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Il controllo ambientale come tema di progetto
Con l’affermarsi della domanda sostenibile, oltre a una profonda revisione del concetto di tempo e di durata, un altro grande cambiamento investe il mondo delle costruzioni, quello del controllo delle condizioni ambientali dell’edificio. La necessità di doversi confrontare con l’evoluzione delle esigenze abitative, in relazione ai mutamenti climatici, e con il contenimento dei consumi energetici ha portato una buona parte degli attori coinvolti nel settore edilizio a riconsiderare il rapporto tra sistema tecnologico e sistema ambientale. Rapporto che, di fatto, regola in buona misura la qualità dell’organismo edilizio. Lo studio e l’adozione di soluzioni per la ventilazione naturale, il raffrescamento o per il guadagno termico sono divenuti, negli ultimi quindici anni, parte di un più ampio processo di evoluzione della cultura architettonica ai diversi livelli. L’attenzione ai temi della sostenibilità ha determinato un ripensamento delle politiche di sviluppo e di controllo del settore edilizio, una ricalibrazione dell’offerta del mercato, ma soprattutto un notevole fermento tra i progettisti impegnati nel tentativo di esplorare le possibili direttrici di trasformazione del linguaggio architettonico. Questo fenomeno ha investito l’attività progettuale alle diverse scale coinvolgendo tanto studi professionali di piccole dimensioni, quanto vere e proprie società di progettazione come possono testimoniare alcune firme di fama internazionale. Tuttavia, mentre per i primi il processo di avvicinamento può avvenire anche in modo graduale, per i secondi la trasformazione a livello organizzativo e gestionale può rivelarsi radicale. Ciò, non solo perchè tali società sono in grado di attrezzarsi per affrontare una richiesta di competenze multidisciplinari con appositi team di lavoro per ciascun settore specialistico, ma anche perchè abbracciare una diversa filosofia progettuale può assumere la valenza di un vero e proprio indirizzo metodologico e formale di immediata riconoscibilità. Alcuni architetti, quali Richard Rogers, Michael Hopkins, Thomas Herzog, Norman Foster, Nicholas Grimshaw e altri, hanno maturato questo processo di trasformazione nel corso degli anni
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’90 attraverso una serie di progetti, dal carattere fortemente sperimentale, che gettano le basi di una nuova visione del costruire. È questo il periodo in cui l’estremismo tecnologico delle precedenti esperienze Hi-Tech viene mitigato da un ripensamento del rapporto tra struttura e involucro che porterà, di lì a poco, anche a una revisione formale del linguaggio architettonico. La possibilità di trasformare l’involucro in un vero e proprio “filtro termico” (buffer) spinge molti progettisti a studiare soluzioni tecnologiche che non comportino una radicale revisione dei sistemi costruttivi adottati sino a quel momento, ma una loro più razionale organizzazione al fine di raggiungere prestazioni più elevate. In quest’ottica, il miglioramento della resa del sistema è dato da un più efficiente rapporto tra le parti e non necessariamente da un incremento sostanziale dei componenti. L’importanza del ricorso alle tecnologie a secco cresce di pari passo con l’acquisizione della consapevolezza che la necessità di un futuro aggiornamento prestazionale dell’involucro rappresenta una inevitabile linea di ricerca. Nel contempo, al carattere tecnologico ambientale proprio di alcune tipologie di involucri finalizzati a raggiungere un più efficiente comportamento energetico, come quello del complesso amministrativo della società Soka-Bau1 a Wiesbaden2 (2003) di Thomas Herzog, si affiancano nuove istanze di ordine formale. A partire dalla fine degli anni ‘90, infatti, un forte interesse mediatico si sviluppa intorno all’architettura o per meglio dire alla capacità dell’architettura di veicolare immagini e valori. Sulla spinta di una sempre più diffusa domanda di sostenibilità da una parte, e sulla scia di “mode” più o meno durature dall’altra, nascono una serie di contaminazioni che associano formalismo architettonico e approccio ipertecnologico senza, tuttavia, mantenere una reale coerenza tra l’involucro e l’organismo edilizio nel suo insieme. Diviene, perciò, molto più difficoltoso distinguere la sperimentazione condotta sull’involucro per raggiungere un miglioramento del comportamento ambientale dell’edificio dalla scelta finalizzata invece alla messa a punto di una particolare “pelle” dal ricercato effetto formale. La differenza che passa tra queste due condizioni è sostanziale non in termini di qualità, ma di approccio alla concezione stessa dell’architettura. Se si prendono in considerazione gli involucri del Museo di Graz3 (2003) di Peter Cook, del Forum di Barcellona4 (2004) di Herzog & De Meuron, del complesso de la Defense di Almere5 (2004) di UnStudio, piuttosto che quelli della Biblioteca Pubblica di Des Moines6 (2006) di David Chipperfield, o del De Young Museum7 (2005) sempre di Herzog & De Meuron, non si può non riconoscere il carattere innovativo della sperimentazione condotta sui materiali e l’elevato livello di qualità ottenuto. Ciò, però, è legato più a ricerche di carattere formale che non a una adesione a criteri di sostenibilità. Anche qualora questo possa risultare l’obiettivo sotteso ad alcune delle esperienze citate, esso tende a scontrarsi e a cadere davanti a un’evidente dissociazione tra le superfici dell’involucro e la definizione del sistema ambientale dell’organismo edilizio.
