(Anno XXVIII) Nuova serie - Anno 9 n. 2 - Marzo/Aprile 2010 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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Roncalli si è sempre ispirato alle sue radici bergamasche
Nella cattedrale di Bergamo l’addio al vescovo Roberto Amadei
Una statua di Papa Giovanni alla Madonna dei Campi
MARZO - APRILE 2010
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Firmato il decreto da Napolitano Ora Sotto il Monte è una città
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Sotto la protezione di Papa Giovanni
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La mamma Giuseppina affida alla protezione del Papa Giovanni, per tutta la vita la figlia Elena
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La Bisnonna Lidia chiede al Papa Buono la benedizione e la protezione per tutta la vita dei pro-nipoti tanto amati Filippo, Tommaso, Edoardo
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I nonni Gianna e Carlo affidano alla protezione del Papa Giovanni, per tutta la vita il loro nipotino Gabriele
Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:
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Roncalli si è sempre ispirato alle sue radici bergamasche
Nella Cattedrale di Bergamo l’addio al vescovo Roberto
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Papa Giovanni XXIII, storia di una «santità quotidiana»
Una statua di Papa Giovanni alla «Madonna dei Campi»
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La questione Ghiaie durante l’episcopato di mons. Amadei
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Roncalli si è sempre ispirato alle sue radici bergamasche
Nella cattedrale di Bergamo l’addio al vescovo Roberto Amadei
«E’ stato un gran prete, figlio di questa terra bergamasca»
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Napolitano firma il decreto Ora Sotto il Monte è città
(Anno XXVIII) Nuova serie - Anno 9 n. 2 - Marzo/Aprile 2010 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R.
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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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Una statua di Papa Giovanni alla Madonna dei Campi
Firmato il decreto da Napolitano Ora Sotto il Monte è una città
MARZO - APRILE 2010
n. 2 bimestrale marzo/aprile
Direttore responsabile Monsignor Giovanni Carzaniga Direttore editoriale Claudio Gualdi
Paramenti sacri, quando è l’abito a fare il monaco
Un libro per i più giovani con Santi in stile manga
Settant’anni in 2 chilometri «Così ho trovato la felicità»
Editrice Bergamasca ISTITUTO EDITORIALE JOANNES
Redazione: don Oliviero Giuliani mons. Gianni Carzaniga direttore della “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII” con sede nel Seminario Vescovile Giovanni XXIII di Bergamo, mons. Marino Bertocchi parroco di Sotto il Monte, Suor Gervasia volontaria nelle carceri romane, Claudio Gualdi segretario dell’associazione “Amici di Papa Giovanni”, Pietro Vermigli, Giulia Cortinovis, Marta Gritti, Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue Luna Gualdi Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini Fotografie: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa Giovanni”, Archivio “Fondazione Beato Papa Giovanni XXIII”
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Anno XXVIII Direzione e Redazione via Madonna della Neve, 26/24 24121 Bergamo Tel. 035 3591 011 Fax 035 3591117 Conto Corrente Postale n. 97111322 Stampa: Sigraf Via Redipuglia, 77 Treviglio (Bg) Aut. Trib. di Bg n. 17/2009 - 01/07/2009
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TE S T I M O N I A N Z E
Roncalli si è sempre ispirato alle sue radici bergamasche Lo ha sottolineato mons. Roberto Amadei in una serie di riflessioni scritte Il cuore di monsignor Roberto Amadei, vescovo di Bergamo dal 21 novembre 1991 a gennaio del 2009, ha cessato di battere lo scorso 29 dicembre a seguito dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Era infatti affetto dalla Sla (Sclerosi laterale amiotrofica). E’ spirato nella sede dei preti del Sacro Cuore, dove aveva chiesto di essere ospitato dopo aver lasciato la guida della diocesi. Era nato il 13 febbraio del 1933 a Verdello, in provincia di Bergamo, terzogenito di una famiglia composta da quattro fratelli e una sorella. Venne ordinato sacerdote il 16 marzo del 1957. Di seguito riportiamo una serie di riflessioni di mons. Amadei, pubblicate sul quotidiano cattolico «L’Osservatore Romano» nel settembre 2000, che riguardano il rapporto che aveva Papa Giovanni con Bergamo. Nelle pagine successive proponiamo un servizio sui suoi funerali e una
testimonianza di mons. Loris Capovilla. Papa Giovanni e Bergamo
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in dalla più tenera età, come ogni bambino bergamasco, aveva imparato ad aprire e chiudere le giornate nell’incontro con il Signore, introdotto dall’orazione: «Vi adoro, mio Dio, e vi ringrazio per avermi creato, redento, fatto cristiano... »; inoltrandosi nella vita aveva aggiunto il grazie perché «sacerdote e bergamasco». Così aveva confidato all’amico mons. Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo (1932-1953), che aveva reso pubblica tale confidenza nel saluto di apertura dei festeggiamenti in onore del neocardinale Roncalli (1952) per sottolinearne l’amore e il legame profondo con la tradizione bergamasca. Venendo a contatto con altre tradizioni – così ricordava Roncalli rispondendo al saluto – aveva potuto constatare la ricchezza di fede operosa presente nella sua terra d’origine, e da lui respirata, conosciuta e assimilata in profondità nella famiglia, nella parrocchia di Sotto il Monte, nel seminario di Bergamo, visitando le realtà diocesane come segretario del «suo» vescovo, mons. Giacomo Maria Radini Tedeschi (1905-1914) e nei molteplici impegni pastorali esplicati fino alla chiamata a Roma (1921). 1. Nella famiglia, numerosa e modesta per risorse economiche come tutte le famiglie contadine bergamasche dell’epoca, aveva imparato e spontaneamente inMonsignor Roberto Amadei raccolto in preghiera teriorizzato le linee fondamentali del vivere evangelico, la gioia e se4
testimonianze
renità della fede cristiana: «Io ho dimenticato molto di ciò che ho letto sui libri, ma ricordo ancora benissimo tutto quello che ho appreso dai genitori e dai vecchi. Per questo non cesso di amare Sotto il Monte, e godo di tornarvi ogni anno. Ambiente semplice, ma pieno di buoni principii, di profondi ricordi, di insegnamenti preziosi», così scriveva il 20 dicembre 1932 ai familiari. Aveva avuto la fortuna di crescere in un ambiente dalla fede profonda e solida, capace di illuminare e guidare l’intera esistenza. Una fede che si esprimeva nel rivolgersi al Signore con spontaneità, fiducia, rispetto e obbedienza, perché fonte benevola dell’esistenza, fedele compagno di viaggio, Padre che sempre ci attende per l’abbraccio eterno. Alle sue parole e alle sue vie ci si affida con pace e intima gioia, perché sempre apportatrici di salvezza anche quando sono molto diverse dalle nostre. Parole e vie radicate nella mente e nel cuore dalla diuturna e costante catechesi parrocchiale, nutrite dalle frequenti celebrazioni sacramentali e dalle numerose e sostanziose devozioni. Una fede che con spontaneità diventava operosa sia nella vita personale sia in quella sociale: «Diversamente da ciò che accade quasi in tutta l’Italia dove le organizzazioni economiche e sociali sono state e rimangono un mezzo per ricondurre a Cristo e alla Chiesa, attraverso conquiste di carattere materiale, le masse lavoratrici traviate, a Bergamo la vasta e potente organizzazione non fu e non è se non una emanazione spontanea del sentimento religioso della folla... », così si esprimeva nel discorso pronunciato al Congresso Eucaristico Nazionale tenuto a Bergamo nel settembre del 1920. 2. Ha ulteriormente approfondito il suo immergersi nella vita della chiesa e della terra bergamasca, con la conoscenza e la graduale, costante e personale assimilazione del modello di prete, accolto con docile impegno nella vita di seminario, e contemplandone le ricchezze nel contatto quotidiano, rispettoso, benevolo e attento con i confratelli, sia nel compito di segretario del vescovo sia nell’esercizio dei molteplici ministeri che gli sono stati affidati, sia come membro esterno della Congregazione dei Preti del Sacro Cuore, istituita dal vescovo Radini Tedeschi.
Gli elementi portanti di questo progetto erano quelli comuni nella letteratura ascetica dell’800: altissimo senso della dignità del sacerdozio e delle sue gravi responsabilità, ricerca costante della volontà di Dio, zelo infaticabile per le necessità spirituali e materiali dei fedeli; zelo da esplicare soprattutto nei «luoghi» che il prete doveva considerare come la sua «casa»: l’altare, il confessionale, il pulpito. Per realizzare tale ideale era necessario adottare uno stile di vita diverso da quello dei laici, caratterizzato dalla solitudine, povertà, distacco dai parenti, rigorosa ascesi, e disponibilità alle richieste della Chiesa e capacità di interpretare e condividere le problematiche quotidiane del popolo. Roncalli, fin dai primi giorni di seminario, si è costantemente impegnato alla realizzazione di questo ideale. Tenace e continuo è stato l’impegno a lasciar-
Mons. Roncalli, nunzio apostolico a Parigi nel 1952
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testimonianze
si plasmare dai modelli concreti che gli venivano offerti dalla tradizione sacerdotale bergamasca; seguire con gioia ciò che lo Spirito Santo aveva scritto e stava scrivendo nei confratelli e dei disegni che il Signore aveva su di lui. Impegno che è continuato, anzi intensificato, nei primi 16 anni di sacerdozio vissuti a servizio della diocesi in molteplici ministeri: segretario del vescovo, redattore unico della rivista «La Vita Diocesana», insegnante e direttore spirituale in Seminario, generoso e intelligente protagonista del movimento cattolico per l’Unione Donne Cattoliche e per la Gioventù Femminile, cappellano militare, fondatore e primo direttore della Casa degli studenti, ricercato predicatore di esercizi spirituali e nelle diverse festività delle parrocchie, ricercatore appassionato della storia della chiesa bergamasca. E questo non per attivismo ma per aderire alla vo-
lontà di Dio, accolta nell’obbedienza ai superiori e alle vicende concrete: «Il completo distacco da se stessi, la preoccupazione costante di non cercare che Dio in tutto, la sua gloria, la sua Chiesa, è un gran pegno di successo nei vari ministeri nostri. Io mi sforzo di tenermi a questi principii e mi accorgo con grande compiacenza che il Signore mi aiuti e mi benedica», così scriveva, quasi sul finire del laborioso e fecondo periodo bergamasco, a un superiore del Seminario Romano. 3. In questo periodo appaiono anche altri elementi che hanno caratterizzato il suo ministero sacerdotale svolto in luoghi, momenti, ruoli e tradizioni molto diversi. L’approccio benevolo e misericordioso alle persone, accolte ed amate nella concretezza delle situazioni: «Altro che tuoni dal cielo! Carità, carità e verità semplice, schietta, amorevole!». Fedeltà al presente da leggere con attenzione, amore, fiducia e speranza, per aprirlo al Vangelo. La tradizione viva della Chiesa amata e ricercata, con rispetto della verità, soprattutto nelle sue espressioni migliori, i santi. Nella loro esperienza è infatti possibile scorgere, con più chiarezza, le ricchezze suscitate dallo Spirito Santo nel cammino di una Chiesa, e imparare il metodo per continuare nell’oggi il mai finito lavoro di coniugare la fede con ogni momento dell’esistenza personale e sociale. Proprio per avere penetrato a fondo, sia con gli studi sia con l’assimilazione personale, la tradizione religiosa della sua terra, più di ogni altro ha potuto apprezzarne la ricchezza. E più di ogni altro ha saputo coglierne l’apertura alle altre esperienze da lui incontrate nel suo servizio a Dio e agli uomini; esperienze da lui accolte, studiate e amate con altrettanto amore e rispetto. In questo fecondo dialogo, l’esperienza di Sotto il Monte e di Bergamo si è maggiormente arricchita nelle sue componenti più significative. 4. Dopo il 1920 i bergamaschi l’hanno un po’ perso di vista, perché impegnato in terre lontane e in ministeri non particolarmente brillanti agli occhi umani. Lui non ha mai dimenticato Bergamo, ha continuato a vivere, con l’affetto della prossimità evangelica, le vicende diocesane, il legame con la famiglia, con la parrocchia d’origi-
Angelo Roncalli nel periodo in cui è stato patriarca di Venezia
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testimonianze
ne, con i vescovi sempre amati e rispettati, con i confratelli nel sacerdozio custoditi nella sua prodigiosa memoria e nel suo straordinario cuore. Non poteva dimenticare le radici profonde di ciò che era, la realtà nella quale gli era venuto incontro il Padre misericordioso che lo aveva chiamato alla vita, alla fede, al sacerdozio. Era impossibile dimenticare le esperienze dove aveva intravisto il Vangelo del Padre misericordioso diventare vivo, concreto, credibile e desiderabile nella bontà, semplice ma genuina, dei gesti più quotidiani dei suoi genitori, del parroco, dei sacerdoti che lo hanno preparato al sacerdozio, del vescovo e di tanti umili confratelli. E dove aveva imparato a stare davanti a questo Padre con fiduciosa docilità e con paziente attesa, nella certezza che soltanto così permette al Signore di raddrizzare le strade dell’umanità orientandole verso la verità di Dio e di Gesù Cristo. 5. Abbiamo incominciato a scoprire le «grandi cose» che Dio aveva operato in questo figlio della nostra terra, quando è stato chiamato al servizio papale. La beatificazione ci stimoli a continuare questa scoperta per sempre meglio comprendere la parola che Dio ci rivolge mediante la sua storia. Conoscerlo per esprimergli la gratitudine per quanto ha dato in affetto, in lavoro apostolico e in testimonianza alla storia della nostra Chiesa. Il patriarca di Venezia durante una visita a Salò
Mons. Roberto Amadei
A metà ottobre la prima santa australiana In moltissimi in tutto il mondo cattolico, soprattutto tra Italia e Polonia, ritenevano che il prossimo 16 ottobre – anniversario dell’ascesa di Karol Wojtyla al soglio pontificio – sarebbe stata la data in cui Benedetto XVI avrebbe proclamato beato il proprio predecessore Giovanni Paolo II. Ma sarà quasi certamente spostata in avanti poiché il Papa ha annunciato nelle scorse settimane che per domenica 17 ottobre ci sarà la cerimonia di canonizzazione di sei nuovi santi, tra cui suor Mary MacKillop, la prima santa australiana. L’annuncio di Benedetto XVI in qualche modo dà ragione a quanti, negli ambienti vaticani, si oppongono a una beatificazione «affrettata» di
Wojtyla, per la quale Papa Ratzinger ha firmato il 19 dicembre scorso il decreto che ne riconosce le «virtù eroiche» e caldeggiano una corretta e inattaccabile valutazione di tutti i requisiti ancora necessari per la beatificazione. A tale proposito devono ancora riunirsi la commissione medica e l’assemblea dei teologi della Congregazione per le cause dei santi. Le canonizzazioni annunciate di recente, oltre all’australiana Mary MacKillop, riguardano Stanislaw Soltys, sacerdote polacco, Andrè Bassette, religioso canadese, Candida Maria de Jesus Cipitria y Carriola, suora spagnola, e le due religiose italiane Giulia Salzano e Camilla Battista da Varano.
