papa giovanni gennaio2010

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(Anno XXVIII) Nuova serie - Anno 9 n. 1 - Gennaio/Febbraio 2010 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

Il Premio Giovanni XXIII a tre missionari bergamaschi

<<È nostro compito cogliere il bene dovunque si trovi>>

Roncalli salvò migliaia di ebrei dalla persecuzione dei nazisti

GENNAIO - FEBBRAIO 2010

Ritratti, foto e una S. Messa per ricordare Papa Giovanni


Sotto la protezione di Papa Giovanni

La nonna Jose affida i suoi cari nipoti Claudio e Viola all’amatissimo Papa Giovanni, affinchè li protegga sempre

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La nonna Lucia affida alla protezione di Papa Giovanni XXIII, i nipotini Jacopo e Samuele e i loro genitori, per sempre

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Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:

via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo


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Il Premio Papa Giovanni a tre missionari bergamaschi

«E’ nostro compito cogliere il bene dovunque si trovi»

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Storia di una grande amicizia fra Paolo VI e la terra orobica

L’abbraccio del Santo Padre agli artisti di tutto il mondo

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Un presepe a Sotto il Monte dedicato ad Angelo Roncalli Il Premio Giovanni XXIII a tre missionari bergamaschi

<<È nostro compito cogliere il bene dovunque si trovi>>

Roncalli salvò migliaia di ebrei dalla persecuzione dei nazisti

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Ritratti, foto e una S. Messa per ricordare Papa Giovanni (Anno XXVIII) Nuova serie - Anno 9 n. 1 - Gennaio/Febbraio 2010 - Amici del Beato Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

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Roncalli salvò migliaia di ebrei dalla persecuzione dei nazisti

Ritratti, foto e una S. Messa per ricordare Papa Giovanni

GENNAIO - FEBBRAIO 2010

n. 1 bimestrale gennaio/febbraio

Direttore responsabile Monsignor Giovanni Carzaniga Direttore editoriale Claudio Gualdi

Quattro parroci: «Non crediamo perché noi abbiamo veduto»

La vita di don Luigi Palazzolo a misura di bimbo. E non solo

Benedetto XVI ha firmato le «virtù eroiche» di Wojtyla

Editrice Bergamasca ISTITUTO EDITORIALE JOANNES

Redazione: don Oliviero Giuliani mons. Gianni Carzaniga direttore della “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII” con sede nel Seminario Vescovile Giovanni XXIII di Bergamo, mons. Marino Bertocchi parroco di Sotto il Monte, Suor Gervasia volontaria nelle carceri romane, Claudio Gualdi segretario dell’associazione “Amici di Papa Giovanni”, Pietro Vermigli, Giulia Cortinovis, Marta Gritti, Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue Luna Gualdi Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini Fotografie: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa Giovanni”, Archivio “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII”

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Anno XXVIII Direzione e Redazione via Madonna della Neve, 26/24 24121 Bergamo Tel. 035 3591 011 Fax 035 3591117 Conto Corrente Postale n. 97111322 Stampa: Sigraf Via Redipuglia, 77 Treviglio (Bg) Aut. Trib. di Bg n. 17/2009 - 01/07/2009

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RIC O N O S C I M E N T I

Il Premio «Giovanni XXIII» a tre missionari bergamaschi I vincitori sono madre Gina Gamba, padre Alberto Ferri e padre Lorenzo Valoti

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Nel corso della conferenza stampa è stato fatto il punto sulle missioni di Bergamo nel mondo ed è stato anche possibile ammirare un violino Antonio Stradivari del 1708 e assistere a una breve audizione straordinaria a cura del Maestro Matteo Fedeli. All’incontro sono intervenuti don Giambattista Boffi, direttore del Centro Missionario Diocesano, don Davide Pelucchi, vicario generale della Diocesi di Bergamo, Fabio Buttarelli del Credito Bergamasco, Patrizia Cividini, vicepresidente dell’Associazione ProJesu e Oscar Fusini dell’Ascom.

o scorso 2 dicembre, alla vigilia della Festa di San Francesco Saverio, Patrono delle Missioni (che si celebra il 3), si è tenuto a Bergamo un incontro stampa in cui sono stati annunciati i nomi dei tre missionari bergamaschi ai quali è stato assegnato il premio «Beato Papa Giovanni XXIII» giunto alla seconda edizione. Il riconoscimento, consistente in 3 mila euro, è stato poi consegnato il 12 dicembre dal vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, durante il concerto di Natale tenuto nella Basilica di Sant’Alessandro in Colonna. I tre vincitori della seconda edizione del premio, che il Centro missionario diocesano attribuisce ai bergamaschi impegnati nel mondo, sono madre Gina Gamba di Almè, padre Alberto Ferri di Cologno al Serio e padre Lorenzo Valoti di Alzano Lombardo.

Com’è nato il riconoscimento Il Centro Missionario Diocesano di Bergamo, la Fondazione «Papa Giovanni» e l’Associazione «Pro Jesu Anch’io missionario» nel 2008 hanno istituito un premio annuale a beneficio dei missionari bergamaschi per riconoscerne l’impegno di evangelizzazione, cooperazione e sviluppo, promosso attraverso la Chiesa nel mondo. Il Premio viene riconosciuto a chi si è distinto, non tanto per la realizzazione di strutture o opere, ma per la dedizione al Vangelo e alla sua incarnazione, nella condivisione di vita con i poveri e gli ultimi; per la fedeltà al servizio e la passione incondizionata alla promozione umana e cristiana. Le persone segnalate per il Premio devono avere almeno 10 anni di servizio nella missio ad gentes, agire in comunione con la loro congregazione religiosa o diocesi e con la Chiesa di missione e il suo Vescovo. Il riconoscimento oltre che alle persone, potrà essere assegnato anche ad opere o iniziative di particolare significato. Questo il profilo di ciascuno dei tre vincitori del premio «Beato Papa Giovanni XXIII».

Il tavolo dei relatori alla conferenza stampa in cui sono stati annunciati i tre missionari vincitori del premio. Da sinistra don Giambattista Boffi, Patrizia Cividini, don Davide Pelucchi, Fabio Buttarelli e Oscar Fusini

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riconoscimenti

richieste dalla gente stessa per radunare le sue comunità intorno alla Parola di Gesù. Ha dato inizio a vari laboratori professionali perché voleva che gli indigeni imparassero ad autogestirsi. E sempre con questo obiettivo, nella sua ultima missione, a Manabì, dove ha passato gli ultimi 25 anni, aveva creato una banca per il microcredito. Padre Alberto ha sempre agito in comunione con la propria Congregazione religiosa, con la Chiesa locale di missione e il suo Vescovo. E’ stato ed è molto amato dalla sua gente in tutte le sei comunità da lui fondate. E’ morto all’età di 74 anni per un male incurabile, ma con il desiderio di ritornare fra la sua gente per annunciare, vivere e testimoniare il Vangelo di Gesù.

Madre Gina Gamba, canossiana missionaria in Togo Da quasi 50 anni in Africa, ha svolto un immenso lavoro in campo sanitario, mai disgiunto dall’annuncio del Vangelo e dal grande amore verso i più poveri. Vera testimone del Vangelo, si è sempre prodigata con umiltà, lasciando trasparire nei gesti e nelle parole una fiducia immensa in Cristo e nella Provvidenza. Ha saputo condividere la povertà, donare amore agli ultimi e offrire speranza di un futuro migliore. Nel 1960 raggiunge la sua prima missione in Zaire. Lavora per 23 anni nell’ospedale di Aru. Nel 1994 viene trasferita in Togo con il compito di avviare l’ospedale di Datcha che ora funziona al meglio ed è punto di riferimento per quelle popolazioni poverissime che non hanno assistenza sanitaria. Nell’ospedale di Madre Gina è garantita la cura a tutti, anche (e soprattutto) al paziente che non può permettersi di pagare. Padre Alberto Ferri (defunto il 16-10-09), comboniano missionario in Ecuador Missionario convinto che la propria vita doveva essere spesa tra i più emarginati del mondo, padre Alberto nel luglio del 1963 parte per l’Ecuador, paese in cui vive fino alla morte, dedicando tutte le sue forze a difendere i diritti delle popolazioni locali, rischiando più volte perfino la vita stessa. In 46 anni sono state ben sei le missioni da lui fondate, a cominciare da Limones, nella regione di Esmeraldas (dove ha creato una cooperativa di pescatori, portando la corrente elettrica nel paese), e poi tra gli Indios cayapa del Quinindè, e tra i «Tagliatori di teste» di Honorato Vasques, contrapponendosi ostinatamente alle autorità ogniqualvolta venivano compiuti dei soprusi ai danni dei più indifesi. Ha fondato scuole perché sosteneva che l’istruzione è una delle prime «armi» necessarie in una missione per combattere l’ignoranza. Ha realizzato strade di villaggio in villaggio, chiese

Marzo 1961: Papa Giovanni tra i fedeli della parrocchia del Gesù Divino Lavoratore in Trastevere

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riconoscimenti

difficile situazione, padre Lorenzo («gran lavoratore e grande missionario», come lo definisce il parroco di Alzano in calce alla dichiarazione di accompagnamento della candidatura), pur tenendo sempre come obiettivo fondamentale l’insegnamento evangelico, privilegia la creazione di rapporti umani basati sull’ascolto, il dialogo, la solidarietà, con tenacia, volontà e con la forza della sua fede. «Il riconoscimento – ha spiegato don Giambattista Boffi durante l’incontro stampa – va a tutti i missionari impegnati nel mondo. Il premio vuole essere un ringraziamento speciale indirizzato a queste tre persone». «Papa Giovanni – ha detto don Davide Pelucchi – è stato vicino alle missioni durante tutta la sua vita, da quando ha fatto parte della comunità del Sacro Cuore all’impegno alle Opere Missionarie a Roma». La comunicazione del Premio è stata anche l’occasione per fare un bilancio dell’attività del Centro missionario e dell’attività svolta da circa 750 missionari bergamaschi. Di questi più di 700 sono religiosi e operano in tutto il mondo, dall’Ecuador al Brasile, dal Messico alla Bolivia, dagli Stati Uniti al Perù. Trentadue i sacerdoti Fidei Donum, in servizio presso le chiese sorelle extra europee, ai quali si aggiungono 14 laici missionari inviati dalla Diocesi attraverso la Convenzione CEI in servizio presso chiese extraeuropee. Da sottolineare la risorsa spontanea e entusiasta che anima il CMD che si avvale della costante collaborazione di ben 23 volontari. La campagna di Natale 2009 è stata varata a sostegno di 3 progetti: il centro «Ephpheta» di Betlemme che raccoglie 130 bambini e ragazzi con problemi di sordità, la comunità di suore di Mpumudde, in Uganda, che accoglie mamme e piccoli affetti da Aids e a Bergamo un percorso di aiuto e responsabilizzazione di famiglie di immigrati regolarmente presenti nelle varie comunità.

