(Anno XXIX) Nuova serie - Anno 11 n. 4 - Luglio/Agosto 2012 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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Alla riscoperta di Roncalli attraverso l’anno della fede
Canterbury-Roma: un tragitto a piedi per ricordare Papa Giovanni
E’ stato accolto in una nuova sede il centro studi su Angelo Roncalli
Un corso per formare guide dei pellegrinaggi giovannei
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LUGLIO - AGOSTO 2012
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Sotto la protezione di Papa Giovanni
RICORDIAMO CHE PER RICEVERE UNO DEI SEGUENTI OMAGGI: CALENDARIO CON LA FOTOGRAFIA DEI BAMBINI, LA PERGAMENA PER IL BATTESIMO, LA PRIMA COMUNIONE, IL MATRIMONIO, E’ NECESSARIO INDICARE L’INDIRIZZO COMPLETO A CUI INVIARLO
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Papà Mauro e mamma Chiara affidano il loro piccolo ABEL alla protezione del Papa Buono
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I nonni Piera e Pietro affidano alla protezione di Papa Giovanni il nipotino Mattia
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MATTIA
Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:
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via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo
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ALLA RISCOPERTA DI RONCALLI ATTRAVERSO L’ANNO DELLA FEDE
A PIEDI DA CANTERBURY A ROMA IN OMAGGIO A PAPA GIOVANNI
ACCOLTO IN UNA NUOVA SEDE IL CENTRO STUDI SU RONCALLI
RONCALLI AI CUBANI: «VI PARLA IL VOSTRO PADRE DI ROMA»
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PELLEGRINAGGI GIOVANNEI: UN CORSO PER DIVENTARE GUIDA
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RONCALLI SOSTENNE L’ATTIVITÀ DELLE «VEDOVE CATTOLICHE»
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Alla riscoperta di Roncalli attraverso l’anno della fede
Canterbury-Roma: un tragitto a piedi per ricordare Papa Giovanni
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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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(Anno XXIX) Nuova serie - Anno 11 n. 4 - Luglio/Agosto 2012 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.
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E’ stato accolto in una nuova sede il centro studi su Angelo Roncalli
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INTENSI I DIALOGHI A BERGAMO FRA TONIOLO E L’AMICO RONCALLI
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Un corso per formare guide dei pellegrinaggi giovannei
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n. 4 bimestrale luglio/agosto
Direttore responsabile Claudio Gualdi
GIUSEPPE ROTA, ERA NOTO COME «IL PARROCO SANTO»
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IL VESCOVO FORESTI: «RICORDATE CHE IL BENE SI TROVA OVUNQUE»
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CATANIA E BERGAMO UNITE DALLA FESTA DI SANT’AGATA
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EDITRICE BERGAMASCA ISTITUTO EDITORIALE JOANNES Anno XXIX Direzione e Redazione via Madonna della Neve, 26/24 24121 Bergamo Tel. 035 3591 011 Fax 035 3591117 Redazione: mons. Gianni Carzaniga mons. Marino Bertocchi don Oliviero Giuliani Claudio Gualdi Pietro Vermigli Giulia Cortinovis Marta Gritti Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue Luna Gualdi Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini
Fotografie: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa Giovanni”, Archivio “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII”
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AVVENIMENTI
ALLA RISCOPERTA DI RONCALLI ATTRAVERSO L’ANNO DELLA FEDE L’apertura avverrà l’11 ottobre a Sotto il Monte in occasione dei 50 anni del Concilio
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nche la diocesi di Bergamo, come richiesto da Benedetto XVI, aprirà l’anno della fede e lo farà a partire dal prossimo 11 ottobre. Una data tutt’altro che casuale in quanto coinciderà con i cinquant’anni del Concilio. Ma anche il luogo appare significativo: l’evento infatti avverrà a Sotto il Monte, terra natale di Papa Giovanni. Da quel momento, inoltre, prenderà il via un itinerario di avvenimenti e memorie che porterà fino al 3 giugno del 2013, ovvero il cinquantesimo anniversario della morte di Angelo Roncalli. L’annuncio è stato fatto lo scorso 13 giugno dal vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, nel corso dell’assemblea dei preti che si è tenuta nell’auditorium del Seminario. In pratica l’evento coinciderà con un anno dedicato alla riscoperta dell’eredità spirituale di Papa Giovanni. Una valorizzazione che sarà possibile
attuare grazie all’impegno della diocesi, al lavoro della parrocchia di Sotto il Monte e a quello della Fondazione Papa Giovanni XXIII, ma anche grazie al prezioso contributo dell’arcivescovo Loris Capovilla, segretario particolare del Papa, il quale, nonostante sia ormai prossimo al secolo di vita, continua il suo quotidiano impegno per tenere viva la memoria del Pontefice bergamasco. A indire l’anno della fede è stato Papa Benedetto XVI che ha scritto: «Anche ai nostri giorni la fede è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare». Poiché Giovanni XXIII ha contribuito in maniera decisiva al cambiamento della Chiesa, non poteva essere scelta una data migliore per sancirne la partenza. Fu proprio lui, infatti, a ideare il Concilio Ecumenico Vaticano II che venne aperto l’11 ottobre del 1962. «Riscoprire Papa Giovanni – ha detto il vescovo Beschi – vuol dire intraprendere un ideale viaggio nella sua spiritualità e nelle sue radici. Quindi valorizzare Sotto il Monte, anche attraverso una serie di pellegrinaggi organizzati dalle parrocchie del territorio». All’assemblea del clero che si è tenuta a metà giugno ha preso parte anche don Claudio Dolcini, parroco di Sotto il Monte, che ringraziando il vescovo per questa occasione concessa ha individuato già alcune iniziative, orientate a valorizzare la figura di Roncalli, che potranno essere attuate durante l’anno della fede. «La parrocchia di Sotto il Monte – ha detto don Dolcini – con la collaborazione della Fondazione Papa Giovanni XXIII, ha abbozzato un progetto ampio, corredato da diverse proposte. Considerata la vicinanza di due importanti anniversari, alcune dovranno vedere la luce molto presto, mentre altre potranno essere realizzate in un periodo più lungo, nella consapevolezza che comunque non ci si fermerà al cinquantesimo anniversario». Senza perdere di vista l’obiettivo di poter offrire una
Quello che prenderà il via l’11 ottobre sarà un anno dedicato alla riscoperta di Papa Roncalli
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proposta ampia finalizzata alla conoscenza di Papa Giovanni, don Claudio ha poi elencato una serie di interventi ipotizzati, primo fra tutti uno spazio adeguato per l’accoglienza. «Esiste una casa del pellegrino – ha detto – ma questa struttura mostra con evidenza i segni del tempo. Un suo restauro potrà permettere ai pellegrini di essere accolti dalle guide che la Fondazione sta appositamente formando». E’ dunque prevista la sistemazione di due luoghi di devozione, la Via Crucis vicina alla chiesa parrocchiale e la via del Rosario che sorge sugli ottocento metri che separano la chiesa di Brusicco, dove Angelo Roncalli venne battezzato, dal santuario della Madonna delle Caneve, ai piedi del bosco. Inoltre verranno valorizzati anche due percorsi che hanno contrassegnato la vita e soprattutto i periodici ritorni a Sotto il Monte di Papa Giovanni: la sua casa natale con il museo di cui se ne stanno occupando i missionari del Pime e la casa-museo di Ca’ Maitino, la residenza dove il vescovo Roncalli trascorreva le sue estati. Un altro percorso, inoltre, sarà riservato alla «spiritualità giovannea». Si tratta del sentiero che dalla parrocchia sale verso il colle di San Giovanni con la relativa chiesa, luogo che fu particolarmente caro a Papa Giovanni. E’ infine prevista anche la sistemazione della cripta che si trova sotto la cappella della pace, a fianco della chiesa parrocchiale. «Diventerà
La chiesa di S. Maria in Brusicco
– ha detto a tale proposito don Claudio Dolcini – il luogo intimo dell’incontro, silenzioso e personale, con Papa Giovanni». A margine di queste iniziative è in corso di creazione un’apposita segreteria dei pellegrinaggi a Sotto il Monte, un numero di telefono dedicato e un sito internet da poter consultare. Luna Gualdi
Sotto il Monte ha accolto il terzo ordine francescano Oltre un migliaio i ministri e le ministre dell’Ordine Francescano Secolare (Ofs) della fraternità della Lombardia che il 15 aprile scorso si sono dati appuntamento a Sotto il Monte per il ritrovo annuale del «Capitolo delle stuoie». La scelta di ritrovarsi nel paese natale di Papa Giovanni XXIII, anche lui dell’ordine terziario francescano, è stata fatta dalla fraternità regionale per la ricorrenza del 50° del Concilio Vaticano II. L’incontro è avvenuto nel Palatenda, accanto alla chiesa di Santa Maria in via
Saverio Roncalli. Alle 9 c’è stata l’accoglienza di tutti i ministri e le ministre, ma anche dei gruppi familiari che sono aarrivati con i bambini; alle 9,30 è iniziata la celebrazione delle lodi, seguita dal saluto del ministro regionale Lorenzo Verri; dalle 10 alle 11,20 si è tenuta l’assemblea con gli interventi dei relatori e le testimonianze, introdotti dal frate padre Luigi Cavagna, cappellano dell’Università Cattolica del sacro Cuore di Milano. Alle 12,15un momento di fraternità e condivisione del pranzo a sacco.
Nel pomeriggio, dalle 14 alle 15,15, ci sono state le conclusioni dei lavori e alle 15,30 la celebrazione della Messa con il cardinale Dionigi Tettamanzi. «Il Capitolo delle stuoie dell’Ordine Francescano Secolare della Lombardia – ha spiegato Mirella Seguini, ministra dell’Ofs dell’Isola bergamasca – ricorda il primo capitolo convocato da San Francesco nel 1221. E’ un appuntamento annuale che vuole essere una profonda esperienza di fede e di fraternità». Il tema trattato è stato «La famiglia».
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INIZ IATIVE
A PIEDI DA CANTERBURY A ROMA IN OMAGGIO A PAPA GIOVANNI I due bergamaschi raggiungeranno la capitale dopo aver percorso 1.800 chilometri
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n cammino lungo oltre 1.800 chilometri, sulle strade antiche dei pellegrini, con il pensiero rivolto a Papa Giovanni XXIII, alla sua causa di santificazione e al 50° anniversario dell’avvio del Concilio Vaticano II. A percorrere da Canterbury a Roma, un passo dietro l’altro, la via Francigena, «disegnata» più di mille anni fa dall’arcivescovo Sigerico, sono due bergamaschi: Ugo Ghilardi e Manuel Ardenghi, entrambi di Nembro, Comune della Valle Seriana. Agli appassionati di montagna i nomi potrebbero dire qualcosa. I due, rispettivamente di 55 e 35 anni, infatti, sono già stati protagonisti di un’impresa di quelle da consumare le suole: la traversata a piedi delle Alpi, da Ventimiglia all’Adriatico, che nell’estate 2010 li ha impegnati per 69 giorni esatti. E vogliamo parlare dell’anno dopo? La coppia di amici ha attraversato l’Italia in bicicletta, in occasione dei 150 anni dell’Unità, toccando tutte le province italiane e 150 Comuni.
