PERSONAGGI CELEBRI

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ALUNNI EDUCATORI INSEGNANTI CELEBRI DEL CONVITTO NAZIONALE “MARIA LUIGIA” PARMA

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Personaggi famosi del Convitto Nazionale Maria Luigia

Attilio Bertolucci è nato il 18 Novembre 1911 a San Prospero, vicino Parma. Ha frequentato il Convitto Nazionale Maria Luigia di Parma. Cominciò a scrivere poesie sin da giovanissimo, quando aveva ancora non più di sette anni. Nel '28 collaborò alla Gazzetta di Parma, di cui Cesare Zavattini, amico di sempre, era nel frattempo diventato redattore capo. L'anno successivo, Bertolucci pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Sirio. Nel '31 s'iscrisse alla Facoltà di Legge a Parma. Nel '33 conobbe la compagna di tutta una vita, Ninetta Giovanardi, e nel '32 l'anno dopo pubblicò l'intenso e bellissimo Fuochi in novembre, che gli meritò gli elogi di Montale e di Sereni (la corrispondenza con Sereni è raccolta in Una lunga amicizia, del '94). Abbandonati gli studi giuridici, frequentò le lezioni di critica dell'arte tenute da Roberto Longhi all'università di Bologna. Nel '38, le nozze con Ninetta. Un anno dopo fondò con Ugo Guanda "La Fenice", prima collana di poesia straniera in Italia. Il 17 marzo del '41 nacque il figlio Bernardo, che diventerà il grande regista che sappiamo. Il 9 settembre del '43 si trasferì con Ninetta e il piccolo Bernardo a Casarola, nell'antica casa dei Bertolucci. Nel '47 nacque il secondo figlio, Giuseppe, anch'egli futuro regista. Si trasferì nel '51 a Roma, proprio presso l'abitazione di Longhi. Il '51 è un anno felicissimo per Bertolucci: esce La capanna indiana da Sansoni e vince il Premio Viareggio. Fra i primi lettori del libro c'è Pier Paolo Pasolini, che diventa uno sei suoi amici più cari. Nel '58 uscì da Garzanti, a sua cura, un'antologia di Poesia straniera del Novecento, stracolma di sue traduzioni.

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A Giacomo Ulivi A te l'Appennino autunnale, le foglie di ruggine, il vento i villaggi chiusi nel sonno gli occhi chiusi per sempre. La giovinezza muore, sui monti le siepi son nude e stracciate ora il tuo passo s'è perduto, addio e addio ancora. Già viene un inverno favoloso di nevi e di fuochi, un tempo quieto in cui ci scorderemo di te.

Nel '71 venne pubblicato quello che resta, probabilmente, il migliore tra i libri del poeta parmigiano, Viaggio d'inverno. Nel '75, dopo la morte di Pasolini, Bertolucci fu chiamato a dirigere - con Siciliano e Moravia - la prestigiosa rivista Nuovi Argomenti. Per molti anni il poeta fu impegnato nella scrittura e nella rifinitura della Camera da letto, che uscirà in due libri, nell' 84 e nell'88, vincendo il Viareggio. Nel '90 appaiono Le poesie, tutte le sue raccolte di liriche già edite, che ottengono il premio Librex-Guggenheim. Nel '93 esce una nuova raccolta di liriche, Verso le sorgenti del Cinghio, e nel '97 pubblica La lucertola di Casarola, che contiene poesie giovanili e componimenti più recenti. Nello stesso anno esce il Meridiano Mondadori delle sue Opere, a cura di Paolo Lagazzi e Gabriella Palli Baroni. Il grande poeta si è spento il 14 giugno 2000. Attilio Bertolucci ha pubblicato sette raccolte di poesie: Sirio, 1929, Fuochi in novembre, 1934, Lettera da casa, 1951, In un tempo incerto, 1955, Viaggio d'inverno, 1971, Verso le sorgenti del Cinghio, 1993, La lucertola di Casarola, 1997; un poemetto: La capanna indiana, 1951;un romanzo-poema: La Camera da letto, 1984-88 - una raccolta di articoli: Aritmie 1991, un epistolario con Vittorio Sereni: Una lunga amicizia, 1994, numerose traduzioni di poeti dall'inglese e dal francese: si ricorderanno, tra le altre, la versione in prosa de I fiori del male, e la raccolta Imitazioni. Verso la fine del 1944 muoiono due suoi ex-allievi, partigiani: Ottavio Ricci e Giacomo Ulivi. “Tra i miei scolari del Convitto Maria Luigia il più caro, il più intelligente, il più coraggioso si chiamava Giacomo Ulivi. (…)” (CHERIN S., Attilio Bertolucci. I giorni di un poeta, La Salamandra, Milano 1980) Verso Casarola Lasciate che m’incammini per la strada in salita e al primo batticuore mi volga, già da stanchezza e gioia esaltato ed oppresso, a guardare le valli azzurre per la lontananza, azzurre le valli e gli anni che spazio e tempo distanziano. Così a una curva, vicina tanto che la frescura dei fitti noccioli e d’un’acqua pullulante perenne nel cavo gomito d’ombra giunge sin qui dove sole a aria baciano la fronte le mani di chi ha saputo vincere la tentazione al riposo, io veda la compagnia sbucare e meravigliarsi di tutto con l’inquieta speranza dei migratori e dei profughi

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scoccando nel ciclo il mezzogiorno montano del 9 settembre ’43. Oh, campane di Montebello Belatola Villula Agna ignare, stordite noi che camminiamo in fuga mentre immobili guardano da destra e da sinistra più in alto più in basso nel faticato appennino dell’aratura quelli cui toccherà pagare anche per noi insolventi, ma ora pacificamente lasciano splendere il vomere a solco incompiuto, asciugare il sudore, arrestarsi il tempo per speculare sul fatto che un padre e una madre giovani un bambino e una serva s’arrampicano svelti, villeggianti fuori stagione (o gentile inganno ottico del caldo mezzodì), verso Casarola ricca d’asini di castagni e di sassi. Potessero ascoltare, questi che non sanno ancora nulla, noi che parliamo, rimasti un po’ indietro, perdutisi la ragazza e il bambino più su in un trionfo inviolato di more ritardatarie e dolcissime, potessi io, separato da quel giovane intrepido consiglio di famiglia in cammino, tenuto dopo aver deciso già tutto, tutto gettato nel piatto della bilancia con santo senso del giusto, oggi che nell’orecchio invecchiato e smagrito mi romba il vuoto di questi anni buttati via. Perché, chi meglio di un uomo e di una donna in età di amarsi e amare il frutto dell’amore, avrebbe potuto scegliere, maturando quel caldo e troppo calmo giorno di settembre, la strada per la salvezza dell’anima e del corpo congiunti strettamente come sposa e sposo nell’abbraccio? Scende, o sale, verso casa dei campi gente di Montebello prima, poi di Belatola, assorta in un lento pensiero, e già la compagnia forestiera s’è ricomposta, appare impicciolita più in alto finchè l’inghiotte la bocca fresca d’un bosco di cerri: là c’è una fontana fresca nel ricordo di chi guida e ha deciso una osta nell’ombra sino a quando i rondoni irromperanno nel cielo che fu delle allodole. Allora sarà tempo di caricare il figlio in cima alle spalle, che all’uscita del folto veda con meraviglia mischiarsi fumo e stelle su Casarola raggiunta.

