Catalogo Gilam Agency 2017

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Mario Bianco

Dice che mia mamma faceva le poste “”

racconti - 73 cartelle (con alcuni disegni dell’autore)

Nato a Torino nel 1941, ha lavorato come commesso di libreria, insegnante di educazione artistica, grafico pubblicitario, disegnatore progettista. Per vent'anni è stato responsabile tecnico della Galleria di Arte Moderna di Torino. Come pittore ha partecipato a molte collettive e a venti mostre personali. Con l’Agenzia Poetica Torinese ha tenuto per due anni una trasmissione alla RTA negli anni Settanta. Ha vinto il premio letterario italiano bandito da alice.it nel 2001 con il racconto La scatola del dottor Wallaby, pubblicato da Marcos y Marcos. Ha pubblicato i romanzi Le pigne in testa (Michele Di Salvo, 2002), Di ruggine in rugiada (L’Ambaradan, 2005, finalista al Premio San Vidal di Venezia), Humbaba Huwawa (Senzapatriaeditore, 2012), L’altra faccia dell’angelo o la mummia turca (Nerosubianco, 2015), le raccolte di racconti Letti a undici piazze (con Euro Carello, Graphot, 2014) e Il restauratore di robot (Nerosubianco, 2016), oltre a saggi su Torino e il quartiere di San Salvario.

In questi racconti parlano, vaneggiano, si sfogano diseredati, poveracci, mentecatti, picari, visionari, ladri e truffatori: persone che vivono ai margini, in una zona d’ombra, di cui si fa a meno di parlare perché sgradevole, tranne quando gli emarginati diventano protagonisti di fatti di cronaca nera. Il linguaggio - sul quale l’autore compie una sperimentazione coraggiosa e ben riuscita - è corrotto da dialettismi e neologismi uditi dal vero, per rendere più taglienti le scene inquadrate come un rapido schizzo. “Ho scritto queste storie - dice Mario Bianco - per l’interesse e la forte simpatia che sento per un mondo di emarginati, di gente lesa dalla natura medesima, allontanati dalla vita sociale, dimenticati sovente dalla giustizia e anche dalla pietà. Ho alleggerito i temi

nove racconti 170 cartelle

Non è stata solo la questione di Gualtiero, come hanno detto in tanti, in troppi, per semplificare le cose. È una visione dell’anima che la gente non sente, non ha; e non vede nel profondo quindi, non è in grado di spalancare i propri occhi di dentro sugli stracci che ci portiamo chiusi nel petto. Io ho visto fino in fondo, ma prima ero cieca, come tutti, quasi tutti. All’inizio ero una bambina, anzi come una bambola ritagliata nella carta, ero una misera vagabonda che Gualtiero si è comprata per dodici pezzi d’oro da un vecchio che si diceva mio padre. E io ero felice di andare via, di volare in quella casetta col giardino dove giravano farfalle e c’erano statuette [...]

pesanti con tono ironico o grottesco, perché taluni dei protagonisti hanno qualcosa di strambo o buffo”. Alcuni di questi testi sono accompagnati da una illustrazione dell’autore stesso.

Mary Cassatt sono io “”

È una raccolta di nove racconti, ispirati all’esperienza lavorativa dell’autore in un museo pubblico per circa venti anni. Sono ambientati in vari musei di una grande città, tutti dipendenti da una fondazione sovvenzionata da una potente banca e dalla finanza pubblica. I personaggi principali passano da un ente museale all’altro, da un racconto al successivo, e in questo modo legano le storie per formare un’unità narrativa, una sorta di romanzo con camere comunicanti. L’intento è trascinare il lettore in un

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Toccavo i dipinti, ero autorizzata a palpare le tele e rigirarle, e ad annusarle, anche, a ficcarci sopra il naso a dieci centimetri, andare a scoprire tracce di scritte, numeri sul telaio, etichette autografe dell’autore, a volte marchi di fabbricanti [...]

mondo dove la cultura non solo si conserva, ma si fa, di fronte alle collezioni, agli arredi, ai dipinti, alle atmosfere, alle oscurità di bui armadi e alla psicologia delle figure, talora strambe, che interagiscono in un mondo stravagante con collezionisti, organizzatori di mostre blockbuster, politici rampanti, interessi biechi e impiegati talora infedeli.

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Attilio Del Giudice

Racconti di ponente 40 racconti 110 cartelle

Attilio del Giudice è casertano e vive a Santa Marinella (Roma). Ha un passato di pittore e filmmaker, operando da solo o militando nei gruppi d’avanguardia attivi in Campania negli anni Settanta e Ottanta. Dalla fine del secolo scorso è coinvolto nella scrittura narrativa. Ha pubblicato tra gli altri: • Morte di un carabiniere (minimumfax) • Città amara (minimumfax) • Bloody Muzzare’ (Leconte) • La vita incagliata (Leconte) • Una barchetta di carta (Gaffi) Tra gli ebook: Storie dolci feroci e veloci, Sentimento e risentimento, L’azzardo. Dal 20o8 conduce il blog Le pittate d’ogni giorno e dal 2017 collabora a STORY☆FRAME, quindicinale redatto a quattro mani, con racconti brevi ispirati da scatti fotografici di Massimiliano Del Giudice. Per molti anni ha lavorato, come psicologo, nelle istituzioni pubbliche per l’orientamento e la consulenza psicopedagogica.

Quaranta racconti, alcuni più lunghi, altri brevi e fulminanti; quaranta “pittate”, narrazioni pennellate in cui si mescolano il realismo e il fantastico, il magico e il metafisico, il comico e il tragico. Una galleria di personaggi che restano impressi nella memoria del lettore. Una scrittura leggibile, limpida e pulitissima, che “non deve trarre in inganno sulla profondità di questa raccolta che mette a fuoco quella incerta linea di confine tra razionale e irrazionale che, di solito, viene interrogata dalla buona letteratura”, come ha scritto Andrea Carraro riferendosi ad altra opera di Del Giudice. Questi sono i “Racconti di ponente”, nei quali si incontrano personaggi e situazioni che fanno parte del vivere quotidiano: la pasticciera Carmen e il parroco del paese, la prostituta Assunta, il senatore e la moglie incontentabile, la peccatrice madonna del presepe vivente, il cassintegrato, il camorrista don Ciro che “comandava la morte”, i due amici costretti a uccidere dal boss, la ragazzona obesa abusata, le “comarelle”, il vecchio zio depravato. E poi il tradimento, la violenza, il moralismo strapaesano, le donne maltrattate, il primo amore, il mare crudele, la malavita, l’emigrazione, il precariato, i sogni erotici di un adolescente con la professoressa conturbante, il messaggio nella bottiglia ritrovato a Castelvolturno. Ma ci sono anche lo scrittore e la pagina bianca, gli uccellacci di Kafka e gli autobiografici peperoni di Rosetta, la musica del violino di Carmine de Franchi, l’arte e le incisioni. Tante scene e tante figure che concor-

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Veniva quassù al sanatorio, ogni giorno, col caldo torrido, col freddo, con la pioggia, con la neve. Camminava lentamente per via della salita in alcuni tornanti troppo ripida. La strada era stretta e tortuosa e l’accesso era vietato alle auto private, ai taxi e a tutti gli altri mezzi pubblici, per permettere il passaggio delle autoambulanze dell’ospedale. Il vecchio preside procedeva a piedi. A metà strada, dove c’era uno slargo con una veduta di tutta la vallata, si fermava pochi secondi per cercare di ripristinare un po’ il fiato, poi riprendeva il cammino senza altre soste. Veniva per una giovane donna. Alcuni dicevano fosse la figlia, altri affermavano perentoriamente che fosse la seconda moglie. Tutti concordavano sul fatto che questa donna, sui trent’anni, colpita dalla tisi, fosse bellissima. In paese si raccontavano strane storie e qualcuno si compiaceva di montare intorno a questa coppia veri e propri romanzi sceneggiati. Spesso, venivano inventati spunti piccanti, generalmente per divertire, per far ridere ma, improvvisamente, pare che da un’infermiera del sanatorio fossero arrivate notizie più concrete e scandalose, benché nessuno si fosse preso la briga di vagliare l’attendibilità della fonte. Si diceva, per esempio, che fra i due, in ospedale, ci fossero stati amplessi, anche in presenza di altre malate. Una cosa inventata di sana pianta, che, tuttavia, aveva preso piede ed era, spudoratamente, sulla bocca di molti paesani. Un accenno, piuttosto esplicito, durante la predica della messa domenicale delle undici, lo fece, inopinatamente, perfino don Fabrizio [...] rono a creare uno straordinario ciclo di affreschi narrativi e che, nel loro insieme, costituiscono una prova di autentica letteratura.

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Francesco Forlani

Le tournant romanzo (in preparazione)

Nato a sette mesi a Caserta nel 1967, sotto il segno dell’acquario, vive tra Parigi e Torino. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italofrancese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo.

