruppi beat più decisivi in UK, gli Hollies. Il convitato di pietra era Neil Young, rock e fattoria, rumorista e seminale negli anni '90 nei confronti del grunge (vedi collaborazione con gli adepti Pearl Jam in Mirrorball), reaganiano negli anni '80 (!!!), droghe idem, già componente degli Buffalo Springfield. A far questa descrizione sono stato un po' rozzo e un po' volutamente parziale, ma andiamo avanti, dovrei aver reso l'idea
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del carico di storia dei tre (o quattro). Insomma, Lucca. La serata è piacevole, m'accomodo con un amico. Sarà l'età dei nostri eroi, sarà la questura, ma il concerto attacca all'orario prestabilito (ma insomma...). Arrivano questi tre vecchiacci, età totale quasi 190. Crosby con baseball-cap e due baffoni western, pancia prominente; Nash in buona forma e bei folti capelli bianchi; Stills con pancia prominente zoppicando, sembra avere almeno 10 anni in più. C'é l'emozione, c'é la storia del rock, c'é Woodstock, c'é la flower power generation, c'é il fiore della meglio gioventù sixties. Però, però la cosa sembra avere un po' troppo la dimensione dell'operazione nostalgia. Solo un attimo per capire che il brano con cui iniziano è già un classico (a ribadire, sappiamo bene perché siete qui), si tratta di un inno generazionale: Carry on. Stills dal punto di vista vocale è in difficoltà, molto meglio dal punto di vista chitarristico (è lui il suono elettrico del gruppo, mentre l'assente Young è quello acustico). Si capisce subito che i magnifici cori che hanno influenzato tanti e tanti, per primi i fratelli minori (per tante ragioni) Eagles, sono sulle spalle di Crosby e Nash, adeguatissimi all'attesa. Peccato Steve, ogni tanto appare qualcosa della sua bellissima voce soul e ci scappa la lacrimuccia, ma il meglio sembra essere ormai andato. La prima metà della scaletta scorre via tra riproposizioni del tempo che fu e inserti dei loro nuovi album solisti (1 per Stills, 1 per Crosby & Nash, già sentiti alcuni mesi fa all'auditorium di Roma). Il concerto però non sale, non so perché... L'operazione nostalgia sarebbe completa se avessero una band scarna, ma invece hanno buoni musicisti alle spalle, forse solo il bassista non sembra un virtuoso (ma tanto...), il chitarrista è invece un musicista di alto livello ovvero Jeff Peavey, sessionman come solo gli americani ce li hanno. Perché l'operazione nostalgia non passa? perché i tre hanno sempre avuto le loro idee e non se le tengono per nulla al mondo. Nash fa il portavoce, Crosby affonda di brutto. Sentito: Nash: "we wish people would stop killing in the name of god" (allude forse al terrorismo di matrice islamica...), Crosby prende in giro: "My god is better than yours! My god is better than yours!" Ancora Nash: "We are part of the half of America that didn't vote to put back that monkey in the White House!" Applausi soprattutto dai non pochi americani presenti (forse perché gli italiani non hanno capito? ed un altro dubbio: ma 'sti americani non è che magari sono militari provenienti da Camp D'Arby? non lo sapremo mai...), Nash risponde al pubblico: "We tried... however...". Il pubblico sempre più coraggioso: "Peace!". Nash alza la mano con l'indice ed il medio nel tipico gesto di vittoria. Tutto ciò potrà sembrare forse a taluni un po' "American graffiti" eppure... Mano a mano che il concerto procede i tre tendono a raggiungere una resa migliore. Long time gone, Woodstock e gli altri brani del loro repertorio, esclusi quelli composti da Young. E' il momento del bis, io mi giro intorno e vedo un signore americano sui 65 che balla con una donna e canta a memoria i testi delle canzoni. E penso a mio padre e al suo James Last. Il pubblico reclama a gran voce: Teach the children, inno pacifista e dell'ottimismo. I tre lo sanno e la mettono come ultimo brano, cantata in coro da almeno un migliaio dei presenti compreso me (ma non il mio accompagnatore che forse sta pensando come al solito a quanto sia meglio Metheny o i Pooh). Teach the children: "Teach the children well, their fathers' hell's slowly goin' by". Io penso al Vietnam, al pericolo rosso, a Berkeley, ad Osama, a politici vari (fate voi i nomi) e mi dico: Si, magari....". GIANLUCA MAJELI
DISCHI STORICI RIASCOLTATI PER VOI
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"Talking Heads "Remain in Light" Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 10 Settembre 2009 07:15 1.
Born Under Punches (The Heat Goes On)
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Crosseyed And Painless
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The Great Curve
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Once In A Lifetime
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Houses In Motion
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Seen And Not Seen
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Listening Wind
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The Overload
La settimana scorsa in pizzeria un caro amico mi ha chiesto lumi sui Talking Heads voleva consigliato l’album più rappresentativo, gli ho risposto che, senza dubbio, era Remain in light del 1980 ma che rappresentava, però, il culmine della ispirazione di David Byrne e compagni perché preceduto dai primi 3 album parimenti straordinari ed intensi. L’esordio dal titolo “77”, poi "More Songs About Building And Foods" quindi "Fear Of Music" in cui sono presenti tracce evidenti di world-music, percorso che in seguito David Byrne percorrerà come solista. Ho ripescato il disco, schiaccio Play è sono catapultato in un paesaggio irreale, immaginario, che ricorda le opere di quegli artisti di strada che usano bombolette spray colorate, spruzzi buttati apparentemente a caso, colori vivacissimi fanno da base per un disegno che viene fuori solo alla fine, un sermone che proviene dalla voce calda di Byrne un ritmo incalzante e irregolare, il suono del basso di Tina Weymouth che fa da tappeto ad un funky contaminato, questa la mia prima impressione, a distanza di anni, nell’ascolto di "Born Under Punches": molti hanno usato l’immagine della giungla per descrivere questo brano e forse è vero , ma credo che per i Talking Heads contava l’effetto sull’ascoltatore e i ritmi inquietanti del pezzo in questione sembrano proprio voler ipnotizzare l’ascoltatore e guidarlo in un viaggio insidioso ed ossessivo. In “Crossoved and painless” il ritmo sale molto, riff smorzati di chitarra, il basso in primo piano, i cori rendono il brano coinvolgente, che invita alla danza; ritmo che sale ancora con “The great curve” grazie a percussioni e cori di matrice tribale. La famosa “Once in a lifetime”, a questo punto, risulta la sola canzone orecchiabile dell’intero album, dialoghi di basso e batteria in cui si insinua la voce di Byrne con un ritornello che la rende una hit indimenticabile. Lo stato di trance ritorna in “House in motion”, canzone apparentemente tranquilla, con i ritmi in sottofondo che catturano, suoni e cinguettii di uccelli meccanici, i barriti della tromba di Jon Hassell e la voce prima dolce e poi rabbiosa di Byrne che incantano. Anche in “Seen and not seen”,continua la magia, la voce è recitata e sembra quasi provenire da un santone predicatore."Listening Wind" è una ballata, Byrne canta come all'interno di un rituale, dando sfoggio di intensità interpretativa grazie anche ad atmosfere di paesi lontani e di autentica poesia. La conclusiva "The Overload" è forse la traccia che più sorprende, vibrazioni tenebrose che ricordano i Joy Division, ne fanno una rarefatta ballata dark, una nenia di un culto primitivo sconosciuto, un lugubre sigillo di questo incredibile viaggio. I Talking Heads, attivi dagli anni ’70 hanno vissuto nella New york delle avanguardie musicali ed artistiche ne hanno assimilato i fermenti. Credo che il rapporto con Brian Eno abbia condizionato positivamente la loro musica “Remain in Light" è un tentativo di utilizzare gli strumenti del rock, alla ricerca della fonte della musica come ritmo e vibrazione, alla ricerca della mitica Africa. i Talking Heads si tengono ben lontani dallo scadere nell'antropologia da dilettanti, al contrario, "Remain in Light" è un album che anticipa l'interesse per i suoni etnici,
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quelli veri, che fiorirà negli anni '80. Vorrei segnalare la sfilza di artisti che hanno collaborato al disco che lo rendono un lavoro corale : Adrian Belew alla chitarra; Brian Eno al basso, tastiera, percussioni, coro; Jon Hassell - tromba in Houses in Motion ; Nona Hendryx – coro e Robert Palmer – percussioni. Un invito all’ascolto o al riascolto attento dell’album, mi ringrazierete! A corredo, come sempre, inserisco un brano dei Talking Heads registrato dal vivo al concerto di Bologna e mai uscito su disco, si tratta di una cover di “Simpaty for the devil” degli Stones. Discografia
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1977 - Talking Heads: 77 1978 - More Songs About Buildings and Food 1979 - Fear of Music 1980 - Remain in Light 1982 - The Name of This Band Is Talking Heads live 1983 - Speaking in Tongues 1984 - Stop Making Sense live 1985 - Little Creatures 1986 - True Stories 1988 – Naked
CONCERTO DEI POOH Scritto da Jankadjstrummer Sabato 12 Settembre 2009 08:32 Nello spirito di grande pluralismo che ci ispira, pubblichiamo le foto del concerto dei Pooh tenutosi giorno 5 agosto a Viareggio, foto che gentilmente ci ha inviato Pietro, grande fan di questo gruppo storico del pop italiano. Non è una caduta di stile della sezione “non solo rock” e personalmente prendo un po’ le distanze ma bisogna riconoscere siano stati un punto di riferimento di tantissimi giovani non fosse altro per la loro longevità, altro che OASIS. E poi sono stati la colonna sonora della mia generazione dei tempi del liceo. Mi ricordo che ci siamo imbarcati, io - Giacomino N. - Tonino T. - Vincenzo M., nel lontano 1975 da Amantea fino a Cosenza ( Cinema Morelli ) con la FIAT 500 del padre di Tonino Trotta per assistere al loro concerto e costato che non sono cambiati molto, grande scenografia, luci ed effetti speciali.
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HARE KRISHNA Scritto da Jankadjstrummer Sabato 12 Settembre 2009 08:57 Credo sia giunto il momento di istituire ufficialmente una Redazione Musicale del sito, vista la mole di materiale che mi viene mandato sulla mia e-mail, ho trovato molto interessante questo contributo pervenuto da un amico che pubblico volentieri sperando che incuriosisca i lettori. Bambulè Jankadj MA DOVE FINIVANO I RAPPRESENTANTI DEL ROCK PROGRESSIVE ITALIANO CHE INCAPPAVANO IN UNA CRISI MISTICA?
Esiste a poca distanza da S.Casciano val di Pesa (FI) -diciamo a poche centinaia di metri dal luogo del ‘duplice efferato delitto degli Scopeti’ di paccianesca memoria- una piccola comunità spiritualista neo-hindu che ebbe il suo periodo di celebrità negli anni ottanta, per poi seguire nei novanta un percorso di decadenza sempre più accentuato (tuttora in corso): ebbene, per chi come me l’ha attentamente visitata nel suo miglior periodo, ricco di stimoli sotto molti punti di vista, i personaggi più di richiamo e obiettivamente degni di attenzione erano senz’altro tre, di cui due erano stati musicisti di una qualche fama nell’ambito della rock-music italiana: il primo era Claudio Rocchi (nome spirituale Krishna Ceitanya das), prima bassista degli Stormy Six e poi immaginoso cantautore; il secondo era Paolo Tofani (Krishna Prema das), noto per essere stato a lungo al fianco del grande vocalist Demetrio Stratos, in qualità di chitarrista della band degli Area. Possiamo in questa sede sorvolare sul terzo personaggio (in quanto non musicista e quindi non attinente all’argomento), l’ex insegnante lombardo Giorgio Cerquetti –Gora Krishna das- oggi affermato saggista, esponente e ‘testimonial’ della sezione italiana della corrente di pensiero New Age. Dei tre P.T. era sicuramente il più simpatico, il più alla mano e il più cordiale con chiunque; una volta lo avvicinai personalmente e scambiai con lui qualche battuta, ricordo con precisione solo una sua risposta: “Eh, il povero Demetrio, chissà sotto quale forma è di nuovo presente oggi sul nostro pianeta...”. Raccontava che era stato proprio il suo grande e vecchio amico Claudio Rocchi a convincerlo, anni prima, della giustezza della scelta spiritualista ‘indiana’ e della vita stabilmente all’interno della comunità: lì continuò comunque a coltivare anche la sua passione per la musica, arrivando ad autoprodursi e autoregistrare tutto da solo un nuovo album (Un altro universo, 1983), di contenuto ovviamente e interamente ‘confessionale’, trasmesso unicamente dalla radio privata del movimento (l’allora nota -in toscana- RKC, con sede all’ultimo piano dell’edificio toscano) e venduto sotto forma di musicassetta ai visitatori delle sedi italiane del movimento (e devo dire musicalmente assolutamente decente!). Quando la situazione generale cominciò a mostrare le prime crepe si risposò con un’adepta americana, una valente fotografa, e si trasferì con lei in un tempio statunitense, ove si pensa che sia ancora, in assenza di nuove più certe notizie... C.R. invece appariva sempre come il ‘primo della classe’, nelle sue risposte rigorosamente dottrinarie traspariva perennemente l’aria da “bada che tanto io ne so sempre più di te”; paradossalmente, il suo album più conosciuto (Un gusto superiore, 1980, citato spesso e volentieri da Elio e le storie tese) non appartiene alla sua precedente ‘normale’ produzione bensì proprio al periodo ‘mistico’, tutto intessuto com’è dei concetti della dottrina spiritualista indiana! Abituato ad arringare gli ascoltatori con estenuanti monologhi radiofonici –ma anche incline ad esotiche comparsate negli studi televisivi della rai in occasione di trasmissioni dedicate alla spiritualità orientale- la sua naturale tendenza era verso le mete ‘più ambiziose’ e, poco prima della fine del periodo d’oro della comunità, venne coronata dal successo: per un breve lasso di tempo arrivò al top, responsabile del tempio toscano, cioè della principale sede italiana del movimento internazionale (se il detto ‘nomen omen’ è veritiero non poteva andare diversamente, visto che il nome spirituale assegnatogli dal suo maestro era direttamente quello del fondatore di tale scuola mistica nel Bengala del 1500!). Ma al momento della grande diaspora, all’inizio dei novanta, uscì dalla comunità, se ne tornò nella sua Milano e rientrò di nuovo nel vecchio ambiente musicale, pubblicando da allora ancora nuovi dischi, collaborando con radio private ‘commerciali’, scrivendo, rilasciando interviste, creando siti personali web, insomma tutto ciò che è l’odierna normalità per una rock-star! Un’appendice: anno 1997, serate inaugurali, sulla rive gauche dell’Arno, della libreria FLORENCE CITY LIGHTS di Lawrence Ferlinghetti (quello col nome posto
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sempre in mezzo, tra Allen Ginsberg e Gregory Corso); la serata dedicata alla memoria di Jimi Hendrix e alla musica psichedelica lo vide arrivare (in clamoroso ritardo!) in completo ‘jeans’, stivaletti e occhiali da sole scurissimi -erano le 22!- rimanendo per tutto il tempo impalato, torvo e silenzioso all’ingresso della libreria, con al suo fianco una ‘minorenne’. Nessuno dette segno di accorgersi di chi fosse quello strano figuro ed io pensai due cose: 1) ma è sua figlia o la sua ‘nuova amichetta’in questa sua ‘nuova vita’? 2) è la prima volta in tanti anni che lo vedo con TUTTI i suoi capelli: in comunità erano sempre obbligatoriamente rasati, ad eccezione del ‘codino’ d’ordinanza (chiamato nella terminologia spirituale hindu “sica”, il che spingeva alcuni miei vecchi colleghi di lavoro ad apostrofare gli adepti maschi, incontrati casualmente per le strade cittadine, con la cordiale espressione “o bella sica...”). Ma mi accorgo di avere già occupato una enormità di spazio, ahimé, senza nemmeno aver trattato gli argomenti davvero importanti (la ‘scelta orientale’, la Comunità di cui si sta parlando, la sua dottrina spirituale, la sua passata opulenza e presente decadenza...): vabbè, sarà per un’altra volta...
JANIS JOPLIN Scritto da Jankadjstrummer Sabato 12 Settembre 2009 10:02
Prosegue la pubblicazione di scritti pervenuti alla mia e-mail, questa volta si tratta di tributo alla grandissima Janis Joplin.
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Questi invii sono qualcosa di sorprendente e mi riempiono di gioia, mi fanno dedurre che la sezione “ non solo rock “ è apprezzata , non posso far altro che ringraziare tutti per la collaborazione. Coem sempre a corredo dell’articolo vi propongo un bellissimo pezzo di J Joplin : “Mercedes Benz” cantato a cappella – che non è una parolaccia ma significa: solo voce - in cui chiede al Signore di avere una nuova auto anzi più che una richiesta è una supplica. «Tempi migliori stanno venendo, lo sento dire ovunque vado; tempi migliori stanno venendo ma ci mettono davvero tanto» Vampire Blues - Neil Young (On The Beach, 1974) "CRY BABY" l'ultima notte di Janis Joplin - spettacolo teatrale dedicato a Janis Joplin nell’ambito di Pistoia Blues …..Hanno tentato di prendere il suo posto in tante, hanno cercato di insidiare una gloria che era nata dal nulla e che da allora è rimasta legata alla sua memoria, in vita furono in molti a non apprezzarla, qualcuno la disprezzò addirittura, per quello che realmente fu, eppure a 37 anni dalla scomparsa, questa goffa, grassa, buffa ragazza texana resta la migliore voce femminile che il rock, non solo quello americano, abbia saputo esprimere. (…) Sul palco, anche aiutata dalle troppo numerose sorsate che dava alle bottiglie di Southern Comfort, si trasformava e la fanciulla che bramava amore, che sognava di poter incontrare una volta il suo principe azzurro, diventava uno splendido, furente, magmatico strumento, microfono del dolore che espettorava visioni, sensazioni, immagini stati d’animo e che non pretendeva nulla se non d’esser ascoltata. (…) Come altri famosi eroi del rock, Jimi Hendrix e Jim Morrison i più famosi e i più dolorosamente rimpianti, visse sempre al limite delle sue risorse mentali, psichiche, psicofisiche, ingaggiando una lotta con se stessa e con la vita nel tentativo di esorcizzarla, tentativo che le andò bene per 27 anni. 7 brevi anni in cui la sua vita ebbe due
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decisivi, divisi periodi: il primo sino ai diciassette, nella natia Port Arthur, a cercare di impersonare la mediocrità della classe media americana, ed il secondo, un pugno di mesi e giorni, nel vortice di un mondo che aveva sognato e desiderato ma che non fu mai completamente suo, quello della musica, del rock, di un genere in cui la sua massiccia, possente figura spazzò via ogni altra figura, relegandole subito nell’ombra (…) Morì, è chiaro, come era vissuta, sola, in una stanza del Landmark Hotel di Hollywood. La trovarono una domenica mattina, il 4 ottobre, in una stanza in cui regnava il caos, unici testimoni, silenziosi, inanimati, alcune bottiglie di Southen Comfort, molte confezioni di pillole, un letto disfatto e sporco, un ago e qualche bustina di eroina; la sua amica fedele dei mesi, degli anni prima della morte. Se ne era andata con i suoi capelli resi stopposi dalla droga, i suoi occhi dolci ma iniettati di sangue, il suo sorriso pieno di bava bianca rappresa, il suo largo corpo pesante, 85 chili, corpo seminudo coperto a malapena da una vestaglia, dissero, ridotta quasi a brandelli. Sulle braccia ed un po’ dovunque, su quella pelle che una volta era stata candida come quella di milioni di altre brave ragazze americane, i segni delle punture, piccoli, rossi fori di morte. Aveva lasciato il mondo proprio come l’adorata Billie Holliday, proprio come Bessie Smith, il suo idolo di adolescente sensibile per la quale, in pieno successo, aveva provveduto a fornire di una lapide la tomba disadorna. Furono in pochi rimpiangerla, i musicisti che lavoravano con lei cercarono di fare qualche soldo vendendosi i nastri che avevano registrato di nascosto, la sua casa discografica, per onorarla, ancora oggi lancia dischi antologici che lasciano il tempo che trovano. Ma lei ormai tace, con la stessa malinconica strafottenza con cui era capace di raccontare le sue orge che rimaneva no tali e non si svilupparono mai in un amore serio, forse la cosa che bramò di più. Lei se ne fotte e sta lì a sorridere, paciosa, con le labbra dischiuse tipiche di chi non è mai sobrio. Sa che basta mettere un disco sul giradischi per convenire che lei fu la più maledettamente brava, la più forte di tutte le femmine, l’ugola più possente. Sa che il rock, quando lo si pensa interpretato da una donna, lo si pensa soltanto interpretato da lei. Per sempre. E senza tema di smentite. (Paolo Zaccagnini – California Dreamin’- Savelli editori, 1982) - LA SUA CANZONE PIU' BELLA: Summertime (da "Cheap Trills", 1968) - Summetime è lontanissima nella ripresa di Janis dal suo spirito antico di ninnananna, come era in Porgy & Bess. Ma in questo caso Janis affrontava un titolo che era davvero uno standard. Nel 1935 Billie Holiday ne aveva già dato una versione “swing”; Sarah Vaughan ne aveva fatto un elegante brano da repertorio jazz, con andamento di ballata lenta; Ella Fitzgerald, nella sua versione con Armstrong, ne aveva fatto una perla del suo prezioso virtuosismo; Carmen McRae un convenzionale titolo da “jazz singer”; Nina Simone un conturbate e oscuro appello africano in uno dei suoi live per la Colpix; Sam Cooke una “popsoul ballad”. Janis, a sua volta, offre una delle versioni più personali e meno convenzionali del celeberrimo titolo; ne riafferra la primitiva dolcezza, come Leontyne Price in Porgy & Bess, ma stringe i denti e stravolge il metro, con la chitarra che conserva una delle poche intonazioni dolci che lo strumento abbia conosciuto in una sua incisione. Ancora una volta, la sua è un’invocazione, una supplica, perchè Janis non sa pregare senza rabbia. (Janis Joplin di Massimo Bassoli e Peppe Videtti - Gamma libri, 1981) - Furono in pochi a rimpiangere Janis, ma qualcuno ci fu, tra questi il suo grande amico Kris Kristofferson che tradusse in versi la malinconia di quella domenica mattina in cui Janis morì (Sunday mornin’ comin’ down): Mi sono svegliato domenica mattina senza la forza di convincermi che stavo bene e la birra che avevo bevuto a colazione non era male, / Così ne bevvi ancora per dessert. / Poi arrivai tastoni in bagno per vestirmi / E scelsi la più pulita tra le camicie sporche. / E mi feci la barba e mi pettinai i capelli, / E rotolai giù per le scale incontro al giorno, / Avevo fumato il mio cervello la notte prima con sigarette e canzoni / Che io avevo scelto con cura. Ma accesi la mia prima e guardai un piccolo ragazzo / Che malediceva una lattina con la quale giocava a palla. / Poi attraversai la strada vuota e annusai il tipico odore di domenica / Di qualcuno che frigge il pollo. E questo mi riportò indietro a qualcosa / Che in qualche modo, da qualche parte, avevo perduto. / Sul marciapiedi, quella domenica mattina, avrei desiderato esser pazzo. / Perché c’è qualcosa in una domenica che ti fa sentire solo un corpo. / E non c’è niente di più breve che morire, abbandonato come un suono, / Sul marciapiede della città che ancora dorme, mentre la domenica mattina arriva. / Nel parco vidi un ragazzo con una giovane ragazza sorridente / Che lui faceva dondolare, / e mi fermai accanto a una scuola domenicale / E ascoltai la canzone che stavano cantando,
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/ Poi tornai a casa, / E da qualche parte, lontano, una campana solitaria suonava, / E la sua eco attraversava il canyon / Come i sogni di ieri che scompaiono. (Fabio Daddi)
Scritto da Jankadjstrummer Giovedì 17 Settembre 2009 21:44 L’anno scorso leggevo, su di una rivista musicale, di un festival reggae che si è tenuto a Reggio Calabria, la cosa mi ha incuriosito, non tanto per il cartellone in cui erano presenti nomi importanti ma per il numero di bands calabresi reggae presenti. Sinceramente conoscevo poco il fenomeno e dopo una breve ricerca ho scoperto che la Giamaica è fortemente radicata nel nostro estremo sud. Mi sono chiesto se, come è avvenuto nel Salento, si possa parlare di una scena musicale reggae calabrese….forse si e nel frattempo apriamo il dibattito! Questa volta vi propongo all’ascolto 2 gruppi che mi hanno molto incuriosito di cui ho cercato materiale audio e video:
La Spasulati Band è all’attivo dal 1996 e proviene da S. Sofia Epiro cittadina della pre-Sila ionica dove la lingua ufficiale è l’ arbreshe, l’abanese antico , e qui che opera Radio Epiro, libera, pirata e autogestita, come si definisce; la radio è molto attiva sul territorio e offre ai giovani del paese e dintorni l’opportunità di conoscere ed approfondire le tematiche sociali e musicali e qui che quattro "spasulati” che significa spiantati decidono di mettersi a suonare la reggae music. I musicisti sono bravi ma la radio gli offre molte opportunità così che nel 2001 sono chiamati ad aprire il concerto di Manu Chao a Milano riscuotendo un successo straordinario, poi quello di Linton Kwesi Johnson, partecipazioni al festival di Arezzo Wave e al Rototom Reggae Sunsplash di Osoppo(UD) - di cui abbiamo già parlato da queste pagine - li fanno conoscere ad un pubblico molto più vasto. La musica della Spasulati band è un concentrato molto sapiente di reggae, ska e di patchanka con una chiara ispirazione alla musica balcanica terra di origine dei loro avi. L'energia della band è assolutamente irresistibile e dal vivo riescono a coinvolgere straordinariamente il pubblico La band ha pubblicato, che io sappia, 2 album : il primo "Spasulati band", il secondo dal titolo "Pirati nei MHz".
Gli Invece, sono originari di Bovalino (Reggio Calabria) e sono presenti sulla scena musicale italiana sin dal 1986. Peppe De Luca, il leader del gruppo, si laurea a Bologna con una tesi sul “PUNK”, tornato al paese con altri tre compagni decide di formare il gruppo. La scelta del nome è dettata dalla esigenza di raccontare l’altra faccia della realtà della Calabria e del mondo. I temi delle loro canzoni, toccano i gravi problemi in cui versa la loro terra e la loro società: disoccupazione, criminalità, inquinamento, sfruttamento , droghe, arroganza dei potenti verso i poveri ed i deboli, intesi non solo come persone ma anche come paesi, come etnie.
