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(Anno XXXV Nuova serie - Anno 13 n. 5 - Settembre/Ottobre 2014 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

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Prima messa nella chiesa dedicata a S. Papa Giovanni

Roncalli e Montini sono stati uniti per quarant’anni in 201 lettere

Giovanni XXIII imparò dalla madre la devozione per la Madonna

Digitalizzate le voci dei Pontefici: da Pio XI a Papa Francesco

SETTEMBRE - OTTOBRE 2014


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Sotto la protezione di Papa Giovanni

richiedi la pergamena ricordo (per Battesimo • Comunione • Cresima • Matrimonio) o il calendario personalizzato 2015 per bambini

“Benedico di cuore questo angioletto innocente”.

Benedico di cuore la vostra giovinezza pura e serena

“Benedico con forza la tua fede cristiana”.

“Benedico di cuore questi diletti sposi”

per ricevere una pergamena o il calendario personalizzato o per pubblicare la fotografia dei bambini con dedica a papa giovanni XXIII inviare busta contenente lettera con indicati i seguenti dati: nome, cognome e data dell'evento al seguente indirizzo: Amici di Papa Giovanni - Via Madonna della Neve, 26/24 - 24121 Bergamo oppure inviare e-mail a: info@amicidipapagiovanni.it oppure telefonare al numero: 035 35 91 111


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Prima messa nella chiesa dedicata a S. Papa Giovanni

«La devozione mariana Roncalli la imparò dalla mamma»

«Negli Usa Roncalli è amato per il suo grande coraggio»

Digitalizzate le voci dei Pontefici: da Pio XI a Francesco

Risultò decisiva per Roncalli la sua esperienza all’estero

Roncalli e Montini, uniti per 40 anni in duecento lettere

«Papa Giovanni in fuga e le forze dell’ordine andarono in tilt»

Si è spenta a 77 anni Adelaide Roncalli, la «veggente» di Ghiaie

settembre/ottobre

Direttore responsabile Claudio Gualdi Editrice Bergamasca ISTITUTO EDITORIALE JOANNES

Il Comune di Blello ha dedicato una strada a Papa Giovanni

Santelle e affreschi: testimonianze di una religiosità popolare

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Anno XXXV Direzione e Redazione via Madonna della Neve, 26/24 24121 Bergamo Tel. 035 3591 011 Fax 035 3591117 Redazione: mons. Gianni Carzaniga don Oliviero Giuliani Claudio Gualdi Pietro Vermigli Giulia Cortinovis Marta Gritti padre Antonino Tagliabue Luna Gualdi Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini Fotografie: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa Giovanni”, Archivio “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII”

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AVVENIMENTI

Prima messa nella chiesa dedicata a S. Papa Giovanni Si trova nel nuovo complesso ospedaliero di Bergamo anch’esso intitolato a Roncalli

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’ stato un religioso vincenziano etiope, padre Mebratu Hgioygis, a celebrare, nella mattinata di domenica 27 luglio, la prima Messa nella nuova chiesa di San Papa Giovanni XXIII del nuovo ospedale di Bergamo, anche questo a lui dedicato. Da due anni il religioso, studente di Comunicazioni sociali alla Gregoriana di Roma, durante le vacanze estive aiuta la comunità dei sei frati Cappuccini che opera in ospedale e assiste spiritualmente e moralmente i degenti e il personale medico infermieristico. Proponiamo ai nostri lettori questo atteso evento attraverso un servizio pubblicato su L’Eco di Bergamo a firma di Carmelo Epis. Questo grande momento negli esordi storici della chiesa del nuovo ospedale ha visto la presenza di tanta gente, fra cui i degenti e i loro parenti, il personale, Peter Assembergs (direttore amministrativo dell’ospedale), Mario Ratti (presidente del comitato per la costruzione della nuova chiesa), ma anche tante persone giunte per la celebrazione. All’inizio della Messa, il religioso cappuccino padre

Giovanni Cropelli ha salutato i presenti dando il benvenuto nella nuova chiesa, che rappresenta «un grande dono per tutti, un luogo di fede, amore e gioia. Siete qui a vedere questa bella chiesa soprattutto perché siete credenti». Concetto ribadito anche nell’omelia da padre Cropelli: «Oggi la società ha paura di decidere perché si ha paura. E la paura indica assenza di amore. Se non ci si sente amati, tutto diviene nulla. Così anche per un malato: se non si sente amato, anche la più grande struttura ospedaliera del mondo non serve a nulla. Uscendo da questa chiesa, portate fede, gioia, speranza e amore a tutti». Al termine, tutti hanno ammirato l’interno luminosissimo della chiesa, soprattutto le vetrate absidali, sia quella che raffigura Papa Giovanni mentre consola malati e afflitti affinché non perdano la speranza nel domani, sia la caratteristica Crocifissione, ambientata nella radura di un bosco dove passa un pavone, simbolo di eternità. Poi i modernissimi affreschi e la particolarissima Via Crucis che ambienta la Passione nella città di Bergamo nello stile da narrazione con rimandi alla pittura fiamminga. Ma anche l’esterno ha colpito i commenti dei visitatori, dal complesso della chiesa all’iscrizione sulla scalinata «La Conferenza episcopale italiana e la Fondazione Banca Popolare di Bergamo affidano alla protezione del Santo Giovanni XXIII la speranza di coloro che soffrono». Poi in serata c’è stata la celebrazione della seconda Messa, con l’intervento della Corale di Palosco (Comune di Bergamo). La chiesa è stata aperta il 25 giugno da un convegno con l’intervento del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, e dal vescovo di Bergamo Francesco Beschi. La chiesa sarà consacrata dal vescovo il prossimo 11 ottobre, festa liturgica di San Papa Giovanni. A partire dal 27 luglio la Messa sarà celebrata ogni

I fedeli durante la funzione

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giorno. La domenica alle 10,30 e alle 17, nei giorni feriali alle 7,30 e alle 17. La chiesa rimarrà aperta dalle 7,30 alle 12 e dalle 15 alle 17 (con possibilità di visita guidata). Intanto i frati Cappuccini continuano il loro servizio nel mondo della malattia e della sofferenza, iniziato nel 1630, quando la municipalità di Bergamo chiese il loro aiuto nei drammatici frangenti dell’epidemia di peste. Un servizio continuato nell’antico ospedale di San Marco, nell’Ospedale Maggiore (poi chiamato Riuniti) di largo Barozzi e ora in quello nuovissimo, intitolato a San Papa Giovanni. La chiesa dell’ospedale Papa Giovanni XXIII

Nel segno di Roncalli Due anni trascorsi nel segno di Papa Giovanni, due anni segnati prima dal cinquantesimo anniversario della morte del Pontefice bergamasco e subito dopo dall’annuncio della sua canonizzazione comunicata da Papa Francesco all’inizio di luglio. Sul cammino percorso dalla diocesi in questi due anni si è soffermato in particolare il vescovo Francesco Beschi in occasione del convegno che ha preceduto l’apertura della nuova chiesa dell’ospedale, nuova chiesa che, come l’ospedale, porta il nome del Pontefice bergamasco. Beschi ha esordito salutando e ringraziando il cardinale Bagnasco, tutte le autorità e i convenuti, coloro che hanno lavorato per questa nuova chiesa, gli artisti, i progettisti, il comitato apposito. Ha detto Beschi: «In questi due anni abbiamo valorizzato la conoscenza del nostro Papa santo, soprattutto con il lavoro della Fondazione Papa Giovanni, prezioso strumento culturale, autentica miniera documentaria per uno studio ancora ampio della vita, delle opere e del pensiero di Angelo Roncalli. Abbiamo alimentato la devozione nei confronti della figura luminosa e attraente del Papa Buono, accompagnando il significativo impegno della parrocchia di Sotto il Monte, in collaborazione con la Comunità missionaria dei padri del Pime e della comunità religiosa delle suore delle Poverelle. Il nostro desiderio è di offrire in quel luogo che assume il significato di un’icona, la possibilità di percorsi di fede, illuminati dalla testimonianza del Santo Papa, che conducano in direzione di ciò che è stato il cuore della sua esistenza: l’amore al Crocifisso e l’amore per la Chiesa. Sono percorsi che

si propongono di introdurre a una consapevolezza rinnovata di ciò che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha rappresentato nella parabola del Papa e nella vita della Chiesa contemporanea. E a questo proposito voglio ricordare in questo contesto l’amata figura del “giovane” cardinale Francesco Loris Capovilla, da decenni residente nel paese natale di Papa Giovanni: con la sua intelligenza, la sua bontà, la sua fede è testimone vivente della grande avventura giovannea e di questo lo ringrazio di tutto cuore. La terza traccia che abbiamo perseguito è quella dell’ispirazione di San Giovanni XXIII. Papa Francesco, nell’omelia della canonizzazione, ce lo ha consegnato come uomo tutto “docile allo Spirito Santo”. Questa docilità, il suo radicamento nella tradizione della Chiesa, la speranza suscitata dal suo sguardo d’amore ci hanno ispirato, particolarmente quest’anno, un rinnovato slancio di carità, soprattutto nei confronti delle famiglie provate dalla crisi economica». Ma il vescovo Francesco ha poi sottolineato l’importanza dell’ospedale Papa Giovanni per la comunità bergamasca, «un luogo in cui la malattia e la cura non sono solo condizioni materiali, ma implicano una serie di aspetti che abbracciano tutta l’esistenza». In tale prospettiva è nato il progetto «di realizzare un segno “forte”, artisticamente rilevante, economicamente impegnativo, spiritualmente significativo. Una chiesa dedicata ai malati, all’ospedale, a tutta la città degli uomini: uno spazio celebrativo, ma anche uno spazio di dialogo interiore, un luogo in cui la 5


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Conferenza episcopale italiana sia la Fondazione Banca Popolare di Bergamo hanno aderito subito provvedendo all’80% della spesa». La firma del progetto è degli stessi architetti che hanno lavorato al nuovo ospedale: il francese Aymeric Zublena e Pippo e Ferdinando Traversi.

profondità dell’abisso si apra e si illumini di questa verticalità, di questa luce e di questa immagine». Ma una splendida chiesa di pietra o cemento non basta. Ha detto Beschi: «Papa Francesco insiste su una Chiesa in uscita, capace di incontrare gli uomini nei loro vissuti... occorrono persone disposte a uscire dai propri confini per disporsi al servizio reale di coloro che faticano a vivere». «E’ una chiesa sobria, lineare, luminosa. Un luogo religioso ma anche di cultura e umanità. Una carezza nel tempo della sofferenza», ha sottolineato mons. Giulio Dellavite, segretario generale della Curia di Bergamo. Una carezza come quella, celeberrima, del discorso della luna di Papa Giovanni. La chiesa dell’ospedale, voluta dalla Diocesi in occasione della canonizzazione di Roncalli, rappresenta un segno forte che resterà visibile anche per le future generazioni. «Ci sono voluti sei anni e mezzo – ha detto Mario Ratti, presidente del comitato per la chiesa costituito nel 2007 – per arrivare a questo risultato. Servivano risorse importanti, ma per fortuna sia la

