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Piemonte, mirabile opificio

Splendidi opifici ottocenteschi diventati fervidi centri d’arte contemporanea, aziende artigiane legate al territorio conosciute in tutto mondo e strade del gusto che conducono in piccoli borghi medievali rimasti intatti. Il Piemonte è il territorio ideale per scoprire le realtà più produttive del Made in Italy, esempi di tradizione ma anche di modernità.

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Come Biella, dal Settecento capitale del tessile e dal 2019 Città Creativa Unesco nella categoria Crafts & Folk Art. Un capoluogo orgoglioso del suo passato, oggi proiettato verso l’innovazione sostenibile, un lifestyle d’eccellenza e un proficuo rapporto con l’arte. Una vocazione che trova forse la sua sintesi più perfetta nella

Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, uno spazio museale e laboratorio creativo realizzato nell’ex lanificio Trombetta. All’interno della “Fabbrica dell’Oro”, un tempo stabilimento per la produzione orafa, sorge invece il Museo d’Arte Contemporanea Internazionale Senza Tendenze, con la sua ricca collezione di opere e installazioni artistiche.

Birrifici artigianali del Biellese

Se all’origine dello straordinario sviluppo dell’arte tessile biellese c’è l’acqua con la sua forza motrice, si deve ancora una volta a questo elemento il fiorire di numerosi birrifici artigianali. È infatti grazie alla leggerezza dell’acqua alpina di questa zona che in piccoli stabilimenti fedeli alla tradizione viene ancora creato un prodotto dal sapore unico. Uno dei più rappresentativi è il Birrificio Menabrea, fondato nel 1846 e oggi il più antico birrificio d’Italia ancora in attività.

Chi voglia approfondire un pezzo della pregevole storia dell’enogastronomia di questo territorio non può che approdare al MeBo, museo nel cuore di Biella che nasce dalla collaborazione tra Menabrea e Botalla, famosa azienda casearia attiva fin dal dopoguerra. Aperto nell’ottobre dello scorso anno, il MeBo racconta in un unico percorso la storia di questi due gloriosi marchi dalla cui sinergia è nato anche lo Sbirro, un formaggio alla birra dal retrogusto amarognolo luppolato.

Alessandria, la “Borsalino City”

Alessandria è conosciuta come la “Borsalino City”. Qui si produce il Fedora, non un cappello qualsiasi, ma il più famoso e iconico cappello del mondo, indossato da divi del cinema come Humphrey Bogart, Ingrid Bergman e Alain Delon, ma anche da papi e capi di stato. All’origine di questo simbolo del Made in Italy ci sono la creatività e l’ambizione di Giuseppe Borsalino, giovane di umili origini che a 16 anni partì alla volta della Francia intenzionato ad apprendere tutti i segreti della

lavorazione dei cappelli. Nel 1857, quando tornò ad Alessandria con in mano un diploma da cappellaio, aprì con il fratello Lazzaro una piccola bottega. Una realtà locale che crebbe velocemente fino a conquistare le vetrine più chic di tutta Europa e non solo. Oltre allo storico negozio di corso Roma, nel centro cittadino si trovano il Museo del Cappello Borsalino - luogo dove sono conservati i prototipi di tutti i modelli dell’azienda - e la fabbrica, visitabile su prenotazione.

L’oro di Valenza

Prestigiose maison dell’arte orafa come Bulgari e Damiani sono ormai di casa a Valenza. I due brand del lusso hanno infatti trasferito nella piccola città dell’Alessandrino le loro sedi, realizzando dei veri e propri poli produttivi per la creazione di capolavori di alta manifattura e per la formazione dei gioiellieri di domani. D’altronde non potrebbe essere altrimenti per questa realtà dove sin dai tempi più remoti pagliuzze d’oro venivano cercate lungo le rive del fiume Po e dove la lavorazione di questo

metallo prezioso è attestata fin da epoca romana. La vera storia aurea di Valenza ha però inizio nel 1840, quando l’imprenditore Vincenzo Morosetti, avvalendosi di tecniche più raffinate, avvia una produzione orafa di un certo pregio, che cresce e si sviluppa per tutto il Novecento. Oggi il distretto orafo di Valenza conta quasi ottocento imprese impegnate nel creare gioielli di ogni fattura, pezzi unici ed esclusivi che sanno unire la tradizione locale alle ultime tendenze del design internazionale.

Dalla fragola di Tortonaalla zucca di Castellazzo

L’Alessandrino non è solo una terra ricca di città laboriose, borghi pittoreschi e antichi castelli. Un tour in questa zona non può prescindere dall’assaggiare i tanti prodotti della terra, molti dei quali presidio Slow Food, che l’attenta cura per la campagna ha preservato. Qualche esempio? Una piccola area tra la piana di Marengo e le propaggini collinari dell’Appennino è il regno della fragola di Tortona, pregiatissima varietà dal profumo intensissimo e dal sapore dolce e delicato.

Un altro prodotto protagonista della rinomata tradizione gastronomica piemontese è la zucca di Castellazzo Bormida, piccolo borgo dove questa specie trova il suo microclima ideale. A contraddistinguerla è una buccia bitorzoluta verde scuro che contrasta con una polpa giallo-arancio dal sapore dolce, base versatile di pietanze e dessert. E a base di verdure è anche una delle ricette simbolo di Alessandria, i “rabaton”, gnocchetti di verdure e formaggio, il cui nome viene dal verbo “rabatare”, ossia rotolare.