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C E L E B R A Z I O N I
Nella Cattedrale di Bergamo l’addio al vescovo Roberto Una grande folla al rito funebre presieduto dal cardinale Dionigi Tettamanzi
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na grande folla di fedeli, raccolta nella Cattedrale gremita e in Santa Maria Maggiore, dove la celebrazione dei funerali è stata seguita su un maxischermo, ha dato lo scorso 2 gennaio l’ultimo saluto al vescovo emerito di Bergamo Roberto Amadei. Così inizia il servizio sul rito funebre, a firma di Alberto Campoleoni, apparso il giorno successivo su «L’Eco di Bergamo». Articolo che così prosegue. La Chiesa di Bergamo, e non solo, si è riunita intorno a colui che è stato la sua guida per 17 anni. La comunità bergamasca ha pregato e cantato, ha ringraziato il Signore per quanto ricevuto dalla testimonianza del vescovo Roberto, «pastore generoso e fedele», come lo ha definito il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano e metropolita della Lombardia, che ha presieduto i solenni funerali.
Una testimonianza, quella di monsignor Amadei, della quale il vescovo di Bergamo Francesco Beschi ha colto come elemento decisivo «la concentrazione sull’essenziale», l’aver messo al primo posto non la sua persona ma «la missione da compiere e il Cristo Signore, che è il cuore della missione». Nella Cattedrale di Bergamo, piena di gente, il feretro di monsignor Roberto Amadei che negli ultimi giorni è stato meta di un incessante pellegrinaggio di gente nella chiesa ipogea del Seminario, è arrivato portato a spalle dagli amici, dai sacerdoti che gli sono stati vicini in modo particolare nell’ultimo periodo della malattia. Ci è arrivato accompagnato da un lungo corteo di chierici, sacerdoti e vescovi, percorrendo quella strada che idealmente raccoglie l’intera esperienza del vescovo Roberto: dal Seminario alla Cat-
Un momento del rito funebre con al centro la bara di monsignor Amadei
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celebrazioni
tedrale. Dal luogo degli studi, prima, e dell’’insegnamento poi, dell’esperienza di educatore e di rettore, fino al Duomo e alla cattedra di vescovo, alla responsabilità di un insegnamento, ancora, e di una testimonianza più intensa e di largo respiro. Questa esperienza, e soprattutto il fortissimo legame di monsignor Roberto con la Chiesa e il presbiterio bergamasco li ha ricordati ancora il vescovo Francesco, nell’omelia: «Dopo essere stato ordinato vescovo per la diocesi di Savona Noli monsignor Roberto viene mandato in quella che è la sua Chiesa madre, dove è nato, è stato battezzato, è diventato sacerdote». Una Chiesa, e una terra, profondamente amata. Così nel testamento spirituale, citato ancora dal vescovo Francesco Beschi, ha scritto monsignor Amadei: «Grazie alla stupenda diocesi bergamasca che mi ha generato alla fede, al sacerdozio, all’episcopato e che ho cercato di servire come presbitero e come vescovo. E’ molto di più quello che ho ricevuto da questa stupenda madre, rispetto al poco che ho donato. Offro la mia vita per l’amata e stupenda Chiesa bergamasca». Monsignor Beschi ha infine raccolto un «elemento di sintesi» nell’esperienza del vescovo Roberto, riferendosi alla preghiera di Gesù al Padre riportata dal vangelo di Giovanni, proclamato dall’altare: «Custodiscili nel tuo nome, perché siano una sola cosa, come noi». «L’elemento di sintesi – ha detto il vescovo di Bergamo – che mi permetto di portare nel cuore guardando al volto e alla vita di monsignor Roberto, a come l’ho conosciuto in particolare nel momento della sua malattia e della sua morte è il principio della comunione». Il principio dell’unità, manifestato nella persona del vescovo Roberto, un «tesoro che vogliamo raccogliere, coltivare e custodire». Questo principio di unità è parso materializzarsi durante la solenne celebrazione in cattedrale dove tra i banchi si è riunita la comunità dei cristiani – c’erano anche i rappresentanti degli ortodossi e degli evangelici – e idealmente l’intera comunità civile della Bergamasca, con le autorità
Monsignor Roberto ritratto durante una cerimonia
cittadine e provinciali, i gonfaloni della Regione, della Provincia e del Comune di Bergamo. C’erano un po’ tutti e, in modo particolare, c’erano tantissimi preti – erano oltre 500 – , i membri di quel presbiterio cui il vescovo Roberto si sentiva così legato. C’erano anche alcuni sacerdoti (e il vescovo) da Savona, prima diocesi per il giovane vescovo Amadei, nel 1991. E c’erano, sull’altare, a concelebrare con il cardinale Tettamanzi e il vescovo Beschi, decine di vescovi, tra i quali quelli di origine bergamasca e i membri della Conferenza episcopale lombarda. Il ricordo finale, un «excursus» affettuoso e intenso della vita e delle opere di monsignor Amadei è stato fatto dall’ausiliare emerito Lino Belotti, che con lui ha collaborato per 13 anni. Sua l’ultima preghiera per chiedere al Signore di accogliere il vescovo Roberto e consegnargli «il premio delle fatiche apostoliche» e per chiedere allo stesso vescovo defunto, «con i Santi e i Beati, di tenere accesa la fiaccola della preghiera per la Chiesa che è in Italia e per la Chiesa che è in Bergamo». 9
T ESTIMONIANZE
«E’ stato un gran prete, figlio di questa terra bergamasca» Amadei ricordato nella lettera di monsignor Capovilla ai preti del Sacro Cuore
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ratta da «L’Eco di Bergamo» pubblichiamo la lettera di monsignor Loris Francesco Capovilla, segretario particolare di Papa Giovanni XXIII, rivolta ai preti del Sacro Cuore che si sono presi cura del vescovo Roberto Amadei durante la malattia. Caro don Davide e confratelli, commosso e sereno sono rientrato da Bergamo a Camaitino dopo la sosta silenziosa e orante accanto alla salma del Vescovo Roberto Amadei. L’emozione si è caricata di tenerezza a seguito dell’incontro con sacerdoti, suore, donne e uomini visibilmente illuminati da fede, pietà, devozione. Più e meglio che con parole abbiamo parlato a Gesù e tra noi con gli occhi e i battiti del cuore. Il Gran prete (Sir 50,1), purificato e santificato dalla sofferenza, ha conchiuso il suo itinerario terreno. Uomo, sì, avvolto come tutti noi con la dalmatica delle
imperfezioni e dei limiti, tuttavia Gran prete, figlio di questa terra bergamasca, di severa educazione e di robusta tradizione millenaria, vissuto in quest’epoca tormentata e meravigliosa, timbrata dalla lezione di Papa Giovanni: semplicità, povertà, obbedienza, pazienza, sacrificio. Tantum aurora est (11.X.1962). In questo quinto giorno dell’ottava di Natale è significativa coincidenza la memoria di Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, da farci riascoltare l’ispirata elevazione di Thomas Stearns Eliot: «Signore, noi ti ringraziamo per le tue misericordie di sangue, per la tua redenzione di sangue. Perché il sangue dei tuoi martiri e santi arricchirà la terra, creerà i luoghi santi. Ché dove un santo ha abitato, dove un martire ha dato il suo sangue per il sangue di Cristo, là il suolo è santo, e la santità non si partirà da esso» (Assassinio nella Cattedrale, Bompiani Editore 1953, p. 88). E’ con questa convinzione che il Vescovo Roberto ha pregato e studiato, servito e sperato. Con l’ardore degli apostoli usciti dal cenacolo egli ha onorato il voto e la profezia di Papa Giovanni, echeggiati in San Pietro l’8 dicembre 1958, nella prima udienza papale concessa ai suoi conterranei: «Concedetemi una confidenza alla familiarità pur sacra e solenne di questo incontro; essa contiene un augurio di fedeltà da parte dei figli della generazione presente e delle generazioni successive, di fedeltà cattolica, così costante e fervorosa da sorpassare quel poco di merito mio e dei nostri vecchi che ci hanno preceduto. A distanza anche di secoli si possa dire dei Il vescovo Amadei durante la Messa rivolta ai fanciulli bergamaschi venturi, dell’attività 10
testimonianze
religiosa e civica di ciascuno, che nel senso della pratica delle virtù evangeliche e della fedeltà a questa Sede apostolica, i bergamaschi dei nuovi tempi hanno saputo emulare e anche sorpassare l’epoca di Papa Giovanni. Perché il voto si avveri, i miei sentimenti e i vostri vengano deposti e offerti su questo altare della confessione dell’apostolo Pietro, con voce di preghiera perché questo pontificato, umile da mia parte, ma solenne in faccia alla storia, sia santificato già dalla grazia divina e torni in fervore per quanti costituiscono la grande Lo scomparso monsignor Amadei mentre si rivolge famiglia cattolica» (Discorsi messaggi a un gruppo di bambini colloqui di Giovanni XXIII, Vol 1, p. 74). Nell’ora dell’addio, amo rivedere il volto sereno del sore, con Gesù sommo ed eterno sacerdote, di fedeltà e Vescovo Roberto quasi compendio del suo stile pasto- rinnovamento, di conversione e santificazione del clero rale nella sentenza patristica di Claudio Claudiano e del popolo: Padre, tu sai che già crederti è difficile e (+474), della chiesa di Vienna nel Delfinato, massima che più difficile ancora è sperare; e noi sappiamo che trascritta nella sua agenda 1957 dal cardinale Roncalli: da soli siamo perduti, perché dall’uomo non viene «Peragit tranquilla potestas quod violenta nequit: salvezza. Padre aiutaci. mandataque fortius urget imperiosa quies. Non vi è Caro don Davide e amici Preti del Sacro Cuore, nella più forte ed efficace mezzo per farsi obbedire come il luce del Vescovo Giacomo Maria Radini comandare con amore e piacevolezza». La pennellata Tedeschi, del suo don Angelo, dei confratelli defunti, si attaglia al nostro Vescovo Roberto, discepolo di di don Antonio Pesenti così vivo in noi e con noi, Gesù ed emulo dei santi antecessori che gli hanno vi abbraccio nell’amore di Gesù, della Madre sua e trasmesso il palio della pietas e della semplicità, dell’ar- dell’innumerevole schiera dei giusti e dei santi che ci dore missionario e della speranza «che non delude» incoraggiano e ci benedicono. (Rm 5,5). Sigilla questa elevazione l’accorata supplica di Davide Turoldo e la affido all’amato Pastore, ieri Loris Capovilla apostolo infaticabile, oggi nei cieli altissimi intercesarcivescovo di Mesembria
Muore a Hong Kong: sessant’anni in missione Si è spenta lo scorso 5 febbraio mattina nella comunità delle suore canossiane di Hong Kong suor Maria Goisis, nativa di Ranica, in provincia di Bergamo, ma cinese d’adozione. Nel Paese asiatico infatti ha trascorso gran parte della sua missione religiosa: più di 60 anni. Suor Maria, classe 1912, aveva preso i voti a 21 anni. Una vita, la sua, caratterizzata
dal sorriso e l’amore verso il prossimo. Nel 1935, compiuti i 23 anni, partì per il viaggio che avrebbe segnato tutta la restante parte della sua vita: fu inviata in missione nell’isola cinese di Macao. Qui si dedicò soprattutto ai giovani facendo l’insegnante, la balia e anche la mamma, andando a recuperare nelle strade i ragazzi più disagiati.
