La Community

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appunti di geografie comunitarie




Dove sono? E cosa mi ha portato qui?

Sono domande ancestrali le cui risposte ciclicamente cambiano nel corso della nostra vita mettendoci in tensione, proiettandoci nel futuro con la consapevolezza di ciò che è stato rendendo l’esistenza un “unico” consapevole e fluido che si snoda nel tempo.

Tempo inteso come scansione convenzionale dell’immanenza umana da un lato e come indefinibile scorrere del mondo dall’ altro. Non è semplice definire dove si è, forse si può dire dove si è stati. Gradualmente negli anni la coscienza del mio esistere in molti luoghi in maniera fluida e contigua è aumentata. E’ “successo” internet e sono successe tutte quelle esperienze di cambiamento tipiche della crescita comuni a molti esseri umani. Il luogo più definibile in cui ho passato e formato gran parte del mio primo quarto di vita è la comunità cattolica del paese in cui sono nata. “La community” è un tentativo di comprensione di un luogo in cui sono stata, da cui ho mosso passi verso situazioni più fluide e indefinite. Una volta iniziato il distacco, quel luogo mi è sempre sembrato “definito” per contrasto. Tuttavia non è così semplice. La complessità di qualcosa che si basa sulle relazioni, per quanto regolate, scivola continuamente tra chiaro e indefinibile.

Le persone riescono a creare il meglio ed il peggio assoluto dell’essere umano solo entrando in relazione tra di loro.


Ho chiesto a sette persone che fanno parte della comunità, con cui ho condiviso una parte rilevante del mio tempo relazionale in quell’ “interno”, di parlare con me della loro fede, e del loro essere comunità nella comunità. Lo abbiamo fatto utilizzando un simbolo, un oggetto, che rappresentasse per ognuno di loro un momento importante del cammino di fede. Ho collaborato con I., che mi ha fatto da assistente, sostenendo in buona parte il lavoro di intervista, facendo da tramite. Tutti si sono messi in gioco e hanno partecipato con entusiasmo. Al momento si possono fare delle constatazioni, non ci sono somme da tirare e presumibilmente non ce ne saranno, il ritratto di una comunità è fatto di persone e di legami, quindi da una moltitudine di questioni che mutano continuamente. Queste sette persone, scelte nel “tutto”, non sono portavoce del tutto ma di loro stesse, del loro punto di vista, della loro fede e del loro esistere “geograficamente” nella comunità e nel mondo. Tutto quello che si può estrapolare dal lavoro fatto in questi mesi è importante in quanto traccia relazionale, confronto, generazione di pensiero. Ci siamo scritti, parlati, ci siamo dati appuntamento, ci siamo interrogati su questioni su cui sapevamo in partenza di non avere in mano una risposta certa. Il mio lavoro è quello di riorganizzare queste tracce per renderle leggibili, in più e più modi, tentando una sintesi germinale dei vari confronti possibili. La comunità è una sottotrama della città, ed è costituita dalla relazione intorno a qualcosa. Le persone riescono a creare il meglio ed il peggio assoluto dell’essere umano solo entrando in relazione tra di loro.


A questo punto del lavoro emerge un quadro contemporaneamente omogeneo e disomogeneo di quello che è la comunità cattolica messa a fuoco. Ognuno dei partecipanti ha una visione personale di quello che è comunità, del suo significato, di come se ne sente parte e di come la comunità sia in relazione con l’esterno. E’ un quadro non nitido, indefinito: difficilmente gli intervistati sono riusciti a trovare risposte definite e definitive. La complessità dell’oggetto preso in esame certamente giustifica questa apparente confusione. Sembra indispensabile interrogarsi continuamente riguardo ai temi sollevati dal lavoro. Il progetto è stata l’occasione per confrontarci ( io e te insieme a loro) su questioni che vengono date per scontate tra le persone facenti parte di una comunità. Dal materiale raccolto non si riesce ad estrapolare una definizione univoca di comunità nonostante tutti gli intervistati ne facciano parte: ognuno ha una visione personale, in un certo senso distorta ma allo stesso tempo si possono rilevare elementi comuni all’interno delle varie interviste. Sembra inevitabile porsi una domanda: la comunità data per scontata all’inizio del lavoro, esiste veramente? E di conseguenza, ha senso parlare di comunità e cosa vuol dire far parte di una comunità nel 2012? Non sempre gli intervistati hanno mostrato una consapevolezza piena nelle affermazioni che hanno fatto nonostante ognuno di essi abbia una presenza attiva all’interno della comunità. Una presenza attiva che sembra stridere perciò con una mancata consapevolezza di pensiero, ancora una volta legata alla complessità dell’argomento in questione.