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Il gruppo si separa per 2 anni ma il percorso artistico dei singoli componenti corre, il cantante Salvatore Scoleri vaga in giro per l’Europa con la sua chitarra come artista di strada, Peppe De luca si stabilisce a Londra affascinato dal reggae della comunità afro-caraibica presente in maniera massiccia a Brixton. Al rientro in Calabria il gruppo è più maturo e con una grande voglia di suonare e far sentire la propria voce, i pezzi sono più tecnici e ma sempre con forti connotati di lotta al potere una sorta di combat –reggae. Nel 1997 il gruppo è segnato da un grave lutto: il bassista viene assassinato da un mafioso locale, il gruppo decide di continuare a suonare e a lottare contro la cultura mafiosa della morte molto radicata in quelle zone. Inizia così la vera avventura musicale degli INVECE a suonare in giro per la Calabria e in tutta Italia e con incursioni all’estero Norvegia, Cuba. Il loro sound è una contaminazione di ritmi giamaicani che si fonde perfettamente con i ritmi tradizionali calabresi della tarantella. Hanno al loro attivo ( pare ) 3 CD intitolati “MA COMU SI FACI” “ MAMMA LI TURKI” e “ CHISTI SIMU “: nei primi due lavori si riscontra una forte aggressività musicale e rabbia che deriva un po’ dalle esperienze punk, il terzo, invece, si caratterizza per una forte influenza reggae mescolata alle melodie proprie della terra di Calabria. La band si esprime sia in italiano che in dialetto della Locride, conducendo anche un’attenta ricerca nel campo musicale, che ne fa accrescere la popolarità. Il loro è un messaggio diretto, che riesce a toccare nell’intimo l’ascoltatore e a sensibilizzarlo,capace di infondere speranza e volontà di cambiare, il tutto supportato da azzeccate melodie sonore. Spero di aver incuriosito non solo i numerosi lettori calabresi ma anche tutti gli altri che a giudicare dalle numerose visite sono tantissimi ed attenti.
WOODY GUTHRIE - QUESTA TERRA È LA MIA TERRA! Scritto da Jankadjstrummer Domenica 27 Settembre 2009 00:35 Settembre 2009 – Giorni fa su un canale sky ho rivisto il film “Questa terra è la mia terra” (Bound for glory) tratto dalla biografia di Woody Guthrie. Questo personaggio dell’ “altra America” che sono convinto solo in pochi conoscono, ha influenzato tutta una generazione di cantautori da Bob Dylan , Bruce Springsteen, Robbie Robertson, Billy Bragg e Steve Earle. Era un idealista a lui non interessava né il denaro né la popolarità, ma solo il desiderio di giustizia verso una classe operaia sfruttata e per niente garantita. Nei suoi testi non si parla di “american dream” o della terra promessa, ma di vagabondi che balzano su treni in corsa, di grande depressione, di presa di coscienza e di lotta , un mondo quasi sempre dimenticato. Woody Guthrie, era nato nel 1912 in Oklahoma e morto a New York nel 1967, è vissuto in una piccola città cresciuta nel periodo del boom petrolifero. La sua famiglia aveva fatto fortuna con il petrolio ma una volta esauritisi i giacimenti cadde in disgrazia. L’infanzia di Woody fu terribile: il dissesto economico familiare, la sorella morta per l’esplosione di una stufa, la casa distrutta dal fuoco, il padre bruciato nella casa in fiamme, la morte della madre per malattia. Woody ormai solo, inizia a vagabondare per tutti gli Stati Uniti, imparando a sopravvivere facendo qualsiasi genere di lavoro. Impara a suonare la chitarra e l’armonica. Per un breve periodo suona in un gruppo country perfezionando il suo strano modo di suonare la chitarra,
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inizia a scrivere canzoni che parlano della vita della gente, dei lavoratori, delle loro lotte, degli scioperi e della fatica quotidiana per la sopravvivenza. Lui stesso dice: "Scrivo le cose che vedo, le cose che ho visto, le cose che spero di vedere, da qualche parte, in un posto lontano." Approda a New York alla fine degli anni ’30 e incontra Pete Seger e Alan Lomax due folksinger che stanno riscoprendo la musica popolare. Woody scrive moltissime canzoni e diventa ben presto un punto di riferimento della musica folk americana. All’entrata in guerra degli USA con gli alleati nella II guerra mondiale, Woody è imbarcato nella marina mercantile, la nave viene affondata e lui approda come naufrago in Sicilia insieme all’inseparabile cantante Cisco Huston. Alla fine della guerra riprende a suonare e incidere canzoni, ma è un personaggio scomodo, si schiera nel sindacato e questo gli porterà molti problemi, allora c’erano le liste nere che rendevano la vita difficile agli oppositori. Nel primi anni ’60 le sue condizioni di salute peggiorano, si manifesta una grave malattia ereditaria che lo porterà fino alla morte. Dal punto di vista melodico le sue canzoni non erano irresistibili, a lui serviva la chitarra per accompagnare le sue storie, esprimere i suoi sentimenti, i valori in cui credeva. Ma lui le voleva così: per capire questo “eroe” è necessario leggere i suoi testi, il significato delle sue parole e non la sua musica. Perché, come scrive Bettelli nel suo libro il suo scopo era di dare voce a chi voce non poteva avere. Raccontare la lotta contro la fame, la disoccupazione, i soprusi. Nella sua chitarra aveva scritto, ‘quest’arma uccide i fascisti’. La chitarra era il suo fucile, le parole pallottole infuocate che colpivano i ricchi proprietari terrieri e gli affaristi e davano consapevolezza agli sfruttati. È stato lui, forse, il primo folksinger bianco, ha scrivere “ protest songs “ di ispirazione blues a cavallo degli anni ‘40/50. In quegli anni l’America cambiava, le epoche si inseguivano e lui imbracciando la sua chitarra cantava l’altra faccia del sogno americano, quello con poche speranze da coltivare, era lui che cantava di uguaglianza e di pari dignità ed opportunità in questa “dannata” America. Lo cantava nel brano più celebre, ‘This land is your land’, dove si esprime più o meno cosi: ‘questa terra è la tua terra, questa terra è la mia terra…questa terra è stata creata per te e me’. Un sogno , una utopia questo era Woodie. Ma in tanti hanno ascoltato, e poi dato voce a suoi sogni , Bob Dylan, per esempio, nel suo primo album, scrisse una canzone, ‘Song to Woody’, dove cantava ‘Guardo un mondo che è tuo, tue le cose e le genti, tuoi i poveri e i pezzenti, i principi ed i regnanti. Io però so che sai tutto quello che dico ed ancora più assai…’. Ma anche Bruce Springsteen dal vivo ha sempre inserito qualche pezzo di Guthrie. Nelle sue parole c’è l’America, quella delle pianure sterminate, delle grandi città che illudono tutti. Ci sono gli scritti di John Steinbeck, Jack Kerouac, e di tutta la Beat generation. Non vi nascondo che il film, a distanza di tanti anni, credo fosse del 1977, mi ha fatto riflettere sul presente. Certo, è passata una vita, però quelle parole, quei sogni, credo che siano ancora maledettamente attuali. Bibliografia : 1.
Le canzoni di Woody Guthrie’, a cura di Maurizio Bettelli (edizioni Feltrinelli).
2.
Questa terra è la mia terra autobiografia di Woodie Guthrie ( edizione Savelli )
3.
"Born to Win" ("Nato per vincere"), una raccolta di poesie, disegni e scritti vari,
4.
"Woody Sez" raccolta di articoli scritti per la rivista "People's world"
5.
Il romanzo "Seeds of man" ( il seme dell’uomo ).
6.
La canzone popolare in America: la rivoluzione musicale di Woody Guthrie Alessandro Portelli, 1975, Dedalo, Bari.
7.
Canzoni e poesie proletarie americane/Woody Guthrie, Joe Hill e altri a cura di Alessandro Portelli, 1977,Savelli, Roma.
Questa terra è la tua terra Questa terra è stata creata per te e per me Questa terra è la tua terra, questa terra è la mia terra dalla California fino all'isola di New York, dalla foresta di sequoie, fino alla corrente del golfo,
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questa terra è stata creata per te e per me. Percorrendo quel nastro di strada vedendo sopra di me quell'infinita strada nel cielo, vedendo sotto di me quella valle tutta d'oro, dissi: questa terra è stata creata per te e per me. Ho vagato e girovagato e sono tornato sui miei passi alle spiagge scintillanti dei suoi deserti di diamanti, tutt'intorno a me risuonava una voce: questa terra è stata creata per te e per me. C'era un grande muro alto che cercava di fermarmi un cartello dipinto diceva: Proprietà Privata. Ma dall'altra parte non c'era scritto niente questa terra è stata creata per te e per me. Mentre il sole splendeva io giravo senza meta i campi di grano ondeggiavano e le nuvole di polvere rotolavano; una voce cantava mentre saliva la nebbia: questa terra è stata creata per te e per me. Una bella mattina di sole all'ombra del campanile vidi la mia gente davanti all'Ufficio Assistenza loro erano lì affamati, io ero lì che mi chiedevo se questa terra è stata creata per te e per me.
Ballads of Sacco and Vanzetti
Testi e musiche di Woody Guthrie I just want to sing your name Red wine Suasso's lane The flood and the storm Vanzetti's rock Root hog and die Sacco's letter to his son You souls of Boston Old judge Thayer We welcome to heaven Vanzetti's letter Two good men Woody Guthrie: chitarra e voce Pete Seeger: banjo e voce in "Sacco Letter To His Son" Sacco e Vanzetti erano gli anarchici italiani ingiustamente condannati a morte per omicidio e rapina e uccisi con la sedia elettrica nel 1927. La loro innocenza fu riconosciuta dallo stato del Massachussetts nel 1977. CANTANTE PROFETA In un punto lontano della mente sento i ragazzi che questa sera nello spaccio militare davanti a un bicchiere di birra cantano le loro canzoni finché nei loro occhi non spuntano lacrime di solitudine e di nostalgia. Le loro non sono canzoni di guerra, non parlano di mitragliatrici o di spari. Le loro sono le canzoni del ritorno a casa, al vecchio bar dietro l’angolo. Canzoni su occhi castani, occhi blu, occhi neri e ardenti, occhi di tutti i colori, e ciascuno di quegli uomini, seduto a tavolino con la sua birra, canta a testa china e a occhi chiusi. E cantando rivede casa sua. Anch’io mi rivedo a casa. Sento me e Marjorie cantare per i nostri bambini dondolandoci di qua e di là. E sento i ragazzi del club accanto che cantano e sospirano e si abbracciano, e si fanno il solletico e si toccano e ridono nella luce della loro cantina con il giradischi. Mi piace sentire le vostre case che cantano. Mi piace sentire urlare le vostre finestre. Mi piace il suono delle vostre canzoni che per tutta la notte alimentano il fuoco con i loro sospiri. Io sinceramente vivo nella speranza che
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quando finalmente uscirò da questo accidenti di campo militare sentirò ogni porta e ogni finestra cantare per tutta la notte, finché non spunta il giorno. Io le chiedo, signor Presidente, la prego, lasci che dappertutto tutti cantino tutta la notte. Canzoni d’amore, di lavoro, canzoni della nuova speranza. Questo guarirà ogni creatura che sta in prigione, in manicomio, e anche i malati in ospedale. Provi e vedrà. Io lo so. Sono un cantante profeta. Coney Island - 1 Giugno 1948 –
SUONATORI LIBERTARI CALABRESI Scritto da Jankadjstrummer Martedì 06 Ottobre 2009 09:49 “Quannu vene l’anarchia” potrebbe essere un auspicio, un desiderio recondito, una utopia di un gruppo di sognatori oppure l’ostinazione di bravi musicisti con tanta voglia di condividere, di suonare e gioire con gli altri esprimendo in una lirica dialettale, una forte passione e una fede sincera. Credo che I SUONATORI LIBERTARI CALABRESI siano tutto questo. Si è sempre detto che Anarchia fa rima con poesia e quindi che la canzone di protesta e di lotta è un mezzo espressivo popolare per diffondere capillarmente il credo libertario e antiautoritario, cosi gli SLC hanno confezionato un disco corale prodotto da un ensamble di suonatori già presenti sulla scena musicale Amanteana dagli anni ’70, iperattivi che sfoderano sempre un entusiasmo disarmante. Il gruppo ha deciso di esprimere la rabbia, la solidarietà, l’antagonismo con la canzone militante musicata con strumenti della tradizione popolare. Reperire questo disco non è stato facile, la distribuzione per questo tipo di prodotti, purtroppo, non esiste, i musicisti stessi devono promuoverlo attraverso la rete capillare del passa parola. Conosco personalmente quasi tutti i componenti del gruppo e sono consapevole di essere in un certo senso condizionato nel giudizio ma bisogna oggettivamente constatare che in questo disco ci sono delle “perle “ alcune già ascoltate dal vivo come “ e ‘mo ca simu cca” e “unn’e ppe fa paroli “ in cui c’è lo zampino del grande Enzo Ruffolo eclettico della musica folk amanteana che ha seguito un percorso musicale diverso ( che affronteremo,magari, in un altro intervento). Calabria terra bella, Calabria terra di briganti, Calabria terra di ribelli, anche se ti hanno depredata e derubata di tutto rimani sempre bella…….diciamolo chiaro che la gente di Calabria non si arrenderà! Strofa tratta da “unn’e ppe fa paroli “ Questo pezzo è un atto d’amore per le proprie radici in cui traspare il forte desiderio di restare, di non emigrare, per un riscatto di questa terra martoriata, è un atto di accusa e di condanna per i politici, per poteri forti e n’drangeta che hanno svilito un intero popolo. “ L’emigrante”, “La strina di Judeu”, “Cinque guaglioni”, “si dice libertà” pezzi che rappresentano un momento di vero lirismo di denuncia. E come nella migliore tradizione dei canti anarchici e libertari, canzoni di protesta dirette, senza fronzoli, cantate per scuotere le coscienze e per non dimenticare, Dal punto di vista musicale il lavoro risulta un po’ frammentario e discontinuo, a volte contaminato da suoni di oltreoceano, l’armonica e il tempo sono tipici dei folksinger americani che denotano che molti di loro hanno attinto dalla cultura Dylaniana.
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Ma veniamo alle perle di cui parlavo prima, scritte dalla penna pungente di Felice Campora, ho trovato il pezzo “l’emigrante” di grande qualità sia nel testo che nella musica, l’ho trovato originale e non retorico. Anche la ballata dei “Cinque guaglioni” è notevole, rievoca una storia degli anni 70: la morte di 5 ragazzi in auto in circostanze non chiare, erano dei giovani anarchici cosentini in possesso di documenti che provavano responsabilità di apparati dello Stato in una strage su un treno a Gioia Tauro in cui persero la vita 6 persone, plico che dovevano consegnare in “mani sicure”, ma di quel plico dopo l’incidente d’auto se ne persero le tracce. Anche la “strina du Judeu “ è un grande contributo, rime improvvisate tipiche di Lago(CS) accompagnate dalla chitarra in cui si inserisce sapientemente il suono pastorale di un flauto, molto toccante, bello veramente. Avrei preferito che tutti i pezzi fossero delle tessere di un mosaico e che dipingessero un affresco di cultura contadina, di lotta, di disagio e perché no di allegria e baldoria, ma va bene lo stesso ce ne fossero di artisti di talento e di impegno come I suonatori Libertari Calabresi…. DISCO FORTEMENTE CONSIGLIATO - QUALORA NON RIUSCISTE A REPERIRLO CHIEDETE UN CONTATTO ALL’INDIRIZZO E-MAIL: fecampora@tin.it – jankadjstrummer@friendsofpoplar.it
SIMPLE MINDS Scritto da Jankadjstrummer Martedì 13 Ottobre 2009 06:20 NEW GOLD DREAM 81-82-83-84 A novembre saranno i tour in Italia per quattro concerti: il 5 a Firenze, il 6 a Ancona, il 7 a Roma e l’8 a Padova.Il Graffiti Soul world tour segue la pubblicazione del quindicesimo album in studio, ‘Graffiti Soul’, pubblicato a maggio e già recensito da queste pagine. La band proporrà dal vivo brani dell'ultimo lavoro discografico, ma la scaletta sarà inoltre composta dai numerosi successi targati anni ’80 : ‘Love Song’, ‘Promised You A Miracle’, ‘Sanctify Yourself’, ‘Glittering Prize’, ‘Alive And Kicking’, ‘Waterfront’, ‘Don’t You Forget (About Me)’, ‘Up On The Cat Walk’, ‘Speed Your Love To Me’ e molte altre. Per entrare nell’atmosfera di quegli anni e per riscoprire questo gruppo simbolo metto sul piatto quello che è per me il loro lavoro migliore 'New gold dream', del 1982. Questo disco addolcisce il suono e le atmosfere rispetto ai primi tre album incisi in due anni di attività 'Empires and dance', 'Sons and fascination' e 'Sister feelings call' albums che avevano un non so che di cupo, dark, mentre le storie qui assumono colori differenti. Il rock fa da protagonista e si fonde con le componenti elettroniche in una perfetta alchimia. Parte il disco è sei subito rapito da 'Someone somehere in summertime', la voce di Jim Kerr che canta 'Stay, I' m burning slow...' il brano brucia lentamente su di un fuoco fatto di tastiere e chitarre, la sua voce diventa solo un tassello di un sound fino ad allora mai ascoltato fatto di chitarre che non spadroneggiano e delle magistrali tastiere di McNeil che dipingono un quadro suggestivo a volte romantico ed a volte crepuscolare. Anche il basso di Derek Forbes è una importante tessera del puzzle e diventa uno strumento con un forte carattere, bellissima l’introduzione di 'Glittering prize' e l’ossessiva 'Big sleep' ed ancora Promised you a miracle che una delle hit del disco con la voce di Kerr ben in evidenza. E poi la title-track 'New gold dream' che ti investe con tutta la sua bellezza. Inizia con una sorta di galoppo o una locomotiva che corre sulle rotaie, percussioni vibranti e un riff di tastiere che formano un tappeto da cui emerge la voce classica quasi baritonale di Kerr che inneggia al sogno dorato degli anni ’80, è un pezzo che lascia il segno e vorresti ascoltarlo all’infinito per gustarne tutte le sfumature. Il pezzo è il manifesto di una epoca, ho letto da qualche parte che è uno dei ritornelli più cantati durante la caduta del muro di Berlino. Ma il brano migliore è forse il più difficile è “ the hunter and the hunted”, cacciatore e preda. Ospite nel brano è il grande Herbie Hancock alle tastiere, il pezzo è una attesa di qualcosa che deve succedere, l’attesa di un ritornello che non arriva. Un capolavoro. Credo che sia il disco più rappresentativo della new wave, invito, quindi, i più
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giovani a scoprire questo disco eccezionale e ai meno giovani di fare un salto nel passato e assaporare il suono di quegli anni peraltro ancora attualissimo.
BRANI 1.
someone someware in summertime
2.
colours fly and catherine wheel
3.
Promised you a miracle
4.
Big sleep
5.
Somebody up there likes you
6.
New Gold dream ( 81/82/83/84)
7.
Glittering prize
8.
Glittering prize
9.
Hunter and the hunted
10.
King is White and the crowd
ORZIC TENTACLES "Psycadelic Freaks" Scritto da Jankadjstrummer Lunedì 19 Ottobre 2009 07:32 Dopo i Mercury Rev siamo alla seconda puntata di The MUSIC BOX una rubrica che riscopre le formazioni che non hanno molta visibilità in Italia. Questa volta segnalo un gruppo strumentale inglese di rock psichedelico con molte influenze elettroniche gli Orzic Tentacles attivi dai primi anni 80 prevalentemente nell’ambito dei Festival rock inglesi. Il loro primo disco ufficiale risale al 1989 dal titolo Pungent Effulgent. Ma il salto di qualità fu il loro secondo lavoro Erpland che sulla base dei concept- album narra le vicende di un eroe di fantasia Erp personaggio mascotte che sarà poi ripreso nelle copertine dei lavori del gruppo. Anche il loro terzo album Strangitude del 1991 che includeva un brano Sploosh!, usato come spot per la BMW e il loro 4° album Jurassic Shift del 1993 ebbero un discreto successo tanto da entrare nella Top ten inglese. Il gruppo ruota intorno a due figure di primo piano Ed Wynne (chitarra e tastiere) John Egan, detto Champignon (flauto) mentre gli altri membri della formazione variavano in continuazione, tanti musicisti tra i quali Chris Smith e addirittura Harry Waters figlio di Roger W. dei Pink Floyd alle tastiere e sintetizzatori. La band, non mai raggiunto il grande pubblico probabilmente perché è mancato nei brani il cantato ma la loro musica è apprezzata da orde di appassionati di rock psichedelico e di musica elettronica per il loro stile unico, esaltato dalla grande produzione live: sound ipnotico, psichedelia, ottimo impianto scenico e di luci abbaglianti. La dimensione live è quella che più si addice al gruppo, li ho visti a Firenze credo
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fosse il 1998 all’ Auditorimu FLOG quindi in una dimensione da Club, non fu un concerto affollatissimo anzi saremmo stati 500 persone. L’atmosfera era elettrica, l’attesa snervante, hanno iniziato il concerto verso le 23:00 con 1 ora e mezza di ritardo, mi ero quasi spazientito, ma è bastata qualche nota per farsi perdonare, melodie elettroniche, chitarra potente, basso con influenze black e poi John Egan Champignon il front-man con la sua valigia colma di flauti e clarini di vari tipi e forme e sullo schermo immagini deformate, caleidoscopiche che ti guidano verso una “Trance collettiva” non so quanto vera o simulate da parte del pubblico ma sicuramente era vera quella dei musicisti da sempre legati alla cultura Hippie e al mondo delle droghe psicadeliche, sempre presenti al solstizio d’estate di Stone-Ange con i loro sandali e le loro lunghe casacche multicolori. I pezzi proposti erano lunghi e dilatati con continui cambi di tempo di chiara ispirazione progressive. Devo dire che l’attesa fu ampiamente ripagata, il concerto memorabile, per farvi capire l’atmosfera che si respirava, basti dire che i Tentacoli di Oz regalavano “cartine “ con Erp il logo della band.. Quest’anno sono usciti con un lavoro intitolato The yumyum tree, che, per quanto mi riguarda, non è entusiasmante perché credo che manchi freschezza oltre che essere un po’ ripetitivo. Sono pero convinto che se qualche curioso lettore freakettone ascolta per la prima volta questo disco, troverà interessante il connubio elettronica e dub presente in pezzi quali “Mooncalf” oppure “Magic Valley”.
PEARL JAM "BACKSPACER" Scritto da Jankadjstrummer Sabato 24 Ottobre 2009 05:28 L’uscita discografica dei grandi nomi del rock porta sempre con sè delle aspettative, i PJ non fanno eccezione, mentre tolgo il cellophane da questo nono disco della band di Seattle, mi chiedo se avranno mantenuto sempre lo stesso sound, la stessa rabbia degli ultimi anni in cui traspariva e veniva trasferita in musica la voglia di opporsi alla politica suicida di Bush. Faccio partire il disco, il pezzo con cui aprono si chiama“Gonna See My Friend “ è veloce in perfetto stile PJ ” testo semplice, strofa / ritornello alternati, conditi con riff di chitarra che richiamano la loro migliore produzione, anche “The Fixer” rientra in questo cliché, brano che scivola via veloce; mentre “Supersonic” ti guida con i suoi sferzanti riff ad imbracciare una chitarra inesistente e mimare ballando una tua partecipazione sul palco. Credo sia il pezzo migliore del disco. Poi, sia “Amongst The Waves”che “Unthought Known richiamano musicalmente il “grunge” ma la voce di Eddie Vedder riesce a dare originalità e concretezza ai pezzi. Altri brani,invece, prendono direzioni diverse : “Got some”, “Force of nature”e “Johnny guitar” sono chiaramente più influenzate dalla new-wave e dal pop. Una ventata di leggera brezza che si nota anche nei testi, rivolti all’amicizia, alle relazioni e al ‘grunge’ di tutti i giorni (in “Got some” si parla di dipendenza dalla droga) anziché ai grandi temi politico-sociali, ma Vedder e soci ce li consegnano con lo stesso ritmo e la stessa rabbia. Certo ora a guidare le sorti degli USA e del mondo c’è Obama che si trova a portare sulle spalle tutti i problemi del paese anche i PJ sono carichi di speranza e questo sentimento si percepisce in tutto il lavoro. Credo che “Backspacer” si possa considerare il disco della maturità anche nella scelta di autoprodursi contro la major americane, I Pearl Jam, peraltro, non sono nuovi a questo genere di iniziative. Nel 1994, per es., decisero di abbassare il costo dei biglietti dei loro concerti
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mettendo in discussione l’utilizzo della Ticketmaster, la principale agenzia di biglietti del paese. La società fece terra bruciata nei loro confronti costringendoli ad annullare il tour, ma loro, con tenacia, denunciarono la società all’antitrust del Dipartimento di Giustizia Americano per abuso di posizione dominante riuscendo a spuntarla. Ma la maturità è anche musicale suoni eterogenei, freschezza che si intravede nelle uniche due ballate presenti nel disco: “The end”, La cosa che si nota di più in questo disco è che i Pearl Jam non vogliono invecchiare, come si dice in gergo, pestano molto, la band è nel pieno del suo vigore, sforna riff che si memorizzano facilmente, la voce di Vedder è sempre all’altezza e il chitarrista Michael David McCready, è perfetto ed originale. Buon ascolto. **** Giudizio Ottimo TRACKLIST: 1) "Gonna see my friend" 2) "Got some" 3) "The fixer" 4) "Johnny Guitar" 5) "Just breathe" 6) "Amongst the waves" 7) "Unthought known" 8) "Supersonic" 9) "Speed of sound" 10) "Force of nature" 11) "The end”
REM "INVITO ALLA LETTURA" Scritto da Jankadjstrummer Sabato 24 Ottobre 2009 07:00 LA STORIA DEI R.E.M di MILENA FERRANTE: Finalmente i fans più incalliti avranno il loro libro cult E’ uscito, infatti, in questi giorni - La storia dei ‘Rem’, una delle più grandi band del rock contemporaneo,all’attivo da circa un trentennio. Milena Ferrante ripercorre la loro biografia e il loro percorso artistico dall’esordio dell’album “Murmur” fino ai loro ultimi tour mondiali “Aruound the sun” e “Accelerate”, arricchita da una discografia completa, locandine e foto a colori della band. Il libro ripercorre gli albori della loro carriera quando rappresentavano le promesse della scena underground fino alla loro ascesa nell’Olimpo delle rockstar più illuminate e sensibili, di band amata e seguita in tutto il mondo.
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Milena Ferrante ha scritto molto più di una biografia ma è un grande, approfondito contributo di una fan accanita della band, ricco di notizie,curiosità ed aneddoti. Otto capitoli di approfondimenti sulla loro storia umana e artistica: gli esordi dei primi anni ‘80 , la scena di Athens, Georgia, la loro città , il primo album di culto, 'Murmur', il tour con i Police e la scoperta dell’Europa , l’ascesa tra le star del rock , i dischi capolavoro dei primi anni ‘90, 'Out Of Time' e 'Automatic For The People' , le vicende il drammatico abbandono del batterista Bill Berry, colpito da un ictus durante un concerto, i progetti paralleli, Michael Stipe e il suo amore per il cinema. Ogni capitolo è arricchito da uno spazio di approfondimento e curiosità (i Rem in Italia, i Rem e la politica, i video, i siti web ecc). Per finire è indicata la loro discografia completa ed esaustiva oltre all’elencazione dettagliata delle partecipazioni dei componenti del gruppo a progetti paralleli, il tutto, illustrato con copertine, memorabilia, foto a colori che raccontano il loro percorso artistico.
