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8. IL PROBLEMA DELLA CONTAMINAZIONE VIRALE IN AMBIENTE SANITARIO

Oltre alla contaminazione ambientale di origine batterica e micotica, anche la contaminazione virale può contribuire alla diffusione di infezioni nelle strutture assistenziali. Numerosi virus possono infatti essere rilasciati e diffusi da pazienti infetti, sia sintomatici che asintomatici, così come da personale sanitario o persone in visita, ed alcuni di essi possono persistere in forma infettante per periodi anche molto lunghi nell’ambiente.

Ciò è particolarmente noto per i virus privi di inviluppo pericapsidico (virus nudi) che per loro natura sono particolarmente resistenti nell’ambiente esterno, ma anche alcuni virus inviluppati son in realtà in grado di persistere per lunghi periodi (ore, giorni) su superfici inanimate, mantenendo la propria integrità strutturale e quindi l’infettività.

Le infezioni virali possono essere trasmesse, analogamente a quelle con altra eziologia microbica, attraverso aerosol respiratorio, contatto diretto con superfici e device contaminati, o contatto indiretto, ad esempio attraverso le mani contaminate degli operatori (vedi pagg 33-34 delle attuali Linee Guida). Poiché numerosi virus si trasmettono attraverso l’emissione di goccioline (droplets) contaminate e hanno quindi una trasmissione prevalentemente aerogena, la contaminazione dell’aria appare di particolare importanza nella valutazione del rischio infettivo virale, oltre a quella della contaminazione delle superfici che possono entrare in contatto con il paziente. Nel monitoraggio ambientale della contaminazione virale, andrebbero quindi effettuate simultaneamente e routinariamente sia le analisi della contaminazione delle superfici (sia frequently hand touched che unfrequently hand touched) che le analisi della qualità e livello di contaminazione dell’aria.

Anche le infezioni di natura virale, così come quelle a eziologia batterica e microbica, possono contribuire in modo significativo alla morbidità e mortalità dei pazienti ospedalizzati, causando prolungamento della ospedalizzazione e incremento dei costi associati al ricovero. Analogamente alle ICA associate a infezione batterica/ micotica, anche le infezioni virali possono colpire, oltre ai pazienti, anche gli operatori sanitari, che sono quindi esposti al rischio di acquisire infezioni virali nosocomiali, potenzialmente mettendo quindi a rischio la propria salute e facilitando la diffusione dell’infezione a pazienti, ai loro familiari, e alla comunità in generale.

Le infezioni virali correlate all’assistenza (qui denominate d’ora in poi IVCA) possono verificarsi in tutti i tipi di strutture assistenziali, incluse le aree non direttamente connesse al ricovero dei pazienti, come sale d’aspetto, bar, ecc. Tali infezioni risultano particolarmente frequenti laddove i pazienti sono particolarmente fragili e suscettibili, come negli ospedali pediatrici e nelle aree ad alto rischio degli ospedali per adulti, come le terapie intensive (Fragkou et al. 2021).

Le IVCA più frequenti coinvolgono il tratto respiratorio e gastrointestinale, ma tutti i tessuti e organi possono essere potenzialmente coinvolti (Demmler-Harrison 2019).

8.1 VIRUS ASSOCIATI A IVCA

Possono contribuire all’insorgenza di IVCA sia virus a DNA che a RNA, endemici o meno. Molti virus possono essere trasmessi in ambiente ospedaliero, grazie alle caratteristiche di persistenza e trasmissibilità.

Tra i virus maggiormente riconosciuti come possibile fonte di infezione ospedaliera, la lista del CDC (https://www.cdc.gov/hai/organisms/organisms.html), include:

1. virus epatitici

2. virus dell’immunodeficienza umana acquisita (HIV/AIDS)

3. Norovirus

4. virus influenzali

1. Virus epatite

Epatite A.

L’epatite di tipo A è una malattia acuta del fegato causata dal virus dell’epatite A (Hepatitis A virus, HAV), un virus a RNA, non dotato di inviluppo pericapsidico (virus nudo), appartenente alla famiglia Heparnaviridae. Tale virus, come tutti i Picornavirus (a cui il virus appartiene), sono caratterizzati da dimensioni molto ridotte ed estrema resistenza nell’ambiente esterno.

