Valutazione Ambientale 23

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ISSN 1826-2201

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Autorizzazione Tribunale di Gorizia n. 314 del 20-12-2001 | In caso di mancato recapito restituire all’ufficio di Udine CPO detentore del conto per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Poste italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n.46 – art. 1, comma 1, DCB TS | Semestrale – anno XII – n° 23 gennaio-giugno 2013 – Euro 20,00

VALUTAZIONE

dossier: valutazione della green economy

EdicomEdizioni

Rivista della Associazione Analisti Ambientali



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Sergio Malcevschi

studi e ricerche Studio sull’integrazione delle procedure di VIA e AIA. Analisi e proposte per il livello regionale

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Resilienza e sistemi urbano-territoriali. Approcci e strategie Angela Colucci

La “resilienza” negli ultimi anni ha acquisito una crescente popolarità e viene utilizzata spesso quale termine chiave in documenti, testi, titoli di convegni e siti internet; in particolare, viene sempre più frequentemente associata ed utilizzata nella costruzione di strategie di sviluppo dei sistemi urbani e territoriali. L’articolo presenta la prima fase del lavoro di ricerca costituito dalla comparazione di testi pubblicati sul concetto di resilienza e sistemi urbano-territoriali. Nella parte conclusiva sono proposte alcune riflessioni e presentate alcune questioni ad oggi ancora aperte.

Tiering, ovvero il collegare le VAS dei diversi livelli di pianificazione

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VALUTAZIONE

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Editoriale

a cura del gruppo di lavoro su VAS e governo del territorio dell’Associazione Analisti Ambientali

Di questi tempi parlando di semplificazione viene proposto di ridurre i livelli di governo da quattro a tre, eliminando quello intermedio, la provincia. Chi si occuperebbe dei temi ambientali, che in buona parte necessitano di una visione di area vasta per essere compresi e affrontati? A nostro parere un’alternativa più sensata e costruttiva potrebbe consistere nel migliorare il collegamento tra i diversi livelli di pianificazione. Quello che la VAS fa, o dovrebbe fare, attraverso il tiering, termine anglosassone che è diventato uso tradurre con “concatenazione”, perdendo tuttavia qualcosa del significato originario. Termine che qui proponiamo invece di tradurre con “filiera”, mediato dal mondo produttivo e che in qualche modo richiama un atteggiamento attivo, di ricerca di sinergie. Metodi e strumenti della VAS potrebbero contribuire a creare processi decisionali più lineari, e certi nelle regole e nei tempi.

Sonia Occhi

L’esigenza di coordinamento e semplificazione di VIA e di AIA deve essere intesa come necessità di giungere ad una procedura coordinata che eviti la sovrapposizione di procedimenti e di soggetti coinvolti, nonché l’allungamento dei tempi procedurali. Nell’analisi ricognitiva dei testi normativi di riferimento di livello regionale viene affrontato soprattutto il tema delle “modifiche sostanziali”, mentre la parte propositiva contiene una serie di proposte che mirano a fornire soluzioni migliorative sia in termini di attività, che di tempi, che di costi procedimentali.


dossier: valutazione della green economy

Maurizio Cellura Mario Fontana Francesco Guarino Sonia Longo Marina Mistretta

L’articolo riassume l’evoluzione storica del termine “impronta” che da ecologica si specializza in Carbon e Water fino alla nuova Environmental Footprint recentemente proposta dalla Commissione Europea. La relazione si concentra quindi nella descrizione della metodologia di LCA identificando e descrivendo le 3 tipologie di etichetta normate da standard ISO. Prima delle conclusioni ci si sofferma su una particolare forma di qualificazione ambientale del territorio, facendo un parallellismo con strumenti quali la VIA e la VAS.

Riferimenti e criteri per la valutazione

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Landscape economy nei progetti di paesaggio per la periferia di Roma

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Andrea Moretto

L’edilizia è uno dei settori più rilevanti in termini di produzione di ricchezza e di occupazione, ma è anche responsabile di significativi consumi di risorse naturali, impatti ambientali. La riduzione del consumo di risorse e dei rilasci ambientali sono diventati gli obiettivi principali da perseguire nella progettazione e costruzione di edifici sostenibili (eco-design). Gli autori presentano la metodologia Life Cycle Assessment e la sua rilevanza nella valutazione delle prestazioni energetico-ambientali degli edifici.

Mirella Di Giovine

L’impronta ambientale nei prodotti green: criteri di valutazione ambientale e sistemi di comunicazione

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Valutare la qualità energeticoambientale nell’edilizia

Mario Zambrini

Anche se, in questi ultimi anni, quello della Green economy viene presentato come la novità nel dibattito sulle prospettive dello sviluppo mondiale, di economia verde se ne parla (e se ne scrive) da più di venti anni. E, come già è accaduto con lo sviluppo sostenibile, la fortuna mediatica del “nuovo” argomento potrebbe paradossalmente determinarne il declino. Si propongono dunque alcune considerazioni su “cosa” debba intendersi per green economy, e su “come” misurarne le performance.

Nei quartieri delle nostre periferie, accanto ai complessi residenziali già densamente abitati, a insediamenti abusivi e non, a infrastrutture di trasporto e strutture di servizi più o meno definite o in attesa di completamento, ad aree di frangia disordinate, si possono scoprire tracce di risorse, frammenti di campi agricoli, prati pascolo, piccole coltivazioni, piccoli boschi, sorgenti, zone di natura spontanea superstite o rigenerata, e segni significativi della storia degli insediamenti, antichi o meno antichi. Questi elementi rappresentano una grande potenzialità perché possono costituire nel loro insieme l’occasione per la ricostruzione di sistemi di unità ambientali, atte a creare servizi ecosistemici e ricostruire l’identità dei luoghi.

a cura della Direzione di Valutazione Ambientale

L’articolo propone tre contributi alla discussione sulla Green Economy: un insieme set di principi e di contenuti fondamentali, proposti da una serie di documenti internazionali; una proposta per le categorie di prodotti assegnabili alla green economy; il risultato di una SWOT semplificata effettuata in seno all’Associazione Analisti Ambientali sullo stato attuale della green economy in Italia.

2 • Valutazione Ambientale 23 / sommario

Roberto Cariani

Il Rapporto Ecodistretti 2012, indagine realizzata su 100 distretti calcolando sei categorie di indicatori (infrastrutture ambientali comuni, tecnologie ambientali, certificazioni ambientali, politiche di prodotto, controlli ambientali, progetti di eco-innovazione), illustra le migliori esperienze riguardanti soprattutto la dotazione di impianti comuni per la gestione degli aspetti ambientali, la diffusione di tecnologie ambientali nelle imprese e la qualificazione ambientale dei prodotti del made in Italy, analizzando la relazione tra gli strumenti di supporto e incentivo delle Regioni e l’ottenimento dei migliori risultati dal punto di vista delle politiche ambientali.

Il ruolo economico del riassetto idrogeologico in Italia

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La green economy è stata vista a livello istituzionale come un driver di cambiamento di lungo periodo, in cui fare “meglio con meno”, cercando di salvaguardare il nostro pianeta sotto pressione, preservando il capitale naturale e cercando di ottenere al contempo un opportuno sviluppo che consenta un’adeguata qualità della vita per tutti in un mondo più equo. Questo visione ottimistica non è stata condivisa da molti economisti, che insistono sulla necessità che vi siano attente analisi dei costi e dei benefici delle diverse alternative di uscita dalla crisi.

L’eco-innovazione nei distretti produttivi: efficacia delle politiche ambientali nei territori del made in Italy

Giuseppe Gisotti Luciano Masciocco

Quanto costa il Dissesto Idrogeologico nel nostro Paese? Quanto si spende per gli interventi in emergenza dopo gli eventi alluvionali? E quanto per le misure di prevenzione volte alla mitigazione del Rischio Idrogeologico? A queste domande si cercherà di rispondere estrapolandone i dati dalle iniziative più recenti volte al riassetto idrogeologico in Italia.

Workshop: “Il Paesaggio nella Green Economy” Roma, Casa dell’Architettura (Acquario Romano) 9 maggio 2013

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Marco Frey

Si fa presto a dire Green. Quanto è verde l’economia verde?

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La green economy ed il suo campo di estensione

Il paesaggio nel Manifesto della Green Economy

Edo Ronchi - Fondazione per lo sviluppo sostenibile

L’iniziativa è stata promossa per una miglior precisazione del ruolo e dei contributi del sistema complesso (l’ecosistema, il territorio, il paesaggio) entro cui si inseriscono le attività della Green economy, al fine di convergere poi in un Manifesto condiviso a livello nazionale.


VA & Web Green Economy e cicli di attenzioni Sergio Malcevschi

Linee Guida per la Valutazione di Impatto Ambientale

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Strumenti e Tendenze

a cura di Maria Belvisi

Il ruolo dell’attenzione è discusso come presupposto per le valutazioni e decisioni in grado di produrre impatti ambientali positivi o negativi. Attraverso metodi di profiling web, analizziamo le dinamiche di attenzione negli ultimi anni in Italia per quattro parole-chiave: lo sviluppo sostenibile, il paesaggio, l’economia verde, la resilienza. Mentre lo sviluppo sostenibile ha mostrato un declino costante, green economy è una fase di rapida crescita. L’articolo affronta queste differenze.

a cura di Silvia Repossi

Rivista semestrale della

Associazione Analisti Ambientali www.analistiambientali.org Anno XII – n° 23 gennaio-giugno 2013 ISSN 1826-2201 Registrazione Tribunale di Gorizia n. 314 del 20-12-2001 numero di iscrizione ROC: 8147 Direttore scientifico Sergio Malcevschi

Direttore responsabile Pietro Cordara

Organizzazioni della green economy: Ecomondo

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Rapporti Ambientali di Organizzazioni

Valutazione ambientale

a cura di Raffaella Alieri

Comitato Tecnico Scientifico AAA Tullio Bagnati Elsa Bazzano Maria Belvisi Gabriele Bollini Pietro Cordara Piero Garbelli Eliot Laniado Marcello Magoni Nicola Nasini Aldo Ravazzi Douvan Sergio Malcevschi (Presidente CTS) Antonio Saturnino (Presidente AAA) Alessandro Segale Renata Villa Renato Vismara Maria Rosa Vittadini Mario Zambrini Maria Chiara Zerbi Redazione Claudia Ferluga Cristina Magri Nicola Nasini

Segreteria di redazione e amministrazione Via I Maggio 117 – 34074 Monfalcone (Gorizia) tel. 0481.484488, fax 0481.485721 e-mail: info@edicomedizioni.com Progetto grafico Ferdinando Gottard

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Recensioni e segnalazioni a cura di Claudia Ferluga

Immagini di copertina a cura di Odinea Pamici

Editore EdicomEdizioni – Monfalcone (Go) www.edicomedizioni.com Prezzo di copertina euro 20,00

Abbonamento annuale 2 numeri: euro 40,00 Distribuzione gratuita ai soci AAA

Stampa Grafiche Manzanesi – Manzano (UD) Distribuzione in libreria Joo Distribuzione – via F. Argelati, 35 – Milano

La direzione lascia agli autori piena responsabilità degli articoli firmati. È vietata la riproduzione, anche parziale, di articoli, disegni e foto se non espressamente autorizzata dalla direzione.

In copertina Thomas Doyle ©2009, Acceptable losses, mixed media, 16 x 13.5” diameter, 2008

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editoriale


Editoriale Sergio Malcevschi

Il Dossier di questo numero ha come tema la valutazione della Green economy. Che l’economia verde costituisca un tema di grande attualità ed in forte espansione non v’è dubbio, ma proprio per questo incomincia a porsi la questione della sua qualità. Occorre capire quali siano i confini del campo, come fare in modo che non diventi un bazar dove c’è dentro di tutto, basta che abbia l’etichetta con il nome. È necessario riconoscere quali siano le parole-chiave ed i criteri che ci consentano di distinguere un buon prodotto da uno mediocre.sotto il profilo ambientale, un buon intervento da uno cattivo in grado di stravolgere la qualità dei luoghi in cui è inserito inquinando anche l’immagine di ciò che ivi si produce. La rivista propone una serie di contributi su questi aspetti. Il campo di estensione. Frey affronta la questione del perimetro della Green economy, sottolineandone aspetti significativi come il ruolo intrinsecamente trasversale. lo stretto rapporto con l’innovazione, la necessità di integrazione con le altre chiavi della governance ambientale. Cariani riporta i risultati di una ricerca su ecodistretti ed ecoinnovazione, termini anch’essi legato al campo dello sviluppo sostenibile. La questione dei rapporti tra Green economy e sviluppo sostenibile può porsi in modo anche controintuitivo quando consideriamo ad esempio le attenzioni rivolte dal pubblico, come discuto nell’articolo della sezione VA&Web. Il ruolo attuale in Italia. I rischi di un uso improprio del brand Green economy sono elevati, come propone Zambrini. Una valutazione complessiva effettuata come Associazione Analisti Ambientali, inquadra sinteticamente rischi e punti di debolezza anche rispetto ai punti di forza ed alle indubbie opportunità. Tra le grandi opportunità Ronchi sottilinea anche quelle legate alla valorizzazione dei prodotti dell’Italia come terra che deve fare della qualità la sua essenza, perché è questo che ci chiede il mondo. I criteri e gli strumenti applicativi. In un box specificamente predisposto è riportata una rassegna dei principali principi fondativi per la Green economy riconosciuti a livello internazionale. Cellura e collaboratori affrontano il tema della valutazione energetico-ambientali degli edifici richiamando in particolare i metodi LCA. Moretto a sua volta

inquadra i metodi LCA all’interno dell’impronta ambientale intesa come una cornice tecnica che sta avendo una sia evoluzione. Il rapporto con il contesto. Ovvero il rapporto con l’ecosistema, l’assetto idrogeologico, il paesaggio, il territorio. Gisotti ricorda i numeri impressionanti del dissesto idrogeologico in Italia, e come l’economia verde sia anche possibilità di risparmiare sulla riparazione dei danni. Di Giovine, attraverso una serie di esperienze concrete, propone una landscape economy che aiuterebbe anche a meglio affrontare i temi del degrado urbano. Anche l’articolo di Angela Colucci, nella prima parte della rivista, si collega di fatto a queste tematiche affrontando il tema della resilienza sotto il profilo delle discipline del territorio. In conclusione la questione della qualità nella Green economy si dimostra materia effervescente ed affascinante, e richiederà molto lavoro nei prossimi anni. Purtroppo il contesto italiano è ancora quello della frammentazione intrinseca, non solo ecologica ma anche sociale ed amministrativa. Sicuramente non un buon brodo di coltura-cultura per la Green economy. Suggeriamo, con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà, un obiettivo concreto che potrebbe in teoria essere raggiunto in tempi relativamente brevi ove ci fossero le volontà: la produzione di un protocollo dinamico per le verifiche di qualità ambientale, da condividere tra i soggetti interessati e progressivamente perfezionabile, che funzioni in modo trasversale rispetto ai differenti ambiti della valutazione ambientale: le valutazioni per la Green economy, la VIA, le VAS dei piani territoriali, le certificazioni di qualità. Un protocollo semplice, anche solo volontario almeno in una prima fase, che indichi i punti essenziali condivisi lasciando ad ogni ambito operativo le sue specificità normative ed attuative. Potrebbe diventare uno degli strumenti di integrazione e di semplificazione sempre invocati ma apparentemente impossibili da attuare in Italia. Se siamo convinti che per superare la crisi servano più razionalizzazioni dell’esistente che nuovi strumenti taumaturgici, pensiamoci. Sergio Malcevschi Direttore scientifico di Valutazione Ambientale sergio.malcevschi@gmail.com