Non si può non considerare come i giovani intervistati, in quanto individui ancora in crescita, si trovino a percorre un cammino di ricerca oscillando e scivolando in ambiguità tra il pensare e l’agire. Il mio ruolo all’interno del progetto... come hai detto tu è quello di tramite. Ho fatto da tramite tra gli intervistati e te, ponendo le domande che avevi in testa e credo di aver permesso il collegamento tra te e loro. Mi è venuta in mente un’immagine un po’ banale ma che rende l’idea: se loro sono luce (riferimento “puramente” casuale alla iconografia e simbologia cristiana) e tu, in quando mondo esterno, sei le tenebre (altro riferimento casuale), io sono stata il tramite, a metà tra la luce e le tenebre, che permette a chi è nella luce di passare lentamente nelle tenebre e viceversa, così che gli occhi di entrambi si abituino. Sono stata tramite anche in un senso più profondo e riferito alla comunità. In questo momento della mia vita io, nata e cresciuta nella comunità in oggetto, mi sento tramite tra la comunità e il “fuori” . Se diamo per scontato che i partecipanti fanno parte del “dentro”, e che ormai tu faccia parte del “fuori”, del “mondo esterno”, io sono quella che sta ancora “in mezzo”, tra il dentro e il fuori, tra la comunità e il mondo, a cavallo della sottile (?) linea che divide questi mondi. Il mio ruolo di “intervistatrice” e “aiutante” ha assunto allora un ulteriore significato legato alla mia ricerca personale. Ho fatto miei i tuoi interrogativi perché li sentivo e li sento muovere anche dentro di me. Il progetto è stato per me occasione di interrogazione personale e della comunità di cui, ancora per metà, faccio parte.


La Community - appunti di geografie comunitarie è parte del progetto La Community, una serie di interviste fotografiche e video fatte a sette giovani della comunità parrocchiale di Palazzolo Milanese. Il progetto è nato dal mio vivere ed aver vissuto a Palazzolo Milanese, ma stava prendendo forma decentrato rispetto all’origine, nel luogo in cui studio e trascorro la maggior parte della mia giornata: la città di Milano. Tramite incroci casuali di incontri sono venuta a conoscenza del progetto che Giulia Ticozzi stava portando avanti sulla città di Paderno, siamo state messe in contatto, il materiale che stavo elaborando “entrava” perfettamente nell’idea di Il mio libro sei tu. Abbiamo quindi trovato insieme una modalità utile di elaborazione della raccolta di immagini e contenuti a cui stavo e sto dando una forma più complessa.

Il lavoro svolto da me ed I. con ognuna delle persone che abbiamo intervistato è qui filtrato e sintetizzato in quattro passaggi: un’immagine fotografica in cui ho fermato la gestualità legata all’oggetto portato dagli intervistati. la descrizione dell’oggetto*. la definizione di una parola citata dall’intervista che nel mondo “non cattolico / non comunitario” è desueta o non conosciuta*. un’ infografica che riassuma la mia comprensione della visione della comunità che l’intervistato mi ha trasmesso e la posizione sua e del suo oggetto in quella geografia sintetica. Gli appunti di geografie comunitarie non sono e non vogliono essere risolutivi. Il lavoro “definitivo” è da qualche parte nella relazione tra un passaggio di appunti e l’altro.

*I TESTI SONO TRATTI DA STRUMENTI RELAZIONALI CHE PRODUCONO

CONTENUTO ALL’INTERNO DELLO STRUMENTO RELAZIONALE PIÙ TIPICO DEL NOSTRO TEMPO: INTERNET.





