citta dei mille ottobre2011

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// COVER STORY // Da Daria a Daragi

OTTOBRE/NOVEMBRE 2011

Anno 14 - N째5 Ottobre/Novembre 2011 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO In caso di mancato recapito si restituisca a: Editrice Bergamasca Srl - via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo, che si impegna a pagare la relativa tassa. Euro 3,00


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Edito riale

Editoriale

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he il punto forte del nostro magazine siano le interviste ormai dovrebbe essere chiaro. Incontriamo le personalità più in vista di Bergamo e dintorni, cerchiamo di carpirne la particolarità, di svelarne le caratteristiche. Con eleganza, senza “perquisizioni” nella vita privata ma con la convinzione che lasciar parlare l’interlocutore mettendolo a proprio agio sia il modo migliore per presentarlo ai lettori. Quale fulgido esempio di questo modus operandi vi proponiamo un tète a tète della nostra Emanuela Lanfranco con il neodirettore di L’Eco di Bergamo Giorgio Gandola, che deliziato dalle vivande di “Da Vittorio” ci ha offerto dal suo osservatorio privilegiato un’illuminante panoramica del rapporto tra il principale d’organo d’informazione cittadino e il territorio. Più rivolto al costume il colloquio con il grande parrucchiere Andrea Ghidoni. La città che conta – declinata al femminile – è passata dalle sue mani perché attraverso il suo stile inconfondibile ha forgiato l’immagine di una donna che non lascia nulla al caso. Cercando la quadra tra l’eccellenza di un’azienda pubblica e i tagli imposti dal Governo si muove invece Fabrizio Antonello, neopresidente di Atb. Commovente infine il racconto di Sebastiano Serughetti, presidente Aido a 23 anni come positiva reazione alla morte di un amico. Ricca anche la selezione di locali, ristoranti e imprese, che vi raccontiamo ancora una volta dall’«interno», ovvero attraverso la voce dei titolari. Aprono e chiudono la rivista i reportage vippaioli all’insegna del “chi c’era” e una rapida panoramica sulle proposte culturali cittadine. Buona lettura!

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di Claudio Gualdi


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La mia

rubrica

Ma come? è già Natale!

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risi: caduta, crinale tra un prima, positivo, e un adesso negativo, prospettando un dopo ancor più terribile. Oppure crisi: frattura tra un prima e un dopo che può essere diverso, che deve esserlo, ma che non è detto sia volto al peggio. Questo breve esercizio contrappone in due frasi due modi, entrambi praticabili, di leggere la nostra realtà. Noi proveremo a esercitare queste due differenti possibilità applicandole a un evento che tra poco ci toccherà: il Natale. E vedremo che cosa può succedere se seguiamo una strada di lettura oppure l’altra per arrivare a un punto di arrivo, quello del Natale, che rappresenta per molti la festa di un’opulenza nostalgicamente rimpianta e per altri l’occasione per rispondere ad alcuni bisogni che, quelli sì, a dispetto della crisi, godono ancora di ottima salute. Potremmo intitolare il nostro intervento, che apparirà nel prossimo numero, “la crisi e il Natale” oppure “la crisi del Natale”. Al lettore scegliere quale delle due versioni preferire.

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di Emanuela Lanfranco e.lanfranco@inwind.it


Approfondimento

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Cartomante

arrebbe un argomento marginale quello di cui ci occupiamo: car tomanzia, previsione del futuro attraverso le carte, o addirittura un percorso di conoscenza di se stessi. Come avevamo promesso nello scorso numero, parleremo di un argomento da affrontare con una bella alzata di spalle o con un sorrisino ironico. Ma la ricchezza della bibliografia e della sitografia sull’argomento, lo spessore di autori, esoterici, filosofi, psicologi fanno capire che abbiamo alzato il velo su un mondo incredibilmente ricco e variegato anche se nascosto, coperto, rimosso, e avvolto dal mistero… Arcano dal latino è mistero… Rimosso perché ci si vergogna. Insomma è disdicevole, soprattutto oggi, nell’era della tecnocrazia, nell’impero della

scienza, ammettere la presenza rigogliosa dei molti fenomeni legati alla superstizione che è un modo di guardare il mondo davvero diverso da quello della ragione, quando da sempre si sa che la parte emozionale di noi dovrebbe essere integrata dall’altra razionale invece che farsi la guerra. Eppure non si può certo negare che nel mondo prosperi una ri-scoperta diffusa e multiforme verso l’olistico in generale che fa partire la nostra giornata dagli oroscopi, letti al bar, con la tazzina del caffè in mano e col sorriso del “tanto non ci credo però lo leggo” e ascoltati alla radio, che a parola di esperti è anche un surrogato della vera astrologia. Siamo condizionati in realtà da una serie di credenze popolari e non per questo meno sagge che ci fanno comunque proseguire con la rassegna

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Testo: Emanuela Lanfranco

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delle piccole scaramanzie quotidiane (il sale, il gatto nero, la scala, i numeri) e anche presente nei comportamenti apparentemente innocui di chi, sentendo dire «quel tipo porta sfortuna», non protesta e anzi agisce di conseguenza. Del resto anche la religione può diventare un trionfo di amuleti se confonde i segni con il significato. Conosco un prete che dice che la fede non ha bisogno di miracoli. E infine si arriva ai maghi in tv e agli imbonitori che hanno almeno dimostrato una intelligente capacità di fare business. Perché è facile irridere a questo mondo ma sarebbe più interessante capire cosa c’è sotto. E lì sotto, ci siamo noi, nelle mille storie della “gente comune” che dalla cartomante ci va, eccome. Ho cercato un vocabolo capace di rendere conto di tutte quelle persone, rispettabilissime, che vanno a consultare le cartomanti. Commercio florido, ma non solo commercio. Da quali bisogni sono spinte? Che cosa fa loro supporre che la via irrazionale della previsione magica possa costituire una soluzione o almeno un tentativo di sedazione della loro ansia di conoscenza del domani? Vogliono sapere cosa succederà nella loro vita, vogliono rompere quel tasso di incertezza che ahimè fa parte dello statuto umano. Sono le categorie deboli, deboli perché non hanno convinzioni, non hanno sogni che vadano più in là della domenica pomeriggio. Debole perché si è arresa. Ricordo di avere letto una volta un articolo in cui si faceva un confronto tra la classe operaia italiana e quella inglese e americana: la nostra ne usciva vincitrice sia per la dignità che la animava sia per la voglia di miglioramento che è stato il motore dello sviluppo italiano fino a non moltissimi anni fa. La sensazione, netta, che si ha oggi è che qualcosa sia cambiato: che una parte della società sia ormai passiva e rassegnata, per questo debole, e per questo facile preda di futili consolazioni. Tra cui si possono collocare i maghi, i siti pornografici e la tv spazzatura. Tutte attività in grande crescita nell’Italia di

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oggi, tutti elementi che comparivano anche nel menù offerto in abbondanza alla underclass americana e britannica, che laggiù chiamano white trash, spazzatura bianca. Non voglio essere dura con il mondo delle cartomanti, ma provare farne un’altra lettura. Chi va dalla cartomante ha bisogno di una parola buona, spesso solo quella, di un viso attento che ti guardi, finalmente, e che ti ascolti. Chi va dalla cartomante vive un momento particolare della vita e ha bisogno di instaurare un contatto con qualcuno che le dia fiducia e magari se ha la fortuna di incontrarne una attenta, cominciare a conoscersi proprio attraverso le carte che sono simboli, icone. Ci hanno educato alla happy end: da bambini in famiglia, all’oratorio; più avanti negli anni, al cinema quando sempre arrivavano i cow boys e quando alla fine l’amore, alto, forte, buono e ricco avrebbe risposto alle di lei speranze. Spesso, invece, quando ci tocca diven-

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tare grandi e ci si accorge che le cose non vanno proprio così, allora non c’è più un luogo che risponda alla speranza: ormai pochi accendono le candele in chiesa. Più facile andare dalla cartomante pagando una tariffa onesta in cambio di ciò che offre. La professionista per lo meno sa alcune cose sulla varia umanità che accoglie: sa che i problemi di fondo pur essendo sempre gli stessi, vengono vissuti diversamente per l’unicità che ci appartiene, che le paure hanno a che fare con la salute, i soldi e l’amore. E che sarebbero proprio quelle da affrontare prima del fatto in se. E sa anche che percentualmente una parola buona, uno sguardo positivo sul futuro può fare solo bene, così come fa bene dire alla gente, soprattutto se in uno stato di debolezza, che la vita avrà un buon finale, che ci sarà la felicità. A chi fa male tutto questo? Che danni produce? Pochi, a patto che ci si creda solo un po’. Non troppo. O forse che lo si sappia vivere come un gioco, una ennesima variabile del gioco delle carte


Sommario Città dei Mille - anno 14 n. 3 Aut. Trib. n. 52 del 27 Dicembre 2001

Editoriale La mia rubrica L’approfondimento

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Da Daria a “Daragi”

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cover story

Torneo di tennis in carrozzina (Weelchair) Gli artisti bergamaschi per Nepios 50 anni di Accademia Italiana della Cucina Tiziana Fausti e Valentino Da Villa d’Almè allo Zecchino d’oro

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vip & news

La vetrina

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shopping

Giorgio Gandola Andrea Ghidoni,”Il Parrucchiere” Un onore essere presidente di ATB Presidente AIDO a 23 anni

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interviste

Il locale dove vedere Bergamo dall’alto verso il basso Ari&Ciro, il ritorno dei Fratelli Manzi Effelle Pneumatici... “non solo gomme” Audi A6 un nuovo passo Avant Selvino ancora più verde

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imprese

Bergamo in Guanti Bianchi Cucina Bon Ton Wedding Golf

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rubriche

Gioiosa, la scuola dell’anima Il meglio del teatro che conta BergamoScienza al via la 9° edizione

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cultura

Editore: Editrice Bergamasca S.r.l. www.ediberg.it Direzione e Redazione: Via Madonna della Neve, 24 Bergamo Tel. 035 35 91 011 Fax 035 35 91 117 www.cittadeimille.com Direttore responsabile: Claudio Gualdi Direttore editoriale: Emanuela Lanfranco Redazione: Fabio Cuminetti Progetto e grafica: Fabio Toschi Abbonamenti: 035 35 91 011 segreteria@ediberg.it 1 anno - 27 euro Stampa: Sigraf - Treviglio (Bg) Pubblicità: Tel. 035 35 91 158

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Da Daria a «Daragi»

Nel locale di Bergamo in viale Giulio Cesare è possibile degustare e scegliere pietanze mediterranee ed etniche. E’ Daria Mazzoleni - direttore artistico - il vero e proprio fulcro del «Daragi», preposta a seguire i clienti ed organizzare per loro momenti di intrattenimento.

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aragi, che in lingua senegalese significa “punto d’incontro” non è un modo di dire ma un esplicito invito, con tanto di indirizzo: viale Giulio Cesare 2 - Bergamo. Qui sorge il locale dove ritrovarsi, parlare di lavoro o far festa. Un nome, dunque, che è tutto un programma. A fondare il Daragi, nel 2004, è stata Daria Mazzoleni con due soci senegalesi e questo spiega il perché del nome dato al locale. In seguito Daria è rimasta da sola a gestirlo, peraltro incoraggiata dal successo manifestato dai sempre più numerosi frequentatori. Da originaria kebaberia d’asporto ha successivamente assunto le attuali connotazioni di locale dove è possibile bere un drink, mangiare pietanze particolari e trascorrere momenti di grande cordialità. «Dare la possibilità anche a chi

è solo di poter familiarizzare subito con gli altri clienti – sottolinea Daria – è uno dei punti di forza di questo locale, che riserva inoltre grande attenzione ai dettagli. Tra l’altro non prevediamo le prenotazioni dei tavoli, proprio perché il locale è aperto a tutti: si può accedere finché ci sono posti disponibili». Di recente la proprietà del Daragi è passata di mano, ma Daria Mazzoleni continua ad essere il punto di forza dell’esercizio. Segue i clienti e partecipa in prima persona ai momenti ludici e di intrattenimento. Il rituale più apprezzato al Daragi è sicuramente il momento dell’aperitivo. Dalle ore 18:00 alle ore 20:30 il cliente può degustarlo conversando con gli altri avventori. L’elemento innovativo del locale è il pranzo di lavoro che, dalle ore 12:00 alle