Le IVCA da HAV non sono frequenti. HAV è infatti trasmesso per via oro-fecale, e la trasmissione al personale sanitario di norma avviene quando un paziente è affetto da epatite A non riconosciuta ed ha sintomi riconducibili a diarrea o incontinenza fecale. I fattori di rischio per la trasmissione di HAV includono: 1) consumare cibi o bevande nelle aree di degenza dei pazienti, 2) non lavare le mani dopo il contatto con un paziente, 3) condividere cibo, bevande, sigarette con i pazienti e i loro familiari, e con lo staff medico. Sono tuttavia riportati anche outbreaks di epatite A in cui il virus viene trasmesso attraverso il contatto tra soggetti (https://www.cdc.gov/hepatitis/ outbreaks/2017March-HepatitisA.htm); le categorie più a rischio sono: soggetti che usano droghe da iniezione, soggetti senza dimora, omosessuali maschi, carcerati, soggetti con alter forme di epatite virale (B, C) o epatite cronica da altre cause (Figura 1).

Epatite B

L’epatite di tipo B è una malattia del fegato causata dal virus dell’epatite B (Hepatitis B virus, HBV), un virus a DNA inviluppato appartenente alla famiglia Hepadnaviridae.

Si tratta del più piccolo virus a DNA conosciuto tra quelli in grado di infettare l’uomo. A differenza di HAV, HBV può causare sia infezione acuta che persistente, e la cronicizzazione dell’infezione è associata allo sviluppo di cirrosi epatica, carcinoma epatico, insufficienza epatica e morte.

La diffusione di HBV nell’ambiente ospedaliero è associata a contaminazione con sangue o altri fluidi corporei di un paziente infetto. Quando un soggetto entra in contatto con tali sorgenti può contrarre l’infezione. La trasmissione è quindi essenzialmente legata all’uso di oggetti che entrano in contatto con il sangue: aghi, siringhe o altri strumenti taglienti. Non è esclusa la trasmissione mediante contatto tra oggetti contaminati (anche superfici) e cute lesa. Tale virus può quindi essere trasmesso mediante trasfusione, dialisi, iniezione, endoscopia.

Epatite C

L’epatite di tipo C è una malattia del fegato causata dal virus dell’epatite C (Hepatitis C virus, HCV), un virus a RNA inviluppato appartenente alla famiglia Flaviviridae. Scoperto nel 1989 e inizialmente denominato NANB (nonA nonB), è stato in seguito suddiviso in 6 varianti genotipiche e oltre 90 sottotipi. I 6 genotipi sono diversamente distribuiti nel mondo, con una prevalenza del tipo 1 in Stati Uniti (1a) e Europa (1b). Causa epatite acuta e cronica, con una percentuale di cronicizzazione che arriva al 75% dei soggetti infettati, causando quindi elevato rischio di insufficienza epatica grave, cirrosi, carcinoma epatico. La trasmissione di HCV è mediata dal contatto con sangue infetto. La diffusione tra soggetto e soggetto in ambiente ospedaliero è infrequente ma può avvenire, e l’infezione si contrae principalmente attraverso il contatto con aghi, siringhe o altri strumenti taglienti. Tale virus può quindi essere trasmesso mediante trasfusione, dialisi, iniezione, endoscopia.

IVCA ha HBV e HCV sono stati riportati con una certa frequenza negli USA, con >90% dei casi in strutture non-ospedaliere (https://www.cdc.gov/hepatitis/statistics/ healthcareoutbreaktable.htm)

2. HIV/AIDS

Il virus HIV è un virus a RNA inviluppato appartenente al genere Retrovirus, ed è l’agente eziologico dell’AIDS. Il virus viene trasmesso essenzialmente mediante contatto con sangue o alcuni fluidi corporei (liquido seminale, fludi rettali o vaginali, latte materno). HIV non sopravvive a lungo all’esterno del corpo umano, come la maggior parte dei virus dotati di inviluppo pericapsidico.Tale sindrome, causando un progressivo calo delle difese immunitarie, espone i soggetti infetti a numerosi altri tipi di infezione. La maggior parte delle esposizioni, in soggetti immunocompetenti, non porta allo sviluppo dell’infezione. Nonostante la trasmissione di HIV in strutture di assistenza sia possibile, risulta molto rara. L’uso delle norme igieniche e delle precauzioni universali (uso di procedure idonee a prevenire le infezioni da sangue) sono infatti utili a limitare la trasmissione sia tra pazienti che al personale sanitario. Sono stati documentati casi di trasmissione di HIV da organi o tessuti trapiantati.