RINVIO

Il cosiddetto rinvio è uno strumento di sicurezza, utilizzato in alpinismo e in arrampicata, composto da due moschettoni tra loro collegati da una fettuccia di dyneema o nylon. Permette di agganciare rapidamente la propria corda ad un punto di ancoraggio limitando l’attrito della corda tra i vari punti di ancoraggio posti durante la salita. In pratica, il primo di cordata, durante la propria ascensione, utilizza un rinvio per ciascun punto di ancoraggio: a questo egli aggancia uno dei due moschettoni, mentre nell’altro moschettone viene successivamente passata la corda di salita (cui egli stesso è legato). Ciascun elemento che compone il rinvio (moschettoni e fettuccia) deve essere certificato CE e rispondere alle relative norme EN. La normativa attuale (fine 2008) non prevede invece una certificazione del rinvio nel suo insieme, ossia come elemento “unitario”. Storia, tradizione e dialetti d’Italia hanno fatto sì che, nel tempo, per il rinvio siano invalsi nomi e nomignoli tra i più disparati. Alpinisti e arrampicatori di regioni differenti possono per esempio conoscerlo come “preparato”, “sveltina”, “express” ecc.


catechismo della Chiesa Cattolica

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (abbreviato con CCC) è l’esposizione ufficiale degli insegnamenti della Chiesa cattolica in una grande sintesi di tutta la sua dottrina. È un corposo volume di oltre 900 pagine. È stato approvato in prima stesura da papa Giovanni Paolo II con la costituzione apostolica Fidei Depositum (11 ottobre 1992) e in forma definitiva il 15 agosto 1997 con la lettera apostolica Laetamur Magnopere. All’interno di queste due lettere ci sono ulteriori dettagli su chi ha richiesto questo nuovo catechismo, perché è stato richiesto e come si sono svolti i lavori della commissione, nonché del suo valore dottrinale. Il Catechismo della Chiesa Cattolica non si rivolge alla massa dei fedeli direttamente ma vuole essere il testo base di altri catechismi più semplici e sintetici o altre esposizioni della dottrina cattolica, come indicato nella costituzione apostolica Fidei Depositum, che lo descrive come “un autentico testo di riferimento per l’insegnamento della dottrina cattolica e particolarmente per la preparazione di catechismi locali”. Alcuni “Cattolici tradizionalisti” sostengono che gli insegnamenti del CCC sono in contrasto con la teologia cattolica tradizionale e si rifanno dunque al Catechismo Tridentino che è comunque citato spesso all’interno dell’attuale CCC. Queste difficoltà sono causate anche del fatto che alcuni “Cattolici tradizionalisti” non hanno completamente accettato le riforme della Chiesa cattolica operate nel Concilio Vaticano II mentre lo stesso CCC dichiara di derivare da esso, tanto da essere stato definito “frutto maturo del Concilio”.



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DIURNALE

Il diurnale è il libro che contiene la Liturgia delle Ore. La liturgia delle Ore è la preghiera ufficiale della Chiesa Cattolica. Consiste nel canto di salmi, cantici e inni, con l’aggiunta di preghiere e letture dalla Sacra Scrittura. Essa, secondo la stessa Chiesa, è partecipazione sacramentale alla preghiera personale di Gesù Cristo: egli continua incessantemente a pregare e lodare il Padre nella preghiera della Chiesa. Le preghiere sono previste in diverse ore della giornata, articolata nelle ore canoniche. Le due ore principali sono: le Lodi Mattutine, che si celebrano all’inizio della giornata; i Vespri, che si celebrano alla sera, solitamente all’imbrunire o prima di cena. Comprende anche altre ore minori: l’Ufficio delle Letture (un tempo detto Mattutino), che non è legato ad un’ora prestabilita, ma può essere celebrato in qualunque ora della giornata, e che è caratterizzato da una lettura biblica lunga e da un’altra lettura tratta dai Padri della Chiesa; l’Ora media (Terza, Sesta e Nona che corrispondono alle 9, alle 12 e alle 15) la Compieta (prima di andare a dormire). È articolata in un ciclo di quattro settimane (il Salterio), nel quale si recitano quasi tutti i salmi. Lo schema della Compieta è invece articolato su una sola settimana.