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PU B B L I C A Z I O N I
Papa Giovanni XXIII, storia di una «santità quotidiana» Nel libro le testimonianze più efficaci rese a Sotto il Monte nell’anno giovanneo
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uon pastore, umile, testimone di una «santità quotidiana», innovatore, uomo di pace. La semplicità, la grandezza del Beato Giovanni XXIII rivivono nel volume «Di chi è questa carezza? Giovanni XXIII 1958-2008» (Marcianum press, pagine 192, euro 29), che raccoglie le testimonianze più significative rese a Sotto il Monte durante l’«anno giovanneo» nel 2008, 50° anniversario dell’elezione a Pontefice. L’articolo che proponiamo ai nostri lettori è stato pubblicato lo scorso 4 gennaio su «L’Eco di Bergamo» a firma di Sabrina Penteriani. Servizio che così prosegue.
Gli interventi inseriti nel volume, come osserva il vescovo di Bergamo Francesco Beschi nell’introduzione, «offrono i tratti fondamentali della fisionomia interiore di Angelo Giuseppe Roncalli, ne presentano approfondimenti carichi di fascino, proprio perché li ha suggeriti un’attenta e personale lettura del semplice e complesso «messaggio» che è stato Papa Giovanni, per i suoi contemporanei e per noi, generazione successiva che pure lo ha conosciuto». «E’ bello constatare – scrive Eugenio Bolognini, sindaco di Sotto il Monte Giovanni XXIII – come il ricordo di Papa Giovanni possa diventare un momento di incontro tra varie comunità e come sia importante riconoscere che questo Papa non è un patrimonio esclusivo di Sotto il Monte Giovanni XXIII o della terra bergamasca, bensì un grande valore per tutta la comunità mondiale». Papa Giovanni chiamava il suo paese natale, adagiato ai piedi del Monte Canto, «il mio nido». Era, come ricorda ancora Bolognini, «molto legato alla sua terra, lui che in questo piccolo paese ha passato soltanto i primi 10 anni della sua lunga vita. Ma è stato anche uomo capace di abbracciare il mondo». Il libro offre un’ampia scelta di approfondimenti che contemplano i tratti fondamentali della spiritualità di Roncalli e della sua azione pastorale, resa in tutta la sua complessità. Si concentra sull’interiorità del Pontefice l’approfondimento dell’arcivescovo Loris Francesco Capovilla, segretario particolare di Giovanni XXIII, che attraverso un racconto intenso ne descrive le radici e l’itinerario. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (del quale viene ripresa nel volume una relazione pronunziata alla Pontificia Università Lateranense nel 2003) si concentra invece sul valore profetico della Pacem in terris, passandone in rassegna i principi fondamentali e le concrete indicazioni, e integran-
Angelo Roncalli mentre amministra la cresima
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pubblicazioni
doli nell’analisi della storia recente dell’integrazione europea. Napolitano pone l’accento «sull’approccio insieme aperto e lungimirante, volto a favorire ogni dialogo utile alla causa della pace interna e internazionale». Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, individua il segreto della sua santità nella capacità di mettere sempre e comunque «Cristo al centro della vita». E ancora il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, rilegge «le tappe dell’esistenza sacerdotale ed episcopale di Papa Giovanni come ininterrotta e crescente donazione della propria vita». Nell’approfondimento di Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio consiglio della Cultura, Angelo Giuseppe Roncalli rivive come «uomo di unità e di pace, prete di Gesù Cristo, fortemente e solidamente radicato nella tradizione, pronto a vivere ogni giorno come un dono di Dio, aperto dalla speranza a un mondo più fraterno e a una Chiesa più vicina agli uomini perché più trasparente a Dio. Era tutto il contrario di un uomo di sistema, di destra o di sinistra che fosse, e nessuno ha potuto portarlo dalla propria parte». L’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte ripercorre e approfondisce l’intuizione e la spinta innovatrice data da Roncalli con il Concilio Vaticano II. Si spinge oltre monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito d’Ivrea, che con una testimonianza appassionata rievoca il periodo post-conciliare e la continuità tra l’opera di Giovanni XXIII e Paolo VI. Angelo Giuseppe Roncalli è stato definito dallo stesso frère Roger come «fondatore di Taizé». Quanto mai opportuno dunque giunge l’intervento
La copertina del nuovo libro «Di chi è questa carezza? Giovanni XXIII 1958-2008»
di Alois Löser, priore della comunità di Taizé, che si sofferma su due qualità fondamentali del Pontefice bergamasco: la bontà «per lui legata alla capacità di ammettere la parte di ombra che esisteva negli altri come in se stesso» e la misericordia. Giovanni XXIII, spiega Löser, «vedeva nel suo interlocutore l’immagine di Dio e discerneva in lui il meglio». E infine don Ettore Malnati, presidente dell’associazione culturale «Studium Fidei», parla del suo ministero sacerdotale, come «modello di ascesi, modello di pietà e di zelo pastorale». Di chi è questa carezza? è un libro prezioso, che compie idealmente lo stesso cammino fatto da Giovanni XXIII da Sotto il Monte al mondo, e che raccoglie la sua eredità sottolineando la freschezza e l’attualità del messaggio del Beato.
Don Gnocchi: la salma a Bergamo per l’adunata degli alpini A maggio saranno gli alpini bergamaschi a ringraziare il loro cappellano don Carlo Gnocchi, beatificato nel Duomo di Milano lo scorso 25 ottobre. La sua salma sarà infatti ospitata nella Cattedrale di Città Alra a Bergamo in occasione dell’adunata nazionale che si svolgerà nelle giornate del 7, 8 e 9 maggio affinché le penne nere e i fedeli possano rendere omaggio al sacerdote che visse a fianco degli alpini
la tragica campagna di Russia durante la Seconda guerra mondiale. La teca di vetro che ospita le spoglie mortali di don Gnocchi verrà accolta già nel pomeriggio di giovedì 6 maggio in Città Alta. La Messa, probabilmente alle 18, verrà presieduta dal vescovo mons. Francesco Beschi. Venerdì 7, sabato 8 e domenica 9 sarà possibile visitare la salma, che sarà costantemente vegliata da quattro alpini.
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O P E R E
Una statua di Papa Giovanni alla «Madonna dei Campi» Realizzata dal maestro Ghilardi, ritrae il Pontefice con la mano protesa in avanti
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i capolavori di Manzù e di Bodini – per la fusione. Entro Pasqua, la statua verrà poi collocata nei giardini del santuario, dove ora è presente anche un monumento alla Vergine realizzato nel 2003 dallo scultore Eric Aman. La statua che verrà posta a Stezzano vede Papa Giovanni in piedi con un cappello nella mano sinistra, mentre l’altra è protesa in avanti come in un gesto di accoglienza; il suo sguardo sarà orientato verso Città Alta e il Seminario. A monsignor Bonicelli – che risiede appunto accanto al santuario – quando si parla di Papa Giovanni s’illuminano gli occhi. Gli sembra ancora di vederlo percorrere a passo lento le austere stanze vaticane, dove spesso si incontravano. «Mi ha sempre sorpreso – dice – la sua capacità di ridurre a semplici anche le cose più difficili e complesse». A proposito del legame di Papa Roncalli con la Madonna dei Campi, basta guardare le sue
Un doveroso omaggio a Papa Giovanni, legato da una particolare devozione al santuario». Monsignor Gaetano Bonicelli, arcivescovo emerito di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino, bergamasco di Vilminore, spiega così i motivi che lo hanno spinto a far realizzare – con il fattivo contributo di Franco Ghilardi di Bergamo, amico e collaboratore del vescovo, profondo conoscitore del mondo artistico – una statua del Pontefice bergamasco al santuario della «Madonna dei Campi» di Stezzano (Comune a pochi chilometri da Bergamo), dove Angelo Roncalli si recò in svariate occasioni. L’articolo che proponiamo è apparso di recente su «L’Eco di Bergamo» a firma di Emanuele Roncalli, pronipote di Giovanni XXIII. Il gesso della statua a grandezza naturale, realizzata dal maestro Italo Ghilardi, è stato portato alla fine dello scorso gennaio alla Fonderia Battaglia di Milano – una storica fonderia che ha visto nascere
Addio a Franchina, donò l’abito talare di Wojtyla oratorio. A Mario Franchina si deve la donazione, fatta al santuario della Madonna d’Erbia, dell’abito talare del Pontefice polacco ottenuto subito dopo la sua morte. Con Wojtyla, conosciuto personalmente nel 1978, Franchina aveva frequenti incontri dovuti ad una circostanza singolare: durante la permanenza estiva del Papa a Castel Gandolfo lui e la moglie, ogni martedì, provvedevano a rifornire la mensa pontificia di frutta fresca. Una consuetudine durata per anni e molto apprezzata da Karol Wojtyla che era uso dire: «Voi siete i miei benefattori». Franchina incontrava spesso Giovanni Paolo II e sovente si intratteneva con alcuni cardinali. Il Vaticano lo aveva insignito della prestigiosa onorificenza di Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno.