LA DICHIARAZIONE DI DIPENDENZA DEI KINGS OF CONVENIENCE Venerdì 30 Ottobre 2009 21:24 | Scritto da Jankadjstrummer | Sono convinto e anche loro ne sono consapevoli di non essere molto originali e di attingere a piene mani dal “sound of silence” di Simon & Garfunkel, sarà questa la loro dichiarazione di dipendenza, un atto d’amore e di riconoscenza ai loro numi tutelari di oltreoceano. I Kings of Convenience sono un duo formato da Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe, provenienti da Bergen, nella gelida Norvegia. I due si conoscono da sempre, si racconta che la loro amicizia sia nata ad un concorso scolastico di geografia tra il secchione Eirik e il discolo Erlend, come si sa, gli opposti si attraggono per cui da allora non si sono più separati e già a sedici anni avevano un loro gruppo e registrato un disco; ma come tutti i progetti giovanili sono spesso fugaci per cui il gruppo si sgretolò e rimasero i due amici a continuare con il nuovo progetto Kings of Convenience. Si trasferiscono a Londra e, con l'allora produttore artistico dei Coldplay, Ken Nelson, escono con il loro primo album di inediti Quiet Is the New Loud con cui raggiungono un grossa popolarità, tanto da fare scuola ed influenzare un nutrito stuolo di gruppi definiti neo-acustici che incentrano il loro sound su melodie complesse e sofisticate. Ma la vera esplosione di notorietà e quindi di successo di pubblico avvenne all’indomani della uscita, nel 2004, di Riot on an Empty Street disco che dimostra anche una certa evoluzione nel sound: lo stile rimane inalterato ma arricchito dal pianoforte e dagli archi. I singoli Misread e I’d Rather Dance with You diventano delle hit popolari anche in Italia . Dall’estate 2004 il gruppo rimane inattivo senza un vero motivo tanto da far ritenere che si stesse per sciogliere, i rumors erano suffragati dalla constatazione che entrambi i membri avevano formato dei gruppi paralleli. Solo nel 2007 hanno suonato in un concerto in Messico e in quell'occasione hanno annunciato l'inizio dei lavori del nuovo album registrato, poi, a Rubiera in provincia di Reggio Emilia, città del loro produttore artistico Davide Bertolini, disco dal titolo Declaration of dependance uscito qualche giorno fa. La loro musica propende per le sonorità delicate, rigorosamente acustiche, voci sussurrate, e per le fantasiose evoluzioni melodiche con la chitarra. Entrambi i componenti del gruppo scrivono e cantano le loro canzoni. Declaration of Dependence, è un disco invidiabile, gradevole ed
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equilibrato, nonostante lo stile sia un po’ monotono. I Kings of Convenience hanno fatto in modo di impreziosire, di rendere più singolare la loro musica. Due sono le perle contenute nel disco “Mrs. Cold” e “Boat Behind”, ma anche gli altri pezzi evocano momenti magici e intensi, il duo dei fiordi si trova a suo agio sia a suonare impegnato che a cimentarsi nella Bossa Nova, è un disco senza percussioni ma con un grande ritmo che ci dimostrano che sono un gruppo di gran classe. Giudizio *** buono
ONDA ROCK ITALICA Domenica 08 Novembre 2009 12:34 | Scritto da Jankadjstrummer | ZEN CIRCUS "Andate tutti affanculo" Il rock Italiano è vivo e vegeto, in questi giorni sono usciti 3 album veramente belli che voglio segnalarvi per l’ascolto: gli Zen Circus “ andate tutti affanculo” , gli Amari “ Poweri” e i Ratti della Sabina “ Va tutto bene” tutta produzione nostrana controllata e garantita al 100%. “Essere stronzi è dono di pochi, farlo apposta è roba da idioti” Tutto si può dire tranne che il titolo non sia esplicito, questi giovani pisani se la prendono un po’ con tutti, in questi 10 pezzi che compongono il disco c’è molta gente da mandare a quel paese: i giovani che sono già vecchi, i nati vincenti, la violenza in famiglia, la gente di merda, il sindaco mafioso, la Chiesa, Miss Padania e per finire gli amici che comprano le “ SMART” mentre le mogli fanno sesso con mezza città. Gli Zen Circus avevano voglia di rompere con il perbenismo bieco della nostra Italietta, tanto da scegliere di cantare in Italiano dopo 4 album in inglese, scavando fino alla radice nei nostri malesseri, non sono predicatori ma sono anche loro immersi, in questa vita di “merda” che deridono con ironia. Le invettive, se cosi vogliamo chiamarle, potrebbero appararire volgari e sboccate ma non lo sono affatto, rappresentano un modo colorito di esternare i propri sentimenti con un linguaggio che è tipico dei giovani di questo decennio. Le 10 tracce del disco sono un caleidoscopio di suoni che abbraccia di tutto: il punk, i suoni anni 80 di chiara ispirazione toscana ( i primi Litbiba, Ottavo Padiglione), il folk, chitarre acustiche che a volte diventano distorte come nel brano “ gente di merda “ già presente nella compilation “il Paese è reale” degli Afterhouse, qui in una versione molto addolcita. Gli Zen Circus raccontano storie di vita quotidiana si parte con L’egoista, la rappresentazione di uno stereotipo d’uomo. Seguono Vecchi senza esperienza pezzo che sembra scritto da un Finardi giovane e It’s paradise in cui si affronta con spirito canzonatorio il tema della morte, molto bella l’ultima parte strumentale del brano poi We just wanna live è un pezzo classico molto ironico che sembra quasi una canzone di chiesa, un gospel nostrano. In “Vuoti a perdere” compare Nada a cui viene affidata la parte vocale di questo brano, peraltro, molto potente e ben costruito, segue Andate tutti affanculo, senza dubbio il pezzo più importante dell’album. In Amico mio e Ragazza eroina c’è traccia dei cantautori degli anni 70/80 specie di Rino Gaetano, Ed infine Canzone di Natale, un pezzo molto dolce ma amaro nei contenuti: la festa del Natale che bisogna festeggiare a tutti i costi anche in una situazione di crisi economica e di incertezza del futuro (“io non lo so se arrivo in fondo o no a questo pranzo” e “fa che mi abbiano regalato i contanti e non il solito paio di guanti“). L’album è indubbiamente ottimo, forse uno dei migliori del 2009 sia per i testi che per la musica, ogni pezzo mette a nudo un vizio, un comportamento umano condito con una ironia che spiazza, dieci canzoni come le dieci novelle di Boccaccio come qualcuno ha suggerito, non
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sarà certo un disco che passerà inosservato! E poi sono curioso di scoprire se Abdul il pusher nordafricano ha accettato i 20 € e i guanti regalati dalla nonna e gli ha consegnato la sua dose giornaliera di stupefacenti. Brani 01. 02. 03. 04. 05. 06. 07. 08. 09. 10.
L'egoista Vecchi senza esperienza It's paradise We just wanna live Vuoti a perdere Andate tutti affanculo Amico mio Ragazza eroina Gente di merda Canzone di Natale.
Autore: The Zen Circus Informazioni aggiuntive su Andate Tutti Affanculo di The Zen Circus Supporto: CD Data di uscita: 11/09/2009 Formazione: - Appino: chitarra e voce - Ufo: basso e cori - Karim Qqru: batteria Ospiti: - Nada Malanima: voce in #5 - Brian Ritchie: chitarre in #8, voce in #3 - Giorgio Canali: chitarre in #2, 7 - Davide Toffolo: voci e immaginario in #8 - Francesco Motta: pianoforte in #10, cori in #6, 7 - Sara Ardizzoni: cori in #6, 7, - Alessandra Zizza: cori in #4, 6, 7 - Piddu: grancassa da banda in #3 - Abdul: se stesso al telefono in #10 Produzione artistica: - Max 'Stirner' Fusaroli
GLI AMARI “ POWERI” Lunedì 09 Novembre 2009 15:23 | Scritto da Jankadjstrummer | Quintetto Friulano del rock nostrano Poweri Ho fatto un po’ di casino Girls on Vodka Dovresti Dormire There there there Your kisses Acqua di Joe New people in town Cronaca Vera Chupacabra
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Preservativi ovunque Lost on the sea Gli anni dei monitor accesi Lucio B / D Tiger Un altro giro attorno a casa
Il quintetto friulano degli Amari è giunti al loro quinto album intitolato Poweri, esce a distanza di quasi 2 anni da “ Scimmie d’Amore” album che ha proiettato il gruppo verso la vetta dell’ indie-pop riuscendo a ritagliarsi un discreto spazio nel panorama del rock nostrano. Questo nuovo album ripercorre la strada già battuta dai due precedenti album, un sound quasi cantautoriale che ricorda un po’ Samuele Bersani; la novità di questo disco è l’uso frequente della lingua inglese cosa rara negli altri album. Il primo ascolto mi ha lasciato un po’ disorientato non mi aspettavo un disco così, ripeto con molta lingua inglese, con un ritorno al suono degli anni ’90 e con echi di disco dance a cui non ero abituato, mi era sembrato una sorta di cocktail forse con troppi ingredienti dentro. L’ ho copiato sul mio I-Pod e mi sono ripromesso di ascoltarlo nei ritagli di tempo al lavoro, certo la cuffietta aiuta ma il successivo ascolto mi è sembrato più maturo, più potente. Ci sono pezzi discreti ed orecchiabili come “ Ho Fatto Un Po’ Di Casino” “ Lost On The Sea” “Dovresti Dormire” ma si trovano anche pezzi elettro-rock sperimentali come Chupacabra, “Girls On Vodka” tutti i brani, in qualità, restano sempre nella media senza però una sensazionale ispirazione. Ho trovato momenti intimisti quali “Gli Anni Dei Monitor Accesi”, “Un Altro Giro Attorno A Casa”, “New People in Town” che si mischiano all’elettropop di “Tiger” e alle forti pulsazioni del sintetizzatore di “Preservativi Ovunque”. Il pezzo migliore, però, è senza dubbio "Your Kisses", bel ritmo e un bel giro di basso che ne fanno sicuramente una hit di questi mesi. La mia impressione che il gruppo friulano riesca nel tentativo di essere all’altezza dei lavori precedenti perché il disco è gradevole e scorre abbastanza bene ma manca di quella carica innovativa che li ha contraddistinti e che li ha fatto amare dal pubblico più esigente. Non ci sono pezzi di facile presa tipo “Le Gite Fuori Porta”, “Manager Nella Nebbia ” contenuti in “Scimmie d’Amore” ma la bellezza del disco sta nella ironia che pervade tutto il lavoro, 15 brani che vanno giù leggeri come una birra fresca in estate perché parlano di quotidianità e di esperienza di vita giovanile senza molte paranoie. Giudizio *** Buono Inserisco anche i brani del disco del 2007 che vi consiglio vivamente. Scimmie D’Amore 1 La Squadra E’ Dura Al Lavoro 2. Le Gite Fuori Porta 3. Il Raffreddore Delle Donne 4. Manager Nella Nebbia 5. Parole Vere In Un Mondo Vero 6. Arpegginlove 7. Ice Albergo 8. 30 Anni Che Non Ci Vediamo 9. Fiamme In Un Bicchiere 10. Scimmie D’Amore 11. E2 E45
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I RATTI DELLA SABINA “ Va tutto bene” Giovedì 12 Novembre 2009 07:37 | Scritto da Jankadjstrummer | Brani di “Va Tutto Bene”: Eccomi qua Un po’ di Sole Qualcosa d’interessante Quante volte La banda Sette stelle Piccolo principe Sarà per questo Una strana logica Oggi io Tra la Luna e la tua schiena Un po' di Sole E cercherò un sorriso per vedere se si può, per riuscire un po' a spostare questo tempo fermo, troppo fermo. Niente,è vero,di quello che dite. Niente,di quello,che trasmettete. Niente,di quello,che vi credete. Niente,di tutto,quello che sembrate....
I ratti della Sabina sono una band formata da elementi provenienti dalla Sabina nella zona di Rieti, Roberto Billi e Stefano Fiori giovani illuminati e con tante idee per la testa decidono di formare un gruppo, a loro si aggiungono altri musicisti folk e rock per cui è gioco forza che diventino un ensamble rock in cui la tradizione gioca un ruolo determinante; è quasi una piccola orchestra di otto elementi che esprime tutta la sua carica nella dimensione live messa in luce in 13 anni di attività. E’ uscito finalmente il loro sesto album in cui è evidente la loro svolta rock anche se continua ad esprimersi senza nessuna sofisticazione elettronica ma utilizzando gli strumenti della tradizione. E' ovvio che la loro dimensione iniziale street folk e da festival di buskers non è disconosciuta, ma con questo nuovo cd le opzioni da tentare sono tante. La limpidezza del canto, la metrica dei versi di matrice cantautorale, i suoni robusti e semplici sono gli ingredienti di un disco piacevole e scorrevole. Nei brani più svelti (come ´Un po’ di sole´, nelle strofe de ´La banda´ o nel ritmo di ´Oggi io´) assumono, per brevi tratti, ispirazioni punk, ´Sette stelle´ un pezzo frenetico che ricorda gli spagnoli Ska-p., Il mondo dei Ratti è scanzonato, disincantato, pronto a trovare un rifugio nella fiaba, nell’entusiasmo degli artisti di strada, nella fantasia variopinta, leggera, ottimista di chi non è sicuro di distinguere come dicono loro ´tanto bene la realtà´, ma pensa che in fondo ´ognuno dovrebbe inventarsi la sua storia e raccontarla´ (´Eccomi qua´). Certo non si parla di ottimismo del ´va tutto bene´ (´Una strana logica´), come risposta mediatica a qualunque problema ma è la forza d’animo di chi riesce anche a cantare ´una ninna nanna suadente per tutta la gente che piange innocente(´Oggi io´). Essenziali sono le sonorità acustiche,il mandolino di ´Piccolo Principe´, mentre la base ritmica è del folk-rock dei Nomadi oppure di De Gregori, nel brano ´Quante volte´. ´Tra la luna e la tua schiena´, il brano più pop del lavoro, tra suoni acustici, fisarmonica, che lo rendono piacevole.. Questo non è un disco particolarmente impegnativo ma costruito con molta passione e puro sentimento. Giudizio: buono Discografia 1998 2001 2003 2006 2007 2009
(2004) - Acqua e terra - Cantiecontrocantincantina - Circobirò - A passo lento - ... sotto il cielo del tendone - Va tutto bene
Formazione
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Carlo Ferretti: batteria, percussioni Valerio Manelfi: basso elettrico e acustico Alessandro Monzi: violino e shaker Roberto Billi: voce, chitarra acustica Paolo Masci: bouzuki, mando banjo, dobre Alberto Ricci: fisarmonica Eugenio Lupi: chitarra elettrica Stefano Fiori: voce e chitarra acustica
GENESIS “Selling England By The Pound” Giovedì 12 Novembre 2009 09:02 | Scritto da Jankadjstrummer | Correva l’anno 1973 ero ancora un ragazzino, mi piaceva andare a studiare il pomeriggio a casa di Sergio, un caro compagno di liceo, perché prima di metterci sui libri dedicavamo un’ oretta a pescare nella fornitissima discografia rock dei suoi fratelli più grandi, una vera e propria miniera di “progressive” . Fu in quel contesto che ascoltai per la prima volta i Genesis, "Nursery Crime", "Foxtrot", "Trespass" erano gli album che ascoltavamo con assiduità, ero rapito dal suono romantico e strutturato degli strumenti, dalla voce armoniosa di Peter Gabriel così che appena sentii alla radio dell’uscita del nuovo lavoro dei Genesis “Selling england by the pound” mi fiondai a comprarlo (era uno dei miei primi acquisti). Con grande meraviglia scoprii che all’interno c’erano sia i testi in inglese che le traduzioni in Italiano, cosa peraltro molto rara all’epoca. Fu uno dei dischi che ho amato di più in assoluto ed ascoltato fino allo sfinimento. Lo riascolto a distanza di anni e constato, con piacere, che non ha perso nemmeno un po’ della freschezza dell’epoca. Il lavoro parte in maniera magistrale: "Dancing With The Moonlit Knight" inizia con un canto, come si direbbe oggi a cappella, di Peter Gabriel, accompagnato dalla chitarra di Hackett che ci proietta in pieno medioevo; vengono poi chiamati a raccolta tutti gli strumenti con un gioco delle parti, prima la chitarra e poi le tastiere di Tony Banks che prevalgono sugli altri alternativamente, l’atmosfera diventa magica, se chiudi gli occhi puoi tranquillamente calarti in una brughiera inglese popolata di gnomi, fauni e fate. In "I Know What I Like" è, invece, P.Collins a prendere le redini, inizia con un recitativo ritmato dalle percussioni fino a che un ritornello fresco e orecchiabile, fuso con una melodia classica, ci conduce verso verdi pianure. Una stupenda introduzione di piano, che sarà un cavallo di battaglia dei Genesis, fa da battistrada a "Firth Of Fifth"; il pianoforte si ferma e gli strumenti diventano un suono unico ed armonioso; Gabriel dà lustro a questi suoni con la sua voce melodiosa; improvvisamente tutto si placa ed entra un dolce flauto che ritmicamente accompagna il brano, poi un susseguirsi di assoli prima di tastiere e poi di chitarra ci conducono verso territori inesplorati. Un autentico capolavoro. "More Fool Of Me" è un pezzo intimista e acustico cantato da Collins, in cui c’è solo un elemento caratterizzante: la assoluta dolcezza. Quindi una marcia ci conduce nella battaglia di "The Battle Of Epping Forest" qui la voce di Gabriel è epica e si staglia tra assoli di chitarra e di piano, la battaglia diventa cruenta, urla, grida di guerra, Gabriel che decanta le gesta degli eroi, i loro drammi a volte con sentimento e a volte con ironia e sberleffo. Questo è il classico brano progressivo, molto elaborato, una suite in cui gli strumenti sembrano lottare tra loro per la supremazia simulando le gesta degli eroi in battaglia. Il successivo "After The Ordeal" è un pezzo strumentale, dal sapore evocativo e dalle atmosfere rinascimentali. Hackett fa sfoggio di tutto il suo talento, la batteria lo asseconda creandogli un tappetino ritmico, mentre il flauto diventa magico. Altra pietra miliare del disco
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e' "The Cinema Show", dove tutto inizia in maniera tenue e sognante: Gabriel viene accompagnato da un geniale arpeggio di chitarra. Suoni per certi versi schizofrenici ma elaborati, epici e cadenzati dalle percussioni che segnano il cammino e dove le tastiere disegnano arie barocche. Il finale è "Aisle Of Plenty", una melodiosa aria che ricorda le atmosfere iniziali del disco quasi a volere chiudere un cerchio secondo la più pura delle tradizioni progressive. Su questo disco ogni parola è superflua, basta ascoltarlo attentamente per carpirne i segreti, apprezzarne la magia. La musica mai ripetitiva, le idee, le intuizioni artistiche provenienti da fervide fantasie in cui ogni elemento del gruppo pare che viva di vita propria ma riesce ad amalgamarsi, a fondersi con estrema arte regalandoci una musica che ti proietta in un mondo di fantasia, una macchina del tempo che ti catapulta in epoche lontane e misteriose. Un disco senza tempo che i Genesis hanno consegnato orgogliosamente alle generazioni future. Buon ascolto o riascolto da jankadjstrummer TRACCE : Dancing With The Moonlit Knight I Know What I Like ( In Your Wardrobe ) Firth Or Fifth More Fool Me The Battle Of Epping Forest After The Ordeal Cinema Show Aisle Of Plenty
PEARL JAM “BACK SPACER” Venerdì 13 Novembre 2009 08:11 | Scritto da Jankadjstrummer | L’uscita discografica dei grandi nomi del rock porta sempre con sè delle aspettative, i PJ non fanno eccezione, mentre tolgo il cellophane da questo nono disco della band di Seattle, mi chiedo se avranno mantenuto sempre lo stesso sound, la stessa rabbia degli ultimi anni in cui traspariva e veniva trasferita in musica la voglia di opporsi alla politica suicida di Bush. Faccio partire il disco, il pezzo con cui aprono si chiama“Gonna See My Friend “ è veloce in perfetto stile PJ ” testo semplice, strofa / ritornello alternati, conditi con riff di chitarra che richiamano la loro migliore produzione, anche “The Fixer” rientra in questo cliché, brano che scivola via veloce; mentre “Supersonic” ti guida con i suoi sferzanti riff ad imbracciare una chitarra inesistente e mimare ballando una tua partecipazione sul palco. Credo sia il pezzo migliore del disco. Poi, sia “Amongst The Waves”che “Unthought Known richiamano musicalmente il “grunge” ma la voce di Eddie Vedder riesce a dare originalità e concretezza ai pezzi. Altri brani,invece, prendono direzioni diverse : “Got some”, “Force of nature”e “Johnny guitar” sono chiaramente più influenzate dalla new-wave e dal pop. Una ventata di leggera brezza che si nota anche nei testi, rivolti all’amicizia, alle relazioni e al ‘grunge’ di tutti i giorni (in “Got some” si parla di dipendenza dalla droga) anziché ai grandi temi politico-sociali, ma Vedder e soci ce li consegnano con lo stesso ritmo e la stessa rabbia. Certo ora a guidare le sorti degli USA e del mondo c’è Obama che si trova a portare sulle spalle tutti i problemi del paese anche i PJ sono carichi di speranza e questo sentimento si percepisce in tutto il lavoro.
