Papa giovanni marzo aprile2013

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(Anno XXXIV Nuova serie - Anno 12 n. 2 - Marzo/Aprile 2013 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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Alla fine di gennaio del ‘59 fu annunciato il Concilio

“Quell’evento ecclesiale? Una grazia primaverile”

Due camminate promosse dall’Avis e dedicate ad Angelo Roncalli

Sotto il Monte: quest’anno attesi 400 mila pellegrini

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Sotto la protezione di Papa Giovanni

RICORDIAMO CHE PER RICEVERE UNO DEI SEGUENTI OMAGGI: CALENDARIO CON LA FOTOGRAFIA DEI BAMBINI, LA PERGAMENA PER IL BATTESIMO, LA PRIMA COMUNIONE, IL MATRIMONIO, E’ NECESSARIO INDICARE L’INDIRIZZO COMPLETO A CUI INVIARLO

La nonna chiede di mettere sotto la protezione di Papa Giovanni XXIII il nipote Gabriele

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Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:

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La nonna Anna Maria chiede di mettere sotto la protezione del Papa Buono le nipotine Giulia e Lisa con i loro genitori

via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo

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ALLA FINE DI GENNAIO DEL ’59 FU ANNUNCIATO IL VATICANO II

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«QUELL’EVENTO ECCLESIALE? UNA GRAZIA PRIMAVERILE»

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DUE PELLEGRINAGGI DELL’AVIS DEDICATI AD ANGELO RONCALLI

SOTTO IL MONTE: QUEST’ANNO ATTESI 400 MILA PELLEGRINI

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UNA MOSTRA FOTOGRAFICA SU DON MILANI Alla fine di gennaio del ‘59 fu annunciato il Vaticano II

“Quell’evento ecclesiale? Una grazia primaverile”

SPADA, OSSERVATORE D’ECCEZIONE IN SAN PIETRO

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PACEM IN TERRIS: LA CHIESA SCOPRÌ I «SEGNI DEI TEMPI»

(Anno XXXIV Nuova serie - Anno 12 n. 2 - Marzo/Aprile 2013 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

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Due camminate promosse dall’Avis e dedicate ad Angelo Roncalli

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Sotto il Monte: quest’anno attesi 400 mila pellegrini

MARZO - APRILE 2013

n. 2 bimestrale marzo/aprile

Direttore responsabile Claudio Gualdi

STUPORE E COMMOZIONE PER LA RINUNCIA DI PAPA RATZINGER

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I MONASTERI: UN UNIVERSO DI PACE A DUE PASSI DA CASA

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«IN POLONIA ABBIAMO COLTO L’INTUIZIONE DI GIOVANNI XXIII»

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EDITRICE BERGAMASCA ISTITUTO EDITORIALE JOANNES Anno XXXIV Direzione e Redazione via Madonna della Neve, 26/24 24121 Bergamo Tel. 035 3591 011 Fax 035 3591117 Redazione: mons. Gianni Carzaniga mons. Marino Bertocchi don Oliviero Giuliani Claudio Gualdi Pietro Vermigli Giulia Cortinovis Marta Gritti Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue Luna Gualdi Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini

Fotografie: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa Giovanni”, Archivio “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII”

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AVVENIMENTI

CONCILIO, UN PUNTO LUMINOSO NELLA STORIA DELLA CHIESA Prese il via in San Pietro nell’ottobre del 1962 per iniziativa di Papa Giovanni XXIII nome di Concilio Vaticano II: non avrebbe costituito, cioè, la prosecuzione del Vaticano I, interrotto nell’ottobre del 1870, dopo che le truppe italiane avevano occupato Roma mettendo fine allo Stato Pontificio. L’inizio L’annuncio di convocare un Concilio ecumenico fu dato da Giovanni XXIII ai cardinali convocati nella basilica romana di San Paolo fuori le mura il 25 gennaio 1959, dopo nemmeno 90 giorni dalla sua elezione a Papa. Nel giugno dello stesso anno fu inviata una lettera a tutti i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, le congregazioni romane, i superiori generali delle famiglie religiose, le università cattoliche e le facoltà teologiche, chiedendo suggerimenti e pareri sugli argomenti da trattare nel corso del Concilio. I partecipanti Come sede dell’assemblea fu scelta la Basilica di San Pietro, l’unico ambiente che potesse accogliere tutti i partecipanti. Al momento dell’apertura del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962, che rappresentò un punto luminoso nella storia della Chiesa, i convocati erano 3.070. Ma non tutti parteciparono ai lavori per cui la cifra dei presenti oscillò tra un massimo di 2.399 e un minimo di 1.694 unità. Il passaggio da Giovanni XXIII a Paolo VI La prima sessione conciliare si concluse l’8 dicembre del 1962. Giovanni XXIII, che aveva già previsto una riconvocazione dell’assemblea nel settembre successivo, morì il 3 giugno del 1963. Nel conclave del 19-21 giugno fu eletto Papa Giovanni Battista Montini. Quest’ultimo guidò le successive sessioni fino alla conclusione del Concilio, avvenuta l’8 dicembre 1965. Nelle prossime pagine presentiamo tre servizi, di Paolo Aresi, Marco Dell’Oro e Francesco Anfossi, pubblicati in un apposito inserto de L’Eco di Bergamo proposto nello scorso ottobre.

Il Vaticano II ha rappresentato un evento storico legato a Papa Giovanni XXIII. Per meglio coglierne il suo valore è comunque opportuno mettere a fuoco alcuni aspetti che lo hanno caratterizzato. Una specie di promemoria che mettiamo a disposizione dei nostri lettori. he cosa è un Concilio Il Concilio ecumenico (dal greco oikoumene, «casa comune») è un’assemblea straordinaria di tutti i vescovi, convocata per dibattere problemi di ordine dottrinale, pastorale o disciplinare riguardanti la Chiesa. La particolarità del Vaticano II Rispetto ai precedenti Concili ecumenici, il Vaticano II ha avuto due particolarità: è stato indetto con un’iniziativa personale di Papa Giovanni XXIII, che non si era consultato con l’episcopato. Inoltre il suo scopo non era quello di risolvere questioni dottrinali o disciplinari, ma di approfondire la dottrina cattolica. Il nome Papa Giovanni decise anche che esso avrebbe preso il

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La pagina de «L’Eco di Bergamo» del 12 settembre 1962 che dava notizia del radiomessaggio di Papa Giovanni XXIII sull’apertura del Concilio

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AVVENIMENTI

ALLA FINE DI GENNAIO DEL ‘59 FU ANNUNCIATO IL VATICANO II Loris Capovilla racconta il giorno in cui Papa Giovanni rese pubblica la sua decisione

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i quell’evento straordinario monsignor Loris Capovilla parla nella sua dimora di Cà Maitino, sul pendio che porta al Colle di San Giovanni, e che domina Sotto il Monte, paese natale del Pontefice bergamasco. Capovilla abita qui insieme ad alcune suore delle Poverelle, qui nella casa dove il vescovo Roncalli veniva in villeggiatura durante l’estate e dove è stato attualmente allestito un luogo della memoria di Papa Giovanni. Loris Capovilla ha quasi 98 anni e una memoria, una conoscenza prodigiosa. Sembra che non abbia smarrito nulla della sua lunga vita e che ogni momento dell’esistenza brilli ancora nella sua mente e nella sua conversazione. «Vede, io penso che Papa Giovanni – dice – ritenne importante affrontare l’impegno di questo grande evento della Chiesa da subito. Già nei primi giorni del gennaio del 1959, quando era Pontefice da tre mesi, il Papa ne parlò con il segretario di Stato, il cardinale Tardini. Infatti annotò sulla sua agenda di avere parlato con Tardini della sua idea sebbene fosse “titubante ed incerto”. Annotò: “La risposta immediata fu la sorpresa, la più esultante che mi potessi aspettare. Oh! ma questa è un’idea, una luminosa e santa idea. Essa viene proprio dal cielo. Padre santo, bisogna coltivarla, elaborarla e diffonderla. Sarà una grande benedizione per il mondo intero. Non mi occorse di più. Ero felice. Ringraziai il Signore di questo mio disegno che riceveva il primo sigillo che potessi attendermi quaggiù a pregustamento di quello celeste che umilmente confido non mi vorrà far mancare”». I giorni della preparazione del Concilio come segretario di Papa Giovanni XXIII distano ormai più di mezzo secolo. Papa Giovanni XXIII aveva 78 anni, da vecchio «Pontefice di transizione» stava rapidamente diventando il Pontefice della grande svolta. Continua Capovilla: «Bisogna del resto considerare

che tutte le grandi organizzazioni si riuniscono periodicamente in assemblea generale, diciamo così. L’Onu, l’Unesco... perché non la Chiesa? I tempi richiedevano che ci si incontrasse, si parlasse, si discutesse. Papa Giovanni era un attento ascoltatore dei tempi, era uno scrutatore della realtà nel suo divenire. Vede, io penso che per troppi anni Papa Giovanni è stato trascurato, per troppi anni e da troppe persone è stato “etichettato” in un certo modo e ridotto a immaginetta. Credo che fino al Duemila proprio in pochi avessero letto “Il Giornale dell’Anima”. E di certo in pochi hanno letto libri splendidi, di grande profondità umana e religiosa come le “Lettere ai Familiari”, il Carteggio con i vescovi di Bergamo,

Una parziale panoramica dell’aula conciliare

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periodo di preparazione, il Papa ebbe modo più volte di affrontare i tre temi fondamentali: «Promuovere il rinnovamento interiore del mondo cattolico, porre i cristiani davanti alla realtà della chiesa di Cristo e dei suoi compiti, sollecitare i vescovi con i preti e i laici a sentirsi insieme corresponsabili della salvezza di tutti gli uomini e a farsi carico di tutti i loro problemi». Loris Capovilla parla seduto nella poltrona del suo studio, un grande tavolo, una stanza ampia e austera. Dice l’arcivescovo: «Dopo l’annuncio del Concilio, il Papa scrisse nel suo Giornale dell’Anima: “Mi sento in obbedienza in tutto e constato che il tenermi così, in magnis et in minimis, conferisce alla mia piccolezza tanta forza di audace semplicità che, essendo tutta evangelica, domanda e ottiene rispetto generale ed è motivo di edificazione per molti”. Questo è un altro passaggio fondamentale: Papa Giovanni affrontava la responsabilità del Concilio ecumenico in obbedienza. Egli obbediva a quel senso di necessità, necessità che avvertiva dentro di sé del grande incontro della Chiesa. Avvertiva che quella necessità era di ispirazione divina. Con umiltà egli doveva obbedire e affrontare un impegno che sembrava troppo grande per un uomo sulla soglia degli ottanta anni. Ma voglio dire che Papa Giovanni XXIII non è rimasto solo nella risposta all’ispirazione. Nel periodo di preparazione si sono accumulate incalcolabili quantità di scritti, di dibattiti, contributi, idee. Nulla è stato buttato via. Tutto serve alla storia». Capovilla parla, sorride, si appassiona, a tratti si indigna davanti alle scelte, alle azioni che nella società contemporanea contraddicono il Vangelo. Non gli manca certo la passione civile. E la evidenzia anche sottolineando il valore del viaggio di Papa Giovanni ad Assisi e a Loreto nell’imminenza del Concilio, il 4 ottobre del 1962. «Si apriva il Concilio – ricorda Capovilla – e si chiudevano le manifestazioni per i cento anni dell’Unità d’Italia. Gli italiani, con i cattolici di tutto il mondo, intuirono il motivo ispiratore del gesto papale inteso a ripresentare l’immagine e la realtà della Chiesa nascente, lontana dal potere temporale, riunita nel cenacolo con Maria madre di Cristo, venerata nella luce del mistero dell’annunciazione: cieli aperti sopra la Terra, principio della nuova storia dell’umanità».