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GlACOMO ULlVl 1925 29 OTTOBRE -Nasce a Baccanelli di Parma da Giulio e da Maria Luisa Fornari. 1926 La famiglia Ulivi si trasferisce a Roma, abitando in una casa dell 'Isola Tiberina. 1930 Dietro invito del governo belga, il padre si reca a Bruxelles. Lo accompagnano la moglie e il piccolo Giacomo che rimarranno nel Belgio fino al 1932. 1932-1935 Ritornato a Parma con la madre, Giacomo cornpie in un triennio il ciclo di studi elementari presso la Scuola « Angelo Mazza ». 1935 Viene iscritto come semiconvittore alIa 1° classe ginnasiale del Convitto Nazionale « Maria Luigia ». 1940 Supera con facilità gli esami di quinta ginnasiale. Nell'autunno comincia a frequentare, sempre presso il Convitto « Maria Luigia », la 1° classe del Liceo classico. 1942 Con un anno di anticipo affronta positivamente la maturità classica. Vivissimo e in lui il desiderio di terminare presto gli studi per non essere più di peso alIa famiglia. 1942 Nell'AUTUNNO si iscrive alIa facoltà di medicina e chirurgia dell'Universita di Parma; ma, dopo poche settimane di frequenza, chiede il passaggio alIa facoltà di giurisprudenza. Intanto Giacomo è arrivato ad una chiara posizione critica nei confronti del fascismo e di tutte le sue istituzioni. 1943 15 AGOSTO -Pubblica sulla « Gazzetta di Parma » un articolo dal titolo « La libertà di stampa in un discorso di Cavour ». 1943 AUTUNNO -Giacomo si incontra frequentemente con diversi ex-condiscepoli del « Maria Luigia » ed un gruppo di insegnanti antifascisti. Tra la fine di ottobre e i primi di novembre compie un primo viaggio a Bedonia per incontrarsi con partigiani locali, In novembre chiede al C.L.N. di Parma di lavorare per la Resistenza e riceve l'incarico di stabilire collegamenti tra i partigiani dell' Appennino parmense e quelli della provincia di Massa e Carrara. In un secondo viaggio, si preoccupa anche di far trasmettere agli Alleati, via radio, pressanti richieste di aiuti per i primi nuclei partjgiani. 1944 11 FEBBRAIO -Dopo l'arresto di alcuni insegnanti e studenti antifascisti di Parma, con cui Giacomo era in contatto dall'autunno precedente, egli viene a sua volta arrestato nella sua casa di Borgo Leon d'oro n. 1, e tradotto alla caserma della 80° Legione della G.N.R.. Nel pomeriggio, dopo un breve incontro con la madre, riesce in modo rocambolesco, eludendo la sorveglianza dei guardianj, a fuggire ed a riguadagnare la libertà. 1944 13 FEBBRAIO -Viene nascosto nella casa dell'amico W, a Cevola di Traversetolo, nella valle dell'Enza. Il giorno dopo si trasferisce a Modena, dove rimarrà otto mesi, ospite del maresciallo dell'esercito Alessandro Bassi, abitante in via Castel Maraldo, 7.

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1944 ESTATE -Giacomo riesce finalmente a venire in contatto con esponenti della Resistenza modenese, da cui riceve l'incarico di diffondere stampa clandestina; partecipa inoltre a qualche azione di sabotaggio nella zona di Nonantola. 1944 SETTEMBRE -Riceve dal Comandante partigiano della Piazza di Modena l'incarico di recarsi a Parma per stabilire collegamenti con i dirigenti della lotta partigiana della sua città. A Cevola si ferma per alcuni giorni presso la madre. Intanto Giacomo è arrivato ad una chiara posizione critica nei confronti del fascismo e di tutte le sue istituzioni. 15 AGOSTO - Pubblica sulla « Gazzetta di Parma » un articolo dal titolo « La liberta di stampa in un discorso di Cavour ». Ritornato a Modena, si incontra col vice-comandante del Commando Piazza e lo prega di istradarlo verso le formazioni partigiane operanti sull'Appennino Modenese. 1944 30 OTTOBRE -All'uscita dall'Accademia Militare (in quel tempo sede del 42° Commando Provinciale della repubblica fascista) dove il maresciallo Bassi lo ha fornito di documenti falsi, Giacomo è arrestato dalla Brigata Nera in via Farini e tradotto nelle carceri della stessa Accademia. Comincia la serie estenuante degli interrogatori, intervallati da crudeli sevizie: Giacomo non parla. 1944 9 NOVEMBRE -I fascisti, per rappresaglia all'occupazione partigiana di Soliera avvenuta sei giorni prima, condannano a morte tre prigionieri politici. Nel numero c'e anche Giacomo Ulivi. 1944 10 NOVEMBRE, ore 10 -Giacomo Ulivi, Eroilio Po e Alfonso Piazza vengono fucilati dai fascisti sulla Piazza Grande di Modena. AlIa memoria di Giacomo Ulivi fu concessa la medaglia d'argento aI valore militare. Modena, 10 Novembre 1944 ore 10 Carissima mamma, ti chiedo scusa di averti fatto soffrire. Io sto benissimo e sono molto tranquillo come ti diranno questi cari Bassi. Sono molto buoni. Non mi rincresce quanto succede: è quanto ho rischiato e mi è andata male. Io spero che tempi migliori giungeranno e spero….Io sono interrotto dai Bassi che piangono. Io non ne sento il bisogno, riesco a non pensare al vostro dolore e sono molto tranquillo. Ringrazia tutti quelli che hanno fatto qualcosa per me. Soprattutto tu sai chi. E penso al caro lontano: non riesco a scrivere molte cose. Perdonatemi. Ti abbraccio con tutta l’anima Giacomo Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, ISRE di Modena, 1974

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1945 a Giacomo Ulivi E’ giunta l’ora della tua morte nei giorni delle bandiere spiegate, nei caldi giorni di un maggio cittadino in festa al suono di antiche fanfare. Non sapevamo più nulla di te... Ora sei tornato nel pallore della tua passione, la morte non può vincere le tua giovinezza tenace. - Attilio Bertolucci, La lucertola di Casarola, 1945, Garzanti Il testamento spirituale di Giacomo Ulivi in una lettera agli amici Cari amici - scrive Giacomo Ulivi- vi vorrei confessare innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L’avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire “falso”, di inzuccherare con un patetico preambolo una pillola propagandistica. E questa parola temo come un’offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi. Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Ecco per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita? (…) Benissimo, è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di “quiete”, anche se laboriosa, è il segno dell’errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile risultato di un’opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per venti anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della “sporcizia” della politica, che mi sembra sia stato ispirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di specialisti (…) Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. (…) Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica ci siamo stati scaraventati dagli eventi. (…) Credetemi, la cosa pubblica è noi stessi: ciò che ci lega ad essa non è un luogo comune, una parola grossa e vuota. (…) Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma cominciamo a guardare in noi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere. Ricordatevi siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere; che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro ad un pericolo negativo? (…) Oggi bisogna combattere contro l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi. Termino questa lunga lettera un po’ confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro. Giacomo Ulivi

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Questa lunga lettera, mai spedita, che si può considerare il testamento spirituale di Giacomo Ulivi, fu da lui scritta nei mesi del suo forzato esilio a Modena, su 14 foglietti staccati da un taccuino e poi ritrovati dopo la sua morte, tra le pagine dei suoi libri nella sua casa di via Castel Maraldo.

