L. Caporale
M. Manzuoli
G. Zeppegno
Unità di Apprendimento
Materiali per il PFI
Educazione civica e Orientamento
PERCORSI DIGITALI INTERATTIVI
Unità di Apprendimento
Materiali per il PFI
Educazione civica e Orientamento
PERCORSI DIGITALI INTERATTIVI
• Percorso
• Videolezione
Suspense e mistero sono ingredienti fondamentali di molti romanzi e racconti, e anche di film e serie. In particolare, il mistero è al centro del giallo o poliziesco (in inglese detective story), un genere basato su un crimine e sulle indagini di un investigatore o un’investigatrice che alla fine risolve il caso smascherando il/la colpevole.
Nel genere noir – non sempre chiaramente distinguibile dal giallo – l’attenzione è diretta non tanto sul mistero da risolvere quanto sull’ambiente criminale, mostrato dal punto di vista del/della colpevole, della vittima o di un/una detective fuori dal comune, spesso a cavallo tra legalità e malavita. Il thriller, di solito di argomento poliziesco ma non solo, è il genere della suspense per definizione, cioè della «tensione ansiosa» che ci fa appunto «rabbrividire» (to thrill), ovvero trepidare per i personaggi e per l’ansia di sapere come va a finire.
SITUAZIONE
La vostra scuola invita tutte le classi a realizzare e a caricare sul blog d’Istituto videorecensioni di romanzi o racconti per condividere consigli di lettura. Alla vostra classe vengono assegnati i libri basati sul mistero e sulla suspense.
PRODOTTO ATTESO
Tre videorecensioni di romanzi o racconti gialli, noir o thriller (quelli antologizzati in questa unità o altri).
1
Sotto la guida dell’insegnante, divisione della classe in tre gruppi.
2
Lettura dei brani proposti in questa unità.
• Interpretare testi della tradizione letteraria, individuando le caratteristiche dei generi giallo, noir e thriller.
• Operare collegamenti e confronti tematici tra testi di epoche diverse.
• Scrivere testi chiari e sufficientemente dettagliati, coerenti e coesi, adeguati allo scopo e al destinatario utilizzando il lessico specifico.
• Mostrare consapevolezza delle questioni linguistico-culturali che scaturiscono dalla traduzione e dall’adattamento da altre lingue.
• Prendere confidenza con i sistemi di Intelligenza Artificiale e riflettere su limiti e conseguenze.
3
In ogni gruppo: scelta del romanzo o racconto da recensire.
4
Elaborazione del testo e dei video, facendo attenzione a includere indicazioni su: autore/autrice, titolo, anno, genere, trama, personaggi, ambientazione, stile, giudizio critico.
«Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare».Arthur
Conan Doyle
TEMPO PREVISTO: 15 ore
STRUMENTI NECESSARI libri di testo, smartphone, computer o tablet, connessione a Internet.
CRITERI DI VALUTAZIONE
il vostro lavoro verrà valutato in base ai seguenti criteri:
• l’impegno e la partecipazione alle attività;
• i comportamenti individuali e di gruppo;
• la capacità di rispettare la consegna e di trovare e presentare le informazioni;
• la qualità del prodotto finale.
5
Realizzazione delle videorecensioni.
6
Riflessione sull’attività svolta attraverso il questionario di autovalutazione ( p. 431).
2002
Fred Vargas da Scorre la Senna Cinque franchi l’una p. 424
1980
Umberto Eco da Il nome della rosa p. 419
1952
Daphne du Maurier da Gli uccelli p. 412
1940
Georges
Simenon Lo scialle di Marie Dudon p. 404
1939
Agatha Christie da Dieci piccoli indiani p. 396
Il capitolo si apre con un’immagine di rilassatezza e soddisfazione generale. Nessuno si aspetta quel che sta per accadere.
Silenzio, prego!
da: Ten little niggers (1939)
Con i suoi 110 milioni di copie vendute, Dieci piccoli indiani (1939) di Agatha Christie (1890-1976) è il romanzo giallo più letto di sempre. La sua struttura si discosta da quella tradizionale che prevede un crimine iniziale e poi lʼindagine successiva condotta da un/ una detective. Qui, dieci persone che non si conoscono sono riunite in una villa a Nigger Island, un’isola britannica disabitata: otto di loro sono state invitate – senza conoscerlo o incontrarlo – da un certo signor Owen, proprietario dell’unica abitazione sull’isola. Al loro arrivo hanno trovato ad accoglierle i due domestici, i coniugi Thomas ed Ethel Rogers, i quali confessano che neanche loro hanno mai visto il signor Owen e la moglie, i proprietari della villa. Nel corso del romanzo tutti i personaggi, in un clima di tensione e sospetto reciproco crescente, perderanno la vita uno a uno in circostanze misteriose, proprio come i dieci piccoli soldati della filastrocca che trovano appesa al muro in ognuna delle loro stanze. Nell’episodio proposto, non sospettano ancora che l’invito a cui hanno risposto sia una trappola: hanno appena consumato una piacevole cena in compagnia, chiacchierando l’uno con l’altro, quando accade qualcosa di inaspettato che trasformerà il loro soggiorno in un incubo.
La cena stava giungendo al termine. Il cibo era squisito, il vino assolutamente perfetto. Rogers era un cameriere impeccabile.
A tutti1 si era risollevato lo spirito e avevano cominciato a fare conversazione con maggior disinvoltura e familiarità.
Il giudice Wargrave, addolcito dall’eccellente porto2, divertiva i commensali3 con il suo caustico4 umorismo, e il dottor Armstrong e Tony Marston lo ascoltavano volentieri. La signorina Brent e il generale Macarthur avevano scoperto di avere qualche amicizia in comune. Vera Claythorne poneva domande interessanti sul Sudafrica al signor Davis, il quale rispondeva con grande competenza. Lombard prestava attenzione alla loro conversazione e un paio di volte alzò rapidamente il viso, socchiudendo gli occhi. Di tanto in tanto si guardava attorno studiando gli altri. […] Rogers servì il caffè, bollente e nero come si deve.
Avevano tutti apprezzato la cena ed erano finalmente soddisfatti, contenti di sé e della vita. Le lancette della pendola indicavano le nove e venti. Ci fu un momento di sazio, rilassato silenzio.
2.
1. tutti: gli ospiti sono Anthony Marston, John Macarthur, Emily Brent, Lawrence Wargrave, William Blore, Edward Armstrong, Philip Lombard e Vera Claythorne. porto: vino liquoroso. 3. commensali: persone sedute alla stessa tavola.Siete accusati dei crimini seguenti…
E in quel silenzio si udì la Voce. Improvvisa, inumana, penetrante… “Signore e signori! Silenzio, prego!”
Tutti trasecolarono5. Si guardarono attorno, si scrutarono l’un l’altro attoniti, fissarono le pareti. Chi stava parlando?
La Voce continuò, forte e chiara.
“Siete accusati dei crimini seguenti:
Lei, Edward George Armstrong, il 14 marzo 1925 ha causato la morte di Louisa Mary Clees.
Lei, Emily Caroline Brent, il 5 novembre 1931 è stata responsabile della morte di Beatrice Taylor.
Lei, William Henry Blore, il 10 ottobre 1928 ha provocato la morte di James Stephen Landor.
Lei, Vera Claythorne, l’undicesimo giorno di agosto del 1935 ha ucciso Cyril Ogilvie Hamilton.
Lei, Philip Lombard, in un giorno del febbraio 1932 si è reso colpevole della morte di ventuno uomini, membri di una tribù dell’Africa orientale.
Lei, John Gordon Macarthur, il 4 gennaio 1917 ha deliberatamente mandato a morte certa Arthur Richmond, l’amante di sua moglie.
Lei, Anthony James Marston, il 14 novembre scorso ha assassinato John e Lucy Combes.
Voi, Thomas ed Ethel Rogers, il 6 maggio 1929 avete condotto alla morte Jennifer Brady.
Lei, Lawrence John Wargrave, il 10 giugno 1930 si è reso colpevole della morte di Edward Seton.
Imputati alla sbarra, avete qualcosa da dichiarare in vostra difesa?”
Ecco le prime scomposte reazioni dei commensali.
Allora la voce tacque. Ci fu un momento di silenzio paralizzato, poi un improvviso frastuono. Rogers aveva fatto cadere il vassoio con le tazzine di caffè!
Nello stesso istante da qualche parte della casa giunsero un urlo e un tonfo.
Il primo a muoversi fu Lombard. Balzò verso la porta del salotto e la spalancò. Distesa per terra giaceva la signora Rogers.
«Marston!» chiamò Lombard.
Anthony accorse e gli diede una mano a trasportare la donna in salotto.
Si avvicinò anche il dottor Armstrong e li aiutò ad adagiarla sul divano. «Non è nulla, è soltanto svenuta» deliberò. «Si riprenderà a breve.»
«Porti del brandy6» disse Lombard a Rogers.
«Subito, signore» mormorò il maggiordomo, pallido in volto e con le mani tremanti, prima di scivolare veloce fuori dalla stanza.
«Ma chi è che ha parlato?» gridò Vera. «E dov’era nascosto? La voce sembrava… sembrava…»
«Che sta succedendo qui?» farfugliò il generale Macarthur. «Che razza di scherzi sono questi?» Anche a lui tremavano le mani, aveva le spalle ricurve, pareva improvvisamente invecchiato di dieci anni.
Blore, dal canto suo, si stava asciugando la fronte imperlata di sudore con un fazzoletto.
Soltanto il giudice Wargrave e la signorina Brent sembravano relativamente tranquilli. Emily Brent sedeva con la schiena rigida e la testa ben dritta . Le guance le si erano lievemente colorate di un rosso cupo. Il giudice, nella sua posa abituale, teneva il capo un po’ affondato nelle spalle e si grattava leggermente un orecchio. Solo gli occhi apparivano vivaci, e lanciavano rapidi sguardi incuriositi e attenti per la stanza.
Fu ancora Lombard ad assumere l’iniziativa. «La voce sembrava venire dall’interno di questa stanza» disse mentre il dottore si prendeva cura della donna svenuta.
«Ma chi è stato a parlare? Chi?» ripeté Vera. «Non è stato nessuno di noi!»
Come il giudice, anche Lombard gettò occhiate vigili per tutto il salotto. Si soffermò qualche istante a fissare la finestra aperta sulla terrazza, poi scosse il capo con decisione. D’un tratto gli si illuminò lo sguardo. Avanzò verso una porta vicina al caminetto. Conduceva in una stanza attigua7 .
Con un gesto rapido afferrò la maniglia e la aprì. Appena varcata la soglia lanciò un’esclamazione soddisfatta. «Ci siamo!»
Subito gli altri lo raggiunsero, a eccezione della signorina Brent, che restò impassibile sulla sua poltrona.
Nell’altra stanza un tavolo era stato addossato al muro adiacente al salotto. Sopra c’era un grammofono, di quelli vecchio stile dalla grossa
A partire da questo momento, la vicenda diventa sempre più sinistra e inizia l’indagine dei personaggi su quanto è accaduto.
tromba, che era stata rivolta direttamente contro il muro. Lombard la scostò e notò un paio di forellini che erano stati praticati nella parete.
Rimise il grammofono come l’aveva trovato e posizionò la puntina all’inizio del disco. Subito si udì di nuovo: “Siete accusati dei crimini seguenti…”.
Vera gridò: «Lo spenga, lo spenga! È terribile!».
Lombard obbedì e a quel punto il dottor Armstrong, con un certo sollievo, sospirò: «Si tratta solo di uno scherzo, uno scherzo crudele e di cattivo gusto».
«Lo crede davvero?» chiese il giudice Wargrave con la sua voce chiara e sottile.
«E di cos’altro potrebbe trattarsi?» gli rispose il medico fissandolo negli occhi.