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1. Società che gestisce i fondi pensionistici di una buona parte del settore edilizio tedesco. 2. Si veda: Herzog T., Nerdinger W., Flagge I., Buchanan P., Meseure A., Herzog Loihl V., Luther J., Tho� mas Herzog: Architektur + Technolo� gie, Prestel, München, London, New York, 2001. Herzog T., “Administration building in Wiesbaden”, in Detail 7, 2001, pp. 1250-1256. Battisti A., “Complesso per uffici Soka-Bau, Wiesbaden”, in The Plan 3, 2003, pp. 36-49. 3. Si veda: “Kunsthaus Graz”, (redazionale), in Detail 11, 2003, pp. 1252-1253. 4. Si veda: Baglione C., “Il triangolo magico”, in Casabella 726, 2004, pp. 84-93. 5. Si veda: Gaspari J., “La Defense in Olanda”, in Modulo 326, 2006, pp. 1128-1133. 6. Si veda: Ryan R., “David Chipperfield in Iowa”, in The Plan 16, 2006, pp. 103-111. Martin J., “Un involucro discreto e parsimonioso per una città senza qualità”, in Casa� bella 761-762, 2007, pp. 64-75. 7. Si veda: Ryan R., “De Young Museum – Herzog & De Meuron in San Francisco”, in The Plan 12, 2005, pp. 95-110. Reboli M., “Rifare (tutto) da capo”, in Casabella 741, 2006, pp. 10-23.
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Figure 4.01, 4.02, 4.03: Museo d’arte di Graz (Austria), Forum di Barcellona (Spagna), La Defense di Almere (Olanda). In molti casi l’involucro non rappresenta l’occasione per raggiungere un miglior comportamento ambientale, ma semplicemente il territorio di una ricerca formale.
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Sebbene esistano forti tendenze a una profonda separazione concettuale tra la “pelle” e le restanti parti dell’edificio, permane, in alcune esperienze, il tentativo di portare a compimento quel processo di trasformazione dell’involucro, avviato da alcuni precursori, in vero e proprio elemento di interfaccia tra ambiente naturale e ambiente costruito. Il progetto di questo spazio “immateriale”, fatto di “vuoto” più che di componenti veri e propri, è attuato attraverso la definizione delle parti che lo circondano secondo un principio di mutua relazione tra le caratteristiche del sistema tecnologico e quelle del sistema ambientale. Esse costituiscono le premesse fondamentali di quelle sinergie costruttive già analizzate nell’esperienza di Michael Hopkins nella sede degli uffici del Parlamento inglese e rappresentano il filo conduttore di nuovi temi di indagine e sperimentazione.
Strategie per il controllo climatico dell’edificio
Quando si affronta il tema del controllo climatico di un edificio si è, generalmente, portati a considerare le diverse strategie, siano esse attive o passive, come finalizzate a determinare alcune specifiche condizioni del sistema ambientale più che i principali aspetti intorno ai quali esso può essere analizzato. Infatti, è più frequente sentire parlare di intercapedini aerate o di effetto camino, piuttosto che di ventilazione naturale nella sua globalità. Questa tipologia di approccio si concentra più sul modo di ottenere un determinato risultato, cioè sul dispositivo da attuare per ottenere un certo effetto, che su quello di considerare il rapporto tra sistema ambientale e sistema tecnologico nella sua complessità. In realtà, quando la concezione stessa dell’opera si misura con i caratteri dominanti del contesto alcuni temi emergono con chiarezza a guidare l’intero organismo edilizio. L’orientamento dell’edificio e la sua esposizione rappresentano fattori che possono influenzare sia le strategie di ventilazione naturale che di controllo termico degli spazi interni. Al tempo stesso essi appaiono determinanti non solo alla scala edilizia, ma anche a quella urbana, regolando la disposizione dei fabbricati, la conformazione dei volumi e la distanza tra i corpi in elevazione. Ciò non solo per favorire un corretto comportamento dei flussi d’aria tra i manufatti, ma anche per non determinare un ombreggiamento sfavorevole tra di essi8. L’orientamento di un edificio risulta particolarmente importante sia in relazione all’irraggiamento, sia in funzione dei venti dominanti. Naturalmente, poiché la configurazione dei volumi e il posizionamento delle aperture sugli alzati possono essere condizionati da innumerevoli fattori9, non è sempre possibile orientare il manufatto nel modo più adeguato. Una buona conoscenza del sito e delle condizioni più favorevoli possono, tuttavia, suggerire opportuni accorgimenti per raggiungere un miglior comportamento del sistema edilizio. Senza arrivare a citare i numerosi dispositivi ideati da Buckminster Fuller è sufficiente pensare ai cosiddetti canons a lumière, lucernari orientati in modo tale da favorire l’ingresso
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8. Questa tematica coinvolge la questione del cosiddetto “diritto al sole”, cioè la valutazione di un corretto orientamento e dimensionamento affinché ogni edificio possa godere dei benefici di un irraggiamento diretto. Lo studio della configurazione volumetrica delle strutture in relazione ai coni d’ombra proiettati dalle stesse è noto come “Solar Envelope”. 9. Si pensi, per esempio, a vincoli di carattere urbanistico o normativo.