Corsica. Un’edicola votiva, memoriale di un automobilista morto in un incidente. Nella realtà non c’era stato alcun incidente e tanto meno il morto, inventato di sana pianta dal sindaco per indurre chiunque passasse di lì alla prudenza: una fantasticheria che però aveva salvato un mucchio di persone. Così alla morte del geniale sindaco la giunta vuole commemorare l’uno, lo storico primo cittadino, e il secondo, il morto che non c’è, premiando quest’ultimo con una nuova vita, anzi vita tout court visto che non era nato nemmeno una volta. E lo fa ingaggiando uno scrittore Opere pubblicate da FrancescO FOrlani • Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) • Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 • Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma • Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 • Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012

per scrivere una storia. Il protagonista si chiama Franck, d’origine italiana ma in Francia da una mezza vita, fisarmonicista e scrittore; comincia a raccontare la saga familiare del morto, inventandosela dalla dominazione genovese, ai moti rivoluzionari dell’Ottocento e all’occupazione fascista degli anni Quaranta dopo la resa della Francia. Lo scrittore se la gode alla grande. Beve e mangia da dio, s’innamora, ma la vera notizia è che i suoi testi riscuotono un successo che nessuno dei suoi libri aveva mai ottenuto. Tout baigne, direbbero in Francia. Solo che, a un certo punto, riceve un chiaro invito a fermarsi, quando scopre che sotto l’altarino c’erano davvero delle ossa... • Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) • Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina • La classe, Edizioni Quintadicopertina • Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 • Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) • Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017

Metromorfosi quindici racconti “metromorfici” (parzialmente edito in francese) Quindici tappe di un percorso in cui personaggi ordinari (un controllore, un rappresentante di commercio, una giovane coppia, uno scrittore) si confrontano con i principi spinosi della realtà e l’esperienza straordinaria della propria trasformazione. Esseri umani presi alla sprovvista dall’irreale percorrono la città, cercando di sfuggire alla contingenza e a incontri compromettenti. Con queste peregrinazioni tragicomiche, le

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cui vere protagoniste sono Parigi, Venezia, Napoli, un’isola perduta nell’Atlantico, l’autore ci conduce inesorabilmente in uno strano mondo, da cui il lettore uscirà divertito e “cresciuto”. Il libro è stato scritto in lingua francese e pubblicato nel 2002 in Francia. Fu scelto come livre du jour a Radio France Culture e ne furono fatte due edizioni. Inedito in Italia è stato, tredici anni dopo, tradotto dall’autore stesso e i diritti sono disponibili. Alle metromorfosi della prima edizione se ne aggiungono, in italiano, altre quattro inedite.

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Stefania Hauser

Bagaglio a mano romanzo 160 cartelle

Nasce a Genova nel 1974 dopo un parto travagliato. Mette subito le cose in chiaro, smentendo le scarse probabilità di sopravvivenza che le avevano dato. Amante della lettura fin da piccola (si vanta di avere ricevuto una nota di merito firmata dal preside della sua scuola per avere letto quaranta libri in quinta elementare) si diploma perito turistico e frequenta Giurisprudenza e Scienze Politiche con poca convinzione. Gli esami sostenuti scarseggiano, ma ottiene i primi riscontri come scrittrice vincendo alcuni concorsi di narrativa, fino a quando decide di chiudere i libri e mettersi a lavorare nel settore alberghiero. Dopo una lunga gavetta, rileva la gestione di un hotel a Sirmione e poi a Limone sul Garda e a Sanremo. Dal 2013 si dedica a tempo pieno alla scrittura e si trasferisce per amore a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe, città natale di Cesare Pavese (ama anche lui). Nel giugno del 2014 esce, per Lietocolle, Di altri e d’altrove (nella collana curata da Anna Antolisei), una raccolta di racconti di cui Francesco Forlani scrive l’introduzione. Ha scritto i due romanzi P.Esse e Bagaglio a mano, inediti.

Il bagaglio a mano è ciò che ci portiamo dietro e riteniamo indispensabile: ha peso e dimensioni standard che ci costringono a omologare le nostre necessità, per cui è lecito domandarsi se, oltre a ciò che siamo e a ciò che crediamo d’essere, esiste uno spazio per chi vorremmo essere. Lo fanno Marco, Paola, Eleonora e Giancarlo durante un soggiorno di appena ventiquattr’ore sul lago di Garda, in occasione della cerimonia di consegna del premio destinato ai professionisti locali che si sono maggiormente distinti nell’ultimo anno. Aprendo le loro valigie,

scopriamo così attraverso quali itinerari personali hanno raggiunto la destinazione attuale. A fare da contrappunto alle loro storie, l’anziano proprietario dell'hotel, malato di Alzheimer, che vede passare sotto i suoi occhi le vite degli altri, ma soprattutto la sua. “Bagaglio a mano” racconta delle infinite possibilità di elaborazione del dolore e del diritto che ciascuno di noi ha di difendere quella parte di sofferenza che in qualche modo porta all’autodeterminazione; il rapporto con il proprio vissuto è personale: c'è chi il bagaglio non lo apre, chi lo disfa e ri-disfa continuamente, chi spera di dimenticarlo, chi lo ritrova. Perché la memoria logora chi l'ha, ma anche chi la sta perdendo.

P.Esse (Post Scriptum) romanzo 105 cartelle Un trasloco di scatoloni colmi d’amarezza per una storia sentimentale fallita; una nuova casa da riempire di risposte; una fitta corrispondenza scoperta per caso. Esse è una postina appassionata di viaggi, musica e cinema, P. gestisce un ristorante, ha una vita d’ovatta e una storia sentimentale già pianificata. In una giornata qualunque, uno sguardo furtivo suscita l’urgenza del conoscersi a ogni costo. Inizia così un rapporto epistolare all’apparenza innocuo, ma che, tempo dopo, fa incontrare le due donne davanti a un caffè. Tanto basta a entrambe per intuire il rischio della complicità. P. fatica a contenere l’esuberanza sentimentale di Esse, ma ne subisce il fascino e anche il suo tentare di prendere le distanze rivela il desiderio di raccontarsi,

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di condividere pezzi di sé. Esse intravede nei tentennamenti della donna una possibilità e le spedisce le chiavi del portone di casa e della cassetta della posta, “uno spazio solo nostro, un’anticamera di rapporto che può dilatarsi nei tempi e nei modi che vogliamo, una porta che puoi spingere se vorrai trovarmi dentro pochi centimetri quadrati che portano il mio nome, una cas(s)etta da arredare di parole nostre. Tu, se vuoi, passa di lì: puoi prendere, lasciare e ritrovarmi ancora”. Attore non protagonista, Lui, trasferito da poco in una nuova casa e deciso a cambiare vita dopo la fine di una convivenza: è un semplice tassello fischer a cambiargliela, una crepa nella parete che svela al suo interno una scatola di legno con il carteggio tra P. ed Esse, murato da quest’ultima. L’uomo apre la scatola e ne scopre il contenuto, inizia a leggere le prime lettere e si addentra nelle vite altrui...

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Filippo Lubrano

Radici aeree romanzo (diritti ceduti per l’Italia)

Nasce alla Spezia il 17 del mese dei morti di un freddo 1983. Troppo basso per il basket, troppo alto per gli scacchi, s’intestardisce con entrambi sin dall’infanzia. Giornalista pubblicista dal 2006, si è laureato in Ingegneria gestionale a Pisa. Da quel giorno, si sposta di continuo: vive a Parigi, Torino, Bangkok e viaggia in Africa, Medio ed Estremo Oriente sotto le spoglie di manager di una multinazionale. Durante le sue peregrinazioni raccoglie storie e scrive occasionalmente reportage e pezzi che vengono pubblicati su Wired, Il Sole 24 Ore, Cafebabel (e, va bene, una volta anche Famiglia Cristiana). Nel 2010 pubblica il suo romanzo d’esordio, Le lumache non dovrebbero morire di maggio (Linee Infinite edizioni). Quando è in Italia si esibisce su palchi di bar, bettole e piccole librerie in gare di Poetry Slam. Nella sua amata Spezia è tra i fondatori del Collettivo Mitilante e della startup che raccoglie il meglio dei piccoli produttori gastronomici italiani, Eattiamo.