Il giudice si accarezzò il labbro superiore. «Per il momento non sono in grado di fornire una risposta.»
Anthony Marston intervenne. «Signori, state dimenticando un dettaglio importante. Chi diavolo ha azionato il grammofono?»
«Già, ha ragione» mormorò il giudice. «È un aspetto su cui dovremmo indagare.» E così dicendo tornò verso il salotto, presto seguito dagli altri.
(A. Christie, Dieci piccoli indiani. E non rimase nessuno, trad. it. di L. Flabbi, Mondadori 2019)
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L’AUTRICE E L’OPERA
Agatha Christie, il cui nome prima di sposarsi era Agatha Miller, è la scrittrice di gialli più famosa al mondo, autrice di 66 romanzi e numerose raccolte di racconti, vendute in milioni di copie e tradotte in oltre cento lingue, oltre che di opere teatrali e radiodrammi. Nata nel 1890 nella contea inglese del Devon in una famiglia agiata, cominciò a dedicarsi alla scrittura abbastanza presto e raggiunse in vita un grande successo. Dal primo marito, un militare, prese il cognome Christie. Il secondo, a cui rimase legata fino alla morte, era un illustre archeologo: le spedizioni archeologiche in cui la scrittrice lo accompagnò le fornirono lo spunto per le ambientazioni mediorientali di
alcuni tra i suoi romanzi più celebri, come Assassinio sull’Orient Express (1934) e Poirot sul Nilo (1937).
La maggior parte dei romanzi di Agatha Christie ha come protagonista il detective belga Hercule Poirot o Miss Marple, una simpatica signora dedita al giardinaggio, al birdwatching e al lavoro a maglia quando non è alle prese con casi di omicidio che la polizia non riesce a risolvere.
Tra i romanzi che hanno Poirot come protagonista ricordiamo, oltre ai due già citati, Poirot a Styles Court (1920) e L’assassinio di Roger Ackroyd (1926), mentre Miss Marple è protagonista di romanzi come C’è un cadavere in biblioteca (1942) e Addio, Miss Marple (1976).
Agatha Christie morì nel 1976 all’età di 85 anni.
Sezione
Comprensione
1 Dov’è ambientato l’episodio e quanti personaggi sono presenti?
2 In che cosa consiste il primo colpo di scena?
3 Qual è lo stato d’animo della maggior parte dei presenti subito dopo il colpo di scena?
A Fastidio e indignazione.
B Panico o sgomento.
C Divertimento per la trovata originale.
D Imbarazzo di fronte agli altri ospiti.
4 Che cosa scoprono nella stanza attigua i commensali?
A Che la signora Rogers è stata uccisa.
B Che il padrone di casa li stava spiando.
C Che la voce proveniva da un disco.
D Che era tutto uno scherzo.
Analisi
5 Ai fini della tensione narrativa è fondamentale che la scena iniziale sia il più possibile distesa e serena. Per quale motivo?
6 Dal punto di vista della durata, qual è il tempo del racconto scelto prevalentemente dall’autrice per sottolineare la tensione narrativa?
A Scena.
B Pausa.
C Sommario.
D Ellissi.
7 Che cosa vuole farci credere in un primo momento la voce narrante quando dice che si sentì «un improvviso frastuono», e poi «un urlo e un tonfo» provenienti da qualche parte della casa?
Lessico
8 Ogni singolo dettaglio di una storia gialla, in questo caso soprattutto la reazione dei vari personaggi, costituisce un “segno” utile a individuare il/la colpevole. Diventa cioè un…
A movente
B alibi
C reato
D indizio
9 Da Che sta succedendo qui? a rapidi sguardi incuriositi e attenti per la stanza (rr. 58-68) è descritta la reazione “fisica” dei presenti al colpo di scena. Sottolinea tutte le parole indicanti parti del corpo, posture o caratteristiche dell’aspetto fisico.
Grammatica
10 La scena di quiete iniziale è narrata impiegando il tempo tipico della durata e della ripetizione.
Poi il colpo di scena la interrompe bruscamente innescando l’azione. Quali tempi verbali dell’indicativo sono impiegati in corrispondenza dei due diversi momenti?
tempo dell’indicativo impiegato in prevalenza scena iniziale (righe 1-16)
colpo di scena e fatti successivi (riga 17-fine)
11 Dopo l’elenco dei nomi e dei crimini, come sono le frasi nel passaggio più concitato dell’episodio: da Allora la voce tacque a invecchiato di dieci anni (rr. 42-60)?
A Lunghe e complesse.
B Brevi, staccate l’una dall’altra.
C Spezzate e senza verbi.
D Ricche di coordinate copulative.
Scrittura
12 Immagina di trovarti in una situazione simile a quella che vivono i personaggi alla fine dell’episodio. Quali emozioni proveresti? Che obiettivo avresti (fuggire; risolvere il mistero; mettere a punto un piano insieme alle altre persone ecc.)? Quale sarebbe il tuo prossimo passo per raggiungerlo? Spiegalo in un testo di 8-10 righe. Poi confrontati con i tuoi compagni e le tue compagne.
Esposizione orale
13 Una volta letto il romanzo intero, rifletti sulla tua esperienza di lettura: hai previsto come sarebbe andato a finire in qualche momento? Hai risolto il mistero, oppure la vicenda ti ha sorpreso dall’inizio alla fine? Il finale ti è sembrato convincente o avresti preferito un finale diverso? Esponi a voce i tuoi pareri.
Il politically correct (in italiano «politicamente corretto») è un tema importante da conoscere e comprendere, di cui recentemente si parla molto e che pone questioni complesse soprattutto quando ci si riferisce a opere e scritti di altri tempi. Agatha Christie, una delle scrittrici più famose al mondo, nel 1939 pubblicò il romanzo giallo Ten Little Niggers (letteralmente Dieci piccoli negri oppure Dieci negretti). Il titolo dell’edizione inglese, che oggi è considerato offensivo, prendeva spunto da una canzone-filastrocca americana di fine Ottocento; qui accostiamo la prima strofa in inglese a diverse traduzioni in italiano, che rivelano una crescente attenzione alla questione del linguaggio inclusivo (la versione 3 è degli ultimi anni):
Ten little nigger boys went out to dine; One choked his little self and then there were Nine.
versione 1
Dieci poveri negretti se ne andarono a mangiar: uno fece indigestione, solo nove ne restar.
versione 2
Dieci piccoli bimbi indiani andarono a pranzo: uno si strozzò bevendo e poi rimasero in nove.
versione 3
Dieci piccoli soldati vanno a cena chissà dove.
Ecco, uno si è strozzato, così son rimasti in nove.
Il giallo racconta la storia di dieci persone che si ritrovano bloccate in una casa su un’isola e cominciano a essere misteriosamente uccise una dopo l’altra. L’isola del romanzo si chiama Nigger Island perché la sua forma segue una sagoma a «testa di nero» (anche da questi riferimenti nasceva il titolo originario).
Negli Stati Uniti, il termine nigger fu considerato offensivo nei confronti della comunità nera, per cui anche il titolo venne cambiato nelle edizioni americane con l’ultima frase della filastrocca And Then There Were None («E poi non rimase nessuno»).
In Italia, il giallo di Agatha Christie fu pubblicato nel 1946 come E poi non rimase nessuno, ma nel 1977 lo chiamarono Dieci piccoli indiani, cioè con il titolo della filastrocca che da Ten Little Niggers era anch’esso stato variato – in nome del politically correct – in Ten Little Indians (come nella versione 2 delle traduzioni a fianco riportate). Tuttavia, anche il termine indiani era non meno irrispettoso dei nativi americani, essendo la denominazione usata dai colonizzatori europei. È importante capire che la lingua e le parole mutano nel tempo, e ciò che era accettabile in passato oggi potrebbe non esserlo più. Nel caso di Ten Little Niggers, il titolo è stato modificato per diventare più corretto e rispettoso delle diversità culturali.
Leggere libri di altri tempi può essere un modo per imparare che cosa è cambiato nel corso degli anni nell’uso della lingua e come il mondo si sia evoluto per diventare sempre più tollerante e rispettoso delle differenze.
Il rispetto verso gli altri non deve però generare censura sui testi o snaturarli, nel senso che nei libri di epoche diverse dalla nostra non è sempre bene eliminare termini ritenuti “offensivi” per la mentalità a noi contemporanea.
Laboratorio di lessico
In Italia il termine giallo designa i romanzi noir e polizieschi, un genere letterario il cui nome si rifà alla collana – dalla copertina di colore giallo – pubblicata a partire dal 1929 dalla casa editrice Arnoldo Mondadori.
I romanzi gialli si possono chiamare in inglese con termini diversi come detective story, crime novel e murder mystery; in francese si parla di roman policier. Con i compagni provate a cercare in rete come si chiama il genere giallo in altre lingue.
ORA
1 LIVELLO BASE Scegli quattro parole appartenenti alla sfera semantica del giallo e costruisci una frase di senso compiuto.
2 LIVELLO AVANZATO Scrivi l’incipit di un racconto giallo (massimo 15 righe).
Audiolettura
Il punto di vista è quello di Marie Dudon, che pensa fra sé e sé mentre sbriga le faccende.
da: Le châle de Marie Dudon (1940)
Le storie poliziesche di George Simenon (1903-1989) non sono caratterizzate da enigmi perfetti, da trame intricatissime, da investigatori dall’intelligenza superiore e da ambienti altolocati, com’era tipico soprattutto nel giallo inglese, ma inscenano veri e propri drammi umani, generalmente ambientati in contesti popolari e piccolo borghesi. Al centro non c’è la soluzione del mistero, bensì la resa dell’ambiente sociale, in tutte le sue sfaccettature e complessità, e la psicologia dei personaggi. Un esempio di questo tipo di poliziesco è il racconto Lo scialle di Marie Dudon che, per la sua mancanza di enigma e il suo sottile intreccio tra bene e male, possiamo considerare un racconto noir
I pensieri di Marie sul bambino e sui lavori domestici si mescolano a quelli sui dirimpettai, i ricchi signori Cassieux, che Marie vede dalla finestra.
[…] A forza di stare immerse nell’acqua calda e insaponata, le mani di Marie Dudon erano diventate di un bianco squamoso. Strofinava la biancheria, e nel frattempo guardava dritto davanti a sé, distrattamente, senza pensare. O meglio pensando a… Ma era pensare, quello? Una sensazione la tormentava dalla mattina alla sera, a volte anche a letto: aveva mal di schiena. Colpa dei due piani da salire e scendere con i secchi d’acqua1, con le sporte della spesa, con il bambino, che aveva quasi un anno e pesava dieci chili, tanto che per tenerlo in braccio doveva torcersi tutta, spingendo un’anca di lato e la pancia in avanti.
«Ecco la signora Cassieux che va a dare le medicine al marito…».
Di fronte, al di là degli orti e dei cortili, c’era una casa più signorile delle altre, la cui facciata principale dava su rue de la Constitution: vi abitavano i Cassieux, titolari di una grossa ditta cittadina di traslochi. Il vecchio Cassieux era nel suo letto, al primo piano, sicché, nonostante le tendine che schermavano la parte inferiore dei vetri, Marie Dudon, che guardava dall’alto, lo vedeva benissimo. Da qualche giorno il vecchio era in preda al solito attacco di gotta2, che gli veniva un paio di volte all’anno. Quando aveva bisogno di qualcosa, chiamava la moglie battendo sul pavimento il bastone che teneva accanto al letto.
«Speriamo che il bambino non si svegli prima che abbia finito il bucato!…».
1. con i secchi d’acqua: il rubinetto dell’acqua corrente si trova sul pianerottolo dell’ammezzato.I puntini di sospensione esprimono la tensione di Marie, che guarda la scena con il fiato sospeso.