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della luce naturale nell’edificio. Dalle condizioni di esposizione e dall’orientamento è condizionato anche il controllo dell’irraggiamento solare e del guadagno termico. Quest’ultimo rappresenta uno degli aspetti di maggiore importanza sia in relazione al contenimento dei consumi energetici, sia in relazione ai cambiamenti climatici che stanno investendo molte aree geografiche. Le strategie legate a questa tematica investono principalmente l’involucro e i sistemi di chiusura. Sotto il profilo dell’isolamento e, quindi, delle azioni di contrasto alla dispersione termica si deve sottolineare la sostanziale differenza tra gli involucri stratificati iperisolati e quelli massivi. Dei due, i primi operano sui valori di trasmittanza dei materiali, i secondi sulla capacità di attenuare e di ritardare l’ingresso dell’onda termica nell’ambiente interno10. L’involucro massivo è alla base di numerose strategie di accumulo termico che, in regime invernale, possono garantire un guadagno di calore tutt’altro che trascurabile, in funzione della quantità di radiazione solare intercettata. Proprio la rilevanza di tale contributo richiede normalmente un sistema di smaltimento del calore in eccesso in regime estivo che in genere è ottenuto mediante un’intercapedine ventilata. Altre strategie di accumulo possono essere attuate per mezzo delle cosiddette serre solari. Esse sfruttano il surriscaldamento del volume d’aria contenuto all’interno delle superfici vetrate esposte, che viene utilizzato come buffer termico rispetto agli ambienti interni.
Figura 4.04: sede Tifs Ingegneria a Padova. La doppia facciata vetrata con schermature integrate offre un esempio di involucro complesso, attivamente coinvolto nel controllo climatico dell’edificio.
10. Per approfondimenti si veda: Gaspari J., “Il progetto tecnologico per l’isolamento”, in Barucco M., Trabucco D. (a cura di), Architettu� ra_Energia, EdicomEdizioni, Monfalcone, 2007, pp.89-94. Campioli A., Ferrari S., Lavagna M., Morello E., Baldinazzo M., “Variabile tempo”, in Costruire 284, Costruire Edizioni, 2007, pp. 94-99.
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Nella maggior parte dei casi, un elevato guadagno di radiazione solare coincide con un consistente afflusso di luce naturale diretta che, soprattutto negli edifici con ampie superfici vetrate, richiede un efficace sistema di schermatura atto a regolare l’illuminazione naturale negli spazi interni. Sia che esso venga realizzato mediante brise-soleil, sia che venga adottato un filtro a superficie continua, il sistema di schermatura diviene un importante elemento di connotazione formale del manufatto architettonico. Sebbene questo aspetto abbia dato e continui a dare un notevole impulso alla ricerca di soluzioni innovative, non deve, tuttavia, ridursi a mero fattore estetico, pena una notevole riduzione della sua utilità. Per essere realmente efficace, infatti, il sistema di schermatura deve rispondere ad alcune regole fondamentali legate all’orientamento, alla conformazione geometrica della facciata, alla possibilità di movimentazione degli elementi che lo compongono e alla loro disposizione. Fondamentale è anche il fatto che la superficie schermante si trovi sul lato esterno dell’involucro e, quindi, intercetti la radiazione solare prima che essa raggiunga la vetrata o la parete retrostante11.
Figura 4.05: rappresentazione schematica di alcune delle principali tipologie di schermatura. [A] - Schermatura a elementi fissi distanziati. Sebbene efficace, può presentare nelle zone con luce diffusa fastidiosi effetti di riverbero sulle superfici. [B] - “Light shelf”, è costituito da una mensola che abbina all’ombreggiamento la riflessione della luce all’interno della stanza. [C] - Brise-soleil a lame. [D] - Brise-soleil a pale. L’efficacia dipende dal numero e della distanza degli elementi che lo compongono. [E] - Brise-soleil a elementi orientabili. [F] - Brise-soleil a lame orientabili con sistema fotovoltaico integrato. Oltre a garantire il necessario ombreggiamento esso agisce come un dispositivo di captazione solare.
Esigenze di caratterizzazione formale e di modulazione dell’afflusso di luce hanno prodotto, a partire dalla soluzione dello sporto orizzontale, una grande quantità di variazioni che giocano sostanzialmente sulla distanza, sul numero e sulla sezione degli elementi fissi che compongono il sistema di schermatura. Sempre legata alle condizioni di irraggiamento è anche la possibilità di applicazione, o per meglio dire di integrazione, di sistemi attivi di captazione solare come, per esempio, quelli a celle fotovoltaiche. La reale efficacia di questi dispositivi è legata all’efficienza delle tecnologie adottate e alla superficie interessata in funzione di un guadagno energetico capace di portare a un bilancio positivo nel ciclo di vita esteso del prodotto12. Complementari alle strategie di controllo termico sono quelle che sfruttano la ventilazione naturale, indotta mediante una particolare conformazione geometrica degli elementi tale da favorire alcuni princípi fisici. Il più ricorrente è l’effetto “camino” o Venturi che, in combinazione con il principio di Bernoulli è stato, per esempio, utilizzato da Buckminster Fuller nella Dymaxion House.
11. Si veda: Gaspari J., Abbascià L., “Il progetto dell’ombra”, in Modulo 330, 2007, pp. 308-315. Gaspari J., “Schermare l’involucro”, in Specializzata 167, 2007, pp. 646-651. Gaspari J., “L’involucro … schermato”, in Modulo 335, 2007, pp. 1002-1005. 12. Si veda: Zannoni G., Gaspari J., “Energia prossima futura”, in Specializzata 163, 2007, pp. 230235. Gaspari J., Zannoni G., “Solare in crescita”, in Modulo 334, 2007, pp. 857-861.