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Credo che “Backspacer” si possa considerare il disco della maturità anche nella scelta di autoprodursi contro la major americane, I Pearl Jam, peraltro, non sono nuovi a questo genere di iniziative. Nel 1994, per es., decisero di abbassare il costo dei biglietti dei loro concerti mettendo in discussione l’utilizzo della Ticketmaster, la principale agenzia di biglietti del paese. La società fece terra bruciata nei loro confronti costringendoli ad annullare il tour, ma loro, con tenacia, denunciarono la società all’antitrust del Dipartimento di Giustizia Americano per abuso di posizione dominante riuscendo a spuntarla. Ma la maturità è anche musicale suoni eterogenei, freschezza che si intravede nelle uniche due ballate presenti nel disco: “The end”, e “Just breathe” in cui entrano addirittura gli archi, due brani che sono la naturale prosecuzione della bellissima colonna sonora di “Into the wild” di Sean Penn). La cosa che si nota di più in questo disco è che i Pearl Jam non vogliono invecchiare, come si dice in gergo, pestano molto, la band è nel pieno del suo vigore, sforna riff che si memorizzano facilmente, la voce di Vedder è sempre all’altezza e il chitarrista Michael David McCready, è perfetto ed originale. Buon ascolto. **** Giudizio Ottimo TRACKLIST: "Gonna see my friend" "Got some" "The fixer" "Johnny Guitar" "Just breathe" "Amongst the waves" "Unthought known" "Supersonic" "Speed of sound" "Force of nature" "The end”
JEFF BUCKLEY "GRACE" Mercoledì 25 Novembre 2009 23:42 | Scritto da Jankadjstrummer | ...she's the tear that hangs inside my soul forever...lei è la lacrima che resterà sospesa nella mia anima per sempre... (Jeff Buckley, "Lover, you should've come ", dall'album Grace, 1994)
"Questo ragazzo è talento puro, deve essere nostro!” Sentenziò il responsabile della Columbia records quando assistette ad una esibizione di Buckley. Jeff Buckley classe 1966 era figlio della violoncellista Mary Guibert e del cantante Tim Buckley. Jeff iniziò a suonare la chitarra da bambino, era la sua grande passione. Suonò in vari gruppi ma solo nel 1990 avvenne la svolta: fu invitato a New York, ad un raduno di commemorazione del padre Tim deceduto per overdose, li incontrò il chitarrista Gary Lucas ( già nel gruppo di Frank Zappa ) con cui iniziò un vero sodalizio che lo portò, nel 1994, alla pubblicazione del suo disco manifesto “Grace”. Purtroppo, oltre alle doti vocali, suo padre gli aveva lasciato in eredità anche un destino nefasto, e così, all’età di trent'anni, morì annegato in un fiume a Memphis. Rimetto sul piatto questo magnifico disco d’esordio di Jeff, 10 tracce suddivise tra canti liturgici e angelici di forte impatto spirituale e ballate pop/rock/soul sorprendenti, un disco che non esagero a definire “pura Arte ". "Mojo Pin", il pezzo che apre questo lavoro, corre tra gli arpeggi delicati della chitarra di Gary Lucas, rullate
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di batteria e la voce quasi sussurrata ed eterea di Jeff che man mano prende corpo fino a straripare e prendere il sopravvento sugli strumenti, un testo in cui l’amore non è mai banalizzato; Grace, la title track, rappresenta il viaggio contrastato tra la santità e gli inferi, che è resa immortale dalla progressione vocale di Buckley che cambia di intensità e umore fino all’urlo finale che è da pelle d’oca. Il pezzo nasce da un sogno in cui una ragazza di colore si spara di eroina durante un rito voodoo. Il testo poi però diventa narrazione di sé stesso, "Grace" è una delle canzoni più belle di tutti i tempi. È Jeff che parla alla sua Rebecca di ciò che accadrà. I bellissimi versi iniziali recitano: "C’è la luna che chiede di restare/ abbastanza a lungo perchè le nuvole mi portino via,/ sento che la mia ora sta arrivando/ ma io non ho paura…". Buckley si ferma. Poi sibila: "afraid… to die"! sembra una profezia della sua fine. "Last Goodbye" è una canzoncina senza pretese ma che diventa struggente e poetica con la sua voce, rappresenta il lato più pop di Jeff, dove il termine "pop" va inteso nella sua accezione più nobile.. Dopo i tre primi gioielli di produzione propria ci presenta una cover di"Lilac Wine", fa suo un testo malinconico in linea con uno "stile Buckley" una melodia che esalta le qualità di interprete di Jeff, che stavolta abbandona gli acuti per cantare in maniera più dolce perché la canzone richiede un’intensità quasi religiosa, un crescendo morbido del canto tra gli arpeggi di chitarra di Lucas. "So Real" emana un'atmosfera cupa, con i rintocchi grevi del basso e della batteria e le note della chitarra quasi dark, è certamente un brano rock "immediato", ma non per questo ha qualcosa in meno degli altri: anche qui infatti Jeff si conferma grande interprete, grande compositore, grande autore di testi. La seconda cover: "Hallelujah", pesca nel classico repertorio di Leonard Cohen, Jeff, qui, tocca livelli di intensità interpretativa altissimi tanto che ritengo la sua personalissima versione di gran lunga superiore all’originale. Proseguendo ci porta da un'atmosfera mistica ad una triste, malinconica: "Lover, You Should've Come Over" sale lentamente d'intensità, nel frattempo ti penetra nel cuore e nel cervello e ti sembra di veder passare il corteo funebre, i tristi parenti con le scarpe bagnate dalla pioggia. "Lover" è la canzone d’amore di Jeff Buckley, una magnifica interpretazione che rende onore a delle liriche poetiche, da ascoltare e riascoltare più volte. "Corpus Christi Carol" ed "Eternal Life" sono due brani di natura opposta il il primo è un canto religioso, sacro, il secondo è invece sorretto da chitarre impazzite quasi blasfeme. Solo sussurrata la prima. Un enorme grido di dolore la seconda; la sensazione è che il contrasto fra la violenza di questo pezzo e la pacatezza di quello precedente, rappresentino le due anime di Buckley. La chiusura del disco è un’altra gemma, "Dream Brother". Il testo è ancora una volta pura poesia, e la musica passa dall'arpeggio iniziale, quasi orientaleggiante, a un intermezzo strumentale di notevole interesse.Di tutte le canzoni di Jeff, questa è quella che più risente dell’influenza del padre Tim, sia musicalmente che nel testo: rivolto a un proprio amico, Jeff lo prega di non lasciarsi morire, perché altrimenti i suoi figli sarebbero andati incontro allo stesso destino che Tim riservò a lui. Il disco straborda di candore, di purezza ma anche di tragedia, musicalmente Jeff prende il jazz, il soul, il punk generi all’apparenza inconciliabili e riesce a tenerli insieme, credo che sia questa la sua genialità e la sua arte. Lui un ragazzo vissuto in forte solitudine, ha cercato qualcosa su cui aggrapparsi e l’ha trovato in Rebecca la musa ispiratrice di almeno la metà delle canzoni, la donna che definisce angelo terreno, che lotta affinché gli uomini rimangano con lei, qui sulla Terra, in mezzo a quest’inferno che è la vita ("Wait in the fire"), ma la tragedia incombe, lui sente che la morte arriverà presto a prenderlo, perché il destino così ha deciso. Non voglio essere retorico ma credo che sia impossibile ascoltare questo disco senza provare un pizzico di commozione, senza lasciarsi andare a riflessioni sulla propria vita, sui propri sentimenti, senza vagare con la mente e scavare nelle proprie inquietudini e nei propri dolori. Grazie Jeff. Discografia essenziale 1994 - Grace 1998 - Sketches for My Sweetheart the Drunk ( postumo ) 2007 - So Real: Songs from Jeff Buckley ( raccolta)
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LA PREMIATA DITTA BRUNORI SAS Lunedì 30 Novembre 2009 09:29 | Scritto da Jankadjstrummer | Dario Brunori, cantautore, imprenditore mancato, ha costituito una società, la “ Brunori Sas” ed è con questa ragione sociale che ha pubblicato il suo primo disco “ Vol. 1”, con cui ha incassato l’ambito Premio Ciampi 2009 come miglior disco d’esordio. Questo giovane cantautore calabrese colpisce per la sua semplicità, per le sue canzoni pop, cantabili da tutti oltre che per la ricerca musicale fatta con spontaneità e sincerità. Lui si definisce ”un neo-urlatore italiano”, con questo lavoro esorcizza le paure e i drammi legati ad una precarietà lavorativa ormai irreversibile che tocca i 30enni di oggi “E’ il mutuo il pensiero peggiore del mondo. Tasso fisso, con l’euribor c’è chi sta impazzendo da un anno. Cosa vuoi che scriva? Di cosa vuoi che canti?” (“Come Stai”). Si sprecano le citazioni riguardanti il vissuto e la quotidianità della nostra Italia degli anni ’80 e ’90 trattata con molta ironia, palloni arancioni “super Santos” sulla spiaggia, la Fenech, Novella 2000 tutta una carrellata di personaggi che hanno fatto la storia italiana, canzoni popolari in cui lo spirito di Rino Gaetano rivive. Ottimo il brano “Guardia 82”, uno spaccato della provincia calabrese dove i ricordi estivi sono legati ai primi amori e alle inquietudini giovanili, i rimpianti di una spensieratezza adolescenziale ormai svanita. Molto carina la stralunata e qualunquista “ Paolo” che richiama alla memoria in grande Ivan Graziani, “Nanà” pezzo in cui se la prende con la retorica degli artisti mediocri e “stella d’argento” una cover degli anni ‘60 cantata, se non ricordo male, da Fred Buongusto qui riproposta molto melodica ed originale che starebbe bene intonata in compagnia e con un bel bicchierone di vino fresco, intorno ad un falò sulla spiaggia di Guardia Piemontese. La grandezza di Brunori sta nel fare proprie le esperienze dei cantautori italiani e rileggerli con un suo stile se vogliamo canzonatorio, graffiante ma anche diretto ed essenziale. Sono delle coloratissime foto “Polaroid” che colgono le nostre inquietudini e la nostra pura quotidianità. Musicalmente Vol.1 si presenta come un lavoro cantautorale, chitarra, voce e minimo accompagnamento fatto di lievi incursioni di fiati, l’essenziale che rende il cantato anzi l’urlato pungente ed impertinente, impertinenza che viene richiamata anche nella copertina del disco che ritrae un adolescente in canottiera anni ‘70 che fa la faccia buffa all’obiettivo, quasi una foto autobiografica. Dario Brunori è senz’altro un artista da seguire con attenzione perché sono sicuro che presto avrà il successo che si merita. Il pugile Italian dandy Nanà Paolo Come stai Guardia '82 L'imprenditore Di così Stella d'argento
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THE CLASH - London Calling (The 30th Anniversary) Lunedì 07 Dicembre 2009 07:20 | Scritto da Jankadjstrummer | Il mito dei Clash colpisce indistintamente tutti e in maniera trasversale, quelli un pò avanti con gli anni come me sono affascinati dalle loro alchimie musicale e dal loro messaggio di lotta e di ribellione ma anche le nuove generazioni non sono indenni dal contagio del “combat rock” della band. Ne viene fuori, ancora oggi, la carica positiva, l’attualità del loro messaggio ed il loro sound originalissimo rimasto una fonte di ispirazione anche per i gruppi di oggi. Il nome della band, inevitabilmente, è legato a Joe Strummer, leader indiscusso, rimasta una delle più importanti icone della storia della musica rock in generale e non riferita solamente al panorama punk. Purtroppo John Graham Mellor, vero nome di Joe Strummer, ci ha lasciati nel dicembre del 2002 stroncato da una crisi cardiaca, mentre l’astro dei Clash ha brillato fino al 1986. La loro storia, il loro pensiero riversato su indimenticabili brani, quasi sempre a sfondo politicosociale, riescono a essere emozionanti nonostante siano passati molti anni. Per le note biografiche del gruppo vi rinvio alla ampia monografia già pubblicata sul nostro vecchio sito. Sono passati 30 anni esatti dall’album della svolta "London Calling", pubblicato il 14 dicembre del 1979. Per fare una valutazione sul valore di questo disco è necessario fare un salto nel tempo, alla fine degli anni '70 quando la musica punk si caratterizzava per nichilismo e autodistruzione, questo fenomeno era entrato in un tunnel senza fine, senza vie d'uscita; i Clash riuscirono a trasformare questo sound, mantenendo la loro vena di protesta, in una miscela di rock classico, reggae e r‘n'b. Questo significava una vera e propria svolta del genere punk, che indubbiamente allargò gli orizzonti di band nate successivamente. Le tracce di questi due vinili sono meritevoli d'attenzione, è un album gradevole, pieno di canzoni e ritmi accattivanti, ci sono due elementi che lo rendono unico : la stupenda foto della copertina che raffigura Paul Simonon nell'atto di spaccare il suo basso durante un concerto; la seconda è il pezzo omonimo "London Calling", intrisa di ironia e sarcasmo puro contro la loro nazione e il video che ritrae i Clash che suonano sulle rive del Tamigi. Ma veniamo alla storia del disco: Sentivano il desiderio di ampliare i loro orizzonti oltre il punk e di collegarsi in qualche modo alla tradizione, non solo del rock ma anche al reggae della comunità giamaicana molto presente a Londra. Affittarono una sala nella periferia londinese, e lì trascorsero settimane e mesi a provare, a farsi venire idee, a immaginarsi quel disco che sentivano sarebbe stato il loro decisivo. Da aprile a luglio la band non si spostò da lì, suonando praticamente tutti i giorni, dall'ora di pranzo alle dieci di sera. I Clash, in questo disco, erano in forma smagliante, creativi ed incisivi; Paul Simonon debuttò come autore con un bellissimo pezzo The Guns Of Brixton; Jones e Strummer vennero fuori con alcuni fra i loro pezzi più belli di sempre, London Calling e Spanish Bombs, The Right Profile (ispirata a una biografia di Montgomery Clift) e Clampdown (raccontava di un incidente nucleare). Non mancavano le cover, che esprimevano quella voglia di continuità con la tradizione: Brand New Cadillac di Vince Taylor, Wrong ‘Em Boyo un hit ska dei Rulers e Revolution Rock, sempre reggae, cantata da Danny Ray. Per finire Death Or Glory, «gloria o morte» un motto che dimostra la consapevolezza dei Clash di aver fatto un lavoro di rottura e di superamento del punk non sapendo come avrebbe risposto il loro pubblico. Tutto il resto è mito. Tracklist: London Calling Brand New Cadillac Jimmy Jazz Hateful Rudie Can't Fail Spanish Bombs The Right Profile Lost In The Supermarket Clampdown The Guns Of Brixton Wrong ‘Em Boyo Death Or Glory Koka Kola
The Card Cheat Lover's Rock Four Horsemen I'm Not Down Revolution Rock Train In Vain
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WILLY DE VILLE, il pirata del rock Lunedì 14 Dicembre 2009 11:19 | Scritto da Jankadjstrummer | (Stamford, 25 agosto 1950 – New York, 6 Agosto 2009)
La scomparsa di Willy DeVille è passata un po’ in sordina perché il personaggio non era così famoso da invadere la carta stampata e la TV, ma per chi lo ha amato la sua perdita ha lasciato il segno. La sua avventura iniziò nella New York di fine anni 70 sul palco del leggendario CBGB, il club che ha visto nascere il fenomeno punk. Il suo gruppo si chiamava Mink De Ville ma solo lui ne incarnava l’anima. Magrissimo capelli lunghi, camicia da corsaro e orecchini, il meticcio Willie si presentava sul palco per proporre un rock ibrido, contaminato, un mix di punk e musica latina, violenza ma anche poesia e lirismo, suoni forti e taglienti a cui si contrapponevano morbide ballate, un genere che sarebbe diventato una delle sue migliori espressioni. I primi album dal 1977 al 1981 («Cabretta», «Return To Magenta», «Le Chat Bleu») fanno emergere un grande artista con una forte componente di versatilità. Il suo motto era fare una musica con più ispirazioni, da «cane randagio» come si definiva. Non era un «chicano» come si poteva pensare ascoltando molti dei suoi brani. Era nato infatti a Stamford, nel Connecticut, sua nonna era un'indiana irochese, ma c'era in lui anche sangue irlandese e basco. Queste radici, in qualche modo, devono aver contribuito a farne un musicista eclettico. Successivamente pubblica «Coup de Grace», uno degli album migliori della prima parte di carriera. Il cambio di etichetta coincide con il cambio definitivamente del nome da Mink De Ville a Willy De Ville, trova definitivamente un suo stile personale che gli regala di discreto successo con l'album «Miracle» del 1987. Trasferitosi a New Orleans nel 1988, è influenzato dallo stile e dal suono prodotto dalla prima colonizzazione francese (la musica cajun e lo zydeco) e il R&B della zona del Delta, pubblica, quindi, «Victory Mixture» (con la presenza di grandi musicisti di quell'area) e «Loup Garou» (1995). Dalla Louisiana un nuovo trasferimento, questa volta in New Mexico, con un ritorno a musiche ispirate alle tradizioni del Sud degli Usa e alle melodie di ispaniche. Tra i brani più famosi della sua lunga carriera c'è la bellissima e latina «Demasiado Corazon» (in Italia usata come sigla di Zelig) ma anche una versione «mariachi» del classico «Hey Joe» di Jimi Hendrix. La sua vita privata non è stata molto fortunata. Sposato tre volte, le sue due prime mogli sono entrambe morte. Willy De Ville era tornato a vivere a New York dal 2003. La sua carriera si chiude con il suo ultimo album “Pistola”, del 2008, un album dignitoso forse meno ispirato degli altri, ma gradevole. A tutti gli appassionati di musica resto il ricordo di un musicista atipico capace di stupire per versatilità e genuinità musicale, da riascoltare i suoi album migliori, in particolare quelli di inizio carriera o il live del 1993. Personalmente di lui mi resta il ricordo del suo concerto di Firenze, nella splendida cornice del Piazzale Michelangelo, in cui il pirata con la chitarra sguainata come una spada, sulla prua del galeone, mi traghettava verso posti esotici e sconosciuti. Tank you Willie!
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L’OCCHIO INTERIORE DI FRANCO BATTIATO Sabato 09 Gennaio 2010 09:30 | Scritto da Jankadjstrummer | Dopo il breve ed intensissimo tour negli Stati Uniti, pare che i concerti di Los Angeles e soprattutto quello New York siano stati trionfali, Franco Battiato esce con un nuovo lavoro dal titolo “ Inneres Auge Il tutto è più della somma delle sue parti”. Ritengo che questo lavoro sia un po’ in controtendenza rispetto a quanto ha sempre asserito: «un artista, per essere impegnato, non deve per forza rendere pubblica la sua posizione su questo o quel fatto politico» piuttosto rientra in quel filone creativo dell’artista legato all’attualità, iniziato nel 1991 ai tempi delle stragi mafiose e tangentopoli con “Povera patria” e proseguito nel 2004 con “Ermeneutica” in cui l’eclettico cantautore catanese si scagliava contro il fanatismo religioso e il presidente Bush. Mentre ad ascoltare «Inneres Auge» si ha invece la sensazione che Franco Battiato stavolta abbia deliberatamente scelto di schierarsi perchè il degrado della politica italiana e il potere in generale è tale che si rendere necessario uno stile ed linguaggio nuovo. Il testo della title track, composta col fedele filosofo Manlio Sgalambro, è chiarissimo: «Uno dice che male c'è a organizzare feste private/ con delle belle ragazze per allietare primari/ e servitori dello Stato?/ Non ci siamo capiti e perché mai dovremmo pagare/ anche gli extra a dei rincoglioniti?». Evidentemente le ambientazioni di basso impero che da qualche mese a questa parte fanno da sfondo al teatrino della politica non devono appassionarlo proprio tanto che preferisce voltarsi da tutt'altra parte «a leggere e studiare, ascoltando i grandi per passato» come gli ho sentito dire in un intervista nel programma Chiambretti night. Parole pesanti, incredibilmente musicate con una miscela di classica e techno per un brano che si candida a diventare un classico delle esibizioni dal vivo. Oltre a «Inneres Auge», tra i nuovi brani figurano «'U cuntu», amara elegia tra siciliano e latino sul decadimento del genere umano («'U sennu stammu piddennu ‘u sennu»), nonché la pacifista «Tibet»,già eseguita nei concerti più recenti, che in inglese si scaglia contro il massacro dei monaci buddhisti per mano dei cinesi. C'è poi «Inverno», un'altra cover di Fabrizio De André (la terza in carriera, dopo «La ballata dell'amore perduto» e «Amore che vieni, amore che vai») che il Maestro di Jonia interpretò dal vivo in occasione del decimo anniversario della scomparsa del cantautore genovese. Per il resto, si ha a che fare con altri sei classici del repertorio di Battiato riarrangiati e rieseguiti per l'occasione Le reinterpretazioni riguardano soprattutto il periodo pop-elettronico degli anni Ottanta, album belli e non troppo usurati come «Orizzonti perduti» e «Mondi lontanissimi» qui rivisitati con sofisticata sensibilità. Ottima, in particolare, «Un'altra vita». Resta un solo rammarico: un disco con dieci inediti, tutti dello spessore di «Inneres Auge», sarebbe stato un capolavoro. Per trovarne, nella discografia di Battiato, dobbiamo invece viaggiare a ritroso. E di almeno una decina di anni. Franco Battiato è un artista che ammiro molto perché riesce sempre a stupirmi e mi stuzzica la curiosità per le sua stranezza e la sua originalità, è riuscito con le sue alchimie e le sue commistioni di stili musicali a non essere mai ripetitivo: dalla musica sperimentale all'avanguardia colta, dalla lirica al rock progressivo fino ad approdare alla musica leggera. Ha attuato frequenti contaminazioni tra questi ed altri generi musicali, riuscendo sempre a cogliere un grande successo di pubblico e di critica. Non solo la musica, ma anche i testi di Battiato riflettono i suoi molteplici interessi, tra i quali l’universalità dei sentimenti, l'esoterismo, la filosofia e non ultima la meditazione orientale. Disco consigliato, buon ascolto da jankadjstrummer
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MARY J. BLIGE “Stronger WithEach Tear" Mercoledì 13 Gennaio 2010 08:17 | Scritto da Jankadjstrummer | Approfitto dell’uscita del 9° album di Mary J intitolato “Stronger With Each Tear”, per fare un piccola presentazione di questa grande artista definita ormai la nuova signora del soul.
M.J.B, classe 1971, viene dal Bronx, la sua passione per il canto la porta da subito nel coro della chiesa e ben presto si accorge che il canto sarebbe stato il suo futuro. Nel 1992 fu scoperta dal rapper Puff Daddy che gli diede una mano a pubblicare il suo primo album What's the 411?. La fusione tra hip hop e soul operata nell'album crea uno stile molto originale che si rivela un successo, considerato uno dei più importanti album R&B degli anni novanta e verrà imitato da diversi altri artisti. Ma il successo produce spesso effetti collaterali la Blige inizia ad abusare di droga ed alcool e cade in una profonda depressione. Nel 1994 esce il suo secondo lavoro "My Life", che conferma il successo del precedente lavoro, vendendo più di tre milioni di copie solo negli USA. Poi un susseguirsi di successi discografici che culminano nel 2001 con l’album No More Drama che la consacra a livello planetario, trainato dal singolo, Family Affair, che divenne la canzone regina negli States e la sua prima hit internazionale, ma bisogna aspettare il 2005 per avere un album dalla caratura di No more drama esce, infatti, The Breakthrough in cui sono presenti due brani che rappresentano il massimo della sua ispirazionne Be Without You che è considerata la canzone R&B di maggior successo nella storia della musica e One, degli U2, in cui duetta proprio con Bono e soci,. Nel novembre del 2007 pubblica il suo ottavo album in studio intitolato Growing Pains,anch’esso un successo mondiale. A veniamo a questo “Stronger With Each Tear”,uscito in questi giorni che snocciolo come un rosario, si inizia con “Tonight” canzone molto malinconica, la voce di Mary è intrisa di inquietudine, racconta di un’ amore tormentato, del ritorno a casa la sera , pronti a cercare di superare gli ostacoli alla felicità. Senza dubbio uno dei pezzi migliori del disco. “The One” è cantata insieme al rapper Drake ritmo molto innovativo, nel brano si parla della sua unicità, il pezzo è potente e graffiante è lei la vera “numero 1″ e lo rivendica. “Said And Done”! bel ritmo, bellissima l’alchimia con la produzione di Ryan Lesile il ritornello è molto coinvolgente, la voce lancia dei fendenti che non è possibile non essere colpiti. In “Good Love” duetta con T.I in un pezzo spensierato, allegro e gradevole ma niente più. “I Feel Good” è un pezzo di classica black musica, senza infamia e senza lode. mentre “I Am” è il pezzo di punta del disco che viene fuori ascoltandolo più volte, un sound è molto fresco e sostenuto da un testo molto bello scritto da Johnta Austin sicuramente sarà passato molto dalle radio. “Each Tear”, è un bel pezzo, senza un vero ritornello, solo alla fine esplode in un crescendo ed una seconda voce veramente fantastica, mi piace il messaggio “Ogni lacrima, serve per farci andare avanti, per farci crescere, per renderci più forti”, “I Love U (Yes I Du)”, è il pezzo meno riuscito dell’album, probabilmente solo riempitivo quindi inutile. Hood Love” è romantica e magica allo stesso tempo una classica ballata, un duetto riuscitissimo con Trey Songz, le loro voci si coniugano in maniera perfetta il calore della voce di lui riesce a reggere con la classe di Mary J. “Kitchen”, è un pezzo in puro stile soul, il tema è la cucina ma è una metafora della gelosia e del possesso del proprio uomo, un pezzo giocato benissimo in cui viene fuori la donna orgogliosa ma con un pizzico di femminismo di stile afroamericano “In The Morning” è un pezzo R&B bellissimo, il suono è dolce e rilassato, un ritornello contagioso, e una Mary J che sperimenta al massimo la sua voce. Il testo parla ancora d’amore e di come superare i contrasti. “I Can See In Color” è il brano colonna sonora del film “Precious”. Melodia tristissima, ma di una bellezza esagerata “Posso vedere a colori” ti prende e non vorresti mai che finisse, nella sua voce c’è tutta la sofferenza della protagonista della storia: una ragazza obesa afro americana con un marea di problemi, segnata da una vita difficile.
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Questo lavoro “Stronger With Each Tear” conferma Mary J Blige come la voce più importante nel panorama del R&B e del Soul americano il giusto riconoscimento di 18 anni di attività musicale e di 40 milioni di copie di dischi venduti. Discografia 1992 - What's the 411? 1994 - My Life 1997 - Share My World 1999 - Mary 2002 - No More Drama 2003 - Love & Life 2005 - The Breakthrough 2006 - Reflections: A retrospective 2007 - Growing Pains 2009 - Stronger with Each Tear
IL "COMBAT ROCK" DEI GANG Venerdì 15 Gennaio 2010 07:39 | Scritto da jankadjstrummer | ESILIO Quando queste parole cadranno una ad una sotto i tacchi di una danza quando questi denti avranno morso le labbra nomadi del tempo quando queste mani apriranno il vento quando avrò posato a terra l’orecchio per sentire il tuo cuore nel profondo per sentirlo correre e cantare quando avrò volato a piedi nudi con i corvi neri sopra i vostri campi d’oro e sopra il sonno delle scimmie quando in un alba di seta avrò liberato l’odio dalle vostre lenzuola e incendiato i cancelli delle vostre sicure case d’occidente quando.......quando avrò parlato ai secoli delle nostre sconfitte e dei poeti e dei guerrieri e dei profeti chiusi freddi muti e stanchi quando avrò scambiato l’odore sacro del pane ammuffito con una nuova armatura quando i miracoli rotoleranno tra una folla di tamburi quando i porti e le oasi i ponti e le strade saranno solo stagioni nel palmo della mia mano allora ti avrò di nuovo accanto e tornerò a difenderti che sia maggio o ottobre allora e solo allora tornerò a casa.
The GANG si formano agli inizi degli anni 80 nella provincia marchigiana. I due fratelli Marino e Sandro Severini, voce e chitarra, sono assi portanti della formazione che subisce negli anni continui avvicendamenti e collaborazioni. Nel 1984 avviene l’esordio discografico con I'ep "TRIBES'UNION “, un lavoro autoprodotto e distribuito nel circuito underground che ottiene un grande successo sulla stampa specializzata. Devo fare mente locale ma credo che sia stato nell’estate 1985 che li vidi la prima volta in concerto e ne rimasi affascinato, testi ispirati dal sociale, dalla storia italiana,dalle lotte operaie supportate da un sound potente e caratterizzato dall'influenza dei mitici CLASH, la scaletta conteneva almeno un paio di cover dei Clash tra cui “I fought the law” “fotti la legge” che la dice lunga sulla loro matrice barricadera, pezzo che chiuderà sempre i loro concerti live con il ritornello urlato in coro con il pubblico. LIBRE EL SALVADOR Miguel è ora di andare/hai caricato il fucile?/ Adios madre adios Consuelo/Oh signore dammi forza e coraggio. Popolo d'America/non permettere che i tuoi figli/vadano a uccidere in Salvador/fino all'ultima pallottola/fino all'ultimo respiro/per la libertà de el Salvador/Libre el Salvador /Libre el Salvador Non getterò la mia divisa stracciata/un giorno ne sarò orgoglioso/ A volte per essere uomini bisogna saper uccidere. Popolo d'America/ricordi il Vietnam? Questo paese è pronto a combattere/fino alla vittoria finale/le preghiere non bastanoa ridarti la dignità di uomo/non abbasserò più la testa/sono un combattente/ Miguel
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suona una canzone/domani forse sarò morto/fino all'ultima pallottola/fino all'ultimo respiro/per la libertà de el Salvador/Libre el Salvador,Libre el Salvador
Nel 1986 esce il 45 giri "Against The Dollar Power" e sul retro, una versione di" lt Says Here" di Billy Bragg; ma è l’attività live il loro punto di forza, tantissime esibizioni nelle più diverse realtà; bisogna aspettare la fine del 1987 per avere il loro secondo album autoprodotto “ BARRICADA RUMRLE BEAT”, 12 pezzi che spaziano dal Rock & roll al reggae, caratterizzato dalla collaborazione, appunto, con il cantautore inglese Billy Bragg, voce in "Junco partner". Dopo una lunga serie di concerti che li resero popolari i THE GANG fanno un grosso salto di qualità, firmano un contratto con la casa discografica CGD; questo passaggio dall'underground ad una Major, è importante perché ottengono una buona distribuzione del prodotto e nel contempo riescono ad ottenere una ampia libertà artistica. REDS, è il loro terzo album caratterizzato da due importanti collaborazioni: il produttore e musicista Paul Roland, considerato un maestro della psichedelia inglese e l'organettista Ambrogio Sparagna un grande del folk italiano che daranno una grossa impronta al lavoro. Anche in questo disco i testi sono in inglese e un disco rock ma intriso di musica popolare moderna che rendono il suono molto originale. JOHNNY LO ZINGARO Johnny lo zingaro /scarpe di serpente /con il suo sguardo lontano/Virna la bruna /cuore di vetro /sette anelli d’oro scuro per mano/li hanno visti /sparare alla luna /verso l’alba /in quel vecchio luna park la dove il vento piega le spade /dove i cani disegnano le strade /Venderà cara la pelle /Johnny non si arrederà/senza tetto né patria né stelle /né donna né casa né terra /lo catturerà Tracce di sangue /gomme di fuoco /urlano le sirene/presero Johnny /e Virna la bruna /c’è chi li vide in catene tutta la notte /dentro in questura /con la mascella spezzata/e poi il mattino/dentro in pretura /vent’anni come una pisciata. Venderà cara la pelle /Johnny non si arrenderà né finestre né mura né celle /mai potranno fermare /la sua libertà /Io sono un ladro /e ho imparato a rubare /come ho imparato a suonare/io sono un ladro /e ho imparato a rubare /come mio nonno e mio padre/io sono un ladro /e non un assassino /e dell’inferno hopaura/non è la legge /dei Gages e dei giusti / che chiuderà l’avventura/Venderà cara la pelle / Johnny non si arrenderà /senza tetto né stelle né uomo né donna né vento / lo raggiungerà. E venne la morte /con i denti d’argento /e prese Irma per mano/entrò nel letto /nel bianco silenzio /nel rosso del ventre gitano
Nel 91 prende forma il grande disco della svolta “ LE RADICI E LE ALI” , un autentico capolavoro, C'è la grande novità di testi in italiano, per la prima volta nella storia dei GANG, ma c'è soprattutto il progetto di contaminazione con musiche della tradizione popolare.I GANG sono il centro propulsore di suoni e idee attenti a contributi di arti artisti: per i testi figurano collaboratori del calibro di Massimo Bubola, Davide Riondino e del poeta Biagio Cepolloro, mentre sul fronte musicale, invece, si avvalgono di Antonello Salis, Mauro Pagani, oltre ai fiati di Daniele Sepe. Nel 1993 arriva STORIE D’ITALIA, un lavoro che musicalmente è definibile Folk-rock ma nei testi gli argomenti sono la situazione politica e sociale dell’Italia, nel ’95 esce l’album “UNA VOLTA PER SEMPRE” con i Gang che diventano cantastorie. Un disco intimo, forse un po’ deludente mentre con Il successivo FUORI DAL CONTROLLO, i Gang sentono il bisogno di tornare sulle barricate. Canzoni che tornano alle formule sonore del rock. Nel 2000 l’uscita di CONTROVERSO rivendica orgogliosamente la radice rock della band, e alterna a brani potenti delle ottime ballate. E’ un discoi carico di grande energia che forse mancava nei lavori degli esordi. Tredici brani che raccontano nuove emozioni e nuove storie. DISCOGRAFIA ESSENZIALE: TRIBE UNION – 1984, autoprodotto BARRICADA RUMBLE BEAT – 1987, autoprodotto REDS – 89, CGD LE RADICI E LE ALI – 1990, CGD STORIE D’ITALIA – 1993, CGD UNA VOLTA PER SEMPRE – 1995, CGD FUORI DAL CONTROLLO – 1997, WEA CONTROVERSO – 2000, WEA BANDITO SENZA TEMPO Un tempo fu un bandito / bandito senza tempo / uccise un presidente /ne ferì altri cento/ E forse fu a vent’anni /forse due di meno/ era con Gaetano Bresci /sopra una nave lungo il tirreno/ Giocarono a tresette /tresette con il morto/ il terzo era un gendarme /il quarto un re dal fiato corto/ un tempo fu a Milano / dove si va a lavorare/c’erano tante bande /tante banche da rapinare/ E forse fu per caso/che con Pietro Cavallaro fece la comparsa / in un film in bianco e nero/ Gli diedero fucili/ e pistole di terza mano/un passaporto falso/per fuggire via lontano/ Un tempo per paura/ forse per coraggio /si fece catturare/ dalla catena di montaggio/ Quel tempo chi lo ricorda / lo Stato aveva mal di cuore così a Renato Curcio /chiese in prestito nuove parole./
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Con quelle partì all’assalto / di nuovi mulini a vento/incontrò anche un sorriso / lungo la strada che porta a Trento./ Un tempo questo tempo / con un’arma un po’ speciale una Magnum Les Paul /spara canzoni che fanno male./ Ora ha una nuova banda /e un fazzoletto rosso e nero /quando attacca "I fought the law" / fa saltare il mondo intero./ ma un tempo fu un bandito / bandito senza tempo /veniva con la pioggia e se ne andava via col vento.....