rito Ambrosiano

Il rito ambrosiano è il rito liturgico ufficiale adottato nell’arcidiocesi di Milano, che si distingue da quello utilizzato comunemente nel resto dell’Occidente, detto invece rito romano. Il rito ambrosiano deriva dalla tradizione che si è stratificata nella liturgia dell’arcidiocesi di Milano e che viene fatta risalire all’opera del vescovo Ambrogio. La sua sopravvivenza vide molti critici, quando vennero soppressi altri riti locali (come il rito patriarchino, a cui erano legate le città di Monza e Como). Quando papa Gregorio I, alla fine del VI secolo, modificò, riordinò ed estese a tutta la chiesa latina la liturgia romana, il rito ambrosiano riuscì nuovamente a sopravvivere alla soppressione insieme al rito mozarabico. La sua legittimazione definitiva si ebbe comunque con il Concilio di Trento (occorre tener conto che il papa Pio IV era milanese e che l’anima del Concilio fu l’arcivescovo di Milano san Carlo Borromeo) e ribadita dal Concilio Vaticano II.



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MAGLIONE

Una maglia, maglione, pullover o golf è un capo di abbigliamento, relativamente pesante, il cui scopo è quello di coprire il torso e le braccia di chi lo indossa, e normalmente indossato al di sopra di una camicia o di una maglietta. Tradizionalmente le maglie sono fatte di lana, ma sono molto frequenti esempi realizzati in cotone o fibre sintetiche. Con il termine “maglia” vengono indicati una vasta gamma di indumenti che coprono la parte superiore del corpo. Una fondamentale suddivisione è quella fra i cardigan (aperti sul davanti) ed i pullover (chiusi). Anche all’interno di queste categorie è possibile distinguere molteplici design differenti. Una delle caratteristiche principali è la scollatura che può essere tonda, a “V”, a collo alto (dolcevita o lupetto), ecc. Anche la lunghezza delle maniche può variare significativamente, partendo dai modelli a maniche lunghe, a tre quarti arrivando fino a quelli del tutto privi di maniche. I maglioni sono fra i capi di abbigliamento più versatili nell’abbinamento. Possono essere accompagnati con quasi qualsiasi tipo di pantaloni, e nei modelli più formali possono essere indossati anche al di sopra di una cravatta.


preghiera di Taizè

La Comunità di Taizé è una comunità cristiana monastica ecumenica ed internazionale fondata nel 1940 da Roger Schutz, meglio conosciuto come frère Roger (fratello Roger). Ha la sua sede nel piccolo centro di Taizé, in Francia. La comunità di Taizé riunisce oggi circa 120 frères di diverse confessioni cristiane, provenienti da più di 25 nazioni. I giovani che provengono dal mondo intero si ritrovano oggi a Taizé tutte le settimane dell’anno, arrivando a essere anche seimila da una domenica all’altra e a rappresentare più di settanta nazioni. Meditano sul tema “vita interiore e solidarietà umana”. Cercano di scoprire un senso nella loro vita e si preparano ad assumere responsabilità là dove vivono. La comunità non ha mai voluto organizzare i giovani in movimento, ma li stimola a essere portatori di pace, di riconciliazione e di fiducia nelle loro città e parrocchie. Oggi nel mondo il nome di Taizé evoca pace, riconciliazione, comunione e l’attesa di una primavera della chiesa. La comunità di Taizè pratica una preghiera contemplativa strutturata con un’alternanza di silenzio e canone cantato. I canoni sono un genere di canto che caratterizza parte della nutrita raccolta musicale, prodotta dalla comunità di Taizé, oggi spesso usati nelle clebrazioni cristiane in tutto il mondo, caratterizzato dalla ripetizione sovrapposta a più voci di una breve melodia su testi biblici o dei freres tradotti in diverse lingue. L’autore della maggior parte delle musiche di Taizé è il francese Jacques Berthier, morto alla fine degli anni ‘90. Con lui hanno collaborato vari freres, in particolare frère Robert che preparava e dirigeva di volta in volta i gruppi che si impegnavano nel canto. Anche Frere Robert riposa nel cimitero della chiesa romanica di Taizè a pochi metri dalla tomba di frere Roger. Il teologo ortodosso Olivier Clément riferendosi ai canti di Taizè ha scritto: “Ciò che è interessante a Taizè è che questa formula della ripetizione che dà pace è stata ripresa in una prospettiva liturgica, non soltanto personale ma anche comunitaria, in una preghiera comune. Alcuni giovani che non sanno quasi nulla del mistero hanno cominciato a conoscere e ad apprendere la preghiera”.



