Rivista digitale di viaggi, borghi e turismo slow
Anno 3 Numero 28 Edizione gratuita
SPECIALE I BORGHI DELLA BELLEZZA Reggio Calabria:
Barcis,
San Leo,
Sellano,
fascino e mito storia regale
bello di natura roccaforte umbra
Oltreconfine:
Provenza sensoriale
Leggenda:
la cascata delle Marmore
Emilia,
musa d’arte
www.e-borghitravel.com
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Panorama visto da San Leo
® e-borghi travel 28 • 2021 www.e-borghitravel.com Publisher Giusi Spina direzione@3scomunicazione.com Coordinatore editoriale Luciana Francesca Rebonato coordinamento@e-borghi.com Art director Ivan Pisoni grafica@e-borghi.com Segreteria di redazione Simona Poerio segreteria@e-borghi.com Hanno collaborato a questo numero Amina D’Addario, Alessandra Boiardi, Simona P.K. Daviddi, Luca Sartori, Nicoletta Toffano Revisione Bozze Luca Sartori Promozione e Pubblicità 3S Comunicazione – Milano Cosimo Pareschi pareschi@e-borghi.com Redazione Via Achille Grandi 46 20017 Rho (Milano) info@3scomunicazione.com tel. 0292893360 Crediti fotografici: * Shutterstock.com ** Pixabay.com L’uso del nostro sito o della nostra rivista digitale è soggetta ai seguenti termini: Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di www.e-borghitravel.com può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronica, meccanica, fotocopia, registrazione o altro, senza previa autorizzazione scritta da parte di 3S Comunicazione. Nonostante l’accurata verifica delle informazioni contenute in questo numero, la 3S Comunicazione non può accettare responsabilità per errori od omissioni. Le opinioni espresse dai contributori non sono necessariamente quelle di 3S Comunicazione. Salvo diversa indicazione, il copyright del contributo individuale è quello dei contributori. È stato fatto ogni sforzo per rintracciare i titolari di copyright delle immagini, laddove non scattate dai nostri fotografi. Ci scusiamo in anticipo per eventuali omissioni e saremo lieti di inserire l’eventuale specifica in ogni pubblicazione successiva. © 2019 - 2021 e-borghi®
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Marchio di qualità turistico ambientale per l’entroterra del Touring Club Italiano
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eLuciana Francesca Rebonato facebook.com/lfrancesca.rebonato
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dealità e assolutezza della bellezza. A firma di Platone, nel “Simposio”. O la bellezza sensibile e intelligibile, di Plotino. O, ancora, quella di Hume e di Kant, per i quali è «Uno stato soggettivo di percezione del piacere, indipendente dall’esistenza dell’oggetto». Noi di e-borghi travel, però, ci occupiamo di turismo e abbiamo optato per un concetto soft della bellezza, dedicandole lo “Speciale” di questo nuovo numero della rivista. A iniziare da Barcis, in Friuli-Venezia Giulia e in provincia di Pordenone, un respiro di verde e di sentieri tra acqua, rocce e cielo per proseguire con l’Emilia e il territorio tra Parma, Piacenza e Reggio Emilia, arazzo di opportunità sempre diverse e con cinquantadue teatri tra storici e contemporanei. E poi Modena, con il Teatro Comunale Pavarotti-Freni, antico e al contempo all’avanguardia. A poco più di un centinaio di chilometri, la Romagna e San Leo, nel cuore della Val Marecchia e nell’entroterra di Rimini: un gomitolo di case in pietra e, sulla cima della cuspide rocciosa, l’inespugnabile fortezza dalla storia antica. Più a sud, in punta di Stivale, Reggio Calabria e il suo territorio metropolitano: direttrici di viaggio alla scoperta di tradizioni culturali, borghi testimoni del tempo e contrasti naturali: tra abissi e vette, percorsi e sorprendenti esperienze. Incastonato nel cuore della Valnerina è Sellano, con borghi fortificati, castelli e casolari che punteggiano la porzione di Umbria sotto la sua giurisdizione. Uno scrigno di bellezza raccolta e maestosa, mentre diffusa ed estesa è quello della Provenza, oltreconfine. Sensoriale per natura, persistente per piacere, ipnotica per cromie. Bellezza, certo. Fascino, anche. Intrigo, soprattutto. Sticker essenziali sul passaporto per avventure di viaggio e lettura.
Luciana Francesca Rebonato Coordinatore editoriale
Lago di Barcis gianfrancopucher*
Sommario Reggio Calabria
San Leo
Emilia
Teatro comunale di Modena
Sellano
Barcis
Pecorino Romano
Parliamo di...
Oltreconfine: Provenza
La leggenda
In copertina: la locomotiva di Bova Giuseppe Falagario, e-borghi
Alla scoperta della punta dello Stivale
Torre di Bagnara, Costa Viola
Alessandra Boiardi
twitter.com/aleboiardi
Giuseppe Falagario - e-borghi
facebook.com/giuseppe.falagario.16
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iaggiare nel territorio metropolitano di Reggio Calabria è come immergersi nel cuore del Mediterraneo, da sempre crocevia di popoli e di culture. Un’esperienza dalle numerose sfumature, da vivere a contatto con la natura e alla scoperta delle innumerevoli risorse e tradizioni culturali. Per conoscere meglio il suo territorio - l’area comprende 97 comuni, con borghi di grande interesse storico e architettonico – basta partire alla ricerca
di opere eccezionali conosciute in tutto il mondo come i Bronzi di Riace, per poi scoprire le testimonianze della splendida Magna Grecia, dei miti, delle leggende, delle suggestioni millenarie – come Scilla e Cariddi – e di antichissimi riti e tradizioni. Tra mare e montagna qui la natura incontaminata abbraccia il visitatore a 360 gradi, offrendo esperienze slow e adrenaliniche, dal trekking alla mountain bike, dallo snorkeling al diving, dalla vela al kitesurf.
Il balcone di Bova
Guarda ”Alla scoperta della punta dello Stivale”, il video esclusivo di
Area grecanica, fascino senza tempo A
metà strada tra l’Aspromonte e la costa jonica, sembra di essere sospesi nel tempo. E’ qui che si trova l’area grecanica con i suoi suggestivi borghi, che ci raccontano una storia millenaria. La zona è divisa in due grandi aree dalla fiumara dell’Amendolea, un tempo un fiume navigabile dal mare alla montagna, costeggiato da una rete di antichi sentieri oggi battuti dagli amanti del trekking, che possono godere di scenari naturalistici incontaminati e di cultura millenaria. “Capitale” della Calabria grecanica è Bova, la cui fondazione, si narra, sia stata opera della regina greca Oichista, la quale lasciò la sua orma sulla cima della roccia, dove poi sorse il castello normanno. Importante centro economico già nella Magna Grecia e in epoca bizantina, ancora oggi a Bova si possono ammirare diverse sculture del Cinquecento, come la Vergine con Bambino di Bonanno, custodita nella cattedrale di Santa Maria dell’Isodia. A Bova, come negli altri borghi della Bovesia, Pentedattilo, Roghudi, Gallicianò, solo per citarne alcuni, il patrimonio più prezioso da conservare è il greco di Calabria, una koinè unica nel mondo: il grecanico. Nel territorio si svolgono diverse manifestazioni culturali tra cui il Paleariza, festival itinerante di musica e tradizione grecanica e cerimonie di antica memoria come la processione delle Pupazze di Bova e la festa dei Catoi di Palizzi.
La locomotiva in piazza Ferrovieri d’Italia, Bova
Bova
Pentedattilo
Di borgo in borgo S
ono tante le civiltà che hanno lasciato il segno nel territorio della Città metropolitana di Reggio Calabria. Greci, ma anche Romani, Bizantini, Saraceni e Normanni e ancora Angioini e Aragonesi. Le tracce lasciate da ogni passaggio sono ancora evidenti nel patrimonio culturale, così come in quello paesaggistico di questi luoghi che regalano scorci di rara bellezza. Tutto il territorio è caratterizzato dalla presenza di torri per l’avvistamento e da costruzioni fortificate a protezione della popolazione dalle invasioni provenienti dal mare. Tra i tanti, verso lo stretto di Messina, il castello Ruffo di Calabria che domina la baia di Scilla sovrastando l’antico borgo dei pescatori di Chianalea, dove è ancora viva la tradizione della pesca del pesce spada a bordo delle tipiche imbarcazioni chiamate passerelle. Lungo la costa ionica ritroviamo il borgo di Gerace - tra i borghi più belli d’Italia -, che custodisce un cuore medievale tutto da scoprire. E’ detto anche la “città sacra” per le molte chiese,
Fontana della sirena, Chianalea
Scilla
Chianalea
conventi e monasteri racchiusi in un così piccolo centro. Proseguendo lungo la costa jonica, si raggiunge l’antico borgo di Stilo che offre panorami mozzafiato, custodisce un duomo di origine me-
dievale, esempio di stile Barocco, e una delle più importanti testimonianze dell’architettura bizantina: la cattolica di Stilo, piccola chiesa candidata a diventare Patrimonio Unesco.
Scilla
Castello di Gerace
Interno della chiesa di San Francesco d’Assisi a Gerace
Gerace
Stilo
Cattolica di Stilo
Aspromonte, sui sentieri della biodiversità R
acchiuso tra due mari, il Tirreno e lo Jonio, l’Aspromonte regala paesaggi incredibili e un prezioso patrimonio naturale. Distese di boschi, corsi d’acqua, natura selvaggia e rocce dalle forme suggestive danno vita a un territorio di stra-
Pietra Cappa e Rocche di San Pietro
ordinaria ricchezza e varietà, che per le sue unicità è stato riconosciuto geoparco Unesco. E’ un vero paradiso di biodiversità, che conserva 1.500 specie floristiche e una grande ricchezza faunistica da scoprire in tutte le stagioni dell’anno.
Nel Parco Nazionale dell’Aspromonte si trovano anche circa dieci chilometri di piste da sci, che in inverno regalano l’emozione unica di sciare ammirando sullo sfondo il mare dello Stretto di Messina, l’Etna e le Isole Eolie. Tutte da scoprire sono anche le tradizioni delle comunità montane di questi luoghi, come, tra le più celebri, la festa della Madonna di Polsi, un cammino spirituale che attira migliaia di pellegrini sin dai tempi della Magna Grecia.