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studi e ricerche


Resilienza e sistemi urbano-territoriali. Approcci e strategie Angela Colucci

Il concetto di resilienza è utilizzato, con significati non sempre omogenei (White, 2011), in molte discipline: dall’ingegneria alle scienze naturali e all’ecologia, alla psicologia ed alla sociologia. L’utilizzo della resilienza ecosistemica in connessione allo sviluppo dei sistemi territoriali è entrato ufficialmente nelle politiche internazionali e dell’Unione Europea a partire dal 2005 quando venne presentato il documento Resilience and Sustainable Development: Building Adaptive Capacity in a World of Transformations1 ed oggi ha un ruolo centrale nelle politiche comunitarie. La “resilienza” negli ultimi anni ha acquisito una crescente popolarità e viene utilizzata spesso quale termine chiave in documenti, testi, titoli di convegni e siti internet; in particolare, viene sempre più frequentemente associata ed utilizzata nella costruzione di strategie di sviluppo dei sistemi urbani e territoriali. Proprio a partire dalla tale diffusione muove l’interesse del percorso di ricerca che si pone l’obiettivo di comprendere e riflettere su resilienza e sistemi urbano-territoriali. L’articolo presenta, seppure in estrema sintesi, la prima fase del lavoro di ricerca costituito dalla comparazione di testi pubblicati sul concetto di resilienza e sistemi urbano-territoriali (per una lettura più estesa si rimanda al testo integrale, scaricabile da sito http://www.jeanmonnetpv.it). Nella parte conclusiva sono proposte alcune riflessioni e presentate alcune questioni ad oggi ancora aperte. Gli obiettivi del percorso di ricerca sono principalmente tre: 1) individuare e comparare gli approcci alla resilienza ad oggi sviluppati e indagare gli aspetti condivisi e/o consolidati; 2) comprendere quali siano le strategie proposte verso territori, città o sistemi socioecologici resilienti; 3) comprendere se le strategie di resilienza proposte implichino fattori di innovazione per lo sviluppo di città e regioni. L’obiettivo finale del lavoro è quello di comprendere se il concetto di resilienza o, meglio, se le strategie di resilienza proposte possano costituire fattori di innovazione nei

Resilience and urban-territorial systems. Approaches and strategies The term “resilience” is used in many disciplines with different meanings. We will adopt the concept of “ecosystem resilience”, which epitomizes the capacity of a system to adapt itself in response to the action of a force, achieving a state of equilibrium different from the original (White, 2011). Since the end of the last century, with a significant increase over the last few years, resilience has featured as key concept in many technical, political papers and documents, and appears in many researches. Of all this recent and varied range of literature, our focus is on those texts that combine resilience with strategies, processes and models for resilient cities, communities and regions. The paper summarise the first outputs from the literature comparison on resilience applied to the urban-territorial systems. The literature comparison aims are identify the approaches to resilience; identify the shared/consolidated aspects and strategies and underline the shared/consolidated strategies for resilient regions, cities or social-ecological systems. The aim of the research is to understand whether the proposed concept of resilience, or rather strategies, constitute progress and contribute to innovation in the areas of urban planning and design in relation to risk mitigation. Three main families of literature have been identified from the recent literature promoting resilience as a key strategy. The families are: a) Resilience and sustainability: resilience as a way to gain sustainable development of social-ecological systems b) Resilience and adaptation: resilience as the key concept to the adaptation strategies for climate change, natural resources use reduction and quality of local communities improvement c) Resilience and territorial risks: resilience as a key concept for innovation of territorial risk mitigation/management strategies The second part of the paper highlights the shared resilience strategies and the common concepts taken form the resilience approaches and used for the urban systems strategies management/visions. Some open questions (related to the integration of resilience inside the planning process) close the paper. Parole chiave: resilienza, sistemi urbani e territoriali, progettazione urbana, pianificazione Key words: resilience, urban and territorial systems, urban design, planning

campi della progettazione e della pianificazione urbana. Quale resilienza La ricerca e, quindi, i testi e documenti utilizzati, fanno riferimento al concetto di resilienza ecosistemica. In questa sede non si intende affrontare il complesso dibattito disciplinare pur riconoscendo la complessità del concetto di resilienza e della sua evoluzione anche nell’ambito dell’ecologia (Odum Eugene P. 1963, Bettini Virginio, 2004). Per semplicità e chiarezza, si assume la seguente definizione: “la resilienza ecosistemica si basa sui concetti di persistenza, cambiamen-

to/impredittibilità, adattabilità e variabilità, enfatizzando le condizioni lontane da ogni equilibrio. La resilienza è quella proprietà dei sistemi complessi di reagire ai fenomeni di stress, attivando strategie di risposta e di adattamento al fine di ripristinare i meccanismi di funzionamento. I sistemi resilienti, a fronte di uno stress, reagiscono rinnovandosi ma mantenendo la funzionalità e la riconoscibilità dei sistemi stessi” (Holling C.S., Gunderson Lance, 2002, Holling 1996). La resilienza non implica quindi il ripristino ad uno stato iniziale, ma il ripristino della funzionalità attraverso il mutamento e l’adattamento.

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A pagina 4, rocca presso Attimis. Foto di Manuela Ghirardi. A pagina 6, Croazia. Foto di Manuela Ghirardi.

Famiglie e approcci della letteratura Del vasto e (in parte) variegato panorama di testi, documenti tecnico politici, rapporti di ricerca che hanno come oggetto la resilienza dei sistemi complessi, si è inteso privilegiare quei testi che alla resilienza associavano strategie, processi e modelli per le città, comunità e territori resilienti. In tale panorama della letteratura sono state individuate tre principali famiglie2 di testi, a cui poi si collegano esperienze, documenti di intenti e numerosi di siti internet: A_ Resilienza e sostenibilità: il concetto di resilienza viene inteso quale via per garantire una effettiva sostenibilità dello sviluppo dei sistemi socio-ecologici. B_ Resilienza e adattamento: il concetto di resilienza è utilizzato come elemento di innovazione degli attuali modelli di sviluppo delle città e dei territori e come chiave per innescare risposte di l’adattamento in relazione ai cambiamenti climatici e alla riduzione delle risorse naturali e alla qualità delle comunità locali. C_ Resilienza e rischi territoriali: la resilienza viene utilizzata come concetto chiave per l’innovazione delle strategie di gestione dei rischi territoriali, integrando gli obiettivi della riduzione dei rischi e della pericolosità con una pluralità obiettivi connessi alla qualità territoriale.

Resilienza e sostenibilità

‘Resilience, the capacity to lead to a continued existence by incorporating change’ (Folke, Colding and Berkes 2003, p. 352) Pur operando una forte semplificazione, è possibile ricondurre il primo gruppo di autori alla The Resilience Alliance3, una rete multidisciplinare di ricercatori che unisce molteplici università e centri ricerca che promuovono politiche e processi di sviluppo regionale e locale basati sulla resilienza. La famiglia di testi è certamente molto numerosa e include autori come Carl Folke, Lance Gunderson, C.S. Buzz Holling, Elinor Ostrom, Johan Colding, Berkes Fikret, e moltissimi altri.

La resilienza viene utilizzata quale concetto chiave per giungere alla sostenibilità dello sviluppo. In particolare, gli autori che si riconoscono in questo filone si pongono in aperto contrasto con gli approcci basati sulla sola ottimizzazione nella gestione delle risorse naturali e sociali (Folke C., Berkes F., Gunderson L. H. e altri) All’interno dei testi riconducibili a questo primo approccio è possibile sottolineare una rilevante matrice interdisciplinare, con una prevalenza di autori provenienti dalle scienze naturali e ecologiche, discipline sociali ed economiche. Gli aspetti caratterizzanti e comuni ad un complesso e vastissimo panorama di autori, ricerche e esperienze, sono una rilevante produzione teorica integrata alla loro applicazione in differenti contesti, la centralità e la comunanza fra tutte le esperienze, testi e ricerche dell’approccio ecosistemico e la sua integrazione con la dimensione sociale ed una forte produzione scientifica (teorica, metodologica – modellazione – e applicativa). Principali strategie di resilienza dei sistemi socioecologici Tra le tre famiglie di autori, questa è quella che maggiormente integra nelle strategie per lo sviluppo di sistemi socio-ecologici i concetti e i principi connessi alle teorie ecosistemiche. Le strategie di resilienza proposte partono dai concetti e proprietà degli ecosistemi connessi alla resilienza. La trattazione integra in questa parte la descrizione di alcune caratteristiche e proprietà ecosistemiche. Sulla base delle esperienze e degli studi sono state elaborate differenti strategie per una via alla sostenibilità che abbracci la natura dinamica dei sistemi complessi. Le principali sono: • Imparare a vivere con l’incertezza e il cambiamento: i cambiamenti e le crisi sono parte dei processi evolutivi dei sistemi complessi; una delle strategie chiave per mantenere e incrementare i meccanismi di resilienza è proprio quella di convivere con i fenomeni di cambiamento piuttosto che cercando di rimuovere le possibili

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cause e fenomeni di cambiamento • Nutrire la diversità per la riorganizzazione e il rinnovamento: La diversità e la ridondanza costituiscono le sorgenti immediate per la sostituzione delle funzioni perse a seguito dell’evento di disturbo e costituiscono la “scorta” per l’attivazione di risposte di adattamento in relazione a una molteplicità di dimensioni temporali e spaziali. • Memoria: Negli ecosistemi naturali la diversità e le relazioni funzionali sono guidate attraverso i meccanismi della memoria ecologica, che interviene nella composizione e nella distribuzione degli organismi e delle loro interazioni nello spazio e nel tempo e immagazzinando esperienza incamerata nelle fasi di fluttuazione delle condizioni ambientali (Nei paesaggi fortemente semplificati negli ecosistemi si assiste ad una perdita dei meccanismi alla base della memoria ecologica). • Combinare differenti tipologie e sistemi di conoscenza e creare le opportunità di auto organizzazione: il riferimento è all’importanza di avvicinare ed incorporare forme differenti di conoscenza; in particolare, di affiancare alla conoscenza sperimentale forme di sapere esperienziale. Tale approccio risulta tanto più importante quando applicato ai sistemi sociali Città e resilienza Occorre sottolineare come non sia rintracciabile una specifica rilevanza del tema della città, o meglio della progettazione urbanistica (il tema è in genere affrontato ad una scala più ampia o comunque il fuoco è centrato sulle comunità locali piuttosto che sulla “città” in sé). All’interno di questo filone di ricerca merita senza dubbio attenzione l’Urban Resilience program4, progetto di ricerca avviato nel 2007 con l’obiettivo di comprendere quali siano i livelli di stress assorbibili dai sistemi socio-ecologici urbani senza che questi mutino la loro struttura e funzionalità verso forme meno desiderabili e che si propone di indagare, in maniera multiscalare, il ruolo dei flussi


Figura 1. I quattro sistemi componenti il sistema urbano complesso (fonte: Urban Resilience program, 1172764197_urbanresilienceresearchprospectusv7feb07.pdf)

metabolici (metabolic flows) che sostengono le funzioni urbane, il benessere umano e la qualità della vita; le reti di governance (governance networks) e le abilità della società ad apprendere adattarsi e organizzarsi; le dinamiche sociali (social dynamics) delle persone in quanto cittadini, membri delle comunità, utenti dei servizi, consumatori di prodotti (e tutte le reti di relazioni che sottengono alle interrelazioni tra le comunità e le popolazioni sociali), e l’ambiente urbano costruito (built environment), composto da elementi fisici e spaziali, ma anche e soprattutto dalle relazioni e interconnessioni tra queste. Il risultato a cui il progetto ambisce è lo sviluppo di un modello integrato e indipendente delle proprietà del sistema (rappresentato nella Figura 1) che possa poi permettere l’individuazione dei fattori di resilienza.

Resilienza e adattamento L’attenzione è stata rivolta ai testi che individuano nella resilienza il concetto su cui costruire le strategie di adattamento prioritariamente riferite ai contesti urbani e territoriali. Aspetto comune a questi contributi è quello di utilizzare la resilienza quale chiave per affrontare i rilevanti mutamenti in atto e per costruire strategie di adattamento rispetto ai cambiamenti climatici e alla carenza e riduzione delle risorse naturali (in particolare “peak oil” e alle crisi energetiche). Da un punto di vista della matrice disciplinare caratterizzante vi sono autori riconducibili a discipline della pianificazione e progettazione urbana, delle scienze naturali ed economico-sociali. Meno numerosi sono gli studiosi di matrice politico-strategica. Per quanto riguarda l’uso ed il richiamo dei concetti propri connessi alla resilienza, i testi focalizzati su città ed adattamento (ad esempio, Newman) non sviluppano richiami e/o approfondimenti teorici sulle proprietà o sui principi propri della resilienza ecosistemica. Mentre nei testi connessi alle transition cities numerosi concetti connessi alla resi-

METABOLIC FLOWS Production, supply and consumption chains

GOVERNANCE NETWORKS Institutional structures and organisations

URBAN RESILIENCE

SOCIAL DYNAMICS Demographics, human capital and equity

lienza e alle proprietà ecosistemiche sono esplicitamente richiamati: diversità e ridondanza, modularità e gerarchie/organizzazione e processi di feedback5. Questi principi sono alla base della costruzione dei processi, delle strategie e delle azioni verso comunità resilienti. Un elemento comune a tutti i testi di questa famiglia è l’attenzione data al processo, che comprende sia gli aspetti di coinvolgimento della popolazione che gli aspetti tecnici e operativi. Anche nella costruzione e organizzazione del processo stesso, Hopkins, integra alcuni concetti propri della resilienza (ad esempio i processi di feedback). Strategie di resilienza In generale, è possibile sottolineare come sia le strategie che gli strumenti utilizzati nell’ambito dei testi, ad esclusione dell’esperienza delle transition cities, possano essere ricondotti a principi, metodi e strumenti sviluppati nell’ambito della pianificazione ambientale ed ecologica. Questi testi sono rilevanti dal punto di vista dell’innovazione e dei modelli di processo proposti anche se fanno prevalentemente riferimento a concetti ed a principi già sviluppati nell’ambito del

BUILT ENVIRONMENT Ecosystem services in urban landscapes

dibattito sulle strategie di adattamento, declinandoli ai sistemi urbani. Risultano invece fortemente connessi ai principi e concetti propri della resilienza le esperienze delle transition cities inglesi (oggi ormai diffuse in tutto il mondo). Tali esperienze presentano notevoli aspetti di innovazione, in particolare per quanto riguarda i processi, le politiche bottom up e l’attiva partecipazione e responsabilizzazione delle comunità locali. Newman propone nella costruzione delle strategie ed azioni per la resilient city alcune definizioni evocative o concetti evocati ricondotti alla città: renewable energy city, carbon neutral city, distributed city, photosintetic city, eco-efficient city, pace-based cuty, sustainable transport city. In queste strategie chiave vi sono alcuni principi derivanti dal dibattito disciplinare sulle “città sostenibili” (come la densificazione, mobilità sostenibile) ed alcune strategie derivanti da matrici più ingegneristiche (come l’utilizzo di sistemi di gestione sostenibile delle acque – LCD e/o soluzioni per incrementare l’efficienza energetica). In parte simili sono i dieci principi guida proposti nell’ambito della piattaforma “resiliencecity.org”.