Padre Lorenzo Valoti, saveriano missionario in Bangladesh Dal 1981 in Bangladesh. Ha sempre operato in zone «calde», come a Borodol, villaggio al limite della foresta e della sopravvivenza, abitato dagli uomini-nessuno che tutti disprezzano ed emarginano, per i quali e con i quali si è speso per restituire loro la dignità dei figli di Dio. Per la sua gente assediata dalla miseria si è trasformato persino in imprenditore, aprendo, a fianco della parrocchia, un centro di artigianato che dà lavoro a 150 donne, vedove o mogli abbandonate che devono da sole farsi carico dei tanti figli. Dal 2008 nella missione di Satkhira (diocesi di Khoulna) è responsabile di un orfanotrofio con 120 bambini senza famiglia e di 16 villaggi nella campagna circostante perennemente messi in ginocchio dalle annuali e purtroppo spesso disastrose alluvioni monsoniche. In tale

Roncalli in una delle sue caratteristiche espressioni

Francesco Lamberini 6


TE S T I M O N I A N Z E

«E’ nostro compito cogliere il bene dovunque si trovi» Lo scrisse Roncalli nel suo diario già nel 1918. Ecco come lo ricorda don Bolis

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ulla figura di Papa Giovanni proponiamo una serie di riflessioni formulate qualche anno fa, ma naturalmente ancora attuali, da don Ezio Bolis, professore di Spiritualità nel Seminario Diocesano di Bergamo. Si tratta di argomentazioni che tra l’altro hanno trovato adeguato spazio nelle pagine de «L’Osservatore Romano».

ticolare del testo biblico, studiato e meditato assiduamente, come annota nel 1909 sul GdA. Anche la sua predicazione, accurata e mai improvvisata, prende luce dai Libri santi, dal frequente riferimento ai Padri e dalla propria esperienza. Mancano i toni enfatici dell’apologetica e il moralismo delle condanne, tanto diffusi nella retorica del tempo; vi traspare anzi un’intelligente fiducia nella storia pienamente assunta dal Verbo incarnato. Il ruolo della Bibbia nel suo vissuto spirituale si esplicita ancora meglio negli anni del patriarcato a Venezia, quando egli pone ripetutamente l’accento sulla necessità di un ritorno alla Scrittura e in ciò fa consistere uno dei principali doveri del ministero episcopale. Nella lettera pastorale del febbraio 1956, richiamando il binomio «libro e calice», evidenzia l’intimo rapporto tra la presenza di Cristo nella Parola e nel Sacramento; la costante e amorosa meditazione del Libro incendia il Calice del Signore; a sua volta, il Calice compie la Parola contenuta nel Libro. Questa sapiente «fedeltà creativa» appare anche a proposito della concezione di santità: alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, egli dichiara di non voler riprodurre statici modelli di santità, ma di assimilarne il «succo», adattandolo al proprio temperamento: «Delle virtù dei santi io devo prendere la sostanza e non gli accidenti. Io non sono S. Luigi né devo santificarmi proprio come ha fatto lui, ma come il comporta il mio essere diverso, il mio carattere, le mie differenti condizioni» (GdA, 1903). E così, se il libro dell’Imitazione di Cristo, ricevuto in eredità dal suo parroco don Rebuzzini nel 1898, è uno dei suoi riferimenti più significativi, tuttavia egli lo assimila in modo personale e selettivo; e se la lettura convenzionale ne esalta l’invito a «fuggire il mondo» per rifugiarsi in una rarefatta interiorità, Roncalli, con grande libertà interiore, vi scopre

La prospettiva più adeguata per cogliere il valore della testimonianza cristiana di Papa Giovanni XXIII è quella spirituale. Essa delimita un ambito «altro» rispetto alla sua vita, scandita dal giorno e dalla notte, dalla giovinezza e dalla vecchiaia, dalla salute e dalla malattia, dalla compagnia e dalla solitudine, dal lavoro e dalla festa. Prezioso strumento per ripercorrere la sua lunga e ricca esperienza spirituale è il Giornale dell’Anima (GdA), una raccolta di appunti, di quaderni, di foglietti, manoscritti o dattiloscritti, legati ad alcune occasioni particolari del suo cammino spirituale, come ritiri ed esercizi spirituali, dal 1895 al 1962. La sua concezione semplice ed esigente della vita cristiana si può sintetizzare intorno a tre nodi: la paziente assimilazione della Tradizione, l’intuizione dell’amore misericordioso di Gesù e l’apertura a tutti gli uomini, chiamati a vivere nell’unità e nella fraternità. Fedeltà creativa alla Tradizione cristiana L’esperienza spirituale di Papa Giovanni si alimenta con «fedeltà creativa» alle fonti della Tradizione cristiana: la Scrittura, la liturgia, l’agiografia, la devozione. La Sacra Scrittura, avvicinata soprattutto nei libri liturgici del breviario e del messale, struttura le sue giornate, lo stimola a ripensare continuamente il nucleo essenziale della fede. Già nei primi anni di sacerdozio si evidenzia un apprezzamento par7


testimonianze

anzitutto Cristo, centro della vita cristiana. Lo stesso si potrebbe osservare per il modo di accogliere l’insegnamento dei suoi grandi maestri: san Carlo Borromeo, san Francesco di Sales, sant’Alfonso de’ Liguori, ma anche i suoi genitori, il parroco, i superiori del Seminario, i padri spirituali, il vescovo Radini Tedeschi. La sua «fedeltà creativa» alla Tradizione cristiana, sostenuta e favorita da una solida formazione culturale e dalla dimestichezza con la storia, si manifesta compiutamente negli anni del pontificato e sboccia nell’allocuzione «Gaudet Mater Ecclesia», con la quale Giovanni XXIII inaugura il Concilio Vaticano II. In questo splendido documento, scritto di suo pugno e lungamente meditato, trovano equilibrio straordinario l’acuta sensibilità per la ricchezza del passato e il sereno giudizio sul presente: la Chiesa, con luci e ombre, vi appare organismo vivente, giardino da coltivare; non museo da conservare. E i cristiani sono invitati a ridire il Vangelo di Gesù, affrontando con coraggio le sfide e i problemi posti dal mutare dei tempi.

amorosa mi ha provveduto di tutto il necessario. Non avevo pane e me l’ha procurato, non avevo di che vestirmi e mi vestì, non avevo libri per studiare e pensò anche a quelli. Talora mi dimenticavo di lui ed egli mi richiamò sempre con dolcezza; mi raffreddavo nel suo affetto ed egli mi scaldò al suo seno, alla fiamma onde arde perennemente il suo cuore» (GdA, 1902). Ancora giovane, egli coglie questa misericordia all’interno della numerosa famiglia, nello stile di vita improntato alla solidarietà e alla convivenza tollerante. In seguito, anche grazie all’aiuto dei suoi direttori spirituali – don Isacchi a Bergamo e padre Pitocchi a Roma – approfondisce questa prospettiva. Di san Francesco di Sales – tra le tante cose – ammira la capacità di persuadere e convincere gli avversari con modi buoni e cortesi, senza asprezze e invettive; non approva i toni esagerati di battaglia, l’avere «sempre la sferza in mano, sempre lo spirito di Elia, pochissimo quello del s. Cuore di Gesù» (Memorie e appunti, 1919). Perfino nel bilancio steso alla fine della dura esperienza di cappellano militare, durante la prima guerra mondiale, sa cogliere i delicati segni della Grazia: «Il nostro compito sacerdotale più che di sciupare lunghe ore in continui piagnistei e recriminazioni che a nulla giovano, è di lavorare e di cogliere il bene dovunque si trovi» (Diario, 1918). Vive il proprio sacerdozio come dare la vita per i fratelli, a immagine del Buon Pastore; conserva lo stesso stile anche da vescovo, convinto che «la bontà vigilante, paziente e longanime arriva ben più in là e più rapidamente che non il rigore e il frustino» (GdA, 1955). D’altra parte, il servizio in Bulgaria gli insegna

Imitazione della misericordia di Gesù Buon Pastore L’intera esistenza di Angelo Giuseppe Roncalli sembra attraversata da una sorta di filo rosso che le imprime un carattere particolare: Gesù mite, umile di cuore e misericordioso è sorgente a cui attingere, modello al quale conformarsi nelle parole e nelle opere di ogni giorno. La misericordia di Dio nei suoi confronti è presente fin dagli inizi e spesso evocata con animo riconoscente: «Mi ha tolto dalla campagna sin da piccino, con affetto di madre

Inaugurato il salone centrale delle Poste Vaticane Duecentocinquantamila chili di posta in partenza, sessantamila di quella in arrivo e cinquantamila di quella interna. Sono alcuni dati annuali che offrono l’idea del lavoro dell’ufficio centrale delle Poste Vaticane, il cui rinnovato salone è stato inaugurato lo scorso 7 novembre mattina dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato. Di recente la struttura ha subito delle innovazioni. Basti pensare

alla completa informatizzazione dei servizi, alla delocalizzazione dei telegrammi, all’adeguamento alle norme di sicurezza, alla costruzione di una rampa per l’accesso dei disabili, al lancio, nel 2010, del servizio di pagamento dei bollettini di conto corrente in collaborazione con le Poste Italiane. Novità che si affiancano a quelle già attive, come il recapito veloce della corrispondenza con «posta espresso».

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testimonianze

quanto la via della mitezza misericordiosa si saldi intimamente con quella della croce. Avverte la propria marginalità ecclesiastica e le difficoltà della missione diplomatica, ma proprio negli anni trascorsi in Oriente si fa intensa la sua unione al Crocifisso: «Parmi che tutto mi conduca a rendermi abituale questa solenne professione di amore per la santa croce. E su questa, e non su altra, io lo voglio seguire. L’immagine di san Francesco di Sales che mi piace ripetere con altri: “Io sono come un uccello che canta in un bosco di spine”, deve essere un perenne invito per me» (GdA, 1930). Di fronte alla croce, fedele al motto episcopale scelto nel 1925 – “Oboedientia et pax” – egli trova la forza di resistere arrendendosi e abbandonandosi completamente alla Provvidenza. Da qui scaturisce grande libertà interore insieme a profonda pace: «Una volta che si ha rinunziato a tutto, proprio a tutto, ogni audacia diventa la cosa più semplice e più naturale del mondo» (da Sofia, 1928). Passione per l’unità Il lungo cammino spirituale porta Papa Giovanni a una straordinaria capacità di suscitare, valorizzare ed esprimere la comunione. Sostenuto dagli studi storici, in particolare dalla conoscenza approfondita di san Carlo Borromeo, il Vescovo della Riforma tridentina, impara ad apprezzare tutte le forme di azione pastorale che rendono visibile la comunione ecclesiale: sinodi, visite, relazioni, contatti di ogni tipo, formali e informali. Matura una visione aperta e articolata della realtà ecclesiale e del suo incarnarsi nelle situazioni locali; oltrepassa con sorprendente immediatezza la “superficialità” di certi giudizi e coglie la ricchezza del patrimonio spirituale dell’Oriente. L’impegno diplomatico e il ministero episcopale a Venezia sviluppano in lui una sorprendente sensibilità e una vera passione per l’unità della Chiesa, suggerendogli le vie migliori per raggiungerla. Tutto questo trova ampia e armonica concretizzazione durante gli anni del pontificato: la creazione del Segretariato per l’unità dei cristiani, l’invito a partecipare al Concilio rivolto a diversi osservatori non cattolici, l’incarico affidato al card. Bea di preparare la bozza di un documento sui rapporti tra la Chiesa e il po-

Il Pontefice durante il rito della Festa delle palme nel 1963

polo ebraico, gli incontri con personalità politiche di rilievo per favorire la pace mondiale, sono segni di una passione per l’unità perseguita con ferma volontà. Più che da un’organica riflessione teorica, essa scaturisce dal lungo e paziente confronto quotidiano con le persone “in carne e ossa”, supera prospettive ancora troppo anguste, si articola come ricerca dei motivi di unione piuttosto che di divisione, utilizza quali strumenti prioritari la carità, il rispetto e la preghiera. L’unità tra i cristiani si allarga all’unità fra tutti gli uomini. Colpisce la singolare coerenza di temi e di stile tra le diverse fonti giovannee: appunti personali su diari e agende; migliaia di lettere, tra il 1901 e il 1963, scritte a familiari, amici, collaboratori, autorità pubbliche ed ecclesiastiche; prediche, conversazioni, discorsi. Una ricchissima documentazione in cui anche il più piccolo frammento di vita è colto, interpretato e ricollocato nell’ampio scenario della storia della salvezza. Papa Giovanni appare come un cristiano rivestito di solenne semplicità. 9


RICONOSCIMENTI

Roncalli salvò migliaia di ebrei dalla persecuzione dei nazisti La richiesta della famosa Fondazione Wallenberg: «Entri nel Giardino dei Giusti»

