La vulnerabilita sismica degli aggregati edilizi

Page 1

m a

ep ri

an t


a m ri

an te p

EdicomEdizioni Monfalcone (Gorizia) tel. 0481/484488 fax 0481/485721 e-mail: info@edicomedizioni.com www.edicomedizioni.com

© Copyright EdicomEdizioni Vietata la riproduzione anche parziale di testi, disegni e foto se non espressamente autorizzata. Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e delle convenzioni internazionali.

Immagine di copertina: veduta prospettica di Carpi a volo d’uccello. Luca Nasi, seconda metà del XVII secolo. Fonte: Archivio di Stato di Modena, Prot. n. 1976 Class. 28.01.02/18.1 ISBN 978-88-96386-39-2 Questo libro è stampato interamente su carta con alto contenuto di fibre riciclate selezionate Stampa PressUp Roma Prima edizione agosto 2016


Giovanni Mochi, Giorgia Predari

LA VULNERABILITÀ SISMICA DEGLI AGGREGATI EDILIZI

an te p

ri

m

a

UNA PROPOSTA PER IL COSTRUITO STORICO

EdicomEdizioni architettura sostenibile / culture costruttive per il recupero sostenibile


Il presente volume deriva dall’attività di ricerca congiunta dei due autori. I capitoli 1, 2, 3 e l’introduzione sono opera di Giovanni Mochi; i capitoli 4 e 5 sono opera di Giorgia Predari. Salima Vicini, a partire dal proprio lavoro di tesi di laurea, ha elaborato e curato le schede costituenti il capitolo 6.

architettura sostenibile / culture costruttive per il recupero sostenibile

an te p

ri

m

a

Il tema della salvaguardia dei caratteri identitari del patrimonio costruito correlato alle esigenze poste dall’adeguamento all’attuale quadro prestazionale, pone nuovi interrogativi sugli assunti teorici e sugli strumenti operativi che possono essere adottati per dare una risposta coerente a tale istanza, con una specifica attenzione al contributo offerto dall’innovazione di processi e metodi che appartengono al dominio speculativo della Tecnica. In questo quadro la riflessione viene instradata all’interno di nuovi paradigmi della ricerca in cui coesistono, alimentandosi a vicenda, sia le teorie e le pratiche proprie delle discipline dell’Architettura – dalle letture storico-critiche fino agli strumenti tecnici di intervento – sia le indagini analitico-strumentali che connotano il campo dell’Ingegneria, al fine di restituire un approccio coerente al tema della sostenibilità attraverso una corretta tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio costruito. comitato editoriale Ferdinando Gottard, Anna Raspar

comitato scientifico Riccardo Gulli (ALMA MATER Bologna), Antonello Sanna (Università di Cagliari), Giambattista De Tommasi (Politecnico di Bari), Renato Morganti (Università dell’Aquila), Marco D’Orazio (Politecnica delle Marche), Giovanni Fatta (Università di Palermo), Carlo Cecere (Università Roma la Sapienza), Flaviano Celaschi (ALMA MATER Bologna), Paolo Giandebiaggi (Università di Parma), Marco Gaiani (ALMA MATER Bologna), Stefano Musso (Università di Genova), Claudio Varagnoli (Università di Chieti-Pescara), Sergio Lagomarsino (Università di Genova), Luigi Ramazzotti (Università Roma Tor Vergata), Matheos Santamouris (University of Athens – Grecia), Gerhard Schmitt (ETH Zurich – Svizzera), Camilla Mileto (UPV Valencia – Spagna), Fernando Vegas (UPV Valencia – Spagna), Maurizio Broccato (E.N.S.A. Paris-Malaquais – Francia), Josè Luis Gonzalez (UPC Barcellona – Spagna), Helena Coch (UPC Barcellona – Spagna), John Ochsendorf (MIT Cambridge – USA)


Introduzione

an te p

ri

m

a

Quando, nel 1993, usciva il volume a cura di A. Giuffrè Sicurezza e conservazione dei centri storici1, il panorama italiano degli studi sul costruito viveva un momento di grande fermento2 a riprova di come l’incrinarsi del rigido monolitismo disciplinare dell’accademia potesse produrre risultati di grande valore. Il testo su Ortigia raccoglieva contributi di sismologia storica, di tipologia architettonica, di scienza delle costruzioni e di soluzioni tecniche per gli interventi su un patrimonio specifico colpito dal sisma, ma la portata del testo andava ben al di là del singolo caso descritto. Coloro che si occupavano di recupero edilizio lo salutarono come il prezioso risultato e la mirabile sintesi di molteplici sforzi tesi al riconoscimento di un lavoro paziente ed eterogeneo che, non sovrapponendosi né al Restauro Architettonico, né alla Scienza o alla Tecnica delle Costruzioni, propugnava pervicacemente la possibilità e la necessità di intervenire sul patrimonio edilizio diffuso dei nostri centri storici. Un tale intendimento necessitava però di sforzi conoscitivi unificanti, che tendessero cioè a inquadrare anche culturalmente e contenutisticamente ciò che, in modo pionieristico, a partire dalla stagione degli interventi sul centro storico di Bologna coordinati da Pierluigi Cervellati, iniziava a acquisire le sembianze di un vero e proprio orizzonte pluridisciplinare. Il testo di Giuffrè introduceva in maniera organica, per la prima volta, la questione sismica nel novero di conoscenze che dovevano entrare a far parte del bagaglio del tecnico specializzato in recupero edilizio. L’esperienza negativa della ricostruzione mancata dell’Irpinia, in cui si scelse di abbandonare i vecchi centri colpiti dal terremoto del 1980 a favore di nuovi e anonimi quartieri edificati a qualche centinaio di metri dai siti storici, nota a Giuffrè in quanto artefice del restauro del patrimonio culturale danneggiato, costituì uno stimolo importante 1  A. Giuffrè (a cura di), Sicurezza e conservazione dei centri storici. Il caso Ortigia, Laterza, Bari, 1993. 2  Tra 1989 e 1992 comparvero i due fondamentali manuali per il recupero di Roma e Città di Castello in cui la volontà di fornire una aggiornata base conoscitiva agli addetti ai lavori si univa alle indicazioni operative fondate su una rinnovata sensibilità verso il costruito storico diffuso, fino a quel momento scarsamente considerato sotto l’aspetto del proprio valore storico documentale. Si apre in tale modo la strada alla trasformazione del manuale in codice di pratica, operando una ulteriore importante trasformazione di senso e di metodo poiché alla generalità del manuale, inteso come summa di conoscenze da fornire al lettore con un formato editoriale agevole e sintetico, si sostituisce la specificità del codice di pratica, pensato e studiato su particolari contesti locali ove la cultura tecnica e architettonica si è sedimentata nei secoli.

Introduzione

5


an te p

ri

m

a

verso il tentativo di codificare un nuovo modo di intervenire nelle architetture diffuse. La strada imboccata dallo studioso e dal suo gruppo fu quella che partiva dalla constatazione che l’edilizia storica deriva da un’azione processuale che ha prodotto, quale risultato dell’operosità di anonime maestranze, un insieme di organismi edilizi che vengono definiti aggregati; questi vennero assunti come unità di analisi per identificare gli scenari di danno che si sarebbero potuti materializzare in occasione di eventi sismici, per il cui contrasto venivano studiate soluzioni tecniche d’intervento in un’ottica di prevenzione, ma nel rispetto del valore storico documentale dell’organismo architettonico. La processualità delle trasformazioni, oltre ad essere una presa d’atto, viene da Giuffrè assunta quale causa prima delle criticità proprie del costruito storico in aggregato e quindi le strategie di prevenzione partono, nei suoi studi, dalla possibilità del riconoscimento delle tracce delle trasformazioni e giungono fino ad ipotizzare la ricostruzione dei passaggi che dalla fondazione del centro abitato hanno portato alla situazione attuale. Abbinando a ciò le problematiche che scaturiscono dalle particolari soluzioni tecnico-costruttive adottate nei vari contesti, si poteva comporre il quadro complessivo delle carenze di un edificato; da esso, far derivare gli interventi costituiva il cuore dell’azione progettuale che andava, però, anticipata da una corposa fase analitica multidisciplinare. Ma è proprio la complessità e difficoltà di questa analisi multicriteria a costituire la principale debolezza della metodologia che Giuffrè ha introdotto con lo studio su Ortigia. Limitati casi applicativi hanno seguito l’esperienza siracusana: Palermo3 e Matera4 furono due altre occasioni in cui la metodologia venne applicata dallo stesso gruppo di lavoro, ma fu con la ricostruzione dopo il terremoto del 1997 nelle Marche ed in Umbria che gli studi di Giuffrè si affermarono come base strategica e operativa, nonché culturale, di quello che è forse l’unico esempio, ad oggi, di operazione pubblica che ha prodotto apprezzabili risultati in termini sia di riparazione dei danni provocati dall’evento calamitoso, sia di valorizzazione del patrimonio costruito storico. Perché allora, a più di vent’anni dall’esperienza su Ortigia, proporre una metodologia operativa tesa alla salvaguardia del costruito storico che ha in quella vicenda le chiare radici? Noi rispondiamo semplicemente perché nulla è stato proposto che possa avere una pari efficacia e praticabilità. Ma nello stesso tempo si è voluto sperimentare quali potrebbero essere i miglioramenti, gli aggior3  A. Giuffrè, C. Carocci, Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione del centro storico di Palermo, Laterza, Bari, 1999. 4  A. Giuffrè, C. Carocci, Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione dei Sassi di Matera, La Bautta, Matera, 1997.

6

Introduzione


an te p

ri

m

a

namenti da avanzare per rendere attuabile una strategia operativa la cui forza maggiore sta nel riconoscimento5 della qualità del nostro patrimonio edilizio e nella ferma volontà della sua valorizzazione attraverso la prevenzione. Nessun altro studio ha posto con la stessa forza l’accento sul tema degli aggregati edilizi, oggi riconosciuti come base di analisi ed intervento anche dall’attuale ordinamento normativo sulle costruzioni. Le ipotesi di studio che in questi venti anni sono state avanzate non permettono, allo stesso modo e con la stessa semplicità, la messa in campo di strategie di prevenzione efficace contro i sismi. Una campagna di studi condotta dagli autori del presente testo sul centro storico di Mirandola, colpito seriamente dal terremoto del Maggio 2012, ha mostrato infatti che l’insieme dei danni che hanno interessato il costruito storico era, nel complesso, prevedibile ed identificabile in anticipo e che quindi sarebbe stato possibile operare concretamente nella direzione di minimizzare l’impatto dell’evento calamitoso sulla vita sociale e sull’economia di quel centro. Questo testo ha quindi lo scopo di mostrare una possibile metodologia operativa a scala edilizia che, a partire dalla stagione dei manuali e dei codici di pratica, possa permettere di cogliere quegli obiettivi fondamentali, già dichiarati nel titolo del libro di Giuffrè, e consentire, quindi, a chi ha il controllo delle trasformazioni, di poterle gestire nell’ottica di una progressiva riduzione della vulnerabilità del costruito storico. I punti principali su cui si è deciso di agire sono principalmente di tipo strategico e culturale. In merito al primo si sottolinea che la diminuzione del rischio sismico viene qui perseguita, essenzialmente, attraverso la riduzione della vulnerabilità a scala edilizia; in altre parole, ciò che si vuole mostrare è come sia possibile operare verso il raggiungimento di condizioni in cui, progressivamente, la vulnerabilità è monitorata tramite il controllo di indici che tendono a sintetizzarla in forma numerica. Il punto di partenza sta nel riconoscimento di una doppia velocità, di un doppio canale operativo per cui, in prima battuta, si opera uno screening dell’intero centro storico con lo scopo di individuare quelle classi di aggregati edilizi che presentano maggiore propensione al danno. In un secondo momento su questi aggregati viene condotta un’analisi più approfondita che porta alla individuazione delle specifiche criticità. A questo punto l’Amministrazione pubblica ha una fotografia di dettaglio su cui può decidere di operare nel medio-lungo periodo, lasciando alle trasformazioni dei proprietari, opportunamente guidate, il compito di diminuire nel tempo la vulnerabilità dei singoli aggregati; oppure, per quei casi in cui la pericolosità è molto elevata, può 5  Cfr. R. Morganti, Riconoscere per recuperare l’esistente, in L. Zordan, A. Bellicoso, P. De Berardinis, G. Di Giovanni, R: Morganti, Le tradizioni del costruire della casa in pietra: materiali, tecniche, modelli e sperimentazioni, Alinea, Firenze, 2009, pp. 43-53 e pp. 291-297.

Introduzione

7


an te p

ri

m

a

decidere di procedere nel breve periodo attraverso strumenti, quali le procedure forzose, che permettono di giungere a situazioni di maggior sicurezza. Il secondo punto è di carattere culturale. La processualità delle trasformazioni dei tessuti murari deve essere riconosciuta almeno nelle sue tappe fondamentali se si vuole giungere alla identificazione di quelle criticità connesse alle continue trasformazioni subite dagli aggregati. Ciò significa avanzare ipotesi circa la successione storica degli eventi edilizi che hanno caratterizzato un determinato centro abitato, a partire da una fase iniziale di impianto. Questo è, a nostro modo di vedere, uno snodo culturale in quanto chiama in causa le competenze di diverse discipline di studio a cui però bisogna obbligatoriamente attingere per ottenere il risultato ricercato. Al tempo stesso tale questione ha una valenza culturale poiché ha a che fare con la storia di una città e con la possibilità di un riconoscimento di trasformazioni di cui, al momento, non si possiedono documentazioni scritte o studi già condotti e quindi si richiede un inquadramento molto ampio delle problematiche in gioco insieme ad una molteplicità di conoscenze. La proposta che questo libro avanza è stata messa a punto attraverso una serie di studi che hanno coinvolto anche studenti e laureandi dei corsi di Architettura Tecnica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna. La ragione di ciò si ritrova nella possibilità di sperimentare, in tale modo, l’applicabilità di una metodologia in diversi contesti territoriali. Nel testo vengono riportati, nella sezione dedicata alle esemplificazioni, i casi che sono stati ritenuti più significativi per completezza dell’analisi e qualità dei risultati; per raggiungere un’uniformità di presentazione e l’aggiornamento degli esiti via via ottenuti, si è proceduto alla loro rielaborazione e riorganizzazione, in modo da costituire una base di dati aperta ad una futura riflessione da parte di coloro che volessero confrontarsi con i temi trattati. Il nucleo portante dei casi di studio pubblicati proviene dalle aree emiliane coincidenti o limitrofe al cosiddetto cratere del sisma del 2012. Ciò ha permesso, come nel caso di Mirandola, di validare la metodologia, ma anche di concentrare l’attenzione su un patrimonio omogeneo per storia, materiali e soluzioni costruttive ove il riproporsi di scenari di danno simili ha anche permesso di comprendere meglio il ruolo giocato da questi fattori; d’altra parte il considerare ulteriori casi derivanti da contesti provenienti da altre regioni, oltre a suggerire alcune correzioni di impostazione, ha reso possibile la comprensione del peso e dell’influenza di materiali e tecniche che costituiscono l’ossatura delle diverse tradizioni costruttive. Alcune questioni messe in luce dalle analisi condotte meriterebbero approfondimenti specifici che nell’economia di questo studio non è stato possibile affrontare in maniera esauriente, ma solo trattare in forma speditiva; tra queste: la

8

Introduzione


an te p

ri

m

a

diversa concezione muraria tra la zona emiliana e le altre zone in cui si ritrova, massiccia, la presenza del laterizio e la questione dello studio dei tipi edilizi e della reperibilità di fonti, documentarie e di altro genere, che risultano essere di grande importanza per l’efficacia della metodologia proposta. Per quanto concerne alla diversa tecnica edilizia che si ritrova in Emilia, rispetto a quanto registrato, ad esempio, nelle Marche, in Abruzzo o in Romagna, si registra una spiccata preferenza per le murature di spessore ridotto rispetto a quelle invece “a sacco”, di spessore maggiore, nelle altre zone citate. Nelle città emiliane, ivi compresa Bologna, si ritrovano, negli aggregati, ma anche in diverse chiese, muri a due teste ed è frequente incontrare, specie nelle porzioni alte dei fabbricati, strutture con spessore anche di una sola testa. In alcuni casi sembra chiara la diretta derivazione di tali campioni da modelli a telaio ligneo, in quanto le travi sono a volte appoggiate su ringrossi murari (due teste) rispetto al resto (murature ad una testa), quando non addirittura su semplici pilastrini in laterizio, specie nei sottotetti. Questa propensione alla riduzione degli spessori, che arriva talvolta a scompaginare lo stesso concetto della costruzione muraria come diffusione continua di masse, è assente dalla Romagna verso il centro e sud Italia ove invece è costante il riferimento a murature a sacco con paramenti in laterizio. A nostro avviso ciò costituisce un aspetto da indagare maggiormente per giungere ad una migliore comprensione e valutazione delle costruzioni esistenti in questi territori; sicuramente il danneggiamento che si è riscontrato nelle costruzioni emiliane in occasione del sisma del 2012 è stato, in maniera non secondaria, influenzato dalla particolare preferenza accordata nei secoli ad una tale modalità realizzativa che pare più direttamente collegata, rispetto ad altri contesti, all’edilizia residenziale lignea presente in queste aree fino al XIII secolo e oltre. Un’altra questione che meriterebbe un’attenzione maggiore è quella delle fonti utilizzabili in studi di questo tipo. Già in altre sedi si è avuta la possibilità di sottolineare l’importanza che rivestono gli studi sulla storia della cultura materiale che in Italia sono stati introdotti a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, sia sul versante delle discipline storiche, sia di quelle archeologiche6, soprattutto per la possibilità che si ha, grazie a questi, di avanzare ipotesi circa la ricostruzione dei processi modificativi di un determinato contesto edilizio. Non intendendo riprendere, quindi, quanto già affermato, si sottolinea come le esperienze condotte hanno mostrato l’importanza di alcune particolari fonti archivistiche che, se studiate in maniera completa e competente da specialisti del settore, 6  Cfr. A. Guidotti, G. Mochi, Processo tipologico e sicurezza sismica, in F. Astrua, C. Caldera, F. Polverino, Intervenire sul patrimonio edilizio: cultura e tecnica, Celid Torino, 2006, pp. 357-368.