La storia dei Gang
Un libro che è un atto d’amore per tanti anni di canzoni, di impegno, di palchi e di concerti
A metà degli anni Ottanta, mentre il mondo impazzisce per sintetizzatori e tastiere a tracolla, in un paese della Marche chiamato Filottrano i fratelli Marino e Sandro Severini raccolgono il testimone dei Clash e fondano i Gang, un gruppo che dopo gli esordi in inglese (o anglomarchigiano) rivoluziona il rock italiano con dischi epocali come Le radici e le ali, Storie d’Italia, Una volta per sempre, con un percorso che passa dal punk al folk, arrivando a sfiorare la canzone d’autore. Un percorso integralista e senza compromessi per non provocare l’ostracismo delle case discografiche e l’emarginazione dai grandi circuiti. In questo libro si raccontano quasi venticinque anni di avventure musicali e di impegno sociale e politico dei Gang. Grazie alla cura di due fan storici del gruppo come Lorenzo “Lerry” Arabia (musicista) e Gianluca Morozzi (scrittore), il racconto in prima persona di Marino Severini si alterna a interventi di altri fan storici, illustri e non, a splendide foto, ad aneddoti, curiosità, e a tutto quello che è l’Universo dei Gang. La collana “Vite dei santi” è dedicata ai segreti meglio riposti della musica italiana e a gruppi e musicisti che meritano di essere conosciuti da tutti, una buona volta. È ora che i segreti vengano svelati… «Se Bob Dylan dice di sentirsi un cowboy, per quel che mi riguarda posso dire che mi considero un pastore, e tutta l'esperienza con i Gang la considero un'eterna transumanza. E le pecore che cerco di condurre verso i pascoli più verdi e i corsi dei fiumi più limpidi sono le mie canzoni. Penso che tutto il senso del mio lavoro sia qui, in questo paragone, che più di ogni altro esprime il mio stato d'animo rispetto a una piccola grande storia alla quale ho partecipato e a cui partecipo da protagonista. In cambio dei prodotti del mio gregge, che siano latte, ricotte, formaggi o lana, ho ricevuto tanto. Che ancora oggi sono io quello che si sente in debito e che dice grazie, per primo». (Marino Severini) Con interventi di: Ernesto De Pascale , Mauro Zaccuri, Freak Antoni, Max Stefani, Oskar degli Statuto, Marco Mezzetti, Andrea Mei, Paolo Rossi, David Bisetti, Grazia Verasani, Oderso Rubini, David Riondino, Elio (e le storie tese), Dodo, Franco D'Aniello, Maria Cervi, Cristiano Maramotti, Little Taver, Claudio Maioli, Marco Andriano, Roberto Carlini, Stefano Parolo, Steno dei Nabat, Francesco Caporaletti, Marco Tentelli, Stefano "Cisco" Bellotti, David Cacchione della Banda Bassotti, Claudio Lolli, Yo Yo Mundi, Graziano Romani, Alessio Lega. a cura di: Lorenzo ‘Lerry’ Arabia Gianluca Morozzi titolo: Le radici e le ali
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LOU REED “TRANSFORMER” Dischi storici riascoltati per voi Mercoledì 03 Febbraio 2010 08:17 | Scritto da jankadjstrummer | Vicious Andy's Chest Perfect Day Hangin' Round Walk on the Wild Side Make Up Satellite of Love Wagon Wheel New York Telephone Conversation 10. I'm So Free 11. Goodnight Ladies
Corre l’anno 1972 le nuove generazioni si sono lasciati alle spalle il movimenti hippie, i grandi ideali di “paece & love” per approdare nella frenesia del divertimento, del disimpegno, in quello che viene indicata come l’era del rock decadente racchiuso nel motto "sesso droga e rock'n'roll" A quel punto il rock diventa glam: sesso, ambiguità, eccessi, sfida alle convenzioni borghesi, rifiuto dei modelli dominanti, il gusto per il travestimento, l’ostentazione della bisessualità, il rock come teatralità, trucco, parrucche, abiti luccicanti di lustrini da dive anni ’30. L’ Inghilterra è la patria del glam, Gary Glitter, Alice Cooper, Brian Ferry dei Roxy Music, Marc Bolan dei T-Rex e David Bowie reduce dal successo di Ziggy Stardust , in cui impersona un alieno androgino. E’ proprio il Duca Bianco che, affascinato ed ispirato dai Velvet Underground il gruppo più influente e importante della rock d’avanguardia, non accetta che un talento così grande come l’ex chirarrista Lou Reed finisca nel dimenticatoio. Infatti il primo album solista, di Lou Reed", malgrado alcune buone canzoni, fu un flop clamoroso. Bowie si propone di collaborare alla produzione del suo secondo album,Lou Reed non rifiuta questa opportunità e vola a Londra, subito affascinato dall’ambiguità sessuale, dalla intelligenza e dalla classe di David Bowie, tanto simile a quello di Andy Warhol. L’album che ne viene fuori “ Transformer” è da shock, rivoluzionario per il linguaggio usato, anticipa il cambiamento del costume e della morale. Già la copertina è provocatoria raffigura Lou Reed dai colori molto contrastati che sembra di assomigli ad un "Frankenstein del rock", opera del fotografo Mick Rock mentre sul retro una doppia immagine dello stesso modello, in versione sia da travestito sexy, sia da maschio a cui infilano una banana nei pantaloni per simulare un'erezione. Pateticamente l'edizione italiana fu censurata e venne coperto l’inguine del travestito ritratto. Lou Reed canta le sue canzoni, accompagnandosi con la chitarra suonata con un pedale wahwah premuto a metà ed impreziosite dai raffinati arrangiamenti di archi, fiati e delle parti di pianoforte che rendono il suono ben definito. Questo suono metropolitano coniugato benissimo con la melassa del glam ha partorito piccoli capolavori che mantengono nel tempo una freschezza incredibile Ma riascoltiamo il disco, si parte con "Vicious", il cui testo fu suggerito da Warhol che gli chiese di scrivere una canzone sull'essere viziosi, lui ironicamente propose l’ambiguità, “ Vicious/ you hit me with a flower/ You do it every hour/ oh baby, you're so vicious". Il frustino sadomaso diventa un fiore. Assolutamente geniale anche negli arrangiamenti formati solo da un riff di chitarra distorta" "Andy's Chest", una dolce canzone d'amore abbellita da splendidi cori e dedicata ad Andy Warhol che, nel 1968, rischiò di morire per mano di una folle che gli sparò nel petto. Poi parte "Perfect Day" che esprime la grandezza dell'opera di Reed la sublimazione di un "giorno perfetto" e lo fa con una semplicità e una poesia tali da lasciare interdetti. Sembra che l'abbia scritta per la moglie che aveva a quei tempi. Una dolce ballata arricchita da gli arrangiamenti per pianoforte e archi, una interpretazione sentita che ci dice, come può essere un giorno perfetto, senza i problemi e le angosce quotidiane. In "Hangin'Around" si mettono alla berlina coloro i quali pensano di essere trasgressivi ma sfiorano il patetico il ttuuto con un sound canzonatorio di pianoforte e chitarra.
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Poi parte lo swing e il famoso giro di basso di "Walk on the Wild Side", un nostalgico ricordo dei personaggi che affollavano la Factory, il laboratorio artistico creato da Warhol, tutti alla ricerca dei 15 minuti di celebrità che non si negano a nessuno. Ogni strofa della canzone rappresenta la vita e le caratteristiche di uno dei personaggi che affollano la New York trasgressiva, viziosa mostrando con semplicità l’asltra faccia della realtà perbenista. In "Walk On The Wild Side" si sprecano i riferimenti ad un mondo sommerso di chi vive sul lato selvaggio della strada, travestiti, prostituti, pratiche sessuali "Make Up", rappresenta il primo manifesto dell’orgoglio omosessuale celebrato con suoni molto melodici. Stiamo uscendo. Fuori dalle nostre tane, per le strade! "Satellite of Love" è una ballate glam accompagnata dalla splendida voce di Bowie, Lou Reed qui si diverte a scherzare sulla gelosia. La base armonica è più aperta, costruita in gran parte da accordi in tonalità maggiore, e lo strumento principe è il pianoforte. C’è molto rock, invece in "Wagon Wheel", che pare sia stata scritta da Bowie, in cui emergono i malesseri legati al suo rapporto di coppia. "New York Telephone Conversation", è accompagnato da un pianoforte stile belle èpoque, il testo è dedicato a Warhol a cui piace fare chiacchere e pettegolezzi. "I'm So Free" è pezzone rock tirato, in cui primeggia un bellissimo assolo di chitarra, forse il pezzo più gioioso dell’album, il testo è un inno a "Mother Nature" che in gergo è la marijuana e i suoi figli sono i consumatori. L'album si chiude con "Goodnight Ladies" in cui si parla di solitudine e amori finiti. "Transformer", ebbe una staordinaria forza: restituire fiducia e trasformare Lou Reed da figura underground di culto in rockstar, è un album senza tempo una collana di perle scelte che lo rende un capolavoro del rock degli anni ’70. Consiglio, per chi volesse approfondire, il libro di Victor Bockris, “Transformer - La vita di Lou Reed”, Arcana Editrice, Roma, 1999, pag. 203 DISCOGRAFIA IN STUDIO: · Lou Reed · Transformer - Berlin · Sally Can't Dance · Metal Machine Music · Coney Island Baby · Rock 'n' Roll Heart · Street Hassle · The Bells · Growing Up in Public · The Blue Mask · Legendary Hearts · New Sensations · Mistrial · New York · Magic and Loss · Set the Twilight Reeling · Ecstasy · The Raven · Hudson River Wind Meditations LIVE: - Rock N Roll Animal · Lou Reed Live · Live: Take No Prisoners · Live in Italy -· Beauty and Rust -· Live in Concert · Perfect Night: Live in London · American Poet · Animal Serenade · Berlin: Live At St. Ann's Warehouse
PETER GABRIEL Giovedì 11 Febbraio 2010 07:10 | Scritto da Jankadjstrummer | "Scratch My Back" Heroes [David Bowie] The Boy in the Bubble [Paul Simon] Mirrorball [Elbow] Flume [Bon Iver] Listening Wind [Talking Heads] The Power of the Heart [Lou Reed] My Body Is a Cage [Arcade Fire] The Book of Love [Magnetic Fields] I Think It's Going to Rain Today [Randy Newman] Après Moi [Regina Spektor] Philadelphia [Neil Young] Street Spirit (Fade Out) [Radiohead]
Con una settimana di anticipo rispetto all’uscita ufficiale, il vostro Jankadjstrummer è venuto in possesso del nuovo disco di Peter Gabriel "Scratch My Back", letteralmente “grattami la schiena” ma ho l’impressione che questo titolo sia una metafora e che si debba intendere come uno scavare nella memoria, nel passato, di tutto ciò che ci portiamo dietro. E’ un disco di cover che
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lascerebbe presupporre una calo del “rendimento” e di creatività ma non è così il nostro Arcangelo Gabriele è venuto a portarci la buona novella perché lui in 40 anni non ha mai deluso, è rimasto sempre al passo con i tempi precorrendo le mode figuriamoci se si trincerava nel riproporre altrui successi e ispirazioni. Il disco invece, secondo me, rappresenta una ricerca di ricordi, di immagini. Le reinterpretazioni sono senza batteria e senza chitarre dove la parte da leone la fa il pianoforte, un'orchestra e la magica voce del menestrello inglese, una scelta che dimostra l’assoluta volontà di farne qualcosa di originale ed innovativo. Quello che si nota subito e lo stravolgimento dei pezzi originali peraltro scelti con molto acume: si parte con la favolosa “Heroes” di David Bowie proposta senza l’originale energia rivoluzionaria dell’amore, resa struggente,la sua interpretazione riesce a dare nuova vita al brano. Si prosegue con “The boy in the bubble “ di Paul Simon, tratta dal capolavoro “Graceland”, scelta per il testo intriso di poesia e perché entrambi hanno avuto in Africa una grande fonte di ispirazione. Il terzo omaggio è dedicato a una band odierna, gli Elbow, una tra le più interessanti sulla scena secondo le ricerche di Gabriel. Il pezzo Mirrorball è, forse, la canzone più vicina alle sonorità di Gabriel, che la rilegge con una tale delicatezza da farne una versione intima. La quarta traccia è “Flume” di Bon Iver dall’ album “For Emma forever ago”, una versione piano e voce dagli aspetti sognanti. Il quinto brano è “Listening wind” dei Talking Heads presente nel capolavoro “Remain in Light” dove Byrne visita gli ipnotici ritmi tribali. Viene riproposta con molta arguzia, gli archi colorano magnificamente e riproducono quel caratteristico effetto etereo. La sesta cover è “The power of the hearth” un brano minore di Lou Reed , qui Gabriel ripulisce il suono grezzo della metropoli per condurci su un tappeto volante di archi e piano verso territori incontaminati. Il settimo pezzo è affidato al brano “My body is a cage ” degli Arcade Fire una delle più interessanti realtà del panorama musicale attuale. L’inizio è affidato al piano e alla voce per svilupparsi in un crescendo di archi, fiati e cori femminili. L’ottava traccia è dei Magnetic Fields intitolata “The book of love” basata sugli archi e la voce sospesa di Gabriel. Il progetto prosegue con un omaggio alla cantante di origine russa , Regina Spektor intitolato “Apres Moi” nato per piano e voce e qui rivisitato con estro, ottima la voce femminile e gli archi. Il decimo brano “Philadelphia” di Neil Young scritto per il film omonimo è secondo me l’unico momento di caduta dell’album, qui Peter non riesce a rendere il suono intenso e l’interpretazione così immediata come nella versione originale che ritengo un capolavoro. Il disco si chiude “Street Spirit (Fade Out, again)” dei rivoluzionari Radiohead, la traccia originale, intrisa di malinconia, lavora su un arpeggio di chitarra e sulla mesta voce di Thom Yorke, Gabriel, invece, la propone al piano ed archi e con un canto angosciante. Scratch my back conferma, se ce ne fosse bisogno, che a sessant'anni suonati, ( il 13 febbraio sarà il suo compleanno) se si è mossi dalla curiosità di esplorare e sperimentare è possibile creare ottimi lavori, comunque questo disco è frutto di un progetto di "scambio cover". Gli artisti qui omaggiati da Peter Gabriel realizzeranno a loro volta una cover di un suo pezzo.Speriamo di non dover attendere altri otto anni per avere un altro capolavoro. Buon compleanno Peter da “ Non solo rock” e da jankadjstrummer
PINK FLOYD “Ummagumma” Sabato 06 Marzo 2010 07:17 | Scritto da Jankadjstrummer | Sono molto affezionato a questo disco perché fu uno dei primi LP che comprai, era un album doppio, non se ne vedevano molti all’epoca, per cui dovetti dar fondo ai miei risparmi per acquistarlo. In realtà fu pubblicato nel 1969 ma il mio acquisto avvenne intorno al 1971, all’epoca la pubblicazione del disco non andava di pari passo con gli acquisti, le occasioni di ascoltare il rock erano scarse, solo la radio nelle ore notturne temerariamente ci indottrinava, il disco si scopriva dopo parecchi mesi
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dalla pubblicazione. Questo lavoro era diviso in 4 parti le prime due erano registrate dal vivo le altre due in studio. Non oso tirar fuori il vinile e ascoltare l’album sul giradischi ma preferisco una fredda registrazione MP3 per ovvie ragioni ( nonostante la mia estrema cura, si sente il gracchiare della puntina sui solchi) parte la prima traccia live: si tratta di "Astronomy domine" in cui è facile percepire la chiara impronta di Syd Barrett, chiudendo gli occhi si sente l’astronave rosa decollare verso l’infinito accompagnata dal suono psicadelico della chitarra, del basso e delle tastiere e da una martellante batteria che ne guida il tempo; il secondo pezzo è inquietante "Careful with that axe, Eugene" ( attento con quell’ ascia ,Eugenio) un pezzo interamente strumentale che parte da suoni tranquilli ed ossessivi per culminare in un crescendo paranoico e con un grido che è diventato leggendario nella storia del rock. La seconda facciata si apre con un pezzo scritto da Roger Waters "Set the controls for the earth of the sun", una stupenda composizione astrale, dove tutto è guidato da un basso ossessivo che dà il tempo, assolutamente geniale; il disco live si conclude con "A saucerful of secrets" una suite tratta dal loro secondo LP, in versione live diventa molto suggestiva, lunghe ed estenuanti incursioni di chitarra, ossessive percussioni e un organo che richiama il passato, è da pelle d’oca. Fin qui nella di nuovo ma solo una dimensione live che per gli appassionati rappresenta una pietra miliare; ma la vera novità di questo lavoro, la leggenda che ne è scaturita, parte dal 2 disco, peraltro il primo senza l’ombra della follia di Syd Barrett, "Ummagumma" il cui significato in gergo sta per rapporto sessuale, un lavoro originalissimo ed avanti anni luce rispetto a quello che passava in quel periodo. In queste altre due facciate ogni componente della band si ritaglia un suo spazio: si parte con le tastiere di Wright che con la sua suite ci conduce verso un rock d’avanguardia intriso di classicismo, diviso in quattro parti in cui gli strumenti non seguono un filo logico, uno spartito ma che si concludono alla fine in un corale tripudio. E’ la volta del basso di R. Waters che ci regala una delle più belle ballate acustiche dei Pink Floyd "Grantchester meadows", che si conclude un con susseguirsi di versi di animali e rumori di vario genere. La seconda facciata parte con la chitarra di Gilmour che compone per la prima volta la suite "The narrow way" un classico dei Pink Floyd, chitarre e tastiere che si inseguono supportate dalla batteria di Mason e per finire una stupenda ballata elettrica. La parte finale del disco"The grand vizier's garden party" è di Mason, una suite sperimentale, si parte dalle percussioni per far insinuare solo alcuni strumenti come il flauto; siamo forse troppo aventi nel precorrere i tempi .Per concludere credo che "Ummagumma" sia un album fondamentale per tutta la musica moderna, non a caso da lì è partito quello che sarà poi definito il “ Krauti rock tedesco” degli Amon Dull, Tangerine Dream o alcuni lavori di Robert Fripp e Brian Eno che hanno proseguito la sperimentazione interrotta dei Pink Floyd.Una curiosità:all’epoca il disco divise un po’ il pubblico abituato ad un rock più classico, per cui le vendite del disco furono disastrose ma in compenso ebbero un successo di critica unanime. Vi consiglio un ascolto o un riascolto del disco non ve ne pentirete! Tracklist: Disco 1: 01. Astronomy domine 02. Careful with that axe, Eugene 03. Set the controls for the heart of the sun 04. Saucerful of secrets Disco 2: 01. Sysyphus, part 1 02. Sysyphus, part 2 03. Sysyphus, part 3 04. Sysyphus, part 4 05. Grantchester meadows 06. Several species of small furry animals gathered together in a cave and 07. The narrow way, part 1 08. The narrow way, part 2 09. The narrow way, part 3 10. Grand vizier's garden party: enterance, part 1 11. Grand vizier's garden party: entertainment, part 2 12. Grand vizier's garden party: exit, part 3
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SPANDAU BALLET Sabato 06 Marzo 2010 07:32 | Scritto da Jankadjstrummer | "Firenze, 04.03.2010" I Vecchi Rgazzi Inglesi Gli Spandau Ballet sono un grande ritorno ai passati anni Ottanta. Il gruppo inglese è stato il protagonista indiscusso del pop inglese di quel periodo, assieme agli eterni «rivali» Duran Duran, ieri sera hanno fatto tappa a Firenze con il loro «Reformation tour», organizzato dopo trent’anni dal primo singolo pubblicato e dopo la separazione dovuta a lotte intestine ed annose incomprensioni. In questa fase di reunion storiche anche loro probabilmente mossi dal loro amore per il portafoglio sono tornati con un disco uscito a fine anno 2009 dal titolo «Once more», esattamente dopo 20 anni «Heart like a sky», pubblicato 1989 e ultima fatica della band prima della separazione e con un tour mondiale che sta facendo il tutto esaurito. Anche il concerto di Firenze è stato un successo di pubblico, presenti al concerto moltissime signore, giovanissime negli anni ’80, accorse per applaudire il loro idolo di gioventù Tony Hadley, sempre in forma smagliante ma decisamente sovrappeso .Lo spirito della band è rimasto inalterato, ovazione per i classici del gruppo «Lifeline», «Gold», True e la bellissima ballata che rappresenta il gruppo, «Through the barricades». Un operazione nostalgia che ha fatto ritrovare al Mandela Forum di Firenze una generazione di quarantenni anche loro, forse, con qualche capello in meno e qualche ruga in più. Le foto che pubblico sono di Pietro De Sarlo che ringrazio.