Monsignor Loris Capovilla

con i rettori dei seminari...». Capovilla ha sempre avuto fama di uomo di grande cultura, di prete battagliero, sincero, fino al punto da diventare scomodo per la gerarchia ecclesiastica. Come scomodo per una parte della curia romana era Papa Giovanni. Continua Capovilla: «Il Papa comunicò l’intenzione di convocare il Concilio il 25 gennaio del 1959. Ricordo che quella mattina si alzò all’alba, come sempre, che celebrò la messa nella cappella domestica e assistette alla mia rimanendo in ginocchio per più tempo del solito. Diede un’occhiata ai quotidiani e ad alcune pratiche della Segreteria di Stato. Poi in auto rimase piuttosto silenzioso fino alla basilica di San Paolo, assistette alla Messa che si protrasse più del solito di modo che quando il Papa si recò nella sala capitolare per fare l’annuncio ai cardinali del Sacro Collegio, l’embargo dato agli organi di informazione era già terminato e la notizia veniva battuta dalle telescriventi: parte del mondo seppe della decisione prima dei cardinali». Il Concilio venne annunciato in quel 25 gennaio 1959 e poi indetto nel Natale del 1961. In tutto quel 6

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INTERVISTE

«QUELL’EVENTO ECCLESIALE? UNA GRAZIA PRIMAVERILE» Parla Anna Maria Canopi, madre badessa del monastero di clausura Mater Ecclesiae

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l vento del Concilio soffiò anche oltre le grate. Anna Maria Canopi, madre badessa del monastero benedettino di clausura «Mater Ecclesiae», sull’isola di San Giulio, sul lago d’Orta, studiosa di Patristica e autrice di numerosi volumi di spiritualità, definisce quell’evento ecclesiale «una grazia primaverile». «La nostra comunità monastica – ricorda – è sorta proprio dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, negli anni di grazia della sua prima attuazione. Per testimoniare il suo legame con esso, basta fare attenzione al suo nome e alla data di fondazione: dal nuovo titolo attribuito alla Madonna da Papa Paolo VI al termine del Concilio, mi parve bene denominare il monastero “Mater Ecclesiae” e come data di fondazione scegliemmo proprio l’11 ottobre, inizio del Concilio Vaticano II e festa di Maria, Mater Ecclesiae. Nei primi anni del suo episcopato novarese monsignor Aldo Del Monte, dovendo risolvere il problema della custodia della Basilica di San Giulio, volle far sorgere accanto all’urna di San Giulio una comunità monastica benedettina, perché la fede dei padri fosse custodita nel cuore del popolo, alimentandosi alla testimonianza e alla lode perenne delle vergini consacrate. Nella primavera del 1973 si rivolse all’abbazia benedettina di Viboldone e ottenne che alcune monache si stabilissero sull’isola, presso la basilica del Santo». Arrivaste in sei... «Sì. Il primo nucleo di fondazione era composto di sei monache (cui si aggiunse subito una postulante). Quando approdammo, l’11 ottobre 1973, l’isola era praticamente deserta e le condizioni di vita erano tutt’altro che facili. Bisognava adattarsi a tutto e carpire palmo a palmo lo spazio per una vita comunitaria ritmata sulla preghiera e sul lavoro. Allora non c’erano “progetti” per il futuro, se non

il desiderio di vivere semplicemente una vita fedele all’autentica tradizione del monachesimo benedettino. Era, però, disegno di Dio che anno dopo anno la piccola comunità crescesse per l’aggiungersi di nuove e generose vocazioni. Così, poco alla volta, anche l’ambiente del monastero dovette ampliarsi e nacquero pure le prime attività lavorative vere e proprie: restauro di tessili, ricamo, piccola stamperia cui si aggiunse in seguito la “scrittura delle icone”». E arriviamo ai nostri giorni. «Benedetta da Dio, la comunità “Mater Ecclesiae” oggi conta circa cento membri, e ha potuto dar vita a due nuove comunità dipendenti: il Priorato “Regina Pacis” a Saint-Oyen in Valle d’Aosta e il Priorato “SS.

Giovanni XXIII durante una benedizione

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quello della “missionarietà della Chiesa”. A poco servirebbe avere dichiarato con tanta chiarezza che la liturgia non è uno “spettacolo cui assistere”, ma “la fonte e il culmine della vita della Chiesa”, ossia una realtà viva che richiede una actuosa participatio, una partecipazione attenta e personale con tutti i nuovi strumenti, se le comunità monastiche e i singoli membri non si impegnassero in un costante rinnovamento interiore». Che ricordo conserva della figura di Giovanni XXIII? «Nel mio ricordo, Giovanni XXIII è il Papa buono verso il quale provavo grande affetto e venerazione. Durante il suo pontificato sono entrata in monastero e ho fatto la mia prima professione monastica, nel cuore della Chiesa. A casa, e tanto meno in monastero, non avevamo né radio, né televisione. Per questo non conservo di lui ricordi legati a momenti particolari e non l’ho mai visto da vicino. Tuttavia, fin dagli anni in cui ero monaca a Viboldone, ascoltando i suoi discorsi, mi colpiva la sua semplicità e amabilità. Sia per il mio lavoro di assistente sociale e di insegnante prima di entrare in monastero, sia poi da monaca per i colloqui di guida spirituale come maestra delle novizie e da quarant’anni come abbadessa, mi sono resa conto che nella sua esasperata ricerca di autoaffermazione l’uomo del nostro tempo è smanioso di emanciparsi da ogni forma di autorità, considerandola in modo indiscriminato come “paternalismo”». Che libertà cerca l’uomo di oggi? «In particolare oggi l’uomo si vuole svincolare dalla paternità di Dio, dalla quale si sente quasi limitare e comprimere; vuole essere una persona libera di espandersi, vuole bastare a se stesso. Per questo, mi è sembrato davvero segno positivo che uomini e donne di ogni età e ceto sociale, credenti e non credenti, abbiano accolto con tanto trasporto e gratitudine l’umile paternità di Papa Giovanni XXIII. L’uomo che vuole essere autosufficiente rifiuta una paternità autoritaria, dal volto austero, che discenda a lui dall’alto come per degnazione, ma subito si appoggia

L’interno di un monastero di clausura

Annunziata” a Fossano (Cuneo), oltre ad offrire aiuto ad altre due monasteri (Ferrara e Piacenza) bisognosi di essere rivitalizzati. Sotto la spinta della “grazia” primaverile del Concilio Vaticano II sono stati molti i monaci che hanno dedicato la vita a riscoprire, tradurre, commentare gli antichi testi dei padri del monachesimo, così da renderli accessibili non solo all’interno del monachesimo, ma anche tra i laici. Le comunità monastiche sorte dopo il Concilio – come ad esempio la nostra – hanno ampiamente beneficiato di tale patrimonio spirituale». Quanto si è realizzato del Vaticano II in questi anni e quanto resta ancora da realizzare? «Sarebbe presunzione da parte mia rispondere a questa domanda! Come monaca, non ho i dati sufficienti per valutare in quale misura e in quale modo si sia attuata la recezione del Concilio Vaticano II sia nella Chiesa universale, sia negli istituti di vita consacrata. Mi sembra però importante considerare il fatto che il Concilio ha dato indicazioni e ha aperto opportunità di ordine vitale, perciò mai concluse, ossia sempre e di nuovo da attuare e attualizzare. In tal senso, esso interpella ogni credente e le intere comunità cristiane in tutte le scelte fondamentali della vita. Penso, in particolare, a due aspetti che toccano da vicino la vita monastica: quello della “riforma liturgica” e 8

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a un cuore che sia veramente in umiltà e affettuosa accoglienza. Questa mia “impressione” mi è stata poi confermata anche da una “confidenza” a noi fatta da un anziano sacerdote diocesano, che amava trascorrere tempi di preghiera in monastero». Che confidenza le fece? «Durante un’omelia, un giorno ci “confessò” che al momento dell’elezione di Giovanni XXIII era rimasto letteralmente sconcertato, tanto poco gli pareva “adatto” ad essere Papa… Tuttavia, per quel senso di profonda fede che lo caratterizzava, volle recarsi a Roma e partecipare alla sua prima Messa in piazza san Pietro. Là, mescolato nella moltitudine di fedeli presenti, mentre si celebrava la santa Messa andava ancora rimuginando dentro di sé i suoi pensieri dubbiosi e perplessi circa quel “parroco di campagna elevato al soglio pontificio”, quando ad un certo punto la sua attenzione fu attratta dalla partecipazione commossa di tanti fedeli di ogni età e condizione che continuavano a benedire il Signore per quelle parole “semplici e vere” che ascoltavano dal Papa come – dicevano – da “uno di noi, che ci capisce”. E quel sacerdote, diventato ormai anziano e saggio, commentava così la sua “giovanile presuntuosa saccenteria”: Fu la più bella lezione di umiltà che ricevetti in vita mia». In quale suo aspetto si ritrova maggiormente la madre badessa del convento di San Giulio? «Il suo amore per i bambini e la sua devozione all’angelo custode. Un vescovo mi ha raccontato che

Il Papa applaudito dai fedeli

durante una riunione di teologi, uno di questi mise in discussione l’esistenza degli angeli e in particolare la “credenza” dell’angelo custode. Papa Giovanni, volgendosi al vescovo che gli stava vicino, disse: “Sono ottant’anni che il mio angelo custode mi serve, e ora dovrei misconoscerlo, perché questo teologo mi viene a dire che non c’è?”. Ecco, pensando a Papa Giovanni XXIII, a me viene da mettermi a cantare le Beatitudini evangeliche».