Introduzione

9


an te p

ri

m

a

potrebbero fornire una serie di informazioni di grande impatto nell’economia di queste ricerche. Si fa qui esplicito riferimento a due tipi di fonti: i catasti descrittivi, disponibili negli archivi di molte città italiane, e i documenti peritali, redatti in occasione di valutazioni immobiliari nei secoli passati, conservati in molti archivi emiliani. I catasti descrittivi si riferiscono, con maggiore frequenza di attestazione, al XV e XVI secolo e costituiscono una preziosa fonte, probabilmente la registrazione più antica, dell’assetto delle proprietà immobiliari delle diverse città. Nel caso di Fermo e Carpi, due dei centri studiati, queste fonti hanno permesso di ricostruire la situazione proprietaria, la conformazione e la consistenza edilizia antica. Altra serie archivistica di notevole interesse sono le perizie estimative sugli immobili. Nel caso emiliano queste sono reperibili per i centri studiati, per i periodi che vanno dal XVII agli inizi del XIX secolo, come Fondo dei Periti Agrimensori e talvolta alla voce Agrimensura pratica. Tali fondi contengono rappresentazioni in pianta ed in sezione degli immobili valutati e hanno una notevole diffusione nei centri studiati in ambito emiliano. Risultano quindi molto utili ai fini della ricostruzione della consistenza delle proprietà immobiliari, permettendo altresì una rappresentazione dei tessuti murari con notevole precisione. Studi sistematici su queste fonti permetterebbero di avanzare ipotesi molto calzanti sulle trasformazioni edilizie degli ultimi secoli come probabilmente nessun altro documento. Si ritiene corretto specificare, inoltre, che gli ambiti di indagine di questo studio si riferiscono esclusivamente ad aree di pianura o di bassa collina dove si è sviluppata, nel tempo, quella cultura urbana che da sempre contraddistingue la storia italiana. La ricerca si incentra, quindi, in quegli ambiti ove è più probabile che ci sia stata una crescita preordinata e gestita dalle autorità cittadine che, nel corso dei secoli, hanno, con le loro decisioni, contribuito a trasformare progressivamente l’immagine degli insediamenti. Lo spontaneismo edilizio, senz’altro limitato ad aree economicamente marginali del territorio nazionale, costituisce un dato non riscontrabile nei centri urbani analizzati dove invece traspare un’attività di programmazione delle principali infrastrutture che chiaramente allude ad una vera e propria volontà pianificatrice che sorregge molte delle ipotesi ricostruttive avanzate. A conclusione di questa introduzione, gli autori esprimono un ringraziamento particolare all’architetto Irene Cremonini, instancabile promotrice delle attività di studio sulla vulnerabilità a scala urbana messe in atto, pionieristicamente, dalla Regione Emilia Romagna a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, per il fondamentale contributo di riflessione sulle tematiche delle nostre ricerche. Un ulteriore ringraziamento va alla collega Simona Tondelli, docente di Urbanistica

10 Introduzione


an te p

ri

m

a

all’interno del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna per la collaborazione offerta, insieme ad Irene Cremonini, all’estensione della ricerca verso la messa a punto di strumenti complessivi di pianificazione e gestione del rischio sismico sia alla scala edilizia, quanto a quella urbana. Molti contenuti della ricerca, di cui questo libro costituisce un primo resoconto, sono derivati dagli studi di storici ed archeologi che hanno indagato il tema della città, della sua formazione e trasformazione. Tra questi, per i determinanti studi sull’edilizia medievale e per le indicazioni e i suggerimenti offerti, un altro particolare ringraziamento va a Paola Galetti, docente di Storia Medievale del nostro Ateneo. Uno speciale ringraziamento va a Riccardo Gulli per l’azione di stimolo alla redazione di questo testo, e soprattutto per il contributo di indirizzo alla discussione ed alla riflessione intorno alle tematiche del recupero edilizio e del suo inquadramento culturale e tecnico nella più ampia sfera degli studi sulla costruzione e sulla sua storia.

Introduzione 11


a m ri

an te p

acquista ora

La vulnerabilitĂ sismica degli aggregati edilizi Giovanni Mochi, Giorgia Predari pp. 192 - Euro 25,00 ISBN 978-88-96386-39-2 formato 16,8x24 cm


1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio

1.1. Definizioni

an te p

ri

m

a

Ciò che oggi, in ambito tecnico, viene definito aggregato edilizio è il risultato di una serie di trasformazioni che, a partire da una condizione iniziale di tipo embrionale o pluri-embrionale, porta ad un insieme di cellule edilizie delimitate da un fronte continuo; dal punto di vista costruttivo esso è caratterizzato dalla messa in comune, o dal semplice accostamento, di elementi verticali ed orizzontali mentre nei riguardi del comportamento strutturale, poiché l’interazione tra i diversi elementi costituenti deriva da svariati di fattori e condizioni, tale comportamento non è semplicemente riconducibile a quello delle singole porzioni. Da un punto di vista puramente esperienziale un aggregato edilizio può coincidere con un isolato in un agglomerato urbano; altresì un edificio di dimensioni cospicue, apparentemente omogeneo per trattamento dei prospetti, ma costituito da porzioni aggiunte o trasformate in periodi diversi, può essere definito come aggregato. Cronologicamente non esiste una delimitazione precisa, potendo, gli interventi, essere stati attuati in un orizzonte temporale molto vasto. Ciò significa che oggi possiamo ritrovare aggregati edilizi frutto di trasformazioni avvenute in diverse epoche storiche, ma, allo stesso tempo, è possibile che gli interventi edilizi che hanno interessato un complesso di fabbricati siano avvenute in tempi anche vicini: basti pensare a tutte le vicende connesse al processo di notevole crescita edilizia che si è verifica in Italia nel secondo dopoguerra, laddove questo non ha comportato solo la comparsa di edifici isolati, quali ad esempio palazzine per abitazioni, interessando in molti casi un complesso di interventi che hanno portato ad una significativa modificazione dell’esistente. La presenza degli aggregati è associata alla densità edilizia nel senso che, ove questa è più alta, maggiore è la probabilità di incontrare organismi edilizi complessi; ciò può verificarsi non solo all’interno dei centri storici, ma anche nelle espansioni extra-moenia delle nostre città, nelle periferie come pure in ambito rurale dove si possono comunque ritrovare nuclei edilizi compatti. All’interno degli studi sul patrimonio architettonico di maggior valore, carat1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 13


an te p

ri

m

a

terizzati da approcci analitici volti a studiare il monumento e quindi a restituirne il percorso di formazione nel tempo, questa problematica è nota da tempo ed è conseguente al progredire delle teorie sul restauro architettonico verso la oggettivizzazione del processo di conoscenza dell’opera, di pari passo all’avvicinamento di questa disciplina all’archeologia. Ma negli ultimi anni, per i motivi che si esporranno nel seguito, l’attenzione al tema degli aggregati edilizi è andata aumentando, sino a divenire uno degli ambiti di maggior interesse, anche nelle discipline legate al recupero del patrimonio costruito. A questo smisurato patrimonio è impensabile applicare le metodologie di studio codificate per il settore del restauro architettonico, per ovvie ragioni di economia di tempi e costi, e quindi si moltiplicano gli sforzi per giungere a metodologie specifiche, basate anche sulla speditività delle analisi, che permettano una efficacia operativa in relazione agli obiettivi prefissati. L’ambito scelto è quello costituito da un ben definito tipo di aggregati edilizi, restringendo l’orizzonte possibile ai soli organismi appartenenti ai centri storici italiani con alcune precise caratteristiche. La necessità di circoscrivere l’area di indagine è essenzialmente derivante dalla volontà di conservare una controllabilità delle proposte effettuate, lasciando poi, a eventuali miglioramenti successivi, la possibilità di estendere e generalizzare un approccio strategico e operativo. Per gli obiettivi di questo studio, con la locuzione “aggregato edilizio” si indicherà, quindi un organismo: caratterizzato sia da elementi costruttivi variamente assemblati, sia da modi d’uso diversificati; che possieda una definita organizzazione spaziale e volumetrica; che sia situato all’interno di un centro storico italiano1 e che presenti una continuità d’utilizzo nel tempo. Ciascuno di questi criteri: volumetrico, materico-costruttivo, funzionale, cronologico e quello della localizzazione territoriale, individua aspetti parziali che concorrono, nell’insieme, a definire l’oggetto delle nostre analisi. Con maggior dettaglio i criteri possono essere così descritti: Criterio volumetrico: gli aggregati edilizi hanno fronti continui, ma articolati in altezza. Presentano un perimetro di base approssimabile con poligoni convessi e, di regola, corti interne, ma possono esserci casi in cui, vista la limitata estensione di alcuni di questi, in contesti geografici particolari, l’area delimitata dal poligono di base coincide con la superficie coperta; Criterio materico-costruttivo: gli aggregati presentano murature realizzate in laterizio a doppia testa o murature a sacco. Gli orizzontamenti sono quasi esclu1  Anche se, come si è detto sopra, gli aggregati edilizi non sono presenti esclusivamente all’interno di centri storici, nel presente studio verranno presi in considerazione solamente esempi di questo tipo in ragione della priorità che viene data alla conservazione del patrimonio storico all’interno dei nuclei antichi delle nostre città.

14 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


an te p

ri

m

a

sivamente in legno e le volte appaiono limitate ai piani più bassi. Alcune specifiche caratteristiche variano con i contesti locali ed in tal caso queste condizioni vengono specificate in dettaglio. Inserimenti localizzati di edifici in struttura intelaiata in cemento armato, in sostituzione di fabbricati precedenti o come intasamento di vuoti, non pregiudicano la leggibilità secondo questo criterio se tali inserimenti rimangono in quantità limitata. Nei casi ove ciò non viene rispettato non si può parlare di aggregato secondo questa definizione. Criterio funzionale: la funzione prevalente è quella residenziale. Nei piani terra si possono alternare esercizi commerciali, depositi, autorimesse o uffici, ma in nessun caso sono riscontrabili usi non compatibili con la residenza ai piani superiori. Criterio cronologico: all’interno del presente studio vengono presi in considerazione aggregati caratterizzati da una sostanziale omogeneità dal punto di vista della successione cronologica delle principali fasi di formazione e/o modificazione. Anche nei casi in cui è attestata una utilizzazione del sito già in epoca classica, la formazione dei nuclei embrionali sembra, per tutti i casi, posta nel basso medioevo o al più tra XI e XII secolo, con una serie di trasformazioni successive che meglio verranno descritte nel seguito. Criterio della localizzazione territoriale: gli aggregati fanno parte di nuclei urbani di antica formazione dei contesti di pianura emiliani (Carpi, Castelfranco Emilia e Crevalcore) o delle colline marchigiane (Fermo) ed abruzzesi (Lanciano). Un criterio orografico viene ritenuto non significativo in quanto le situazioni analizzate nei centri di pianura non sembrano avere diversità rilevanti da quelle di collina; sono stati inoltre individuati due ulteriori criteri, ossia quello morfologico e quello tipologico, ma vista la notevole importanza che essi rivestono anche per la definizione di una modalità operativa, questi verranno analizzati approfonditamente nel seguito. Per quanto detto sopra, l’insieme di edifici che noi definiamo come aggregato presenta un fronte compatto e continuo2 e caratteristiche di limitata disomogeneità che ne determinano un comportamento d’insieme3. Ciò è chiaro nel caso in cui per comportamento si intenda un modalità di risposta di tipo strutturale ad azioni esterne quali quelle sismiche (che costituisce la parte fondamentale di questo studio), ma da un punto di vista architettonico più generale un compor2  Vengono ritenute ammissibili delle deroghe alla continuità del fronte a vantaggio della semplificazione delle operazioni di analisi. Nella continuazione della nostra ricerca abbiamo constatato come la presenza di discontinuità nei fronti degli aggregati non inficia l’efficacia delle considerazioni svolte. 3  Si veda, in proposito, quanto detto nel criterio materico-costruttivo.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 15


a m ri

an te p

Figura 1. Aggregato del centro storico di Castelbolognese (RA). Disegno di Sara Savorani.

tamento d’insieme può essere individuato anche nei confronti di altre problematiche, quali quelle energetico-ambientali o funzionali (Figura 1). Venendo alla questione centrale per questo saggio, dell’individuazione delle modalità di risposta alle azioni sismiche di un aggregato edilizio, esse deriveranno da una pluralità di fattori e verranno analizzate individuando delle categorie e degli indici, rappresentativi di tali modalità, per poter giungere ad una esposizione sintetica dei risultati delle analisi. I criteri sopra evidenziati sono considerati essenziali per la definizione dell’aggregato. In tale modo il problema del riconoscimento degli aggregati viene adeguatamente circoscritto e le categorie, e gli indici che si introdurranno, possono essere ritenuti rappresentativi della risposta strutturale degli stessi poiché le esperienze di validazioni condotte, nonché il quadro generale derivante dalla letteratura, permettono di stabilire i nessi di causalità tra azioni sismiche e danneggiamenti attesi, riducendo così il problema in una forma di consistenza dal punto di vista logico-matematico. Nei casi di studio analizzati, una definizione di aggregato edilizio di questo tipo è risultata applicabile alla totalità delle edificazioni dei nuclei storici e la meto16 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


dologia proposta, descritta nel seguito, è stata ideata e messa a punto proprio su aggregati rispondenti ai criteri esposti. 1.2. Questioni interpretative

an te p

ri

m

a

Il tema degli aggregati edilizi ha acquisito, negli ultimi anni, sempre maggiore interesse a seguito della lenta presa di coscienza che il comportamento di tali organismi, sottoposti alle azioni sismiche, non è facilmente descrivibile ed analizzabile secondo i modelli interpretativi utilizzati per analizzare l’edificio isolato, avente un’organizzazione strutturale univocamente determinata. Il problema inizia ad essere percepito dagli addetti ai lavori fin dal terremoto del Friuli del 1976 ed emerge con forza con il terremoto irpino del 1980; la inadeguatezza degli strumenti analitici e interpretativi non consentì alla classe tecnico-professionale di dare risposte efficaci in termini di soluzioni da porre in atto. La conoscenza del comportamento delle strutture antiche al terremoto era pressoché inesistente quando prese il via il percorso di studi intrapreso da Antonino Giuffrè per colmare questa lacuna conoscitiva. D’altra parte anche la produzione normativa in ambito strutturale registrava una scarsa attenzione al tema specifico; ancora nelle norme tecniche sulle costruzioni del 19964, pur se compare una certa attenzione alle modalità di analisi ed intervento sul costruito esistente, frutto del lento affermarsi della cultura del recupero edilizio, la consapevolezza del comportamento degli aggregati edilizi sotto sisma è decisamente insufficiente. Basti citare il brevissimo comma che le norme riportano in proposito: C.9.10. Complessi edilizi Nel caso di complessi edilizi privi di giunti tra gli edifici, il progetto esecutivo dell’intervento deve documentare la situazione statica degli edifici contigui, a dimostrazione che gli interventi previsti non arrechino aggravi a tale situazione. Come si evince dal testo, l’estensore della norma dimostra di non conoscere, o di non ritenere valida, l’impostazione che Giuffrè ha dato al problema della comprensione delle modalità di danno tipiche dell’edilizia in aggregato. Non si fa alcun cenno all’essenzialità dell’individuazione delle caratteristiche e del comportamento d’insieme di un organismo costruttivo complesso quale è l’aggregato, ma l’unica preoccupazione sembra essere quella che, in fase di inter4  D.M. 16.01.1996 “Norme tecniche per le costruzioni in zona sismica”; G.U. 05.02.96 n. 29.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 17