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iovanni XXIII potrebbe ottenere il titolo di «Giusto tra le nazioni», il riconoscimento che Yad Vashem, l’autorità nazionale israeliana assegna a quanti si sono prodigati per salvare gli ebrei perseguitati dall’Olocausto. La richiesta ufficiale sarà avanzata dalla Raoul Wallenberg Foundation, (fondazione intitolata al diplomatico e filantropo svedese che si prese a cuore la sorte degli ebrei nell’Ungheria occupata dalle forze naziste)

che lo scorso 25 novembre – anniversario della nascita del Pontefice bergamasco – ha annunciato la conclusione di uno studio storico che documenta tutto l’aiuto dato da Papa Giovanni XXIII agli ebrei perseguitati. Così inizia il servizio di Emanuele Roncalli, pronipote del Papa, pubblicato lo scorso 9 dicembre su «L’Eco di Bergamo». Articolo che proponiamo ai nostri lettori e così prosegue. La notizia ha già avuto una grande eco anche in Israele ed è rimbalzata dalle colonne del quotidiano Jerusalem Post. Secondo lo studio della Fondazione, prima di diventare Papa, quando era delegato apostolico, mons. Angelo Giuseppe Roncalli salvò la vita di molti ebrei dell’Europa orientale, aiutandoli ad emigrare per la Terra Santa. Alcuni aspetti di questa vicenda sono noti, tuttavia una ricostruzione con rigore storico scientifico finora non era mai stata avanzata. «Il suo pontificato è stato segnato da una riconciliazione tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo, che ebbe la sua massima espressione nel Concilio Vaticano II», dicono all’istituto fondato da Baruch Tenembaum, pioniere del dialogo interreligioso. «Quello che è meno noto è il suo ruolo prima della sua elezione al pontificato. Di fronte all’Olocausto, negli anni Quaranta, quando era delegato apostolico a Istanbul, Roncalli ha usato tutti i suoi mezzi e la sua intelligenza per salvare dalla macchina crudele dello sterminio nazista il maggior numero possibile di vittime ebree», spiegano alla Fondazione. «La ricerca effettuata congiuntamente dalla Fondazione Wallenberg e il Comitato Roncalli, con la partecipazione di storici, rivela l’atteggiamento coraggioso del delegato apostolico, che ha approfittato dei suoi privilegi diplomatici a favore degli ebrei ungheresi, inviando i certificati di battesimo e immigrazione dalla Palestina. La sua attività è stata

Giovanni XXIII ripreso durante una celebrazione

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riconoscimenti

estesa agli ebrei in Slovacchia e in Bulgaria salvando tante altre vittime del nazismo». Lo studio in particolare raccoglie documenti, telegrammi, report, testimonianze scritti e orali legati a diversi episodi. Anzitutto il soccorso agli ebrei rifugiati a Istanbul, dove tra l’altro vi era la sede del Patriarcato ecumenico ortodosso al quale era riconosciuto un ruolo di onore e riferimento. Roncalli nel lungo soggiorno in Oriente durato vent’anni – dal 1925 al 1934, era stato visitatore apostolico in Bulgaria – maturò l’esigenza di nuove relazioni, non solo tra i cattolici e gli ortodossi, ma anche tra la Chiesa cattolica e l’Ebraismo e quella sua particolare sensibilità appariva sotto gli occhi di tutti. Elenco segreto Altre pagine della ricerca riguardano bambini ebrei slovacchi che riuscirono a lasciare il Paese, ebrei rifugiati i cui nomi furono inseriti in un elenco segreto presentato da Markus rabbino di Istanbul a Roncalli, ebrei detenuti nel campo di concentramento di Jenovats, ebrei bulgari che avevano lasciato la Bulgaria, grazie alla richiesta di Roncalli al re Boris di Bulgaria col quale il delegato bergamasco mantenne ottimi rapporti. Ed ancora ebrei rumeni della Transnistria, bambini orfani della Transnistria che si trovavano a bordo di una nave, salpata da Costanza a Istanbul, e poi arrivarono in Palestina, grazie ai lasciapassare di Roncalli. La lista si allunga poi con gli ebrei detenuti nel campo di concentramento Sered risparmiati dalla deportazione nei campi di sterminio polacchi e gli ebrei ungheresi che riuscirono a salvarsi grazie ai certificati di battesimo inviati da Roncalli al nunzio ungherese monsignor Angelo Rotta, milanese.

Mons. Angelo Roncalli, delegato apostolico a Istanbul

Azioni eroiche La Fondazione Wallenberg e il Comitato Roncalli presenterà i risultati di tali indagini a Yad Vashem, raccomandando vivamente questa prestigiosa istituzione di conferire il titolo di «Giusto tra le Nazioni Angelo Giuseppe Roncalli», con questa aggiunta: «Per onorare la memoria di Giuseppe Roncalli e trasmettere alle giovani generazioni l’eredità di

Papa Giovanni al suo tavolo di lavoro

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riconoscimenti

Toccante ricordo A ribadire l’autorevolezza della Fondazione, occorre ricordare che del Comitato d’Onore della stessa fa parte il cardinale Paul Poupard e una rappresentanza è stata ricevuta da Benedetto XVI nel settembre di tre anni fa. Non va poi dimenticata che l’attenzione di Roncalli verso gli ebrei continuò anche durante il Concilio e il suo pontificato. Fu il Papa bergamasco a sopprimere l’espressione «Perfidi Giudei» nella liturgia del Venerdì Santo e a chiedere al cardinale Bea di preparare un testo sugli ebrei da sottoporre al Concilio. Un ricordo toccante è sempre stato quello dell’ex Rabbino capo di Roma, Elio Toaff, che nella sua autobiografia ha scritto: «Ricordo quando nel 1959 Giovanni XXIII fece fermare sul Lungotevere il corteo pontificio per benedire gli ebrei che, di sabato, uscivano dalla Sinagoga. Fu un gesto che gli valse l’entusiasmo di tutti i presenti che circondarono la sua vettura per applaudirlo e salutarlo. Era la prima volta che un Papa benediceva gli ebrei».

Il Visitatore Apostolico (dietro all’autista) durante una peregrinazione nella Bulgaria del Nord con i Padri Passionisti

solidarietà, la Fondazione chiede ai sindaci di tutte le città del mondo di far erigere statue e busti con l’effigie di Roncalli nei luoghi pubblici. Tutti gli uomini di buona volontà, senza distinzione di fede o razza, devono riconoscere le azioni eroiche di Angelo Roncalli e hanno il dovere morale di presentare la sua eredità alle generazioni più giovani».

Spiato dai tedeschi li dribblò scrivendo in dialetto Giorno e notte era impegnato a tessere rapporti diplomatici e a preparare documenti per salvare gli ebrei, ma sapeva di essere spiato e talvolta controllato a vista. Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, delegato apostolico in Oriente, nonostante ciò non si diede mai per vinto. Che fosse sotto controllo lo hanno rilevato di recente anche due giornalisti tedeschi, Hanspeter Oschwald e Werner Kaltefleiter nel libro «Spione im Vatikan» (non ancora tradotto in italiano). «Durante la guerra, quando Roncalli era delegato apostolico in Turchia e Grecia – scrivono – alcune volte visitò i feriti tedeschi e inglesi. Un atteggiamento inspiegabile secondo i militari e questo bastò a metterlo sotto osservazione». Gli autori raccontano i rapporti fra Franz Von Papen, ambasciatore tedesco in Turchia e Roncalli nell’operazione di salvataggio di «24.000 ebrei, che scamparono ai campi di sterminio grazie a permessi e lasciapassare procurati dal delegato

apostolico bergamasco». Franz Von Papen in seguito sarà «salvato» da mons. Roncalli al processo di Norimberga ricordando la collaborazione clandestina offerta dal diplomatico tedesco per risparmiare vite di uomini, donne e soprattutto bambini che sarebbero finiti nei campi di concentramento. Ma a proposito delle spie, gli autori del libro aggiungono che costoro «riuscirono a decifrare i codici segreti di Roncalli, intercettarono i suoi telegrammi e altre volte le conversazioni radio». Il delegato apostolico, in realtà, si era accorto di queste attenzioni già ai tempi del servizio in Bulgaria, quando spesso utilizzò il dialetto bergamasco per dribblare le spie. E’ palese, ad esempio, che le spie sapessero chi fosse il cardinale Luigi Maglione, diplomatico vaticano, ma Roncalli chiamandolo «tricotè» – in dialetto appunto maglione – non temeva occhi indiscreti.

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P E R S O N A G G I

Manifestò grande devozione verso il Pontefice bergamasco Fra Benedetto Mauri si è spento nel pomeriggio dello scorso 19 novembre

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ra Benedetto Mauri si è spento lo scorso 19 novembre, creando un grande vuoto attorno a sé. La sua vita e il messaggio che ha lasciato si possono sintetizzare nel famoso programma benedettino «Ora et Labora», realizzato nel più perfetto stile Francescano. La notizia è stata riportata con grande evidenza nell’ultimo numero del notiziario del Santuario «Madonna delle Lacrime» proposto dal Convento Francescano di Dongo (Como). Prendendo spunto da quanto pubblicato, vogliamo tratteggiare un profilo dello scomparso. Un’attenzione dovuta in quanto Fra Benedetto fu particolarmente devoto a Papa Giovanni XXIII. Fra Benedetto non solo manifestò la sua sincera devozione a Santi antichi, in particolare a S. Francesco di Assisi e a S. Antonio di Padova, ma anche a Santi del nostro tempo, in particolare verso il Papa buono, il Papa Francescano, il Papa amato da tutti. Ecco un esempio. Nella sua fattoria, dove ospitava specialmente giovani venuti per incontri culturali e spirituali, allestì una Cappellina in onore del Beato Papa Giovanni XXIII, sicuro di fare cosa grata agli ospiti. Il busto di gesso è una copia della scultura esposta nell’ex Mostra Giovannea di Baccanello, donata ai Frati di Dongo dal direttore della rivista «Amici di Papa Giovanni XXIII», ossia la nostra. Siccome minacciava di essere accantonata Fra Benedetto l’ha ripulita e collocata in un piccolo ma significativo trono. Inginocchiandosi davanti a questa immagine di Papa Giovanni XXIII viene alle labbra una spontanea affermazione: le anime semplici si capiscono tra loro e si attraggono… Più volte Fra Benedetto disse: «Sto pensando dove e come costruire una Cappella in muratura al Papa di Sotto il Monte». Il suo desiderio, però, è rimasto solo un bel sogno! Di recente è infatti scomparso. Ad assisterlo nel momento estremo, quale quotidiano compagno di lavoro, è stato l’amico e confidente Felice

Rumi, accanto a Frate Benedetto fin dal primo giorno del loro incontro di 22 anni fa (coadiuvato per anni dall’anziano Francesco Franzoni). Lui solo era presente nel pomeriggio di giovedì 19 novembre quando Fra Benedetto, sostando un attimo dal trasportare la grossa legna con la carriola, ebbe come uno svenimento, ma tale non era. Sorella morte era venuta a rapirlo improvvisamente come si coglie un bellissimo fiore dall’aiuola variopinta. La notizia della sua morte si è divulgata in un baleno e sono iniziate le numerose visite di condoglianze. Bellissima e ardita è stata la proposta, poi attuata, di far passare il corteo funebre attraverso il giardino del Convento; in questo modo è parso ai partecipanti di essere avvolti dall’amabile presenza di Fra Benedetto. Il corteo si è avviato al cimitero di Dongo e poi ha raggiunto la Cappella mortuaria dei Frati Minori. Fra Benedetto era nato a Maggianico di Lecco il 16 marzo 1926 e fu battezzato con il nome di Samuele Biagio. Entra nel Seminario minore di Saiano (Brescia) e prosegue gli studi fino alla quinta ginnasio. Lasciati gli studi entra in Noviziato come Frate non Sacerdote ed emette la Professione Temporanea il 14 agosto 1949.