Il dipinto di Pei Ming Intanto è stato stabilmente esposto all’ingresso dell’ospedale San Papa Giovanni XXIII il dipinto che raffigura il Pontefice bergamasco, opera del cinese Yang Pei Ming. La Banca Popolare di Bergamo ha infatti concesso in comodato gratuito per dieci anni all’Azienda ospedaliera il dipinto che era stato commissionato direttamente dall’istituto di credito al grande artista contemporaneo. Yang Pei Ming, autore laico, nella sua opera sembra essere riuscito a esprimere un senso di profondità umana, di grande spiritualità nel volto di Roncalli. Yan Pei Ming è noto per i suoi grandi ritratti quasi monocromi – in nero, in grigio, rosso combinati con il bianco – riguardanti le massime autorità politiche, religiose, della cultura, spettacolo... L’artista spazia fra oriente e occidente. Ha dichiarato: «L’arte riguarda l’uomo. Parla alla gente. Il ritratto è come uno specchio, riflette a ognuno di noi chi siamo e che cosa siamo. Il mio lavoro si orienta sempre verso l’essere umano, che è il centro, l’elemento fondamentale delle mie opere. Se mi si chiede di creare un dipinto astratto, non posso realizzarlo. Sono interessato agli esseri umani, alle persone». Giorgio Frigeri, presidente della Banca Popolare di Bergamo, ha detto: «La collaborazione tra la banca e l’ospedale risale al 1927, data della posa della prima pietra dell’Ospedale Maggiore, la cui costruzione venne finanziata dalla banca con importi elevatissimi, ed è proseguita ai nostri giorni con il sostegno ai progetti di ricerca finalizzati al progresso». Frigeri ha poi espresso la soddisfazione per il dipinto e per la decisione di collocarlo all’interno dell’ospedale. Il direttore generale dell’azienda ospedaliera Papa Giovanni, Carlo Nicora, si è detto molto contento della collaborazione fra banca e ospedale: «Oggi questa vicinanza ha il volto amorevole di quel Papa a cui il nostro ospedale è dedicato».

Il cardinale Angelo Bagnasco nella chiesa dell’ospedale

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INTERVISTE

«Negli Usa Roncalli è amato per il suo grande coraggio» Parla l’assistente per i giornalisti di lingua inglese della sala stampa della Santa Sede

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egli Stati Uniti e in Canada è sempre e solo «the good Pope». Padre Thomas Rosica, assistente per i giornalisti di lingua inglese della Sala Stampa della Santa Sede e direttore del più importante network multimediale nordamericano «Salt and Light» parla di Giovanni XXIII visto dall’altra sponda dell’oceano. L’intervista che proponiamo è stata pubblicata nello scorso aprile su L’Eco di Bergamo, poco prima della canonizzazione di Roncalli, a firma di Alberto Bobbio. Cosa significa «the good Pope» per gli americani? «Non è solo sentimento e tenerezza per il Papa buono. Per gli americani Roncalli è sinonimo di Concilio Vaticano TI, della stagione delle grandi speranze. Roncalli è sempre associato ai Kennedy e non solo per la crisi di Cuba quando Roncalli con i suoi interventi fermò i missili di Mosca». Ma è affetto per l’uomo o per la geopolitica del suo pontificato? «Gli americani non distinguono. Ritengono Roncalli l’uomo delle scelte audaci, perché ha convocato il Concilio, perché ha aperto le porte della Chiesa. Di Roncalli sottolineano il sogno di una Chiesa nuova e il suo coraggio. Esattamente come di Kennedy rimarcano il sogno americano, quell’american dream, che forgia le speranze degli anni Sessanta da Kennedy a Martin Luther King. Negli Stati Uniti e in Canada Roncalli è come loro, uno che getta l’anima oltre l’ostacolo, non si ferma, non ha paura». Insomma guardare oltre il presente. «Esattamente. Roncalli è il Papa della grandi visioni, il Pontefice che non fa i conti con un ristretto presente. Giovanni XXIII è il Papa che guarda lontano, anche se sapeva benissimo che lui non aveva molti anni davanti a sé. Roncalli piace perché è ardimentoso e lo stesso aggettivo viene usato per connotare il Concilio: tempi ardimentosi, e comunque positivi».

Papa Giovanni XXIII durante un rito in S. Pietro

Voi cosa state facendo? «Abbiamo prodotto due documentari, uno in inglese e uno in francese, per approfondire la figura di Roncalli intrecciandola al Concilio Vaticano II. Non è facile per il mercato americano che chiede soprattutto spettacolo. Più semplice è per Karol Wojtyla. Ma entrambi cerchiamo di raccontarli come persone che invitavano a sognare in grande e a non essere mai prigionieri degli schemi. Naturalmente per Papa Giovanni XXIII dobbiamo fare uno sforzo in più. In Nord Amenica quasi nessuno conosce la Pacem in terris e noi abbiamo raccolto la sfida di spiegarla, anche ai giovani. Prossimamente, ad esempio, sarò con una troupe a Sotto il Monte». Come è l’attesa della canonizzazione? «I maggiori network trasmetteranno in diretta le immagini da piazza San Pietro, che per la costa del Pacifico significa sintonizzarsi all’una della notte. Il mio commento in inglese sarà ripreso da molte televisioni e radio». 7


CONFERENZ E

Risultò decisiva per Roncalli la sua esperienza all’estero Questo il filo conduttore dell’incontro svolto a Bergamo dallo storico Andrea Riccardi

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econdo lo storico Andrea Riccardi, «se Angelo Giuseppe Roncalli non fosse divenuto Pontefice, se anche non fosse stato beatificato e poi canonizzato, la sua vicenda risulterebbe comunque affascinante: è l’esempio di un umanesimo cristiano basato sul metodo dell’incontro, sulla capacità di oltrepassare le barriere tra gli Stati, le culture e le religioni senza dimenticare le proprie radici. In questo senso, Papa Giovanni è davvero un santo “dell’epoca della globalizzazione”! ». E’ stata intitolata appunto «San Giovanni XXIII: l’uomo dell’incontro. Papa Giovanni: emigrazione e immigrazione» la conferenza che Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre nonché

ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione nel governo Monti, ha tenuto lo scorso 19 luglio mattina presso il Palazzo Morando, in Città Alta a Bergamo. Quello che riportiamo di seguito è un servizio giornalistico, a firma di Giulio Brotti e pubblicato su L’Eco di Bergamo, il giorno dopo questo appuntamento. L’iniziativa della conferenza è stata promossa dalla Fondazione Papa Giovanni XXIII e dall’Ente Bergamaschi nel mondo: per quest’associazione, oltre al presidente Carlo Personeni e al direttore Massimo Fabretti, erano presenti i membri di diversi circoli all’estero, tra i quali monsignor Luigi Betelli, che dal 1971 esercita il suo ministero in Germania, Carlo Oberti da Zurigo e una cospicua delegazione da Bois-d’Haine (Belgio), accompagnata dal cavaliere Giovanni Bacis, classe 1923, presidente del circolo di La Louvière, e dalla segretaria Giuliana Tosello. Riccardi, autore tra l’altro del recente volume «L’uomo dell’incontro. Angelo Roncalli e la politica internazionale» (San Paolo, pp. 256, 18 euro), ha ricordato come il futuro Papa «avesse trascorso gran parte della propria vita, dal 1925 al 1953, all’estero, da rappresentante diplomatico della Santa Sede in Bulgaria, in Turchia e poi in Francia, prima di essere nominato patriarca di Venezia. Proprio prendendo possesso della sede veneziana, Roncalli tenne un discorso da cui traspariva come le esperienze acquisite in diverse parti del mondo fossero divenute in lui, al tempo stesso, tratto umano e metodo pastorale: egli diceva, infatti, di essersi sempre preoccupato “più di ciò che unisce che non di quello che separa e suscita contrasti”». Nel corso dei suoi viaggi e missioni, Roncalli aveva anche avuto modo di incontrare molti italiani emigrati in cerca di lavoro; già dagli anni della fanciullezza, anzi, era rimasto impresso in lui il

Papa Giovanni ripreso mentre prega

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ricordo di alcuni compaesani che partivano da Sotto il Monte per le Americhe: «Nella prima enciclica di Giovanni XXIII, l’“Ad Petri Cathedram” – ha spiegato Riccardi – si sottolineano i problemi e i rischi a cui gli emigranti possono andare incontro, come quello di allontanarsi dalle tradizioni morali e religiose. In Roncalli non troviamo, tuttavia, un atteggiamento pessimista o conservatore. Anche le migrazioni, a suo giudizio, possono contribuire ad avvicinare i popoli del mondo: “Nessuno basta a se stesso – affermava in un discorso del 1962 – né sul piano individuale né su quello dei popoli. Il grande rispetto che si deve e che si dà alle forze vive dell’intelligenza e delle braccia, ha accelerato il superamento di antichi schemi, e sta per cancellare la penosa nomenclatura di straniero, di apolide, di tollerato”». Secondo Riccardi, una ricognizione storica sul profilo umano e spirituale di Papa Giovanni offre spunti per riflettere sulla nostra attualità: «Nefla “Pacem in Terris” si parla esplicitamente del “diritto di emigrazione e di immigrazione”. Nell’epoca della globalizzazione, tali fenomeni ci pongono evidentemente di fronte a nuovi problemi, che però non andrebbero lasciati all’isteria di polemiche infondate, come quelle che spesso percorrono il nostro Paese». Nell’ultima parte dell’incontro si è unito ai presenti il vescovo di Bergamo Francesco Beschi, che ha

Visita pastorale di Roncalli ad Ankara nell’aprile del 1942

rivolto parole di apprezzamento al giornalista Marco Roncalli e a don Ezio Bolis, rispettivamente presidente e direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII: «Anche recentemente, a Santiago di Compostela – ha detto monsignor Beschi – ho avuto conferma dell’enorme popolarità di cui gode la figura di san Giovanni XXIII. Eppure, a tale simpatia e affetto non corrisponde ancora una conoscenza adeguata di molti aspetti della sua vita e della sua opera: compito della Fondazione a lui intitolata è di contribuire a colmare tali lacune, come depositaria di un tesoro documentale che non va custodito in uno scrigno, ma deve poter generare nuove prospettive e idee».

Inaugurato a Sant’Omobono l’affresco per Papa Giovanni Il forte legame fra Papa Giovanni XXIII e la Valle Imagna (Bergamo) diventa arte. Nel centro del Comune di Sant’Omobono Terme, in località Selino Basso, torreggia infatti il grande dipinto murale realizzato dall’artista locale Gianluigi Salvi, dedicato al Papa bergamasco in occasione dell’anno della sua santificazione, avvenuta il 27 aprile scorso. Molti i protagonisti fautori dell’opera, voluta fortemente dall’associazione Isot (Imprenditori di Sant’Omobono Terme) in collaborazione con il Centro studi Valle Imagna, il comitato spontaneo sostenuto dall’archivio Foto Frosio, Bim di Bergamo, Comune di Sant’Omo-

bono Terme e altri Comuni e parrocchie della Valle Imagna. «Abbiamo deciso di realizzare quest’opera – spiega Antonio Carminati, direttore del Centro studi Valle Imagna – nell’ottica di lasciare un segno concreto e tangibile nell’anno della santificazione di Angelo Giuseppe Roncalli, che testimoni la devozione del popolo della Valle Imagna nei suoi confronti». L’affresco non è semplicemente una rappresentazione artistica della Valle Imagna e di Papa Giovanni, ma il simbolo di un’identità territoriale, culturale, religiosa e sociale racchiusa sotto lo sguardo protettivo e rassicurante dell’amato San Giovanni XXIII.

