Papa Giovanni marzo2011

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(Anno XXVIII) Nuova serie - Anno 10 n. 2- Marzo/Aprile 2011 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

Una statua raffigurante Roncalli inaugurata in una chiesa dell’Olanda

Giovanni XXIII e Giacomo Manzù: anniversari di fede e d’arte

Una laurea honoris causa dalla Russia a Capovilla

MARZO - APRILE 2011

Dalmine, la nuova piazza intitolata all’enciclica “Pacem in Terris”


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Sotto la protezione di Papa Giovanni

I nonni Felice e Rosanna affidano le loro nipotine Silvia e Giulia alla protezione di Papa Giovanni che le protegga tutta la vita

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La famiglia affida alla protezione di Papa Giovanni XXIII, Giada e Federico

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Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:

via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo


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Statua di Giovanni XXIII inaugurata in una chiesa dell’Olanda

Ecumenismo: così è cresciuto da Leone XIII a Roncalli

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Una laurea honoris causa dalla Russia a Capovilla

Oltre 2.500 le apparizioni in un Dizionario

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Ricordato il vescovo Amadei a un anno dalla scomparsa

Una statua raffigurante Roncalli inaugurata in una chiesa dell’Olanda

Giovanni XXIII e Giacomo Manzù: anniversari di fede e d’arte

Giovanni XXIII e Manzù Anniversari di fede e d’arte

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Dalmine, la nuova piazza un omaggio a Papa Giovanni

(Anno XXVIII) Nuova serie - Anno 10 n. 2- Marzo/Aprile 2011 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.

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Una laurea honoris causa dalla Russia a Capovilla

Dalmine, la nuova piazza intitolata all’enciclica “Pacem in Terris”

MARZO - APRILE 2011

n. 2 bimestrale marzo/aprile

Direttore responsabile Monsignor Giovanni Carzaniga Direttore editoriale Claudio Gualdi

Wojtyla Beato il 1° maggio a soli sei anni dalla morte

Ghiaie, i fatti visti da P. Raschi nel libro «Questa è Bonate»

Gli allievi restaurano le tele delle chiese bergamasche

Editrice Bergamasca ISTITUTO EDITORIALE JOANNES

Redazione: don Oliviero Giuliani mons. Gianni Carzaniga direttore della “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII” con sede nel Seminario Vescovile Giovanni XXIII di Bergamo, mons. Marino Bertocchi parroco di Sotto il Monte, Suor Gervasia volontaria nelle carceri romane, Claudio Gualdi segretario dell’associazione “Amici di Papa Giovanni”, Pietro Vermigli, Giulia Cortinovis, Marta Gritti, Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue Luna Gualdi Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini Fotografie: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa Giovanni”, Archivio “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII”

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Anno XXVIII Direzione e Redazione via Madonna della Neve, 26/24 24121 Bergamo Tel. 035 3591 011 Fax 035 3591117 Conto Corrente Postale n. 97111322 Stampa: Sigraf Via Redipuglia, 77 Treviglio (Bg) Aut. Trib. di Bg n. 17/2009 - 01/07/2009

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IN A U G U R A Z I O N I

Statua di Giovanni XXIII in una chiesa dell’Olanda Realizzata dallo scultore Jan Tolboom, si trova nella parrocchia di Oudenbosch

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poco meno di cinquant’anni dalla morte, la figura di Papa Giovanni è più che mai viva nei ricordi della gente. A distanza di anni dal suo pontificato (1958-1963) sono ancora numerose le città, le parrocchie, le associazioni, i movimenti – sia in Italia sia all’estero – che tributano omaggi, monumenti, convegni, manifestazioni che pongono al centro la persona e l’opera del Pontefice bergamasco. Ora è la volta di una parrocchia dell’Olanda (Paese notoriamente di religione a maggioranza protestante) che ha inaugurato nelle scorse settimane una statua di Papa Giovanni realizzata dalla scultore Jan

Tolboom, nella chiesa di Oudenbosch, a sud di Rotterdam e a poca distanza dal confine con il Belgio. La storia è abbastanza singolare. E nasce dalla volontà di un parrocchiano rimasto anonimo che lo scorso anno ha chiesto al parroco Maickel Prasing di poter fare un dono alla parrocchia. «Cosa desiderate avere per la vostra chiesa?» ha chiesto il benefattore al sacerdote. Quest’ultimo – 49 anni (ne aveva uno soltanto quando Giovanni XXIII venne a mancare) – senza esitazione e con una certa sorpresa per il parrocchiano ha detto: «Mi piacerebbe avere in questa chiesa una statua di Papa Giovanni». Detto fatto, il parrocchiano dopo pochi mesi ha fatto portare la scultura realizzata da Jan Tolboom. La statua è stata collocata vicino all’altare dei santi Gioacchino, Anna e Maria nella chiesa parrocchiale di Oudenbosch dedicata alle sante Agata e Barbara. Ancor più singolare è il fatto che la cittadina di Oudenbosch disti una manciata di chilometri dalla scuola «Roncalli Scholengeenschap» di Bergen op Zom la cui prima pietra è un masso tolto dalla casa natale di Angelo Giuseppe Roncalli a Sotto il Monte. A Bergen op Zoom, centro di 6.500 abitanti, posto nel sud del Paese, la scuola Roncalli fu fondata nel 1958, l’anno dell’elezione di Giovanni XXIII. La costruzione vera e propria iniziò il 21 novembre 1959, quando una delegazione di Sotto il Monte portò la prima pietra della casa natale del Pontefice in Olanda. Del gruppo facevano parte il fratello di Papa Giovanni, Giuseppe Roncalli, i nipoti del Pontefice Privato Roncalli e mons. Battista Roncalli, compianto parroco di San Gregorio di Cisano, il cav. Pier Carlo Carissimi, allora sindaco, e l’ing. Primo Colombo Zefinetti. La delegazione fu ricevuta nel Palazzo municipale con il sindaco, il primo rettore della scuola John Pedroli e don Segher docente di religione. Fu sicura-

La chiesa di Oudenbosch, in Olanda, dove è stata posta la scultura che ritrae Papa Giovanni

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inaugurazioni

mente un evento inaspettato e commovente anche per l’eccezionalità di aver utilizzato una pietra della casa natale del Papa per una scuola all’estero. Alla scuola Roncalli (800 studenti, 600 docenti, ginnasio e liceo) la prima insegnante fu Wileelmina Merk, scomparsa da poco. E’ grazie a lei e al prof. Frans Andringa di Haarlem, da sempre vicino alla famiglia Roncalli, che la gente di Sotto il Monte ha potuto conoscere questa realtà scolastica sorta nel nome del Papa bergamasco. La recente inaugurazione della statua realizzata dallo scultore Jan Tolboom nella chiesa olandese di Oudenbosch rappresenta un segno tangibile di come ancora oggi sia ricordato con grande considerazione, gratitudine e affetto, l’operato di Angelo Giuseppe Roncalli nel suo pur breve pontificato durato solo un quinquiennio. Tanto più se si tiene conto del fatto che l’omaggio alla sua figura è stato manifestato in un Paese estero. A riprova, se ce ne fosse ancora bisogno, che i messaggi di grande spessore, come quelli lanciati dall’indimenticabile Papa Giovanni XXIII, non conoscono confini.

La statua del Pontefice bergamasco custodita nella chiesa olandese

Il grazie di Ardesio alle suore che sono partite dopo 115 anni Il centro bergamasco di Ardesio ha salutato le sue suore. Dopo 115 anni di presenza in paese, anche le ultime due religiose hanno lasciato il centro dell’alta Valle Seriana. Si tratta di suor Vincenza Magnetti, animatrice alla casa di riposo «Filisetti», e suor Piera Salvi, animatrice della catechesi e dei gruppi parrocchiali, entrambe suore di Carità delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa. Le due religiose sono state salutate e ringraziate a fine dicembre nel corso di una messa celebrata alla presenza della madre provinciale, suor Antonia Colombo. E così dopo 115 anni di permanenza delle suore in paese (sia alla casa di riposo sia alla materna) anche le ultime due religiose sono partite. Con rammarico da parte di tutti per quanto hanno rappresentato per i bambini e per gli anziani. Loro, suor Vincenza e suor

Piera, hanno scritto una lettera alla comunità: «La carenza di vocazioni chiede all’Istituto di ridimensionare le nostre opere e noi volentieri accettiamo la volontà di Dio… Vorremmo dirvi tante cose, ma in questo momento le parole perdono il loro significato più profondo e si rischia di non esprimere quello che si ha nel cuore. Abbiamo vissuto insieme 15 anni. Per noi sono stati ricchi di grazia, di dono reciproco». Anche monsignor Pasquale Pezzoli, nativo di Ardesio e rettore del Seminario di Bergamo, in una lettera aperta ha scritto: «Le suore sono in partenza. Ci mancheranno molto, hanno accolto e ascoltato le confidenze di tanti, hanno accompagnato molti di noi negli anni più belli dell’infanzia, e altri nel tempo della malattia e dell’anzianità». Infine Enrico Festari,

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segretario-amministratore della «Filisetti» ha aggiunto: «Le nostre suore ci mancheranno. Perdiamo, con loro, un valore fondamentale del vivere sociale».

Suor Vincenza Magnetti alla casa di riposo Filisetti di Ardesio


p e r c or s i

Ecumenismo: così è cresciuto da Leone XIII a Roncalli Giovanni XXIII spinse la Chiesa sulla scena ecumenica attraverso il Concilio

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apa Giovanni deve alla ventennale (1925-1944) immersione nel mondo orientale e ortodosso, come delegato apostolico a Sofia e Istanbul, l’acuta sensibilità per l’ecumenismo che ha innervato l’azione della Chiesa in questi cinquant’anni. Così inizia il servizio a firma di Pier Giuseppe Accornero pubblicato su «L’Eco di Bergamo» a fine gennaio. Articolo che sviluppa una serie di interessanti citazioni e che proponiamo ai nostri lettori. Con il motu proprio «Superno Dei nutu» (5 giugno 1960), Giovanni XXIII istituì il Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, dive-

nuto nel 1988 Pontificio Consiglio: «Una pietra miliare nel cammino ecumenico della Chiesa, un impegno primario per la ricostituzione della piena e visibile unità dei seguaci di Cristo» lo definisce Benedetto XVI. Un interesse presente nella Chiesa prima del Concilio: Leone XIII e Benedetto XV promossero la Settimana di preghiera per l’unità, iniziata nel 1908 da Paul Watson, anglicano statunitense che divenne cattolico. Giovanni XXIII spinse la Chiesa sulla scena ecumenica con l’annuncio il 25 gennaio 1959 del Concilio in una stagione in cui il Sant’Uffizio considerava l’ecumenismo un potenziale pericolo per dottrina, esercitava un controllo inflessibile sulle attività ecumeniche in forza dell’enciclica «Mortalium animos» (1928) di Pio XI che vietava ai cattolici di partecipare a riunioni ecumeniche. Il protagonista di quella stagione fu il gesuita tedesco Agostino Bea, cardinale del dialogo. Conosceva la tragedia della divisione confessionale in Germania; studente a Berlino, aveva incontrato i teologi protestanti; era un eminente biblista, conoscitore dell’Antico Testamento e dell’ebraismo, rettore dell’Istituto biblico: l’11 marzo 1960 rimette a Papa Giovanni la richiesta di erigere la Pontificia Commissione per l’ecumenism e due giorni dopo il Papa la accoglie e lo nomina presidente. Lo scopo – scrisse il Papa – «è ad unitatem christianorum fovendam e per mostrare il nostro amore e la nostra benevolenza verso quelli che portano il nome di cristiani, ma sono separati dalla Sede Apostolica, perché possano seguire i lavori del Concilio e trovare la via dell’unità». Il Segretariato stabilisce i contatti con le altre Chiese e con il Consiglio ecumenico; pone la questione

Papa Giovanni ripreso durante una cerimonia

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percorsi

dell’invito agli osservatori a partecipare al Concilio e deve superare gli ostacoli del Sant’Uffizio e del suo responsabile cardinale Alfredo Ottaviani, «il carabiniere di Dio». Inizialmente il dialogo è verso i protestanti e gli anglicani, ma Giovanni XXIII invita a prendere contatti anche con gli ortodossi e con il Patriarca Athenagoras I – infatti si creano due sezioni: una per gli ortodossi e una per i protestanti – e affida a Bea anche le relazioni con il popolo ebraico. Al Concilio il Segretariato interviene nei dibattiti sulla Chiesa popolo di Dio e sulla collegialità episcopale; prepara il decreto sull’ecumenismo «Unitatis redintegratio»; contribuisce alla stesura dei documenti «Dei Verbum» sulla Parola di Dio, «Nostra aetate» sull’ebraismo, «Dignitatis humanae» sulla libertà religiosa. Il 6 dicembre 1965 Paolo VI e Athenagoras I cancellano le reciproche scomuniche del 1054. Dopo il Concilio alla presidenza si alternano cardinali provenienti dai Paesi della Riforma: l’olandese Johannes Willebrands, l’australiano Edward Cassidy, il tedesco Walter Kasper e oggi lo svizzero Kurt Koch. Il Pontificio Consiglio prepara gli incontri tra i Papi e i capi delle Chiese; redige le «Dichiarazioni cristologiche» con le Chiese copta, siro-ortodossa, armena e assira che chiudono controversie durate 1.500 anni, la «Dichiarazione sulla dottrina della giustificazione» con luterani e metodisti, il «Documento di Ravenna» con gli ortodossi sulla natura della Chiesa; partecipa ai dibattiti sul primato del vescovo di Roma, ai dialoghi con anglicani, luterani, riformati e metodisti, le Chiese libere, i movimenti evangelici e pentecostali. «In cinquant’anni – dice il Papa – si è acquistata una conoscenza più vera e una stima più grande, superando pregiudizi sedimentati dalla storia; si sono fatte traduzioni ecumeniche della Scrittura; si è cresciuti nel dialogo teologico; si è sviluppata la collaborazione per la difesa della vita, la salvaguardia del creato, la lotta per la giustizia. Con le Chiese ortodosse e orientali esistono strettissimi legami e un dialogo che approfondisce il comune patrimonio teologico, liturgico e spirituale. Bisogna ora affrontare il dibattito sul primato del vescovo di Roma».