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Testo: Francesco Lamberini

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ore 14:30, propone soluzioni a costi particolarmente appetibili (dai 7 ai 10 euro di spesa) e cibi tradizionali di estrazione mediterranea o etnica. La cena viene altresì proposta con pietanze anch’esse innovative, dai prodotti tipici delle nostre valli alle carni di particolare pregio e gusto, sempre con l’attenzione rivolta alla semplicità del servizio ed all’offerta. Con il suo staff Daria ha inoltre messo a punto, per le serate dal lunedì al giovedì, una serie di eventi particolarmente interessanti e consultabili anche attraverso il sito del Daragi www.daragi. net e social network quale facebook (facebook/daragi.bg). Intrattenimenti che spaziano dalla cartomanzia ai massaggi Shiatsu, dalle serate a tema alla musica dal vivo. Peraltro di prossima attuazione è prevista una serata completamente dedicata a musica e cibi brasiliani. Tutte iniziative che prevedono ingresso libero. «Riguardo ai pasti – precisa il titolare – le proposte etniche fanno leva soprattutto su

un kebab considerato da molti la migliore proposta sul mercato di Bergamo. Più leggero rispetto a quello tradizionale perchè fatto con carne di vitello e tacchino. Le paste fatte in casa dallo chef sono l’ultima “chicca” offerta dal comparto culinario». Molto eterogenea è la clientela, che spazia prevalentemente dai 25 ai 50 anni. Colgo l’occasione - prosegue Daria - per ringraziare tutti i clienti che mi sono stati vicini in questi anni, perché senza di loro non ce l’avrei mai fatta». Un obiettivo che Daria

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è riuscita a cogliere anche grazie alla preziosa collaborazione della figlia Alice. Il Daragi - che ha la caratteristica di essere sempre aperto - può essere frequentato dal lunedì al giovedì fino alle ore 01:00, il venerdì e il sabato fino alle ore 02:00 e la domenica fino alle ore 00:30. E’ strutturato in circa 180 metri quadrati e conta una settantina di posti a sedere all’interno, oltre ad una cinquantina nel settore estivo molto suggestivo, perché composto da ombrelloni e palme del deserto. L’arredamento è semplice e poco impegnativo e prevalgono il legno, il ferro e i colori caldi. Da sottolineare, infine, che c’è in cantiere una simpatica ma impegnativa iniziativa: la storia del Daragi, bella e controversa, che sarà prossimamente proposta in un libro che avrà un titolo più che eloquente: «Da Daria a Daragi (e ritorno)». In pratica una sorta di cronistoria dei quasi sette anni di vita del locale. Daragi Viale Giulio Cesare 2 Bergamo Tel. 340 8727283

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VIP

Torneo di tennis in carrozzina (Weelchair)

Iniziativa benefica a favore dell’Associazione italiana contro la diffusione della droga e l’alcolismo giovanili. Protagonista il campione nazionale Marco Verzeroli, che ha guidato i dodici migliori tennisti della Sbs

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l 3 settembre, presso il Tennis Club Bergamo, si è svolto il torneo benefico di tennis in carrozzina organizzato a favore di AIDD (Associazione italiana contro la diffusione della droga e l’alcolismo giovanile) e di Special Bergamo Sport, l’associazione che opera a fianco di chi è stato vittima di traumi e problemi motori. Protagonista il campione nazionale di tennis Wheelchair Marco Verzeroli, che ha guidato i dodici migliori tennisti della Sbs, in un torneo-esibizione. Si sono giocate partite in singolo, doppio e doppio misto, con un giocatore in piedi e uno in carrozzella, rendendo il gioco ancora più spettacolare. «Sono riconoscente a Verzeroli, al Tennis club Bergamo e aII’SBS - spiega Fabio Bergamaschi, responsabile A.I.D.D. Bergamo - per la loro generosa collaborazione». AI.D.D. lavora nelle scuole per la prevenzione primaria di vari tipi di disagio giovanile. È un’associazione nuova per

Bergamo, che ha tuttavia una storia solida alle spalle. Nata nel 1977 da soci del Rotary e Lyon, è attiva nelle scuole primarie e secondarie di 1° grado, tramite psicologi, pedagogisti, farmacologi, coinvolgendo genitori e insegnanti. Obiettivo primario dell’A.I.D.D. è quello di svolgere un’attività di prevenzione primaria al disagio ed alle sue possibili forme di manifestazioni quali alcolismo giovanile, tossicodipendenza, tabagismo, bullismo Quest’anno l’associazione è approdata a Bergamo grazie all’opera instancabile di Fabio Bergamaschi, che insieme alla moglie Ambra Buelli sta organizzando una serie di eventi per far conoscere l’A.I.D.D. nel mondo della scuola bergamasca e poter così contribuire alla lotta contro quelle che sono le piaghe più gravi che colpiscono la nostra popolazione giovanile: l’alcolismo e il consumo di droga. A fianco di A.I.D.D. vi sarà SBS Special Bergamo Sport, nata da molti anni per inizia-

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tiva di persone affette da disabilità e ha come obiettivo il recupero psicologico e motorio attraverso l’attività sportiva. Sport-terapia, è questo il metodo con cui tutti le persone disabili sono iniziate allo sport dagli Ospedali Riuniti di Bergamo, presso il Centro di Rieducazione Funzonale di Mozzo. «Trovo molto bello – spiega Fabio Bergamaschi - che i giovani aiutino altri giovani, mostrando che nella vita si può sempre trovare una strada per la propria riuscita».

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Gli artisti bergamaschi per Nepios

Cinquanta nomi illustri della pittura hanno donato una loro opera. Il ricavato della vendita l’associazione lo utilizzerà per la realizzazione dei progetti in corso a favore dell’infanzia e della famiglia

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iovedì 1° settembre è stata inaugurata presso il Luogo Pio della Pietà, istituzione fondata da Bartolomeo Colleoni nel 1446, la IV edizione della Mostra “gli artisti bergamaschi per Nepios”. 50 artisti, nomi illustri della pittura bergamasca, hanno donato una loro opera a Nepios, e il ricavato della vendita l’associazione lo utilizzerà per la realizzazione dei progetti in corso a favore dell’infanzia e della famiglia. Presenti all’inaugurazione il sindaco Franco Tentorio, il prefetto Camillo Andreana, la direttrice generale dell’ASL Mara Azzi. Unanime è stato il ringraziamento alla presidente di Nepios, Tullia Vecchi, per il suo impegno verso la comunità e per aver saputo anche in questa occasione unire solidarietà e cultura.

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50 anni di Accademia Italiana della Cucina

Festeggiamenti fissati per il 20 ottobre con l’obiettivo di celebrare adeguamente questa esclusiva istituzione culturale italiana nata a Bergamo nel 1961

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el corso di una affollata riunione conviviale offerta dal nuovo Delegato presso la “Dimora dei Tasso”, Bed & Breakfast di charme gentilmente concesso, è stato dato l’annuncio dei festeggiamenti fissati per il 20 ottobre per ricordare il cinquantesimo anniversario della fondazione, a Bergamo, della Delegazione. All’incontro era ospite una rappresentanza della Delegazione di Marsala, con il Delegato Antonella Cassata ed il consultore Maria Angelica Rallo Pellegrino, ed è intervenuto anche il Cordinatore Regionale, Cav. Dott. Giuseppe Masserdotti, Delegato di Brescia, con il vice Delegato Avvocato Enzo Cossu. La calda serata di fine estate ha accolto, al tramonto, sulle più alte colline di Valverde, illuminate da centinaia di torce, ai bordi della piscina, numerosissimi Accademici con la loro elegantissime e belle signore e nei saloni della storica villa Tassiana, in

comunicazione con una cantina con annesa sala di degustazione. Si è svolta una lunga cena con numerose e raffinate portate che si è conclusa con il taglio di una torta, voluta da Donna Luisella, che riproduceva lo stemma dell’Accademia. L’anfitrione, sommelier e degustatore di grappa e distillati, ha lungamente illustrato agli ospiti i “tesori” della sua cantina che risale al 1500 ed ha offerto in assaggio vini e liquori di altissimo pregio e davvero rari. Il prestigioso chef ha inquadrato anche storicamente le portate scelte nella tradizione bergamasca e l’appuntamento per tutti è stato fissato al 20 ottobre per celebrare adeguamente questa esclusiva istituzione culturale italiana nata a Bergamo nel 1961, pochi anni dopo la sua fondazione, all’Hotel Diana di Milano, da parte di Orio Vergani nel 1953 e che conta oggi almeno 8.000 aderenti riuniti in decine e decine di delegazioni in Italia e circa cinquanta all’estero.

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A cura di: Emanuela Lanfranco

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Tiziana Fausti e Valentino

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ph. simone montanari

iovedì 15 settembre, la boutique di Tiziana Fausti, si è trasformata in un vero e proprio concept store della Maison Valentino. Le proposte invernali Techno-Couture, T-shirt Couture, Rockstud e la collezione Autunno/Inverno 2011-12. Allestite nel prestigioso negozio di piazza Dante, hanno fatto vivere alle amanti del brand, una vera Valentino experience, La boutique, estesa su 1.200 mq con dieci vetrine che “dettano” la moda, è un importante riferimento della città anche per gli eventi fashion che Tiziana Fausti sa creare, elevando Bergamo anche nella moda. La collezione di Valentino è stata ammirata nella sua completezza dalle “amiche-clienti” che hanno partecipato numerose alla presentazione di questa collezione senza tempo.

A cura di: Emanuela Lanfranco

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Da Villa D’Almè allo Zecchino d’oro

Marco Cattaneo Vittone, 9 anni, ha sbaragliato l’agguerrita concorrenza di oltre 4.500 bambini ascoltati nei quattro mesi di selezioni. Il concorso andrà in onda su Raiuno a novembre

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’è un piccolo bergamasco tra i bimbi che vedremo in eurovisione su Raiuno, in novembre, nel corso del 54° Zecchino d’oro. Arriva infatti da Villa d’Almé Marco Cattaneo Vittone, 9 anni, che ha sbaragliato l’agguerrita concorrenza di oltre 4.500 bambini ascoltati nei quattro mesi di selezioni, conclusesi a inizio settembre con la finale nazionale all’Antoniano di Bologna, e che salirà sul palco della celeberrima kermesse canora per interpretare una delle otto canzoni italiane in gara. Il piccolo era stato selezionato tra i migliori d’Italia lo scorso 22 luglio a Golfo Aranci nel corso di una delle 31 tappe del tour 2011 dello Zecchino alla ricerca dei piccoli interpreti per la prossima edizione della rassegna. Marco è già stato abbinato a una delle canzoni inedite scelte per il prossimo Zecchino: canterà «Bye Bye, Ciao Ciao». Il suo nome, insieme a quelli degli altri otto finalisti,

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è stato proclamato il 2 settembre all’Antoniano di Bologna fra 59 bambini, dopo tre giorni di selezioni davanti a una giuria composta dalla direttrice del Piccolo Coro «Mariele Ventre» dell’Antoniano Sabrina Simoni, da Antonella Tosti, che cura le edizioni musicali, dall’organizzatrice Daniela Giuliani, dal maestro Siro Merlo, da Angela Senatore, autrice, da Massimo Bruno, direttore di DeAKids, e dal coordinatore delle Selezioni Claudio Zambelli. Le audizioni, riservate ai bimbi dai 3 ai 10 anni, prevedevano l’esecuzione di uno dei successi dello Zecchino d’oro dalla trentesima alla cinquantatreesima edizione (dal 1987 al 2010), scelto a piacere. Le giornate finali delle selezioni dello Zecchino d’oro si potranno vedere in uno speciale in onda in esclusiva su DeAkids, canale 601 di Sky, a fine settembre.

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Giorgio Gandola

Classe 1958, dal 1° luglio 2011 è approdato alla guida de L’’Eco di Bergamo. «Il mio compito è quello di dare alla città, in modo trasparente, informazione»

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i dice che le migliori amicizie nascano davanti ad un buon piatto e a un buon bicchier di vino, quindi non c’è posto migliore che incontrarsi al ristorante, e se questo fa parte di uno dei migliori tanto meglio! Se l’intervista con il nuovo direttore di L’Eco di Bergamo, dottor Giorgio Gandola è avvenuta al ristorante “da Vittorio”, sicuramente non può che nascere sotto i migliori auspici di una buona amicizia. Fa sempre un po’ soggezione intervistare il direttore di una testata giornalistica, perché se il 4° potere è la stampa… anche il nostro giornale locale lo detiene a buon diritto. Cosa ne dice dottor Gandola? «Potere o non potere sicuramente il giornale locale è il contenitore di una cultura, di un territorio e di un popolo. E il mio compito è quello di dare alla città,

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in modo trasparente, informazione. E dare informazione significa dare al lettore la conoscenza pura dei fatti». “Pura” dal suo punto di vista. «Dal punto di vista della linea che ha sempre tenuto questa testata, ovviamente lasciando a chi lo dirige la libertà di esprimere il suo pensiero». Secondo lei, L’Eco ha un rapporto stretto con la città? «Da quello che leggevo, a quello che sto vivendo, ho notato che dal lettore si ha sempre una risposta immediata. Se si fa polemica, si ottiene subito una reattività molto alta. Si ha la netta percezione che questo giornale, che compie 131 anni, abbia accompagnato la città a diventare quello che è oggi, e la città questo ruolo glielo riconosce. C’è un rapporto molto forte, molto bello: la città e il giornale si sono aiutati a