«Campagna di Natale»: raccolti 90 mila euro per le missioni Più che confortanti i risultati conseguiti con la campagna natalizia promossa dal Centro missionario diocesano, l’associazione Pro Jesu e l’Ascom Bergamo. «Mettici il cuore. Per un Natale aperto alla missione» è il motto che ha accompagnato l’attività dei volontari e ha ottenuto l’adesione di tanti donatori. Novantamila euro è la cifra raccolta che andrà a finanziare i quattro progetti di educazione culturale, religiosa, sanitaria a

favore dell’infanzia in Sudamerica, in Africa, in Terra Santa e in Albania. Riceverà 20 mila euro la comunità delle Suore del Bambino Gesù, impegnate in Bolivia nella zona di Potosì, a favore delle famiglie e dei bambini dei «Clubs de Madres». In Costa d’Avorio il «Centro sanitario Palazzolo» delle suore Poverelle sarà sostenuto con 25 mila euro per realizzare un laboratorio di analisi, riconosciuto come «Centro medico-sociale» che potrebbe

diagnosticare precocemente un attacco di malaria spesso letale per i più piccoli. Padre Pierbattista Pizzaballa in Terra Santa riceverà 20 mila euro per sostenere le famiglie cristiane. Altri 25 mila euro serviranno alla realizzazione di una chiesa per la comunità parrocchiale di Shengjin in Albania. Don Giambattista Boffi, direttore del Cmd, ha voluto ringraziare tutti coloro che hanno permesso la realizzazione delle numerose iniziative.

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INTER V IS TE

«L’ECO HA FATTO DA MEDIATORE TRA CONCILIO E BERGAMASCHI» Monsignor Tino Scotti sostiene che per il quotidiano il Vaticano II era Papa Giovanni

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a vent’anni a Roma in servizio presso la Segreteria di Stato vaticana, monsignor Tino Scotti ha dedicato la sua tesi di dottorato all’accoglienza del Concilio Vaticano II nella Chiesa e nella società bergamasche. Lo stesso Scotti risponde a una serie di domande su questa materia. Chi sono stati i protagonisti del Concilio a Bergamo? Oltre ai vescovi (Piazzi, Gaddi, Oggioni) ci sono figure di sacerdoti e di laici che hanno dato un contributo particolare all’acquisizione della svolta conciliare? «Senz’altro monsignor Stefano Baronchelli, vicario generale alla fine degli anni Sessanta: fece in modo che ci fosse un’accoglienza serena al Concilio, stemperando le tensioni, pur senza nulla togliere al dibattito. Altra figura importante, che in qualche modo anticipò il Vaticano II, fu don Benzoni, fondatore dei preti del Paradiso. E poi, naturalmente, monsignor Andrea Spada». Perché «naturalmente»?

«Intanto perché è stato molto vicino a Papa Giovanni in quegli anni, ma soprattutto perché ha avuto un ruolo fondamentale nel mediare l’insegnamento conciliare, attraverso L’Eco di Bergamo». Come seguì il Concilio L’Eco? «Distinguerei due periodi, con una premessa di fondo: il Concilio, a Bergamo, è Papa Giovanni». Che cosa vuol dire? «Nel periodo in cui c’è Papa Giovanni, L’Eco si interessa moltissimo al Vaticano II, in modo direi molto partecipato affettivamente. Insomma, il Concilio era considerato come un gioiello di famiglia». E dopo la morte di Papa Giovanni? «Il giornale lo segue ancora, naturalmente, ma con meno partecipazione. La puntualità dell’informazione non viene mai meno: tutti i bergamaschi, non solo il clero, sono bene informati di quel che avviene a Roma». Possiamo dire che L’Eco di Bergamo ha svolto un ruolo di mediatore tra il Concilio e la società bergamasca? «Certamente, l’ha fatto conoscere e l’ha fatto conoscere in un modo che giudico positivo. Ha contribuito a stemperare molte tensioni». Che cosa ha prodotto il Concilio nella diocesi di Bergamo? «Domanda da un milione di dollari… Ma proverò a rispondere ugualmente. Prima di tutto, ha creato un entusiasmo fortissimo, e non solo a livello del clero. Se uno legge i documenti della Chiesa di Bergamo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, percepisce subito una straordinaria voglia di fare. Inoltre, il Concilio ha creato un enorme desiderio di partecipazione: sentirsi parte della Chiesa, voler dire la propria... Terzo aspetto, il superamento dei confini». Che cosa vuol dire? «Sembra un aneddoto ma è significativo di un cli-

25 gennaio 1959: Giovanni XXIII entra nella basilica di San Paolo per annunciare la sua intenzione di convocare il Concilio

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ma. Il vescovo Gaddi tornò da Roma e portò in diocesi alcuni vescovi africani e asiatici che aveva conosciuto al Concilio e che qui a Bergamo si confrontarono con lui, magari gli chiesero anche dei preti… E’ la prima volta che i nostri vescovi si accorgono che la Chiesa prosegue anche al di là dell’Adda! Lo sapevano già, beninteso, ma ora forse lo sentono davvero». L’acquisizione dello spirito del Concilio a Bergamo è avvenuta pacificamente o si registrarono posizioni di dissenso? «La nostra è stata una ricezione feconda. L’accettazione è stata serena, un po’ perché era voluto dal Papa, e quel che vuole il Papa è sempre giusto. Nei dibattiti c’è stato confronto, ma mai rifiuto. E in questo hanno avuto un ruolo decisivo i due vescovi, Gaddi e Oggioni, ciascuno a suo modo. Gaddi ha fatto il vescovo e come dicono a Roma non si è impicciato delle piccole cose, ha lasciato che il dibattito si sviluppasse senza freni, che i preti discutessero e litigassero». E Oggioni? «Anch’egli ebbe un ruolo fondamentale: l’uomo che conosce il Concilio e a Bergamo lo fa studiare diventò un obiettivo della sua azione pastorale». Dopo tanti anni a Roma, lei ha acquisito uno sguardo internazionale. Rispetto al resto d’Italia e del mondo, come si presenta la Chiesa postconciliare di Bergamo? «Ci sono tutti gli aspetti positivi e negativi di tutte le Chiese del mondo. Bergamo forse, per grazia di Dio e per capacità delle persone, accentua gli aspet-

A San Pietro si conclude la prima sessione del Concilio

ti positivi. E’ un ambiente ancora molto cristiano, rispetto ad altri. A volte soffriamo di uno strano complesso di inferiorità e sviluppiamo un ragionamento singolare: siccome da noi la gente va ancora a Messa, allora è segno che siamo rimasti indietro. No, non è così».

Gli auguri del Comune per i 103 anni di suor Elisa Visita speciale a metà dello scorso gennaio al monastero delle suore di Romacolo di Zogno (Bergamo). Il sindaco Giuliano Ghisalberti e l’assessore Mario Zanchi hanno portato gli auguri dell’amministrazione comunale a suor Elisa Leoni, originaria di Brignano Gera d’Adda (Bergamo), che lo scorso 12 gennaio ha raggiunto i 103 anni di età.

Una vita dedicata ai malati quella della religiosa, in particolare all’ospedale Niguarda di Milano. Animata fin da giovanissima da uno spirito di servizio, dedicò la sua prima esperienza lavorando tra i malati, diventando una brava infermiera, riconosciuta dallo stesso Enrico Ronzani, medico che la volle al suo fianco nel 1939 come collaboratrice, quando si trattò di dar vita all’ospe-

dale «Ca’ Granda» del Niguarda a Milano. Suor Elisa Leoni rimase al Ca’ Granda ininterrottamente fino al 1998, da tutti apprezzata come una figura di grande esperienza e saggezza. Raggiunto, dopo quasi 60 anni, il meritato traguardo della pensione si è ritirata nel convento di Romacolo a Zogno, dove, oltre a dedicarsi alla preghiera, è ancora prodiga di consigli e affetto.

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P UB B LIC A ZIONI

SPADA, UN «OSSERVATORE» D’ECCEZIONE IN SAN PIETRO Serie di appunti e riflessioni sul Concilio dell’allora direttore de «L’Eco di Bergamo»

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all’ottobre al dicembre del 1962, durante la prima sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, era presente come perito l’allora direttore de L’Eco di Bergamo monsignor Andrea Spada (1908-2004). In quel periodo descrisse e commentò in un diario tutto ciò che poteva osservare nell’aula conciliare, ovvero nelle tribune allestite nella Basilica di San Pietro. Le pagine in cui don Spada, direttore de L’Eco per 51 anni, raccolse le sue osservazioni su vicende e protagonisti di quell’appuntamento sono state proposte per la prima volta nel volume «Gaudet Mater Ecclesia. Diario di Don Andrea Spada al Concilio Vaticano II», pubblicato dal Centro Studi Valle Imagna e posto in vendita ai primi dello scorso novembre in abbinamento con L’Eco di Bergamo. Un sincero ringraziamento va a Roberto Belotti che ha curato l’opera e ci ha fornito una bozza del libro. Nello scorso numero del nostro bimestrale

abbiamo presentato l’evento, ora proponiamo uno stralcio della pubblicazione. Il direttore de «L’Eco di Bergamo», perito conciliare, inaugura la stesura del suo diario sabato 27 ottobre 1962 quando il dibattito sullo schema della liturgia è pienamente avviato. Don Andrea Spada ci consegna l’immagine di un’assemblea nella quale non si fa fatica a individuare il formarsi di schieramenti o correnti che raggruppano le diverse tendenze dell’episcopato mondiale. Non mancano spinte conservatrici restie ad accettare il vento del rinnovamento che spira fra le volte della basilica di San Pietro. A impressionare il nostro cronista è soprattutto il senso di libertà che anima il dibattito. Spirito comunitario, libertà di parola, franchezza, continui riferimenti al messaggio evangelico, sono aspetti di un atteggiamento, forse inaspettato, che colpisce in modo assai positivo anche gli osservatori delle chiese orientali. Il grande numero di emendamenti presentati in sede di discussione, segno di quanto fosse intensamente percepita la portata innovativa dello schema, fece sì che la conclusione dell’argomento liturgico fosse rinviata alla successiva fase conciliare. Ad ogni buon conto nella congregazione del 14 novembre i padri approvarono a larghissima maggioranza il progetto di riforma liturgica e i criteri direttivi che avrebbero dovuto ispirare l’elaborazione della costituzione definitiva sulla sacra liturgia. Fin dai primi giorni della sua partecipazione, sono diverse le notazioni di carattere personale che ci fanno apprezzare la scrittura fluente di don Spada. Talvolta sono soltanto semplici ma anche folgoranti note di colore che non risparmiano neppure gli altisonanti nomi che dominano l’assemblea; altrove sono intuizioni che gli vengono suggerite dal suo