Walt Erego è un mystery shopper. Al soldo di grandi aziende di vari settori industriali deve scoprire i prezzi dei concorrenti. La sua area di competenza è l’Asia. Durante una trasferta a Shanghai conosce Andrea, dipendente di un cliente, stanca di sfacchinare per il suo datore di lavoro e affascinata dalla professione e dalla professionalità di Walt. Intrigato dal suo profilo ambiguo, il protagonista le propone di unirsi a lui. Nella trasferta successiva, Walt s’imbarca su una nave cargo diretta in Thailandia, insieme al bizzarro signor Gu, che ha paura di volare e gli spiegherà tutti i segreti del business dello shipping per prepararlo a confrontarsi con un concorrente molto particolare. Durante l’incontro, che si svolge in pieno Songkran, il capodanno thai, Walt scopre che l’uomo a cui deve estorcere informazioni riservate è un “pezzo grosso” del mondo dei trasporti navali, con tutti i rischi che ne conseguono. Walt recupera le informazioni richieste e incontra il signor Gu, che durante la confessione ha una crisi e gli svela il vero motivo per cui ha smesso di volare. Nel frattempo, Andrea si decide: lavorerà con Walt. Scopre dov’è diretto e arriva anch’essa a Bangkok. Un pericoloso imprevisto, però, conduce Walt a Chittagong, in Bangladesh, dove affronterà la prima trasferta insieme ad Andrea. È in questa circostanza che lei gli racconta finalmente il suo fosco pas-

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“” Ho trentatré anni, un’età che fu fatale a gente ben più famosa di me. Io invece sono vivo, e faccio l’imprenditore. In un settore particolare, lo ammetto, quello che viene definito come “nicchia di mercato”. Del mio mestiere vi parlerò dopo. Per ora, limitatevi a sapere che ha il piacevole, e comunque indispensabile, effetto collaterale di farmi viaggiare. Di frequente. Molto di frequente. Viaggio perlopiù da solo. Raramente produco conversazioni degne di nota. Più spesso mi capita di nutrirmi di quelle altrui. Quando avvengono nella mia stessa lingua, le conversazioni private mi sembrano immensamente piccole e futili. Talvolta logorroiche. Sempre pleonastiche. Quando invece si svolgono in un idioma di cui non sono padrone, ma che comunque conosco, le reputo mediamente più interessanti, non perché davvero lo siano, temo, ma solo per un gusto dell’esotico che ho scoperto accomunare un po’ tutti, sul Pianeta Terra. Quando, infine, gli interlocutori parlano una lingua a me ignota, generalmente ne ascolto le sonorità per qualche secondo, poi abbandono l’impresa e torno ai miei affari, che spesso sono libri, scritti da altri, e quaderni, scritti da me. E che a volte vorrei diventassero libri. Magari scritti da altri. I viaggi in solitaria corrispondono alla maggior parte dei miei spostamenti. Anche per questo, indulgo in piccoli rituali che rendono il mio approccio alle trasferte una sorta di Cerbero a metà tra la chirurgia e la produzione seriale di stampo fordista.

sato. Qualche mese dopo, i due vanno in vacanza a Hong Kong e lì le verità verranno a galla...

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Gian Piero Lumbau

Il tango della fenice romanzo (diritti ceduti per l’Italia)

Nasce a Caserta, alla fine del 1962, con due segni distintivi indelebili: gli occhi di colore diverso e la “capa di bomba”. La sua particolare conformazione fisica lo rende squilibrato e di difficile collocazione. È avvocato civilista, con grandi passioni per il basket, i cavalli, la cucina, le cantine e Thelonious Monk. Nel 2017 ha aperto a San Leucio di Caserta il ristorante Winehouse. Si dedica alla letteratura per dare sfogo alla sua verbosità; la signora, però, lo guarda con estrema diffidenza, indicandogli con l’indice teso la porta della cucina. “Il tango della fenice” è il suo primo romanzo (pubblicazione prevista per il mese di settembre 2017).

Nenè Malventi, il protagonista, viene al mondo dotato della straordinaria capacità di assistere alla sua vita con il taglio del cineasta e di osservarla dall’esterno, attimo per attimo, come una lunga sequenza di fotogrammi. Di volta in volta, ne è spettatore, regista, attore o comprimario, e chiede al lettore di accompagnarlo e assisterlo, sia che si tratti di sostenergli il carrello per filmare i grandi piani sequenza, sia che si tratti di spostare i mobili nella stanza per stabilire i corretti punti di vista nel suo sistema a triangolo. Il sistema di ripresa a triangolo – o meglio “il complesso sistema a geometria variabile” sul quale poggia la sua vita – è quello in cui riesce a muoversi al meglio, tra l’ex moglie Carolina, l’ex amante Illy (diminutivo di Illinois), l’ex amica di scuola poi ex fidanzata Rossella e un’intera compagine di ex qualcosa, che scompaiono e riappaiono sulla scena come ricordi, fantasmi, intrusioni, sogni, desideri e presagi. “Le scelte fanno invecchiare”, è il motto di Nenè. Che si ostina a vivere in un eterno presente, in cui ogni avventura, ogni turbamento, ogni disgrazia, non sono altro che il pretesto per una morte e una resurrezione plateali, false pire dalle cui ceneri si invola, per tornare ad appollaiarsi nella rassicurante quiete del suo sguardo che tutto seziona e nulla sceglie. In questo gioco di realtà scomposte, tridimensionali, a più piani, intersecate e confuse, l’autorevole senso del determinismo letterario di Gian Piero Lumbau, che costruisce il suo romanzo come un puzzle, una bomba a orologeria, una complessa architettura di origami, in cui

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“Nenè Malventi era capace di avere tutte le età contemporaneamente, che è cosa ben diversa dall’essere poliedrico o eclettico, o comunque dall’aver accumulato quella segatura nell’anima che gli uomini, solidali e compiacenti, osano definire esperienza; quasi fosse, quella sostanza polverosa e incommestibile, un pregio di cui vantarsi, invece che un insopportabile ostacolo alla felicità. Lui, le sue età, non le univa in una sola molecola, quella che i più arditi chiamano anima, ma le conservava ben distanziate tra loro e riposte con un certo ordine apparente, senza badare però più di tanto a dove fosse il loro luogo di stivaggio. Per quella cosa lì, lasciava fare alla sua età preferita, alla prossima, a quella che ancora doveva arrivare”.

ogni piega può essere quella – e solo quella – e ogni pagina che raccoglie una piega ne viene impressa per sempre, si finge che il romanzo non ammetta intrusioni impreviste e tutto il reale che eventualmente vi penetri di soppiatto attraverso il lettore debba pulirsi le scarpe sullo zerbino della logica, lasciare all’ingresso il soprabito del coinvolgimento e, in una sola parola, attendere pazientemente il suo turno “in panchina”, semmai si renda necessaria la sostituzione di un giocatore. Ma non è sufficiente: nonostante l’opposizione del “fiero autore”, quest’operazione di contaminazione con la realtà – non sempre possibile con altre opere – diventa inevitabile nel romanzo di Lumbau, abitato da un ritmo circolare che consente in ogni momento l’ingresso e l’uscita del lettore dalla storia della vita di Nené Malventi, in modo indisciplinato, come indisciplinata sembra essere la sua vita.

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Annalisa Margarino

Lo scrigno di Irene romanzo 90 cartelle

Torinese di nascita, genovese di adozione, romana di passaggio, genovese di ritorno, ha studiato filosofia e teologia. Ha insegnato religione in un liceo romano e collabora con riviste culturali e associazioni. La scrittura è la sua costante passione, laboratorio per l’anima e cantiere di idee. Il suo primo romanzo, o meglio, la sua prima favola per adulti, Il sindacato dei sensibili, è stato pubblicato nel 2010 (diritti disponibili). Nel 2012 esce il romanzo filosofico Le verità donate, storia di Angelo che, sostando presso la Bocca della Verità, intervista diverse figure in cerca della propria verità. Nel 2014 pubblica in proprio Contatto, romanzo sul rapporto tra virtuale e reale e sulla necessità di rapporti umani anche nell’era di internet. Nel 2015, pubblica una raccolta di racconti visionari dal titolo Pavimento di cielo e altri racconti (diritti disponibili). Oltre alla narrativa per adulti con La Rondine Edizioni ha pubblicato una favola illustrata per bambini, Paolo e il segreto delle nuvole. Tra i suoi scritti non pubblicati c’è un testo teatrale, Processo alle viscere.

Irene vive con Riccardo in un grande condominio romano. Il panorama che la circonda è la vita del palazzo di fronte: badanti, anziane che curano i loro fiori e vite assorte nel quotidiano. Irene osserva, si interroga, muove pensieri verso vite sconosciute, in attesa di comprendere la propria. Con Riccardo – nonostante la contrarietà, più o meno manifesta, degli altri abitanti del condominio – si prende cura di Shadon, un lavavetri che presidia il semaforo lì vicino. Lavora come segretaria per il dottor Silenti, dietologo e psicologo. Nel contratto è previsto che faccia un’ora di seduta settimanale con il dottore. È in quell’ora che nascono domande, inquietudini e vuoti non ancora colmati... fino al giorno in cui Irene sente che il suo corpo è diverso. Forse è il tempo per non cercare luoghi, ma per essere

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Vive in quell’appartamento da cinque anni, ancor prima che conoscesse Riccardo. Lei e le vite di fronte sono separate da pochi metri. I balconi donano spaccati intimi ed estranei allo stesso tempo. Perché i brasiliani dell’ultimo piano periodicamente appendono un orsacchiotto bianco di peluche ad asciugare? Di notte, tra le ombre del buio, fa impressione, sembra un bimbo impiccato. Riccardo lo detesta. «Perché continuano ad appenderlo?» domanda. «Avranno un bambino piccolo», risponde Irene. Eppure su quel balcone non si vedono mai bambini, da dentro non si sentono pianti e urla e da dietro i vetri della finestra si può solo riconoscere il monitor di una televisione che trasmette indifferente i suoi programmi. luogo. Da quel momento la vita si trasforma e il confronto con gli altri, con il mondo, assume un diverso significato

Contatto romanzo 72 cartelle Giordano, uomo precario nel lavoro e negli affetti, ha poco più di trent’anni. Vive “nel” web, che sostituisce tutti i suoi bisogni sociali e affettivi. L’incontro con le donne è sempre virtuale. In metropolitana vede ogni giorno una ragazza, ma non riesce a entrare in contatto con lei. Osserva tra le righe dei suoi libri e pensa a quali commenti scriverebbe su facebook, se lei fosse tra i suoi “amici”. Un giorno, in piena notte, dopo un urlo improvviso, suona alla sua porta una donna. È Selene. Abita sopra di lui, ma non si sono mai incontrati prima. Ha sognato che il pavimento si

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frantumava e di trovarsi improvvisamente in casa sua, così è scesa, in piena notte, per calmarsi e sentirsi meno sola. La notte dona intimità e realtà, desideri di contatto. La vita di Giordano continua normalmente, fino al giorno del suo compleanno: sta festeggiando in solitudine quando alla porta si presenta la donna della metropolitana. Anche lei abita in quella zona, ma Giordano non l’aveva mai notata al di fuori della metro. Suona di nuovo la porta. È Selene. L’incontro con la realtà è compiuto. I tre parlano e festeggiano, esprimendo il loro desiderio di contatto e vita reale condivisa. Ora per Giordano si apre il tempo per non essere più precario...