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A cura di: Emanuela Lanfranco


vicenda. Il giornale è sempre più obiettivo ed autorevole e la città, grazie a quello che è lo stimolo di un giornale locale forte, è sempre riuscita a darsi degli obiettivi di eccellenza. Io credo che il giornale sia all’altezza della città e meriti un territorio come questo. E’ il giornale locale più letto d’Italia. Vantiamo anche un sito che è diventato il sito locale più visto d’Italia: oltre 100.000 contatti al giorno». Secondo lei chi legge il sito ha abbandonato il cartaceo? «Forse il sito ha tolto qualcosa, ma è una percentuale fisiologica, al massimo il 5%. Per il resto sono due pubblici abbastanza differenti. Bisogna essere bravi a dare a questi due pubblici un’informazione che li soddisfi: il giornale offrendo più approfondimenti, notizie trattate con pacatezza e precisione, il web con più velocità e immediatezza». L’immediatezza spesso non la trovi nelle pagine nazionali, qualche notizia viene riportata il giorno dopo. «Non sono d’accordo: noi trattiamo la notizia nazionale come tutti gli altri giornali. Ma il retroscena romano, lo snodo della politica chiacchierata preferiamo non averlo. A quel tipo di notizia

il nostro lettore preferisce invece la declinazione locale della notizia nazionale. Per esempio: se il governo decide di tagliare i fondi ai piccoli comuni, a noi non interessa il parere del sottosegretario piuttosto che di un uomo di partito, a noi interessa andare nei piccoli paesi della bergamasca per scoprire cosa significa il taglio del governo. Se non possono più costruire le scuole, le strade; se non possono aiutare gli anziani. Questo è il valore aggiunto del giornale locale, e questo è ciò che si aspettano i lettori. Noi dobbiamo tagliare la notizia come un abito su misura per i nostri lettori, per coloro che ritengono importante conoscere non soltanto le notizie del territorio ma dove va il territorio, che tipo di problemi ha, che tipo di opportunità, che tipo di società esprime. E questo ci porta a ciò che ci sta davvero a cuore: voler bene al territorio, una differenza sostanziale rispetto ad un giornale nazionale». La direzione di un giornale locale comporta delle grosse responsabilità. «Nel giornale locale c’è il fascino della concretezza: si scrive un articolo, si denuncia un problema, si tocca nel vivo una disfunzione e il giorno dopo può capitare che questo problema sia affron-

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tato, che quella disfunzione venga risolta, che quella strada venga riparata. Questo significa volere il bene del territorio, aiutarlo a crescere attraverso le pagine del giornale. Questo consente anche di misurare la nostra forza. Perché la distanza tra il giornale nazionale e il lettore è di metri, mentre quella tra il lettore e il giornale locale è di centimetri. Dare l’informazione è più difficile, perché il lettore spesso conosce la notizia meglio di quanto la conosca il giornalista». E’ interessante leggere le denunce che i cittadini fanno tramite il giornale soprattutto usando le classiche lettere al direttore. «Le pagine delle lettere sono le più spontanee e anche fra le più lette. Il legame tra il giornale locale e il territorio si esprime anche attraverso le lettere. Ho notato che più si apre al lettore, più il lettore crede nel dialogo con il giornale e scrive. L’errore che spesso facciamo è quello di ospitare delle lettere senza rispondere. Rispondiamo a una e le altre le pubblichiamo “a secco”, senza risposta. Bisognerebbe che tutti i lettori abbiano soddisfazione, ovviamente nella differenza delle opinioni». Tra le lettere al direttore spesso leggiamo i ringraziamenti verso l’ospe-

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dale e questo rincuora chi ha perso un po’ di fiducia nella sanità. «Ci fa piacere pubblicare queste lettere per due motivi. Primo perché all’ospedale di Bergamo ci sono eccellenze e il cittadino lo deve sapere. Non va tutto a rotoli, anzi. Poi per responsabilizzare anche l’ospedale. L’ospedale deve sapere, e lo sa, che per i bergamaschi è “il sacro”. Ho visitato l’ospedale, ho visto anche bellissimi quadri sulle pareti: sono i ritratti delle persone che hanno aiutato a costruire i padiglioni con i lasciti. L’ospedale ha il dovere di essere trasparente e rendere conto di quello che fa. Negli ultimi tempi il giornale ha cercato di spiegare ai bergamaschi il motivo dei ritardi del nuovo ospedale, perché sono

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convinto che il giornale abbia il dovere di spiegare ai cittadini cosa succede». Bergamo uguale: L’Eco, Ospedale, Atalanta, banche, aeroporto. «Non dimenticherei il Vescovo, la Curia, quel cattolicesimo lombardo concreto e fortemente in sintonia con la parte migliore della società». Lombardo o bergamasco? «Vero, bergamasco, con le sue specificità. Se guardiamo il volontariato ce ne accorgiamo: assolve quasi il 90% dei compiti di accoglienza e di assunzione delle problematiche sociali di oggi. E poi, se c’è un missionario di cui si parla a livello nazionale si scopre che è di origine bergamasca. Segno che questi valori sono forti e fanno di Bergamo una città leader. Sono

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valori che abbiamo interiorizzato, che ci hanno tramandato i nostri genitori e che noi cerchiamo di tramandare ai nostri figli: è la continuità di una società». Dottor Gandola, lei ha una grande responsabilità: L’Eco è lo specchio della città. «Mi rendo conto della responsabilità. Soprattutto perche il giornale deve aiutare la città, deve dare delle linee, deve essere un po’ il centro del dibattito di quello che sarà la Bergamo del futuro. Perciò il giornale che la rappresenta deve aiutare la città a capire, a confrontarsi, a parlare». Si può ancora dire che un giornale è apolitico? «Non credo ci sia nulla di apolitico, non si vive senza politica. Però la nostra è la politica dei fatti, non è la politica degli schieramenti. Il giornale è istituzionale: ha un grande rispetto per le istituzioni, quelle istituzioni che hanno il compito di rappresentare ufficialmente la città e farla vivere». Direttore, come sarà il suo giornale? «Un giornale deve avere sempre i piedi ben piantati nel territorio, come le radici di un grande albero. Ma le fronde pronte a guardare al futuro, con tutti i sensori capaci di cogliere i messaggi del futuro. Il futuro ci dice che il web è fondamentale, perciò dobbiamo sfruttare al meglio le opportunità della multimedialità, che a Bergamo c’è. Ed è la conferma dello sguardo lungo di questa città. Il gruppo Sesab comprende: il giornale locale più letto d’Italia, il sito locale più visto d’Italia, ha una televisione locale forte e ha una radio. E’ la multimedialità. Bisogna però migliorare sempre di più il rapporto di questi elementi. La vera sfida dell’editoria del futuro». Il pranzo si è concluso e anche la bella chiacchierata volge al termine: miracolo della buona cucina e dell’interlocutore con cui spero di continuare il colloquio su altri temi cari alla città. Ci stringiamo la mano e spero di potere presto dare ai miei lettori un nuovo contributo, che per esempio tocchi altri punti nevralgici: le Banche, l’Aeroporto, l’Atalanta. A presto.


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Andrea Ghidoni, “il Parrucchiere”

Spesso guardando una donna si poteva capire da come era pettinata chi era il suo parrucchiere. E le “donne” di Andrea si riconoscevano

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n puzzle è formato da tante tessere, ognuna indispensabile per completarlo, e se immaginiamo Bergamo come un grande puzzle Andrea Ghidoni sicuramente è una tessera che serve per completarlo. Nella sua splendida dimora, una famosa villa in città, ci incontriamo perché insieme vogliamo parlare di quella che è stata un po’ la storia di Bergamo passata tra le mani di Andrea. Sì, passata tra le mani, perché siamo alla terza generazione di donne che gli affidano la propria immagine Andrea Ghidoni, senza usare termini esterofili quali hair stylist e coiffeur pour dame (che fa tanto anni ’80), è il parrucchiere che, senza che ce ne rendessimo conto, ha imposto il suo stile, ha fatto parte di quella “impalpabile commissione” di persone che in città hanno segnato un’epoca, per lui

quella del phon. Cosa significa? E’ stato colui che ha introdotto un nuovo metodo e modo per acconciare i capelli. La terza generazione forse non può capire, ma una volta per avere determinate acconciature si ricorreva ai bigodini, il che significava sedute estenuanti. Andrea invece al posto dei bigodini usava le sue mani, giocando con i capelli creava un suo stile, una sua linea. Infatti spesso guardando una donna potevamo capire da come era pettinata chi era il suo parrucchiere, e le “donne” di Andrea si riconoscevano. Cosa distingueva le tue “donne”? «Vorrei partire da lontano… per dare significato a questa risposta. All’età di nove anni fui mandato in seminario perché dovevo fare il prete, e ci restai fino a quattordici. Non c’era vocazione, più facile ci fosse l’esigenza di mettere un figlio in un posto

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Testo: Emanuela Lanfranco

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dove potesse mangiare e istruirsi, e così per quattro lunghi anni mi sono sentito costretto in un mondo non mio, e soprattutto avviato ad una futura professione che proprio non sentivo, e questo lo avvertivo in quanto in classe mi ritrovavo sempre a disegnare figurini di moda. E soprattutto la mia grande passione era quella di pettinare le mie sorelle e tutte le signore del cortile. Io abitavo nelle case popolari di Longuelo dove ora c’è la chiesa; ai quei tempi si faceva la classica vita di cortile, dove la gente si ritrovava a chiacchierare, e durante le vacanze estive io mi divertivo a truccare le signore del vicinato e pettinarle. Credimi, da quel cortile uscivano “teste” che non avevano nulla da invidiare alla dive. Era inevitabile lasciare il seminario. «Infatti a quattordici anni lasciai. Dovevo lavorare, la mia mamma faceva la cameriera e mio padre l’operaio, non c’era lusso. Chiaro che il lavoro che mi offrivano era il lavateste, oggi “shampista”; tutti erano gelosi del proprio mestiere, quindi non ti davano spazio, e le occasioni per dimostrare quello che sapevi fare erano poche, ma la fortuna volle che dopo due tentativi arrivai dal parrucchiere Enzo, il mitico Enzino, che aveva il pregio di demandare. Tradotto significa che faceva lavorare tanto noi… e lui dava il tocco finale, e questa fu la mia fortuna perché ebbi modo di lavorare tanto, fare tanta pratica, creando così un gruppo numeroso di clienti che poi mi hanno seguito. Da Enzo lavorai dai quattordici ai ventitre anni, momento in cui decisi che

era arrivato il momento di lavorare per me». Eccoci all’apertura del tuo primo negozio. «Non è stato facile: non avevo soldi e le banche non mi facevano prestiti, ma c’era chi credeva in me. Una grande cara amica “benefattrice” mi prestò cento milioni, che vennero restituiti senza la richiesta di una lira di interesse, e così ebbi la possibilità di aprire il mio negozio in via Taramelli 50 - era il 1980 - con un socio. Poi lui se ne andò ed io iniziai la mia scalata solitaria e iniziai finalmente, lo devo dire, a fare soldi, a guadagnare. E siamo arrivati al 1993, anno in cui mi trasferii nel nuovo negozio, che è quello attuale». Via Verdi, 27, location di lusso. «Ritengo sia giusto gratificare anche le clienti, ritengo che, oltre al personale professionista, essere accolte in un bel locale, dotato di ogni confort, sia piacevole. Se devi trascorrere del tempo in un “negozio” meglio se questo appaga anche la vista». Nel corso di questi anni di professione non ti ho sentito parlare di scuole professionali, di aggiornamenti… «A parte quello che ti dà il permesso di esercitare la professione, i miei corsi sono sempre stati quelli di guardare il viso della cliente e creare intorno ad esso il taglio e la pettinatura giusta, adatta. Non è arroganza, ma quando guardo il viso della persona so già come tagliare i capelli. So di aver perso delle clienti perché mi sono rifiutato di fare tagli da loro richiesti, ma mi sono sempre

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rifiutato di fare un “carré” a chi già aveva un viso “carré”». Nel corso di questi anni tu hai dedicato tempo anche alla moda, nel vero senso della parola: pettinavi le modelle per le sfilate di grandi stilisti. «Uno dei primi stilisti fu Gianni Versace: nel 1979 lo seguii a New York, non era ancora così famoso ma era un genio dal cuore d’oro. Ricordo che nel 1983 pensavo di avere un tumore e volevo smettere di lavorare ma grazie a lui, al suo consiglio, continuai a lavorare, e ha avuto ragione. Con lui iniziò il mio viaggio nel mondo della moda vero e proprio; ho fatto acconciature per le sfilate di altri grandi della moda, ho pettinato le più famose indossatrici e voglio ricordare Marilisa Leuzzi, ispiratrice di Gian Franco Ferrè, una bergamasca, un’amica». Sono passati anni, hai mantenuto l’amicizia con qualcuno di questi mostri sacri della moda? «La moda è uguale a qualsiasi altro ambiente, l’amicizia se c’è resiste, se non c’è non ti ricordi nemmeno di averla condivisa. Però posso dire che Donatella Versace è un’amica». Torniamo in Via Verdi 27. «E’ il mio regno, nel senso che posso permettermi di fare il re perché i miei collaboratori sono veramente persone efficienti e preparate, posso assentarmi senza dover chiudere; purtroppo la vita non ti porta sempre nel backestage delle sfilate di moda, ma qualche volta ti porta anche in ospedale