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Strategie di ventilazione che sfruttano princípi di sottopressione e sovrappressione, note anche con il nome di “torri del vento”, hanno origini antiche che si riscontrano nella tradizione costruttiva di molti Paesi arabi soggetti a climi particolarmente caldi caratterizzati da escursioni termiche rilevanti. Esse sono state variamente reinterpretate nella cultura architettonica contemporanea dando origine a numerosi dispostivi di aerazione e raffrescamento. Di particolare interesse risultano, soprattutto, le applicazioni dei sistemi di ventilazione naturale sulle facciate e, più in generale, sugli involucri. Infatti, dalle prime esperienze sulle intercapedini aerate, retrostanti i rivestimenti, si è approdati a soluzioni decisamente più complesse come le cosiddette “facciate a doppia pelle”. Queste ultime sono passate dagli esigui spessori delle prime sperimentazioni a veri e propri ambienti che assumono, oltre alle basilari implicazioni ambientali, anche valenze di carattere formale, distributivo e funzionale. In questo senso, un esempio di involucro trasformato in spazio architettonico in cui le diverse strategie di controllo ambientale lavorano sinergicamente per garantire un più efficiente comportamento dell’intero edificio è offerto dalla sede amministrativa della Deutsche Messe ad Hannover di Thomas Herzog.
La sede amministrativa della Deutsche Messe di Hannover
L’iniziativa di realizzare un nuovo edificio per ospitare gli uffici amministrativi della Deutsche Messe deve essere associata al più ampio progetto di ampliamento e riordino degli spazi fieristici della città di Hannover sviluppato in funzione dell’Esposizione mondiale tenutasi nella città tedesca nel 2000 (EXPO 2000). Contrariamente a quanto avviene per la maggior parte dei padiglioni fieristici che, al termine della manifestazione, vengono o smantellati o rifunzionalizzati, l’edificio amministrativo doveva, per la natura permanente della sua funzione, risultare quanto mai rappresentativo sia in relazione alle gerarchie stabilite dal nuovo master plan, sia in relazione ai valori veicolati attraverso di esso che sono i medesimi contenuti nello slogan di EXPO 2000, “Man – Nature – Technolo� gy” e che sembrano trovare concreta espressione in questo edificio. Nelle aspettative della committenza, esso doveva garantire spazi di lavoro della massima qualità e comfort oltre che un approccio sensibile ai temi della sostenibilità e del risparmio energetico. Si può, quindi, affermare che, al momento della sua costruzione, l’edificio rappresentasse una sorta di manifesto programmatico delle linee guida per gli interventi da compiersi nell’area fieristica. Lo stesso assetto del master plan, che includeva gli spazi espositivi esistenti, consente di intuire il livello di attenzione posto nei confronti di un più razionale uso delle risorse. Il progetto, affidato allo studio Herzog + Partner, gioca un ruolo fondamentale nella riorganizzazione della distribuzione dell’intera area così come il Padiglione 26, anch’esso affidato allo stesso team, rappresenta una sorta di prototipo per le altre installazioni.
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Figura 4.06: la sede amministrativa della Deutsche Messe di Hannover. L’edificio è costituito da un corpo centrale vetrato stretto tra due “lame” verticali opache rivestite in ceramica. Su una di esse svetta la torre metallica dei dispositivi di ventilazione.
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La sede amministrativa appare, infatti, come un alto volume di venti piani che si attesta all’estremità nord dell’area, riconoscibile da ogni angolo della Fiera come punto di riferimento e come elemento ordinatore dei preesistenti blocchi adibiti a uffici. La considerevole altezza dell’edificio13 si è resa necessaria, date le anguste condizioni del sito, per raggiungere la cubatura utile a ospitare le nuove funzioni. La torre è orientata sulla diagonale del lotto in modo tale che la hall vetrata a tre livelli funga da snodo tra il preesistente edificio amministrativo, l’accesso nord dedicato al pubblico e lo spazio aperto circostante. La pianta di riferimento è riconducibile a un quadrato di ventiquattro metri di lato, stretto da due elementi rettangolari. Questi ultimi generano, nel loro sviluppo verticale, due prismi che ospitano i corpi di risalita e i servizi. Le due lame laterali incorniciano il prisma vetrato a base quadrata che costituisce il corpo centrale della torre. La superficie di ogni livello, che non supera i quattrocento metri quadrati, ha consentito di operare entro i valori limite della normativa più restrittiva per questo tipo di edifici posizionando le scale di sicurezza ai due vertici opposti della pianta. Oltre ai tre livelli della hall, la torre comprende quattordici livelli adibiti a ufficio, uno a direzione, uno a lounge bar e uno interamente destinato agli impianti. Il corpo centrale ha un’altezza massima di sessantasette metri, mentre i due prismi laterali proseguono fino a una quota che supera i settanta metri. Uno di essi è sormontato da un’alta torre metallica che fa parte delle dotazioni impiantistiche.
Figura 4.07: pianta del piano tipo della sede amministrativa della Deutsche Messe di Hannover. L’edificio è riconducibile a una figura quadrata, cinta da un doppio involucro vetrato, e da due corpi rettangolari in cui sono alloggiati i collegamenti verticali e i servizi.