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Panorama da Porzus (UD). Foto di Manuela Ghirardi.

Città Questo gruppo di contributi, i cui autori sono prevalentemente riconducibili alle discipline della pianificazione, si focalizzano sulla definizione della struttura o sulla definizione dei sistemi urbani (e delle loro componenti), proponendo azioni progettuali esplicitamente riferite alla forma urbana, con l’obiettivo di definire piani d’azione in grado di rendere un’area, una comunità, una regione migliore (più vivibile, più resiliente) dal punto di vista ambientale ed economico.

Resilience and risk Nelle ricerche e nelle esperienze più innovative mirate alla mitigazione dei rischi territoriali il concetto di resilienza ha assunto un ruolo centrale nella costruzione di strategie che integrano agli obiettivi della riduzione dei rischi e della pericolosità una pluralità obiettivi verso la qualità territoriale6. Il concetto di

resilienza nella gestione dei rischi territoriali risulta oggi consolidata, e vi sono anche rilevanti focus interpretativi teorici, come l’evoluzione del concetto e della relazione tra resilienza e vulnerabilità (White A. 2010). Nei testi recenti lo studio della resilienza pur riferita al tema dei rischi territoriali (chiara configurazione di scopo) comprende obiettivi più generali: un sistema più resiliente rispetto ai rischi territoriali è e deve essere, in generale, un sistema urbano-territoriale di maggiore qualità complessiva (ambientale e sociale). Il richiamo teorico alla resilienza ecosistemica è esplicito, dove per resilienza si intende la capacità e l’abilità di uscire, a seguito di un evento calamitoso, da una fase di stallo, in una condizione non necessariamente uguale a quella iniziale pre-evento. “La capacità di un territorio di essere resiliente consiste in gran parte dall’organizzazione e dalle relazioni esistenti prima dell’evento: quanto più il sistema sarà flessibile tanto più sarà rapida la ripresa alle normali attività in un’ottica di migliora-

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mento e consapevolezza [Burby, 1998]”. Nella costruzione delle strategie per la resilienza rispetto ai rischi territoriali, i concetti propri della resilienza ecosistemica che vengono utilizzati come principi chiave sono molteplici: diffusion and diversity, the rapid responces proprieties, the redundance circuit, the storage capacity and the scale/hierachy connection (time and space). Strategie Un sistema per essere resiliente dovrebbe tendere ad essere: • Ridondante – con un numero di componenti funzionalmente simili in modo che l’intero sistema non collassi quando un singolo componente si guasta; • Diversificato – con un numero di componenti con funzionalità diverse in modo da proteggere il sistema contro diverse pericolosità; • Efficiente – con una larga disponibilità di energia prodotta da un sistema dinamico; • Forte – con la capacità di resistere ad


Tabella 1 - Tabella di sintesi della comparazione tra le famiglie di autori (fonte A.Colucci, 2012). Matrici disciplinari Definizioni di resilienza

Fuochi (scale spaziali e luoghi) di ricerca e esperienze

Modelli urbano-territoriali (componenti)

Concetti di resilienza utilizzati quali principi chiave

Strategie di resilienza

Resilienza e sostenibilità

Resilienza e adattamento

‘R. as the capacity to lead continued existence Incorporating change’

“architetti/planner”

Scienze naturali, biologia, ecologia, economia, scienze sociali e politiche

– Teorico, modellazioni teoriche – Sviluppo di comunità locali e pianificazione regionale – Gestione delle risorse naturali (integrate con comunità locali e scale regionali) – Sistemi (complessi) socio-ecologici – Aree urbane come risultato dell’interazione tra 4 sistemi (che hanno la medesima rilevanza): flussi metabolici, reti di governance, dinamiche sociali, ambiente costruito (e fisico)

– Mantenere la diversità per la riorganizzazione e le capacità di rinnovamento – Interconnessione tra le variabili temporali e spaziali – Riconoscimento delle variabili lente – Rafforzamento dei meccanismi di feedback – Adattabilità, flessibilità e innovazione – Memoria, conoscenza (e comunità)

– Life is full of surprises (capacità di adattamento e evoluzione con il cambiamento) – Learning to live with uncertainty and change (capacità di gestire e convivere con I cambiamenti) – Feeding diversity for reorganisation and renewal (capacità di innovazione e rinnovamento) – Combining different types and systems of knowledge and create opportunities for self-organization, memory (capacità di integrare tutte le forme di conoscenza e di memoria) – Adaptability, flexibility and innovation based on feedback (capacità di flessibilità e adattamento su circuito di feedback)

Resilienza e adattamento

Pianificazione, architettura, scienze naturali e sociologia

Non ci sono definizioni esplicite di R.

Ingegneria, architettura (ing. Civile) pianificazione e scienze sociali

Transition cities

R. as the capacity and ability, after a disaster, to emerge from stalemate in a condition that is not necessarily the same as the initial pre-existing condition

R. as the ability of complex system to absorb the stress using adaptation strategies

– Modelli e strategie applicate alla città, aree urbane/metropolitane e quartieri – Sviluppo di comunità locali e quartieri

– Scala vasta (regionale) – Contesti urbani – Progetti e casi focalizzati su specifici fenomeni

“architetti/planner”

Transition cities

– I modelli urbano-territoriali rimandano alle componenti tipiche dell’analisi e gestione del rischio territoriale – Le componenti della Città sono fisiche, sociali, economiche e organizzative

“architetti/planner”

Transition cities

– Meccanismi di buffering e core protection – Diffusione – Capacità di risposte veloci/rapide – Circuiti di ridondanza – Capacità di assorbimento e accumulo – Capacità di auto-gestione/self help

Le innovazioni e strategie proposte non sono strettamente connesse a principi e meccanismi di resilienza ecosistemica Newman propone delle strategie connesse a: Renewable Energy City, Carbon Neutral City, Distributed Dity, Photosynthetic City, Eco-Efficient City, Place-Based City, Sustainable Transport City.

Principali strategie: – Diversità creativa e ridondanza – Modularità (reti organizzative e di governance) – Capacità di autonomia di comunità locali (Small) – Forte equilibrio nell’utilizzo di risorse economiche, sociali e ambientali scalarità e modularità nelle strategie di sviluppo (rafforzamento di livello locale: empowerment and responsability)

Principali strategie sono – Ridondanza e diversità – Efficienza e forte capacità di risposta (eventi esterni) – Relativa indipendenza e ridondanza delle connessioni (molteplicità di reti sociali, adattamento – Memoria e capacità di innovazione (imparare da eventi e esperienza) – Collaborazione tra scale (governance)

Le città sono costituite dall’ambiente costruito (ruolo centrale del modello) e da sistemi di supporto: trasporto, energia, acqua, ambiente naturale, produzione di cibo, agricoltura, rifiuti solidi, economico Non vi è una forte relazione tra le strategie proposte e I principi/proprietà ecosistemiche connesse alla resilienza

Elemento centrale del processo di cambiamento sono le comunità, non vene definito un modello predeterminato

– Diversità – Modularità – Modelli basati su comunità locali – Meccanismi di feedback – “Small”/ empowerment locale

Valutazione Ambientale 23 • 11


Figura 2. I concetti chiave: lo schema attribuisce alle tre famiglie i principali concetti di resilienza ecosistemica utilizzati dagli autori, i concetti condivisi e sottolinea (in colore più scuro) quando i concetti risultino potenzialmente innovativi nel campo della pianificazione e progettazione urbana.

della rilevanza delle comunità locali e delle risorse sociali diffuse, la maggiore integrazione, esplicitazione e attenzione al ruolo dei servizi ecosistemici (e meccanismi metabolici in senso ampio), la centralità dei processi adattivi e della dinamica dei processi (e quindi la necessità di rafforzare gli aspetti di flessibilità rispetto alla dinamicità dei processi). Tra i concetti chiave condivisi tra gli autori alcuni potrebbero (o dovrebbero) costituire aspetti di approfondimento e riflessione per il governo del territorio: la ridondanza, il riconoscimento delle variabili lente (e l’attenzione alle variabili temporali associate alle soglie), adattamento, flessibilità e innovazione (intese come capacità di apprendimento, sperimentazione e sviluppo di regole/progettualità locali capaci di abbracciare i mutamenti), memoria, conoscenza e comunità. eventi/attacchi esterni di diverso genere; • Indipendente – con diverse componenti dei diversi sistemi connesse, in modo da supportarsi vicendevolmente; • Adattabile – con la capacità di imparare dalle esperienze e la necessaria flessibilità per cambiare; • Collaborativo – con multiple opportunità ed incentivi che consentano la più ampia partecipazione degli attori coinvolti. Città In generale la struttura dei sistemi territoriali e urbani proposta dagli autori di questa famiglia deriva da metodologie consolidate e modelli dell’analisi e gestione del rischio. I sistemi territoriali sono scomposti in sottosistemi e componenti (analisi per componenti: sociale, ambientale...) e nelle relazioni che interconnettono i sottosistemi (analisi relazionale: interazioni tra i sottosistemi).

Sintesi e questioni aperte Nella Tabella 1 sono sintetizzati gli aspetti di maggior rilevanza derivanti da questa prima

fase di comparazione dei testi su sistemi urbano-territoriali e resilienza. In tabella vengono evidenziati per ciascuna famiglia: le principali matrici disciplinari, le scale o le dimensioni spaziali oggetto di attenzione (quartieri, città regioni...), i modelli proposti per i sistemi urbano-territoriali e i principali concetti di resilienza ecosistemica richiamati nei testi e le principali strategie di resilienza proposte. Lo schema riporta, attribuendoli alle tre famiglie di autori individuate, i concetti utilizzati e che rimandano alla resilienza ecosistemica. Nella costruzione dello schema si è inteso evidenziare quei concetti che possono costituire fattori di innovazione nel campo della progettazione urbano-territoriale e/o quelli che in qualche modo sono già presenti o trattati in ambito disciplinare. Gli aspetti condivisi da tutti gli autori e che possono costituire fattori di innovazione anche nel campo del governo del territorio sono una forte innovazione nel processo di costruzione e gestione dei progetti urbanoterritoriali, il rafforzamento e bilanciamento della connessione tra elementi fisici, sociali e organizzativi, un rafforzamento del ruolo e

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Resilienza e processi di pianificazione e progettazione urbana Nell’ambito dei processi di governo del territorio il concetto di resilienza può supportare la costruzione di scenari e visioni condivise con le comunità locali in un’ottica positiva (come dimostra l’esperienza delle Transition Cities). Temi come il miglioramento delle componenti ambientali e dei meccanismi di funzionamento ecosistemici oppure la prevenzione dei rischi territoriali vengono tradotti in progetti strategici e condivisi verso la costruzione di sistemi territoriali e comunità più resilienti. Molti autori, tra cui Hopkins, sottolineano le potenzialità della “resilienza” quale concetto capace di supportare la costruzione di visioni strategiche delle comunità locali. Da un alto, è fuori discussione che integrare i meccanismi e principi propri della resilienza ecosistemica nella costruzione dei processi e strumenti di governo del territorio comporti un miglioramento complessivo della sostenibilità. Considerare in maniera esplicita i servizi e i benefit che derivano dai meccanismi di funzionamento “ecosistemici” quale parte integrante del sistema dei servizi e


Funghi nel bosco. Foto di Manuela Ghirardi.

delle funzioni dei sistemi territoriali in senso più generale costituirebbe, sul versante disciplinare ed operativo (e nella prassi) un notevole avanzamento verso la sostenibilità complessiva. D’altro lato, è pur vero che molti modelli e metodi sviluppati nell’ambito della disciplina della progettazione urbano-territoriale sono riconducibili ai principi e alle strategie di resilienza (anche se non esplicitamente riferiti a questa). Tale affermazione risulta confermata dai testi della famiglia “resilienza e adattamento” dove, in maniera corretta vengono richiamati numerosi concetti, modelli e principi consolidati (o innovativi ma già comunque presenti) nell’ambito disciplinare urbanistico-territoriale ed architettonico. A solo titolo di esempio, alle strategie della diversità e della ridondanza concorrono i principi della “multifunzionalità” e del “mixing neighbourhoods” (dall’Urban Task Force, un esempio tra tutti), così come numerose proposte del landscape planning e dell’ecologia del paesaggio; ma anche i principi connessi alla “città compatta”, tutti i modelli di gestione delle risorse e dei flussi connessi al metabolismo urbano (dai trasporti – Transit Oriented Development, alla gestione energetica e dei flussi di acque… vi sono numerosissimi esempi). Tutti modelli ed esperienze che concorrono al raggiungimento delle strategie per rendere maggiormente resilienti i sistemi urbano-territoriali individuate dagli autori riconducibili a questa famiglia. Resilienza: questioni aperte Il concetto di resilienza deve essere inteso e colto proprio per le molteplici opportunità che può dare in termini di risposte ai fenomeni di criticità che caratterizzano i processi di progettazione/pianificazione dei sistemi urbano-territoriali e non deve essere inteso quale “via di salvezza” oppure come soluzione a tutti i problemi (Hopkins, White e altri). Se si assume come “consolidata” o “data” la definizione di resilienza ecosistemica (e in questa sede, per semplicità è stata assunta)

risulta meno chiaro e consolidato il concetto di resilienza in riferimento ai sistemi urbanoterritoriali complessi (o socio-ecosistemi) ed ancor meno la resilienza in relazione al governo delle città e dei territori. Si registra, infatti, una diffusa tendenza a utilizzare in maniera semplicistica il concetto di “resilienza” e ad associarlo a quello di “territorio/città resiliente”, passaggio che ingenera una certa confusione. La resilienza è una proprietà degli ecosistemi che si caratterizzano per numerose e complesse proprietà e che quindi possono anche essere più o meno resilienti. L’utilizzo dell’accezione “resiliente”, “territorio resiliente” o una “città resiliente” in sé, quale unico aspetto caratterizzante o omnicomprensivo comporta il rischio di ridurre le opportunità e le potenzialità offerte dall’assumere un approccio alla resilienza e la complessità che caratterizza la resilienza ecosistemica.

Proporre un “piano/progetto” di “città/ territorio resiliente” in senso assoluto si pone in contraddizione con alcuni dei principi alla base della resilienza stessa: la lontananza dalla stabilità, la continua tensione dinamica verso l’adattamento e l’innovazione, caratteri che rendono appunto “non pianificabile” la resilienza in sé. Una questione aperta è se (e come) “la resilienza” sia pianificabile7: dalle precedenti considerazioni ne discende come non sia possibile progettare o pianificare un territorio o una città resiliente in sé, ma è certamente importante e doveroso includere nei processi di governo del territorio soluzioni che possano rafforzare le proprietà dei sistemi urbano-territoriali che li rendano potenzialmente maggiormente resilienti. L’esplicitazione di tale passaggio permette di affiancare ed integrare alle strategie di resilienza anche altre riflessioni e proposte derivanti da altri approcci alla soste-

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nibilità8 delle città e dei territori (le città ed i territori devono e possono essere “resilienti” ma anche “Smart”, “inclusivi” …).