LAURIE ANDERSON "Big Science" Venerdì 12 Marzo 2010 16:34 | Scritto da Jankadjstrummer | Uno dei maggiori pregi di Laurie Anderson è quello di essere riuscita a coniugare bene il rock con le arti visive attraverso l’ utilizzo del corpo, della tecnologia e della musica pop. Certo l’originalità dell’artista rappresenta il punto di forza del suo lavoro ma bisogna dire che tante sono le influenze, da John Cage alle performance dei Fluxus oltre al forte sodalizio sia artistico che sentimentale con Lou Reed. I suoi video sono fortemente innovativi, una bella commistione di poesia metropolitana, suoni e musica sperimentale. La sua carriera parte a metà degli anni ’70 e culmina con un capolavoro "United States I-IV", quasi otto ore di performance multimediale che vede la pubblicazione solo nel 1984 ( la bellezza di cinque album ). La performance vede infatti la Anderson recitare e suonare davanti a uno schermo su cui diversi proiettori riversano immagini, filmati e giochi di luce, illustrando un grande ritratto dell'America in quattro parti (trasporti, politica, soldi, amore) e concentrandosi sull'idea degli Usa come terra dell'utopia tecnologica. Un altro tema del suo lavoro è l’ accettazione e la convivenza con la tecnologia, per lei non è "buona o cattiva", dipende da come la si usa. Riferendosi a Internet ha dichiarato “ Molta gente crede che la tecnologia
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impedisca di comunicare e' come dire che la matita e' dannosa... Non e' la matita che è dannosa, ma e' il come la usi che può renderla dannosa. Quindi il problema non e' la tecnologia, ma come questa viene utilizzata. Da questo lavoro, però, la Anderson aveva già estratto delle perle che avevano dato vita nel 1982 all’album "Big Science" che considero il suo capolavoro. Anche gli ascoltatori meno attenti non hanno potuto fare a meno di ascoltare la hit dell’ album "O Superman (For Massenet)", utilizzata alla fine degli anni ’80 nello spot per la campagna di sensibilizzazione sull’ “AIDS”, un filtro vocale sulla recitazione del brano, due accordi vocali che sembrano provenire da un freddo robot crerano un brano ossessivo, inquietante che ben si adatta al clima della “ peste del xx° secolo. Il pezzo si apre con un messaggio in segreteria telefonica ("Hello? This is your mother."), poi prosegue con un testo ironico "Quando l'amore è perso c'è sempre la giustizia. Quando la giustizia è persa c'è sempre la forza. Quando la forza è persa c'è sempre la mamma". il finale è inquietante ed apocalittico c’è un chiaro riferimento alla crisi USA-IRAN del 1979 ma anche una spaventosa invocazione "Così tienimi, Mamma, tra le tue braccia/ le tue braccia petrolchimiche/ le tue braccia militari/ le tue braccia elettroniche". Questo pezzo è un misto di sinistra ironia dipinge una America come una grande mamma che protegge i suoi figli ma li tiene soggiogati “Gli Stati Uniti aiutano, non danneggiano, fanno sviluppare nazioni usando le loro risorse naturali e materie prime" questo è l’ ammiccante slogan. In "From The Air" la Anderson dichiara le sue origini rock con un bel duetto batteria e sax a cui segue però un recitativo, su una base di sintetizzatori, raccapricciante “This is your Captain/ and we're going down". Il brano “ Big science “ è pura elettronica, sorretto da synth e percussioni, qui alterna il canto alla recitazione, un dialogo padre e figlia sui grandi temi dell’ecologia e della filosofia , si tratta, insieme al singolo, del momento più alto dell'album. Poi c’è la ludica "Sweaters" intrisa di cornamuse, "Walking & Falling" bel pezzo in cui l A riesce a creare tensione esclusivamente con la recitazione e pochissimi suoni sparsi. "Born, Never Asked" ricorda molto lo stile di Peter Gabriel peraltro molto legato alla Anderson con cui ha collaborato nell’album" So" e con un bel finale di assolo di violino. Segue poi "Example # 22" pieno di vocalizzi e ma supportata da numerosi strumenti: violino, flauto, sax tenore e baritono, e clarinetti che dimostra come l'aspetto musicale non sia mai stato per lei secondario, anzi credo che peschi a piene mani dal rock per poterlo contaminare con le arti visive, creando un bellissimo spettacolo multimediale. Anche "Let x =x" è allegra, tastiere, marimba e hand clap e nel finale un bel virtuosismo di trombone. Nell’ultimo brano "It Tango" continua il dialogo iniziato in “ Big science “ in cui i due personaggi dialogano ma non riescono a comunicare, un altro grande tema vissuto con un atteggiamento contraddittorio tra un approccio creativo ed umano alla tecnologia e la paura della propria alienazione. Credo che sia nella ricerca e nella sua dignità artistica la grandezza della Anderson, lei ha sempre mantenuto la barra dritta, non si è fatta condizionare ed ha rinunciato ai facili successi, per crearsi un immagine di artista globale, apprezzata e stimata dai grandi nomi del rock d’avanguardia, non ha caso il genio di Brian Eno ha realizzato nel 1994 con lei lo stupendo album "Bright Red". Buon ascolto From The Air Big Science Sweaters Walking & Falling Born, Never Asked O Superman (For Massenet) Example #22 Let x =x It Tango
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L’ARTE NON È UNA MERCE ! LIBERALARTE! Martedì 13 Aprile 2010 18:25 | Scritto da Jankadjstrummer | Si tratta di progetto discografico del Fronte Popolare per la Musica Libera, iniziato nel 2004 e giunto già alla terza pubblicazione. Il progetto vuole essere un momento di sperimentazione e applicazione concreta delle idee emerse in seno al movimento del FPML: solidarismo e cooperativismo tra gli artisti, autoproduzione e autogestione associata, licenze copyleft, costo equo della cultura e taglio degli intermediari hanno trovato e troveranno sempre spazio all’interno di questi cd promossi dal Movimento. IL FRONTE POPOLARE PER LA MUSICA LIBERA Attivo dalla primavera del 2004, Il Fronte Popolare per la Musica Libera è un libero coordinamento di artisti riuniti in nome dell’etica e del principio del cooperativismo, della condivisione e del solidarismo. L’obiettivo principale del nostro movimento è quello di sperimentare nuove forme sostenibili di produzione, diffusione e fruizione della cultura, che mirino a ribilanciare il rapporto tra mercato e arte a favore di quest’ultimo: L'ARTE NON E' UNA MERCE! IL PROGETTO LIBERALARTE! “Liberalarte!” è il progetto discografico del FPML, iniziato nel 2004 con un primo cd,. A fine 2005 è maturato con “Liberalarte!2” e in questo momento si affaccia alla sua terza pubblicazione. Il progetto vuole essere un momento di sperimentazione e applicazione concreta delle idee emerse in seno al movimento del FPML.. Solidarismo e cooperativismo tra gli artisti, autoproduzione e autogestione associata, licenze copyleft, costo equo della cultura e taglio degli intermediari hanno trovato e troveranno sempre spazio all’interno di qusti cd promossi dal movimento. COPYLEFT E CREATIVE COMMONS Le licenze copyleft, come le Creative Commons, sono state scelte dal FPML per le sue pubblicazioni. Esse permettono agli autori di un’opera di ingegno, come una canzone o un documento, di “liberare” questa creazione dai vincoli del classico copyright, permettendo così una circolazione più libera della cultura, dando più peso all’aspetto collettivo del sapere a scapito di quello completamente privato in cui “tutti i diritti sono riservati”. I brani contenuti sul nascente liberalarte!3 saranno così scambiabili su internet, masterizzabili, riproducibili e diffondibili e questo per esplicita volontà degli artisti che hanno scelto questa modalità di diffusione delle loro opere. UN’AUTOPRODUZIONE ASSOCIATA Liberalarte!3 è un disco libero, frutto dell'unione di spiriti liberi. Ricalcando le linee guida del grande movimento cooperativista, gli artisti hanno autogestito i vari momenti della realizzazione del cd in un’ottica di unione solildale che li ha messi in condizione di tagliare gli intermediari, svolgendo autonomamente tutti quei ruoli normalmente ricoperti o supervisionati dalle case discograifiche. UN DISCO “EQUO E SOLIDALE” E LA SUA DISTRIBUZIONE Il taglio degli intermediari fa di Liberalarte!3 un disco a tutti gli effetti “equo e solidale” dal momento che mette in contatto diretto artisti e pubblico. In questo modo sono i soli artisti a raccogliere i frutti del loro lavoro, tagliando a monte quella lunga fila di professionisti che normalmente interagisce con la creazione di un prodotto culturale.Grazie al taglio degli intermediari è possibile dare una risposta ad uno dei problemi più sentiti nel mondo della discografia: quello del costo del cd. Più piccolo è il numero dei soggetti che si frappongono tra artista e pubblico, più la “trafila” si riduce, più il costo sostenibile del cd si abbassa. In linea con una politica seguita da sempre dal movimento, anche questo cd avrà un prezzo provocatorio: 5 euro ai contatti degli artisti e 7 euro al bancone dei negozi: un prezzo sicuramente non comune per un doppio cd, completamente originale. LA DISTRIBUZIONE RETICOLARE: IL PROGETTO “FAPPER3” Costo equo, licenze libere e attente alla collettività e un prodotto “equo e solidale” ci hanno fatto pensare allo sviluppo di una rete di rivenditori alternativi che costituirà uno dei principali
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canali di distribuzione di questo cd. Botteghe del commercio equo e solidale, associazioni culturali, circoli, centri sociali o soggetti interessati al progetto e sensibili alle idee che vi sono contenute costituiranno una fitta costellazione di punti vendita che permetterà di sostenere lo sforzo distributivo nel pieno della sostenibilità economica, in nome di quei principi etici che sono il collante stesso del progetto e del movimento. Questo è il 3° progetto realizzato, il doppio CD è scaricabile gratuitamente dal sito http://www.fpml.it/ CD 1 - 65:17 Filippo Gatti & Collettivo Angelo Mai – Ho spento la televisione di domenica Razmataz – L'inno degli ubriachi 4:13 Wogiagia – Scegli 3:47 Astenia - geometrie circolari - 4:05 Giuseppe Mirabella – Non è morale 3:32 Novoix – Ciccihouse 4:31 Legittimo Brigantaggio - Le scatole parlanti – 4:51 Hyaena Reading - acciaio – 3:11 Franco Fosca - le canne in finestra – 3:09 Runa Raido - dinamiche – 3:02 Têtes De Bois - vomito – 2:37 Presi Per Caso - La macchina del capo – 4:52 Kutso - Parente influente – 2:37 Angelo Elle - kamikaze d'autore - 3:22 Giada e La Masnada - licantropia - 3:56 Simone Aliprandi - lascia la pioggia - 4:26 L'Enfance Rouge - l'escamot roig - 4:22 CD 2 - 77:11 The Gang - il lavoro per il pane – 4:08 Frangar Non Flectar – Svegliami 4:43 Rein - 150SprintVeloce – 4:32 Mario Salis - uomini di cenere – 6:56 Ratapignata - furianta dusu – 3:54 Leitmotiv - i funerali del pollo – 6:09 Honeybird & The Birdies - na linga kayo – 5:24 Massimiliano D'Ambrosio - la nave – 3:02 Omopatia - lisa – 8:48 Radio Babylon feat Freak Antoni - Josè resisterà – 4:20 Sig.V 2.0 - Fattore di tempo – 3:42 Giulia Anania - piccola droga – 3:46 Giuseppe Puopolo - mamuska – 3:50 Lo-Tune - new orleans 3:06 Claudenza-D - la riflessione – 3:12 Kurregomma - no more raw – 7:28
Alcune notizie sul FRONTE POPOLARE PER LA MUSICA LIBERA Attivo dalla primavera del 2004, Il Fronte Popolare per la Musica Libera è un libero coordinamento di artisti riuniti in nome dell’etica e del principio del cooperativismo, della condivisione e del solidarismo. L’obiettivo principale del nostro movimento è quello di sperimentare nuove forme sostenibili di produzione, diffusione e fruizione della cultura, che mirino a ribilanciare il rapporto tra mercato e arte a favore di quest’ultimo: L'ARTE NON E' UNA MERCE! LA FREE HARDWARE FOUNDATION http://www.fhf.it/ La Free Hardware Foundation é una Fondazione regionale, operativa e di partecipazione e i suoi scopi riguardano tutti gli aspetti della società umana. Essa si impegna nella realizzazione della Civiltà della Condivisione della Conoscenza, attraverso i valori della Cooperazione, della Condivisione, della Creatività, della Lealtà, della Collaborazione, della Trasparenza, della Volontà di Partecipare e di far Partecipare, della Sostenibilità, ma soprattutto della Libertà, oggi più che mai Con questi valori essa si rapporta soprattutto con i "Gruppi Sociali", in un'epoca in cui parlare al singolare è sempre più anacronistico e il suo impegno principale é di far sì che altre organizzazioni non-profit, soprattutto le più piccole, possano unirsi in una sorta di simbiosi ed avere maggior forza sentendosi sostenute dalla stessa. Altri Enti non profit potranno quindi iscriversi a partner della Fondazione e alcuni esponenti potranno iscriversi in qualità di membri benemeriti ed avere gli stessi diritti e doveri dei Fondatori. La Free Hardware Foundation, composta fin dalla costituzione di un numero elevato di membri (45 fondatori), per sua natura non é di proprietà di nessun altro che di se stessa, e per questo motivo può
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vantare la propria affidabilità, poiché gli interessi dei fondatori sono in prevalenza di natura sociale e non economica, non potendosi dividere né utili né profitti. E' stata costituita ufficialmente l'11.12.2006, dopo una gestazione di oltre sei mesi, in cui è stato redatto il progetto con regole, organigramma, motivazioni e scopi. Il suo Statuto, frutto di un accurato studio che si è avvalso di esperienze similari, é strutturato per garantire efficienza, democrazia e partecipazione, ed é condizionato da regole molto rigorose. La compilazione del progetto, oltre 100 pagine (www.fhf.it/fondazione/ Progetto_FHF_2007.12.30.pdf/view), é stato un lavoro fatto sotto l'osservanza sia dei fondatori che di coloro che, pur non avendo poi aderito per motivi personali, hanno contribuito con suggerimenti e idee alla sua elaborazione. Essendo stato redatto attraverso l'uso del wiki la Fondazione può ritenersi nata in modalità aperta e di rete. Oggi essa è la parte più rappresentativa del Network Frontiere Digitali ed è intestataria del dominio www.frontieredigitali.net.
AFRICA UNITE “ ROOTZ” Martedì 30 Marzo 2010 05:36 | Scritto da jankadjstrummer | I torinesi Africa Unite sono quasi 30 anni che ci accompagnano con la loro musica reggae, questa volta tornano al Rootz, alle radici del suono giamaicano, quello classico non contaminato dall’elettronica e dal dub. Il titolo sembra un pentimento per essersi lasciati portare alla deriva dalla elettronica e del dub nel loro precedente album “ Controlli”uscito ormai nel 2006. Bisogna dare atto a questa band di non essersi mai ancorata ai suoni tradizionali ma di aver cercato sempre nuovi stimoli, nuove frontiere perchè non hanno mai voluto correre il rischio di essere considerati, come accade a molte band reggae, monotoni e ripetitivi. Una novità importante del disco è la riscoperta dei fiati che entrano prepotenti nell’ensamble. Come al solito il cuore del gruppo sono Bunna e Madasky che curano sia la musica che i testi e lo fanno con molta puntigliosità. In "Rootz" troviamo testi leggeri, ironici accompagnati da basi strumentali molto curate ma troviamo principalmente canzoni di protesta , di denuncia civile e politica. Spicca tra tutte "Cosa Resta"un pezzo davvero “ militante” in cui se la prendono con il sistema politico italiano che non si cura dei reali problemi della gente ma che si concentra sul controllo dei mezzi di informazione e nella ricerca ( a quanto pare ci riescono pure) del consenso mediatico. Il disco si apre con il brano "Così sia", una forte denuncia nonchè una enfatizzazione della diversità sessuale, per osteggiare un certo reggae giamaicano di natura omofobica. Gli Africa Unite sono molto grati a Bob Marley e alla Jamaica, non a caso hanno scelto come nome un brano classico di Bob, ma sono molto più vicini al reggae politicizzato delle minoranze che vivono in Inghilterra, la traccia "Si", ne è un esempio. Segue poi "Il movimento immobile" un pezzo ambientalista, mentre in "Mr.Time", c’è una esportazione a vivere il presente e non lasciarsi condizionare da falsi Dei. Numerosi anche gli ospiti, da Patrick Benifei ai cori in tutte le canzoni, dal giamaicano d’adozione ALBOROSIE , dalla cantante pugliese Mama Marjas e dai Franziska. Gli Africa Unite sono una band pura e professionale, nella loro lunga carriera si sono sempre ritagliati uno spazio importante nel panorama musicale italiano diventando un punto di riferimento preciso del raggae made in Italy ; questo disco non fa che confermare questa rendita di posizione che sono convinto coinvolgerà anche le nuove generazioni perché, contrariamente a quanto si pensi, il reggae in Italia gode di ottima salute e attrae sempre più il pubblico giovanile. Giudizio *** Ottimo
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IN VIAGGIO CON LA CAROVANA DI SERGIO CAMMERIERE Lunedì 19 Aprile 2010 07:54 | Scritto da Jankadjstrummer | Ascolto volentieri chi mi consiglia dei dischi così quando in una e-mail il Dr Nac mi proponeva l’ascolto di questo “Carovane” di Sergio Cammariere e di scrivere un eventuale recensione, mi sono detto “ beh sicuramente non è il mio genere, si tratta di un cantautore da piano bar che è gradevole ascoltare mentre si amoreggia con la propria amata o si sorseggiare un drink, ma niente più, ma proviamo. Le note di copertina danno conto di un nugolo di musicisti ospiti nel disco di cui la maggior parte di estrazione jazz, Fabrizio Bosso (tromba e flicorno), Xavier Girotto (sax baritono e soprano), Luca Bulgarelli (contrabbasso), che la dice lunga sul suono che vuole ottenere il cantautore crotonese. Non mi resta che montare su questa Carovana e sentire dove mi condurrà, spero verso territori musicali inesplorati. Il disco si apre con la title track “Carovane” caratterizzata da un testo poetico che termina con un verso che colpisce "La tesi di cui qui trasformo in canto / il segno che rimane e non consola / la mela da cui Eva staccò il morso / più mi perdo e più mi riconosco" accompagnato da un assolo di sax veramente notevole. Già questo brano allarga gli orizzonti, il testo raffinato affidato al paroliere Roberto Kunstler,( che firma credo tutti i testi del disco), suoni orientali di sitar donano una inconsueta magia al brano. Il secondo pezzo “Insensata ora” apre in maniera superba, percussioni, piano e flicorno che lasciano il posto alla voce di Sergio e al suo consueto modo di cantare che risulta uguale a se stesso. Cosa che non accade nel brano “Senti” anch’esso pregno di percussioni e suggestioni orientali, ma questa volta la voce è intensa, un canto d’amore addolcito da una sezione di archi pregevole. Certo la sua non è una svolta artistica radicale questo lavoro si divide tra brani vecchia maniera e brani riconducibili a questo nuovo percorso. Con il terzo pezzo si torna alle atmosfere jazzate che ben conosciamo “Senza fermarsi mai”, di nuovo si concede solo le percussioni in perfetto stile sudamericano, Poi “I quadri di ieri”, un balletto di piano, sax e gli archi che chiudono il brano, dominato nel testo da una profonda nostalgia “ Nei quadri della nostra giovinezza c’è un colore dominante / nel cielo che descrivere non so / le fughe verso mondi immaginari / dove fingere non puoi indifferenza” E’ il solo pianoforte di Sergio C. ad introdurre uno dei brani più originali dell’intero lavoro “La mia promessa” in cui la poesia si intreccia perfettamente alle sonorità orientali, del sitar e del tampur, regalandoci un brano davvero pieno di fascino. "Quanti cieli limpidi vedrò / e costellazioni su di noi / questo cielo infinito che brilla per noi / e anche lì dove vivi risplende per te". Il disco continua con “Non c’è più limite” un brano dignitoso supportato da un buon ritmo di tromba e chitarra elettrica ed un testo che affronta il destino dell’uomo in questo mondo privo di regole “Varanasi”, invece, è un brano solo strumentale, il pianoforte, nelle mani sicure di Cammariere, è reso vibrante, ottime sono le percussioni che lo accompagnano. Poi due brani "Paese di finti" e "Storia di un tale": la prima è uno swing, pieno di invettive dove ce n'è per tutti: “finti di calcio o di politica in tv / democristiani e leghisti / ma il sesso rimane tabù, / finché la notizia di quel presidente in mutande / fa il giro del mondo e diventa una cosa che fa / di un’hostess qualunque una diva una celebrità” un brano al limite del qualunquismo contro questo Paese "di destra o di sinistra cosa importa / la storia è come un tunnel senza uscite / ma il palazzo del potere sai che di porte non ne ha". Poi "Storia di un tale", malinconico ricordo dell'amicizia di due giovani che sognavano la rivoluzione e correvano dietro alle utopie ambientaliste, la canzone è sicuramente autobiografica parla di Lui e del paroliere Kunstler che hanno percorso un cammino di amicizia e di collaborazione iniziato tanti anni fa. Si continua con il brano “Tre angeli” un brano fuori dagli schemi con un testo in stile medievale e con gli archi ben in evidenza è decisamente originale “Tre angeli sulla strada tra nuvole e paradiso / camminano sul tempo ancora non diviso e piangono quando è sera / le vittime della guerra e si alza la bandiera per tutti sulla terra / e il secondo dice è strano / ma
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nessuno ha la risposta / tutto è falso tutto è vero tutto gira senza sosta / il terzo resta zitto si limita a guardare / la strada che finisce dove comincia il mare” Il disco chiude con “La rosa filosofale” qui le parole sembrano tratteggiare ampi orizzonti che derivano da una ricerca spirituale che porta verso nuovi interessi, è senzaltro il brano che preferisco quello più caratterizzante, parte con sonorità arabeggianti eteree e ci conduce per mano verso un misticismo introspettivo: "L'altro è un concetto infinito / se tu sai che Io è un altro” e poi “Dentro sento il soffio del vento / altre volte mi osservo / altre volte invece mi interrogo / sulle cose che di me poi non so". “Carovane” è un disco importante, ben suonato, con testi accattivanti è particolarmente elegante, Cammariere con questo suo quarto lavoro si ritaglia un pezzo importante nel panorama dei nuovi cantautori italiani. Buon ascolto da Jankadjstrummer. Informazioni aggiuntive sull’album Supporto: CD Anno di uscita: 2009 Genere: Cantautore / Jazz La band non ha ancora messo in vendita l'album nel suo shop. Tracklist: * Carovane * Insensata ora * Senti * Senza fermarsi mai * I quadri di ieri * La mia promessa * Non c'è più limite * Varanasi * Paese di finti * Storia di un tale * Tre angeli * La forcella del rabdomante * La rosa filosofale
RISCOLTIAMO GLI ANNI ’70 – FRANCESCO GUCCINI “ RADICI “ Martedì 06 Aprile 2010 07:26 | Scritto da Jankadjstrummer | L’album "Radici" di Francesco Guccini vede la luce nel lontano 1972, nel momento di massimo splendore poetico del cantautore emiliano, senza dubbio è uno dei lavori meglio riusciti della sua produzione insieme a "Via Paolo Fabbri 43" del 1976 e da "Amerigo". del 1978. Il senso di appartenenza che lega quasi tutti i brani lo fa diventare una sorta di concept-album molto in auge in quel periodo. Il filo conduttore del disco è la consapevolezza che ognuno di noi è un soggetto che fa parte di un gruppo, che perde la propria individualità in ragione di un bene comune, ma anche l’ appartenenza affettiva a qualcuno in ragione dei propri sentimenti. Come si diceva un tempo un dualismo, un nodo mai sciolto di “pubblico” e “privato”. Il disco è una carrellata di grandi ballate che non scade mai nella retorica e nella banalità delle canzoni pop. Questo spirito di appartenenza è palese già nella title-track in cui Guccini parla della sua famiglia con molta tenerezza ed orgoglio riconoscendo il valore e la saggezza dei propri antenati nel ricordo che se ne fa nella vita di tutti i giorni: bella canzone ma che non emerge nel contesto di una sfilza di classici dell’artista; si parte con il pezzo che è il manifesto della canzone di protesta degli anni settanta: "La locomotiva", tuttora il brano che chiude i concerti in cui si consuma un rito che va avanti da oltre un trentennio: il pugno sinistro levato degli spettatori ne momento topico del brano quando “ la bomba proletaria illuminava l’aria, la fiaccola
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dell’anarchia “. Il pezzo narra le vicende di un “ macchinista ferroviere” alla fine dell’800 che in un momento di grandi ideali pensa bene di utilizzare la sua locomotiva lanciandola a folle velocità fino al deragliamento e all’esplosione finale. Si tratta chiaramente di una metafora, l’anarchico che lancia la locomotiva contro il potere borghese diventa un manifesto dei movimenti giovanili degli anni ’70. Mentre "Piccola Città" è una canzone molto nostalgica sul tema della giovinezza, Guccini ricorda il periodo scolastico trascorso a Modena la “piccola citta” che diventa un posto da dove fuggire via, il ricordo della scuola e delle “ vecchie suore nere “ che insegnano i ragazzi i segreti della vita”. Poi "Incontro" un brano che è il racconto dell’amica ritrovata dopo tanti anni, di una amicizia rimasta immutata ma le vicende della vita rendono questo incontro amaro, triste, l’amica gli rivela il suicidio del marito “ che si era ucciso per Natale” Un “Incontro “ che diventa tenero e dolce con la penna e la voce di Guccini. Dopo abbiamo "La canzone dei dodici mesi" una delle canzone che amo di più perché c’è dentro tutta la poesia, i riferimenti e le citazioni dell’arte e del “ dolce stil novo di Cecco Angiolieri. Musicalmente è costruita in maniera tale che ogni mese dell’anno viene accompagnato da uno strumento diverso. E’ un susseguirsi di citazioni colte, la dimostrazione che siamo in presenza di un intellettuale molto ispirato. Le ultime due canzoni affrontano temi molto belli e poetici : "la canzone della bambina portoghese" che non si sa che cosa sia ma l’allusione è chiara, siamo nell’era post sessantottina sono caduti tanti steccati, ottenute tante conquista ma resta l’incertezza del futuro di quello che dovrà avvenire. una sorta di metafora della generazione che esce dal '68 che è consapevole di ciò di cui si è liberata ma non sa a cosa va incontro. Bella l’immagine della bambina portoghese che dalla spiaggia guarda l’Oceano Atlantico e cerca di immaginare cosa c’è oltre quel mare. La conclusione è un brano cardine dell’opera gucciniana, "Il vecchio e il bambino", in cui mette a confronto due epoche, due generazioni e lo fa con molto stile. Il messaggio è molto semplice, il passato, le esperienze della vecchia generazioni non devono andare perse dall’incalzare della modernità e devono essere un punto di riferimento, un faro per le generazioni future. Non è possibile costruire nulla senza l’apporto della cultura degli vecchi. Riascoltare questo album e queste canzoni che fanno parte del mio passato è per me un’ occasione di riflessione, rivivere l’emozione delle inquietudini giovanili è un toccasana per affrontare le paure, le lotte quotidiane e i sentimenti e poi diciamocelo pure, fanno molta tenerezza. Radici è un grande album, testi importanti ed ispirati, un po' scarno dal punto di vista musicale, ma al Grande Guccini. gli si perdona tutto. Buon ascolto o riascolto per i meno giovani da JANKADJSTRUMMER Tracklist: 1. Radici 2. La locomotiva 3. Piccola città 4. Incontro 5. Canzone dei dodici mesi 6. Canzone della bambina portoghese 7. Il vecchio e il bambino
( T.A.R.M) TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI “Primitivi del futuro” Martedì 20 Aprile 2010 05:52 | Scritto da Jankadjstrummer | Questo è il secondo bel disco italiano delle vacanze di Pasqua in montagna, ascoltato e riascoltato tra i ghiacciai della Marmolada. Quando ho fatto partire la prima traccia sono rimasto basito, ho controllato 2 volte il mio MP3 perché ero convinto di aver fatto partire il disco sbagliato, non mi sembravano i tre ragazzi morti che avevo conosciuto con lo stupendo album