Copia del busto in gesso, opera dello scultore bergamasco Stefano Locatelli, offerto ai Frati di Dongo dal signor Claudio Gualdi

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P E R S O N A G G I

Storia di una grande amicizia fra Paolo VI e la terra orobica Tra le sua visite a Bergamo quella del ‘58, durante il pontificato di Roncalli

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ra Giovan Battista Montini e il territorio bergamasco, che ha dato i natali a Papa Giovanni, c’è sicuramente stato un profondo legame, impregnato di amicizia. Molte sono le testimonianze che sostengono questo rapporto. Interessante, a tale riguardo, è ad esempio un articolo di Paolo Aresi pubblicato su «L’Eco di Bergamo» che tratta proprio questo argomento. Lo proponiamo ai nostri lettori. Bresciano di Concesio, Giovan Battista Montini conosceva molto bene Bergamo e la Bergama-

sca e i bergamaschi conoscevano molto bene lui. Nell’archivio de «L’Eco» sono conservate alcune lettere che Montini scrisse a don Andrea Spada, storico direttore di questa testata. Per esempio, il 7 novembre del 1954. «Rev.mo Signore, mi è ora mostrato il Suo caro e fedele giornale; e non voglio tardare a ringraziarLa del modo tanto cortese con cui ha voluto annunciare la mia nomina. Voglia Iddio che a così cordiale bontà risponda l’abbondanza delle sue grazie, quali le invoca il suo dev.mo G. B. Montini». La nomina di cui si

Benedetta la statua dedicata a Santa Comensoli In un tripudio di bandierine e fiori di carta colorati, sventolati da circa 650 bambini e ragazzi, il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, ha benedetto la nuova statua dedicata a Santa Geltrude Comensoli. Una cerimonia gioiosa, quella dello scorso 1° ottobre mattina, nel cortile dell’istituto scolastico delle Suore Sacramentine in via Sant’Antonino a Bergamo. La statua, omaggio della Congregazione alla fondatrice proclamata Santa nell’aprile 2009 da Benedetto XVI, è stata realizzata dallo scultore Flavio Pozzi nel suo studio di Seriate (Comune confinante con Bergamo), poi fusa in bronzo nella fonderia Alanconi di Crema. E’ alta 170 centimetri. Pozzi ha spiegato il filo conduttore dell’opera: «Mi sono ispirato a un pensiero della Santa, “Tutto posso in Colui che mi conforta”, riferito a Gesù Eucaristia». «Mi piace molto questa statua – ha esordito il vescovo Beschi – e mi complimento con l’autore. Una mano è posta sulla testa della bambina, mentre l’altra mano è orientata verso tutte le persone. Il segreto di Santa Geltrude è stato quello di avere Gesù nel cuore. Ha posto Gesù in tutte le

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opere che ha realizzato». Nel pomeriggio del giorno successivo, nella Casa Madre delle Sacramentine in via Sant’Antonino 8, si è tenuto un colloquio di studio su «Spiritualità eucaristica, carità pedagogica e vita religiosa. Dalla testimonianza di Geltrude Comensoli ai nostri giorni».

Il vescovo di Bergamo Francesco Beschi con lo scultore Flavio Pozzi


personaggi

parla è quella ad arcivescovo di Milano. Molte le visite di Montini a Bergamo, nelle diverse stagioni della sua vita. Da cardinale, durante il pontificato del nostro Papa Giovanni XXIII, Giovan Battista Montini venne a Bergamo il 28 novembre del 1958, cinquant’anni orsono, per commemorare l’arcivescovo Adriano Bernareggi. Quel giorno nel suo discorso, fra l’altro chiese: «E’ possibile rifare cristiano il nostro popolo? Dare un cattolicesimo moderno, intelligente, guidato da grandi principi, aperto a tutte le esperienze che la giustizia e la carità possono domandare, tollerante verso quelli che ancora non hanno la gioia, la fortuna di pensare come noi?». Quando venne a Bergamo per l’apertura del congresso eucaristico, l’11 settembre 1960, il cardinal Montini pose l’accento sul tema della domenica, fece notare come la pratica religiosa aveva fatto già allora dei passi indietro e come «un aumento del tempo disponibile per il libero impiego d’ogni individuo, non ha portato alcun profitto alla vita religiosa del popolo, anzi, ha dato occasione ad un grave decadimento della pratica religiosa festiva». Ancora raggiunse la nostra città nel novembre del 1960 per le celebrazioni in onore di San Gregorio Barbarigo. Quando divenne Papa, Bergamo visse un’emozione particolare. Scrisse don Andrea Spada all’annuncio della fumata bianca in Vaticano il 22 giugno 1963: «Sapevamo, anche direttamente, quanta stima e quanto affetto Papa Giovanni nutrisse da sempre per l’Arcivescovo di Milano. Prima del Conclave del 1958 avevamo sentito il Patriarca di Venezia dire: «Peccato che monsignor Montini non sia cardinale, sarebbe un grande Papa». E infatti fu il primo cardinale che egli elesse... L’idea del Concilio Ecumenico lo entusiasmò apertamente e senza riserve, sentì nel suo cuore di pastore di una delle Diocesi più vive e dinamiche, ma anche più minacciate dal gelo di una civiltà di macchine, quale enorme respiro pastorale e cristiano Papa Giovanni avesse disteso sul mondo. Gioì nel vedere la Chiesa aprire porte che le erano sempre rimaste chiuse. Esiste un aneddoto che riguarda Paolo VI e «L’Eco di Bergamo». Era il 1973 quando il Papa ricevette in udienza alcuni giornalisti cattolici, tra questi don

Il futuro Paolo VI accanto a Giovanni XXIII

Andrea Spada. In quel tempo si volevano chiudere i giornali locali cattolici per concentrare le energie su un unico quotidiano nazionale, Avvenire. Quando Spada si avvicinò a Paolo VI, il Papa gli chiese: «Caro monsignore, come va L’Eco di Bergamo?». Spada esitò solo un attimo. Poi sollevò i suoi occhi azzurri, di ghiaccio, fissò il Pontefice e disse: «Bene, se lo lasciate vivere». Il Papa restò colpito, fece: «Dica al suo vescovo che L’Eco di Bergamo non chiuderà».

Giovan Battista Montini fu considerato un perfetto successore di Papa Giovanni

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CERIMONIE

L’abbraccio del Santo Padre agli artisti di tutto il mondo L’incontro è avvenuto nella Cappella Sistina alla fine dello scorso novembre

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proprie da Benedetto XVI, sono risuonate ancora una volta come un invito al dialogo: «Noi abbiamo bisogno di voi. Il nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione». L’incontro si è inserito dunque nella secolare tradizione di amicizia tra Chiesa, cultura e arte. Una composizione del maestro Giovanni Pierluigi da Palestrina, Domine, quando veneris, eseguita dalla Cappella musicale Pontificia Sistina, ha preceduto la lettura, da parte dell’attore e regista Sergio Castellitto, di alcuni brani della Lettera agli artisti, che Giovanni Paolo II indirizzò loro il 4 aprile 1999. Anche nelle parole dell’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, è risuonata l’eco della Lettera di Papa Wojtyla e si è rinnovato il ricordo dello storico incontro con Paolo VI. Dopo il saluto rivoltogli da monsignor Ravasi, il Pontefice ha tenuto il suo discorso. La benedizione apostolica e l’esecuzione del Veni dilecte mi del Palestrina hanno concluso l’incontro. Successivamente l’arcivescovo Ravasi ha consegnato, a nome del Papa, una medaglia ricordo a ogni partecipante. Molti gli artisti sfilati davanti al presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: da Claudio Baglioni a Vadim Ananiev, da Roberto Vecchioni ad Antonello Venditti, da Ennio Morricone a Riccardo Cocciante, da Andrea Bocelli a Raul Bova, e poi ancora Giuseppe Tornatore, Liliana Cavani, Marco Belloccio, Mario Monicelli, Kryzstof Una suggestiva immagine del ricevimento nella Cappella Sistina Zanussi, Terence Hill, Irene Papas,

n lungo applauso al termine del discorso di Benedetto XVI è stata l’espressione più autentica dell’esperienza vissuta dai numerosi artisti che, nella Cappella Sistina, sabato mattina 21 novembre hanno incontrato il Papa. Così inizia l’articolo pubblicato domenica 22 novembre sul quotidiano cattolico «L’Osservatore Romano» e che proponiamo ai nostri lettori. Duecentocinquanta circa tra pittori, scultori, architetti, cantanti, compositori, registi, attori, musicisti, ballerini provenienti da ogni parte del mondo si sono raccolti sotto lo sguardo dei personaggi del Giudizio Universale di Michelangelo per ascoltare il Pontefice. Si è rinnovato così quel colloquio amichevole tra i rappresentanti delle discipline artistiche e il Successore di Pietro, già avvenuto il 7 maggio 1964 con Paolo VI. E le parole del servo di Dio, fatte

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cerimonie

Monica Guerritore, Arnoldo Foà, Franco Nero, Anna Proclemer, i fratelli Taviani e Pupi Avati, solo per citarne alcuni. Il Papa è stato accompagnato dall’arcivescovo James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, dal vescovo Paolo De Nicolò, reggente, dai monsignori Georg Ganswein, segretario particolare del Papa, Alfred Xuereb della segreteria particolare, e Petar Rajic. Dopo l’udienza, nei Musei Vaticani, l’arcivescovo Ravasi ha salutato i partecipanti all’incontro, sottolineando l’importanza della parola «Arrivederci» pronunciata dal Papa nel congedarsi, così come aveva fatto Paolo VI con i loro predecessori quarantacinque anni fa: essa è «soprattutto un impegno per voi e per me». «Vedremo – ha aggiunto

– di poter fare qualche altro incontro, magari ancora con il Papa». Ma – ha concluso l’arcivescovo – quell’«arrivederci» va inteso in particolare come l’inizio di un dialogo nuovo basato sulla fraternità tra fede e arte «che esiste non perché l’arte deve essere apologetica della fede, ma perché l’arte di sua natura tende a rompere lo schema piccolo e limitato attraverso degli stampi che sono finiti, e a rappresentare l’eterno e l’infinito. E’ per questo che da oggi in poi vorremmo rafforzare questa solidarietà tra noi, che cerchiamo il trascendente per un’altra via. Insieme potremmo forse fare qualcosa». Il presule ha poi annunciato, anche se in modo informale, la possibile presenza della Santa Sede con un suo padiglione alla Biennale di Venezia.

Benedetto XVI durante l’incontro con gli artisti

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CELEBRAZIONI

Ritratti, foto e una S. Messa per ricordare Papa Giovanni Le iniziative per l 128° della sua nascita e il 51° dell’elezione al soglio pontificio

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i è celebrato, lo scorso 25 novembre, il 128° anniversario della nascita di Papa Giovanni XXIII. Per questa ricorrenza la casa di cura «Beato Luigi Palazzolo», nell’omonima via a Bergamo, ha posto un quadro del pittore bergamasco Angelo Capelli sulla soglia d’ingresso del complesso sanitario. Nel dipinto è rappresentato Angelo Giuseppe Roncalli che sorregge e abbraccia i sofferenti. A spiegare la profondità del quadro è monsignor Loris Francesco Capovilla, arcivescovo di Masembria e già segretario particolare del Pontefice bergamasco. «Sulla soglia della casa di cura Palazzolo – dice – Papa Giovanni il misericordioso riceve ed abbraccia i sofferenti come Maria santissima accolse il corpo morto del suo Gesù. Da Angelo Capelli pittore bergamasco è raffigurato uomo dei dolori, sacerdote e vittima, fratello tenerissimo, proclamante

risurrezione e vita, fiducia e speranza». Nella stessa serata dello scorso 25 novembre, alle 20,45, nella chiesa della frazione Paderno di Seriate (Bergamo), dedicata al Beato Giovanni XXIII, don Davide Pelucchi, vicario generale della diocesi di Bergamo, ha celebrato una Santa Messa, anche in questo caso per ricordare il 128° anniversario della nascita di Angelo Roncalli. Don Pelucchi è stato invitato alla celebrazione anche in qualità di Superiore dei preti del Sacro Cuore di Bergamo, comunità alla quale aderiva (pur come esterno) Angelo Giuseppe Roncalli. A margine della sacra funzione è stato tratteggiato un ricordo e il pensiero del grande Pontefice bergamasco che ha lasciato nella storia della Chiesa un segno indelebile. Un altro quadro raffigurante il Beato Papa Giovanni XXIII è stato benedetto di recente, alla metà di ottobre, nella parrocchia di Martinengo (Bergamo). Si tratta di un dipinto a olio su tela offerto dal pittore locale Sergio Fasolini. L’opera, dopo la benedizione, è stata collocata nella cappella del Giubileo, all’interno della chiesa di Sant’Agata. La benedizione è stata impartita nel corso della Messa solenne per la Madonna della Fiamma, principale festività religiosa del paese. Un’altra iniziativa di rilievo è stata organizzata lo scorso 28 ottobre nella contrada della Roncaglia a Piazzo di Sant’Omobono Terme (Bergamo). Alle 15 di tale giorno è stata celebrata una Messa in occasione del 51° anniversario della elezione al soglio pontificio di Papa Giovanni XXIII. Nel pomeriggio è stato possibile visitare la mostra fotografica, allestita dal fotografo Stefano Frosio, ricca di scatti del Beato e di giornali d’epoca che con titoli a nove colonne hanno comunicato al mondo l’elezione del patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli. E’ ancora impressa in milioni di persone quella storica data del 28 ottobre 1958 quando, verso sera, a Roma si alzò la fumata bianca e il Papa bergamasco pronunciò il suo primo discorso.