Gunderson e gli altri autori della rete Resilience Alliance, a cui rimando: l’approccio alla resilienza non è conflittuale con la sostenibilità, ma è una via o un “mezzo” per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

Note

Bibliografia sintetica

Il Building Adaptive Capacity in a World of Transformations (Background paper to WSSD) costituisce un documento tecnico-scientifico a supporto della Environmental Advisory Council del governo svedese nell’ambito del World Summit on Sustainable Development. 2 L’attribuzione dei contributi dei diversi autori ad una di queste tre grandi famiglie costituisce in alcuni casi una inevitabile forzatura. Molti concetti e strategie risultano condivise e comuni e, pur restando identificabile la famiglia di origine, vi sono spesso intrecci e sovrapposizioni. 3 The Resilience Alliance è una organizzazione di ricerca che comprende ricercatori e professionisti da molteplici discipline che collaborano per esplorare le dinamiche dei sistemi socio-ecologici. Si rimanda al sito http://www.resalliance.org/. 4 CSIRO, Australia; Arizona State University, USA; Stockholm University, Sweden, Urban Resilience Research Prospectus Coordinatore Brian Walker Science Program Director and Chair, Board of Members The Resilience Alliance, February 2007 (reperibile al link 1172764197_urbanresilienceresearchprospectusv7feb07.pdf). 5 I principali concetti di resilienza richiamati nella definizione delle strategie e delle azioni (polices) per le transitions cities sono: diversity (e ridondanza creativa), modularity (con particolare riferimento alle reti e alle relazioni organizzative e applicate alle politiche di governance), local based (similari e riconducibili sia alla visione della complessità dei sistemi urbano territoriali che alla rilevanza degli apporti conoscitivi e di attuazione della cittadinanza e delle comunità locali. 6 Si vedano, ad esempio, i numerosi contributi prodotti nell’ambito de progetto di ricerca sulla sostenibilità dello sviluppo dei territori statunitensi che si affacciano sul golfo del Messico, presentati sia alla biennale di Venezia che raccolti nel testo Eugenie L. Birch and Susan M. Wachter, editors. 2006: Rebuilding Urban Places After Disaster: Lessons from Hurricane Katrina, University of Pennsylvania Press, Philadelphia; le esperienze e ricerche elaborate da Pelling sulla resilienza delle città e dei sistemi urbani…). 7 Tale questione è stata oggetto di un Whorkshop/research meeting dal titolo “Ist Resilience planbar?”, tenutosi a Lipsia il 6 e 7 marzo 2009 (organizzato da AK Naturgefahren/Naturrisiken der Deutschen Gesellschaft für Geographie, Helmholtz Zentrum für Umweltforschung GmbH – UFZ). 8 Il rapporto tra “resilienza” e “sostenibilità” è oggetto di numerose riflessioni teoriche da parte di Holling,

AAVV, 2002, Resilience and Sustainable Development: Building Adaptive Capacity in a World of Transformations (Background paper to WSSD), Scientific Background Paper on Resilience for the process of The World Summit on Sustainable Development on behalf of The Environmental Advisory Council to the Swedish Government. April 16 2002. Berkes, F., J. Colding, C. Folke (editors), 2003, Navigating Social-Ecological Systems: Building Resilience for Complexity and Change. 416 p. Cambridge University Press. Berke, Philip R.; Burby, Raymond J.; Godschalk, D.R.; Beatley, T.; Deyle, R.E.; French, S.P.; Kaiser E.J.; Kartez, J.D.; May, P.J.; Olshansky, R.; Paterson, R.G.; Platt, R.H.; “Unleashing the power of planning to create disaster-resistant communities”, in Journal of the American Planning Association, vol. 65 Iss. 3, 1999. Burby, Raymond J. (editor), 1998, Cooperating with Nature: Confronting Natural Hazards with Land use Planning for Sustainable Communities, Joseph Henry Press, Washington, D.C. Cannon, T., B. Wisner, I. Davis e P. Blaikie, 2004, At Risk: Natural Hazards, People’s Vulnerability, and Disasters, Routledge, London. Chamberlin Shaun, 2009, The Transition Timeline for a local, resilient future, Green Books Ldt, Devon UK. Coyle Stephen (editor), 2011, Sustainable and resilient communities. A comprehensive Action Plan for Towns, Cities and Regions, John Wiley & Songs Inc, Hoboken Colucci, Angela, 2012, Towards resilient cities. Comparing approaches/strategies, in TeMA, n 5 (2). Colucci, Angela, 2012 Le città resilienti: approcci e strategie, Polo Interregionale di Eccellenza Jean Monnet, Pavia (sito www.jeanmonnet-pv.it). Folke Carl, Colding Johan and Berkes Fikret, Synthesis: building resilience and adaptive capacity in social-ecological systems, in Folke Carl, Colding Johan and Berkes Fikret (editors), 2003, Navigating Social-Ecological Systems, Cambridge University Press, Cambridge UK. Godschalk, David R., 2003, Urban hazard mitigation: Creating resilient cities, in Natural hazards review; vol. 4 Iss. 3 August 2003. Gunderson, L., and C.S. Holling (editor), 2002, Panarchy: understanding transformations in human and natural systems. 450p. Island Press, Washington, D.C., USA. Gunderson, L. and L. Pritchard Jr. (editor), 2002, Resilience and the behaviour of large-scale systems. 240p. Island Press, Washington, D.C., USA. Janssen M. (editor), 2003, Complexity and Ecosystem

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14 • Valutazione Ambientale 23 / studi e ricerche

Management. Edward Elgar Publishers, Cheltenham UK/Northampton USA. Holling C.S., Gunderson Lance H, 2002, Resilience and Adaptive Cycles, in Gunderson Lance H. and Holling C.S. (editors), Panarchy, understanding trasformations in human and natural systems, Island press, Washington, 2002. Hopkins Rob, 2008, The Transition Handbook. From oil dependency to local resilience, Green Books Ldt, Devon UK. Malmqvist Per-Arne, Heinicke Gerald, Karrman Erik, Stenstrom Thor Axel, Svensson Gilbert, 2006, Strategic Planning of Sustainable Urban Water Management, IWA Publishing, London. Newman Peter, Beatley Peter, Boyer Heather, 2005, The Resilient city. How modern cities recover from disaster, Oxford University Press, Oxford. Steiner Frederick, Sipes James, Faga Barbara, and Yaro Robert, 2007, Mapping for Sustainable Resilience in the Gulf Coast of the United States, in Eugenie L. Birch and Susan M. Wachter (editors), 2006, Rebuilding Urban Places After Disaster: Lessons from Hurricane Katrina, University of Pennsylvania Press, Philadelphia. UN/ISDR (United Nations International Strategy for Disaster Reduction), 2002, Natural Disasters and Sustainable Development: Understanding the Links Between Development, Environment and Natural Disasters. Background document for the WSSD No. 5. Geneva, 2002. Vale, Lawrence J.; Campanella, Thomas J., 2005, The resilient city: how modern cities recover from disaster, Oxford University Press, New York. Walker, B.H. and Salt D., 2006, Resilience Thinking: Sustaining Ecosystems and People in a Changing World. Island Press, Washington, D.C., USA. Watson Donald, Adams Michele, 2011, Design for flooding. Architecture, landscape and urban design for resilience to climate change, John Wilwey & Songs Inc, Hoboken (New Jersey). Westley Frances, Zimmerman Brenda and Patton Michael Quinn, 2006, Getting to Maybe: How the World has Changed, Random House Canada. White Adam, 2010, Water and the city. Risk, Resilience and planning for a sustainable future, Routledge, Abingdon (UK). Zevenbergen Chris, Gersonius Berry, 2007, Challenges in urban flood management, in Richard Ashley, Stephen Garcin, Erik Pasche, Andreas Vassilopuos, Chris Zevenbergen (editors), (2007). Advences in Urban Flood Management, London, Taylor and Francus Group. Angela Colucci (MsArc, PhD) Co.O.Pe.Ra.Te. srl, Environmental and regional development research, Italy Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano angela.colucci@polimi.it


Studio sull’integrazione delle procedure di VIA e AIA. Analisi e proposte per il livello regionale Sonia Occhi

La Direzione per le Valutazioni Ambientali del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha da tempo avviato percorsi di collaborazione istituzionale con le diverse amministrazioni interessate dai processi di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA)1 e di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)2 a livello centrale e regionale, predisponendo Tavoli Tecnici finalizzati all’elaborazione di indirizzi che guidino l’attuazione di quanto previsto dal D.lgs 152/2006 e ss.mm.ii.3. In questo contesto, nel corso del 2012 Sogesid Spa, società in-house del Ministero dell’Ambiente, responsabile dell’attuazione del Programma PON GAS4, Asse E “Capacità Istituzionale” – Linea 7 “Sviluppo Sostenibile”, ha pubblicato il bando di gara per la redazione di uno studio di settore sul tema dell’integrazione tra i due procedimenti. La gara è stata vinta dalla Società VDP Srl di Roma che dal 1990 opera nel campo dell’ingegneria ambientale occupandosi spesso della valutazione ambientale di opere infrastrutturali di livello nazionale. All’interno di VDP è stato creato un apposito gruppo di lavoro composto da esperti nel campo della valutazione e coordinato dall’autrice del presente articolo. I lavori, sotto l’indirizzo e il coordinamento PON GAS Direzione Generale Valutazioni Ambientali del Ministero dell’Ambiente, supportato da un apposito gruppo di lavoro Sogesid, sono stati condotti tra luglio e ottobre del 2012 e lo studio di settore è stato pubblicato nel mese di dicembre 20125. Il tema dell’integrazione delle procedure di valutazione, che scaturisce dall’esigenza di aumentare l’efficacia dei procedimenti valutativi attraverso la semplificazione e il coordinamento, è esplicitamente richiamato dal Decreto legislativo 152/2006 e ss.mm.ii. In particolare, l’articolo 106 (“Norme per il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti”) stabilisce che il provvedimento di valutazione ambientale fa luogo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale per i progetti la cui valutazione è di competenza statale e che

Study on the integration of EIA and IEA procedures. Analysis and proposals for regional level The need for the coordination and simplification of both EIA and IEA procedures should be regarded as the need to achieve a coordinated procedure that avoids overlapping processes and players, as well as avoiding time delays in the same procedures. The theme of ‘substantial modifications’ is principally addressed in the audit review of the regulatory texts of reference at a regional level while the recommendations contain a series of proposals that aim to provide solutions for improvement both in terms of activity, timing and costs. Parole chiave: VIA, AIA, Regioni Key words: EIA, IEA, Regions

ricadono nel campo di applicazione dell’Allegato XII del Decreto stesso. Sebbene tale norma riguardi i provvedimenti statali, diverse regioni hanno emanato disposizioni normative e avviato percorsi di coordinamento procedurali anche attraverso l’elaborazione di indirizzi tecnici specifici. In tali realtà regionali e provinciali, relativamente ai progetti per i quali la valutazione di impatto ambientale sia di loro attribuzione e ricadano nell’Allegato VIII del D.lgs 152/2006 e ss.mm.ii., la procedura per il rilascio dell’AIA si coordina al procedimento di VIA. Nel caso in cui le due autorizzazioni coincidano, le disposizioni regionali e delle province autonome possono prevedere che il provvedimento di VIA faccia luogo anche a quello di AIA. Obiettivo dello studio, partendo dalle esperienze regionali in atto e da quanto in corso di elaborazione all’interno del Tavolo Tecnico Nazionale per la redazione di un documento di indirizzo per il coordinamento delle procedure di VIA e di AIA – istituito presso la Direzione per le Valutazioni Ambientali – è quello di contribuire a individuare una metodologia per il livello regionale e delle province autonome, attraverso la quale conseguire il coordinamento e la semplificazione delle procedure di VIA e di AIA, evitando sovrapposizioni procedimentali di soggetti coinvolti, ripetizione di analisi e attività e l’allungamento dei tempi procedurali. Sulla base di tali presupposti, lo studio di settore è stato articolato in una parte ricogniti-

va e in una propositiva. Lo studio è inoltre corredato di sei Appendici contenenti i database dei materiali ricognitivi (tutti gli atti normativi di livello regionale) esposti in relazione agli aspetti chiave che nel corso delle analisi sono emersi come di particolare rilevanza: Amministrazioni che hanno elaborato Linee Guida per la procedura di AIA; Amministrazioni che hanno elaborato Linee Guida per la procedura di VIA; Autorità Competenti in materia di AIA; Autorità Competenti in materia di VIA; Regioni che hanno definito il concetto di modifica sostanziale in ambito di AIA; Regioni che hanno definito il concetto di modifica non sostanziale in ambito di AIA.

Le Analisi Ricognitive La prima parte dello Studio consiste in una serie di analisi ricognitive a partire dalla normative vigente in materia di VIA e di AIA, dal livello internazionale e comunitario fino al livello regionale da cui emerge che l’approccio all’integrazione tra AIA e VIA trova origine nelle stesse direttive istitutive (Direttiva 96/61/CE7 e 97/11/CE8). In ambito nazionale, l’integrazione dei procedimenti è richiamata dal D.lgs 152/2006 modificato dal D.lgs 128/20109 che ricomprende in un’unica norma le procedure di VIA e di AIA. Nell’esame delle norme regionali si è cercato di approfondire le modalità di coordinamento delle due procedure, le condizioni che lo

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favoriscono, come ad esempio l’individuazione delle Autorità Competenti per i diversi procedimenti, e altri aspetti specifici come il tema delle modifiche sostanziali. Oltre all’esame della produzione normativa, sono stati ricercati anche studi sul tema e linee guida. Inoltre, e stata condotta una ricerca sulla giurisprudenza per individuare quelle condizioni di criticità che si sono venute a creare in casi correlazione dei due procedimenti. Infine, per alcune Regioni, sono stati condotti dei confronti di approfondimento con i Referenti regionali per le materie VIA e AIA, al fine di comprendere, al di là di quanto possa emergere dalla semplice lettura delle norme, quali siano le effettive modalità di coordinamento e le prassi vigenti. Ne è emerso un quadro abbastanza differenziato, con molte Regioni che non hanno provveduto all’emanazione di una propria normativa in materia di VIA e AIA, per cui applicano direttamente la norma nazionale, e con le restanti che invece si sono dotate di assetti normativi alquanto eterogenei in relazione ai temi del coordinamento tra procedure e delle modifiche sostanziali. Le ricognizioni condotte sono state sintetizzate in forma di Analisi SWOT per fare emergere in maniera chiara ed evidente le positività e le negatività riscontrate, nonché gli aspetti potenzialmente positivi o rischiosi. Sicuramente, tra gli aspetti positivi emersi c’è la prassi riscontrata in varie regioni (Emilia, Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna e Provincia di Bolzano) di una analisi della documentazione, da parte dell’Autorità Competente, preliminare alla pubblicazione e all’avvio del procedimento valutativo. Viene così meno la contemporaneità tra il deposito della documentazione, la pubblicazione della stessa e l’avvio della fase di consultazione pubblica. In caso di esito non favorevole della verifica di completezza della documentazione, il proponente provvede all’integrazione e alla successiva presentazione della documentazione completa, e vengono evitate una doppia pubblicazione e una

doppia consultazione. Altro aspetto indubbiamente positivo nell’ottica di semplificazione del coordinamento VIA-AIA, peraltro richiesto dal legislatore nazionale, è l’indizione di un’unica fase di consultazione, comune a entrambe le procedure. Tale prassi permette un efficace coordinamento tra gli attori coinvolti (in particolare tra le autorità competenti, qualora queste siano diverse per le due procedure) e un accorciamento dei tempi dell’istruttoria. La conferenza dei servizi a valenza istruttoria (così come regolata dalla Legge 241/9010) è la sede in cui le due procedure possono essere trattate (unitamente alle altre eventuali procedure autorizzative connesse) in forma coordinata e integrata, garantendo al contempo l’autonomia dei singoli procedimenti istruttori. Gli aspetti di debolezza riscontrati riguardano la non coincidenza delle Autorità Competenti per le due procedure. Mentre l’Autorità Competente per l’AIA è generalmente identificata nella Provincia, spesso quella per la via è individuata nella Regione. Questa condizione è certamente penalizzante rispetto ai casi in cui le Autorità Competenti coincidono (nell’Ente provinciale). Quasi in tutte le regioni italiane si possono verificare condizioni in cui, per determinate tipologie di impianti, le Autorità Competenti di VIA e di AIA non coincidono. Peraltro, in qualche caso la coincidenza delle Autorità Competenti VIA e AIA comporta il rischio di una possibile “fusione” delle due procedure, cui può conseguire una perdita di distinzione dei due procedimenti. In altre parole, è indispensabile che le prescrizioni ambientali (VIA) e prescrizioni autorizzative gestionali (AIA) restino ben distinte11. Sempre in relazione agli aspetti di debolezza, si riscontra spesso la carenza o assenza di coordinamento tra le autorità competenti, coordinamento che dovrebbe essere auspicabilmente esercitato dalle regioni. Infatti, in alcuni casi esistono prassi in base alle quali l’Autorità Competente per l’avvio di un deter-