Giovanni Paolo II a Gerusalemme, nel 2008, in un incontro con un rabbino e un rappresentante islamico

Per il cardinale Kasper «il clima è ben diverso rispetto a 50 anni fa e l’entusiasmo degli inizi si è affievolito. In Occidente ci sono atteggiamenti integralisti e antiecumenici; per le Chiese la priorità è la difesa dell’identità. Prevale un ecumenismo di convivenza bonaria e di collaborazione nella cultura e nel sociale, nei diritti umani, nella tutela della vita, nella giustizia, nella salvaguardia del creato. Tutto questo è importante ma non è lo scopo dell’ecumenismo, che rimane l’unità nella diversità e la diversità nell’unità». Per il futuro il Papa insiste sull’ecumenismo spirituale «che costituisce il cuore pulsante di tutto il cammino». Nonostante che la maggioranza dei fedeli soffra di analfabetismo religioso e non sappia cosa significa essere cristiano, cattolico, ortodosso, protestante, l’ecumenismo è un’opportunità che la Chiesa non può permettersi di non cogliere. Lo capì la folla di romeni che accolse Giovanni Paolo II a Bucarest il 7 maggio 1999 al grido di «Unitate! Unitate!». 7


p e r s onaggi

Giovanni XXIII e Manzù Anniversari di fede e d’arte Cinquant’anni fa iniziò l’amicizia fra i due illustri personaggi bergamaschi

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iacomo Manzù e Papa Giovanni XXIII, due bergamaschi illustri, due personaggi che hanno lasciato un’impronta indelebile, l’uno nel mondo dell’arte, l’altro nella Chiesa universale. Il nuovo anno potrebbe costituire un’occasione ulteriore per riscoprire l’artista e il Pontefice. Se non altro perché sul calendario 2011 andrebbero annotate importanti date riguardanti alcuni anniversari che ripropongono i loro nomi.

definito il «Michelangelo del XX secolo», in seguito ad una carriera artistica senza precedenti, viene così ricordato dalle parole, scolpite sulla lapide, dall’arcivescovo monsignor Loris Francesco Capovilla: «In questa terra sacra alla memoria dei Rutuli scelta come dimora ideale accanto alle sue opere che ne mantengono vivi e onorati il nome e la fama riposa Giacomo Manzù» 1908-1991. Un rapporto di stima reciproca E si potrebbe anche dire che c’è un anniversario che ricorre nel 2011 che lega Manzù a Papa Roncalli. Nel 1961, 50 anni fa, fu proprio Papa Giovanni XXIII, ad autorizzare Manzù a modificare il tema originario della Porta di San Pietro ne La Porta della Morte per la basilica di San Pietro. Quell’anno si consolidò, tra il Pontefice e l’artista, una stima reciproca che portò Manzù ad impegnarsi nelle numerose opere commissionategli dal Papa: 2011-1961 dunque come il cinquantennale di un’amicizia suggellata nelle austere sale dei Palazzi Vaticani. «Il nostro punto d’incontro fu la carità, cioè ciò che si doveva fare per gli uomini, per la fraterna convivenza di tutti su questo mondo pieno di odio». Queste parole, pronunciate da Manzù durante un’intervista a «Famiglia Cristiana» (9 novembre 1969), sintetizzano in modo efficace il legame più autentico fra due grandi personaggi del Novecento: appunto Manzù e Roncalli. Quale sia stato il rapporto fra i due, quali connotazioni avesse questo mirabile intreccio di arte e di fede, di stima e rispetto reciproco, quale sia stata la parabola esistenziale dell’artista e del Papa, oggi Beato, è già stato detto e scritto ampiamente. Saggi, introduzioni a corpose monografie, testimonianze – soprattutto sull’iter travagliato della Porta della

Una carriera senza precedenti Il 17 gennaio ricorre innanzitutto il ventennale della morte di Giacomo Manzù. Lo scultore si spense nel 1991 all’età di ottantatré anni. Il suo corpo inizialmente deposto nel Cimitero Monumentale del Verano a Roma, è stato poi traslato, l’anno successivo, alla Raccolta Manzù di Ardea. Colui che venne

Angelo Roncalli posa per lo scultore

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personaggi

Morte – sono stati più volte ricordati in incontri, tavole rotonde, pubblicazioni. Forse meno approfonditi sono i tratti non tanto della bergamaschità, quanto dell’appartenenza comune dei due grandi personaggi alla terra orobica. Per quanto entrambi abbiano a lungo viaggiato, per quanto tutti e due abbiano trascorso la loro esistenza spesso lontano da casa, Manzù e Roncalli hanno a più riprese rievocato le loro origini, per non dire poi delle loro famiglie, delle tradizioni dei loro paesi. Radici comuni, alle quali hanno ancorato i ricordi, i sentimenti, l’amore per le famiglie che li hanno visti crescere. Nei suoi Diari, Papa Roncalli annotava i suoi incontri con Manzù. Nel pomeriggio del 9 maggio 1960 il Pontefice posa per l’artista che «Dicono che sia lo scultore più famoso del mondo moderno», mormora Giovanni XXIII. Il 16 giugno 1960 l’ultima posa «In biblioteca innanzi al buon Manzù che prepara il mio busto». «Penso che il contatto – scrive il Papa – possa riuscire profittevole e incoraggiante al suo spirito». Parole questìultime che sottolineano quel desiderio di saldare un legame sincero, instauratosi fin dai primi incontri fra i due. Guardando le foto degli incontri fra i due, Roncalli in posa e Manzù mentre modella la creta, viene da chiedersi quali potrebbero essere stati i pensieri nella mente di entrambi. Forse Roncalli pensava ancora al padre di Manzù che, sacrestano nella chiesa di Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo, tirò la veste al novello prete, don Roncalli, per fargli coraggio mentre pronunciava la sua prima omelia. Forse Manzù tentava di racchiudere nella creta non solo un’immagine, ma anche la bontà, la serenità, il sentimento fraterno e caritatevole dell’animo del Papa. Troppo intenso, troppo autentico e sincero il rapporto tra i due per essere condensato in poche righe.

Manzù mostra al Papa il busto, ora conservato nei Musei Vaticani

Anno di Papa Pio XI. Fra i temi affrontati dall’enciclica: il valore della persona, la libertà economica, i problemi agricoli, la decolonizzazione, i Paesi sottosviluppati. Ambrogio da Calepio Altro importante anniversario che sarebbe bene annotare sul calendario riguarda Ambrogio da Calepio, detto il Calepino, autore del Dictionarium latinum pubblicato nel 1502, riedito nel 1509 in quattro lingue: ebraico, greco, latino e italiano. Ambrogio da Calepio morì 500 anni fa nel suo convento nel 1511 (11 novembre), e la sua opera fu portata successivamente a termine dai suoi confratelli. Il nome del Calepino è stato adottato dall’azienda vinicola della Famiglia Plebani di Castelli Calepio (in provincia di Bergamo) che vanta una preziosa collezione di dizionari Calepini, in particolare 18 esemplari stampati tra il 1523 e il 1778 ed è molto attenta alla valorizzazione e alla divulgazione dell’opera del celebre linguista bergamasco. Naturalmente le date degli anniversari bergamaschi sono anche altre. Ricordiamo ad esempio i 15 anni dalla morte di Gianandrea Gavazzeni, il decennale della scomparsa di Sandro Angelini, i 110 anni del trapasso di Alfredo Piatti. Ricorrenze che ancora una volta potrebbero rappresentare un’interessante opportunità per riscoprire la vita, la storia, le opere di tanti illustri bergamaschi che le nuove generazioni non possono dimenticare.

L’enciclica «Mater et Magistra» Nel 2011 ricorrono inoltre i 50 anni dell’enciclica Mater et Magistra di Papa Giovanni (15 maggio 1961). Il documento giovanneo riprende l’insegnamento della Chiesa cattolica alla luce dei problemi sociali. Papa Roncalli sviluppa le tesi della Rerum Novarum di Papa Leone XIII e della Quadragesimo 9


R I C O N O SC I M E N T I

Una laurea honoris causa dalla Russia a Capovilla E’ stata conferita di recente dall’Istituto europeo dell’Accademia delle Scienze

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’Istituto europeo dell’Accademia russa delle Scienze ha conferito all’inizio di quest’anno la laurea di «dottore honoris causa» in Scienze storiche all’arcivescovo Loris Francesco Capovilla, già segretario di Papa Giovanni XXIII. La decisione del prestigioso riconoscimento si deve al direttore dell’Istituto accademico Nicola Shmeliov, gà consigliere del presidente Mikhail Gorbaciov, che l’ha resa pubblica attraverso il professor Anatoly Krasikov, direttore del Centro studi socioreligiosi dell’Istituto. La proposta ha richiesto alcuni mesi di approfondimento dei testi redatti dall’ex segretario di Papa Giovanni XXIII e di lavoro amministrativo oltre che di traduzioni.

mondo contemporaneo, grande operatore di pace». Plauso all’iniziativa dell’Istituto europeo – attivo a Mosca dal 1987 nell’alveo dell’Accademia russa delle Scienze (massimo ente pubblico di promozione di ricerca scientifica nel Paese, fu creato nel 1724 da Pietro il Grande) – è stato espresso dalla Chiesa Ortodossa Russa nella persona del metropolita di Volokolamsk, Ilarione Alfeev, membro permanente del Santo Sinodo e presidente del Dipartimento dei rapporti esterni del Patriarcato di Mosca. Plauso della Chiesa ortodossa Nikolai Shmeliov, che ha voluto datare la pergamena della laurea nella giornata dello scorso 14 ottobre 2010 (data della nascita di Capovilla a Pontelongo, Padova, nel 1915) è uno dei massimi esperti russi di problemi economici, ma è noto anche come scrittore, e autore di romanzi storici. All’interno dell’Istituto da lui diretto lavorano vari centri di studio che svolgono attività di ricerca nei campi più diversi: dalla politologia ai problemi ambientali, dalle analisi delle congiunture economiche a quelle dei fattori religiosi nei quadri internazionali geostrategici.

La motivazione La laurea di «dottore honoris causa» è stata conferita a monsignor Capovilla – si legge nella motivazione – «in riconoscimento del suo apporto personale allo studio della eredità spirituale del Sommo Pontefice Giovanni XXIII, protagonista della storia del Novecento, promotore del dialogo delle religioni con il

La consegna in Italia Anatoly Krasikov ha ricevuto mandato per organizzare la consegna della laurea all’arcivescovo Loris Francesco Capovilla in Italia e insieme a Marco Roncalli, neopresidente della Fondazione Giovanni XXIII di Bergamo, sta valutando contesti differenti che accoglieranno anche momenti consueti come la laudatio e la lectio doctrinalis. La notizia del riconoscimento assegnato a un personaggio ovunque stimato per il suo lungo e intenso impegno, ha riscosso unanimi consensi, soprattutto a Sotto il Monte dove il già segretario di Papa Giovanni XXIII oggi vive.

L’arcivescovo Loris Francesco Capovilla: per lui una laurea honoris causa

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PUBBLICAZIONI

Oltre 2.500 le apparizioni riportate in un Dizionario Curato dal teologo René Laurentin, non è un volume ufficiale ma scientifico

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’ un’opera monumentale: mette in fila date e luoghi di 2.567 apparizioni della Vergine Maria, riconosciute e non riconosciute dalla Chiesa. Il Dizionario delle apparizioni (Edizioni Art), curato dal massimo esperto mondiale, il teologo francese René Laurentin, è un volume «unico nel suo genere», scrive il cardinale Roger Etchegaray nella presentazione. E anche il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in una lettera inviata a Laurentin riconosce che la pubblicazione offre «uno strumento assolutamente utile per un paziente discernimento degli avvenimenti». Non è assolutamente un testo ufficiale, ma una pubblicazione scientifica, nel cui Comitato vi sono molti cardinali e vescovi. Questo interessante servizio, che proponiamo ai nostri lettori, è stato pubblicato su «L’Eco di Bergamo» a metà dicembre scorso a firma di Alberto Bobbio.