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e quando entri qui non sai per quanto tempo devi rimanere. E’ grazie proprio ai miei collaboratori se oggi posso ancora fare l’Andrea. E grazie anche alle clienti che sono rimaste e che sono state la mia salvezza». Da come parli delle tue clienti mi sembra di capire che tu abbia un bel rapporto anche di amicizia. «Alcune mi vogliono proprio bene. Nel corso di questi anni non sempre il cammino è stato facile, io ho sempre lavorato perché ho il piacere di fare questo lavoro, vent’anni senza una vacanza, mai un debito, e sono stato ripagato da un tumore. La malattia è arrivata con tutte le sue conseguenze e qui mi sono accorto che la gente mi ha lasciato, ho perso delle clienti perché nessuno vuole sentire parlare di malattie. La gente ti vuole sempre vedere in forma, aitante, allegro, ma purtroppo spesso dopo la malattia subentra un po’ di depressione e non sei sempre nella condizione di essere allegro. Però le clienti che sono rimaste sono anche vere amiche e la dimostrazione l’ho avuta in due occasioni: quando sono stato ricoverato in ospedale alcune venivano a trovarmi, e quando è morta la mia mamma una di loro è venuta al funerale con figlie e nuora. Queste sono cose che non dimentichi». La tua mamma è stata un grande riferimento per te. «L’adoravo, che soddisfazione quando l’ho portata a vivere nell’attico sopra il negozio, un appartamento stupendo, e lei si sentiva una regina. Mi piaceva farle dei regali: abiti firmati, le ho comprato borse di Hermès anche se lei non aveva la più pallida idea di cosa rappresentassero quei nomi». Andrea, un tuo difetto e un tuo pregio. «Ho il difetto di avere un pregio, la generosità». Sono più di quarant’anni che fai il parrucchiere, hai mai pensato di smettere? «Ho sempre amato i capelli, sono il motore della mia esistenza. Quel giorno che non avvertirò più il piacere di averli nelle mie mani, smetterò. Per tornare alla prima domanda, le mie donne si distinguono perché dopo tanti anni sono ancora mie clienti, ma soprattutto amiche». In conclusione, ricordiamo che Andrea Ghidoni è stato inserito nella lista della Codokan Publication quale uno dei mille che in Europa fa tendenza.

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«Un onore essere presidente di Atb»

Fabrizio Antonello dallo scorso 24 aprile è al vertice della storica azienda di trasporti. «Va salvaguardata, è un bene fondamentale per Bergamo e per l’hinterland»

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on è un buon momento per il trasporto pubblico locale. La crisi del debito ha imposto un taglio netto dei trasferimenti statali a regioni ed enti locali. Far girare i pullman è diventata un’impresa in tutta Italia, con le aziende costrette a mettere sulla bilancia qualità del servizio da un lato, ritocchi all’insù delle tariffe e riduzioni delle corse dall’altro. Del doman non v’è certezza; l’oggi ci presenta invece un’Atb Servizi in ottimo stato di salute, come dimostrato dai numeri: gestione di funicolari e autobus a Bergamo e in 27 Comuni dell’hinterland per un bacino d’utenza di 350 mila abitanti (con la partecipata Tbso e con Teb), 400 dipendenti, 90 mila viaggi giornalieri e dunque quasi 50 mila persone che ogni giorno entrano in contatto con l’azienda, bilancio in attivo di 694.163

euro nel 2010. Senza contare l’attività di Atb Mobilità con servizi integrati e innovativi quali il bike sharing (100 biciclette in condivisione e 15 stazioni), la gestione della sosta (con oltre 2 mila posti auto), della segnaletica stradale, degli impianti semaforici, delle zone a traffico limitato, etc. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Fabrizio Antonello, presidente dell’Atb dallo scorso 24 aprile. Ha trovato un’azienda sana. «Atb non solo è sana: è un’azienda storica che va salvaguardata, un bene fondamentale per Bergamo e per l’hinterland. Ha cento anni alle spalle ed è cresciuta con la città: per questo mi impegno a tutelarla da tutti quegli eventi “esterni”, quali i tagli, che possono minarne l’eccellenza». Come? «Vedremo. Nel frattempo quest’anno

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Testo: Fabio Cuminetti Foto: Laura Pietra

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abbiamo cercato di far ricadere il meno possibile i tagli drastici e drammatici sui cittadini». Avete cercato di preservare soprattutto gli utenti abituali. Ovvero gli abbonati. «Noi teniamo molto alla fidelizzazione degli utenti: intendiamo abituare la gente ad usare maggiormente i nostri autobus, che sono belli, funzionali e puliti. Non per niente Atb ha vinto il primo premio nella categoria Service Improvement Award - Premio per lo sviluppo dei servizi – a Dubai in occasione del 59° congresso mondiale della Uitp, l’associazione a cui aderiscono le aziende di trasporto di tutto il mondo». Ma la contrazione delle risorse prima o poi influirà anche sui servizi… «Le vacche magre rendono magro anche il resto… Ma noi cerchiamo di fare l’esatto opposto: salvaguardare la qualità mantenendo un prezzo che sia comunque competitivo». Gare per l’affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale: quali scenari si aprono per Atb? « La situazione è estremamente complessa e le tempistiche sono ancora tutte da definire. Inoltre gli attuali “chiari di luna” penso scoraggeranno molto la partecipazione alle gare: si chiama trasporto pubblico perché il “pubblico” ci deve mettere del denaro, ma se non ce lo mette…». Nessun rischio che Atb venga “cannibalizzata” da grosse realtà europee? «Atb oggi non è l’ultima arrivata sul territorio, anzi. Non è detto dunque che chi parteciperà alle gare sia più bravo di Atb, che consorziandosi – come capofila - con altre aziende avrebbe ottime chances di farcela. Ma sono discorsi del tutto ipotetici: al momento non possiamo far altro che “vivere alla giornata”, mantendo il livello qualitativo e occupazionale: i tagli del resto non hanno toccato minimamente il personale. Per fronteggiare le minori risorse è stata effettuata una razionalizzazione sapientemente calibrata riducendo i chilometri percorsi solo là dove era davvero possibile farlo».

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I conti tornano anche in virtù di una gestione che potremmo definire esemplare. «Consulenze strapagate non ce ne sono. Il compenso degli amministratori è basso: il presidente prende 9 mila euro all’anno, i consiglieri di amministrazione 4.500, a cui vanno aggiunti i gettoni di presenza. A dir la verità questo lavoro lo farei anche gratis, perché essere presidente di Atb è un onore per me. E’ una società di lustro, gestita benissimo, con un amministratore delegato veramente capace – Gianni Scarfone – e con una struttura altrettanto funzionale in cui dirigenti, quadri e dipendenti in generale lavorano tutti con un unico obbiettivo: quello di far andar bene Atb. Anzi, colgo l’occasione per ringraziarli pubblicamente». E avete istituito la figura del mobility manager, ricoperta dall’ingegner Liliana Donato. «Sui blog avevo letto una polemica relativa al fatto che fosse pagata 100 mila euro l’anno.

Non è assolutamente vero. Prende il suo stipendio da dipendente Atb (è responsabile marketing e comunicazione, ndr) come prima della nomina e svolge entrambe le attività senza ulteriori indennità». Però il momento storico per il trasporto pubblico resta tremendo. Chi gliel’ha fatto fare, presidente? «Più è difficile e più mi piace…». E ora ci parli un po’ di lei. «Sono nato a Varese nel 1959, vivo qui dal 1970, sono sposato con una bergamasca e ho un pastore tedesco». Che rapporto ha con Bergamo? «E’ la mia città, son cresciuto qui e qui ho giocato a pallanuoto a livelli agonistici fino all’età di 32 anni. Trovo che sia meravigliosa». Ha ancora tempo per fare sport? «Assolutamente sì. In realtà adesso da 4 mesi sono fermo a causa di un infortunio, ma normalmente passo un’ora in piscina 3-4 volte la settimana. Togliermi l’acqua è come toglierla a un pesce. Poi ci sono i motori:

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mi occupo di ricorsi in pista per il Team Ghinzani, nel campionato di Formula 3». Dal 1993 al 1999 è stato nel Cda dell’Alzano Virescit. «Una splendida cavalcata dalla serie D alla B. Proprio mentre eravamo nel campionato cadetto ho lasciato per fare l’assessore alle Attività produttive del Comune di Bergamo, nella Giunta Veneziani. Insomma, la decadenza della squadra io da consigliere non l’ho vissuta… E’ stata una bellissima esperienza, con personaggi fantastici». Cosa pensa della situazione dell’Atalanta? «Quello che è successo è veramente antipatico. La società non se lo merita: trovo che a volte la responsabilità oggettiva sia davvero eccessiva. Se la sentenza nei confronti del capitano venisse confermata mi dispiacerebbe molto, perché Doni è stato anche premiato con la benemerenza del Comune». Si salverà? «Lo spero. Il grande entusiasmo di Percassi e dei tifosi va premiato».

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Presidente Aido a 23 anni

Sebastiano Serughetti guida il gruppo rionale di Monterosso: «Spero che la mia giovane età serva come esempio per altri ragazzi»

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l 14 novembre 1971, in un piccolo locale di Monterosso, Giorgio Brumat diede origine alla Dob, Donazioni Organi Bergamo. In breve tempo, diventata fenomeno nazionale, assume il nome di Aido, Associazione Italiana Donatori Organi, che quest’anno festeggia i suoi 40 anni di attività sul suolo bergamasco. Ma torniamo a Monterosso, oggi sede del gruppo rionale che comprende anche Valtesse, Valverde e Conca Fiorita. Perché ne parliamo? E’ la prima sede storica dell’Aido e il suo presidente è forse uno dei più giovani presidenti di un’associazione senza fine di lucro che si occupa di sociale: Sebastiano Serughetti, ventitre anni. Se b a s t i a n o , c o s a t i h a s p i n t o a d assumere questo incarico? «Era mio desiderio fare qualcosa per gli

altri. Spesso noi giovani crediamo che tutto ciò che accade di non bello a noi non può capitare. Poi invece un giorno ricevi la notizia che Matteo Savoldelli, vicino di casa e soprattutto amico, ha perso la vita: mancava poco al suo diciottesimo compleanno, quel giorno è uscito dal nostro cortile in moto e non è più rientrato. Resti attonito, non hai parole né lacrime e il pensiero va anche alla mamma Pierangela, che aveva solo quel figlio. Nel medesimo cortile anche Marco parcheggia l’auto e oggi, grazie a qualcuno, è rinato. Certi eventi servono a farti riflettere. Parlo di Marco Lo Vecchio, amico e compagno della mia mamma, sottoposto un anno fa ad un trapianto di reni. Grazie a un donatore di organi. Una persona generosa, come la mamma di Matteo, che ha dato a 8 persone la possibilità di rinascere.

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Testo: Emanuela Lanfranco

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Questi due eventi e la frequentazione in ospedale, dove ho visto giovani la cui vita era appesa ad un “sì” scritto su un cartoncino, mi ha messo in discussione e ho capito che era il caso di fare qualcosa per gli altri. E così abbiamo contattato gli organi regionali e provinciali dell’Aido e abbiamo riaperto la sede del Monterosso, in viale Giulio Cesare (ex Ismes). Ecco perché ho accettato di fare il presidente, spero che i miei 23 anni servano come esempio per altri ragazzi». Sei riuscito a farti capire dai tuoi coetanei? «Credo di sì. L’importante è informare, essere presenti sul territorio con punti di riferimento dove la gente si può avvicinare. Chiedere e ricevere informazioni è sempre importante perché e lì dove la gente mette il “sì” sul cartellino di adesione alla donazione». L’Aido entrerà in Università. «Sì, per avvicinare i giovani e soprattutto per farci conoscere, l’Aido farà parte di un progetto con l’Università di Bergamo. Abbiamo avviato la procedura con l’appoggio dell’Aido regionale per creare un’associazione all’interno dell’Università - saremo la seconda in Italia - e ho visto che gli studenti hanno recepito bene questo discorso. Sono riuscito da solo a portare trenta iscritti, quindi si vede che c’è voglia di partecipare da parte dei giovani. Certo ci deve essere qualcuno che dia informazioni e chi ha vissuto da vicino questa esperienza, nonostante il suo dolore, riesce ad essere sempre convincente». Cosa significa per te fare parte dell’Aido? «Io ritengo che la donazione sia un atto di grande carità in linea anche con il pensiero cattolico». Riuscite sempre a convincere le persone ad iscriversi all’Aido? Quando sei iscritto all’Aido sei donatore? «Innanzitutto l’Aido non vuole costringere nessuno a donare organi, ma serve per farti riflettere, per scatenare un dibattito, sapendo che puoi far vivere una persona. Si può aderire all’Aido senza essere donatori, basta dichiarare la volontà di non donare. Al 31 dicembre 2010 gli