Cascate dell’Amendolea
Un panorama dell’Aspromonte
Tutti i colori del mare F
avolosi litorali, lunghe spiagge dove nidifica la tartaruga marina “caretta caretta”, fondali ricchi di biodiversità - dalle gorgonie bicolori dello Stretto alle colonie di cavallucci marini - ed esperienze uniche, come una visita al parco archeologico subacqueo dell’antica Kaulon. Il mare della punta dello Stivale è tutto questo e molto altro. La costa jonica attira ogni anno moltissimi turisti per
Scilla Tartaruga caretta caretta
Costa Viola
la bellezza della costa dei Gelsomini, con le sue spiagge e il mare cristallino e alle spalle l’entroterra aspromontano. Il versante opposto, quello tirrenico, con l’azzurro intenso delle sue acque, regala spiagge bianche e dorate che si alternano
Mar Tirreno
a scogliere, un tempo luoghi di conquista e oggi centri turistici di grande attrattività come Scilla, Bagnara Calabra e Palmi sulla costa Viola, nome evocato dai suggestivi riflessi purpurei che qui ha il mare al tramonto.
Una grotta lungo la costa Viola
L’antica Kaulon
Roccella Ionica con il palazzo Carafa sulla rocca
Duomo di Reggio Calabria
Le meraviglie di Reggio Calabria U
na visita a questo territorio non può prescindere da Reggio Calabria, città mediterranea dal grande fascino e meta turistica sempre più apprezzata. Qui si celano infatti itinerari da seguire per ammirare meravigliose opere artistiche e architettoniche, nel fascino di un centro di mare dai profumi e dai colori intensi. Si può passeggiare sul lungomare Falcomatà, definito da D’Annunzio “il più bel chilometro d’Italia”, ulteriormente impreziosito dalla presenza di un pregevole orto botanico e di opere di arte contemporanea. I luoghi più suggestivi sono raggiungibili attraverso le vie del centro storico: dal Museo Archeologico per-
Monumento ai caduti
correndo corso Garibaldi - considerato il salotto cittadino - si raggiunge in breve tempo piazza Italia, che ospita alcuni dei più bei palazzi della polis, sedi delle principali istituzioni reggine, oltre a un sito di notevole interesse archeologico e storico che ha riportato alla luce strati di edificazione urbana. Poco distante sorge il castello Aragonese, uno dei simboli più famosi della città, che oggi ospita eventi e manifestazioni. Infine, immancabile, è anche una visita a piazza Duomo, dove si trova l’imponente cattedrale nelle cui adiacenze è possibile ammirare le bellezze custodite nel Museo Diocesano.
Opera di Edoardo Tresoldi
Castello Aragonese
Uno degli alberi secolari lungo via Marina, Reggio Calabria
I cinquant’ anni dei Bronzi di Riace al MArRC N
el 2022 cadrà un’importante ricorrenza: il cinquantesimo anniversario dal ritrovamento dei Bronzi di Riace. Queste preziose statue, considerate tra le più significative testimonianze dell’arte greca classica, furono infatti ritrovate sul fondo del Mar Jonio nel 1972. Oggi si possono ammirare al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, dove l’anniversario si celebrerà con una serie di eventi in sinergia con tutta la città. Una visita al MArRC è un vero e proprio viaggio attraverso i secoli: il museo si sviluppa su quattro piani espositivi e accompagna il visitatore dalla Preistoria fino alla Magna Grecia per concludersi con la storia di Reggio. Tutto il sottosuolo del MArRC ospita la necropoli dell’antica Rhegion.
Durante i lavori di scavo vennero alla luce numerose tombe del periodo ellenistico. Si tratta di circa cento tombe di diverse tipologie e l’area della necropoli si estendeva anche sotto la vicina piazza De Nava. Una parte di queste è oggi visitabile nei sotterranei del Museo. Il MArRC è anche custode della più importante collezione di bronzi greci del V secolo a.C., il periodo classico, e oltre ai Bronzi di Riace conserva La testa di Basilea e La testa del Filosofo rinvenute nelle acque vicino a Villa San Giovanni.
A tavola tra mare e montagna L’
Risotto al bergamotto e tartufi anistidesign*
Stocco (stoccafisso)
unicità del territorio reggino si apprezza anche a tavola. Fra i prodotti più straordinari di questi luoghi c’è il bergamotto, profumatissimo agrume dalle straordinarie proprietà e dall’inconfondibile colore verde-giallo. “Le sue origini in terra reggina risalgono al Trecento, è ottimo consumato da solo, oggi
apprezzato anche dalla cucina internazionale, in pasticceria e in abbinamento a risotti e pesce, oltre che nella filiera cosmetica.” Altro simbolo della produzione enogastronomica reggina è l’annona, un frutto esotico che regala una polpa morbida e aromatica, si mangia come un gelato ed è utilizzato con maestria soprattutto nella pasticceria. Ci sono, infine, tutti i piatti della tradizione, con gli ingredienti che un tempo erano considerati poveri, oggi preziosi custodi di gusti intramontabili che un territorio unico tra mare e montagna ancora produce: olive e olio d’oliva, carni di capra, cinghiale e maiale, salumi così come alici, sarde, pesce spada per finire in dolcezza con il gelato.
Tè al bergamotto Natalia Bochkareva*
Stocco in umido di Mammola
Un progetto per il territorio: “Reggio Calabria Welcome” “R
eggio Calabria Welcome” è il progetto della Camera di Commercio - condiviso da un ampio partenariato pubblico - per il turismo “Activity, outdoor e sportivo” e per il turismo “Heritage”. «Lo abbiamo pensato per far conoscere il ricco patrimonio naturalistico e le numerose testimonianze storiche e culturali da vivere nel territorio della Città metropolitana di Reggio Calabria», ci racconta Antonino Tramontana, Presidente della Camera di Commercio – Tutto il percorso, avviato nel 2019, è stato concepito per valorizzare un’offerta turistica organizzata, creando sinergia e collaborazione tra gli attori della filiera al fine di garantire alti standard di qualità dei servizi turistici, definiti da specifici disciplinari. Siamo convinti che la qualità sia una leva strategica per la competitività della nostra offerta territoriale. Il progetto ha previsto la costituzione di un’associazione tra operatori privati – a oggi 39 - e la promozione di una partnership pubblica che condivide gli obiettivi del progetto. Immersioni lungo la costa Ionica
Lungo i vicoli di Scilla
Parco Archeologico Nazionale di Locri Epizeferi
Al momento sono 17 i partner istituzionali impegnati a facilitare la collaborazione tra tutti gli attori della filiera turistica, a valorizzare il patrimonio turistico e favorire la costruzione di un’offerta turistica integrata garantendo la fruibilità di percorsi e itinerari». Conclude Antonino Tramontana «Grazie alla rete tra operatori del progetto Reggio Calabria Welcome, il visitatore potrà ricevere un’assistenza completa: dalle informazioni sul territorio, alla prenotazione di visite con guide qualificate, alla realizzazione di escursioni in piena sicurezza e potendo godere di più esperienze anche nella stessa giornata. Pensate per qualsiasi partecipante, dal principiante al più esperto: ognuno potrà realizzare un’esperienza di viaggio unica e irripetibile. Abbiamo anche avviato pagine Facebook ed Instagram dedicate al progetto così come è operativo il sito reggiocalabriawelcome.com, per mettere a disposizione informazioni aggiornate sul territorio e sull’offerta “Reggio Calabria Welcome».
Ceramiche di Seminara
si ringrazia • Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria Concessione Ministero della Cultura n. 31 del 05/08/2021 • Direzione Regionale Musei Calabria Concessione dell’11/08/2021 • Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte
Tramonto sul lungomare di Reggio Calabria
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situato nel suggestivo borgo aspromontano di Cardeto, dalla caratteristica struttura a gradinata, il ristorante “Il Tipico Calabrese”. Sulle montagne del Parco dell’Aspromonte, a pochi chilometri dallo splendido Mar Ionio, sorge il locale di Marcello Manti, raggiungibile dopo un tortuoso ma suggestivo percorso immerso nel tipico paesaggio di questo estremo lembo meridionale della Calabria. Il locale si presenta come una caratteristica osteria-museo certificata con pietre a vista, arricchita da stampe e oggetti che raccontano le tradizioni e
la vita della civiltà rurale dell’area dell’Aspromonte. Eccellente il livello della ristorazione, anche dovuto all’utilizzo in cucina di materie prime del territorio di pregevole qualità, trasformate in piatti semplici e genuini, di ottima fattura. Altra caratteristica del locale è l’assenza di menù scritto: le pietanze, infatti, vengono descritte e raccontate a seconda della disponibilità giornaliera di carni, verdure dell’orto e altri ingredienti. Quello che si fa a “Il Tipico Calabrese” è un viaggio esperienziale tra sapori d’altri tempi interpretati in modo unico.
Eccellenza aspromontana
Luca Sartori
Valentino Santagati suona a Il Tipico Calabrese
Sapori antichi
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una cucina semplice ma ricca di sfumature, dai sapori decisi e dai profumi intensi, quella che “Il Tipico Calabrese” propone ai suoi ospiti. Una volta seduti a tavola si parte per un viaggio nella tradizione e nelle straordinarie emozioni che i prodotti di questa terra sanno regalare a chi vuole immergersi nella realtà locale, nella storia e nelle tradizioni di questa terra talvolta aspra ma profondamente vera. Un ottimo inizio a tavola non può che essere accompagnato da un variegato antipasto rustico, che include salumi locali, formaggi freschi e stagionati, sottoli e sot-
Gambuni affumicato
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taceti fatti in casa e frittate preparate con le erbe di stagione. Il pasto può poi proseguire con un bel piatto di maccheroni con ricotta affumicata e ragù di maiale, oppure con la pasta fresca preparata con il guanciale, oppure con il ragù di agnello o con le verdure. Ottime anche le zuppe di legumi, arricchite con erbe spontanee. Imperdibile un assaggio, tra i secondi, del tradizionale capocollo, dello stufato di salsicce e patate o lo stinco di maiale affumicato con finocchietto selvatico, il tutto da accompagnare con i migliori vini locali. Gran finale con gli ottimi dolci della casa.