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Gianfranco Martedì Pecchinenda

Nato a Napoli nel 1963, si è presto trasferito, insieme alla famiglia, in Sudamerica. Qui ha trascorso, tra il Venezuela e l’Argentina, tutta l’infanzia e l’adolescenza. Rientrato a vent’anni in Italia per inseguire il sogno di diventare calciatore, si è poi stabilito a Napoli dove ha cominciato a dedicarsi sempre più assiduamente allo studio delle scienze sociali, fino a diventare professore all’Università Federico II di Napoli. La sua ricerca in ambito accademico è prevalentemente orientata all’analisi del comportamento sociale, con particolare riferimento alla costruzione dell’identità e dell’immagine dell’uomo. Il suo approccio teorico è di derivazione fenomenologica. Accanto all’attività accademica ha coltivato, via via in maniera sempre più regolare, la sua antica passione per la letteratura, pubblicando alcuni romanzi e racconti raccolti in diversi volumi. Un suo romanzo, Ser Ricardo Montero (2014) e alcuni racconti, KafkaKafta. Cuentos de padres y de sombras (2016), sono stati tradotti e pubblicati in spagnolo dalla Editorial Carena di Barcellona.

romanzo 114 cartelle

Francesco e Giovanni sono vecchi compagni di studi. I due si ritrovano, oramai cinquantenni, a svolgere la loro attività didattica e di ricerca nello stesso dipartimento universitario in cui, circa trent’anni prima, si erano conosciuti. Francesco è ora un professore affermato, all’apice della carriera già da diversi anni; Giovanni è invece ancora fermo al ruolo di ricercatore, ma sta per ottenere la tanto agognata promozione al ruolo di professore associato. Un giorno, all’improvviso, durante un Consiglio di dipartimento, Giovanni ha un malore e muore. prendendo spunto da questo evento, il romanzo narra le vicissitudini (la morte, l’amicizia, il cinismo, la carriera, il disincanto, l’amore) dei due protagonisti, che s’incrociano con quelle di altri due personaggi centrali per la narrazione: Alice, vecchia compagna universitaria, e moglie

prima di Giovanni e poi di Francesco; e il professor omar Amalfitano, maestro di studi e riferimento intellettuale dei tre ragazzi, la cui enigmatica biografia racchiude alcuni intricati misteri. Nel dispiegarsi della trama, finzione e realtà sembrano integrarsi in uno stesso universo narrativo in cui i personaggi agiscono talvolta con la metodica certezza che prima o poi qualcosa possa cambiare, anche se non come diretta conseguenza delle loro stesse azioni: come stregoni che ballano affinché piova, essi si muovono nella speranza che le loro vite possano acquisire un senso, incluso quello di costringere una improbabile divinità a rispondergli, a prestargli attenzione, a fornire un qualche significato alle vicende che, spesso in maniera del tutto assurda, finiscono per determinare il corso delle loro vite.

Gli “omaggi”

OPERE PUBBLICATE

Testi saggistico-narrativi su grandi autori Cortazar, Borges, Nietzsche, Woolf, Dostoevskij: sono alcuni dei grandi autori ai quali pecchinenda dedica i suoi “omaggi”, potenzialmente seriali... La struttura di fondo è: omar Amalfitano (uno scrittore fittizio) si confronta con i testi di grandi autori (scrittori, filosofi, scienziati, poeti) a partire da racconti, saggi, poesie su alcuni grandi temi del pensiero occidentale. Nel caso di Cortazar, ad esempio, il tema è il “tempo” e alcuni suoi correlati: l’irrealtà del domani, l’inutilità del concetto di futuro, la narrazione dei cambiamenti che intervengono nella percezione temporale durante i viaggi...

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SAggISTICA (ELENCo pARzIALE) - Il Sistema Mimetico. Contributi per una sociologia dell’assurdo (Ipermedium libri, 2014) - Fingere per davvero. Scritti su Emmanuel Bove e altre menzogne (Funes, 2013) - Homunculus. Sociologia dell’identità e autonarrazione (Liguori, 2008) - Videogiochi e cultura della simulazione. La nascita dell’Homo Game (Laterza, 2003 e 2010). NARRATIvA L’ombra più lunga. Tre racconti sul padre (Colonnese, 2009 – premio Torre petrosa 2010) Essere Ricardo Montero (Lavieri, 2011) L’ultimo regalo (Lavieri, 2013) Come se niente fosse (Ad est dell’equatore, 2015) La faccia. Un omaggio a Franz Kafka (oedipus, 2017)

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Felice Piemontese romanzo (diritti ceduti)

OPere Pubblicate PoeSIe Là-bas, Geiger, Torino, 1971 Intorno a quelle macerie, Carte Segrete, Roma, 1981 La città di Ys, Manni, Lecce, 1997 Il migliore dei mondi, Manni, Lecce, 2006 RoMANzI e RACCoNTI Testo, Longo, Ravenna, 1973 Da un’immensa distanza, Shakespeare & Co, Milano, 1981 Epidemia, Pironti, Napoli, 1989 Dottore in niente, Marsilio, Venezia, 2001 Fantasmi vesuviani, Hacca, Matelica, 2009 SAGGISTICA Dopo l’avanguardia, Guida, Napoli, 1981 Autodizionario degli scrittori italiani, Leonardo, Milano, 1990 L’invenzione della realtà (con M. Gemelli), Guida, Napoli, 1994

Il lavoro rende liberi “”

Mi sforzai anche di fare qualcosa sul cosiddetto piano intellettuale. La mia tesi, mi dissi per incoraggiamento, è talmente ricca di spunti che se ne potrebbero ricavare dieci libri. Ma l’idea di un lavoro sistematico mi sembrava insopportabile, forse per la grande quantità di energie che avevo impiegato per scriverla. Mi ripromisi di fare dei seminari pomeridiani, ma il preside della facoltà non sembrò entusiasta dell’idea, cui fui ben lieto di rinunciare. Non mi rimane che darmi all’alcool, mi dissi, se solo lo sopportassi (e anche in questo sono completamente diverso da quello che per anni avevo definito ironicamente il mio spirito-guida, Debord, che aveva pronunciato in proposito una frase memorabile: “Ho scritto meno della maggior parte della gente che scrive, ma ho bevuto più della maggior parte della gente che beve”).

Il romanzo - come Sottomissione di Michel Houellebecq di cui costituisce il contraltare, rovesciandone completamente punto di vista e situazioni narrative – si svolge in Francia nel 2022, nelle settimane che precedono e seguono le elezioni presidenziali. Il protagonista-narratore è un professore napoletano, che insegna alla Sorbona e assiste con sbigottimento, ma anche con una certa apatia, agli avvenimenti drammatici che si svolgono a Parigi e in tutta la Francia: intimidazioni, scontri nelle banlieues, attentati, la minaccia dell’estremismo islamico (il Califfato è ormai una realtà e ha perfino un’ambasciata a Parigi). Per sfuggire al clima sempre più opprimente, il professore torna per qualche settimana a Napoli, dove incontra vecchi amici ed ex amanti e fa i conti, dopo la sua lunga assenza, con una realtà ricca di paradossi e con personaggi grotteschi, come l’aspirante professore di Vandalismo urbano. Tornato in Francia, la situazione diventa ben presto ancora più incandescente di prima: sanguinosi

scontri di piazza, deportazioni di massa, espulsioni di immigrati, attentati che distruggono importanti monumenti e determinano le condizioni per l’avvio di un processo di fascistizzazione del paese.