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“La Seconda Rivoluzione Sessuale", qui sono tutta un’altra musica…… sono stati folgorati sulla via del raggae! Ma la prima impressione è dell'ennesimo capolavoro dei Ragazzi Morti, il prodotto di una crescente maturità artistica del trio di Pordenone che sembra aver raggiunto l'apice con questo “ Primitivi del futuro “. E’ un disco che spiazza, ho letto che l’idea di fare un disco reggae è venuta ad Enrico Molteni durante un viaggio a Cuba, credo invece che sia un percorso obbligato nel rock e specialmente nel Punk, ad un certo punto si lascia l’impeto e la rabbia giovanile e dopo 16 anni di musica si ha una naturale maturità che porta ad addolcire il suono e pescare dalla tradizione del suono urbano dello ska o del Dub proveniente dalla periferie delle grandi città sia essa Londra o Milano o Pordenone. Non ha caso Davide Toffolo abile fumettista del gruppo ha dichiarato in un intervista che “Nei periodi politicamente neri il reggae è un'ottima musica da suonare” Senza dubbio i T.A.R.M. sono maturi hanno fatto una scelta di campo, hanno spostato il baricentro del loro pubblico, con questo disco ho l’impressione che si rivolgono un po di più agli “adulti” perché è questo il pubblico su cui si conta per cambiare, per svoltare, Davide Toffolo canta di ragazzi dipendenti dal computer, apatici, ancorati ad un'idea di lavoro vecchia, noncuranti dell'ambiente, socialmente piatti. Cose forse un po’ retoriche ma maledettamente vere, la vera speranza nel cambiamento non la danno i giovanissimi, concetti, del resto, che il gruppo ha sempre sostenuto: "piangerò per il tempo perso a cercare vestiti e divise nuove" oppure "Di che cosa mi stai parlando, di che cosa mi parli ancora, è una vita danneggiata la vita che facciamo ora". E non è il destino, sei tu il tuo nemico accendiamo una festa e facciamo una festa che non c'è lavoro, che non c'è fatica che trova ragione fuori da sé” potrebbero e dovrebbero essere questi gli slogan della vita di molta gente. Il disco parte con con un pezzo malinconico: “La ballata delle ossa”, in cui si parla di ai rapporti interpersonali con un classico tocco alla Toffolo (“E se qualcosa di mio ti rimarrà fra i denti non piangere perché poi lo digerirai”). Con “Mina” entra il reggae e il dub, e non esce più dal disco con un susseguirsi di canzoni una più bella delle altre, uno standard alto, rimo in levare allegri e delicati miscelati con dei testi mai banali e via con “Puoi dirlo a tutti”, (“Mi son giocato l'infanzia, divertito in gioventù, sconvolto nell'adolescenza e adesso ci sei tu. Puoi dirlo a tutti che sono stato io a farti un occhio nero con la matita blu”), la partenza dub di “L'ultima rivolta nel quartiere Villanova non ha fatto feriti”, una riflessione sulle nostre vite, sull’esigenza di darsi da fare per cambiare la società in cui viviamo, per agire “Prendi a calci il tuo padrone non lo fai, rimetti in moto la ragione non lo fai, la famiglia è un'altra cosa non lo fai, stacca la tua connessione non lo fai, scrivi almeno una poesia non lo fai”. Poi con la splendida “La faccia della luna” dedicata al mondo, alla natura ed alla sua tutela “Ascoltate tutti quanti guardate che sbagliate, se il grillo torna al campo anche voi ci guadagnate”. Poi la bella chitarra acustica in levare di “Codalunga”, accompagnata da un testo arguto ed orecchiabile “Codalunga non sa quando è nato, non si guarda allo specchio, non vive il social network” “Dimmi che cos'è dimmi cos'è che ti fa più bella, dimmi cos'è dimmi cos'è che ti fa così bella”. L’album termina con la title-track con un sorta di rap dal sapore un pò amaro per via del testo austero “la memoria del mondo che può farti capire qualcosa del processo che possiamo fermare, l'origine dell'alienazione della specie” e sull’amore, “D'amore non si muore anche se assomiglia molto alla fame”. Primitivi del futuro Tracklist: 01. La ballata delle ossa 02. Mina 03. Puoi dirlo a tutti 04. So che presto finirà 05. L'ultima rivolta nel quartiere Villanova non ha fatto feriti 06. La cattedrale di Palermo 07. La faccia della luna 08. Questo è il ritorno di Gianni Boy 09. Codalunga 10. Rifare 10. Primitivi del futuro
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BAUSTELLE Venerdì 09 Aprile 2010 07:03 | Scritto da Jankadjstrummer | Operai a lavoro sulla strada della rivoluzione italiana In questi giorni di ferie pasquali ho ascoltato prevalentemente rock italiano e sono arrivato alla conclusione che la nostra musica ha superato brillantemente gli esami di maturità; mi riferisco in particolare a due album che ritengo dei capolavori: inizio con “I mistici dell’Occidente” dei BAUSTELLE giunti al loro quinto album dopo dieci anni da “Sussidiario illustrato della giovinezza” loro disco d’esordio. La produzione di questo nuovo lavoro ha un nome d’eccellenza Par McCarthy , già produttore degli U2, R.E.M e Madonna tanto per citare qualche nome, ma che non ha strasvolto il suono tipico baustelliano intriso di musica classica, suono orchestrale di matrice morriconiana che impreziosiscono gli strumenti cardine del rock: chitarre elettriche, batterie, tastiere. Il disco inizia con un brano quasi-strumentale, "L'indaco" che sembra quasi una canzone di chiesa in stile Floydiano, ma che trovo stupenda, sul finale, la lineare melodia di un duetto di voci perfette tra Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi, il brano sembra un preludio all’esplosione della chitarra elettrica e della batteria di "San Francesco", un brano tirato, completamente diverso dal sound baustelliano, mentre nel testo viene fuori tutta l’ammirazione che Bianconi ha per il santo di Assisi. La traccia successiva, “I mistici dell’occidente”, rimanda subito a Fabrizio De André. Il testo è politico-sociale, sta a sottolineare la distanza tra il potere/ governo e il singolo cittadino mentre musicalmente si caratterizza per uno incontro/scontro di fiati da lasciare interdetti non fosse altro che per l’utilizzo del clarinetto cosa alquanto insolita nel rock. Poi 2 pezzi autobiografici “Le rane”, la più pop dell’intero album in cui Bianconi racconta di un incontro con un vecchio amico e ripensa ai bei tempi andati, una istantanea nostalgica addolcita dal ritmo di chitarra prima acustico e poi elettrico che si conclude con un ritornello facile ed immediatamente memorizzabile e “Il sottoscritto” che introdotta da un pianoforte leggero e da una melodia tranquilla diventa canto straziante, una sorta di confessione e una richiesta di perdono per aver tradito la sua amata. Poi “Gli spietati” altro brano pop che strizza l’occhio alla classifica dei dischi ritornello facile ed immediato e con un finale travolgente. Seguono due canzoni come “Follonica” e “Groupies” ritmo molto più lento e rilassato rispetto ai pezzi precedenti, la prima parla della noia data dalla classica vacanza italiana al mare, mentre la seconda si caratterizza dai cori in perfetto stile morriconiano. Si arriva alla “Bambolina”, accattivante per via della velocità del ritmo e della bella voce di Rachele, un testo che è un grido di dolore di una bella ragazza schiava di ricchi e potenti, anche nell’ultimo brano che chiude l’album “L’ultima notte felice del mondo”, torna la bella voce di Rachele che in questo album è rimasta un po’ defilata. Un capitolo a parte spetta al pezzo più caratterizzante dell’intero lavoro “La canzone della rivoluzione” che per quanto mi riguarda rappresenta il manifesto del Bianconi /pensiero, il suono è maledettamente rock chitarra e batteria che fanno da tappeto alla sua voce distorta che inveisce cercando di scuotere le coscienze ormai sopite e lasciate alla deriva in balia del loro destino. "I mistici dell'occidente" non è un disco facile posso dire che lo trovo a tratti eterogeneo, delle istantanee fatte di poesia, ricordi, storie di vita vissuta che però fanno riflettere sulle passioni e sulla consapevolezza che un mondo diverso è possibile e che non è giusto rassegnarsi senza reagire. Con questo disco i Baustelle da buoni operai della rivoluzione ritracciano la strada e rimuovono le macerie ingombranti che ci impediscono di viaggiare verso il futuro della nostra società. Grande disco, ascoltatelo più di una volta e ne scoprirete il messaggio più profondo. Tracklist: "L'indaco" "San Francesco" "I mistici dell'occidente" "Le rane" "Gli spietati" "Follonica" "La canzone della rivoluzione"
"Il sottoscritto" "L'estate enigmistica" "L'ultima notte felice del mondo
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"Groupies" "La bambolina"
I LITFIBA DI PIERO E GHIGO "GLI EROI NEL VENTO" Martedì 27 Aprile 2010 08:53 | Scritto da Jankadjstrummer | "Scatti ai nervi e i sensi che/ Le ombre dei sogni scuotono/ Spazza vento e porta via/ Il bambino che gioca con il mare/ Non sarò eroe / Non sarei stato mai/ Tradire e fuggire/ è il ricordo che resterà/ Eroi nel vento / è la noia che scava dentro me/ Solo noia che scava dentro me/ Guerre di eroi/ Tradite senza pietà/ e svanite nei secoli". (EROI NEL VENTO) Certo ne è passata di acqua sotto i ponti di Firenze da quando vidi per la prima volta Piero Pelù. Eravamo in piena era punk, lui era il front-man dei Mugnions ( il nome deriva dal torrentello Mugnone che scorre a nord di Firenze), mi colpì molto la sua grinta, la sua provocazione e perchè no la sua voce che inveiva, urlava una rabbia forse un po’ di maniera, trovavo in lui, in nuce. l’ animale da palcoscenico, anche quando sputava su noi giovani da quel palco alto solo pochi centimetri da terra a tu per tu con il pubblico che non gradiva affatto queste forme radicali, credo che in quel momento abbia corso un grosso rischio la sua incolumità fisica. Ho seguito fin dall’inizio i Litfiba, gruppo storico della new wave fiorentina già dai tempi in cui vinsero il “Primo festival rock italiano”, nel 1982. Mi piacevano molto, originali e bravi mi piaceva il modo di suonare di Ghigo Renzulli, la voce e di Pelù i testi delle loro canzoni quasi mia banali anzi con riferimenti culturali inediti in quel periodo, gli zingari dell’ est, il potere, l’ipocrisia. La prima band insieme ai Diaframma di Federico Fiumani che cantavano in Italiano e suonavano un rock teso, elettrico e tanto grintoso. Ho seguito quasi tutta la loro carriera fino all’Album “Terremoto” dopodichè o forse non avevano più niente da dire oppure io avevo perso la voglia di ascoltarli. Inaspettatamente, dopo dieci anni dal loro scioglimento, raccolgono l'ironico invito di Elio e le Storie Tese che chiedono a viva voce “ tornate insieme, non vi conviene rimanere separati ; cosi in questi primi mesi del 2010 i Litfiba rinascono, Piero Pelù e Ghigo Renzulli tornano insieme, esibendosi in 4 concerti di cui 2 nella nativa Firenze. Qualcuno ha parlato di una operazione “nostalgia” forse dettata dall’assottigliarsi del portafoglio, non credo sia questo, penso sia, invece, il rinsaldarsi di un sodalizio che gli aveva portato molta fortuna mai eguagliato nelle loro carriere soliste. Nel concerto di Firenze di Ghigo e Piero hanno offerto solo brani del repertorio storico della band e lo hanno fatto con molta potenza,passione e tanta adrenalina. Non sembrava una reunion di un gruppo che non suonava insieme da 10 anni con Pelù scatenato che salta da una parte all’altra del palco e Ghigo immobile concentrato nei suoi riff di chitarra e nei suoi assoli che ne fanno un virtuoso dello strumento. I Litfiba restano i migliori del rock italiano e sono in gran forma, si parla già di alcuni inediti in uscita e di un tour estivo che toccherà tutta la penisola. Presto una monografia del gruppo in cui ripercorreremo tutta la loro carriera, per ora un Buon rientro in sella!
TARANTA POWER “Una breve biografia di Eugenio Bennato” Giovedì 29 Aprile 2010 15:52 | Scritto da Jankadjstrummer | Eugenio Bennato, non ancora ventenne, si cimenta nella ricerca della musica delle radici con uno stuolo di grandi artisti e la supervisione di Roberto De Simone, nasce la Nuova Compagnia
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di Canto Popolare gruppo che ha il pregio di rinverdire il folk tradizionale partenopeo con un suono nuovo e moderno. L’esordio avvenuto al Festival dei due Mondi di Spoleto fu strepitoso, ne seguirono delle tournée di enorme successo anche all’estero oltre a 5/6 Lp di rara bellezza; il sound danzereccio e di ricerca colpì anche quelli a cui non piaceva la musica etnica e in special modo i giovani che si avvicinarono al folk con molta passione. Nel 1976, il progetto NCCP si gretola, i musicisti prendono tante strade ed Eugenio Bennato fonda un suo gruppo i "Musicanova", con cui continua l’esplorazione della musica etnica, non solo partenopea ma di tutto il sud Italia. Ben presto diventa un punto di riferimento per musicisti e pubblico e per chi si affaccia anche per motivi culturali a questa musica. Alla fine degli anno’90 Eugenio Bennato diventa il più grande ispiratore del movimento dei "Tarànta Power", produce 2 album di grande valore sia culturale che musicale: "Lezioni di Tarantella" un progetto a cui hanno partecipato grandi Maestri della tarantella del calibro di Andrea Sacco considerato un mago della chitarra battente, Antonio Maccarone, Antonio Piccininno oltre a tanti musicisti delle regioni del sud Italia e "Taranta Power" interamente suonato da Bennato e i Musicanova in cui si cerca di dare dei nuovi connotati alla tarantella come strumento di aggregazioni sociale oltre che di strumento tribale di catarsi e di liberazione individuale. A questo punto mi preme sottolineare alcune inesattezze e dei fraintendimenti legati a questa danza rituale meridionale: quando si parla di tarantella viene naturale pensare al ballo enblema partenopeo esploso nel diciannovesimo secolo, danza e musica ripresa anche dai compositori classici quali Rossini, Mendelssohn, mentra la Taranta ha tutta un’altra storia, vanta più umili origini,più popolari, era il movimento scomposto e irrequieto dei tarantolati di coloro i quali erano stati morsi dalla Tarantola che devono ballare fino allo sfinimento per scacciare il veleno del rettile, quindi una danza esorcizzante, liberatoria nata oltre mille anni fa nel Salento e rimasta inalterata nei secoli. Questa tradizione è rimasta fino ai nostri giorni come musica di nicchia, sono pochi i musicisti che operano in questo senso, il grande merito di Eugenio Bennato è stato quello di far riscoprire questa danza rituale e farla amare alle nuove generazioni di giovani entusiasti. La riscoperta della vera tarantella è avvenuta recuperando un repertorio di canzoni, balli appannaggio solo di pochi gruppi locali ed è riuscito a riproporre questi ritmi antichi, ancestrali con suoni moderni, con arrangiamenti di grande maestria. Mi piace segnalare la dimensione live di Bennato, band straordinaria: Mimmo Epifani alla mandola, Massimo Cusato alle percussioni, Erasmo Petringa al violoncello e Geppino Laudanna alla fisarmonica, tutti pugliesi tranne Sara Tramma alla voce, unica napoletana del gruppo insieme riescono a coinvolgere, a scatenare con ritmi stimolanti, potenti capaci di far muovere, ballare come se anche noi fossimo morsi dalla irresistibile “tarantola”. Le
foto del concerto di Eugenio Bennato, pubblicate sul sito, sono del mio amico di facebook Massimo Forchino, fotografo torinese, che ringrazio.
BAUSTELLE Domenica 02 Maggio 2010 16:27 | Scritto da jankadjstrummer | 27 APRILE 2010 - Una bella serata di musica Solo 2 anni fa i Baustelle si erano esibiti in un piccolo club di Firenze davanti ad un pubblico di fans fedelissimi ed in quella occasione non ho potuto far altro che constatare una grossa differenza qualitativa tra
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il prodotto in studio e la dimensione live del gruppo toscano. Ora in aprile 2010 dopo l’uscita dell’album “ I mistici dell’Occidente “ quando si parlava dell’imminente concerto al Sachall di Firenze, ho avuto un momento di perplessità , riusciranno a rendere un buon prodotto in un teatro di 5000 o più posti. Non nascondo che io adoro i Baustelle, trovo Francesco Bianconi una persona colta, un abile paroliere, quello che si può definire un poeta underground capace di costruire storie sincere con una forte ironia. Così, ho invitato il mio amico Rocco R., grande estimatore del gruppo, a seguirmi. Contrariamente a quanto succede spesso, arriviamo al Sachall alle ore 21:00, il tempo di sorseggiare una birra fresca ed entriamo in una vera e propria bolgia infernale, locale strapieno, quello che si dice il pubblico delle grandi occasioni, ci guardiamo un po’ in giro, tanti giovanissimi ma anche tanti attempati come noi a dimostrazione della trasversalità del pubblico , si abbassano le luci e si ode un suono anzi la vibrazione di un oboe che intona le prime note di “l’indaco” che apre anche il nuovo disco, poi ad uno ad uno entrano gli GnuQuartet ( autori degli arrangiamenti), una sezione fiati e percussioni di chiara matrice rock, poi, vestiti con lunghe tuniche bianche un quartetto di cori denominati dal Bianconi come “ il coro degli angeli dell’Occidente” un mix di voci pseudogospel, un ensamble fascinoso già al fianco dei Baustelle in sala di registrazione per il nuovo album. Poi finalmente entrano i trio dei Baustelle, abbigliati un po’ anni ’70, Bianconi con una camicia in perfetto stile hawaiano e donna Rachele Bastreghi stranamente molto sexy, magliettina scollatissima e con la bratellina sempre caduta. Il palco circondato da una scenografia bella ma nientaffatto pomposa, luci colorate intense creano l’atmosfera giusta per il rito delle canzoni cantate dai fans. Parte la musica, il suono è potente e limpido, la voce di Bianconi che riesce a sovrastare sugli strumenti, finalmente si può seguire il testo,cosa impensabile all’ultimo concerto dei Baustelle a cui avevo assistito, il pubblico è coinvolto emotivamente, uno stuolo di ragazze poco più che ventenni davanti a noi che canta le canzoni del nuovo album riproposto quasi per intero, così scorrono “le rane”, “S.Francesco” Follonica, I mistici dell’Occidente e via discorrendo, pochissime parole tra un brano e l’altro ma solo cambi di strumenti che la dicono lunga sulla genuinità del gruppo non abituato ai riflettori. La band è in ottima forma, il pubblico si divertite e il tempo scorre velocemente, la seconda parte del concerto è dedicato ai pezzi del passato che offrono l'occasione per apprezzare la maturità artistica del gruppo, Il risultato è stato uno spettacolo bello e coinvolgente, personalmente ritengo che sia stato un concerto di qualità che il pubblico ha apprezzato molto a dimostrazione che spesso mantenere degli standard alti alla fine ripaga e non vale assecondare il pubblico con prodotti scadenti ma d’impatto. Il bis chiesto a gran voce dal pubblico non è stato granchè soddisfacente affidato a “charlie fa surf “cantato in coro dal pubblico, sarebbe stato meglio “il liberismo ha i giorni contati” oppure “Baudelaire”, ma tutto sommato sono uscito soddisfatto, il mio amico Rocco R si è divertito molto, sono queste le cose che contano e che ci rendono felici….. IL LIBERISMO HA I GIORNI CONTATI E’ difficile resistere al Mercato, amore mio. Di conseguenza andiamo in cerca di rivoluzioni e vena artistica. Per questo le avanguardie erano ok, almeno fino al ’66. Ma ormai la fine va da sé. E’ inevitabile. Anna pensa di soccombere al Mercato. Non lo sa perché si è laureata. Anni fa credeva nella lotta, adesso sta paralizzata in strada. Finge di essere morta. Scrive con lo spray sui muri che la catastrofe è inevitabile.Vede la Fine. In metropolitana. Nella puttana che le si siede a fianco. Nel tizio stanco. Nella sua borsa di Dior. Legge la Fine. Nei sacchi dei cinesi. Nei giorni spesi al centro commerciale. Nel sesso orale. Nel suo non eccitarla più. Vede la Fine in me che vendo dischi in questo modo orrendo. Vede i titoli di coda nella Casa e nella Libertà. E’ difficile resistere al Mercato, Anna lo sa. Un tempo aveva un sogno stupido: un nucleo armato terroristico. Adesso è un corpo fragile che sa d’essere morto e sogna l’Africa. Strafatta, compone poesie sulla Catastrofe.Vede la Fine. In metropolitana. Nella puttana che le si siede a fianco. Nel tizio stanco. Nella sua borsa di Dior. Muore il Mercato. Per autoconsunzione. Non è peccato. E non è Marx & Engels. E’ l’estinzione. E’ un ragazzino in agonia. Vede la Fine in me che spendo soldi e tempo in un Nintendo dentro il bar della stazione e da anni non la chiamo più.
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BUD SPENCER BLUES EXPLOSION Sabato 08 Maggio 2010 11:11 | Scritto da Jankadjstrummer | Concerto del 1° maggio 2009, nel pomeriggio, molto distrattamente, un occhio al giornale ed uno alla televisione, sento il presentatore (Castellito mi sembra) annunciare un giovane gruppo i Bud Spencer Blues Explosion, chi saranno ho pensato, dal nome sicuramente italiani ma che si ispirano forse a Jon Spencer Blues Explotion , inquadrano il gruppo e mi accorgo che in realtà sono un duo chitarra e batteria. Partono con il primo pezzo, è una cover dei Chemical Brothers "Hey Boy Hey Girl" un classico danzereccio che uso anche io nelle nostre feste, qualcosa di travolgente si sente e si vede, li guardo assorto e rifletto su come sia possibile che solo una batteria e una chitarra riescano a far ballare tutta la piazza, una velocità di esecuzioni che non fa rimpiangere l’originale, Piazza S.Giovanni è in delirio. Anche l’altro pezzo che propongono dal titolo “ fanno meglio “è veramente esplosivo, sono veramente portentosi Cerco di sapere qualche notizia su questo duo , leggo che si formano nel 2007 e pubblicano il loro primo EP autoprodotto “ Happy’. La loro fama parte dal basso, si esibiscono nei locali di Roma e poi un po’ dappertutto in Italia, anche il web tributa loro un certo successo, il loro myspace è affollato, tantissimi i contatti. Leggo della presentazione del loro primo disco che porta il nome del gruppo, in un locale di Roma e che parallelamente fanno parte della band di Raf e The Niro. I BSBE pubblicano il loro primo album, tredici brani potentissimi da "Mi sento come se..." a "Frigido" un bel rock-blues di matrice americana.; Adriano Viterbini (chitarra e voce) e Cesare Petulicchio (batteria e voce) insieme riescono ad essere straordinari, testi ironici, freschi e belle esecuzioni. Concerto del 1° maggio 2010 “Festa del Lavoro” i BSBE ci riprovano, salgono sul palco di Piazza S.Giovanni, e la dinamite esplode, un impatto sonoro che ricorda i miti rock degli anni ’60, partono con Woodoo Chile di Jimi Hendrix, una performance perfetta, una maestria tecnica che lascia senza fiato, un assolo di chitarra distorta che non fa rimpiangere. Poi altri pezzi di quest’unico album sempre ben costruito e con una sezione ritmica eccellente. E’ una band promettente, sicuramente la dimensione live è piu congeniale al loro spirito, speriamo di averli in concerto presto dalle parti di Firenze.
JEFFERSON AIRPLANE “vola con le linee aeree americane l.s.d.” Venerdì 14 Maggio 2010 09:58 | Scritto da jankadjstrummer | Un salto nel passato non fa mai male quando si parla di grandi gruppi rock che hanno influenzato la cultura, diritti civili ed anche l'approccio ai grandi temi sociali. Jefferson Airplane - Portabandiera del rock alternativo "west coast" fin dal primo album Takes Off (del 1966) e dalle partecipazioni ai primi festival rock, raggiungendo, poi, l'apice a Woodstock nel 1969. Il gruppo guidato da Paul Kantner, Grace Slick e Marty Balin è stato in grado di coniugare la sperimentazione, la tradizione, la protesta e la antitesi alle logiche di mercato, con un
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grande successo di pubblico, soprattutto negli Stati Uniti. Formatisi intorno a Kantner e Balin, con la significativa alleanza del duo di virtuosi della chitarra e del basso Kaukonen e Casady, custodi della tradizione blues, e supportati dal batterista Spencer Dryden, amante delle radici country, hanno subito puntato ad una front-woman, che nel primo disco era la cantante di origine scandinava Signe Anderson. Subito dopo venne però sostituita dalla cantante, pianista e compositrice Grace Slick, anche lei di origine straniera, che aveva tutto, bellezza, potenza della voce, capacità musicali, presenza scenica, spirito libero e trasgressivo. Già nel febbraio del 1967, Slick firma uno dei super-classici del gruppo, White Rabbitt, nell'album Surrealistic Pillow, che conteneva anche il loro primo smash-hit Somebody To Love, che li fece diventare i numero 1 nella "summer of love" hippy e psichedelica della San Francisco del 1967. Nel 1969 un altro album epocale, Volunteers, ma soprattutto la estensione e partecipazione del gruppo ad una autentica famiglia allargata musicale, che vedeva coinvolti nelle stesse esperienze (anche quelle negative, "viaggi" e droghe) tutti i principali personaggi delle band californiane, da David Crosby ai Quicksilver Messenger Service, ai Grateful Dead di Gerry Garcia, ed i Jefferson interpretare alcuni dei brani migliori di Crosby, come Wooden Ships e Triad. Album tipici di questi ensemble sono il capolavoro assoluto di Crosby "If I Could Only Remember My Name" e il disco uscito nel 1973 a nome di Kantner, Slick e Freiberg dei Quicksilver, "Baron Von ToolBooth & The Chrome Nun", ma anche il disco dedicato dai due alla loro figlia appena nata, China, vale a dire "Sunfighter" (per la cronaca China Kantner è diventata venti anni dopo una apprezzata attrice di fiction in USA). La fase sperimentale ebbe il suo culmine nel 1970 con "Blows Against Empire" nel quale l'aeroplano diventava già una astronave (da Jefferson Airplane a Jefferson Starship), per poi germinare ancora buoni lavori ma preparare la separazione, con Kaukonen e Casady che abbracciano decisamente il root blues elettrico con i loro Hot Tuna (disco mitico: Quah!, a nome del solo Kaukonen) ed i Jefferson che attorno a Kantner, Slick e il ritrovato Balin iniziano una nuova vita come gruppo di grande successo del rock FM USA, con il nuovo nome Jefferson Starship. Negli anni '80 l'abbandono di Grace Slick, messa fuori gioco dagli eccessi dei suoi anni giovanili, ed il sostanziale inaridirsi di una esperienza tra le più feconde nella musica rock americana. Testo di White Rabbitt: Una pillola ti fa diventare più grande e una pillola ti rimpicciolisce. E quelle che ti dà tua madre, non hanno alcun effetto. Prova a chiederlo ad Alice, quando è alta dieci pied.i E se tu sei a caccia di conigli, e ti accorgi che stai per cadere. Dì loro che un bruco che fuma il narghilè ti ha mandato a chiamare. E chiama Alice, quando è proprio piccola. Quando gli uomini sulla scacchiera si alzano e ti dicono dove devi andare. E tu hai appena preso qualche specie di fungo, e la tua mente sta affondando. Prova a chiedere ad Alice, penso che lei saprà (la risposta). Quando la logica e le proporzioni (delle cose) sono cadute morte al suolo. E il cavaliere bianco sta parlando (rivolto) all’indietro. E la regina rossa ha perso la sua testa. Ricorda quello che aveva detto il ghiro. Alimenta la tua mente, alimenta la tua mente. Nota: La celebre canzone composta da Grace Slick, è contenuta nel secondo LP dei Jefferson Airplane, il primo con la Slick come cantante. E' evidente la metafora e la analogia delle esperienze lisergiche della California degli anni '60 con i celebri romanzi di Lewis Carroll dedicati al mondo fantastico della piccola Alice ("Alice nel paese delle meraviglie" e "Attraverso lo specchio" del quale è citato il catastrofico cavaliere bianco). Testo di Volunteers (1969): Guarda cosa sta succedendo fuori nelle strade. C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione. Sto ballando nelle strade. C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione. È divertente incontrare tanta gente. C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione. Una generazione sta invecchiando. Una generazione sta mettendoci l’anima. Questa generazione non ha nessuna meta da raggiungere. Basta piangere. È giunto il momento per te e per me. C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione. Forza adesso stiamo avanzando verso il mare. C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione. Chi continuerà (la rivoluzione)? Lo faremo noi, e noi chi siamo? Siamo i volontari d’America.