San Leo, bellezza storica
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nespugnabile, minaccioso, affascinante, misterioso: gli aggettivi per definire San Leo sono molteplici, tanti quante sono le prospettive dalle quali lo scenografico – e bellissimo – borgo ammicca al visitatore, fin dal suo primo apparire, all’orizzonte, somigliante quasi a una nave immersa nel verde della florida natura circostante. Siamo in Romagna, nell’entroterra riminese e nel cuore della Val Marecchia e l’inconfondibile sperone roccioso sul quale si erge San Leo troneggia a 583 metri sul
livello del mare, consentendo allo sguardo di raggiungere l’azzurro Adriatico, ma anche la più vicina Repubblica di San Marino. Scavata nella roccia è anche l’unica strada che consente l’accesso all’abitato – l’intero masso roccioso è a tutt’oggi assolutamente inespugnabile –, le cui case in pietra sono raccolte a gomitolo ai piedi della salita che conduce all’imponente forte, strategico punto di difesa risalente al VI secolo, quando il territorio era teatro delle guerre tra bizantini e goti.
Simona PK Daviddi
facebook.com/simona.pk.daviddi
Storia millenaria
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e radici di San Leo si perdono nella notte dei tempi e il suo territorio narra di storie, battaglie, eventi leggendari e “visite illustri” che si sono succedute nei secoli. A iniziare dal nome stesso, o meglio, dai nomi che ha assunto il borgo: quello attuale, infatti, racconta di quando san Leone, nel III-IV secolo d.C., giunse da queste parti e iniziò a diffondervi la dottrina cristiana mentre il nome originario, Montefeltro, narra di quando l’agglomerato era la capitale della fiorente contea di Montefeltro, rivestendo addirittura il ruolo di Capitale del Regno Italico dal 962 al 964, nominato da re Berengario II, che si rifugiò nella fortezza per resistere all’assedio di Ottone I, imperatore del Regno Germanico. Non solo: l’etimologia, rimanda direttamente a Mons Feretrus e quindi all’Impero Romano, che qui consacrò un tempio a Giove Feretrio. Ça va san dire che ebbe origine qui anche la signoria dei duchi di Montefeltro, che ricopriranno un ruolo da veri protagonisti per lo sviluppo delle arti e della cultura durante il Rinascimento, distinguendosi come mecenati illuminati e ospitando presso la loro corte – nel frattempo trasferitasi a Urbino – letterati e artisti provenienti da ogni dove. La rocca di San Leo Eigenes Werk (CC-BY-SA-3.0)
San Leo Stephen (CC-BY-SA-3.0)
“Ospiti” illustri
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on solo battaglie e assedi: San Leo ha visto anche la presenza di grandi personaggi della storia, come san Francesco, che proprio qui ricevette in dono il Monte della Verna dal conte Orlando di Chiusi – siamo nel 1213 e la stanza dove avvenne l’incontro tra i due uomini è ancora visibile –; o come il sommo Dante Alighieri (nel 1306), che lo cita addirittura nella Divina Commedia e precisamente nel IV canto del Purgatorio: “Vassi in Sanleo e discendesi in Noli…” alludendo all’impervia salita che conduce al
La cella di Cagliostro Carlo Grifone (CC-BY-SA-4.0)
Gianni Careddu (CC-BY-SA-4.0)
tro ai Della Rovere e ai De’ Medici, fino al 1631, quando il Ducato di Urbino cedette il forte allo Stato Pontificio, che ne fece una prigione, dove terminarono i propri giorni, tra gli altri, Giuseppe Balsamo, alias Cagliostro (nel 1795) e il patriota risorgimentale Felice Orsini (1844).
borgo. Anche il Bembo “passò da queste parti” e lasciò una sua, memorabile, definizione della roccaforte: “fortissimo propugnacolo e mirabile arnese di guerra”. Illustri anche le famiglie che hanno annoverato San Leo tra i propri possedimenti, sconfiggendosi tra loro durante il lungo periodo delle signorie e dei ducati: dai Malatesta ai Borgia – Cesare Borgia in persona si impadronì della fortezza nel 1502 – dai già citati Montefel-
Gianni Careddu (CC-BY-SA-4.0)
Porta di Sopra Gianni Careddu (CC-BY-SA-4.0)
Scrigno di tesori
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l’intero agglomerato di San Leo a essersi guadagnato, oltre alla Bandiera Arancione del Touring e al novero tra i Borghi più belli d’Italia, la “nomina” di Umberto Eco a “città più bella d’Italia”. E in effetti, oltre all’imponente forte, il borgo me-
rita una passeggiata tra le sue stradine per ammirare altri pregevoli tesori, a iniziare da quelli che prospettano nella centrale piazza Dante: la pieve romanica di santa Maria Assunta – il più antico edificio religioso non solo di San Leo, ma di tutto il
Montefeltro, che la leggenda vuole costruita dallo stesso san Leone –; il rinascimentale Palazzo Mediceo, la residenza dei conti Severini-Nardini (che ospitò san Francesco), l’elegante palazzo Della Rovere, che incorniciano quasi a corona una splendida fontana classica, centro simbolico di San Leo.
Ad appena una manciata di passi, meritano una visita anche la torre Civica – quadrata fuori ma circolare dentro, che svetta altissima sulle case – e il maestoso duomo romanico-lombardo di san Leone, edificato nel 1173 su un edificio religioso risalente al IX secolo.
Eventi, eventi, eventi
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na storia così densa di accadimenti, in un borgo tra i più scenografici della Penisola, posto nella regione che ha fatto del bien vivre uno stile di vita, non poteva che dar vita a un calendario ricchissimo di eventi, che scandiscono l’avvicendarsi dei mesi. Dal 2 al 24 luglio, per esempio, si è svolto il “San Leo Festival”, che ha proposto al pubblico un nutrito programma di concerti, master class e seminari, oltre al Campus Nazionale dei Licei Musicali (sanleofestival.it). La musica è stata poi ancora protagonista delle
serate leontine di luglio e agosto con i concerti di “Andrà tutto in Musica”. A fine agosto, invece, è stata protagonista la vicenda di Cagliostro (morto il 26 agosto nella roccaforte) con “Alchimie Alchimie”, con giochi pirotecnici che hanno illuminato il cielo del Montefeltro. E poi, anco-
ra, iniziative dedicate a Dante Alighieri e incontri sportivi legati alle più diverse discipline, fino ad arrivare all’autunno, quando sotto i riflettori sono gli eventi gastronomici, un’occasione perfetta per visitare San Leo e assaggiare le tipicità culinarie locali (san-leo.it).
Tulumnes (CC-BY-SA-4.0)
Turismo? Esperienziale!
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e fin qui vi abbiamo raccontato la storia e il passato di San Leo, ora vi narriamo il futuro, che vede il bellissimo borgo all’avanguardia nella differenziazione della propria offerta per soddisfare i gusti dei viaggiatori di oggi, alla ricerche di esperienze uniche, autentiche e personalizzate. Oltre al turismo slow, dunque, sarà “undertourism”
la parola-chiave dei prossimi anni, che vedrà viaggi e vacanze alla scoperta di destinazioni insolite, fuori dalle mete classiche del turismo di massa, a contatto con la popolazione locale e rispettose dell’ambiente: San Leo non solo ha tutte le carte in regola per rispondere alle nuove esigenze turistiche, ma sta anche valorizzando quelle risorse
che gli consentono di diventare meta perfetta per gli amanti della natura, per i bike-tourist che scelgono itinerari percorribili sulle due ruote, ma anche per chi ama i cammini e per chi vuole legare
la vacanza ai sapori dell’enogastronomia locale. Il tutto immersi in un piccolo scrigno ricchissimo di opere architettoniche di fascino e ammantato di storia che ha il gusto della leggenda.
Assaggi imperdibili
E
a proposito di enogastronomia locale, anche in questo caso San Leo cala i suoi, golosissimi, assi – e non potrebbe essere altrimenti: non dimentichiamoci che siamo tra Emilia-Romagna e Marche! –. La pasta fresca è la protagonista indiscussa dei menu di ristoranti e trattorie, declinata in infinite varianti, – dai tortelli ai ravioli, alle tagliatelle – accompagnate da altrettanti infiniti condimenti – ragù di carne e cacciagione i più classici –, ma il piatto-simbolo della tradizione locale sono i tortelli ripieni con bietole e ricotta, gustosi e de-
licati al contempo. Tra i secondi, il coniglio con il finocchietto selvatico ha il posto d’onore, a cui si può far seguire un assaggio di formaggio alle foglie di noce, magari “addolcito” dal miele di San Leo, per terminare poi con un po’ di spianata dolce.
Con tutte queste proposte allettanti, la tentazione di sceglierle tutte c’è: nessun problema, per non sentirsi appesantiti, basterà terminare il pasto con un bicchierino di Balsamo di Cagliostro, portentoso digestivo alle erbe spontanee.
San Leo
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COMUNE DI SAN LEO
Rimini
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BOLOGNA
Rimini, Emilia-Romagna Abitanti: 2.972 Altitudine: 589 m s.l.m. Superficie: 53,14 km² Santo Patrono: san Leone - 1/8
Amina D’Addario
facebook.com/amina.daddario
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iccoli, a volte minuscoli. Oppure maestosi e con palchi degni di un re. Nelle grandi città, dove l’amore per la musica e per il teatro ha avuto sempre un posto d’onore. Oppure nei borghi di provincia, dove oggi come ieri si continua a promuovere e sperimentare arte. Il territorio tra Parma, Piacenza e Reggio Emilia - la terra dello slow mix dove cultura, natura ed enogastronomia si fondono regalando esperienze di vacanze sempre diverse - può vantare ben 52 teatri tra storici e contemporanei. Ci sono i palcoscenici famosi come il Teatro Regio di Parma, tempio della lirica
italiana, o il Teatro Municipale di Piacenza, definito da Stendhal il più bel teatro d’Italia. Ma ci sono anche i gioielli meno noti come il Teatrino del castello di Vigoleno o il Teatro Herberia di Rubiera, animato dall’associazione La Corte Ospitale. Luoghi dove risuona la musica di Verdi e di Toscanini. Dove si danza, si ascoltano concerti o spettacoli di prosa. Universi segreti da scoprire non solo durante gli appuntamenti in cartellone, ma anche attraverso le visite guidate. Occasioni uniche per entrare in relazione con questi spazi e guardarli da una prospettiva inedita. Che lo spettacolo abbia inizio.