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PARTITURA

Una partitura (letteralmente e etimologicamente insieme di parti) è l’organizzazione grafica verticale di più righi musicali contemporanei, ad uso del compositore o del direttore d’orchestra al fine poter controllare e gestire con un solo colpo d’occhio l’intera simultaneità delle parti che concorrono all’opera musicale. Si utilizza la scrittura in partitura, quindi, nella musica d’insieme, da camera, corale, orchestrale e bandistica e perfino, per estensione, nella musica elettronica quando la gestione di una complessa polifonia richiede una notazione scritta.


commissione liturgica

L’ équipe liturgica parrocchiale è una struttura di comunione per la preparazione e la realizzazione delle celebrazioni: è dunque indispensabile che in esso convergano tutti coloro che in prima persona sono impegnati nell’animazione liturgica o che hanno un ufficio connesso alla vita liturgica della comunità. Oltre al parroco o a chi abitualmente presiede le celebrazioni (vicario parrocchiale, presbitero collaboratore, diacono) ne faranno parte gli addetti al servizio dell’altare e del presidente, i ministri della Parola di Dio, i ministri del canto e gli animatori musicali, tutti coloro che, in vario modo, sono a servizio dell’assemblea (i commentatori, gli incaricati dell’accoglienza, il sacrista, chi cura la regia delle celebrazioni, anche chi predispone l’addobbo floreale e chi si occupa della pulizia e del riordino dell’aula), senza dimenticare i rappresentanti dell’assemblea. Non a caso il Messale romano avverte: Nel preparare la messa il sacerdote tenga presente più il bene spirituale del popolo di Dio che la propria inclinazione. Si ricordi anche che la scelta di queste parti [letture, orazioni e canti] si deve fare insieme con i ministri e con coloro che svolgono qualche ufficio nella celebrazione, senza escludere i fedeli in ciò che li riguarda direttamente (PNMR3, n. 352). Ovviamente l’équipe è una struttura di coordinamento: ogni ministero e ogni tipo di servizio liturgico sarà quindi rappresentato solo da alcuni elementi. L’importante è non perdere di vista una prospettiva «globale»: i singoli membri non sono lì per difendere ciascuno il proprio spazio né per puro efficientismo, ma dialogare e confrontarsi mettendo le proprie competenze a servizio dell’assemblea, per aiutarla a diventare responsabile della propria preghiera e a vivere pienamente la celebrazione. Questo è l’obiettivo dell’animazione liturgica, che è un vero e proprio ministero.



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MAGLIETTA

La maglietta è un capo di abbigliamento di stoffa, senza bottoni e senza colletto, che ricopre il torso di chi la indossa. Può essere confezionata a maniche lunghe o a maniche corte, in tessuti naturali come il cotone, od in fibre sintetiche. Vi sono magliette in tinta unita oppure in fantasia multi-colore. Nonostante sia possibile riscontrare capi di abbigliamento analoghi con maniche di varia lunghezza, già in età antica (presso gli Etruschi) e nel periodo rinascimentale, esempi di indumenti simili ad una maglietta si diffusero solamente a partire dal XVIII secolo, come indumenti intimi, e dal XIX secolo come capi da lavoro, vista la comodità e la mancanza del colletto, elemento distintivo di eleganza. I marinai dell’Ottocento ne indossavano una variante molto vicina al modello contemporaneo, caratterizzata dalle tipiche righe orizzontali.