Felice Piemontese (Monte Sant’Angelo, 25 gennaio 1942) è poeta e scrittore. Trasferitosi a Napoli con la famiglia fin da bambino, si è dedicato presto al giornalismo e all’attività letteraria. Ha lavorato all’Unità e alla Rai; ha collaborato, con inchieste e corrispondenze, a Panorama e all’Europeo. Scrive articoli di critica letteraria per quotidiani e riviste. All’attività giornalistica ha sempre affiancato quella letteraria. Giovanissimo, ha fatto in tempo a partecipare al Gruppo 63 e, successivamente, alla redazione del giornale Quindici. Ha poi collaborato a riviste letterarie e politico-culturali, come Nuovo Impegno, Che fare, Malebolge, Uomini e idee, Altri Termini e, in anni più recenti,

Alfabeta. Il suo primo libro di poesie, di carattere sperimentale, Là-bas, fu pubblicato nel 1971 da Adriano Spatola che aveva fondato e dirigeva con Giulia Niccolai la casa editrice Geiger. È del 1973 il “romanzo” Testo, considerato da alcuni critici, come Walter Pedullà, fra i testi più arditi della neo-avanguardia. Nel 1990 ha pubblicato il fortunato, e citatissimo, Autodizionario degli scrittori italiani, di cui sono uscite diverse edizioni. I romanzi Epidemia e Dottore in niente hanno ottenuto vasti riconoscimenti critici e premi. Appassionato di cultura francese e traduttore, nel 2008 è stato nominato Chevalier des Arts et des Lettres de la Republique Française.

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Francesca Prisco

Mulignane e altre ecchimosi Le mulignane a Napoli sono le melanzane che si utilizzano per la famosa parmigiana, ’nzevata e opulenta; ma sono anche i lividi. Quelli sulla pelle e sull’anima di certe femmine che non sono eroine romantiche, vittime di drammi epici, ma passano guai minori che non le fanno vivere pienamente. Storie di donne che parlano come mangiano e che risultano ironiche in maniera feroce. La bruttina con gli occhiali che, pur di non sentirsi catalogata come zitella, inizia una storia sadomaso con il primo che l’aveva addorata. così tra mulignane, fruste e vibratori alla fine tutto torna. “chiudi gli occhi... apri la bocca” racconta, invece, peripezie, abbuffate e

Francesca Prisco abita ad Aversa (ce), città nota per la mozzarella e i manicomi. Giornalista professionista, ha collaborato, tra l’altro, col Corriere del Mezzogiorno e il Mattino di caserta. Ha pubblicato racconti nella collana Toilet e ha contribuito ad altri progetti editoriali della 80144 edizioni. Un suo testo è stato inserito in un lavoro teatrale di Massimiliano Palmese, Sibille, rappresentato al Teatro Nuovo di Napoli. Nel 2014 dal suo racconto Reinbov drim è stato tratto il monologo Mulignane, interpretato da Gea Martire con la regia di Antonio capuano (ancora oggi rappresentato nei teatri di Napoli e non solo). Ha frequentato il corso e il master in sceneggiatura cinematografica (a Napoli e a Roma) con i registi Paolo Sorrentino, Stefano Incerti e Antonio capuano, con gli sceneggiatori Heidrun Schleef, Francesco Bruni, Graziano Diana e Giorgio Arlorio e con Nicola Giuliano, produttore della Indigo Film. con chiara Mannella ha progettato il volume “caffè scorretto (vedo la gente smorta)”, inedito, con cinquanta testi e cinquanta disegni.

diete di un’ex chiattona. Un resoconto spietato sulla forma che diventa sostanza; perché le “ossa da fuori” sono il vero status symbol. In “Viva e vegeta” lei, al contrario, è talmente bella da essere terrorizzata dalla vecchiaia incombente. Le prova tutte per sfuggire al tempo; diventa persino vegetariana e finisce per innamorarsi del maestro di yoga. La tipa di “contusa e felice” non fa che sbattere, cadere, farsi male da sola, inavvertitamente, e scoprirà che, come diceva il padre, davvero non sa distinguere il confine tra il suo corpo e gli oggetti che la circondano. Le mulignane, quindi, ritornano e il cerchio può chiudersi.

Caffè scorretto (vedo la gente smorta) “che se, da creaturo, tua mamma ti ripeteva tutte le mattine di cambiarti le mutande perché se facevi un incidente e ti portavano all'ospedale facevi una figura di merda, fa niente che magari ti eri rotto una trentina di ossi e rimanevi cionco, si capisce che poi uno, crescendo, sviluppa uno schizofrenico concetto delle priorità della vita”. Amiche rossocrinite e automunite, chiara Mannella (drawings) e Francesca Prisco (writings) sono le coautrici di questo diario maleducato e irriverente composto da cinquanta scritti e cinquanta disegni. Istantanee taglienti e caustiche da sorbire, al pari di un caffè rigenerante, come

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quattro racconti 50 cartelle totali

50 testi e 50 disegni

pausa catarticamente vendicativa sulle tragedie minime del quotidiano, sugli ingombranti personaggi secondari che intralciano la nostra routine. Una carrellata di selfie impietosamente senza filtri e una ricerca di risposte ferocemente esilaranti ai quesiti spiccioli dell'esistenza. Le autrici sono chiara Mannella (illustratrice, art director, pescatrice di barracuda) e Francesca Prisco (giornalista, autrice di racconti e testi teatrali, dipendente dai carboidrati).

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Massimo Rizzante

Ricordi della natura umana “”

romanzo in nove capitoli (disponibile da ottobre 2017)

Massimo Rizzante (1963) è poeta, saggista e traduttore. Ha fatto parte, dal 1992 al 1997, del Seminario sul Romanzo Europeo diretto a Parigi da Milan Kundera. Dal 1993 al 1996 è stato redattore della rivista letteraria Baldus. Dal 1994 è redattore della rivista L’Atelier du roman. Insegna Letteratura italiana contemporanea e Letterature comparate all’Università di Trento. Ha pubblicato: - Lettere d’amore e altre rovine (raccolta di poesie), Biblioteca cominiana 1999; - L’albero. Saggi sul romanzo, Marsilio 2007; - Nessuno (raccolta di poesie), Manni 2007; - Non siamo gli ultimi (saggio, premio Dedalus), Effigie 2009; - Scuola di calore (raccolta di poesie), Effigie 2013; - Un dialogo infinito. Note in margine a un massacro (saggio), Effigie 2015.

Ricordi della natura umana è un romanzo in nove capitoli o, se si vuole, un romanzo composto da nove racconti. Il personaggio che parla è sempre lo stesso e attraversa, con il suo tono tragicomico, lo spazio e il tempo. Può farlo perché è nella sua natura. Può ritrovarsi in una stazione termale del Sud Tirolo, frequentata da Fliess e Freud, alle prese con gli effetti devastanti della cristalloterapia e immerso, oltre che nelle acque sulfuree di una piscina, nelle vicende del geologo francese Déodat de Dolomieu che nel 1789, scoprendo la particolare conformazione di una roccia, dà il suo nome a quella parte delle Alpi. O negli anni Novanta del secolo scorso, quando, in piena guerra dei Balcani, si vede sbalzato a Boston, dove, dopo un breve dialogo con Keith Botsford e Saul Bellow, ne intrattiene uno, tanto lungo quanto fatale, con l’amico Nedko Serbajenov, il più grande artista del suo tempo. Nel 1855 è a Sebastopoli durante il primo assedio della città (sarà presente anche agli altri due, nel 1942 e nel 2014), trascorre alcuni giorni nel campo di sterminio di Treblinka in compagnia di un educatore polacco e di duecento bambini per poi assistere, nel 1905, nella Taipei sotto il dominio giapponese, alla morte della madre del suo amico Koko. Verso la fine del libro la sua voce risuona a Città del Massimo Rizzante ha tradotto: - Milan Kundera, Il sipario, Adelphi 2005; - Milan Kundera, Un incontro, Adelphi 2008; - Milan Kundera, La festa dell’insignificanza, Adelphi 2013. E ha curato: - O.V. de L. Milosz, Sinfonia di novembre e altre poesie, Adelphi 2008; - M. Crnjanski, Lamento per Belgrado, Ponte del Sale 2010; - H. Broch, I sonnambuli, Mimesis 2010;

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Amo le stazioni termali, immergermi e nuotare nelle loro acque calde e rigeneratrici. Ah, la pace e la solitudine che provengono da queste parole! In effetti, sono di Wilhelm Fliess, un medico austriaco, diventato celebre alla fine del xIx secolo per la sua scoperta dei riflessi rino-sessuali. Estrapolate da una lettera scritta nel 1928 durante il suo ultimo soggiorno da queste parti e indirizzata all’amico Freud, si possono leggere su una placca in marmo posta all’entrata dell’Eleusi. Fliess e Freud, che coppia di buontemponi, alla pari del mio amico Franz!

Messico, dove discute della libertà dei morti in presenza di un levriero soppresso con un colpo di pistola da un poeta siriano, esule e nostalgico della sua patria. Il libro è un vagabondaggio nella Storia, un grand jeu, una biografia sovrapersonale, un segreto trattatello sull’amicizia, un’interrogazione su quel che resta della natura umana in un’epoca, la nostra, in cui la specie Homo Sapiens, in bilico tra ansia e rassegnazione, sembra attendere dalla scienza e dalla tecnica il gong per diventare finalmente immortale. L’indicE: IL TERzO ASSEDIO DI SEBASTOPOLI - UN ARTISTA DEL NOSTRO TEMPO - HUETOR VEGA ELEUSI - TUTTI DESIDERANO LASCIARE UN SEGNO DEL LORO PASSAGGIO - LA CROCIATA DI K. - I MORTI SONO LIBERI? - IL GRANDE GIOCO - KOKO O LA PROVA INCONFUTABILE. - M. Torga, L’universale è il locale meno i muri, Murene 2011; - Scuola del mondo. Nove saggi sul romanzo del xx secolo, Quodlibet, 2012; - N. Kachtitsis, Punto vulnerabile, La camera verde 2012; - O. Lamborghini, Il ritorno di Hartz e altre poesie, Scheiwiller 2012; - J. Goytisolo, Esiliato di qua e di là, Mimesis 2014; - T.G. Pavel, Le vite del romanzo. Una storia, Mimesis 2015.