E’ morto il 17 febbraio scorso, all’età di 73 anni, agli Ospedali Riuniti di Bergamo dove era ricoverato da alcuni mesi per una grave malattia, Mario Franchina, cittadino di Casnigo (Bergamo), trasferitosi da tempo nel Lazio, noto per la sua amicizia con Papa Giovanni Paolo II. La salma di Franchina è stata composta nella casa paterna di via Umberto I a Casnigo e il funerale ha avuto luogo il 19 febbraio nella locale Chiesa parrocchiale. Con la famiglia, la moglie Emma Torri e i figli Giuseppe, Francesca e Fabrizio, viveva ad Aprilia, in provincia di Latina, dove era giunto per motivi di lavoro nel 1995 e dove gestiva un magazzino di vendita all’ingrosso e al dettaglio di tessuti. Ma ogni anno lo scomparso faceva ritorno a Casnigo, dove in gioventù aveva partecipato alle attività del locale
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opere
agende: sono costellate di date. Quel lungo filare di ippocastani che porta al santuario Roncalli lo percorse sin da giovane con i genitori, che spesso il 12 luglio lo accompagnavano in occasione della solennità dell’Apparizione della Madonna. Nella mente di Roncalli, ogni qual volta si incamminava lungo il viale alberato, tornavano le immagini della cerimonia dell’incoronazione della Vergine compiuta dal cardinal Ferrari, arcivescovo di Milano. Il quindicenne Roncalli, quel 5 settembre 1896, era presente all’evento in mezzo ad una folla oceanica. Al santuario il futuro Papa celebrò il giorno dell’Apparizione del 1909, nel settembre 1919, nell’ottobre 1929, nel settembre 1935, nell’ottobre 1945 e durante i ritorni estivi a casa. Il primo aprile 1918 Roncalli fu a Stezzano per l’ingresso del nuovo parroco, monsignor Giuseppe Carminati; nel giugno dello stesso anno inaugurò la casa del soldato. Partecipò poi alla festa delle Quarantore nel 1920 e nel 1950, ma la sua attenzione fu sempre rivolta alla Madonna dei Campi, dove giunse pellegrino nel settembre 1935 accompagnato dalla mamma Marianna, con la quale prima aveva fatto sosta a Caravaggio e a Treviglio. Una delle ultime visite fu in occasione del cinquantesimo anniversario dell’incoronazione della Madonna. Come per la Vergine della Cornabusa dove Roncalli sarà chiamato a presiedere le celebrazioni per il 50° dell’incoronazione (1958) compiuta nel 1908 dal card. Maffi, così avvenne per la Madonna dei Campi. Era il settembre 1946. «Stezzano riconoscente ha voluto preparare alla sua Madonna un trionfo degno di tanta Madre – si legge nelle cronache del tempo – . Non una porta, non una finestra, non un davanzale è rimasto nell’ombra, migliaia di lampade hanno brillato come fari della notte». Stezzano scrisse allora un’altra pagina della sua storia religiosa, a solenne monito per le nuove generazioni. E così si spera di poter fare anche il giorno dell’inaugurazione della nuova statua dedicata al Pontefice, quando ad ammirarla giungeranno sicuramente tantissime persone e forse anche tanti giovani, che hanno imparato a conoscere il Papa bergamasco, il Beato Giovanni XXIII, grazie ai racconti dei geni-
Il gesso della statua di Papa Giovanni in grandezza naturale
tori e a quelle straordinarie immagini in bianco e nero che la televisione spesso ripropone suscitando in tutti – anche a distanza di decenni – emozione e commozione.
Il maestro Italo Ghilardi con il modello
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RICONOSCIMENTI
Napolitano firma il decreto Ora Sotto il Monte è città Il paese, che ha dato i natali a Papa Giovanni, aveva chiesto il titolo un anno fa
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otto il Monte Giovanni XXIII è città. Lo scorso 7 gennaio il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha firmato un decreto che concede al paese giovanneo il titolo di città. Un’onorificenza che regala ulteriore lustro al paese natale del Pontefice bergamasco, meta ogni anno di migliaia di pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. La notizia è stata riportata su «L’Eco di Bergamo» in un servizio a firma di Claudia Esposito. Articolo che così prosegue.
«Il nostro paese – spiega il vicesindaco Luca Rossi, che quando era assessore alla Cultura aveva promosso l’iniziativa e ne ha seguito l’intero iter procedurale – è conosciuto in ogni angolo della Terra per aver dato i natali a un Papa che ha lasciato un segno indelebile nella storia mondiale del XX secolo. E’ in quest’ottica, e forti della grande partecipazione alle manifestazioni organizzate per il cinquantesimo anniversario dell’elezione a Pontefice di Papa Roncalli, che abbiamo deciso di chiedere al presidente Napolitano di concederci il titolo onorifico di città. E’ un modo per valorizzare il nostro territorio e soprattutto onorare il ricordo del nostro Pontefice. Questa concessione, che ci riempie di orgoglio, è un ulteriore riconoscimento della sua figura come uomo di Chiesa e uomo che si è speso, anche negli anni precedenti al suo Pontificato, per il dialogo interculturale e la pace». Le pratiche per la concessione del titolo erano partite nel gennaio 2009 con una deliberazione della Giunta comunale, trasmessa al prefetto di Bergamo che aveva espresso parere favorevole, alla presidenza del Consiglio dei ministri e al ministro dell’Interno Roberto Maroni. Nel documento venivano ricordati gli eventi che hanno reso famoso il paese giovanneo in tutto il mondo, dalla nascita di Angelo Roncalli il 25 novembre 1881 alla sua elezione a Pontefice il 28 ottobre 1958, ma anche le tappe più recenti e i programmi per il futuro. Il decreto è stato notificato il 3 febbraio mattina. In prefettura a ritirarlo sono andati il sindaco Eugenio Bolognini e il vicesindaco Rossi. Ora l’Amministrazione dovrà adeguare i cartelli d’ingresso con la dicitura «Città di Sotto il Monte Giovanni XXIII» e il gonfalone comunale, che sarà caratterizzato
Il Papa, nella festa dei santi Pietro e Paolo, bacia i piedi della statua del fondatore della Chiesa di Cristo
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riconoscimenti
dalla corona dorata che, nell’araldica pubblica, contraddistingue le comunità alle quali è stato concesso il titolo di città. L’Amministrazione sta anche valutando la possibilità di organizzare nel corso dei prossimi mesi una cerimonia ufficiale.
mantenuta nella sua dignitosa ed austera povertà. Nelle stanze sono conservati alcuni indumenti appartenuti a Papa Giovanni. Seminario del P.I.M.E. E’ sorto per volontà dello stesso Papa Giovanni che il 18 marzo 1963 ne benedisse la prima pietra, orgoglioso di pensare che dal suo piccolo paese potessero partire «tanti missionari per portare al mondo Gesù e il suo amore». Nell’atrio esterno del seminario è collocata una statua in bronzo del Papa, opera dello scultore Carlo Pisi, resa lucida dalle pie carezze di milioni di pellegrini che vi sostano in devota preghiera.
Sotto il Monte: origini e luoghi da visitare In occasione del recente riconoscimento è opportuno ricordare le origini di questa località bergamasca e i luoghi che meritano di essere visitati. Disteso ai piedi di dolci declivi ammantati di boschi e vigneti, Sotto il Monte si è costituito a partire dal IX secolo in cascinali sparsi sulle ultime propaggini del monte Canto (m. 710), all’ombra dell’abbazia benedettina di Fontanella S. Egidio. Povero borgo contadino ai margini della storia e del tempo, è giunto quasi immutato fino al XX secolo e la torre d’avvistamento arroccata sulla collina a guardia della pianura fin dal X secolo, non ha mai partecipato a fatti d’arme, tanto che già nel secolo XIV era trasformata in torre campanaria per l’attigua chiesa parrocchiale. Abbattuta la chiesa agli inizi del ‘900 per essere sostituita da una nuova in posizione più comodamente accessibile, la torre è rimasta a vigilare sulla tranquillità del piccolo paese fino alla sera del 28 ottobre 1958, quando l’annuncio dell’elezione al soglio pontificio del concittadino card. Angelo Roncalli ha sconvolto la quiete del paese e ha segnato l’inizio di quell’ininterrotto flusso di pellegrini che ancora non accenna a diminuire. Lo sviluppo urbanistico dell’ultimo trentennio non ha cancellato i caratteri originari del tessuto urbano: accanto ai vecchi cascinali edificati con materiali poveri e alle strade strette e tortuose, si sono aggiunti i nuovi edifici e strade più spaziose, nuovo verde pubblico e comodi parcheggi.
Chiesa di Santa Maria (sec. XV) Qui Angelo Roncalli ricevette il Battesimo il giorno stesso della sua nascita e il 15 agosto 1904 vi celebrò la sua prima messa a Sotto il Monte. Oltre al fonte battesimale, conserva alcuni resti di affreschi del ‘500 e tele di un certo valore artistico. Ca’ Maitino Fu la prima residenza dei Roncalli già dal 1400, passata per varie proprietà fino alla famiglia dei baroni Scotti che la donarono a Papa Giovanni dopo la sua elezione a Pontefice. In questa casa il vescovo e poi cardinale Roncalli trascorreva ogni anno le sue vacanze a Sotto il Monte. E’ perciò la vera casa del Papa, dove il suo segretario mons. Loris Capovilla ha raccolto numerosi ricordi e oggetti del Pontefice, affidandoli alle amorevoli cure delle Suore delle Poverelle. Dal 1989 mons. Loris F. Capovilla vi ha stabilito la sua residenza. Chiesa di S. Giovanni Battista E’ stata edificata all’inizio del secolo con parte del materiale della parrocchiale abbattuta sulla collina. Nel 1959 è stata restaurata ed è stato eretto lo svettante campanile. Conserva delle tele del ‘700, pregevoli affreschi e la statua lignea dell’Assunta, di circa 4 quintali, che ogni anno viene portata a spalla in processione per le vie del paese.
Casa natale di Papa Giovanni Al primo piano di questo edificio il 25 novembre 1881 nacque Angelo Giuseppe Roncalli, quartogenito di 13 figli di una famiglia contadina. Qui visse fino all’età di 12 anni, quando la famiglia si trasferì nella vicina Colombera. La casa è affidata alla custodia dei Padri del P.I.M.E. che l’hanno 17
riconoscimenti
pezzi di legno di diverso colore, opera dei Gusmai di Trani. Nella cripta della cappella riposano i resti dei genitori del Papa. Per i pellegrini qui è sempre possibile trovare assistenza spirituale.
Torre di S. Giovanni E’ l’antica torre d’avvistamento costruita nel IX secolo sulla sommità dell’omonimo colle, da dove lo sguardo abbraccia l’intera pianura Padana fino alle prime propaggini dell’appennino. Accanto alla torre sorgeva il cimitero e la chiesa parrocchiale, abbattuta all’inizio del XX secolo. Cara alla memoria di Papa Giovanni, che vi saliva spesso, è stata restaurata e consolidata a cura del locale gruppo degli alpini che alla domenica vi aprono un luogo di ristoro.
Abbazia di S. Egidio Gioiello d’arte romanica del X secolo ancora magnificamente conservato, immerso nel verde e nella quiete di boschi e vigneti degradanti sulle pendici della collina. Oasi di pace e tranquillità, ospita il Centro Studi Ecumenici fondato da Padre David M. Turoldo. Nella sua architettura la chiesa è tutta un richiamo ad elementi di mistico simbolismo e all’interno conserva pregevoli affreschi del XII e XV secolo, oltre a preziose tele. Nel chiostro all’esterno è addossato alla parete della chiesa un tempietto con un sarcofago che la leggenda vuole essere della fondatrice dell’abbazia, Teoperga.