Ora è arrivata la terza impresa: sono partiti il 22 maggio scorso da Canterbury. «Con questa nuova iniziativa a valenza religiosa e spirituale – raccontano i due – come segno di riconoscenza e gratitudine vogliamo ora porre l’attenzione sulla causa di santificazione del Papa buono bergamasco, cercando così di sostenerla con l’auspicio che il prossimo anno, in occasione del 50° anniversario della sua morte, possa trovare felice e definitivo compimento». Quindi via, gambe (con zaino e tenda) in spalla, per un tragitto che richiederà circa una settantina di giorni. Primo sostenitore dell’avventura è stato monsignor Loris Capovilla, che fu segretario particolare di Papa Giovanni XXIII e che, all’età di 97 anni, vive a Sotto il Monte, paese natale del Pontefice: è anche grazie al suo intervento che Ugo e Manuel hanno ottenuto le «credenziali del pellegrino». Ovvero, una sorta di carta d’identità che attesta le tappe e lo scopo del viaggio, e che potrà essere loro utile anche, per esempio, per avere accesso alle strutture che ospitano i pellegrini. L’iniziativa dei due bergamaschi è stata presentata nel dettaglio martedì 8 maggio attraverso una conferenza stampa tenuta al Pirellone: con loro sono intervenuti il vicepresidente del Consiglio regionale, Carlo Saffioti, e Paolo Valoti, past president del Cai di Bergamo, che ha dato il suo patrocinio all’iniziativa. «Il Consiglio regionale della Lombardia ha patrocinato un progetto che dal 27 maggio al 21 dicembre coinvolgerà i tratti lombardi della via Francigena e delle vie storiche ad essa collegate, con numerosi eventi e iniziative culturali e con interventi di miglioria della segnaletica e dei servizi – ha spiegato Saffioti – e l’iniziativa di Ugo e Manuel completa nel modo migliore questo progetto. Ma soprattutto è un modo importante di riproporci l’insegnamento sempre attuale di Papa Giovanni XXIII, evidenziando
Manuel Ardenghi e Ugo Ghilardi con le magliette raffiguranti il volto di Papa Giovanni
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come un’Europa oggi così tormentata possa trovare nella sua storia e nelle sue radici, pur tra conflitti e divisioni, irrinunciabili elementi unificanti». «Siamo in cassa integrazione da tre anni – dicono i due – ma non ci siamo persi d’animo, non abbiamo mollato. Si vive al risparmio, con settecento euro al mese. Ci siamo detti che potevamo approfittare in diversi modi del tempo libero e così abbiamo pensato di fare qualcosa che avevamo sempre sognato: camminare, andare in bicicletta. Dopo simili esperienze fatte in precedenza, adesso abbiamo deciso di affrontare la via Francigena, il grande pellegrinaggio da Canterbury a Roma, mille e ottocento chilometri di cammino». Prima della partenza hanno fatto una tappa al quotidiano L’Eco di Bergamo e mostrato le magliette che hanno preparato, bianche con il volto di Papa Giovanni XXIII. Ha detto Ugo: «Questo è un cammino di fede, è un pellegrinaggio. Noi lo facciamo nel nome di Papa Giovanni perché è il Papa bergamasco, perché è il Papa che ha spalancato le sue braccia e le porte di San Pietro all’umanità. E perché questo è l’anniversario del Concilio Vaticano Secondo. Ne abbiamo parlato con monsignor Loris Capovilla che è rimasto entusiasta dell’idea e ci ha fornito le sue credenziali che presenteremo nelle parrocchie e nei conventi». Ugo Ghilardi ha 55 anni ed è di Lonno (Bergamo), è sposato con Marilisa, ha due figlie, Rossana e Alessandra, che sono grandi. Marilisa lavora e garantisce il bilancio della famiglia. Manuel Ardenghi, 35 anni, vive a Nembro (Bergamo) con la famiglia. «Vivere con 700 euro al mese – dice – non è gratificante, non entusiasma, ma non bisogna abbattersi, bisogna cercare di scoprire altre prospettive nella vita. Il nostro viaggio è patrocinato dal Cai di Bergamo, ma non è sponsorizzato, non abbiamo contributi. Cammineremo come pellegrini, mangiando in maniera frugale, chiedendo ospitalità, dormendo nei fienili o montando la tendina dove capita». La prima tappa dei due a piedi ha coperto il tragitto da Canterbury a Dover, trenta chilometri. Poi il traghetto, uno sguardo alle bianche scogliere e sono approdati a Calais. Raccontano: «Il percorso prevede di attraversare la Francia, poi la Svizzera, il Vallese,
L’arrivo a Bergamo della coppia dopo l’impresa dello scorso anno in bicicletta
quindi di passare in Italia dal Gran San Bernardo. Quindi scenderemo a Vercelli, no, non è previsto un passaggio per Bergamo... Quindi si scende per Pavia, Piacenza, la Cisa, Sarzana, Lucca, Siena, Bolsena...». I due amici stanno percorrendo trenta chilometri al giorno, portando ciascuno uno zaino da venti chili. «Ciascuna giornata – hanno detto prima della partenza – comincerà alle 6.30; bisogna camminare con il fresco, faremo colazione con latte e caffè liofilizzato, abbiamo il fornellino per scaldarlo. Poi in cammino. In viaggio mangeremo qualche panino e alla sera faremo un pasto completo». «Le passate esperienze – ha aggiunto Ugo Ghilardi – ci hanno insegnato che camminare o pedalare è tutta un’altra cosa. Significa immergersi nei luoghi, non è come andare in macchina, perché ti imbatti in realtà che non ti immagini, che non vedi in televisione e non leggi sui giornali. Senti gli odori, ti fermi, vedi particolari, parli con la gente». 7
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AVVENIMENTI
ACCOLTO IN UNA NUOVA SEDE IL CENTRO STUDI SU RONCALLI Trasferito dal Seminario a palazzo Morando. In programma una serie di iniziative
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a nuova sede è nel palazzo dei Morando, palazzo del Cinquecento, fra i più antichi di Città Alta a Bergamo. Dentro, quadri antichi e colori squillanti, serramenti dell’Ottocento e armadi bianchi di materiali moderni. Così inizia l’articolo a firma di Paolo Aresi apparso a fine maggio su L’Eco di Bergamo. Il servizio poi prosegue proponendo una dichiarazione di don Ezio Bolis, direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII: «Abbiamo cercato di dare un’immagine di questi locali che fosse in linea con il pensiero di Papa Giovanni: piedi radicati
nella tradizione e lo sguardo puntato sul futuro, così nella ristrutturazione abbiamo rispettato l’identità del palazzo, ma allo stesso tempo inserito degli elementi di modernità nelle luci, nei colori delle pareti, nell’arredo. Vogliamo che la nuova sede della Fondazione sia un laboratorio attivo, non semplicemente un archivio, un deposito di memoria. Questa è la base fondamentale, ma poi vogliamo andare avanti, elaborare idee, iniziative, fare in modo che il patrimonio della tradizione di Giovanni XXIII dia frutto». Non soltanto memoria La Fondazione si è trasferita di recente nei nuovi uffici di palazzo Morando, in via Arena 26, appena prima del Seminario. L’idea di un ente che mantenesse viva la memoria di Papa Giovanni e che sviluppasse la sua eredità spirituale e culturale risale al 1993, quando il vescovo Amadei e il vicepostulatore della causa di beatificazione di Roncalli, monsignor Mario Benigni, decisero di dare vita a un centro studi. Nel 1995 venne inaugurata la prima sede del centro, nella biblioteca del Seminario. Da quel momento si cominciò a raccogliere libri, oggetti, documenti, corrispondenza del sacerdote bergamasco che divenne Pontefice nel 1958. Gran parte del patrimonio di scritti e di memoria, ma anche di immagini, era custodito dal segretario particolare di Giovanni XXIII, l’arcivescovo monsignor Loris Capovilla, che oggi ha 97 anni e vive a Camaitino, a Sotto il Monte, nella casa-museo di Giovanni XXIII. Monsignor Capovilla gradualmente consegnò al centro studi il materiale del Pontefice. La Fondazione vera e propria venne costituita il 29 marzo 2000, poco prima della beatificazione del Papa. Attualmente la Fondazione è guidata da un consiglio di amministrazione di cui è presidente Marco Roncalli, giornalista, pronipote del Papa. Il direttore è don Ezio Bolis, docente alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale.
Don Ezio Bolis, direttore della Fondazione
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Esiste anche un comitato scientifico di cui è presidente monsignor Goffredo Zanchi, docente in Seminario. Dice don Ezio: «Il comitato scientifico è il motore, il cuore culturale della Fondazione. Le idee per celebrare questo cinquantesimo anniversario dell’avvio del Concilio vengono dal comitato. In particolare faremo una mostra a fine settembre sul ruolo di Papa Giovanni nel Concilio, abbiamo scelto un luogo laico, lo Spazio Viterbi nel palazzo della Provincia, in via Tasso. Ci saranno documenti autografi del Papa inerenti il Concilio, documenti che testimoniano l’impegno strenuo di Giovanni XXIII per realizzare un Concilio che fosse una svolta autentica per la Chiesa, un’espressione vera della Chiesa universale e non semplicemente la ratifica di documenti preparati dalle congregazioni vaticane. Questo sforzo del Papa è documentato per esempio dal carteggio con il cardinal Suenens di Bruxelles che rappresentava un po’ i vescovi del Nord. Ci saranno lettere, immagini, video, messaggi radiofonici, una sala con i disegni di Scorzelli sul Concilio, gigantografie di foto inedite del Papa sempre fatte in quel contesto. E organizzeremo un evento con Bergamo Scienza: il ruolo del Concilio Vaticano II nell’apertura della Chiesa alla scienza».
L’ingresso con un cartello che indica la nuova sede
Rai che ha lasciato alla Fondazione la sua eredità. Schepis nel 1959 chiese al Papa di potere filmare i diversi momenti della vita quotidiana del Pontefice. Era una richiesta azzardata, ma Papa Giovanni si disse disponibile. Ne nacque un filmato memorabile: “Una giornata del Papa”. Schepis rimase per sempre devoto a Giovanni XXIII». Informazioni e programmi Per quanti fossero interessati è possibile entrare in contatto con la Fondazione cliccando su www.fondazionepapagiovannixxiii.it. Il sito contiene un’articolata biografia del Papa bergamasco, una cronologia della sua vita, una bibliografia, la possibilità di leggere e di proporre riflessioni e preghiere. Accanto, le notizie sulla Fondazione e sulle sue attività nonché gli indirizzi per contattarla a cominciare dal telefono (035-4284103).
Il prossimo convegno Ma la Fondazione ha già programmato anche un convegno per l’aprile del 2013 insieme all’Istituto Paolo VI a cinquant’anni dalla morte di Giovanni XXIII e dall’elezione di Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI. Interverranno personalità del calibro del cardinal Kasper e del gesuita O’Malley. Continua don Ezio: «I compiti della Fondazione sono di conservare la memoria, di valorizzarla e di divulgarla. Abbiamo avviato la collaborazione con la nostra università, con il Seminario, con l’Istituto Paolo VI di Brescia, con la parrocchia di Sotto il Monte. Ci apriremo anche ad altri contributi e collaborazioni». Collaborazione, sinergia. Papa Giovanni che torna nella sua terra perché il suo sentimento, le sue idee, il suo spirito possano continuare a vivere. Continua don Ezio: «Dobbiamo ringraziare le suore Figlie di S. Angela Merici per averci dato lo spazio nel loro palazzo. Importante è stata la decisione dell’ingegner Franco Schepis, uno dei primi caporedattori della
La cappella all’interno della Fondazione
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AV V ENIMENTI
RONCALLI AI CUBANI: «VI PARLA IL VOSTRO PADRE DI ROMA» Il 29 novembre del 1959 gli altoparlanti diffusero la voce di Papa Giovanni all’Avana
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Mettiamo tutta Cuba, ai piedi della sua amata patrona, Vergine della Carità del Cobre, perché regni il suo amore nell’anima di ogni cubano, perché benedica le loro case, perché brillino giorni senza nubi di pace e tranquillità in questa amata isola». E’ il 29 novembre 1959 quando queste parole irrompono in Plaza de la Revolución. Gli altoparlanti diffondono un discorso in castigliano, ma l’inflessione ricorda il bergamasco. Il messaggio arriva nelle case attraverso i microfoni della Federazione dei trasmettitori di Cuba. Su questo evento proponiamo un servizio a firma di Emanuele Roncalli, pronipote del Pontefice bergamasco, pubblicato su L’Eco di Bergamo a fine marzo.