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Giovannino Guareschi (Fontanelle di Roccabianca-Parma, 1908 – Cervia, 1968) Scrittore italiano tra i più conosciuti e tradotti all’estero, giornalista, autore satirico e sceneggiatore (basti ricordare la saga dedicata ai personaggi di Don Camillo e Peppone), Guareschi costituisce un pezzo della storia del costume italiano. Fierissimo conservatore, sostenitore dei monarchici prima delle elezioni per la Repubblica, è avverso alla sinistra e al Fronte popolare, pur provenendo da una famiglia di estrazione comunista. Critico nei confronti dei personaggi politici di qualsiasi bandiera, viene condannato e messo in prigione nel 1951 per offesa al presidente della Repubblica Einaudi e nel 1954 per diffamazione nei confronti di De Gasperi. Le sue vignette e i suoi articoli appaiono su numerose riviste, tra cui “Candido”, da lui fondata con Giovanni Mosca nel 1945 e diretta fino alla chiusura nel 1961. La mostra presenta una selezione di opere realizzate per questo settimanale, provenienti dal fondo della Regione Lombardia custodito dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. Guareschi è stato lo scrittore italiano forse più letto e amato dal pubblico, ma anche il più contrastato dal potere politico e culturale. Infatti alla sua morte gli verranno tributati pochissimi riconoscimenti, rispetto alla reazione della critica estera. Le sue opere sono tradotte in quasi tutte le lingue del mondo: dalle più note fino all’islandese, al vietnamita, all’arabo ecc. 1° maggio 1908: a Fontanelle, l’infanzia nasce a Fontanelle di Roccabianca (PR) Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi figlio di Lina Maghenzani, maestra elementare del paese, e di Primo Augusto, negoziante di biciclette, macchine da cucire e macchine agricole. La casa natale è anche sede della «Cooperativa Socialista» che, in occasione della «Festa del Lavoro», ha organizzato un comizio. Le bandiere rosse delle sezioni socialiste della Bassa si ammassano sotto le finestre di casa Guareschi. «quella mattina (...) ho il primo contatto diretto con la politica e la lotta di classe. (...) Il capo di quei rossi, Giovanni Faraboli, un omaccio alto e massiccio come una quercia (...) fattosi alla finestra di cucina, mi mostra agli altri rossi (...) spiegando loro che, essendo io nato il primo maggio, ciò significa che sarei diventato un campione dei rossi socialisti! (...) E anni e anni passeranno carichi di travaglio da questo primo maggio, ma intatto mi rimarrà nella carne il tepore delle mani forti di Giovanni Faraboli.» 1914 - 1924: a Parma e Marore, gli studi la famiglia di Giovannino si trasferisce a Parma, in Vicolo di Volta Ortalli al numero 3. La madre maestra è stata trasferita a Marore, un paesino confinante con Parma e fa la spola tra la città e

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il paese. Il padre ha cambiato lavoro e vive commerciando con poca fortuna stabili e facendo il mediatore. Viene richiamato alle armi come operaio militare, e verrà congedato nel 1918. Giovannino viene iscritto nella Scuola elementare «Jacopo Sanvitale» dove frequenterà tutt’e quattro le classi (1914 - 1918). La sua chiesa - San Bartolomeo - è retta da don Pietro Zarotto. 1914-1918 «Scoppiata la guerra io rimasi solo con nonna Giuseppina poiché mio padre dovette mettersi in grigioverde e mia madre faceva la maestra in un lontano paese di campagna.» 1918-1919 «Ho dieci anni e sono costretto ancora a portare i capelli alla Bebè. (...) Mi prendono in giro tutti e ben presto la scuola diviene per me un incubo. (...) Passo le mie giornate nel greto del torrente. (...) Vengo bocciato. (...) Sono un bambino comune e faccio una gran fatica a seguire quello che spiegano i professori perché non provo nessun interesse per gli studi tecnici. (...) Mi lasciano finire l’anno e poi mi spediscono in collegio e mi rapano a zero, con mia grande soddisfazione (...) e incomincio da capo.» 1920 Giovannino viene messo nel collegio «Maria Luigia di Parma e frequenta il Regio Ginnasio «Romagnosi». Il suo professore di greco e di latino è Ferdinando Bernini, traduttore della «Cronaca» di fra Salimbene de Adam e profondo conoscitore dell’umorismo europeo. Anche in lui, come in altri ginnasiali che diverranno illustri, imprime il marchio indelebile della curiosità intellettuale. 1921 La famiglia si trasferisce da Parma nel nuovo palazzo delle Scuole di Marore e Giovannino la raggiunge per i fine settimana e le vacanze. 1925: a Parma, la crisi La famiglia di Giovannino viene travolta da traversie economiche e, il 4 novembre, il padre viene dichiarato fallito. Questo influisce sul suo rendimento scolastico. giugno: giunge allo scrutinio finale con ottimi voti ma viene rimandato con 5 in latino e 4 in storia e geografia nell’esame d’ammissione alla 1ª liceo. Giovannino è in crisi. Cesare Zavattini - suo istitutore di pochi anni più vecchio che ne ha intuito le doti di irrefrenabile umorismo deve scrivere, nelle note dell’ultimo trimestre firmate dal rettore, che è diventato«un caposquadra pericoloso».

«L’ultima nota rivela una mia improvvisa insofferenza per la disciplina e a causa de grossi disagi economici di mio padre modifico, negli ultimi mesi, il mio atteggiamento nei confronti della scuola. Mi capita più volte, come del resto a tutti gli altri membri della famiglia, tornando a casa per le vacanze, di dover dormire per terra e devo trascurare gli studi per costruire con le mie mani dei letti, delle sedie, una tavola, un buffet e una scrivania.» Nell’estate va a ripetizione di latino da don Lamberto Torricelli, il parroco di Marore e a ottobre passa con due 8. «Il mio vecchio parroco (...) assomigliava molto a don Camillo (...) mi allentava uno scapaccione e poi mi insegnava a fare il compito di latino.» ottobre: Giovannino, a causa del tracollo familiare, deve abbandonare il convitto «Maria Luigia» e frequentare il Liceo «Romagnosi» da esterno. 1927 - 1930: a Parma, la maturità classica, il giornalismo. 1928: inizia a correggere le bozze al Corriere Emiliano che, il 30 giugno, ha assorbito la Gazzetta di Parma. Continuerà fino al 1931 quando passerà redattore. luglio: ottiene la maturità classica.

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17 maggio: inizia a collaborare al settimanale La Voce di Parma con articoli, poesie e disegni. Il primo articolo è la cronaca del viaggio degli universitari di Parma a Roma. Firma i suoi pezzi "Michelaccio". Continuerà fino alla fine del 1930. 5 dicembre: viene assunto come istitutore al «Maria Luigia» (novembre - giugno 1930). luglio: appaiono sul Tevere un suo pezzo firmato "Petronio" e le sue illustrazioni di cinque racconti brevi di Cesare Zavattini. 1931 - 1933: a Parma il giornalismo, la bohème. 1931: diventa aiuto cronista al Corriere Emiliano con una collaborazione fissa. Passerà poi cronista e infine capo cronista facendo articoli, cronaca, capicronaca, corsivetti, novelle, rubriche e disegni (anche politici). Si firmerà spesso "Michelaccio". Nel giugno del 1935 sarà licenziato per esubero di personale. «Viaggio su una orrenda bicicletta da donna che pare una centrale elettrica tanto è aggrovigliata di fil di ferro. Per non ungermi i pantaloni me li rimbocco fin sopra il ginocchio e pedalo alla diotifulmini" pestando sui pedali coi tacchi e tenendo le ginocchia in fuori.» Si trasferisce da Marore a Parma nella soffitta di Borgo del Gesso n. 19.« prendo in affitto una stanza all’ultimo piano di una casupola di Borgo del Gesso. La casa fa pensare a una misera fetta di polenta ficcata, di taglio e all’impiedi, fra due mattoni.» Conosce una giovane commessa di un negozio di scarpe in città, Ennia Pallini, che inizia a frequentare il suo "appartamento". Ennia ha una splendida chioma rossa, occhi fiammeggianti e un carattere molto volitivo. Ennia sarà "Margherita", la sua compagna, nel bene e nel male, nei suoi libri e nella vita. 1934 - 1936: a Potenza il militare, il gran salto per Milano. 1934, 8 novembre: parte per il servizio militare. Destinazione la Scuola Allievi Ufficiali di complemento di Potenza. Alla Scuola collabora al Numero unico Macpizero con «L’epistolario amoroso del soldato Pippo» (testo e disegni) e altre caricature. 1935, 10 maggio: torna a Parma in licenza in attesa di nomina ad aspirante ufficiale e inizia la collaborazione con disegni e pezzi al Secolo Illustrato. Continuerà fino al febbraio 1936. settembre: inizia a collaborare a Cinema Illustrazione - diretto da Zavattini - dove pubblica, settimanalmente, un disegno fino a dicembre. «Non abbiamo vissuto come i bruti. Non ci siamo richiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, con un passato e un avvenire.» Le tappe della prigionìa di Giovannino 9 settembre 1943: viene fatto prigioniero dai tedeschi nella caserma di Alessandria. Il 13 parte dalla stazione di Alessandria e arriva a quella di Bremerwörde (D) il 18. Di lì, lo stesso giorno, a piedi, va nell'OFLAG XB di Sandbostel. Riparte a piedi il 23 per la stazione di Bremerwörde (D) da dove riparte subito e arriva il 27 alla stazione di Czestokowa (Pol.) e da lì alla NORDKASERNE STALAG 367. Il 12 ottobre viene condotto al Santuario di Czestokowa. Dalla NORDKASERNE STALAG 367 l’8 novembre viene condotto alla stazione di Czestokowa