an te p

ri

m

a

vento, le soluzioni costruttive non arrechino un aggravamento alla situazione degli edifici contigui. L’attenzione appare dettata da criteri quasi civilistici, per citare l’ambito giuridico al quale il normatore sembra indirettamente riferirsi, apparendo egli interessato ad escludere la propria responsabilità da un eventuale procedimento legale tra privati cittadini per ipotetici danni causati da interventi insensati. La concezione a cui ci si riferisce è comunque quella dell’edificio che deve essere ricondotto alle condizioni di isolamento da ciò che gli sta intorno; infatti il soffermarsi sull’inesistenza di giunti, quale situazione problematica e negativa, dà la misura della inconsapevolezza e superficialità con cui si affronta la questione. La situazione tende a modificarsi con la gestione delle ricostruzioni successive al terremoto umbro-marchigiano del 1997 e a quello molisano del 2002. I coordinamenti tecnico-scientifici insediatisi subito dopo quelle crisi fanno proprie le risultanze degli studi di Giuffrè e finalmente i problemi vengono affrontati secondo quell’impostazione che privilegia l’analisi dei cinematismi rispetto alle valutazioni globali, condotte necessariamente con l’utilizzo di complessi codici di calcolo che mal si adattano ad un materiale eterogeneo quale è la muratura storica5. Nelle NTC 2008, e soprattutto nella circolare esplicativa del 20096, la questione viene finalmente trattata in una forma corretta. L’obiettivo di questo testo è anche quello di fornire criteri di analisi che soddisfino le richieste inserite nell’attuale assetto normativo per la comprensione di quei processi che influenzano la risposta, in caso di sisma, di organismi aggregati. Ma, se al all’inizio di questo capitolo si è discusso di come intendere – nell’economia di questo testo – la nozione di aggregato edilizio, le attuali norme non contribuiscono a fornire chiarimenti su quali possano essere, da una parte, le modalità per definire un aggregato, dall’altra esse si limitano a sottolineare il concetto di Unità Strutturale (US) la cui individuazione concreta rimane però vaga, alla luce dell’ordine della complessità in gioco nei casi reali e della mancanza di indicazioni nel merito. Esiste quindi, a nostro modo di vedere, ancora un “non detto” o per lo meno 5  Sul rapporto tra normativa e conoscenza del comportamento del costruito esistente in ambito sismico, questione cardine delle problematiche riferite agli interventi sul patrimonio edilizio storico, esiste oramai una sterminata bibliografia. Per un approfondimento mirato a una rapida comprensione dell’importanza della questione, anche nei suoi risvolti tecnici, si consigliano, oltre al fondamentale testo curato da Antonino Giuffrè del 1993, già citato nell’introduzione al presente libro, R. Gulli, Il recupero edilizio in ambito sismico, EdicomEdizioni, Monfalcone, 2000 (seconda edizione 2010) e G. Cangi, Manuale del recupero strutturale e antisismico, Edizioni Dei – Genio Civile, Roma 2012. Sulla ricostruzione della evoluzione della normativa in rapporto alla emergenze sismiche fino al terremoto del 1997 si veda G. Mochi, Norma e progetto: il modello della ricostruzione post-sisma nelle Marche, in R. Gulli, Recupero edilizio in ambito sismico, op. cit., pp 159-217. 6  Punto C8A.3. Aggregati edilizi. Circolare 02/02/200 n. 617: Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni” di cui al DM 14.01.2008. In G.U. n. 47 del 23.02.2009 – Suppl. Ord. N. 27.

18 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


an te p

ri

m

a

un “non chiarito” che lascia spesso inermi i tecnici e gli operatori nella gestione degli interventi edilizi all’interno degli aggregati. Non esiste, cioè, una cultura diffusa che permetta di interpretare correttamente il contenuto delle norme vigenti e soprattutto di giungere alla sintesi tra il conferimento di una maggiore sicurezza e l’esigenza di garantire la conservazione del valore architettonico e culturale del patrimonio costruito. Per ottenere ciò è necessaria la moltiplicazione di studi specifici che chiariscano quali possano essere le dinamiche dei processi trasformativi e su quali situazioni originarie tali processi si sono innestati per poter correttamente valutare le riserve di sicurezza di un organismo edilizio. Sarebbe utile comprendere anche i motivi che hanno determinato questi processi di insediamento e di modificazione, per giungere ad una conoscenza che possa essere definita, se non scientifica, almeno razionale. Gran parte delle difficoltà potrebbero essere superate con il concorso di discipline quali quelle storiche ed archeologiche, ed in effetti la pluridisciplinarietà a cui si è fatto cenno nell’introduzione chiama in causa una stretta collaborazione con quei ricercatori che, sicuramente, possono contribuire a far luce sugli aspetti ancora da chiarire. Una via maestra, già sperimentata da Antonino Giuffrè, è quindi la costituzione di gruppi multidisciplinari che operino sulle stesse tematiche. Il ruolo dei tecnici, ingegneri ed architetti, è però altrettanto fondamentale in quanto sono questi ad essere forniti della formazione necessaria per la valutazione delle caratteristiche e delle prestazioni della costruzione. Esistono tuttavia problemi anche di altra natura: in generale, la pratica operativa odierna viene sottoposta ad una serie di norme che tendono a garantire la verifica a priori del risultato finale di una azione (in questo caso si deve intendere per azione quella che porta a porre in atto un intervento sull’edificato esistente) e per far ciò sono state elaborate teorie generali ritenute valide dalle diverse comunità scientifiche. La tecnica, quindi, anche se nasce come indipendente dalla scienza, nel mondo attuale viene considerata come sottoposta alla validazione scientifica. La forma di conoscenza che sarebbe utile al fine della corretta trattazione del tema che ci siamo posti non corrisponderebbe pienamente a questa impostazione di metodo generale, anche se alla sua formazione concorrerebbero tutti studiosi che, a diverso titolo, operano in ambienti che si richiamano ai metodi scientifici (quelli delle scienze pure, delle scienze applicate o di quelle umane). È la teoria generale il lato debole della questione. Se si vuole elaborare una metodologia operativa che possa essere ritenuta efficace e che si relazioni anche con le normative sulla costruzione, si può rinunciare a questo aspetto e cioè al suo essere riconosciuta di validità generale?

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 19


an te p

ri

m

a

Più in concreto ci si chiede: se la metodologia sperimentale di cui questo testo tratta può fornire indicazioni sulle diverse modalità di danneggiamento e quindi può orientare le valutazioni e gli interventi, che tipo di validazione deve ottenere? Come potrà essere ritenuta generalmente valida per essere poi accettata come pratica operativa anche da quelle istituzioni preposte al controllo della sicurezza strutturale? Allo stato attuale certamente possiamo avanzare solo ragionevoli ipotesi, validate empiricamente in un caso emblematico7, che possiamo ritenere ancora non sufficienti per poter affermare che la metodologia proposta sia corretta. Questa metodologia, spiegata dettagliatamente più avanti, si fonda su alcune ipotesi che, se contraddette, inficierebbero la validità della proposta. Si fa riferimento a due questioni essenziali: la prima è che esista, e che sia ipotizzabile, una fase di impianto iniziale dei singoli aggregati; la seconda è che le sequenze di trasformazioni proposte siano effettivamente quelle verificatesi nel tempo. Ad oggi non esiste una letteratura specifica sufficientemente estesa intorno a questa problematica. Per la prima questione si possono desumere alcune importanti informazioni da scavi archeologici su città di epoca classica o medievale successivamente abbandonate. Raramente queste ricerche riguardano nuclei urbani occupati con continuità; tra queste un posto di rilievo lo occupano gli studi su alcune città di fondazione bolognese nel XIII secolo di cui si parlerà nel seguito. La seconda, quella riguardante le trasformazioni successive all’impianto iniziale, è in parte legata alla prima, per quanto concerne la prova archeologica. Va detto che in questo caso, soprattutto per le trasformazioni avvenute in epoche più tarde, è l’osservazione stessa degli edifici a mostrarci quanto siano stati frequenti gli ampliamenti, gli intasamenti, le rifusioni o le sopraelevazioni. Si è consapevoli che, così come viene posta, la questione risulta insidiata da una apparente debolezza, relativa alla non completa conoscenza di alcuni aspetti importanti, quali quelli sopra esposti, ma lo sforzo da porre in atto è quello di giungere a ridurre sempre di più questo divario conoscitivo, eliminando interpretazioni soggettive ed ipotesi poco probabili. Consci della difficoltà di questo approccio, ma forse anche non completamente convinti di una sua scientificità, negli ultimi anni alcuni studiosi hanno intrapreso altri percorsi per giungere a dare delle risposte al problema fondamentale dell’analisi degli aggregati, non ponendosi o non affrontando lo snodo principale che riguarda la necessità di ri-

7  Si fa riferimento ad una campagna di studi sul centro storico di Mirandola dopo le scosse del maggio del 2012. La previsione degli scenari di danno proposta in quella sede per i diversi aggregati edilizi è risultata in linea con i danneggiamenti effettivamente registrati in sede di rilievo.

20 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


costruire le fasi che hanno portato agli attuali assetti di questi complessi edilizi8. Per meglio comprendere la centralità delle due questioni introdotte sopra, in rapporto anche alle attuali istanze normative, si riporta, integralmente, la parte iniziale del capitolo 2.2 delle Linee Guida sugli edifici in muratura in aggregato, disponibile in forma di bozza nel sito del Dipartimento della Protezione Civile, datate Ottobre 2010:

an te p

ri

m

a

2.2. Ipotesi sulla formazione ed evoluzione dell’aggregato L’analisi sulle trasformazioni dell’aggregato nel corso del tempo rappresenta un passo indispensabile per inquadrare eventuali precarietà strutturali o viceversa elementi o soluzioni strutturali, avvenute in epoche diverse, efficaci dal punto di vista della risposta sismica. La ricostruzione della storia costruttiva dell’aggregato, ossia del processo di edificazione e aggregazione nonché delle successive modificazioni occorse nel tempo, costituisce un passo obbligato anche ai fini di una corretta individuazione del sistema resistente. Tale fase è volta a ricostruire o ad ipotizzare la successione cronologica delle fasi costruttive delle diverse porzioni, al fine di individuare gli elementi originari e gli elementi realizzati a seguito del progressivo intasamento degli spazi urbani e, di conseguenza, le zone di possibile discontinuità strutturale e disomogeneità del materiale, sia in pianta che in alzato. Le analisi della evoluzione morfologica dell’aggregato sono svolte partendo da evidenze direttamente osservabili sul campo, basate essenzialmente sulla ispezione visiva dell’aggregato, avvalorate da un esame della cartografia catastale e storica appartenente ad epoche diverse in grado di documentare lo sviluppo processuale dell’edilizia di base (aggregazioni sulle mura urbane, aggregazioni su pendii naturali o ricavati da sbancamenti o riempimenti, ecc.). Tali ipotesi o ricostruzioni possono essere formulate oltre che sulla base di evidenze direttamente osservabili sul campo, anche e soprattutto attraverso un lavoro di disamina di carte catastali e storiche appartenenti ad epoche diverse, in grado di documentarne il processo di trasformazione. Questo tipo di ricerca ha finalità non solo di tipo storico e documentario, ma anche e soprattutto strutturali. Un esempio è dato dal processo di intasamento progressivo degli spazi urbani, strettamente connesso alla presenza o assenza di ammorsature tra le pareti di facciata. Nel caso, ad esempio, di cellule di saturazione del tessuto urbano, ovvero unità edilizie realizzate tra altri edifici già esistenti sfruttandone le pareti laterali ed edificando i soli muri di facciata e retro, la vulnerabilità di tali pareti esterne risulta generalmente molto elevata in assenza di ammorsature con le strut-

8  Si veda in proposito il capitolo 3 del presente saggio.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 21


a

m

Figura 2. Analisi delle trasformazioni di un aggregato nel centro storico di Medicina. Elaborazione di Giorgia Predari.

an te p

ri

ture adiacenti preesistenti. Viceversa la presenza di porzioni o appendici aggiunte in epoca successiva (corpi aggiunti, sopraelevazioni, sostituzioni di orizzontamenti, ecc.) può altresì costituire elemento di vulnerabilità specifica e di attivazione di meccanismi di collasso critici in caso di sisma. Come si evince dal testo, il documento rimane molto vago sulla metodologia da seguire per ricostruire le fasi di formazione e trasformazione degli aggregati; oltre a costituire, anche da parte dell’organo istituzionale preposto alla gestione delle problematiche connesse alla sicurezza nei confronti delle azioni sismiche, il riconoscimento ufficiale dell’approccio inaugurato da Giuffrè nel 1993, il documento non si spinge oltre per quanto riguarda il passo fondamentale dell’analisi degli aggregati edilizi. Le uniche raccomandazioni che si fanno riguardano l’attenta osservazione e rilievo dei manufatti, operazioni essenziali, ma per ciò che concerne la possibilità di una ricostruzione del percorso trasformativo nulla viene detto. A nostro avviso è questo “non detto” a costituire oggi il problema maggiore ed è per contribuire ad eliminare questa lacuna conoscitiva che si è deciso di impegnarsi nella presente ricerca (Figura 2). 1.3. Sulla metodologia

Preso atto delle difficoltà esposte al paragrafo precedente, si è scelto di iniziare le analisi e gli approfondimenti da contesti che avessero caratteristiche di omogeneità o dove comunque, la presenza di documentazione sia di tipo storico, sia

22 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


an te p

ri

m

a

riferita a prospezioni archeologiche, potessero fornire dei significativi elementi di partenza. Ciò ha permesso il raggiungimento di risultati ritenuti significativi al fine di mostrare l’efficacia della metodologia proposta anche in merito a due questioni rilevanti: l’individuazione, seppur ipotetica, delle disconnessioni presenti tra setti murari di diversa cronologia e la evidenziazione delle varie fasi di sopraelevazione. Questi due risultati costituiscono la base per poter definire i principali cinematismi di danno e le carenze strutturali che misurano il grado di vulnerabilità di ciascun aggregato. Il loro raggiungimento deriva da alcune ipotesi sia sui processi di insediamento, sia sulle fasi di trasformazione; nell’un caso e nell’altro, però, queste ipotesi sono basate su dati ritenuti di grande affidabilità poiché derivanti da ricerche storiche ed indagini archeologiche assolutamente qualificate. Ad oggi non siamo a conoscenza di ulteriori proposte di studio che, utilizzando un diverso metodo, siano giunte a risultati simili a quelli esposti in questo testo e che quindi consentano una previsione degli scenari di danno, o comunque delle carenze di singoli aggregati, in maniera efficace. Certamente la fase di indagine storica ed archeologica preliminare, pur essendo fondamentale, non può essere estesa, con lo stesso grado di approfondimento, all’intero sviluppo dei centri che si volessero studiare secondo questa metodologia; pur ritenendo questi studi essenziali, si comprende come le necessità di gestione e prevenzione di un patrimonio così ampio come quello italiano non consentano l’applicazione generalizzata di analisi con un tale livello di accuratezza. La proposta di una doppia velocità di attuazione concerne, appunto, la possibilità di individuare fasi diverse di trattazione dell’intera problematica. Viene quindi prevista una modalità, che chiameremo speditiva, idonea a studiare su ampia scala, quella dell’intero centro storico, la totalità degli aggregati edilizi. Per questa modalità la proposta è di basare la valutazione dell’incidenza delle disconnessioni murarie e delle sopraelevazioni su criteri storici ed archeologici di larga massima, desunti dalla conoscenza di casi di studio affini, ritenendo possibile l’individuazione di aree omogenee in cui i fenomeni edilizi si sono svolti con modalità simili. Effettuato questo screening iniziale, teso ad evidenziare all’interno dell’intero centro storico in esame la presenza di situazioni di maggiore o minore vulnerabilità, si procederà alla indagine di dettaglio solo in quelle aree in cui si deciderà di effettuare valutazioni, che definiremo analitiche, basate su ricerche più approfondite. La metodologia proposta, nella versione cosiddetta analitica, si basa: sull’individuazione di fasi di impianto degli aggregati, sulla definizione delle principali trasformazioni operate sui tessuti edilizi durante i secoli, sulla susseguente determinazione delle disconnessioni murarie, delle sopraelevazioni e delle rifu-

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 23


a m ri an te p

Figura 3. Edifici con intelaiatura lignea individuati in uno scavo nel centro storico di Castelfranco Emilia (MO) – Disegno di Mauro Librenti e Marinella Zanarini.