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minato procedimento (ad esempio di AIA), effettua comunicazione formale all’altra Autorità Competente, senza che tale comunicazione comporti automaticamente alcun controllo “incrociato” sulla necessità di avviare contemporaneamente il procedimento di VIA. Tra gli elementi di debolezza si ricorda, inoltre, la frequente mancanza di un comune substrato culturale e semantico, adeguato a espletare tutte le fasi istruttorie a partire dalla presentazione alle Autorità Competenti della documentazione necessaria. La natura diversa dei due procedimenti, nell’ambito del reciproco coordinamento, lascia emergere la sostanziale diversità dei contenuti tecnici e scientifici che caratterizzano gli aspetti localizzativi e strutturali della VIA e quelli gestionali dell’AIA. Infine, mentre l’art. 10, comma 1 del D.lgs. 152/2006 e ss.mm.ii. stabilisce, per il livello statale, che il provvedimento di VIA faccia luogo di quello dell’AIA nei casi di cui all’Allegato XII, per il livello regionale non entra nel merito. Pertanto, a livello regionale non sempre il provvedimento di VIA sostituisce quello di AIA, determinando così un ulteriore elemento di debolezza. In merito alla presenza o meno di coordinamento procedurale, dalla ricognizione normativa è emerso che, quando previsto, si riducono i rischi che eventuali elementi ostativi legati a una procedura rallentino o compromettano l’altra. Lo svolgimento contestuale e coordinato delle due procedure, si fonda anche su documenti procedurali i cui contenuti devono soddisfare entrambi gli iter (diventa fondamentale la raccolta di contributi istruttori esaustivi, in particolare l’eventuale richiesta di integrazioni) per poter contenere le problematiche legate all’eventualità che emergano elementi di ostacolo a una delle due procedure, capaci di condizionare la prosecuzione o la durata dell’altra. La trattazione organica e sistematica dei vari temi (da quelli più attinenti ai profili localizzativi e strutturali dell’impianto a quelli riguar-


Figura 1. Fasi procedimentali.

Figura 2. Schema del sistema di Obiettivi dello Studio di Settore e degli aspetti da migliorare.

danti i suoi profili gestionali) già in sede di VIA riduce il rischio che in una procedura coordinata ci siano contrasti tra un giudizio positivo di VIA e un diniego o un condizionamento dell’AIA. Inoltre, se la VIA fa luogo dell’AIA, un coordinamento efficace delle procedure porta all’attivazione dell’AIA solo nel caso in cui venga accertata la non assoggettabilità del progetto alla VIA12. Tramite il recepimento della normativa statale nella normativa regionale, o l’attuazione diretta, tutte le Regioni prevedono il coordinamento delle procedure. Ciò deriva essenzialmente dal succitato articolo 10 del Dlgs 152/2006, sebbene si debbano considerare differenze tra procedimenti di livello statale e procedimenti di livello regionale. Il coordinamento tra le procedure, che deriva dalla norma statale, lascia però ampi margini di discrezionalità nell’applicazione e nella definizione più puntuale dei meccanismi procedimentali. Dalle ricognizioni effettuate, sono quindi

emerse regioni che, più delle altre, hanno ricercato un effettivo coordinamento volto all’ottimizzazione dei passaggi procedurali e delle tempistiche e alla riduzione di tutti i rischi di duplicazioni valutative. Tra queste, senza entrare nel dettaglio delle modalità che sono state adottate per il coordinamento, si ricordano: Calabria, Campania, Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Provincia autonoma di Bolzano, Lombardia, Umbria, Sardegna, Provincia autonoma di Trento, Valle d’Aosta e Veneto.

La Fase Propositiva Le analisi ricognitive e i focus su alcuni casi regionali hanno portato alla definizione di alcune proposte sui temi dell’integrazione procedimentale e delle modifiche sostanziali. Integrazione dei procedimenti Le proposte relative all’integrazione procedimentale mirano a fornire soluzioni migliorative in termini di attività, di tempi e di costi

procedimentali. Nella successione temporale rappresentata (Figura 1), esse tendono a incidere prevalentemente nelle prime tre fasi e potrebbero portare a una maggiore uniformità tra i contesti regionali che, essendo allo stato attuale decisamente differenziati, consentono situazioni di disparità per gli operatori/gestori che operano nelle diverse Regioni. La Figura 2 propone gli obiettivi di fondo dello Studio, vale a dire un migliore coordinamento tra le procedure di VIA e di AIA e la conseguente semplificazione delle stesse, in forma coordinata. L’efficacia delle azioni che può essere conseguita attraverso il coordinamento e la semplificazione, è riferibile all’operato di una pluralità di soggetti: Autorità Competenti, gestori/proponenti e tutti i soggetti chiamati a partecipare ai procedimenti, incluso del pubblico, che si esprimono con osservazioni. L’efficacia consiste in un migliore rapporto tra risultati conseguiti e tempi necessari al loro conseguimento e tra risultati conseguiti e risorse impiegate sia in termini di professionalità che economici. Naturalmente, il

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Figura 3. Proposte metodologiche per la semplificazione e l’integrazione dei procedimenti di VIA e di AIA. Figura 3. Proposte metodologiche per la semplificazione e l’integrazione dei procedimenti di VIA e di AIA.

coordinamento e la semplificazione dei procedimenti di VIA e di AIA comporta anche la riduzione delle problematiche altrimenti intrinseche a procedimenti non coordinati. Si pensi ad esempio al sopravvenire, in un determinato procedimento, di elementi osta-

tivi capaci di influenzare anche l’altro procedimento. La Figura 3 rappresenta le proposte metodologiche contenute nello Studio, da considerare possibilmente come un corpus unico, logicamente e funzionalmente integrato.

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Si noti che quasi tutte intervengono preliminarmente all’avvio dei procedimenti integrati. Inoltre, alcune di esse, come l’individuazione delle diverse Autorità Competenti in un unico Ente o l’obbligatorietà della Conferenza dei Servizi, necessitano, per essere attuate,


di un provvedimento legislativo. Per garantire la certezza delle proposte metodologiche, esse dovrebbero essere disciplinate attraverso modelli di cooperazione tra le istituzioni che ricoprono ruoli di Autorità Competente o attraverso la sottoscrizione di protocolli di cooperazione, anche utilizzando circolari esplicative. Infatti, è proprio la certezza dell’azione ipotizzata che garantisce un miglioramento complessivo del procedimento integrato. Nella figura sono rappresentati, a fianco di ogni proposta, i soggetti (Autorità Competente VIA, Autorità Competente AIA, Proponente) chiamati a svolgere le attività proposte. • Massimizzare l’individuazione delle Autorità Competenti VIA e AIA in un unico soggetto Tra le proposte contenute nello Studio, questa è indubbiamente una delle più importanti e capaci di incidere favorevolmente in direzione della semplificazione e del coordinamento. Laddove le Autorità Competenti VIA-AIA sono individuate in un unico Soggetto (generalmente nella Provincia, benché espressa da uffici diversi) la comunicazione in ordine ai due contesti procedimentali risulta facilitata e certamente vengono meno molti di quegli elementi ostativi che normalmente si riscontrano quando, a fronte di autorità diverse, non sono state istituite prassi comunicative certe e ben definite. La coincidenza delle Autorità Competenti in un unico Ente favorisce il coordinamento dei procedimenti. La proposta si riverbera positivamente sull’intero procedimento integrato. La facilità di comunicazione dovrebbe comportare una riduzione dei tempi della comunicazione stessa, ed è anche verosimile una riduzione dei costi procedimentali (costi di trasferta). • Elencare in modo univoco, certo ed esaustivo i contenuti e i format dei documenti da presentare per l’avvio dei procedimenti autorizzativi In sede di procedimenti, specialmente se

integrati, i documenti che complessivamente devono essere presentati ai fini delle singole autorizzazioni sono numerosi e possono generare confusione, specialmente nel gestore dell’impianto, e ritardi dovuti alla mancata presentazione, fin dalle prime fasi, di tutte le informazioni richieste per l’ottenimento di ogni singola autorizzazione. Senza prendere in considerazione le numerose autorizzazioni che spesso devono essere rilasciate nell’ambito di un procedimento integrato (ad esempio, autorizzazione paesaggistica, permessi edilizi ecc.) e mantenendo l’attenzione sui soli procedimenti di VIA e di AIA, sarebbe auspicabile che venisse esplicitato l’elenco certo ed esaustivo dei documenti e dei contenuti essenziali sulla base dei quali le Autorità AIA e VIA possano decidere, ciascuna per le proprie competenze, sulla necessità o meno di procedere (per quanto riguarda la VIA, sia verso la verifica di assoggettabilità, sia verso il procedimento vero e proprio). Questa proposta tende sia a semplificare le attività procedimentali successive all’avvio del procedimento integrato, sia a evitare perdite di tempo dovute alla necessità di provvedere, da parte del gestore/proponente, alla integrazione della documentazione ad avvio del procedimento avvenuto. • Verifica della completezza della documentazione presentata per la domanda di VIA, da parte dell’Autorità Competente, prima della pubblicazione e dell’avvio formale del procedimento Si tratta di una modalità adottata, attraverso un apposito provvedimento normativo relativo alla VIA, già da numerose regioni, che consiste nel traslare il momento dell’avvio formale del procedimento, con contestuale pubblicazione e avvio delle consultazioni, a quando l’Autorità Competente abbia accertato la completezza della documentazione presentata dal proponente/gestore. In sostanza, il proponente presenta la documentazione ai fini della richiesta di compatibilità ambientale all’Autorità competente che, entro un

tempo certo, la controlla. Nel caso la documentazione presentata venga giudicata incompleta, il proponente provvede all’integrazione e alla successiva presentazione. In tal modo, la pubblicazione sui quotidiani e la presentazione di tutta la documentazioni ai fini dell’avvio del procedimento avviene solo una volta, ad esito della verifica di completezza. La proposta incide sulle attività procedimentali in quanto evita il rischio che l’avvio del procedimento avvenga sulla base di documentazioni incomplete rendendo necessaria una successiva ulteriore pubblicazione a valle delle integrazioni apportate, con conseguente dilatamento dei tempi procedimentali. Inoltre, ai fini della presentazione delle osservazioni, i soggetti interessati potrebbero esprimersi su una base documentale certamente completa e sarebbe evitato un avvio della partecipazione dei cittadini fuorviante perché basato su documentazione incompleta. Estendendo la modalità al procedimento integrato VIA-AIA si evita il rischio che la richiesta di integrazioni ai fini VIA interferisca in una fase successiva con un procedimento di AIA non più coordinato. A fronte di un contenuto incremento dei tempi per il controllo della completezza della documentazione da parte dell’Autorità Competente (in genere, le regioni che hanno adottato questa procedura, prevedono 30 giorni), preliminare all’avvio del procedimento, si può avere una significativa riduzione dei tempi complessivi del procedimento poiché non si incorre nella possibilità che, quantomeno nei casi meno complessi, la richiesta di integrazioni avvenga dopo l’avvio dello stesso. Pertanto, si può evitare anche il rischio di una doppia pubblicazione e dei relativi costi13. • Attività di consultazioni informali tra proponente/gestore e Autorità Competenti, preliminari alla richiesta di avvio dei procedimenti Se non espressamente normata, si tratta di una prassi di difficile controllo. Essa consiste nel mettere in atto un semplice ma efficace

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meccanismo che consente al proponente/gestore di procedere correttamente nella presentazione delle richieste. Consiste in consultazioni preliminari alla presentazione delle richieste di AIA o di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA, tra proponente/gestore e Autorità Competenti. In generale però, anche considerati i tempi di produzione dei documenti necessari per richiedere le autorizzazioni o la verifica di assoggettabilità a VIA, si può incorrere nel rischio di non interloquire, al momento della presentazione dei documenti concordati, con gli stessi soggetti con cui sono stati presi gli accordi informali. Si tratta in definitiva della stessa ipotesi descritta con la proposta denominata “Certezza della consultazione tra Autorità Competenti al momento della presentazione dell’istanza di AIA”, benché al contempo più blanda (essendo una prassi non normata) e di applicazione più ampia, poiché varrebbe anche nei casi di sola presentazione di richiesta di compatibilità ambientale o di screening a VIA. Essa incide certamente sul complesso delle attività procedimentali garantendo, se necessario, l’avvio di procedimenti in forma integrata. • Certezza della consultazione tra Autorità Competenti al momento della presentazione dell’istanza di AIA In alcuni dei casi regionali esaminati nello Studio, è emerso che dopo la presentazione della richiesta di AIA da parte del gestore all’Autorità Competente, quest’ultima consulta l’Autorità Competente per la VIA allo scopo di verificare se ci siano le condizioni per avviare la verifica di assoggettabilità a VIA o, direttamente, il procedimento di VIA. Questo, dal punto di vista del gestore, rappresenta una notevole semplificazione. È però necessaria una precisa codifica della documentazione da presentare che, sebbene finalizzata alla richiesta di AIA, deve contenere elementi sufficienti affinché la relativa Autorità Competente esprima un giudizio ai fini VIA. Pertanto questa proposta metodolo-

gica si accompagna strettamente a quella di “Elencare in modo univoco, certo ed esaustivo i contenuti e i format dei documenti da presentare per l’avvio dei procedimenti autorizzativi”. Si tratta di un’ipotesi che interessa la fase precedente l’avvio del procedimento e comporta inoltre, che si verifichi anche quel controllo preliminare descritto in “Verifica della completezza della documentazione presentata per la domanda di VIA, da parte dell’Autorità Competente, prima della pubblicazione e dell’avvio formale del procedimento”. Se attuata, questa proposta garantisce l’avvio coordinato dei procedimenti di VIA (o di verifica di assoggettabilità) e di AIA, qualora siano necessari entrambi, sollevando al contempo il proponente/gestore dalla necessità di comprendere autonomamente se sussistano le condizioni che rendono necessaria la VIA o la verifica di assoggettabilità. Si tratta pertanto di un’ipotesi di lavoro che può comportare una significativa riduzione delle attività e dei tempi procedimentali ma necessita indubbiamente di forme che la disciplinino in modo tale da garantire la certezza della consultazione. • Obbligatorietà della Conferenza dei Servizi qualora sia verificata la necessità di provvedimenti di AIA e di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA Dalle esperienze riscontrate a livello regionale, la Conferenza dei Servizi14 quale momento per l’espletamento delle attività procedimentali relative alle diverse autorizzazioni, risulta essere uno strumento unico e irrinunciabile. Essa, soprattutto se indetta nell’ambito di un procedimento coordinato di VIA e AIA, garantisce che tutti i soggetti chiamati a partecipare e a esprimersi in merito ai procedimenti, possano prendere atto degli sviluppi procedimentali ed esprimano la propria posizione, secondo le proprie competenze istituzionali, nel rispetto delle tempistiche. Il confronto diretto, possibile attraverso la Conferenza dei Servizi consente, inoltre, di ovviare alle eventuali difficoltà comunicative