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da dove parte e arriva il 10 a Beniaminowo (OFLAG 73 - STALAG 333). Riparte per la Germania il 30 marzo 1944 e arriva alla stazione di Bremerwörde (D) il 1° aprile. Da lì, a piedi, viene condotto all'OFLAG X B di Sandbostel (D) il 2. Dall'OFLAG X B di Sandbostel (D) a piedi alla stazione di Bremerwörde (D) il 29 gennaio 1945 e riparte il 30 per l'OFLAG 83 di Wietzendorf (D) dove arriva il 31 Viene liberato il 16 aprile e parte dall'OFLAG 83 di Wietzendorf per la cittadina di Bergen il 22. Dalla cittadina di Bergen (D) rientra nell'OFLAG 83 di Wietzendorf (D) il 1° maggio. Dall'OFLAG 83 di Wietzendorf (D). Verrà rimpatriato il 29 agosto e arriva a Parma il 4 settembre 1945. 1945, settembre: ritorna a Milano con la famiglia che era sfollata a Marore (PR) e occupa l’appartamento di Via Pinturicchio n. 25. Lettera: ai miei compagni che non tornarono Egli pensava che, questa notte, nel Lager nessuno guarderà il cielo del nuovo anno: pensa ai compagni che non sono tornati, ma che un giorno ritroverà. Sulle strade ferrate corre silenzioso un treno fantasma. E’ un treno che ha girato per tutte le strade ferrate di Germania, di Polonia, di Russia, di Jugoslavia e ha fatto sosta a tutti i campi di concentramento, ed è un convoglio che non finisce mai perché è il treno che porta le anime dei morti alla prigionia. Ora corre per le strade ferrate dell’Italia e si ferma soltanto quando c’è da caricare l’anima di un ex-prigioniero. E quando, fra cinquanta o sessanta anni , avrà caricato le anime di tutti i reduci, prenderà l’aereo binario che porta dove Dio vuole, e nessuno in terra lo vedrà più. Egli sa che un giorno il treno fantasma si fermerà alla stazione del suo paese, e anche lui salirà e troverà così i compagni perduti . E, nell’attesa, si consola di ogni anno che passa. G.Guareschi, Diario clandestino 1943-45 Istruzioni per l'uso Accadde dunque che io, come milioni e milioni di altre persone, mi ritrovai nell’ultimo grande pasticcio che ha rattristato il nostro disgraziatissimo mondo. Adesso io non ricordo bene come siano andate le cose: chi partecipa a una guerra di solito ha un sacco di cose da fare nel piccolissimo settore a lui affidato, e non ha quindi la possibilità di aggiornarsi sull’andamento generale della faccenda. Perciò non sa se sta vincendo o se sta perdendo, e alla fine, non sa se ha vinto o perso la guerra. Inoltre il pasticcio risultò così grosso e complicato che oggi, a quasi cinque anni di distanza dalla fine, la gente sta ancora litigando per mettersi d’accordo su chi ha vinto e chi ha perso, su chi aveva torto e chi aveva ragione. Su chi erano gli alleati e su chi erano invece i nemici. Ci furono dei nemici, infatti, che si trovavano improvvisamente alleati, degli alleati che si trovavano nemici. E, alla parte esterna, si aggiunse la parte politica interna e l’annessa guerra che fece schierare i padri contro i figli, le mogli contro i mariti, il nord contro il sud, l’est contro l’ovest, tanto che lo storico obbiettivo che voglia effettivamente fare della storia onesta dovrebbe limitarsi e scrivere:”In un mondo di pazzi, i più pazzi furono vinti dai più pazzi”. Appunto perché gli uni erano più pazzi degli altri e gli altri erano più pazzi degli uni. Io, insomma, come milioni e milioni di persone come me, migliori di me e peggiori di me, mi trovai invischiato in questa guerra in qualità di italiano alleato dei tedeschi, all’inizio, e in qualità di italiano prigioniero dei tedeschi alla fine. Gli angloamericani nel 1943 mi bombardarono la casa,e nel 1945 mi vennero a liberare dalla prigionia e mi regalarono del latte condensato e della minestra in scatola. Per quello che mi riguarda la storia è tutta qui. Una banalissima storia nella quale io ho avuto il peso di un guscio di nocciola nell’oceano in tempesta, e dalla quale io esco senza nastrini e senza medaglie ma vittorioso perché, nonostante tutto e tutti, io sono riuscito a passare attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno. Anzi, sono riuscito a ritrovare un prezioso amico: me stesso. Dopo di che uno capisce

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che uno come io, scritto il diario dovessi bruciarlo, nomi, fatti, responsabilità, considerazioni carattere storico e politico, tutto è stato bruciato. L’unica cosa interessante, ai fini della nostra storia, è che io, anche in prigionia conservai la mia testardaggine da emiliano della bassa: e così strinsi i denti e dissi:”Non muoio neanche se mia ammazzano”. E non morii. G. Guareschi, Diario clandestino 1943-45 “ A cura degli alunni del Liceo Scientifico "M.Luigia" di Parma, IIIA-IIIB-IVB - Ricerca eseguita in occasione delle celebrazioni del 60° anniversario della Resistenza – copyright © Convitto Nazionale Maria Luigia Parma”

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CESARE BECCARIA (1738-1794) Nasce a Milano nel 1738 in una famiglia agiata (suo padre era diventato marchese nel 1712 e solo nel '59 potrà essere iscritto al patriziato milanese). Riceve l'educazione tipica dei rampolli delle famiglie aristocratiche del tempo, che dei figli si occupavano solo in modo distaccato e formale, affidandoli ben presto all'educazione rigida di qualche collegio (in questo caso gesuita). Entra in quello in quello più importante della Val Padana, il Farnesiano di Parma (detto anche dei Nobili) nel 1746 per uscirne nel 1754. Lì cominciò a farsi notare per i suoi successi in matematica e nelle scienze in generale e per la sua ottima capacità di esprimere il proprio pensiero in forma logica. Sedicenne, passò all'Università di Pavia, dove ad appena 20 anni si laureò in giurisprudenza. Già in questo periodo comincia a maturare una certa insofferenza per i canoni del vecchio mondo, soprattutto in seguito alle letture degli illuministi francesi: le Lettere persiane di Montesquieu, il De l'Esprit di Helvétius, il Contratto sociale di Rousseau, ma anche gli scritti di Buffon, Diderot, Hume, Condillac… Nel 1760 s'innamora di Teresa Blasco, sedicenne, figlia di un tenente colonnello del corpo degli ingegneri. Il padre di Cesare si oppone alle nozze con ogni mezzo: chiederà addirittura al governo e otterrà che il figlio venga messo agli arresti domiciliari. E' solo attraverso l'intercessione di un conte che si riesce a liberare il giovane dal sequestro. Un anno dopo Beccaria abbandona la casa paterna e sposa la donna amata. Dal matrimonio nasceranno due figlie: Giulia (futura madre del Manzoni) e Maria. Si riconcilierà con la famiglia nel '62. Inseritosi nella cerchia dei giovani intellettuali che ruotano attorno all'Accademia dei Pugni, la cui principale figura è il conte Pietro Verri, si accinge a dare vita alla sua opera più importante, Dei delitti e delle pene, che viene stampata anonima a Livorno nel luglio 1764. Due anni prima aveva pubblicato il saggio Del disordine e de' rimedi delle monete nello Stato di Milano.