Il luogo delle presunte apparizioni a Bonate Sopra in un’immagine del 1952

che sia gli abitanti del paese sia il parroco «rifiutano la testimonianza di Adelaide», che, tornata a casa, viene «picchiata dal padre». Trentamila persone Alla quarta apparizione va dal vescovo, il quale invia ecclesiastici e medici «a seguire le apparizioni». All’ultima apparizione, la tredicesima, il 31 maggio ‘44 insieme ad Adelaide ci sono 30 mila persone, che «assistono ad

Le visioni nella Bergamasca Riporta anche le informazioni relative a 10 apparizioni avvenute nella diocesi di Bergamo. E menziona due apparizioni sconosciute avvenute a Bergamo città: la prima nel 1952 e la seconda nel 1986. Mentre non fa alcun cenno ad altre sei presunte apparizioni della Vergine nella Bergamasca, di cui invece si aveva conoscenza. Alla presunta apparizione della Vergine a Ghiaie di Bonate Sopra il Dizionario dedica due pagine. Prima c’è il riepilogo della vicenda a partire dal 13 maggio 1944, quando Adelaide Roncalli, sette anni, quinta di una famiglia di otto figli, mentre raccoglie fiori per l’altare della Madonna, insieme a due suoi compagni e ad una sua sorella, resta come paralizzata al punto che la credono «morta in piedi». La Madonna le appare sospesa nel cielo, le preannuncia che diventerà suora e chiede di tornare nello stesso luogo per otto giorni di seguito. Il giorno dopo la Signora le appare di nuovo e dice alla bambina che la guerra finirà se gli uomini pregheranno molto. Adelaide ne parla in giro e il Dizionario ricorda

La Madonna di Senigallia nel dipinto di Piero della Francesca custodito a Urbino

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pubblicazioni

Il vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi giudica i fatti il 30 aprile 1948: «Dichiariamo di non constatare la realtà delle apparizioni e delle rivelazioni della Beata Vergine». Ma aggiunge: «Non intendiamo escludere che la Madonna invocata con affetto abbia potuto concedere delle grazie speciali ed anche delle guarigioni non consuete. Ma ogni forma di devozione verso la Madonna venerata come è apparsa a Ghiaie di Bonate resta proibita». Il dizionario spiega che in seguito il clero diocesano è sembrato «favorevole ad un nuovo esame del dossier». E così nel 2002 il vescovo Roberto Amadei, autorizza il culto. Il caso Medjugorje René Laurentin, che ha presentato lo studio a Roma, spiega che «tutte le apparizioni sono soggette al dubbio» e cita San Pio X: «Mai la Chiesa ha la certezza del fatto di un’apparizione. Nessun cristiano è obbligato in coscienza a credere ad un’apparizione, anche quando è ufficialmente riconosciuta, non crederci non è peccato». Sono solo 15 le apparizioni riconosciute ufficialmente dalla Chiesa. Per molte altre è ammesso il culto nel luogo della presunta apparizione, mentre la Chiesa a volte continua le indagini, come nel caso controverso di Medjugorje, sul quale sta indagando una Commissione presieduta dal cardinale Camillo Rui e voluta dal Papa. Laurentin ammette che si tratta di un «argomento a rischio». La prima apparizione è del IV secolo a San Gregorio Taumaturgo. L’ultima apparizione approvata risale a pochi giorni fa, a Champion nel Wisconsin, la prima negli Usa.

René Laurentin con il Dizionario

alcune guarigioni, tra cui quella di un cieco di guerra». Subito venne costituita una Commissione d’inchiesta. Nel Dizionario si legge: «Nel 1945 la ragazzina ritorna sulle sue dichiarazioni, poi sembra ritrattare: è evidente che è sotto pressione, ma un gruppo di fedeli persevera, sostenendo Adelaide e le sue apparizioni che sono cessate, nella discrezione e nella sua obbedienza».

A Bergamo città dal 1952 al 1960 e poi nel 1986 Sono due le presunte apparizioni sconosciute di cui parla il Dizionario, avvenute a Bergamo città. La prima sarebbe durata 8 anni, dal 1952 al 1960: «La Vergine appare ad una donna e le dona dei messaggi escatologici». Il testo è brevissimo e rimanda come unica fonte ad un sito americano «miraclehunter.com», dal quale tuttavia non si risale ad altre informazioni. La seconda sarebbe avvenuta nel 1986. Il Dizionario riporta il nome della veggente, Maria Bassanelli-Lorenzi, e spiega che la Vergine avrebbe consegnato a lei messaggi che «deplorano l’aborto». Ma nessuna indicazione viene fornita circa indagini della Chiesa. Invece, 6 delle 16 presunte apparizioni conosciute nella

Bergamasca vengono ignorate dalla pubblicazione. Si tratta di un’apparizione a Bergamo alla Madonna della castagna nel 1310, di quella di Selvino del 1400, di Monte Altino nel 1496, di Oneta nel 1512, di Colere nel 1654 e di Casnigo nel 1839. Delle altre è stato approvato il culto. Anzi il santuario di Caravaggio, dove la Madonna è apparsa nel 1472, è stato visitato anche da Giovanni Paolo II nel 1992. A Pumenengo la Madonna è apparsa due volte a due uomini diversi nel 1485 e poi nel 1595. I luoghi menzionati nel Dizionario per la diocesi di Bergamo sono: Basella di Urgnano, Albano Sant’Alessandro, Caravaggio, Desenziano di Albino, Ghisalba, Gerosa, Pumenengo, Stezzano, Ardesio e Ghiaie di Bonate Sopra.

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INAUGURAZIONI

Dalmine, la nuova piazza omaggio a Papa Giovanni Il centro della frazione Guzzanica intitolato all’enciclica «Pacem in Terris»

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n luogo di incontro per la comunità. E’ questo che il vescovo di Bergamo Francesco Beschi si augura possa diventare la nuova piazza di Guzzanica, frazione di Dalmine (in provincia di Bergamo) intitolata nel dicembre scorso all’enciclica «Pacem in Terris» di Papa Giovanni XXIII. L’inaugurazione è stata riportata con ampio risalto sul quotidiano «L’Eco di Bergamo», attraverso un articolo a firma di Desirée Cividini. L’augurio il vescovo lo ha più volte ribadito nel corso della Santa Messa da lui presieduta nella mattinata di domenica 19 dicembre, in occasione della cerimonia del taglio del nastro della piazza rimessa a nuovo dopo mesi di lavori. Più esattamente l’intervento di restauro è stato avviato all’inizio dello scorso anno. Un restyling completo che ha permesso di realizzare uno spazio più fruibile rispetto al passato, in cui le zone verdi appaiono come l’elemento predominante. «Che questa piazza possa diventare luogo di incontro e dialogo per coloro che vi passeranno e sosteranno, in quanto questo è il cuore di un centro per l’intera comunità», si è augurato monsignor Francesco Beschi, nel corso della celebrazione religiosa che ha preceduto il taglio del nastro da parte del sindaco Claudia Maria Terzi. «E’ una giornata importante per Dalmine, perché si inaugura un elemento centrale per la vita della comunità di Guzzanica – ha dichiarato il primo cittadino, alla presenza di assessori e consiglieri e dell’ex sindaco Francesca Bruschi, che durante l’ultimo mandato aveva portato avanti il progetto per il rifacimento –. Ci auguriamo che questa sia solo la prima piazza di Dalmine che viene sottoposta a un intervento di rifacimento. La nostra intenzione nei prossimi anni, infatti, è quella di sistemare anche le altre. Ora l’auspicio è che questa piazza possa realmente diventare uno spazio vivo e d’incontro per

coloro che vivono a Guzzanica». Una volta terminati i lavori si è provveduto alla scelta dell’intitolazione della piazza: su suggerimento del parroco don Sergio Pagani si è deciso di intitolarla all’enciclica «Pacem in Terris» di Papa Giovanni XXIII, quale omaggio al Pontefice bergamasco. Una scelta non dettata solo dalle sue origini. Angelo Roncalli, infatti, nel 1907 era stato economo spirituale in Santa Maria d’Oleno, della quale allora facevano parte anche i quartieri di Guzzanica e Brembo. Il progetto per il restyling della piazza, redatto dall’architetto Davide Cangelli, scomparso nel 2004, e perfezionato dall’architetto Diego Scopelliti, si è dunque concretizzato dopo anni di attesa, apportando anche alcune modifiche al progetto originario, a seguito di alcune indicazioni fornite dai residenti nella frazione.

Il momento del taglio del nastro alla nuova piazza «Pacem in Terris» di Guzzaniga, con al centro il vescovo Francesco Beschi e il sindaco Claudia Terzi

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E VE N T I

Nel dialogo Vaticano-Turchia si segue il «metodo Roncalli» Papa Giovanni XXIII fu l’apripista delle relazioni diplomatiche con Ankara

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stanbul - Lo chiamano ancora «metodo Roncalli», intrecciato di pazienza e di fermezza, persuasione, invito al confronto, attesa di una circostanza favorevole. Su questo argomento riportiamo un articolo di Alberto Bobbio pubblicato di recente su «L’Eco di Bergamo». Nel cortile della cattedrale del Santo Spirito, sotto la statua di bronzo che raffigura Giovanni XXIII il professor Rinaldo Marmara, portavoce della piccola Conferenza episcopale turca e storico della Chiesa cattolica di qui, ragiona di Angelo Roncalli e del suo «metodo», che ha portato, esattamente 50 anni fa, all’apertura delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica turca. Osserva: «Roncalli dal 1935 al 1944 in qualità di delegato apostolico, in un tempo difficilissimo per l’Europa e il mondo, è riuscito a ricostruire

un’atmosfera di confidenza che resta oggi un esempio per il ruolo della Chiesa in una zona ancora irta di difficoltà a oriente del Mediterraneo». Nella mattinata del 1° dicembre scorso quei tempi e cinquant’anni anni di relazioni diplomatiche sono stati analizzati nel corso di un seminario di studi organizzato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio e dall’ambasciata turca presso la Santa Sede. Vi ha partecipato anche il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura. Dalla Turchia sono arrivati docenti universitari e il primo ministro Erdogan ha inviato il suo consigliere per gli affari internazionali Ibrahim Kalim, segno dell’attenzione di Ankara e segnale importante del nuovo corso del governo turco verso le minoranze religiose. Ma senza Roncalli e il suo «metodo» e soprattutto la sua amicizia per i turchi nulla sarebbe stato fatto. Nel 1960 il generale Refik Tulga, governatore di Istanbul, scoprendo una lapide che ricorda il denaro dato da Roncalli vent’anni prima per restaurare la sede della delegazione apostolica di Istanbul disse che Giovanni XXIII «è il primo Papa turco nella storia». Il nunzio apostolico appena nominato, monsignor Lardone, chiese il permesso al governo per quella lapide e il generale Tulga, che conosceva personalmente Roncalli, volle essere lui a scoprirla. Spiega Rinaldo Marmara: «La memoria di Roncalli resta viva in Turchia e anche il nuovo governo islamico moderato di Erdogan ricorda quello che tutti continuano a definire un amico della Turchia». Nel seminario tenuto a Roma, Marmara ha raccontato la storia di quella amicizia a partire dalla visita in Vaticano, avvenuta l’11 giugno 1959, di Celal Bayar, allora presidente della Repubblica turca. Angelo Roncalli rievocò i suoi ricordi di Istanbul e insistette sull’introduzione della lingua turca nelle preghiere. Faceva parte anche questa scelta del «metodo Roncalli».

Una delle ultime immagini di Papa Giovanni, già sofferente, durante una celebrazione

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PERSONAGGI

Ricordato il vescovo Amadei a un anno dalla scomparsa Numerose le iniziative organizzate a Bergamo per sottolineare la ricorrenza

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l 29 dicembre scorso è stato ricordato il primo anniversario della morte di monsignor Roberto Amadei, vescovo di Bergamo dal 1991 al 2009, scomparso appunto il 29 dicembre del 2009. Numerose le iniziative organizzate nel capoluogo orobico per sottolineare questa ricorrenza. Alle 16,30, in tale giorno, si è tenuta in Seminario la presentazione del libro «Saggi storici sulla Chiesa di Bergamo nell’Età contemporanea» (15° volume della collana «Studi e memorie del Seminario di Bergamo», edizioni Glossa, Milano) che raccoglie le ricerche storiche pubblicate nel tempo dal vescovo Amadei. Nella stessa giornata del 29 dicembre è seguita, alle 18 in Cattedrale, una concelebrazione eucaristica di suffragio presieduta dal vescovo Francesco Beschi. Sempre per ricordare la scomparsa di monsignor Amadei si sono tenute altre iniziative nella parrocchia di San Paolo a Bergamo: il 1° gennaio alle 18 c’è stata una Messa presieduta dal vescovo ausiliare emerito Lino Belotti, seguita dal «Concerto per la pace» del gruppo Abarth, caratterizzato da brani di musica cristiana intervallati da canzoni sulla pace tratti da alcuni scritti del vescovo defunto. «Nel suo testamento spirituale – ha sottolineato monsignor Alessandro Locatelli, parroco di San Paolo – il vescovo Amadei aveva scritto: “Chiedo a tutti i carissimi fedeli di portarmi nelle loro preghiere e di presentarmi alla misericordia del Signore. Ho amato moltissimo i fratelli nella fede e figli nella guida pastorale”. Raccogliendo questo invito, vogliamo ricordare il primo anniversario della sua morte». Nella sala parrocchiale Frosio è inoltre rimasta aperta, fino al 31 gennaio, una mostra fotografica sul vescovo Amadei che, attraverso immagini, ha inteso riproporre alcuni momenti della sua vita fra la gente, il clero e nelle parentesi che lui dedicava allo svago, soprattutto sulle montagne che tanto amava.