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GOGOL BORDELLO Sabato 29 Maggio 2010 17:48 | Scritto da Jankadjstrummer | Le vicende di questo gruppo sono a dir poco rocambolesche. Il leader e cantante Eugene Hütz è originario dell’Ucraina, figlio di un macellaio chitarrista rock per vocazione, Eugene ha una vita avventurosa, segnata da una tragedia: a causa della nube radioattiva proveniente dalla centrale nucleare di Cernobil, tutta la famiglia è costretta a fuggire lontano. Inizia una peregrinazione lunga sette anni in vari campi profughi d'Europa, con un breve passaggio – da clandestino - in Italia. Nel 1996 Eugene entra negli Stati Uniti da rifugiato politico, proprio a New York conosce il chitarrista Vlad Solofar e il fisarmonicista Sasha Kazatchkoff. A loro si aggiunge Eliot Fergusen alla batteria e Sergey Rjabtzev al violino. Grazie all’incontro con un direttore di teatro di Mosca il gruppo incomincia a costruire i suoi show bizzarri, come quello dedicato ai vampiri ucraini. Tutti i musicisti hanno più o meno tutti alle spalle una storia musicale fatta di piccoli ingaggi per feste di laurea e matrimoni, nell'ambito delle rispettive comunità est europee. I componenti sono nove e da soli rappresentano un buon numero di nazionalità mondiali: si spazia dall'Etiopia a Israele passando per la Scozia, l'Ecuador, gli Stati Uniti, la Russia e l'Ucraina. Una simile pluralità di tradizioni e influenze si è riversata nella loro musica generando un cocktail esplosivo capace di abbattere definitivamente qualunque steccato fra i generi. Le origini rom del leader dei Gogol Bordello e la componente russa del gruppo si fanno sentire nell'attenzione alle sonorità folk della fisarmonica e del violino, in un'apparente corto circuito con le percussioni in stile latinoamericano il tutto con un sottofondo di basso, chitarra e batteria. I Gogol Bordello sono l’anello di congiunzione tra l’est, quello della desolante periferia urbana Russa e Ucraina e l’ovest rappresentato, in questo caso, dalla scena musicale newyorkese. Questo meltin’ pot di influenze e stili, dà vita ad un suono veramente innovativo, dove le melodie tradizionali dell’est e il punk si incontrano, alternando fraseggi tipicamente gypsy a ritmiche frenetiche o di stampo reggae e hip hop. Nel 2005, dopo due album e molte collaborazioni, il salto di qualità: un disco, Gypsy Punks: Underdog World Strike che racconta piccole storie di immigrati ribelli catapultati nelle realtà metropolitane, un disco con tenta energia che istintivamente invita alla danza. Nel 2007 al mega Live Earth, la popstar Madonna vuole accanto Eugene per un duetto, lo trova decisamente interessante tanto da sceglierlo come attore protagonista del suo primo film da regista. Un'ascesa inarrestabile che non ha fatto dimenticare ai ragazzi l'anima ribelle e contestatrice che li ha visti affiancare le battaglie politiche e sociali di Manu Chao. Siamo nel 2010 esce l’attesissimo Trans-Continental Hustle , lo stile è il solito ma loro si confermano come la band in assoluto più strana e pazzoide degli ultimi 10 anni. E’ un disco energico, viscerale: fisarmonica e violino sempre a tirare il gruppo, qualche tocco di archi e fiati, veloci schitarrate acustiche a dare ritmi forsennati, una chitarra elettrica che svisa il suono e lo conduce verso il punk. Questa carovana gitana parte con “Pala tute” dal suono tipicamente Gypsy che ti catapulta direttamente nell’est europeo, ad una festa rom di un film di Kustarica, poi “My companjera” che parte allo stesso modo ma il ritmo della chitarra viene attirato in un vortice quando entrano la fisarmonica ed il violino. A spezzare bruscamente c’ è la malinconica ballata “Sun Is On My Side” e rientrare poi con “We comin’ rougher” un pezzo di puro ed irresistibile punk, segue “When Universes Collide” in cui è ben in evidenza la sofferta voce di Eugene e “Last One Goes The Hope”, un bel Reggae in stile Manu Chao molto estivo che ricorda la cumbia colombiana. Il trambusto transcontinentale conduce i Gogol Bordello prima in Brasile poi in Grecia e in medioriente con “ Raise the knowledge”. Un disco che consiglio se si è un po’ attenti alla world è a chi vuole far festa senza sosta. Tracklist: 01. Pala Tute 02. My Companjera 03. Sun on My Side
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04. 05. 06. 07. 08. 09. 10. 11. 12. 13.
Rebellious Love Immigraniada (We Comin’ Rougher) When Universes Collide Uma Menina Raise The Knowledge Last One Goes The Hope To Rise Above In The Meantime In Pernambuco Break The Spell Trans Continental Hustle
discografia essenziale: 2005: GYPSY PUNKS UNDERDOG WORLD STRIKE 2007: SUPER TARANTA! “Side One Dummy” 2009: LIVE FROM AXIS MUNDI “Side One Dummy” 2010: TRANS CONTINENTAL HUSTLE “Rude Records”
ANDREA CHIMENTI “TEMPESTA DI FIORI” Domenica 20 Giugno 2010 07:50 | Scritto da Jankadjstrummer |
“ Credo che tutti i grandi cambiamenti, anche quelli improvvisi, inaspettati e apparentemente non voluti, siano, in qualche modo, preparati da tempo e desiderati nel profondo. È così che arriva inesorabile il giorno della “tempesta” dove tutto sembra crollare, ma in realtà tutto è destinato a cambiare forma. Dopo lo smarrimento si comincia a delineare ai nostri occhi un nuovo paesaggio che non conoscevamo, ma che forse inconsciamente abbiamo fortemente voluto. Il disco è semplicemente questo, la mia tempesta, quella di molti, di chi decide di “indossare un vestito del colore dei propri occhi” tagliando i ponti con una realtà che non gli appartiene più.” (Andrea Chimenti) “Tempesta di fiori” è il nuovo album di Andrea Chimenti, a cinque anni di distanza dal precedente “Vietato morire”. Prodotto da Stefano Cerisoli e Guglielmo Ridolfo Gagliano, il disco ha richiesto un intero anno di lavorazione che ha trovato il suo culmine nelle registrazioni al Teatro Comunale di Castiglion Fiorentino (AR). “Tempesta di fiori” è uscito in maggio e sarà seguito da un tour estivo e autunnale. ANDREA CHIMENTI – “Tempesta di fiori” Analisi dei brani a cura dell’artista. 1. Era di notte Lui e lei di sera sdraiati sull’erba. Lei gli confida di non averlo mai amato. Lui, per orgoglio, maschera il dolore con un sorriso e si allontana. La notte si china con tutta la sua tenebra e lui, cercando riparo, si avvolge in un manto bianco dal candore ritrovato. È il tempo di guardare avanti, oltre il dolore, forse un giorno la incontrerà nuovamente “forse mai, un domani, forse mai”. 2. Il cielo che si avvicina “Dalla terra spunta il fiore o dal fiore dondola la terra?”, “Sono gli alberi a crescere oppure è il cielo che si avvicina?”. È il gioco del ribaltamento, del convertire il pensiero verso il suo opposto e trovare un’altra realtà. Un gioco che vuole comprendere come le cose possano apparire diverse negli occhi dell’altro, un gioco che smonta le certezze
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abbracciando il dubbio, spesso più fertile e più disposto alla comunicazione. Forse “Una montagna altro non è che una buca nel cielo”. Due voci all’unisono, la mia maschile e quella femminile di Valentina Cidda dei Kiddycar si mescolano come a riunire quello che sembra separato. 3. Bellissima Una ballata dedicata allo stupore di fronte alla bellezza delle cose, quando accanto c’è chi ami. 4. Feroce e inerme Una canzone d’amore. Gli amanti sono due rose blu cresciute in un giardino dove il Sole non sorge mai. Le notti si susseguono senza lasciare mai spazio all’alba, fino al giorno dell’epilogo: “Un giorno che sembra feroce e inerme, un giorno per sempre che pioggia disperde”. 5. Stupido Può capitare davanti ad una donna, di sentirsi inadeguati, imbarazzati, stupidi. Vedersi dal di fuori e trovarsi piccoli, a volte un po’ buffi e impacciati. È una canzone dove il machismo, nel senso più ampio del termine, non trova spazio perraccontare un uomo teneramente confuso. 6. Sangue Un’altra canzone in cui l’amore è protagonista, dove la gioia chiama la sofferenza e la sofferenza la gioia. È come ritrovarsi bagnati dalla testa ai piedi dopo aver camminato ore, in una città sotto la pioggia, senza essersene accorti. 7. Delicato guerriero Dedicata a mio figlio. 8. Tempesta di fiori “…si feriscono le ali i gabbiani sulle rocce sospinti dal vento…”. Ogni volo, ogni cammino che ho intrapreso ha comportato la sua difficoltà, ma la peggiore, quella capace di incatenare e assopire il cuore, è la “paura”. Tempesta di fiori è la voglia di imparare ad “indossare un vestito del colore dei propri occhi”, di imparare ad accettarsi con semplicità, alzarsi, correre alla finestra e scoprire fuori una tempesta di petali e profumi. 9. Perduto Perdersi non ha sempre un’accezione negativa. A volte uscire dalla strada indicata, dalle regole spesso imposte e subite fa bene alla vita. C’è chi lo chiama trasgredire. Credo che il mondo sia cresciuto e si sia evoluto grazie ad una serie di trasgressioni. Se fossi stato Cappuccetto Rosso sarei uscito anch’io dal sentiero. È un’indole senza la quale non potrei scrivere canzoni. 10. Qualcosa cambierà La sciarpa sulla bocca diventa una benda sopra una ferita. Le parole che lui non è riuscito a pronunciare, sono scritte in un diario che raccontano l’attesa di lei. Il protagonista sa di essere giunto alla fine di un tempo e vede i fiocchi di neve scendere sulla città come se fossero i titoli di coda di un film. Ha una certezza: qualcosa cambierà, è finito un tempo, ne sta per nascere uno nuovo. 11. Vorrei incontrarti Cosa dire di questa straordinaria canzone di Alan Sorrenti? È tratta da Aria, un album meraviglioso, una pietra miliare della musica italiana degli anni settanta. È un omaggio ad un grande artista di ieri e di oggi, che allora segnò la mia adolescenza e quella di tanti altri, lasciando un bagaglio di profondità e dolcezza ad una generazione che si affacciava verso un futuro difficile, troppo spesso rozzo e superficiale. 12. Lezioni pratiche di volo Uno dei sogni che avevo da ragazzo era quello di prendere il brevetto di volo. Per fortuna ho preso altre strade; conoscendo la mia distrazione sarei andato finire chissà dove. Le dodici canzoni concludono il loro percorso in un viaggio fantastico a bordo di un dirigibile ad eliche per lasciarsi tutto alle spalle…chi non ha mai sognato di volatilizzarsi e volare via, in qualsiasi posto, basta che sia lontano, magari oltre Giove…verso le Pleiadi…
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BIOGRAFIA ANDREA CHIMENTI Dal 1983 al 1989 Andrea Chimenti è il cantante dei Moda, uno dei gruppi storici del rock italiano con Litfiba eDiaframma. Tre sono gli album realizzati con questo gruppo all'interno dell'etichetta I.R.A. prodotti da Alberto Pirelli: Bandiera, Canto Pagano e Senza Rumore. Canto Pagano, realizzato nel 1987, è coprodotto da Mick Ronson (chitarrista di David Bowie, Bob Dylan, Lou Reed). Sempre in questo periodo numerose le compilation e le collaborazioni tra le quali si ricorda il 45 giri uscito solo per il mercato francese dove Andrea canta con Piero Pelù e Nicoletta Magalotti Padam Padam di Edith Piaf. I Moda nel 1989 si sciolgono e per Andrea comincia la carriera solista: insieme a Gianni Maroccolo e Francesco Magnelli realizza il suo primo CD La Maschera del Corvo Nero che esce nel 1992 per la CGD. Nel 1996 esce L'Albero Pazzo prodotto da Andrea e F. Magnelli ed edito dal Consorzio Produttori Indipendenti, in cui Andrea scrive e canta un brano insieme a David Sylvian, Ti Ho Aspettato (I Have Waited For You). Canta nel film di Carlo Verdone Sono Pazzo di Iris Blond il brano Black Hole. Collabora con Una Notte in Italia al CD tributo ad Ivano Fossati. Nel 1997, in collaborazione con l'attore Fernando Maraghini, esce Qohelet, per la collana Taccuini edita dal C.P.I. Nel 1998 fonda insieme a Fernando Maraghini e a Maria Erica Pacileo l'etichetta discografica Le Vie dei Canti. Nello stesso anno esce Il Cantico dei Cantici dove l'attrice Anita Laurenzi, sulle musiche di Andrea, legge l'omonimo libro biblico. Nel 1999, Andrea lavora a sonorizzazioni di musei, mostre e video d'arte. Nel 2000 debutta con Il Porto Sepolto, spettacolo di canto, musica e letture dove Andrea mette in musica le poesie di Ungaretti, partecipa allo spettacolo ebraico Mazal Tov della compagnia di Terra di Danza, per poi realizzare, due anni dopo, il cd de Il Porto Sepolto. Nel 2004 Andrea collabora nel CD di Gianni Maroccolo A.C.A.U. con il brano Una Prima Volta. Ad ottobre del 2004 esce il suo nuovo CD Vietato Morire realizzato con Massimo Fantoni e Matteo Buzzanca, con ospiti come Steve Jansen, Patrizia Laquidara, Gianni Maroccolo, Alessandro Fiori dei Mariposa. Nell'ottobre 2005 esce il DVD Vietato Morire - Note per un film documentario, che raccoglie la lavorazione dell'album ed il video de La Cattiva Amante. Nel 2007 lavora alla piece teatrale Il Deserto dei Tartari in qualità di attore e musicista per la regia di Riccardo Sottili. Nel 2008 esce Cimenti danza Silenda, un cofanetto che racchiude un dvd con 14 brani danzati dalla compagnia Silenda per la regia di F. Maraghini e M. E. Pacileo e la stessa versione audio su cd con brani dagli anni '80 a oggi. Sempre per la compagnia Silenda lavora alla colonna sonora in Francia ad un film sperimentale che vede come partner il Ministère de la Culture et de la Communication. Dopo un paio di anni di intensa attività live, il 30 aprile 2010 esce il nuovo album “Tempesta di fiori” (Soffici / Santeria / Audioglobe). www.andreachimenti.com.
LA MORTE DI PAUL MC CARTNEY : leggenda metropolitana o verita’ nascosta Giovedì 22 Luglio 2010 07:41 | Scritto da jankadjstrummer |
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Giorni facendo zapping in televisione mi sono imbattuto in un programma tipo “Misteri “ o qualcosa di simile,in cui veniva ricordata la notizia sulla presunta morte di Paul Mc Cartney. Si tratta di una storia trita e ritrita ma vale la pena segnalarla per quelli che volessero approfondire e magari trovare una soluzione a questo enigma ingarbugliatissimo. Tutta la vicenda trae origine da una telefonata di un certo Alfred ad una radio di Detroit in cui sosteneva di essere al corrente di un grande segreto, rivelò che Paul Mc Cartney era morto in un incidente stradale avvenuto il 9 Novembre 1966. In quel periodo, i Beatles erano impegnati nella realizzazione del’album che avrebbe dato una svolta alla storia del rock: Sgt. Pepper’s lonely hearts club band. Nel corso della telefonata, Alfred citò alcuni articoli tratti dal giornali inglesi, a proposito di un incidente avvenuto alle cinque del mattino del 9 Novembre 1966. Il guidatore dell’auto distrutta, completamente sfigurato, non era stato identificato. Ma secondo Alfred aveva un nome: Paul McCartney. Dopo quattro mesi dall’incidente, nel febbraio 1967, il fan club ufficiale dei Beatles lanciò, senza una apparente ragione, uno strano concorso: «Cerchiamo il sosia di Paul McCartney». Centinaia di persone, da ogni parte del mondo, spedirono la loro foto e si presentarono alle selezioni indette dal fan club. Il vincitore del concorso no fu però mai nominato....Perché? Forse per nasconderlo. Secondo il misterioso Alfred, infatti, il sosia di Paul fu trovato davvero, il quale, dopo “ritocchi” ai lineamenti e alla voce, ne prese il posto. L’industria discografica, dunque, avrebbe sostituito Paul con un sosia. Con la complicità di Lennon, Harrison e Starr. Sembra però che questo terribile segreto abbia generato una sorta di senso di colpa dalla band, a giudicare dai vari indizi lasciati sugli album e le canzoni. Indizi lasciati quà e là, per far trapelare un terribile segreto o per fare forse un simpatico scherzo a milioni di fan? Ad esempio, sulla copertina di Magical mistery tour (1967), Paul è l’unico a tenere una rosa nera invece di una rossa, ed inoltre, in una immagine di gruppo, sulla batteria di Ringo, troviamo la scritta «Love 3 Beatles » ...ma i Beatles non erano in 4 ? Sempre in Magical mistery tour, Paul e compagni indossano delle maschere. Una di esse raffigura un tricheco. Secondo la simbologia delle leggende nordiche (vecchia passione di Lennon) il tricheco rappresenta la morte. Quale, dei quattro Beatles indossava questa tetra maschera? La soluzione ci viene offerta da Lennon nella canzone Glass onion (The Beatles, 1968), in cui si dice : «Vi avevo parlato del tricheco. Ebbene, ecco un’altra pista per voi: il tricheco era Paul».Ma la canzone, a nostro avviso più diretta ed eloquente, perché così maledettamente inquietante è Strowberry fields forever (Magical mistery tour ,1967), dove, alla fine, dopo un pezzo strumentale psichedelico, Lennon sussurra «..I’ve buried Paul», «..Ho sepolto Paul». La leggenda, per riassumerla con le parole di Wikipedia, è la seguente: "Una sera Paul McCartney uscì dalla sala prove dopo un violento litigio con gli altri tre Beatles. Salì sulla sua auto per tornare a casa e lungo la strada raccolse una ragazza che faceva l'autostop. La ragazza si chiamava Rita e gli raccontò che stava scappando da casa perché era incinta e, contro il parere del suo ragazzo, aveva deciso di abortire. Solo in un secondo momento Rita realizzò che la persona al volante era Paul dei Beatles; la sua reazione esagitata spaventò e distrasse McCartney, che non vide il semaforo diventare rosso. Pur riuscendo a evitare l'urto con un altro veicolo, l'auto del beatle uscì di strada e si schiantò contro un albero, prendendo fuoco. Paul, sbalzato fuori dall'abitacolo, sbatté la testa contro l'albero, perse i denti e si bruciò i capelli. Sia Paul che Rita persero la vita". Da allora, che l'incidente sia avvenuto o meno, i Beatles rilasciarono numerosi album contenenti parecchi indizi. Vediamoli uno a uno. Butcher cover ("copertina del macellaio") è il nome che fu dato alla prima versione della copertina dell'album Yesterday and Today, uscito nel mercato USA proprio nel 1966. In questa copertina, si vedono i Beatles con coltelli da macellaio, parecchie bambole fatte a pezzi e abbondanti macchie di sangue. Cosa ancor più interessante, è che George Harrison tiene la testa della bambola vicina alla testa di Paul... Questa copertina, troppo esplicita e cruenta, fu ritirata dal mercato e sostituita da quella ufficiale, nella quale vi sono comunque riferimenti espliciti (il baule che, in realtà, è molto più simile a una bara) alla morte di Paul. Sulla copertina di Revolver, Paul è l'unico girato di profilo e, in alto a sinistra, il suo viso pare pregno di sofferenza, anche se la maggior parte dei cosiddetti indizi di Revolver si troverebbero nei testi delle canzoni.
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Nel brano di apertura dell'album, Taxman, Harrison canta (in realtà in due diverse strofe della canzone): If you drive a car e if you get too cold; il primo verso significa certamente "se guidi un'auto", il secondo "se hai troppo freddo", potrebbe anche essere letto come "se diventi troppo freddo". Mentre, in Tomorrow Never Knows (titolo tratto dal libro tibetano dei morti) Lennon canta play the game of existence to the end ("gioca il gioco della vita fino alla fine").Un album pieno di indizi, la cui copertina sembra ritrarre una cerimonia funebre, con un folto pubblico in piedi davanti a una fossa, è Sgt Pepper's Lonely Hearts Club. Come potete chiaramente vedere, i fiori, oltre a comporre la parola Beatles, ritraggono anche un basso per mancini (come quello usato da Paul). Sulla destra compare una bambola che ha in grembo un'auto che si dirige verso la parola "Stones" (pietre). Paul è anche l'unico a imbracciare uno strumento nero (un oboe). Inoltre, sopra la sua testa vi è il disegno di una mano che, secondo alcune popolazioni asiatiche, aperta sopra la testa, significherebbe morte. Ma le stranezze non finiscono qui. Se si prende uno specchio e lo si appoggia perpendicolarmente fra le parole "Lonely" e "Hearts", succedono due cose curiose: si formano le due frasi "1 One 1" e "He die" ("1 1 1" sarebbero i tre superstiti e "he die", ovvero "lui muore").
Continuando, aprendo il disco, si vedono i Beatles seduti. L'unico accovacciato con le braccia che stringono le ginocchia è Paul. Cosa c'è di strano, direte voi? Nulla, se non che quella era proprio la posizione in cui i Celti seppellivano i loro morti. Ad avvalare questa tesi, ci sarebbe anche la O.P.D. sul braccio del Beatle, ovvero Officially Pronounced Dead, ufficialmente pronunciato morto. E, ancora, nella copertina di Magical Mystery Tour, la scritta "Beatles", guardata allo specchio, ricorda un numero di telefono: 2317438. La cosa oltremodo bizzarra è che pare che negli anni '60, a Londra, a quel numero rispondesse una voce registrata che diceva "Ci sei vicino", come a dire, non sei lontano dalla verità. Successivamente, in White Album, nel brano Glass Onion (termine con cui si indicano le bare di vetro), un malizioso Lennon canta: here's another clue for you all: the walrus was Paul ("ecco un altro indizio per voi tutti: il tricheco era Paul"). Inoltre in "I Am the Walrus" si sente una voce che dice "oh is really dead" (poco dopo il 4° minuto). Osservando il retro di copertina, girato di lato, e lasciando che gli occhi vadano fuori fuoco, sembra apparire l'acronimo RIP.
Nel poster all'interno del disco White album (a pag. 18 nel libretto del CD) compare il presunto sosia, tale Campbell, prima della chirurgia plastica che avrebbe evidenziato le somiglianze tra i due. In una foto di Paul che balla, due mani scheletriche sembrano volerlo afferrare dalla schiena. Nell’angolo in alto a sinistra del poster c’è una foto di Paul in
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una vasca da bagno (a pag. 3 del CD): la posizione della testa di Paul e la schiuma di sapone attorno suggeriscono la macabra scena del suo fatale incidente. In Don't Pass Me By (che qui sentite al contrario) Ringo canta: you were in a car crash and you lost your hair ("hai avuto un incidente d'auto e hai perso i capelli"). Revolution 9 inizia con una voce che scandisce tre volte number nine che ascoltata al contrario suonerebbe turn me on, dead man ("accendimi, uomo morto"); il numero 9 si riferirebbe sia alla somma delle lettere che compongono il nome McCartney (nove, appunto), sia al giorno della presunta morte (il 9 novembre). Fra i rumori che compongono questo brano c'è anche una frenata d'automobile e uno schianto, e un coro che sembra ripetere "Paul is dead, Paul is dead" ed una voce che grida velocemente "I'm die!". Dopodichè si sentono delle urla. Alla fine di I'm So Tired, un'altra voce ascoltata al contrario sembrerebbe dire "Paul is dead man: miss him, miss him, miss him!" ("Paul è l'uomo morto: mi manca, mi manca, mi manca!"). Per quanto riguarda gli indizi sonori circa la presunta morte di Paul, trovo davvero strabiliante che molte delle loro canzoni, ascoltate al contrario, o semplicemente con attenzione, rivelano dettagli sconcertanti. Abbey Road è forse l'album le cui interpretazioni a sostegno della morte di Paul sono più note. Il gruppo attraversa la strada in fila indiana, ognuno con un abito che sembra richiamare una figura iconologica diversa: John vestito di bianco (sacerdote o forse angelo), Ringo con un completo nero che potrebbe far pensare al portatore della bara, Paul scalzo (un altro richiamo al fatto che i morti non portassero le scarpe), fuori passo rispetto agli altri, con gli occhi chiusi, tiene la sigaretta con la destra (pur essendo mancino); e infine George, in jeans, potrebbe ricordare un becchino. Sulla targa del "maggiolino" ("beetle") Volkswagen bianco parcheggiato a sinistra, simile a un carro funebre, si legge "28IF" ("28 SE", interpretato come "Paul avrebbe 28 anni SE fosse ancora vivo"). Anche il resto della targa , "LMW", è stato letto come "Linda McCartney Widowed" (vedova) o come "Linda McCartney Weeps" (piange).
Sulla copertina di Let It Be, Paul è l'unico a guardare frontalmente e comunque in una direzione diversa dagli altri, nonché l'unico ad apparire su sfondo rosso. Mentre sulla copertina di Oldies, si vede chiaramente una macchina dirigersi proprio verso la testa di Paul, al momento dell'incidente... Inoltre, OLDIES, è stato interpretato come PM Dies (ovvero Paul McCartney muore). Se quest'analogia vi sfugge, pensate che stranamente le lettere O e L precedono proprio la P e la M... Come se non bastasse, come dimostra un interessante ricostruzione, la statura di Paul McCartney sarebbe notevolmente aumentata dopo il 1967. Se prima di tale data era alto all'incirca come John Lennon, come si evince da numerosi scatti dell'epoca, successivamente, Paul diventa più piazzato e molto più alto, cosa piuttosto strana, considerato il fatto che, quando si schiantò con l'auto (certo, sempre che questa teoria sia vera), aveva già 25 anni... Mi chiedo se i >Beatles si sono divertiti con questa storia seminando scompiglio tra i milioni di fans o si tratta di pre coincidenze rese fantasiose da Alfred. Tutti i Beatles hanno smentito, e Paul Mc Cartney è vivo e vegeto.Rimane il mistero che durerà finchè sarà vivo il mito dei Beatles. FONTE: wikipedia e il Blog Leggende metropolitane.
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NON SOLO ROCK marzo 2009 – luglio 2010 By Jankadjstrummer Copyright © www.friendsofpoplar.it Info: info@friendsofpoplar.it
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