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Ivan Ruccione 13 racconti 83 cartelle

È nato nel 1986 a Vigevano, da madre calabrese e padre siciliano. Non sapendo cosa fare della sua adolescenza, terminata la scuola dell’obbligo ,ha alternato il proseguimento degli studi a una lunga successione di lavori: operaio in una modelleria di scarpe, imbianchino, manutentore di estintori, pony express di pizze, cameriere, salumiere. Ha conseguito il diploma in un istituto tecnico con tre anni di ritardo. La fervida passione per i libri lo ha portato a iscriversi alla facoltà di Lettere moderne dell’Università di Pavia, abbandonata dopo circa un anno per lavare pentole. Nel 2012 una selezione delle sue prime poesie è stata inclusa nell’antologia collettiva Ho tutto in testa ma non riesco a dirlo (Bel-Ami edizioni). Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati su Nazione Indiana da Francesco Forlani, su Altri Animali dalla redazione di Racconti edizioni, su Grafemi da Paolo Zardi e su Poetarum Silva da Gianni Montieri. All’inizio del 2017 è uscito il suo primo romanzo, A fuoco vivo (Miraggi edizioni). Ora fa il cuoco in un’osteria.

“Troppo tardi per tutto” è il titolo – e anche il filo conduttore – di questa raccolta di racconti di Ivan Ruccione. Ci parlano di un diciottenne che, a insaputa della madre, va a trovare il padre ricoverato in una clinica psichiatrica; di una donna costretta a prendersi cura del genitore violentatore; di un uomo diventato clochard a furia di aspettare in stazione una figlia che non sa se tornerà più; di un marito che mette in dubbio la propria identità quando scopre il piacere di indossare segretamente i completi intimi della moglie; di un’inspiegabile rabbia che si fa ultraviolenza nei confronti di una sorella disabile; di una madre di famiglia che si innamora di uno zingaro, abbandona il tetto coniugale portando con sé i figli e lasciando un marito disposto a perdonarla, se «non fosse rimasta incinta e se non si fossero innamorati. Il giorno che me l’ha detto eravamo al bar. Il caffè mi è uscito dal naso. Poi siamo tornati a casa e ha fatto le valigie. I bambini hanno frignato finché non hanno capito che andavano a vivere al luna park». I tredici racconti che compongono questa raccolta sono le istantanee di personaggi solitari, che si muovono tra un presente in disgregazione, un passato irrecuperabile, un futuro impercettibile; tredici storie narrate in prima persona da voci schiette e ricche di immagini, paralizzate nel mondo emotivo delle quotidiane miserie, nelle sabbie mobili delle relazioni, nello smarrimento o nella riscoperta di sé, nell’amara convinzione che sia ormai troppo tardi, troppo tardi per tutto. Un’umanità sull’orlo o già al di là della follia, fragili equilibri pronti a spezzarsi, finali che non sono finali ma punti di partenza verso un altrove che non ci è dato sapere.

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Troppo tardi per tutto “”

Papà era fatto di suoni. Era il trillo della prima sveglia, l’urlo della cinghia sotto il cofano. Papà era tutto quello che veniva un’ora prima della mia vita, brevi tuoni di realtà in mezzo ai sogni. Se ne andava lasciando un bacio sulla mia fronte, che avvertivo di rado, e quando i miei piedi calpestavano lo scendiletto lui stava già timbrando. Nessuno sapeva più niente dell’altro fino al tardo pomeriggio, ma non importava; le mie giornate erano le giornate di uno scolaro e le sue giornate erano le giornate di un magazziniere e i nostri stati d’animo pressoché uguali. Tornavo da scuola e mamma chiedeva com’era andata mentre mi scaldava la pastasciutta al microonde. Rispondevo sempre “bene”, anche se mi ero annoiato a morte, perché col tempo ho capito che, se gli ingranaggi della routine girano senza incepparsi, vuol dire che è stata una buona giornata. [...] Intorno alle 17.30 c’erano lo scatto del cancello automatico che si apriva, il ronzio delle ruote che correvano adagio lungo il binario, le tre manovre nella stretta via per poter entrare in retro in cortile, tutti suoni con i quali il babbo faceva giungere il mio cuore a un parossismo vulcanico. Ma mento se riduco la mia eccitazione a questi soli suoni feriali e prossimi al crepuscolo, perché a fare loro compagnia, la sera, c’era la voce che mi leggeva i passi dei libri che amava, tra un bicchiere di vino e l’altro, e poi c’era il canticchiarmi all’orecchio “Lontano lontano” di Tenco [...] L’indice: Stabat Pater, Partenze, Il mio regno è altrettanto grande, Il mostro, L’increato, Menu di Natale, Aria nuova, Come prima, Chiedi alle ceneri, Il problema del latte, Una cosa che non cambia, Sexit, Andarsene.

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Mario Schiavone 15 racconti 60 cartelle

Mario Schiavone, nato nel 1983, vive ad Aversa, dopo essere passato per Casal di Principe e Agropoli. Nel 2003 ha vinto una borsa di studio per il Master biennale di Scrittura creativa della Scuola Holden di Torino, dove si è diplomato nel 2005. Tra il 2006 e il 2007 ha collaborato, in qualità di copy junior, con alcune agenzie pubblicitarie torinesi, alternando questo lavoro a quello di commesso-libraio. Dopo un’esperienza di studio e lavoro a Berlino, si trasferisce a Roma dove lavora nella libreria della stazione capitolina. Qui raccoglie suggestioni utili a scrivere Binario 24, storia che segna il suo esordio letterario nell’agosto 2009 su Nazione Indiana. Ha scritto per il portale del quotidiano L’Unità con il blog “Terra nera, mare blu”. È ideatore e autore del blog “Inkistolio: Storie Orticanti”. Piccole incursioni nella narrativa contemporanea lo vedono autore di alcuni racconti apparsi in versione cartacea in diverse raccolte di narrativa italiana, tra cui l’antologia Più veloce della luce (Pendragon Editore, 2017). Attualmente lavora come docente di scrittura creativa nelle scuole superiori in provincia di Caserta.

Quindici cartoline da Casal di Principe “”

Quindici cartoline da Casal di Principe, una raccolta di storie concatenate fra loro, che narrano quindici momenti di vita descritti in prima persona da un bambino, protagonista e attento osservatore della realtà autoesiliante che lo circonda, negli anni Novanta, in una città di Terra di Lavoro teatro delle prime guerre di camorra. Un bambino “diverso” dagli altri, a tratti speciale, perché come gli diceva spesso sua madre ormai defunta: “Tu hai le fragole nella testa che ti fanno vedere il mondo sotto una luce rossa”. L’arco narrativo delle quindici storie vede il bambino di Casal di Principe combattere contro la profezia di una vecchia del paese, che gli ha predetto la morte entro quindici giorni. Il bambino, nonostante sia convinto di essere spacciato, trascorre quei quindici giorni osservando da vicino ogni personaggio che incontra, entrando in ogni

Non c’erano corsi d’acqua a Casal di Principe. Sulle nostre teste cielo e nuvole leggeri come carta velina, sotto i nostri piedi l’asfalto ruvido come carta vetrata. Attorno a noi il cemento con cui erano fatte tutte quelle case che spuntavano come nel Monopoli. Non c’erano neanche ruscelli, come quelli che si vedono nei cartoni animati o sui libri di scuola. Per vedere un ciummo dovevi farti portare a Castelvolturno da qualche compaesano coraggioso, qualcuno capace di calare le reti in quel fiume così sporco da ospitare animali morti che galleggiavano sull’acqua. In prima elementare, alla scuola “Gioiosa” ci avevano chiesto di raccontare in poche righe una cosa fatta d’acqua. Io avevo pensato alla iumara, il vallone in cui scorreva acqua vicino casa dei miei nonni materni, in provincia di Salerno.

vita fatta di circostanze paradossali, avvenimenti talvolta violenti e fenomeni inspiegabili.

Aurora bipolare romanzo 95 cartelle Francesco Martucci è un giovane precario trentenne, che vive ad Aversa. Ama la musica di Cimarosa, i videogiochi a 8 bit e i supereroi dei fumetti americani. Soffre di un disturbo borderline di personalità che lo conduce a vivere una doppia vita a tratti tragicomica. Un vivere quotidiano che lo divide fra i momenti di solitudine in cui sogna di combattere la sua guerra personale contro la società, nelle vesti del suo alter ego di fantasia chiamato MalConcioMan e i momenti di “quiete apparente” in cui trascorre il tempo conversando con il folle venditore Mi-

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ster Tucci. A causa del suo disturbo e delle medicine che assume per curarsi, spesso, perde la memoria e non ricorda quanto gli è accaduto nelle ultime ore di vita trascorse. Quando non ha memoria del suo vissuto, contatta il suo mentore Giulia, un’amica di famiglia (di professione psichiatra) che lo riconduce alla realtà. Mister Tucci gli propone di acquistare un elisir chimico sintetizzato in un laboratorio speciale; la cura definitiva al suo problema di salute. Quando Francesco comprenderà la vera natura di quell’uomo, si renderà conto di essere caduto in una trappola senza via d’uscita: per comprare il siero di Mister Tucci si è infatti indebitato con un potente uomo della malavita...