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L'Accademia dei Pugni, libera associazione di giovani patrizi aperti alle nuove idee, era nata nel 1761, per iniziativa dello stesso Pietro Verri. Entusiasta delle idee degli illuministi francesi, in particolare di quelle del Rousseau, suo prodotto principale fu il trattato del Beccaria, ma un ruolo importante lo giocò anche il battagliero giornale Il Caffè (giugno 1764-maggio 1766). L'opera del Beccaria venne redatta nel giro di pochi mesi (marzo '63 - gennaio '64), perché essa in realtà fu il frutto di un lavoro collettivo dell'Accademia, nel senso che ognuno dava il proprio contributo di idee e suggerimenti. Beccaria non sapeva nulla dell'argomento, ma quando cominciarono a trattarlo, se ne interessò così tanto che prese a scrivere decine di appunti di ogni loro conversazione, finché non si decise a riordinarli in maniera organica. Fra i redattori del Caffè, Alessandro Verri, essendo protettore dei carcerati, aveva costatato come l'antiquata procedura criminale fosse fonte di numerosi errori giudiziari. Il trattato ebbe un successo senza precedenti e in tutta Europa. Pur essendo stato subito inserito nell'Indice dei libri proibiti (1766), divenne presto celebre nei circoli intellettuali di Parigi, allora capitale dell'Illuminismo europeo. Il gruppo che si raccoglieva attorno al barone d'Holbach adottò il Beccaria tra i suoi scrittori. Diderot e Voltaire espressero vive lodi. Le traduzioni furono in tutte le lingue europee. Nella Toscana di Pietro Leopoldo il codice del 1786 sancì l'abolizione della pena di morte. Caterina II chiese al Beccaria di presiedere alla riforma del codice penale russo, ma non se ne fece nulla per l'indisponibilità dello scrittore. In tutti i paesi toccati dal soffio dell'Illuminismo iniziarono discussioni feconde sulla riforma del diritto penale. Invitato a recarsi a Parigi, parte in compagnia di Alessandro Verri (1766). Pur essendo accolto trionfalmente dagli enciclopedisti, dopo poche settimane decide improvvisamente di tornare a Milano, travolto da nostalgie di casa e da inquietudini dovute al "peso della gloria", ma forse anche a divergenze politiche col radicalismo di certi intellettuali francesi. Fatto sta che proprio a Parigi si rompono i rapporti del Beccaria coi fratelli Verri. Il motivo o il pretesto sta nella mancata smentita che il Beccaria avrebbe dovuto fare circa la paternità che gli veniva attribuita dell'opera Apologia dei Delitti e delle pene, scritta in realtà proprio dai fratelli Verri nel gennaio '65, per rispondere ai violenti attacchi da parte del monaco F. Facchinei, che aveva accusato il Beccaria di eresia. La redazione del Caffè cominciò a sgretolarsi proprio a causa di questa incresciosa inimicizia, cui si aggiunsero altre incomprensioni politiche e rivalità personali. Gli austriaci non vedevano di buon occhio il periodico. Va inoltre ricordato che il Beccaria, a differenza di Pietro Verri, era meno "illuminista" di quanto sembrasse. Egli dichiarò sempre d'essere "buon cattolico e buon suddito": non a caso si astenne sempre dal criticare delle leggi a lui coeve, di qualunque Stato fossero. Nel 1768 accetta la cattedra di Economia politica che gli offre il governo asburgico nelle Scuole Palatine di Brera. Il corso, seguito da un folto numero di studenti, verrà stampato dopo la sua morte col titolo Elementi di economia pubblica (1804): uno dei libri più originali del pensiero economico italiano del sec. XVIII. Nel 1770 escono le Ricerche intorno alla natura dello stile (incompiute; un frammento della seconda parte uscirà, postumo, nel 1809). È uno scritto che, insieme al Discorso sopra la poesia del Parini e a un saggio di Mario Pagano, è fondamentale per intendere le novità che il sensismo (Hume, Condillac…) introdusse nella nostra letteratura, la prima delle quali era che l'arte doveva essere capace di destare il sentimento del piacere (natura edonistica dell'arte), che è poi quello che stimola e arricchisce la vita interiore. Il problema quindi era quello di ridare alla parola la sua forza espansiva, la sua carica immaginifica. Occorreva cioè una poetica né razionale né sdolcinata (come quella arcadica), ma capace di suscitare forti emozioni (l'impegno civile era ovviamente l'obiettivo finale sottinteso).

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Nell'aprile del '71, con la sua elezione a membro del Supremo Consiglio dell'economia, si conclude la sua stagione creativa. I problemi di cui prevalentemente si occupa sono quelli annonari. Nel '74 muore la sua prima moglie; dopo poche settimane di vedovanza, si risposa con una giovane di famiglia aristocratica da cui avrà il figlio Giulio. Nel '78 viene nominato magistrato provinciale per la zecca e membro della legazione incaricata della riforma delle monete. Nell'ultima parte della sua vita egli praticamente conduce un'esistenza da burocrate di alto livello, il cui lavoro consiste nel riordinare, sul piano politicoamministrativo, lo Stato milanese. Spinge la figlia Giulia a sposare Pietro Manzoni nell'82 (compiendo probabilmente l'errore più grosso della sua vita): tre anni dopo nascerà il nipote Alessandro. Nel 1790 scrive un articolo in difesa dei tessitori di Como in rivolta. Nel 1791 entra nella Giunta per la riforma del sistema giudiziario civile e criminale. E l'anno successivo firma, insieme ad altri giuristi, un "Voto" contro la pena di morte. La tortura ormai era stata abolita ovunque nell'impero austriaco. Muore nel '94, compito da un attacco apoplettico. Con un semplice funerale e senza alcuna particolare cerimonia, fu sepolto nel cimitero milanese di San Gregorio. Pietro Verri deplorò il fatto che i fogli cittadini non avessero inserito nemmeno una riga di encomio in occasione della sua morte. “IL TRATTATO DEI DELITTI E DELLE PENE” Segna l'inizio della moderna storia del diritto penale. Riprendendo i concetti roussoviani, Beccaria contrappone al principio del vecchio diritto penale “è punito perché costituisce reato” il nuovo principio “è punito perché non si ripeta”. Il delitto viene separato dal "peccato" e dalla "lesa maestà" e si trasforma in "danno" recato alla comunità. Sulla base della teoria contrattualistica, egli arriva a sostenere che, essendo il delitto una violazione dell'ordine sociale stabilito per contratto (e non per diritto divino), la pena è un diritto di legittima autodifesa della società e deve essere proporzionata al reato commesso. Le leggi devono in primo luogo essere chiare (anche nel senso di accessibili a tutti, cioè scritte nella lingua parlata dai cittadini) e non soggette all'arbitrio del più forte; non è giusto pertanto infierire con torture, umiliazioni e carcere preventivo prima di aver accertato la colpevolezza. Un uomo i cui delitti non sono stati provati va ritenuto innocente. L'accusa e il processo devono essere pubblici, con tanto di separazione tra giudice e pubblico ministero e con la presenza di una giuria. (Tuttavia per il Beccaria legittimo "interprete" della legge è solo il sovrano; il giudice deve solo esaminare se le azioni dei cittadini sono conformi o meno alla legge scritta). La stessa pena di morte va abolita in quanto nessun uomo ha il diritto, in una società basata sul contratto fra persone eguali, di disporre della vita di un altro suo simile. E' impossibile allontanare i cittadino dall'assassinio ordinando un pubblico assassinio. Occorre che i cittadini siano messi in condizione di comportarsi nel migliore dei modi. La condanna capitale rende inoltre irreparabile un eventuale errore giudiziario.