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«Questo dipinto murale – continua Carminati – rappresenta la valle nel suo insieme, è un disegno didascalico su cui sono raffigurati tutti i campanili, le contrade, le strade che muovevano i villaggi e sopra il monte Resegone si staglia la figura di San Giovanni XXIII con le braccia aperte in segno di accoglienza». «Nella descrizione dei singoli villaggi – conclude il direttore del Centro studi – l’artista ha messo in evidenza alcuni caratteri sociali, economici e ambientali della valle. Da questo dipinto non solo c’è un invito a entrare in Valle Imagna e conoscere i suoi luoghi, ma anche a percepire alcuni aspetti sulla vita della valle».


P ER S ONAGGI

Roncalli e Montini, uniti per 40 anni in 201 lettere Missive definite «di fede e amicizia». L’epistolario è avvenuto tra il 1925 e il 1963

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uecentouno lettere, dal 1925 fino alla fine di maggio del 1963, fino alla vigilia della morte di Papa Giovanni XXIII. Questo l’inizio dell’articolo a firma di Paolo Aresi che è stato pubblicato su L’Eco di Bergamo alcuni mesi fa e che vogliamo riproporre ai nostri lettori. Il servizio così continua. Lettere di cortesia, lettere di lavoro, lettere sospese tra il dominio della forma e l’emergere di una sostanza profonda, che sta dentro le parole: la vicinanza umana. La simpatia fra due uomini che erano molto diversi, persino fisicamente, eppure si attiravano come due poli di calamita: perché le differenze li univano e in qualche modo li completavano. Due grandi uomini. Di loro ha parlato al Centro studi Paolo VI di Concesio il vescovo di Bergamo Francesco Beschi, presentando il libro che raccoglie la relazione epistolare di Roncalli e Montini. «Li univa una profonda umanità e la grande passione

per la Chiesa», ha detto in esordio il vescovo, cresciuto e ordinato sacerdote a Brescia (ne è stato anche vescovo ausiliare). La grande passione Il volume, edito da Studium, ha per titolo «Lettere di fede e amicizia. Corrispondenza ine- dita (19251963)». Ha detto Beschi: «E’ un testo particolare. Papa Giovanni e Paolo VI sono punti luminosi per la nostra generazione, per la Chiesa, per il mondo. Il titolo del libro parla di un rapporto di fede e amicizia: in effetti dalla lettura di queste parole emerge questa relazione amichevole, questo affetto, ma sullo sfondo grande della vita della Chiesa e del mondo. Emergono da questo carteggio due figure impregnate di amore per Gesù, per la Chiesa, per la missione della Chiesa». Tre periodi L’incontro è stato introdotto da don Angelo Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI, il quale ha spiegato come questo libro sia nato da una pubblicazione di monsignor Loris Capovilla, segretario di Papa Giovanni, che è stata completata da Marco Roncalli, giornalista e presidente della Fondazione Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Ha spiegato il vescovo Beschi: «Il libro comprende tre periodi: quello in cui Roncalli è visitatore apostolico in Bulgaria, dal 1925 al 1935 e poi viene destinato in Turchia e Grecia fino al 1945; il secondo nucleo è quello della nunziatura apostolica a Parigi; il terzo è quello del patriarcato a Venezia e poi del papato, dal 1953 al 1963». Nel frattempo Montini è il giovane prete che si occupa degli studenti universitari, quindi entra in segreteria di Stato a Roma, viene ordinato vescovo e nel 1954 viene eletto arcivescovo di Milano. Be-

Roncalli in un’istantanea del 1951

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schi ha spiegato come la preziosità del libro, oltre che nelle duecentouno lettere, stia negli apparati critici, nelle note realizzate dai curatori dove diversi brani delle lettere vengono messi in relazione con altri scritti dei due protagonisti, per esempio i diari di Papa Giovanni XXIII. Ne emerge un affresco di quasi quarant’anni di relazione personale, ma anche di relazione con tutta la Chiesa e il mondo. Una relazione che si costruisce man mano. Non è un colpo di fulmine. E così la storia della relazione fra questi uomini di Chiesa così in apparenza diversi è cresciuta nei decenni, si è articolata, ha acquisito confidenza e profondità. Le origini Monsignor Beschi ha sottolineato le differenze fra i due uomini, a partire dalle loro origini, contadine per Roncalli, altolocate per Montini. E forse anche in questo i due si completavano, ciascuno disponeva di un patrimonio particolare rispetto all’altro. Diversi i passaggi interessanti, alcuni riguardano anche la grande storia. Come nella lettera di Roncalli, l’8 luglio del 1943, quando scrive di un incontro con l’ambasciatore tedesco ad Ankara, Von Papen, che poi lo aiutò a salvare tanti bambi-

Il patriarca di Venezia Roncalli incontra l’arcivescovo di Milano Montini

ni ebrei. Von Papen parla della violenza dei russi che a Katyn uccisero 15 mila ufficiali polacchi, dice che i polacchi dovrebbero avere fiducia nei tedeschi. Scrive Roncalli a Montini: «Risposi con mesto sorriso che bisognava innanzi tutto far dimenticare i milioni di ebrei inviati e soppressi in Polonia, e che in ogni caso questa era una buona occasione per il Reich di cambiare registro nel trattamento dei polacchi»..

Diocesi di Bergamo in festa: mons. Malvestiti vescovo di Lodi Papa Francesco ha nominato vescovo di Lodi mons. Maurizio Malvestiti della diocesi di Bergamo, finora Sottosegretario della Congregazione per le Chiese Orientali. L’annuncio è stato dato dal vescovo di Bergamo mons. Francesco Beschi al termine del Pontificale in Duomo per la ricorrenza di Sant’Alessandro. Mons. Malvestiti è nato a Marne il 25 agosto 1953. Dopo gli studi ecclesiastici nel Seminario Vescovile di Bergamo, è stato ordinato sacerdote l’11 giugno 1977. In seguito ha proseguito gli studi accademici in Teologia a Roma. Ha svolto i

seguenti incarichi: Vicario parrocchiale a Pedrengo (Bg); dal 1978 al 1994 Educatore, Insegnante e Vicerettore delle Medie del Seminario di Bergamo, Coadiutore festivo nella Parrocchia di Suisio (Bg), Vicerettore della Comunità del Liceo del Seminario, Studente a Roma. Dal 1994 al 2009 Officiale e poi Capo-ufficio nella Congregazione per le Chiese Orientali col compito di segretario particolare dei tre Cardinali Prefetti che si sono succeduti alla sua guida. Dal 2009 Sottosegretario della medesima Congregazione, Respon-

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sabile dell’ufficio Studi e Formazione, Membro delle Commissioni Bilaterali tra la Santa Sede e gli Stati di Israele e Palestina, Docente nel Pontificio Istituto Orientale e Rettore della Chiesa di San Biagio degli Armeni in Roma, Cappellano Conventuale dell’Ordine di Malta. Conosce l’inglese e il francese. E’ stato nominato Cappellano di Sua Santità nel 1996 e Prelato il 26 agosto 2006. Mons. Malvestiti succede a mons. Giuseppe Merisi che aveva rassegnato le sue dimissioni a Papa Francesco per sopraggiunti limiti di età.


A V V ENIMENTI

«Papa Giovanni in fuga e le forze dell’ordine in tilt» Gusso, suo aiutante di camera, ricorda: «Siamo andati in giro per Roma di nascosto»

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Non lo mollavano un attimo: ad inseguirlo c’era sempre una selva di microfoni di tutte le tivù e le radio del mondo». E’ quanto sottolinea Guido Gusso, l’aiutante di camera di Papa Giovanni, che a tutt’oggi è considerato il decano dei «maggiordomi» dei Papi. Ciò che riporta è stato pubblicato lo scorso aprile sul quotidiano L’Eco di Bergamo in un articolo a firma di Alberto Bobbio. Questo il servizio. Guido Gusso racconta e mette in fila aneddoti ed episodi del suo rapporto straordinario avuto con Angelo Roncalli. Ha gli occhi lucidi, gesticola piano, mentre i giornalisti riempiono i taccuini e i file dei registratori digitali.

Dice: «Santo? Non c’è bisogno che qualcuno metta la firma sulle carte. Roncalli è sempre stato un Santo». Ricorda anni anche un po’difficili, perché quel Roncalli in Vaticano sparigliava un po’ le carte. Esattamente come Papa Francesco. Gusso ricorda quando lo ha incontrato qualche mese fa: «Lei, Santità, è quasi uguale a Papa Giovanni, ha la sua stessa bontà e libertà e poi si occupa della povera gente». Guido Gusso è entrato al servizio di Roncalli a Venezia, quando era Patriarca. Figlio di pescatori, povero di famiglia: «Una volta gli chiesi un aumento. Era quattro anni che lavoravo lì, mi dovevo sposare. Prima di andare da lui mi sono fatto un bicchierino di grappa per farmi coraggio». Pochi giorni prima di morire Giovanni XXIII lo chiama e gli rimprovera di comunicarsi troppo poco. Poi gli promette una promozione. Gusso rifiuta. «Lei mi proteggerà dal Cielo». Roncalli risponde: «Se hai bisogno in qualunque momento chiama e io ti aiuterò». Si commuove: «Sì, l’ho sempre tirato per la sottana e lui mi ha sempre aiutato». «Un paio di volte siamo andati in giro per Roma, di nascosto, e gli mettevo un cappotto scuro sulla veste bianca. Altre volte scappavamo sui Colli Albani: prendevamo la mia macchina, una Opel Record bicolore con tetto in crema mentre il resto era blu. Un giorno mi disse che era stufo di passeggiare per i giardini vaticani, voleva andare a Villa Borghese, al Gianicolo. E io gli dicevo che non si può. Ma Roncalli alzava la voce: “Come non si può?”, e i gendarmi diventavano matti perché non sapevano dove era finito il Papa». Un giorno andarono ai Pratoni di Vivaro, appena oltre i Castelli romani, e al ritorno la gente, attraversando Marino, lo riconobbe: «Fu il caos, e sulla porta della Villa di Castelgandolfo c’erano i gendarmi in subbuglio e la polizia italiana pure». Racconta di