Teatro Regio, Parma Roberto Ricci
Parma, dove la lirica è di casa P
arma è conosciuta per la sua atmosfera raffinata, per l’eleganza dei suoi monumenti, per il buon cibo e per la musica. Una petite capitale - quest’anno anche della cultura -, che ha dato i natali ad Arturo Toscanini e dove la musica di Giuseppe Verdi è di casa. Perché, allora, non partire dal neoclassico Teatro Regio, che ospita la stagione lirica e il Festival Verdi? Un luogo vivo, da apprezzare anche nei tour guidati che accompagnano i curiosi nel foyer e dentro la maestosa sala dominata dall’enorme astrolampo. Altro capolavoro di cui la città va giustamente fiera è il Teatro Farnese, gioiello ligneo del XVII secoAida atto I Festival Verdi 2019
Teatro Regio Delfino
Teatro Farnese Cosimo Filippini
lo costruito all’interno del Complesso monumentale della Pilotta, sede di prestigiose raccolte d’arte e centro culturale e scientifico di grande rilevanza. Ma Parma, non bisogna mai dimenticarlo, è anche Città
L’Astrolampo del Teatro Regio Roberto Ricci
Creativa Unesco per la Gastronomia, un titolo conquistato grazie a delizie conosciute in tutto il mondo come il Prosciutto di Parma, il Culatello di Zibello e il Parmigiano Reggiano.
Teatro Farnese, sottogradinata est Teatro Farnese
Teatro Regio, Sala del Ridotto Roberto Ricci
Teatro Giuseppe Verdi
Busseto, sulle tracce di Giuseppe Verdi T
utto a Busseto ruota intorno a Giuseppe Verdi. Questo borgo della Bassa parmense ha infatti dato i natali al Maestro, che nacque in un’umile casa di campagna, oggi museo in località Le Roncole. Ma la personalità di questo artista è celebrata in ogni angolo, da Villa Pallavicino, sede del Museo nazionale Giuseppe Verdi, al Museo verdiano di casa Barezzi. È però nella rocca duecentesca che si trova il Teatro Giuseppe Verdi, curiosamente mai frequentato dalla personalità cui rendeva omaggio. Il Maestro lo riteneva “di troppa spesa” e all’inaugurazione, benché
Rocca Pallavicino, Busseto IL MORUZ
avesse donato una cospicua somma per la costruzione, non vi mise piede. Ma oltre che per la figura di Verdi, Busseto riluce anche per la cultura enogastronomica. Tra le tante delizie, va segnalata la Spongata, torta a base di pane abbrustolito, amaretti e noci, documentata fin dal Trecento. Un viaggio nei sapori che suggeriamo di arricchire con la visita al Museo del Culatello, a Polesine Parmense. Ai cultori di Verdi non resta invece che fermarsi a Villa Sant’Agata, nel borgo di Villanova sull’Arda, dove il compositore abitò per cinquant’anni.
Ingresso del Teatro Giuseppe Verdi IL MORUZ
Teatro Giuseppe Verdi
Teatro Giuseppe Verdi
Teatro Municipale di Piacenza Paolo Righi, Meridiana Immagini
Piacenza, una lunga tradizione teatrale L’ amore per il palcoscenico ha segnato nel profondo anche la storia di Piacenza, ricca di teatri e spazi adibiti alla recitazione. Per approfondire questo aspetto, si può partire dal Teatro Municipale celebrato da Stendhal. Impossibile non rimanere colpiti dall’atmosfera romantica della sala, dai velluti rossi e dagli stucchi dorati dei palchi. E che dire del Teatro dei Filodrammatici con la sua deliziosa facciata in stile Liberty? Fu inaugurato nel 1908 nella chiesa di Santa Franca, dopo una conversione che non ne alterò la struttura, ma la fuse in maniera armoniosa con la nuova funzione “profana”. Simile destino quello del Teatro Gioia: da chiesa intitolata al Sacro Cuore e casa dei Gesuiti, diventò Teatro Romagnosi nell’Ottocento, per essere poi smantellato e tornare teatro nel 1992.
Teatro dei Filodrammatici Francesca Bocchia
Teatro Gioia
Teatro Gioia
Ma come tutti i centri dell’Emilia, anche Piacenza lini. Dai tortelli con la coda ai salumi piacentini: la è una meta gastronomica d’eccellenza, e vale la coppa, la pancetta e il salame. C’è solo l’imbarazzo pena di approfittarne. Dai pisarei e fasò agli ano- della scelta.
Teatro San Matteo Francesca Bocchia
Teatro Municipale di Piacenza Francesca Bocchia
Teatro Serra di Parco Raggio Francesca Bocchia
Pontenure e Vigoleno, teatri in miniatura È vero, non è solo la grandiosità a suscitare ammirazione, almeno non sempre. Se nei capoluoghi dell’Emilia i teatri assunsero dimensioni considerevoli, nei borghi i luoghi deputati alla
Teatrino di Vigoleno
recitazione si insediarono fin nelle residenze dei privati, dando vita a palcoscenici “bomboniera” dove la performance teatrale diventava un’esperienza più intima. Uno degli esempi più curiosi è il
Teatro Serra di Parco Raggio a Pontenure, appena dieci chilometri a sud di Piacenza. Ideato alla fine dell’Ottocento all’interno di “Villa Fortunata”, oggi è un luogo di spettacolo unico, a metà strada tra spazio scenico e orto botanico. Fuori dall’ordinario è anche l’esperienza che regala il Teatrino del castello di Vigoleno, borgo incantato del comune di Vernasca, da cui raggiungere facilmente le terme di Salsomaggiore e di Tabiano. Ma cosa rende il teatro di Vigoleno così speciale? Non solo la platea, che conta appena 12 posti, ma anche le decorazioni esotiche ed enigmatiche che l’artista russo Alexandre Jacovleff realizzò durante gli anni Venti del secolo scorso.
Teatrino di Vigoleno
Teatrino di Vigoleno
Teatro Serra di Parco Raggio Francesca Bocchia
Reggio Emilia: connubio tra teatro, arte e gastronomia L ambrusco, Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia e poi tortelli verdi e di zucca, cappelletti in brodo, erbazzone e gnocco fritto. Reggio Emilia è conosciuta per la sua ottima cucina, che attira buongustai da tutto il mondo.
Ma la città è anche uno scrigno di tesori storici e artistici che difficilmente deludono il visitatore. Tra questi spicca il Teatro Municipale Romolo Valli. Maestoso, opulento, grandioso, questo edificio è la traduzione in realtà della passione non
Teatro Romolo Valli
Teatro Comunale Bonifazio Asioli
comune dei reggiani per le rappresentazioni teatrali. Inaugurato nel 1857, si presenta con uno stupendo porticato dominato da un cornicione decorato con 14 statue. Più travagliata, invece, la vicenda di un altro monumento simbolo del territorio reggiano: il Teatro Comunale Bonifazio Asioli di Correggio. Oggi è uno dei centri di cultura più effervescenti della città, ma durante la sua storia, iniziata nel 1852, dovette resistere a incendi, progetti di demolizione, chiusure e persino un terremoto, quello del 1996. Nulla, però, è mai riuscito a fermarlo.
Teatro Comunale Bonifazio Asioli
Teatro Romolo Valli Alfredo Anceschi
Teatro Romolo Valli Superstudio
Teatro Ruggero Ruggeri, Guastalla
Nei dintorni di Reggio, territorio ad alta densità d’arte Q
uando si parla di teatri storici anche il territorio attorno a Reggio Emilia gioca ad armi pari con le altre province. Novellara, borgo dei Gonzaga, vanta ad esempio il Teatro Comunale Franco Tagliavini, riproduzione in miniatura del Municipale di Reggio. Uno dei più antichi d’Italia è invece il Teatro Ruggero Ruggeri di Guastalla, borgo che non mancherà di stupire anche per la meravigliosa piazza Mazzini. A Gualtieri, uno dei Borghi più belli d’Italia, risplende invece l’espe-
Teatro Sociale di Gualtieri Francesca Bocchia
Teatro Comunale di Rio Saliceto Francesca Bocchia
rienza “rovesciata” del Teatro Sociale di Gualtieri, con la platea usata come palcoscenico e l’ex spazio scenico ad accogliere gli spettatori. Degno di nota anche il Teatro Comunale di Rio Saliceto: fuori normale abitazione, dentro luogo affascinante per la commistione di stili. E che dire, infine, del Teatro Sociale di Luzzara? Inaugurato nel 1852, è stato negli anni sala da ballo, cinematografo e perfino autorimessa. Poi nel 2018 la rinascita e la decisione di intitolarlo a Danilo Donati, costumista, scenografo, artista poliedrico, luzzarese d’origine e premio Oscar. Teatro Comunale Franco Tagliavini, Novellara
Teatro Sociale di Luzzara Fotograficamente
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Nabucco al Teatro Regio, Parma Festival Verdi 2019
Via 4 Novembre, 37 04017 San Felice Circeo LT Mobile: + 39 347 4582072 Tel./Fax: +39 0773 429989 info@bebilecci.it www.bebilecci.it
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Lirica contemporanea Amina D’Addario
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legante e neoclassico all’esterno, sfarzoso e barocco al suo interno. Antico ma allo stesso tempo all’avanguardia. Nel centro di Modena, in corso Canalgrande, si erge uno dei teatri lirici più apprezzati d’Italia. È il famoso Teatro Comunale Pavarotti-Freni, dal 2007
intitolato a Luciano Pavarotti e da oggi consacrato a un’altra stella modenese del Belcanto: Mirella Freni, che nel 1955, ad appena 19 anni, debuttò proprio sul palcoscenico del Comunale. Un teatro da sempre legato alla grande tradizione della lirica e del balletto, che
negli anni ha saputo, però, aprirsi anche alle tendenze musicali più alternative, convogliando attività di grande interesse come ad esempio l’“Altro Suono Festival”, evento dedicato alle sonorità contemporanee, o “Musica su misura”, rassegna di teatro dedicata ai ragazzi. È
anche grazie a queste commistioni che questo teatro è ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile nel panorama culturale cittadino, e non solo. Un luogo di incontro e di riflessione, nel quale dialogano in armonia tradizione e innovazione.