Cappella della pace Dedicata a Maria SS. Regina della pace, è stata benedetta nel 1976. L’altare è stato ricavato da un sarcofago paleocristiano proveniente dalla basilica che Costantino fece erigere a Roma in onore di S. Pietro. Sulla destra è posto un grande quadro di Papa Giovanni ad intarsio, composto da 70.000
La galleria fotografica del Pime (Pontificio istituto missioni estere) con in fondo la statua di Papa Giovanni
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EVENTI
La questione Ghiaie durante l’episcopato di mons. Amadei Il vescovo da poco scomparso autorizzò la S. Messa sul luogo delle «apparizioni»
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ons. Roberto Amadei (1933-2009) è stato il quinto vescovo di Bergamo a doversi interessare della questione delle cosidette apparizioni di Ghiaie. Essendo bergamasco di nascita e studioso della storia della chiesa locale qualcuno, ed io fra questi sulla base di sue confidenze del marzo 1994, si aspettava da lui un intervento in materia. In occasione della visita pastorale a Ghiaie del 9 settembre 2003 il bollettino di quella parrocchia scriveva: «Mons. Amadei dichiara di ricevere ogni giorno alcune lettere di persone che si professano devote alla Madonna e che non si rendono conto affatto di quanto il loro comportamento in realtà La offenda. Sono state dette molte cose su questa questione, anche calunnie sui vescovi predecessori, ma al di là di quello che può essere stato il percorso storico, il vescovo invita a riflettere sul fatto che non è importante ai fini della fede, il riconoscimento delle apparizioni o l’evento miracolistico in sé, ma che è fondamentale credere in Gesù Cristo e quindi in Maria che è sua Madre. Quel che si tenterà di compiere per quel luogo è la regolamentazione del culto, anche per sottrarlo a tentativi di indubbia strumentalizzazione» (Comunità cristiana di Ghiaie, n. 3, dicembre 2003). Un suo stretto collaboratore mi parlò una volta di un documento già pronto sulla scrivania; quel documento non ha mai visto la luce, ma occorre riconoscere al vescovo Roberto di aver portato fino alla soglia della soluzione il delicato problema. Un grande titolo di merito per lui è di aver accettato che dopo mezzo secolo di alto silenzio la questione Ghiaie venisse trattata con ampia libertà di parola, in una seduta del Consiglio Presbiterale diocesano l’11 ottobre 2000. Prova ne sia il fatto che il primo ad intervenire fu il cancelliere mons. Pesenti che
letteralmente disse di provare «grande stupore e sorpresa» di fronte all’ordine del giorno e testualmente aggiunse «Non esito a dire che questa seduta del Consiglio Presbiterale potrebbe essere una seduta storica» (Per tutta la discussione, cfr. Vita diocesana 2000, pag. 752 – 766 – 2001, p. 135 – 137 e p. 179). Mons. Amadei da vescovo ha ricevuto Adelaide Roncalli e parlava in termini molto positivi della
Un’intensa espressione di Adelaide Roncalli bambina
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eventi
Chiodi a Lugi Stambazzi. Ma certamente il passo più significativo da lui fatto al riguardo è stata l’autorizzazione alla celebrazione della S. Messa alla cappella sorta sul luogo delle «apparizioni». Da qualche anno durante il mese di maggio e in altre occasioni è ormai diventata una prassi bene accolta dai fedeli la celebrazione liturgica. Questo fatto io avevo creduto bene segnalarlo in un articolo che dietro suo suggerimento L’Eco di Bergamo mi aveva richiesto nel maggio 2008, in occasione dei 60 anni del decreto Bernareggi. Il giornalista incaricato mi disse invece che il vescovo volle vedere il testo, prima della pubblicazione, e volle cancellato ogni riferimento alla celebrazione dell’Eucarestia. Non saprei dare una spiegazione di questa decisione che mi sorprese non poco. Sempre nella linea della valorizzazione di Ghiaie come luogo di preghiera comunitaria si può leggere anche la designazione del prof. don Battista Cadei del seminario diocesano a dirigere la preghiera alla cappella nel pomeriggio dei giorni festivi. Inoltre ho saputo nei mesi scorsi da un parroco emerito che quando si è trattato per lui di rinunciare alla parrocchia gli era stata ufficialmente prospettata la possibilità di stabilirsi a Ghiaie per dare un aiuto in quella parrocchia. La proposta non è andata in porto, ma resta espressione di un desiderio di potenziare il servizio religioso in questo luogo, riconosciuto come uno dei luoghi in diocesi dove si prega maggiormente, in parole povere un santuario de facto, anche se non ancora ufficialmente riconosciuto. Ho parlato di avvicinamento alla soglia di una decisione, ma la soglia non è stata varcata; è una mia supposizione, ma ritengo di cogliere nel segno affermando che mons. Amadei è stato frenato nel riconoscimento di Ghiaie come santuario da una serie di circostanze sfavorevoli: la compresenza in diocesi di due altre presunte apparizioni mariane in corso con seguito di devoti e problemi connessi al monte Misma e a Paratico; la comparsa sulla scena dell’indio dell’Amazzonia alla quale la Madonna avrebbe dato l’incarico di fare approvare le apparizioni; la presenza assidua a Ghiaie di Pino Casagrande con le sue asserite visioni e relativi
Una cappelletta eretta nel 1948 in zona a seguito di una presunta grazia ricevuta
serietà e della prudenza di questa signora, che si è sempre dimostrata molto rispettosa di quanto deciso a livello diocesano e ha sempre preso le distanze da ogni gruppo di pressione. Dello stesso tenore sono stati i giudizi sul suo conto che io ho raccolto a suo tempo anche da mons. Gaddi e più di recente da mons. Belotti; in una parola tutti i vescovi di Bergamo hanno espresso sempre valutazioni di grande stima per la protagonista dei fatti di Ghiaie nel 1944. Si deve dare atto al vescovo Roberto anche della volontà di documentarsi laddove ne avvertiva l’opportunità: in una conversazione apprese l’esistenza di un documento dei parroci dell’Isola, quello pubblicato sull’ultimo numero di questa rivista, di cui non era a conoscenza. Mi chiese di fargliene avere copia e mi ringraziò della segnalazione. Da parte sua ha autorizzato l’archivista della Curia Marchetti a farmi avere copia della lettera di mons. 20
eventi
messaggi celesti per il suo gruppo del 18 del mese in contrapposizione a quello tradizionale del 13. Né va dimenticato come e dove erano finite le pubblicazioni «Una voce alla Ghiaie» di Ferdinando Guzzi e «Il pungolo su Bonate» di Walter De Giuseppe. Ma è vero anche che in fondo il riconoscimento del santuario non avrebbe richiesto un coraggio da pioniere, attesi i casi analoghi registrati in Italia, a Roma, Schio, Balestrino, Montichiari, per non parlare di Medjugorie. Mi ero fatto mandare dal vicariato di Roma copia del decreto con il quale il card. Ruini il 17 marzo 1994 ha eretto la parrocchia di S. Maria alle tre fontane a Roma sul luogo delle non riconosciute apparizioni del 1947 e gliel’ho inviato nel febbraio 2002. Una copia l’ho fatta avere anche al compianto don Bonanomi già ricoverato al don Orione, ma l’attesa è stata vana per lui e per me. Conservo preciso nella memoria il ricordo di un brusco intervento del vescovo Roberto nel corso di una conversazione fra sacerdoti a Calusco nel marzo 2006. Avendo io fatto presente ai confratelli che, stando al codice di diritto canonico (can. 1230), due delle condizione per il riconoscimento del santuario a Ghiaie sono in atto da tempo: l’esistenza di un luogo di culto e l’affluenza di numerosi pellegrini e manca solo la terza: l’approvazione dell’ordinario, egli intervenne dicendo «Io quella non la darò mai». Non ho avuto difficoltà a replicargli: «Oggi è così, domani potrebbe essere diversamente; guarda quello che è successo a Brescia» alludendo al fatto che il vescovo Sanguineti ha instaurato a Montichiari una prassi pastorale diversa da quella del predecessore. La mancanza di un intervento formale, compensata però dai gesti significativi sopra richiamati è stata purtroppo accompagnata per tutti gli anni del suo episcopato, salvo l’eccezione sopra detta, dal silenzio assoluto del quotidiano l’Eco di Bergamo. Nessuno poteva aspettarsi che fosse il giornale a prendere posizione sulle apparizioni, ma è deludente che il quotidiano cattolico diocesano abbia sempre sistematicamente ignorato il fatto incontrovertibile che a Ghiaie c’è sempre stata molta gente a pregare di
giorno e di notte: informare almeno di questa realtà sarebbe stato semplicemente dovere di cronaca e di cronaca confortante in mezzo a tanta altra di segno opposto. Rappresenta un test significativo una lettera all’Eco di Bergamo (31 maggio 2008, p. 33) e la risposta ufficiale, si noti bene, non del giornale, ma della curia: «Spett. redazione, se la Madonna fosse apparsa a Ghiaie cosa penserebbe di chi si ostina a non riaprire il caso?Per quale motivo non è possibile?» Giovanni Luigi Paioni. Risponde la Curia di Bergamo: «Considerato che la commissione istituita a suo tempo dal vescovo Bernareggi ha lavorato in maniera seria e approfondita, arrivando a conclusioni chiare ed esaustive sui fatti che erano avvenuti, per suggerire la riapertura del caso sarebbe necessario venire a conoscenza di episodi e circostanze nuovi, mai esaminati all’epoca in cui si svolsero le indagini. Cosa che a tutt’oggi non risulta».
Roberto Amadei, il primo a sinistra, in un’immagine con Angelo Roncalli
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eventi
Cortesi, vittima, come ebbe a dire mons. Pesenti in consiglio presbiterale di un linciaggio morale da parte di una frangia di accaniti ma disinformati sostenitori delle presunte apparizioni. A onor del vero debbo dire che, a livello personale, il suo giudizio mons. Roberto lo espresse chiaramente quando mi disse nel 1994 che in un incontro del clero del vicariato a Clusone nella primavera di quell’anno, 50° delle c.d. apparizioni, aveva risposto ad un apparizionista acceso come il compianto don Angelo Bena che don Cortesi nella vicenda si era comportato con la massima correttezza, aveva presentato la sua relazione alla commissione e da quel momento si è disinteressato per sempre della questione. Aggiunse che aveva esortato i sacerdoti a far conoscere tale giudizio, ma di fatto, da parte sua, non è andato oltre l’intervento in sede di vicariato e mai nulla ha scritto in proposito. Del tutto a vuoto sono andati due miei successivi tentativi: il primo quando ho conosciuto il libro «Don Benigno» che la parrocchia di Borgo Santa Caterina ha dedicato nel 1998 all’ex suo parroco mons. Carrara, che era stato membro del tribunale ecclesiastico che valutò il caso Ghiaie. Vi è riportata la lettera del 12.10.1955 di don Cortesi al vescovo di Imola: «… Mi pare che non dovrei essere preso a partito. Ma se lo fossi, non me ne curo troppo, sia perché mi sento puro come il sole, sia perché sono certo che i superiori nel modo e nel tempo opportuno difenderanno la causa della verità e quindi anche le persone che hanno fatto il loro dovere… Conserverò ancora un dignitoso silenzio - Il mio vescovo pensa anche ai suoi preti …» (A. Paiocchi, Don Benigno, p. 137). Della lettera ho inviato a lui fotocopia facendogli notare che l’attesa di difesa da parte del vescovo per mons. Cortesi Il luogo delle apparizioni in un’immagine del 1947 durava dalla bellezza di mezzo
Questa risposta è stata l’imput al mio ultimo passo col vescovo Roberto in merito a Ghiaie il 2 giugno 2008: «Questo fax mi viene spontaneo dopo aver letto su L’Eco di sabato: Risponde la Curia di Bergamo. Il Corriere della sera il 13 maggio a pag. 10 scriveva: - Solo nei giorni scorsi L’Eco di Bergamo per la prima volta in 50 anni ha dedicato un’intera pagina al mistero - . La risposta della Curia cosa dice alla totalità dei lettori che non conosce nulla o quasi ?Si è purtroppo formata la leggenda nera su Cortesi, sul tribunale, sulle suore, ma occorre riconoscere che in 60 anni è mancata completamente l’informazione. Anche se a tuo giudizio non è il momento della decisione, non sarebbe doverosa dopo 60 anni almeno l’informazione? Le 15 righe della Curia a chi bastano? L’Eco non è l’organo ufficiale della diocesi e quindi potrebbe fare il suo dovere di informazione con un giornalista che firma i suoi articoli impegnando solo se stesso. Non trovi buffo che il quotidiano cattolico si sia impegnato più a informarci sulle tracce dell’orso in Valseriana che non dell’evento Bonate?». Il fax ovviamente è rimasto senza risposta. E senza risposta sono rimaste anche le mie sollecitazioni a prendere posizione in difesa di mons. Luigi