Il signor Cassieux aveva settant’anni. Era l’uomo più ricco del quartiere. Freddo, severo, avaro.
La sua seconda moglie, Mathilde Cassieux, aveva vent’anni meno di lui e dicevano che…
Il bambino si mosse. Con le mani insaponate Marie Dudon cacciò via una mosca che gli si era posata sulla fronte e guardò la sveglia ferma. In casa non c’era mai stato un orologio che funzionasse bene!
Cassieux, nel suo letto, aveva messo via il giornale e stava parlando. Da quando era a letto gli era cresciuta la barba. Impossibile capire cosa diceva e come gli rispondeva la moglie, sempre vestita di nero. La pioggia era sottile, particolarmente limpida. Un camion sobbalzò sul selciato irregolare. Ogni tanto si udiva lo sferragliare del tram, a oltre duecento metri di distanza, in rue Saint-Jean, una strada stretta dove si verificava almeno un incidente a settimana.
Marie Dudon, che guardava soprappensiero, si immobilizzò con le mani nell’acqua calda, poi si avvicinò d’impulso alla finestra e osservò con più attenzione.
Mathilde Cassieux era appena uscita dalla camera ed era entrata nel gabinetto, o meglio in bagno, perché i Cassieux disponevano di un vero e proprio bagno. Aveva in mano un bicchiere. Lo posò e aprì un armadietto verniciato a smalto, che doveva contenere i medicinali.
Perché i suoi gesti avevano un che di innaturale? Perché sembrava tendere l’orecchio verso la camera da letto? Da un piccolo involto di carta lasciò cadere nel bicchiere una polverina, poi, invece di gettare via l’involucro vuoto, lo nascose nel reggiseno. Si intuiva che evitava di far rumore. Riempì il bicchiere sotto il rubinetto e lo guardò in trasparenza per accertarsi che la polverina si sciogliesse. Perché?
Subito dopo, sempre con il bicchiere in mano, rientrò in camera da letto e riprese a parlare. Cosa diceva? Il marito, con il viso contratto dal dolore, fissava il soffitto. Sul comodino erano allineate delle boccette. Lei ne aprì una e contò le gocce che cadevano nel bicchiere.
«Bevi…».
Gli sorresse la testa e lui bevve con una smorfia di disgusto. Poi, con la destrezza data dall’abitudine, gli sistemò il letto. Era l’ora in cui Cassieux si addormentava. La moglie lo coprì, gli rimboccò le coperte e si diresse verso la finestra per srotolare la tenda avvolgibile di tela écru3 che smorzava la luce.
Proprio mentre stava per abbassare la tenda… Aveva già sganciato la cordicella… Alzò la testa e, dietro i vetri della finestra dirimpetto, scorse il viso di Marie Dudon, che non ebbe il tempo di ritrarsi… I loro sguardi si incrociarono…
Marie si interroga sulla scena che ha appena visto (discorso indiretto libero).
Tra le due donne, orti fangosi, un albero di pesco senza foglie, cavoli, porri e muri di mattoni. Un grande silenzio striato di pioggia. Cassieux doveva chiedersi perché la moglie si fosse fermata con la mano a mezz’aria. Con ogni probabilità disse qualcosa, perché lei si voltò per rispondergli, ma il suo sguardo tornò subito a Marie Dudon che, da lontano, sembrava ancora più pallida e malaticcia.
Alla fine la tenda ornata di frange si abbassò. Da azzurrino che era, il rettangolo della finestra divenne giallo. Marie Dudon continuava a non muoversi.
Perché? Perché, prima di lasciar cadere nel bicchiere le gocce della boccetta che si trovava sul comodino, la signora Cassieux aveva sciolto una polverina nell’acqua? Perché aveva nascosto la carta nel reggiseno? Perché, ora che aveva chiuso la porta della camera da letto, si avvicinava alla finestra del bagno e guardava fuori, come per verificare se la dirimpettaia potesse averla vista?
«L’ha avvelenato!».
Marie Dudon non aveva mai vissuto eventi drammatici. Non leggeva i giornali. Eppure prese atto della situazione senza fare una piega. Non lo sapevano tutti che Mathilde aveva sposato il vecchio Cassieux per i suoi soldi? Ma Cassieux era avaro, cattivo, intrattabile. Probabilmente la moglie non aveva avuto la pazienza di aspettare…
Marie trasse un sospiro e tornò verso il catino, dove l’acqua si era raffreddata. Ne aggiunse dell’altra calda e lanciò un’occhiata al bambino che continuava a dormire. Correva voce che tutta rue de la Commune appartenesse
George Simenon, scrittore belga di lingua francese, nacque a Liegi nel 1903. Autore precoce ed estremamente prolifico, pubblicò il suo primo romanzo a diciotto anni, e nel corso della sua vita scrisse centinaia di romanzi e racconti, molti dei quali appartenenti al genere giallo o al noir, oggi tradotti in oltre cinquanta lingue.
Dopo la morte del padre, nel 1922, si trasferì a Parigi, dove iniziò a pubblicare racconti su varie riviste. Negli anni successivi scrisse innumerevoli romanzi “commerciali”, sotto vari pseudonimi, ottenendo un crescente successo. Nel corso degli anni Trenta viaggiò per il mondo insieme alla sua prima moglie e realiz-
zò diversi reportages e interviste. Trascorse gli anni della Seconda guerra mondiale in provincia, vicino a La Rochelle, dove si era trasferito alcuni anni prima. Avendo ceduto i diritti d’autore di alcune opere a una casa di produzione cinematografica creata dai nazisti, al termine del conflitto fu accusato di aver collaborato con il nemico: si trasferì così negli Stati Uniti, dove conobbe la sua seconda moglie e rimase fino a metà degli anni Cinquanta. Tornato in Europa, si stabilì in Svizzera, e qui continuò a scrivere (e poi a “dettare” a un registratore) i suoi romanzi, fino alla sua morte, avvenuta a Losanna nel 1989.
Il personaggio che lo ha reso maggiormente celebre è quello del commissario Jules Maigret, protagonista di settantacinque romanzi e ventotto racconti, nonché di numerosi film e serie.
La caratterizzazione sociale di Marie emerge dai suoi gesti e dai suoi pensieri. Un nuovo dettaglio chiarisce meglio la condizione economica dei due giovani sposi.
Fra sé e sé, Marie prepara il suo piano.
a Cassieux, il quale aveva anche delle case in un altro quartiere. Nessuno era più intransigente di lui sul pagamento degli affitti.
Davvero sarebbe morto di lì a poco?
Marie Dudon si asciugò le mani sul grembiule di cotone blu, sospirò come faceva cento volte al giorno, senza motivo, o forse perché a un’incombenza seguiva un’altra incombenza, poi un’altra ancora, e così dalla mattina alla sera, senza sosta, senza riuscire mai a mettersi in pari. «Mi ha vista…».
Mathilde Cassieux non la salutava. Senz’altro la conosceva di vista, come capita tra dirimpettai, ma non era il tipo da intrattenere rapporti di vicinato. Non sapeva neanche che il marito di Marie Dudon era rimasto disoccupato dopo il fallimento della banca dove lavorava e l’arresto del suo direttore.
Chissà che stava facendo… Aspettava con calma l’effetto del veleno? Non doveva essere molto indaffarata, visto che aveva due domestiche. Forse era seduta nel salottino che dava sulla strada…
Se Cassieux moriva quel giorno…
«Scommetto che verrà» pensò a un tratto Marie Dudon. «Quanto meno per sapere se l’ho vista davvero, se ho capito…». […]
«Che hai?» le chiese il marito quando rientrò, verso le cinque.
«Niente… Non ti preoccupare… A proposito, va’ a vedere se le persiane dei Cassieux sono chiuse…».
Perché se erano chiuse…
Vennero chiuse poco dopo le sei, e Georges Dudon scorse il medico legale che usciva da casa Cassieux, accompagnato fino alla porta da una Mathilde con gli occhi rossi.
Per almeno due ore Marie Dudon non riuscì a prendere sonno, sentiva in sottofondo il mormorio della pioggia. Quando si svegliò, di soprassalto, era ancora buio e un vero e proprio diluvio crepitava sul tetto, sul cornicione e sui vetri delle finestre.
Non aveva detto niente al marito. Era meglio tenerlo all’oscuro. Dopo tre mesi da disoccupato non era più lo stesso, e a Marie capitava di scrutarlo con preoccupazione. Certe sere si era anche chiesta se avesse bevuto.
Era capace di immischiarsi, e magari di rovinare tutto! No! La questione andava risolta tra donne! Di lì a poco, né troppo presto né troppo tardi, Marie avrebbe suonato il campanello dei Cassieux. Anzi, non doveva nemmeno suonare: la porta sarebbe stata accostata e la salma esposta nel salone al pianterreno, circondata di ceri.
Mathilde Cassieux avrebbe capito subito. […]
Non intendeva chiedere soldi. Anche se… Quanti ne avrebbe ereditati Mathilde Cassieux? Centinaia di migliaia di franchi4!… Già solo le case…
Lo scialle di lana è un dettaglio che si rivelerà così importante da dare il titolo al racconto.
Be’, avrebbe chiesto una casa!… Senza dirlo chiaro e tondo… […] E se Mathilde le offriva dei soldi?
O se invece fingeva di non capire? Allora Marie Dudon l’avrebbe guardata negli occhi. Avrebbe detto, per esempio: «Forse se il medico esaminasse meglio il povero signor Cassieux…».
piangere. Lei gli diede il seno, a letto, mentre il marito si girava sull’altro fianco borbottando. Lo allattava al seno tre volte al giorno, e per le altre poppate usava il biberon. Non era abbastanza robusta. Non era mai stata robusta.
«Che tempaccio!» disse Georges un po’ più tardi, quando fece giorno.
Pioveva a dirotto. Ai due lati della strada i rigagnoli, gonfi e giallastri, scorrevano rumorosi come torrenti. […]
«Che fai, Marie?».
«Mi vesto…».
«Per andare a fare la spesa? E ti metti il cappotto buono con questo tempaccio?».
«Passerò dai Cassieux per le condoglianze…».
«Non li conosci neanche…». […]
Marie si vestì e si avvolse nello scialle di lana nero che usava per fare la spesa nel quartiere.
Prese la sporta e l’ombrello. Mentre scendeva i due piani provò una fitta di angoscia: purché filasse tutto liscio! Purché non dovesse più portare su per le scale i secchi, il carbone, il bambino. A un tratto si chiese come avesse potuto farlo per tanto tempo. Non ne aveva più la forza.
Si incamminò rasente i muri, china in avanti, con l’ombrello inclinato. Dopo pochi passi la gonna era già zuppa e le si attaccava alle gambe. Le scarpe imbarcavano acqua.
Considerato che Mathilde Cassieux avrebbe ereditato centinaia di migliaia di franchi, non era forse giusto che…
Svoltò l’angolo, percorse altri cento metri e si fermò, con il cuore in gola, davanti ai tre gradini dell’ingresso e alla porta di quercia a due battenti. Come previsto, era solo accostata. Le bastò spingerla per ritrovarsi, un po’ spaesata, in un ampio vestibolo con il pavimento di marmo bianco. Una domestica la squadrò da dietro i riquadri di vetro della cucina in fondo al corridoio, e Marie non osò mettere l’ombrello gocciolante nel portaombrelli di ottone sbalzato.
A sinistra si aprì una porta. Una donna che Marie non conosceva, forse una lontana parente, la guardò come per invitarla a entrare.
La camera ardente era ancora in preparazione. […]
C’erano quattro o cinque persone nel salotto. La porta della stanza accanto era semiaperta e, quando si girò da quella parte, Marie Dudon scorse Mathilde Cassieux che la osservava da lontano, in una sala da pranzo, con la tovaglia e i piatti sporchi ancora sulla tavola.