Un momento storico critico E’ la voce di Giovanni XXIII che arriva al termine della prima Messa celebrata in quella stessa piazza dove di recente Benedetto XVI ha concluso il suo viaggio. Fu dunque Roncalli il primo Pontefice a portare la sua viva voce fra il pueblo dell’isola. Un episodio che Cubadebate – la «voce» di Fidel, sito governativo – ha ricordato per sottolineare l’importanza della Chiesa cattolica e il ruolo del Papa bergamasco in un momento storico critico. Come armi, usò il dialogo Giovanni XXIII entrò nel cuore dell’isola con un celebre radiomessaggio ai cattolici cubani che si erano riuniti all’Avana per il Congresso cattolico nazionale e per l’Assemblea generale dell’Apostolato cattolico. «Quella fu la prima Messa in Plaza de la Revolución» dice l’opinionista del sito Eugenio Suárez Pérez. La solenne liturgia venne celebrata da monsignor Perez Serantes, vi presenziarono i vescovi insieme alla Direzione della rivoluzione. Fu insomma il primo incontro fra Chiesa e rivoluzione, e in quel momento Papa Roncalli usò ancora le armi del dialogo. «Vi parla il vostro Padre di Roma – fu l’esordio – in ogni nostra parola, abbiamo messo una nota di particolare affetto per riempire i vostri cuori con l’amore per Cristo». E più avanti l’esortazione alla «misericordia, bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza», «sopportandovi a vicenda e perdonandovi, se si ha motivo di lamentarsi contro l’altro». Dolore e sofferenza La faccia del mondo – continuò Papa Roncalli – potrebbe essere cambiata con la vera carità, «se il cristiano si lega al dolore, alla sofferenza dello sven-
Papa Giovanni XXIII mentre legge un radiomessaggio: quello per Cuba è del 29 novembre 1959
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turato, va alla ricerca della salvezza». «La generosità – aggiunse – non è facoltativa ma un dovere, che è sempre un nuovo modo per testare l’amore che scorre dentro l’anima». Quindi uno sguardo alla società umana e all’ordine sociale che impongono «amicizia, stima, rispetto reciproco, un atteggiamento interiore, un dialogo continuo, senza distinzione di perdono, di riconciliazione da ricostruire, di giorno in giorno e ora per ora, sulle rovine di egoismo e incomprensione». Se l’odio ha portato i frutti amari della morte – fu la conclusione –, occorre riaccendere l’amore cristiano per «smussare molti spigoli, superando pericoli tremendi e addolcire tanta sofferenza». Semi di speranza Queste parole non passarono di certo inascoltate fra gli esponenti della Direzione della rivoluzione presenti nella piazza. E per alcuni furono semi di speranza per il futuro che poi si concretizzarono – per esempio – con la nomina di monsignor Cesare Zacchi, incaricato d’affari della Santa Sede dal 1962 al 1974, a nunzio apostolico, ruolo che svolse con saggezza, inserendosi molto positivamente nella società cubana. Nel 1986 l’Incontro nazionale ecclesiale cubano della Chiesa cattolica fece uscire la Chiesa cubana dalle sagrestie. Il resto è storia recente come le visite degli ultimi due Pontefici.
Un’altra immagine di Papa Giovanni mentre si rivolge ai fedeli
mo posto la persona, la gente dell’isola. Nonostante ciò, la Chiesa più influente a Cuba resta quella cattolica, che nelle sue fondamenta ha radicato un forte culto mariano. Secondo la tradizione nel 1612, dopo un uragano, tre operai trovarono nella Baia Nipe una statuetta che galleggiava nell’Oceano, posta su una tavola, dove una scritta recitava: «Io sono la Vergine della Carità». E’ divenuta l’immagine simbolo del popolo cubano, celebrata da Giovanni XXIII, proclamata patrona di Cuba da Benedetto XV. E ora invocata da Benedetto XVI che l’ha definita «un regalo del Cielo per i cubani».
Al primo posto la persona Non va poi dimenticato che ogni viaggio papale a Cuba è stato programmato certamente con le autorità locali, ma il Pontefice ha sempre messo al pri-
Don Angelo, 100 anni e trentamila Messe celebrate E’ una storia lunga un secolo quella che ha accompagnato don Angelo Cattaneo alla celebrazione del suo 75° di sacerdozio, festeggiato con la Messa nella parrocchiale di Almé (Bergamo), il paese in cui vive da 50 anni. Con 100 primavere sulle spalle, don Angelo è il più anziano degli 830 preti della diocesi bergamasca e il 22 maggio
ha concelebrato con mons. Davide Pelucchi – vicario generale – la Messa numero 30 mila della sua carriera. Era il 5 novembre 1925 quando don Angelo entrò nel Seminario Minore di Bergamo. «Dopo anni di preparazione – racconta – venni ordinato sacerdote il 22 maggio del ‘37». Seguì una carriera che fece anche da spartiacque
nella storia della religione cattolica con la convocazione del Concilio, che sancì il passaggio dalla Messa in latino all’odierna celebrazione. «I primi 25 anni li trascorsi recitando Messe in una lingua che era difficilmente comprensibile a molti dei fedeli». L’altro mezzo secolo di sacerdozio lo ha trascorso nella sua attuale parrocchia, ad Almé.
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AV V ENIMENTI
C’ERA ANCHE FIDEL CASTRO IN PIAZZA NEL ’59 PER IL PAPA Era tra la folla all’Avana quando gli altoparlanti diffusero la voce di Giovanni XXIII
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’era anche un giovane Fidel, trentaduenne, nella piazza della Rivoluzione all’Avana, quel 29 novembre 1959, quando gli altoparlanti diffusero la voce di Giovanni XXIII, che salutava i partecipanti al Congresso cattolico e i fedeli che avevano seguito la prima Messa nel cuore della capitale. Basco in testa, casacca verde oliva, barba e baffi folti, sguardo attento – ricordano testimoni e studiosi dell’epoca –, Castro era attorniato da comandanti ribelli che dopo anni di lotta armata erano riusciti a rovesciare Batista. Questo l’inizio dell’articolo di Emanuele Roncalli pubblicato su L’Eco di Bergamo lo scorso 30 marzo, che poi così continua. E’ un nuovo tassello che va ad aggiungersi alla ricostruzione di quella giornata riproposta su www. cubadebate.cu (la voce di Fidel, sito del governo castrista), da Eugenio Suárez, direttore dell’Archivio storico del Consiglio di Stato, e rilanciata ieri dalle pagine de «L’Eco di Bergamo». Proprio da uno scambio di e-mail tra chi scrive e l’autore dell’articolo ha provocato reazioni e com-
menti. Un messaggio di ringraziamento per l’attenzione del quotidiano on line nell’aver rievocato il radiomessaggio di Giovanni XXIII è stata la scintilla che ha alimentato appassionati ricordi di tanti cubani, che testimoniano quanto sia ancora viva la memoria del Papa bergamasco. A 53 anni di distanza, là dove mercoledì 28 marzo Benedetto XVI ha concluso il suo viaggio e dove il 25 gennaio 1998 Giovanni Paolo II presiedette una Messa, c’è ancora chi vuol risentire la voce del Papa di Sotto il Monte che rimbombava nella piazza, in qualche barrio o fumosa rhumeria della capitale e dell’isola, attraverso le onde della «Radio Vaticana». L’evento che ormai sembrava dimenticato, «La primera Misa en la plaza de la Revolución», come scrive Suárez, ha insomma suscitato nuove emozioni. Abel Sosa Martinez, uno dei lettori del sito cubano, ha commentato: «C’è un aneddoto raccontato dall’ambasciatore Raul Roa Kouri, in un suo libro, che rievoca il passato del padre, Raúl Roa García, ministro degli Affari esteri e un’udienza in Vaticano da Giovanni XXIII. Dopo il colloquio, il Papa gli rivolse queste ultime parole: “Coraggio, coraggio, dite a Cuba, a mio “figlio” Fidel, che il Papa a Roma prega per lui”. Non sappiamo se abbiano inteso i cubani cosa intendesse dire Roncalli con quel “figlio” e se l’avesse veramente pronunciato, in ogni caso sono parole che hanno squarciato l’animo dei cubani, conquistati dal Papa bergamasco». «E’ una storia molto bella, che non conoscevamo – gli ha fatto eco Ruben –. E’ opportuno divulgarla». «Giovanni XXIII è stato forse il Papa più progressista della Chiesa negli ultimi cinquant’anni – aggiunge un lettore che si firma Ramadan –. Nel libro “Il papato, il ventesimo secolo” del giornalista sovietico Iosif Grigulevich la sua figura è molto apprezzata. Giovanni XXIII aveva seguito da vicino
Papa Giovanni mentre benedice la folla dalla loggia di San Pietro
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la riforma agraria, essendo di origine contadina, e probabilmente si identificava in quelle tesi». Ma da dove proviene questo sentimento di affetto così forte della popolazione cubana e più in generale dei Paesi dell’America Latina verso la figura di Papa Roncalli? Per trovare una risposta al nostro interrogativo occorre forse ripercorrere il pontificato giovanneo, costellato da radiomessaggi alle Americhe e timbrato da una devozione mariana, il cui culto è ben presente tanto nell’isola cubana, quanto in altre zone caraibiche. Fra il 1959 e il 1961 si contano oltre dieci radiomessaggi lanciati da Papa Roncalli nei Paesi del Centro e Sud America: Honduras, Argentina, Ecuador, Brasile, Costa Rica, Colombia, Paraguay, Nicaragua, Bolivia, Perù. Il 12 ottobre 1960, poi, il Papa proclamò la Madonna di Guadalupe (Messico) Madre delle Americhe. E proprio lo scorso 12 dicembre il Vaticano ha composto una preghiera alla Vergine di Guadalupe con un testo ispirato dalle parole di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Più vicino a noi, vi sono altre testimonianze del legame fra Papa Roncalli e le genti delle Americhe. Basta recarsi a Sotto il Monte, a Camaitino, la casa museo che raccoglie le memorie del Pontefice. In mezzo a tanti doni raccolti in teche e vetrine spiccano gli omaggi di uomini di Stato, come Francisco
Il giovane Fidel Castro con due guerrigliere nel 1958: l’anno dopo anche lui era nella piazza all’Avana ad ascoltare il messaggio di Giovanni XXIII
Orlich, presidente del Costa Rica che, ricevuto in udienza il 18 marzo 1962, lasciò un’anfora precolombiana; oppure le foto in bianco e nero di speciali incontri come la visita, il 22 novembre 1960, di Manuel Prado, presidente del Perù; o altre più semplici come quella insolita scultura composta da quattro corni dalla Martinica che raffigurano due uccelli; una chitarra con corazza di armadillo regalata da boliviani. Testimonianza di un’originalità e semplicità unica. Come i caratteri di quella gente che dopo mezzo secolo si commuove ancora al nome di Giovanni XXIII.
A Betlemme sulle orme di Papa Giovanni XXIII «Il ritorno di Pietro alle sorgenti» è il titolo del libro che don Mario Mangili ha scritto e che ha proposto ai bergamaschi anche durante il pellegrinaggio diocesano del luglio dello scorso anno. In Terra Santa, il libro è stato presentato nella basilica di S. Caterina, accanto alla grotta della Natività, a Betlemme. Don Mario Mangili, da dieci anni animatore pastorale del Centro diocesano pellegrini di Bergamo, ha spiegato che l’intento del libro è semplice, «raccontare tre Papi pellegrini nella Terra di Cristo, guidati da don Angelo
Giuseppe Roncalli, futuro beato Papa Giovanni XXIII». I tre Papi del pellegrinaggio sono Paolo VI nel 1964, Giovanni Paolo II nel 2000 e Benedetto XVI nel 2009. Angelo Giuseppe Roncalli da Papa non andò in Terra Santa, ma in quei luoghi arrivò nel settembre del 1906 accanto al suo vescovo, Radini Tedeschi, nel corso del pellegrinaggio nazionale. Non era un viaggio facile, i pellegrini rimasero per un mese lontani da casa. Angelo Roncalli restò profondamente colpito da quell’esperienza e scrisse dei resoconti del viaggio
per L’Eco di Bergamo (che vennero poi raccolti in un volumetto). Don Mario Mangili ha ripreso diversi brani di quel «reportage». Eccone uno: «Quando le nostre carrozze giungevano sopra Tiberiade, il sole tramontava dietro le nostre spalle. Ai nostri piedi le colline digradanti ove furono Korazim, Betsaida, Magdala. Come non sentire la poesia di tutti questi nomi, il richiamo potente di queste sacre memorie? Sulla sponda del lago medesimo i colli, i piccoli piani: ecco i luoghi benedetti dove Gesù ha insegnato la sua dottrina».