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secolo. Quella lettera mi portò a chiedere al segretario del vescovo Carrara mons. Tarciso Foresti se ci fossero altri scritti del vescovo bergamasco sull’argomento. Mi rispose di non possederne, ma mi ha scritto di ricordare bene le accese discussioni fra mons. Battaglia convinto sostenitore delle apparizioni e il suo vescovo che invece recisamente le negava. Mi ha rilasciato in data 18.8.2005 una testimonianza che merita di essere riportata: «Ti ringrazio non solo per la retta documentazione dei fatti, ma soprattutto Il luogo delle apparizioni in un’immagine del 1958 per avere affermato la verità sulla persona di mons. Luigi Cortesi. Mi ricordo di averlo visto agli inizi della vicenda. Ed era entusiasta più che favorevole Questo a me è sembrato eccessivo, anzi impossibile; alla veridicità dei fatti delle Ghiaie. Se la conclusione sarebbe bastato il riconoscimento ufficiale del luogo è stata negativa circa la soprannaturalità dei fatti di culto senza dire nulla delle apparizioni come emerge ancora di più la sua onestà e il suo amore ha fatto il card. Ruini per le tre fontane a Roma alla verità, perché ha dovuto a malincuore rivedere o, preferibilmente, con una sobria ma esaustiva la sua visione iniziale. Ti sarò sempre riconoscente documentazione a dimostrazione della validità se mi terrai aggiornato sulla annosa e ormai noiosa anche al presente del giudizio Bernareggi 1948, vicenda delle Ghiaie di Bonate». che non preclude, secondo il codice vigente, il Un ulteriore tentativo a vuoto l’ho fatto sempre nel riconoscimento del santuario. 2005; ricorrendo il 20° della morte di mons. Cortesi, Così non è stato e ne provo rammarico, ma devo segnalai al vescovo Roberto che dopo il prolungato dare atto ben volentieri al vescovo Roberto di silenzio forse una ben calibrata pubblicazione essere andato molto vicino a quel traguardo che, sarebbe stata opportuna. Certamente le richieste in un contesto meno teso e polemico, avrebbe a lui pervenute a proposito della questione Ghiaie probabilmente superato. Nella tavola rotonda devono essere state tante e le più disparate; ne sono a conoscenza di due singolari: Don Giovanni Bonanomi gli disse in mia presenza a Desenzano, qualche anno fa: «Il più grande regalo che mi potrebbe fare sarebbe di incaricarmi di costruire il santuario a Ghiaie». Se fosse arrivato l’ok non sono l’unico a pensare che oggi quel santuario sarebbe quantomeno già al tetto. Un altro parroco ora emerito già suo compagno di seminario mi scrisse di avergli proposto di concludere il Sinodo diocesano con un solenne riconoscimento Febbraio 1959: Papa Giovanni e alla sua sinistra don Amadei con i seminaristi bergamaschi del seminario romano delle apparizioni di Ghiaie. 23
eventi
quindi non valido, di che cosa si ha paura? Ora in fondo in fondo un Vescovo può dichiarare il suo giudizio su un’apparizione, può rivedere il giudizio del vescovo precedente sull’apparizione, può anche non esprimersi affatto, non è obbligato quando non ci sono motivi contro il dogma e la morale. Però almeno lasci la libertà, tolga quel velo di dubbio che si infonde nelle persone e nella gente. Lasci fare che la gente vada alla Madonna a pregare per le loro famiglie. Si abbia questo coraggio». Pienamente d’accordo sulla prima richiesta, non sulla seconda. Se tutte le richieste fatte per la riapertura del processo non hanno avuto seguito, vuol dire che la Santa Sede non condivide il giudizio di Radiomaria che il processo sia stato falso, ingiusto, non valido. Chi poi ha letto gli atti del processo ne è già ampiamente convinto. Il vescovo Amadei non ha rivisto il giudizio Bernareggi e non poteva farlo, perché la documentazione dell’epoca non lascia, a me pare, questo spazio. Ma non solo ha lasciato la libertà di andare alle Ghiaie a pregare, ma ha autorizzato anche la celebrazione sul posto della S. Messa e incaricato un sacerdote di guidarvi la preghiera festiva. Non so se il vescovo Roberto amico dagli anni lontani del seminario romano sia riuscito a leggere il mio studio che gli ho inviato per posta elettronica, quando era ormai entrato nella fase purificatrice della sofferenza causata dalla terribile Sla. A Natale, avvicinandosi la data delle sue dimissioni, da ex alunno a ex alunno gli avevo di cuore augurato che la Madonna della Fiducia gli fosse maternamente vicina. Al seminario romano tante volte abbiamo cantato l’inno in suo onore, musicato dal maestro Raffaele Casimiri su testo del futuro card. Alfredo Ottaviani, proprio il regista romano della soluzione del caso Ghiaie. Ma allora eravamo lontani dall’immaginare che dopo mezzo secolo, educati dalla devozione del seminario, ci saremmo ritrovati a interessarci entrambi della Madonna delle Ghiaie.
Un momento di preghiera a Ghiaie guidato da don Bonanomi
a Radiomaria del 30 novembre 2004, il servita bergamasco P. Angelo Tentori aveva così formulato i desideri che al vescovo di Bergamo avanzano quanti credono alle apparizioni di Ghiaie: «… In ultima analisi che cosa chiederemmo alla Curia di Bergamo? Innanzitutto l’apertura dell’archivio dei documenti. Perché non si può consultare la serie dei documenti nell’archivio diocesano di Bergamo su questo fatto, dopo 60 anni? Seconda cosa: perché si ha paura di riprendere in mano un processo che era già stato all’inizio dichiarato falso, ingiusto e
Mons. Roberto Amadei durante una concelebrazione a Sotto il Monte
Don Marino Bertocchi
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AT T I V I T À
Paramenti sacri, quando è l’abito a fare il monaco C’è ancora chi realizza capi e oggetti per la liturgia seguendo antiche tradizioni
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‘abito non fa il monaco. A pensarci bene, forse non è sempre così. Così inizia l’articolo di Monica Gherardi pubblicato su «L’Eco di Bergamo» che riproponiamo ai nostri lettori. Se ci addentriamo con profondità nel mondo dei monaci, o ancor più dei sacerdoti, scopriamo che l’abito, in particolare quello adibito alle funzioni liturgiche, conserva in sé un forte valore che racconta uno stile e un modo di annunciare il Vangelo. Filati preziosi, tessuti pregiati e splendidi ricami hanno vestito nei secoli coloro che presiedevano le celebrazioni, raccontando la grandezza del mistero che si compiva sull’altare. L’abito che veste il sacerdote indica un modo di stare di Dio fra gli uomini e diventa la mediazione di un linguaggio che esprime il modello di fede della comunità cristiana nella storia. Ad ogni epoca è legato uno stile che racconta il tempo e che si sforza di essere in sintonia con esso. Passato e presente spesso si intrecciano fra trame e orditi che compongono i tessuti, tra gli intrecci dei fili e dei ricami. Tutto ritorna, un po’ come accade anche nel più futile mondo della moda, ma a cambiare sono spesso le tecniche e i processi di lavorazione che conducono al prodotto finito.
39 anni, di Bergamo, dal 2005 è capo di «Sirio», una piccola azienda che realizza capi e oggetti per la liturgia secondo antiche tradizioni. Nell’ufficio di via Angelini, dove lavora con la moglie Francesca, non si contano i libri di storia e d’arte da cui Sartirani trae spunto per le sue realizzazioni. Sul tavolo di lavoro schizzi e disegni, prove di accostamento dei colori, modelli e campioni di tessitura. «Sono giunto a questa mia attività – spiega Sartirani – dopo un’esperienza commerciale nell’ambito delle forniture per la liturgia. Con il tempo è cresciuto il desiderio di scostarmi da ciò che rientrava in standard classici, per esprimere una mia creatività, fondata sullo studio e sulla ricerca, supportato anche dalla collaborazione con liturgisti». Sono iniziati quindi i contatti con tessitrici e ricamatrici. Dai telai di fine Ottocento scendono lentamente, ancora oggi, preziose casule, senza cuciture, tessute con filati preziosi. Sottili aghi, condotti da agili dita, percorrono i disegni fino a comporre i ricami. «E’ un lavoro lunghissimo – spiega – che non può sicuramente competere con la moderna industria, ma che vuole riscoprire la cura e il valore dell’abito indossato dal sacerdote».
Massimiliano Sartirani, la riscoperta della tessitura e del ricamo a mano I ricchi paramenti che ogni parrocchia conserva nelle sagrestie o nei musei, realizzati da mani pazienti, incuranti della fretta, sembrano roba d’altri tempi e anche nell’ambito degli abiti liturgici ci si è affidati, nell’ultimo secolo, a produzioni industriali, capaci di soddisfare in breve tempo ogni esigenza. Eppure c’è ancora chi, innamorato della bellezza e della storia, ha scelto di dedicare tempo e cura alla riscoperta di antichi metodi di lavorazione, rivalutando la tessitura e il ricamo a mano. Massimiliano Sartirani,
Massimiliano Sartirani, dal 2005 a capo di Sirio, una piccola azienda che realizza capi e oggetti per le funzioni
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Bruno e Matteo, le casule e le stole della Giornata mondiale della gioventù di Sydney e sua anche una preziosa mitria che ha coperto il capo del Pontefice. Nata come piccola azienda familiare, la Solivari è in grado ora di coprire anche vaste produzioni che raggiungono l’Europa e gli Stati Uniti. La lavorazione parte dalla scelta del filato, per passare poi alla produzione del tessuto attraverso tecnologie sempre più avanzate. Dallo schizzo realizzato a mano, si passa alla riproduzione al computer che elabora le varie informazioni necessarie per la realizzazione del capo. Dalla Solivari, oltre che abiti liturgici destinati ad un mercato più ampio, escono creazioni raffinate, curate in ogni minimo particolare, con tessuti esclusivi e ampie gamme di colori, che vengono poi proposte ai clienti attraverso campioni o cataloghi. «E’ un campo in cui non si può improvvisare – spiega Solivari – e dove serve una conoscenza sia della storia passata che dello sviluppo continuo della tecnologia del tessile». La cura che i produttori bergamaschi pongono nelle loro creazioni incontra poi la domanda di chi sceglie l’abito per le celebrazioni.
«Sirio» collabora anche con l’Accademia di Brera «Sirio» ha sviluppato una collaborazione anche con l’Accademia di Brera: alcuni artisti hanno realizzato progetti interessanti, legati allo studio dei testi sacri e della simbologia cristiana. Sartirani è spesso in viaggio in Italia e all’estero per scoprire sempre nuove strade da percorrere e per scovare i piccoli artigiani. La sua ricerca ha raggiunto anche Murano, per conoscere le tecniche del vetro e per realizzare fini calici dai riflessi dorati. «Ogni mia creazione – spiega – è un pezzo unico, pensato con il sacerdote che lo richiede». Solivari, dal 1875 al servizio del mondo ecclesiastico A Bergamo Sartirani non è il solo a lavorare in questo ambito. La storia della famiglia Solivari, lunga più di un secolo, ha risposto dal 1875 alle esigenze del mondo ecclesiastico per la fornitura di abiti e arredi liturgici, giungendo a varcare anche le porte del Vaticano. Sono di Francesco Solivari, titolare dell’omonima azienda che conduce con i figli
Preziosi indumenti utilizzati per le sacre celebrazioni
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PUBBLICAZIONI
Un libro per i più giovani con Santi in stile manga Si tratta di un vero e proprio dizionario di immagini che avvicina ai temi della fede
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’ possibile avvicinare i giovani e i giovanissimi a mondi considerati un po’ complessi per l’età che hanno se si utilizza una chiave di lettura che risulta alla loro portata. E’ il caso ad esempio dei fumetti. Esperimenti del genere sono stati già portati a termine ed hanno ottenuto un puntuale successo. Basti citare la pubblicazione «Vita di Papa Giovanni XXIII», un giornalino allegato non molto tempo fa al quotidiano cattolico «L’Eco di Bergamo» in cui è stata narrata la vita del Beato attraverso le sue tappe più significative. Il tutto, ovviamente, in chiave fumettistica: testi di Gimmi Rizzi e disegni di Bruno Dolif. Fumettistica ma molto efficace per far comprendere anche ai bambini la statura di questo amatissimo personaggio. Ebbene, qualcosa del genere si è ripetuto con una piccola variante. Ritrarre i Santi attraverso lo stile dei cartoni animati e in particolare del disegno giapponese dei manga è infatti il progetto che sta dietro al libro «Che santo è?», presentato alla fine dello scorso gennaio a Martinengo, in provincia di Bergamo, e «nato dall’esigenza di avvicinare il pubblico più giovane al linguaggio didattico dell’arte religiosa, utilizzata nel corso dei secoli per comunicare i temi della fede e della storia sacra attraverso un vero e proprio dizionario di immagini», spiega Paolo Linetti, il curatore dell’iniziativa. Sfogliando il libro l’attenzione del lettore è immediatamente catturata da questi personaggi molto colorati, che ispirano subito simpatia, ma non solo: ogni santo è raffigurato con le caratteristiche distintive che lo connotano, come ad esempio Sant’Alessandro con l’armatura e il vessillo con il giglio bianco oppure San Giorgio con il drago e la lancia. Molta cura è stata anche riservata alla realtà storica, geografica e dove possibile alla fisionomia del personaggio. «Il progetto – precisa ancora Linetti dello Studio Ebi che per questa iniziativa ha coordinato un gruppo di sette disegnatrici – non intende banalizzare
l’immagine dei Santi e la loro trasposizione iconografica. Grazie al supporto di esperti abbiamo approfondito i dati della tradizione e dell’iconografia, traducendoli in un linguaggio nuovo e facilmente comprensibile, ma dando ai disegni la giusta dignità, ieraticità o dolcezza, a seconda del personaggio». Il libro è composto da 138 pagine e presenta 108 santi, ciascuno con una specifica scheda. E’ possibile trovarlo in vendita al costo di 19 euro e 90 centesimi in numerose librerie oppure, per saperne di più, si può contattare il sito www.studioebi.it Luna Gualdi
La copertina del libro «Che santo è?»