Monsignor Amadei nacque il 13 febbraio 1933 a Verdello (Bergamo). Ordinato sacerdote il 16 marzo del 1957, fu inviato a Roma per perfezionare gli studi, dove conseguì la licenza in Teologia e la laurea in Storia ecclesiastica. Tornato in diocesi nel 1960, iniziò l’impegno in Seminario come docente di Storia ecclesiastica, preside di Teologia e rettore, fino alla nomina a vescovo di Savona-Noli (21 aprile 1990) e poi di Bergamo (21 novembre 1991). E’ morto il 29 dicembre 2009. Riguardo al libro «Saggi storici sulla Chiesa di Bergamo nell’Età Contemporanea» (edito da Glossa, 550 pagine, 25 euro) si è inteso pubblicarlo in occasione del primo anniversario della morte di monsignor Amadei. Al riguardo dice monsignor Goffredo Zanchi, insegnante nel Seminario di Bergamo, che

Un’immagine del vescovo Roberto Amadei tratta dal nuovo libro

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personaggi

stica talvolta si manifesta un po’ curva su se stessa. Un esempio può essere quello del vescovo Speranza: grande spiritualità, dedizione alla Chiesa, ai poveri, ma, d’altro canto, anche una scarsa adesione alla modernità, al cosiddetto “progresso”. L’allergia verso il nuovo può rappresentare un limite della nostra diocesi. Che tuttavia aveva in sé gli anticorpi per combattere questo difetto: in particolare il gran senso della carità e del volere fare la volontà di Dio. L’apertura verso il nuovo della nostra Chiesa ci fu partendo dalle drammatiche necessità della popolazione, una risposta ai bisogni sulla base della carità che portò anche a una maturazione dal punto di vista teologico». E infatti a Bergamo si registrarono esperienze anche di avanguardia. Nacque L’Eco di Bergamo con il vescovo Guindani nel 1880 e si pose su piani moderati rispetto alla difficile relazione fra Stato e mondo cattolico. «Secondo gli studi di monsignor Amadei – conclude Zanchi – il frutto più elevato di questa linea evolutiva è stato Papa Giovanni XXIII che ha incarnato tutte le caratteristiche della nostra Chiesa, così legata alla Tradizione e alla carità, che però è riuscita ad andare oltre i limiti grazie al suo carattere e alle esperienze di vita che decisamente l’hanno aiutata a rompere angustie e senso di chiusura». Luna Gualdi

Un’insolita foto del vescovo ripreso con una padella di polenta

ha curato il volume: «Pensavamo fosse importante raccogliere i saggi di monsignor Amadei che risultano sparsi in diverse riviste. Amadei non ha mai pubblicato libri, ma tanti saggi, alcuni anche di notevoli dimensioni come quello ospitato nel libro “Alle radici del clero bergamasco” dove Amadei inserì il suo saggio “La Tradizione bergamasca e il vescovo Speranza” di ben 130 pagine. Quel saggio rappresentava una sintesi di tanti suoi lavori precedenti». Da sottolineare che monsignor Roberto Amadei è stato il più importante studioso della Chiesa bergamasca tra la fine del Settecento e il Concilio Vaticano II. In particolare la sua attenzione si è soffermata sulle trasformazioni dell’Ottocento. Sostiene don Goffredo che per capire la diocesi di Bergamo, la lettura dei saggi di monsignor Amadei è necessaria. «Ciascuno di essi affronta un argomento specifico, ma sono tutti approfonditi al punto da consentire di individuare una linea evolutiva della nostra diocesi, un filo rosso che fece da base a quella grande opera collettiva da lui diretta che fu la “Storia della diocesi di Bergamo”». Intellettuale capace di scrutare nel profondo la realtà, Amadei ha colto anche i limiti della Chiesa. Dice al riguardo don Goffredo Zanchi: «I limiti stanno soprattutto in una tentazione di autosufficienza culturale dove l’altro, l’esterno, non viene riconosciuto in maniera adeguata. La nostra gerarchia ecclesia-

Il vescovo Amadei in montagna con don Alessandro Locatelli

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EVENTI

Wojtyla Beato il 1° maggio a soli sei anni dalla morte Un tempo record che supera il primo posto finora occupato da Madre Teresa

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ulla prossima beatificazione di Papa Wojtyla proponiamo un servizio dalla Città del Vaticano a firma di Alberto Bobbio, pubblicato su «L’Eco di Bergamo» lo scorso 15 gennaio. Karol Wojtyla verrà proclamato Beato da Benedetto XVI il Primo Maggio, festa della Divina Misericordia, perché - ha spiegato ieri ai giornalisti il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi – «la sua vita e il suo Pontificato sono stati percorsi dalla passione di far conoscere al mondo la misericordia di Dio». Il decreto che riconosce il miracolo è stato firmato ieri (il 14 gennaio) da Joseph Ratzinger, che sarà il primo Papa nella storia a beatificare il suo predecessore. Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, ha confermato che la causa di beatificazione del Papa polacco ha avuto «una corsia preferenziale», cioè ha superato tutte le

altre tremila cause che si trovano attualmente presso la Congregazione. Tuttavia ha assicurato, ai microfoni della Radio vaticana, che «per quanto riguarda il rigore e l’accuratezza procedurale non ci sono stati sconti». Un tempo record In un colloquio con il sito di «Famiglia Cristiana» il cardinale, in serata, ha rivelato che nel corso della causa sono stati indagati anche i rapporti fra Papa Wojtyla e padre Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, condannato poi da Ratzinger per pedofilia e altri crimini, assicurando che «Giovanni Paolo II non era a conoscenza della doppia personalità di padre Maciel». Così Papa Wojtyla verrà beatificato dopo appena 6 anni e 29 giorni dalla sua morte, avvenuta il 2 aprile 2005. Si tratta di un tempo record che non ha eguali nella storia recente della Chiesa e che supera anche il

Agli altari anche Toniolo, ideatore delle Settimane sociali Papa Wojtyla lo ammirava e ne aveva studiato gli scritti per alcune sue encicliche sociali. Non è un caso, dunque, che la beatificazione di Giuseppe Toniolo sia stata annunciata insieme a quella di Giovanni Paolo II, il Pontefice che ha rilanciato la Dottrina sociale della Chiesa. Toniolo era sociologo ed economista. Visse tra il 1845 e il 1918, negli anni in cui si formò quella Chiesa «antagonista» per via del Vangelo ai drammi della società industriale, che metteva in fondo alla fila poveri e famiglie. Ideò le Settimana sociali dei cattolici italiani, per approfondire l’etica in economia e in politica.

In numerosi scritti chiese il riposo festivo, orari di lavoro meno duri per gli operai e le famiglie, la difesa della piccola proprietà, la tutela del lavoro delle donne e dei ragazzi e appoggiò l’idea cooperativa sia nelle banche sia nelle imprese. Era padre di setti figli e fu tra i fondatori dell’Università Cattolica, della Fuci e nei primi anni del Novecento alla guida dell’Azione Cattolica. Esponente del sindacalismo cattolico, nel 1894 gettò le basi della prima «Democrazia cristiana» e poi pubblicò il primo giornale con questo titolo. Fu proclamato venerabile da Paolo VI il 7 gennaio 1971. Il cardinale Tettamanzi ha espresso

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«immensa gioia» alla notizia, così come l’Azione cattolica.

Il sociologo Giuseppe Toniolo (a sinistra) con Nicolò Rezzara


eventi

primo posto di questa specialissima classifica finora occupato da Madre Teresa, la cui beatificazione era avvenuta dopo sei anni e sei settimane dalla morte, avvenuta il 19 ottobre 2003. Un voto unanime E come fece Wojtyla con Madre Teresa, derogando alla norma dei cinque anni dalla scomparsa per aprire la causa di beatificazione, allo stesso modo si è comportato Ratzinger con il suo predecessore. Il via libera definito è stato dato martedì 11 gennaio dai vescovi e cardinali, membri della Congregazione delle cause dei Santi. E’ stato il vescovo Rino Fisichella, neo presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, a svolgere la relazione «ponente» la causa. Poi i cardinali e i vescovi hanno votato. Il risultato della votazione è sotto segreto pontificio, ma – secondo indiscrezioni – si sono espressi all’unanimità. Il decreto attribuisce all’intercessione di Giovanni Paolo II la guarigione «inspiegabile» di una suora francese, Marie Simon-Pierre. La guarigione della suora Ieri il cardinal Amato ha rivelato che le sue consorelle hanno pregato intensamente il Papa polacco nella notte tra il 2 e il 3 giugno 2005 su decisione della Madre superiore di suor Marie, dopo che quest’ultima le aveva rivelato di non riuscire quasi a muovere le mani e a stare in piedi, a causa del morbo di Parkinson, lo stesso di cui era ammalato Wojtyla. Alle 4 di notte suor Marie ha sentito qualcosa nelle sue ossa e il giorno dopo il suo medico curante si è meravigliato dell’improvvisa guarigione.

E sono poi stati eseguiti moltissimi esami, tra cui alcuni di carattere psichiatrico, per escludere che suor Marie avesse somatizzato la malattia. La salma in San Pietro Sul dossier medico vi sono state polemiche, fugate senza ombra di dubbio dalle indagini, ha aggiunto ieri il cardinale Amato. Il corpo di Giovanni Paolo II verrà traslato nella Basilica di San Pietro, come è avvenuto finora per tutti i Papi proclamati Beati. I lavori nella Cappella di San Sebastiano, accanto a quella della Pietà di Michelangelo, all’ingresso della Basilica sulla destra, sono già iniziati. Verrà spostata la bara di Papa Innocenzo XI, beatificato nel 1956, che andrà sotto l’altare della Trasfigurazione, proprio davanti alla tomba di Giovanni XXIII. La bara di Wojtyla non sarà aperta, cioè non ci sarà alcuna «recognitio» sulla salma, né sarà esposta. Una tomba semplice Benedetto XVI ha disposto che il monumento funebre di Giovanni Paolo II nella Basilica sia semplice ed essenziale, come la sua tomba attualmente nelle Grotte vaticane, meta da cinque anni di un incessante pellegrinaggio. Quindi, come nelle Grotte, ci sarà una lastra di marmo bianco con la scritta «Beatus Ioannes Paulus II». I lavori prevedono anche la pulitura del mosaico del martirio di San Sebastiano, copia di un originale affresco e olio di Domenico Sampieri, detto «il Domenichino». Si tratta dell’inizio di un complesso restauro di tutte le cappelle della Basilica già previsto e che avviene sotto la direzione della Fabbrica di San Pietro. Padre Federico Lombardi ha spiegato, sempre ieri, che si comincerà dalla Cappella di San Sebastiano proprio per permettere la sepoltura di Giovanni Paolo II. La biografia Karol Józef Wojtyla, nominato Papa Giovanni Paolo II (in latino: Ioannes Paulus II; Wadowice, 18 maggio 1920 – Città del Vaticano, 2 aprile 2005), è stato il 264º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica (il 263º successore di Pietro) e sovrano dello Stato della Città del Vaticano (accanto agli altri titoli connessi al suo ruolo). E’ stato eletto Papa il 16 ottobre 1978. A seguito del processo di canonizzazione gli è stato conferito il titolo di servo di Dio il 2 aprile

Striscioni in piazza del Duomo a Milano affollata di gente che segue sui maxischermi i funerali di Papa Wojtula

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2007 ed è stato proclamato venerabile il 19 dicembre 2009. Primo Papa non italiano dopo 455 anni, cioè dai tempi dell’olandese Adriano VI (1522-1523), è stato inoltre il primo Pontefice polacco, e slavo in genere, della storia. Giovanni Paolo II intraprese sin dal principio del suo pontificato una vigorosa azione politica e diplomatica contro il comunismo e l’oppressione politica, ed è considerato uno degli artefici del crollo dei sistemi del socialismo reale, già controllati dall’ex Unione Sovietica. Combatté la Teologia della Liberazione, intervenendo ripetutamente in occasione di avvicinamenti di alcuni esponenti del clero verso soggetti politici dell’area marxista. Stigmatizzò inoltre il capitalismo sfrenato e il consumismo, considerati antitetici alla ricerca della giustizia sociale, causa di ingiustificata sperequazione fra i popoli e, per taluni effetti, lesivi della dignità dell’uomo. Nel campo della morale, si oppose fermamente all’aborto e confermò l’approccio tradizionale della Chiesa sulla sessualità umana, sul celibato dei preti, sul sacerdozio femminile.

I suoi più di 100 viaggi in tutto il mondo videro la partecipazione di enormi folle (tra le più grandi mai riunite per eventi a carattere religioso). Con questi viaggi apostolici, Giovanni Paolo II coprì una distanza molto maggiore di quella coperta da tutti gli altri Papi messi assieme. Questa grande attività di contatto (anche con le generazioni più giovani, con la creazione delle Giornate Mondiali della Gioventù) fu da molti interpretata come segno di una seria intenzione di costruire un ponte di relazioni tra nazioni e religioni diverse, nel segno dell’ecumenismo, che era stato uno dei punti fermi del suo papato. Papa Wojtyła beatificò e canonizzò molte più persone di ogni altro Pontefice: si calcola che le persone da lui beatificate (all’11 ottobre 2003) siano state 1.338 e canonizzate (sempre ad ottobre 2003) circa 482, mentre i predecessori nell’arco dei quattro secoli precedenti hanno proclamato soltanto 300 santi. Il 14 marzo 2004 il suo pontificato superò quello di Leone XIII come terzo pontificato più lungo della storia (dopo quello di Pio IX e quello tradizionalmente attribuito a Pietro apostolo).