13. Il volume, divenuto in breve tempo il nuovo landmark della città, è tuttora il più alto di Hannover.
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L’orientamento e l’esposizione all’irraggiamento hanno rappresentato, soprattutto in relazione all’altezza e quindi alla dimensione delle superfici interessate, fattori basilari nella definizione delle strategie del progetto. Il volume centrale è stato concepito con un doppio involucro vetrato, avente la funzione di buffer termico per gli ambienti degli uffici, mentre per i due prismi dei collegamenti verticali è stata prevista una facciata ventilata con rivestimento ceramico. Quest’ultimo, che si giova dell’esperienza maturata da Thomas Herzog nel campo della ricerca applicata ai materiali, deriva da soluzioni elaborate in suoi precedenti progetti. Ciascun componente ceramico è stato lavorato in modo tale da presentare delle scanalature orizzontali che, oltre a ridurre lo stress del materiale durante il ciclo di produzione, hanno la funzione di evitare il ruscellamento dell’acqua piovana lungo la facciata. Il supporto del rivestimento è costituito da una sottostruttura in alluminio ultraleggera, opportunamente distanziata dalla parete retrostante in calcestruzzo per garantire un’adeguata cavità di ventilazione. Analogamente, anche la messa a punto del doppio involucro vetrato del corpo centrale si basa su precedenti esperienze condotte dal gruppo di progettazione sul comportamento termico delle facciate. La “pelle” esterna è costituita da una facciata continua in vetro stratificato su telaio in metallo, mentre quella interna è costituita da serramenti in legno con vetrocamera. Le due superfici sono state poste a una distanza di circa un metro configurando una sorta di “corridoio” esterno agli uffici che in realtà risulta essere uno spazio ben definito, con precise caratteristiche ambientali e con rilevanti ricadute sul piano formale e funzionale14.
Figura 4.08: l’involucro esterno del corpo centrale dell’edificio è costituito da una superficie in vetro stratificato sorretta da un telaio metallico di dimensioni minime. I due volumi di servizio sono, invece, rivestiti con materiale ceramico sostenuto da una sottostruttura in alluminio.
14. Si veda: Herzog T., Sustain� able Height, Deutsche Messe AG Hannover Administration Building, Prestel, München, London, New York, 2000.
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Il primo aspetto che deve essere considerato è di natura costruttiva. Poiché la “pelle” esterna ha come funzione principale quella di offrire protezione contro gli agenti atmosferici e quella di garantire il ricambio d’aria, essa è costituita da una geometria piuttosto semplice e da un telaio metallico basato su pochi elementi resistenti. Caratteristiche queste che hanno consentito di snellire i tempi di esecuzione permettendo di realizzarla di pari passo con la costruzione delle strutture di elevazione. Una volta completate le chiusure esterne è stato possibile lavorare, senza essere condizionati dalle condizioni meteorologiche, sulla “pelle” interna installando un serramento molto più elaborato e performante. Il secondo fattore di interesse è dato dal comportamento termico dello spazio compreso tra le due superfici vetrate che agisce, rispetto agli uffici, come un grande condotto di ventilazione creando un vero e proprio filtro termico. In base alle condizioni climatiche e alla pressione atmosferica, apposite lamelle vetrate poste sulla superficie esterna, grazie a un dispositivo automatizzato, modulano
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Figura 4.09: sezione in corrispondenza delle lamelle vetrate orientabili che consentono l’ingresso dell’aria all’interno del doppio involucro. Lo spazio compreso tra le due superfici vetrate si configura come un ambiente che agisce da filtro termico (buffer zone).
Figura 4.10: particolare delle lamelle orientabili.
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l’afflusso di aria all’interno del condotto innescando un fenomeno di ventilazione naturale. La ventilazione degli uffici può essere regolata manualmente dagli utenti aprendo il serramento scorrevole in legno della “pelle” interna. Quando i serramenti interni sono chiusi, un apposito dispositivo, posto alla base degli stessi, assicura il ricambio d’aria. La protezione dall’eccessivo irraggiamento diretto è data dal profilo aggettante dei solai che disegnano una mensola continua in corrispondenza del marcapiano. Ulteriori elementi schermanti possono essere regolati manualmente all’interno degli uffici. Oltre a garantire maggiori condizioni di comfort, ciò consente di ridurre i consumi di energia dei dispositivi di raffrescamento15. Il terzo elemento che risulta opportuno evidenziare è la configurazione spaziale che si determina attraverso la scelta di questo tipo di involucro. La distanza tra le due vetrate è tale che è stato possibile ricorrere a un sistema strutturale perimetrale, collocando in questa fascia i pilastri portanti in calcestruzzo. In tal modo, lo spazio interno è stato svincolato da ogni impedimento derivante dalle strutture verticali raggiungendo una più flessibile organizzazione degli uffici. Nel contempo la porzione di solaio a sbalzo funge da elemento di ombreggiamento e pone gli uffici alla giusta distanza dal perimetro per evitare che gli utenti possano risentire dell’altezza del fabbricato, svolgendo anche la fondamentale funzione di percorso di ispezione e di manutenzione dell’involucro esterno. In questa configurazione ogni parte dell’edificio contribuisce al controllo delle condizioni ambientali. Le solette fungono, grazie a un sistema bifase, da corpi radianti sia per il riscaldamento che per il raffrescamento e i prismi verticali assumono la funzione di estrattori dell’aria. Durante l’estate, il calore in eccesso è smaltito attraverso il flusso d’aria presente nell’involucro e aspirato all’esterno attraverso la torre di ventilazione posta in quota a favore di vento. Durante l’inverno, l’85% del calore accumulato viene utilizzato da uno scambiatore termico per il funzionamento dell’impianto di riscaldamento favorendo la riduzione dei consumi di energia primaria. Questa scelta deriva dallo studio condotto sulla domanda energetica e sui carichi termici dell’edificio effettuati nelle fasi preliminari del progetto.