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iscritti in provincia erano 62.430». Come si manifesta la volontà di donazione? «Il principio del silenzio assenso (capo II, Legge 1 aprile 1999, n. 91) non è ancora applicato, in quanto non è stata ancora costituita un’anagrafe informatizzata dei cittadini assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale che permetta la notifica ad ogni cittadino, da parte di un Pubblico Ufficiale, di un modulo per la dichiarazione di volontà in cui si informa lo stesso che, in mancanza di una esplicita dichiarazione, si presume il consenso alla donazione. In questo periodo transitorio la legge stabilisce il principio del consenso o dissenso esplicito, per cui a chiunque è data la possibilità di dichiarare validamente la propria volontà attraverso il tesserino blu inviato dal Ministero della Sanità nel maggio 2000 da portare sempre con sé, la registrazione della volontà effettuata presso gli appositi sportelli delle Aziende Sanitarie Locali e dei Comuni, una dichiarazione di volontà alla donazione di organi e tessuti scritta su un comune foglio bianco che riporti nome, cognome, data e luogo di nascita, data e firma, la tessera o l’atto olografo dell’Aido. Per iscriversi – gratuitamente - all’Aido è sufficiente compilare il modulo di adesione, firmarlo ed inviarlo in busta chiusa con affrancatura prioritaria (non occorre raccomandata) presso la sede provinciale Aido». E possibile anche recedere? «E’ facoltà del donatore di recedere in

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qualsiasi momento dall’associazione dandone opportuna comunicazione scritta alla sede Aido della propria provincia di residenza, con la quale si richiede la restituzione del modello di adesione compilato e firmato al momento dell’iscrizione». Che cos’è il trapianto? «E’ un’efficace terapia per alcune gravi malattie che colpiscono gli organi o tessuti del corpo umano e che non sono curabili in altro modo. Grazie all’esperienza acquisita negli ultimi anni il trapianto consente al paziente una durata e una qualità di vita che nessun’altra terapia è in grado di garantire. Non tutti i pazienti che necessitano di trapianto però possono riceverlo a causa dello scarso numero di donatori. Ad esempio nell’anno 2008 sono stati eseguiti 1.526 trapianti di rene a fronte di una lista di attesa di 7.158 pazienti». Chi può divenire donatore di organi? «Donatori di organi sono persone di qualunque età che muoiono in ospedale nelle Unità di Rianimazione, a causa di una lesione irreversibile al cervello (emorragia, trauma cranico, aneurisma etc.) o di un prolungato arresto cardiaco, accertato tramite elettrocardiogramma per almeno 20 minuti, che abbiano prodotto la totale distruzione delle cellule cerebrali causando la morte del paziente per irreversibile e completa cessazione dell’attività cerebrale. Tutti gli organi sono prelevabili. In presenza di malattie infettive trasmissibili, l’idoneità dell’organo al trapianto è scrupolosamente valutata dai


medici con specifici esami. In qualche caso, la malattia di uno o più organi non pregiudica la utilizzazione di altri organi o tessuti per il trapianto». Quali sono gli organi e i tessuti che si possono prelevare? «Gli organi che si possono prelevare sono i reni, il fegato, il cuore, il pancreas, i polmoni e l’intestino, mentre i tessuti sono le cornee, il tessuto osseo, le cartilagini, i tendini, la cute, le valvole cardiache, i vasi sanguigni». A chi si trapiantano gli organi? «Ai pazienti selezionati tra tutti quelli iscritti in lista di attesa. La selezione del ricevente è effettuata in base a criteri oggettivi e trasparenti (compatibilità clinica ed immunologica) che favoriscono la massima riuscita del trapianto. I tessuti prelevati possono essere conservati in banche appositamente attrezzate prima di essere utilizzati sul ricevente». Si può vendere o acquistare un organo?

«No, è illegale vendere o comprare organi umani. La donazione degli organi e tessuti è un atto anonimo e gratuito di solidarietà. Non è permessa alcun tipo di remunerazione economica e non è possibile conoscere l’identità del donatore e del ricevente». Le confessioni religiose sono favorevoli alla donazione degli organi? «La maggioranza delle religioni occidentali sostengono senza alcun dubbio la donazione e il trapianto degli organi. La Chiesa Cattolica ha sottolineato in molte occasioni che la donazione degli organi è un atto supremo di generosità, carità e amore. Altre religioni, fra cui quella Ebraica, Islamica e dei Testimoni di Geova, non pongono nessuno ostacolo alla donazione». Dove si effettuano i trapianti? «Il trapianto di organi in Italia viene eseguito negli ospedali o strutture sanitarie accreditate dalle Regioni ed è total-

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mente gratuito per il ricevente». Dove si prelevano gli organi? «Nelle sale operatorie degli ospedali accreditati dalla Regione o dal Ministero, da équipes medico-chirurgiche che operano nel più’ grande rispetto del corpo del defunto. Dopo il prelievo, il corpo del defunto è a disposizione dei congiunti per le procedure relative alla sepoltura». Quando avviene il prelievo degli organi? «Quando sia stata accertata e documentata la morte encefalica o morte cerebrale, stato definitivo e irreversibile. L’accertamento e la certificazione di morte sono effettuati da un collegio di tre medici (medico legale, anestesista-rianimatore, neurofisiopatologo) diversi da chi ha constatato per primo la morte e indipendenti dall’èquipe che effettuerà il prelievo e trapianto. Questi medici accertano la cessazione totale e irreversibile di ogni attività del cervello per un periodo di osservazione non inferiore a 6 ore».

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Il locale dove vedere Bergamo dall’alto verso il basso

Oltre a proporre ottimi piatti e bevande, il «Caffè & Ristorante della Funicolare» consente di rivolgere lo sguardo su uno splendido paesaggio. Due gli ambienti a disposizione dei clienti: una grande sala bar e al piano superiore quella adibita a ristorante, entrambe corredate da terrazzi

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egustare vini e pranzare o cenare su terrazze che consentono di guardare Bergamo dall’alto in basso… Non è un desiderio irrealizzabile: basta raggiungere via Porta Dipinta in Città Alta ed entrare nel «Caffè & Ristorante della Funicolare». Qui le impronte del passato si mescolano all’arte dell’accoglienza; il tutto proiettato verso un paesaggio che lascia incantati. Basti dire che la struttura portante dell’articolato locale, posto su due piani, risale al 1400. Quasi centenario è comunque il Caffè inteso come esercizio commerciale, poiché la sua originaria apertura è datata 1920. Gli attuali gestori, ovvero la famiglia Passetti, sono subentrati nel 1992. Il locale, accessibile dall’interno della stazione d’arrivo della funicolare, è

distribuito in circa 180 metri quadrati di sale e altri 60 suddivisi fra i due balconi. Nel piano a livello stradale si apre una prima sala dove è in funzione il grande Testo: F. Lamberini Foto: Fabio Toschi

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bar dotato di ampia terrazza. Un’analoga disposizione sorge al piano superiore dove è in funzione il ristorante. Il tutto è gestito da una brigata di 12 persone. «Un anno e mezzo fa – dice Massimo Passetti, figlio del titolare, che di fatto gestisce la struttura – abbiamo ottenuto la licenza di ristorazione. Prima c’era a disposizione solo una tavola calda mentre ora prepariamo tutto noi, dai piatti più svariati, ai grissini e i dolci. Quindi nella parte sottostante continuiamo a servire le colazioni del mattino, il pranzo veloce a mezzogiorno e l’aperitivo della sera. Al piano superiore, invece, funziona il ristorante vero e proprio». In quest’ultimo ambiente, frequentato anche da molti turisti, è possibile gustare piatti tipici come salumi e formaggi, menù che richiamano le tradizioni di altre regioni, proposte vegetariane, altre a base di pesce senza trascurare l’arte culinaria bergamasca. Sono in molti a non lasciarsi scappare l’occasione di mangiare bene e godersi «gratuitamente» la splendida vista che offre il locale. «Confermo – dice scherzando Massimo Passetti – che non si paga per poterla contemplare» e aggiunge: «Abbiamo una clientela ormai consolidata in quasi vent’anni di attività, ma anche tanti amici, oltre agli immancabili turisti. Prima si vedevano molti inglesi ma ora stanno prevalendo i francesi, i tedeschi e soprattutto gli spagnoli, incentivati da una serie di voli istituiti di recente all’aeroporto di Orio. Turisti che apprezzano i piatti, specie i casoncelli con il vino rosso, il classico cappuccino, considerato un punto di forza italiano, e naturalmente il panorama che si gode da questa posizione». Di recente il «Caffè & Ristorante della Funicolare» ha inoltre proposto un menù particolare battezzato «Terrazza Bellavista», con un chiaro riferimento al conosciutissimo vino. Tale menù è stato così strutturato: aperitivo con Bellavista brut accompagnato da grissini stirati a mano, formaggio Salva Cremasco dell’azienda Taddei e fragole, poi il

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pranzo o la cena che comprendono una bottiglia di Bellavista Uccellanda con due piatti a scelta fra quelli proposti. Si tratta di una formula gastronomica che ha accompagnato la recente manifestazione con cui si è voluto trasformare la vicina Piazza Vecchia in «giardino». Il nome scelto, «Terrazza Bellavista», non è stato casuale poiché oltre a richiamare il noto vino ha inteso sottolineare anche il colpo d’occhio che si coglie dal locale. « St i a m o p e n s a n d o - d i c e Ma s s i m o Passetti- di attuare nelle prossime settimane nuove proposte per valorizzare prodotti tipici attraverso serate a tema.

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Presto inoltre, al venerdì,riprenderanno le serate musicali per vivacizzare ulteriormente l’ambiente. Ci stiamo anche organizzando per curare maggiormente taluni dettagli legati al momento dell’aperitivo che prelude all’accesso nella sala ristorante, per dar modo ai clienti di poter trascorrere tutta la serata da noi, in un clima ideale». Nel locale è possibile apprezzare degli affreschi del 1400, così come la copertura con le travi che risale allo stesso periodo. In stile Liberty, quindi tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, sono invece le finestre e le vetrate. Il colore alle pareti prevalente nei vari ambienti della sala bar è il giallo, esaltato del resto dalle tovaglie ai tavoli. Nel settore ristorante che sorge sopra, invece, primeggia il rosa antico. Molte sono le coppie che frequentano il «Caffè & Ristorante della Funicolare», se non altro per il contorno romantico che offre, ma a richiesta è possibile anche prenotare la sala per cene aziendali, piccoli banchetti o cerimonie che prevedano la partecipazione di una quarantina di persone. L’ultima curiosità riguarda la mancanza di un orologio nel locale. «Si tratta di un’assenza voluta per scelta – conclude

Massimo Passetti – perché chi viene a trovarci deve godersi l’aperitivo e la cena in assoluta serenità. In pratica è un invito a non aver premura e lasciare la fretta fuori da queste mura».

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Ari&Ciro, il ritorno dei Fratelli Manzi

Hanno gestito per 30 anni il “Piemontese”. Ora Aristide e Ciro scrivono un nuovo capitolo della storia della buona cucina in provincia con un ristorante-pizzeria tutto nuovo a Curno

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f r atelli Manzi (Francesco, Giuseppe, Ciro, Aristide e Patrizio) hanno scritto un pezzo di storia della ristorazione a Bergamo. Basti dire che hanno gestito dal 1978 al 2009 il “Piemontese”, di fronte alla stazione. Un locale che è stato un cult per tanti buongustai. Non solo. Nello stesso periodo hanno contemporaneamente guidato il “Polis” (oggi La Bruschetta) di via Guglielmo d’Alzano, “La Conchiglia” (oggi Pooglia’s) di via 24 Maggio, “La Carbonella” in via Quarenghi, “L’Ippopotamo” a Caravaggio e “La Muratella” a Cologno al Serio. L’amore per la buona cucina è sempre stato nel cuore dei fratelli Manzi. I loro numerosi clienti li hanno stuzzicati affinchè tornassero a proporre i loro piatti così esageratamente appetitosi, mediterranei doc al cento per cento. Loro stessi non riuscivano più a stare senza il profumo della pizza vera napoletana, del fritto misto o dei “cavatelli con melanzane

e ricotta dura”. Chiuso il “Piemontese” dal giugno 2009, finora era stato il fratello più giovane, Patrizio, ad andare avanti con i locali “Eral’ora” e “1.o livello”, tutti e due a Curno, nel centro commerciale Le Vele. Ora, sempre nel parco commerciale di Curno, tornano ad occuparsi di enogastronomia i fratelli Aristide e Ciro e lo fanno con un ristorante-pizzeria tutto nuovo: “Ari&Ciro”. Al loro fianco hanno entrambi il sostegno di un figlio, entrambi di nome Giacomo, in ricordo del nonno. L’esperienza di anni è stata messa a frutto nella progettazione di questo locale. Al primo piano, la sala è ampia e luminosa, con vaste vetrate, tavoli ben disposti (sino a 200 i posti a sedere), climatizzazione, soffitto con travi a vista, poltroncine in pelle, lampade di Catellani e Smith. In cucina lo chef è il mitico Claudio Morandi, che ha lavorato con i Manzi al Piemontese e a La Muratella. Una garanzia anche il pizzaiolo, specializzato nella vera

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pizza napoletana, e i vini, grazie alla consulenza della azienda “Pellegrini” di Cisano. I prezzi? «Contenuti – assicurano i fratelli Manzi – perché vogliamo riprendere tutta la nostra vecchia clientela e tornare a far parlare di noi nel mondo dell’enogastronomia». Per chiudere, alcuni piatti dal menù: paccheri del golfo con calamari, scampetti e pomodoro Pachino; pasta e fagioli con le cozze; risotto al Castelmagno; cavatelli con melanzane e ricotta dura; risotto alla pescatora; tagli di carni pregiate alla griglia; arrosticini di agnello o di pesce; tagliata di tonno rosso; fritto misto. Ampio il buffet di verdure e antipasti, mentre a centro sala campeggiano l’esposizione dei dolci del giorno (tra cui il richiestissimo “semifreddo del Muranda”) e un acquario colmo di astici, aragoste e granchi vivi. Crostacei e pesce sono acquistati giornalmente e preparati dalla brigata di cucina, così come dalla cucina esce ogni giorno il pane fresco.