Nell’elegante casa della sconosciuta, Marie non è più così sicura di sé stessa.
Marie si sente in imbarazzo per il suo abbigliamento dimesso.
Perché Mathilde non la chiamava, non le faceva un cenno? Si limitava a puntarle addosso uno sguardo indecifrabile, e per un istante Marie Dudon si chiese se non fosse il caso di andarsene. […]
Erano le undici meno cinque quando una campanella suonò sopra la testa di Marie, facendola trasalire. La domestica si alzò e scosse il grembiule pieno di bucce.
«Venga…».
Marie fu introdotta nella sala da pranzo con le sedie tappezzate di pelle scura. La porta della camera ardente era chiusa. La signora Cassieux, tutta in nero, era ritta nella penombra.
«Può andare, Françoise…».
E rimase in piedi, senza muoversi, senza dire una parola. Il giorno precedente, quando, presa dal panico, si era diretta verso la casa dei Dudon, era decisa a offrire fino a cinquantamila franchi, se necessario. La mattina aveva pensato: «Forse con trentamila… O magari venticinquemila, chissà…».
Ora guardava freddamente la visitatrice che si stringeva lo scialle sul petto magro, impicciata dall’ombrello e dalla sporta della spesa.
«Voleva parlarmi?».
Suo malgrado, Marie Dudon accennò un sorriso, il sorriso incolore, per così dire, di quando si sentiva in dovere di scusarsi. Non era affatto a suo agio in quella ricca sala da pranzo dove tutto la intimidiva, compresa la monumentale stufa con il fuoco a vista che proiettava nella stanza magnifici riflessi rossi.
«Ho pensato…».
«Si sieda…».
Era ancora peggio, a causa dell’ombrello che non sapeva dove mettere. Ce l’aveva con il marito che le aveva impedito di vestirsi come si deve, costringendola ad avvolgersi in quello scialle orrendo.
«Abito proprio qui dietro…» balbettò girandosi verso il giardino.
«Lo so».
«Al secondo piano… È molto faticoso, soprattutto con un neonato… Non abbiamo l’acqua corrente in casa…».
La piega che prende la storia nel finale è annunciata da questa semplice frase.
L’altra rimase di marmo. Forse non capì, o fece finta di non capire.
«Se potessimo trovare un appartamento a pianterreno, o meglio una villetta…».
«Vuole sapere se abbiamo un pianterreno da affittare? Purtroppo no, per il momento. Ma se dovesse liberarsene uno…».
«Il fatto è…».
Come spiegarle che non intendeva pagare l’affitto, che… «Mio marito è disoccupato… Lavorava alla Banca Baladon e lei sa che adesso il signor Baladon è in prigione…».
Senza volerlo aveva trovato la parola giusta. Colse al volo l’occasione e, con un fervore che le fece tremare la voce, ripeté:
«In prigione… In prigione, capisce?… Così noi…».
Mathilde Cassieux si era turbata almeno un po’?
«Siete in una situazione difficile, mi rendo conto… Perciò sono disposta…».
Finalmente! Il cuore di Marie Dudon accelerò i battiti.
«… sono disposta a fare qualcosa per voi… Per esempio, potrei chiedere al nostro direttore di assumere suo marito in ufficio…».
Silenzio. Marie Dudon guardava per terra tentando di darsi coraggio. Era lì per la casa. L’impiego sarebbe venuto dopo…
«Il fatto è…».
«Mi dispiace non potermi intrattenere più a lungo con lei… Nella triste circostanza in cui… Dica a suo marito di presentarsi oggi pomeriggio in rue
Théodore-Ballant e chiedere del vicedirettore… Spero di rivederla in un’altra occasione…».
Pigiò un campanello.
«Françoise… Riaccompagni la signora… la signora… A proposito, come si chiama?… Dudon…».
Non fece un passo, non tese la mano. E, mentre usciva da quella casa, Marie aveva l’aria di una ladra.
(G. Simenon, Lo scialle di Marie Dudon e altri racconti, trad. it. di M. Di Leo, Adelphi 2021)
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Comprensione
1 Indica se le seguenti informazioni su Marie Dudon sono vere (V) o false (F).
1. Ha un figlio piccolo. V F
2. Suo marito lavora in banca. V F
3. Lei e il marito vivono in ristrettezze economiche. V F
4. Ha una domestica alle sue dipendenze. V F
5. Passa le giornate a guardare dalla finestra senza fare niente. V F
6. È fisicamente provata dalla vita che fa. V F
2 Che cosa vede dalla finestra Marie e a quale conclusione arriva?
3 Quando Marie si reca dalla signora Cassieux è intenzionata a ricattarla. In che cosa consiste il suo ricatto?
A «Se non mi dai una casa ti ammazzo.»
B «Non dirò niente alla polizia se mi regali un appartamento.»
C «Dirò in giro quello che ho visto se non mi dai dei soldi.»
D «O fai assumere mio marito o chiedo che eseguano l’autopsia del tuo.»
4 Marie riesce a mettere in pratica il suo piano? Che cosa accade alla fine?
Analisi e interpretazione
5 Da che angolazione sono narrati i fatti?
A Sono filtrati dallo sguardo e dalle riflessioni di Marie.
B Sono esposti da fuori, in modo oggettivo.
C Vengono commentati dal narratore esterno.
D Sono narrati dal punto di vista dell’assassina.
6 Come definiresti il personaggio di Marie?
Scegli gli aggettivi adatti.
A Avida.
B Esausta.
C Vigliacca.
D Crudele.
E Intraprendente.
F Calcolatrice.
G Sottomessa.
H Pazza.
I Sentimentale.
7 Che ruolo ha lo scialle nella storia e che significato simbolico assume?
Lessico
9 Che cosa significa la parola incombenza nella frase a un’incombenza seguiva un’altra incombenza, e poi un’altra ancora (rr. 92-93)?
A Incarico delicato.
B Contrattempo da risolvere.
C Cosa da fare.
D Missione da portare a termine.
Grammatica
10 Le domande in corsivo sono espresse con discorso indiretto libero, ovvero senza verbi introduttivi indicanti che si tratta dei pensieri del personaggio. Trasformale inserendo i verbi introduttivi e apportando le dovute modifiche.
Perché i suoi gesti avevano un che di innaturale? Perché sembrava tendere l’orecchio verso la camera da letto? Da un piccolo involto di carta lasciò cadere nel bicchiere una polverina, poi, invece di gettare via l’involucro vuoto, lo nascose nel reggiseno. Si intuiva che evitava di far rumore. Riempì il bicchiere sotto il rubinetto e lo guardò in trasparenza per accertarsi che la polverina si sciogliesse. Perché?
11 Organizzate in classe un dibattito su due tesi opposte, seguendo le indicazioni suggerite.
• Prova a metterti nei panni di Marie e pensa per cinque minuti che cosa avresti fatto al suo posto.
8 Come interpreti il finale?
• La classe verrà divisa in due gruppi. Il primo dovrà difendere la tesi «Marie ha fatto bene a fare quello che ha fatto, perché…»; il secondo la tesi «Marie ha sbagliato a fare quello che ha fatto perché…; avrebbe dovuto / potuto…». Scegli a quale gruppo vuoi aderire, poi prepara l’argomentazione insieme ai compagni e alle compagne.
• Ogni gruppo espone la propria argomentazione.
• Si discute in classe sotto la guida dell’insegnante.
Sezione
Qualcosa di minaccioso è successo in Natura
Audiolettura
L’inizio del racconto, descrittivo, annuncia un brusco cambiamento meteorologico.
da: The Birds (1952)
Un celebre esempio di thriller psicologico di argomento non poliziesco è Gli uccelli di Daphne du Maurier (1907-1989), racconto in cui un crescendo di fatti inspiegabili e angosciosi tiene il pubblico con il fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina. In un tranquillo paesino costiero della Cornovaglia, in Inghilterra, un uomo nota in cielo un’insolita quantità di uccelli, i quali cominciano a manifestare nei confronti degli esseri umani un’aggressività mai vista prima. Non è che l’inizio di un incalzante succedersi di eventi drammatici (tanto che il racconto può anche essere considerato horror), destinati a rimanere senza spiegazione.
I pensieri del protagonista (focalizzazione interna) sono espressi per mezzo del discorso indiretto libero
Il tre dicembre, durante la notte, il vento cambiò e venne l’inverno. Fino a quel momento l’autunno era stato dolce e tiepido, le foglie, di un rosso dorato, avevano indugiato sugli alberi, le siepi erano ancora verdi e la terra era generosa dove l’aratro l’aveva rivoltata.
Nat Hocken, come invalido di guerra1, aveva una pensione e non lavorava a tempo pieno alla fattoria; era impegnato tre giorni la settimana e gli venivano affidate le mansioni più leggere: potare le siepi, ricoprire di paglia i tetti, riparare i fabbricati della fattoria.
Benché fosse sposato con figli, aveva una natura solitaria: preferiva lavorare da solo. Era contento quando gli davano un argine da rinforzare o un cancello da aggiustare sulla punta estrema della penisola, dove il mare circondava i terreni della fattoria su entrambi i lati. Verso mezzogiorno faceva una pausa e mangiava il pasticcio che la moglie aveva cucinato per lui, mentre, seduto sull’orlo della scogliera, osservava gli uccelli. […]
Gli uccelli erano stati più irrequieti che mai quell’anno e la loro agitazione era più evidente perché le giornate erano tranquille. Mentre il trattore lasciava i suoi solchi su e giù per le colline verso ovest, con la sagoma del contadino profilata sul posto di guida, l’intero veicolo e l’uomo si perdevano per un istante nell’enorme nube di uccelli che volteggiavano emettendo versi acuti. Ce n’erano molti più del solito, Nat ne era sicuro. In autunno seguivano sempre l’aratro, ma non in stormi così numerosi, né con tanto clamore.
Nat lo fece notare, quando ebbe finito di potare le siepi per quel giorno. «Sì» gli rispose il contadino, «ci sono in giro più uccelli del solito, me ne
Primi segnali d’allarme dell’aggressività degli uccelli.
La quantità e il comportamento degli uccelli cominciano a diventare inquietanti.
sono accorto anch’io. E alcuni sono coraggiosi, non si preoccupano del trattore. Un paio di gabbiani mi si sono talmente avvicinati alla testa, questo pomeriggio, che ho pensato volessero portarmi via il cappello! E dirò di più, quasi non riuscivo a vedere quel che facevo mentre mi volavano attorno e avevo il sole negli occhi. Ho l’impressione che cambierà il tempo. Sarà un inverno duro, ecco perché gli uccelli sono irrequieti.»
Nat, avviandosi a passi pesanti verso casa nei campi e poi lungo il sentiero, vide gli uccelli ancora ammassati sulle colline a ovest, nell’ultima luce del sole. Non c’era vento e il mare grigio era calmo e gonfio; le siepi di licnide2 erano ancora in fiore e l’aria era tiepida. Il contadino, però, aveva ragione e fu proprio quella notte che il tempo mutò. La camera da letto di Nat era rivolta verso est. Si svegliò poco dopo le due e udì il vento sibilare nel caminetto: non erano le raffiche impetuose di una burrasca di sudovest, che portavano la pioggia, ma correnti di levante3, fredde e asciutte. Nat rimase in ascolto e sentì il mare che infuriava nella baia. Persino l’aria all’interno della stanzetta si era raffreddata e da sotto la porta entrava uno spiffero che soffiava sul letto. Nat si avvolse nella coperta, si avvicinò alla schiena della moglie che dormiva e stette sveglio, vigile, in apprensione senza un vero motivo.