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che si creerebbero, in casi di procedimenti non coordinati, tra soggetti che non condividono lo stesso linguaggio tecnico. Nel caso di procedimenti non coordinati, la Conferenza dei Servizi azzera il rischio derivante da una comunicazione insufficiente relativa a elementi ostativi, relativi ad una procedura, che ostacolino l’altra. Il provvedimento autorizzativo che comporta prescrizioni, se preso in sede di Conferenza dei Servizi a valenza autorizzativa, dovrebbe garantire il massimo coordinamento nel caso di prescrizioni che rientrino nella sfera di interesse dell’AIA consentendo, al contempo, di minimizzare i rischi di ripetizione di attività analoghe (ad esempio doppie valutazioni di aspetti tecnici afferenti ad entrambi i procedimenti). È essenziale agganciare saldamente i tempi della Conferenza dei Servizi ai tempi del procedimento principale (di VIA) per assicurare la conclusione della Conferenza in tempi certi. A fronte dell’impossibilità che la Conferenza arrivi ad esprimere il provvedimento conclusivo entro i tempi di legge, alcune Regioni hanno stabilito che essa deve comunque fissare una tempistica per l’espressione di tale provvedimento. In relazione alla tempistica, è opportuno prevedere un coordinamento della Conferenza forte e il più possibile super partes. L’ipotesi che esso sia affidato all’Autorità Competente VIA (spesso individuata nella Regione ma, talvolta, anche nella Provincia o addirittura nei Comuni) dovrebbe essere riconsiderata andando a individuare sistematicamente nella Regione il soggetto che, coordinando, si fa garante delle molteplici istanze che possono essere avanzate in sede di Conferenza. Si pensi, ad esempio, alle istanze avanzate dai Comuni Contermini il territorio di intervento che non hanno facoltà di esprimere direttamente le loro posizioni ma che trovano nella Regione il soggetto che si fa portatore dei loro interessi. La compresenza di tutti i soggetti interessati ai diversi procedimenti consente, in sintesi, di ottimizzare i vari percorsi decisionali. È


evidente, che l’ottimizzazione di diversi percorsi procedimentali, in forma integrata, garantisce anche una riduzione dei tempi complessivi altrimenti necessari per lo svolgimento dei procedimenti singolarmente. Minori costi procedimentali (ad esempio dei costi di trasferta) possono essere una diretta conseguenza dell’integrazione dei procedimenti. • Portali web a supporto dei procedimenti In taluni casi regionali, la creazione di un portale web IPPC-AIA si configura come strumento di interfaccia tra Autorità Competenti e gestori degli impianti. Esso, oltre ad essere lo strumento attraverso il quale assumere tutte le informazioni, i documenti, i modelli necessari per le procedure AIA e VIA, può essere utilizzato anche per l’invio dei Report degli impianti soggetti ad AIA, sia mediante caricamento diretto degli elaborati, sia mediante inserimento diretto dei dati richiesti secondo format codificati, o di qualunque altra comunicazione che rientra tra le ottemperanze a carico dei gestori. In alcuni casi regionali, la ricevuta generata dal portale, a completamento del caricamento dei dati, è il titolo valido ad attestare che il gestore ha rispettato gli obblighi di comunicazione fissati dalle norme. Modifiche sostanziali Nel recepire la Direttiva comunitaria 2008/1/CE relativa all’Autorizzazione Integrata Ambientale, il Dlgs 152/2006 modificato dal Dlgs 128/2010, affronta il tema delle modifiche sostanziali nel caso di modifiche a impianti esistenti, poiché il gestore è tenuto a comunicare all’Autorità Competente le modifiche che intende apportare all’impianto. L’Autorità Competente aggiorna il provvedimento di AIA ma, nel caso ritenga che le modifiche possano incidere sulle prescrizioni del provvedimento o le relative condizioni, oppure nel caso ritenga che le modifiche siano sostanziali, ne dà notizia al gestore che è tenuto ad inviare all’Autorità Competente una nuova domanda di autorizzazione aggior-

nando le informazioni già presentate. Il tema delle modifiche sostanziali rappresenta una questione spesso controversa, rispetto alla quale le regioni hanno adottato approcci diversi. Il Dlgs 152/2006 e ss.mm.ii. definisce la modifica sostanziale con l’enunciato di cui all’art. 5, lett. l-bis) laddove si afferma che è tale “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell’impianto, dell’opera o dell’infrastruttura o del progetto che, secondo l’autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull’ambiente”. La condizione di riscontro di “effetti negativi e significativi sull’ambiente” è, peraltro, quella sulla quale si fonda anche la necessità di procedere alla verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione d’impatto ambientale. Essendo però il concetto di modifica sostanziale legato essenzialmente all’AIA (perlomeno secondo quanto espressamente esplicitato a livello normativo), da quanto stabilito dall’art. 5 si desume che la modifica sostanziale in quanto tale, ovvero perché comporta effetti negativi e significativi, determina la verifica di assoggettabilità a VIA15. Con riferimento all’AIA, l’ulteriore traduzione del concetto di sostanzialità in “valori soglia”16, comportando da un lato la necessità di definizione di tali valori determina, dall’altro, notevoli profili di problematicità nell’ottica di integrazione della procedura con la VIA per almeno due ragioni. La prima è che sembra essere messo in secondo piano l’assunto in base al quale la modifica è sostanziale se determina effetti negativi e significativi sull’ambiente, dal momento che sembrerebbe implicitamente sottinteso che sotto tali valori soglia non si verifichino effetti negativi e significativi sull’ambiente. La seconda consiste nel definire tali valori soglia. A questo proposito, molte regioni si sono espresse definendo valori soglia articolati e differenziati per tipologia di impianto. L’Allegato VIII del Dlgs 152/2006 e ss.mm.ii. prevede valori di soglia solo per alcuni tipi di impianti. L’art. 5, co. 1, lett. l-bis stabilisce

che per tali impianti, la modifica è sostanziale se da luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa. Invece, in tutti gli altri casi (impianti per i quali l’Allegato VIII non definisce soglie), vale la definizione di modifica sostanziale quale variazione delle caratteristiche o del funzionamento capace, secondo l’Autorità Competente, di produrre un effetto negativo e significativo sull’ambiente. Tale definizione chiama in causa l’esame caso per caso come modus operandi e, conseguentemente, la discrezionalità dei risultati a cui si perviene. In un’ottica di procedimento integrato, in tutti i casi e quindi anche in quelli con soglie inferiori ai limiti che il Dlgs 152/2006 considera sostanziali, si presenta la necessità di verificare che la modifica non sia significativa ai fini VIA. La ricognizione relativa agli indirizzi regionali in merito alle modifiche sostanziali ha fatto emergere un quadro abbastanza differenziato da Regione a Regione. Alcune regioni hanno approfondito l’individuazione delle modifiche sostanziali e non, seguendo sostanzialmente due tipi di approccio. Il primo, prevalente, consiste del definire le modifiche sostanziali ai fini AIA in relazione alle tipologie di impianto più significative presenti nel contesto regionale. Il secondo, comunque riconducibile alla tipologia di impianti prevalenti nel territorio, fa invece riferimento agli effetti prodotti sulle matrici ambientali. In un’ottica di integrazione dei due procedimenti, l’indicazione di un valore di soglia ai fini AIA, specialmente se quantitativo, non può essere svincolato dall’ambito localizzativo che, ai fini VIA, diventa sostanziale, da cui ne consegue che, quando definite, le soglie AIA dovrebbero essere rivalutate ai fini VIA sulla base del contesto di intervento. In generale, pertanto, se in ambito strettamente AIA l’individuazione della sostanzialità attraverso la definizione di soglie quantitative è un approccio valido, in un contesto di procedimenti integrati comporta sempre la necessità di verificare che gli effetti prodotti

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dalla soglia sull’ambiente siano tali per cui si rende necessario procedere allo screening o direttamente alla VIA. Altro tipo di approccio che è stato adottato dalle Regioni nel definire le modifiche sostanziali, è legato agli effetti prodotti dalle modifiche e quindi alle matrici ambientali interferite. Sono così state definite modifiche in base alle emissioni in atmosfera e nei corpi idrici a prescindere dagli impianti emettitori. L’approccio basato sull’effetto prodotto, se non quantificato tramite soglie, è auspicabile soprattutto se correlato alle Direttive comunitarie di settore e alle relative norme di recepimento nazionale. In definitiva, quindi, in una logica di integrazione dei procedimenti, sembra opportuno non ricorrere alla definizione di valori soglia che, pur consentendo di escludere, nel caso in cui le soglie non siano raggiunte, la possibilità di ricorso all’AIA, non possono fare altrettanto rispetto alla VIA, per la quale occorre comunque valutare le conseguenze sull’ambiente. Questo approccio, specialmente se combinato all’approccio per matrici ambientali, comporta differenze da regione a regione a volte macroscopiche (come ad esempio gli aumenti di emissione di alcuni inquinanti che vanno dal 50% in alcune regioni al 100% in altre) che determinano condizioni di disparità tra impianti analoghi situati in diversi contesti regionali. Quest’ultimo aspetto non è marginale. Nonostante le Regioni tendano a disciplinare i valori soglia rispetto alle tipologie di impianti effettivamente significative nel territorio regionale e nonostante non si siano riscontrati casi in cui Regioni diverse abbiano definito valori soglia per le stesse tipologie di impianti, è teoricamente possibile che questo accada e, nel caso molto probabile che le Regioni assumano decisioni diverse, è certo che si verrebbero a creare situazioni di disparità rilevanti. In definitiva, quindi, si ritiene che l’approccio migliore per la definizione delle modifiche sostanziali sia quello tipologico, qualitativo e

adimensionale, cioè non ancorato a valori soglia che, se risolutivi nel solo contesto AIA, non lo sarebbero in un processo integrato.

Conclusioni A partire dall’analisi del differenziato contesto normativo regionale, e focalizzando l’attenzione sui temi relativi alle modalità di integrazione dei due procedimenti e delle scelte in merito alle modifiche sostanziali adottati nei vari contesti regionali, lo studio è arrivato a definire un propria proposta metodologica, distinta per i due temi. Per il primo tema, la proposta consiste in una serie di modalità operative, in genere già sperimentate in determinati contesti regionali, che hanno mostrato, se adottate, di poter favorire il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti. Per quanto riguarda il secondo tema, invece, emerge che ai fini dell’integrazione dei procedimenti, il ricorso alla definizione di soglie per le modifiche sostanziali, utile ai fini del procedimento AIA, non è invece risolutivo per quello di VIA in presenza di processo integrato. In ogni caso, gli esiti dello studio devono essere intesi come un contributo fornito al processo, avviato dal Ministero dell’Ambiente e ancora in corso, di collaborazione istituzionale tra le amministrazioni interessate dai procedimenti di VIA e di AIA. Note 1 Direttiva 97/11/CE del 3 marzo 1997. Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Gazzetta ufficiale del 14/03/1997, n. L 073. 2 Direttiva 2008/1/CE del 15 gennaio 2008. Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento. G.U.C.E. del 29 gennaio 2008, n. L 24/8. La Direttiva abroga e sostituisce la precedente Direttiva 96/61/CEE del Consiglio del 24 settembre 1996 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento.

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Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia ambientale. G.U. n. 88 del 14 aprile 2006 – Supplemento Ordinario n. 96. Successivamente modificato e integrato dal Decreto Legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 e dal Decreto Legislativo 29 giugno 2010, n.128. 4 Programma Operativo Nazionale “Governance e Azioni di Sistema” 2007-2013 Obiettivo convergenza. 5 Gruppo di lavoro VDP, (2012), Studio di settore Processo integrato delle procedure VIA – AIA. Un modello integrato per il livello regionale, PON GAS 2007 – 2013 Programma Operativo Nazionale “Governance e Azioni di sistema” – Asse E “Capacità istituzionale” – Linea 7 “Sviluppo sostenibile” – Azione 7.B “Azioni di supporto ai processi di VAS e ai procedimenti di VIA”, Roma. 6 Articolo così modificato dall’Art. 2, comma 8, D.lgs n. 128 del 2010. 7 Direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996. Direttiva del Consiglio sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento. GU del 10 ottobre 1996, n.L 257. 8 Direttiva 97/11/CE del 3 marzo 1997. Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. GU del 14 marzo 1997, n. L 073. 9 Vedi nota 3. 10 Legge 7 agosto 1990, n. 241. Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. G.U. del 18 agosto 1990 n. 192. 11 TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 26 novembre 2007, sentenza n. 3365. VIA – Autorizzazione integrata ambientale – Concetto e natura dell’AIA – Differenza rispetto alla VIA – Autonoma impugnabilità – Fondamento. La sentenza afferma che l’autorizzazione integrata ambientale è un provvedimento che incide specificamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, mentre la procedura di VIA investe più propriamente i profili localizzativi e strutturali. Perciò l’AIA non può essere considerata atto strettamente consequenziale rispetto alla VIA ma anzi in quanto produttiva di propri specifici effetti può essere autonomamente impugnata (a prescindere dall’impugnazione della VIA). 12 Nella Regione Toscana, in caso di progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità alla VIA, l’AIA è richiesta solo dopo che, a esito della predetta verifica, l’autorità competente valuti di non assoggettare i progetti a VIA. (LR 10/2010, art. 73-bis, comma 5). 13 Questa proposta è stata adottata dalla Regione Emilia Romagna con la Legge Regionale Emilia Romagna del 20 aprile 2012, n. 3. Riforma della Legge regionale 18 maggio 1999, n. 9 (Disciplina della procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale) Disposizioni in materia ambientale. B.U. 20 aprile 2012, n. 68, Anno 43, Parte prima – N. 5. La legge è stata oggetto di osservazioni da parte del Dipartimento Affari Regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha ipotizzato la difformità dalla normativa statale, la quale pre3


Chiesetta nei pressi di Idrija (Slovenia). Foto di Manuela Ghirardi.

vede la contestualità delle pubblicazioni e della presentazione della domanda di VIA. 14 La Conferenza dei Servizi è indetta dall’Autorità Competente, “ove ritenuto utile”, ai sensi dell’art. 9, comma 2, D.lgs 152/2006 e ss.mm.ii. 15 Con riferimento alla VIA, il concetto di modifica sostanziale si ritrova all’art. 24 (Consultazione), comma 9-bis laddove, successivamente alle (eventuali) modifi-

che degli elaborati da parte del proponente (comma 9), se l’Autorità Competente ritiene che esse siano “sostanziali” e rilevanti per il pubblico, ne determina la pubblicazione. 16 D.lgs 152/2006 e ss.mm.ii., art. 5 (Definizioni), comma1, lett. l-bis: “In particolare, con riferimento alla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale, per ciascuna attività per la quale l’allegato VIII indica valori di

soglia, è sostanziale una modifica che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa”. Sonia Occhi Responsabile di progetto – VDP srl occhi@vdpsrl.it

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valutazione della green economy

dossier


La green economy e il suo campo di estensione Marco Frey

Esiste una diffusa consapevolezza riguardo al fatto che il nostro modello di sviluppo ha preso una strada senza uscita e che è necessario ripensare profondamente alle modalità attraverso cui non solo superare l’attuale fase di crisi, ma riorientare le basi attraverso cui è possibile garantire un adeguato benessere alle future generazioni. In questa prospettiva la green economy è stata vista a livello istituzionale come un driver di cambiamento di lungo periodo (UNEP, 2011; OCSE 2011; World Bank, 2011), in cui fare “meglio con meno”, cercando di salvaguardare il nostro pianeta sotto pressione, preservando il capitale naturale e cercando di ottenere al contempo un opportuno sviluppo che consenta un’adeguata qualità della vita per tutti in un mondo più equo. Questo visione ottimistica non è stata condivisa da molti economisti, che avversi a slogan poco dimostrabili, insistono sulla necessità che vi siano attente analisi dei costi e dei benefici delle diverse alternative di uscita dalla crisi e che non si può considerare la green economy come un “grande banchetto gratuito che è stato messo sotto il nostro naso” (Schmalensee, 2012).