sioni. Successivamente a questa fase, tesa a determinare i processi trasformativi dell’edilizia storica, facendo interagire questi dati con quelli derivanti dalla caratterizzazione costruttiva, mirante a definire la qualità muraria, gli orizzontamenti e le coperture spingenti, si può procedere alla definizione delle singole problematicità che determinano, nel loro complesso, ciò che definiamo vulnerabilità edilizia dell’aggregato (Figura 3). Attraverso la definizione di indici numerici che misurano l’intensità dei diversi fattori che compongono la vulnerabilità a scala edilizia, è possibile rappresentare sinteticamente le diverse componenti: queste fanno riferimento, oltre che ai cinematismi di danno individuati da Giuffrè, e cioè i meccanismi di primo e secondo modo, anche alla caratterizzazione costruttiva, coscienti della rilevantissima importanza che questa ha nella definizione di un comportamento complessivo. Viene altresì ricompresa, all’interno di questi fattori, anche la valutazione delle disconnessioni murarie come dato che evidenzia, meglio di

24 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


m

a

altri, la propensione al danneggiamento sismico per mancanza di continuità strutturale. Il passo successivo è quello di attribuire dei pesi a ciascun elemento componente la vulnerabilità edilizia in maniera da giungere a determinare un indice numerico complessivo che, in maniera sintetica, darà l’idea del livello di vulnerabilità di ogni singolo aggregato. Sarà attraverso questo indice complessivo che si potranno costituire graduatorie, all’interno di ogni centro storico, per andare ad individuare quegli aggregati il cui livello di vulnerabilità desta maggiori preoccupazioni. Nei capitoli che seguiranno si entrerà nel merito dell’esposizione del procedimento proposto, così come verranno presentati alcuni casi di studio esemplificativi dell’applicabilità di tale procedimento. Si ritiene ora di dover meglio specificare attraverso quale percorso si intende poter giungere a formulare delle ipotesi sulle fase di impianto e sui cicli di trasformazione degli aggregati. 1.4. Il problema delle fasi di impianto

an te p

ri

Come già detto, è essenziale riuscire ad avanzare ipotesi credibili sulla presenza di una fase iniziale di un centro abitato se si vogliono poi individuare le successive trasformazioni; si è anche accennato al fatto che questo punto rappresenta probabilmente l’elemento critico della proposta che avanziamo nel testo. L’ampiezza e la difficoltà del tema non deve però impedire di proporre alcune riflessioni che possono fornire, a nostro modo di vedere, un valido aiuto. Innanzitutto occorre circoscrivere attentamente le diverse situazioni di studio, suddividendo per classi l’insieme dei diversi ambiti di analisi. Da una parte possiamo porre i nuclei, spesso di ridotte dimensioni, che nella toponomastica e in geografia vengono definiti ville; essi si caratterizzano per essersi aggregati nel tempo in forma abbastanza libera, intorno ad uno spazio comune (nei casi definiti a corte aperta) e con dinamiche in cui l’azione propria dei diversi utilizzatori degli immobili è determinata da circostanze contingenti e bisogni individuali. Il termine più adatto sarebbe quello di villaggi ed è soprattutto l’ambito nordeuropeo ad essersi interessato a queste forme di insediamento in epoca storica: l’Haufendorf, in area mitteleuropea, tra il Reno e l’Elba, consiste in un insieme di corti aperte che raramente si presenta ordinato lungo una qualche direttrice mentre più spesso presenta forme organiche; a destra dell’Elba, in un’area che rappresenta la massima penetrazione ad occidente di popolazione di origine slava, prevalgono il villaggio di strada (lo Strassendorf) di chiaro impianto lineare, in cui il rapporto tra casa sul fronte e campi coltivati sul retro era mediato da un’area ortiliva, e quello di forma circolare (Runddorf) la cui forma non ha

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 25


an te p

ri

m

a

ancora ricevuto una spiegazione convincente (Figura 4, Figura 5 e Figura 6). Stando a quanto riportato da scrittori latini, Giulio Cesare innanzitutto nel suo De bello Gallico, i territori dei Celti erano caratterizzati da oppida, cittĂ fortificate di diverse dimensioni, e castella mentre nella penisola del Cotentin,

Figura 4. Due esempi di Haufendorf: Sundremda e Grossliebringen in Turingia.

26 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


an te p

ri

m

a

dove l’autore pone i Veneti, i villaggi e le città erano posti su promontori difesi dall’escursione delle maree. Nell’Italia romana predominano, invece, altre modalità abitative in ambito rurale: il vicus era un insieme di edifici senza un’organizzazione politico-amministrativa autonoma mentre la villa rustica, centro di produzione agricola, si caratterizzava per la presenza di edifici organizzati in base a criteri funzionali. Entrambi, comunque erano legati da stretti rapporti con i contesti urbani più importanti e solitamente superarono la crisi politico sociale connessa alla serie di eventi consistenti nel trapasso dall’organizzazione romana a quella tardoantica e altomedievale.

Figura 5. Due esempi di Strassendorf: Ebenheim in Turingia e Lindenthal in Sassonia.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 27


an te p

ri

m

a

Le ville, o comunque i nuclei abitati che oggi si ritrovano nel territorio nazionale, possono avere diversa origine e vanno analizzati, per le finalità di questo scritto, in funzione del livello di organizzazione, ove per organizzazione si intende l’esistenza di una relazione riconoscibile tra gli edifici o i complessi di edifici. Ciò è fondamentale ai fini dell’individuazione di una fase di impianto, o di più fasi, e quindi risulta funzionale alla metodologia proposta. Secondo tale crite-

Figura 6. Due esempi di Runddorf: Klennow e Reetze in Bassa Sassonia.

28 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


an te p

ri

m

a

rio, il cosiddetto villaggio aperto, non fortificato, solitamente si presenta nella forma di edifici aggregati intorno ad un incrocio stradale e con sviluppo lineare. Può presentarsi come aggregazione di corti aperte o chiuse, ma anche con edifici assemblati a schiera o isolati. Non appare, certo, questo il contesto di più difficile analisi, ma comunque la variabilità delle situazioni, la capillare diffusione sul territorio e l’importanza rivestita in generale, rende necessario un apposito studio che permetta un’attenta valutazione dei diversi casi. Il presente testo invece vuole incentrarsi su quei nuclei abitati storici in cui le forme di organizzazione sociale hanno determinato uno sviluppo compatto e organizzato che noi sintetizziamo, solitamente, con il termine di centro urbano di valore storico. Essi hanno, quale prerogativa essenziale, quella di essere stati edificati all’interno di perimetri murari di delimitazione del nucleo urbano che spesso possedevano, oltre alla naturale funzione difensiva, quella di limite del territorio organizzato, all’interno del quale la vita della popolazione era retta da regole e procedure ben determinate e condivise. Ciò che dal nostro punto di vista risulta essere un ulteriore criterio di grande interesse è il livello e tipo di organizzazione che viene dato al nucleo urbano, poiché questi condizionano pesantemente, se non determinano direttamente, le forme abitative e quindi anche le condizioni iniziali di impianto. Il primo elemento discriminante appare essere la preesistenza di una forma organizzata degli attuali nuclei urbani risalente ad epoche remote, quali quelle della classicità romana, quando non addirittura precedente. Queste città hanno solo in parte accusato la crisi del V e VI secolo; alcune sono scomparse, ma la gran parte di esse hanno costituito la base per il successivo sviluppo urbano di epoca tardo-antica o alto-medievale senza soluzione di continuità nell’utilizzo, anche se con dimensioni, usi e forme modificate9. Per tali contesti esistono due principali questioni: la prima riguarda il momento di fondazione della città in epoca romana o pre-romana. Se sull’impianto regolare della città in epoca romana ci sono pochi dubbi, e qui lo daremo per assodato, alcune considerazioni di metodo devono essere fatte per quelle città che hanno avuto origine precedentemente; in tal senso anche le città della Magna Grecia appaiono con un tessuto preordinato regolare, ad isolati rettangolari, come Metaponto, Megara Hyblea, Siracusa, Taranto, Locri, Selinunte e Thurii, quest’ultima forse la prima 9  La problematica della cesura o continuità tra mondo romano e periodi successivi, per quanto riguarda le città italiane, costituisce un argomento di discussione per storici ed archeologi. Un dato sicuramente certo è che non esiste un’unica interpretazione possibile, essendo la casistica molto varia e articolata, anche negli stessi contesti geografici. Una valida sintesi del dibattito si ritrova in A. Augenti (a cura di), Le città italiane tra la tarda antichità e l’alto medioevo, Edizioni All’Insegna del Giglio, Firenze, 2006.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 29


an te p

ri

m

a

città in cui Ippodamo da Mileto realizzò la pianta a scacchiera (Figura 7). Per quanto concerne l’Italia centro-settentrionale furono gli Etruschi i primi a mostrare una cultura urbana di alto livello, da cui probabilmente i romani attinsero buona parte della loro tecnica di controllo del territorio (sia per quanto attiene alla centuriazione, sia per quanto riguarda l’impianto urbano). La planimetria di Marzabotto, in tal senso, è esemplare e richiama, sia per le soluzioni, sia per la cronologia, analoghi esempi greci. Intorno al 500 a.C. l’originale abitato di capanne viene rifondato come città basata su criteri di grande razionalità. Un asse stradale di grandi dimensioni (plateia A) attraversa da nord a sud la città mentre altri tre assi di uguale ampiezza (plateiai B, C, D) orientati in senso estovest, lo incrociano suddividendo la spazio naturale in 8 quartieri disposti sul terreno, non secondo un criterio rigidamente e regolarmente geometrico, ma in modo da usufruire della viabilità principale e contemporaneamente adattandosi alla situazione ambientale. Paralleli alla plateia A, gli stenopoi costituiscono assi

Figura 7. Schema dell’impianto urbano della città greca di Metaponto.

30 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


a m ri an te p

Figura 8. Schema della città etrusca di Kainua (Marzabotto).

stradali secondari che, incrociando le tre strade maggiori, suddividono i quartieri (regiones I, II, III, …., VIII), delimitando isolati di forma rettangolare allungata. Quello completamente scavato, l’isolato 1, presenta dimensioni di 145 x 35 m ed in esso vi si trovavano case di notevole ampiezza, di un solo piano, con larghezze dei fronti su strada variabili da 17,4 a 23 m10 (Figura 8). Gli isolati di forma rettangolare non sono caratteristici solo di alcune città greche ed etrusche, ma anche di molte città romane: se, ad esempio, Torino, Pavia, Piacenza, e Firenze hanno un impianto con isolati quadrati, Bologna, Aosta, Brescia mostrano invece isolati rettangolari, non allungati come quelli greci ed etruschi, ma comunque lontani dalla forma quadrata. Napoli e Lucera, anch’es10  La dimensione degli isolati appare essere pensata per la costruzione di case su lotti mediamente di 60x120 piedi, con la dimensione del piede etrusco pari a quella romana e cioè di circa 29,6 cm. Tra i diversi edifici, e all’inizio e alla fine della serie, sono presenti scoli che recapitano le acque delle coperture in una fognatura pubblica. Gli scoli hanno una dimensione di un piede e ½, unità corrispondente al sesquipedale ed assai utilizzata nell’edilizia etrusca e romana, per cui calcolando la presenza di 8 lotti di larghezza media pari a 60 piedi, si ottiene una misura di 145,18 m di estensione in lunghezza dell’isolato corrispondente alla misura in loco.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 31


an te p

ri

m

a

se conservano evidenti tracce di antichi isolati rettangolari, molto allungati, ma in tal caso la loro geometria potrebbe derivare da precedenti impianti greci (per Napoli) o ristrutturazioni bizantine (per Lucera). Se è oramai accertato e riconosciuto che la città antica, greca, etrusca o romana, fosse attentamente pianificata e dotata di sostruzioni11, infrastrutture viarie, fognature e di reti di adduzione idrica che in taluni casi ancora oggi contribuiscono a definire la morfologia del centro abitato -e questa rapida carrellata aveva il solo fine di porre un punto fermo alla discussione in atto- risulta necessario definire più chiaramente cosa si intende per fase di impianto in tutte quelle realtà urbane, o porzioni di esse, che non hanno avuto una fase di così antica formazione. In realtà esiste anche un’altra possibilità e cioè quella di impianti urbani che, pur essendosi formati in epoca classica, oggi non conservano più tracce determinanti per l’assetto edilizio odierno, riferibili a quei periodi. Ciò, per i nostri obiettivi, non costituisce un problema significativo se non nel senso che vanno ricercati in altri periodi, e in altre determinanti, le ragioni di un diverso impianto rispetto a quello iniziale. Per queste rifondazioni o pesanti ristrutturazioni non vi è possibilità di tracciare dei quadri unitari di riferimento, ma occorre studiare i singoli casi con i dati, storici ed archeologici, a disposizione (Figura 9). Un caso interessante, sotto questo punto di vista, può essere il centro storico di Fermo, presente anche nella parte di questo libro dedicata agli esempi dimostrativi della procedura adottata per determinare la vulnerabilità sismica degli aggregati edilizi. Questo centro, sorto sulle colline retrostanti il litorale adriatico marchigiano, registra i primi nuclei abitativi sul colle Sabulo, un’acropoli naturale frequentata in epoca pre-romana da popolazioni picene: con la deduzione come colonia romana, e poi con la trasformazione in municipium, inizia la strutturazione del centro, poi protrattasi fino al basso medioevo. Ma della fase romana, e di quella altomedievale, la città non sembra possedere alcuna traccia evidente. Eppure entrambi i periodi hanno rappresentato due momenti di notevole sviluppo ed importanza per il centro e se per il periodo alto-medievale l’assenza di tracce non rappresenta una eccezione, rispetto al contesto nazionale12, è l’assenza di elementi strutturanti e determinanti per lo sviluppo successivo dell’abitato, riferibili al periodo romano, a destare perplessità. La scarsità di dati archeologici non permette di fondare alcuna ipotesi su argomenti concreti, ma 11  Queste costruzioni, a sostegno degli ampi terrazzamenti, venivano utilizzate nei contesti acclivi per ottenere le necessarie superfici per l’erezione di strutture sia pubbliche, sia private. 12  Si ricorda che tra VIII e X secolo l’episcopato fermano si ingrandisce fino a divenire una delle diocesi più estese di tutta la penisola, facendo del vescovo della città, una delle personalità più potenti ed influenti del mondo alto-medievale.

32 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


a m ri an te p

Figura 9. Evidenziazione della presenza della strutturazione urbana romana (a destra) ed araba (a sinistra) nel centro storico di Lucera. Elaborazione grafica di Armando Liturri.

le vicende storiche possono permettere alcune supposizioni. In primo luogo potrebbe avere avuto un ruolo di rilievo, ai fini della scomparsa della gran parte degli edifici del periodo imperiale, la guerra gotico-bizantina del VI secolo che proprio nel Piceno venne combattuta con estrema virulenza. Fermo, alla pari di altri siti naturalmente predisposti ad essere fortificati, come Camerino, Osimo e Urbino, divenne una roccaforte gota e soffrì l’assedio dei bizantini. Non è da escludere che venisse presa e persa più volte, viste le alterne vicende della guerra che durò per 18 anni. La distruzione apportata da questi eventi nel Piceno fu tale che secondo Procopio di Cesarea13, in conseguenza delle continue battaglie e passaggi di eserciti, l’economia della regione fu pesantemente danneggiata 13  Procopio di Cesarea, De bello gotico, lib. II.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 33


m

a

tanto che non meno di 50.000 persone morirono di fame e inedia per le conseguenze del conflitto. Ma questo non è stato, con ogni probabilità, l’unico evento distruttivo del tessuto edilizio patito dalla città; sulle rovine della devastazione del VI secolo, infatti, dovette rifiorire una città importante in epoca longobarda e carolingia tanto che Fermo era considerata la seconda capitale del ducato di Spoleto e che pure essa, almeno agli inizi della dominazione longobarda, fu sede di ducato. Oltre a ciò va ricordato che Fermo fu scelta dall’imperatore Lotario, nell’825, come sede dell’unica scuola nel territorio del ducato spoletano. La città all’epoca doveva presentarsi ancora con i terrazzamenti costruiti durante il periodo romano a causa dell’acclività del sito. Di tali terrazzamenti, realizzati con possenti murature di sostruzione, oggi non rimangono che minimi segni, probabilmente in conseguenza dei pesanti lavori di colmatura per lo smaltimento di enormi quantità di macerie derivanti dagli edifici rovinati nella tarda antichità e nell’alto medioevo (Figura 10).

an te p

ri

Di queste operazioni di trasformazione dell’orografia originaria si conservano tracce materiali in diversi contesti italiani mentre scarseggiano, ed anzi potremmo dire sono assenti, le fonti documentarie14. Va ricordato che, oltre agli eventi traumatici quali quelli che hanno comportato distruzioni pressoché totali degli edifici, altre cause portano alla sistematica produzione di notevoli volumi di materiale edilizio da smaltire. Tra la tarda antichità e fino al medioevo pieno è molto diffusa la pratica di demolire con cadenza periodica buona parte degli edifici, specie quelli di carattere residenziale di minor pregio e qualità tecnica. Ciò deriva dalla natura provvisoria, temporanea dell’atto edificatorio, connessa all’assenza della proprietà dell’area su cui si va a costruire. Nell’alto medioevo la diffusissima pratica di realizzare gli elevati in legno già di per se rimanda ad un carattere di provvisorietà della costruzione che viene mantenuta al più per due o tre generazioni di utilizzatori. Nelle pergamene medievali è infatti diffusa la pratica di concedere in enfiteusi a terza generazione l’uso sia di terreni agricoli, sia di lotti urbani per la realizzazione di case. Ciò necessariamente porta a rinunciare all’utilizzazione di tecniche e soluzioni durature per l’edificazione e, d’altro canto, comporta la necessità di allocare masse di ma-

14  A titolo esemplificativo si cita il caso del colle su cui sorge il complesso di San Giovanni in Monte a Bologna. Per molto tempo si è ritenuto che tale rilievo fosse naturale, ma operazioni di scavo condotte negli anni ’70 del secolo scorso hanno chiarito che fosse, in realtà, di origine antropica. Realizzato con ogni probabilità tra tarda antichità ed alto medioevo, esso è costituito sia da materiale proveniente dai lavori di pulitura dei canali, sia da relitti di precedenti costruzioni.