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INTERVISTE
Settant’anni in 2 chilometri «Così ho trovato la felicità» Una suora di clausura, vicino Bergamo, narra la sua scelta di vita fatta da ragazza
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’ una suora di clausura, ed è piuttosto preoccupata di incontrare un giornalista, anche se attraverso una grata. Apparso su «L’Eco di Bergamo», proponiamo ai nostri lettori questo interessante articolo di Carlo Dignola. «Non penserà di mettermi sul giornale?!». Non vuole assolutamente che pubblichiamo il suo nome, lo ripete almeno cinque o sei volte. Sono donne abituate a vivere nel nascondimento, per cui finire in prima pagina è l’ultima cosa che amerebbero fare. Per noi, però, è anche un «caso di cronaca»: ha quasi 90 anni ed ha superato il 70° della sua professione religiosa presso il Monastero della Visitazione di Alzano Lom-
bardo (Bergamo). A dire il vero era entrata ancora prima: sono 74 anni che non lascia queste mura se non per motivi molto gravi, come il tumore che l’ha colpita 22 anni fa. Mentre noi ci siamo affannati e distratti in ogni possibile faccenda, mentre il mondo fuori passava dalla Balilla all’iPhone lei non si è mai mossa dal suo posto nel coro, dalla sua panca di legno a tavola, dal suo piatto di minestra e dalle sue letture spirituali. In tutto questo tempo ha avuto in pratica una sola cosa da fare: pregare. Quando aveva due anni e mezzo fu colpita da una malattia grave, non si sa neppure bene quale: rimase in coma 40 giorni. Il padre, disperato, cominciò a fare il giro delle chiese della Bergamasca, l’ultima fu quella di Ama, vicino a Selvino. Tornando a casa la trovò che mangiava pane e mortadella. Venne il medico a visitarla e disse ai genitori: «Io non so cosa abbiate fatto a questa bambina, però non ha più niente». Quando, a 13 anni, decise di entrare in convento sua madre pensò: «Dio ce l’ha lasciata allora, ma non è nostra; la voleva Lui». I suoi nipoti, parlando di lei, usano sempre le stesse parole: «serenità», «gioia», «luce». Nella penombra del parlatorio del monastero è proprio questo che si percepisce, immediatamente. In una donna piccola, magra, dalla voce esile eppure decisa. «Ho passato qui quasi tutta la mia vita», dice. Sempre in questo monastero? «Sempre lo stesso, per grazia di Dio. Sono sempre stata contenta e felice della mia vocazione». Com’è arrivata a questo passo? «Sono venuta qui le prime volte con una zitella, era amica di una suora e veniva a trovarla, portando spesso qualche bambino. La maestra delle novizie di allora quando mi ha visto mi ha chiesto: “Non ti piacerebbe entrare in monastero?”. E io ho risposto: “Sì, certo che mi piacerebbe”».
L’anonima suora che vive in clausura nel monastero di Alzano, vicino a Bergamo
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interviste
Madre. Tanti vengono per sfogarsi un po’ qui con noi e ricevono quella parola di fede che li aiuta ad accettare le loro sofferenze». In monastero si soffre meno? «Io, per dire la verità, non ho mai avuto grandi dolori. Altre sorelle invece, per i parenti o per una cosa o per l’altra... Io ho sempre avuto una vita facile». Cos’è una vocazione? «E’ un dono. Se si capisce, lo si accetta e lo si abbraccia volentieri, con amore. Qualcuno non lo capisce, magari resiste, non vuole, e allora non ha la felicità, questo è sicuro». E’ stato difficile per lei accettare un’esistenza così piena di rinunce? «No, io l’ho sempre amata. Sono sempre stata felice, sempre, dal primo momento che sono entrata qui fino a oggi». L’affetto che c’è tra di voi è un sostegno importante? «Certo, qui in convento ci vogliamo tutte bene. Siamo in poche adesso: quando si è in tante è più facile che ci sia qualcuna che ha un carattere più difficile... Viviamo come in una famiglia». Lei ha anche guidato questo monastero, piuttosto a lungo. «Qualche anno. E’ capitato così, ci scambiamo un po’ i compiti, ci aiutiamo». E’ legata in modo particolare a qualche santo? «Sì, certo: a Santa Teresa del Bambino Gesù». Cosa le piace di questa donna? «Si è donata tutta al Signore, anche lei in giovane età. E poi è sempre vissuta solo per Lui. Senta, però, non vorrà mica mettere queste cose sul giornale, vero?». Perché oggi si fa fatica a sentire la voce di Dio? «Ci sono tanti rumori fuori, che disturbano».
Subito? «Subito. La prima volta». Ha deciso in fretta. «Si stava lì mica tanto a pensar su. Quando si è adulti si ragiona di più, quando sei bambina, se una cosa è bella si dice subito di sì, e via». I suoi genitori hanno lasciato che seguisse la sua strada. «La mia mamma specialmente». Il padre no? «Il giorno in cui sono entrata in monastero, la Madre ha aperto la porta e mi ha detto: “Vieni, adesso sei tutta nostra”. Quella parola lì ha colpito il mio papà. Lo ha ferito, proprio nel cuore. E’ andato via e si è ubriacato». Dopo qualche tempo, però, le monache l’hanno rimandata a casa. «Ero troppo giovane. Volevano assicurarsi della stabilità della mia decisione». Ha sofferto? «No, a casa mi volevano tanto bene, ci sono stata volentieri. Dopo però sono tornata qui». Convinta? «Sì, sì: sentivo proprio che era la mia vita. La mia via. La volontà del Signore. A 16 anni ho fatto la vestizione e l’anno dopo ho pronunciato i voti». Com’è il mondo visto da dietro la grata? «Io del mondo di adesso so poco. So che è molto diverso da quando sono entrata qui: non c’era tutto questo viavai, era una vita più tranquilla». Incontra persone che vivono fuori? «Quando vengono a trovarmi». E’ vero che se qualcuno bussa, interrompete anche la preghiera? «Certo, siamo sempre disponibili. Specialmente la
Suor Maria Angioletta: una vita al servizio degli ammalati E’ stata ricordata alla fine dello scorso gennaio a Bonate Sotto (in provincia di Bergamo) – con una celebrazione eucaristica nel trigesimo della morte – suor Maria Angioletta Locatelli, scomparsa il 18 dicembre 2009 all’età di 86 anni presso la Casa delle suore dell’Istituto di Maria Bambina in via San Bernardino a Bergamo. Per quarant’anni suor Maria Angioletta ha svolto il suo servizio agli Ospedali Riuniti di Bergamo, nel reparto cucina, facendosi benvolere ed apprezzare da quanti l’hanno conosciuta: terminato il suo lavoro, infatti, si recava sempre a far visita
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agli ammalati, portando una parola di conforto a chi era nella sofferenza e, ove necessario, anche il suo aiuto materiale. Chi l’ha conosciuta ricorda che oltre a dare il suo sostegno agli ammalati, suor Angioletta aiutava anche i loro familiari con un pasto caldo dopo una notte di veglia o con l’aiuto nel disbrigo delle pratiche burocratiche presso gli uffici dell’ospedale. Maria Angioletta Locatelli nacque a Bonate Sotto il 27 settembre del 1923 da papà Angelo e mamma Teresa Panseri. La sua vocazione religiosa maturò nella grande famiglia patriarcale, composta da 15 figli. Si fece suora nel 1945.
INIZIATIVE
Un film su Santa Cerioli: anche le suore sul set Vestite da contadine, sono riprese mentre cantano durante il lavoro nei campi
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uore al cinema, o meglio dentro il cinema, nel senso che le suore sono personaggi e interpreti: quasi attrici. Così inizia l’articolo di Emanuele Casali, apparso su «L’Eco di Bergamo» a fine gennaio che riproponiamo in sintesi ai nostri lettori. In questa che pareva un’improbabile impresa è riuscito Roberto Picchinino, giornalista, documentarista e regista che ha girato un documentario sulla vita e le opere di Santa Paola Elisabetta Cerioli, fondatrice delle suore della Sacra Famiglia. A Sanremo, e meglio ancora in località Coldirodi, dove le suore gestiscono l’Istituto padre Semeria, Picchinino ha avuto la folgorazione per il documentario. E si è messo all’opera. Da Sanremo si è spostato con le attrezzature in Lombardia, a Soncino, dove il 28 gennaio 1816 nasceva Costanza Onorata Cerioli. Il video si intitola «Una chiamata all’amore senza confini» e sarà definitivamente concluso a metà del prossimo mese di maggio, con l’aggiunta di alcune riprese delle varie sedi in cui operano le suore della Sacra Famiglia sparse nelle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Como, Asti, Bologna, Imperia, L’Aquila, Roma, Caserta e Trapani (Mazara del Vallo). Il documentario racconta la vita di Santa Cerioli e in talune scene, come quella in un campo di grano, sotto un radioso sole, Picchinino ha impiegato le stesse suore di Comonte, mimetizzate in costumi contadineschi mentre raccolgono le spighe di frumento e cantano motivi di campagna come le mondine. Una scena gradevole con le suore così diverse negli abiti, ma uguali nel cuore sempre gioioso. Il documentario inizia dalla casa natale di San-
ta Cerioli a Soncino; mette a fuoco i registri di battesimo (1816) e di matrimonio (1835); si sposta a Comonte e mostra gli ambienti nobiliari di villa Tassis, la vita matrimoniale della Cerioli, e quindi la vita di povera suora dopo aver venduto ogni cosa per creare un orfanotrofio e una scuola. Suor Rosaria Zamboni, madre generale delle Suore della Sacra Famiglia, racconta e spiega tutto con piena conoscenza, e con una piacevole cadenza bergamasca accompagna lo spettatore nella camera in cui è vissuta e morta Santa Cerioli e in altri ambienti. Santa Paola Elisabetta Cerioli è sicuramente una delle figure più significative che hanno caratterizzato il cattolicesimo bergamasco nell’Ottocento. A 19 anni sposa il conte Gaetano Busecchi Tassis, di 59 anni, che ha una casa a Comonte. Dall’unione nascono 4 figli, ma solo il terzogenito Carlino sopravvive fino a 16 anni, quando viene stroncato dalla tisi nel 1854. Sul letto di morte dice alla madre angosciata una frase che in seguito si rivelerà profetica: «Mamma, non piangere. Il Signore ti darà altri figli da mantenere». Nello stesso anno muore anche il marito. Nel 1856, comprendendo il senso delle parole di Carlino, accoglie nella sua casa di Comonte le prime bimbe povere e orfane della zona. A loro offre pane, affetto, formazione religiosa e anche professionale, con lezioni pratiche di agricoltura che denotano ancora oggi una straordinaria pedagogia educativa. In seguito, in un’altra casa, accoglie anche gli orfani. Nel 1858 sceglie la vita religiosa. Morì il 24 dicembre 1865. Beatificata il 19 marzo 1950, il 16 maggio del 2004 è stata iscritta nell’albo dei Santi da Giovanni Paolo II. 30
TE S T I M O N I A N Z E
PubbLIchiamo alcune testimonianze dei lettori....