La storia del teatro
L’
idea di edificare un teatro cittadino dedicato alla lirica risale agli anni Trenta del XIX secolo. I modenesi si rendono allora conto che l’antica sala seicentesca di via Emilia, ormai malandata, non è
più in grado di ospitare rappresentazioni all’altezza di una città che ha sempre più fame di musica e di cultura. Così nel 1838 una delibera della Comunità di Modena dà il via libera ai lavori, che ven-
Statua di Pavarotti Rolando Paolo Guerzoni
gono affidati all’architetto Francesco Vandelli, a quell’epoca al servizio del duca Francesco IV d’Austria-Este. E in soli tre anni prende forma quello che all’inizio viene chiamato il Nuovo Teatro dell’Illustrissima Comunità: un edificio neoclassico a nove arcate sulla cui sommità si staglia un gruppo scul-
toreo raffigurante “Il Genio di Modena” dell’artista Luigi Righi. L’inaugurazione ha luogo la sera del 2 ottobre del 1841, quando viene rappresentata l’opera Adelaide di Borgogna al castello di Canossa, composta per l’occasione dal musicista modenese Alessandro Gandini.
Palchi
Portico del teatro
Magnifiche maestranze
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a è all’interno del teatro che gli spettatori possono apprezzare sia il pregio dell’architettura, che la sua eccellenza acustica, frutto dell’estro degli artisti e degli artigiani locali che contribuirono alla sua realizzazione. Una platea di forma ellittica ospita circa 350 posti a sedere, mentre 120 palchi suddivisi in cinque ordini la abbracciano elevandosi fino al grande soffitto a volta ornato con il magnifico lampadario a energia elettrica installato nel 1887. I restauri degli ultimi anni hanno permesso di riportare all’antico splendore le decorazioni e gli arredi del teatro, ma anche di rinno-
varne gli impianti e l’apparato tecnico. Grazie agli interventi si è così riusciti a preservare e consolidare il magnifico sipario dell’artista modenese Adeodato Malatesta: un telero di duecento metri qua-
dri, che è un omaggio al mecenatismo della corte estense. Rinnovati anche gli impianti tecnologici della struttura del palcoscenico, che con i ballatoi, le passerelle e il graticcio è ancora quella originale.
Le celebrità sul palcoscenico
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a Giuseppe Verdi a Ottorino Respighi. Da Beniamino Gigli a Renata Tebaldi. Da Luciano Pavarotti a Mirella Freni. È quasi infinito l’elenco di artisti che in oltre 180 anni di storia si sono avvicen-
dati sul palco del Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena. Nel 1843 è stata la volta di Giuseppe Verdi, che scelse di presentarsi al pubblico della città emiliana con il Nabucodonosor. Tre anni più
Rolando Paolo Guerzoni
tardi l’emiciclo del teatro ha invece ospitato non una celebrità del Belcanto, ma una rissa furibonda tra liberali e militari austriaci sorta al termine di una rappresentazione de I masnadieri del maestro di Busseto. Nel 1955 Mirella Freni, lo si accennava all’inizio, diede avvio alla sua sfolgorante carriera vestendo i panni di Micaela nella Carmen di Bizet.
E in questo teatro, dove aveva coltivato il suo talento e che aveva sempre considerato come la sua casa artistica, era tornata ad esibirsi volentieri anche in seguito. Come del resto aveva fatto Luciano Pavarotti, che anche da star di fama mondiale aveva continuato ad avere con il Comunale di Modena un rapporto d’elezione.
Palchi del Teatro dell’Opera di Modena
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OTTOBRE TEATRO DICEMBRE COMUNALE 2021 PAVAROTTI-FRENI
8 OTTOBRE ORE 18 E ORE 21
Cantata d’autore
per voce, orchestra e coro di e con Simone Cristicchi Arrangiamenti e direzione Valter Sivilotti Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Ferrara e Fondazione Teatro Comunale di Modena
22 OTTOBRE ORE 20 24 OTTOBRE ORE 15.30
Gaetano Donizetti
19 NOVEMBRE ORE 20 21 NOVEMBRE ORE 15.30
Giuseppe Verdi
Giovanna D’Arco
Direttore Roberto Rizzi Brignoli Regia Paul-Emile Fourny Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia Allestimento Opéra-Théâtre de Metz
3 DICEMBRE ORE 20 5 DICEMBRE ORE 15.30
Lucia di CrossOpera fear Lammermoor Otherness and discovery Direttore Alessandro D’agostini Regia Stefano Vizioli
Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena e Teatro Galli di Rimini Allestimento Teatro di Pisa in collaborazione con Opéra Nice Côte d'Azur
Musica di Luigi Cinque, Valentin Ruckebier, Jasmina Mitruši Djeric Direttore Đor e Pavlovi Regia Gregor Horres
29 OTTOBRE ORE 20 31 OTTOBRE ORE 15.30
Nuova opera commissionata e coprodotta da Fondazione Teatro Comunale di Modena, Landestheater Linz e Serbian National Theatre Progetto europeo ‘Europa Creativa’
Vincenzo Bellini
19 DICEMBRE ORE 17
Norma
Direttore Sesto Quatrini Regia Nicola Berloffa Coproduzione Fondazione Teatro Municipale di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatro Regio di Parma NUOVO ALLESTIMENTO
Benjamin Britten
Il piccolo spazzacamino
Direttore Paolo Gattolin Regia e scene Stefano Monti
BIGLIETTERIA
biglietteria@teatrocomunalemodena.it Telefono 059 203 3010 www.teatrocomunalemodena.it
58a EDIZIONE
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OTTOBRE 2021 QUARTIERE FIERISTICO RIMINI
tutto il mondo del turismo in un unico
evento
IL FUTURO DELLA TRADIZIONE
Sellano, Medioevo naturale
È
incastonato nel cuore – incontaminato e affascinante – della Valnerina, Sellano, tra corsi d’acqua, vallate, altopiani e distese boschive a perdita d’occhio. Siamo in Umbria, tra le regioni più verdi della Penisola e i boschi che circondano Sellano sembrano letteralmente usciti dalle favole, a tratti folti come foreste, a tratti con faggi, carpini e querce che si alternano quasi seguendo un ordine superiore e dando vita a lussureggianti ecosistemi, che in autunno regalano cromie calde, quando le foglie si
tingono di tutte le gradazioni del rosso, dell’arancio e del giallo. Ancora colori anche per il sottobosco, dove gli occhi più attenti possono ammirare viole, anemoni, genziane e persino la rara stella alpina dell’Appennino e la splendida orchidea “nido d’uccello”. E ad aggiungere fascino al fascino, la possibilità di incontrare lupi, martore, gatti selvatici, istrici, caprioli e persino lontre e di avvistare circa 150 specie di uccelli, dall’aquila reale al falco pellegrino, dal gheppio al pettirosso, all’usignolo.
Simona PK Daviddi
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Sellano Roberto Battista
Sellano Roberto Battista
Un comune, infiniti borghi
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lla bellezza maestosa e irresistibile della natura fanno eco i deliziosi borghi fortificati, i castelli e i casolari che punteggiano la porzione di Umbria sotto la giurisdizione di Sellano; piccoli scrigni che il tempo e le vicende sismiche hanno solo scalfito, lasciandone tuttavia intatti l’atmo-
sfera dei tempi passati e l’impianto medievale. A iniziare dallo stesso Sellano, la cui forma – sulla cresta di un colle, attraversato da un’unica strada principale dalla quale si diramano le stradine secondarie – tradisce l’antica funzione di castello difensivo, come testimoniano anche gli importanti
Sellano LigaDue (CC-BY-SA-4.0)
Postignano Gratet&Maglione
resti della cinta muraria e le due delle originarie cinque porte d’ingresso alla città ancora esistenti. Passato condiviso anche dal minuscolo agglomerato di Postignano che, con le sue case-torri strette le une alle altre e dominate sulla sommità dall’al-
Cammoro Ronchet (CC-BY-SA-3.0)
ta torre d’avvistamento, mostra ancora chiara la pianta della fortificazione di pendio. Bellissimo è anche il borgo-castello di Cammoro, un dedalo di pietra inespugnabile, mentre di rara suggestione è Fonni, con i resti di Rocca Brigida.
Postignano Gratet&Maglione
Chiesa di san Frncesco, Sellano LigaDue (CC-BY-SA-4.0)
. . D’armi e d amori
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e gli impianti urbanistici dei borghi incastellati trasportano immediatamente la fantasia in un passato fatto di cavalieri e dame, di giostre medievali a suon di lancia e di poderosi destrieri, la storia e le leggende di queste terre hanno portato fino a noi racconti e miti dal sapore romantico e miste-
rioso. Come quello legato al toponimo del borgo di Pupaggi, il cui nome deriverebbe dalla nobile Pupa, dama talmente bella da scatenare sanguinose lotte tra i feudatari dei possedimenti limitrofi per conquistarla; la leggenda vuole però che il vero amore della dama fosse nascosto dagli abi-
Pupaggi Roberto Battista
tanti del castello nella torre più alta, in modo da preservare per sempre la loro storia. Curiose anche le ipotesi legate al toponimo di Sellano, che da un lato vogliono il borgo fondato dai seguaci di Lucio Cornelio Silla nel I secolo a.C., all’epoca delle guerre civili, e dall’altro fanno risalire invece
il nome a un possedimento fondiario – anum è il suffisso che indica l’appartenenza –. A confondere ancor di più le origini, ci pensa lo stemma del paese, raffigurante san Michele in piedi su una sella, il che alluderebbe al significato secondario di sella, intesa come sinonimo di valico.