Guido Gusso con Papa Roncalli e Loris Capovilla

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quando la polizia si stufò delle fughe e lo denunciò. In Vaticano arrivò una lettera. Roncalli lo chiamò insieme a monsignor Dell’Acqua, sostituto alla Segreteria di Stato. Gli lesse la lettera e si mise a ridere: «Era contento di quelle fughe». Con i gendarmi aveva uno stretto rapporto: «All’epoca i gendarmi non si potevano sposare prima dei 28 anni, come i carabinieri. Ce n’era uno che aveva 24 anni, venne da me a lamentarsi: “Non ho i soldi per sposarmi”. Lo dissi al Papa, la sera mi dette una busta di soldi e disse di portarla al gendarme, che così poteva comprarsi la sala da pranzo». Ma ci sono anche gli episodi che dimostrano il fastidio di Roncalli per il protocollo vaticano: «Quando è stato eletto e il Conclave non era ancora concluso, mi disse di andate alla Domus Mariae a recuperare alcuni suoi effetti personali. Io chiesi il permesso al cardinale Tisserant, decano del Collegio cardinalizio, e lui mi rispose: “Siamo ancora in Conclave, non puoi uscire, se lo fai ti scomunico. Lo dissi a Roncalli, che ribatté: “Tu vai e se lui ti dà la scomunica io poi te la tolgo...”». Papa Giovanni eliminò il «bacio della pantofola», la «falda», cioè il drappo damascato che ricopriva i piedi del Pontefice quando si sedeva. Poi Gusso racconta un episodio che fa ridere tutti i giornalisti: «Il vice direttore de “L’Osservatore Romano”, Cesidio Lolli, va dal Papa per correggere le bozze e si inginocchia alla scrivania. “Ma che fa, si sieda!”, gli dice Roncalli. E lui niente. Lolli spiegò che non poteva poiché da vent’anni con Pacelli era abituato a correggere le bozze in ginocchio. Allora Roncalli alzò la voce: “Se non si siede, me ne vado io”. E Lolli si sedette».

Papa Giovanni mentre prepara un discorso

Papa Giovanni aveva una certa diffidenza nella Curia che lo circondava: «Avevamo trovato alcune parole utilizzate dal Papa in conversazioni telefoniche riservate con il Segretario di StatoTardini pubblicate praticamente uguali sul settimanale “Il Borghese”. Allora si decise di controllare, lui e io, tutta la linea telefonica per cercare eventuali cimici. Non le trovammo». E ricorda l’incontro con il primate anglicano Geoffrey Fischer, che la Curia non voleva assolutamente: «Non fu permesso al fotografo di fare il suo lavoro. Anzi, venne minacciato di licenziamento se fosse salito dal Papa a fotografare l’incontro». Così di quello storico incontro oggi non esiste documentazione fotografica.

Papa Giovanni a Imbersago: un monumento di devozione «E’ un libro che ripercorre un frammento importante della grande storia del Pontefice bergamasco. Ma fa riscoprire anche una devozione mariana che esprime la ricchezza di un popolo». Così, nell’ambito della manifestazione «Bergamo Incontra» tenuta in centro a Bergamo, l’autore, il giornalista Ambrogio Amati, ha parlato del volume «Il monumento a Papa Giovanni XXIII», cioè la grande

statua posta sull’imponente scalinata del santuario della Madonna del Bosco a Imbersago. Il libro (edizioni Ancora, pp. 144) è frutto di ricerche archivistiche e arricchito da foto anche inedite. «Anche questo libro – ha detto monsignor Gianni Carzaniga, parroco di Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo, intervenuto alla presentazione – testimonia ulteriormente le forti radici religiose e popolari

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di Papa Giovanni». Andrea Valesini, caporedattore de L’Eco di Bergamo, ha posto alcune domande all’autore, ricordando due affermazioni. Una di Angelo Roncalli, che definì il santuario di Imbersago «il sorriso della mia infanzia». L’altra del vescovo Roberto Amadei, quando disse che «i devoti di Papa Giovanni sono tantissinii, ma pochi quelli che lo conoscono in profondità».


INTER V IS TE

«L’amore per la Madonna lo imparò dalla mamma» Il cardinale Angelo Comastri ricorda Giovanni XXIII e la sua bontà di Papa mariano

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roponiamo ai nostri lettori un’interessante intervista fatta da Emanuele Roncalli, pronipote di Giovanni XXIII, e pubblicata su L’Eco di Bergamo a metà dello scorso aprile, poco prima della canonizzazione del Papa bergamasco. Il cardinale Angelo Comastri è vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano. Sono giorni intensi di preparazione all’evento del 27 aprile. Lo abbiamo incontrato in un raro momento di pausa per intervistarlo.

26 dicembre 1958, andò a visitare i detenuti nel carcere di Regina Coeli parlò con una tale semplicità e con una tale bontà da conquistare i cuori duri di coloro che lo ascoltarono. Disse: “Anche questa è la casa del Padre, anche voi siete figli di Dio. Volevate vedermi: ecco, sono qui. Ho messo il mio cuore accanto al vostro cuore. Ho fissato i miei occhi nei vostri occhi. Scrivendo a casa, date il saluto del Papa ai vostri famigliari. Vi benedico tutti!”. Un detenuto, conquistato dalla bontà che sprizzava dalle parole del Papa, superò il cordone di sicurezza e si buttò ai piedi di Giovanni XXIII, dicendo: “Sono un delinquente! C’è speranza anche per me?”. Papa Giovanni lo abbracciò e gli sussurrò all’orecchio: “C’è speranza per tutti!”. La bontà era la forza di Giovanni XXIII. Tornando in Vaticano, disse a don Loris Capovllla: “Caro don Loris, queste sono le gioie del Papa!”. E noi possiamo aggiungere: queste sono anche le gioie di ogni cristiano. Riguardo a Giovanni Paolo II, ho un episodio da raccontare del quale sono stato commosso testimone. Durante i giorni in cui una folla straordinaria si avvicinava alla Basilica di San Pietro per dare l’ultimo saluto al Papa, una sera mi sento chiamare da un uomo che mi dice: “Mi faccia avvicinare al Papa! Debbo inginocchiarmi davanti a lui e ringraziarlo. Io avevo perso la fede. Guardando la fede forte di quell’uomo sofferente, ho ritrovato la fede. Sono venuto per dirgli grazie!”. Ho fatto avvicinare quest’uomo alla Salma del Pontefice. Si è inginocchiato, è scoppiato a piangere, ha pregato lungamente, si è alzato e mi ha detto sottovoce: “Grazie!”. Non so chi sia: è sicuramente un uomo recuperato dalla fede granitica di Giovanni Paolo II. Ed episodi del genere ne potrei raccontare tantissimi»

Eminenza, quali sono, a suo avviso, i tratti di spicco della santità di Roncalli e Wojtyla? «In Papa Giovanni mi colpisce la forza della bontà che suscitava la fede in chi lo avvicinava, mentre in Papa Giovanni Paolo II mi colpisce la forza della fede che suscitava la bontà in coloro che lo incontravano. Non è un gioco di parole. Mi spiego con due esempi. Quando Giovanni XXIII, il

Roncalli incorona la Madonna del Bosco a Imbersago (Lecco) nell’agosto del 1954

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in ter viste

Si è parlato spesso dell’assenza del miracolo di Giovanni XXIII per la canonizzazione. Eminenza, come membro della Congregazione delle Cause dei Santi, cosa ci può dire a proposito? «Papa Giovanni XXIII in tutto il mondo viene già pregato come si prega un Santo: Papa Francesco, con la canonizzazione, riconosce questo culto e gli conferisce legittimità e ufficialità. Del resto, fin dai giorni della malattia e della santa morte, Giovanni XXIII è entrato nel cuore della gente e la sua bontà ha infranto muri e diffidenze. Giancarlo Zizola, noto giornalista e scrittore, è arrivato a dire: “Se è esistito Papa Giovanni, Dio c’è!”. I santi gridano l’esistenza di Dio: la loro vita buona è il vero miracolo!». Lei è autore di numerosi testi, alcuni dei quali dedicati al Culto della Vergine. Anche i due Papi che saranno canonizzati possono definirsi Papi mariani. E’ così anche per lei? «Papa Giovanni XXIII, il 21 novembre 1962 (quindi pochi mesi prima della sua morte) ha raccontato un episodio nel quale si sente pulsare il suo amore verso la Madonna, imparato dall’esempio della mamma. Durante l’udienza nell’Aula delle Benedizioni, gli venne in mente un episodio della sua infanzia. Era il 21novembre 1885 e tutti andavano al Santuario della Madonna delle Càneve e anche Marianna Roncalli si avvia con i suoi figli: sono Teresa di sei anni, Ancilla di cinque, Angelo di quattro, Saverio di due, Maria Elisa di uno in braccio. La donna, ventottenne, è in attesa del sesto che sboccerà il 15 agosto 1886. Rallentata dal passo dei bambini, la donna arriva per ultima. A distanza di 77 anni (21 novembre 1885-21 novembre 1962) il Papa ricorda nitidamente l’episodio e dice: “Quando giunsi davanti alla chiesetta, non riuscendo ad entrarvi, perché ricolma di fedeli, avevo una sola possibilità di scorgere l’effige della Madonna, attraverso una delle due finestre laterali della porta d’ingresso, piuttosto alte e con inferriate. Fu allora che la mamma mi sollevò tra le braccia dicendomi: ‘Guarda, Angelino, guarda la Madonna com’è bella. Io ti ho consacrato tutto a lei. E’

Visita ai carcerati di Regina Coeli a Roma nel dicembre 1958

il primo ricordo nitido della mia infanzia. Quanta felicità, soave e profonda, il rilevare che il ricordo concerne un atto di devozione verso la Madre Celeste suggerito dalla mamma”. E Giovanni XXIII, fino all’ultimo giorno della sua vita, ha conservato nel cuore una filiale devozione verso la Madonna. In Giovanni Paolo II la devozione alla Madonna è stata un’autentica ispirazione di tutta la sua vita. Il motto Episcopale “Totus Tuus” dice chiaramente che egli viveva prendendo ispirazione da Maria. E la Madonna non gli ha fatto mai mancare la Sua materna vicinanza. Parlando dell’attentato del 13 maggio 1881, Giovanni Paolo II confidò: “Mentre una mano assassina sparava per uccidermi, ho sentito una mano materna che mi fermava sulla soglia della morte. Da allora, ogni giorno lo devo ancora di più vivere come un dono di Dio e devo spenderlo tutto per Gesù... aggrappato alla mano di Maria”. La vita di Giovanni Paolo II è tutta racchiusa in queste toccanti parole». 15


TEC NOLOGIE

Digitalizzate le voci dei Papi: da Pio XI fino a Francesco L’archivio sonoro pontificio contiene l’audio di 8 mila nastri, con frasi anche inedite