Figura 4.11: schema tridimensionale del sistema di distribuzione dell’aria. I due corpi laterali agendo come veri e propri volumi di servizio permettono di servire tutti i livelli con la dotazione impiantistica necessaria.
Il controllo ambientale e la domanda di energia primaria
L’aspetto più innovativo della sede della Deutsche Messe non risiede tanto nella scelta dei materiali o nell’utilizzo delle tecnologie, che sono comunque all’avanguardia, quanto piuttosto nel modo in cui i temi dei consumi energetici e del controllo ambientale sono stati affrontati nella loro concezione. Dagli studi preliminari è, infatti, emerso che, in edifici di questo tipo, la domanda di energia primaria per il riscaldamento può essere drasticamente ridotta sfruttando il favorevole irraggiamento dell’involucro e i carichi termici presenti negli spazi interni.
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15. Waters R. A., “Aerodynamic and Internal Climate of Building” in Herzog T., Sustainable Height, ����� Deut� sche Messe��������������������� AG Hannover Adminis� tration Building, Prestel, München, London, New York, 2000.
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Nella maggior parte dei casi l’attività antropica, l’illuminazione artificiale, le dotazioni informatiche risultano sufficienti a “scaldare” gli ambienti per buona parte del tempo in cui sono utilizzati. Anzi, in alcune circostanze è possibile che, pur in presenza di una temperatura esterna di 0° C, sia necessario ricorrere, a causa dei carichi termici interni, all’impianto di raffrescamento. Ciò può comportare una domanda energetica per il raffrescamento nettamente superiore a quella per il riscaldamento16. Condizione che, se si tiene conto delle previsioni di innalzamento della temperatura in relazione ai cambiamenti climatici, è destinata a peggiorare. Considerando che il costo energetico per il raffrescamento è maggiore di quello per il riscaldamento a causa del funzionamento degli impianti, l’edificio è stato concepito per utilizzare la più bassa quantità possibile di risorse per soddisfare la prima esigenza, riservando alla seconda un’importanza relativa. L’energia primaria utilizzata per il riscaldamento è limitata alla sola necessità di non alterare eccessivamente le condizioni termiche dell’edificio nei periodi di tempo in cui non è utilizzato17. I progettisti hanno, quindi, tentato di sfruttare quanto più possibile i sistemi di guadagno termico per irraggiamento e per ventilazione naturale. Sulla base di queste considerazioni è stato concepito il doppio involucro vetrato del corpo centrale della torre. Esso agisce come una sorta di grande compensatore termico, un guscio attraverso il quale circola l’aria il cui movimento è innescato dalla forza naturale del vento. La “camera di ventilazione” è infatti collegata, attraverso appositi condotti, alla torre di estrazione posta sulla sommità di uno dei due core laterali che, per l’azione dei venti in quota, risucchia l’aria esausta. Apposite lamelle orientabili determinano l’afflusso di aria all’interno dell’involucro a “doppia pelle”. Esse svolgono la fondamentale funzione di regolare non solo il ricambio d’aria, ma anche il moto della stessa. Durante la stagione fredda il meccanismo di ventilazione è mantenuto al minimo in modo da sfruttare il più possibile il guadagno termico derivante dall’irraggiamento, mentre durante la stagione calda il medesimo guadagno viene smaltito grazie a un sostanziale incremento del moto d’aria. Il funzionamento di questo dispositivo si basa sull’equilibrio tra la pressione interna e quella esterna che dipende sia dalle condizioni climatiche, sia dalla velocità del vento, oltre che dal posizionamento delle lamelle vetrate il cui comportamento è stato analizzato attraverso test in galleria del vento. Il controllo del loro assetto, in funzione delle condizioni esterne, è gestito da una sistema computerizzato collegato a una serie di sensori per il rilevamento della pressione, temperatura, umidità e velocità dell’aria. La soluzione messa a punto per l’involucro trova in quella assunta per la dotazione impiantistica una strategia complementare. Il riscaldamento e il raffrescamento artificiali sono garantiti da superfici radianti che interessano i solai sia sul lato del pavimento che su quello del soffitto. Ciascuna soletta risulta, così, un corpo omogeneo che irradia in entrambe le direzioni. Ciò permette di ottenere una distribuzione simmetrica all’interno degli ambienti con conseguenti benefici in termini di comfort per gli utenti.
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Figura 4.12: particolare dell’involucro esterno dell’edificio in corrispondenza delle prese di aerazione.
16. Hausladen G., Többen M., “Thermal and ventilation concepts” in Herzog T., Sustainable Height, Deutsche Messe AG Hannover Administration Building, Prestel, München, London, New York, 2000. 17. Cioè nelle ore notturne e durante i fine settimana quando gli uffici, ospitati al suo interno, sono chiusi.
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Le solette in calcestruzzo dei diversi livelli hanno anche, in regime estivo, la funzione di elementi di regolazione della temperatura. Infatti, il raffreddamento derivante dalle più basse temperature notturne viene trasferito da queste ultime, attraverso un impianto ibrido, a un circuito di distribuzione che mitiga il calore degli ambienti nelle ore diurne.