Un intenso primo piano di Papa Wojtyla

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Ghiaie, i fatti visti da P. Raschi nel libro «Questa è Bonate» Uscito nel 1959, 15 anni dopo le presunte apparizioni, e ripubblicato nel 2009

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el 2009 è stato ripubblicato in bella edizione anastatica il testo di Padre Raschi “Questa è Bonate”, uscito pro manuscripto nel 1959, da tempo introvabile. L’iniziativa si deve all’associazione Amici di P. Raschi con sede a Genova ed il testo è stato nei mesi scorsi letto a puntate a Radiomaria da Lucia Amour, ad ogni puntata prodiga di elogi a quello che lei ri-

tiene ancor oggi il miglior libro su Bonate. Come titolo di ulteriore merito per esaltare l’obbedienza di Padre Bonaventura Raschi, con insistenza informa che egli di fronte all’ingiunzione del vescovo di Bergamo si diede da fare per ritirare dal commercio un migliaio di copie del suo libro. Ora se il padre ha ritirato il libro dalla circolazione, l’ingiunzione non poteva venire dal vescovo di Bergamo, dal quale il padre non dipendeva essendo un francescano conventuale, ma dal suo superiore. E’ certa invece la messa all’indice del libro da parte del vescovo di Bergamo: “Lo scritto contiene varie inesattezze, errori ed esagerazioni ed è in disaccordo con la vera cronaca dei fatti e con il giudizio dato dalla competente autorità intorno agli stessi. S Ecc. Mons. vescovo lo dichiara proibito ipso iure in base al can. 1399, n. 5” (Vita diocesana 1960. p. 564). Il canone citato comportava la proibizione di scrivere libri su apparizioni senza l’approvazione dell’autorità ecclesiastica. Lucia Amour motiva la superiorità di questo libro su gli altri con il fatto che P. Bonaventura è stato direttore spirituale di Adelaide. Questo è sicuro, ma non è stato l’unico, lo è stato solo per un certo periodo e non lo era né al tempo delle apparizioni né al tempo del processo diocesano. Dal suo libro sappiamo (p. 20) che P. Raschi incontrò a Roma don Vitali, parroco di Ghiaie, nel 1948 e nel 1949 Adelaide; ma a tale data Adelaide era ancora guidata dal vescovo Obert del PIME che le aveva trovato ospitalità a Milano presso la signorina Ersilia Galli e la accompagnò in udienza da Pio XII il 7 aprile 1949. . A lui valdostano si deve verosimilmente anche l’aberrante iniziativa dell’esorcismo fatto su Adelaide a Courmaieur nell’agosto 1948, che alcuni fautori della leggenda vorrebbero invece addebitare a don Cortesi. Non sappiamo con precisione quando

Il libro di Padre Bonaventura Raschi ristampato

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e dove P. Raschi ha cominciato ad essere il padre spirituale di Adelaide. Il suo libro è uscito nel 1959, quindici anni dopo i fatti di Ghiaie, 14 anni dopo il terzo libro di Cortesi e 5 dopo il libro di Argentieri. E’ interessante come lui lo presenta a don Italo Duci parroco delle Ghiaie, che non nomina mai P. Raschi nel suo diario inedito. “ …Ho da qualche tempo composto e stampato un libro sui fatti di Ghiaie di Bonate. Non è un libro di pubblico diritto poiché conosco la delicatezza e le leggi che vanno osservate ed è fatto soltanto per gli amici e per gli interessati in materia, anche se lo possiede, non so per quale via, qualche altra persona… La pubblicazione non ha affatto pretese; se vi è qualcosa di doloroso per qualche persona è unicamente perché quegli argomenti sono di pubblico dominio ed io non potevo ometterli. Mi sono limitato al puro necessario. Il lavoro m’è costato fisicamente e moralmente più di quanto sembri e qualche azione poteva essere interpretata anche poco benevolmente, tuttavia ho fatto tutto con coscienza di religioso, di sacerdote e di devoto della verità, ho lavorato con serenità. Con rettitudine e con… coraggio, portando il massimo rispetto all’autorità. Avrei voluto interrogare e sentire Lei, ma ho avuto l’esatta impressione che la sua posizione fosse alquanto delicata e se non mi sono fatto vedere da Lei fu per un senso di delicatezza mentre non ho trovato elementi sufficienti che mi consigliassero a venire…” (lettera 14 giugno 1960, in copia presso l’autore). Il particolare che non abbia intenzionalmente ascoltato un teste dell’importanza di don Duci, è la riprova che dalla mente di P. Bonaventura esulava l’intenzione di fare un’opera di storia, ma solo voleva condividere qualcosa che l’aveva affascinato con una schiera ristretta di persone “come se scrivessi una lunga lettera ad alcuni amici” (prefazione). Egli prende le distanze sia da don Cortesi che da Argentieri, che avevano scritto prima di lui; contesta la spiegazione che offre don Cortesi: il racconto di Adelaide è creazione pseudologia, fantastica della bambina, quanto quella di Argentieri: Adelaide ha negato l’apparizione per suggestione demoniaca e propone la sua spiegazione: “Non è valutabile la conseguenza proveniente dall’opera che svolse don Cortesi nell’istillare alla bambina, prima la quasi-persuasione,

poi la paura, di far peccato grave col narrare la storia delle Apparizioni agli altri” (p. 6) Questa spiegazione è ancora oggi dominante, ma non convince. Infatti: - E’ tardiva: compare quindici anni dopo i fatti e di essa non v’è traccia nella difesa di mons. Bramini, che l’avrebbe certamente utilizzata per la difesa. - Non c’è neppure un’ombra di prova: nessun episodio, nessuna testimonianza sono portati da P. Raschi per documentare l’azione intimidatrice attribuita a don Cortesi. Un’azione del genere appare difficilmente conciliabile con quanto don Cortesi ha scritto in senso opposto, ma con puntuali indicazioni temporali, nel suo terzo volume (pag. 138, 221, 225, 228, 229). - Cinque anni prima Argentieri aveva ammesso le negazioni di Adelaide e ne aveva indicato alcune date (4 febbraio, 11 maggio, 26 maggio, 31 luglio, 13 agosto 1945 in La Fonte Sigillata, p. 38). Queste negazioni P. Raschi le conosce o le ignora? Certo non ne parla: si limita al biglietto del 15 settembre. Dove andrebbe collocato il proposito di non voler commettere peccato attribuito ad Adelaide da P. Raschi che parla di negazione al singolare?

Padre Bonaventura Raschi. Fu padre spirituale e confessore di Adelaide

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Adelaide fra il pittore G. B. Galizzi e padre Bruno Raschi

a colazione P. Montico e P. Raschi dei conventuali che predicò a S. Antonio” (Roncalli, La mia vita in oriente, p. 361). Rispondendo a P. Goggi mons. Capovilla così puntualizza: “…P. Raschi… Chiarisco: l’aver incontrato nel corso di una predicazione l’allora delegato pontificio a Istambul, sempre accogliente con tutti, non significa che il Papa lo conoscesse bene. Giovanni XXIII parlava delle sue conoscenze di laggiù. Ma non fece mai il nome di P. Raschi recatosi a Istambul in circostanza singolare” (Lettera 18 ottobre 1984, in copia presso l’autore). Rispondendo a P. Goggi, P. Raschi scrive: “Fu mons. Obert a

portare notizie. 1 - La notizia che il Santo Padre aveva ricevuto i libri, sia il pacco generico di normale presentazione, sia il pacchetto speciale di due libri, rilegato in pelle bianca e titoli in oro uno e l’altro rilegato in pelle rossa e titoli in oro. 2 - La notizia che in una seconda visita chiarissimamente e ripetutamente gli disse: a) che la pubblicazione piaceva molto e vi si era semplicemente commosso. b) Più tardi il Santo Padre volle accertare il vescovo sulle sorti del libro e che lo inviò lui stesso al supremo tribunale del Santo Uffizio con la scritta:“deponiamo questo libro scritto dal molto Rev. P. Bonaventura Raschi, dal titolo “Questa è Bonate” presso il nostro supremo tribunale del Santo Ufficio, che, se le cose ivi descritte sono vere, come Noi le crediamo, altro non si potrà fare che lasciare libero culto all’apparizione. (lettera 25 luglio 1984, in copia presso l’autore). Padre Goggi ha voluto interrogare sul libro in questione anche mons. Capovilla: “Padre Raschi mi ripete che il suo libro fu letto da Papa Giovanni, che vi appose un autografo e lo fece depositare da mons. Obert presso l’Ex Santo Ufficio, ove sono andato per vedere l’autografo, ma S. E. mons. Bovone e l’archivista mi dissero che il libro (rilegato in pelle bianca con titolo

- La spiegazione di P. Raschi rende ragione perché don Cortesi da favorevole sia diventato contrario? Assolutamente no. - La spiegazione di P. Raschi è ripresa dalla falsa lettera di Adelaide a Papa Giovanni pubblicata nel 2002, rilanciata da Radiomaria, dai libri di P. Bortolan, di Amour, dalla rivista Senapa, dal sito internet; non figura invece nella lettera autentica giunta al Papa. Il libro di P. Bonaventura tanto esaltato da Lucia Amour va inquadrato nel suo genere letterario: è lo scritto edificante di un predicatore appassionato, che non ha l’intento di fare opera di storia. Questo libro è stato letto da Papa Giovanni? Problematica la risposta. Certamente P. Raschi ci teneva a presentarsi come persona nota a Papa Giovanni. In una lettera a P. Attilio Goggi scrive: “Il Santo Padre mi conosceva bene e a Costantinopoli era tutte le sere alla mia predica alla tredicina nella basilica di S. Antonio dove mi trovavo invitato a predicare. Fui felice di un paio di visite a lui e di due volte invitato a tavola. In quella occasione mi regalò un pacco di dolci turchi” (Lettera 27 maggio 1984, in copia presso l’autore). Nella sua agenda alla data del 14 giugno 1937 il delegato Roncalli ha annotato: “A mezzodì trattengo 22


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in oro) non c’era. In detto autografo Giovanni XXIII è venuto “non fa onore a chi l’ha messa in circolazione, scrive tra l’altro: se queste apparizioni sono autentiche, tanto essa è manifestamente inventata di sana pianta”. come Noi lo crediamo” (Lettera 18 settembre 1984, “Ad ogni causa giusta e onesta devesi prestare un’attenin copia presso l’autore). zione coscienziosa, così che la verità – qualora la si Mons. Capovilla risponde: volesse appurare – si faccia strada con documentazione 5 L’inciso “Come noi lo crediamo” suscita incertezza, seria. rigorosa e comprovata, sin nei minimi particoperché il Papa nei suoi appunti personali (ne conosco lari” (lettera del 16 dicembre 1978 in copia presso centinaia ) non usava mai il noi. E’ ben vero che questa l’autore). versione può riferirsi alle accidentalità di linguaggio. Nella lettera al Papa del 13 maggio 1960 Adelai6 Circa Mons. Obert “discepolo e amico del Papa” de chiese un’udienza accompagnata dal suo padre converrebbe chiarire: fu egli alunno del seminario di spirituale, ma la richiesta non fu accolta. In questa Bergamo? Altrimenti non si spiega questa amicizi, di lettera non c’è il minimo accenno che sarebbe stata cui non sentii mai parlare. minacciata da don Cortesi di commettere peccato 7 Resta misterioso il fatto di un libro mandato dal mortale se avesse parlato dell’apparizione: Papa, recato di persona dal vescovo al S. Officio, non si la spiegazione offerta appunto da P. Raschi. Se la trovi più. Non si dubiti che mgr. Obert l’abbia portato cosa era accertata, perché Mons. Battaglia e don alla Congregazione, addirittura su consiglio del Santo Piccardi, mediatori della lettera, non gliel’avrebbero Padre. Rimane il nodo della asserita nota papale con fatta inserire? L’accenno insistito figura invece nella quell’inciso emblematico “Come noi lo crediamo”. Alla falsa lettera di Adelaide al Papa messa in circolazioCongregazione per la Dottrina della fede ci sono an- ne dalla leggenda nel settembre 2002. Il rapporto P. cora persone che erano in servizio negli anni Sessanta. Raschi Adelaide si è rotto sul finire del 1977. Una parola del Papa non dovrebbe essere caduta nel Il numero di settembre 1980 della rivista Il pundimenticatoio” (Lettera del 18 ottobre 1984, in co- golo su Bonate riporta la corrispondenza intercorsa pia presso l’autore). fra P. Raschi e il direttore della rivista prof. Walter Molto preziosa anche la risposta di mons. Capovilla De Giuseppe. Dopo aver elencato i benefattori per al maestro Stambazzi che gli aveva scritto di aver saputo da Padre Raschi che Papa Giovanni era intervenuto in sua difesa quando il card. Siri l’aveva denunciato al Santo Ufficio per la pubblicazione del libro e riferiva il particolare di Papa Giovanni in lagrime alla lettura di questo libro: 1 Giovanni XXIII non conosceva P. Raschi. Forse ne sentì parlare dal card. Testa. 2 Il Papa non inviò al religioso alcun messaggio orale e non intervenne nei suoi riguardi in un senso o nell’altro. 3 L’asserzione che il Papa leggesse “mattina e sera il libro su Bonate e Udienza di Papa Giovanni XXIII a p. Guido Masnovo, p. Giorgio Montico piangesse” sul bene che poteva venie fra Gabriele Muiesan (aprile 1959) re dalle apparizioni di Ghiaie e non 23