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’archivio è immenso, nastri e lacche dei dischi. In ottant’anni la «Radio Vaticana» ha conservato le voci dei Papi registrate su vari supporti fisici, sempre però adeguandosi alle nuove tecnologie, Oggi siamo arrivati al digitale e così tutte le voci dei Pontefici sono finite su file con ricerca computerizzata. Su questo argomento proponiamo un servizio di Alberto Bobbio apparso su L’Eco di Bergamo in aprile. L’intero archivio sonoro della «Radio Vaticana» è stato digitalizzato grazie al contributo di Banca Intesa Russia con l’aiuto di Confartigianato Persone. La straordinaria impresa ha permesso di scoprire tante cose che non si conoscevano, frasi aggiunte a braccio, interi discorsi che «L’Osservatore Romano» non aveva pubblicato, anche perché in passato spesso venivano editati dei semplici «resoconti giornalistici» sulla base di appunti e non i testi integrali. E accaduto così anche per il famoso discorso della luna di Papa Giovanni, di cui esisteva la registrazione ma non la trascrizio-

ne integrale. Spiega padre Federico Lombardi: «E’ un archivio immenso che permette di ripercorrere e anche di illuminare molti punti della storia dei Pontificati». In questi anni l’archivio della «Radio Vaticana» è stato messo in sicurezza, cioè sono state salvate doppie copie di tutti i dati. Finora sono 23 mila e 207 gli avvenimenti documentati e salvati in questo modo, pari a oltre 37 mila file audio. Ora è terminata la digitalizzazione dell’archivio sonoro pontificio, che contiene l’audio di ben ottomila nastri, cominciando da Pio XI fino a Papa Francesco. Alla presentazione del lavoro ha partecipato lo scorso 1° aprile, oltre all’aiutante di camera di Papa Giovanni, Guido Gusso, anche il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione dei vescovi, il quale ha ricordato la «grande intelligenza di Papa Roncalli». Ma è stato Gian Franco Svidercoschi, per molti anni ai tempi di Wojtyla vice direttore de «L’Osservatore Romano», a ricordare la «voce possente» di Giovanni Paolo II, quando «urlava ad Agrigento contro la mafia o in Nicaragua dove i sandinisti gli avevano tolto il microfono». Svidercoschi ha anche ricordato alcune parole mai scritte che Wojtyla pronunciò quando era sotto la scaletta dell’aereo che doveva riportarlo a Roma dopo il primo memorabile viaggio che intraprese in Polonia nel 1979: «Ci vuole coraggio da entrambe le parti, solo così si può fare qualcosa di nuovo». Vennero registrate dalla «Radio Vaticana» e dimostrano, ha osservato Svidercoschi, che «il Papa era convinto che si poteva arrivare prima e senza drammi alla trasformazione della Polonia e dell’intera Europa a Est»: «Ma non venne ascoltato né da Varsavia, né da Mosca, e l’anno dopo nacque Solidarnosc».

Wojtyla e Roncalli in un montaggio fotografico

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PUB B LIC AZIONI

Un libro sui preti migranti «Sono la nostra storia» Lo ha detto il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, alla presentazione del volume

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na pubblicazione sui preti migranti bergamaschi è stato il tema di un articolo, a firma di Carmelo Epis, proposto diversi mesi fa sulle pagine del quotidiano cattolico L’Eco di Bergamo. Si tratta di un interessante servizio che riproponiamo ai nostri lettori. «La presenza dei preti bergamaschi fra i migranti italiani in Europa è una storia pregnante che si identifica con la nostra diocesi ed esprime la cura della Chiesa verso il popolo riguardo a fede e promozione umana». E’ quanto ha detto il vescovo di Bergamo Francesco Beschi intervenendo, nella comunità missionaria del Paradiso, alla presentazione del volume «Preti tra i migranti. Esperienze pastorali della Chiesa di Bergamo nelle missioni cattoliche italiane d’Europa», curato da Antonio Carminati e Mirella Roncalli, del Centro Studi Valle Imagna (editore del libro), in collaborazione con don Massimo Rizzi, direttore dell’Ufficio diocesano migranti. Il volume ha visto la luce nel ventesimo anniversario di costituzione dell’ufficio (12 novembre 1993). Presenti all’incontro anche il vicario generale monsignor Davide Pelucchi, alcuni preti che sono stati o sono fra i migranti italiani e l’arcivescovo Gaetano Bonicelli. «Siamo partiti poveri, come agnelli forti tra i lupi nella nostra visibilità di preti, anche tra difficoltà e minacce», ha detto il vescovo ausiliare emerito Lino Belotti, ricordando lo stile dei preti paradisini nelle diocesi italiane e fra i migranti. «Esprimo il mio grazie a chi ha realizzato questo volume e a tutti i preti bergamaschi che hanno scritto la storia di questa missione», ha aggiunto il vescovo Beschi, che poi ne ha ricordato le caratteristiche, come «la conservazione della fede, delle tradizioni e della famiglia, che potevano essere destabilizzate dalla lon-

Il vescovo Francesco Beschi all’incontro sui preti migranti

tananza dai propri Paesi» e «lo sviluppo dei rapporti con le Chiese locali». «Ha senso scavare nella memoria di questa esperienza di ieri nel contesto di oggi – ha detto don Massimo Rizzi – perché questo libro non è un amarcord, ma un debito alla memoria di una grande esperienza, che aiuta a costruire anche la multiculturalità del nostro oggi». «Il fenomeno migratorio è strettamente legato ai sacerdoti, che hanno operato con impegno anche in realtà dove il cattolicesimo era minoritario, diventando punto di riferimento per tutti», ha aggiunto Carlo Personeni, presidente dell’Ente bergamaschi nel mondo. I curatori dell’opera hanno poi ripercorso le testimonianze contenute nel volume, alcune delle quali sono state lette da Virginio Zambelli, del Teatro Rase Europa. Don Massimo Rizzi ha infine concluso l’appuntamento annunciando un secondo volume che ripercorrerà l’esperienza odierna dei preti bergamaschi fra i migranti in Europa. 17


P ER S ONAGGI

L’addio a Adelaide Roncalli Vide comparire la Madonna Nel ‘44, quando aveva 7 anni, fu protagonista delle presunte apparizioni delle Ghiaie

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i è spenta all’età di 77 anni Adelaide Roncalli, una figura che ha lasciato un segno profondo nel territorio bergamasco, e non solo. Fra il 13 e il 21 maggio del 1944 e dal 28 al 31 dello stesso mese la bambina, che all’epoca aveva solo 7 anni ed era residente in località Il Torchio, nella frazione Ghiaie del Comune bergamasco di Bonate Sopra, disse di aver avuto tredici apparizioni della Madonna. Si tratta di un personaggio che nel recente passato ha occupato numerose pagine della nostra rivista dedicata a Papa Giovanni. A mettere in risalto i citati eventi e la stessa Adelaide Roncalli attraverso una

lunga serie di articoli è stato monsignor Marino Bertocchi, parroco del paese natale del Pontefice bergamasco per 27 anni, dal 1984 al 2011. Originario di Gandino (Bergamo), dove era nato il 24 marzo 1936, è a sua volta venuto a mancare il 18 dicembre del 2013. Per diversi anni mons. Bertocchi ha collaborato con la redazione di «Amici di Papa Giovanni» fornendo delle ricostruzioni, ma anche una serie di suoi punti di vista, sulle presunte apparizioni avvenute a Ghiaie di Bonate. Senza esprimere le proprie convinzioni in merito agli episodi narrati, mons. Bertocchi ha più volte sottolineato che: «In virtù dell’enorme richiamo di fedeli sollecitato da quegli eventi, credo sia giusto che Ghiaie venga riconosciuto come un luogo di culto mariano». Il luogo in questione è infatti a tutt’oggi mèta di pellegrinaggi. Tra l’altro il 13 maggio 2010, a est della cappella eretta nel 1945, è stato aperto un «giardino di preghiera», che accoglie un trittico della Santa Famiglia, per iniziativa della Fraternità Missionaria Laica Cattolica della Santa Croce di Sanremo. In particolare la bambina riferì di aver avuto delle visioni della Madonna, della Santa Famiglia e di una serie di angioletti. Su questi fenomeni, o presunti tali perché ci sono al riguardo sostenitori e contrari, esiste un’ampia documentazione come ad esempio una bibliografia, testimonianze scritte, del materiale fotografico e anche un filmato girato dal cineoperatore Vittorio Villa il 31 maggio del 1944. Ci sono soprattutto due versioni dei diari olografi di Adelaide Roncalli. Stando a tali diari il 13 maggio del 1944 Adelaide Roncalli era andata a raccogliere dei fiori per la Madonna e in seguito scrisse di aver visto un puntino luminoso calare dall’alto ingrandendosi mano a mano. Aggiunse di aver riconosciuto la Madonna con Gesù Bambino in braccio e San Giuseppe a fianco, avvol-

Adelaide Roncalli nel maggio del 1944

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perso n aggi

ti da tre ellissi luminosi. Maria le avrebbe detto di non aver timore, esortandola poi ad essere «buona, ubbidiente, rispettosa con il prossimo» e invitandola infine a tornare. Nei diari c’è poi il racconto della seconda apparizione, che sarebbe avvenuta domenica 14 maggio, annunciata da due colombi bianchi. In questa circostanza la Madonna le avrebbe predetto che sarebbe diventata suora Sacramentina. La giovane entrò in effetti in tale Congregazione come postulante, ma si vide costretta a lasciarla poco tempo dopo proprio a seguito del tam tam creato dalle presunte apparizioni di cui era stata protagonista. Dopo la sua svestizione, imposta dalla Curia di Bergamo nel 1953, (si era infatti già vestita nell’ordine delle Suore Sacramentine a Lodi, come preannunciatole dalla Vergine) e dopo una lunga malattia successiva a questo fatto, ha svolto la professione di infermiera a Milano. Dal 21 maggio al 7 giugno del 1947 il fenomeno venne sottoposto a un processo diocesano. Le apparizioni non furono riconosciute dalla Chiesa di Bergamo e quindi è attualmente ancora in vigore il decreto vescovile del 18 aprile 1948, firmato dal vescovo Adriano Bernareggi, che emise il seguente giudizio negativo: «Non consta della soprannaturalità». Come dire: non ci risultano fenomeni soprannaturali. E i vescovi che si sono succeduti a capo della diocesi di Bergamo, fino all’attuale Francesco Beschi, hanno sempre ribadito la validità del decreto del loro predecessore. Naturalmente i mass media nazionali si sono occupati a più riprese della storia di Ghiaie. Ora quella bambina che aveva tanto fatto parlare di sé circa 70 anni fa è venuta a mancare. E’ morta nella notte tra sabato 23 e domenica 24 agosto a Milano per un male incurabile che l’aveva colpita alcuni mesi fa. Ha lasciato nel dolore il marito, sposato negli anni Settanta, e le sue due figlie. I funerali, che si sono tenuti mercoledì 27 agosto nella chiesa parrocchiale della piccola frazione di Bonate Sopra, hanno richiamato almeno duemila persone. E’ stato un rito denso di commozione, celebrato da una ventina di sacerdoti, fra i quali l’ex parroco Elio Artifoni. «Adelaide Roncalli – ha detto quello attuale don Davide Galbiati – è stata una donna di fede concreta, di