34 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


a m ri an te p Figura 10. Schema dell’evoluzione urbana del centro storico di Fermo. Elaborazione grafica di Chiara Sandroni.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 35


an te p

ri

m

a

teriali provenienti dalle demolizioni15. A Castelfranco Emilia, a pochi decenni dalla fondazione del nuovo centro da parte dei bolognesi, in coincidenza con lo scadere del periodo di esenzione fiscale, molte famiglie di abitanti smontarono le case in legno nel giro di poche ore e abbandonarono il centro con i loro carri portando con se solo le parti più preziose e cioè probabilmente stoviglie, arredi e gli elementi lignei principali delle strutture. Con ogni probabilità, un’ulteriore attestazione della costante e ciclica opera di demolizione e ricostruzione, e quindi di una concezione non duratura di alcune forme edilizie, possiamo rintracciarla nel sito di Poggio Imperiale (Podium Bonizii) presso Poggibonsi dove gli scavi dell’abitato del XII secolo hanno portato alla luce le aree di sedime di abitazioni a schiera, destinate alle famiglie di piccoli artigiani o commercianti, a cui vennero concessi in uso, non in proprietà, dei lotti ancora non costruiti dalla vicina abbazia di Marturi. Questi edifici presentano muri affiancati, ma non in comune, a riprova di una provvisorietà della edificazione le cui operazioni di costruzione e demolizione non dovevano interferire con le vicine unità. Nello stesso centro, e negli stessi anni, le ampie case a schiera destinate ai maggiorenti, sono realizzate con tecniche e materiali atti a perdurare negli anni l’utilizzazione degli edifici ed in questi casi le murature sono realizzate in comune, con la suddivisione della spesa di costruzione. Il processo di parziale occultamento delle sostruzioni romane ad opera di rinterri successivi a Fermo aveva lo scopo di suddividere il terrazzamento in porzioni consone alle nuove dimensioni dell’edilizia medievale e rinascimentale. Nell’isolato studiato ed esposto nel presente testo, compreso nel perimetro murario della città di epoca repubblicana, la sostruzione a monte è costituita in parte dalle murature del teatro romano mentre quella realizzata tra XIV e XV secolo, necessaria a razionalizzare il dislivello tra la via principale (Corso Cavour) e la retrostante via Ricci, probabilmente è stata realizzata in concomitanza con l’apertura di una strada pubblica di servizio alla parte interna. Sostruzioni di questo tipo sono presenti in tutti i centri della fascia collinare marchigiana, area nella quale si attestano in grande maggioranza i centri storici della regione, ed 15  La pratica della demolizione delle case di abitazione, con carattere rituale quasi essa fosse il segno ciclico di un rinnovamento naturale, è presente nelle civiltà più antiche. Il sito di Catal Huyuk, in Turchia, sta rivelando i segni della continua distruzione e ricostruzione delle case di un abitato utilizzato per migliaia di anni. Questi edifici, realizzati in terra cruda, posti adiacenti l’uno all’altro, senza murature in comune, in modo che i cicli di demolizione e ricostruzione potessero avvenire senza disturbare le abitazioni vicine, si elevavano su cospicui spessori di materiali provenienti dalle demolizioni precedenti. Tali demolizioni avvenivano dopo che all’interno era stato appiccato volontariamente il fuoco, probabilmente con funzione rituale catartica, e si completavano con il ribaltamento delle murature che così venivano a creare le basi per la costruzione successiva. Sempre riferendosi a contesti antichi merita una particolare menzione il caso della città etrusca di Marzabotto in cui gli scavi dell’isolato 1 già citato (vedi supra) mostrano come le case fossero accostate, ma non presentassero muri in comune. Anche gli scavi del villaggio alto medievale di Piadena mostrano capanne accostate, ma con un piccolo spazio di divisione l’una dall’altra.

36 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


an te p

ri

m

a

avevano una dimensione tale da permettere la realizzazione di schiere di abitazioni a doppio ordine di accessi, da monte e da valle, e ricomprendendo nel terrazzamento anche l’ampiezza della strada sul lato a quota inferiore. Queste operazioni di modellazione delle fiancate delle colline solitamente non hanno previsto operazioni di scavo (se non in minima parte) ma prevalentemente fasi di riporto, di riempimento, con terreno frammisto a detriti16. Dopo la fase comunale del Duecento e Trecento, un periodo in cui il potente vescovo concede ampie libertà di autogoverno alla città di Fermo, nel XV secolo si assiste all’affermarsi di signorie personali a cui corrispondono ambiziosi progetti di trasformazione del nucleo abitato. Francesco Sforza, collegatosi, per il matrimonio di una sua figlia, ai Montefeltro di Urbino, mirava a creare nelle Marche centro meridionali, un potente principato. Fu per questo progetto che vennero pianificate e realizzate importanti opere di trasformazione del nucleo centrale della città, al di sotto dell’acropoli, ove ancora erano situati i centri di potere civile e religioso. A questo periodo, in cui il centro storico raggiunge la quasi totale saturazione delle aree edificabili, potrebbe riferirsi il passaggio definitivo ad un’edilizia basata interamente sul laterizio e realizzata su aree oramai divenute di proprietà degli abitanti; le murature divengono quindi tutte in comune e iniziano i processi di ampliamento e sopraelevazione. Quindi si potrebbe considerare questa la fase di impianto fondamentale che ha strutturato la forma della città nei secoli successivi. Tra XIII e XV secolo, con l’insediamento dei grandi complessi conventuali e l’ingrandimento della cinta muraria, la città pone le basi per il suo sviluppo futuro. L’inurbamento di popolazione dal contado, sia di estrazione nobiliare, sia appartenente ai ceti inferiori, fornirà la base demografica per la maggiore espansione del centro che si assesterà sulla viabilità che in quegli anni viene perfezionata. Quindi a Fermo, città prima picena, poi romana e quindi longobarda e carolingia, con il pieno medioevo viene cancellata, o pesantemente modificata, buona parte della strutturazione urbana precedente, reimpiantando un nuovo assetto basato su piccoli edifici che nascono come monocellulari o bicellulari in muratura. L’analisi del catasto descrittivo quattrocentesco conferma tale ipotesi, mostrando una città in cui permangono lotti residuali di proprietà ecclesiastica ancora non costruiti accanto a proprietà private con orti di pertinenza e aree

16  Cfr. M. Vitali (a cura di), Fermo. La città tra Medioevo e Rinascimento, Amilcare Pizzi Editore, Cinisello Balsamo, 1989, pp. 176-195; S. Giustozzi, G. Mochi, La contestualizzazione dell’intervento di recupero, in A.C. Dell’Acqua, V. Degli Esposti, A. Ferrante, G. Mochi (a cura di), Paesaggio costruito: qualità ambientale e criteri d’intervento, Alinea editrice, Firenze, 2008, p. 131-134.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 37


già destinate ad una futura edificazione17. Da tale scenario è possibile quindi iniziare a proporre un percorso di successive modificazioni, in cui non sarà più presente la demolizione sistematica, ma dove si potranno registrare le successive trasformazioni fino a giungere alla situazione attuale.

an te p

ri

m

a

Se i nuclei urbani con fasi pre-medievali possono o meno presentare evidenti tracce della lottizzazione regolare classica, ma come visto sopra anche in questo caso è possibile risalire ad una fase di secondo impianto solitamente basso medievale, per borghi, castelli e città di nuova fondazione medievale si ritiene utile una trattazione autonoma, in forza di casistiche proprie, ma non necessariamente singolari. Sempre facendo riferimento all’acquisizione di dati provenienti da precedenti ricerche storiche o archeologiche, anche per questi centri è possibile dare dalle chiavi di lettura più ampie che possono utilmente fornire basi conoscitive che orientano l’approccio allo studio delle fasi di impianto. La pianificazione dell’abitato sembra essere una costante anche di questa categoria di nuclei abitati. Ciò poteva avvenire in un’unica fase per l’intero centro, o in fasi successive per i centri che si espandevano progressivamente. I nuclei che si attestano su aree pianeggianti mostrano questo processo in maniera assolutamente leggibile ancora oggi, mentre più complessa è la lettura per i centri che si attestano in ambito collinare. Ancora una volta le conferme giungono dalle ricerche archeologiche. Un caso emblematico, già citato in precedenza, è quello del cosiddetto Poggio Imperiale ad ovest dell’attuale sito di Poggibonsi. L’area di Archeologia Medievale dell’Università di Siena, dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, ha iniziato studiare il sito, abbandonato nel XIV secolo, ma che presenta tracce di utilizzazione fin dal V secolo. Le ricerche hanno appurato diverse fasi relative ad un piccolo villaggio rurale in epoca alto-medievale, fino a giungere, nel XII secolo, alla decisione, da parte di un grande feudatario, di fondare un castello che, in realtà, mostra tutte le caratteristiche di un piccolo centro urbano. Senza di fatto possedere una porzione destinata alla realizzazione di una rocca, il Podium Bonizii viene strutturato, da maestranze fatte giungere sul luogo, probabilmente dall’ambito senese, con una via centrale su cui si affacciano le case a schiera dei maggiorenti, due chiese principali agli estremi di questo asse ed una serie di schiere destinate ai ceti di minor importanza, attestate su vie parallele a quella principale18. Ritroviamo negli scavi di Podium Bonizii l’immagine di una strutturazione lineare che conosciamo anche da altri centri come una di quelle più utilizza17  Cfr. M. Vitali (a cura di), Fermo. La città tra Medioevo e Rinascimento, op. cit, pp. 172-173. 18  Cfr. R. Francovich, M. Valenti (a cura di), Poggio Imperiale a Poggibonsi: il territorio lo scavo il parco.

38 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


an te p

ri

m

a

te nell’urbanistica medievale, variante articolata delle forme più basiche come quelle a lisca di pesce, presenti dal Nord al Sud dell’Italia. E proprio dal sud della penisola, altri scavi archeologici testimoniano un centro nato come presidio di difesa che presenta caratteristiche di grande razionalità nell’organizzazione degli isolati. Castelfiorentino, centro abbandonato nel corso del XIV secolo, fu fondato dai bizantini al confine con i possedimenti longobardi, nella Puglia settentrionale. Noto per essere il luogo ove morì Federico II, ma frequentato anche durante il dominio normanno, fu oggetto di scavi negli anni ‘90 del secolo scorso. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un impianto simile a quello, più tardo, di Podium Bonizii, con una principale arteria centrale che corre sul crinale della collina allungata che ospita l’insediamento. Ad essere diverse, in questo caso, sono le cellule edilizie, non a schiera allungata, ma con impianto più simile alle domus di epoca classica e quindi ad una concezione cellulare dell’organismo murario19. Il sito di Podium Bonizii presenta almeno una fase di ristrutturazione dell’impianto iniziale, prima della definitiva crisi del centro, coincidente con la distruzione da parte dei fiorentini sul finire del XIII secolo. In questa fase di ristrutturazione, caratterizzata dall’alto afflusso di abitanti dalle campagne circostanti, il tessuto edilizio si fa più denso e si vanno a saturare tutti gli spazi prima lasciati liberi. Molti edifici subiscono un ridimensionamento per permettere ad un maggior numero di famiglie di essere insediate nel centro abitato. Il dinamismo delle vicende urbane, caratteristico di tutto il medioevo italiano, costituisce un elemento decisivo per la forma urbana dei centri che subiranno sì ulteriori trasformazioni, ma conserveranno alla base quella prima urbanizzazione, su cui l’atto pianificatorio iniziale aveva implementato le fondamentali opere di urbanizzazione che strutturano l’uso dei centri. Lungi dal voler proporre una teoria generale sull’argomento, da cui derivare la possibilità di rintracciare ovunque la presenza di queste fasi di impianto, stante le diversità storiche e geografiche così evidenti nei nostri territori, va però sottolineato, alla luce di autorevoli contributi nell’ambito della storia, della geografia e dell’archeologia20, come i fenomeni urbani obbediscano a regole e vincoli che appaiono comuni, se non addirittura coincidenti, in diversi contesti nazionali. Quindi si crede possibile che, pur non rinunciando mai allo studio del singolo caso, uno o più quadri di riferimento generali possano essere messi a punto per 19  Cfr. M.S. Calò Mariani, I “villages désertés” della Capitanata Fiorentino e Montecorvino, in A. Gravina (a cura di), Atti del 27° Convegno Nazionale dell’Archeoclub d’Italia, San Severo 25-26 novembre 2006, San Severo 2007, pp. 43-90. 20  Cfr, G.P. Brogiolo, S. Gelichi (a cura di), La città nell’alto medioevo italiano. Archeologia e storia, Laterza, Bari, 1998 e P. Galetti, Abitare nel Medioevo. Forme e vicende dell’insediamento rurale nell’Italia altomedievale, Le lettere, Firenze, 1997.

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 39


an te p

ri

m

a

aiutare e guidare l’analisi dei centri fino alla definizione di quelle ipotesi, che dovranno essere le più verosimili, per l’individuazione delle fasi di trasformazione a partire da quelle di impianto. Questo, come già detto, rappresenta il punto di maggior difficoltà del metodo suggerito da Giuffrè che, per altro, costituisce oramai la base culturale dell’impostazione normativa dell’analisi degli aggregati edilizi. Il presente testo vuole contribuire alla discussione su questo delicato snodo metodologico; gli esempi che verranno mostrati nel seguito infatti partono tutti dall’ipotizzare una o più fasi di impianto per i centri analizzati e da queste, attraverso l’individuazione di cicli di trasformazione, si giungerà alla determinazione della vulnerabilità a scala edilizia.

40 1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio


4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico

4.1. Una questione di metodo

an te p

ri

m

a

La necessità di elaborare una proposta per la determinazione della vulnerabilità degli aggregati edilizi che risulti efficace ai fini dell’incremento della sicurezza nei confronti del sisma e, contemporaneamente, riduca il rischio di perdere irrimediabilmente porzioni significative del nostro patrimonio storico-culturale1 scaturisce dal riconoscimento dell’inefficacia di procedure che non considerano la specificità del problema connesso alla formazione, alla trasformazione e alla natura di tali aggregati. In primo luogo, l’osservazione degli scenari di danno prodottisi a seguito di eventi sismici ha ripetutamente mostrato come la vulnerabilità degli aggregati, intesa come propensione al danneggiamento con conseguente riduzione di funzionalità, non possa essere semplicemente vista come la somma delle vulnerabilità delle singole unità strutturali poiché esistono, tra queste, interconnessioni che trasformano l’insieme in un unico organismo sebbene eterogeneo. La vulnerabilità di tale organismo, quindi, risulta di difficile valutazione e necessita di un approccio unitario, non essendo utile stimare il comportamento di ogni singola parte quando esiste una complessa articolazione tra le diverse unità strutturali. In secondo luogo, l’assimilazione dell’aggregato ad un edificio di grandi dimensioni, su cui applicare un’analisi globale seguendo criteri e regole della dinamica strutturale applicata agli edifici in muratura, porta a risultati assolutamente distanti da un comportamento reale, stante le eccessive semplificazioni necessarie per un calcolo di questo tipo. Ma quand’anche tali modelli analitici venissero applicati, la complessità ed onerosità delle operazioni renderebbero impossibile qualsiasi realistica applicazione in sede di studio a larga scala, quale quello che invece bisogna realizzare se si vuole giungere ad una efficace campagna di prevenzione. 1  Cfr. Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Gruppo di lavoro istituito con nota del Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici n. 7547 del 06/09/2010, “Studio propedeutico all’elaborazione di strumenti d’indirizzo per l’applicazione della normativa sismica agli insediamenti storici” del 20/04/2012, p. 7.