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INIZIATIV E
UN CORSO PER DIVENTARE GUIDA DEI PELLEGRINAGGI GIOVANNEI I partecipanti guideranno a ottobre i gruppi nei luoghi d’origine di Angelo Roncalli
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arantire un’adeguata formazione storicospirituale agli accompagnatori di pellegrinaggi sui luoghi giovannei a Sotto il Monte e in altre località bergamasche. A segnalare la cosa è un articolo di Carmelo Epis pubblicato a metà maggio su L’Eco di Bergamo e che riproponiamo ai nostri lettori. Questa prima meta influirà su un’altra: comunicare ai pellegrini la grande figura del Beato Papa Giovanni XXIII non in immagini oleografiche o in pii aneddoti, ma nella sua fisionomia storica, spirituale ed ecclesiale. Sono gli scopi del corso per accompagnatori di pellegrinaggi giovannei, sul tema «Sulle orme del Beato Papa Giovanni XXIII», che è stato proposto dalla Fondazione Papa Giovanni XXIII in collaborazione con la parrocchia di Sotto il Monte. L’iniziativa, da poco ultimata, è stata articolata in un ciclo di sette conferenze per far meglio conoscere la figura del Pontefice bergamasco, i periodi sto-
rici e i luoghi dove è nato, cresciuto e si è formato e gli aspetti del suo messaggio spirituale. Coordinata da don Ezio Bolis, direttore della Fondazione, l’iniziativa ha inteso rivolgersi a tutti, soprattutto ai giovani e alle persone interessate a svolgere un servizio di animazione spirituale e culturale. Gli iscritti sono risultati una quindicina. La Fondazione, tra l’altro, è sbarcata anche su Facebook. I pellegrinaggi guidati con questi accompagnatori inizieranno il prossimo ottobre. Due anniversari giovannei La proposta ha preso il via alla vigilia di due anniversari giovannei fondamentali: il 50° dell’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962) e il 50° della morte di Papa Roncalli (3 giugno 1963). «Il corso – sottolinea Valter Dadda, segretario della Fondazione – si pone nell’ottica di questi due eventi. Inoltre, è il segno di un rinnovato rilancio della Fondazione. Siamo convinti che questa iniziativa risponderà con successo alle esigenze di ogni categoria di persone, dai pellegrini ai devoti di Papa Giovanni». Ci sono anche altri progetti collegati ai luoghi giovannei, come mostre, pacchetti di iniziative e tappe in alcuni santuari bergamaschi frequentati dal futuro Pontefice. «Pensiamo di inserire appena possibile il santuario della Cornabusa – aggiunge Dadda – poi quello di Stezzano e altri luoghi». Un Papa Giovanni non scontato «Con i due anniversari giovannei – sottolinea monsignor Claudio Dolcini, parroco di Sotto il Monte – prevediamo un notevole aumento di pellegrini. Ecco quindi l’enorme valenza del corso di accompagnatori, dotati di competenze storiche e spirituali sulla figura e l’opera del Beato Papa Giovanni.
Papa Giovanni XXIII benedice il gonfalone del Comune di Sotto il Monte
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in iziative
Infatti, è necessario parlare ai pellegrini non di un Papa Giovanni scontato, con luoghi comuni o pii racconti, ma di un Papa Giovanni nella sua fisionomia storica, nel suo messaggio universale e nella sua grande fede. I pellegrinaggi, infatti, non devono limitarsi al viaggio, ma devono ravvivare la fede». Nel cammino sui luoghi giovannei saranno coinvolti l’Amministrazione comunale, l’arcivescovo Loris Francesco Capovilla, segretario di Angelo Giuseppe Roncalli fin dai tempi del patriarcato veneziano, e le suore delle Poverelle. Calendario incontri Questo il calendario e i temi degli incontri (il primo si è tenuto il 12 maggio, curato dal delegato vescovile monsignor Alberto Carrara, che ha parlato su «Il significato del pellegrinaggio sulle orme del Beato Papa Giovanni XXIII»), organizzati al sabato nella sede della Fondazione in via Arena 26 dalle 9,30 alle 12. L’incontro del 19 maggio ha avuto per tema: «La formazione umana e spirituale di Angelo Giuseppe Roncalli» (don Ezio Bolis). Il 26 maggio: «Le prime esperienze pastorali di don Angelo Giuseppe Roncalli» (Barbara Curtarelli). Il 9 giugno: «Il profilo ecclesiale di Papa Giovanni e il suo contributo al Concilio Vaticano II» (monsignor Goffredo Zanchi). Il 16 giugno: «Angelo Giuseppe Roncalli-Giovanni XXIII: uomo del dialogo e
La casa natale di Angelo Roncalli a Sotto il Monte
dell’ecumenismo» (Marco Roncalli). Gli appuntamenti successivi si sono tenuti nella parrocchia di Sotto il Monte, sempre di sabato, dalle 9,30 alle 12, e hanno avuto monsignor Claudio Dolcini come accompagnatore. Il 23 giugno: «Le radici di Papa Giovanni: la famiglia e la parrocchia di Sotto il Monte». Il 30 giugno. «I luoghi cari a Papa Giovanni». Info: segreteria@ fondazionepapagiovannixxiii.it, info@fondazionepapagiovannixxiii.it, tel. 035-286309, 035-4284103.
Addio a padre Ciserani, missionario e rettore a Sotto il Monte Lo chiamavano «il martelletto di Dio», per la sua volontà tenace. A lungo è stato missionario in Giappone e per sei anni rettore del Seminario del Pime (Pontificio istituto missioni estere) a Sotto il Monte. Padre Domenico Ciserani si è spento il 5 febbraio scorso a Rancio di Lecco, nella casa del suo istituto. Aveva 70 anni e da tempo era gravemente malato. Padre Ciserani nasce nel 1942 a San Colombano al Lambro (Lodi). Nell’adolescenza matura la vocazione missionaria, decidendo di
entrare nel Pime. Ordinato nel 1970, viene destinato alle missioni in Giappone, nella diocesi di Yokohama, in una parrocchia di 300 cattolici su 150.000 abitanti. Il suo primo impegno è la costruzione di un asilo. Dà un indirizzo nuovo alla pastorale, avviando contatti con le famiglie non cristiane, creando un’atmosfera di simpatia verso i cattolici. Nel 1982 rientra in Italia come rettore del Seminario Pime di Sotto il Monte. «Era chiamato “il martelletto di Dio” – ricorda padre Marco Pifferi, vicerettore durante
il rettorato di padre Ciserani e oggi superiore del Pime di Sotto il Monte – per la sua volontà tenace. Era l’umiltà incarnata ed è stato un grande missionario. Nel 1988 torna in Giappone, poi nel ‘90 viene inviato in Brasile. Nel ‘94 ancora Giappone, fino al rientro in Italia, nel 2005 per il primo manifestarsi della malattia. La salma è giunta il 6 febbraio nella casa del Pime a Sotto il Monte. Alle 14,30 si sono svolti funerali nella parrocchiale, quindi la sepoltura nel cimitero del Pime a Calco di Imbersago.
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P ER S ONA GGI
«UN ECCLESIASTICO RISPETTOSO DELLA STORIA E DELLA CULTURA» Così mons. Gianni Carzaniga ha definito il parroco Vistalli durante una conferenza
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on possedeva titoli accademici eppure divenne uomo colto e storico. Soprattutto, era un pastore d’anime instancabile, capace di dare gambe a progetti grandi, con un’ansia apostolica che faceva trasparire la passione del secolo in cui visse. E’ il ritratto di monsignor Francesco Vistalli, parroco di Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo, tracciato dal suo quarto successore monsignor Gianni Carzaniga durante la conferenza «Monsignor Francesco Vistalli: un ecclesiastico rispettoso della storia e della cultura». Sull’evento proponiamo la sintesi di un servizio, a firma di Carmelo Epis, apparso su L’Eco di Bergamo. L’incontro si è tenuto a metà maggio nella sede dell’Ateneo di Lettere e Arti, nel capoluogo orobico. Nato a Cornalba (Bergamo) il 18 gennaio 1877 e ordinato sacerdote il 23 luglio 1899, fu coadiutore parrocchiale di Piazzatorre (1899-1900) e di Sant’Alessandro della Croce (1900-1912), parroco di Chiuduno (1912-1939) e di Sant’Alessandro
in Colonna da quell’anno fino alla morte, sopraggiunta il 10 novembre 1951. Tratteggiando il ritratto del predecessore, monsignor Carzaniga si è avvalso di documenti, di studi precedenti come quello di monsignor Angelo Meli, priore di Santa Maria Maggiore (1952) e anche di due «fonti viventi» presenti all’incontro: lo storico Tarcisio Fornoni e Piera Vistalli, nipote del sacerdote. «Sono trascorsi sessant’anni dalla sua morte» ha esordito monsignor Carzaniga. «Lo storico Jemolo ha definito un secolo come la passione delle generazioni di un’epoca: questa definizione appartiene totalmente alla vita e all’opera di monsignor Vistalli». Ha tracciato la fisionomia di monsignor Vistalli sacerdote e umanista: «Bontà robusta e insieme fine, senso dell’amicizia, fede nell’ideale, cioè capacità di dare gambe a un grande progetto». Poi la lettura di una missiva di quando era coadiutore parrocchiale a Piazzatorre, indirizzata al vicerettore del Seminario, nella quale confida di essersi recato più volte, impiegando tre ore di cammino nel gelo invernale, a visitare il parroco di Santa Brigida gravemente infermo, facendosi anche accompagnare dal medico affinché potesse prestargli delle cure. «Questa lettera – ha rilevato monsignor Carzaniga – esprime bontà, amicizia vera e premura verso un confratello malato». Poi l’amicizia con Angelo Roncalli, il futuro Beato Papa Giovanni XXIII. Nei diari roncalliani sono annotate le visite al confratello. Nel 1937 Roncalli si recò a Chiuduno per rendere visita al «mio buon amico» don Vistalli, «bell’ingegno, coltissimo, brillante, anima retta sacerdotale». Altre visite nel 1943, nel ‘49 e nel ‘51. Il giorno della morte Roncalli scrisse: «Notizia triste» anche se purtroppo era attesa.
Monsignor Francesco Vistalli, parroco di Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo
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S OLIDA R IETÀ
RONCALLI SOSTENNE L’ATTIVITÀ DELLE «VEDOVE CATTOLICHE» L’Associazione, che ha la sede a Bergamo, si rivolge a persone sole e svantaggiate
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orti sono i vincoli, ma si può ben dire anche le origini, che legano l’Associazione Santa Francesca Romana Vedove Cattoliche Bergamasche a Papa Giovanni. Nel lontano 1926, infatti, l’allora don Angelo Roncalli ebbe un ruolo decisivo nel far nascere questo sodalizio. Egli incoraggiò un gruppo di vedove dell’Azione cattolica femminile affinché dessero vita all’iniziativa. Una riflessione in tal senso ci è giunta proprio dalle attuali coordinatrici: «Sarebbe opportuno valorizzare questo importante avvenimento che ha permesso alla nostra associazione di vivere con maggior consapevolezza la nostra vedovanza sentendoci ancora famiglia e dentro la vita della Chiesa, esprimendo in tal modo ancora una volta il nostro riconoscimento al nostro grande Papa». L’Associazione Santa Francesca Romana Vedove Cattoliche Bergamasche, laicale diocesana, è stata fondata il 9 marzo 1926. Ha aiutato migliaia di ragazze-madri ed ha creato una rete di solidarietà fra le persone vedove. Cura la formazione spirituale attraverso ritiri, esercizi, pellegrinaggi; organizza incontri culturali, ricreativi, di socializzazione. Sostiene progetti di promozione umana e religiosa nei Paesi in via di sviluppo, specialmente rivolti alle donne e ai bambini; raggiunge circa 7.500 aderenti in 140 realtà della diocesi bergamasca; fa parte del coordinamento nazionale delle associazioni vedovili e dell’associazione nazionale «Il Melograno» per i diritti civili della persona vedova. E’ nella Consulta delle politiche familiari del Comune di Bergamo, nella Commissione diocesana per la Pastorale della Famiglia e nel Forum delle associazioni familiari. Dal 2000 ha promosso il «Progetto Giuditta», un servizio di ascolto telefonico gratuito rivolto prevalentemente a persone sole, anziane e ammalate. L’attuale presidente è Elvira
Scaravaggi Turini e la segretaria Maria Morini. La sede dell’associazione è in via Ghislanzoni 38 a Bergamo, tel. 035-249977, fax 035-4133372, e-mail: assvedove.bg@libero.it. Questi gli orari di apertura: lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9 alle 11,30 e dalle 15 alle 17,30. A fondare l’associazione fu Gilda Crippa. Nata a Bergamo il 17 aprile del 1880, nel 1897 iniziò l’insegnamento dopo aver conseguito a Padova il diploma di lingua francese. Nel 1904 Gilda sposò il rag. Giuseppe Bosis. Non avendo figli e con il consenso del marito, si dedicò con grande generosità alle opere cattoliche e sociali.