Andrea Spada, storico direttore de L’Eco

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fiuto giornalistico. Fra queste annoveriamo la scoperta della fitta trama dei contatti personali gestiti amichevolmente dai padri: un avvicendarsi di incontri casuali o di appuntamenti programmati che andavano celebrando un Concilio dietro le quinte non meno importante di quello ufficiale. Mercoledì 14 novembre si inaugurò la discussione sullo schema che riguardava le fonti della Rivelazione denominato, appunto, De fontibus revelationis, che nell’agenda dei lavori del Concilio occupava il secondo posto. Don Andrea, all’approssimarsi della discussione su un tema delicato quanto era appunto quello teologico-dottrinale, avverte il cambiamento di clima; scriverà nel suo Diario: Il Concilio è entrato in una vera e propria atmosfera conciliare; non si tratta più di problemi marginali, ma di questioni di fondo; un’atmosfera di tono alto (mercoledì 14 novembre). La presentazione dello schema fu eseguita dall’autorevolissimo cardinale Alfredo Ottaviani, segretario del sant’Uffizio, grande esponente dell’ala più conservatrice del Concilio, presidente della Commissione teologica che aveva elaborato il testo dello schema. Ottaviani esordì proclamando che proteggere e promuovere la dottrina cattolica era il primo compito del Concilio. Don Andrea, spettatore attentissimo che con il suo Diario ci guida nel protrarsi del travaglio conciliare, parlerà apertamente di spaccatura netta all’interno dell’assemblea: da una parte c’è il Santo Ufficio, con l’Università del Laterano, forse parte della Curia, e gli Episcopati italiano e spagnolo, dall’altra gli stranieri, guidati dagli Episcopati francese e tedesco che finora stanno dando la spinta più forte al Concilio, assieme ai vescovi missionari. Mercoledì 21 novembre il Concilio registrò un clamoroso colpo di scena. Papa Giovanni XXIII – che seguiva costantemente i lavori dell’assemblea dal suo studio tramite un collegamento video – decise di interrompere la discussione sullo schema teologico, dando nel contempo disposizioni perché esso fosse rielaborato da una commissione mista composta da alcuni membri della Commissione Teologica e del Segretariato per l’Unione dei Cristiani e, in ogni caso, il più possibile rappresentativa delle

I Padri conciliari si dirigono verso la Basilica di S. Pietro

varie tendenze emerse durante il dibattito in aula. La decisione del Papa fu oggetto di infinite interpretazioni. Resta il fatto che la discussione venne sospesa d’autorità e lo schema ritirato. Accantonata la questione delle «fonti», venerdì 23 novembre i padri cominciarono la discussione dello schema sui moderni mezzi di comunicazione sociale De instrumentis communicationis socialis (quotidiani e settimanali cattolici, riviste, cinema, stazioni radio e televisive), tema, questo, che vide impegnate le giornate del 23, appunto, di sabato 24 e parte della Congregazione di lunedì 26 novembre. Lo schema, nel quale non figuravano questioni di principio dottrinale e che in sede di definizione da parte della Commissione competente aveva potuto contare sulla preparazione sacerdotale e sull’esperienza professionale di don Andrea Spada, venne approvato a larghissima maggioranza martedì 27 novembre e quindi demandato alla Commissione di riferimento per le opportune rielaborazioni. Con l’approvazione veniva riconosciuto ufficialmente che la Chiesa aveva titolo di interessarsi della materia. L’introduzione generale entrava nel merito del buon uso dei vari mezzi di comunicazione sociale, utili anch’essi per la salvezza del mondo. Dopo la presentazione dello schema si aprì la discussione che in tre giorni numerò 54 interventi orali (34 di vescovi europei, 8 americani, 5 africani, 4 asiatici, cui sono da aggiungere 3 interventi di membri della Curia). Alle pagine del suo Diario don Spada affidava il 13

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pertanto il dibattito si preannunciava tanto appassionato quanto contrastato. Presero la parola 77 padri per discutere un testo articolato in 11 capitoli che riempivano 80 pagine a stampa. Gli argomenti erano molteplici: la natura della chiesa militante, i membri della chiesa, l’episcopato, i laici, il magistero della chiesa, l’autorità e l’obbedienza nella chiesa, le relazioni fra la chiesa e gli stati, l’ecumenismo e la necessità di annunciare il Vangelo a tutti i popoli. Comunque il dibattito non mancò di procurare prese di distanza, critiche vibrate, ferme opposizioni. Nelle giornate di discussione l’attenzione di don Andrea si fa acutissima. Registra e sottolinea con enfasi gli interventi di alcuni padri, come quello del cardinale belga Suenens che traccia un vero e proprio programma per la Chiesa del futuro; o quello dell’arcivescovo di Milano cardinal Montini che insiste nel richiamare l’attenzione dei padri sull’immagine e lo spirito del Cristo come riferimenti imprescindibili della vita della Chiesa; o quello ancora del cardinal Lercaro, arcivescovo di Bologna che esalta la dottrina della povertà di Cristo come segno distintivo per una Chiesa dei poveri. Sabato 8 dicembre 1962 Papa Giovanni XXIII chiudeva la prima Sessione del Concilio nella grazia della festa dell’Immacolata. In San Pietro l’arciprete della basilica vaticana celebrò la messa di chiusura. Alla fine il Papa fece il suo ingresso in San Pietro per pronunciare il discorso di saluto ufficiale con il quale coglieva l’occasione per farsi garante della continuità del Concilio. Tracciando un bilancio del lavoro svolto in aula, il Papa definì la sessione appena conclusa «come una introduzione lenta e solenne alla grande opera del Concilio: un avvio volenteroso ad entrare nel cuore e nella sostanza del disegno voluto dal Signore». Tra i frutti già visibili il Papa indicava la ripresa dei contatti «tra fratelli venuti da lontano e tutti riuniti attorno allo stesso focolare» con i risultati di una «maggiore reciproca conoscenza», del «risalto della verità» e della dimostrazione in faccia al mondo della «sana libertà dei figli di Dio quale si trova nella Chiesa». Seguono poi altre annotazione fatte da Andrea Spada, su una serie di episodi riguardanti il Vaticano II.

Una veduta dell’assemblea conciliare nella Basilica di S. Pietro

cruccio di qualche riserva a proposito della relativa velocità – tre giorni scarsi – con cui i padri avevano avallato un po’ genericamente lo schema preparato dalla «sua» commissione. Temeva infatti che la fretta dei padri volesse significare scarsa presa di coscienza dei problemi connessi ad argomenti moderni e apparentemente profani come potevano essere quelli della stampa e dello spettacolo. D’altro canto registrava con soddisfazione il fatto che i temi dei moderni mezzi di diffusione fossero stati riconosciuti idonei e ritenuti «di natura e importanza conciliare». A don Spada stava particolarmente a cuore affermare e sostenere che la diffusione della parola scritta doveva diventare impegno ordinario tanto per i vescovi quanto per i sacerdoti, proprio come l’esercizio della predicazione. Per coloro che si collocavano dall’altra parte: i lettori, gli spettatori, i fruitori in genere dei messaggi erogati in forme diverse, il «perito» Andrea Spada desiderava che venisse affermato il sussistere di un loro ruolo attivo corredato di precise responsabilità morali. Le ultime sei Congregazioni generali, quelle che si convocarono dall’1 al 7 dicembre 1962, furono riservate all’esame – senza votazioni – dello schema dedicato alla Chiesa, denominato semplicemente De Ecclesia e preparato dalla commissione teologica presieduta dal cardinal Alfredo Ottaviani. Si trattava di discutere uno dei temi centrali del Concilio e 14

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INIZIATIV E

DUE PELLEGRINAGGI DELL’AVIS DEDICATI AD ANGELO RONCALLI I gruppi bergamaschi di Sant’Omobono e Grumello coinvolgeranno cinque regioni

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’ il 28 marzo 1959, Sabato Santo. Papa Giovanni XXIII riceve in udienza gli iscritti di tutta Italia dell’Avis (Associazione volontari italiani del sangue) con il fondatore e presidente nazionale Vittorio Formentano. Fra la commozione generale, il Pontefice bergamasco consegna una preghiera da lui scritta, in cui sottolinea la grande valenza del dono del sangue come segno di carità. In ricordo di questa storica udienza e per rinsaldare il legame fra il Beato Papa Giovanni e l’Avis, i gruppi di Sant’Omobono Terme e di Grumello del Monte (entrambi in provincia di Bergamo) propongono due iniziative, che si inseriscono nell’Anno giovanneo per ricordare il 50° dell’apertura del Concilio e della morte di Papa Roncalli. Questo il servizio di Carmelo Epis pubblicato di recente su L’Eco di Bergamo. Motivo di grande orgoglio Un pellegrinaggio di fede percorrendo la Via Francigena, l’antico percorso dei pellegrini, con partenza alle 9 del 18 maggio da Sotto il Monte e meta Roma. E’ la proposta dell’Avis di Sant’Omobono Terme, con la collaborazione e il sostegno dell’Avis provinciale. Vedrà coinvolti gli avisini di cinque regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Toscana e Lazio), che accoglieranno i pellegrini bergamaschi durante il percorso. «E’ motivo di grande orgoglio ed emozione – sottolinea Oscar Bianchi, presidente dell’Avis provinciale – celebrare un anniversario che per gli avisini ha un significato particolare. Infatti, durante l’udienza, Papa Giovanni donò una preghiera, da allora nota come “Preghiera del donatore”. E’ un ricordo preziosissimo e ancora oggi un incoraggiamento a proseguire e migliorare la nostra attività». Prima della partenza da Sotto il Monte, l’arcivescovo Loris Francesco Capovilla, segretario particolare

del Pontefice bergamasco, impartirà la benedizione. Quindi via al pellegrinaggio di 780 chilometri, articolato in tre itinerari, per concludersi in piazza San Pietro a Roma il 3 giugno, 50° anniversario della morte del Beato Papa Giovanni. «In questa occasione – racconta Renzo Frosio, coordinatore dell’evento di Sant’Omobono Terme – sarà benedetta la fiaccola che poi, in una staffetta ideale, consegneremo agli amici avisini di Grumello del Monte». Camminata nel ricordo L’Avis di Grumello del Monte propone una «camminata del ricordo» dal 23 al 25 agosto, con l’occhio a sei anniversari giovannei: il 60° dell’ingresso a Venezia come cardinale patriarca (15 marzo 1953), il 55° dell’ultima Messa a Sotto il Monte (26 agosto 1958), il 55° dell’elezione a Pontefice (28 ottobre 1958), il 54° della «Preghiera del donatore» (28 marzo 1959), il 50° della morte (3 giugno 1963). «Dal 2011 – sottolinea Aldo Pezzotta, responsabile dell’iniziativa – l’Avis Grumello propone una “camminata del ricordo” verso figure che hanno fatto storia. Nel 2013 vogliamo ricordare Papa Giovanni

L’udienza concessa il 28 marzo 1959 da Papa Giovanni all’Avis

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unendo simbolicamente tutte le Avis bergamasche. La fiaccola sarà poi portata al santuario della Cornabusa, molto caro a Papa Roncalli». La «camminata del ricordo» vedrà circa 50 partecipanti, con al seguito il presidente Avis Giovanni Varinelli, il presidente Aido e vicario Avis Aldo Pezzotta, il sindaco Nicoletta Noris, il direttore sanitario e consigliere provinciale Avis Alfredo Finazzi. Ogni partecipante indosserà la maglietta raffigurante Papa Giovanni e il fondatore Formentano durante l’udienza pontificia. Dettagli sulle due iniziative sul sito www. avisbergamo.it. La preghiera del donatore Papa Giovanni XXIII ha composto la «Preghiera del donatore» per sottolineare la grande valenza del dono del sangue come segno di carità. Ecco il testo. «O Gesù Salvatore, che hai detto: “Tutto ciò che avete fatto a uno dei più piccoli tra i miei fratelli, l’avrete fatto a me” (Mt 25, 40), guarda propizio all’offerta che Ti facciamo. Le angosce dei sofferenti, tuoi fratelli e nostri, ci spingono a dare un po’ del nostro sangue, perché ad essi ritorni il vigore della vita; ma vogliamo che tale dono sia diretto a Te, che hai sparso il Tuo sangue prezioso per noi. Rendi, o Signore, la nostra vita feconda di bene per noi, per i nostri cari, per gli ammalati: sostienici nel sacrificio, perché sia sempre generoso, umile e silenzioso. Fa’ che con fede sappiamo scoprire il Tuo volto nei miseri per prontamente soccorrerli; ispira e guida le nostre azioni con la pura fiamma della carità, affinché esse, compiute in unione con Te, raggiungano la perfezione, e siano sempre gradite al Padre celeste. Così sia».