3. Norovirus

I Norovirus sono un gruppo di virus a RNA, nudi, appartenenti alla famiglia Caliciviridae. Sono causa di comuni gastroenteriti. La sintomatologia è di tipo infiammatorio a livello di stomaco e intestino, e porta a manifestazioni come vomito e diarrea. La malattia è in genere lieve e autolimitante nel soggetto sano, ma può essere severa nel soggetto pediatrico o anziano, e nel paziente ospedalizzato. L’infezione da Norovirus diffonde molto rapidamente e le strutture di assistenza, così come le piccole comunità, sono ad alto rischio per la trasmissione mediante contatto soggetto-soggetto.

I virus si trovano nelle feci e vomito dei pazienti infetti, sono molto contagiosi e possono infettare altri individui mediante: 1) contatto diretto con un paziente infetto, 2) consumo di cibo o bevande contaminate, 3) contatto con superfici e oggetti contaminati, e successivo contatto con la bocca. Nelle strutture assistenziali, la prevenzione viene effettuate mediante: accurata igiene delle mani, uso di appropriati dispositivi di protezione individuale (DPI) come camici e guanti, pulizia delle superfici con prodotti specificamente attivi contro i norovirus, lavaggio e cambio frequente di abiti e biancheria, isolamento dei soggetti infetti (pazienti o personale sanitario).

4. Virus influenzali

L’influenza è un’infezione principalmente acquisita in comunità, tuttavia circa 200.000 persone in media negli Stati Uniti ogni anno devono ricorrere al ricovero ospedaliero per sintomatologie particolarmente severe o complicazioni. La trasmissione del virus in setting assistenziali può avvenire molto comunemente, pertanto misure di contenimento della diffusione dovrebbero essere implementate in ogni struttura. Le strategie principali includono: 1) campagne vaccinali, 2) implementazione di igiene respiratoria e attenzione (tossire o starnutire nell’incavo del braccio), 3) gestione appropriata del personale sanitario infetto, 4) adozione di precauzioni di infection control in tutte le procedure a rischio di generare aerosol infetto, 5) implementazione di misure di controllo di igiene ambientale.

5. Altri virus

Oltre ai virus elencati dal CDC, molti altri virus possono essere trasmessi in ambiente ospedaliero.

I primi studi effettuati sulla possibile contaminazione virale ospedaliera e sul suo impatto sulle infezioni nosocomiali risalgono agli anni ’80 (Valenti et al. 1980). In questi primi studi già si erano osservate infezioni nosocomiali dovute a herpesviruses, virus respiratorio sinciziale (RSV), virus influenzali, adenovirus e virus parainfluenzali.

I pazienti che acquisivano infezioni virali nosocomiali avevano in media un tempo di ospedalizzazione prolungato di circa 9.3 giorni, contribuendo ciò notevolmente all’incremento dei costi di ospedalizzazione.

Nella Tabella 1 sono schematicamente raccolte le tipologie di trasmissione di virus responsabili di insorgenza di infezioni nosocomiali (Hota 2004).

Tabella 1. Principali patogeni virali nosocomiali (modificata da (Hota 2004)).

Virus Tipo di contaminazione ambientale

Influenza virus

Aerosol; persistenza su fomiti

Parainfluenza virus

Sopravvivenza su abiti/tessuti e superfici non porose

Tempo di sopravvivenza

24-48 h su superfici non porose

10 h su superfici non porose; 6 h su abiti/tessuti

Evidenze di trasmissione Precauzioni raccomandate Sanificazioni raccomandate

Da fomiti a mani in HCW Droplet

Detergentidisinfettanti standard

Non provata Contatto

Detergentidisinfettanti standard

Norovirus

Epidemie persistenti in pecore; elevata contaminazione ambientale; possibile aerosol

Epatite B virus

≤14 g in feci; ≤12 g su tappeti Non provata Standard 10% Na ipoclorito o altri virucidi

Contaminazione ambientale da sangue 7 g

SARS coronavirus

Isolamento positivo da ED; elevata trasmissibiità

24-72 h su fomiti e in feci

Lancette, elettrodi EEG, trasmissione nosocomiale a HCW

Non provata ma sospettata

Standard Detergentidisinfettanti standard

Airborne, contatto, dispositivi di protezione personale

Detergentidisinfettanti standard

Lavori successivi hanno ulteriormente esteso il numero di virus potenzialmente capaci di causare infezioni nosocomiali (Tabella 2), includendo Adenoviridae, virus respiratorio sinciziale (RSV), rhino/enterovirus e metapneumovirus (Chow and Mermel 2017).