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Ristorante-Pizzeria Ari&Ciro Via Fermi 2 - Curno (Bg) Telefono 035 466274 - info@arieciro.it 53 serale, da martedĂŹ a domenica dalle 19 alle 24. Chiuso il lunedĂŹ. Apertura solo


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Effelle Pneumatici… “non solo gomme”

Da noi potrai ottenere una serie di prestazioni che assicurano l’ottimo funzionamento del tuo veicolo. E’ anche possibile chiedere il ritiro gratuito della vettura o l’auto di cortesia. Angelo Giacalone g.m. di Effelle Pneumatici: «Ciò su cui puntiamo è un servizio completo che possa fare la differenza»

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ffelle Pneumatici… “non solo gomme” è l’efficace slogan che contrassegna questa azienda specializzata nel soddisfare ogni esigenza legata alle ruote, e non solo, dei veicoli. Un biglietto da visita che è tutto un programma. Anche se commercializzare pneumatici è ovviamente il suo punto di forza, il team che vi lavora assicura altre importanti prestazioni come i controlli pre-revisioni, i tagliandi completi, il cambio di olio e filtri, dei dischi e delle pastiglie dei freni, la sostituzione di: ammortizzatori, marmitte, batterie, nonché la ricarica dell’aria condizionata. All’occorrenza esegue il ritiro gratuito del veicolo a domicilio ed è in grado di mettere a disposizione dei clienti due auto di cortesia. Tutto questo non nasce dall’oggi al

domani, ma è frutto di un’esperienza maturata da anni nel settore. Imprenditorialmente parlando, infatti, Angelo Giacalone ha cominciato a commercializzare pneumatici nei primi anni Settanta. All’inizio di quelli Ottanta ha creato la sua azienda a Mozzo e dal 1991 l’ha trasferita nella più ampia e funzionale sede attuale di Curno dove è affiancato da uno staff di collaboratori. Semplice è la formula del successo che riscuote Effelle Pneumatici: «Rispetto ad una qualsiasi altra realtà – sottolinea Angelo Giacalone – ci occupiamo a tutto tondo della gestione di un’automobile, rivolgendo un’attenzione particolare alle ruote che sono strettamente legate alla sicurezza della guida». Comode e ideali per chi è molto preso dal lavoro sono le modalità d’intervento.

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Testo: Francesco Lamberini Foto: Fabio Toschi

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A richiesta l’auto viene ritirata al domicilio o all’ufficio del cliente e lo staff, dopo aver provveduto alle necessarie riparazioni e controlli, provvede a riconsegnarla. Altra utile alternativa è l’auto di cortesia che viene affidata al cliente durante la permanenza del veicolo in officina. «In questo modo – dice Giacalone – offriamo a chi ha bisogno di noi anche la possibilità di risparmiare tempo e in ogni caso di contenere gli inevitabili disagi. Tanto è vero che lavoriamo su appuntamento. Ciò su cui puntiamo maggiormente non è tanto l’applicare prezzi concorrenziali, ma, il nostro zoccolo duro è dare servizio completo che possa fare la differenza». «Inoltre – sottolinea Giacalone – disponiamo di un grande magazzino dove sono stoccati gratuitamente gli pneumatici della clientela, ovvero, chi li acquista da noi ha la possibilità di montare quelli estivi lasciando in deposito gli invernali e viceversa ad ogni cambio di stagione. In tal modo si evita il fastidio di doverseli portare a casa, dove, non è facile trovare un posto adatto dove riporli. Attualmente abbiamo circa 4 mila gomme custodite. Direi che anche questo è un servizio che risulta particolarmente apprezzato». Molto assortita è la clientela e di conseguenza le tipologie di vetture che frequentano Effelle Pneumatici, dall’utilitaria alla sportiva alla berlina di lusso. La scelta del pneumatico adatto alla tipologia del veicolo non è difficile poiché è possibile trovare tutti i marchi presenti sul mercato. Ma non deve essere nemmeno casuale. «Per quanto riguarda il classico cambio delle gomme – dice Giacalone – abbiamo clienti, definiti storici, che ormai si affidano completamente a noi. Altri si presentano già con loro idee e vediamo di trovare un punto d’incontro. In ogni caso cerchiamo di consigliare sempre il prodotto che maggiormente si adatta alla tipologia dell’auto che ci viene consegnata, scegliendo in prevalenza marchi primari. Se vogliamo sottolineare una curiosità, sulla base dell’esperienza maturata devo dire che le donne sono di solito più guardinghe e prevenute nel

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momento in cui vengono consigliate. In compenso appaiono più decise rispetto ai guidatori quando si accorgono che ciò che dici loro corrisponde alla realtà. Naturalmente ho molte clienti perché oggi la donna è autonoma e alle prese con i tempi e le responsabilità connesse ad un’attività lavorativa». Sempre in tema di gomme, ci sono poi pneumatici un po’ particolari, come quelli lamellari che una volta venivano chiamati «da neve». Con la brutta stagione danno sicuramente maggiore affidabilità nella guida e di solito vengono montati a novembre e smontati a marzo. Possono essere usati ovunque, non solo quando si programma un itinerario in montagna. «Si tratta di gomme – conferma Giacalone – utilizzabili tranquillamente anche in città perché in ogni caso offrono maggiori garanzie, non è necessario andare dove c’è un metro di neve. Risultano ideali anche nell’area urbana, specie quando si incontra un po’

di brina o qualche tratto ghiacciato. Anzi, gran parte dei miei clienti utilizzano le gomme invernali per uso lavorativo. Hanno invece perso quota le cosiddette catene da neve: io stesso non le commercializzo più ormai da anni. Innanzitutto perché un conto è montarle qui in officina e tutt’altra cosa è pretendere che faccia questa operazione il cliente, sostanzialmente inesperto e per di più costretto a sfidare sovente condizioni atmosferiche avverse. Sappiamo inoltre che fanno rumore e c’è sempre la probabilità di imboccare una lunga galleria: a quel punto è però impensabile toglierle per poi rimontarle. Se poi si incontrano strade pulite risultano totalmente inutili». Da sottolineare, inoltre, che quello di Angelo Giacalone è anche un negozio ufficiale «CDG one» (Consulente di guida) ovvero Punto Vendita Ufficiale Yokohama, il top che si può trovare sul mercato come rivendita di pneumatici. L’attività è rivolta al pubblico dalle 7 alle

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12,30 e dalle 14 alle 20 nelle giornate di lunedì, martedì, mercoledì e venerdì. Al giovedì invece Effelle Pneumatici, mettendo a disposizione della propria clientela un’ accogliente saletta d’attesa, tv, distributore di bevande, dehors e WI FI – ZONE resta aperta fino alle 21… un orario un po’ fuori dalla norma, ma ulteriore punto di forza in considerazione della vicinanza ad una serie di centri commerciali. Al sabato il lavoro viene svolto dalle 7 alle 13 e poi riprende al lunedì mattina. Effelle Pneumatici Via G. Rossa, 6 24035 Curno (Bg) Tel. 035.610235 Fax 035.5096943 Mobile 328.1867316 info@effellepneumatici.it www.effellepneumatici.it

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Audi A6, un nuovo passo Avant

Platea delle grandi occasioni il 15 settembre al rinnovato Hangar Audi di Bonaldi Motori per la presentazione del nuovo gioiello. Che si merita un posto d’élite nella storia di successo della serie

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n aperitivo di charme, accompagnato dalla leggerezza dell’arte contemporanea e dalle note dei violini, per presentare al grande pubblico l’ultimo gioiello di casa Audi. Il 15 settembre Bonaldi Motori si è così trasformato da spazio espositivo in palcoscenico, per la pièce dedicata alla nuova Audi A6 Avant. Nel nome della leggerezza e della tecnologia la casa dei 4 anelli ha infatti realizzato una vera opera d’arte per perfezione formale e avanguardia tech. E proprio l’arte, nella sua accezione più pura di note e forme ha fatto da leitmotiv alla serata. A cominciare dall’esibizione della violinista performer Saule Kilaite, nota per i concerti multimediali tenuti in Italia e in Europa, alla guida del quartetto Picasso String. Arte visuale e car design hanno ancora una volta incrociato i loro

percorsi nello Spazio Arte Hangar Audi che, in collaborazione con la Galleria Marelia, ha inaugurato la mostra personale di Francesco Lussana, artista che crea lavori in “simbiosi” con il processo produttivo dell’industria (visitabile fino al 15 ottobre). Al centro della scena, è stata però la station wagon business della casa dei 4 anelli, svelata nelle sue caratteristiche dagli Ad del Gruppo Bonaldi Simona Bonaldi e Gianemilio Brusa. «In un mercato dell’auto – ha commentato Brusa – in flessione del 13%, Audi ha fatto registrare uno straordinario più 6% ed è leader del segmento premium. Il segreto? Capacità di rinnovamento e presentazione continua di nuovi modelli».

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A cura di: Fabio Cuminetti

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Selvino ancora più “verde”

Primo villaggio ecocompatibile in classe A con soluzioni e materiali utilizzati unici in Italia. L’inaugurazione del gioiello ha richiamato professionisti da tutta la Penisola

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rano oltre 300 i visitatori che domenica 21 agosto si sono dati appuntamento a Selvino per vedere da vicino il primo villaggio ecocompatibile in classe A. Le case con il tetto d’erba e serra annessa - utile per massimizzare il calore dei mesi invernali - sono state visitate non solo da turisti e curiosi, ma anche da tecnici ed ingegneri arrivati da molte regioni d’Italia per assistere all’open day del villaggio e prendere spunto per i propri progetti. Le soluzioni e i materiali utilizzati per la realizzazione del villaggio ecologico sono infatti unici in Italia e hanno ottenuto riconoscimenti importanti a livello nazionale e internazionale. Già in fase di realizzazione, il progetto CasAselvino è stato premiato a Next Energy 2008, salone milanese biennale sulle energie rinnovabili, ed è attualmente

in fase di valutazione dell’Unione Europea per il “Sustainable Energy Europe Awards Competition 2012”, iniziativa che premia le migliori realtà europee nel settore dell’efficienza energetica. Il complesso realizzato dalla bergamasca Ing srl è stato progettato per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Il villaggio conta 16 soluzioni di diversa metratura all’avanguardia in tema di risparmio energetico ed è il primo complesso abitativo ad aver ottenuto la certificazione energetica in Classe A secondo il protocollo Casa Clima. Le residenze sono nate dopo una lunga ricerca nel campo delle rinnovabili e dell’ecocompatibile e sono state progettate per minimizzare le dispersioni termiche, massimizzando i guadagni solari.

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Testo: Fabio Cuminetti

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Bergamo in “Guanti Bianchi”

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Abbiamo piacevolmente incontrato Emanuela Lanfranco in una Bergamo assolata e calda, ci ha fatto scoprire una Città ricca di Storia, Arte e meraviglie nascoste. Una Bergamo vista con gli occhi della migliore Padrona di Casa, come una direttrice d’orchestra che sa far suonare ogni strumento alla ricerca della giusta armonia. Questa è stata la scoperta di una Bergamo… in guanti bianchi.