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2 Pensai all’acquisto della casa vecchia dove fu la vita di Adelaide e restaurarla. 3 Adelaide non aveva simpatia alcuna per la vecchia casa (il che mi fece dispiacere). 4 Pensai di conseguenza ad una nuova casa che venisse abitata dalla Veggente per il tempo sino al momento di rientrare in convento e per tale progetto impiegai tempo e benefattori sino alla realizzazione. 5 Era chiaro che il mio attaccamento all’Ordine dei Frati Minori Conventuali mi portasse a desiderare la loro presenza nei pressi del futuro santuario di Ghiaie e quindi decisi che la casa venisse donata dalla Veggente alla Provincia Religiosa Conventuale Veneta. 6 Avendo io sempre tenuto alla povertà professata volli che tutto lo svolgimento delle pratiche di costruzione e di pagamenti venisse effettuato dalla veggente Adelaide. A tale scopo passai a lei il danaro, dandole qualche direttiva utile sia sulla costruzione, sul tipo di riscaldamento ecc. 7 A mezzo del Rev. padre Ilario Moretti per due volte sollecitai l’Adelaide per promuovere ed attuare l’atto di donazione della casa alla Regolare Provincia Lombardo Veneta dei Frati Minori Conventuali con la clausola di abitarla da parte di Adelaide, se ciò le fosse possibile, vita natural durante. 8 Ciò non fu realizzato ma vi stette come inquilina la sorella Romana e famiglia che poi venne sfrattata e venne da me a raccomandarsi. 9 Ultimo atto fu l’illecita vendita dello stabile. 10 Conseguenza: tutto il sacrificio fu frustrato”. La rivista aggiunge anche che Adelaide ha rivendicato per vie legali la proprietà di un quadro della pittrice Balzarini raffigurante la Madonna delle Ghiaie, che Padre Raschi avrebbe invece voluto donare all’associazione del prof. D Giuseppe. Facile dedurre che la separazione non è stata idilliaca. Padre Raschi ha ripetuto a Genova la negativa esperienza di Ghiaie: direzione di una presunta veggente, costruzione nel 1964 di un santuario sul monte Fasce con annesso convento. L’apparizione non è stata riconosciuta, il santuario non è sempre aperto e per il convento i padri conventuali sono in attesa di un acquirente. P. Raschi è morto il 7 giugno 1987 ed è sepolto nel cimitero di Apparizione sul monte Fasce. Il suo libro

Monsignor Giuseppe Obert

la casa di Ghiaie il padre scrive: “Hanno dato tutto il necessario. P. Raschi sì è per questo privato dei vantaggi personali per la sua opera; ha sofferto limitazioni finanziarie per il suo lavoro; ha sofferto una diminuzione di stima per la mancata realizzazione degli scopi per cui veniva costruita la casa. La casa per Adelaide venne ideata così: 1 Avere la casa della Veggente, come a Lourdes vi è la casa di Bernardette.

La casa di Adelaide (1944)

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del 1959, “Questa è Bonate” reca in appendice quelli che lui chiama i messaggi della Madonna da lui “scoperti” nel 1957 nella borsetta di Adelaide. Ma esiste depositato in curia a Milano un diario autografo di Adelaide datato 30 gennaio 1950, con i messaggi della Madonna che lei aveva trascritto con l’assistenza della signorina Ersilia Galli. Adelaide avrà parlato di questo diario al padre? Certo lui non ne fa parola e da qui nasce la domanda. Ma anche P. Tognetti dopo mezzo secolo lo ignora completamente tanto che scrive nella prefazione alla ristampa del libro, che P. Raschi “ha avuto in mano, per primo, le trascrizioni originali dei messaggi che la Santa Vergine lasciò alla veggente (p. IX). E questo è falso. Due domande per finire: P. Raschi ha rispettato i messaggi della Madonna come erano presentati nel

Un testo autografo di Padre Raschi

1950 o li ha tanto o poco modificati? Si deve a lui la cancellazione di tutti i ciao che nel diario 1950 la Madonna ha detto ad Adelaide nel congedarsi da lei? Il confronto fra i due diari non è mai stato fatto. Don Marino Bertocchi

Verdello, dopo 124 anni le suore Sacramentine lasciano «Queste immagini certo non ricostruiscono tutta la loro storia. Ma ci aiutano a ricordare alcuni volti noti e soprattutto il bene che da loro abbiamo ricevuto». Queste le parole pronunciate lo scorso 15 gennaio, a Verdello (Bergamo), dal direttore della casa di riposo Brolis Giavazzi, Egidio Passera, all’inaugurazione della mostra fotografica allestita nella palestra della casa di cura e dedicata alla congregazione delle suore Sacramentine. Congregazione che dopo 124 anni si appresta a lasciare Verdello: qui le suore sono giunte nel 1887 per assumere la direzione dell’asilo Paolo VI e della Pia casa di ricovero Brolis Giavazzi dove ora si occupano esclusivamente dell’animazione spirituale.

La mostra fotografica dedicata alla loro presenza nel paese (la foto più antica raffigura una classe di bambini del 1930) è il primo degli eventi organizzati da un comitato creato da parrocchia e Comune appositamente per l’occasione e attraverso i quali la popolazione vuole salutarle e testimoniare loro gratitudine. L’inaugurazione della mostra, molto partecipata, è avvenuta nell’ambito di un convegno al quale sono intervenuti oltre al direttore della casa di riposo, il sindaco Luciano Albani e il parroco monsignor Arturo Bellini. E naturalmente non potevano mancare le ultime tre suore rimaste ad operare a Verdello: la madre superiora Sara Busnari, 70 anni, a Verdello da

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14 anni, Lucia Zanoni, 71 anni, a Verdello da dieci anni ed infine la più anziana suor Rosilda Vitali, 90 anni, a Verdello dal 1943 ossia da ben 67 anni.

L’immagine di un gruppo di suore Sacramentine


PUBBLICAZIONI

La ricerca dell’Assoluto nei versi di Centurelli E’ l’ultimo libro di poesie dato alle stampe dal pittore e scrittore bergamasco

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’uomo vive di speranza e di amore, trascorre i suoi giorni con l’animo rivolto a sublimi ideali, lotta con energica volontà contro il male che lo assale nell’intimo e che deve combattere se gli sta d’attorno. Nel contesto di queste vicissitudini l’uomo aspira a realtà sublimi e continuamente si affanna in cerca dell’Assoluto. E appunto In cerca dell’Assoluto è il titolo dell’ultimo libro di poesie che l’autore bergamasco Antonio Centurelli ha dato alle stampe a gennaio. Di seguito riportiamo la recensione del volume fatta da don Lino Lazzari su «L’Eco di Bergamo». In cerca dell’Assoluto (Ed. Velar, Gorle, pagine 207) è per il poeta Centurelli una introspezione analitica di ogni aspirazione dell’uomo, nell’insieme di una visione contemplativa delle bellezze della natura in cui l’uomo stesso è immerso, per esprimere con accenti suadenti la realtà divina che in tali bellezze vi si racchiude. Ed è così che l’amore per le creature trova il suo epilogo nello stesso Amore, che è Dio, cioè nell’Assoluto. Centurelli esprime queste verità in brevissimi ma

toccanti versi poetici: «La fede/ come il vento/ disperde/ i tormenti/ dell’anima/ e innalza/ lo spirito/ all’amore divino». In un susseguirsi di riflessioni che portano il poeta a cantare le meraviglie di questo Amore, i fiori, le piante, le farfalle, i ruscelli, il mare, elevano il loro inno gioioso e invitano a realizzare l’«amore divino», nell’amore ai fratelli. Il poeta annota e pertanto condanna quell’odio e quella violenza che da sempre si sono manifestati nel corso della storia e che, purtroppo, hanno portato l’uomo a diventare fratricida. E’ questa, per Centurelli, una condanna che non deve però portare ad ulteriori violenze, bensì a rendere più viva in ciascuno di noi la certezza che, al di sopra di ogni odio fratricida, trionfa necessariamente l’amore di Dio, che è Padre per noi: «L’amore/ dono infinito/ unisce l’umanità/ in un solo Padre». Continuare è dunque superfluo. Il lettore di questo poemetto In cerca dell’Assoluto saprà certamente trovare nelle poesie di Centurelli quell’ideale di felicità spirituale alla quale l’uomo volge ogni sua speranza e ogni suo amore. E potrà comprendere che in questi testi poetici per davvero si attua l’affermazione che portò Sant’Agostino ad esclamare: «Inquieto è il nostro cuore, o Signore, fin a che non riposi in te». Come aggiunta diciamo che il libro In cerca dell’Assoluto è corredato da numerosi disegni eseguiti dallo stesso autore Antonio Centurelli con quelle capacità di valido ed esperto artista che da sempre noi tutti gli riconosciamo. Il pittore e scrittore Antonio Centurelli, nato a Bergamo il 9 settembre del 1936, ha da sempre sviluppato le sue eccellenti facoltà intellettive ed operative attraverso lo studio, la realizzazione di opere di poesia e di arte visiva.

Antonio Centurelli con Benedetto XVI

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Restaurate dagli studenti le tele delle chiese orobiche Sono gli allievi della scuola d’arte Fantoni. Lavoro a costo zero per le parrocchie

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a scuola d’arte Andrea Fantoni di Bergamo apre le porte alla città offrendosi come cantiere per il restauro di alcune preziose opere presenti nelle chiese cittadine. Sull’argomento proponiamo un servizio di Diana Noris apparso sul quotidiano «L’Eco di Bergamo» alla fine dello scorso ottobre. Già sono state portate nell’istituto cinque tele (due sono del ‘700) provenienti dalla chiesa di San Giovanni Battista del quartiere di Campagnola, dalla chiesa di San Bartolomeo sul Sentierone, in centro città, e dalla chiesa di Sant’Anna nell’omonima piazza. Nei prossimi giorni altre tre tele, che ad oggi sono collocate nella sagrestia del Duomo di Città Alta, saranno portate nel laboratorio dell’istituto dove saranno sottoposte ai lavori preliminari. Saranno proprio gli studenti che frequentano il corso di tecnico collaboratore del restauratore di beni culturali, coordinati dalla docente Silvia Baldis, ad eseguire i lavori di pulizia e restauro in un’attività dalla valenza significativa. Spiega la coordinatrice del corso Paola Carminati: «Oltre a contribuire alla conservazione di un bene artistico di valore restituendolo alla comunità con i colori e la bellezza originari, questa iniziativa permette agli studenti di intraprendere un’esperienza importante sul campo».

«Spesso – continua Paola Carminati – le risorse sono poche per intervenire su questo tipo di beni anche a causa del grave stato di degrado che comporterebbe costi onerosi. Capita spesso che siano le parrocchie, enti pubblici e fondazioni private che ci contattino direttamente, cogliendo l’occasione offerta da questo corso». La sfida Le prime operazioni sugli otto dipinti prenderanno il via in questi giorni, ma i tempi di fine lavori ancora non sono stati definiti: «Possono essere tante le sorprese a cui andremo nel corso degli interventi – spiega la docente e responsabile del restauro Silvia Baldis – visto che, soprattutto nel caso di due opere, ci troviamo davanti a tele molto sporche e annerite. I risultati saranno di grande impatto per quanto riguarda l’effetto estetico e cromatico. Inoltre la grande opportunità è quella di riuscire a dare un’attribuzione alle opere, visto che nella maggior parte dei casi l’autore è anonimo». Un lavoro importante

Qualità senza lucro Il laboratorio rappresenta un’occasione non solo per gli studenti, che hanno la possibilità di andare oltre i banchi di scuola sperimentando, ma anche per le parrocchie che possono avvalersi di una consulenza ed un servizio di qualità a costo zero. Il lavoro portato avanti dall’Istituto è infatti senza scopo di lucro e la qualità è garantita dalla supervisione della Soprintendenza della Regione, che autorizza l’inizio delle attività sugli importanti beni artistici.

Gli studenti della scuola d’arte Fantoni restaurano le tele delle chiese bergamasche

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opere

e di responsabilità aspetta i ragazzi che frequentano il corso di tecnico collaboratore del restauratore di beni culturali e che li impegnerà sicuramente fino alla fine dell’anno scolastico.

rapita dall’esperienza mistica sorretta da due angeli. La particolarità che rende interessanti le tele, spiega la docente e responsabile dei restauri Silvia Baldis, è il fatto che non siano attribuite a nessun autore: «Si tratta di opere importanti sia dal punto di vista storico sia per la notevole fattura. Per anni queste opere sono state lasciate nelle sagrestie, oggi hanno la possibilità di essere valorizzate e di essere restituite al loro splendore originale». Le altre opere, che vengono tutte dalla Parrocchia di San Giovanni Battista di Campagnola, sono una tela rappresentante il «San Giuseppe» realizzata nel XIX secolo da un autore bergamasco (dipinto su tela con cornice, centimetri 180x70), la tela dal titolo «S. Anna insegna a leggere a Maria» datato sec. XIX ed attribuito ad un autore bergamasco (dipinto su tela con cornice, centimetri 177x72) e infine un’opera attribuita a V. A. Orelli, «S. Gaetano» del XVIII secolo (dipinto su tela con cornice, centimetri 176x72).