Gilda Crippa, vedova Bosis, la fondatrice dell’Associazione
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marzo, 18 marzo e 27 aprile) mentre la quinta è del 23 gennaio 1917. A titolo di esempio abbiamo scelto di proporre quest’ultima. «Si avvicina la mezzanotte e ho ancora molte cose da finire. Non posso però dispensarmi dal mandarle una riga che le dica come la mia anima sacerdotale sia particolarmente unita a lei nel mestissimo primo anniversario della scomparsa di colui che fu per lei sposo dilettissimo, di me amico caro ed ammirabile… Per lui celebrerò domattina la S. Messa in mezzo ai miei ammalati; e gli dirò che dal Cielo voglia consolare sempre e fare un po’ più lieta, santamente, la sua Gilda. Ah! Signora Bosis, quante cose belle e soavi vorrei dire allo spirito suo in questa circostanza! Ella però ha occhi per leggermele nel cuore, e testa giusta per capirle e per sentirsene penetrata. Il Signore la riempia della sua santa tranquillità e le infonda, vivo, quel senso del soprannaturale che le faccia parere dolce ogni pena, sopportabile e superabile ogni contrarietà, cara ogni fatica impiegata nelle opere della carità. E’ su questa strada delle “opere” che suo marito la vuole, e al termine di questa vita che egli l’attende. Dunque, coraggio e letizia…». Molte sono le iniziative che contrassegnano l’attività dell’Associazione Santa Francesca Romana Vedove Cattoliche Bergamasche. Da citare, ad esempio, il volume su Mina Giavazzi, figura di spicco del mondo cattolico, scritto da mons. Giambattista Busetti. L’arcivescovo mons. Clemente Gaddi così si esprime al termine della sua prefazione: «Benedico questa pubblicazione e l’Associazione delle Vedove Cattoliche che, riconoscente per il tanto bene ricevuto, vuol far rivivere l’esempio di questa donna, intelligente, pratica e volitiva». Nelle prime pagine del libro si legge inoltre: «La presente pubblicazione, patrocinata e curata dall’Associazione, vuole essere un sincero e affettuoso omaggio alla memoria di colei che è stata esemplare e instancabile animatrice dell’apostolato cattolico».Nata il 15 luglio del 1915 a Longuelo, quartiere di Bergamo, Mina Giavazzi, dopo aver trascorso una vita in prima linea a far del bene al prossimo, è venuta a mancare il 3 settembre 1991. F. Lam.
Un Roncalli ancora giovane alla sua scrivania
Nel 1909, con l’allora don Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, iniziò la scuola di religione per le signore, preludio all’Unione Donne Cattoliche che venne fondata a Bergamo l’11 gennaio 1910. Gilda Bosis ne fu presidente fino al 1919. Già nel 1912 istituì corsi domenicali per impiegate e commesse. Rimase sposa del rag. Giuseppe Bosis fino al 24 gennaio 1916, quando il marito morì prigioniero di guerra in Oslavia. Dopo un periodo di comprensibile smarrimento in cui la signora Gilda rinunciò ad ogni attività e si ritirò a Cenate Sotto (in provincia di Bergamo) presso le Suore del Bambin Gesù, a seguito della pressione di don Angelo Roncalli si lasciò persuadere a ritornare «sulla strada delle opere», come le scrisse il futuro Papa Giovanni «dove suo marito l’attende». L’Opera «Casa Famiglia» e l’Associazione Vedove nacquero da lei. Don Angelo Roncalli non fu solo un valido e convincente ispiratore, poiché ha avuto la signora Bosis come apprezzata collaboratrice nell’apostolato femminile in Diocesi e tra l’altro era amico del marito Giuseppe. Alla morte di Gilda, avvenuta nel 1965, fra le sue carte si sono trovate cinque lettere che don Angelo Roncalli ha indirizzato alla signora Bosis, tutte appartenenti al triste periodo della morte del marito. Le prime quattro sono datate 1916 (6 febbraio, 12 18
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RONCALLI SOSTENNE L’ATTIVITÀ DELLE «VEDOVE CATTOLICHE» L’Associazione, che ha la sede a Bergamo, si rivolge a persone sole e svantaggiate anche Papa Giovanni. Ma facciamo chiarezza: nella lettera riservata di Papa Giovanni dell’8 luglio 1960 a mons. Giuseppe Battaglia, vescovo di Faenza, è scritto: • Mons. Battaglia consiglia di non lasciar perdere l’affaire Ghiaie, dicendo che trascurare i fatti non è pratico né utile; pratico e utile sono due aggettivi inequivocabili. • Ciò che conta in «suddetta materia» è la testimonianza della veggente (quella del 12.07.1946, posteriore a quella del 15.09.1945, e quella eccezionale del 20.02.1989 davanti a un notaio di Milano).
Nel numero scorso della rivista abbiamo riportato la posizione di don Sandro Longo in merito ai fatti di Ghiaie di Bonate. Sostenendo che non si tratta di una leggenda come ha più volte fatto capire Marino Bertocchi, ex parroco di Sotto il Monte, attraverso suoi articoli apparsi sul nostro bimestrale, don Longo ci ha fatto pervenire una lettera con una serie di argomentazioni. In particolare ha preso in esame i capitoli principali della «leggenda» trattati da mons. Bertocchi. Per questioni di spazio avevamo pubblicato i primi 6. In questo numero, dunque, completiamo l’esposizione dei capitoli ripartendo dal settimo. 7) Il Vescovo Bernareggi, dubbioso, avrebbe voluto consultare il Papa Il Vescovo Bernareggi affermò: «Come uomo credo, ma come vescovo devo seguire le conclusioni della Commissione». Ecco, ci risiamo! Tutto dipende ancora dalle conclusioni della Commissione: quanto più ci allontaniamo dal processo, tanto più vengono a galla lacune e omissioni. Quanto alla «non ammissione» di Adelaide alla vestizione religiosa, mons. Bernareggi dice: «Non vorrei operare contro le intenzioni dei superiori». Si tratta di un argomentare vago: chi sono i superiori? E poi, come già detto, tutto gira intorno al giudizio della Commissione? Come si può notare da queste affermazioni di Bernareggi, si è continuamente rimandati al giudizio negativo della Commissione (vedi punto 6). 8) Papa Giovanni credeva alle apparizioni Nel mio lavoro presentato a mons. Beschi, vescovo di Bergamo ho annoverato tra i favorevoli o, comunque, non contrari alle apparizioni delle Ghiaie,
La piccola Adelaide all’epoca dei fatti di Ghiaie
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un santuario mariano. Inoltre ha espresso la sua opinione personale riguardo un’eventuale riapertura del processo.
• Vanno tenute in gran conto le circostanze. • Per rivedere il processo si deve cominciare dal piano (Bergamo), e non dal vertice (Roma). Sul giallo delle due copie di Questa è Bonate, trasmesse al Papa e al Santo Ufficio, il discorso è tutto aperto. Che fine hanno fatto? Anche queste sono leggenda?
10c) Caro monsignore, perché non parli dei messaggi e del loro contenuto? Messaggi che, quando venne emesso il decreto non constat del 20.05.1944, erano sconosciuti? Messaggi che sono in piena sintonia con quelli di Lourdes e di Fatima, con l’aggiunta di un riferimento di grande attualità: la famiglia. Con questa nota amara: a Fatima e a Lourdes i veggenti, dopo qualche momento di perplessità, sono stati ascoltati e santificati, Adelaide, invece, è stata trattata come menzognera, falsa, visionaria, snobbata e non ascoltata nelle sue dichiarazioni ripetute anche davanti al notaio.
9) Il silenzio sul primo diario di Adelaide A riguardo, nella relazione di Mons. Marino si legge: «Sarebbe ora, per amore della verità, di chiarire tutto». Ma, certo! E quale strada più idonea per chiarire tutto quello che si è detto, scritto e avvenuto in seguito alle presunte apparizioni, se non la revisione del processo? 10) Black-out sulla ritrattazione di mons. Battaglia 10a) Don Marino dice chiaramente che Mons. Battaglia «credeva nelle apparizioni e, con altri due vescovi, chiese la riapertura del processo». Molti anni dopo, nel 1982, lo stesso mons. Battaglia afferma: «Desidero che non si faccia il mio nome, né si facciano mie pubblicazioni per quanto riguarda i fatti di Bonate». Ma questa ritrattazione cosa significa? Significa che Battaglia nega le apparizioni? No, neppure per sogno! Solo che, come vescovo, fedele e obbediente, si allinea a quanto detto dalla Santa Sede, per non creare confusione e scandali fra i fedeli. Inoltre ritengo che negli anni Ottanta, per un vescovo, non fosse facile esprimere giudizi non conformi a quelli della Santa Sede.
10d) Il noto mariologo Stefano De Fiores afferma: «Per la valutazione di questi fenomeni esistono tre criteri, che sono in primo luogo la credibilità dei presunti veggenti, in secondo luogo i testi dei messaggi e, in terza istanza, i cambiamenti di chi si reca sul luogo». A Ghiaie i medici hanno escluso, tramite esami scientifici, che si trattasse di una bambina allucinata o malata, ma del tutto normale (vedi relazione di Padre Gemelli). Il contenuto dei messaggi è in piena ortodossia, anzi pienamente evangelico: i cambiamenti su coloro che si recano alle Ghiaie sono sotto gli occhi di tutti. Conclusioni 1) Mi sono limitato a confutare, in modo sintetico, le affermazioni di don Marino, che meriterebbero certo un approfondimento maggiore. La conclusione di tutto non vuol arrivare ad affermare che le apparizioni delle Ghiaie sono autentiche, ma solo fare chiarezza su questa realtà complessa e oggetto di tante dispute. In questa direzione spingono molte persone equilibrate e di fede, rispettose dell’autorità ecclesiastica e anche i messaggi, di grande valore spirituale, simili a quelli di Lourdes e Fatima. Come può una bambina di 7 anni inventare tali messaggi? 2) Quanto ho cercato di dire, porta a questa conclusione: perché non riaprire il processo con un secondo tribunale ecclesiastico, con persone a favore
10b) Un cenno merita la vicenda dell’indio Edson Glauber, personaggio a dir poco sconosciuto a don Marino. Carissimo don Marino, qui sei proprio fuori tema! Conosci Edson Glauber? Conosci la sua storia? Non mi pare! Proprio in questi giorni ho incontrato mons. Carillo Gritti, mio compaesano (Martinengo - Bg), vescovo di Itacoatiara, città dell’Amazzonia; in questa diocesi sono avvenuti i fatti che riguardano appunto Edson Glauber. Ne abbiamo parlato a lungo: la sua testimonianza, non quella della rivista Senapa, ha un grosso valore: ha creato una commissione teologica che affronti queste apparizioni e ha ideato un progetto per costruire 20
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e contro essendo ancora viventi molti protagonisti principali? Certo, questo chiede molto coraggio per superare una serie di difficoltà gravi e reali, ma comunque superabili. Del resto, quali apparizioni mariane non hanno conosciuto ostacoli e difficoltà di ogni genere?
menti, questa lunga attesa potrà spiacere e forse, anche addolorare non poco, ma la Madonna preferisce sicuramente la nostra unione con la Chiesa, invece che una posizione polemica, sempre controproducente e contraria allo spirito di famiglia che brilla nelle apparizione di Ghiaie». (Madonna delle Ghiaie, Regina della Famiglia, Attilio Goggi). Mi permetto di rivolgermi a te, carissimo don Marino, con fraterna amicizia: perché continui a ripetere che le apparizioni sono un flop, che la veggente fu bugiarda, che i messaggi sono inconsistenti, che padre Raschi, confessore e direttore spirituale di Adelaide, nel suo libro Questa è Bonate scrive cose incredibili, che don Cortesi non costrinse la bambina a scrivere le negazioni? Ma perché tanto accanimento, caro monsignore? Perché continuare con una polemica carica di astio, definendo l’affaire una leggenda? Perché non si valutano le testimonianze attuali della veggente e il suo comportamento, sempre edificante?