Poi udì picchiare alla finestra. Sui muri della casa non c’erano rampicanti che potessero staccarsi e sbattere contro il vetro. Si mise in ascolto: il rumore continuava e Nat, irritato, scese dal letto e si avvicinò alla finestra. La aprì e subito qualcosa gli sfiorò una mano, colpendogli le nocche e graffiandogli la pelle. Quindi vide uno svolazzare d’ali e un attimo dopo non c’era più, scomparso oltre il tetto, dietro la casa.
Era un uccello, ma di quale specie non avrebbe saputo dirlo. Il vento doveva averlo spinto a cercare riparo sul davanzale.
Richiuse la finestra e ritornò a letto, ma sentendosi le nocche bagnate portò la mano alla bocca: c’era del sangue. Immaginò che l’uccello, impaurito e disorientato, stesse cercando un rifugio e lo avesse colpito nell’oscurità. Tentò di riaddormentarsi.
Poco dopo udì nuovamente i colpi, questa volta più forti, più insistenti; la moglie si svegliò per il rumore e, rigirandosi nel letto, disse: «La finestra sbatte, Nat, vai a vedere».
«Sono già andato, c’è un uccello che cerca di entrare. Non senti il vento? Soffia da est e spinge gli uccelli a cercare riparo.»
«Caccialo via, non riesco a dormire con questo rumore.»
Ritornò alla finestra, ma quando la aprì non c’era più un solo uccello sul davanzale ma una mezza dozzina; gli si avventarono tutti in faccia, attaccandolo.
Gridava, colpendoli con le braccia, cercando di allontanarli; come aveva fatto il primo, anche questi volarono oltre il tetto e scomparvero. Richiuse rapidamente la finestra e la bloccò.
«Hai sentito?» domandò. «Mi sono venuti addosso, hanno cercato di beccarmi negli occhi.» Era in piedi accanto alla finestra, scrutava nel buio, ma non vedeva niente. La moglie, intontita dal sonno, biascicò qualcosa dal letto.
«Non me lo sto inventando» proseguì, stizzito per l’insinuazione di lei. «Ti dico che quegli uccelli erano sul davanzale e cercavano di entrare.»
D’improvviso un grido di spavento giunse dalla stanza al di là del corridoio dove dormivano i bambini.
«È Jill» disse la donna, allarmata dal rumore, mettendosi a sedere sul letto. «Va’ da lei, vedi che cos’ha.»
Nat accese una candela, ma quando aprì la porta della camera per andare in corridoio una corrente d’aria spense la fiamma.
Udì un secondo grido di terrore, questa volta di entrambi i bambini, e precipitandosi nella loro stanza sentì un battito d’ali intorno a sé nell’oscurità. La finestra era spalancata e gli uccelli entravano, sbattendo dapprima contro il soffitto e le pareti e poi deviando e buttandosi sui bambini nei loro letti.
«Va tutto bene, sono qui» esclamò Nat e i piccoli si buttarono fra le sue braccia, urlando, mentre gli uccelli si levavano e si tuffavano nel buio e lo attaccavano ancora. «Che succede, Nat, che cos’è?» chiamò la moglie dall’altra stanza, mentre lui spingeva rapidamente i figli in corridoio e chiudeva la porta dietro di loro, rimanendo solo nella cameretta con gli uccelli.
Prese una coperta dal letto più vicino e, usandola come arma , la agitò nell’aria da una parte e dall’altra. Sentiva il tonfo dei corpi, il battito delle ali, ma non riusciva a sconfiggerli : continuavano l’assalto, beccandogli le mani, la testa, con i loro piccoli becchi aguzzi come la punta di una forchetta. La coperta divenne un’arma di difesa : se l’avvolse intorno al capo e, in una maggiore oscurità, colpì gli uccelli con le mani nude. Non osava trascinarsi verso la porta e aprirla per timore che così facendo le bestie potessero seguirlo.
Per quanto tempo li avesse combattuti al buio non poteva dirlo, ma alla fine quello svolazzare tutt’intorno a lui diminuì e poi cessò e attraverso lo spessore della coperta poté vedere la luce. Attese, stette in ascolto: non c’era alcun rumore tranne il pianto isterico di uno dei bambini nell’altra stanza. Il battito e il frullio delle ali erano svaniti.
Si tolse la coperta dal capo e si guardò intorno: la luce fredda e grigia del mattino inondava la stanza. L’alba e la finestra aperta avevano richiamato gli uccelli ancora vivi, mentre quelli morti giacevano sul pavimento. Nat fissò i cadaveri, scosso e inorridito. Erano tutti uccelli piccoli, nessuno di grosse dimensioni, e dovevano essere una cinquantina quelli finiti a terra. C’erano pettirossi, fringuelli, passeri, cinciallegre, allodole e peppole4, animali che per legge di natura rimanevano in seno al loro stormo e nel loro
territorio e che ora, aggregandosi nella smania di combattere, si erano uccisi contro le pareti della stanza o erano stati uccisi da lui nella lotta.
Alcuni avevano perso le piume, altri avevano del sangue, il suo sangue, sul becco.
Nauseato, Nat andò alla finestra e guardò i campi che si stendevano oltre il suo giardinetto. L’aria era fredda e pungente e il terreno appariva duro e gelato; non era brina che risplende nel sole del mattino, ma il gelo nero che porta il vento di levante. Il mare, più furioso per il cambiamento della marea, spumeggiante e profondo, si frangeva con violenza nella baia. […]
Non aveva mai sentito un freddo simile, nemmeno negli inverni peggiori che potesse ricordare. C’era bassa marea. Si avviò sui ciottoli scricchiolanti verso la sabbia soffice e, volgendo le spalle al vento, vi fece un buco col piede. Avrebbe voluto rovesciare gli uccelli, ma quando aprì il sacco la violenza del vento li catturò, li sollevò in aria come per riportarli in volo e li scagliò sulla spiaggia, sballottandoli come piume, sparpagliandoli qua e là, i corpi di cinquanta uccelli congelati. Quello spettacolo aveva qualcosa di orripilante e non gli piaceva. Gli uccelli morti erano stati spazzati via dal vento.
«La marea li riprenderà» disse fra sé e sé.
Guardò il mare con i suoi frangenti increspati che si rompevano, verdognoli: si sollevavano rigidi, si arricciavano e si frangevano di nuovo e, poiché la marea era discendente, il rombo era distante, lontano, senza il fragore del flusso.
Poi li vide: i gabbiani, laggiù, cavalcavano le onde.
Nata nel 1907 in un quartiere benestante di Londra da due attori teatrali, Daphne du Maurier entrò presto in contatto con la letteratura soprattutto grazie a suo padre, una figura carismatica con cui la scrittrice ebbe un rapporto molto stretto e burrascoso. Dopo un periodo di studio trascorso a Parigi, raggiunse la famiglia in Cornovaglia, regione in cui vivrà in seguito con il marito e i figli e dove ambienterà le sue opere più celebri. A ventitré anni pubblicò il suo primo romanzo, anche grazie all’aiuto di uno zio editore, e di lì a poco divenne autrice di veri e propri bestseller, inizialmente screditati dalla critica, che li
considerava mera letteratura “di consumo”, poi riconosciuti per il loro valore letterario. Tra questi ricordiamo Jamaica Inn (1936); Rebecca, la prima moglie (1938), il suo romanzo più celebre, scritto ad Alessandria d’Egitto, dove Du Maurier si era trasferita per seguire il marito, maggiore dell’esercito, e Gli uccelli (1952), tutti e tre adattati per il cinema dal regista britannico Alfred Hitchcock.
Considerata erroneamente una scrittrice “romantica”, Daphne du Maurier fu autrice di romanzi dai contenuti spesso inquietanti, dominati dall’ambiguità, dalla tensione narrativa e dalla suspense.
Morì nel 1989 e per sua disposizione le sue ceneri vennero sparse sulla terra della Cornovaglia.
La sequenza descrittiva contribuisce al crescendo dell’angoscia.
Nat cerca di trovare spiegazioni razionali a quel che sta accadendo.
Quel che dapprima aveva creduto essere la cresta bianca dei flutti erano invece gabbiani, centinaia, migliaia, decine di migliaia… Si levavano e ricadevano nel solco delle onde, sfidando il vento, come una poderosa flotta ancorata in attesa della marea. Verso est e verso ovest, erano dappertutto. Si vedevano a perdita d’occhio, schierati in formazioni compatte, una fila dopo l’altra. Se il mare fosse stato calmo avrebbero ricoperto la baia come una nuvola bianca, testa contro testa, un corpo appiccicato all’altro. Solo il vento di levante, sollevando i frangenti5, li nascondeva dalla riva.
Nat si volse e lasciò la spiaggia risalendo il ripido sentiero verso casa. Qualcuno doveva saperlo, doveva essere informato. A causa del vento e del tempo stava per succedere qualcosa che lui non capiva. Si domandò se non fosse il caso di andare alla cabina telefonica vicino alla fermata dell’autobus e telefonare alla polizia. Ma che cosa avrebbero potuto fare? Che cosa avrebbe potuto fare chiunque? Decine di migliaia di gabbiani che cavalcavano le onde laggiù nella baia per via della burrasca, per via della fame. La polizia lo avrebbe creduto pazzo o ubriaco, oppure avrebbe reagito al suo racconto con molta freddezza: «Grazie, sì, siamo già stati avvertiti. Il brutto tempo sta portando gli uccelli in gran numero verso terra». Nat si guardò intorno: non c’era traccia di altri uccelli. Forse il freddo li aveva mandati tutti dalle regioni più a nord? Mentre si avvicinava a casa la moglie gli si fece incontro, sulla porta, e gli disse, in preda all’agitazione: «Nat, alla radio hanno appena letto un comunicato straordinario. Ho scritto tutto».
«Che cosa hanno detto?»
Nuova escalation nella tensione: l’intero paese è in stato di allarme.
«Gli uccelli… Non è solo qui, è dappertutto, a Londra, in tutto il paese. È successo qualcosa agli uccelli.»
Entrarono insieme in cucina e Nat lesse il foglio sul tavolo.
«Dal Ministero degli Interni, ore undici. Da tutto il paese giungono continue notizie sull’enorme quantità di uccelli che si affollano sulle città, sui villaggi e sulle zone più lontane, provocando intasamenti e danni e in certi casi attaccando le persone. Si pensa che il flusso d’aria proveniente dall’Artide, che al momento investe le Isole Britanniche, spinga gli uccelli a emigrare verso sud in immensi stormi e che la fame li porti ad attaccare gli esseri umani. Si raccomanda alle famiglie di chiudere finestre, porte e camini e di prendere le necessarie precauzioni per garantire la sicurezza dei bambini. Più tardi trasmetteremo un aggiornamento sulla situazione.»
(D. Du Maurier, Gli uccelli e altri racconti, trad. it. di M. Gallone, G. Lopez, L. Palombi Berra, M. Vaggi, O. Viani, Il Saggiatore 2008)
Comprensione
1 Completa il riassunto dei momenti salienti della storia. Un uomo di nome Nat un giorno nota in cielo più uccelli del solito. Un contadino gli racconta Durante la notte, Nat riesce a uccidere vari uccelli e la mattina dopo si reca allo scopo di In lontananza, sul mare, vede ; allora torna a casa spaventato e trova la moglie in stato di grande agitazione: alla radio hanno detto che
2 Che cosa prova il protagonista nei confronti degli uccelli nella seconda parte del racconto? Sottolinea i sostantivi opportuni. fascinazione, ira, nausea, fastidio, ripugnanza, orrore, stupore
3 Perché il protagonista non denuncia ciò che sta accadendo alla polizia?
A Perché non crede che la situazione sia pericolosa.
B Perché ha paura che la polizia non gli creda.
C Perché pensa che la polizia non possa risolvere il problema.