Il pittore Angelo Capelli davanti al suo dipinto intitolato Via Crucis

Luna Gualdi 18


T ESTIMONIANZE

Un presepe a Sotto il Monte dedicato ad Angelo Roncalli E’ stato realizzato nello scorso dicembre in una giara del peso di 5 quintali

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nche nello scorso dicembre, cosa che ormai avviene tutti gli anni, gli «Amici del presepio» di Sotto il Monte hanno voluto rendere omaggio a Papa Giovanni XXIII allestendo un presepio decisamente originale nel salone del Pime (Pontificio istituto missioni estere), dove è presente la statua in bronzo dello stesso Papa Roncalli. La Natività è stata collocata all’interno di una gigantesca giara, del peso di circa cinque quintali, da cui sgorga l’acqua. Una rappresentazione che vuole ricordare una frase pronunciata da Papa Giovanni XXIII: «Alla mia povera fontana si accostano uomini di ogni specie. La mia funzione è di dare acqua a

tutti». Accanto una giara più piccola da cui sgorga frumento, mentre attorno a quella più grande sono rappresentati i cinque continenti. Gli «Amici del presepio» che hanno partecipato alla realizzazione sono Eugenio Roncalli (pitture e scenografie), tre pronipoti di Papa Roncalli (Mario, Gabriele e Giuseppe), Giulio Nervi, Carlo Ghezzi, Antonio Ghisleni e Mario Persico. Sempre con uno sfondo a tema natalizio, inoltre, all’interno della casa Natale di Papa Giovanni Giulio Nervi ha anche allestito una mostra di cartoline e francobolli riguardanti il Natale: ha raccolto circa 500 pezzi, provenienti da tutto il mondo, dall’inizio del Novecento agli anni Ottanta.

Premio della bontà, consegnati i riconoscimenti a 8 gruppi stenza Ammalati e Anziani» di Calusco d’Adda, agli «Amici del Monastero» di Treviglio, e all’«Associazione Nazionale Alpini» sezione di Bergamo. I premiati, al ritiro del riconoscimento della Bontà UNCI Città di Bergamo, hanno raccontato la loro esperienza commovendo numerosi presenti in sala. Tanti gli applausi per gli esempi di vita dedicata agli altri. La manifestazione si è conclusa con un rinfresco in onore dei premiati. Nelle foto due momenti delle premiazioni, con consegna dei riconoscimenti da parte di Marcello Annoni e Tina Mazza

Si è svolta lo scorso 29 novembre a Bergamo, con il Patrocinio della Provincia, la sedicesima edizione della cerimonia di consegna del Premio della Bontà UNCI Città di Bergamo, istituito dall’Unione Nazionale Cavalieri d’Italia e destinato a persone meritevoli che lavorano per gli altri. Oltre al vice presidente nazionale e presidente provinciale dell’UNCI Grand’Uff. Marcello Annoni e alla Presidente nazionale donne dell’UNCI Uff. Tina Mazza Annoni, che hanno consegnato i premi, all’appuntamento hanno preso parte numerose autorità politiche, religiose e militari. Gli otto premi della Bontà UNCI Città di Bergamo, (diploma di merito, assegno e opuscolo riassuntivo di quindici anni di premi Bontà) consegnati a persone e associazioni che si sono distinte in attività di carità cristiana e volontariato, dopo le motivazioni spiegate da Tina Mazza Annoni, sono stati attribuiti: all’Associazione Gruppo Volontari «Dolce Presenza» di Scanzorosciate, all’Associazione «Auser» di Orio al Serio, all’Associazione «Primo Ascolto Alzheimer» di Dalmine, all’Associazione «In – Oltre» di Bergamo, all’Associazione «Amigos Per Sempre» di Verdello, all’Associazione «Volontari Assi-

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E V E N T I

Quattro parroci: «Non crediamo perchè noi abbiamo veduto» Ghiaie 1947, i sacerdoti dell’Isola rispondono a p. Stefano Lamera sulle apparizioni

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’articolo precedente ha informato delle prese di posizione di alcuni sacerdoti dell’Isola nettamente contrari alle apparizioni anche prima che don Cortesi cominciasse a scrivere. Il documento più importante da loro prodotto è la lettera di replica ad un articolo di un religioso bergamasco nativo di Bariano, il p. Stefano Lamera dei Paolini del beato Alberione, apparso sulla rivista «Vita Pastorale» nell’aprile 1947. Dal diario di don Duci sappiamo che p. Lamera, che credeva fortemente alle apparizioni, era venuto a Ghiaie il 21 aprile 1947. Nell’articolo, che la direzione della rivista mi ha gentilmente fatto avere, p. Lamera dopo aver richiamato le altre apparizioni degli ultimi secoli scriveva quanto segue. «…La Vergine santa ritornava, come noi abbiamo

seri e gravi motivi di ritenere, per indicare al mondo il cammino da percorrere e questa volta proprio in Italia alle Ghiaie di Bonate in quel di Bergamo. Anche questa volta la fortunata prescelta è stata una bambina povera e ingenua, Adelaide Roncalli di sette anni… E’ compito della Chiesa esaminare i fatti e pronunciarsi sul carattere soprannaturale delle apparizioni… Dovere di tutti ma più dei Pastori è di collaborare al trionfo di Maria cercando di conoscere i fatti, di studiarli in se stessi nel loro sviluppo, nei loro effetti, di valorizzarli per quello che valgono e per quello che significano…Fa pena vedere dei confratelli che giudicano una gloria ripetere il gesto di S. Tommaso! Per quanto ci risulta alle Ghiaie sono avvenuti dei fatti che inducono ogni persona di buon senso per lo meno a riflettere … Sono avvenute numerose e straordinarie conversioni… Sono continuate imponenti dimostrazioni di fede e di vera pietà, fatta di penitenza e di preghiera… Non sono mancate guarigioni prodigiose … Spetta a noi sacerdoti affrettare il trionfo del Cuore immacolato di Maria…» (Vita Pastorale, aprile 1947, p. 50-53). La replica severa dei quattro parroci, nella festa di Maria mediatrice di grazie del 1947, il 7 maggio, precede (il particolare va ben sottolineato!) di quasi un anno il giudizio del vescovo Bernareggi. Consta di quattro cartelle dattiloscritte; se ne riportano i passaggi principali. «Abbiamo letto il suo articolo e di tutto cuore accogliamo l’appello “a noi sacerdoti spetta affettare il completo trionfo del Cuore Immacolato di Maria”. Ma lo zelo deve essere “secundum scientiam” per tenere lontano dai pascoli avvelenati della superstizione e dell’errore i fedeli affidati alle nostre cure . Per questo noi sottoscritti sacerdoti parroci viciniori alle Ghiaie sino dai primi giorni abbiamo dedicato

Padre Stefano Lamera

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eventi

le più vigili attenzioni alle cose e alle persone delle Ghiaie raccogliendo con animo scevro da ogni preoccupazione, dati e fatti, confrontandoli con gli avvenimenti di Lourdes e di Fatima, soprattutto esaminandoli alla luce dei principi della teologia, e siamo giunti a conclusioni opposte a quelle che Ella afferma o almeno implicitamente suppone. Con libertà e franchezza sacerdotale facciamo presente ad un confratello che per tanti titoli ci è superiore “quae vidimus et audivimus ab inizio” e se le conclusioni dedotte sono negative in rapporto alla soprannaturalità dei fatti delle Ghiaie La preghiamo di non attribuire ciò a mancanza di zelo per l’onore della Madonna e neppure a preconcetti aprioristici sulla possibilità di apparizioni da parte della Vergine e meno ancora al malsano desiderio di voler imitare il gesto di san Tomaso. Anzi al contrario diciamo: NON CREDIAMO PERCHE’ ABBIAMO VEDUTO. Innanzitutto permetta una pregiudiziale: non sappiamo comprendere come il suo scritto abbia potuto mettere i fatti di Ghiaie sullo stesso piano delle apparizioni approvate solennemente dalla Chiesa; non solo Roma, ma neppure la Commissione Diocesana a tre anni dai fatti non ha espresso nessun giudizio in proposito… ABBIAMO VEDUTO: 1 La artificiosa messa in scena operata alle Ghiaie nei mesi precedenti i fatti per surriscaldare le fantasie femminili e preparare la temperatura ambientale atta al sorgere delle false apparizioni. Per questo la storia di Fatima fu rievocata con tutti i mezzi atti a far impressione sulle menti giovanili . 2 La stanza da letto delle sorelle Roncalli erano adornate da molteplici immagini rappresentanti le apparizioni della Madonna nei diversi santuari. 3 Prima di Adelaide è la sorella Caterina, di circa sedici anni a quel tempo, che va parlando di apparizioni della Madonna in diversi luoghi, ma la cosa cade nel ridicolo. 4 L’indole morale di Adelaide: A) prima dei fatti, quella che lei lontano dai luoghi e dalle persone chiama ingenua, a noi risulta bugiarda e la malizia superat aetatem. Ne possediamo le prove. B) Durante i fatti: non dà nessun segno esteriore di estasi o di comunicazione col soprannaturale, nessun

Un ritratto di don Luigi Locatelli

miglioramento spirituale,le visioni,il segreto, sono il frutto di una fantasia bambinesca, indegna dei santi personaggi tirati in ballo... Sopratutto abbiamo veduto a luce meridiana la veggente smentita dal fatti, quando a nome della Madonna annuncia il 13 maggio che il 13 luglio vi sarebbe stata la pace. Per rimediare al disastro si fece ricorso alla condizionale della preghiera e della penitenza. Al contrario ci consta in modo ineccepibile che una commissione formata da sacerdoti e da laici fu investita del mandato di raccogliere dalle labbra della piccola, prima del 13 luglio,la forma autentica della predizione che la veggente rese in parole dialettali e in forma bambinesca “gioedè, du mis, la pas”. Questa deposizione nei precisi termini indicati è stata posta negli atti e non porta condizionale alcuna ma è in forma assoluta. E che la pace a due mesi sia frutto di fantasia e non di predizione divina risulta anche dal fatto a tutti noto alle Ghiaie che nei primi giorni Adelaide parlava di pace a due anni e solamente per le proteste dei familiari ha accettato la locuzione dei due mesi. 21


eventi

Le affermate apparizioni incominciate il giorno 13 maggio dovevano durare sino al 21, il gran giorno, il giorno del gran miracolo… Ma ecco che Adelaide da principio ad una nuova serie di apparizioni, sempre col supposto ordine della Madonna, quando ad un certo momento le apparizioni cessano in tronco per ordine della questura di Bergamo… C) Dopo i fatti. L’indole morale di Adelaide non da segno di miglioramento morale. Presso le diverse case religiose, attraverso le quali è passata, ella è sempre l’enfant gaté, capricciosa, vanitosa, golosa, senza voglia di pregare. Nel riferire le visioni appare incerta, risponde a monosillabi, da l’impressione di ripetere una storia imparata a memoria; a parecchi ha detto, apertis verbis, di non aver visto mai la Madonna. 5 Abbiamo veduto la cugina di Adelaide, la quale ha sempre tenuto sotto il suo controllo la piccola suggerendole quanto doveva dire o fare. Abbiamo ragione di ritenerla il genius maleficus loci. 6 Abbiamo veduto il modo di comportarsi del parroco delle Ghiaie, avremmo desiderato che egli si fosse ispirato alle norme di prudenza che gli autori

di mistica suggeriscono. Purtroppo egli si fa sin dai primi giorni incauto propagandista delle supposte apparizioni… (viene riportato minutamente un colloquio avvenuto nella casa del parroco di Presezzo il 18 maggio 1944 alle ore 18). Ci teniamo nel modo più assoluto a garantire che al mattino seguente uguale discorso lo tenne in Curia e alle 13 alla casa del clero. Ci risulta che fu ripetuto in altre circostanze sino a che non si accorse dello sproposito fatto alzando incautamente il velo sull’origine dei fatti di Ghiaie. 7 Abbiamo veduto la menzogna inficiare all’origine i fatti di Ghiaie… 8 Non abbiamo veduto il messaggio celeste… 9 Non abbiamo veduto miracoli autentici, ma soltanto il tentativo di accreditare false guarigioni… 10 E le conversioni? Se avvennero furono l’opera della buona volontà e della grazia che spira ubi vult et quomodo vult... 11 Abbiamo veduto alle Ghiaie la superstizione gareggiare col più lurido e sfacciato mercimonio fatto sub specie religionis: una vera fiera di oggetti religiosi e non religiosi attinenti alle supposte apparizioni. Di quanto abbiamo veduto abbiamo fatta relazione per summa capita ed altro aggiungeremo se richiesti, ma del detto e del non detto abbiamo prove di prima mano che ci autorizzano a giungere alle seguenti conclusioni. Alla base degli avvenimenti delle Ghiaie stanno: LA SUGGESTIONE, LA MENZOGNA, L’ERRORE. Da tale conclusione non vi è altra conseguenza logica che questa: I fatti delle Ghiaie sono di origine umana e se vi è qualche cosa che superi l’ignoranza o la nequizia umana va attribuita a potenza maligna. A questa desolante conclusione siamo giunti seguendo la strada tradizionale, “studiare i fatti in se stessi e nei loro sviluppi ed effetti….” Seguono le firme: Lombardi don Battista di Ponte S. Pietro, Paleni don Giovanni di Bonate Sopra, Bianchi don Pietro di Madone, Locatelli don Luigi di Presezzo. Non so se la rivista abbia pubblicato la lettera e se p. Lamera sia tornato sull’argomento dopo questa stroncatura.