educatore

Gli educatori dell’Oratorio non sono liberi professionisti, ognuno con le sue doti e i suoi difetti, ma sono dei “mandati”. Sono mandati dalla Chiesa come collaboratori nell’educare. Il compito educativo è responsabilità faticosa a tempo pieno. La responsabilità educativa è faticosa perché è quotidiana, è una prassi, non è saggezza generica, ma frutto del discernimento spirituale. Bisogna che l’educatore sia vivo; deve esercitare la responsabilità con vivacità spirituale e con atteggiamento di umiltà. L’educatore è un appassionato della vita perché è colui che deve animare la vita dei ragazzi dando l’anima per loro, con generosità ed entusiasmo, perché ha capito che la vita ha un senso solo se vissuta nel servizio e nella condivisione. Egli non ha alcuna pretesa sui ragazzi non li accoglie in base ai suoi desideri ma ha come obiettivi quelli di amarli e di mostrare loro l’amore di Dio. Deve diventare un interlocutore attento e preparato per ogni famiglia. È indispensabile che dietro questo giovane ci siano motivazioni, generosità, competenza, fede in misura adeguata a chi si vuol porre come fratello-sorella maggiore. Potremmo parlare allora di figure intermedie: animatori/collaboratori dell’Oratorio. La “qualifica” di educatore, allora, può anche essere vista come un traguardo da raggiungere. Ognuno dia quello che può e sia ciò che sa essere. Non esistono classifiche che misurano quanto si è cristiani.



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CROCE

Una croce è una figura geometrica che è fatta di due linee o barre che si incrociano con un angolo retto, in maniera tale che una di esse (o tutt’e due) venga divisa a metà. È uno dei simboli umani più antichi, e di fatto la croce è un simbolo usato in molte religioni. 1 Nella numerazione romana, il numero 10 si scrive X. 2 Il carattere cinese per il numero 10 (vedi numerazione cinese). 3 L’obelisco (†;). 4 Il segno di addizione (+) e il segno di moltiplicazione (×). 5 In fisica indica il tempo (t). 6 In geometria analitica è il piano cartesiano suddiviso in quattro quadranti Croce: tipico simbolo cristiano posto su tante vette delle montagne italiane Le prime croci che la storia archeologica ricorda risalgono all’antica Mesopotamia: in particolare la croce, era simbolo del pianeta-dio Nibiru nella cosmogonia sumera, poi del dio Tammuz (Dumuzi in sumero) degli abitanti di Tiro, rappresentante fondamentalmente l’organo genitale maschile. (Tammuz non era altro che il dio della Fertilità). Per la maggioranza dei cristiani la Croce cristiana è un simbolo dell’amore di Dio, in quanto è una rappresentazione della morte che Cristo ha voluto. Egli ha voluto soffrire e morire in croce per redimere gli uomini, anche se la croce è un simbolo di biasimo (Ebrei 6:6) e l’uso della croce nell’adorazione è idolatria (1 Cor. 10:14).


oratorio

L’oratorio (detto anche patronato, parrocchia o centro giovanile) è, in senso moderno, un edificio destinato alla pastorale giovanile della Chiesa cattolica. La struttura oratoriale varia molto dalla località e dalle tradizioni e dalla storia del luogo. Solitamente si trova nei pressi della chiesa parrocchiale e dispone di ambienti di vario tipo. Sono presenti spazi ricreativi quali impianti sportivi all’aperto, in particolare campetti da calcio, e sale giochi, locali per la catechesi o per riunioni in genere e il bar. Gli oratori più moderni sono dotati anche di una sala per le proiezioni, una sala teatro, una sala musica e una cucina. Le attività e la struttura oratoriali sono gestite dal parroco e da volontari; nelle parrocchie più grandi, all’oratorio è associata la figura di un religioso, il curato, che ne coordina l’attività. Molto importante è il ruolo svolto dalle associazioni diffuse a livello parrocchiale (come l’Azione Cattolica, la Gi.Fra., l’AGESCI) e delle associazioni oratoriali (ANSPI, NOI Associazione, CSI e PGS). Le attività in Oratorio sono principalmente pastorali, come la catechesi dei bambini e dei ragazzi e incontri di vario tipo per la comunità dei fedeli, il teatro, la musica e le sagre. L’attrezzatura sportiva e gli ambienti ricreativi rendono l’oratorio anche un luogo di aggregazione e di ritrovo per ragazzi. Inoltre la struttura può essere utilizzata per avvenimenti culturali o di rilevanza sociale, anche da altri enti esterni alla parrocchia. La presenza di animatori religiosi o laici permette attività per i ragazzi durante l’anno, come giochi, accompagnamento nello studio, attività di volontariato e caritative.