Pupaggi Roberto Battista
Tesori sacri
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l Medioevo non narra solo di dame e cavalieri, ma anche di santi, papi e monaci e ancora una volta l’Umbria ha il vanto di aver dato i natali a quelli che sono forse i santi più venerati del Belpaese, a iniziare da san Francesco, patrono d’Italia, per proseguire con santa Rita e santa Chiara. Anche nei borghi incastellati, dunque, non possono mancare le tracce di una spiritualità marcata e mistica, che qui ha lasciato chiese, pievi e abbazie, spesso dalle severe facciate in pietra ma dai ricchi interni affrescati, come la chiesa di santa Maria nel nucleo di Sellano, risalente al XII secolo e rimaneggiata nel Cinquecento, o come la chiesa di san Lorenzo a Postignano, inglobata nelle possenti mura di cinta e impreziosita da notevoli affreschi, alcuni dei quali riportati agli antichi splendori durante i restauri successivi al sisma del 1997. Infine, degno di nota Chiesa di san Lorenzo, Postignano Gratet&Maglione
Chiesa di san Lorenzo, Postignano Gratet&Maglione
Abbazia dei santi Felice e Mauro
per lo stupore inaspettato che genera la sua impo- minuscolo abitato di San Martino, che contrasta nenza è anche il ciclo pittorico quattro-cinquecen- scenograficamente con la semplicità della facciata tesco della chiesa della Madonna delle Nevi, nel romanica a capanna risalente al XIII secolo.
Lago di Vigi Buffy1982*
Sellano
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Municipio di Sellano LigaDue (CC-BY-SA-4.0)
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U
n incantevole borgo di montagna adagiato sulle sponde di un lago dalle acque verdi e splendenti come lo smeraldo. E una quinta di rilievi ammantati di boschi, dietro ai quali svettano cime più alte e aspre, queste cosparse di neve. Siamo abituati a vedere paesaggi dipinti di ogni sorta, ma capita più raramente di ammirare scorci che sembrano scaturiti dalla fantasia di un artista, all’apparenza troppo perfetti per essere veri. Uno di questi è Barcis, un accogliente borgo del porde-
Lago di Barcis David A. Reuscher*
nonese incastonato tra le Dolomiti Friulane Patrimonio Unesco e il Lago Aprilis, meglio noto come Lago di Barcis. Un tranquillo borgo a 402 metri di altezza nel cuore della Valcellina, immerso in una natura meravigliosa e incontaminata che, proprio in autunno, si tinge di colori caldi e vivaci. Il giallo dei raggi del sole ancora tiepidi, l’arancio e il viola dei boschi, il verde smeraldo del lago che si contamina con il rosso dei tramonti infuocati: questo è l’autunno di Barcis tutto da scoprire.
Barcis,
sfumature specchiate
Alle radici della storia A
lcuni fanno derivare il nome Barcis dal celtico “barc”, che significa capanna o abitazione, altri dal provenzale “bacis”, ossia bacino, con riferimento alla caratteristica forma a conca del territorio. L’insediamento umano è documentato fin dall’VIII secolo, ma per molto tempo Barcis è stato un tranquillo borgo di montagna, protetto da invalicabili spalti rocciosi. La storia più tumultuosa iniziò invece nel Seicento, quando il borgo fu distrutto per la prima volta da un incendio, e una seconda volta durante
Barcis Maurizio Sartoretto*
Barcis e il suo lago FilippoPH*
Barcis ms_pics_and_more*
la Seconda Guerra Mondiale, quando la Valcellina divenne teatro degli scontri tra partigiani e tedeschi e Barcis fu data alle fiamme per rappresaglia. Uno degli edifici più importanti dal punto di vista storico è il maestoso palazzo Centi, risalente al XVII
secolo. Nel cuore del centro sorge invece la parrocchia di San Giovanni Battista con il suo campanile svettante sulle case, mentre fuori dall’abitato si possono ammirare i suggestivi resti della cappella di San Daniele del Monte, distrutta da un fulmine.
Barcis makalex69*
Barcis e il suo lago John_Silver *
Lago di Barcis John_Silver *
Tra lago e boschi I
l territorio attorno al borgo di Barcis regala soprattutto in autunno un caleidoscopio di colori meravigliosi e cangianti, che variano dal rame all’oro, dal rosso al violaceo. Sono i colori di una natura generosa e vitale che, prima dell’arrivo del grande freddo, concede ancora giornate miti, ideali per scoprire i sentieri che si sviluppano attorno al Lago di Barcis. Un bacino artificiale creato dalla mano dell’uomo negli anni Cinquanta per la produzione di energia idroelettrica e diventato oggi meta ideale per praticare sport acquatici come windsurf, kajak, motonautica, vela o pesca. O più semplicemente per passeggiare a piedi o in bicicletta lungo i sentie-
makalex69*
ri panoramici lungolago, fare pic-nic nelle aree attrezzate o bagni di sole sulle rive, lasciandosi rinfrancare dallo spettacolo cangiante dell’acqua. Ma sentieri affascinanti sono anche quelli che si addentrano nella Foresta del Prescudin, una piccola oasi di tranquillità a pochi chilometri dal borgo, che proprio in autunno si accende di splendide sfumature ocra e porpora.
makalex69*
Marco Florian*
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Forra del Cellina John_Silver*
Skywalk del Dint Maurizio Sartoretto*
Elisa Furlan*
Sentieri tra acqua, rocce e cielo I
mmaginate il crepitio delle foglie secche sotto le suole delle scarpe, il silenzio del bosco e il sole che penetra tra i rami dei faggi e degli abeti. E vicino l’acqua cristallina e immobile del Lago di Barcis. Lo spettacolo è quello del Sentiero del Dint, che soprattutto in autunno regala emozioni e scorci meravigliosi sulle Dolomiti pordenonesi patrimonio Unesco. Si tratta di un sentiero adatto a tutti che parte dal centro visite della Riserva Naturale Forra del Cellina, toccando punti panoramici unici
come lo Skywalk del Dint, una passerella metallica affacciata nel vuoto i cui ultimi metri in vetro danno la sensazione di librarsi sul lago. Da non perdere l’itinerario della Vecchia Strada della Valcellina, con il ponte tibetano sulla Forra del Cellina, un incredibile canyon scavato in milioni di anni dalle acque azzurrissime del torrente Cellina, e il trenino turistico che si fa largo tra le impervie pareti rocciose, ricordando come un tempo fosse questo l’unico collegamento tra la valle e la pianura.
Barcis Mario Savoia*
Lago di Barcis Matteo Ciani*
Barcis by night Claudia Canton*
Barcis
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Lago di Barcis NiarKrad*
COMUNE DI BARCIS Pordenone, Friuli-Venezia Giulia Abitanti: 237 Altitudine: 409 m s.l.m. Superficie: 103,41 km² Santo Patrono: San Giovanni Battista - 24/6 Pordenone
Trieste
Sapore antico
Luca Sartori
È
tra le meraviglie della gastronomia italiana. Un formaggio dalle origini antiche, dal gusto intenso, aromatico e piccante che ben si sposa con una moltitudine di altri sapori, eccellenza che il mondo ci invidia, un tesoro tutto italiano. E’ il Formaggio Pecorino Romano, il cui Consorzio costituito nel novembre del 1979 per volontà del gruppo di operatori del Lazio e della Sardegna nel gennaio del 1981 ottiene dal Ministero dell’Agricoltura, di concerto con il Ministero dell’Industria, l’affidamento dell’incarico di vigilanza sulla produzione e sul commercio del Pecorino Romano, ottenendo poi nel 2002 il nuovo incarico per la tutela della Dop da parte del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. La missione del Consorzio spazia dalla tutela e la vigilanza sulla produzione e commercializzazione del prodotto, alla tutela della denominazione in Italia e all’estero fino ad arrivare all’impegno per l’incremento del consumo e del miglioramento qualitativo del prodotto attraverso idonee attività promozionali.
Eccellenza mondiale
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ltre a detenere il marchio collettivo identificativo della Dop Pecorino Romano e a concederlo in uso a coloro che ne abbiano i requisiti, il Consorzio per la Tutela del Formaggio
Pecorino ha il compito di tutelare e vigilare sulla produzione e sul commercio della Dop Pecorino Romano, sull’uso della denominazione Pecorino Romano in Italia, in Europa e nel mondo con
l’obiettivo di evitarne l’uso improprio e scongiurare frodi, contraffazioni ed eventuali iniziative di concorrenza sleale. Nella missione del consorzio c’è anche la promozione di ogni iniziativa finalizzata alla salvaguardia della tipicità del prodotto e delle sue caratteristiche, curando gli
interessi dello stesso in ottica di miglioramento in termini qualitativi e strutturali, collaborando con enti, regioni, lo Stato Italiano e l’Unione Europea e attuando iniziative pubblicitarie e promozionali per diffonderne la notorietà e aumentarne i consumi.
Il formaggio dei legionari
L
a storia del Pecorino Romano affonda le sue radici nell’antica Roma, quando nei palazzi imperiali era considerato un ottimo condimento durante i banchetti, mentre la sua straordinaria capacità di lunga conservazione lo rendeva un alimento base delle razioni durante i viaggi delle legioni romane. Il Pecorino Romano era talmente in uso nell’antica Roma che fu addirittura stabilita la razione giornaliera da dare ai legionari, come integrazione al pane e alla zuppa di farro: ben 27 grammi. Un formaggio che ridava forza e vigore, quindi, un’iniezione di energia per i soldati. Pochi formaggi, nel mondo, possono vantare origini antiche come il Pecorino Romano, autentico gioiello della produzione casearia italiana, prodotto con latte fresco di pecora, intero, proveniente esclusivamente dagli allevamenti della zona di produzione, coagulato con caglio di agnello in pasta proveniente anch’esso esclusivamente da animali allevati nella medesima zona di produzione.
Piccanti emozioni
I
l Pecorino Romano Dop si presenta con una crosta sottile di colore avorio chiaro o paglierino naturale, o talvolta cappata di nero con una pasta compatta e leggermente occhiata con un colore che varia dal bianco al paglierino più o meno intenso. Il suo sapore è aromatico, lievemente piccante e sapido nella versione da tavola, piccante e intenso in quella da grattugia. Le forme sono cilindriche a facce piane con un peso che può variare tra i venti e i 35 chili e possono essere messe in commercio con una stagionatura minima di cinque mesi, come formaggio da tavola, e otto mesi per quello da grattugia. La sua lavorazione è limitata al Lazio, alla Sardegna e alla provincia di Grosseto in Toscana ed è frutto di secoli d’esperienza, dove il casaro e il salatore hanno un ruolo fondamentale. Il latte fresco di pecora, proveniente da greggi allevate allo stato brado e alimentate su pascoli naturali, viene trasferito nei centri dove viene lavorato direttamente crudo o termizzato a una temperatura massima di 68° per non più di 15 secondi. Fase fondamentale della produzione è quella che prevede l’aggiunta di un fermento detto “scotta innesto”, preparato giornalmente dal casaro. Aggiunto l’innesto si passa alla coagulazione del latte, utilizzando il caglio di agnello in pasta e, accertato l’ottimale indurimento del coagulo, il casaro procede con la rottura dello stesso. Dopo il raffreddamento le forme vengono sottoposte alla marchiatura con apposita fascera marchiante che imprime sullo scalzo il nome della denominazione e il logo della Dop.