La definizione della green economy a livello internazionale Facendo riferimento ai documenti delle istituzioni internazionali, ai fini dell’individuazione di una definizione di green economy, più che al documento finale della Conferenza Rio+201, può essere utile ricorrere ai lavori preparatori predisposti dall’UNEP e dall’OCSE, nonché ai recenti atti della Commissione Europea2. L’UNEP (2011) con il suo rapporto “Verso una green economy” ha enfatizzato l’importanza, tanto più in periodo di crisi, dell’economia verde come chiave per perseguire lo sviluppo sostenibile e lo sradicamento della povertà. In effetti l’UNEP (2010) definisce un’economia green come quella capace di migliorare il

The green economy and its field of extension At an institutional level the green economy has been seen as a driver of change over time, as doing ‘better with less’ while aiming to protect our planet, already under pressure, preserve the natural capital and, at the same time, striving to achieve appropriate developments which allow for an adequate quality of life for all in a more equitable world. This optimistic view has not been shared by many economists, who insist instead on the need for careful analysis of the costs and benefits of different alternatives through which to overcome the crisis. Parole chiave: Green Economy, analisi costi-benefici Key words: Green Economy, cost-benefit analysis

benessere umano e l’equità sociale, riducendo contestualmente i rischi ambientali e le scarsità ecologiche. In una economia più verde, la crescita nel reddito e nell’occupazione sono guidati da investimenti pubblici e privati che riducono le emissioni di anidride carbonica e l’inquinamento, rafforzando l’efficienza nell’uso delle risorse e prevenendo la perdita di biodiversità e i servizi ecosistemici. Questi investimenti necessitano dell’orientamento e del supporto della spesa pubblica, di riforme nelle politiche e di cambiamenti nella regolazione. Il sentiero di sviluppo dovrebbe, infatti, mantenere, consolidare e, laddove necessario, ricostruire il capitale naturale come risorsa economica critica e fonte di pubblici benefici. Ciò risulta essere particolarmente importante per le popolazioni più povere la cui vita e sicurezza dipende direttamente dalla natura. Il rapporto UNEP (2011) evidenzia nella prima parte quali sono gli ambiti del capitale naturale in cui appare necessario investire (l’agricoltura, la pesca, l’acqua, le foreste), mentre nella seconda parte approfondisce le opportunità nella gestione efficiente delle risorse (energia rinnovabile, industria, rifiuti, edifici, trasporti, turismo, città) e nella terza si sofferma su come supportare la transizione verso la green economy (modelli, condizioni abilitanti, finanza). Nel complesso l’investimento ipotizzato per attuare la conversione dell’economia tradizionale in una economia più verde, sarebbe pari a 1.300 miliardi di dollari (2% del PIL)3. All’interno di questi

investimenti complessivi si possono individuare alcuni ambiti di particolare rilevanza, come ad esempio i trasporti dove i benefici in termini di costi sociali evitati, derivanti dagli ingorghi, dagli incidenti, dall’inquinamento in alcuni contesti possono raggiungere miglioramenti per un valore pari a diversi punti di PIL. Oltre l’UNEP anche l’OCSE ha prodotto documenti e strategie a supporto della green economy e in particolare del green growth. Con questo termine l’OCSE si riferisce alla promozione di una crescita economica che sappia ridurre l’inquinamento, le emissioni di gas serra e i rifiuti, assicurando che il patrimonio naturale continui a fornire le risorse e i servizi ambientali su cui si basa il nostro benessere. Il cuore della strategia di crescita verde è la promozione delle condizioni necessarie a favorire l’innovazione, gli investimenti e la concorrenza che possano creare un terreno fertile per la nascita di nuove fonti di sviluppo economico compatibile con ecosistemi resilienti. Tra le condizioni si sottolinea l’importanza di assicurare un quadro stabile in grado di generare fiducia e sicurezza per le imprese e i cittadini, favorendo gli investimenti e l’innovazione orientata ad un uso più efficiente delle risorse. Al tempo stesso la crescita verde potrebbe anche produrre notevoli incrementi dell’occupazione, che, limitandosi al settore dell’energia low carbon, sarebbero nell’ordine dei 20 milioni di nuovi posti di lavoro creati entro il 2030 (OCSE, 2011)4.

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dossier

A pagina 34, Valle dei sette laghi – Parco Nazionale del Tricorno (Slovenia). Foto di Manuela Ghirardi.

Il perimetro della green economy e le diverse modalità di integrazione Il termine green in passato è stato utilizzato come aggettivo a fianco di molti sostantivi. Ma il concetto di green economy che abbiamo visto in precedenza assume un significato più olistico e sistemico: non si tratta di sviluppare solo green policies da parte delle istituzioni, né di attivare solo strategie di green management da parte delle imprese, né di limitarsi a sostenere lo sviluppo di green technologies da parte del mondo della ricerca, o di disporre solamente di consumatori green oriented, o ancora di promuovere occupazioni green. Green economy implica l’insieme integrato di questi ambiti e attori (Symbola, 2010). Il perché proprio oggi le tematiche della sostenibilità vengano ad assumere un ruolo così olistico è il risultato combinato di due processi: la transizione tipica della fase di crisi che stiamo vivendo e l’impegno globale nei confronti della lotta al cambiamento climatico; entrambi processi che sono in grado di mobilitare impegni molto estesi. Da un lato, la recente crisi ha posto in evidenza la necessità di ripensare ai meccanismi di funzionamento del sistema economico, superando una prospettiva incentrata sul breve periodo, sulla finanziarizzazione spinta, sulla centralità del profitto, sull’opportunismo a favore di una prospettiva sistemica basata su una maggiore sostenibilità di uno sviluppo equo ed equilibrato. Tale prospettiva richiede la capacità di collocare le trasformazioni economiche, politiche, sociali e ambientali che in questi ultimi anni hanno investito, in modo radicale, la nostra società, all’interno di un sistema integrato le cui potenziali evoluzioni a favore di una migliore competitività ed una maggiore efficienza possono essere meglio indirizzate solo se ogni elemento viene colto nella sua interazione con gli altri. Questa interazione sistemica è caratterizzata da diverse tipologie di integrazione. In primo luogo l’integrazione tra sviluppo economico ed ecosistema. La tutela e la valorizzazione dell’ambiente non è più un vincolo, ma

costituisce un’opportunità. Per l’Italia ciò significa rilanciare i punti di forza del nostro sistema produttivo (la vocazione manifatturiera, l’orientamento alla qualità e alla creatività, l’immagine internazionale del made in Italy, la flessibilità, le specializzazioni produttive radicate nei territori, ecc.), valorizzando le potenzialità della prospettiva green per superare i nostri punti di debolezza (carenza di materie prime, bassa produttività del lavoro, ridotta capacità di ricerca e sviluppo, difficoltà a “fare sistema”, ecc.). Questa opportunità di posizionamento competitivo è fortemente basata sulla capacità di innovazione che il nostro sistema saprà esprimere unendo le forze di cui disponiamo all’interno di tutta la catena del valore dell’economia e non solo nell’ambito dei settori green. Nella green economy si tende a sottolineare innanzitutto il riorientamento del settore energetico rispetto alla sfida del riscaldamento globale (low carbon economy), ma la prospettiva si allarga pervasivamente alla transizione dell’economia verso uno sviluppo sostenibile. In questo ambito assumono pari rilevanza rispetto al ciclo dell’energia altri cicli, come quello dell’acqua, dei rifiuti, di uso del suolo e di valorizzazione del paesaggio5, destinati a costituire ulteriori ambiti rilevanti di investimento e innovazione. Competitivi diventano quindi quei prodotti e servizi che garantiscono un basso impatto ambientale lungo tutte le fasi del ciclo di vita. In questo ambito si assiste ad un’altra integrazione all’interno delle filiere in cui al rapporto biunivoco tra produttore e cliente si sostituisce una relazione aperta in cui i diversi protagonisti di tutto il sistema vengono coinvolti. Questa evoluzione porta al concetto di responsabilità condivisa: progettisti, produttori, distributori, gli utenti finali, ma anche le istituzioni e i cittadini non sono parti distinte di un percorso lineare, ma soggetti attivi interdipendenti in un sistema dinamico e complesso di relazioni6. L’accezione che qui si intende adottare di green economy non è quindi solamente imperniata sulle opportunità di business offerte da nuove soluzioni tecnologiche e tecniche in risposta alle scarsità emergenti (di energia, di

acqua, di cibo, di abbattimento delle emissioni serra), in una prospettiva che potremmo sinteticamente definire “green business”, ma anche nelle possibilità legate ad un sistema economico evoluto in cui l’offerta delle imprese si accompagna ad una domanda consapevole dei consumatori, a comportamenti responsabili dei cittadini ed a policies da parte delle istituzioni che sappiano guardare al lungo periodo. In questo sistema evoluto la qualità dei prodotti e dei processi si integra strettamente con il tema cruciale del lavoro. Le nuove opportunità occupazionali e professionali che la green economy porta con sé hanno sia una valenza quantitativa, come dimostrano i nuovi posti di lavoro generati in Paesi sulla frontiera di queste innovazioni come la Germania, sia una valenza qualitativa, grazie al fatto che le occupazioni si arricchiscono dal punto di vista contenuto del lavoro, aggiungendo competenze green alle professionalità tradizionali (Symbola, 2012) o dedicando l’indispensabile attenzione ai diritti e della sicurezza del lavoratore, aspetto che non può venire meno, specie se si vuole produrre in chiave di sostenibilità. Queste istanze di miglioramento non possono peraltro più essere considerate solamente in una prospettiva locale, in cui i rapporti e la condivisione degli obiettivi sono facilitati dall’appartenenza la medesimo territorio, ma devono essere reinterpretati in una prospettiva globale, in cui le filiere i mercati, le istituzioni assumono una dimensione internazionale, senza però perdere le loro specificità contestuali. Questa integrazione tra locale e globale è un’altra componente chiave della green economy, a cui sono chiamati a contribuire l’insieme degli attori sopra individuati. Vi è infine un’ulteriore prospettiva di integrazione relativa al fatto che con Green economy ci si riferisce ad un modello produttivo che pone al centro tanto il prodotto quanto il processo. Dal punto di vista dei processi abbiamo già evidenziato la centralità dell’orientamento all’eco-efficienza, sia sul fronte degli input ovvero la capacità di impiegare meno energia e materia a parità di prodotto, sia di output

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ovvero la capacità di ridurre le emissioni e la produzione dei rifiuti per unità di prodotto. Secondo una lettura input-output sono quindi da considerare “green” quei processi produttivi in grado di produrre uguali o maggiori unità di prodotto o di valore aggiunto utilizzando minori quantità di materia ed energia e in grado di realizzare la stessa o una maggiore quantità di output, riducendo la pressione sull’atmosfera, sull’acqua e sul suolo e generando una minore quantità di rifiuti non reimpiegabile nel ciclo produttivo. Il tema dell’efficienza in una prospettiva più ampia valorizza pienamente i prodotti, in cui diventa essenziale un approccio al loro ciclo di vita integrato, dalla produzione al consumo, anche e soprattutto in una logica di maggiore connessione fra i cicli industriali: si generano così flussi di risorse materiali e energia in cui nessuno scarto dovrebbe restare inutilizzato. Sono molte le azioni che possono contribuire a questa prospettiva di un’economia “green” e “lean”7: vanno dalla riduzione materica che consiste nel realizzare un prodotto con quantità ottimizzate di materiali e energia, al DFD (progettazione per il disassemblaggio), in cui gli oggetti vengono costruiti in previsione del fatto che, per essere riciclati, devono essere smontati. È molto importante a tal fine agevolare la tracciabilità e il riconoscimento dei materiali: molti Paesi hanno introdotto una normativa che prevede la marchiatura dei componenti per una veloce identificazione. Ciò significa anche preoccuparsi di analizzare, attraverso strumenti come l’LCA (analisi del ciclo di vita), che un prodotto green sia associato ad un processo che sia adeguatamente green. Politiche efficaci per la green economy, quindi, dovranno puntare sulla valorizzazione delle eccellenze ma anche, e soprattutto, definire le regole per una vera economia di sistema che possa gradualmente allargarsi a tutti i soggetti. Il fatto che la sfida interessi da vicino i cittadini è dimostrato dal fatto che circa la metà delle emissioni di gas serra è riconducibile, direttamente o indirettamente, all’attività di consumo delle famiglie. In questo senso, è

chiaro come l’evoluzione dei comportamenti individuali abbia un impatto fortissimo in una sfida di questo tipo. Ed in questo senso sarà fondamentale tenere presente con forza le esigenze della domanda e dei consumatori, evitando quella che è chiamata “miopia del marketing verde”, ovvero la tendenza a non considerare con la dovuta importanza il trade-off sempre presente nella combinazione fra caratteristiche del prodotto, qualità “ambientale” e prezzo. Coniugare la qualità, con l’efficienza e la compatibilità ambientale è una delle sfide fondamentali di un green marketing che potremmo definire strategico. Ciò avendo ben presente che la disponibilità di condizioni favorevoli agli investimenti non sempre genera effettivi benefici per l’ambiente. La corsa alla green economy, infatti, è caratterizzata anche dalla presenza di soggetti che tentano di cavalcarne il significato amplificandolo in percorsi comunicativi e mediatici, col risultato che le ricadute ambientali delle iniziative economiche vengono trasformate in slogan, trovate commerciali o semplicemente azioni di green washing (Iraldo, Melis, 2012). Il fatto è che non tutti gli interventi che hanno un impatto ambientale positivo e generano un profitto per chi li pone in essere possono rientrare nell’ambito della green economy. In quest’ottica, scegliere se qualificare o meno un intervento o una politica come green impone un’attenzione agli aspetti di interazione e alla ponderazione degli effetti su tutte le componenti interessate. In conclusione, il concetto e il perimetro di riferimento della green economy non può che essere ampio, al fine di attribuire ad essa la valenza strategica di cambiamento del paradigma economico che in questa fase storica appare essenziale. Per evitare però che questa ampiezza comporti una diluizione del significato è altrettanto importante evidenziarne le caratteristiche peculiari che sono: un forte orientamento all’innovazione, al miglioramento effettivo delle prestazioni in un’ottica integrata di ciclo di vita, ad un coinvolgimento sistemico dei diversi attori. L’orientamento all’innovazione deve essere

visto in una prospettiva di gradualità, oggi probabilmente la green economy non può essere considerata come un nuovo paradigma tecnoeconomico, ma come un’importante traiettoria di innovazioni, le cui radici si sono consolidate nell’ultimo decennio e le cui potenzialità di sviluppo che stanno emergendo con decisione presentano prospettive ancora molto ampie. Queste potranno essere tanto più rilevanti, quanto più si saprà dar luogo ad una logica di sistema in cui istituzioni, imprese e cittadiniconsumatori genereranno azioni integrate di co-evoluzione dell’economia e degli stili di vita nella prospettiva della sostenibilità.