La piccola Adelaide mentre prega

amore verso la Chiesa e la parrocchia e di carattere molto riservato, che sono le caratteristiche tipiche del popolo bergamasco. Non l’ho mai sentita parlare male di nessuno ed è sempre stata molto riservata sugli eventi del 1944». La «veggente» di Ghiaie, come era soprannominata, era nata il 23 aprile del 1937 in località Torchio a Ghiaie di Bonate in una famiglia numerosa, composta dal papà Enrico, contadino poi diventato operaio, dalla mamma Anna Gamba, casalinga, e da otto figli: Luigi, Caterina, Vittoria, Maria, Adelaide, Palmina, Annunziata e Romana. Un’altra figlia, di nome Federica, era morta in tenera età. Quest’anno Adelaide era tornata alle Ghiaie un paio di volte. La prima il 6 aprile scorso, in occasione della Messa di inaugurazione dei restauri della chiesa parrocchiale, presieduta dal vescovo di Bergamo Francesco Beschi. Poi vi era tornata il primo maggio. Anche due Papi si sono interessati agli eventi del 1944. Adelaide fu infatti ricevuta da Pio XII nel 1949 e anni dopo incontrò anche Giovanni XXIII. Massimiliano Gualdi 19


P ER S ONAGGI

Raccontata in un filmato la vita del prete Brignoli Don Francesco morì ottant’anni fa e di lui aveva molta stima il futuro Papa Giovanni

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a terra natale di Papa Giovanni XXIII continua ad essere ricca di figure che hanno lasciato un segno indelebile, specie in ambito religioso, nelle varie comunità di questa provincia. Ne è un esempio il religioso Francesco Brignoli, sul quale L’Eco di Bergamo ha voluto dedicare un articolo-ritratto ai primi di agosto attraverso un articolo di Paolo Aresi. Riproponiamo ai nostri lettori l’interessante servizio. Don Francesco Brignoli era un parroco di estrema provincia, il prete di un piccolo paese dell’Alta Valle Seriana, Bani, frazione di Ardesio in provincia di Bergamo. Don Francesco morì ottanta anni fa,

all’inizio di gennaio del 1934. Al suo funerale, in mezzo alla neve, parteciparono migliaia di persone quando il paesino contava duecento anime. Perché? Chi era veramente quell’uomo che tutti conoscevano semplicemente come «Ol pret di Bà», il prete di Bani? Ancora oggi, in Alta Valle Seriana, dal Ponte del Costone in su, tutti dicono di aver sentito parlare di don Francesco Brignoli. A volerlo raccontare è stato anche Giorgio Fornoni, giornalista, reporter fotografico e televisivo che ha girato servizi televisivi nei luoghi più difficili del pianeta, dalla guerra in Congo per il coltan, alle battaglie in Liberia e in Sudan. Giorgio Fornoni è nato e vive ad Ardesio. Il suo documentario sul religioso è stato proiettato nella serata di martedì 5 agosto nel cineteatro dell’oratorio di Ardesio, in prima assoluta. Chi era davvero «Ol pret di Bà»? «E’ la domanda che mi sono posto anch’io, la molla che ha fatto scattare queste ricerche. Ho lavorato per un anno a questo documentario tralasciando un’inchiesta per Report e un altro lavoro che stavo preparando. Ma sentivo che dovevo approfondire questa vicenda, per me stesso e per la gente del mio paese». Che cosa l’ha colpita di questo uomo, di questo sacerdote? «Tante cose. Il fatto che fosse l’uomo più conosciuto e amato della nostra valle, non soltanto in valle, ma in tutta la provincia di Bergamo, nel Cremonese, in Val Camonica, in Valtellina... L’idea di realizzare un filmato su di lui mi è venuta quando don Vittorio Rossi, allora parroco di Bani e Valcanale e oggi parroco di Paladina, inaugurò il museo dedicato a don Brignoli. Ancora una volta constatavo come il ricordo di quel semplice prete fosse vivo. Mi chiesi perché. Ho cominciato a inda-

Un’immagine di don Francesco Brignoli

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perso n aggi

gare, ho scoperto che la popolazione lo considerava un santo, un patriarca, un uomo capace forse anche di vedere oltre le nostre facoltà mentali. Un uomo dotato anche di poteri particolari. Nel venticinquesimo anniversario della morte, L’Eco di Bergamo non esitava a paragonarlo al santo curato d’Ars. E pure non esitava a parlare di eventi particolari, diciamo pure prodigiosi». Ci sono altri aspetti che le hanno destato impressione? «Sì, la freddezza della chiesa ufficiale, delle gerarchie. Don Brignoli era di Peia (Bergamo), dove vi nacque il 19 gennaio del 1853. Avvertì la vocazione in un’età abbastanza tardiva per quei tempi, a sedici anni. Entrò in seminario in anni molto turbolenti a causa del pessimo rapporto fra Stato e Chiesa. Venne ordinato il 22 maggio 1880 e mandato prima a Barzizza poi a Peja, il suo paese natale, e venne incaricato di fare il maestro a Leffe (Bergamo). Si ammalò di tubercolosi, venne trasferito a Bani il 23 dicembre del 1890. I primi anni furono non facili per via della malattia, della povertà profonda della nostra gente della montagna che in quegli anni emigrava in massa verso Francia e Svizzera, ma anche verso le Americhe. Pian piano la sua personalità si affermò, i montanari lo accettarono, ne riconobbero la forza, direi anche la grandezza. Di lui mi ha colpito tutto, a cominciare dall’umiltà». Il vescovo Angelo Roncallì lo conosceva bene... «Sì, ci sono due lettere di Roncalli, nella seconda gli fa gli auguri per gli 80 anni, da Sofia. Roncalli paragona il sacerdozio di don Brignoli a quello di un vescovo e poi gli scrive: “Nell’esercizio della sua carità e nelle sue fervorose preghiere, voglia aver presente, mio caro prevosto, anche l’umile sottoscritto che le vuole tanto bene...”». La devozione popolare parla di miracoli veri e propri compiuti dal Pret di Bà. «Sì. Molti parlano di bambini guariti, esiste una testimonianza del 1959, la guarigione di una donna cieca che aveva intensamente pregato don Brignoli, ormai morto da anni. Ancora oggi ci sono persone che ritengono di ricevere grazie per sua intercessione. Un fatto è certo: quando era in vita, don Brignoli accoglieva tutti, parlava con tutti, pregava

Papa Giovanni mentre consulta il mappamondo

per tutti. Diverse testimonianze parlano di chiaroveggenza, poiché sembrava che già sapesse la ragione per la quale le persone arrivavano da lui, anche da luoghi lontani. La gente che saliva a visitarlo trovava sempre di che sfamarsi, lui li invitava alla sua tavola. Aiutava gente bisognosa in modo molto concreto, aiutava le mogli che avevano mariti emigrati a ricongiungersi, anche mediante generosi contributi in denaro. Era molto preoccupato per l’unità delle famiglie, per l’educazione dei bambini che considerava il vero tesoro. Riceveva tante offerte che poi distribuiva totalmente. Arrivò a pagare la retta a oltre settanta seminaristi... per questo ricevette una lettera di elogio dal cardinale di Milano, Schuster. Don Brignoli arrivò a Bani di Ardesio senza nemmeno una valigetta. Quando morì aveva soltanto un paio di scarpe, bucate anche quelle, che ora si trovano nel museo». Nel video di Giorgio Fornoni, che dura un’ora e 15 minuti, compaiono immagini del tempo, scritti del sacerdote, testimonianze importanti di anziani del paese che hanno incontrato di persona don Brignoli quando erano bambini. Accanto a loro le parole dell’attuale vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, del cardinale monsignor Loris Capovilla e di altri personaggi. 21


A V V ENIMENTI

«Mia nonna Caterina guarì, miracolata da don Bosco» Il ricordo di Italo Pilenga, nipote della donna che nel ‘31 si liberò da una grave artrite

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ra inferma, colpita da una grave forma di artrite, ma pochi istanti dopo aver pregato a Torino davanti all’urna con il corpo di don Bosco, guarì miracolosamente e cominciò a camminare. L’episodio è stato riportato in un articolo pubblicato all’inizio di quest’anno su L’Eco di Bergamo a firma di Stefano Bani, che proponiamo all’attenzione dei nostri lettori. Il servizio così prosegue. Questa prodigiosa guarigione, avvenuta nel lontano 1931, fu determinante per la canonizzazione dell’apostolo della gioventù avvenuta tre anni dopo.

C’è un pezzo di Bergamo, e più precisamente del Comune di Urgnano, nella santità del grande prete torinese fondatore dei Salesiani. Fu infatti grazie al miracolo riconosciuto a una donna del paese, Caterina Lanfranchi Pilenga, scomparsa nel 1945 e all’epoca sessantaduenne, che l’allora beato Giovanni Bosco poté ufficialmente diventare Santo. E non a caso lo scorso 7 febbraio alle 8,30, 83 anni dopo quei fatti, l’urna con le reliquie si è fermata proprio nella parrocchiale di Urgnano, durante il pellegrinaggio organizzato lungo l’Italia, prima di ripartire alla volta del Patronato San Vincenzo, del Seminario e della Cattedrale di Bergamo dove è rimasta esposta fino a domenica 9 febbraio. Un evento che per i discendenti di Caterina ha assunto un significato e un’emozione particolare, come ricorda il nipote Italo Pilenga, classe 1937, noto imprenditore tessile di Urgnano, figlio di Giuseppe Pilenga. «Anche se all’epoca dei fatti non ero ancora nato – racconta – mi ricordo bene di mia nonna Caterina, la cui storia ha segnato il percorso della nostra famiglia. Basti dire che quasi tutti siamo poi andati a studiare dai Salesiani: io ad esempio vi ho frequentato le medie. La nostra era infatti una famiglia allargata e matriarcale, con al centro nonna Caterina e nonno Alessandro, e abitavamo tutti insieme nel cortile di via Rimembranze. Ci metteva soggezione e tutte le mattine, la prima cosa da fare era quella di andare a portarle il saluto e domandarle: “Buongiorno nonna, ha dormito bene?”. Così lei ci ricompensava dandoci gli “anesì” da succhiare». Caterina Lanfranchi Pilenga era molto devota a don Bosco perché sua madre, Emilia Borioli, era torinese, appartenente ad una famiglia aristocratica nonché proprietaria della cascina Ca nova di Cologno (Bergamo). Alcuni suoi parenti hanno perfino