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’ Associazione Italiana Maggiordomi, formata oggi da professionisti di vari settori, non ha fine di lucro e si propone di promuovere e valorizzare la figura e la professione del maggiordomo. L’Associazione svolge attività di informazione e consulenza agli Associati sui problemi specifici della categoria, intende promuovere incontri tematici e corsi per l’aggiornamento degli Associati e per la formazione di nuovi professionisti nei settori dell’ospitalità di alto livello e per le residenze private. Chiunque può richiedere di fare parte di questa Associazione nata con la promessa di rivalutare la figura del maggiordomo in Italia, meglio conosciuto come Butler nel resto del mondo. Una figura professionale che si sta diffondendo ovunque e sempre più richiesta all’interno di case private, per eventi, per vacanze, nelle navi o negli hotels di gran lusso e… oggi anche per i Matrimoni o come free lance. Chi è un maggiordomo? All’interno di

una Casa di Lusso, ad esempio, ogni ospite può essere seguito da un Maggiordomo personale, che diventa per l’ospite stesso o per i padroni di casa un efficiente Personal Assistant o un Direttore di Casa. Il Butler, uomo o donna, è anche un prezioso Event Planner, per prenotare i migliori ristoranti o per organizzare un evento importante, per avere biglietti ed evitare lunghe ore di attesa. Per lo shopping esclusivo o per regali unici, per chi è troppo occupato e per chi ha poco tempo da dedicarsi. I luoghi in cui un ottimo butler può inserirsi sono vari ed in ogni angolo del mondo: dalle navi che solcano oceani alle barche a vela, dai castelli alle dimore storiche, dalle ville alle case private, dagli hotels alle vacanze e per ogni giorno. Il Butler regala al Suo Ospite o al suo Padrone di Casa un’assistenza discreta, seria e mai invasiva, e mette a Sua disposizione tempo e professionalità uniche. E’ sempre il Butler che si occupa degli animali domestici e che se ne prende

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cura, in ogni dettaglio. E’ il Butler che prenota un elicottero per raggiungere i migliori porti per una gita in barca a vela, o per prenotare un’auto di lusso verso luoghi incantati. Ogni Butler si distingue per la serietà nella propria organizzazione e per occuparsi del proprio ospite e della propria casa nella più completa privacy. “Il maggiordomo di oggi naviga su internet e si sposta con lo smartphone, ed il suo lavoro è simile a quello del direttore d’orchestra, che conosce ogni strumento ed è alla continua ricerca dell’armonia perfetta” Associazione Italiana Maggiordomi Elisa Dal Bosco, Presidente www.maggiordomi.it - info@maggiordomi.it m. +39 3496187963 - t.02 240047611 sede: via S.Pellico 8, 20121 Milano presso Seven Stars Galleria Area Bergamo: Emanuela Lanfranco e.lanfranco@inwind.it m. +39 3356073544 - t.035232395

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*Cucina Di Chicco Cerea

Il gusto a 3000 metri

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l di là delle performance gastronomiche, vi sono dei luoghi e dei momenti di cucina che rimangono nel cuore più di altri. L’ultimo che abbiamo vissuto con una grande intensità emotiva si è verificato a quasi tremila di quota, al Sunny Valley Kelo Resort sopra Santa Caterina Valfurva in provincia. Un nome impegnativo per un rifugio bellissimo, tutto in legno e pietra, realizzato integralmente sul posto da artigiani finlandesi specializzati in questo genere di costruzioni. A volerlo così, perfettamente integrato nell’ambiente circostante, quasi lunare e dominato dalla cima del Pizzo Tresero (un piccolo K2 alto 3.594 metri), è stato Beppe Bonseri, vulcanico patron e presidente del locale Consorzio Turistico. Arrivati al Sunny Valley sotto una bufera incredibile di vento, lampi e tuoni, con scrosci d’acqua che solo per un paio di gradi non si sono trasfor-

mati in neve, abbiamo cucinati per un centinaio di persone convenute al rifugio per la prima edizione del TreiserArtFestival, evento che miscela gastronomia e cultura. Avvolti nelle musiche dell’orchestra la Verdi di Milano che ha accompagnato la serata spaziando tra Mozart ed i Beatles, con le note difficoltà che comporta la quota abbiamo preparato un menu impegnativo sotto ogni punto di vista. Dopo il buffet di salumi e formaggi soprattutto valtellinesi, la polenta l’abbiamo servita con i nostri tre companatici classici: il baccalà; il guanciale; i funghi. Quindi un risotto, al ragù di scorfano ed arancia, e gli gnocchetti

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di ricotta e patate con porcini e finferli. Per secondo pesce, ma rinforzato (parecchio) dai sapori di terra: merluzzo bianco laccato con fagioli di Spello, castagne e tartufo nero, piatto per il quale abbiamo ricevuto i complimenti di Deborah Compagnoni, sciatrice plurimedagliata autentica gloria sportiva del paese. Mentre fuori si scatenava il finimondo al punto da compromettere il rientro previsto dopo il servizio (a fatica siamo scesi con le jeep seguendo piste che si erano trasformate in torrenti) all’interno l’assalto al buffet di dolci ci dicono non sia stato da meno.


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*Bon Ton Di Paola Rovelli

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ivenuto oggi un altro fenomeno modaiolo, il Bon Ton è una raccolta di stile, gusto, savoir-faire che da tempo aiuta l’essere umano, nella gestione dei rapporti interpersonali e delle situazioni quotidiane. Erroneamente, siamo soliti associare il Bon Ton, così come il più casereccio Galateo, a occasioni mondane o pubbliche, ma in realtà, la cosa giusta da fare può rivelarsi utile anche nelle faccende di casa, al lavoro o fra amici e parenti e soprattutto … è utile a noi stessi. Tuttavia, tracce o linee guida di questo tipo sono state etichettate come abitudini snob e decadenti, patrimonio esclusivo di una nobiltà spiantata e cocciutamente retrograda. Quando mai il sapersi comportare è passato di moda? E perché dovrebbe riguardare solo alcuni? Le icone di stile di un tempo riescono a mantenere un’area divina nonostante le mode, gli anni e i veloci cambiamenti della nostra società, mentre le eroine moderne dei rotocalchi hanno vita effimera. A voi la scelta. Nel susseguirsi frenetico delle nostre giornate lavorative, le attenzioni e i piccoli gesti di riguardo o i dettagli

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passano spesso in secondo piano, in favore di soluzioni sbrigative, più o meno efficaci. Purtroppo, anche il mondo rosa di noi donne ha perso di vista i preziosi consigli che le nostre nonne e poche altre (fortunatamente!) ancora custodiscono e diffondono. Scadendo negli stereotipi più ovvi, ricercatezza e buone maniere vengono collettivamente considerate frivolezze femminili, inutili fronzoli per complicare ciò che potrebbe essere semplice e lineare. Prima di tutto, Bon Ton non è sinonimo di complicatezza. In seconda battuta, nutrire riguardo verso i nostri interlocutori non sembrerebbe essere una perdita di tempo, ma piuttosto un ottimo modo di dimostrarci disponibili ed educati. Scusatemi se è poco. Personalmente, il mio lavoro mi richiede di non poter mai trascurare questi accorgimenti, che ritengo fondamentali nel lavoro, così come nella vita privata (…) Per non parlare del consueto Bon Ton , vorrei assegnare a questo soggetto qualcosa di piu’ spirituale che va oltre il “saper accogliere “e il saper comportarsi in pubblico …. Vorrei proporre un’altra visione e relazionare il Bon

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Ton in uso a quella branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status, ovvero distinguerli in moralmente leciti o moralmente inappropriati : all’ETICA ( dal greco ETHOS “carattere” , “comportamento”, “costume “ consuetudine”), L’etica puo’ essere anche definita come la ricerca del “buon senso “ per gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri. L’ETICA puo’ essere soggettiva , quando si occupa del soggetto che agisce, ed oggettiva, quando l’azione è relazionata ai valori comuni ed alle istituzioni. Tema molto complesso e ricco di spunti….. E’ per queste ragioni, che sono lieta di darvi un appuntamento “filosofico” nella prossima edizione di …. in cui desidero approfondire tali argomenti, e tanto altro ancora! R.VS.P. L’etica è l’estetica di dentro. Pierre Reverdy,


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iò di cui ho bisogno davvero è questo amore, ma un pezzo di cioccolato prima e dopo non stona!”. In molti vi starete chiedendo come possa essersi infilato un aforisma del genere in una rubrica di wedding. Per rispondere alla vostra domanda devo partire dal principio e parlarvi di Anna, grazie alla quale tutto è iniziato. Il nostro incontro fu amore a prima vista, platonicamente parlando, dal momento che lei nella veste di neo sposa non avrebbe potuto avere occhi se non per il suo Luca. Sono convinto che nella scelta di affidarsi ad un wedding planner rientrino molti fattori, ma senz’altro è fondamentale che a pelle ci sia

un’empatia che catturi da un lato il professionista e dall’altro gli Sposi: solo così un evento potrà essere un successo. “Forse mi prenderai per pazza”- mi disse timidamente Anna dopo pochi minuti che ci eravamo conosciuti – “ma il mio matrimonio vorrei che avesse un filo conduttore, il cioccolato!”. In quell’istante per carattere non potei far altro che calare la mia veste professionale e mettermi a nudo: con gli occhi che mi brillavano feci trapelare ogni emozione e svelai ad Anna delle idee che mi erano balenate in testa e che avevo raccolto qua e là per delle “nozze a tema cioccolato”, che senza alcun motivo ma esclusivamente per creatività e passione, avevo iniziato a progettare in qualche ritaglio di tempo libero. Telepatia, destino o

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semplice coincidenza? Chi può dirlo. Ad ogni modo, dopo un vortice di parole, sormontando l’una i pensieri dell’altro e viceversa, ci salutammo con l’intenzione di risentirci la settimana seguente. Non passarono due ore e squillò il telefono. Era Anna. Pensai che avesse dimenticato qualcosa nel mio ufficio, essendo passato così poco tempo, ma appena risposi lei mi disse: “stamattina sapevo solo due cose, che io e Luca adoriamo il cioccolato e che la nostra data sarà il ventiquattro giugno duemilaundici, ma da oggi ho una sicurezza in più quella di volere assolutamente te per starmi accanto nell’organizzazione del mio matrimonio!”. La mia risposta credo sia facilmente intuibile. La notte lei non dormì e io feci lo stesso. Il giorno seguente davanti a dei cupcakes - rigorosamente al cacao! – fatti da mamma Angela iniziammo a conoscerci meglio e a costruire insieme le basi di un wedding da sogno. Le tonalità pastello del rosa, amate da Anna, e quelle del giallo, il colore preferito di Luca, si sarebbero dovute perfettamente amalgamare con il marrone del cioccolato. Le idee frullarono e in pochi mesi, trovata ad hoc la location per il ricevimento e una volta fissata la chiesa per la cerimonia, avevamo tra le mani una parteci-

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pazione del tutto inconsueta: portai infatti una delle splendide Oyoko di Amakitama a rifarsi il trucco per l’occasione e, pur mantenendo il suo look ineguagliabile, a trasformarsi in una scatola di cioccolatini personalizzata con aforismi a tema e scatti rubati ai due sposi intenti a giocare con il cioccolato. Per l’abito da sposa, in linea con i desideri di Anna, non avremmo potuto far altro che innamorarci di un Vera Wang stretto in vita dalla stilista con una cintura esattamente della tonalità di marrone che avevamo fatto nostra. Dal coro gospel esibitosi nel corso della cerimonia religiosa, al tovagliato selezionato per l’allestimento della tavola, fino alle barrette di cioccolato ideate per l’occasione e regalate agli ospiti durante la giornata, il colore scelto non ci ha mai abbandonato. L’ esclusività del fiore si è fusa con l’ingenua dolcezza della nostra fantasia, portandoci ad alternare delle sfere di rose keano, ilios e avalanche a creazioni realizzate con marshmallow nelle stesse gradazioni. Per il tableau de marriage da potenza ad atto ecco concretizzarsi dei totem in legno sbiancato con decori a cuore, fotografie di cupcakes extralarge sfornati per le nozze e biglietti intagliati con il nome di ogni ospite. Il giorno del matrimonio i dettagli sono diventati sospiri e l’emozione ha coinvolto tutti in un crescendo di sorprese che portavano il marchio degli Sposi, dal momento che - come direbbe Anna – “l’estasi è trovare un secondo strato di cioccolatini sotto il primo”.



*Golf Di Mario Ugo Pasini Professionista presso il Golf Club Parco dei Colli Bergamo

GOLF CLINIC

PAR 3 PAR 4 PAR 5 e...PAR 0

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he cosa si intende per Par nel gioco del golf? Il numero di colpi ideali per giocare ogni singola buca. La somma dei Par delle 18 buche di un percorso fissa il Par del campo che non può variare (a meno che non ci siano modifiche al percorso) visto che in fase di disegno gli architetti devono rispettre criteri di lunghezza che portano a classificare le buche in Par 3, 4 e 5. Essendo i colpi ideali per giocare la buca, si fa un buon risultato quando la somma dei copi tirati è vicino, uguale o inferiore al Par, è uguale per tutti i giocatori e ”dovrebbe”essere l’obbiettivo minimo per giocare la buca. Nel golf ci sono due status di giocatori, che non

possono competere tra di loro, i professionisti e i dilettanti. Per i professionisti il risultato finale è determinato dai colpi totali giocati, mentre per i dilettanti il risultato è determinato dai colpi totali giocati, sottraendo quello che e’ un vantaggio di gioco (handicap) che determina il risultato finale. Il senso del gioco rimane comunque lo stesso, riuscire a percorrere il percorso nel minor numero di colpi possibili aiutati dall’handicap oppure no. Sicuramente giocare sotto Par è gratificante e piacevole quanto difficile, ecco perché segnare un Par sullo score vuol dire essere riusciti a giocare la buca o l’intero percorso con i vostri

colpi regolamentari e quindi aver raggiunto il vostro obbiettivo, cosa che nel golf è sempre piacevole e di grande soddisfazione... quindi perchém non fare un Par 0 fuori dal campo e portarselo sempre con se?