Adelaide ripresa mentre è arrampicata sul balcone

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eventi

Il documento di cui si fa parola al punto B penso sia conservato in curia a Bergamo: la sua pubblicazione basterebbe a mandare in fumo pagine e pagine scritte dalla leggenda su Bonate. La linea di questi sacerdoti non ha subito modifiche col passare del tempo; hanno risposto 4 anni dopo anche al gesuita p. Cipriano Casella che aveva pubblicato un articolo il 23 dicembre 1951 sul «Nostro Tempo» di Torino dal titolo «Obbedienti sì stupidi no». L’articolo a proposito di un libro di Ferdinando Cazzamalli diceva: «… Finisce per avvalorare la tesi dell’amico don Cortesi il quale è riuscito a strappare alla veggente una dichiarazione secondo la quale tutto si ridurrebbe ad uno stupido scherzo da bambina. I tratti citati da don Cortesi danno la netta impressione di trovarsi di fronte più che a uno scienziato ad un abile poliziotto capace, anche senza droghe,in due anni di accorta vigilanza di strappare una confessione di reità ad una bambina di sette anni ...». E concludeva: «Noi chiniamo volentieri la fronte dinanzi all’Autorità Ecclesiastica quando ci dice che nei fenomeni di Bonate non rifulge talmente il soprannaturale da poter innestare sopra di essi ufficialmente un culto pubblico. E’ nel suo pieno diritto di farlo e può essere indizio di somma prudenza. Ma altro è asserire questo, altro voler ridurre tutto ad un trucco infantile. In conclusione: ubbidienti sì. stupidi no». Al gesuita che scrive da Torino replicano dall’Isola questi sacerdoti: «I parroci sottoscritti che hanno potuto seguire con attenta oggettività i fatti delle Ghiaie nel loro sorgere e svilupparsi e che per conoscenza di cose e persone hanno potuto farsi un’idea propria, (sottolineatura mia) sono venuti nella conclusione, dolorosa sì ma vera, che i fatti non hanno nessuna consistenza reale. A questa stessa conclusione negativa, con ben altra autorità, è giunta L’Autorità ecclesiastica che rispondeva col decreto del 30 aprile 1948… Con spiacevole stupore abbiamo letto l’articolo «Ubbidienti sì ecc» in cui le conclusioni dell’Autorità sono presentate in una luce che non è la vera e dà ansa ai pochi riottosi ed il nome di P. Casella è divenuto la bandiera di quanti in spregio alle superiori autorità intendono organizzare manifestazioni pubbliche di devozione

Don Paleni, parroco di Bonate

mariana sul luogo delle false apparizioni. Protestiamo contro tale fatto per lo scandalo che ne verrebbe alle nostre popolazioni e ne chiamiamo responsabili quanti in buona o mala fede vi hanno contribuito». (Copia presso l’autore). Quattro osservazioni conclusive: 1 Questi sacerdoti fanno presente a don Lamera e a P. Casella che vivono in Piemonte, che loro, sul posto, «hanno potuto seguire i fatti nel loro sorgere e svilupparsi e per conoscenza di cose e persone hanno potuto farsi un’idea propria». Le prove quindi sono di prima mano «Quae vidimus et audivimus». P. Casella e dopo di lui fino ai nostri giorni la leggenda nera accuserà mons. Cortesi, senza fornire prova alcuna, di aver usato metodi da inquisizione per estorcere la negazione ad Adelaide. Questi sacerdoti erano giunti a conclusioni ben più radicali di quelle di mons. Cortesi prima di lui e senza nemmeno sfiorare la bambina. Il loro giudizio severo non si appunta sulla bambina, ma sull’ambiente: «E’ pacifico che il trucco non vada attribuito né alla fantasia né alla malizia di una settenne. E’ più in alto che va cercato il trucco e 23


eventi

l’entusiasmo di un devozionalismo facilone: il richiamo conserva la sua attualità anche oggi. 3 La decisa, documentata e prolungata presa di posizione di questi sacerdoti non solo precede di quattro anni il giudizio del vescovo Bernareggi, ma precede anche i primi interventi di don Cortesi che andavano nella direzione opposta, essendo partito «infervorato» per le apparizioni come ebbe a dire Annunziata Roncalli nella deposizione in Tribunale. Accanirsi come ha fatto sinora la leggenda nera contro mons. Cortesi, tradisce ignoranza, se volontaria o no lo sa il Signore, della documentazione che la storia presenta inesorabile. 4 Va ascritto a merito del tanto bersagliato mons. Cortesi di aver cercato nel suo terzo volume di fare salva la buona fede del parroco di Ghiaie, dedicando una decina di pagine a difesa del suo operato, facendo notare che quanto meno la prima apparizione l’ha colto di sorpresa. Mi sento di concludere che il caso Ghiaie ben prima che dalla diocesi è stato studiato e giudicato da preti dell’Isola, e ciò per me, operante nello stesso territorio è motivo di soddisfazione.

Monsignor Adriano Bernareggi

più in alto lo troviamo: nella creazione artificiale di un ambiente miracolistico» . 2 Il richiamo a valutare la situazione «secundum scientiam» li porta a prendere le distanze dal-

Don Marino Bertocchi

65 anni di devozione mariana a Ghiaie di Bonate Mons. Marino Bertocchi rende pubblica una sua nota, che rappresenta un’anticipazione tratta dalla pubblicazione Insula 4. Questo il breve testo. Dal gennaio 2005 ho cominciato a scrivere sulle asserite apparizioni della Madonna a Ghiaie di Bonate nel 1944. Gli articoli, quasi trenta, si sono moltiplicati sulla rivista popolare «Amici di Papa Giovanni» perché la mia ricerca è stata favorita dalla collaborazione di persone amiche, che mi hanno cortesemente fornito documenti, per la qual cosa vivamente le ringrazio. Consigliato a riassumere tutto in una esposizione sintetica, ho voluto onorare la Madonna in occasione del 50° della mia ordinazione sacerdotale con questo studio, che dedico alla cara memoria di tre sacerdoti molto interessati alle apparizioni di Ghiaie: i miei professori mons. Luigi Cortesi e mons. Battista Magoni, rigidi

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assertori del no, e l’amico don Giovanni Bonanomi, incandescente sostenitore del sì. Adesso in paradiso, spero, avranno raggiunto quella valutazione condivisa, che sulla terra resta tuttora un orizzonte lontano. Sommario: 1- I luoghi dello spirito nell’Isola; 2- Ghiaie può diventare santuario; 3- Cronologia essenziale delle c.d. apparizioni; 4- Alcuni preti dell’Isola negano le apparizioni; 5- I verbali del tribunale ecclesiastico; 6- Il giudizio negativo di mons. Castelli; 7- La difesa delle apparizioni di mons. Bramini; 8- 30.04.1948: il non consta di mons. Bernareggi; 9- Un processo ben fatto, ma da documentare; 10- Non c’è da salvare la memoria di mons. Cortesi; 11- Mons. Bernareggi non ebbe ripensamenti; 12- Adelaide dopo le apparizioni; 13- Il diario di Adelaide; 14- Adelaide non ha potuto farsi suora; 15- Papa Giovanni e l’affare «Ghiaie».


PU B B L I C A Z I O N I

La vita di don Luigi Palazzolo a misura di bimbo. E non solo Il giornalino a fumetti è curato dalla coppia don Gimmi Rizzi e Bruno Dolif

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n fumetto che racconta la vita di don Luigi Palazzolo. Così inizia l’articolo a firma di Paolo Aresi apparso a metà novembre su «L’Eco di Bergamo». Un «giornalino» che in cinquanta pagine narra le vicende di un prete straordinario, un prete che nella Bergamo dell’Ottocento, e non soltanto a Bergamo, aiutò migliaia di ragazzi a riscattarsi dalla miseria, dall’analfabetismo, dalla solitudine. Un prete che andava raccogliendo i bambini per strada, li portava in oratorio e li accoglieva, li faceva giocare, comunicava loro il Vangelo. Li nutriva. Faceva in modo che potessero fare un bagno, che potessero guarire dalle piaghe, eliminare pulci, pidocchi e altri parassiti che li tormentavano. Don Luigi scandalizzava i bergamaschi, taluni monsignori e benpensanti. C’erano patrioti che ce l’avevano con lui perché don Luigi era contro la guerra, non voleva che i suoi giovani andassero a farsi ammazzare, nemmeno al nobile scopo di riunificare l’Italia. C’’erano altre strade, pensava don Luigi. E c’erano monsignori che non lo capivano per via dei suoi modi popolani (lui che era figlio di una delle famiglie più altolocate della borghesia bergamasca). C’erano comuni cittadini che lo deridevano per quella sua povertà estrema, per le sue trovate. Ma le persone di buona volontà lo capivano e lo amavano. Dall’impegno del beato Luigi Palazzolo nacque la congregazione delle suore delle Poverelle, organizzate da madre Teresa Verzeri. Una storia tipica dell’Ottocento, del risveglio della Chiesa che si impegna tenacemente nel sociale. Don Luigi nacque a Bergamo il 10 dicembre 1827; madre Teresa Verzeri era pure nata a Bergamo, il 13 settembre 1837; nel maggio del 1869 proprio con lei nasce la congregazione delle suore delle Poverelle. E le Poverelle continuano ancora oggi la missione del Palazzolo,

in tanti angoli del mondo. Anche loro si occupano degli ultimi, di coloro che nessuno aiuta, nessuno vuole. I più scomodi, le persone che sembrano non avere alcuna speranza. Don Luigi amava i ragazzi, amava la gente, soprattutto la povera gente. Era famoso per i suoi sermoni, per le omelie rapide, svelte, incisive come una freccia scoccata da un abile arciere. Era conosciuto per le sue musiche, i suoi inni religiosi, le sue arie d’opera, le sue composizioni per organo e orchestra. Era apprezzatissimo burattinaio che allestiva per i ragazzi della Foppa (la zona dell’attuale via San Bernardino a Bergamo), e non solo, irresistibili spettacoli. Oggi don Luigi Palazzolo è anche una storia a fumetti che ha per titolo «I burattini di don Luigi». La vicenda si apre con una bella tavola che illustra la Piazza dei Signori a Vicenza, ai nostri giorni: al centro uno spettacolo di burattini e un folto pubblico. E nel pubblico ci sono anche due suore delle Poverelle che scoprono che lo spettacolo ha per titolo «I due esploratori» e risale proprio a don Luigi Palazzolo... L’iniziativa editoriale è delle suore delle Poverelle, realizzata da don Gimmi Rizzi e Bruno Dolif. Gimmi Rizzi ha curato il testo, Bruno Dolif i disegni. Si tratta di una coppia collaudata: don Gimmi e Bruno Dolif curano i fumetti contenuti nella rivista mensile Clackson prodotta in Seminario in particolare per i chierichetti della diocesi di Bergamo. Ma don Gimmi e Bruno Dolif lo scorso anno avevano raccontato a fumetti anche un’altra grande storia bergamasca: quella di Angelo Roncalli, Papa Giovanni XXIII. Il fumetto venne dato in omaggio da «L’Eco di Bergamo» in occasione del cinquantesimo anniversario dell’elezione a Papa del cardinale Angelo Roncalli. Dice don Gimmi: «Raccontare la vicenda del beato 25