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 79


an te p

ri

m

a

Gli scenari post-sisma mostrano, ulteriormente, come i danneggiamenti degli aggregati ricadano in categorie circoscritte, correlate a carenze nei collegamenti, alla presenza di orditure spingenti, alla dimensione esigua di maschi murari o alla insufficiente qualità dell’apparecchio costruttivo. L’individuazione di queste criticità può essere assunta quale base per la determinazione della vulnerabilità nel senso che a questo termine abbiamo dato sopra. Infatti il riconoscimento della presenza di tali situazioni definisce la predisposizione di un tessuto edilizio al danneggiamento, spostando il problema da un’analisi basata sulle condizioni di crisi per resistenza di strutture continue al campo dell’approfondimento dei criteri di individuazione delle criticità e della lettura del costruito. In ultima analisi il problema della stima della vulnerabilità viene posto nei termini di uno studio delle caratteristiche o delle qualità proprie dell’edificato piuttosto che unicamente nella verifica di un comportamento meccanico delle strutture. D’altra parte spostare l’oggetto dello studio verso la totalità dell’aggregato consente di considerare le interazioni tra le parti come elemento ulteriore rispetto all’analisi sulla singola unità strutturale: inserimento nei tessuti di edifici a struttura in cemento armato, presenza di solai con quote sfalsate, eccessive differenze in altezza o soluzioni strutturali con forte disomogeneità costituiscono condizioni di ulteriore criticità che possono essere individuate solo con una visione complessiva anche in ragione dei pericoli che queste situazioni inducono sulle porzioni contigue. Per questi motivi si ritiene necessario mettere a punto uno strumento non basato su algoritmi di calcolo che difficilmente consentirebbero di rappresentare le reali condizioni del costruito, ma in grado di valutare le diverse situazioni di pericolo potenziale e le differenti categorie di danneggiamento che l’esperienza ha mostrato essere presenti nei tessuti edilizi storici. Tale strumento deve consentire la individuazione di un valore numerico della vulnerabilità di ciascun aggregato in modo che si possa giungere alla definizione di graduatorie riferite all’intero centro storico consentendo così il controllo, da parte delle amministrazioni locali, del rischio complessivo dell’edificato attraverso la considerazione di ulteriori parametri quali l’esposizione e la pericolosità locale, definita dall’intensità del sisma atteso2. Il passaggio ad un valore numerico della vulnerabilità del singolo aggregato impone la definizione di indici parziali, ciascuno con i propri criteri di mi2  È implicito il riferimento alla nota definizione di rischio sismico (R) dato dal prodotto: R = P*V*E dove P è la pericolosità, V la vulnerabilità e E l’esposizione. La pericolosità è rappresentata dalla specifica sismicità di un’area, studiata attraverso analisi di microzonazione mentre l’esposizione è il parametro che misura il numero di abitanti o utenti interessati dalla valutazione del rischio. Maggiori informazioni si possono reperire sul sito della Protezione Civile: www. protezionecivile.gov.it. La definizione di queste graduatorie è ritenuta il passo necessario anche per elaborare strategie di prevenzione e, quindi, azioni di minimizzazione del rischio.

80 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


ri

4.2. Il contesto normativo

m

a

surabilità che ne definiscono l’effettiva quantificazione, che, insieme, devono concorrere al risultato finale attraverso la mediazione di un sistema di pesi da individuare attraverso considerazioni di natura esperienziale3. La scelta di un metodo basato, in primo luogo, sull’osservazione degli effetti che un sisma provoca sugli aggregati edilizi costituisce un riferimento certo al dato reale che può e deve trovare un valido elemento di correlazione nell’analisi degli scostamenti riscontrati, in prima battuta, tra danneggiamento effettivo e quello previsto e nella successiva minimizzazione di questi scarti. Un approccio, quindi, razionale e aperto alla correzione che le esperienze direttamente desunte dai casi reali possono introdurre per migliorare l’efficacia della previsione e, contemporaneamente, attento alla regolamentazione normativa e che fa proprio quel panorama consolidato e condiviso di studi che costituisce, finalmente, lo sfondo alle attività di analisi ed interpretazione del comportamento degli edifici murari in ambito sismico.

an te p

Nella più ampia accezione di conservazione del patrimonio costruito, il tema della sicurezza dei centri storici ha acquisito, negli ultimi decenni, numerose valenze; primariamente, l’impatto sulle funzioni in essi ospitate e le possibili perdite umane in caso di eventi di una certa significatività, tanto che il problema della prevenzione sismica è da anni incluso nelle azioni di governo del territorio, in cui si intende la vulnerabilità sismica di un sistema urbano come la sua suscettività al danneggiamento fisico ed alla perdita di organizzazione e di funzionalità a causa del sisma. Tuttavia, se i metodi per la valutazione del rischio sismico alla scala territoriale sono ormai consolidati, quelli relativi alla stima della vulnerabilità sismica alla scala edilizia ed urbana necessitano di ulteriori approfondimenti. L’esperienza maturata a seguito degli eventi sismici verificatisi in territorio italiano tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, a seguito dei quali è stata effettuata la riclassificazione delle zone sismiche, oltre alla revisione e all’aggiornamento della normativa nazionale e alla formulazione di nuovi criteri di intervento, ha dato il via alla messa a punto di una nutrita serie di strumenti volti a rilevare il danno subito dall’edificato o ad individuare il grado di vulnerabilità per edifici in muratura, alcuni dei quali sono stati debitamente illustrati nel capitolo precedente. 3  L’esposizione della procedura proposta costituisce il contenuto del cap. 5.

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 81


an te p

ri

m

a

Partendo dal presupposto che la vulnerabilità sismica si possa esplicitare solo dopo aver compreso il rapporto causa-effetto tra danno e tipo di azione sismica che lo ha prodotto, i primi strumenti vennero strutturati nella forma di schede, semplicemente rivolte alla raccolta di informazioni in merito alle caratteristiche tipologico-costruttive ed al censimento dei danneggiamenti subiti dagli edifici4. Essendo la finalità di tali strumenti proprio il rilevamento del danno a seguito dell’evento, essi esprimono soltanto giudizi di agibilità, senza fornire indicazioni utili in merito alla stima della vulnerabilità del costruito pre-sisma, alla luce del fatto che fanno riferimento esclusivamente allo stato attuale dell’edificato, senza valutare le sue fasi di trasformazione, da cui derivano invece buona parte degli effetti post-sisma. D’altro canto, è già stato evidenziato come la complessità della costruzione muraria storica non faciliti la messa a punto di modelli e metodi per la verifica numerica, volti ad una valutazione della vulnerabilità sismica di carattere quantitativo5, ma oltre a ciò esistono anche rilevanti questioni di ordine più generale. La necessità di contemperare la salvaguardia del patrimonio culturale con il miglioramento delle condizioni di sicurezza del costruito storico richiede una particolare attenzione anche dal punto di vista della produzione normativa che, fino a qualche anno fa, procedeva separatamente senza giungere ad una sintesi comune, rendendo impossibile, nei fatti, il raggiungimento di risultati apprezzabili. Con la Carta di Gubbio del 1960 il tema della salvaguardia e del risanamento dei centri storici irrompe nel dibattitto urbanistico: nel documento finale del convegno tenutosi nella cittadina umbra si auspicava che queste azioni venissero disciplinate contestualmente all’elaborazione dei PRG comunali. In assenza 4  Ricordiamo, tra queste, le schede per il censimento dei danni e l’individuazione delle caratteristiche generali degli edifici stilate in occasione del sisma del Friuli del 1976, poi confluite nella banca dati Fr.E.D. – Friuli Earthquake Damages (cfr. Indelicato, D., 2012, Valutazione e riduzione della vulnerabilità sismica degli aggregati edilizi nei centri storici. Il caso di Villa Sant’Angelo, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Dottorato di Ricerca in Progetto e recupero architettonico, urbano e ambientale, XXIII ciclo, Coordinatrice Prof. Arch. Piera Busacca, Tutor Prof. Ing. Gaetano Sciuto, Co-tutor Prof. Arch. Caterina F. Carocci, Prof. Ing. Corrado Fianchino, p. 18. Il più moderno strumento attualmente impiegato per il rilevamento del danno subito dalle costruzioni è la scheda AeDES, il cui obiettivo primario è quello di individuare l’agibilità o meno degli edifici nella fase di emergenza a seguito del sisma. Applicata sulle singole unità edilizie, la scheda consente di rilevare in modo speditivo, tramite un sopralluogo, i dati tipologici e metrici, nonché le principali caratteristiche costruttive correlabili alla vulnerabilità; tuttavia, essendo rivolta al rilevamento del danno a seguito dell’evento, esprime soltanto un giudizio di agibilità, ma non fornisce indicazioni utili in merito alla stima della vulnerabilità del costruito pre-sisma. Destinate anche all’introduzione di una stima di vulnerabilità sono invece le altrettanto note schede GNDT di II livello per edifici in muratura, già citate nel capitolo precedente, elaborate per la prima volta a seguito del terremoto dell’Irpinia del 1980, le quali giungono ad un giudizio attraverso l’individuazione di un indice numerico calcolato sulla base di indicatori indipendenti. 5  Si ricorda, nuovamente, l’esperienza del metodo POR, primo modello sviluppato esclusivamente per le costruzioni in muratura e destinato alla valutazione della resistenza delle pareti per rottura a taglio, ossia rispetto alle azioni sismiche nel piano, trascurando, invece, la verifica per azioni fuori dal piano.

82 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


an te p

ri

m

a

di una specifica tutela all’interno delle due leggi del 1939, nella dichiarazioni di principi che costituisce il contenuto della Carta, gli estensori ritennero necessario che fossero le amministrazioni comunali a farsi carico della cura dei propri centri storici quale premessa allo sviluppo della città moderna e sottolineavano l’importanza di concrete azioni tra cui anche quelle di consolidamento delle strutture essenziali degli edifici. Con la legge ponte del 1967 vennero introdotti due concetti fondamentali: che la tutela e valorizzazione dei centri storici rientrassero nell’ambito della pianificazione urbanistica generale e che venissero definiti criteri specifici per gli interventi che dovevano preservare le densità edilizie preesistenti; ma sarà la legge 457 del 1978 ad introdurre una pianificazione particolare per il recupero del patrimonio esistente, fissando anche le categorie di intervento ammissibili sottolineando ancora il ruolo dell’urbanistica quale unico settore all’interno del quale veniva percepita l’urgenza di giungere ad una tutela dei centri storici . Solo la revisione operata nel 2008 del Testo Unico sui Beni Culturali del 2004 include, all’interno della disciplina dei bei paesaggistici, i centri e nuclei storici quali oggetti di necessaria salvaguardia, registrando molto tardivamente una esigenza che, nella pratica operativa, è stata soddisfatta solo attraverso i regolamenti urbanistici. Altrettanto difficile si è rivelato il cammino che ha portato la normativa sulle sicurezza strutturale ad interessarsi alla regolamentazione degli interventi sul patrimonio costruito storico. Il tema degli edifici esistenti compare inizialmente soltanto all’interno delle normative emergenziali a valle dei terremoti che hanno colpito, con cadenza quasi decennale, il nostro Paese. In queste, il solo aspetto ad essere trattato è quello della necessità di riparazione degli edifici colpiti dotandoli anche di una maggiore sicurezza, ma senza alcuna sottolineatura dell’importanza della conservazione del loro valore culturale; dal 1908, anno del terribile cataclisma di Messina e Reggio Calabria, fino alla vicenda del terremoto del Friuli del 1976 questo è stato l’atteggiamento mostrato dai normatori. Nel 1975 fece la sua comparsa il decreto che consentiva l’attuazione della nuova e fondamentale versione della legge per le costruzioni in zona sismica, la n. 64 del 1974 che ha costituito un notevole avanzamento nella regolamentazione complessiva della tematica. Nel decreto del 03 marzo del 1975 viene inserito, per la prima volta, un intero articolo dedicato alla riparazione degli edifici esistenti che, come verrà chiarito successivamente6, non dovevano necessariamente essere stati danneggiati dal terremoto. Al di là degli effettivi contenuti tecnici, che debbono rite6  L’articolo in questione viene contrassegnato come C.9 Riparazione degli edifici in muratura. Per il chiarimento interpretativo su tale articolo si veda: Circolare Ministero LL.PP. del 30/07/1981 n. 21745, art. 1.

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 83


an te p

ri

m

a

nersi oramai ampiamente superati, questo articolo sottolinea un cambio di passo della normativa del settore della sicurezza strutturale, in quanto esso appare dettato non da contingenze legate ad una situazione d’emergenza, ma mostra una concreta attenzione al patrimonio edilizio esistente ed al suo mantenimento e consolidamento. La prima cosciente citazione dell’importanza del patrimonio edilizio storico come valore culturale all’interno di una normativa di contenuto tecnico ed amministrativo si ha con la L.R. 20/06/1977 n. 30, emanata dalla regione Friuli Venezia Giulia per la gestione del processo di ricostruzione dopo il sisma del maggio 1976. Il tenace attaccamento dei friulani alla loro terra produsse la prima legislazione emergenziale il cui principale obiettivo era ricostruire e rendere maggiormente sicuro l’intero patrimonio edilizio danneggiato, evitando così di ripercorrere la sciagurata esperienza del Belice dopo il terremoto del 1968 che vide l’abbandono degli antichi centri. Ulteriormente, gli estensori della legge del 1977 posero l’accento sulla necessità di non disperdere l’identità culturale e per questo vollero indirizzare specificamente gli interventi di riparazione e restauro alla valorizzazione e recupero dei principali valori ambientali, storici, culturali ed etnici connessi con l’architettura locale7. Sarà, in seguito, la legislazione speciale per la ricostruzione post-sisma delle regioni Umbria e Marche a dare ampio spazio ad una attenta valorizzazione dell’architettura storica attraverso la definizione di specifiche direttive tecniche che portarono ad un ripensamento generale dell’insieme degli interventi, superando così la paradossale situazione che si creò in Friuli dove, ad un appassionata rivendicazione della necessità di recuperare in pieno il costruito storico come valore identitario, non seguì una ridefinizione delle modalità tecniche che rimasero quelle stesse già inserite nel DM del 1975. Nella piena consapevolezza che un attento recupero del patrimonio danneggiato dal sisma passasse anche dalla conservazione dei materiali e delle tecniche dell’edilizia storica, si diede vita ad un’esperienza che ha costituito un importante tappa del processo di definizione di procedure tecniche di intervento che fossero al tempo stesse efficaci nel conferire maggiore sicurezza e rispettose del valore storico e culturale del patrimonio architettonico locale8. La ricostruzione dopo il terremoto del 1997 fu anche l’occasione per poter mettere in campo un’esperienza innovativa, quale quella dei Programmi di 7  Si vedano in proposito gli art. 8 e 10 della Legge Regionale del Friuli Venezia Giulia n. 30 del 20/06/1977: Nuove procedure per il recupero statico e funzionale degli edifici colpiti dagli eventi tellurici – Ulteriori norme integrative della legge regionale 7 giugno 1976, n. 17. 8  Relativamente all’esperienza della ricostruzione esiste una produzione editoriale corposa. Tra i testi più significativi, soprattutto in merito al rapporto tra tutela del valore culturale e sicurezza strutturale, si veda: F. Gurrieri (a cura di), Manuale per la riabilitazione e la ricostruzione postsismica degli edifici, Roma, Dei Tipografia del Genio Civile, 1999.

84 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


an te p

ri

m

a

Recupero post-sisma, direttamente discendenti dalla legge 61/989 che costituì l’innovativo strumento giuridico che guidò l’intero processo di rinascita delle zone colpite dal sisma. Essa introduceva, per la prima volta in una complessa vicenda quale quella di una ricostruzione post-sisma, una strumento attuativo che coinvolgeva direttamente il privato in interventi di riqualificazione di interi complessi, affiancandosi all’operatore pubblico. L’attuazione di quei programmi venne basata sia sul lavoro di Giuffrè a Ortigia e a Palermo, sia sulle esperienze che la regione Emilia Romagna aveva condotto a partire dagli anno ’80 su alcuni centri minori10. La problematica degli aggregati edilizi viene esplicitata in tutta la sua complessità in questo processo di ricostruzione, sia dal punto di vista delle definizioni terminologiche, sia dal punto di vista dell’individuazione degli interventi da porre in atto, testimoniando come un approccio non ottusamente incentrato solo sul singolo edificio sia l’unica modalità possibile per le istanze, entrambe necessarie, di sicurezza e salvaguardia del patrimonio culturale. Il DM 16/01/96 rappresentava lo sfondo normativo della ricostruzione nelle due regioni che, però, fu reso inefficace dalla legislazione d’emergenza. La distanza tra questa ed il DM, emanato solo due anni prima, appare, ad un’attenta lettura, siderale. Se deve essere considerata innovativa tutta le legislazione che derivò dalle legge 61/98, all’opposto la normativa del ’96 appare ancorata ad una cultura tecnica che sembra ignorare completamente l’importanza dell’architettura storica diffusa, ma da lì a poco, complice un’ulteriore tragica sequenza di scosse che colpì il Molise nel 2002, dopo appena sette anni, nel 2003, questo decreto venne sostituito dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274. Le prime indicazioni inerenti ai metodi di analisi e verifica per edifici in aggregato sono state introdotte in questa Ordinanza ed in particolare nell’ultimo aggiornamento, costituito dall’Ordinanza n. 3431 del 2005, ove per la prima volta in ambito normativo si fa esplicito riferimento agli aggregati edilizi di cui viene data una definizione chiaramente riferita alla processualità trasformativa che ne costituisce la genesi11. Per la valutazione della sicurezza sismica degli edifici in aggregato l’Ordinanza 9  Si veda l’art.3: Interventi su centri storici e su centri e nuclei urbani e rurali. 10  Per le esperienze condotte in Emilia Romagna di veda I. Cremonini (a cura di), Rischio sismico e pianificazione nei centri storici, Alinea, Firenze, 1994. Sulla specifica esperienza condotta nella regione Marche sui Programmi di Recupero si veda AA.VV., Recupero e riduzione della vulnerabilità dei centri storici danneggiati dal sisma del 1997. Rassegna ragionata dei programmi di recupero post-sisma, Regione Marche, 2004. 11  Nell’allegato 2 all’Ordinanza, si legge infatti che l’aggregato “è costituito da un insieme di parti che sono il risultato di una genesi articolata e non unitaria, dovuta a molteplici fattori (sequenza costruttiva, cambio di materiali, mutate esigenze, avvicendarsi dei proprietari, etc.)” Cfr. allegato 2 all’Ordinanza 3274/2003 come modificato dall’OPCM 3431 del 03/05/2005, capitolo 11.5.4.3.2.