Studi recenti, che hanno revisionato la letteratura scientifica riguardo alle infezioni virali nosocomiali, includono tra i virus potenzialmente trasmissibili in ospedale (soprattutto ma non esclusivamente in età pediatrica) (Demmler-Harrison 2019):

• virus respiratori (RSV, virus influenzali e parainfluenzali, metapneumovirus, rhinovirus, enterovirus respiratori, adenovirus, coronavirus e mimivirus),

• virus associati a malattie esantematiche dell’infanzia (morbillo, parotite, rosolia, varicella e parvovirus B19),

• virus gastrointestinali (che rappresentano una delle maggior cause di IVCA e includono rotavirus, calicivirus, norovirus, astrovirus, torovirus, adenovirus enterici, enterovirus enterici, parechovirus e virus dell’epatite A),

• virus muco-cutanei (papillomavirus, herpesvirus),

• virus derivati da sangue e tessuti (virus epatite B e C, citomegalovirus, herpesvirus umano 8, parvovirus B19, HIV, HTLV-1 e HTV-2, virus dengue, virus West Nile, virus della febbre del Colorado).

Molti di questi virus sono stati peraltro ricercati e trovati come contaminanti persistenti sulle superfici e nell’aria degli ambienti ospedalieri analizzati (Carducci et al. 2011), includendo ambienti ad alto rischio e camere bianche.

In questi lavori, che hanno ricercato i virus maggiormente dotati di capacità di sopravvivenza e persistenza nell’ambiente ospedaliero (norovirus, rotavirus, adenovirus), si è inoltre messa in evidenza la elevata presenza di virus non francamente patogeni ma dal potenziale importante significato ai fini della comprensione dei fenomeni di contaminazione: uno dei virus evidenziati è infatti il TTV (Torque Teno virus) umano, un virus a DNA presente nella quasi totalità della popolazione umana, non associato al momento a patologie nell’uomo, ma liberato e diffuso dall’organismo umano nell’ambiente in grandi quantità.

La rilevazione di questo virus, pertanto, pur non avendo potenziale significato clinico, può essere di importanza per valutare il livello di contaminazione virale di un ambiente.

D’altra parte, lavori recenti mostrano come durante la pandemia COVID-19, a causa delle procedure di pulizia e disinfezione particolarmente curate, si sia osservato un calo di infezioni respiratorie nosocomiali (Wee et al. 2020), confermando pertanto la correlazione tra contaminazione ambientale e rischio infettivo in ospedale.

Revisioni recentemente pubblicate (Fragkou et al. 2021), mostrano come nelle unità di terapia intensiva le infezioni virali risultino particolarmente frequenti, e includano sia virus ubiquitari distribuiti globalmente che virus più regionali (Figura 2) (Fragkou et al. 2021).

Per quanto riguarda il rischio di contaminazione virale nelle diverse aree di rischio in ospedale, si faccia riferimento a quanto già descritto nei precedenti capitoli.

Si noti che, per quanto riguarda la prevenzione della diffusione del nuovo coronavirus umano pandemico SARS-CoV-2, le aree di ricovero e cura dei pazienti COVID-19 sintomatici sono da considerarsi aree ad alto rischio. Gli operatori sanitari accedono a tali aree solo provvisti di DPI (tuta monouso, mascherina FFP3, visiera protettiva, doppio paio di guanti, cuffie e calzari); sono previste procedure di vestizione, svestizione e sanificazione in aree definite. Allo stesso modo, quindi, tutte le procedure di monitoraggio della contaminazione ambientale andranno svolte rispettando tutte le procedure e le regole introdotte per il controllo della diffusione del contagio e la protezione della salute degli operatori.

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