Il problema della misurazione e le implicazioni di policy La trasformazione indotta dalla green economy rappresenta in realtà una profonda novità nell’ambito della teoria economica, che salvo nel circoscritto filone dell’”economia ecologica”, ha sempre preso poco in considerazione l’importanza delle risorse ambientali8. In questa prospettiva la rappresentazione consapevole di un’economia verde può essere ricondotta alla stesura nel 2006 del Rapporto Stern, il quale propone un’analisi economica che valuta l’impatto ambientale e macroeconomico dei recenti cambiamenti climatici9, denunciandone il peso negativo sul PIL mondiale. In effetti la complessità della transizione verso una economia più green rende necessari appropriati indicatori sia a livello macroeconomico, che a livello settoriale. Gli indicatori convenzionali come il PIL forniscono infatti una lente distorta di misurazione delle performance economiche, ciò soprattutto perché non sono in grado di rappresentare quali attività di produzione e consumo sono maggiormente in grado di depauperare il capitale naturale. Ciò che è essenziale è riuscire a promuovere innovazioni all’interno del sistema economico che sappiano migliorare la qualità, più che la quantità delle produzioni e dei consumi. Come è stato sottolineato a Rio nel 2012 nell’ambito del Corporate Sustainability Forum

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del Global Compact, per perseguire il delicato equilibrio tra sviluppo economico, giustizia sociale e difesa dell’ecosistema, le infrastrutture finanziarie e di mercato devono essere riorientate verso obiettivi di sostenibilità e adattate per meglio integrare le esternalità ambientali e le considerazioni sociali nel mainstream delle attività economiche e finanziarie. Ciò significa che i costi ambientali e sociali devono riflettersi nei prezzi e nella misurazione delle attività economiche, nonché le informazioni sulle performance di sostenibilità devono essere disponibili a tutti i livelli di attività economica, in modo da consentire ai consumatori, alle imprese, agli investitori e ai Governi di effettuare le scelte adatte. Al tempo stesso i modelli di business e i prodotti finanziari devono essere sviluppati per consentire ai flussi di capitale di fluire in misura adeguata verso gli investimenti più sostenibili. Per quanto cruciali, soprattutto in un periodo di transizione caratterizzato da scarsa liquidità, da soli gli strumenti finanziari non sono tuttavia sufficienti. La strategia green dell’OCSE evidenzia, infatti, la necessità di politiche per l’innovazione anche dal lato della domanda che contribuiscano a promuovere un mercato per le ecotecnologie innovative. Tra queste, il perfezionamento dei sistemi di appalti pubblici e la messa a punto di strumenti che favoriscano prodotti e servizi ecocompatibili. Inoltre un elemento centrale all’interno delle politiche dovrebbe riguardare l’attribuzione di un prezzo all’inquinamento o allo sfruttamento eccessivo di risorse naturali scarse, attraverso meccanismi quali imposte o sistemi di permessi negoziabili. I meccanismi di tassazione tendono a ridurre i costi delle operazioni volte a raggiungere un determinato obiettivo e forniscono incentivi per incrementare ulteriormente l’efficienza e l’innovazione. Peraltro in periodo di riforme fiscali e di spending review, un maggiore utilizzo delle tasse ambientali può giocare un ruolo nell’ambito di politiche fiscali orientate alla crescita, contribuendo a ridurre parte dell’onere fiscale

gravante sul reddito personale e societario, nonché i contributi sociali. Anche le imposizioni sui prodotti energetici e sulle emissioni di anidride carbonica possono facilmente costituire parte di un più ampio pacchetto di consolidamento fiscale, offrendo un’interessante alternativa a imposte più elevate sul lavoro o a tagli notevoli della spesa pubblica. Ovviamente non tutte le situazioni si prestano a essere gestite con strumenti di mercato, per cui l’OCSE evidenzia come in alcuni casi, una normativa ben congegnata, politiche attive di supporto tecnologico e approcci volontari potrebbero rivelarsi più appropriati degli strumenti di mercato o potrebbero affiancare questi ultimi. Inoltre, in numerose situazioni, la capacità di risposta delle imprese e dei consumatori ai segnali inviati tramite la politica sui prezzi può essere rafforzata da misure informative che evidenzino le conseguenze dei danni ambientali causati da attività specifiche, nonché la disponibilità di alternative più pulite. Anche la Commissione Europea nell’ultimo periodo ha emanato politiche fortemente orientate alla sostenibilità e alla green economy. Ciò avviene innanzitutto con la strategia Europa 2020, varata nel 2010, che definisce un quadro di obiettivi per una crescita sostenibile, intelligente ed inclusiva in Europa, per far fronte alle sfide attuali e alle problematiche che rischiano di vanificare il percorso di crescita sin qui compiuto (crisi economica, globalizzazione, pressione sulle risorse, invecchiamento). Con riferimento alla “sostenibilità” della crescita, Europa 2020 evidenzia la necessità di promuovere l’incremento dell’efficienza dell’uso delle risorse, disaccoppiando la crescita dall’uso delle risorse, con azioni sui seguenti fronti: 1. La competitività, mirando a consolidare la capacità dell’Europa di mantenere una posizione di leadership sul mercato delle tecnologie verdi; 2. La lotta al cambiamento climatico, agendo sia sul fronte della mitigazione, riducendo le emissioni climalteranti, sia sul fronte

dell’adattamento, incrementando la resilienza ai “rischi climatici”; 3. L’energia pulita, riducendo la dipendenza dalle fonti fossili, con i connessi vantaggi sul fronte della sicurezza dell’approvvigionamento nonché in termini di incremento dei posti di lavoro legati ai settori delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Molto rilevante negli ultimi mesi è stata l’adozione definitiva della direttiva sull’efficienza energetica, di cui l’attuazione inizierà a breve con la Commissione dedicata e impegnata a continuare il suo sostegno in direzione degli obiettivi individuati sia a livello comunitario che da parte dei singoli Stati membri. La direttiva sull’efficienza energetica è volta ad adottare misure giuridicamente vincolanti per intensificare gli sforzi degli Stati membri ad utilizzare l’energia in modo più efficiente in tutte le fasi della energy chain – dalla trasformazione dell’energia, alla sua distribuzione e al consumo finale. Essa impone inoltre agli Stati membri di fissare obiettivi indicativi nazionali per il 2020. In prospettiva per la CE l’ecoinnovazione dovrebbe anche includere un insieme di politiche mirate a incoraggiare stili di produzione e consumo diversi. Tra queste politiche troviamo “spostare la tassazione dal lavoro all’inquinamento”, eliminare i sussidi dannosi per l’ambiente, puntare sull’eco-design e sull’etichettatura ambientale e tassare in modo appropriato il consumo delle risorse come, ad esempio, l’acqua. Infine nel febbraio 2012 la CE ha adottato una strategia sulla bioeconomia, da intendersi come un’economia che si fonda su risorse biologiche provenienti della terra e dal mare, nonché dai rifiuti, che fungono da combustibili per la produzione industriale ed energetica e di alimenti e mangimi. La Commissione ha fornito gli indirizzi perché l’economia europea si basi su una corretta gestione del ciclo delle risorse biologiche (produzione, consumo, trasformazione, stoccaggio, riciclaggio e smaltimento) nell’ambito di una crescita intelligente che faccia fronte al rapido esaurimento delle risorse biologiche necessarie

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per produrre alimenti e mangimi sicuri e sani ma anche materiali, energia e altri prodotti. Questa strategia prevede un piano d’azione il cui obiettivo è creare una società più innovatrice e un’economia a emissioni ridotte, conciliando l’esigenza di un’agricoltura e una pesca sostenibili e della sicurezza alimentare con l’uso sostenibile delle risorse biologiche rinnovabili per fini industriali, tutelando allo stesso tempo la biodiversità e l’ambiente. E l’Italia? Il nostro Paese come è noto nel campo delle politiche ambientali vive a ruota della Commissione Europa, recependo a volte neanche benissimo, quelle che sono le politiche concepite a Bruxelles. Sul cambiamento climatico l’Italia ha assunto importanti impegni sia nell’ambito Protocollo di Kyoto, sia del Pacchetto 20-20-20 europeo. Pur se con un po’ di ritardo, e con qualche resistenza interna in più rispetto ad altri partner europei, le emissioni di gas serra sono in progressivo calo dal 2005. Tenendo conto della situazione economica, dello sviluppo delle fonti rinnovabili e degli interventi di efficienza energetica, molto probabilmente nel 2013 le emissioni di gas serra scenderanno ancora. Non dovremmo essere quindi così lontani dal conseguire conseguire l’obiettivo complessivo del Protocollo di Kyoto, calcolato sulla media delle emissioni del quinquennio 2008-2012. A questo risultato ha certamente contributo la crisi economica, ma un ruolo fondamentale lo hanno svolto in primo luogo le politiche di promozione dell’efficienza e delle fonti rinnovabili, che, proprio a partire dal 2005, hanno conosciuto in Italia una forte accelerazione, seppur con un sistema di incentivazione che è stato molto discusso. Ciò che manca è una strategia di più ampio respiro sull’uso efficiente delle risorse che sappia coinvolgere oltre all’energia, le politiche nel campo della gestione dei materiali (non dimentichiamoci, ad esempio, che molte delle nostre materie prime seconde vanno all’estero oggi), dell’acqua (dove gli sprechi nel nostro Paese sono ad un livello assolutamente inquietanti), dell’uso suolo,

della biodiversità. Queste strategie di lungo periodo chiamano in causa soprattutto le politiche industriali: il nostro è un Paese che ha perso la capacità di costruire il proprio futuro e che resta parzialmente competitivo più per l’iniziativa e la creatività dei singoli che per una capacità strutturata di pianificazione. Note Nel documento finale della Conferenza di Rio+20 al punto 56 si sottolinea che la green economy “dovrebbe contribuire ad eliminare la povertà così come ad una crescita economica sostenuta, a migliorare l’inclusione sociale, a migliorare il benessere umano e a creare opportunità per l’occupazione e il lavoro dignitoso per tutti, pur salvaguardando l’integro funzionamento degli ecosistemi della Terra”. 2 Per un’analisi più sistematica di come e quanto sia stato usato il termine green economy nelle attività preparatorie alla Conferenza di Rio+20 si veda Bär et alii (2011). 3 Uno delle principali critiche indirizzate al rapporto UNEP riguarda la non definizione di quali possono essere le modalità per finanziare questi cospicui investimenti (Victor, Jackson, 2012, p.14; Schmalensee, 2012). 4 Per considerare in modo più estensiva la dimensione sociale delle sostenibilità, più che ai documenti di UNEP e OCSE, è necessario fare riferimento al rapporto della World Bank (2011). 5 I temi della tutela e valorizzazione del suolo, del paesaggio e dei servizi ecosistemici sono tematiche emergenti all’interno di questa prospettiva della green economy che possono essere di grande rilevanza, soprattutto in un Paese come il nostro. Si tratta infatti di comprendere come le risorse presenti nei territori in cui viviamo costituiscano una componente chiave della qualità della vita e dello sviluppo economico, che deve entrare nelle politiche e nelle scelte strategiche di tutti gli attori. In questo modo si possono valorizzare innovazioni strettamente integrate con la natura e le risorse del territorio che siano coerenti con il disegno sulla bioeconomia di cui faremo cenno in un prossimo paragrafo. 6 È interessante a questo proposito il concetto di “valore condiviso” sviluppato da Porter e Kramer (2011). 7 Concetto che viene dalla letteratura manageriale sulla qualità totale e che potremmo tradurre con “magra”, contrapposta alla grassa e ridondante economia tradizionale, o “leggera”. 8 Quarant’anni fa lo Schumacher di piccolo è bello scriveva: “it is inherent in the methodology of economics to ignore man’s dependence on the natural world”. (E. F. Schumacher, 1973, p. 46). Da allora gli economisti hanno progressivamente accresciuto la loro attenzione 1

nei confronti delle risorse naturali, senza però tenere pienamente in conto il rapporto di stretta connessione (e per certi aspetti di dipendenza) tra benessere umano e servizi della natura. 9 Per Stern (2007) il climate change, pur essendo solo una delle crisi ambientali che siamo chiamati ad affrontare, costituisce il più grande esempio di fallimento del mercato. Riferimenti bibliografici Bär H., Jacob, K., Werland, S. (2011), Green economy discourses in the run-up to Rio 2012. FFU-Report 07–2011. Environmental Policy Research Center, Freie Universität Berlin. Barbier, E.B. (2010). “A Global Green Recovery, the G20 and International STI Cooperation in Clean Energy.” STI Policy Review 1(3): 1-15. Cato M. S. (2012), “Green economics: putting the planet and politics back into economics”, Cambridge Journal of Economics, 36, 1033–1049. Iraldo F., Melis M. (2012) Green marketing. Come evitare il greenwashing comunicando al mercato il valore della sostenibilità, Il Sole 24 Ore Libri, Milano. Marconi D., (2010), Trade technical progress and the environment: the role of a unilateral green tax on consumption, Banca d’Italia, Temi di discussione, n. 774, February. Schumacher E. F. (1973), Small is Beautiful: A Study of Economics as if People Mattered, Blond & Briggs. Schmalensee R. (2013), “From “Green Growth” to sound policies: An overview”, Energy Economics, 34, S2–S6. Stern N. (2007), The Economics of Climate Change, The Stern Review, Cambridge University Press. Symbola AA.VV. (2010) Green Italy. Un’idea di futuro per affrontare la crisi. Quaderni di Symbola, Roma. Symbola AA.VV. (2012) Green Italy. L’economia verde sfida la crisi. Quaderni di Symbola, Roma. OCSE (2011), Towards Green Growth: A Summary for Policy Makers. OECD, Paris. UNEP (2010), Green Economy Developing Countries Success Stories. UNEP, Geneva. UNEP (2011), Towards a Green Economy: A Synthesis for Policy Makers. United Nations, New York. Victor, P.A., Jackson, P. (2012) “A Commentary on UNEP’s Green Economy Scenarios”, Ecological Economics, 77, 11-15. World Bank (2011), Moving to a green growth approach to development. http://web.worldbank.org/WBSITE/ EXTERNAL/TOPICS/EXTSDNET/0,,contentMDK:22865 936~menuPK:64885113~pagePK:7278667~piPK:64 911824~theSitePK:59292 82,00.html. Marco Frey Direttore Istituto di Management, Scuola Superiore Sant’Anna frey@sssup.it

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