Tutte le reti si irradiano orizzontalmente, su ciascun piano, a partire dagli spigoli in cui sono posizionati i due core che fungono da elementi di distribuzione verticale per le dotazioni impiantistiche. I due corpi di servizio svolgono la fondamentale funzione di raccordo tra le diverse diramazioni degli impianti e le varie macchine ospitate nel piano tecnico, oltre che di connessione di queste ultime con la torre di estrazione e di approvvigionamento dell’aria. L’intera configurazione dell’edificio è sviluppata sull’idea iniziale di determinare un efficiente comportamento del sistema ambientale attraverso essenziali e congruenti scelte per la realizzazione del sistema tecnologico. In relazione a ciò, la struttura si limita a sedici pilastri e a venti solai in calcestruzzo racchiusi da un doppio involucro riflettendo, coerentemente, tanto la stretta dipendenza tra le parti quanto il rigore distributivo e la semplicità funzionale. Altrettanto coerentemente i due corpi di servizio risultano separati dal nucleo centrale anche dal punto di vista formale dichiarando la propria natura funzionale e distributiva attraverso un differente trattamento del rivestimento. Nel complesso, attraverso le strategie di controllo ambientale adottate, la domanda energetica annua per il riscaldamento viene ridotta del 25% rispetto a un edificio convenzionale, comparabile per tipologia e dimensione18. Inoltre, nella valutazione del comportamento della sede amministrativa della Deutsche Messe si devono considerare i costi di gestione19 nel medio periodo che sono stimati in 15 euro al metro quadrato contro i 38 necessari per strutture equivalenti di tipo ordinario20. L’esattezza di questo dato riveste un’importanza relativa poiché la sua determinazione dipende da molti fattori. Esso risulta, tuttavia, estremamente significativo per sottolineare come, al di là dei valori che possono essere raggiunti, l’attenzione dedicata dal progetto all’analisi dei parametri fisico-ambientali coinvolti e la loro traduzione in una compiuta soluzione tecnologica e formale possano incidere in modo rilevante sulla domanda di energia primaria.
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Figure 4.13, 4.14: rappresentazione schematica del comportamento termico dei solai. Le solette di ciascun livello sono utilizzate come corpi radianti per diffondere il calore recuperato dal sistema di aerazione nella stagione invernale e per raffrescare gli ambienti durante quella estiva sfruttando le temperature più miti delle ore notturne.
18. Il valore di riferimento è inferiore a 50 kWh/m2 con una media stimata in 43 kWh/m2. 19. Che comprendono i costi per il funzionamento degli impianti di riscaldamento e raffrescamento, per le varie dotazioni tecnologiche, per l’illuminazione artificiale, per il funzionamento degli ascensori. 20. I valori riportati sono tratti da: Herzog T., Sustainable Height, Deut� sche Messe AG Hannover Adminis� tration Building, Prestel, München, London, New York, 2000.
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Figura 4.15: il comportamento del doppio involucro ventilato è strettamente collegato alla concezione dell’edificio che concentra negli ambienti di interfaccia con l’esterno non solo il controllo climatico, ma anche i principali elementi strutturali al fine di garantire la massima flessibilità degli spazi interni.
Le strade del cambiamento
Nell’ambito di un’analisi tesa a esaminare il rapporto tra concezione sostenibile della costruzione e contributi tecnologici applicati, particolare risalto assume il fatto che, in molti casi, l’incremento delle prestazioni e il livello qualitativo complessivo non siano raggiunti con l’impiego di prodotti o materiali innovativi, ma con innovazioni di sistema che tendono a evolvere la conformazione dell’involucro o la configurazione geometrica e spaziale dell’edificio. L’impiego di materiali adeguati è, certamente, una condizione necessaria per conseguire tale risultato, ma non è detto che essi debbano per forza offrire caratteristiche innovative. Qualora presenti, non è scontato che queste ultime siano state concepite nell’ottica di una maggiore sostenibilità dell’edificio. Possono essere, per esempio, finalizzate all’incremento delle capacità meccaniche e, quindi non avere ricadute dirette in termini di qualità sostenibile, ma risultare indispensabili per configurare un sottosistema e aumentare il suo contributo al controllo ambientale di un organismo edilizio. Uno degli aspetti più rilevanti della ricerca condotta da Thomas Herzog sull’uso dei materiali è che essa si basa su una visione di
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insieme del comportamento del sistema tecnologico e non semplicemente sul raggiungimento della prestazione massima del singolo componente. In questo senso, l’approccio di Herzog è molto simile a quello adottato da Michael Hopkins o da Norman Foster, ma si distingue per l’idea di semplificazione estrema perseguita nella definizione della geometria degli elementi. Nella sede amministrativa della Deutsche Messe è possibile riconoscere come ogni elemento risulti necessario e come la sua geometria sia determinata da una specifica analisi delle condizioni fisiche e ambientali. Ciò, forse, può non apparire evidente, ma, come sottolinea lo stesso Herzog, “non vi è in questo edificio nulla di più di ciò che serve”. Il corpo centrale della torre potrebbe essere descritto semplicemente come un insieme di piastre racchiuse da un “guscio d’aria” che si estende su tutti i lati. Le due superfici vetrate e gli elementi che lo compongono non sono altro che lo strumento necessario a contenere e governare l’aria così come i pilastri risultano essenziali per sostenere i diversi livelli. Tuttavia questa lettura, per effetto dell’estrema semplificazione, non rende pienamente il complesso lavoro di sintesi che spesso accompagna progetti di questo tipo. La verifica del