Caterina Lanfranchi Pilenga

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avven imen ti

avuto il privilegio di conoscere personalmente don Bosco quando era in vita. Italo mostra fotografie e diversi articoli di giornali che ha gelosamente conservato. All’epoca era solo un bambino ma grazie soprattutto ai racconti della zia Adelina, presente al momento del prodigio nella Basiica di Maria Ausiliatrice, il ricordo di quell’evento straordinario è rimasto sempre vivo nel corso degli anni. Nonna Caterina si era ammalata, colpita da un’artrite che le rendeva difficile ogni movimento. Siccome nessuna cura riusciva a donarle sollievo, decise allora di recarsi in pellegrinaggio a Lourdes, chiedendo la grazia alla Madonna. Ma visto che il miracolo non avvenne, nel congedarsi da Lourdes, affermò con convinzione: «Visto che la Madonna non ha compiuto il miracolo qui, me lo farà a Torino per intercessione di don Bosco», Così, sulla via del ritorno, il 6 maggio 1931, la comitiva di cui faceva parte anche l’indimenticato parroco don Giovan Battista Bonaita, si fermò nella Basilica che custodiva l’urna con le spoglie dell’allora beato. Caterina fu aiutata a scendere dalla carrozza, sostò in preghiera in ginocchio davanti all’urna e pochi minuti dopo lanciò un urlo di stupore che richiamò l’attenzione di tutti: si era infatti rialzata da sola sulle sue gambe, camminando senza alcuna fatica nonostante la forma aggressiva di diatesi artritica, che aveva attaccato ginocchia e piedi. «Zia Adelina – continua il nipote – mi raccontava di quanto fosse inizialmente scettica, di come continuava a ripetere a sua madre che era tutta suggestione, invitandola a calmarsi. Ma dopo averla vista fare quattro piani di scale per raggiungere la casa dove abitava don Bosco, dovette ricredersi». Quella guarigione, inspiegabile per i medici, fu ritenuta miracolosa dalla Chiesa e decisiva,assieme ad un primo miracolo accaduto un anno prima ad una donna romagnola di 74 anni, per la canonizzazione del sacerdote. Vivi nel ricordo del nipote ltalo sono, invece, gli ultimi anni della nonna Caterina, dove non mancano anche simpatici aneddoti, legati alla sua profonda religiosità. «Quello che mi è rimasto più impresso –

spiega – erano i lunghi rosari che recitavamo con lei ogni sera, radunando figli, nuore, nipoti, cameriere e anche lo stalliere,visto che avevamo una trentina di cavalli. Terminato il rosario, ci portava davanti all’affresco della Madonna che si affaccia sulla strada e che ho fatto restaurare pochi anni fa, per recitare altre Ave Maria. E quando allestivamo il presepe, si aggiungevano ancora preghiere da recitare davanti alla Natività. Per un bambino era davvero impegnativo! Anche nonno Alessandro, quando cominciavano le interminabili litanie dei Santi, dopo un po’ sbottava: Nina, dai, fenésela fò adèss» Espressione in dialetto bergamasco che tradotta in italiano significa: «Nina dai, adesso smettila». Italo Pilenga ricorda poi come, per diversi anni la casa di nonna Caterina fosse diventata meta di pellegrinaggi da parte dei devoti del Santo torinese, che arrivavano perfino in pullman per ricevere una benedizione dalla miracolata. «E anche lì il nonno brontolava un po’ perché queste persone erano affamante e chiedevano di essere rifocfflate con panini e vino. Ma alla nonna tutto ciò piaceva, ci teneva moltissimo». Caterina Lanfranchi Pilenga è morta nel l945, pochi giorni dopo una brutta caduta dalle scale avvenuta in casa, all’età di 76 anni.

Un disegno del tempo che racconta il miracolo compiuto

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C ER IMONIE

L’icona di Roncalli presente in una chiesa della Romania Deposta nella cripta nel 2012, durante la consacrazione della chiesa di Oradea Mare

B

ulgaria, Turchia, Grecia. Ma anche Romania. Ripercorrendo le pagine di vita di monsignor Angelo Giuseppe Roncalli è come sfogliare un grande atlante geografico. Vi ci trovi un mosaico di terre d’Oriente. Ogni nazione è il tassello di un puzzle che ricomposto mostra quell’Est del Vecchio Continente, da lui conosciuto e amato in un periodo storico spesso dilaniato da persecuzioni e guerre. Questo l’inizio dell’articolo di Emanuele Roncalli apparso su L’Eco ci Bergamo lo scorso 7 aprile. Il servizio così prosegue. A monsignor Roncalli «amico degli orientali», genti di ogni credo di quei Paesi hanno dedicato, negli anni, vie, piazze, scuole. Sono sorti chiese e monumenti in suo onore. E’ stato così anche in Romania. E proprio nei sobborghi della città di Oradea è stata edificata (la prima pietra risale a circa 10 anni fa) una splendida chiesa greco cattolica, intitolata alla Trasfigurazione del Signore, nella cui cripta vi è l’icona del Santo Giovanni XXIII, accanto a quelle di Cristo, della Madre di Dio e degli altri Apostoli, Padri e Dottori secondo la tradizione liturgica bizantina. Papa Roncalli, il 4 novembre 2012, nell’occasione della consacrazione della chiesa è stato commemorato come nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio. A presiedere il rito a Oradea Mare è stato il vescovo eparchiale, mons. Virgilio Bercea, alla presenza di numerosi presuli greco-cattolici e latini, oltre che di mons. Maurizio Malvestiti, sottosegretario della Congregazione per le Chiese Orientali, in rappresentanza del cardinale prefetto Leonardo Sandri, mentre dalla Segreteria di Stato Vaticana è intervenuto mons. Vittorio Formenti. Durante la liturgia sono riecheggiate le parole commosse di un sacerdote bergamasco, don Luigi Pec-

chenini, parroco del Comune di Cortenuova, e di don Antonio Rossi della diocesi di Brescia. Don Pecchenini, che 7 anni prima aveva presenziato alla posa della prima pietra con mons. Virgilio Bercea e alcuni sacerdoti, ha pronunciato parole toccanti. Ha ricordato che Papa Roncalli da visitatore apostolico in Bulgaria soggiornò qualche volta anche in Romania, come scrive egli stesso nei suoi diari: «L’ho conosciuto da vescovo, da cardinale e da Papa e di Lui conservo nel cuore tanti bei ricordi che mi accompagneranno per il resto della mia vita. Papa Giovanni XXIII ha dedicato 40 anni della sua vita a scrivere un’opera, in 5 volumi, che riguarda gli atti della Visita Apostolica del Borromeo a Bergamo, esprimendogli così la sua venerazione». Don Pecchenini ha sottolineato la coincidenza del 4 novembre anniversario dell’incoronazione di Papa Giovanni, quasi una sorta di ricompensa da parte di San Carlo nei riguardi del Pontefice di Sotto il Monte.

4 novembre 1958: a San Pietro nel giorno dell’incoronazione

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I NAUGURAZ IONI

Il Comune di Blello dedica una strada a Papa Giovanni La via del paese bergamasco, lunga oltre un chilometro, porta alla chiesa e al cimitero

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seguito della canonizzazione di Papa Giovanni XXIII, avvenuta alla fine dello scorso aprile, si sono moltiplicate in provincia di Bergamo le iniziative per rendere omaggio a questo amatissimo personaggio. Tra le molte portate a termine, da segnalare l’inaugurazione, avvenuta nella mattinata di domenica 20 luglio, della nuova strada comunale di Blello, il più piccolo Comune della Bergamasca. L’arteria, intitolata a Giovanni XXIII Santo, ha una lunghezza di un chilometro e 300 metri, e dal paese porta alla chiesa e al cimitero. Si tratta di un’opera attesa da almeno un decennio, quando presero il via i lavori, e comunque già percorribile ma dichiarata conclusa soltanto dopo la posa dei guardrail e del relativo collaudo. Questo il commento espresso dal sindaco del piccolo centro, Luigi Mazzucotelli, a seguito dell’iniziativa. «Finalmente dopo anni di attesa, la chiesa e il cimitero sono raggiungibili da una strada carrabile. Fino a poco tempo fa per poter recarsi in chiesa i fedeli dovevano camminare per un quarto d’ora sulla vecchia mulattiera. Inoltre, in occasione dei funerali, le bare dovevano essere necessariamente portate a spalla». «Quando sono stato eletto sindaco di questo bellissimo paese – sottolinea il primo cittadino – ho visto realizzata la strada e in quel momento mancavano solo le barriere di protezione, alcuni lavori di rifinitura e il collaudo. Queste opere sono state realizzate per rendere la strada percorribile e sicura. Tutto questo grazie all’impegno dell’amministrazione comunale e ai contributi della Provincia di Bergamo, al Consorzio Bim di Bergamo e della Comunità montana Valle Brembana». «Abbiamo voluto intitolare la strada – conclude il sindaco di Blello – a Papa Giovanni XXIII, un uomo diventato santo. In tal modo sarà ricordato l’impegno di un uomo di fede che ha dedicato tutta la sua vita al prossimo e al bene comune. Inoltre l’intitolazione di questa via alla sua

memoria rappresenta anche un’occasione per ravvivarne il ricordo nei confronti di quanti lo hanno conosciuto e soprattutto per permettere ai tanti giovani che non hanno avuto questa fortuna di apprenderne l’esistenza». All’inaugurazione sono intervenute numerose autorità in rappresentanza della Provincia di Bergamo e della Comunità montana Valle Brembana, oltre ai sindaci di vari Comuni della Bergamasca come Brembilla, Berbenno e Rota d’Imagna. Alla cerimonia di intitolazione è ovviamente stata presente l’amministrazione comunale di Blello al completo. Durante l’appuntamento, che è iniziato alle 10, il parroco don Luca Gattoni ha benedetto la nuova via dedicata a Papa Giovanni XXIII Santo. Subito dopo sono seguiti la Messa e il pranzo con tutta la cittadinanza. Massimiliano Gualdi.

Papa Giovanni in un dipinto di Angelo Capelli

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OPERE

Sui muri urbani le memorie di una religiosità popolare Un tempo le santelle erano luoghi di devozione, mentre oggi stanno scomparendo

O

rmai ci passi davanti e quasi non le noti più. Sono segni sempre più sbiaditi di una devozione semplice ma intensa. Schegge di una religiosità che fatica ormai a trovare spazio in quanto soffocata da un’urbanistica poco attenta a certi dettagli. Così inizia un articolo a firma di Emanuele Falchetti pubblicato su L’Eco di Bergamo e centrato sulle cosiddette santelle che si trovano in strada, a volte proposte attraverso rilievi e in altri casi con affreschi. Così se un tempo di fronte a queste pitture murali, a queste Madonne dai tratti dolci, ai santi trafitti, agli angeli e agli arcangeli in adorazione, alle anime

purganti e a tutta l’iconografia racchiusa nelle edicole o raffigurata sulle pareti degli antichi edifici, ci si fermava in raccoglimento, adesso difficilmente le si concede più di un fugace sguardo. E’ il segno dei tempi. Ed è un peccato, perché, come scriveva monsignor Gaetano Bonicelli, al di là della loro semplicità artistica e della loro comunicativa naif, queste opere rappresentavano «un richiamo visibile alla presenza invisibile di Dio e alla dimensione eterna della vita». Pitture murali per le strade Come se «in qualsiasi evenienza il cristianesimo sapesse di poter contare sulla assistenza divina, propiziata dagli amici di Dio, considerati un po’ i parafulmini nelle tempeste, non solo meteorologiche, del mondo». Per questo le pitture murali venivano realizzate sulle case, nelle edicole ai bordi delle strade, ai bivi e in tutti quei luoghi quotidianamente frequentati da chi viveva entro i confini di un universo delimitato dalla stessa iconografia. E’ qui, in questi angoli nascosti, che Giovanni Cavadini, medico ma soprattutto grande appassionato di tradizioni locali, le ha cercate per una vita. Macchina fotografica al collo (è presidente e fondatore del Circolo culturale fotografico Bergamo 77), ha battuto in lungo e in largo la provincia bergamasca – dalla pianura alle valli – documentando tutto ciò che c’era da documentare. Un cacciatore di santelle? «Diciamo che sono innamorato del territorio in cui vivo e in particolare della montagna. Tutto è nato così: dalla voglia di esplorarlo e conoscerlo. Il patrimonio iconografico lasciato dai frescanti è uno degli aspetti più singolari e con l’avvento del digitale ho deciso di documentarlo valle per valle, paese per paese, fino alla pianura».