Il cardinale Roncalli benedice Venezia. Il pellegrinaggio dell’Avis di Grumello partirà da questa città

XXIII». La fiaccola sarà accesa il 23 agosto prossimo in piazza San Marco a Venezia. Quindi, a staffette, inizio del percorso di 340 chilometri con destinazione Sotto il Monte, toccando le province di Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Brescia e Bergamo. Il passaggio della fiaccola avverrà sul sagrato delle chiese parrocchiali, alla presenza di parroci, sindaci e presidenti locali Avis. Ai sindaci sarà lasciato un ricordo della «camminata». Sarà chiesto il patrocinio alle Province e ai Comuni toccati dal percorso. «La prima sosta – prosegue Aldo Pezzotta – sarà a Pontelongo in provincia di Padova, paese natale di monsignor Loris Capovilla. In terra bergamasca toccheremo in particolare Grumello del Monte, dove il futuro Pontefice giunse in visita nel 1914 e nel 1945, oltre ad altre visite private al parroco don Luigi Belotti, suo compagno di Seminario. Saremo anche sul sagrato della parrocchiale di Monterosso, nel capoluogo, vicino alla sede provinciale Avis,

Pellegrinaggio in Bulgaria sulle orme di Roncalli La Bulgaria con i luoghi del ministero di Angelo Roncalli quando fu dapprima visitatore e poi delegato apostolico nella nazione balcanica. E’ la meta del pellegrinaggio del clero diocesano di Bergamo che si tiene quest’anno dall’8 al 12 aprile. Fra i partecipanti ci saranno il vescovo Francesco Beschi e don Ezio Bolis, direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII. Il pelle-

grinaggio si pone nelle iniziative in corso per ricordare il 50° della morte del Beato Papa Giovanni. «In questo contesto – dice monsignor Lino Casati, delegato vescovile per la formazione permanente del clero – si è pensato di proporre un viaggio in Bulgaria, terra che ha visto la presenza di Roncalli dal 1925 al 1934. L’obiettivo sarà quello di vivere momenti significa-

tivi nella visita ad alcuni luoghi e, più in generale, alla terra che lo ha visto infaticabile pastore al servizio della Chiesa in mezzo a popolazioni povere e che ha sempre custodito nel suo pensiero. Il programma prenderà il via l’8 aprile con la partenza da Malpensa per Sofia; poi messa nella chiesa del Beato e incontro con il vescovo grecocattolico.

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INIZIATIV E

SOTTO IL MONTE: QUEST’ANNO ATTESI 400 MILA PELLEGRINI A metà aprile si tiene a Bergamo un convegno internazionale sui Papi del Concilio

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l cardinale Angelo Comastri, ha riferito Paolo Aresi in un suo recente articolo pubblicato su L’Eco di Bergamo, ha partecipato il 25 gennaio alla conferenza stampa di presentazione delle iniziative che ripropongono la centralità di Sotto il Monte nell’esistenza di Giovanni XXIII, rilancio che prende spunto dal 50° anniversario della morte. Il vicario generale del Papa per la Città del Vaticano è intervenuto per sottolineare il valore intellettuale e culturale del Pontefice bergamasco. La conferenza stampa è stata organizzata dall’«Associazione Papa Giovanni Sotto il Monte Giovanni XXIII» nella sala conferenze dei Musei Vaticani. L’ha introdotta monsignor Dario Viganò. Primo a prendere la parola il direttore dei Musei, Antonio Paolucci, che ha sottolineato l’importanza di Papa Giovanni anche per l’arte, «in particolare per la sua relazione con Giacomo Manzù, artista che aveva le sue stesse radici. Il ritratto di Giovanni XXIII da lui realizzato lo conserviamo nei Musei Vaticani, nella sezione d’arte contemporanea voluta da Paolo VI». L’importanza di Sotto il Monte. Monsignor Alberto Carrara, delegato vescovile per la Cultura e le Comunicazioni sociali, ha spiegato la volontà della diocesi di Bergamo di riproporre all’attenzione della gente, del mondo della fede e della cultura Papa Giovanni e l’universo della sua formazione. Ha detto: «Giovanni XXIII rimase per tutta la vita strettamente legato alla nostra diocesi, sebbene ne sia rimasto lontano per tanti anni trascorsi fra Bulgaria, Turchia e Francia. Intratteneva rapporti con molte persone di Bergamo e si può dire che ogni parrocchia del nostro territorio conservi un qualche ricordo di Angelo Roncalli». Monsignor Carrara ha parlato della necessità avvertita dalla diocesi

di un approfondimento sulla figura di Roncalli e ha annunciato il convegno internazionale che si svolgerà a Bergamo il 12 e 13 aprile sui Papi del Concilio, Giovanni XXIII e Paolo VI, organizzato dalla Fondazione Papa Giovanni di Bergamo. Le iniziative prese a Sotto il Monte in occasione dei 50 anni della morte del Pontefice – nell’ambito dell’Anno Giovanneo – sono state spiegate dal parroco del paese, monsignor Claudio Dolcini: «La volontà del nostro vescovo è che Sotto il Monte diventi un luogo di pellegrinaggio vero e proprio, non solo di occasionale turismo religioso, un luogo dove incontrare in modo profondo la figura del Papa. In questo tentativo, fondamentale è stato l’aiuto dell’arcivescovo Loris Capovilla che ancora oggi vive a Sotto il Monte». «Quest’anno – ha concluso monsignor Dolcini – sono attesi 400 mila pellegrini. Faremo in modo che si sentano tutti accolti e accompagnati in un percorso che sia ricco di significati culturali e spirituali».

L’ingresso della casa natale di Papa Giovanni a Sotto il Monte

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C ONFER ENZE

PACEM IN TERRIS: LA CHIESA SCOPRÌ I «SEGNI DEI TEMPI» Con Papa Giovanni XXIII la gerarchia si aprì alla modernità e alla difesa della pace

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’11 aprile 1963, promulgando l’enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII la indirizzava non solo ai cattolici ma, più in generale, «a tutti gli uomini di buona volontà»: questa lettera «sulla pace fra tutte le genti nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà» costituiva una sorta di testamento spirituale del Pontefice, che sarebbe morto il successivo 3 giugno. Questo l’inizio dell’articolo, a firma di Giulio Brotti, apparso qualche mese fa su L’Eco di Bergamo. Il servizio così prosegue. Giovanni XXIII e la Pacem in Terris è appunto il titolo della relazione che Daniele Menozzi, ordinario di Storia contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ha tenuto a fine settembre 2012 nella Sala conferenze dello Spazio Viterbi della Provincia, che ha sede in via Tasso. Si tratta del terzo incontro di un ciclo pensato come iniziativa col-

laterale alla mostra «Lo spirito del Concilio nella mente di Papa Giovanni XXIII», promossa a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II dalla Fondazione Papa Giovanni XXIII e ospitata proprio nello Spazio Viterbi fino a metà ottobre. Queste alcune domande rivolte al personaggio. Professore, nella Pacem in Terris ricorre l’espressione «segni dei tempi»: la Chiesa avrebbe il compito di interpretare questi «segni», ovvero le tendenze che si sono andate affermando nel mondo moderno, dall’ingresso delle donne nella vita pubblica al diffuso riconoscimento dei diritti umani fondamentali. «La grande intuizione di Papa Giovanni ha per oggetto proprio i “segni dei tempi”: secondo Angelo Giuseppe Roncalli la storia procede lungo linee di sviluppo che non contraddicono la visione cristiana, ma, anzi, convergono con essa. Precedentemente la gerarchia cattolica aveva preso le distanze dai grandi temi della modernità; ora, invece, subentra un apprezzamento di principio». Nell’ottobre del 1962, durante la «crisi di Cuba», il mondo si era trovato sull’orlo di un conflitto termonucleare. E’ vero che la «Pacem in Terris» segnerebbe l’abbandono della dottrina tradizionale della «guerra giusta», poiché quest’ultima, nell’era delle armi atomiche, non sarebbe più concepibile? «Papa Giovanni afferma che il ricorso alle armi atomiche è “contrario alla ragione”; tuttavia, non si può far dire al testo della Pacem in Terris ciò che in esso non si trova. In precedenza, la teologia morale aveva sostenuto che una guerra potesse essere “giusta” per due motivi: ad vim repelledam (per legittima difesa) e ad iura sarcienda (per restaurare un diritto violato). La Pacem in Terris si limita ad affermare che questo secondo tipo di conflitto

Papa Giovanni mentre firma l’enciclica nell’aprile del 1963

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non è più accettabile: vista la potenza distruttiva delle nuove armi nucleari, «riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia. In ogni caso è chiaro il progresso rispetto alla posizione tradizionale: la Chiesa ora, più che nella definizione di regole da rispettare nei conflitti tra gli Stati, si impegna nella difesa della pace, tentando di riconciliare uomini schierati su posizioni contrapposte». Alcuni ambienti politici e religiosi criticarono la «Pacem in Terris», accusando Giovanni XXIII di cedevolezza nei confronti del «bolscevismo»: è una lettura, questa, di corto respiro? «Dopo la Seconda guerra mondiale la gerarchia cattolica aveva sostenuto la politica del “blocco occidentale”, guidato dagli Stati Uniti; si censuravano – è vero – gli eccessi del modello economicisticoconsumistico americano, ma questo passava poi in secondo piano, rispetto alla necessità di contrastare il “male maggiore” del comunismo. Con Papa Roncalli, invece, la Chiesa abbandona il ruolo di “cappellano dell’Occidente” non per arrendevolezza nei confronti del blocco sovietico, ma per chiarire che sulla scena internazionale essa ha una posizione

Il relatore Daniele Menozzi

propria: la Santa Sede, nella visione di Giovanni XXIII, deve favorire il dialogo tra gli Stati perché siano assicurate la pace e una maggiore giustizia sociale in tutto il mondo».