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Elena Starace

Nata a Napoli nel 1989, Elena Starace si dedica per dieci anni allo studio della danza classica e jazz, per poi innamorarsi del teatro e delle arti sceniche. Dopo aver frequentato l’Accademia di Arte drammatica Eutheca di Cinecittà, all’età di 22 anni ha iniziato a lavorare come attrice televisiva. Il suo romanzo d’esordio è Anime pezzentelle (L’Erudita, 2016). In tv ha interpretato Giovanna Perrone nella fiction “Benvenuti a tavola” (Canale 5, 2013), nonché Noemi nella serie “Gomorra” (Sky, 2014). Dal 2015 è nel cast di “Un posto al sole” (Rai Tre) nel ruolo di Giada Ascione. È stata inoltre interprete di Imma nel film “Fandango Limbo” di Lucio Pellegrini per Rai Uno, di Denise nel film “Vita cuore battito” del duo ‘made in sud’ Arteteca, di Teresa Capuano in “Per amore del mio popolo - Don Diana” (Rai Uno). Nel 2017 ha esordito come co-sceneggiatrice nel film Edhel di Marco Renda (Vinians Production), finalista al Giffoni Film Festival, e nel secondo corto del regista Adriano Morelli.

Uccia

romanzo in preparazione

Puglia 2040: il “crollo finanziario planetario” ha delegittimato i poteri degli Stati. Il governo italiano ha deciso di vendere interi territori a lobby private per cercare di arginare l’inevitabile tracollo. Non esiste più un unico ordinamento giuridico. Da Nord a Sud vige la regola della sopraffazione. Intere regioni sono gestite da eserciti di mercenari che agiscono esclusivamente per gli interessi dei padroni. Il popolo li chiama “Coloni”. Il paese che Uccia conosce si trasforma all’improvviso: vengono abbattute le case, deportati i giovani. I vecchi sono costretti ad abbattere tutti gli ulivi. Il terreno viene soffocato con calce e cemento per far posto alle nuove basi dei Coloni. Tutto muore, senz’aria,

senza luce, senza cuore... Il nonno di Uccia prova a ribellarsi: non srotola il filo spinato sulle strade che portano al mare, non rinchiude il bestiame nelle stalle. Ma soprattutto non taglia alcun albero! Pagherà caro questo atteggiamento. Uccia lo ritrova, senza vita, abbracciato al suo ulivo preferito, col sangue e la colpa degli uomini a bagnare il tronco, le radici, la terra. La ritroviamo anni dopo in casa di una donna che offre protezione alle ragazze “messe a disposizione” dei Coloni. La bellezza è stata estirpata dal suo corpo abusato. Stringe amicizia con Nena e sarà proprio questo rapporto di protezione reciproca a risvegliare in lei una forza che credeva persa...

Anime pezzentelle Romanzo (edito) 169 pagine - diritti disponibili Stefano e la sua famiglia, subito dopo la guerra, sono costretti a lasciare Napoli per l’America, come tanti altri che abbandonano radici e amori in cerca di fortuna. Ma nel nuovo continente la vita non si dimostra benevola. Stefano decide di seguire la voce del cuore e tornare in patria: imparerà così ad apprezzare quel mondo umile dal quale proviene... L’autrice dipinge un meraviglioso affresco della società italiana nel secondo dopoguerra. “A Napoli la gente affonda e riemerge in continuazione”: in quell’affondare e in quel riemergere, in quell’alternarsi di avversità e fortune, di incontri e di addii, c’è la storia di una famiglia, dal triste prologo di Concetta, rinchiusa in manicomio e privata dei figli, alle vicende incentrate intorno al nipote Stefano, ai genitori, al fratello e alla sorella, all’amata Maria.

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la recensione

[...] Quello di Elena Starace (attrice ventisettenne già affermata: è stata, tra gli altri ruoli, Giovanna Perrone in “Benvenuti a tavola” e Noemi nella prima stagione di “Gomorra”; è Giada Ascione in “Un posto al sole”) è un romanzo appassionato e appassionante, si intuisce fin dalle prime pagine l’appartenenza dell’autrice alla storia, il suo esserne parte. Ed è un omaggio all’ingiustizia patita da Concetta, internata con l’inganno, alla quale vien detto che i suoi tre figli sono stati uccisi dal tifo e invece li ritrova, in punto di morte, felice ma per poche ore. [...] in questo romanzo sa toccare il cuore dei lettori, sa far risuonare le corde della commozione, dell’empatia. Sa raccontare con semplicità e con passione, sa tenere con il fiato sospeso. [...] La sua è una prima prova narrativa, già matura. E altre certamente ne seguiranno. (lascampanata.it)

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Silvia Tessitore

Eleven in September Storie dall’11 settembre 2001 romanzo-reportage circa 180 pagine

Nata nel 1960 a Casagiove, nei pressi di Caserta. Giornalista pubblicista dal 1987, ha lavorato come corrispondente di “Paese Sera” ed è stata per anni voce e caporedattore di Radio Città Futura e Primarete Stereo in Campania. Dal 1998 gestisce, con Piero Cademartori, le attività di Editrice Zona, di cui è direttore editoriale. Tra le sue pubblicazioni un reportage sulle stragi mafiose del 199293 e un pamphlet sullo stato del mercato editoriale italiano, nonché tre raccolte di poesia. Suoi scritti sono apparsi in volumi collettivi di vario genere...

Eleven in September. Storie dall’11 settembre 2001 è un romanzo-reportage, con testimonianze autentiche di sopravvissuti e di scampati al crollo del World Trade Center di New York e con quattordici illustrazioni in bianco e nero. È una “non fiction novel”, un reportage scritto in forma di romanzo, che contiene storie autentiche raccolte dall’autrice a New York. I protagonisti esattamente undici, eleven - sono dunque persone reali che si muovono attorno alle macerie delle Torri Gemelle. C’è chi lavorava proprio lì dentro, o poco lontano, chi si trovò lì per caso, quella mattina, o chi viveva da quelle parti. C’è chi ha assistito agli eventi uscendo di casa, in una delle giornate più limpide e belle che la città di New York ricordi. Nessuno di loro perse un familiare, o una persona cara, tutti ebbero salva la vita. Ma, specialmente per alcuni di essi, questo fu un tragico privilegio, uno scherzo della sorte. La voce dell’autrice scandisce le tappe di una ricerca che è anche interiore e ha a che fare con le occasioni perdute, i progetti scaduti di chi ha creduto troppo poco ai propri sogni e cerca, in un dolore tanto più grande del suo, un insegnamento o

“”

Dear friends/Cari amici Scriverò a ognuno di voi individualmente nei prossimi giorni. Per il momento, voglio semplicemente dirvi che sono vivo e sto bene, insieme ai miei cari, e ringraziarvi di cuore per aver pensato a me in questo momento orribile. Ieri mattina guidavo sulla Whitestone Expressway verso il Queens College, in una di quelle splendide, limpide giornate di fine estate che ti fanno ringraziare iddio per quant’è bello il mondo. Davo una delle mie solite occhiate oltre Flushing Park, sulla mia destra, verso il profilo della città, che è a circa cinque o sei miglia in linea d’aria, a quella familiare, enigmatica e affascinante silhouette. Ho notato un pennacchio di fumo nero sul World Trade Center. Il fumo se ne andava pigramente verso ovest, reso ancor più evidente dalla totale assenza di nubi. Ho pensato tra me e me: possibile? Dalle Twin Towers? Ho tolto gli occhiali da sole, ho stropicciato gli occhi e mi sono detto che dovevo essere ancora mezzo addormentato, se la vista poteva giocarmi un così brutto scherzo. Sono scivolato oltre l’incrocio con la Long Island Expressway e ho accostato [...] un riscatto (prima pubblicazione ilmiolibro.it 2011).