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Simona PK Daviddi
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Castello di Velona moreimages*
Questo mese p arliamo di…
Ma che bel castello... C
he siano austeri e minacciosi, romantici e imponenti, impreziositi da torri, torrette, bastioni e merli, ponti levatoi, bifore e camminamenti di ronda, i castelli più di qualsiasi altro edificio ci catapultano immediatamente in un mondo fiabesco, dove tutto è possibile e dove misteri e leggende si intrecciano alla storia reale alimentando favole moderne e racconti onirici. L’Italia è ricchissima di castelli: ogni regione ne vanta un numero imprecisato, tra manieri privati che si possono ammirare dall’ester-
no passeggiando in giardini e parchi curatissimi, castelli visitabili e resi ancor più affascinanti da sale e saloni colmi di mobilia d’epoca, pareti affrescate, stucchi e passaggi segreti, ruderi scenografici abbarbicati su colli e pendii e, addirittura, palazzi storici trasformati in hotel di lusso e relais di charme. Partiamo allora lungo la Penisola per un viaggio alla scoperta dei più affascinanti hotel ospitati in altrettanti castelli. E a proposito di ospiti: se siete suggestionabili, non leggete l’ultimo paragrafo!
Medievale, barocco o… S
e avete deciso di trascorrere un weekend romantico o se volete letteralmente sentirvi in una favola, c’è davvero solo l’imbarazzo della scelta e i castelli nei quali dormire sono davvero infiniti. La Toscana, per esempio, vanta una collezione di relais di charme unica, molti dei quali sono concentrati nella bellissima zona del Chianti, come il Castello di Spaltenna Exclusive Resort & Spa di Gaiole in Chianti – un antico monastero medievale fortificato, la cui pieve risale addirittura all’anno Mille – o come il Castello del Nero a Tavernelle Val di
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Pesa – dimora gentilizia del XII secolo immersa in elaborati giardini, decorata all’interno da affreschi originali, maestosi camini e superbi soffitti a volta –; e poi, il merlato Castello Banfi e il fortificato Castello di Velona Spa Resort
Castello di Velona Spa Resort & Winery Booking.com
& Winery, entrambi nel territorio di Montalcino, ed entrambi legati a filo doppio al mondo dell’enologia. Stesso connubio per un ultimo indirizzo degno di nota, il Vinilia Wine Resort, nella pugliese Manduria, dove si dorme in camere dai soffitti a volta.
Vinilia Wine Resort Booking.com
Borgo dei Conti Resort Booking.com
A tutto design
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i particolare fascino è il connubio, assolutamente riuscito, tra location storica e interni votati al design contemporaneo: sono numerosi i castelli che accolgono i propri ospiti in ambienti arredati con mobili moderni e griffati, spesso pezzi unici disegnati su misura, regalando così atmosfere inaspettate e originali.
Particolare è il mix di Borgo dei Conti Resort, a breve distanza da Perugia, che coniuga i merli del profilo dell’edificio e i soffitti a cassettoni con divani Chesterfield in pelle e letti con testiere matelassé. A Bolzano, invece, un poderoso maniero
Castello San Marco Charming Hotel & Spa Booking.com
Castel Hörtenberg Booking.com
rinascimentale, Castel Hörtenberg, è diventato un relais di lusso dove trovano posto una Spa, una suggestiva cantina ricavata nei sotterranei in pietra e camere dal design essenziale e sofisticato, con letti a baldacchino ultramoderni e lineari. Ancora commistioni originali per il Castello San Marco Charming Hotel & Spa, a Calatabiano, poco lontano da Taormina: una di-
mora principesca dalla facciata in sfarzoso stile Barocco, immersa in un lussureggiante parco, si coniuga con interni a tratti opulenti e a tratti candidi, riscaldati da arcate in scura pietra lavica e arredati da baldacchini moderni e soffici divani lattei, in continuo dialogo con quadri e dettagli ricercati.
Presenze sovrannaturali
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er color che sono alla ricerca di un brivido in più da accompagnare all’emozione di dormire in un castello -, abbiamo trovato alcuni manieri che, tra testimonianze e leggende, sarebbero… abitati da fantasmi! Uno di questi è l’Hotel Relais Castello della Castelluccia, costruito sulle rovine di una villa romana a pochi chilometri dalla Capitale. Qui abiterebbe un fantasma illustre, nientemeno che quello di Nerone: secondo le dicerie, Papa Pio VII, per festeggiare Napoleone, fece costruire un pallone aerostatico che andò a schiantarsi proprio sulla tomba dell’imperatore romano – ospitata nel castello –, svegliandolo dal sonno eterno; da allora pare che il folle Nerone si aggiri in collera per gli
Relais Castello Bevilacqua Booking.com
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ambienti del maniero. Si sono mobilitati addirittura dei ghost-hunter per il Relais Castello Bevilacqua, edificio cinquecentesco che domina la pianura veronese: nel 1848, durante un assedio, un drappello di soldati avrebbe profanato la tomba del suo fondatore, Guglielmo Bevilacqua, che da allora si aggira tra le mura della fortezza per difenderla dagli estranei. A Oleggio Castello (in provincia di Novara), infine, si trova il Castello dal Pozzo, dove ci si potrebbe imbattere nel fantasma di Barbara Visconti, una fan-
ciulla vissuta nel XV secolo: innamorata di uno degli ospiti del castello, il capitano Matteo de Grandis, alla di lui partenza venne rinchiusa dal padre nella torre più alta per impedirle di fuggire dall’amato; Barbara si lasciò morire e sono in molti che spergiurano di aver visto la sua ombra affacciarsi alla finestra della torre in attesa del ritorno di Matteo.
Castello dal Pozzo Booking.com
Bouquet de Provence
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a Provenza è una terra meravigliosa da vedere ma, per chi ha naso, è una terra ancor più meravigliosa da annusare. È qui che vengono coltivate, raccolte e affinate alcune delle fragranze più deliziose al mondo. E non è un caso che nasca qui uno fra i profumi più celebri: Chanel N°5. Era il 1921 quando la stilista Coco Chanel incontrò Ernest Beaux della Maison Rallet di Cannes e gli disse: «Sono una sarta che cuce abiti. Non voglio una rosa, un mughetto, voglio un profumo confezionato.
Un profumo da donna che abbia l’odore della donna!». Tra i campioni preparati scelse il N° 5, un bouquet di ottanta essenze, il primo profumo moderno del mondo e volle mantenere il N°5 come nome per una triplice coincidenza: il giorno 5 del quinto mese dell’anno lo avrebbe presentato in anteprima insieme alla collezione di moda della maison di quella stagione. Ebbe subito fortuna, ma la vera consacrazione avvenne grazie a Marylin Monroe che ne fece simbolo assoluto della femminilità.
Oltreconfine: Oltreconfine Francia
Nicoletta Toffano
facebook.com/nicoletta.toffano
Un campo di lavanda in Provenza AlexFedini **
Grasse Lylambda (CC-BY-SA-4.0)
Grasse, la capitale del profumo S
e Cannes fu la sede dal 1917 della Maison Rallet, ben prima, nella Provenza dell’immediato entroterra, l’industria dei profumi aveva già iniziato a svilupparsi intorno all’incantevole borgo di Grasse. Qui il Museo Internazionale della Profumeria ne raccoglie la storia: all’inizio del Seicento furono i conciatori locali che, nella lavorazione dei guanti da donna, iniziarono a trattare i pellami con essenze profumate per renderli graditi all’olfatto delle dame delle corti europee. Da conciatori divennero gradualmente profumieri sviluppando saperi (la coltivazione della pian-
ta, la trasformazione delle materie prime e l’arte di comporre il profumo, per esempio), dal 2018 iscritti nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. Oggi a Grasse sono presenti circa sessanta aziende di profumeria di cui molte, comprese le tre maggiori (Fragonard, Molinard, Galimard), organizzano workshop e visite guidate. Da Grasse, inoltre, si sviluppa un bell’itinerario paesaggistico ad alta profumazione, la “Route du mimosa”: 130 chilometri da percorrere tra gennaio e marzo, impreziositi dal giallo intenso della spettacolare fioritura delle mimose.
Oltreconfine: Provenza
Place aux Aires Jacopo Werther - Flickr (CC-BY-SA-2.0)
Museo Internazionale della Profumeria jean-louis Zimmermann - Flickr (CC-BY-SA-4.0)
Boulevard du Jeu de Ballon, Grasse M.Strīķis - Panoramio (CC-BY-SA-4.0)
Oltreconfine: Provenza
Simiane-la-Rotonde, Medioevo in fiore E
ntrando nel cuore della Provenza si arriva a Simiane-la-Rotonde, antico borgo medievale celebre per la coltivazione della lavanda: qui ogni anno la Cooperative Agricole des Plantes à Parfum de Provence produce ben 420 tonnellate del prezioso olio essenziale. Il borgo è circondato da uliveti e da un mare di campi fioriti; abbarbicato sulla roccia, è dominato dalla roccaforte degli Agoult-Simiane con la Rotonda, un imponente torrione del XII secolo ed è qui che ha sede il Laboratoire Sainte-Victoire, dove si svolge un percorso guidato introduttivo all’aromaterapia. Il castello ospita non solo profumi inebrianti, ma
anche suoni soavi: tra le antiche mura nel mese di agosto, infatti, riecheggiano le musiche del “Les Riches Heures Musicales de la Rotonde”, Festival internazionale di musica antica. Il borgo è un grazioso intrigo di stradine arrotolate, sulle antiche terrazze in pietra vengono coltivate, dal 1996, oltre cinquecento specie di rose. Si tratta del roseto dell’abbazia cistercense di Valsaintes, un parco fiorito che si è guadagnato l’etichetta “Remarkable Garden”: con pratiche naturali al cento per cento (omeopatia, olii essenziali, pacciamatura di lavanda locale, insetti ausiliari del giardino ...) è un invito alla connessione con la natura.