Opere di grande valore Sono già cinque le tele che si trovano presso il laboratorio della scuola Andrea Fantoni e che si apprestano a ricevere i primi interventi di restauro. Si tratta di una serie di opere varie soprattutto per quanto riguarda il periodo storico in cui sono state realizzate. Una delle opere più antiche e preziose è il dipinto dal titolo S. Anna e la Madonna Bambina, datato XVIII secolo. Si tratta di un dipinto su tela dalle dimensioni importanti (centimetri 119x198) che raffigura S. Anna mentre insegna a leggere alla Madonna Bambina. Un’altra opera di particolare interesse è l’Estasi di Santa Caterina, un dipinto su tela del XVIII secolo che rappresenta Santa Caterina con le stigmate e

Addio alla centenaria suor Guglielmina Tonolini Ha sempre fatto la cuciniera in seminari, collegi e ospedali e ovunque ha lasciato ricordi bellissimi. Non solo per le sue doti ai fornelli, ma soprattutto per tre doni che aveva portato con sé dalle sue amate montagne: la volontà forte, la gioia contagiosa e lo stupore intelligente di fronte alle cose. A 74 anni aveva avuto problemi cardiaci, eppure è stata paradigma di un proverbio bergamasco: il bicchiere rotto campa più di quello nuovo. E infatti suor Guglielmina Tonolini aveva superato il traguardo dei cento anni, 76 dei quali vissuti da religiosa. Si è spenta serenamente, lucida fino all’ultimo, sabato 4 dicembre 2010 nella casa di riposo del suo istituto a Gazzaniga (Bergamo). Secondogenita di una famiglia numerosa (due sorelle e quattro fratelli), nasce l’11 marzo 1910 a Ogna e viene battezzata col nome di Mariateresa. Il papà era operaio al Cotonificio Festi Rasini e mante-

neva la famiglia «con la poca paga della fabbrica», come raccontava suor Guglielmina. Dopo le elementari, come era diffusa consuetudine all’epoca, per aiutare la famiglia, appena dodicenne va a servizio in una famiglia, per essere assunta poco tempo dopo alla Festi Rasini come operaia. Già allora è la donna di casa, a causa della malferma salute della mamma. Nel 1934 entra nelle Suore di Carità delle Sante Capitanio e Gerosa. Emette la professione perpetua a Treviglio il 29 giugno 1944. Le viene affidato l’incarico di cuciniera, che svolge per decenni in diversi luoghi: Seminario arcivescovile milanese di Venegono, casa di cura di Salice Terme, casa provincializia di Milano, ospedale di Melzo, Collegio degli Angeli a Treviglio e ospedale di Casalpusterlengo. Nel 1984, a causa di disturbi cardiaci, passa nella casa dell’istituto a Gazzaniga, dove ha continuato ad aiutare le consorelle,

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ma anche a coltivare la passione del ricamo e del cucito. «Era una donna che trasmetteva gioia in tutti – racconta suor Eugenia Belotti, superiora della casa di Gazzaniga –. Aveva il dono dello stupore intelligente di fronte alle cose anche più piccole. Non aveva potuto fare grandi studi, eppure era dotata di un’acutezza mentale che lasciava sorpresi tutti».

Suor Guglielmina Tonolini


T ESTIMONIANZE

Accoglienza e assistenza nella Casa del Pontefice Intervista a Calvino Gasparini, presidente dell’Associazione Santi Pietro e Paolo

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’ la prima associazione di volontariato di istituzione pontificia. Così inizia il servizio, a firma di Gianluca Biccini, apparso di recente sul giornale cattolico «L’Osservatore Romano». Dopo un’introduzione l’articolo prosegue con l’intervista che riproponiamo ai nostri lettori. Ma tale associazione è anche l’erede diretta di un corpo armato che è stato demilitarizzato; in pratica un antico esercito che oggi si occupa di accoglienza e assistenza. Si può riassumere così la storia dell’Associazione Santi Pietro e Paolo, che si appresta a celebrare un duplice anniversario: il quarantesimo di fondazione e i 160 anni dalla nascita della Guardia Palatina, da cui ha raccolto il testimone nel segno della continuità. Nella sede al Cortile di San Damaso abbiamo incontrato il presidente Calvino Gasparini. Quasi inevitabile chiedergli innanzitutto il perché di quel nome piuttosto inusuale. «E’ una storia personale legata ai miei antenati – spiega – che non ha niente a che vedere con il protestantesimo. Pensi che sono entrato nella Guardia Palatina nel 1962. Avevo diciassette anni e operavo nel gruppo ragazzi di cui era responsabile Gianluigi Marrone, il primo presidente dell’associazione». E’ stato proprio lei a raccogliere l’eredità nel 2009. «Sì, nel maggio 2009, dopo la morte di Marrone, a lungo Giudice unico dello Stato della Città del Vaticano. Nelle elezioni è stato rinnovato l’intero consiglio di presidenza, visto che lo statuto datoci da Papa Montini nel 1971 prevedeva una sorta di referendum, legando tutto il consiglio alla presidenza. Il mese seguente, a giugno, la Segreteria di Stato ha approvato l’elezione». Ci spieghi meglio il legame con la Guardia Palatina. «Quando Paolo VI, con lettera del 14 settembre 1970, comunicò al cardinale Villot, suo segretario di Stato, la decisione di sciogliere i corpi militari pontifici ad eccezione dell’antichissima Guardia Svizzera, in pratica azzerò la Guardia Palatina, ma non sciolse i suoi membri dal

giuramento di fedeltà al Papa e ai suoi successori. Questo comportò la conservazione di quel legame e diede vita alla prima associazione di volontariato di istituzione pontificia. Per evitare sovrapposizioni con il Circolo San Pietro, Villot suggerì il titolo di Associazione Santi Pietro e Paolo. Il primo animatore e assistente fu monsignor Giovanni Coppa, oggi cardinale, al quale va tutta la nostra riconoscenza. Poi Giovanni Paolo II ci chiamò l’Associazione della Casa del Papa. Forse siamo un caso unico nella storia: un corpo militare che è stato demilitarizzato per svolgere incarichi di servizio e per l’accoglienza nelle celebrazioni pontificie e in San Pietro. Credo che nessun esercito al mondo abbia subito un cambiamento del genere, così radicale». Nella nascita dell’associazione appare evidente il ruolo della Segreteria di Stato. C’è ancora questo collegamento? «Certo. Basti pensare che essa nomina il nostro assistente spirituale, scegliendo tra suoi officiali. Attualmente è monsignor Joseph Murphy, che ha come vice monsignor Mitja Leskovar. L’assistente emerito è Alfred Xuereb – oggi nella segreteria particolare di Benedetto XVI – che a sua volta era il vice di monsignor Francesco Follo, attuale Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Unesco a Parigi».

Un’antica foto in uniforme lungo le strade del Vaticano

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testimonianze

Abbiamo parlato delle uniformi e della banda. Per completare un esercito mancano le armi e la bandiera. «Pio IX concesse il vessillo su cui campeggiava lo stemma del Pontefice fondatore. Questa bandiera è conservata al Museo lateranense, in quanto ha una particolare rilevanza storica: è l’unica dello Stato pontificio ancora esistente. Quanto alle armi in dotazione la logica ottocentesca era quella di porre livelli successivi di difesa. All’esterno del Palazzo Apostolico vi erano la Guardia Svizzera e la Gendarmeria, mentre al piano terra del Palazzo, nei cortili di San Damaso, del Belvedere e della Pigna, c’era la Guardia Palatina, ovvero circa cinquecento romani che nel Cortile del Triangolo avevano persino due cannoni. Infine al primo piano c’era la Guardia Nobile. Altra funzione aveva il servizio di “anticamera”: nella Sala Clementina c’era la Guardia Svizzera poi nella seconda sala c’era la Gendarmeria, nella terza che era d’angolo c’eravamo noi, nella quarta i Bussolanti, poi i Camerieri di cappa e spada e prima dello studio privato del Pontefice la Guardia Nobile. Fino allo scioglimento facevamo servizio di anticamera e la nostra sede era, come già detto, nella Sala d’Angolo, con una sentinella nella sala dei Gendarmi, alla porta della chiocciola che scende nel Cortile sistino. Nel dopoguerra, a partire dal 1947, siamo passati alla sistemazione attuale. Il quartiere andava dall’ingresso nel cortile di San Damaso, che è quello che usiamo ora, a quello ordinario nel cortile del Triangolo, che dava accesso alle camerate e ai locali di servizio. All’uniforme si associava, come arma, il moschetto Remington a retrocarica con baionetta, dono dei cattolici belgi nel 1868». Poi ci fu la trasformazione voluta da Papa Montini. Quante guardie divennero soci? «Nel 1970 la Guardia Palatina d’onore costituiva in Vaticano una realtà che si era arricchita di ausiliari nel corso dell’ultimo conflitto mondiale per i servizi di vigilanza anche nelle zone extraterritoriali, raggiungendo il numero di 1.500 unità. Durante l’avanzata delle truppe alleate, soprattutto a Castel Gandolfo le guardie si distinsero per coraggiose iniziative di soccorso e solidarietà alle numerose vittime della guerra. Tra questi volontari, che ebbero anche scontri con le SS e le milizie fasciste, ricordiamo il professor Salvatore Canalis, allievo ausiliario palatino, che il 24 marzo 1944 venne trucidato nell’eccidio delle fosse Ardeatine. Nel 1971, con l’approvazione dello statuto dell’Associazione Santi Pietro e Paolo, aderirono la mag-

La festa dell’Associazione celebrata il 27 giugno 2010 nell’Aula della Benedizione

Camminando nella sede dell’associazione notiamo alcune antiche uniformi, persino armi d’epoca. Viene da chiedere: allora eravate soldati a tutti gli effetti? «La Guardia Palatina d’onore fu istituita dal beato Pio IX con regolamento emanato il 14 dicembre 1850 attraverso la fusione di due corpi armati civili – la Milizia Urbana e la Civita Scelta – già esistenti da secoli nello Stato pontificio. Entrambi avevano compiti nell’Urbe e, a conferma che la Guardia ne era la continuatrice, venne nominato primo comandante palatino Giuseppe Guglielmi. Fu lui a comunicare ai militari che il Papa aveva decorato il Corpo con il titolo “d’onore” per la fedeltà dimostrata e il servizio prestato. Papa Mastai Ferretti, inoltre, nella stessa circostanza concesse il Concerto musicale, rimasto ancora oggi il corpo bandistico ufficiale dello Stato della Città del Vaticano, anche se assorbito dalla prefettura della Casa Pontificia in occasione della riforma di Paolo VI. Questo perché la Guardia Svizzera non possedeva una banda musicale propria per i cerimoniali». In pratica la banda musicale è stata distaccata da voi? «Noi come associazione possiamo chiedere alla Prefettura, per concessione di affinità, i servizi della banda due volte l’anno: a Pasqua e in occasione della nostra festa patronale del 29 giugno, come già faceva la Guardia Palatina che, in quelle date, solennizzava l’avvenimento rinnovando sulla tomba di San Pietro il giuramento di fedeltà al suo successore. Attualmente stiamo ricostituendo un piccolo gruppo di ottoni per i nostri momenti liturgici o per particolari occasioni. Durante la festa dell’associazione, nel giugno dello scorso anno, questo gruppo ha eseguito la famosa “Marcia delle trombe d’argento per Pio IX” alla presenza di noi tutti». 30


testimonianze

gior parte dei membri della Palatina e, passato il periodo in cui parlare della Guardia significava voler fare del revanscismo, iniziammo ad ammettere cattolici romani che – come recita lo Statuto – “nel desiderio di rendere particolare testimonianza di vita cristiana e di fedeltà alla Sede di Pietro” dedicano una parte del loro tempo libero alle attività dell’Associazione. Oggi delle cinquecento guardie originarie siamo rimasti in duecento, per questioni naturali di età, ma integrati da circa trecento nuovi soci». Come si entra a farne parte? «Vengono accolte non più di venti domande di ammissione l’anno. Ora vorremmo lavorare più sui giovani. I nuovi soci prima di essere ammessi seguono una formazione spirituale e umana di due anni. Tra soci attivi, soci sostenitori e gruppo anziani, abbiamo raggiunto la cifra di circa novecento persone. Da considerare che il nostro carico di lavoro per una celebrazione pontificia – si scende in basilica tre o quattro ore prima dell’orario d’inizio per poi ritirarsi quando tutti i fedeli hanno lasciato il sagrato o la basilica – ha un impegno che va dalle sei alle otto ore». Spieghiamo nel dettaglio che cosa fate esattamente. «L’Associazione, che fonda le sue basi sul motto già appartenuto alla Guardia Palatina Fide constamus avita, svolge il proprio operato attraverso tre sezioni: liturgia, cultura e carità». Iniziamo dall’ultima. «Essa risale a un’antica tradizione. La Santa Sede dava alla Guardia Palatina un piccolo appannaggio, che ordinariamente veniva devoluto per la dote delle ragazze bisognose assistite da ordini religiosi. Questa pratica è rimasta in uso fino al 1870. Poi si passò ad altre forme di autosostegno, che nel 1936 si concretizzarono nella fondazione di una conferenza di San Vincenzo de’ Paoli. Nello spirito vincenziano, uno dei compiti delle reclute consisteva nel recarsi tutte le domeniche presso il vicino ospedale di Santo Spirito in Sassia per distribuire la stampa cattolica – in particolare L’Osservatore Romano e Famiglia Cristiana – e consegnare quei beni di prima necessità che le suore infermiere richiedevano per i ricoverati. La conferenza di San Vincenzo è ancora attiva. Oggi siamo passati a progetti di più ampio respiro, come quello che ci sta impegnando per il sostegno del seminario dell’arcidiocesi di Ranchi, in India. Molte sono anche le famiglie da noi assistite grazie a uno stile fatto di dialogo, prima