OpErE pubblicAtE • Diario della paura. Da via dei Georgofili la storia di un biennio di sangue (Zona, collana “900 storie” diretta da Carlo D'Amicis, 2003) • Quello che ai lettori non dicono. Come funziona (malissimo) il mondo dei libri di carta in Italia (Zona, 2013)

C’è una cappa, che aleggia su questo Eleven in September, che ne fa un bel libro. La minuziosa descrizione delle giornate da turista ha un ritmo che potremmo definire lovecraftiano, sempre in attesa del baratro, sempre con la presenza inquietante di un’ombra scura e incombente. Non c’è niente di politico nelle cronache che la protagonista raccoglie a New York o da altri reduci dell’11 Settembre in giro per il mondo, proprio niente. Amleto De Silva

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Omar Viel

Quando la tigre si affaccerà alla finestra “”

romanzo 165 cartelle

Il suo non è un nome di fantasia. È l’eredità anagrafica che ha ricevuto. Le otto lettere che lo compongono (poche, e nonostante tutto un terzo dell’alfabeto) non fanno pensare all’Italia e rendono il suo nome insolito anche per la terra di confine dove è cresciuto. Tra nuove letterature e nuove patrie (l’Inghilterra è tra queste), sono arrivate le prose, i romanzi e una finale al Premio Italo Calvino per opere prime inedite. Tutto quello che ha scritto lo ha fatto nel solco della tradizione, convinto che il pensiero non sia mai all’altezza dell’intuizione. Lo ha capito per la prima volta molto tempo fa, passeggiando lungo Hungerford Bridge, un ponte pedonale sul Tamigi che oggi non esiste più. Mai come là, al centro del grande fiume, fissando lo sguardo verso St. Paul, il mondo gli è sembrato popolato da vita invisibile. Loess, 1992, Finalista al premio Italo Calvino Fetish, Lampi di Stampa, 2005 Patrimonio genetico, in “Nuova Prosa”, 51, 2009 Marbré (Mormora), in “Venise Bouquins”, Robert Laffont, 2016

Bristol, una famiglia. Il padre, Gordon, è un giovane insegnante di letteratura inglese soggiogato dalle proprie ombre: l’affetto per Una, la moglie veterinaria; la quotidianità fuori controllo delle figlie adolescenti, musiciste di successo; l’eredità di un avo che gli permette di vivere nell’agiatezza. Quando un incidente mette in fuga la tigre di cui Una si prende cura fin da adolescente, Gordon, colpevole di averlo causato, fa perdere le proprie tracce. Sarà Liz, una delle figlie, sentimentale ed emotiva quanto il padre, a intraprendere il viaggio di iniziazione alla ricerca di Gordon e della tigre in una Londra onnipotente e irreale, portando con sé come unico bagaglio alcune canzoni. Qui, tra un concerto postumo di Jimi Hendrix e l’incontro con un produttore discografico, Liz si rende conto una volta per tutte che l’immaginazione è la sola forma di trascendenza a cui potrà mai aspirare e che la realtà, così come l’ha conosciuta fino ad allora, è alla mercé di una organizzazione di artisti, attori, illusionisti capaci di inscenare spettacoli che nascondono il segreto del mondo. Ma la quête di Liz è soltanto all’inizio. Ritrovati il padre e la tigre, si rimetterà sulle tracce dell’amica Bonnie, la sua nuova famiglia. L’intero romanzo si configura come una riflessione sul senso che assume “l’idea di spirito nel mondo contemporaneo, colta nelle sue diverse accezioni, a seconda che lo si intenda come fantasma o daimon: come l’insieme delle emozioni, delle spinte vocazionali o come la semplice energia che mette in relazione

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Le poltrone si fronteggiavano da una parte all’altra della sala, le stoffe a righe, a quadri, a broccati, affiancate da bassi tavolini di legno scuro, ricoperti di abat-jour e piante ornamentali, uno spatifillo, una gardenia, vassoi di potpourri e cammei di ceramica dipinta. I fatti di Bristol cominciano qui. Ancora qualche passo e Rachel avrebbe allontanato la mano dallo schienale del divano che le assicurava l’equilibrio e si sarebbe fermata davanti a una credenza all’angolo tra due finestre. Tolse da un cassetto una scatola di latta e ritornò a sedere, minuscola nella grande poltrona di velluto scuro, le mani tra le pieghe del vestito e, tra le mani, il viso di un uomo dai baffi a manubrio sormontato dalla scritta “Dr Martens” in un corsivo dorato. Tutto quello che per Rachel aveva un valore si trovava in quella credenza. Gordon lo sapeva e quando lei gli offrì la scatola l’accettò con diffidenza. Che cos’è? chiese. L’eredità di tuo bisnonno, disse con semplicità Rachel. La scatola doveva avere più di un secolo, almeno a giudicare dall’abbigliamento dell’uomo che occupava l’intero lato sinistro del coperchio, il Dr Martens, un severo spirito ottocentesco. All’interno della latta l’eredità del bisnonno oscillava rumorosamente e questo fece pensare a Gordon che non fosse niente di importante [...]

gli esseri umani” (Simona Carretta). Qui nulla si può dare per certo e, dunque, tutto diventa possibile. Ed è proprio il ricorso senza limiti all’immaginazione ad avvicinare quest’opera alla tradizione letteraria latino-americana, ma anche a quella anglosassone nelle sue diverse diramazioni: il racconto d’avventura, il registro epistolare di Richardson rivisitato in chiave ironica, l’arte gotica di Edgar Allan Poe.

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Alessandro Zannoni memoir 85 cartelle

Nato a Sarzana, dove vive, Alessandro Zannoni ha pubblicato (dopo quattro libri autoprodotti) due romanzi e una novella, nelle collane di PerdisaPop dirette da Luigi Bernardi. “Biondo 901”, uscito nella collana BabeleSuite, è diventato un monologo teatrale portato in scena dall’attore Alessandro Bertolucci. Ha scritto i testi del fumetto “Il cugino”, disegnato da Lorenzo Palloni. Dal 2002 organizza il festival letterario “Leggere fa male” a Sarzana, in Liguria. È stato anche conduttore radiofonico. A gennaio 2017 è uscito il suo romanzo “Nel dolore” (A&B Editore).

Opere pubblicate • Le cose di cui sono capace (PerdisaPop, 2011) • Imperfetto (PerdisaPop, 2009 - ristampato in collana Noir per il Sole24Ore) • Biondo 901 (PerdisaPop, 2008) • Nel dolore (A&B Editore, 2017)

Metto l’ultimo punto che è notte fonda “”

Un uomo che lava barche per professione, con una cura maniacale; un ex antiquario che ha girato l’Italia per vendere o acquistare opere d’arte, facendo affari anche con clienti facoltosi e famosi; un cinquantenne con la passione della scrittura e il bisogno irrefrenabile di raccontare storie. Sembrano tre personaggi diversi, ma in questo memoir insolito sono le tre diverse vite, consecutive o parallele, dello stesso protagonista. La voce narrante ci guida così tra barche da lucidare e romanzi autoprodotti; tra l’esaltazione di un incontro decisivo con un mito dell’editoria italiana e i ricordi di un bambino nella Lunigiana degli anni Sessanta e Settanta. E, come in ogni memoir che si rispetti, l’autore dà voce alle emozioni vissute in quelle situazioni e racconta le proprie “memorie emotive”. Pagina dopo pagina il lettore procede nell’attesa di qualcosa che cambi il corso degli eventi,

Metto l’ultimo punto che è notte fonda. Mi appoggio allo schienale della poltrona e rimango a fissare lo schermo. La scrittura non c’entra più, l’ho trascesa, spogliata di ogni riferimento egotico, liberata da ogni vincolo letterario. Ciò che ho scritto è diventato un puro atto d’amore, e come tale verrà letto. Sorrido. Non ricordavo cosa si prova nello scrivere per il solo gusto di farlo. Ho bisogno d’aria, esco dallo studio. Nel buio appiccicoso del giardino prendo una sedia dal tavolo sotto al pergolato, la metto in mezzo al vialetto; mi siedo con la faccia rivolta alla casa, che era quella dei nonni materni. Osservo ciò che ho fatto, cose che non credevo sarei mai riuscito a fare: buttare giù muri e tirarne di nuovi, impastare e intonacare, mettere in posa il pavimento di legno, dissodare la terra e seminare l’erba, costruire il muretto di sassi e tufo a dividere il giardino [...]

ma quel qualcosa è lo scorrere del tempo che assume, nel finale, una dimensione piena e intensa.

Stato di famiglia sette racconti 88 cartelle Una raccolta di racconti composta da sette storie quotidiane di violenza in famiglia. I racconti hanno un montaggio particolare: iniziano dalla fine, dalla tragedia, non lasciano spazio a speranze, mettono subito in chiaro cosa è successo, poi tornano indietro, a ritroso di qualche ora nella vita del carnefice e in quella delle vittime. La morte, la violenza, la rabbia, la cattiveria, la vendetta, la disperazione, esplodono in

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faccia al lettore nel momento che la tragedia si compie, poi scemano man mano che la storia torna indietro, mentre i protagonisti vivono ignari la vita di tutti i giorni, la familiarità con chi darà loro la morte. Sono storie che accadono a famiglie composte da persone che frequentiamo tutti i giorni: padri, madri, figli, nonni, fratelli, cugini, persone che amiamo senza paura, che non temiamo, perché vivono con noi nella nostra casa, sotto lo stesso tetto, il luogo più sacro che esiste, quello più sicuro.

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gli autori rappresentati: Mario Bianco - Attilio Del Giudice Francesco Forlani - Stefania Hauser Filippo Lubrano - Gian Piero Lumbau Annalisa Margarino - Gianfranco Pecchinenda - Felice Piemontese Francesca Prisco - Massimo Rizzante Ivan Ruccione - Mario Schiavone - Elena Starace - Silvia Tessitore - Omar Viel Alessandro Zannoni

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