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Il vero freno della criminalità non è la crudeltà delle pene, ma la sicurezza che il colpevole sarà punito. Beccaria era contrario alla consuetudine di portare armi da parte dei ceti abbienti.

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Cesare Zavattini -

Non è stato Convittore, ma ha lavorato al Maria luigia in qualità di Istitutore -

Nasce a Luzzara (Reggio Emilia) nel 1902, dove vive fino all’età di sei anni. Studia a Bergamo, ma prosegue gli studi prima a Roma, dove i genitori si sono trasferiti dopo aver affittato il Caffè Zavattini (1916-17), poi ad Alatri (1918-20). È in questi anni che incomincia ad avvicinarsi al teatro, al cinema, alla letteratura: Viviani, Petrolini, il Variété 17, gli spettacoli del trasformista Fregoli, le riviste di cinematografia, e poi Dostoievskij e l’Uomo finito di Papini, il libro che gli resterà più impresso. Si iscrive alla facoltà di Legge a Parma (non si laureerà mai), e nel 1922 entra come istitutore nel collegio Maria Luigia, dove ben presto si distingue per il suo carattere estroso, facendo divertire gli studenti con giochi e bizzarrie. Qui conosce Guareschi, col quale collabora al primo giornale umoristico della sua carriera, e Attilio Bertolucci. Nel 1926 collabora alla «Gazzetta di Parma», nel ’28 lascia il collegio, e nel ’29 a Firenze, per il servizio militare, entra in contatto con l’ambiente della rivista «Solaria». Nel 1930 si trasferisce a Milano. È in difficoltà economiche, per questo è costretto a lavorare di giorno presso Rizzoli e di notte presso Bompiani. Nel ’30 scrive su «Cinema illustrazione» la rubrica Cronache da Hollywood, inventandole e firmandole con vari pseudonimi. Nel ’31 inizia con Bompiani l’Almanacco letterario. Sempre per Bompiani, nel 1931 pubblica il suo primo libro, Parliamo tanto di me. Lo stile leggero e la giocosità caratterizzano la prima produzione zavattiniana, e un’originalità che si rifà ai tre punti fondamentali della sua poetica: il rifiuto del romanzo, capolavoro degli eroi; il rifiuto della prosa d’arte, a favore del frammento, del lapsus, della forma breve, del motto di spirito (un linguaggio vicino alla psicanalisi); il comico inteso come umorismo pirandelliano, denuncia e rappresentazione critica della realtà. Il libro, presentato da Massimo Bontempelli al premio Viareggio, è un successo. Rizzoli poco dopo gli affida la redazione di importanti periodici e della prima collana editoriale I giovani. Nel ’34 Zavattini, che sarà sempre sostenitore di iniziative di solidarietà, promuove il Premio della bontà. Nel ’35 comincia a lavorare come soggettista e sceneggiatore, esordendo con Darò un milione e proseguendo con altri film di minor spessore. Nel ’36 comincia a lavorare per Mondadori, curando il settore Walt Disney, i fumetti per ragazzi, il periodico «Le grandi firme» su cui pubblica racconti delle grandi firme della letteratura italiana. Nel 1937 esce il libro I poveri sono matti. La follia è vista come un momento di libertà e d’invenzione, come sinonimo di infanzia e di povertà. I poveri sono i poveri di spirito, i semplici della tradizione cristiana, e se per Zavattini Cristo è un mito, un modello per l’uomo, egli stesso non apparterrà mai né ad una fede religiosa, né ad una fede politica. L’amore, l’uguaglianza, la solidarietà sono per Zavattini totalmente laici. Per un esaurimento nervoso, lascia la Mondatori e si ritira a Oltre il Colle (Milano). Qui si avvicina per la prima volta alla pittura (che per lui sarà curativa) e da allora non la lascerà più.

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Il suo stile naïf predilige soggetti minuti e dimessi: funeralini, cimiterini, autoritratti. Nello stesso anno inizia il Diario di cinema e di vita. Nel 1939 conosce Vittorio De Sica: è l’inizio di un’amicizia che li vedrà in tutti gli anni ’50 protagonisti della stagione d’oro del Neorealismo, con Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D. Nel 1941 esce Io sono il diavolo. Qui il tema irrazionale dell’inconscio e delle problematiche sotterranee dell’uomo si fa più evidente, in linea con il Surrealismo più aggressivo di Georges Bataille. I cambiamenti nello stile e nel linguaggio sono dovuti al momento di crisi che Zavattini sta attraversando e che lo porta ad avere maggior consapevolezza della complessità dell’uomo e di se stesso, delle sue ipocrisie e del suo egoismo. L’umorismo diventa grottesco, fino a raggiungere forme di crudeltà e di sadismo. Nel 1943 vince il Premio Cavallino per pittori-scrittori. Scrive Ipocrita 1943, che uscirà completo nel ’55. È il primo atto di un programma di Zavattini per uscire dal dibattito che ha seguito la fine della seconda guerra mondiale sul ruolo degli intellettuali durante il ventennio fascista. Zavattini si dissocia dalle polemiche astratte e decide di operare concretamente mettendo l’uomo al centro della sua riflessione. Gli “altri” saranno il modo per liberarsi dal senso di colpa per non aver agito contro il Fascismo. Sempre del ’43 è il libro Totò il buono da cui verrà tratto il film di De Sica Miracolo a Milano. Riprende la poetica della meraviglia e il tono favolistico della narrazione, e continua la poetica dell’amore e della solidarietà per cercare di dare un senso alla vita esorcizzando la morte. Nel ’49 vince l’Oscar con Ladri di biciclette di De Sica. A partire dall’immediato dopoguerra, va svolgendo una funzione rilevante nelle associazioni degli autori cinematografici e delle cooperative. Nel ’55 vince il Premio Lenin Mondiale per la pace. Il tema della pace sarà sempre caro a Zavattini: sua è l’idea di introdurre discussioni sulla pace nelle scuole. Agli anni ’60 risale la lunga presenza a Cuba, da dove lo chiamano per collaborare alla nascita del nuovo cinema dopo la rivoluzione. Nel ’67 pubblica Straparole, di cui fanno parte Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito, Riandando, Viaggetto sul Po; nel ’70 Non libro più disco, che non fu ben accolto dalla critica; nel ’73 Stricarm’n d’na parola, poesie in dialetto luzzarese. Nel ’76 Un paese vent’anni dopo, La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini, Al macero. Dal poemetto Ligabue viene tratto uno sceneggiato televisivo sul pittore. Del 1982 è La Veritàaaa (sic), di cui è soggettista, sceneggiatore, regista, attore. A quest’opera affida il messaggio morale e poetico di tutta una vita. E’ stato uno dei più grandi pensatori e intellettuali del Novecento, Cesare Zavattini. Sempre pronto ad intervenire in prima persona nel dibattito culturale, dotato di una spiccata intuizione per i processi di comunicazione, fu considerato subito uno scrittore off, fuori da qualunque genere. Il suo umorismo particolarissimo, raffinato, nasce dall’amore per l’Uomo e dalla pietà per le sue piccinerie e la sua fragilità. La sua prosa immaginifica, molto vicina al Surrealismo, in realtà è indefinibile. È stato, infatti, uno scrittore d’avanguardia, ma ha agito sempre individualmente, precorrendo i tempi in tutti i settori in cui operava. Considerato il maggior rappresentante del Neorealismo italiano, il suo realismo segue la poetica della meraviglia: nella realtà, che è meravigliosa di per sé, bisogna ricercare quegli aspetti che non vediamo. Diceva: «Il mondo è piccolo, se noi vediamo piccolo». Muore a Roma nel 1989.