Simiane-la-Rotonde EmDee (CC-BY-SA-3.0)
Oltreconfine: Provenza
Abbazia cistercense di Valsaintes Français (CC-BY-SA-3.0)
Roccaforte di Simiane-la-Rotonde Marianne Casamance (CC-BY-SA-3.0)
Oltreconfine: Provenza
Simiane-la-Rotonde Marianne Casamance (CC-BY-SA-3.0)
Oltreconfine: Provenza
Roccaforte di Simiane-la-Rotonde Jochen Jahnke (CC-BY-SA-3.0)
Etablissement Thermal di Digne-les-Bains JYB Devot (CC-BY-SA-4.0)
Tourrettes-sur-Loup Jpchevreau (CC-BY-SA-3.0)
Oltreconfine: Provenza
Le strade della lavanda:
un tuffo nei profumi
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opo aver viaggiato per chilometri - e sono oltre mille in Provenza - sulle strade della lavanda, sorge spontanea la voglia di immergersi in questa essenza dalle straordinarie proprietà rilassanti, antinfiammatorie e rigeneranti per la pelle. Questo è possibile presso l’Etablissement Thermal di Digne-les-Bains. località dell’alta Provenza, nota sin dall’antichità (ne parla Plinio il Giovane) dove si può provare un rinnovante bagno termale all’olio essenziale di lavanda. E per chi nell’aroma volesse letteralmente nuotare, presso la distilleria Les Agnels, nel cuore del Luberon, per gli ospiti delle chambres d’hôtes del-
Mercato provenzale a Digne-les-Bains Alpes de Haute Provence (CC-BY-SA-2.0)
la maison, la piscina è piena di acqua profumata alla lavanda. Sono invece le violette le protagoniste del borgo medievale di Tourrettes-sur-Loup, coltivate qui da più di un secolo e sono diversi i percorsi per imparare a conoscerle nelle loro varietà, odorarle e anche gustarle in preparazioni di alta pasticceria. In Provenza, tornando alla bellezza, è immancabile un soggiorno per rigenerare corpo e spirito presso l’antichissimo borgo di Maine, dove dalle vestigia di un ex convento del 1613 è nato Le Couvent des Minimes Hôtel & Spa: un mondo di benessere che offre trattamenti a base di lavanda, miele, limone e verbena.
Oltreconfine: Provenza
La Grande Cascade, Digne-les-Bains Datel04 (CC-BY-SA-4.0)
Lungomare Mediterraneo 08013 Bosa Marina (OR) +39 0785 373804 www.lidochelo.it lidochelo@gmail.com 3S Comunicazione per e-borghi travel
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Un campo di lavanda in Provenza NaturePhotoTours**
Oltreconfine: Provenza
Ivan Pisoni
facebook.com/pisoni.ivan.7
La Leggenda della cascata delle Marmore
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iamo di fronte a uno di quei paesaggi che esprimono, in natura, una bellezza spumeggiante. Un panorama che lascia il visitatore con il fiato sospeso. Poeti, pittori, filosofi e artisti ne sono rimasti ammaliati, ne hanno scritto, ne hanno parlato, ne hanno lasciato segno per i posteri e ancora oggi una visita alla cascata delle Marmore regala un ricordo che poi porteremo con noi, che racconteremo, che divulgheremo. Ma la cascata delle Marmore, fra le più alte d’Europa con i suoi 165 metri di altezza, non è in realtà una for-
mazione naturale, bensì un’opera voluta dall’uomo. Ci sono voluti oltre 2mila anni di interventi (dal 271 a.C. al 1787 d.C.) al corso del Velino e alla cascata stessa per diventare la meraviglia che si staglia oggigiorno davanti ai nostri occhi. E come tutte le meraviglie, anche la cascata delle Marmore vuole che la sua origine sia invece dovuta a un avvenimento leggendario. Un amore impossibile che ci è stato raccontato da Gnefro, il folletto simpatico ma dispettoso che vive tra i boschi, proprio nei pressi della cascata.
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La leggenda della cascata delle Marmore
Gli sguardi s’incrociarono
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ra un giorno di una calda estate quando un pastorello, Velino, stava portando le sue greggi al pascolo sulla rupe delle Marmore. Dalla cima si poteva dominare tutta la valle sottostante, una distesa di lussureggiante boscaglia interrotta solo da un bellissimo stagno posto esattamente sotto la rupe. All’improvviso, l’attenzione di Velino venne turbata dalla presenza di un piccolo gruppo di fanciulle che si stavano rinfrescando nelle acque del piccolo stagno. Incuriosito, il pastorello scese il costone e si avvicinò furtivamente tra la vegetazione per osservare quelle ineguagliabili bellezze. Tra di loro
ce n’era una, che sembrava essere riverita dalle altre, di uno splendore folgorante. A un suo cenno, le altre fanciulle le si posero attorno in segno di scudo per proteggere il suo corpo spettacolare da occhi indiscreti mentre passavano dall’acqua alla spiaggetta. Il gruppo, mentre il sole le asciugava, era continuamente sotto lo sguardo sbigottito di Velino, silenzioso e immobile come una roccia. Quella figura dalla bellezza ammaliante, però, aveva notato la sua presenza, e, incuriosita, disse alle sue compagne di star tranquille dov’erano, mentre lei faceva una breve passeggiata nel bosco.
xaviracer270**
mynorbejarano**
C
ome attratti da un’irresistibile spinta, i due si trovarono faccia a faccia e… Ecco il fatidico colpo di fulmine. Lei si presentò come Nera, figlia del dio Appennino nonché una delle ninfe devote a Giunone. Nonostante il loro amore fosse impossibilitato dalle regole del regno della magia – secondo il quale non poteva nascere un sentimento tra un mortale e una ninfa -, i
due iniziarono a incontrarsi e ad amarsi in segreto per un lungo periodo. Il loro era un sentimento dolce, puro, idilliaco. Incontrarsi non bastava mai. Le regole del mondo della magia non interessavano ai due amanti sotto la rupe delle Marmore ma un amore così potente, seppur tenuto segreto da mille sotterfugi, non poteva di certo passare in incognito per sempre.
La leggenda della cascata delle Marmore
Quell’irresistibile amore impossibile
La leggenda della cascata delle Marmore darksouls1**
L’ira di Giunone
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entre Nera e Velino continuavano a vedersi di nascosto, c’era, nel regno della magia, chi aveva sentito vociferare di tale amore e fu a un banchetto sul Monte Olimpo che una delle ancelle di Nera si vide costretta a confessare alla dea Giunone tutto ciò che sapeva. Iraconda per tale affronto verso la tradizione, la dea chiamò subito a sé il dio Appennino, padre di Nera, e pretese di far rinsavire la figlia altrimenti la ninfa avrebbe dovuto affrontare un’esemplare punizione. Indignato per
il comportamento di Nera, anche se addolorato in quanto padre, Appennino si vide costretto a discutere con la figlia, la quale non volle sentir ragioni. Il suo amore per Velino era troppo grande e ciò che chiedeva la dea, secondo lei, era ingiusto. Il buon Appennino le provò tutte per far capire alla figlia che quello era un amore impossibile e profanatore, cercando invano di descrivere quello che l’ira di Giunone sarebbe stata capace di fare ma Nera rimase ferma sulle sue convinzioni.
Un fiume di lacrime
U
n giorno, mentre Nera stava andando a incontrare il suo amato Velino, alcune ancelle l’imprigionarono e, per ordine di Giunone, la portarono sulla cima del Monte Vettore. Su quella cima, Nera venne trasformata in un corso d’acqua e con immenso dolore pianse un vero e proprio fiume di lacrime che versò con impeto dalla rupe delle Marmore nella valle, allagando di rabbia il piccolo stagno sottostante e i lussureggian-
ti boschi circostanti. Arrivato sul luogo dell’appuntamento, Velino aspettò per un lungo periodo la sua amata ma questa non si presentò. Passarono diversi giorni ma il disperato Velino non riusciva ad avere notizie di Nera o a trovare una spiegazione per tale abbandono. Devastato dal dolore, il pastorello intraprese un lungo cammino per raggiungere la mitica Sibilla - nei monti più a est - e invocare il suo aiuto.
La leggenda della cascata delle Marmore
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La leggenda della cascata delle Marmore
Impossibile dividere ciò che non può essere diviso A
rrivato a stento dalla profetica figura, il povero Velino implorò la maga di dargli una spiegazione sull’improvvisa sparizione della sua amata Nera. Dopo aver scrutato le stelle e aver fatto appello alle sue doti magiche, Sibilla raccontò al pastorello della tragica punizione voluta da Giunone che
Altioe**
voleva Nera trasformata in fiume, un fiume impetuoso e sofferente per l’impossibilità di stare al fianco della persona amata, ma profetizzò anche che c’era una soluzione per poter vivere per sempre uniti. Dopo aver preso commiato dalla saggia Sibilla, addolorato e confuso, Velino tornò nelle
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Milacroft*
punto capì le parole della Sibilla e, senza pensarci due volte, si gettò nel vuoto dalla cima della rupe per raggiungere Nera. In quel momento, l’onnipresente Giove - che stava seguendo tutta la faccenda rimanendone colpito -, proprio mentre Velino era a mezz’aria, trasformò il pastorello in una fragorosa cascata e dall’unione dei due corsi d’acqua, Velino dalla rupe e Nera nella valle, nacque quella che oggi conosciamo come la cascata delle Marmore, bellissimo simbolo di un amore magico e infinito.
La leggenda della cascata delle Marmore
sue terre. Seppur il racconto della punizione divina fosse fin troppo chiaro, la profezia non gli era chiara per nulla, e gli creava parecchio sgomento. Fu durante una notte di luna piena che Velino, arrivando sulla cima della rupe delle Marmore e guardando in basso - proprio come aveva fatto il primo giorno che aveva visto la sua Nera -, invece del piccolo stagno scorse un fiume impetuoso che trasmetteva “sentimenti” di tristezza e in quei “sentimenti” riconobbe lei. Quel fiume era la sua amata. Solo a quel