3) Oggi appare chiaro che il processo in parola fu alquanto frettoloso e non privo di ombre, come riconosce lo stesso don Marino. Forse dovevano valutare meglio alcuni elementi, interrogare il maggior numero di testimoni, prendere in considerazione tutto quanto avvenuto anche dopo il processo. Non c’è nulla di male in tutto questo, benché la Commissione lavorò con gli strumenti che aveva, ma nulla vieta di pensare alla luce di avvenimenti successivi, che il lavoro risultò incompleto. Ritengo che si possa parlare serenamente delle apparizioni, senza polemica con nessuno e con serenità, carità, fedeltà al magistero e nella verità dei fatti che, via via, si sono chiariti e affinati. Lo stesso don Cortesi, prima di morire, avrebbe dichiarato: «Mi piacerebbe ammettere di aver sbagliato». Lasciar perdere la querelle per salvare le memorie di don Cortesi? E’ vero il contrario: se dovessero essere riconosciute le apparizioni dalla Chiesa diocesana, la figura di don Cortesi assumerebbe il rilievo di colui che con i suoi dubbi e i suoi errori ha portato chiarezza alla causa stessa. Non a caso, anche il Santo curato D’Ars fu perplesso davanti alle apparizioni de La Salet, poi riconosciute.
6) Credo di avere esposto motivazioni positive, atte a sostenere la tesi di una riapertura del processo. E’ la voce del popolo semplice e orante, è la voce di tanti uomini e donne di fede, di sacerdoti e di vescovi e forse, mi si permetta l’audacia, il desiderio della Madonna. Don Sandro Longo
4) Sia ben chiaro che questo mio lavoro non vuole arrivare a concludere l’autenticità delle apparizioni, ma a far tacere le voci malevoli, faziose, cattive e a riparare errori commessi e ingiustizie. Si arrivi pure a concludere di nuovo non constat, ma non è questo il modo per fare chiarezza, e giustizia, una volta per tutte. Certo è che, se la conclusione fosse positiva (non tocca a me deciderlo anche perché, per quanto mi riguarda, mi ritengo neutrale), tutto sarebbe gloria di Dio, a bene della nostra diocesi e della Chiesa tutta. 5) «Ai favorevoli, a chi crede autentiche le apparizioni di Bonate basandosi su documenti e non su senti-
Adelaide scrive il suo nome alla lavagna
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P ER S ONA GGI
INTENSI I DIALOGHI A BERGAMO FRA TONIOLO E L’AMICO RONCALLI Considerato tra i padri del movimento cattolico, è stato beatificato a Roma a fine aprile
A
lmeno cinquemila persone hanno partecipato alla beatificazione di Giuseppe Toniolo che si è svolta domenica 29 aprile a Roma nella Basilica di San Paolo fuori le mura. Un appuntamento che è stato preceduto la sera prima da una veglia di preghiera in piazza San Pietro. Nato nel 1845 a Treviso, padre di sette figli avuti dalla moglie Maria Schiratti, fondatore della Settimana sociale dei cattolici italiani e tra i fondatori della Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana, Toniolo diede impulso alle Banche di credito cooperativo e anche all’Università Cattoli-
ca, che però non vide nascere. Insegnò economia politica all’Università di Pisa e riorganizzò l’associazionismo cattolico italiano. Il 14 gennaio 2011 la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il decreto sul miracolo a lui attribuito, atto che conclude l’iter di beatificazione. Sulla figura di Toniolo proponiamo una sintesi di argomentazioni apparse lo scorso 27 aprile su L’Eco di Bergamo a firma di monsignor Loris Capovilla. Ho sul cuore e negli occhi Giuseppe Toniolo dagli anni felici del seminario patriarcale di Venezia, dove con l’aiuto di monsignor Attilio De Luca, ottimo insegnante e santo sacerdote, avvalendomi del pregevole manuale di Storia della Chiesa di monsignor Luigi Todesco, osai abbozzare la figura del rinomato e venerato sociologo cattolico. La mia tesi piacque al direttore della Biblioteca nazionale Marciana Luigi Ferrari, genero di Toniolo, padre del mio compianto condiscepolo Agostino, futuro collaboratore di Pietro Pavan (cardinale nel 1985) e di Giovanni Battista Montini, entrato nella successione di Pietro nel 1963. In questi giorni, Carlo Balljana, scultore della Marca Trevigiana, apprezzato ed appassionato interprete di molti eventi e personaggi iscritti nel «Libro d’oro» della Chiesa e dell’Italia, ha collocato nel duomo di Pieve di Soligo il busto bronzeo del novello Beato. Tramite questa scultura, creata con intelletto d’amore e studio intenso e sofferto, l’artista ci riporta ad approfondita rilettura del cristiano e del maestro dal polso sicuro e dal passo deciso. Il suo volto è aureolato di luce divina. Davanti a questo Toniolo sento echeggiare parole di Papa Giovanni, nella circostanza di eccezionale raduno in Vaticano (1. VI. 1962) della Gioventù femminile lombarda, all’indomani della morte di monsignor Francesco Olgiati, cofondatore dell’Università del Sacro Cuo-
Giuseppe Toniolo con il bergamasco Nicolò Rezzara
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even ti
re, uno dei padri del movimento cattolico. Quell’1 giugno 1962, preso lo spunto dalla testimonianza dell’Olgiati, Papa Giovanni esclamava commosso: «Come amerei soffermarmi a conversare di lui e di tanti altri, particolarmente di alcuni laici distintissimi che la Provvidenza mi fece conoscere e avvicinare di persona: Nicolò Rezzara, Giuseppe Toniolo, Giovanni Grosoli». A quell’udienza era presente il cardinal Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, colui che, coadiuvato da Vittorio Bachelet – santo e martire – avrebbe indicato la stella polare dei secoli XX e XXI: Fedeltà e Rinnovamento, secondo l’ispirazione di Papa Giovanni, accolta e onorata dai suoi successori. Caro artista Carlo Balljana, il Toniolo che lei, con umiltà, addita alla nostra venerazione è lo stesso che io vidi il 3 giugno 1963, al letto di Giovanni XXIII alle 18,45, ora del suo ritorno al Padre, allorquando prima delle preci rituali, sussurrai ai presenti: «Ho una disposizione testamentaria da comunicare subito. Agli inizi del pontificato, quasi codicillo al suo testamento, il Papa mi disse: “Al sopraggiungere di Sorella Morte reciterete anzitutto il Te Deum e il Magnificat, come al transito di Giuseppe Toniolo il 7 ottobre 1918”». Con questo stato d’animo mi associo al tripudio della Chiesa cattolica per la beatificazione di Giuseppe Toniolo, pago di ricordare e segnalare l’inobliabile canone di fedeltà e rinnovamento: «La Chiesa cattolica non è un museo di archeologia. Essa è la fontana del villaggio che dà acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato» (Giovanni XXIII, 13. XI. 1960). Essa ama e venera il novello Beato, germoglio della autentica bellezza e ricchezza d’Italia, che è la famiglia sbocciata sui solchi della tradizione cristiana; laico trevigiano chiamato ad alti compiti nei campi ardui della ricerca, dell’istruzione, dell’educazione, «uomo integro e retto, timorato di Dio, e alieno dal male» (Gb 1, 1). In un recente simposio sulla «Pacem in terris» ho cantato se così posso esprimermi, il proprium dell’uomo mandato da Dio «il cui nome era Giovanni», attribuzione fatta risonare per la prima volta a Istanbul, nel gennaio 1959 dal Patriarca
Athenagoras e di seguito dai Papi Montini, Luciani, Wojtyla e Ratzinger; il proprium, dico, di colui «che ha ringiovanito la chiesa con lo spirito vivificante del vangelo» (Paolo VI); il Papa ottantenne, «giovane nella mente e nel cuore, quasi per un prodigio di natura e di grazia, che ha dato inizio ad un nuovo corso di storia della Chiesa» (Giovanni Paolo II); il Papa che tre volte convocò attorno alla sua persona l’umanità intera: alla inaugurazione del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962; alla promulgazione di Pacem in terris, l’11 aprile 1963; e 53 giorni dopo, alla sua morte: morte di un cristiano mai uscito dall’infanzia spirituale. Il volto di Giuseppe Toniolo è meritevole della stessa pennellata che ha immortalato Angelo Giuseppe Roncalli: due occhi e un sorriso, approdato all’aureola dei Beati, 94 anni dopo il piissimo ritorno a casa. Lo rivedo negli incontri a Bergamo con l’amico vescovo Giacomo Maria Radini Tedeschi, il suo segretario don Angelo Roncalli e l’infaticabile apostolo Nicolò Rezzara, insonni operai della vigna, cantori di fede, di pace sociale, di redenzione degli ultimi e degli oppressi.