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Francesco Squarcia

Nato il 3 Marzo 1901 a Berceto, si trasferì giovanissimo a Parma dove frequentò il Liceo Classico presso il Convitto Maria Luigia conseguendovi brillantemente la maturità tanto da guadagnarsi una borsa di studio per la Scuola Normale di Pisa. Laureatosi in Lettere ritornò nella sua città e iniziò al Maria Luigia l’attività di insegnante di italiano e latino, cattedra che mantenne per oltre 30 anni. Subito dopo la guerra fu nominato Preside del Liceo. Fine letterato, critico acuto, scrittore sensibile, grazie ai suoi studi era considerato tra i più autorevoli competenti della letteratura del 1800. Collaborò ad una Storia della letteratura della Casa ed. Loescher e accettò di curare il volume dedicato al 1800 nella Letteratura della Casa ed. Garzanti. Nel 1952 pubblicò un volume dedicato agli “Scrittori romantici”. Collaborò inoltre con articoli di critica a molte riviste tra le quali: Paragone, Il Ponte, L’Illustrazione italiana. Fu direttore di Aurea Parma e fu tra i fondatori-redattori di due fogli letterari della Gazzetta di Parma, Il Quadrello e Il Raccoglitore. Morì a Parma nel 1970

********* Gian Luigi Buffon (Carrara, 28 gennaio 1978) Gli esordi e l'affermazione nel Parma Nasce in una famiglia di sportivi: la madre Maria Stella Masocco è stata campionessa di getto del peso e lancio del disco, lo zio Dante Masocco ha giocato a livello nazionale e nella serie A1 di pallacanestro il padre Adriano è stato campione di getto del peso e le sorelle Guendalina e Veronica sono state pallavoliste affermate. È lontano parente di Lorenzo Buffon, portiere di Milan, Genoa, Inter, Fiorentina e della Nazionale:Lorenzo è cugino in seconda del nonno di Gigi. Tifoso sin da bambino del Genoa, inizia nella scuola calcio U.S.d.Canaletto Sepor, una società di calcio dilettantistica della Spezia che attualmente milita nel campionato di Promozione. Passato nella categoria pulcini, torna a Carrara per giocare nel Perticata, altra formazione dilettantistica. Sia nella squadra ligure che in quella toscana ricopre il ruolo di centrocampista. A 12 anni passa al Bonascola, squadra della sua città natale, ed a 13 anni, il 13 giugno 1991, viene acquistato dal Parma, quindi si trasferisce nella città ducale e la sua dimora diventa il Convitto Nazionale “Maria Luigia” che frequenterà come Convittore per circa 4 anni. Giocherà anche come portiere nella squadra della scuola in occasione delle convittiadi (manifestazioni sportive fra

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Convitti Nazionali) del 1995. Il passaggio al Parma avvenne per 15 milioni di lire pagabili in due anni con la prima da 3 milioni e la seconda da 12 milioni: se però dopo il primo anno ai ducali non fosse stato riconfermato, sarebbe decaduto l'impegno del Parma a corrispondere il compenso pattuito per la seconda stagione. Così non fu. Nelle giovanili dei ducali, a 14 anni, è costretto a giocare in porta, vista la contemporanea assenza di entrambi i portieri infortunati e, dopo due sole settimane, conquista tra i pali il posto di titolare. Fa il suo esordio in Serie A nella partita Parma-Milan (0-0) del 19 novembre 1995 a soli 17 anni, subendo la prima rete nella successiva partita contro la Juventus (gol di Ciro Ferrara). Con i ducali esordisce anche in Europa, precisamente in Coppa UEFA, contro il Vitória Guimarães (partita finita 2-0 per i portoghesi) il 24 settembre dell'anno seguente. Nella stagione successiva (1996-1997) è già titolare della squadra emiliana, con la quale colleziona 27 presenze, e l'anno successivo esordisce in Nazionale. Negli anni in cui veste la maglia parmense conquista il titolo di Campione d'Europa Under-21 nel 1996, una Coppa UEFA, una Coppa Italia ed una Supercoppa italiana nel 1999. Juventus Viene acquistato dalla Juventus insieme a Lilian Thuram, per il campionato 2001-2002 per la cifra record di 105 miliardi di lire (75 in contanti più la cessione di Jonathan Bachini), risultando il giocatore più pagato nella storia della società bianconera. Nella sua prima stagione in bianconero vince subito lo Scudetto, il primo della carriera, con un sorpasso all'Inter all'ultima giornata. Chiude la stagione con 34 presenze e 23 gol subiti in campionato, una presenza con un gol subito in Coppa Italia e 10 presenze con 12 gol subiti in Champions League per un totale di 45 presenze e 36 gol subiti. Nel 2002-2003 vince la Supercoppa italiana e un altro Scudetto, arrivando a perdere la Champions League nella finalissima tutta italiana contro il Milan: dopo aver parato un rigore a Luís Figo nella semifinale col Real Madrid, la finale di Manchester si decide ai rigori e, nonostante pari i tiri di Clarence Seedorf e Kakhaber Kaladze, il suo collega Dida fa meglio e la coppa va ai rossoneri (2-3). Quell'anno viene premiato come miglior giocatore della Champions League: nessun portiere in tutta la storia della Champions League era stato mai premiato con questo tipo di riconoscimento. Chiude la stagione con 32 presenze e 23 gol subiti in campionato, 15 presenze con 16 gol subiti in Champions League ed una presenza con un gol subito nella Supercoppa italiana per un totale di 48 presenze e 40 gol subiti. Nella stagione 2003-2004 la Juventus esce presto dalla Champions League e si classifica terza in campionato. A fine stagione Buffon partecipa agli Europei, con l'Italia che esce al primo turno. Chiude la stagione con 32 presenze e 41 gol subiti in campionato, 6 presenze con 6 gol subiti in Champions League ed una presenze con un gol subito (nella vittoria della Supercoppa italiana contro il Milan ai rigori) per un totale di 39 presenze con 48 gol subiti. Nella stagione 2004-2005, con Fabio Capello in panchina, vince il terzo scudetto della sua carriera, in seguito revocato per le vicende di Calciopoli. In Champions League la Juventus viene eliminata ai quarti di finale contro il Liverpool. Chiude la stagione con 37 presenze e 23 gol subiti in campionato e 11 presenze e 6 gol subiti in Champions League per un totale di 48 presenze e 29 gol subiti. Il 14 agosto 2005 si procura una lussazione alla spalla dopo uno scontro con Kaká durante l'amichevole Milan-Juventus per il Trofeo Berlusconi. La successiva operazione lo costringe a fermarsi per circa tre mesi, durante i quali viene sostituito da Christian Abbiati, dato in prestito dal Milan. Torna tra i pali della Juventus alla fine di novembre, in Coppa Italia contro la Fiorentina. Ritorna definitivamente titolare a gennaio 2006, sempre in Coppa Italia, nella partita di ritorno contro i viola. Chiude la stagione con 18 presenze e 12 gol subiti in campionato, 2 presenze e 3 gol subiti in Coppa Italia e 4 presenze e 6 gol subiti in Champions League per un totale di 24 presenze e 21 gol subiti. Conquista il primo posto in classifica con i bianconeri, poi retrocessi in ultima posizione in seguito a Calciopoli. In queste stagioni non ha parato un calcio di rigore in partite ufficiali per più di tre anni, dal 26 ottobre 2003 al 1º dicembre 2006. Dopo le vicende di Calciopoli che hanno visto la Juventus retrocedere in Serie B, decide di continuare la sua avventura con la società torinese. Il 18 novembre contro l'Albinoleffe viene espulso per la prima volta in carriera. A fine stagione, rinnova il contratto fino al 2012. Chiude