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TAU

Il Tau è una lettera degli alfabeti greco ed ebraico corrispondente alla nostra “T”. Fin dai primi tempi della Chiesa cristiana il Tau venne assunto come segno di particolare devozione per divenire, con san Francesco d’Assisi, supporto di una vera e propria mistica. Il motivo dell’importanza di questa lettera si trova nel Vecchio Testamento, al celebre testo del profeta Ezechiele: “Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono”(1). Questo passo era stato commentato da tutti i Padri della Chiesa ed era frequentemente sviluppato nelle prediche del medioevo, rendendo così il Tau ed il suo significato molto diffuso tra il popolo. Con san Francesco d’Assisi il Tau assume il significato che oggi riconosciamo in questo simbolo. Egli utilizzava con frequenza, a scopo di devozione, il Tau: “Familiare gli era la lettera Tau, con la quale firmava i biglietti e decorava le pareti delle celle”(3). Francesco adottò il Tau come distintivo per se stesso per la forma stessa di questa lettera, la cui grafia è quella di una Croce. Così venerava il Tau che gli richiamava l’amore per il Crocifisso. Questo comportamento acquista una particolare importanza se considerato in un’epoca in cui esistevano forti correnti eretiche che rifuggivano da questo stesso segno.


carisma

Il termine greco carisma (χάρισμα, “charisma”) deriva dal sostantivo χάρις, “cháris” («grazia»). Piuttosto raro nel greco profano, dove significa «dono», non è frequente nel Nuovo Testamento. Si ritrova solo nell’epistolario paolino e nella 1 Pt 4,10), ma è di grande importanza e riveste il significato particolare di parola infallibile, la stessa infallibilità assoluta di cui si parla nell’Islam riferendosi ai profeti biblici. In alcuni passi “cárisma” indica la Salvezza di Dio manifestata in Gesù Cristo, il dono della vita eterna (Rm 6,23), della grazia (Rm 5,15). In questo caso l’espressione sottolinea il carattere gratuito, libero della rivelazione, Dio è colui che dà nella sua misericordia. Anche il testo di Rm 11,29, dove è fatta menzione dei doni di Dio, riferiti in particolar modo alla storia di Israele, ha significato analogo. Caratteristico è però l’uso del termine in 1 Cor 12,4.28.30.31 ed in Rm 12,6. In questo caso il càrisma non è la salvezza, ma il dono di una vita spesa al servizio dei fratelli. “Ciascuno metta al servizio degli altri il dono che ha ricevuto, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio”, così scrive Pietro (1 Pt 4,10). Quali siano questi doni e questi servizi che il credente è chiamato a dare ai fratelli non è mai stabilito nel Nuovo Testamento in modo preciso e categorico. Paolo dà degli esempi, cita dei casi concreti in 1 Cor 12 e Rm 12: l’apostolato, le guarigioni, la profezia, la glossolalia, la stessa fede per indicare una gamma vastissima di possibilità di servizio. Il contesto in cui Paolo affronta questo problema è un contesto polemico: i Corinzi sono convinti del fatto che essi abbiano la salvezza solo perché il Signore vivente e presente durante il culto mediante il suo Spirito e che dia ai credenti doni particolari. Apprezzano però le manifestazioni più appariscenti ed eccezionali del culto, quali la glossolalia, perché sembrano dimostrare in modo eloquente la potenza dello Spirito. Il carisma è interpretato dai Corinzi come un dono visibile e straordinario. Paolo intende correggere questa opinione dimostrando che i doni, cioè i carismi del Signore, sono molteplici, complementari, egualmente necessari. Ogni carisma è un’espressione valida della potenza di Cristo, ma nessun carisma può pensare di essere il solo strumento dello Spirito o uno strumento privilegiato.



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