D Perché non si fida delle forze dell’ordine.
Analisi e interpretazione
4 Che cosa suggerisce la frase C’erano pettirossi, fringuelli, passeri, cinciallegre, allodole e peppole, animali che per legge di natura rimanevano in seno al loro stormo e nel loro territorio e che ora, aggregandosi nella smania di combattere, si erano uccisi contro le pareti della stanza o erano stati uccisi da lui nella lotta (rr. 108-111)?
A Che la situazione è contro natura.
B Che gli esseri umani si meritano una lezione.
C Che l’accaduto era prevedibile.
D Che la natura può essere crudele.
5 Da che cosa è caratterizzata la sequenza descrittiva da Quel che dapprima a li nascondeva dalla riva (rr. 134-142)? Seleziona gli elementi presenti.
A Immagini guerresche.
B Metafore.
C Similitudini.
D Punto di vista esterno.
E Linguaggio connotativo.
6 Che progressione segue la tensione narrativa nel testo?
A Inizio - momento di massima tensione - fine.
B Inizio - tensione crescente - scioglimento della tensione.
C Inizio - svolgimento lineare - colpo di scena finale.
D Tensione crescente per tutta la durata del testo.
Sezione
7 Il racconto si presta a diverse interpretazioni possibili. Che cosa potrebbe simboleggiare l’attacco degli uccelli?
A La guerra di tutti contro tutti per accaparrarsi la ricchezza.
B Le catastrofiche conseguenze del surriscaldamento globale.
C La ribellione della natura nei confronti degli esseri umani.
D I conflitti familiari inespressi all’interno della famiglia di Nat.
Lessico
8 Nella scena notturna all’interno della casa da Va tutto bene a svaniti (rr. 85-102), sottolinea tutte le parole appartenenti al campo semantico della guerra e del combattimento.
9 Seleziona il sinonimo di orripilante (Quello spettacolo aveva qualcosa di orripilante e non gli piaceva rr. 125-126).
A Inquietante.
B Raccapricciante.
C Soprannaturale.
D Misterioso.
Grammatica
10 Sottolinea tutti i verbi nel passo riportato sotto. Poi classificali nella tabella indicando quali designano azioni momentanee e quali azioni che continuano nel tempo.
Guardò il mare con i suoi frangenti increspati che si rompevano, verdognoli: si sollevavano rigidi, si arricciavano e si frangevano di nuovo e, poiché la marea era discendente, il rombo era distante, lontano, senza il fragore del flusso.
Poi li vide: i gabbiani, laggiù, cavalcavano le onde.
azione momentanea
azione che continua nel tempo
Scrittura
11 Scrivi una possibile prosecuzione del racconto inserendo i seguenti elementi:
• entrata in scena di un nuovo personaggio;
• grave pericolo per i protagonisti;
• lieto fine.
Esposizione orale
12 Dopo aver letto il racconto intero e aver visto il film Gli uccelli (1963) di Alfred Hitchcock, metti a confronto le due versioni. Che differenze noti tra le due storie? Quale versione hai apprezzato di più? In quale, secondo te, la suspense è maggiore e perché?
Il frate Guglielmo da Baskerville è considerato dall’Abate la persona più indicata a fare da “investigatore”.
Il riassunto del “caso” fatto dall’Abate è riportato con discorso indiretto libero.
da: Il nome della rosa (1980)
Il nome della rosa di Umberto Eco (1932-2016), può essere definito un giallo storico di ambientazione medievale, o un romanzo storico di argomento giallo. La storia è narrata dal monaco Adso da Melk, che racconta le vicende di cui è stato testimone nella sua gioventù, quando era un novizio al servizio del frate francescano inglese Guglielmo da Baskerville. L’anno è il 1327, il luogo un monastero benedettino in una imprecisata regione del Nord Italia, dove Guglielmo si è recato per prendere parte a un importante convegno di teologia. Poco prima dell’inizio del convegno, tuttavia, la morte misteriosa di un monaco mette in agitazione l’Abate, che, temendo uno scandalo, chiede a Guglielmo di indagare discretamente sul caso, mettendo a frutto le sue celebri capacità deduttive.
Mi parve che l’Abate1 fosse soddisfatto di poter terminare quella conversazione tornando al suo problema. Prese dunque a raccontare, con molta prudenza nella scelta delle parole e lunghe perifrasi2, di un fatto singolare che era accaduto pochi giorni prima e che aveva lasciato molto turbamento tra i monaci. E disse che ne parlava a Guglielmo perché, sapendolo gran conoscitore e dell’animo umano e delle trame del maligno, sperava che potesse dedicare parte del suo tempo prezioso a far luce su un dolorosissimo enigma. Si era dunque dato il caso che Adelmo da Otranto, un monaco ancor giovane eppure già famoso come grande maestro miniatore3, e che stava adornando i manoscritti della biblioteca di immagini bellissime, era stato trovato una mattina da un capraio4 in fondo alla scarpata dominata dal torrione est dell’Edificio.
Poiché era stato visto dagli altri monaci in coro durante compieta5 ma non era ricomparso a mattutino6, era probabilmente precipitato durante le ore più buie della notte. Notte di grande tempesta di neve, in cui cadevano fiocchi taglienti come lame, che quasi sembravano grandine, spinti da un austro7 che soffiava impetuoso. Fatto molle da quella neve che si era dapprima sciolta e poi indurita in lamine di ghiaccio, il suo corpo era stato trovato ai piedi dello strapiombo, dilaniato dalle rocce contro cui aveva rimbalzato.
1. Abate: superiore dell’abbazia.
2. perifrasi: giro di parole.
3. miniatore: monaco che decorava i
manoscritti con miniature.
4. capraio: pastore di capre.
5. compieta: preghiera della sera.
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6. mattutino: preghiera del mattino. 7. austro: vento che soffia da sud.Guglielmo deduce rapidamente il motivo per cui l’Abate esclude l’ipotesi del suicidio.
Un fatto (le finestre erano chiuse) è dedotto logicamente da un avvenimento successivo.
Povera e fragile cosa mortale, che Dio avesse misericordia di lui. A causa dei molti rimbalzi che il corpo aveva subito precipitando, non era facile dire da qual punto esatto fosse caduto: certamente da una delle finestre che si aprivano per tre ordini di piani sui quattro lati del torrione esposti verso l’abisso.
“Dove avete sepolto il povero corpo?” domandò Guglielmo.
“Nel cimitero, naturalmente,” rispose l’Abate. “Forse lo avrete notato, si stende tra il lato settentrionale della chiesa, l’Edificio e l’orto.”
“Vedo,” disse Guglielmo, “e vedo che il vostro problema è il seguente. Se quell’infelice si fosse, Dio non voglia, suicidato (poiché non si poteva pensare che fosse caduto accidentalmente) il giorno dopo avreste trovato una di quelle finestre aperte, mentre le avete ritrovate tutte chiuse, e senza che ai piedi di alcuna apparissero tracce d’acqua.”
L’Abate era uomo, lo dissi, di grande e diplomatica compostezza, ma questa volta ebbe un movimento di sorpresa che gli tolse ogni traccia di quel decoro che si addice alla persona grave e magnanima, come vuole Aristotele8: “Chi ve lo ha detto?”
“Me lo avete detto voi,” disse Guglielmo. “Se la finestra fosse stata aperta, avreste subito pensato che egli vi si era gettato. Da come ho potuto giudicare dall’esterno, si tratta di grandi finestre a vetrate opache e finestre di quel tipo non si aprono di solito, in edifici di questa mole, ad altezza d’uomo. Dunque se fosse stata aperta, essendo impossibile che lo sciagurato vi si fosse affacciato e avesse perduto l’equilibrio, non sarebbe restato che pensare a un suicidio. Nel qual caso non lo avreste lasciato seppellire in terra consacrata9. Ma poiché lo avete seppellito cristianamente, le finestre dovevano essere chiuse. Perché se erano chiuse, non avendo io incontrato neppure nei processi di stregoneria10 un morto impenitente a cui Dio o il diavolo abbiano concesso di risalire dall’abisso per cancellar le tracce del suo misfatto, è evidente che il presunto suicida è stato piuttosto spinto, vuoi da mano umana vuoi da forza diabolica. E voi vi chiedete chi possa averlo, non dico spinto nell’abisso, ma issato nolente sino al davanzale, e siete turbato perché una forza malefica, naturale o soprannaturale che sia, si aggira ora per l’abbazia.”
“È così…” disse l’Abate, e non era chiaro se confermasse le parole di Guglielmo o rendesse ragione a se stesso delle ragioni che Guglielmo aveva così ammirevolmente prodotto. “Ma come fate a sapere che non vi era acqua ai piedi di alcuna vetrata?”
L’Abate è convinto che l’omicida si trovi nell’abbazia, e che sia un monaco.
“Poiché mi avete detto che soffiava l’austro e l’acqua non poteva essere spinta contro finestre che si aprono a oriente.”
“Non mi avevano detto abbastanza delle vostre virtù,” disse l’Abate. “E avete ragione, non c’era acqua, e ora so perché. Le cose sono andate come dite. E ora capite la mia angoscia. Già sarebbe stato grave se uno dei miei
monaci si fosse macchiato dell’abominevole peccato di suicidio. Ma ho ragioni di ritenere che un altro di loro si sia macchiato di un peccato altrettanto terribile. E fosse solo quello…”
“Anzitutto, perché uno dei monaci? Nell’abbazia vi sono molte altre persone, stallieri, caprai, servitori…”
“Certo, è un’abbazia piccola ma ricca,” ammise con sussiego11 l’Abate. “Centocinquanta famigli12 per sessanta monaci. Ma tutto è avvenuto nell’Edificio. Quivi, come forse già sapete, anche se al primo piano vi sono e le cucine e il refettorio13, ai due piani superiori vi sono lo scriptorium14 e la biblioteca. Dopo la cena l’Edificio viene chiuso e vi è una regola rigidissima che proibisce a chiunque di accedervi,” indovinò la domanda di Guglielmo e aggiunse subito, ma chiaramente a malincuore, “compresi i monaci naturalmente, ma…”
“Ma?”
“Ma escludo assolutamente, assolutamente capite, che un famiglio abbia avuto il coraggio di penetrarvi di notte […]
“Bene,” disse allora Guglielmo, “potrò porre domande ai monaci?”
11. sussiego: contegno distaccato. 12. famigli: servi.
13. refettorio: sala del monastero in cui si consumano i pasti.
Umberto Eco è stato uno dei maggiori intellettuali italiani del secondo Novecento; la sua straordinaria cultura gli permise infatti di coniugare l’attività di docente universitario e studioso con quella di critico letterario, romanziere e traduttore.
Nato ad Alessandria nel 1932, si laureò presso l’Università di Torino con una tesi su Tommaso d’Aquino, iniziando a sviluppare un interesse per la filosofia e la cultura medievale che non lo avrebbe più abbandonato. Lavorò in RAI per alcuni anni; poi nella redazione della casa editrice Bompiani fino al 1975. Nel 1961, iniziò una carriera accademica che lo porterà a insegnare in diverse università, fino a occupare la prima cattedra in semiotica (la scienza che studia le forme della comunicazione e la costruzione del significato) a Bologna, nel 1975. Sempre presso l’Università di Bologna fu tra i fondatori del primo corso di laurea in DAMS (Discipline Artistiche Musicali e dello Spetta-
14. scriptorium: sala in cui i monaci amanuensi copiavano i manoscritti.
colo) e di quello in Scienze della Comunicazione. Collaborò con diversi giornali e riviste e pubblicò raccolte di saggi dedicati ai mass media e alla cultura di massa, come Diario minimo (1963) e Apocalittici e integrati (1964). Il suo saggio Opera aperta (1963) fu di ispirazione per il gruppo letterario d’avanguardia Gruppo 63 ed è tuttora un caposaldo degli studi semiotici e letterari. Altri saggi rilevanti a livello nazionale e internazionale sono Trattato di semiotica generale (1975); Lector in fabula (1979), sull’interpretazione letteraria; Dire quasi la stessa cosa (2003), sulla traduzione; ma anche il celebre Il fascismo eterno (1995), sulla definizione del fascismo e sui suoi aspetti considerati ancora latenti nella società; e la raccolta di articoli A passo di gambero (1995), di argomento sociale e politico.