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 85


an te p

ri

m

a

riconosce la necessità di comprendere il comportamento del singolo edificio in rapporto al sistema di cui esso fa parte, valutandone le possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con gli edifici adiacenti, connessi o in aderenza ad esso. Viene quindi introdotto il concetto di Unità Strutturale (U.S.), intesa come la componente del singolo edificio in esame, su cui considerare le azioni derivanti dalle unità strutturali contigue. L’Ordinanza definisce i criteri secondo cui individuare, all’interno dell’aggregato, la U.S. di riferimento, tenendo conto sia dei carichi, statici e sismici, che delle caratteristiche costruttive delle diverse parti, per indirizzare il progetto verso interventi congruenti con l’originaria configurazione strutturale. Dal punto di vista del flusso dei carichi verticali, l’U.S. deve avere continuità da cielo a terra e, di norma, può essere delimitata da spazi aperti, da giunti strutturali, da edifici contigui costruiti, ad esempio con differenti materiali o tipologie strutturali oppure in epoche diverse. Le disposizioni in merito agli aggregati edilizi enunciate nell’Ordinanza sono state poi recepite al punto 8.7.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008 ed al punto C8.A.3 della Circolare applicativa n. 617/2009. Nonostante l’importanza conferita alla fase preliminare rispetto alle verifiche vere e proprie, ossia alle operazioni di rilievo ed alle indagini conoscitive per la comprensione dell’effettivo assetto strutturale, dei dettagli costruttivi e dei materiali utilizzati, le indicazioni normative risultano ancora piuttosto sommarie, poiché evidentemente complessa è la stima dell’interazione tra l’unità edilizia da analizzare e quelle circostanti, in rapporto alla posizione nell’ambito dell’aggregato ed al suo processo di formazione. L’attuale approccio normativo conferma così quanto già espresso nell’Ordinanza: dovendo tenere in conto delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con le costruzioni adiacenti, è fondamentale, in via preliminare, determinare le U.S. da sottoporre all’analisi, evidenziando le azioni che su di esse possono derivare dalle unità strutturali contigue. Di nuovo, l’U.S. deve avere continuità da cielo a terra per quanto riguarda il flusso dei carichi verticali e, di norma, deve essere delimitata o da spazi aperti, o da giunti strutturali, o da edifici contigui strutturalmente ma, almeno tipologicamente, diversi12. Dal punto di vista normativo, la valutazione della sicurezza degli aggregati edilizi si risolve quindi attraverso un’attenta individuazione delle parti del costruito che possono essere considerate come separate ai fini del comportamento sotto 12  Come ulteriormente specificato nella Circolare applicativa, “la porzione di aggregato che costituisce l’U.S. dovrà comprendere cellule tra loro legate in elevazione ed in pianta da un comune processo costruttivo, oltre che considerare tutti gli elementi interessati dalla trasmissione a terra dei carichi verticali dell’edificio in esame”. Cfr. appendice C8C della Circolare 2 febbraio 2009, n. 617

86 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


an te p

ri

m

a

sisma e su cui sia possibile condurre una modellazione strutturale, analogamente a quanto avviene per edifici isolati. Notiamo, altresì, un’importante ricaduta verso la complessità del patrimonio murario ove la normativa recita: “nelle costruzioni esistenti in muratura soggette ad azioni sismiche, particolarmente negli edifici, si possono manifestare meccanismi locali e meccanismi d’insieme. I meccanismi locali interessano singoli pannelli murari o più ampie porzioni della costruzione, e sono favoriti dall’assenza o scarsa efficacia dei collegamenti tra pareti e orizzontamenti e negli incroci murari. I meccanismi globali sono quelli che interessano l’intera costruzione e impegnano i pannelli murari prevalentemente nel loro piano.”13 In particolare, quando la costruzione non manifesta un chiaro comportamento globale, ma piuttosto tende a reagire al sisma come un insieme di sottosistemi, la verifica complessiva può essere sostituita da un insieme di verifiche locali14. Se la verifica della risposta globale prevede, necessariamente, la modellazione dell’aggregato mediante un codice di calcolo, operazione laboriosa e di dubbia affidabilità, l’individuazione dei possibili meccanismi locali di collasso appare assai più facilmente applicabile anche agli aggregati edilizi, per i quali la vulnerabilità sismica risulta fortemente influenzata dall’assenza di idonei mezzi di collegamento tra le porzioni che lo costituiscono. L’esperienza ha infatti mostrato come, anche per edifici in aggregato, il collasso sotto l’azione sismica sia generalmente determinato non dal raggiungimento della resistenza ultima nella muratura, ma da carenze intrinseche di carattere costruttivo, quali l’inefficacia delle connessioni e la presenza di difetti e discontinuità spesso non facilmente individuabili. Alla luce di quanto rilevato, è evidente come per edifici contigui, a contatto od interconnessi, i metodi di modellazione e verifica in uso per le strutture di nuova costruzione non siano adeguati: le analisi statiche e dinamiche impiegate dalla più moderna ingegneria sismica sono infatti affidabili ed appropriate nel caso di edifici realizzati ex-novo, concepiti secondo regole che garantiscano il comportamento scatolare della costruzione, grazie al buon collegamento tra orizzontamenti e strutture verticali, alla trasmissione delle azioni orizzontali agli elementi di controvento ed alla corretta connessione tra elementi verticali. Aspetti, questi, generalmente assenti nel costruito storico, per il quale il sisma tende a colpire ove si concentrano le soluzioni tecniche ed i sistemi di connessione più carenti, come spesso avviene nei nodi tra pareti ed orizzontamenti.

13  Cfr. paragrafo 8.7.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 14/01/2008. 14  Cfr. paragrafo C8.7.1.1 Circolare 2 febbraio 2009, n. 617.

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 87


4.3. L’analisi per macroelementi

an te p

ri

m

a

Come evidenziato, gli edifici storici, ed in particolar modo quelli in aggregato, spesso subiscono trasformazioni tali da rendere inefficace un’analisi condotta in termini di risposta globale, la quale richiederebbe l’adozione di parametri poco attendibili e di difficile determinazione, riferiti, ad esempio, alle caratteristiche meccaniche di murature eterogenee, che hanno subito più e più rimaneggiamenti nel tempo. Per edifici esistenti in muratura, isolati o in aggregato, risulta utile, oltre che essere ammesso dalle normative attuali, un approccio cinematico dei meccanismi locali, caratterizzati da collassi parziali di intere porzioni murarie che, investite dal sisma, perdono l’equilibrio. Il danneggiamento consiste, quindi, nell’attivazione di meccanismi locali di componenti strutturali che possiedono, quale prerequisito necessario, una adeguata monoliticità al fine di impedire collassi localizzati per disgregazione della muratura15. Il metodo si configura come un’analisi limite dell’equilibrio che stima i danneggiamenti ritenuti significativi per la costruzione in ragione dell’assenza o della scarsa efficacia dei collegamenti tra pareti, e tra queste e gli orizzontamenti, considerando le prime come corpi rigidi, macroelementi indeformabili coinvolti in cinematismi di collasso16. I macroelementi sono identificabili come porzioni strutturali collegate fra loro tramite vincoli semplici e contraddistinte da proprie carenze costruttive e caratteristiche meccaniche, le quali si comportano indipendentemente l’una dalle altre, seguendo cinematismi riconducibili a due categorie. Quelli definiti da Antonino Giuffrè come meccanismi di primo modo sono connessi ad azioni fuori dal piano di giacitura delle murature, con comportamento flessionale e di ribaltamento; i meccanismi di secondo modo riguardano invece la risposta delle pareti nel proprio piano, con danneggiamenti tipicamente per taglio e presso-flessione. Operando una schematizzazione, in una costruzione in muratura possiamo identificare gli elementi resistenti nelle pareti e negli orizzontamenti17, i quali rispondono ad un diverso comportamento a seconda della sollecitazione a cui risultano soggetti. Eventuali carenze nel collegamento tra pareti ortogonali e tra pareti ed orizzontamenti fanno sì che la struttura non sia in grado di sviluppare, 15  Il metodo è incompatibile con murature di qualità evidentemente scadente, per le quali è prevedibile un collasso associato alla disgregazione dell’opera muraria. 16  L’analisi dei meccanismi di danno per macroelementi segue alcune approssimazioni che stanno alla base del metodo. Innanzitutto, si ipotizza che ogni cinematismo venga messo in moto dalla perdita di equilibrio di porzioni di muratura isolate da lesioni, ove i corpi rigidi ruotano e/o traslano l’uno rispetto all’altro; ciò costituisce evidentemente un’approssimazione, poiché un muro reale non ruota rigidamente senza subire al contempo alcun tipo di deformazione. Inoltre, si considerano le strutture murarie come costituite da materiale uniforme, quando, per murature di qualità molto scadente, la disgregazione può condurre al collasso prima che si attivi la catena cinematica. 17  Nella più ampia accezione di solai, volte e coperture.

88 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


an te p

ri

m

a

durante il sisma, una risposta globale che chiami a collaborare fra loro le diverse parti ed a ripartire tra esse le azioni agenti: le singole pareti mostreranno, quindi, una risposta indipendente, ed in particolare, fuori dal piano. La presenza, invece, di un buon ammorsamento tra le pareti o di connessioni, puntuali o lineari, come avviene per effetto della presenza di catene metalliche o di cordolature, attiva la collaborazione nella risposta tra le varie parti. In tale caso l’edificio presenta un comportamento d’insieme che attiva le risorse di resistenza e rigidezza nel piano delle murature. La rigidezza dei solai nel piano assume un ruolo fondamentale nel realizzare il comportamento scatolare dell’edificio, il quale rende possibile la definizione di una vulnerabilità globale del fabbricato, poiché solai rigidi ripartiscono le azioni fra le pareti in base alla loro rigidezza ed alla posizione in pianta, favorendo l’instaurarsi di meccanismi di collasso nel piano, di minore pericolosità. Nel caso, invece, di solai flessibili, la ripartizione delle azioni su ciascuna parete avviene in funzione dell’entità dei carichi verticali portati, accentuandone il comportamento indipendente. La prima fase dell’analisi riguarda dunque l’individuazione delle condizioni che favoriscono l’innescarsi dei meccanismi locali di collasso, attraverso l’identificazione del grado di connessione tra gli elementi strutturali e delle eventuali carenze dovute ai processi di trasformazione avvenuti nel tempo. Disconnessioni e carenze nei collegamenti consentono di individuare i macroelementi, ossia le porzioni più o meno estese della struttura che, in funzione della qualità muraria, possono presentare un comportamento monolitico e quindi attivarsi, come meccanismi, sotto sisma. Individuato così il meccanismo di collasso, la trasformazione della struttura in un cinematismo avviene tramite l’inserimento di un sufficiente numero di cerniere e di piani di scorrimento; ciascun macroelemento risulta soggetto ai carichi verticali ed alle forze orizzontali. La valutazione conduce all’individuazione di un coefficiente α0 che rappresenta il moltiplicatore delle masse sismiche che caratterizza le condizioni di equilibrio limite per il macroelemento e ne contraddistingue, quindi, l’attivazione; il cinematismo collegato al più basso valore di α0 risulta il più probabile. La valutazione del comportamento dell’aggregato e delle condizioni di collasso deve quindi basarsi su un’attenta analisi del costruito, volta alla comprensione degli aspetti che maggiormente ne condizionano la risposta sismica, quali la configurazione geometrica, la qualità muraria, l’efficacia delle connessioni tra gli elementi verticali e tra questi e gli orizzontamenti, nonché la presenza di spinte non contrastate e l’interazione con le strutture adiacenti. In presenza di carenze costruttive e specifiche vulnerabilità, è così possibile ipotizzare l’attiva-

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 89


m

4.3.1. Meccanismi di collasso fuori dal piano

a

zione di prevedibili meccanismi di collasso locali. Nell’ambito della procedura proposta, tale approccio viene assunto quale base concettuale per la previsione del possibile scenario di danno per l’aggregato oggetto di indagine; si rinuncia, però, al calcolo del valore dell’accelerazione sismica in grado di attivare il meccanismo stesso, non essendo questa la finalità ultima del metodo, concepito per stimare in maniera speditiva la vulnerabilità degli aggregati di un intero centro storico al fine di pianificare le azioni di mitigazione del rischio alla scala urbana; per tale ragione il riconoscimento del valore di attivazione dei singoli meccanismi appare essere un risultato non necessario. Per quanto detto appare utile proporre una rassegna dei principali meccanismi locali18 rilevabili su edifici in muratura, isolati ed in aggregato, successivamente caratterizzati attraverso la metodologia di analisi utilizzata per la definizione degli scenari di danno di probabile attivazione.

an te p

ri

Tali meccanismi, detti anche di primo modo, si manifestano attraverso cinematismi fuori dal piano e coinvolgono una o più pareti della scatola muraria. L’insorgere di tali meccanismi è posto in relazione al debole o inesistente ammorsamento tra la parete ed i muri ad essa ortogonali ed alla presenza di azioni spingenti di volte e coperture. In generale, nell’edilizia storica tali meccanismi innescano i danneggiamenti più frequenti e pericolosi poiché possono coinvolgere spazi sia pubblici che privati e sono in genere accompagnati dalla perdita di appoggio delle travi dei solai. Per edifici in aggregato, tali meccanismi interessano le pareti libere e non contrastate, ossia i fronti su strada e su corti interne, nonché i cantonali d’angolo. Ai fini della valutazione della vulnerabilità sismica di edifici in aggregato, tali cinematismi vengono identificati in meccanismi: • di ribaltamento semplice • di ribaltamento composto e di ribaltamento del cantonale • di flessione verticale • di flessione orizzontale Meccanismo di ribaltamento semplice

Interessa le diverse elevazioni, o la totalità, delle pareti esterne e si configura come una rotazione rigida fuori dal piano di porzioni di muro attorno ad una cerniera cilindrica orizzontale posta alla base del macroelemento. 18  Tali procedure sono state formalizzate da numerosi autori, a partire da Antonino Giuffrè (1993), fino ai recenti studi condotti a livello regionale, quali Beolchini G.C., Milano L., Antonacci E. (2005).