Una santella proposta in un ambiente di campagna

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opere

Un patrimonio unico Non è certo l’unico. Prima di lui, o comunque contestualmente, nei decenni passati di questa materia si era occupato con altrettanta passione anche il fotografo Tito Terzi che, poco prima della scomparsa, aveva pubblicato «La fede sui muri e sui monti» con testi di don Ezio Bolis; quasi contestualmente in città monsignor Gianni Carzaniga si dedicava al censimento delle santelle della parrocchia di Sant’Alessandro, mentre nei decenni precedenti, attorno alla metà degli anni Novanta, don Leone Lussana si era preoccupato di documentare in due volumi le pitture murali nel territorio di Castione della Presolana e della Val di Scalve: «Una buona parte – ricorda l’attuale parroco di Torre Boldone (Bergamo) – era già malconcia all’epoca, ma devo dire che il fatto di censirle ne ha favorito in qualche caso il recupero». Eccezioni purtroppo. Perché il «grosso» negli ultimi decenni è andato perso. Spariti i tanti San Rocco che esibivano le loro piaghe, i Sant’Antonio Abate accompagnati dagli animali, i San Cristoforo traghettatori di anime, i San Francesco spesso raffigurati sulle fontane o vicino alle sorgenti, le Madonne con in grembo Gesù Bambino o quelle del Rosario. Via tutta quell’iconografia strettamente legata alla società rurale e contadina dei secoli scorsi.

Un’altra santella posta lungo un sentiero

la santella raffigurante San Carlo Borromeo, all’inizio della scaletta che sale verso Bergamo alta. Non è molto, ma è comunque un bel segnale.

Le foto e i documenti Restano – ed è questa la consolazione – le fotografie e i documenti: «Personalmente – aggiunge Cavadini – credo di aver registrato tutto ciò che si trova in provincia di Bergamo. Oltre alla passione personale, in gioco c’è anche la volontà di far conoscere questo patrimonio e sensibilizzare l’opinione pubblica». Ecco così i tanti calendari che l’autore ha realizzato per il Patronato San Vincenzo, la mostra allestita al Palamonti, la sede del Cai di Bergamo, e gli incontri organizzati con l’Ateneo di Scienze e lettere e arti di cui lo stesso Cavadini è membro. Piccole cose? Di fronte a un patrimonio che di anno in anno perde qualche suo pezzo senza che nessuno riesca ad arginare l’emorragia, potrebbe anche sembrare. Poi ti guardi in giro e scopri che più di un anno fa, in città, è stata restaurata (grazie alla famiglia Sestini)

Un’immagine sacra con davanti un cesto di fiori

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AVVENIMENTI

Reliquie di Roncalli in dono alla parrocchia di Urgnano Quelli esposti nella chiesa bergamasca sono oggetti personali usati da Papa Giovanni

L

a chiesa parrocchiale di Urgnano (Bergamo) si è arricchita della presenza di cinque nuove reliquie: tutti preziosi oggetti personali di Papa Giovanni. L’evento è stato riportato di recente da L’Eco di Bergamo attraverso un articolo di Stefano Bani che riproponiamo sul nostro bimestrale, Si tratta di un tappeto da salotto che il Pontefice bergamasco aveva portato con sé in Vaticano da Caimatino (Sotto il Monte), di una penna stilografica, di una cartelletta portadocumenti proveniente dall’Oriente, e di un corporale e un purificatoio che il futuro Santo aveva utilizzato negli ultimi mesi della sua vita. Le reliquie, appartenute a monsignor Luigi Del Gallo marchese di Roccagiovine, vescovo titolare di Campli, per molti anni a servizio in Vaticano accanto a quattro Pontefici, sono state lasciate in eredità al parroco don Mariano Carrara che ha deciso

di donarle alla parrocchia di Urgnano. In occasione della canonizzazione di fine aprile, i fedeli e devoti al Papa del Concilio hanno avuto la possibilità di vederle esposte pubblicamente, per la prima volta, nella prepositurale dedicata ai Santi Nazario e Celso, collocate all’altare della Natività che già ospita una statua in legno di Papa Giovanni. «A monsignor Del Gallo – spiega don Mariano – mi ha unito una lunga amicizia, iniziata quando ero parroco a Rossino di Calolziocorte (Bergamo). Lui, ogni anno, vi veniva a trascorrere un mese e mezzo, servendo la Diocesi e impartendo la Cresima ai ragazzi. Quando nel 2011 è venuto a mancare, nel testamento ha voluto lasciarmi questi oggetti appartenuti a Giovanni XXIII: sotto il suo pontificato era infatti entrato nell’anticamera papale rimanendovi fino a quando Giovanni Paolo II lo nominò vescovo affidandogli la delega del Pontificio consiglio per i laici per lo scoutismo cattolico. In occasione di un evento così sentito come la canonizzazione del 27 aprile, ho deciso di donare queste reliquie alla parrocchia di Urgnano che a Papa Giovanni è legata in modo particolare. Roncalli aveva infatti visitato la nostra comunità in tre occasioni». La prima visita avvenne nel 1921, in occasione dei festeggiamenti per l’Incoronazione della Madonna della Basella dove, giovane sacerdote, aveva partecipato in qualità di accompagnatore del cardinale Camillo Laurenti. La seconda nel 1947 quando, Nunzio apostolico a Parigi, concluse solennemente il congresso eucaristico di Plaga. Infine nel 1956 quando, Patriarca di Venezia, partecipò ai festeggiamenti per il 600° anniversario dell’Apparizione della Madonna. «Per ora – precisa il parroco – l’esposizione di questi oggetti sarà provvisoria, ma stiamo però pensando a una formula per renderla permanente all’interno della nostra parrocchiale».

Papa Giovanni durante una funzione

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PUBBLICAZ IONI

In un libro la vita e le opere di Santa Teresa Verzeri La biografia intitolata «La luce di Dio nell’oscurità» è stata presentata in primavera

L

’uscita di un libro centrato sulla vita figure più prestigiose del clero bergamasco dell’edi Santa Teresa Verzeri è stato il tema poca; la terza volta, definitiva, per dare inizio, l’8 dell’interessante articolo di Carmelo febbraio 1831, alla Congregazione delle Figlie del Epis, pubblicato a maggio su L’Eco di Bergamo, che Sacro Cuore insieme a Benaglio. Il progetto è una intendiamo riproporre ai nostri lettori. sintesi fra contemplazione e impegno nel mondo La vasta opera sociale (scuole, ospedali, ospizi, oratori) con l’alfabetizzazione delle ragazze povere, uno dei ha contribuito attivamente al miglioramento della bisogni più avvertiti dell’epoca. società, ciò che oggi chiamiamo welfare. In questa I promettenti esordi sono però segnati dalla freddezza direzione ha fatto sicuramente la sua parte anche la del vescovo Carlo Gritti Morlacchi. Il vescovo dice a Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore, fondata Verzeri di «non esservi bisogno di nuovi ordini relida Santa Teresa Eustochio Verzeri, di cui è freschisgiosi, dato che la Diocesi ne era già sufficientemente sima di stampa la poderosa biografia «La luce di provvista». Teresa Verzeri si vede costretta a trasferire Dio nell’oscurità. Teresa Verzeri: vita e opere» (Città la casa madre a Brescia, facendo conoscere la sua Nuova editrice, pag. 1.012), scritta da monsignor pedagogia educativa. Le Costituzioni sono approvate Goffredo Zanchi, docente di Storia ecclesiastica nel da Gregorio XVI nel 1841 e definitivamente da Seminario diocesano e alla Facoltà teologica dell’Italia Pio IX nel 1847. Dopo una vita tanto combattiva, Settentrionale, già autore di numerose opere storiche. Teresa Verzeri si spegne a 50 anni il 3 marzo 1852 a Il volume è stato presentato alla Domus Alexandrina, Brescia. Nel 1854, con la nomina del nuovo vescovo alla presenza, fra gli altri, dell’autore, della superiora Pierluigi Speranza, la casa madre torna al Gromo di generale madre Luciana Welponer e di monsignor Bergamo Alta. Gianni Carzaniga, parroco di Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo, che per l’occasione ha esposto il registro in cui figura il Battesimo della Verzeri, definita da monsignor Zanchi «una delle donne bergamasche più grandi della storia di Bergamo per essere stata non soltanto una grande Fondatrice di un istituto, ma anche una grande scrittrice per stile letterario e spiritualità». Teresa Verzeri nasce a Bergamo il 31 luglio 1801 in una famiglia aristocratica. Entra tre volte nel monastero benedettino di Santa Grata in Città Alta (Bergamo) per poi uscirne: la prima perché troppo giovane; la seconda per tentare di guidare una scuola per ragazze povere al Gromo, aperta dal La canonizzazione di Santa Teresa Eustochio Verzeri il 10 giugno 2001 canonico Giuseppe Benaglio, una delle 29


Scopo principale di questo organismo è quello di promuovere, di mantenere ed amplificare il messaggio di Papa Giovanni XXIII che racchiude una forte attualità così come rappresenta per l’intera umanità un progetto di costruttore all’insegna dell’amore e della pace. I soci fondatori del Comitato sono: Mons. Gianni Carzaniga in qualità di rappresentante delegato del vescovo di Bergamo, Monsignor Marino Bertocchi parroco di Sotto il Monte, padre Antonino Tagliabue curatore della pinacoteca Giovanna di Baccanello, suor Gervasia Asioli assistente volontaria nelle carceri, padre Vittorino Joannes al servizio del personale di Angelo Roncalli Nunzio Apostolico a Parigi. A sostegno delle iniziative dell’Associazione, informiamo i nostri lettori, devoti di papa Giovanni XXIII, della possibilità di aderire al suffragio tramite le sante messe che l’Associazione fa celebrare per i suoi sostenitori

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Il “perpetuo suffragio” è un’opera che si propone di dare un aiuto spirituale ai defunti, di stabilire un legame di preghiera fra l’Associazione Amici di Papa Giovanni XXIII e i fedeli del papa della Bontà e di dare anche un aiuto materiale per promuovere le iniziative dell’Associazione. Il “perpetuo suffragio” consiste in Sante messe, che l’Associazione fa celebrare per i suoi sostenitori. Si iscrivono i defunti o anche i viventi, a proprio vantaggio in vita e in morte. L’iscrizione può essere per un anno o in “perpetuo”.

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