Gent.mi Amici di Papa Giovanni Allego alla presente, testimonianze per grazie ricevuta mie e delle mie bimbe, sarei felice di vedele pubblicate Grazie Papa Giovanni, Grazie, perchè con la tua intercessione abbiamo ricevuto importanti guarigioni, soprattutto al mio papà. Grazie, per la tua Paterna e continua protezione alle mie figlie: nella salute, nello studio e nello sport. Grazie, perchè il tuo sorriso ci conforta e ci illumina anche nei momenti più difficili. Ti affido sotto la tua protezione tutti i miei cari e soprattutto le mie figlie. Grazie, Francesca Grazie Papa Giovanni, per la tua protezione nella scuola, nella salute, nelle competizioni sportive, per il tuo sostegno quando ci manca il nostro papà. Proteggi la nostra mamma che da quando siamo nate ci ha insegnato ad amarti. Con amore, Iside e Ginevra
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LA
PAGINA
DEI
LETTORI
PUBBLICHIAMO LA LETTERA INVIATA A PAPA BENEDETTO XVI DAL NOSTRO LETTORE ALBERTO LEPORATI DI PARMA E LA RISPOSTA AVUTA A Sua Santità Papa Benedetto XVI
Città del Vaticano - 00100 ROMA
SANTITA’, chi si permette scriverle è un umile anziano, di 90 anni, devoto del Beato Papa Giovanni e del Santo Padre Pio.
Il motivo per cui mi rivolgo a lei, stimatissima persona di grande fede e di sensibile umanità è una richiesta tanto semplice quanto doverosa, ossia:
che il Beato Papa Giovanni XXIII sia proclamato Santo!
È noto a tutti i cristiani e agli adepti di altre religioni, quanto egli fosse stimato e amato per le sue opere altamente umanitarie, conseguite prima e durante il suo Pontificato. Opere che possono configurarsi alla stessa stregua di altrettanti miracoli, i quali sono:
1) Durante la seconda guerra mondiale, trovandosi in Turchia per la sua missione pastorale è riuscito, grazie alla sua persuasione profusa
verso i gerarchi tedeschi, a bloccare la partenza del treno carico di bambini ebrei, salvandoli tutti da sicura morte in Germania.
2) È stato protagonista importante nella soluzione della crisi nucleare di Cuba. La situazione era divenuta terribilmente pericolosa, per cui in quel momento così critico il Suo accorato messaggio di pace ebbe effetto benefico nell’animo del supremo dirigente sovietico, Kruscev, anche perché, sia lui che il Beato, erano accomunati dalle stesse origini contadine e quindi da reciproche comprensioni, nonostante gli ideali fossero diametralmente opposti.
3) Ha indetto il Concilio Vaticano II. La sua amarezza, prima di morire, è stata quella di non aver potuto vedere la Sua opera compiuta.
Tuttavia, è stato un grande evento che Santa Madre Chiesa ne ha tratto grande beneficio di ringiovanimento e di rinnovamento, i cui effetti sono stati accolti con entusiasmo e soddisfazione da tutto il popolo di Dio sparso in tutto il mondo.
4) Ultimo e non meno importante miracolo è quello che è scaturito dalla forza divina del Suo spirito che ha ridato vita ad una Suora morente affetta da male incurabile.
A lei, Santità, il Supremo Giudizio
Con rispettoso omaggio di Fede e di preghiera. Alberto Leporati
Parma, 15 ottobre 2006 SEGRETERIA DI STATO Dal Vaticano, 19 ottobre 2006 Pregiatissimo Signore,
con cortese lettera del 15 ottobre corrente, Ella ha indirizzato al Suo Santo Padre un messaggio di filiale ossequio e,
informando circa la particolare devozione che nutre per Papa Giovanni XXIII, ha presentato una particolare richiesta.
Riconoscente pre il premuroso gesto e, soprattutto per il ricordo nella preghiera, il Sommo Pontefice, nel ricambiare il
delicato pensiero, affida Lei e i familiari alla celeste protezione dell’Immacolata Concezione e del Suo beato Predecessore e di cuore invia la Benedizione Apostolica, pegno di pace e di speranza, estendendola volentieri alle persone care.
Assicuro che l’istanza è stata tenuta in debito conto e profitto della circostanza per porgerLe distinti saluti
Mons. Gabriele Caccia
Assessore
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Ringraziamolepersonechehannosottoscritto abbonamenti al giornale e inviato offerte all’associazione Amici di Papa Giovanni ACTIS PERINO ANGIOLINA AGNESE M. TERESA ALBERTI ANNA MARIA ANDOLFI LUIGI ANTONINI LUIGINA ASPERTI COSTARDI MARIA AZZOLA FRANCESCO BALBIANI TERESINA CEDRO BARISELLI STEFANIA BATTISTELLI AURELIA BERLANDA ARMIDA BERTELETTI RITA BERTOLI ELDA BIACCA MARGHERITA BOLLA LUCIA BONAITI ANTONIO BONOMI ADELE BOSCHINI ELISABETTA BOTTONI GUIDO ROMANA BOTTONI CATOZZILINA BROGNOLI LUCIA BUCCOLI SANNA BONUCCIA BUONO ASSUNTA CARETTA IRMA CAROLINI MARIA CASTIGLIA ANNA MARIA CASTIGLIA VALERIA CASTIGLIONI ANNA CATTANEO LENA CECCHINI NUNZIA CEREDA BAMBINA FULVIA E ALBINA CERISE STEFANO CHIAMETTI NATALINA CHIARONI CELESTINA CHIODO ISABELLA CITRO GIUSEPPINA COFFETTI ELEONORA COLOMBO CAROLINA COLOMBO MARIA LUISA CONDORELLI FOTI MARIA CORRADINI RUCATTI GIUSEPPINA CORTI CECILIA CORTINOVIS LIBERA CRIVELLARO ANITA CURNIS MAFALDA D’AMBROSIO ANNAMARIA DAFFINI RAZA MARIA DALBESIO COCCOLO FELICIANA DAMIANO ANTONIO DAVI ELVIRA DE NIGRO SILVIA DELL’OSTA MARISA DELLE VILLE ANNA MARIA DI GREGORIO ALBERTO DONATI CARMEN DORIA MARIA EBOLE GIOVANNI ERCOLANI GIOVANNI FACCONI PIERA FANTONI BRUNA FERRARI VALLI ANGELA
FERRERO MARISA FERRIGATO LINA FLORIAN SILVIO FOLONI FRANCESCA FORNO GRAZIELLA FRANCESCHI DAVIDE E FLAVIA FRANCESI GIAN LUIGI FRANCIOSA ANTONIO FRANCIOSI FRANCESCO FRANZINI ANNA FURLAN AGNESE GABBIAZZI FABIO GALBUSERA MARIANGELA GARIBOLDI FEDERICA GELMINI BRUNA GETI MARIA GHIROLDI MARIUCCIA GIORIA FRANCA GIOVINAZZI ALBERTO GOPES OSVALDO GRASSO FIORENTINA GROPPO DONATELLA GUERRINA BERNUCCI MARISTELLA IACOMINO ROSA IMPICCINI M. GIOVANNA INTROZZI ROSA E ENRICA LA PORTA FILIPPA LAVELLI ANGELA LEPORATI ALBERTO LIVRAGA BOMBELLI MARIA LORENZI PATRIZIA LORINI ASSUNTA LOVATI LUIGINA LOVATI VILMA LUZZI CARLA LUZZI DILIA MAGNONI REGINALDA MANCINI ALIDA MANETTI GIANNA MANFREDI MARIA ALBERTINA MANTOVANI AGNESE MARCHESE GADDA MARIA MARCHESI ROSA MARZILIANO MICHELE MASCI MARIA GRAZIA MAZZA PIERO ANTONIO MAZZOLENI GIUSEPPINA MERLO RODES PIERA MINATEL NOVELLI CATERINA MINELLI PATRIZIA MONCALVO CARMEN MORENA EMIDDIO MORGANTI VARO MORROCCHESI ROBERTA MULAS MARIA MURATORI GIOVANNA MURRU ALDO ORI CARLO PACE MARIA MADDALENA PADERNI M. TERESA PANZA ADELE
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PARADISO ANNA PASSIRANI ROSALBA PATRONE ELISA PELLIZZAROLI POMPEO PENNA ADELE PERANO NATALINA PERISSUTTI RUBEN E MANUEL PERSICHETTI PIERA PIROLA LIDIA GHIRINGHELLI POLITI GRAZIELLA POMARI BRUNA POMINI OLIMPIA PONTI ELLI GRAZIELLA QUADRI CRISTINA QUERIO MARA E DANILO RADAELLI MARINA RADICE ALFONSINA RASERO ANNA RAVIZZA DOMENICA RAVOTTI GIOVANNA RIZZINI PAOLO RONZA MARIA PIA ROSA ULIANA MICHELA RUSSO UBALDO SALVI M. LUIGIA SANGIORGI BONFADINI LUCIANA SARESINI GIANCARLA SAVIAN EMANUELA SCOPPETTA ESTERINA SELBER MARIA SLOMP DON GIOVANNI STEFANIA RENATA STORTI MARIA TADDEI CLARA TADDEI NORINA TAGLIANI FULVIO TARABINI MARIOLI ILDE TARTAGLIA ESPERIA TAVERNA FOSSATI TERESA TESTINI MILENA TORTI VITTORIA TRAVERSO OLIVIERI PAOLINA TRONCHIN MARGHERITA TURIN GUIDO ROMANA TUZZATO NORMA UBIALI ANGELA VACONDIO DON AMEDEO VALENTINI RITA VALERA GRAZIA VALLINO GIOVANNA VECCHIATO ANGELA VENCATO DANI GABRIELLA VENTURELLI ROCA LILLY VESCOVI ANGELA E MARIO VIGANO FLORA ZACCONI CLARA ZAMBELLI BAIS MICHELE ZANARELLA MARCO ZANARELLA MARIO ZINI GUIDO ZOCCHI MARIUCCIA E AUGUSTO ZUCCOLOTTO LUIGINA
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Sotto la protezione di Papa Giovanni
Napoli, 12 Gennaio 2010 Miei carissimi amici, ormai ci conosciamo dal lontano Maggio del 1989, anno in cui mi abbonai alla Vostra rivista molto apprezzata, gradita e importante per me, perché trasmette tanta serenità e amore nell’animo, proprio quello di cui oggi abbiamo bisogno più di Giacomo e davide ogni altra cosa. Desidero condividere con Voi questa mia gioia dall’anno 2006 quando il Signore ha voluto benedire la nostra famiglia con la nascita di “due angioletti”. Oggi sono una nonna felice dei miei cinque nipotini e mi sento rinata quando gioco con loro. So di ripetermi, ma vi posso confermare che non c’è cosa più bella al mondo, che vedere sbocciare nuove vite, soprattutto quando ciò avviene nella propria famiglia. Niente è paragonabile al sorriso dei bambini, vederli crescere giorno dopo giorno, sia fisicamente che nel linguaggio, nel loro modo di progredire in tutto e perché no, sono belli anche persino quando fanno i capriccetti, mettono tanta allegria. È una ricchezza avere i bimbi in famiglia!!! Io auguro a tutti di poter godere di diventare genitori e poi nonni, perché è meraviglioso, forse nonni ancora di più perché si possiede più esperienza e saggezza. Accludo alla mia lettera una foto dei miei ultimi nipotini (le future colonne del casato “Gallesso”), è superfluo dire che sono tanto affettuosi, vispi e intelligenti. Sono nati a distanza di 6 mesi, Davide il più grande è il biondino con il visino d’angelo, lineamenti piccoli e delicati, è il terzo bimbo di mio figlio Gaetano. Giacomo, viso da bambolotto, bruno, occhioni grandi e neri, è figlio di Maurizio, sono diversi ma ugualmente bellissimi entrambi. Li affido, come ho fatto per gli altri tre nipotini, alla Protezione del Santo Papa Giovanni, affinchè li possa sempre proteggere col suo manto d’amore da ogni pericolo del mondo, di guidarli sempre con la luce dei suoi profondi e amabili occhi e di aiutarli a crescere in santità e in salute.
Inviate la fotografia dei vostri bambini ad:
via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo
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Pergamena
ABBONAMENTO SOSTENITORE 68 In omaggio con questo abbonamento il calendario 2010, più libretto preghiere, più rosario benedetto, più pergamena attestato di socio sostenitore
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