comportamento di sistemi e sottosistemi complessi è qualcosa di ancor più elaborato della sperimentazione sui materiali e, frequentemente, passa attraverso test su modelli in scala e software di simulazione che tentano di tenere conto di tutte le variabili coinvolte. Lo stesso iter progettuale diviene oggetto di innovazione dando origine a un processo in cui l’idea o le idee iniziali vengono elaborate e verificate attraverso un lavoro collettivo e integrato che contribuisce ad allontanare la figura dell’architetto da quella del creatore solitario. Questa condizione, tanto più necessaria nell’ottica di un processo edilizio sostenibile, evidenzia un divario, ancor più netto di quello mostrato dalle stesse realizzazioni, tra i progettisti ordinari e le cosiddette firme internazionali. Divario che si manifesta non tanto e non solo negli esiti, quanto nella concezione e nella gestione del progetto. Vi sono, in questa diversa modalità di approccio al progetto, certamente dei fattori legati alla scala delle commesse, alla complessità dei temi, alla committenza e al peso politico, ma anche altri elementi più propriamente connessi a una visione culturale della professione e del suo esercizio. Il confronto tra alcune opere che potrebbero essere definite “affermate” e quelle convenzionali è particolarmente denso di significato perché se da un lato sembra palesare una frattura tra lo “star system” dell’architettura e gli altri professionisti, dall’altro lascia scorgere un grande potenziale inespresso. Un potenziale di crescita in cui l’acquisizione di una nuova dimensione professionale, fatta di integrazione di conoscenze e specializzazioni, potrà portare a una maggiore qualità diffusa. I sistemi informatici, che Reyner Banham definisce come il vero simbolo della Seconda Età della Macchina21, giocano un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei processi progettuali. Il loro impiego, infatti, ha cambiato il modo di acquisire, gestire e scambiare le informazioni, ha permesso nuove possibilità di calcolo e di si-
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21. Si veda: Abel C., “From Hard to Soft Machines” in Jenkins D. (a cura di), Norman Foster: works 2, Prestel, München, Berlin, London, New York, 2005.
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mulazione traghettando anche l’architettura nel cosiddetto “villaggio globale”. L’innovazione si presenta, dunque, nelle forme più diverse e pone sul piatto della bilancia nuovi strumenti e nuove possibilità che possono perfino arrivare a cambiare la natura della professione del progettista. Ciononostante è ancora il modo di guardare a un problema con la mente aperta al cambiamento che rende proficui o meno i mezzi resi disponibili. Di fronte ad alcune recenti realizzazioni, quali il Leibniz-Rechenzentrum (2006) a Garching e il Complesso residenziale a Munich-Riem (2005) di Thomas Herzog, l’Evelina Children’s Hospital (2005) a Londra e il GEK Group Headquarters (2003) ad Atene di Michael Hopkins, o la Hearst World Headquarters Tower (2006) a New York di Norman Foster, si potrebbe essere indotti a sostenere che esse rappresentino esempi eclatanti di un iter progettuale consolidato. Un iter basato su alcune regole fondamentali e sull’uso di tecnologie ricorrenti, destinato, se non ad assumere la connotazione di “stile”, almeno quella di “tendenza”. In realtà queste opere non rappresentano un punto di arrivo, una stabilizzazione del linguaggio, né tanto meno una scelta tecnologico-costruttiva definitiva. Esse devono essere, piuttosto, considerate come parte di un processo evolutivo che, a partire dall’analisi dei nuovi requisiti, ha trasformato condizioni restrittive in opportunità22. La possibilità di attuare strategie di controllo del sistema ambientale sfruttando gli elementi naturali deriva, spesso, da un lento processo di acquisizione di conoscenze e di innovazioni non direttamente legate a questa tematica. Chi osserva la Swiss Re Tower (2004) di Foster a Londra può, forse, cogliere come la configurazione interna dell’edificio sia un’evoluzione dei “giardini pensili” sperimentati nella Commerzbank (1997) di Francoforte, ma faticherà a notare i rimandi a opere precedenti. Questo, tuttavia, è forse l’aspetto meno rilevante. Ciò che si deve tentare di rilevare non è, infatti, la presenza di una continuità stilistica o tecnica, ma di una continuità concettuale tra le opere23. Senza la ricerca condotta per la Hong Kong Bank (1986) sulle possibilità di prefabbricazione e l’assemblaggio degli elementi, sull’introduzione di spazi collettivi come elementi di filtro ambientale, sulla riorganizzazione del rapporto tra corpi serviti e corpi serventi, probabilmente né la Commerzbank né la Swiss Re Tower sarebbero state realizzate così come oggi è possibile vederle. La stessa Honk Kong Bank non avrebbe presentato tanti temi di sperimentazione e spunti per le future ricerche se Foster, negli ormai lontani anni ’70, non si fosse cimentato con il problema del controllo climatico del complesso Willis Faber & Dumas (1975) di Ipswich. A partire da quelle prime esperienze l’evoluzione del controllo ambientale, mediante “sistemi naturali”, è stata alimentata da una domanda sostenibile che è cresciuta nel tempo ponendo in primo piano la necessità di un uso più consapevole delle risorse. In relazione a ciò, l’idea di preservare l’energia primaria è divenuta una componente centrale del progetto sino ad assumere, in alcuni casi, la connotazione di un vero e proprio generatore di forme.
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22. Pawley M., “The Years of Innovation” in Jenkins D. (a cura di), Norman Foster: works 1, Prestel, München, Berlin, London, New York, 2002. 23. Si veda: Abel C., “Electronic Ecologies” in Jenkins D. (a cura di), Norman Foster: works 4, Prestel, München, Berlin, London, New York, 2004.
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