Cuneese, un viaggio tra il bello e il buono

Il Cuneese è la terra di confine tra la Francia e la Liguria che per la sua bellezza conquistò già i Savoia e oggi attrae i visitatori per la sua varietà immensa di stili e testimonianze artistiche. Ma se lasciarsi tentare dal bello è facile, farsi prendere per la gola lo è ancora di più. Ristoranti, trattorie e locande occitane propongono in tutte le stagioni i colori e i sapori di questo straordinario angolo di Piemonte. Le zucche di Piozzo, i funghi, il porro di Cervere, il cavolo di Margarita, le carote e le castagne, l’aglio di Caraglio, lo zafferano e le erbette aromatiche sono gli ingredienti che insaporiscono piatti a base di pasta ripiena, gnocchi, agnel-

lo sambucano presidio Slow Food, lumache - è di Borgo San Dalmazzo l’inconfondibile “Helix pomatia alpina” -, capponi di Morozzo e carne di razza bovina piemontese. Senza dimenticare i prelibati formaggi Dop come il Castelmagno e il Raschera e la ricchissima pasticceria capeggiata dalle deliziose Paste di Meliga, frollini di farina di frumento di cui si dice fosse ghiotto anche Cavour.

I giocattoli di una volta di Prezzemolo

Chi penserebbe che il Mastro Geppetto di Collodi esiste davvero? Si chiama Mario Collino, in arte “Monsieur Persil” o “Prezzemolo”, ed è un instancabile artigiano di giocattoli d’altri tempi, “demore et ‘na vira” come si dice in piemontese. Lunga e folta barba bianca, cappello di feltro e camicia a quadretti, lo si può incontrare facilmente in occasione di sagre ed eventi di Cuneo e provincia, che lui presenzia con energia instancabile - da qui il soprannome di Prezzemolo -, oppure nella sua cascina-laboratorio

di San Mauro, piccola frazione di Busca. Con un semplice coltellino e con materiali poveri come fil di ferro, tappi o bottoni è il prolifico artista di oggetti pieni di fascino: trottole, pupazzi, fischietti, marionette, scatole a sorpresa. Il depositario di una vera e propria arte con cui dimostra che qualsiasi oggetto, con pochi strumenti e un po’ di fantasia, può trasformarsi in un giocattolo. Un giocattolo che diventa momento di meditazione, filastrocca o divertimento, ma soprattutto esempio da poter copiare e riprodurre.

Sampeyre, il borgo delle ricamatrici

È in un piccolo borgo montano della Valle Varaita che le tradizioni variopinte della cultura occitana piemontese si fondono con la storia e il folclore pre-cristiano. Sampeyre, questo il nome, fu abitato fin da tempi antichissimi da Liguri e Galli e dal Quattrocento subì le invasioni di Goti, Franchi e Saraceni. La cacciata di questi ultimi viene rievocata ogni cinque anni da tutti gli abitanti nella suggestiva “Festa della Baìo”: una serie di sfilate che precedono i weekend del

giovedì grasso e che, a dispetto della guerra che ne è all’origine, rappresentano prima di tutto un’occasione per rivivere tradizioni rimaste intatte e ballare al suono di fisarmoniche e violini. Alle donne di Sampeyre, che si tramandano le conoscenze di madre in figlia, spetta il compito di confezionare i preziosissimi costumi e i copricapi adornati con i “bindel”, i tipici nastri di seta ricamata. Che non si conservano, ma vengono scuciti minuziosamente al termine di ogni rievocazione e poi riutilizzati l’edizione successiva. La prossima sarà nel 2022.

Besio 1842, le ceramiche di Mondovì

La splendida città di Mondovì, nel Cuneese, è conosciuta per la produzione delle “Ceramiche del galletto”, un’arte che ebbe la sua età dell’oro nell’Ottocento, quando la manifattura monregalese cominciò a diffondersi su vasta scala, spesso valicando i confini nazionali. Oggi questa tecnica è custodita da Besio 1842, l’unica azienda con marchio

storico che perpetua e si attiene scrupolosamente ai protocolli di produzione di duecento anni fa. In questa realtà artigianale vengono ancora realizzati pezzi unici dipinti a mano, piccole opere d’arte che prendono forma con pennellate di colore vive e brillanti o con l’utilizzo sapiente di spugne intagliate, fondamentali nel realizzare le tipiche bordure

blu cobalto che contraddistinguono la ceramica antica monregalese. I soggetti sono quelli semplici legati alla quotidianità delle cose: galletti beneauguranti, paesaggi rurali o decorazioni floreali. Soggetti che parlano di un mondo del passato in cui ogni famiglia monregalese poteva riconoscersi e che donavano allegria alla tavola.

Piasco, le arpe Victor Salvi

A pochi chilometri da Saluzzo, nel borgo di Piasco, c’è un piccolo stabilimento dove la produzione di arpe è seguita passo passo da mani esperte. È la Salvi Harps e la storia di questa realtà conosciuta in tutto il mondo coincide con quella di Victor Salvi, un italo-americano discendente da una famiglia legata a doppia mandata con l’arpa. Musicista della Philharmonic Orchestra di New York, fu allo stesso tempo un imprenditore con un sogno diventato realtà: quello di realizzare uno strumento che superasse in qualità di suono e manifattura tutti quelli esistenti. Nel 1974 trasferisce la produzione

a Piasco con una scelta che non è affatto casuale. È qui, infatti, che si trovano incisori e intarsiatori del legno di grande valore: il terreno ideale per uno strumento che richiede duecento ore di lavoro e combina quasi 2mila pezzi di meccanica e 130 parti di diversi legni. All’azienda oggi leader mondiale si affiancano la Fondazione e il Museo Victor Salvi, che è il primo museo dedicato all’arpa, ma anche auditorium per concerti e rassegne musicali.

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