Giuseppe Toniolo
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Ringraziamo le persone che hanno sottoscritto abbonamenti al giornale e inviato offerte all’associazione Amici di Papa Giovanni ADAMI ANTONUTTI ELSA ALBERTI ANNA MARIA ALFONSI BIANCHI CARMINA ARESI MARIA BALONI GIANFRANCO BALUGANI MARIA BARDI ASSUNTA BARNI GISELLA BERTOLI ELDA BETTIOLO RITA G. BISECCO RENATO BONAITI EMMA BONI PAOLO BONOMI CATERINA CASSOL GIOVANNI CASTIGLIA VALERIA CATULLO GIOVANNA COIA BIAGIO COLOMBO ANGELO CORNAGGIA EGIDIA CORRADINI RUCATTI GIUSEPPINA D’AMBROSIO ANNAMARIA D’ANDREA CONCETTA DAMBRUSO MARIA DAMIANO ANTONIO DASSI PIERA DE NIGRO SILVIA DI MUCCIO GIUSEPPE DORMETTA DIEGO
ERCOLANI GIOVANNI ESPOSITO GIOVANNA FITTIPALDI MARGHERITA FORTUNATO FRANCESCO LETTA FRANCESCHI DAVIDE E FLAVIA FURFANELLI GIORGIO GHIDINI GIOVANNA GIBELLI BRUNA GIOVINAZZI ALEBRTO GUIDETTI ANNA INVERNIZZI PINUCCIA LANDRO CASTELLANO RITA LUZZI DILIA MACCAFERRI PAOLINA MASCHERONI TINA MACINA LUISA E FELICE MANENTI FILOMENA MARCHESE MARIA MARENGO OBERTO LUCIA MASCI MARIA GRAZIA MINACAPILLI LUCIA MOLINAROLI GUSEPPE MOLTENI LUIGIA MORENA MODESTA MOZZI BRUNA MURATORI GIOVANNA MURRO ALDO NAZZARO CLOTILDE NEGRETTI PAOLA
PACIONI BONINI MARIA PAGANINI FRANCESCO PARRELLA GIOVANNI PAVONE CARMELA PEGURRI MARIA PEZZOLI GIOVANNA PIDO LEONILDE PIROTTI MIRELLA PISONI GINA PIZZI CORINA QUERIO MARA E DANILO RANZINI ANGELO RAVIZZA DOMENICA REICH LEONARDELLI TERESA SANNA MAURIZIO SCALVINI EGLE SGRO FRANCESCO SIGNORELLI RITA SILLITTI MARIA SONZOGNI ANGELA STEFINI FRANCESCO STORELLI ALESSANDRO STORTI MARISA SUARDI MILENA TORRI CAROLINA VACCARI MARIA TERESA VALERA GRAZIA VENTURELLI LILIANA VISENTIN FANTINATO FOSCA ZACCONI CLARA ZATTA MARIA CARLA
Aumentano i cattolici nel mondo: nel 2010 15 milioni in più Aumenta di 15 milioni il numero dei cattolici del mondo e muta la geografia della loro distribuzione: una crescita significativa si registra in Africa e Asia mentre decisamente in calo si rivelano Europa e America latina. Sono i dati della nuova edizione dell’Annuario pontificio che insieme all’Annuarium statisticum ecclesiae sono stati presentati nello scorso mese di marzo a Benedetto XVI dal segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, e dal sostituto monsignor Angelo Becciu. I dati, riferiti alle 2.966 circoscrizioni ecclesiastiche del pianeta nel 2010, stabiliscono il numero dei cattolici in circa 1 miliardo e 196 milioni. Erano 1 miliardo e 181 milioni nell’anno
precedente, con un aumento dei fedeli pari all’1,3% e una presenza mondiale che rimane stabile intorno al 17,5%. Guadagnano posizioni Africa – da 15,15 a 15,55% – e Asia Sud Orientale, da 10,41 a 10,87, mentre «retrocedono» America meridionale con una consistenza che passa dal 28,54 a 28,34% e soprattutto Europa che scende dal 24,05 al 23,83%. Un dato confortante che non subisce battute di arresto è la tendenza alla crescita del numero dei sacerdoti iniziata dal 2000: nel 2010 si contano 412.236 sacerdoti, di cui 277.009 membri del clero diocesano e 135.227 del clero religioso; nel 2009 erano invece 410.593 suddivisi
in 275.542 diocesani e 135.051 religiosi. Tirando le somme i presbiteri dal 2009 al 2010 sono aumentati di 1.643 unità. Il saldo positivo, tuttavia, è dovuto agli incrementi in Asia (con +1.695 sacerdoti), in Africa (con +761), in Oceania (con +52) e in America (con +40 unità), mentre un deciso calo si registra l’Europa dove i sacerdoti sono diminuiti di 905 unità. Cresce anche il numero dei vescovi: da 5.065 a 5.104, dal 2009 al 2010, con un aumento dello 0,77%. Ne ha acquistati 16 in più l’Africa, 15 l’America e 12 l’Asia, mentre una lieve flessione si è manifestata in Europa (da 1.607 a 1.606) e in Oceania (da 132 a 129).
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GIUSEPPE ROTA, ERA NOTO COME «IL PARROCO SANTO» Protagonista nell’800 è un religioso da riscoprire. «La sua carità ingegnosa e discreta»
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roponiamo ai nostri lettori un interessante servizio, a firma di Giulio Brotti, pubblicato sul quotidiano L’Eco di Bergamo. «Era affabile, zelante, amato da tutti e lodato. Sopra tutto si celebrava la di lui santità e ingegnosa limosina. Dico ingegnosa, perché la faceva senza che il bisognoso arrossisse del suo stato. A lui tutti ricorrevano con quella confidenza che il figlio ricorre al proprio padre». Così un contemporaneo descriveva l’indole di don Giuseppe Rota (1786-1847), noto nella diocesi di Bergamo e in Brianza come «il parroco santo» di Terno (Terno d’Isola è un Comune della Bergamasca). La vita di questo prete nativo di Calolzio, che per qualche tempo fu anche rettore del Seminario di Bergamo, è stata narrata in tre diverse biografie. L’ultima, pubblicata nel 1878 dal sacerdote Giuseppe Bertoni, all’epoca parroco nella stessa Terno d’Isola, è stata ristampata in copia anastatica nel 1986: il volumetto comprende una post-fazione di monsignor Attilio Bianchi, l’attuale parroco di Santa Lucia a Bergamo, che allora svolgeva il suo ministero come ennesimo successore di don Rota nella parrocchia ternese. Sottolinea, monsignor Bianchi, come la spiritualità del «parroco santo», lontana da qualsiasi slancio mistico, si traducesse invece in «un eroismo quotidiano, fatto di carità nascosta e assiduità a chi è nella prova della malattia; o a chi è in quell’altra più sottile prova della vita che è la giovinezza». In realtà la biografia redatta dal Bertoni, «Don Giuseppe Rota Preposto-Plebano Vicario Foraneo di Terno», risente di una certa enfasi agiografica, fin quasi a fissare le virtù eroiche del protagonista in un’esemplarità senza tempo. A tratti, però, la dimensione storica rientra nella narrazione: ci viene raccontato, ad esempio, che essendo scoppiato nel 1836 anche a Terno il colera «e mietendo molte vittime, il Rota non si diede più pace
in fino a che coadiuvato dai reggitori del Comune ebbe allestito un piccolo ospitale, ove ricoverare i colpiti dal morbo, e salvare possibilmente gli altri che se ne stavano pieni di timore e di spavento. In quei giorni calamitosi e terribili la carità del Rota brillò di nuovo splendore; sempre pronto ad ogni bisogno, instancabile, era l’anima, il rifugio, il conforto e sostegno di tutti; imperterrito affrontava la morte disposto e contento di sacrificare la vita per la salute de’ suoi figli». Rispetto ai rigori quasi giansenisti di un certo tipo di predicazione, diffuso nel Lombardo-Veneto del primo Ottocento, il parroco di Terno sembra anticipare l’amorevolezza di don Bosco, o di Giovanni XXIII, nei riguardi delle giovani generazioni: nelle prediche ai fanciulli, in Quaresima – racconta il Bertoni – ,
Particolare del ritratto di don Giuseppe Rota eseguito da Giuseppe Rillosi e conservato nella sagrestia della parrocchiale di Terno d’Isola
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una scanzia con entro un po’ trascuratamente quei libri ch’egli avea più spesso alle mani» (a ricordare – parrebbe – che il «parroco santo» era giunto a Terno dopo essere stato rettore del seminario diocesano: la sua povertà di spirito, dunque, non era sinonimo di incultura). La capacità di don Giuseppe Rota di condividere la vita dei suoi parrocchiani (le «viscere di squisita carità» di cui diede prova «trovandosi in un paese gremito di poveraglia», leggiamo nel testo del Bertoni) rimase impressa nella memoria collettiva dopo la sua morte, avvenuta il 23 marzo 1847. Ben presto, si moltiplicarono le testimonianze di guarigioni miracolose e di altre grazie ottenute per sua intercessione: ancor oggi, la cappella che ospita le sue spoglie, insieme a quelle di altri sacerdoti – all’esterno del cimitero di Terno – è meta di una speciale devozione popolare, come dimostrano gli ex voto e i lumini.
«facendosi bambolo coi bamboli studiava di tenerli raccolti e attenti, inframmettendo alla soda ed esatta dottrina alcuni esempi adatti alla età ed al bisogno dei medesimi». Con un breve accenno, quasi si trattasse di un cedimento all’umana debolezza, il biografo afferma che «unico e prediletto ricreamento» del Rota era l’uccellanda, e cioè la caccia agli uccelli con le reti, nei roccoli (in un’altra biografia del parroco, redatta dal nipote don Liberale Rota, si dedica a questo suo divertissement un intero capitoletto). Lo stesso don Liberale, in una lettera, esprimerà alcune riserve sul ritratto dello zio, eseguito post mortem dal pittore Giuseppe Rillosi e conservato nella sagrestia della parrocchiale di Terno: «L’aria del volto d’ordinario non era così oscura – egli scrive – ma dolce o per lo meno pacifica, e nella conversazione molto ilare»; e in questo ritratto, «in luogo di una colonna avrei amato che gli si scorgesse dietro le spalle
Chiara Lubich, volti e storie nel libro di Armando Torno In «PortarTi il mondo fra le braccia vita di Chiara Lubich» (Città Nuova, pp. 187, euro 10) il saggista ed editorialista del Corriere della Sera Armando Torno descrive il carisma della fondatrice del Movimento dei Focolari. «Non ho mai conosciuto Chiara, anche se mi sono interessato della sua opera; e non credevo che fosse possibile scrivere una biografia basandosi sulle sole testimonianze. Ho però capito che le prime e i primi compagni della fondatrice del Movimento dei Focolari desideravano affidare a un uomo di comunicazione esterno al Movimento i loro pensieri, qualche piccolo segreto, i ricordi. Sono così nate queste pagine, che non vogliono essere un lavoro scientifico o ricavato dai documenti, ma la storia di una vita attraverso le emozioni rimaste, le testimonianze ancora disponibili e l’amore donato». Il libro, che
prende il titolo da una lirica del teologo belga Jacques Leclercq assai cara alla Lubich, racconta l’evoluzione spirituale di Chiara, al secolo Silvia (1920-2008), partendo dalla lettura assidua del Vangelo e dall’attività caritativa che lei e alcune amiche praticavano nella città di Trento, devastata dai bombardamenti nel corso della seconda guerra mondiale. Torno si sofferma sull’amicizia della Lubich con Igino «Foco» Giordani (1894-1980) e sull’esperienza mistica che lei ebbe a Tonadico, sulle Dolomiti, nel 1949, da cui fu rafforzata nell’idea di dar vita a un movimento basato sull’ideale dell’«unità». Rispetto ad altri mistici e fondatori di ordini religiosi, la novità dell’esperienza di Chiara sta nel fatto che è stata vissuta «collettivamente», cioè con il piccolo gruppo di persone che in quel periodo erano con lei. Questa volontà di condivisione-comunione
si tradurrà poi nell’afflato ecumenico che caratterizza la spiritualità dei Focolarini, persuasi che i «semi del Logos», di cui vive la Chiesa, agiscano anche oltre i suoi confini visibili.
Chiara Lubich
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IL VESCOVO FORESTI: «RICORDATE CHE IL BENE SI TROVA OVUNQUE» Fece il suo ingresso in Seminario nel ‘34. Ora ha 89 anni e racconta la sua vocazione
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Vivo qui da solo, è un bel posto, si vede il lago. La mattina vado a fare la spesa in paese, cucino, faccio il bucato. Guardi, ho piantato i gerani, mi piacciono i fiori». Così inizia l’articolo di Paolo Aresi pubblicato nello scorso maggio su L’Eco di Bergamo e centrato su monsignor Bruno Foresti che vive a Predore, in una casa arrampicata sulla collina, dietro l’istituto Angelo Custode dove sono ospitati bambini e ragazzi che soffrono di gravi disabilità. Foresti ha compiuto gli ottantanove anni e guida ancora la macchina. E’ stato eletto vescovo nel 1974, è stato arcivescovo di Modena dal 1976 al 1983, poi vescovo di Brescia dal 1983 al 1998. Una lunga vita dentro alla chiesa, da quando a undici anni entrò nel seminario minore di Clusone. Era il 1934. Dice il vescovo Foresti sul terrazzo davanti al lago azzurro: «Sono di Tavernola (Bergamo), mio padre aveva un piccolo forno, riusciva a sfamare gli otto figli a malapena. Andai in seminario e pagare la retta per mio padre e mia madre fu un sacrificio. Non ho mai avuto niente, nemmeno una casetta al mio paese: questa abitazione è della diocesi di Bergamo. Da bambino ero affascinato dalla figura del prete. Il mio parroco, il mio curato. I preti erano pressoché le uniche figure di spicco del paese, quelli che avevano studiato. Allora era così. Penso che questo sia stato determinante nella mia scelta di bambino. Poi le cose sono cambiate, le prove da affrontare erano dure, a cominciare dalla disciplina severa, la lontananza da casa, il freddo che pativamo, il cibo... Pensi che avevamo delle stufette a legna solo nelle aule; durante la guerra, spaccavamo le sedie vecchie per fare legna...». Poi dice: «I giovani che oggi stanno per diventare preti sono molto più preparati di noi, molto più aperti al mondo. Noi venivamo tenuti lassù, chiusi in una disciplina rigida. Oggi viaggiano, vanno nelle parrocchie, fanno esperienza, sono preparati alla pastoralità. Oggi sono pochi rispetto a noi, ma che
possibilità che hanno per essere bravi pastori! Non è che puoi dare tanti consigli, uno la sua vita la deve affrontare, deve anche sapere sbagliare. Però mi viene da dire quello che era il motto del cardinal Martini, “Cercate il bene e fate leva sul bene, ovunque esso sia”. Il bene a volte si trova dove meno te lo aspetti, il bene è ovunque». Monsignor Foresti divenne prete il 7 aprile 1945, due mesi prima dei suoi compagni. Racconta: «Avevano bisogno urgente di un vicerettore al seminario minore di Clusone, lo dissero a me e anticiparono l’ordinazione. Mi ordinò il vescovo Bernareggi alla festa della Sacra Spina a San Giovanni Bianco. Dopo l’ordinazione salii sul cassone di un camion scoperto e mi portò a casa a Tavernola. Che freddo!».