90 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


an te p

ri

m

a

Tale meccanismo si innesca quando la facciata o parte di essa, investita dall’azione sismica fuori dal piano, risulta scarsamente vincolata in sommità per l’assenza di dispositivi di collegamento, quali cordoli e catene, e lateralmente non ammorsata alle pareti ortogonali. L’attivazione del meccanismo è favorita dalla presenza di spinte provenienti dalla copertura o originate da archi e volte. Per edifici in aggregato, tali condizioni frequentemente si rilevano qualora la facciata su strada abbia subito un processo di rifusione, contraddistinto dall’accorpamento di più cellule dietro un unico prospetto, a volte realizzato attraverso la completa demolizione e successiva ricostruzione del fronte senza prevedere il corretto ammorsamento con i setti murari contigui, interno ed esterni. La porzione di muro soggetta a ribaltamento può essere variamente estesa, in funzione del processo evolutivo subito dalla facciata, delle modalità di connessione con gli altri elementi e della disposizione delle aperture. In facciata, l’innescarsi di tale meccanismo genera l’insorgere di lesioni verticali in corrispondenza delle discontinuità dell’apparecchio murario. Nel caso di edifici con murature a sacco, prive di diatoni di collegamento, i due paramenti possono presentare comportamenti indipendenti: il meccanismo di ribaltamento semplice può, in questi casi, interessare la sola cortina esterna, con presumibile innesco sotto azioni sismiche anche di entità contenuta (Figura 30, Figura 31). Meccanismo di ribaltamento composto e di ribaltamento del cantonale

Questo tipo di meccanismo si configura come il ribaltamento del muro sollecitato attorno a cerniere cilindriche orizzontali; nel caso in cui la facciata non possieda vincoli in sommità, ma risulti ben ammorsata alle pareti contigue ortogonali, il ribaltamento può comportare il trascinamento di porzioni dei setti di controvento. Tale circostanza è riscontrabile nei casi in cui le murature siano state costruite in un’unica fase temporale o, per edifici d’angolo, qualora siano intervenute modificazioni delle facciate nel tempo che hanno condotto alla rifusione di più porzioni murarie sotto un unico fronte, con operazioni che possono ricondursi alla demolizione e ricostruzione completa dello stesso. L’innescarsi del meccanismo genera la formazione di lesioni diagonali, o a doppia diagonale, sulle pareti ortogonali alla facciata, con angolo di distacco variabile in funzione della qualità muraria e della posizione delle aperture sui setti murari di controvento interessati dal trascinamento: una scarsa qualità muraria, determina piccoli angoli di inclinazione della diagonale rispetto alla verticale mentre la presenza di aperture prossime agli incroci murari favorisce l’innesco del meccanismo di danno. Per gli aggregati edilizi, il meccanismo di ribaltamento composto generalmente interessa gli edifici d’angolo, più vulnerabili poiché presentano una delle pare-

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 91


a m ri

an te p

Figura 30. Esemplificazione del meccanismo di ribaltamento semplice (disegno di Salima Vicini)

Figura 31. Lesione da ribaltamento semplice dell’ultimo livello (L’Aquila 2009, foto di Giovanni Mochi).

92 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


ti di controvento esposta; il cinematismo può qui interessare parte del fronte strada e della relativa parete d’angolo o può caratterizzarsi come meccanismo di ribaltamento del cantonale, dovuto al concentrarsi delle spinte derivanti da elementi funzionanti come falsi puntoni nelle coperture a padiglione, che determinano la rotazione di un cuneo di distacco attorno ad una cerniera posta alla base dello stesso. L’entità della porzione coinvolta nel meccanismo e la sua geometria sono condizionate dalla presenza di una copertura spingente e dall’assenza di connessioni in testa alle pareti ed ai vari livelli (Figura 32 e Figura 33). Meccanismo di flessione verticale

an te p

ri

m

a

Questo meccanismo di collasso è dovuto alla instabilità verticale di pareti perimetrali vincolate solo alle estremità per mezzo di catene o cordolature che ne impediscono il ribaltamento semplice, mancando invece le connessioni in corrispondenza dei solai intermedi. Esso si esplica con la formazione di cerniere cilindriche orizzontali che dividono il pannello murario in porzioni rigide che ruotano reciprocamente attorno alle stesse fino al collasso. Suddetto meccanismo è favorito dalla qualità scadente della muratura e dalla distribuzione non omogenea dei carichi verticali stabilizzanti come si verifica, ad esempio, nelle murature a sacco in cui il distacco interessa solo la cortina esterna. Può interessare uno o più livelli dell’edificio, in relazione al posizionamento dei vincoli in corrispondenza degli orizzontamenti, e porzioni di facciata variabili in relazione alla disposizione delle aperture. Quando il meccanismo, pur se innescato, non provoca il collasso completo della facciata, esso comporta lo spanciamento del muro verso l’esterno in corrispondenza dell’orizzontamento non vincolato che, nei casi in cui questo fosse rigido e pesante come avviene con i solai latero-cementizi, può generare pericolosi fenomeno di martellamento (Figura 34 e Figura 35). Meccanismo di flessione orizzontale

Se i muri d’ambito risultano ben ammorsati alle pareti ortogonali, ma è carente il vincolo di sommità per l’assenza di dispositivi di connessione tra la parete ed una copertura spingente, il collasso può essere ricondotto ad un comportamento flessionale nel piano orizzontale. In tali condizioni, all’interno della parete si innesca il meccanismo per effetto della formazione di un arco orizzontale a tre cerniere che, in sommità, si posizionano una in mezzeria e due in prossimità dell’intersezione tra la facciata ed i setti murari ortogonali. Complessivamente il meccanismo interessa una porzione di facciata di geometria trapezoidale, delimitata da cerniere cilindriche, oblique ed orizzontali, attorno alle quali ruotano i cunei di distacco.

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 93


ri

m

a

L’innesco del meccanismo risente del confinamento della facciata da parte delle pareti adiacenti che bilanciano la spinta dell’arco di scarico. Esso si attiva quando l’entità delle azioni ortogonali alla facciata provoca lo schiacciamento della muratura ed il conseguente allineamento delle tre cerniere dell’arco con

an te p

Figura 32. Esemplificazione del meccanismo di ribaltamento composto (disegno di Salima Vicini).

Figura 33. Lesione da ribaltamento del cantonale che interessa l’ultimo livello (L’Aquila 2009, foto di Giovanni Mochi).

94 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


ri

m

a

successiva espulsione verso l’esterno dei cunei di distacco. La qualità della muratura influisce significativamente sull’ampiezza di tali cunei: a seconda che la parete sia monolitica oppure “a sacco” l’arco di scarico potrà interessare l’intero spessore o solo la cortina esterna.

an te p

Figura 34. Esemplificazione del meccanismo di flessione verticale (disegno di Salima Vicini).

Figura 35. Danneggiamento da flessione verticale (L’Aquila 2009; foto di Giovanni Mochi).

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 95


Il meccanismo risulta particolarmente frequente nei casi di presenza di pareti con ridotta resistenza a trazione e di facciate trattenute da catene e tiranti, ma la condizione fondamentale per il suo innesco è costituita dalla presenza di spinte alla sommità della muratura, dovute a coperture con falsi puntoni (Figura 36 e Figura 37).

m

ri

Figura 36. Esemplificazione del meccanismo di flessione orizzontale (disegno di Salima Vicini).

an te p

Costituisce un caso particolare del meccanismo di flessione orizzontale che si attiva frequentemente negli edifici in aggregato contraddistinti da altezze variabili.

a

Meccanismo di sfondamento o ribaltamento del timpano

Figura 37. Lesione da flessione orizzontale (terremoto umbro-marchigiano, 1997; foto di Giovanni Mochi).

96 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


an te p

ri

m

a

Il meccanismo è associato all’assenza di connessioni efficaci tra il pannello murario del timpano e la copertura che grava su di esso, ed è innescato dall’azione di martellamento della trave di colmo, specialmente se di grande sezione, che determina il ribaltamento con conseguente rotazione dei cunei attorno a cerniere oblique. Qualità dell’apparecchiatura muraria e presenza, posizione e dimensione delle aperture influiscono sulla dimensione dei cunei di distacco in quanto interferiscono con la progressione del cinematismo. Nel caso di presenza di più travi di Figura 38. Esemplificazione del meccanismo di ribaltamento copertura agenti sul timpano, come del timpano (disegno di Salima Vicini). succede nei tetti in cui si ha un’orditura principale costituita da arcarecci, le cerniere oblique tendono a divenire orizzontali. In queste situazioni il cinematismo può essere assimilato ad un ribaltamento semplice dell’intero timpano attorno ad una cerniera cilindrica orizzontale posta a livello della quota di gronda delle facciate perpendicolari ad esso (Figura 38 e Figura 39). 4.3.2. Meccanismi di collasso nel piano

I meccanismi di secondo modo si innescano quando la struttura presenta un buon comportamento scatolare, limitando i cinematismi di collasso delle pareti fuori dal piano; tali meccanismi interessano pareti complanari all’azione sismica e generalmente non comportano crolli significativi dei setti murari. Il meccanismo di rottura per taglio è quello che più frequentemente si verifica nelle costruzioni in muratura ed è riconducibile alla loro scarsa capacità di resistere a trazione. Le azioni nel piano provocano lesioni diagonali ad andamento incrociato nei maschi murari o nelle fasce di piano, al di sotto e al di sopra delle aperture presenti, con l’evidenziazione del funzionamento a bielle compresse. La fessurazione si innesca inizialmente in una direzione ed al centro del pannello, propagandosi poi verso le estremità; a causa delle azioni cicliche, si ha la formazione dei due sistemi di lesioni diagonali incrociate. Queste possono

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 97


a m ri

an te p

Figura 39. Lesione da ribaltamento del timpano in corrispondenza del livello del solaio di sottotetto (terremoto umbro-marchigiano, 1997; foto di Giovanni Mochi).

interessare prevalentemente i giunti di malta oppure estendersi anche a mattoni o blocchi, in relazione alla qualità della malta. La crisi per scarsa resistenza al taglio si può manifestare in due differenti modi: a seconda che siano più resistenti i maschi murari o le fasce di piano, il collasso può interessare gli uni o le altre. Il collasso dei maschi murari si verifica generalmente quando la facciata è caratterizzata dalla presenza di fasce di interpiano a maggiore rigidezza rispetto alle fasce piene verticali, ove queste siano di larghezza piuttosto ridotta. I maschi murari risultano così soggetti a maggiori deformazioni rispetto alle fasce, le quali presentano un comportamento più rigido. Viceversa, nel caso di costruzioni caratterizzate da maschi murari di maggiore rigidezza le rotture a taglio interessano le fasce di piano (Figura 40 e Figura 41). 4.4. L’importanza della qualità muraria nell’approccio per macroelementi

Condizione necessaria affinché il comportamento della parete in muratura sotto l’azione di forze orizzontali e verticali possa essere assimilato a quello di 98 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


Figura 40. Esemplificazione del meccanismo di collasso nel piano (disegno di Salima Vicini).

an te p

ri

m

a

un corpo rigido è che essa possieda una apparecchiatura costruttiva rispondente alla cosiddetta “regola dell’arte”19. La risposta della parete alle azioni esterne, infatti, dipende essenzialmente dalla sua natura e dalle sue caratteristiche; in particolare, ruotando attorno alla base, nel caso di ribaltamento, essa tende a scaricare il proprio peso sul lembo esterno generando una forte sollecitazione di

Figura 41. Lesione da taglio al piano terra (Mirandola 2012, foto di Giorgia Predari). 19  Come sosteneva lo stesso Giuffrè, “la caratteristica meccanica di un muro eseguito «a regola d’arte» è quella di arrivare al collasso attraverso la realizzazione di cinematismi che comportano la formazione di cerniere cilindriche, mentre le porzioni comprese tra le fessure offrono un comportamento tipo «corpo rigido». Un «meccanismo di collasso» di tal tipo, descrivibile in prima approssimazione come una catena cinematica, consente talvolta una modellazione matematica sufficientemente accurata, ma soprattutto consente sempre una realistica previsione del suo formarsi e suggerisce il mezzo per evitarlo. La minor «qualità» del muro, il suo discostarsi dalla «regola dell’arte», gli toglie tale caratteristica (…). Quanto minore è la qualità del muro tanto è prematura la conclusione rovinosa del moto cinematico che viene innescato dalle azioni esterne”. Cfr. Giuffrè, A., a cura di (1993), Sicurezza e conservazione dei centri storici. Il caso Ortigia, Editori Laterza, Roma, p. 7.

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 99


a m ri an te p

Figura 42. Scarso ammorsamento interno per assenza di diatoni (Mirandola e Finale Emilia 2012, foto di Giorgia Predari).

Figura 43. Ribaltamento di facciata causato da mancanza di ammorsamento e scarsa qualità muraria (L’Aquila 2009, foto di Giovanni Mochi).

100 4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico


an te p

ri

m

a

taglio lungo il piano medio. In questa fase entra in gioco la capacità del muro di conservare la propria configurazione e monoliticità attraverso la presenza di elementi di connessione tra le due facce della parete. L’analisi dei meccanismi di danno di primo modo permette, quindi, di apprezzare l’importanza del livello di ingranamento fra le facce, dal momento che la capacità della muratura di comportarsi come un corpo rigido si basa sulla presenza, al suo interno, di diatoni, ovvero elementi passanti che collegano la muratura in senso trasversale. Una muratura priva di diatoni, come sono quelle costituite da ciottoli o a sacco, non offre sufficiente resistenza alla sollecitazione di taglio che si innesca nel piano medio e può disaggregarsi giungendo rapidamente al collasso. Al contrario, la presenza di adeguati elementi di connessione trasversale assicura monoliticità alla parete che, sotto l’azione sismica, oscilla attorno alla posizione di equilibrio senza disgregarsi. Per stimare in modo apprezzabile la qualità muraria, l’attenzione deve pertanto essere rivolta non solo alla tessitura muraria, ossia alla disposizione degli elementi costituenti e dei giunti verticali, ma soprattutto al grado di coesione trasversale fra i paramenti grazie alla presenza di diatoni ben distribuiti, alla qualità dei componenti costitutivi della muratura per dimensioni, forma e tipologia, nonché alla qualità della malta. Murature idonee ad assorbire le azioni trasversali al loro piano sono quelle che, a parità di spessore, garantiscono il migliore ingranamento fra i paramenti; sembrerebbe semplice soddisfare questo requisito nella realizzazione di murature in laterizio, ove l’unificazione nelle dimensioni dei pezzi suggerirebbe la possibilità di eseguire facilmente murature a regola d’arte e con diatoni distribuiti uniformemente. Tuttavia, l’esperienza del recente sisma emiliano del 2012 ha mostrato come, nell’area colpita ove la cultura costruttiva è basata quasi esclusivamente sull’uso del laterizio, siano praticamente assenti murature a sacco, di maggior pericolosità. Allo stesso tempo non si può ammettere a priori il corretto ingranamento fra i paramenti in maniera generalizzata; frequentemente infatti, per effetto dei crolli indotti dal sisma, sono state rilevate murature apparentemente a tre o più teste, il cui spessore non presenta però un buon grado di connessione interna in ragione della scarsità, o addirittura dell’inesistenza, di diatoni di collegamento trasversale, tanto da poterle assimilare a pareti semplicemente accostate tra loro. In diversi casi, specialmente in edifici monumentali, soggetti a diverse trasformazioni e sopraelevazioni, sono stati rilevate rifoderature murarie, realizzate al fine di accrescere le sezioni, ma senza porre in opera elementi di connessione ai nuclei preesistenti (Figura 42 e Figura 43).

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 101


Indice

5

Introduzione

m

a

1. Edilizia in aggregato: definizioni, interpretazioni e prospettive di studio 1.1. Definizioni 1.2. Questioni interpretative 1.3. Sulla metodologia 1.4. Il problema delle fasi di impianto

13 13 17 22 25 41 41 48 52 54

3. Strategie di valutazione della vulnerabilità e di prevenzione del danneggiamento sismico 3.1. Strategie di valutazione 3.2. Inquadramento della proposta metodologica 3.3. Scenari di danno e validazione della proposta 3.4. Strategie di prevenzione

67 67 72 76 77

4. La sicurezza degli aggregati edilizi in ambito sismico 4.1. Una questione di metodo 4.2. Il contesto normativo 4.3. L’analisi per macroelementi 4.3.1. Meccanismi di collasso fuori dal piano 4.3.2. Meccanismi di collasso nel piano 4.4. L’importanza della qualità muraria nell’approccio per macroelementi

79 79 81 88 90 97 98

an te p

ri

2. Morfologia urbana e tipologie edilizie 2.1. Morfologia urbana 2.1.1. Il contesto dell’Italia meridionale 2.1.2. Il contesto dell’Italia centro-settentrionale 2.2. Tipologia

190 Indice


103 103 104 107 110 112 117 120 120 127 131

6. Esempi applicativi a cura di Salima Vicini 6.1. Carpi 6.1.1. Isolato 19 6.1.2. Isolato 36 6.1.3. Isolato 49 6.2. Crevalcore 6.2.1. Isolato XVIII 6.3. Castelfranco Emilia 6.3.1. Isolato Cappi 6.3.2. Isolato Cuccoli 6.4. Fermo 6.4.1. Isolato Matteucci 6.5. Lanciano 6.5.1. Isolato C16 6.5.2. Isolato C17 6.6. Considerazioni conclusive sul metodo

135

7. Bibliografia

187

Indice

190

an te p

ri

m

a

5. La proposta metodologica 5.1. Considerazioni generali 5.2. Descrizione della procedura operativa 5.2.1. La fase di lettura critica 5.2.2. L’interpretazione del processo evolutivo 5.2.3. L’individuazione degli elementi di criticità 5.2.4. La previsione degli scenari di danno 5.3. Individuazione degli indici di vulnerabilità 5.3.1. Definizione degli indici analitici 5.3.2. Definizione degli indici speditivi 5.4. La proposta di un coefficiente correttivo relativo alla qualità muraria

136 137 143 148 153 153 158 159 164 169 170 174 175 179 185

Indice 191


acquista ora

La vulnerabilitĂ sismica degli aggregati edilizi Giovanni Mochi, Giorgia Predari pp. 192 - Euro 25,00 ISBN 978-88-96386-39-2 formato 16,8x24 cm


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.