p u b b l i c a z i o n i

forte. Il fumetto racconta i momenti salienti della vita del beato bergamasco, partendo dall’infanzia e seguendolo via via nelle diverse tappe della vita. La storia è raccontata da tre burattini: le teste di legno intagliate da don Luigi sono in parte conservate dalle suore delle Poverelle la cui casa madre si trova a Bergamo, in via San Bernardino dove si trova anche il museo che racconta le vicende del beato, di madre Teresa Verzeri e della congregazione. Dicono alla casa madre delle suore delle Poverelle: «Abbiamo deciso di commissionare un fumetto su don Luigi perché ci sembrava uno strumento fresco, semplice, molto comunicativo, gioioso. Un modo originale per raccontare quella storia a 140 anni di distanza, per farne cogliere la sua incredibile modernità. Il fumetto è una forma di comunicazione colorata, accattivante, spiritosa e per di più comoda, tascabile. Può funzionare anche per gli adulti. E poi tra il fumetto e don Luigi c’è una grande affinità: lui era un abile burattinaio, un affabulatore, un uomo che amava raccontare storie. Fosse nato in questi anni magari avrebbe scritto racconti o disegnato fumetti...».

Palazzolo è stata un’esperienza importante. Il fumetto è rivolto ai ragazzi, cercavamo un filo conduttore, una caratteristica particolare e l’abbiamo individuata proprio nei burattini. A una vocazione iniziale, generale, se ne aggiungono altre, lungo la strada della vita. Accadde a don Luigi per esempio quando si trovò a Roma davanti al crocifisso della chiesa di Sant’Eusebio dei Gesuiti; don Luigi già si dedicava ai poveri e ai ragazzi più sfortunati, ma da quel momento fece un passo più in là, intuì non solo con la mente, ma con il cuore, che nel volto di ogni uomo poteva vedere il volto di Gesù, l’immagine di Dio. Ma don Luigi aveva avuto altri momenti di crisi, per esempio quando fu costretto a chiudere l’oratorio della Foppa e decise di fare l’oratorio all’aperto, nel bosco del Polaresco. Prese un quadro della Madonna e lo appese a un ramo. E tirò in piedi una baracca dei burattini. Don Luigi fu un sacerdote straordinario e credo che sia importante venga ricordato e studiato in questo anno dedicato al sacerdozio». L’attualità di don Luigi, dice don Gimmi, consiste soprattutto nella sua capacità di non fermarsi, di mettersi in crisi e di emergerne rinnovato e più

Un particolare della copertina del fumetto

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PERSONAGGI

Benedetto XVI ha firmato le «virtù eroiche» di Wojtyla Rapidissimo l’iter che dovrebbe portare alla sua beatificazione in ottobre

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l 19 dicembre Benedetto XVI ha firmato il decreto che riconosce le «virtù eroiche» del suo predecessore Giovanni Paolo II, proclamate nella riunione della Congregazione delle cause dei santi lo scorso novembre. La strada per il riconoscimento del miracolo è dunque aperta e quest’anno, forse domenica 17 ottobre, la data più vicina al 16 ottobre, cioè 31 anni dopo l’elezione, Giovanni Paolo II verrà proclamato beato. Il processo era iniziato subito nel 2005, sollecitato anche da una grande pressione popolare, grazie a una deroga di Benedetto XVI alla norma che impone cinque anni di attesa dalla morte prima di avviare la causa. La stessa cosa aveva fatto Karol Wojtyla per Madre Teresa di Calcutta. Ma, se Giovanni Paolo II verrà elevato all’onore degli altari nel 2010, si tratterà del processo di beatificazione più veloce della storia recente della Chiesa: solo poco più di cinque anni dalla morte. Madre Teresa venne beatificata a sei anni dalla morte. In particolare per Wojtyla si spalanca la strada verso la beatificazione con l’acquisizione del titolo di «venerabile», passaggio obbligato prima del riconoscimento del miracolo. Nei prossimi mesi si riunirà la commissione di medici e teologici per esaminare le segnalazioni di miracoli attribuiti all’intercessione di Wojtyla. Si tratta di un’istruttoria in tre fasi, che coinvolgerà appunto medici e teologici e alla fine i cardinali e i vescovi della Congregazione delle cause dei santi, prima di tornare di nuovo sul tavolo del Papa per l’approvazione definitiva. Se tutto procederà speditamente, Benedetto XVI potrebbe firmare l’atto circa il miracolo in primavera e fissare la data della beatificazione in ottobre, durante il Sinodo speciale dei vescovi di Medioriente, che vede riuniti in Vaticano i patriarchi di tutte le Chiese orientali. Tra le tante segnalazioni di miracoli arrivati in Vaticano, sembra che la Congregazione si sia orientata a rico-

noscere quello attribuito a una suora francese, Marie Simon-Pierre, che è guarita dal morbo di Parkinson, la stessa malattia di cui ha sofferto e per la quale è morto Karol Wojtyla. La beatificazione di Giovanni Paolo II avverrà sicuramente a Roma e sarà Benedetto XVI a celebrare la Messa. Anche questa è una deroga alla regola introdotta proprio da Ratzinger all’inizio del suo Pontificato. Stabilì che le beatificazioni vanno fatte nelle diocesi di appartenenza del beato, poiché il suo culto è locale. In questi anni il Papa ha celebrato solo le canonizzazioni, mentre le beatificazioni sono state celebrate dai vescovi locali insieme a un inviato del Pontefice, di solito il prefetto della Congregazione per le cause dei santi. Così poco più di cinque anni dopo la morte di Wojtyla, quel grido che percorse come un brivido piazza San Pietro, davanti alla semplice bara di legno chiaro su cui il vento scompigliava le pagine del Vangelo, «santo, santo, santo», troverà accoglienza.

Giovanni Paolo II ripreso durante l’ultimo periodo del suo pontificato

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TESTIMONIANZE

Fenaroli: «La mia Betlemme si prende cura dei più infelici» Il missionario bergamasco, in Camerun dal 1991, racconta la sua esperienza

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el Nord del Camerun, in una regione di foresta e steppa lontana più di mille chilometri dal mare, il padre Danilo Fenaroli, missionario bergamasco del Pime (Pontificio istituto missioni estere) ha fondato la cittadella della carità di Betlemme, che ospita e cura handicappati motori e psichici, sordomuti, orfani, vedove abban-

donate e altri portatori di malattie o emarginati dai villaggi. Su questa esperienza riportiamo un servizio, a firma di Piero Gheddo, pubblicato su «L’Eco di Bergamo». Danilo racconta: «Sono in Camerun dal 1991 e fino al 1997 ero parroco a Zouzoui fra l’etnia dei “giziga”. Ho visto scene terribili: persone incatenate, tenute nascoste per vergogna, abbandonate a causa della loro minorazione fisica o mentale, bambini condannati a morire perché creduti posseduti dal demonio. Bisognava fare qualcosa. Mi hanno portato una bambina piccolissima, la mamma era morta, l’ho affidata a una coppia di italiani volontari, ma poi sono tornati in Italia. Intanto avevo preso alcuni handicappati ed ero aiutato da diverse famiglie africane». «La mia Betlemme» in Camerun Nel 1997 padre Fenaroli si fa dare nel villaggio di Mouda un vasto terreno, si trasferisce lui stesso con i suoi collaboratori. Nasce Betlemme, Danilo non voleva fare un ospedale, ma una grande famiglia che si prendesse cura dei più infelici. Dieci anni dopo, ecco il miracolo della carità cristiana. A Mouda, Betlemme ospita circa 200 persone bisognose di cure e di affetto. Vivono non tutti assieme ma in case-famiglia di persone che li hanno adottati e che lavorano al Centro: 110 dipendenti e un certo numero di volontari e ogni giorno vengono centinaia di studenti e lavoratori. I più stretti collaboratori di padre Danilo sono il fratello Joseph del Pime, bengalese, e quattro «Silenziosi operai della croce», un uomo e tre donne, fondati da monsignor Luigi Novarese con i «Centri dei volontari per la sofferenza». Il principio di Betlemme è di curare e aiutare gli ultimi nelle loro stesse famiglie. Prendono quelli che nessuno vuole. Danilo dice che, quando Betlemme è a pieno ritmo, ci sono 600 persone che mangiano in casa a mezzo-

Padre Danilo Fenaroli con alcuni degli ospiti della cittadella della carità in Camerun

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testimonianze

giorno. Per mantenere operativo il villaggio, spende circa 230-240 mila euro all’anno! Dove trova questi soldi? Non sa nemmeno lui, ma dice: «Ho una grandissima fiducia nella Provvidenza, prego e faccio pregare, cerco di aiutare quelli che hanno bisogno. Mi preoccupo di trovare dei benefattori, di scrivere per ringraziarli. Ma quando celebro la Messa dico al buon Dio: Guarda che questi piccoli e questi poveri non sono miei, sono tuoi. O ci pensi tu o si trovano ancora sulla strada». Un 35-40% di questa somma viene dalla gente del Camerun che quando possono aiutano volentieri. Sono i miracoli della Provvidenza. Betlemme si propone anche di educare i giovani ai lavori moderni, per dar loro un mestiere e fissarli sul territorio. Il governo ha dato 30 ettari, dove sorgono vari edifici in muratura al centro e poi ci sono i campi coltivati nella fattoria di Betlemme, con stalle e allevamento di animali domestici. Danilo dice: «I contadini vengono dai loro villaggi e sono nostri dipendenti. Il nostro settore agricolo serve anche per impegnare nel lavoro i nostri ospiti». Poi c’è la struttura sanitaria di Betlemme, il dispensario, l’ospedaletto dove si fanno le analisi e si opera. Per gli interventi ortopedici vengono da Firenze ogni anno alcuni chirurghi, medici, infermiere. Hanno rimesso in piedi decine di bambini e adulti che non camminavano. A Betlemme c’è un laboratorio di analisi audiometriche, da Milano vengono specialisti di audiofonia per restituire l’udito ai sordomuti, quando è possibile.

finirebbe più. C’è la scuola elementare per handicappati e sordomuti, ma anche per i bambini dei villaggi vicini. E poi i laboratori, dove vengono più di cento giovani a imparare un mestiere e si esercitano gli ospiti del villaggio della carità: falegnameria, meccanica, elettrotecnica, lavorare il cuoio e il ferro, scultura in legno, pirografia su legno, cucitoricamo, pittura, tintura-batik, muratura, saldatura, riparazione motori, costruzione di pompe per l’acqua. Non a caso la Fondazione Betlemme ha ottenuto dal governo il riconoscimento di «ente di pubblica utilità», dato dal presidente del Camerun Paul Biya. Livio Ambrosino dei «Silenziosi operai della croce» racconta: «Sono un tecnico aeronautico e non avevo mai pensato di venire in Africa. Il Signore mi ha aperto questa strada e sono contento di questo lavoro. Qui rinunci a un po’ di comodità, ma vivi una vita più elementare e piena di cordialità. Le soddisfazioni sono tante, il Signore ti ricompensa dei sacrifici che fai tutti i giorni». Livio è diventato un tecnico dello scavo di pozzi, l’acqua si trova a 50-70 metri. Il personale è tutto africano. Padre Danilo aggiunge: «Recupero le macchine che in Italia non servono più, mentre qui non si sono mai viste». Livio Ambrosino aggiunge: «Chiede a molti di aiutare Betlemme e quando accettano li prova, poi affida loro un settore, una responsabilità e si fida. Non è il capo che vuol sapere tutto, controllare tutto. Controlla, ma lascia fare. Non considera Betlemme come cosa sua, ma come un’opera di Dio, in cui c’è posto per tutti, purché animati dallo stesso spirito di fede, di carità e di amore verso i poveri».