che di elemosina. Infine svolgiamo un piccolo servizio alla mensa della casa Dono di Maria e alcuni nostri volontari, medi e odontoiatri, collaborano attivamente con il dispensario pediatrico Santa Maria per la cura dei bambini e, qualche volta, anche dei genitori». Ma gli abiti blu, con le cravatte a righe giallorosse dell’associazione, si vedono soprattutto nelle messe del Papa. «Di questo si occupa la sezione liturgia, che su richiesta dei superiori partecipa a tutte le celebrazioni pontificie in Vaticano e, in particolari occasioni, al Laterano. In alcuni casi lo facciamo anche a San Paolo fuori le Mura. Svolgiamo inoltre un servizio continuo e quotidiano di accoglienza nella basilica di San Pietro. Infine vorrei ricordare il ruolo ormai storico svolto durante la processione del Corpus Domini da San Giovanni a Santa Maria Maggiore, che ci vede tutti impegnati. Fu Papa Wojtyla a dirci una volta: “Voi che sapete stare in riga perché non fate una bella processione?». E la commissione culturale? «Uno dei nostri cappellani, monsignor Amleto Tondini, segretario dei brevi ai Principi, vedeva la necessità che le guardie palatine fossero formate nel modo di vivere della realtà vaticana, sotto tutti gli aspetti, soprattutto artistico e storico: diceva che solo immedesimandosi in quel tipo di cultura si capiva in quale ambiente ci si muoveva. Era indiscutibilmente vero, tanto che l’abbiamo riportato poi nello statuto dell’Associazione. Per dare sostegno all’informazione e al legame dei palatini, monsignor Tondini nel 1945 fondò il giornale Vita Palatina, che mensilmente faceva la cronaca degli avvenimenti vaticani e del magistero pontificio. Tale tradizione è proseguita con Incontro, il trimestrale dell’Associazione. Ora la sezione culturale svolge attività di formazione e informazione indirizzata soprattutto ai nuovi soci, ma organizza anche conferenze, mostre, pellegrinaggi e stimola la partecipazione di tutti a queste attività. Il frutto di questa cultura, che nasce dal motto palatino, chiarisce come si sia potuti passare dalla Guardia all’Associazione senza traumi: è fondamentale la volontà degli aderenti – fondata su una sincera vocazione cristiana – che illuminati dalla luce della carità del magistero pontificio sono pronti a tutte le prove. Del resto, lo stile dell’Associazione è quello di sempre: “Umile nei suoi compiti, grande nel suo animo, assoluta nella sua fede”». 31


P U B B L IC A Z I O N I

Oggi il Vangelo va seminato anche nel mondo del digitale Lo suggerisce il libro «Nuovi media. Diocesi e parrocchia. Istruzioni per l’uso»

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nternet, media, mondo del digitale, stampa. Sono realtà, scrive Carmelo Epis nel suo articolo apparso su «L’Eco di Bergamo» lo scorso 17 gennaio, dove la Chiesa e la parrocchia devono esserci perché nuovi luoghi eccezionali nell’evangelizzazione di vicini e lontani. Infatti, nel terzo millennio il Vangelo va seminato anche in queste nuove realtà. E’ però necessaria una adeguata formazione se si vuol rendere fruttuoso l’impegno. In questo contesto si pone l’agile volumetto «Nuovi media. Diocesi e parrocchia. Istruzioni per l’uso» (Tau editrice, pagine 88, euro 7), curato da don Giacomo Ruggeri, prete e parroco nella diocesi marchigiana di Fano- Fossombrone-Cagli-Pergola, direttore dell’Ufficio diocesano comunicazioni sociali, giornalista, docente di Teologia e di Pastorale della comunicazione, nonché autore di diverse pubblicazioni. Frutto dell’esperienza di diverse persone maturata sul campo, più che un manuale «questo testo – come scrive efficacemente nella prefazione monsignor Domenico Pompili, direttore dell’’Ufficio comunicazioni sociali della Cei – è una espressione concreta dell’attenzione che sta maturando nelle nostre comunità per l’orizzonte della comunicazione. A fronte del diluvio elettronico che invade le nostre case, i diversi contributi sottolineano che rimane ancora spazio per notizie che nascono dall’incontro diretto, dall’esperienza vissuta, dalla testimonianza». In pratica, il volumetto vuole offrirsi e offrire a «seminatori pazienti», cioè sacerdoti, operatori pastorali e

laici, alcune proposte concrete pensate ad hoc, ciò che è utile, perché anche in ambito ecclesiale e parrocchiale non sono più sufficienti buona volontà e impegno se non innaffiati dalla formazione. «E’ compito della Chiesa e di tutti coloro che hanno a cuore l’edificazione del Regno di Dio – scrive il curatore – non creare una contro cultura, ma farsi seminatori sapienti e coraggiosi in ogni tempo, consapevoli che l’agire storico di Dio si fa semente nel terreno dell’umanità». Infatti, gli operatori nel mondo della comunicazione sono «tessitori pazienti che possono determinare svolte importanti». Il volumetto è suddiviso in sette capitoletti, scritti a più mani, sul mondo vorticoso della comunicazione. Si apre con «Gli elementi base per scrivere un articolo, una riflessione, un commento», indispensabile per addentrarsi in una realtà dove non basta più conoscere solo le regole grammaticali. Si prosegue con «Il giornalino parrocchiale», una delle intuizioni pastorali perché la voce del parroco possa raggiungere uomini e case. Poi il capitoletto «Il settimanale diocesano»: nonostante le difficoltà, in non poche diocesi italiane resiste, ma bisogna saperlo curare e conoscere i lettori. Quindi «Le notizie della parrocchia on line. La newsletter parrocchiale», «Il sito web. Come pensarlo e progettarlo», e «Il dietro le quinte di un sito: sapere cosa volere per ben comunicarlo». Capitoletti che parlano di media, terreni da abitare con passione, capacità critica, competenza e libertà evangelica per essere «seminatori pazienti» del Vangelo.

Già un milione di copie per il libro di Benedetto XVI A poco più di tre mesi dall’uscita nelle librerie, avvenuta il 24 novembre scorso, sta raggiungendo la soglia record del milione di copie vendute la diffusione di «Luce del mondo», il libro-intervista con Benedetto XVI del

giornalista tedesco Peter Seewald. Don Giuseppe Costa, direttore della Lev (Libreria editrice vaticana), ha spiegato che «tanti lettori, anche non cristiani, hanno sentito il bisogno di ringraziare, dopo aver finito di leggere il libro».

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La soddisfazione per il successo di vendite, comunque, non permette alla Lev di fermarsi. Per marzo, infatti, è prevista l’uscita della seconda parte del libro del Papa sul «Gesù di Nazaret», dedicato ai vangeli dell’infanzia.


Ringraziamo le persone che hanno sottoscritto abbonamenti al giornale e inviato offerte all’associazione Amici di Papa Giovanni ADAMI ANTONUTTI ELSA AGNELLI UGO ANDREINA ROMORA ARESI MARIA ASPERTI COSTARDI MARIA AVALLONE BIANCA AVELLA ANTONIO BACCANEKLLI MARIA BADIA DINO BANDINI ANNAMARIA BARACCHETTI GIOVANNI BARBERO TERESINA BARDI ASSUNTA BELTRAMI EMMA LINA BENIGNI ARMIDA BENZONI ENRICA BERGAMINI RENATA BERNARDI DIRCE BERNUCCI MARISTELLA BERTAGGIA GAVIANI MARIA BERTELETTI RITA BERTOLI ELDA BOLLA LUCIA BONATI EMMA BONGIORNO ANNA MARIA BONI PAOLO BRACCHI ADELE BUONAIUTO MAFALDA CAMPERI MARIA TERESA CAPPELLER INES CAROLINI MARIA CAPRA RONCHI FRANCA CARRARA LANDINO CASSOL GIOVANNI CASTIGLIA ANNA MARIA CASTIGLIA VALERIA CECCHINI NUNZIA CEFFA FRANCESCA CEREDA BAMBINA FULVIA E ALBINA CERRI CLAUDIO CHIAMETTI NATALINA CIOFFI MARIA GRAZIA CIOTTA DORA CIPRIANI FRANCESCA CITRO GIUSEPPINA COGNIZZOLI GIUSEPPINA COLOMBO CAROLINA CONFORTI LUIGI CORTI CECILIA COSENTINO SALVATORE COTELLI GIOVANNI CRIVELLARO ANITA CROVATTI RENATO DALBESIO COCCOLO FELICIANA DAMIANO ANTONIO DASSI PIERA DE AMBROSI CORNEN GORRETA DE CARLI NORMA DE MARTIN MELANIA DELPRATO IDA DI MUCCIO GIUSEPPE

DORIA MARIA ERCOLANI GIOVANNI FACHERI DILETTA FERRARI VALLI ANGELA FERRERO MARISA FERRIGATO LINA FERRO ALBINO FLOREAN AMELIA FOLONI FRANCESCA FORTI ITALIA FORTUNATO LETTA FOSSATI TAVERNA TERESA FRANCIOSA ANTONIO FRANGUELLI OTTAVIA FRANZESE RITA FRANZINI ANNA FURLAN AGNESE GABBIAZZI FABIO GEMMA CONEDERA GHIDINI GIOVANNA GHILARDINI ANGELA PEZZOLI GHIRIMOLDI MARIUCCIA GIGANTE COSIMA GIOVINAZZI ALBERTO GONZATO FEDERICO GRATTON ANGELA GROPPO DONATELLA GROPPO PAOLA GUSMEROLI ZITA IMBERTI LIDIA ROSA IMPICCINI M. GIOVANNA INFANTI M. TERESA JACOMETTI GIOVANNA LABANCA NICOLA LAVELLI ANGELA LEPORATI ALBERTO LOCCI MARIA RITA LORINI ASSUNTA LOT EUGENIO LOVATI VILMA LUCARELLI LUIGINA LUZZI DILIA MAGGIONI RAVASIO ANGELA MAGNO ELSA MAGNONI REGINALDA MANCINI ALIDA MANENTI FILOMENA MANENTI GIANPAOLO MARTINI VITTORINA MARZILIANO MICHELE MASCHERONI TINA MASCI MARIA GRAZIA MINELLI PATRIZIA MOLTENI LUIGIA MORA GIACOMO MORGANTI VARO MORROCCHESI ROBERTA MURATORI GIOVANNA NARDI RAFFAELE NAZZARO CLOTILDE NEGRETTI PAOLA

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NUVOLONE CELESTE OLIVERO AMALIA ONGARO GIUSEPPE PACCHIONI LIDIA PACHER GIULIETTA PALUMBO GIUSEPPINA PARADISO ANNA PARIANI ELDA PARRELLA GIOVANNI PASQUALE MARIA PASSARELLA NICLA PELLIZZAROLI POMPEO PENNA ADELE PERANO NATALINA PEZZI CASTELLI ANNA MARIA PISATI ANTONIA IN LANNI PITTALIS ANGELA PONTI GRAZIELLA PURICELLI COLTRO FRANCA RAVAIOLI VINCENZA RAZA DAFFINI MARIA RENACCO FRANCESCO RESCALLI ALBERTO RICCI PAOLO E ANTONIO RIGON POLINARI GIOVANNA RODIGARI RENATA ROMANI EMMA RONCHI FRANCA ROSSI MARIA RITA ROTA GIOVANNI ROTTOLI MARIA SABATINI LILIANA SAGLIA ANNA SALATO ROSALIA SALVI M. LUIGIA SANTANGELO F.SCA MARIA SANTO ANTONINO SAPPA GIOVANNI SCACCHI CONCETTA SCALVINI EGLE SCARCELLI ROSA SCOTTON DOMENICA SGRO FRANCESCO SLOMP DON GIOVANNI SORIGHI ANNA SPOCCI DANILO STEFANIN RITA STORTI MARISA TABONI GIUSEPPE TADDEI CARLA TADDEI NORINA TAIBI MARIA TARABANI MARIOLI ILDE TRENTO ANTONELLA TRENTO ROSA TUZZATO NORMA VACONDIO DON AMEDEO VALLINO GIOVANNA VASSALLO ESTERINA VIGANO FLORA VOLPATO CESARE ANTONIA


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Sotto la protezione di Papa Giovanni

La nonna Marzia affida alla protezione di Papa Giovanni XXIII, le nipotine Marta e Michela

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I nonni Vitali e Palma affidano alla protezione di Papa Giovanni XXIII, le nipotine Giorgia e Roberta

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