Addio a Jozef Glemp, il vescovo di Solidarnosc La Polonia è in lutto per la scomparsa del cardinale Jozef Glemp, figura di grande portata storica che guidò la Chiesa polacca nella difficile fase della transizione dal comunismo alla democrazia. Primate di Polonia per 28 anni, dal 1981 al 2009, nel pieno dell’era di Solidarnosc e del generale Wojciech Jaruzelski, Glemp ebbe un ruolo di mediatore tra il regime comunista e Solidarnosc nel negoziato del 1989. E’ stato il faro della Chiesa polacca. Aveva 83 anni ed è scomparso il 24 gennaio scorso. Sono state due le visite in terra bergamasca del cardinale Jozef Glemp: la prima ufficiale, nel 1992, nel Comune di Curno, la seconda privata, nell’estate del 2001, per una brevissima vacanza a Torre de’ Busi, in Valle San Martino. Il primate

di Polonia e arcivescovo di Varsavia arrivò a Bergamo il 5 dicembre 1992 per inaugurare l’oratorio di Curno, intitolato alla figura di padre Jerzy Popieluszko, il sacerdote polacco trucidato il 19 ottobre 1984 a causa del suo impegno per una Polonia democratica, liberata dall’oppressione comunista. Dopo la visita a Sotto il Monte ricordò con calore Papa Giovanni XXIII: «Non l’ho incontrato direttamente – disse – ma come sacerdote-studente a Roma potevo vedere molte volte il Papa, ascoltando le sue prediche e i suoi insegnamenti. So quanto entusiasmo c’era fra noi studenti dell’università del Laterano quando il Santo Padre girava per Roma ed incontrava la gente. E sono felice di poter stare nel luogo dove lui è nato, dove è stato educato e cresciuto».

Totalmente diversa la visita dell’estate del 2001, in forma privata: il cardinale trascorse qualche giorno in Valle San Martino ospite nella casa del vescovo ausiliare di Milano, Giuseppe Merisi.

Il cardinale Jozef Glemp, primate di Polonia

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INTER V IS TE

PAPA GIOVANNI DEFINÌ TAIZÉ UNA PRIMAVERA DELLA CHIESA A colloquio con frère Alois Loser, attuale priore della comunità monastica francese

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al 28 dicembre al 2 gennaio si è svolto a Roma l’Incontro europeo dei giovani promosso dalla comunità di Taizé. Sull’evento riportiamo un articolo pubblicato su L’Eco di Bergamo a firma di Emanuele Roncalli. Nella capitale sono convenute più di 30 mila persone per celebrare il «Pellegrinaggio di fiducia sulla terra» lanciato oltre 30 anni fa da frère Roger Schutz, inizialmente sotto il nome di «Concilio dei giovani». Abbiamo intervistato frère Alois Löser, successore di frère Roger. Frère Alois, cos’è il «Pellegrinaggio di fiducia»? «Una proposta ai giovani che s’interrogano sul senso della vita, un invito a scoprire e accogliere Cristo che è fermento di pace e fuoco di riconciliazione nelle Chiese e nell’intera famiglia umana, un invito ai giovani di tutti i continenti a mettere in comune le loro attese, intuizioni, esperienze per prendere un nuovo slancio verso il presente. Non vogliamo creare un movimento di Taizé, ma mandare i giovani nelle parrocchie». Lei insegue un’utopia? «Vorremmo anticipare la riconciliazione fra i cristiani, ma anche fra le culture. Per questo organizziamo

incontri in tutto il mondo, come recentemente a Kigali, in Ruanda». Perché i giovani si rivolgono a Taizé? «Rimaniamo stupiti dal fatto che giungano sempre e numerosi. A Taizé cercano un momento di riflessione sul senso della vita. I giovani di oggi si trovano davanti a difficoltà materiali, molti studiano ma non trovano lavoro. Sono alla ricerca di un progetto di vita, ma non trovano appoggi nella società, ecco perché è importante sviluppare la fiducia in Dio per avere un sostegno». Nel suo ultimo libro «Pellegrini di fiducia» parla del rapporto tra frère Roger e Papa Giovanni. Quali i tratti in comune? «Entrambi pensavano alla riconciliazione. Papa Giovanni è l’uomo che frère Roger ha forse venerato di più sulla terra. Perché in lui era evidente la misericordia di Dio. “Giovanni XXIII – ha scritto frère Roger – vedeva nell’interlocutore l’immagine di Dio e tirava fuori nel dialogo personale il meglio dell’altro, la purezza delle sue intenzioni. Solo la compassione permette di vedere l’altro come egli è”. Frère Roger condivideva con Giovanni XXIII una visione positiva dell’essere umano». Il Concilio ha dato una spinta notevole alla vita di Taizé? «Di più, ciò che si vive oggi a Taizé come comunità ecumenica sarebbe impensabile senza la realtà del Concilio. Se, da ragazzo cattolico di 16 anni, sono potuto andare a Taizé nel 1970 e approfondire la mia fede con cristiani di diverse confessioni, è grazie al Concilio. Il mio cammino, come quello di tanti altri pellegrini, sarebbe stato impossibile senza l’assise conciliare». E questo è il motivo per il quale frère Roger diceva che il fondatore di Taizé è Giovanni XXIII? «In un certo senso è vero. Disse qualche cosa di si-

Da sinistra un incontro in Vaticano tra frère Max Thurian e frère Roger Schutz della comunità monastica di Taizé con il cardinale Bea e Papa Giovanni

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in ter viste

mile anche Giuseppe Roncalli, il fratello più giovane del Papa, che si recò a Taizé due volte. A suo nipote Fulgenzio un giorno disse: “Ciò che uscirà da Taizé è mio fratello Papa che l’ha iniziato”». Che influenza ebbero Giovanni XXIII e il Vaticano II su Taizé? «Su richiesta del cardinale Gerlier, allora arcivescovo di Lione, Papa Giovanni XXIII ricevette frère Roger e frère Max già qualche giorno dopo la sua elezione. Da subito, tra il Papa e il priore di Taizé si creò un legame di cuori. Il cardinale Marty, arcivescovo di Parigi, conosceva bene questo rapporto di fiducia reciproca, e affermò un giorno: “E’ grazie al fatto che Giovanni XXIII ha conosciuto personalmente i fratelli di Taizé che trovò il coraggio di invitare degli osservatori non cattolici al Concilio”. Dal momento in cui ricevette la lettera d’invito per lui e per frère Max al Concilio, frère Roger si convinse di non dover semplicemente partecipare all’assemblea, ma di dover portare a Roma la vita di Taizé, con la preghiera comune e l’accoglienza». Per questo prese alloggio a Roma? «Sì, affittò un appartamento nel centro della città. I ricordi si trovano in molti diari dei cardinali Congar, de Lubac, del vescovo brasiliano Hélder Câmara. Congar scrisse: “Hanno saputo ricreare il proprio clima nell’appartamento che abitano. Ricevono molti ospiti. Praticamente non c’è pasto a cui non siano invitati a volte fino a cinque o sei vescovi”. Alla tavola dei fratelli si susseguirono anche osservatori ortodossi e protestanti, esperti, uditori e uditrici laici, giornalisti». Cosa colpì frère Roger del Concilio? «Fra le tante cose, l’annuncio nel gennaio del 1959 e le parole di Giovanni XXIII: “Non faremo un processo alla storia, le responsabilità sono comuni, non cerchiamo di sapere chi ha avuto torto e chi ragione; diciamo solo: riconciliamoci”. Frère Roger le citò fino alla fine della vita». Come si vive a Taizé lo spirito del Concilio? «Dalla fine del Vaticano II, il numero di giovani a Taizé è cresciuto. Di fronte alla crisi degli anni ‘60 che li agitava, frère Roger volle proporre loro di vivere un’esperienza di comunione simile a quella vissuta dai vescovi: è nato così il Concilio dei giova-

Alois Loser, priore di Taizé

ni, sostituito più tardi dal pellegrinaggio di fiducia sulla terra. Le migliaia di giovani cattolici, ortodossi e protestanti di varie nazionalità che vengono ogni anno a Taizé continuano a vivere una esperienza, che non viene forse subito chiamata comunione, ma amicizia, rispetto, sostegno reciproco». A Taizé si vive un ecumenismo della preghiera? «Ci ritroviamo tre volte al giorno, in chiesa, fra persone di confessioni diverse. Dagli anni ‘70 lo spirito del Concilio ci ha stimolato a semplificare la liturgia, a renderla più accessibile, a incoraggiare tutta l’assemblea a partecipare, specialmente con i canti. La partecipazione di tutti i credenti alla liturgia è stata una delle prime preoccupazioni del Concilio. Per frère Roger voleva dire evitare il proliferare di gesti o di parole troppo difficili da capire». Taizé fu definita da Papa Giovanni una «piccola primavera della Chiesa». Oggi se ne vedono i frutti... «Non vogliamo fare di Taizé un movimento, questo è solo il luogo della nostra comunità monastica. Auguriamo che qui il vento della riconciliazione non smetta mai di soffiare. Gli ostacoli all’unità dei cristiani non sono solo teologici, ma anche culturali, e spesso anche psicologici. Ma quando i cristiani confessano Cristo insieme, il Vangelo risplende in maniera nuova per coloro che faticano a credere». 21

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A NNIV ER S AR I

LE SUORE DEL BAMBIN GESÙ HANNO FESTEGGIATO I 350 ANNI Nate in Francia nel 1662, da più di un secolo operano anche in varie località italiane

U

n’ immagine poetica descrive lo spirito che da 350 anni caratterizza le suore del Bambin Gesù: le loro anime si lasciano muovere da Dio con maggiore naturalezza di una piuma in balia del vento. Fu lo stesso ispiratore della loro missione, padre Nicola Barrè, che le percepì così, sospinte dalla totale fiducia in Dio. Questo l’inizio dell’articolo, a firma di Laura Arnoldi, pubblicato qualche mese fa su L’Eco di Bergamo. Servizio che così prosegue. Era il 1662 e a Rouen, in Francia, Nicola Barrè, padre dell’Ordine dei Minimi, cercò di rispondere ai bisogni dei bambini e dei giovani poveri e privi di formazione umana e cristiana attraverso l’opera di un primo gruppo di ragazze che accolsero la proposta di condividere non solo l’esperienza educativa ma anche quella di vita comunitaria. Nello scorso settembre le suore del Bambino Gesù hanno festeggiato l’importante anniversario con una celebrazione presieduta dal vescovo di Bergamo Francesco Beschi.

Una ricorrenza significativa per la provincia orobica visto che queste suore nate in Francia sono bergamasche da oltre 100 anni. Fu infatti nel 1906 che a Cenate Sotto (Bergamo) nacque la prima comunità in Italia. Le cronache del tempo descrivono la gioia con cui i fedeli accolsero le suore giunte per mettersi al servizio dei loro bambini. Da allora le comunità si svilupparono in diversi paesi della Bergamasca e già nel 1912 qualche suora partì per la missione in Malesia. Dalla seconda metà dell’800, infatti, le suore del Bambino Gesù avevano cominciato un’espansione missionaria in Malesia, Thailandia, Giappone, Singapore, Cina, diffondendosi contemporaneamente anche in Europa. Una spinta che nella seconda metà del secolo XX le portò in altri Paesi: California, Perù, Bolivia, Australia, Camerun, Nigeria e Filippine, Romania, Repubblica Ceca, Myanmar. A spiegare la loro vocazione è Suor Adelia Carrara, madre provinciale e referente nazionale: «Nella Chiesa siamo sempre state un piccolo corpo ma nonostante la nostra piccolezza sentiamo che il Signore ci chiama ancora oggi in questo meraviglioso e frammentato mondo per essere un segno del suo Amore». In tutto il mondo le suore sono 650, in Italia 54. Oltre che a Bergamo sono presenti a Roma dove insegnano nella scuola statale e operano in una borgata e in una casa per bambini disabili; in Campania sono a fianco delle persone svantaggiate; in Calabria in una parrocchia e nelle frazioni di montagna e collaborano con una cooperativa che favorisce il lavoro per i giovani. Anche la congregazione avverte la crisi vocazionale, ma i numeri non preoccupano: «Desideriamo – dice suor Adelia – far conoscere e amare il Signore a tutti. Vogliamo essere vicini a coloro che soffrono».