Nel 1980, esordì nella narrativa con il romanzo Il nome della rosa, vincitore del Premio Strega e subito divenuto best seller tradotto in oltre 45 lingue. Tra i romanzi successivi ricordiamo Il pendolo di Foucault (1988), L’isola del giorno prima (1994) e Baudolino (2000). Morì a Milano nel 2016.
La reazione dell’Abate getta una luce di mistero sulla biblioteca.
“Potrete.”
“Potrò aggirarmi liberamente per l’abbazia?”
“Ve ne conferisco facoltà.”
“Mi investirete di questa missione coram monachis15?”
“Questa sera stessa.”
“Comincerò però oggi, prima che i monaci sappiano di cosa mi avete incaricato. E inoltre desideravo molto, non ultima ragione del mio passaggio qui, visitare la vostra biblioteca, di cui si parla con ammirazione in tutte le abbazie della cristianità.”
L’Abate si alzò quasi di scatto, col viso molto teso. “Potrete aggirarvi per tutta l’abbazia, ho detto. Non certo per l’ultimo piano dell’Edificio, nella biblioteca.”
“Perché?”
“Avrei dovuto spiegarvelo prima, e credevo che lo sapeste. Voi sapete che la nostra biblioteca non è come le altre…
(U. Eco, Il nome della rosa, Bompiani 1994)
15. coram monachis: espressione latina che significa “davanti ai monaci”. Ti è piaciuto questo testo? Perché?
Comprensione
1 Qual è il mistero che Guglielmo dovrà risolvere? Spiega chi è la vittima, quando ha perso la vita e dove è stato trovato il suo corpo.
3 Qual è la dimostrazione del fatto che l’Abate non crede all’ipotesi del suicidio?
2 Che cosa ha fatto escludere all’Abate l’ipotesi che Adelmo si sia suicidato?
A Il pensiero che non sarebbe riuscito a raggiungere da solo l’alta finestra.
B Il fatto che le finestre affacciate sul precipizio sono state trovate chiuse.
C Il sospetto che un altro monaco stesse pianificando l’omicidio.
D Il fatto che il suicidio è un peccato punito con la morte eterna.
4 Perché, secondo l’Abate, il colpevole è sicuramente un monaco?
A Perché solo un monaco avrebbe osato sfidare il divieto di entrare nell’Edificio di notte.
B Perché solo i monaci avevano il permesso di entrare nell’Edificio nelle ore notturne.
C Perché i servi, a differenza dei monaci, non avevano le chiavi dell’Edificio.
D Perché l’Edificio è un labirinto in cui chiunque tranne un monaco si sarebbe perso.
5 Che cosa ci fa intuire la misteriosa reazione dell’Abate alla richiesta di Guglielmo di visitare la biblioteca?
Analisi
6 L’intero episodio è una lunga sequenza…
A Descrittiva.
B Narrativa.
Grammatica
12 Qual è il significato del pronome ne nel seguente scambio di battute?
«Potrò aggirarmi liberamente per l’abbazia?»
«Ve ne conferisco facoltà.» (rr. 79-80)
A Di lui.
C Dialogica.
D Riflessiva.
7 Come sono riportate le parole dei personaggi nella maggior parte del brano?
A Al discorso diretto.
B Al discorso indiretto.
C Al discorso indiretto libero.
8 Quali “virtù” di Guglielmo emergono nel testo?
9 Lo stile del brano è coerente con l’ambientazione medievale e con la cultura dei personaggi. Come definiresti il lessico e la costruzione delle frasi?
Lessico
10 Che cosa significa nolente nella frase non dico spinto nell’abisso, ma issato nolente sino al davanzale? (rr. 48-49)
A A braccia.
B In modo violento.
C All’improvviso.
D Contro la sua volontà.
11 Scrivi un sinonimo per ognuno dei seguenti termini tratti dal testo.
1. Accidentalmente:
2. Compostezza:
3. Misfatto:
4. Abisso:
5. Abominevole:
6. Aggirarsi:
B Dell’abbazia.
C Di fare questo.
D A voi.
Esposizione orale
13 La morte di Adelmo ha altre interpretazioni possibili, oltre a quella che ne dà l’Abate, e infatti nelle pagine successive affiora un’altra spiegazione. Pensa per cinque minuti a quale potrebbe essere questa spiegazione, quindi confrontati con un compagno o una compagna, infine condividete con la classe le vostre conclusioni.
14 Dopo aver letto il romanzo intero o le sue parti più significative, guarda il film Il nome della rosa (1986) di Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery nel ruolo di Guglielmo da Baskerville e Christian Slater in quello di Adso. Poi rispondi alle domande:
• I luoghi e personaggi del film sono come te li eri immaginati?
• Quali differenze hai notato tra film e romanzo?
• Quale delle due versioni hai trovato più avvincente?
Audiolettura
L’inizio del racconto è in medias res e il punto di vista è quello, interno, del protagonista.
da: Coule la Seine (2002)
Il racconto Cinque franchi l’una, tratto dalla raccolta Scorre la Senna della scrittrice francese Fred Vargas (1957), ha come protagonista un senzatetto che vaga per le strade cittadine cercando di vendere ai passanti le sue spugne. A Parigi è scesa la notte. L’uomo si raggomitola nel suo sacco a pelo preparandosi a dormire, quando accade qualcosa di inatteso: il tentato omicidio di una donna, del quale si ritrova a essere testimone suo malgrado.
Fine. Per quella sera non ne avrebbe più venduta nemmeno una. Troppo freddo, troppo tardi, le strade si erano svuotate, erano quasi le undici in place Maubert. L’uomo si diresse verso destra, spingendo il suo carrello, a braccia tese. Quei maledetti carrelli da supermercato non erano strumenti di precisione. Ci voleva tutta la forza dei polsi e una bella conoscenza dell’aggeggio per mantenerlo nella giusta direzione. Era testardo come un asino, si spostava di sbieco, resisteva. Bisognava parlargli, insultarlo, maltrattarlo; ma, come l’asino, permetteva di trasportare una bella quantità di mercanzia. Testardo ma fedele. Il suo carrello l’aveva chiamato Martin, per deferenza verso tutto il lavoro che si erano sciroppati gli asini di una volta.
L’uomo parcheggiò il carrello vicino a un palo e lo legò con una catena a cui aveva attaccato un campanaccio. Guai al bastardo che avesse voluto fregargli il carico di spugne mentre dormiva, avrebbe trovato pane per i suoi denti. Di spugne, se quel giorno ne aveva vendute cinque era un miracolo. Venticinque franchi1 in tutto, più i sei avanzati da ieri. Prese il sacco a pelo da una borsa appesa sotto il carrello, si sdraiò su una griglia della metropolitana e si avvolse ben stretto. Impossibile andare a riscaldarsi nel metrò, avrebbe dovuto abbandonare il carrello per strada. È così: quando hai un animale, devi fare dei sacrifici. Non avrebbe mai lasciato Martin da solo lì fuori. L’uomo si domandò se il suo bisavolo2, quando girava da una città all’altra con l’asino, fosse costretto a dormire vicino a lui nei campi di cardi selvatici. Ad ogni modo, non aveva importanza, perché non aveva avuto
L’analessi, o flashback, ci svela l’origine del carrello di spugne.
Momento di massima tensione (Spannung)
nessun bisavolo, né niente di quel genere, del genere famiglia. Il che, però, non impedisce di pensarci. E quando ci pensava, immaginava un vecchio con un asino, che si chiamava Martin. Cosa trasportava l’asino? Aringhe salate, forse, o tessuti di Elbeuf3, o pelli di pecora.
Lui ne aveva portate, in giro, di cose da vendere. Così tante da sfiancare tre carrelli alle sue dipendenze. Questo asino era il quarto di una lunga stirpe. Il primo a trasportare spugne. Quando aveva scoperto quella miniera di spugne, abbandonate in un capannone a Charenton, si era creduto salvo. 9732 spugne vegetali, le aveva contate, era portato per i numeri, era un dono di natura. Moltiplicato per cinque franchi. Non si poteva aumentare il prezzo perché le spugne non avevano un bell’aspetto. Uguale: 48 660 franchi, un miraggio, un fiume.
Ma da quattro mesi, da quando travasava le sue spugne dal capannone di Charenton fino a Parigi, e spingeva Martin per tutte le vie della capitale, ne aveva vendute esattamente 512. Nessuno le voleva, nessuno si fermava, nessuno guardava le sue spugne, né il suo carrello, né lui. Di quel passo gli ci sarebbero voluti 2150,3 giorni per svuotare il capannone, vale a dire sei anni virgola diciassette a trascinare l’asino e la propria carcassa. I numeri erano sempre stati il suo forte. Ma delle spugne, tutti se ne fregavano, a parte cinque persone al giorno. Non erano molte, cinque persone, cavolo, su due milioni di parigini.
Stretto nel sacco a pelo, raggomitolato su un fianco, l’uomo calcolava la percentuale di parigini acquirenti di spugne. Guardò un taxi fermarsi alla sua altezza, una donna scendere, le gambe snelle, poi il cappotto, di pelliccia bianca. Di certo non una donna che rientrava nella percentuale. Forse non sapeva nemmeno cosa fosse una spugna, come si imbevesse, come si strizzasse. Lei gli girò intorno senza vederlo, attraversò la strada, percorse il marciapiede di fronte, digitò un codice all’ingresso di uno stabile. Passò lentamente un’auto grigia, la illuminò con i fari, frenò vicino a lei. Il conducente scese, la donna si voltò. Il venditore di spugne aggrottò le sopracciglia, allerta. Sapeva riconoscere quelli che se la prendono con le donne e non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che ne metteva uno fuori combattimento. A furia di guidare carrelli pesanti e recalcitranti gli erano venuti dei pugni da scaricatore. Ci furono tre spari e la donna crollò a terra. L’assassino si rintanò nell’auto, ingranò la marcia e scomparve.
Il venditore di spugne si era appiattito il più possibile sulla griglia del metrò. Un vecchio mucchio di stracci abbandonati al freddo: era tutto ciò che l’assassino aveva visto di lui, se poi l’aveva visto davvero. E per una volta, quell’atroce trasparenza che tocca in sorte ai paria4 gli aveva salvato la pelle. Sgusciò tremando fuori dal sacco a pelo, lo appallottolò e lo ficcò
L’uomo riflette sul da farsi (discorso indiretto libero), ma è troppo tardi per fuggire.
nella borsa di plastica, sotto il carrello. Si avvicinò alla donna, si chinò su di lei nell’oscurità. La pelliccia era sporca di sangue, sembrava una giovane foca sulla banchisa5. S’inginocchiò, raccolse la borsetta e la aprì rapidamente. Alle finestre si accendevano delle luci, tre, poi quattro. Gettò via la borsetta e corse al carrello. Sarebbe arrivata la polizia, questione di minuti, era gente veloce. Febbrilmente, si frugò nelle tasche cercando la chiave dell’antifurto6. Niente nei pantaloni, niente nella giacca. Frugò ancora. Darsela a gambe? Abbandonare Martin? Si poteva giocare un tiro del genere a un compagno così fedele e indefesso com’era stato quel carrello? Rivoltò le otto tasche, si tastò la camicia. La polizia, per la miseria, la polizia e le sue domande. Da dove venivano le spugne? Da dove veniva il carrello? Da dove veniva l’uomo? In preda alla rabbia, tirò il carrello per strapparlo dal palo di metallo, e la campana risuonò nella notte, stupida e allegra. E rapidamente, una sirena e passi frettolosi, e poi voci secche, l’efficiente e maledetta energia degli sbirri. L’uomo si chinò sul carrello, affondò le braccia tra le spugne e gli salirono le lacrime agli occhi.