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Cult

Gioiosa, la scuola dell’anima

Metodo rivoluzionario per bambini da 3 mesi a 6 anni. Oggi l’associazione gestisce tre nidi e una scuola dell’infanzia in viale Giulio Cesare e in via Ponchielli, a Bergamo, e ad Albano Sant’Alessandro

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l nostro impegno nasce dalla volontà di creare un ambiente dove sin dall’inizio della vita sia possibile sviluppare nel bambino le dimensioni dell’anima, coltivare l’homo humanus negli anni in cui ha un’eccezionale capacità di assorbimento». E’ grande la sfida portata avanti dall’Associazione Autonoma Nuova Educazione “Gioiosa”, come grande è la capacità di Liliana Sancinelli - uno dei soci fondatori - nell’introdurci nel suo magico regno. Sensibilità per i piccoli allievi, ricchezza del background culturale a sostegno del progetto e attenzione certosina nel pianificare le attività trapelano da ogni frase. Del resto per superare il puro aspetto nozionistico e permettere al bambino di tirar fuori la propria originalità gli elementi in gioco sono molti. Ma ci vuole anche carattere. Andiamo per ordine. L’associazione “Gioiosa” è nata nel ‘92 per volontà di genitori desiderosi di realizzare un ambiente educativo speciale per sè e per i propri figli, facendo proprio il feedback positivo dell’Associazione Autonoma Nuova Educazione di Milano, scuola paritaria laica fondata 40 anni fa.

Partita con attività integrative per bambini delle scuole elementari e medie, oggi gestisce tre nidi e una scuola dell’infanzia in viale Giulio Cesare e in via Ponchielli, a Bergamo, e ad Albano Sant’Alessandro. L’associazione si fonda sul principio che “educare è educarsi” e si sperimenta nel rapporto fra adulto e bambino. Alla base del metodo c’è una particolare attenzione alla formazione dell’educatore che si articola in incontri settimanali di verifica e formazione per le insegnanti, e incontri mensili per i genitori, che partecipano alle attività della scuola attivamente collaborando, ad esempio, per il giornalino. In particolare si punta a stimolare una maggior “ascoltazione” - ovvero la capacità di ascoltare la parte più intima di un individuo - attraverso un lavoro su sè stessi, una vera autoeducazione. «Punto di partenza fondamentale nel nostro rapporto con i piccoli allievi è il linguaggio magico della fiaba - spiega Lilli Sancinelli - che permette di trasmettere cultura al bambino, grande scopritore e ricercatore, in una visione olistica e non settoriale della conoscenza. Così mito, arte, coltivazione

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dell’orto, laboratorio dei cuochini e musica sono i linguaggi che integrano le attività di inglese, pre-lettura, pre-scrittura, psicomotricità, forma e colore, proprie del piano formativo». Un’educazione che fa dell’organicità un punto imprescindibile, tesa a rivoluzionare il processo di sviluppo. Permettendo alle autenticità di crescere. Anche il senso di responsabilità fa del bimbo un protagonista, visto che tutti «hanno i loro compiti, tra cui la raccolta differenziata dei rifiuti. Che aiuta tra l’altro ad instillare la concezione del mondo come risorsa». Una “scuola dell’anima”, insomma, come è stata definita da una delegazione del Texas (Usa) giunta in Italia per studiarne i metodi educativi. “Gioiosa” è un’associazione culturale senza scopo di lucro: i responsabili sono volontari, mentre gli insegnanti sono regolarmente retribuiti. Per informazioni tel. 035-361110 (segreteria) tutte le mattine. Web: www. gioiosabergamo.it

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Cult

Il meglio del teatro che conta

Al Donizetti in arrivo spettacoli di grande tradizione. Saranno molte le prove d’attore a cui assisterà il pubblico bergamasco. Ciò non vedrà la chiusura di finestre aperte su repertori “altri”

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a grande tradizione teatrale di tutti i tempi, i nomi che hanno fatto e che fanno grande la storia del teatro italiano: questi gli ingredienti che caratterizzeranno la stagione di Prosa e Altri Percorsi che il Teatro Donizetti presenta al proprio pubblico per l’anno artistico 2011-2012. Confermata la scelta, operata per la prima volta nel 2011, di collocare parte della stagione di Altri Percorsi al Teatro Sociale, location definitivamente restituita alla città dopo un importante intervento di restauro. Tradizionale il numero dei titoli della stagione maggiore, 9 come in passato. Saranno invece 6 i titoli del percorso “alternativo” 20112012: andranno a legarsi all’ampia ed altrettanto articolata serie di eventi e rassegne che hanno trovato sede nel

Sociale, divenuto Casa delle Arti. Saranno molte le prove d’attore a cui assisterà il pubblico bergamasco. Ciò non vedrà la chiusura di finestre aperte su repertori “altri”. In particolare il pensiero corre a quel “Donka” che vedrà nuovamente a Bergamo il Teatro Sunil di Daniele Finzi Pasca. Ma tutto il programma è un fiorire di proposte d’altissimo livello, come e più delle ultime stagioni.

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Testo: Fabio Cuminetti

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Cult

BergamoScienza, al via la 9ª edizione

Sedici giorni con numerosissimi eventi e ospiti internazionali. Interverranno i Premi Nobel Barry James Marshall e R. Timothy Hunt

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opo il successo della passata edizione con oltre 100 mila presenze, la scienza torna protagonista a Bergamo con conferenze, tavole rotonde, incontri con Premi Nobel, scienziati di fama e giovani ricercatori, mostre e laboratori interattivi, open day, spettacoli teatrali, proiezioni di film e documentari. Dal 1° al 16 ottobre si svolgerà infatti la IX edizione di BergamoScienza, rassegna di divulgazione scientifica con numerosissimi eventi aperti gratuitamente al pubblico. Molti i nomi illustri del panorama scientifico e culturale italiano e internazionale, che affronteranno le tematiche più attuali nell’ambito della ricerca scientifica, tra cui i due Premi Nobel: Barry James Marshall (Premio Nobel per la Medicina, 2005) e R. Timothy

Hunt (Premio Nobel per la Medicina, 2001). Inoltre: gli scienziati Elena Cattaneo e Bruno Murari; la giornalista scientifica Deborah Blum; l’ingegnere Gian Michele Calvi; il fisico e saggista Fritjof Capra; il filosofo Tim Crane; il neuroscienziato Patrick Haggard; l’endocrinologo Janusz Nauman; il neurochirurgo George Ojemann; l’etologa Diana Reiss; il medico e scienziato Zaverio Ruggeri. Per celebrare l’Anno Internazionale della Chimica, BergamoScienza organizzerà, sabato 15 ottobre, una “giornata molecolare” di cui la chimica sarà indiscussa protagonista. Terranno conferenze sull’argomento i chimici Amilra Prasanna De Silva e Francisco M. Raymo; lo scrittore H. Aldersey-Williams e Giovanni Caprara e l’esperto di enigmistica Stefano Bartezzaghi, che proporrà

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Testo: Fabio Cuminetti

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uno speciale cruciverba “chimico”. In programma anche due incontri sui nuovi restauri effettuati sulle opere di Lorenzo Lotto; inoltre letture, giochi, mostre, concerti e spettacoli per le famiglie. BergamoScienza anima come sempre i luoghi più belli di Città Alta e Città Bassa, dal Teatro Sociale alle dimore e ai palazzi storici, oltre a chiese, chiostri, teatri, musei, scuole e Università. Anche quest’anno il Festival estenderà i suoi confini al di fuori della città coinvolgendo un numero sempre maggiore di comuni della Provincia di Bergamo e il Comune di Milano. Diverse le tematiche affrontate nelle conferenze: dalla medicina alla bioetica; dalla chimica alla biologia; dai rischi del nucleare all’elettronica; dalle scienze ambientali alla geologia e alla zoologia; dalle neuroscienze alla fisica; dalla psicologia alla filosofia della mente. Molto attesi i due Premi Nobel per la

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Medicina: il medico australiano Barry James Marshall (2005), che ha scoperto che l’ulcera gastrica è causata dal batterio Helicobacter pylori, e il biochimico inglese R. Timothy Hunt (2001), per le sue scoperte sull’attività delle proteine che interessano la progressione del ciclo cellulare, le cicline. La scienziata Elena Cattaneo, che dirige il Centro di ricerca sulle cellule staminali dell’Università di Milano, ci parlerà dei progressi della ricerca in questo ambito. Bruno Murari, l’inventore dell’accelerometro - il microchip che ha fatto la fortuna di dispositivi come IPhone e Nintendo Wii - ci condurrà alla scoperta dei segreti dei sensori. Con l’endocrinologo polacco Janusz Nauman si affronterà il tema della contaminazione nucleare. Con l’ingegnere Gian Michele Calvi capiremo se si possono prevedere i terremoti. A svelarci il mistero del processo della conoscenza sarà il filosofo inglese Tim

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Crane, mentre la psicologa americana Diana Reiss spiegherà che anche delfini, come le scimmie, si possono riconoscere guardandosi allo specchio. Il neuroscienziato inglese Patrick Haggard ci parlerà di neuromorale.Il medico Zaverio Ruggeri spiegherà perché un farmaco salvavita può anche uccidere, come nel caso della coagulazione del sangue. Di leggi della natura e di natura della legge si discuterà con il fisico e saggista austriaco Fritjof Capra, autore del famoso saggio Il Tao della fisica, che si è occupato anche di sviluppo sostenibile, ecologia e teoria della complessità. Il neurochirurgo americano George Ojemann parlerà di neurochirurgia funzionale e sintassi. La giornalista scientifica americana Deborah Blum, vincitrice del Premio Pulitzer, autrice di Ghost Hunters, ci guiderà tra i cacciatori di fantasmi.


Cult

I “fatti di Sarnico” di 150 anni fa

Terza puntata dell’inchiesta di Giuseppe Dossi sugli avvenimenti che ebbero come protagonista Giuseppe Garibaldi nel fallito tentativo di liberare Trento e Venezia dall’Austria

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iamo all’apice della vicenda passata alla storia come i “fatti di Sarnico”. Il governo di Urbano Rattazzi, infatti, visto che i volontari si ammassano sempre di più in Sarnico, procede con “inaudita vio1enza” contro i garibaldini sospettati di sedizione. E’ il 14 maggio 1862 quando le Prefetture di Brescia e di Bergamo ricevono l’ordine da Torino, allora capitale del Regno - di intervenire con la forza: alle ore 10 della sera un corpo del 22° Reggimento di Fanteria procede all’arresto di 55 giovani che si trovano nelle locande e nelle trattorie del paese, altri 44 sono arrestati da uno squadrone di cavalleria ad Alzano. Ma quel che fece enorme scalpore nel corso di quella fatidica giornata fu l’arresto dell’eroe garibaldino Francesco Nullo, la mente della rivolta. Egli si trovava insieme ad altri alla stazione ferroviaria di Palazzolo sull’Oglio per controllare l’arrivo di armi e rifornimenti di viveri. Furono tutti immediatamente arrestati ad eccezione dell’attendente dello stesso Nullo, Luigi Testa, che riuscì a fuggire e a portare la notizia a Garibaldi a Trescore. Il Generale si assume immediatamente tutta la responsabilità dei concentramenti, lascia la località termale, raggiunge la Prefettura di Bergamo e costringe il rappresentante del Governo a spedire un telegramma a Torino per chiedere il rilascio dei fermati. Quindi si sposta in casa del sindaco Camozzi e dal balcone si rivolge alla folla subito accorsa con bandiere tricolori non appena si era diffusa la voce della presenza di Garibaldi in città. Al grido “Vogliamo libero Nullo” molti giovani marciano verso il palazzo prefettizio, ma l’eroe di Palermo è già stato trasferito nelle carceri di Brescia.

La notizia dell’arresto e della dimostrazione di Bergamo trae, la mattina del giorno 16, i bresciani i bresciani cittadini a imitare l’esempio. Si improvvisa così una dimostrazione pacifica di giovani che, dopo aver gridato “Viva Garibaldi, vogliamo Nullo”, si recano davanti alle carceri della Pretura. A questo punto avviene 1’irreparabile perché i soldati di guardia all’ingresso del carcere cominciano a sparare e sul terreno si contano alla fine quattro morti e quattro feriti, due dei quali molto gravi. Il giorno dopo Nullo viene tradotto nelle carceri di Alessandria con gli altri arrestati, ma il 1° giugno i prigionieri vengono liberati con dichiarazione di non luogo a procedere “per mancanza di azione penale”. Scrive infatti Arcibano Volpi: “Non si potevano condannare quei giovani se non condannando prima Garibaldi, e Garibaldi non poteva esserlo, senza compromettere il Ministero”. E, addirittura, la Corona.

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Stando a quanto scrive D.M. Smith il giorno 26 Garibaldi lascia la Bergamasca per il capoluogo piemontese dove ha una serie di incontri a corte per preparare il terreno al fatto che il Generale “non venne arrestato e che il governo si accordò con la magistratura perché gli uomini arrestati venissero subito rilasciati”. Non si doveva insomma rischiare minimamente che fosse coinvolto il re in persona. I “fatti di Sarnico” sono ormai di dominio pubblico e sulla stampa italiana è un continuo mentire sia da parte del Governo accusato di aver “amoreggiato” con i rivoluzionari, ma anche da parte dei rivoluzionari stessi che negano di aver pensato ad una spedizione nelle terre italiane ancora sotto il dominio austriaco. Ma ormai anche all’estero il putsch di Sarnico è stato scoperto in tutta la sua “compromissione” con le autorità dello Stato. (3 - continua )

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