Monsignor Bruno Foresti è di Tavernola, Comune della provincia di Bergamo
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AVVENIMENTI
CATANIA E BERGAMO UNITE DALLA FESTA DI SANT’AGATA L’appuntamento si tiene il 5 febbraio. Un gemellaggio ideale con la città della martire
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a festa di Sant’Agata, martire catanese, patrona della parrocchia di Martinengo (Bergamo), ha visto quest’anno la presenza di monsignor Luigi Bommarito, arcivescovo emerito di Catania. E’ stata una festa, celebrata il 5 febbraio, che ha visto idealmente uniti i fedeli martinenghesi e quelli catanesi, sia quelli residenti nella città siciliana, sia quelli che abitano in terra bergamasca. Sull’evento riportiamo un servizio di Carmelo Epis apparso su L’Eco di Bergamo. «Mi ha sempre piacevolmente colpito – sottolinea monsignor Paolo Rossi, parroco di Martinengo – la venerazione che i catanesi hanno per la loro patrona. Bellissima la cappella a lei dedicata nella Cattedrale di Catania, ma ancor più bella è la partecipazione dei catanesi alla festa di Sant’Agata. Si tratta di centinaia di migliaia di persone. So che molti catanesi residenti nella Bergamasca scendono a Catania per la festa patronale. Altri con dispiacere
rimangono qui». Proprio per loro monsignor Rossi ha riservato una sorpresa. «Per i catanesi che rimangono qui ho pensato a una celebrazione presieduta da monsignor Bommarito, arcivescovo emerito di Catania, che ha accolto con piacere l’invito a celebrare la festa di Sant’Agata». Secondo la «Passio» di Sant’Agata, agiografia redatta in latino, la santa era una giovane cristiana di origini nobili vissuta durante il regno dell’imperatore Decio. Arrestata in quanto cristiana dal governatore Quinziano, costui, invaghito di lei, la affidò a una donna corrotta affinché riuscisse a farle abbandonare la fede cristiana in modo che più facilmente cedesse alle sue lusinghe. Agata non si piegò neppure in tribunale e Quinziano ordinò che venisse torturata amputandole le mammelle. La «Passio» tramanda le bellissime parole dette da Agata: «Empio crudele, feroce tiranno, non ti vergogni di troncare in una donna le sorgenti della vita, dalle quali traesti dalla madre tua alimento?». Per questo supplizio la santa è invocata dalle madri allattanti, ma anche dalle donne affette da tumore al seno. Ricondotta in carcere, le apparve San Pietro che la guarì. Dopo cinque giorni, riconvocata in tribunale, la santa professò nuovamente la sua fede cristiana e perciò fu condannata a morte mediante rotolamento su cocci aguzzi e carboni ardenti. Era il 5 febbraio dell’anno 251. Fu seppellita dai cristiani di Catania. Secondo la leggenda, poco dopo, mentre era in viaggio, Quinziano morì annegando nel fiume Simeto. Il 5 febbraio 252, una terribile eruzione dell’Etna minacciava la città di Catania. Gli abitanti invocarono la santa, prelevarono il suo velo dal sepolcro e lo portarono verso il torrente di lava, che si fermò. Nella diocesi di Bergamo, Martinengo è l’unica parrocchia ad averla come titolare.
La parrocchiale di Martinengo dedicata a Sant’Agata
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INIZ IATIVE
AVVIATA UNA RIFLESSIONE SUL SENSO DELLA MISSIONE Per i 50 anni di questo impegno in Paesi lontani da parte della Diocesi di Bergamo
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uest’anno è scoccato il mezzo secolo: cinquanta anni da quando i primi missionari bergamaschi partirono per la Bolivia e diedero vita alla prima missione diocesana bergamasca. Perché fino ad allora i padri missionari appartenevano a particolari congregazioni come i Saveriani, i Comboniani, il Pime. Su tale argomento riportiamo un articolo di Paolo Aresi apparso su L’Eco di Bergamo. Il Consiglio pastorale tenuto di recente ha riflettuto sull’impegno missionario della diocesi in vista dell’anniversario. Don Giambattista Boffi ha portato al Consiglio riunito nel Centro congressi Giovanni XXIII dati e riflessioni. Ha detto: «Era l’11 ottobre del 1962 quando partirono i primi due missionari diocesani bergamaschi: erano don Berto Nicoli e don Luigi Serughetti, partirono proprio nel giorno di apertura del Concilio. Partirono per decisione dell’arcivescovo di Bergamo, Clemente Gaddi, che raccolse una richiesta di aiuto da parte del vescovo di La Paz. Nel 1976 si diede avvio alla missione bergamasca in Costa d’Avorio e nel 1999 fu il vescovo Roberto Amadei che diede il via alla missione diocesana a Cuba, nella diocesi di Guantanamo. Oggi sono trentatré i missionari diocesani bergamaschi impegnati con la formula del “Fidei donum”. Ventisei sono i laici. In appoggio ai missionari diocesani ricordiamo l’impegno delle suore Orsoline di Somasca, delle Poverelle, del suore del Sacro Cuore e delle Sacramentine... Da quel 1962 sono cambiate radicalmente le condizioni, le chiese locali diventano sempre più consapevoli della loro identità, sempre più robuste. A questo punto è giusto chiedersi che cosa vogliamo fare per il futuro, come interpretare la missionarietà della nostra diocesi». Che cosa rappresenta la missionarietà nella diocesi di Bergamo? Che cosa significa mandare preti in quei luoghi lontani, oggi? Che relazione può instaurarsi
con le diocesi di altri continenti? Il Consiglio pastorale, alla presenza del vescovo, monsignor Francesco Beschi, del vicario generale monsignor Davide Pelucchi, del segretario del Consiglio, monsignor Maurizio Gervasoni, ha ascoltato la testimonianza di due missionari: Marcella, missionaria laica di Calolzio, che ha trascorso tre anni e mezzo in Bolivia, e don Mario Marossi, per sette anni missionario in Bolivia e oggi cappellano della missione cittadina «S. Rosa da Lima» in via San Lazzaro, missione rivolta agli immigrati sudamericani. I due missionari hanno sottolineato soprattutto il senso delle relazioni fra le diocesi, il senso dell’andare, ma anche quello del ritorno a casa, di quello che l’esperienza missionaria può apportare alle nostre parrocchie. Ha detto don Mario: «La missione è stata per me un dono di Grazia che mi ha cambiato la vita». Per comprenderla bisogna viverla in quanto le parole non sono sufficienti. Dico che si scopre che davvero servire i poveri è un privilegio, è gioia, è bellezza. Che si scopre che una pastorale che non parte dai poveri resta un qualcosa di solo teorico».
La festa dell’Epifania in una chiesa boliviana
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Scopo principale di questo organismo è quello di promuovere, di mantenere ed amplificare il messaggio di Papa Giovanni XXIII che racchiude una forte attualità così come rappresenta per l’intera umanità un progetto di costruttore all’insegna dell’amore e della pace. I soci fondatori del Comitato presieduto da Mons. Gianni Carzaniga in qualità di rappresentante delegato del vescovo di Bergamo, sono: Monsignor Marino Bertocchi, già parroco di Sotto il Monte, padre Antonino Tagliabue curatore della pinacoteca Giovanna di Baccanello, suor Gervasia Asioli assistente volontaria nelle carceri, padre Vittorino Joannes al servizio del personale di Angelo Roncalli Nunzio Apostolico a Parigi. A sostegno delle iniziative dell’Associazione, informiamo i nostri lettori, devoti di papa Giovanni XXIII, della possibilità di celebrare Sante Messe per sè e per i propri cari:
OFFERTE PER SANTE MESSE
IL SUFFRAGIO PERPETUO
Per la celebrazione di una Santa Messa per i tuoi cari, vivi o defunti, inviare la richiesta e i dati all’Associazione Amici di Papa Giovanni. L’offerta è subordinata alla possibilità del richiedente.
Il “perpetuo suffragio” è un’opera che si propone di dare un aiuto spirituale ai defunti, di stabilire un legame di preghiera fra l’Associazione Amici di Papa Giovanni XXIII e i fedeli del papa della Bontà e di dare anche un aiuto materiale per promuovere le iniziative dell’Associazione. Il “perpetuo suffragio” consiste in Sante messe, che l’Associazione è tenuta a far celebrare per i suoi sostenitori. Si iscrivono i defunti o anche i viventi, a proprio vantaggio in vita e in morte. L’iscrizione può essere per un anno o in “perpetuo”.
ACCENDI UN CERO L’Associazione si incarica di accendere un cero a Papa Giovanni XXIII su richiesta dei lettori. Per questo servizio si richiede una simbolica offerta libera che verrà utilizzata interamente per le azioni benefiche sostenute dall’Associazione.
• Iscrizioni perpetue € 200 • Iscrizioni per un anno € 80 Per gli iscritti al suffragio annuale o perpetuo una Santa messa viene celebrata ogni settimana, a tutti verrà inviata pergamena di attestazione
ASSOCIAZIONE AMICI DI PAPA GIOVANNI XXIII Le offerte vanno indirizzate sul C.C.P. 16466245 Amici di Papa Giovanni Via Madonna della Neve, 26 - 24121 Bergamo specificando la destinazione - I NOMI DELLE PERSONE CHE INVIERANNO LE OFFERTE VERRANNO PUBBLICATI SUL GIORNALE “AMICI DI PAPA GIOVANNI” Bergamo Via Madonna della Neve, 24 - tel. 0353591011 - fax 035271021 www.amicidipapagiovanni.it e.mail: info@amicidipapagiovanni.it 30
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Sotto la protezione di Papa Giovanni
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Nicola e Silvia mettono sotto la protezione del Beato Papa Giovanni XXIII, la nipotina Martina
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Nonna Anna Maria e nonno Michele affidano il loro nipotino alla protezione di Papa Giovanni XXIII affinchè lo protegga per tutta la vita
MICHELE
Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:
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via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo
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CAMPAGNA ABBONAMENTI 2012 “AMICI DI PAPA GIOVANNI XXIII”
ABBONAMENTO
ORDINARIO
€
26
In omaggio il calendario 2012 e tessera con medaglia benedetta
Assicurati un anno di serenità in compagnia di Papa Giovanni
Dodici mesi insieme al Beato Papa Giovanni XXIII
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Calendario 2012
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ABBONAMENTO SOSTENITORE € 68 In omaggio il calendario 2012, tessera con medaglia benedetta, pergamena e rosario
Rosario
Pergamena
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In omaggio il calendario 2012, tessera con medaglia benedetta, vetrofania Papa Giovanni, libretto preghiere, pergamena, rosario e libro su “Papa Giovanni”
COME FARE L’ABBONAMENTO
Utilizzate un modulo per il versamento su c/c postale n. 97111322 oppure tramite vaglia postale intestato a: “Amici di Papa Giovanni” Via Madonna della Neve, 26 - 24121 Bergamo
la rivista di chi ama Papa Giovanni Direttore responsabile Monsignor Giovanni Carzaniga
Direttore editoriale Claudio Gualdi
EDITRICE BERGAMASCA
Direzione e Redazione: Via Madonna della Neve, 26 24121 Bergamo Tel. 035.3591.011 Fax 035.3591.117
BIMESTRALE - 6 NUMERI ALL’ANNO
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