Le suore del Bambin Gesù in una foto d’epoca

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INIZIATIV E

UNA MOSTRA FOTOGRAFICA SULLE OPERE DI DON MILANI Proposta di recente al complesso espositivo del Polaresco, alla periferia di Bergamo

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on l’intento di valorizzare la figura e le opere di don Lorenzo Milani è stata inaugurata, lo scorso 26 gennaio allo spazio espositivo del Polaresco, al quartiere Loreto posto alla periferia di Bergamo, la mostra fotografica «Barbiana: il silenzio diventa voce», a lui dedicata. Barbiana è il luogo, che sorge vicino Firenze, dove il sacerdote ha vissuto la maggior parte della sua vita. Quando vi giunse nei primi anni Cinquanta trovò attorno a sé uno scenario desolante: non c’erano strade, elettricità e fogne. In pratica la popolazione locale era priva dei servizi basilari e a maggior ragione di quelli finalizzati all’istruzione. Don Lorenzo, quindi, ebbe l’idea di costruire a Barbiana la sua scuola, prendendo i figli dei contadini e insegnando loro a leggere e scrivere. Il primo frutto di questa iniziativa fu il libro «Lettera a una professoressa», scritto in maniera collettiva dagli allievi e da don Lorenzo. Un volume destinato a rivoluzionare il modo di pensare e di vedere l’educazione nella scuola. Inoltre don Lorenzo Milani è stato un fautore della non violenza e del pacifismo schierandosi a favore dell’obiezione di coscienza. La mostra, ad ingresso gratuito, ha proposto 30 gigantografie di foto dell’epoca in bianco e nero e una sessantina di suoi scritti. Efficace è un passo della presentazione dell’iniziativa scritta da Michele Gesualdi, presidente della Fondazione don Lorenzo Milani, nel catalogo che l’accompagna: «L’insieme delle immagini fa vivere la situazione che don Lorenzo trovò in quel pezzo di mondo e come la scuola che lui creò per i primi 6 ragazzi gradualmente andò oltre, per divenire una comunità». L’esposizione, tenuta aperta fino al 6 febbraio, è stata organizzata da Teatro Caverna, di cui è direttore artistico Damiano Grasselli, che gestisce per il Comune lo spazio espositivo e il teatro del Polaresco.

All’inaugurazione della mostra e dell’archivio del Teatro Caverna sono intervenuti circa cento visitatori. Nel corso della serata di martedì 29 gennaio è stata proposta, al Teatro del Polaresco, una proiezione di inediti su don Milani. Lorenzo Milani nacque a Firenze il 27 maggio 1923 da una colta famiglia borghese. La madre si chiamava Alice Weiss, triestina, e il padre Albano, fiorentino. Fu il secondo di tre figli: il maggiore era Adriano e la minore Elena. Lorenzo compì i suoi studi a Milano, dove si trasferì nel 1930 con la famiglia, e li proseguì all’Accademia di Brera seguendo la sua passione per la pittura fino al 1941. Nel ’42, a causa della guerra, la famiglia Milani fece ritorno a Firenze e l’8 novembre del ’43 Lorenzo entrò nel Seminario Maggiore di Firenze. Il 13 luglio 1947 fu ordinato prete. Morì il 26 giugno del 1967. Luna Gualdi

Don Lorenzo Milani con alcuni suoi allievi

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PADRE PIO DA PIETRELCINA Ringraziamo le persone che hanno sottoscritto abbonamenti al giornale e inviato offerte all’associazione Amici di Papa Giovanni

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AVVENIMENTI

STUPORE E COMMOZIONE PER LA RINUNCIA DEL PAPA Benedetto XVI ha annunciato l’11 febbraio la sua decisione di lasciare il Pontificato

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ome un «fulmine a ciel sereno», la notizia delle dimissioni del Papa dopo otto anni di pontificato ha spiazzato l’intera Curia romana – non soltanto il mondo al di fuori delle Mura Leonine – lasciando sbigottiti cardinali e prelati. Molti cardinali sono rimasti letteralmente a bocca aperta lunedì 11 febbraio mattina mentre il Papa durante il Concistoro, annunciava, in latino in quella che doveva essere una cerimonia di routine, la notizia decisiva per il pontificato e la stessa storia della Chiesa. «Sono pervenuto alla certezza – ha affermato Benedetto XVI – che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Il riserbo è stato mantenuto altissimo fino all’ultimo, anche nella sala stampa vaticana. Persino le «memores domini», le suore laiche che accudiscono Papa Ratzinger nell’appartamento pontificio, hanno appreso quanto sarebbe avvenuto nelle ore successive soltanto nel pomeriggio di domenica, mentre le traduzioni del testo latino con cui il Papa ha annunciato l’addio al soglio di Pietro venivano ultimate.

il sostegno più decisivo in questo delicato e inedito passaggio, l’anziano Pontefice lo ha ricevuto da suo fratello Georg, suo grande confidente. «Sono stato messo al corrente e mi ha detto che l’età si sta facendo sentire», ha dichiarato il giorno dopo il fratello del Papa che già nel 2011 aveva detto che Benedetto XVI avrebbe dovuto dimettersi se la sua salute fosse peggiorata. La meraviglia della Curia romana è stata espressa a caldo dal decano del sacro collegio Angelo Sodano che ha parlato di «fulmine a ciel sereno». Subito dopo anche padre Lombardi, aprendo la conferenza stampa quasi improvvisata con i giornalisti si è lasciato andare a un «Il Papa ci ha preso un po’ di sorpresa». E lo stupore generale della Curia è stato confermato anche da un capo dicastero che ha parlato di assoluta «meraviglia» ma anche «rispetto per la decisione del Pontefice» e «serenità perché la Chiesa è perfettamente in grado di andare avanti».

In pochi lo sapevano A conoscenza delle intenzioni del Papa erano in pochi, tra cui, trapela, una personalità d’eccezione come il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con cui il Papa ha stretto un rapporto di profonda amicizia negli anni. E poi, naturalmente, i suoi più stretti collaboratori: il segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, innanzitutto, il decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano e il sostituto della segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu. Nella sua difficile ma risoluta decisione, Benedetto XVI ha avuto il sostegno del suo segretario, monsignor Georg Gaenswein, che appena due mesi prima aveva nominato arcivescovo. Ma certamente

Benedetto XVI, Pontefice dal 2005

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avven imen ti

ha rinunciato al soglio pontificio continui a chiamarsi Benedetto XVI, a vestirsi di bianco che è il colore che si intona alla sua signorile persona. Sono sicuro che continuerà la sua riflessione e la sua preghiera in favore di tutta la Chiesa». L’arcivescovo aggiunge: «Quando ho saputo la notizia sono rimasto scosso, poi ho provato commozione, ho pianto. E ho pensato che soltanto un grande teologo come Ratzinger, uno spirito giovane, poteva fare un simile passo, prendere una decisione così coraggiosa».

Il turbamento di Capovilla «E’ vero, ho pianto. Ho pianto quando ho saputo delle dimissioni del Papa perché ho pensato al valore di questo gesto, al suo sacrificio. Da quanto mi ricordo, ho sempre vissuto il Papa come un padre universale, senza “se” e senza “ma”, l’ho sempre considerato fin da bambino con un senso di rispetto, di venerazione, di gratitudine. Ma quando ho toccato le mani e la veste di Giovanni XXIII appena eletto Pontefice, mi sono sentito così piccolo, ho avuto la percezione che davvero il cardinal Roncalli fosse stato investito da una luce celeste». Monsignor Loris Capovilla parla nel suo studio di Cà Maitino, a Sotto il Monte. Fu segretario del cardinal Roncalli quando era patriarca di Venezia e poi quando divenne Pontefice fino alla morte avvenuta nel giugno 1963. Da molti anni Capovilla vive nella casa del «suo» Papa, è testimone e studioso della sua vita, del suo messaggio. «Paolo VI mi volle vedere nel giorno della sua elezione, ebbe parole meravigliose, indimenticabili nei riguardi di Giovanni XXIII e nei miei stessi confronti. Io gli dissi che la stessa fedeltà, la stessa obbedienza che avevo avuto per Papa Giovanni li avrei avuti per lui. E lo stesso ho provato per ogni successore, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Considero l’attuale Pontefice un sant’uomo, un uomo dolce e dotto. Spero che anche adesso che

La biografia del Papa Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, 265° Pontefice di Roma, nono successore tedesco di Pietro, figlio di un poliziotto e di una cuoca, è nato a Marktl am Inn, in Germania, il 16 aprile 1927. Fine teologo, uomo timido dotato di grande capacità di ascolto, maestro nel predicare in modo accessibile anche sui temi più complessi, in quasi otto anni da Papa ha incontrato milioni di persone, ha compiuto decine di viaggi internazionali e in Italia, ha scritto varie encicliche per dire che l’amore e la speranza non sono qualcosa ma qualcuno, cioè Cristo, e per rinnovare la dottrina sociale della Chiesa. Ha scritto il Gesù di Nazareth in più volumi, per mostrare che la fede non è un elenco di proibizioni ma un rapporto di amicizia con il Dio fatto uomo. Ha posto i temi della povertà e dell’Africa, dei giovani, dell’ecumenismo e dell’annuncio della fede. Prete dal 29 giugno del 1951, addottorato in teologia con una tesi su sant’Agostino e abilitato alla docenza con una su san Bonaventura, è stato docente a Frisinga, Bonn, Muenster, Tubinga e Ratisbona. E’ stato esperto al Concilio Vaticano II. Nel 1977 Paolo VI lo ha nominato arcivescovo di Monaco e il 27 giugno lo ha creato cardinale. Il suo motto episcopale è stato «Collaboratore della verità». Ha partecipato ai conclavi che nel 1978 hanno eletto Papa Luciani e Papa Wojtyla. Nel 1981 Giovanni Paolo II lo ha nominato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. E’ stato presidente della commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa cattolica, vice decano e poi decano dei cardinali. E’ stato eletto Papa il 19 aprile del 2005. Ora, a sorpresa, è arrivata la sua decisione di lasciare il Pontificato.