(F. Vargas, Scorre la Senna, trad. it. di M. Botto, Einaudi 2009)
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Fred Vargas, pseudonimo di Frédérique Audouin-Rouzea, è nata a Parigi nel 1957. Lavora come ricercatrice di archeozoologia (disciplina che studia i resti animali trovati in contesti archeologici) presso il Centro nazionale francese per le ricerche scientifiche (CNRS) ed è specializzata in medievistica. Dal 1985 concilia la sua attività di scienziata con quella di scrittrice di romanzi e racconti gialli. Come ha dichiarato, detesta la violenza, motivo per cui le sue storie poliziesche non presentano scene particolarmente truculente, e non ama le trame complicate ai limiti dell’inverosimile. Ha a cuore soprattutto lo scavo psicolo-
gico dei personaggi e la resa convincente di situazioni e ambienti sociali.
L’investigatore al centro di molti dei suoi gialli è il commissario Jean-Baptiste Adamsberg, un sognatore disordinato, distratto, trasandato e imprevedibile che dopo aver brancolato a lungo nel buio, si ritrova a risolvere i casi quasi all’improvviso grazie al suo intuito e alla sua conoscenza dell’animo umano. Lo affianca il vicecommissario Danglard, che – a differenza del suo superiore – è metodico, preciso e pedante. I libri di Fred Vargas sono tradotti in 22 lingue. Tra i più noti ricordiamo i romanzi L’uomo dei cerchi azzurri (1991), Sotto i venti di Nettuno (2004), Tempi glaciali (2015) e la raccolta di racconti Scorre la Senna (2002).
1 I pensieri del protagonista ci rivelano molte informazioni sul suo conto. Indica se le seguenti affermazioni sono vere (V) o false (F).
1. Fa il magazziniere in un supermercato. V F
2. È un venditore ambulante. V F
3. Ha un socio in affari di nome Martin. V F
4. Suo nonno aveva un asino. V F
5. Non ha famiglia. V F
6. Ha trovato le spugne in una fabbrica abbandonata. V F
2 I pensieri dell’uomo sono popolati da numeri e calcoli precisissimi. Che cosa ci fa capire del protagonista questo elemento, oltre al fatto che da quei numeri dipende la sua sopravvivenza?
A È completamente matto.
B È straordinariamente portato per i numeri.
C È una persona avida di ricchezze.
D Ha molto tempo per pensare a cose futili.
3 Rileggi le righe che iniziano con Sapeva riconoscere quelli che se la prendono con le donne (rr. 54-55). Che cosa si prepara a fare il protagonista quando si accorge che il conducente della macchina è una minaccia per la donna?
4 Per quale motivo il protagonista non si allontana dal luogo del delitto, come invece vorrebbe fare?
5 Perché alla fine del brano il protagonista si mette a piangere? Che cosa ha paura che accada?
A Che la polizia lo accusi dell’omicidio.
B Che l’assassino torni indietro e lo faccia fuori per eliminare testimoni.
C Che lo costringano a testimoniare al processo contro l’assassino.
D Che sia interrogato circa la provenienza della sua merce e gliela tolgano.
Analisi
6 In molti passaggi del brano (per esempio nel primo paragrafo) viene usata la tecnica del discorso indiretto libero. In che cosa consiste questa tecnica?
A I pensieri del personaggio vengono espressi omettendo “pensò che”.
B Il personaggio parla da solo, formulando i propri pensieri a voce alta.
C Il personaggio chiacchiera con il suo compagno in un dialogo a due.
D La voce narrante analizza dettagliatamente i pensieri e le emozioni del personaggio.
7 Completa la tabella annotando le informazioni fornite dal brano sui vari elementi tipici del giallo. luogo momento del giorno vittima assassino arma del delitto unico testimone
8 Da Stretto a scomparve, (rr. 45-59) sottolinea il passaggio che ci permette di capire che la vittima del (tentato) omicido è di classe sociale elevata.
Lessico
9 Il carrello è definito recalcitrante, un aggettivo originariamente riferito alle bestie da soma, usato anche nel senso figurato di «restio, riluttante a fare qualcosa». Perché la scelta di questo aggettivo è particolarmente appropriata in questo contesto?
10 A salvare la vita del protagonista è la sua «atroce trasparenza». Che cosa significa qui questa espressione figurata?
A Che l’uomo è indifferente a tutto e non si immischia negli affari altrui.
B Che nessuno ha paura di un povero senzatetto come lui.
C Che nessuno si accorge nemmeno della presenza di un vagabondo.
D Che la sua condizione di clochard lo obbliga a viaggiare leggero.
11 Quale figura retorica è presente nelle espressioni testardo come un asino (rr. 6-7) e sembrava una giovane foca sulla banchisa (rr. 66-67)?
A Personificazione. B Similitudine. C Metafora. D Metonimia.
Grammatica
12 Nel seguente passo, indica tra parentesi a chi/che cosa si riferiscono gli elementi sottolineati. «Il venditore di spugne si era appiattito il più possibile sulla griglia del metrò. Un vecchio mucchio di stracci abbandonati al freddo: era tutto ciò che l’assassino aveva visto di lui ( ), se poi l’aveva visto davvero. E per una volta, quell’atroce trasparenza che tocca in sorte ai paria gli ( ) aveva salvato la pelle. Sgusciò tremando fuori dal sacco a pelo, lo ( ) appallottolò e lo ficcò nella borsa di plastica, sotto il carrello. Si avvicinò alla donna, si chinò su di lei nell’oscurità. La pelliccia era sporca di sangue, … (soggetto sottinteso: ) sembrava una giovane foca sulla banchisa».
Scrittura
13 S crivi una possibile prosecuzione della storia contenente gli elementi chiave del genere giallo: le indagini della polizia, l’interrogatorio del testimone e la soluzione finale del caso.
Esposizione orale
14 Se hai l’occasione di leggere il racconto intero, rispondi a voce alla domanda:
1. Quale caratteristica del protagonista gli permette di aiutare la polizia a risolvere il caso?
Il giallo è una narrazione incentrata su un crimine o un enigma da risolvere: da questo episodio nasce un’indagine che si sviluppa fino alla soluzione finale del caso. Questo tipo di storie normalmente appassiona molto i lettori e le lettrici, che non vedono l’ora di arrivare alla fine per scoprire la verità. Pur avendo origini lontane nel tempo, è un genere che affascina ancora oggi e fa nascere sempre nuove storie.
delitto rapimento
crimine
furto notte
Completa la nuvola con le parole nuove che hai incontrato in questa unità.
colpevole detective
omicidio
giallo
assassino
denuncia
innocente
Romanz i
Maurice Leblanc, Arsenio Lupin contro Herlock Sholmes , Salani 2022
Il ladro gentiluomo per eccellenza e il famoso investigatore nato dalla penna di Arthur Conan Doyle alle prese con una serie di furti a Parigi…
Christopher Pike, Ricordati di me, Mondadori 2018
Shari, la protagonista di questo romanzo, riuscirà a dimostrare che non si è suicidata?
Un’investigatrice e vittima allo stesso tempo… curioso no?
Podcast
Re Noir, RAI radio1 (disponibile su RaiPlay)
Un podcast ideato, scritto e condotto da Stefano Tura: appassionanti interviste a narratori e narratrici di racconti e romanzi gialli per scoprire di più su questo genere letterario.
Ser ie TV - Sherlock Quattro stagioni liberamente ispirate ai numerosi racconti di Arthur Conan Doyle che vedono protagonisti il primo e più famoso detective della storia, Sherlock Holmes, e l’inseparabile aiutante John Watson.
Serie TV - Il commissario Montalbano Un altro investigatore divenuto ormai iconico è il commissario Salvo Montalbano che in una piccola città della Sicilia si trova a risolvere parecchi misteri e molti delitti. La figura di Montalbano nasce dai romanzi di Andrea Camilleri ed è stata per anni magistralmente interpretata dall’attore Luca Zingaretti.
COMPETENZE
• Imparare a gestire correttamente le relazioni
• Collaborare
• Scrivere
• Esercitare le competenze digitali
1 Descrivi in un breve testo il tuo/la tua detective ideale: fanne una descrizione fisica, poi metti in luce i tratti salienti del suo carattere, quindi immagina dove lavora e quali sono i suoi punti di forza. Puoi ispirarti a qualche detective che conosci già oppure inventarne uno.
2 Scrivete un breve racconto giallo a partire da questo incipit: Giovanni andò a letto presto. Quando durante la notte squillò il telefono, capì che qualcuno era morto…
3 Dividete la classe in piccoli gruppi e mettetevi alla prova con questo esercizio di stile: la trasformazione di una fiaba in un giallo, secondo le indicazioni: ogni gruppo sceglie una fiaba su cui lavorare; si lavora su un foglio (anche digitale) condiviso, su cui ciascun membro del gruppo scrive le proprie idee; si scelgono insieme le idee migliori; ognuno scrive una parte della storia ed eventualmente la illustra; ciascun gruppo legge o espone la propria storia al resto della classe.
Le narrazioni di genere – come quelle appartenenti al giallo, all’horror o al noir –sono caratterizzate da elementi ricorrenti e spesso prevedibili, su cui l’Intelligenza Artificiale lavora piuttosto bene, grazie al suo repertorio di frame e schemi. Mettiamo alla prova ChatGPT con la stesura di un racconto giallo, inserendo il seguente prompt :
Scrivi un racconto giallo partendo da questi elementi: una casa in affitto, un commissario di polizia corrotto, una donna seducente.
Leggendo adesso il breve testo prodotto dall’Intelligenza Artificiale, prova a scavare un po’ più a fondo: redigi un profilo fisico, caratteriale e comportamentale dei due personaggi citati, integrandolo nel punto giusto del brano.
Dopo aver terminato il compito di realtà (a proposito, quale racconto è stato più avvincente?), compila il seguente questionario e rifletti sul tuo percorso.
Ho compreso con chiarezza il compito richiesto.
Comprensione del compito
Impostazione del lavoro
Utilizzo delle conoscenze
Svolgimento del compito
Completamento del compito
Collaborazione
Risultati raggiunti
Ho compreso il compito richiesto.
Ho fatto fatica a comprendere il compito.
Ho impostato il lavoro in modo preciso e razionale.
Ho impostato il lavoro senza difficoltà.
Ho fatto fatica ad organizzare il lavoro.
Ho valorizzato pienamente le mie conoscenze.
Ho utilizzato le mie conoscenze.
Ho fatto fatica ad utilizzare le mie conoscenze.
Ho svolto il compito in modo pienamente autonomo.
Ho svolto il compito in modo parzialmente autonomo.
Ho chiesto spiegazioni e aiuti.
Ho completato il compito introducendo elementi innovativi.
Ho completato il compito.
Ho completato il compito solo parzialmente.
Ho collaborato nel gruppo in modo efficace.
Ho collaborato positivamente nel gruppo.
Ho collaborato poco nel gruppo.
Ho raggiunto buoni risultati.
Ho raggiunto risultati adeguati alla richiesta.
Ho raggiunto parzialmente i risultati previsti.
Che cosa hai imparato da questa Unità di Apprendimento?
Come valuti il tuo lavoro?
Quali aspetti dell’attività ti hanno creato maggiori difficoltà?
In che modo ritieni di poter migliorare?