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la stagione cadetta con 37 presenze e 21 gol subiti in campionato e 3 presenze e 4 gol subiti in Coppa Italia per un totale di 40 presenze e 25 gol subiti. La Juventus - partita penalizzata - si classifica al primo posto e conquista la promozione in Serie A. Durante la nuova stagione in Serie A, prima della partita contro il Genoa, viene eletto miglior portiere del mondo per il quarto anno ed in seguito inizia a soffrire di mal di schiena, causato da una ernia del disco, che lo costringe spesso al riposo lontano dal campo. Il 10 marzo 2008 rinnova il contratto che lo lega alla Juventus fino al 2013. Chiude la stagione con 34 presenze e 30 gol subiti in campionato ed una presenza ed un gol subito in Coppa Italia per un totale di 35 presenze e 31 gol subiti. La squadra si classifica al terzo posto riconquistando così la Champions League dopo due anni. Ha ancora problemi nell'avvio della stagione 2008-2009, quando riporta lo stiramento dell'adduttore della coscia destra contro il Cagliari. Giocando la partita successiva il problema si accentua ed è costretto a restare fuori fino a gennaio 2009. Ritorna in campo il 6 gennaio 2009 nell'amichevole giocata a Messina contro i francesi del Monaco, persa per 6-5 dopo i calci di rigore, giocando per tutto il primo tempo. Il primo impegno ufficiale del 2009 avviene il 14 gennaio nella partita di Coppa Italia contro il Catania (3-0). Chiude la stagione con 23 presenze e 26 gol subiti in campionato, 2 presenze e 2 gol subiti in Coppa Italia e 5 presenze e 4 gol subiti in Champions League, per un totale di 30 presenze e 32 gol subiti. La Juventus si classifica al secondo posto. Gianluigi Buffon nel periodo alla Juventus Nel mese di dicembre dello stesso anno si sottopone ad un intervento di meniscectomia artroscopica selettiva del menisco laterale del ginocchio sinistro. L'intervento, durato circa dieci minuti, è perfettamente riuscito. È quindi tornato in campo nella sconfitta per 1-0 in trasferta a Verona contro il Chievo del 17 gennaio 2010. Il 23 gennaio, in Juventus-Roma (1-2), viene espulso per la seconda volta in carriera, la prima in massima serie, dopo aver commesso un fallo da ultimo uomo e fuori area sul romanista John Arne Riise. Chiude la stagione con 27 presenze e 31 gol subiti in campionato, una presenza e 2 gol subiti in Coppa Italia, 6 presenze con 7 gol subiti in Champions League ed una presenza con un gol al passivo in Europa League per un totale di 35 presenze e 41 gol subiti. La Juventus si classifica al settimo posto. Infortunatosi durante i Mondiali 2010, il 4 luglio 2010 si è sottoposto a intervento di erniectomia per ernia discale–lombare: l'operazione, durata circa un'ora, è perfettamente riuscita. Rientra in campo il 3 gennaio 2011, nell'amichevole contro il Lucento (squadra di Eccellenza piemontese), vinta 5-0 dai bianconeri. Il 5 gennaio 2011 viene premiato dall'IFFHS come miglior portiere del decennio (dal 2000 al 2010) Torna in campo a sette mesi di distanza il 13 gennaio 2011, nella partita casalinga degli ottavi di finale di Coppa Italia contro il Catania vinta per 2-0. Si riprende il posto da titolare fino a quel momento di Marco Storari anche in campionato, debuttandovi tre giorni dopo in Juventus-Bari (2-1). Nazionale Inizi Gioca in tutte le rappresentative giovanili italiane dall'Under-15 all'Under-23. Gioca l'Europeo Under-15 nel 1993 in Turchia, arriva in finale all'Europeo Under-19 del 1995 e vince l'Europeo Under-21 del 1996. Debutta in Nazionale maggiore a 19 anni, il 29 ottobre 1997 nella partita Russia-Italia (1-1), andata dello spareggio di qualificazione ai Mondiali 1998, nella quale dopo aver sostituito l'infortunato Gianluca Pagliuca subisce il primo gol con un'autorete di Fabio Cannavaro, all'epoca suo compagno di squadra. Dopo il Mondiale '98, per il quale viene convocato come terzo portiere e diventa poi secondo per l'infortunio di Angelo Peruzzi, diventa a 20 anni il portiere titolare della squadra azzurra (con l'avvento di Dino Zoff sulla panchina azzurra), anche se è costretto a saltare Euro 2000 per via di un infortunio alla mano. Era Trapattoni Sotto la guida di Giovanni Trapattoni partecipa al Mondiale 2002 e all'Europeo 2004.

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Nella prima occasione subisce 5 reti: due dalla Croazia (sconfitta per 2-1), una dal Messico (11) e gli ultimi due dalla Corea del Sud agli ottavi di finale (sconfitta per 2-1 ai tempi supplementari), tra cui il golden gol di Ahn Jung-Hwan a cui prima aveva parato un rigore. Nella competizione continentale, nella quale l'Italia viene eliminata nel nella fase a gironi, subisce due reti contro Svezia (1-1) e Bulgaria (2-1). Mondiale 2006 Buffon festeggia con i compagni la vittoria dell'Italia sulla Repubblica Ceca durante il Mondiale del 2006. Ai Mondiali del 2006 in Germania subisce solo due reti: la prima è un autogol del compagno di squadra Cristian Zaccardo, durante l'incontro con gli Stati Uniti (1-1), e l'altra è il calcio di rigore realizzato da Zinédine Zidane nella finale contro la Francia (5-3 d.c.r., 1-1 d.t.s.). Fino a quel momento ha mantenuto la porta italiana inviolata per ben 458 minuti, avvicinandosi al record detenuto da Walter Zenga di 518 minuti, raggiunto nel 1990. Il 9 luglio 2006, a 28 anni, si aggiudica con la Nazionale italiana la Coppa del Mondo FIFA battendo la Francia ai rigori nella finale svolta all'Olympiastadion di Berlino. Durante la finale è da ricordare la decisiva parata effettuata nei tempi supplementari su colpo di testa di Zidane. Con le sue parate è stato uno dei maggiori artefici della vittoria del Campionato del Mondo, ed è stato premiato come miglior portiere del Mondiale (Premio Yashin). Era Donadoni All'Europeo 2008, con il ct Donadoni, indossa la fascia di capitano nella gara d'esordio contro l'Olanda (sconfitta per 3-0) a causa dell'assenza di Fabio Cannavaro,[63] salva l'Italia dall'eliminazione parando di riflesso con un piede un calcio di rigore ad Adrian Mutu nella seconda gara del girone eliminatorio contro la Romania (1-1) e mantiene inviolata la porta azzurra con grandi parate nella decisiva vittoria contro la Francia (vittoria per 2-0) e nella gara contro la Spagna decisa ai calci di rigore (2-4, 0-0 d.t.s.), durante i quali neutralizza, inutilmente ai fini del risultato, il tiro di Daniel Güiza. Chiude la competizione con 4 reti al passivo. Seconda era Lippi Partecipa alla Confederations Cup 2009 con Marcello Lippi tornato in panchina, dove l'Italia viene eliminata al primo turno e nella quale subisce 5 reti: una nella gara d'apertura contro gli USA da parte di Landon Donovan su rigore, un'altra contro l'Egitto ad opera di Mohamed Solimane le ultime tre nella sconfitta contro il Brasile (doppietta di Luís Fabiano e autogol di Andrea Dossena). Il 14 novembre 2009, nell'amichevole di Pescara contro l'Olanda, raggiunge quota 100 presenze in Nazionale, ed è il quarto giocatore italiano dopo Zoff, Maldini e Cannavaro a toccare tale traguardo. Il 1º giugno 2010 viene selezionato per il Mondiale 2010 in Sudafrica. Nella prima partita del girone contro il Paraguay (1-1) si è infortunato alla schiena, accusando un problema sciatico che lo ha costretto a lasciare il campo durante l'intervallo. Al suo posto è entrato Federico Marchetti, che è stato titolare anche per le altre due partite del girone che ha visto l'Italia eliminata: Buffon chiude quindi la competizione con una presenza ed una rete subita. Era Prandelli Dopo l'addio di Lippi, arriva come ct Cesare Prandelli, il quale lo nomina come nuovo capitano della squadra non appena torna fra i disponibili: rientra a giocare infatti il 9 febbraio 2011 nell'amichevole pareggiata per 1-1 in casa della Germania. ********* 22.03.2012 copyright©tutorsofmarialuigia www.tutorsofmluigia.altervista.org tutorsofmarialuigia@gmail.com

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