La scuola per handicappati e i laboratori A raccontare tutte le meraviglie di Betlemme non si

In bicicletta fino a Cracovia tra le alluvioni Milletrecentocinquanta chilometri sotto la pioggia in bicicletta pur di raggiungere Cracovia, la città di Papa Giovanni Paolo II. E’ l’impresa di cui sono stati protagonisti gli undici irriducibili ciclisti del Team Gld cicloamatori di Seriate, Comune alle porte di Bergamo. Dopo il viaggio a San Giovanni Rotondo e quello ad Assisi, rispettivamente nel 2007 e nel 2008, a settembre del 2009 i ciclisti – tra i quali una mamma con due figli – hanno deciso di attraver29

sare sei Paesi (Italia, Svizzera, Austria, Germania, Repubblica Ceca e Polonia) per raggiungere la città polacca. Il viaggio su due ruote si è trasformato in un itinerario piuttosto avventuroso a causa di una serie di alluvioni ed esondazioni dovute al peggioramento delle condizioni meteorologiche nel centro Europa. Un momento particolarmente commovente i protagonisti dell’impresa lo hanno avuto visitando il campo di concentramento di Auschwitz.


Lettere di Papa Giovanni ai Familiari

«Carissimi miei, vi scrivo di me...» a cura di Vittorino Joannes

NON MI FACCIO PRETE PER COMPLIMENTO stre azioni, i vostri sacrifici a questo fine che tutto serva per rendervi più lieti e contenti in Paradiso. Pensate a quanto ha fatto e ha patito il buon Gesù per noi sino ad essere poverissimo, a lavorare da mattina a sera, ad essere calunniato, perseguitato, calpestato in ogni modo, messo in croce da coloro stessi ai quali voleva tanto bene. Impariamo da lui a non muovere lamento, a non arrabbiarci, a non perdere la pazienza con nessuno, a non nutrie in cuore avversioni per i quelli che crediamo ci abbiano fatto del male, ma a compatirci l’un l’altro perchè tutti abbiamo i nostri difetti; e voler bene a tutti, anche a quelli che ci fanno del male o ce ne hanno fatto, a perdonare, a pregare anche per loro che forse dinanzi a Dio sono più buoni di noi. È l’unico mezzo di poter vivere felici anche a questo mondo quantunque in mezzo a tante miserie. Quanto a me, il Signore mi vuole prete, e per questo mi ha ricolmato di tanti benefici fino a mandarmi a Roma, sotto gli occhi del suo Vicario, il Papa, nella Città Santa presso la tomba di tanti martiri illustri, di tanti sacerdoti così santi. Questa è una vera fortuna per me e per voi. Ma non mi faccio prete per complimento, per fare quattrini, per trovare comodità, onori, piaceri, guai

Roma, 16 febbraio 1901 Carissimi genitori, fratelli, sorelle, nonni e zio, quando leggerete questa mia lettera voi sarete già tutti santificati dalle sante Missioni. Io mi consolo con voi e mi rallegro di gran cuore pensando alla bella e invidiabile sorte toccata a voi di poter pensare un po’ seriamente alla salute dell’anima vostra ed alla felicità eterna del Paradiso. Questo è ciò che a me preme di più, poichè io non ho mai desiderato nè implorato dal cielo sopra la mia famiglia i beni del mondo: ricchezze, piaceri, prosperità, ma piuttosto che tutti siate buoni cristiani, virtuosi, rassegnati nelle braccia amorose della Divina Provvidenza e in pace con tutti. Che varrebbe infatti possedere anche tutto l’oro del mondo quando si avesse a perdere l’anima? Tenetela ben fissa in mente questa verità, e non dimenticatela mai. Non dobbiamo mai rattristarci delle pessime condizioni in cui troviamo, ma avere pazienza, guardare in alto e pensare al Paradiso. Là riposeremo, là finiremo di tribolare, là riceveremo il premio delle opere nostre, delle nostre pene se le avremo sopportate con rassegnazione. Indirizzate sempre tutte le vo-

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a me! ma piuttosto e solo per fare del bene in qualunque mondo alla povera gente. E perciò vorrei che i primi a partecipare a questo bene foste voi che tanto avete fatto per me, voi la cui salute spirituale mi sta tanto a cuore, voi per cui lo prego ogni giorno. Avrò io questa bella consolazione di sapere che voi tutti avete ricavato un grande vantaggio dalla santa Missione e che siete divenuti più buoni cristiani di prima? Lo spero, anzi me ne tengo certissimo, conoscendo io molto bene le vostre ottime disposizioni. Nella comunione ricordatevi tutti anche di me. La mia salute è floridissima, e intanto accogliete i miei auguri e i miei saluti e partecipateli a tutti i parenti e amici. Vostro Chierico Angelo

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na delle primissime lettere del giovane Angelo Roncalli da Roma ai suoi di Sotto il Monte, è già come un grande “manifesto” della sua interiorità di fede, della sua semplice spriritualità radicata nelle cose essenziali. È anche rivelatrice dei sentimenti affettuosi che non verranno mai meno per i suoi che qui sono deliziosamente enumerati: genitori, fratelli, sorelle, nonni, zio, il famoso “barba” tanto venerato. Ma è anche il manifesto di tutto il suo futuro, la dichiarazione profonda e limpida per cui vuole diventare sacerdote.

Il testo originale della lettera del chierico Angelo del 16 febbraio 1901 che è come il “manifesto” della sua spiritualità e la dichiarazione della sua volontà e dei motivi per i quali vuole diventare sacerdote

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PERSONAGGI

Tommaso Reggio, pioniere del giornalismo cattolico L’impegno di questo insigne presule è stato ricostruito in un recente volume

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ioniere del giornalismo cattolico, autore di un catechismo a domanda e risposta, pastore infaticabile, fondatore di una congregazione religiosa femminile, ma talvolta incompreso dai contemporanei. Sono alcuni tratti della ricca personalità di monsignor Tommaso Reggio, arcivescovo di Genova dal 1892 al 1901, beatificato il 3 settembre 2000 da Papa Giovanni Paolo II. Riguardo al personaggio è uscito di recente un articolo sul quotidiano cattolico «L’Eco di Bergamo», a firma di Carmelo Epis, che proponiamo ai nostri lettori. La vita e l’opera di questo insigne presule è stata ricostruita nel volume Mai stanco di Dio. Il Beato Tommaso Reggio, arcivescovo di Genova, il fondatore delle suore di Santa Marta (Edizioni San Paolo, pp. 272, euro 18). Ne è autore Angelo Montonati, 78 anni, con un passato di giornalista a La Prealpina di Varese, a Radio Vaticana, Famiglia cristiana e Jesus. Tommaso Reggio, nato in una famiglia genovese aristocratica il 9 gennaio 1818, ebbe una vocazione adulta. Ordinato sacerdote nel 1841, fu subito nominato vicerettore del Seminario di Genova e nel 1845 di quello di Chiavari. Nel 1851 torna a Genova come abate parroco della basilica di Santa Maria Assunta a Carignano e contemporaneamente è do-

cente di morale in Seminario, nonché iniziatore di momenti di spiritualità per i lavoratori. Si appassiona al giornalismo: nel 1848, insieme a don Gaetano Alimonda, futuro cardinale arcivescovo di Torino, fonda il settimanale L’armonia della religione colla civiltà che però quasi subito viene spostato nel capoluogo piemontese. Nel 1849 fonda Il Cattolico di Genova, primo quotidiano cattolico italiano, diventandone direttore, che nel 1861 assumerà la denominazione Lo Stendardo Cattolico. E’ costretto a chiuderlo nel 1870, in ossequio alle disposizioni del Non expedit di Papa Pio IX all’indomani della presa di Roma da parte delle truppe italiane. Questa sofferta decisione contrasta con il suo pensiero, perché don Reggio riteneva urgente la presenza attiva dei cattolici nella vita pubblica italiana. Nel 1877 viene nominato vescovo di Ventimiglia e nel 1892 arcivescovo di Genova. Nel capoluogo ligure si adoperò per allentare le tensioni tra Stato e Santa Sede grazie anche ai buoni rapporti intrattenuti con i Savoia. Fu lui, col permesso della Santa Sede, a celebrare i funerali di Umberto I nel 1900. Appoggiò le iniziative in favore degli operai e le richieste del diritto al riposo festivo e a un orario di lavoro più umano.

Morto Cibin, la «guardia» di Giovanni Paolo II E’ morto a Roma lo scorso 25 ottobre, a 83 anni, Camillo Cibin, ex capo della Gendarmeria vaticana ai tempi di Giovanni Paolo II, la persona che vegliò più a lungo sulla sua sicurezza e che il giorno dell’attentato in piazza San Pietro si lanciò oltre le transenne per fermare Alì Agca. Famose le foto d’archivio di quel 13 maggio 1981. Quando andò in pensione nel 2006 dopo ben 58 anni di servizio, lasciando il posto al suo vice di allora, Domenico Giani – tuttora a capo della Gendarmeria – qualcuno disse che il Vaticano aveva perso «un pezzo di storia». Una carriera al servizio di sei Pontefici – Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – fatta

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di straordinarie responsabilità. Camillo Cibin è stato anche dirigente dei servizi di sicurezza durante il Concilio Vaticano II. Al termine del suo mandato è stato riconfermato per un anno, nel 2005, da Benedetto XVI. Sposato e padre di tre figli, Cibin aveva origine venete ed era noto per la sua riservatezza. Del resto attraversò nel suo delicato incarico momenti difficili. L’anno dopo l’attentato dell’81 fermò a Fatima la mano di un folle armato di baionetta che tentò di colpire il Pontefice. Il fanatico lefebvriano venne fermato proprio grazie alla prontezza di riflessi di Cibin. Seguì Papa Giovanni Paolo II in tutti i suoi viaggi all’estero, ma anche nelle sue vacanze.


Ringraziamo le persone che hanno inviato le offerte all’Associazione “Amici di Papa Giovanni” ANDRONICO LUCIANA

DE NADAL MARIA GRAZIA

MURATORI GIOVANNA

ANTONINI LUIGINA

DEL VECCHIO LUIGI

MURRU ALDO

AVELLA ANTONIO

DELLAPINA SCOTTON DOMENICA

NARDELLI VITTORIA

BACCIU MARIO BANDINI ANNAMARIA BARAGLIA RENATA BARBERO TERESINA BARONI PAOLA BARTENUCCI MARIA BELLAGENTE PACE LUIGINA BIANCHI GIUSEPPINA BISCOLA DARIA BISECCO RENATO BREVI TERESA BROVEGLIO LUCIA BUZIO LUIGI E NEGRI ANITA CANNAS NOVELLI PIETRUCCIA CAPRA RONCHI FRANCA CARLINI ANNA CATTINI RINA CHIAMETTI NATALINA CIALOTTI FRASCHINI GIOVANNA CLERICI SILVIA E MARIO COCCO ANTONIO COLOMBO TERESA COMINELLI LUCIA CORALI PIERINA COSENTINO SALVATORE CROTTI STEFANO CROTTI SUSANNA D’ANDREA FLAVIO DAMBRUSO MARIA DE LUCA MAFALDA

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DI VELLA NICOLINA

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MENZAGHI LOZZA ZITA

VANZO ESTER

MIGLIORATI ANGELINA

VIGANO MARIA ANGELA

MILANESIO CANDIDA

VINCIGUERRA RENATA

MINACAPILLI LUCIA

ZUCCOTTI PALMIRA

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Sotto la protezione di Papa Giovanni

Nonno Piero e nonna Mirella con zio Claudio e zia Patty, affidano il loro amato nipotino Gabriele, alla protezione di Papa Giovanni XXIII affinchè lo protegga per tutta la vita

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Nonna Maria chiede al Papa Buono la benedizione e la protezione per tutta la vita della nipotina Giada e del genero Frank giada frank e

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la rivista di chi ama Papa Giovanni Direttore responsabile Monsignor Giovanni Carzaniga

Direttore editoriale Claudio Gualdi

EDITRICE BERGAMASCA

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