Monsignor Loris Capovilla

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PUBBLICAZ IONI

I MONASTERI: UN UNIVERSO DI PACE A DUE PASSI DA CASA Sono presentati nel volume di Giorgio Boatti intitolato: «Sulle strade del silenzio»

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n un tempo segnato da frastuono e disordine, lo scrittore Giorgio Boatti si è incamminato «Sulle strade del silenzio», raccontando il suo «Viaggio per monasteri d’Italia e spaesati dintorni» (Laterza, pagine 336, euro 18): «Migliaia di chilometri – dice l’autore – su e giù per tutta la Penisola, prima tappa in Liguria, poi via via fino alla Calabria, alla Puglia, all’Irpinia. Da Montecassino a Bose, da Camaldoli a Subiaco, dall’abbazia di Noci, nella Murgia pugliese, ai contrafforti di Serra San Bruno in Calabria, da Praglia fino alla badia del Goleto, sui crinali dell’Irpinia orientale». La presentazione del libro a Bergamo è stata sottolineata da un articolo di Vincenzo Guercio apparso su L’Eco, che riproponiamo ai nostri lettori. Boatti, la vita dei monaci ha ancora qualcosa da insegnarci? «La vita insegna a tutti coloro che hanno voglia di imparare. Anzi, a chi, magari senza saperlo, ha “bisogno” di imparare. Anche l’incontro con una comunità monastica può essere un passaggio per apprendere un modo nuovo di incontrare se stessi. E scoprire le risorse, anche spirituali, che abitano in noi». Bussare a un monastero non è un gesto un po’ fuori dal tempo? «Anch’io, all’inizio di questo mio viaggio, ero piuttosto scettico. E invece è accaduto: bussi e sei accolto. Ho incontrato personaggi eccezionali: “normalisti” diventati abati, laureate in medicina che hanno dismesso il camice per la tonaca, ufficiali antiguerriglia passati al servizio della Liturgia delle ore. Mi sono venute incontro atmosfere, capacità di attenzione ed ascolto, intuizioni su ciò che davvero è importante; tutte realtà che non pensavo potessero sopravvivere, con tanta

autenticità, accanto a noi. A poche centinaia di metri da un centro commerciale, dallo squallore di quartieri condannati all’emarginazione, dallo strepitio dei divismi e degli scandali». Chi sono gli ospiti che bussano a queste porte? «La regola benedettina prescrive che l’“ospite sia ricevuto come Cristo”: “poveri e pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile”. E oggi i poveri non sono solo coloro che non hanno casa o lavoro. Anche loro, certo. Ma i poveri sono, e siamo, i tanti che hanno smarrito la strada, stentano a trovare il significato del vivere per uno scopo che vada al di là dei soliti idoli proposti: successo, denaro, il riconoscimento immediato». Come si sente il mondo, da lì? Aggressivo, minaccioso, lontano? «Vicino e lontanissimo al tempo stesso. Sembrerà strano ma il silenzio di una cella può rendere liberi. La pace di un chiostro può regalare l’unità interiore smarrita. L’armonia di una preghiera o di una meditazione scalda di quella gioia che nessun riconoscimento o successo potrebbero mai donarci».

Uno scorcio esterno dell’abbazia di Montecassino

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PELLEGRINAGGI

«IN POLONIA ABBIAMO COLTO L’INTUIZIONE DI RONCALLI» Il vescovo di Bergamo fa riferimento all’apertura data al mondo attraverso il Concilio

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l vescovo di Bergamo Francesco Beschi è soddisfatto in maniera profonda per il pellegrinaggio nella terra polacca che è stato organizzato nella scorsa estate. Un bilancio dell’evento si trae dall’articolo di Paolo Aresi, successivamente pubblicato su L’Eco di Bergamo, dove il giornalista pone alcune domande al vescovo. E’ stato il pellegrinaggio nella terra dove suor Faustina Kowalska ha promosso la devozione a Gesù misericordioso. A pochi chilometri di distanza, due anni dopo la morte di suor Faustina, i nazisti organizzarono il campo di sterminio di Auschwitz. «E’ stato un pellegrinaggio ricco di spunti, di momenti forti di riflessione, di contemplazione, di preghiera. Anche perché questa è una terra ricca di contrasti che la ragione dell’uomo fatica a spiegare, che ci porta a dire che la vita e la fede sono realtà di una portata, di una profondità enormi che non si possono ricondurre a categorie semplici se non rischiando

una banalizzazione. Io penso che certe realtà, certi accadimenti ci facciano considerare la complessità della vita umana. E ci debbano fare pensare come la libertà e la pace non siano qualche cosa di scontato, mai, ma che siano una conquista di ogni giorno». In questi ultimi anni, anche nell’interno della Chiesa si moltiplicano visioni apocalittiche, messaggi molto pessimisti per il futuro. «Viviamo tempi di cambiamenti profondi, di incertezza e quindi si possono capire anche certe visioni negative. Penso si ricolleghino anche a un’esigenza di concretezza che è tipica dell’uomo, di bisogno di segni forti e tangibili, magari anche in opposizione al rischio di una eccessiva intellettualizzazione della fede». Nel pellegrinaggio abbiamo notato che esiste in effetti una forte, e magari sorprendente, continuità fra Papa Giovanni Paolo II, Paolo VI e Giovanni XXIII. «E’ vero, anche sorprendente. Per esempio la scoperta della devozione di Giovanni XXIII per la Madonna di Jasna Gora, il sapere che Angelo Roncalli nel santuario ha celebrato la Messa negli Anni Venti. Ma io direi che durante il pellegrinaggio abbiamo avuto la conferma della grande intuizione di Giovanni XXIII, la sua apertura al nuovo mondo, il bisogno di un nuovo linguaggio che parlasse all’uomo contemporaneo. I suoi successori, Paolo VI e Giovanni Paolo II, hanno continuato a percorrere questo solco». Ma da quegli anni a oggi le chiese si sono piuttosto svuotate. «Le chiese si svuotano in Occidente, ma i cattolici aumentano nel mondo. E anche da noi è vero, le chiese non sono più piene zeppe, ma la consapevolezza della fede cresce e sono molto seguiti riti che un tempo non si sentivano. Credo che l’intuizione di Giovanni XXIII e del Concilio vaticano siano state profetiche, provvidenziali».

Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi

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PERSONAGGI

RIONE ARGENTINO DEDICATO A UNA SUORA BERGAMASCA Nel Chaco, Rosita Della Torre si votò all’educazione in condizioni di estrema povertà

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Siate luce fra i vostri fratelli». Un messaggio di impegno lasciato dopo una vita di amorosa dedizione, che ora campeggia su un grande tabellone all’ingresso di un quartiere nel Chaco, in Argentina. Le autorità civili di General San Martín, popoloso centro della regione, hanno imposto il nome di «Madre Rosita Della Torre» a un barrio (quartiere) della cittadina, per ricordare colei che insieme ad altre due religiose diede vita nel 1954 alla missione delle Suore Orsoline di Gandino in Sud America. Su questo evento proponiamo il servizio di Giambattista Gherardi pubblicato su L’Eco di Bergamo. Madre Rosita Della Torre, al secolo Maria Francesca, era nata a Gandino (Bergamo) il 12 febbraio 1909, figlia di Giacomo e Rosa Caccia. Era la maggiore di quattro fratelli e nel 1916, a soli 7 anni, perse in un mese entrambi i genitori a causa della guerra. Maria Francesca fu accolta come allieva nel Collegio delle Suore Orsoline. Al termine dei suoi studi a 18 anni, decise di rimanere nell’Istituto e consacrare la sua vita al Signore. Terminata la formazione religiosa, continuò la preparazione professionale, operando come maestra d’Infanzia in varie case dell’Istituto. Oltre al compito di educatrice, per 5 anni ebbe l’incarico di coordinatrice delle scuole materne della Congregazione in provincia di Bergamo. Nel 1954, su richiesta dei sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, le Orsoline di Gandino decisero di aprire la prima missione in Argentina. Insieme a madre Rosita partirono, via mare da Genova, suor Patrizia Bonazzi e suor Cirilla Bertasa. Si stabilirono a El Zapallar, nella regione del Chaco, avviando da subito una scuola materna e una scuola di lavoro per le ragazze. Nel 1958 fu posta la prima pietra di un collegio. La missione si allargava e da Bergamo giunsero altre religiose. Nel 1963 venne acquistata una casa a Buenos Aires per il noviziato.

Nel 1967 si aggiunse l’impegno fra gli ammalati. Sorsero così altre case nell’immensa Pampa, a Buenos Aires, Cordoba e Formosa. Nel 2002 Madre Rosita, all’età di 93 anni, tornò a Gandino alla Casa Madre delle Orsoline insieme a suor Patrizia. «All’inizio, quando eravamo veramente povere – scrisse Madre Rosita – le signore del paese ci portavano dei viveri». Madre Rosita Della Torre morì a Gandino il 27 novembre 2004, nel giorno in cui a Gral San Martìn si celebra la festa di Nuestra Madre de la Medalla Milagrosa. Questa data, nel 2010, è stata scelta per l’intitolazione e per ricordare ogni anno la suora gandinese. Nel 2006 a Madre Rosita fu dedicato anche un salone della Scuola dell’Infanzia. In occasione dell’intitolazione del quartiere ha fatto ritorno in Argentina anche suor Cirilla Bertasa, che nel 1954 aveva solo 24 anni.

Foto di gruppo nel quartiere del Chaco, in Argentina, dedicato alla suora gandinese

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Scopo principale di questo organismo è quello di promuovere, di mantenere ed amplificare il messaggio di Papa Giovanni XXIII che racchiude una forte attualità così come rappresenta per l’intera umanità un progetto di costruttore all’insegna dell’amore e della pace. I soci fondatori del Comitato sono: Mons. Gianni Carzaniga in qualità di rappresentante delegato del vescovo di Bergamo, Monsignor Marino Bertocchi parroco di Sotto il Monte, padre Antonino Tagliabue curatore della pinacoteca Giovanna di Baccanello, suor Gervasia Asioli assistente volontaria nelle carceri, padre Vittorino Joannes al servizio del personale di Angelo Roncalli Nunzio Apostolico a Parigi. A sostegno delle iniziative dell’Associazione, informiamo i nostri lettori, devoti di papa Giovanni XXIII, della possibilità di celebrare Sante Messe per sè e per i propri cari:

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IL SUFFRAGIO PERPETUO

Per la celebrazione di una Santa Messa per i tuoi cari, vivi o defunti, inviare la richiesta e i dati all’Associazione Amici di Papa Giovanni. L’offerta è subordinata alla possibilità del richiedente.

Il “perpetuo suffragio” è un’opera che si propone di dare un aiuto spirituale ai defunti, di stabilire un legame di preghiera fra l’Associazione Amici di Papa Giovanni XXIII e i fedeli del papa della Bontà e di dare anche un aiuto materiale per promuovere le iniziative dell’Associazione. Il “perpetuo suffragio” consiste in Sante messe, che l’Associazione è tenuta a far celebrare per i suoi sostenitori. Si iscrivono i defunti o anche i viventi, a proprio vantaggio in vita e in morte. L’iscrizione può essere per un anno o in “perpetuo”.

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Sotto la protezione di Papa Giovanni

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