A Manuk Manukyan, Mary McEvoy, Ruben Khatchatryan e Gor Hovhanissyan Titolo originale: The Leopard’s Tail Per l’edizione originale: © 2015 Walker Books Ltd Testi: © 2015 Nicola Davies Illustrazioni: © 2015 Annabel Wright Pubblicato in accordo con Walker Books Ltd 87 Vauxall Walk, London SE115HJ Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in qualunque forma, trasmessa o archiviata in un motore di ricerca o con sistemi grafici, elettronici o meccanici, fotocopie o registrazioni audio incluse, senza il permesso scritto del proprietario del copyright. Traduzione: Lucia Feoli Progetto grafico: Alessandra Zorzetti Crediti fotografici: © Tambako – Getty Images per la copertina Per l’edizione italiana: © 2018 Editoriale Scienza srl via Bolognese, 165 – 50139 Firenze – Italia via Beccaria, 6 – 34133 Trieste – Italia Prima edizione: giugno 2018 www.editorialescienza.it www.giunti.it
Stampato su carta proveniente da fonti responsabili e per almeno il 40% da fonti riciclate post-consumo. Stampato presso Lito Terrazzi srl Stabilimento di Iolo
Nicola Davies
LA CODA DEL
LEOPARDO
Illustrazioni di
ANNABEL WRIGHT
CAPITOLO SECONDO
D
ieci minuti più tardi, Malik stava attraversando il villaggio con Shapat chiusa nella sua
gabbia. La gazza protestava a gran voce per quella rinnovata prigionia. – Shhh! – le disse Malik. – Hai un’ala sola, ricordi? Se ti lascio libera, diventerai la cena di qualche brutto gattaccio. Adesso zitta, o il nonno non ti darà niente da mangiare… Il nonno faceva il custode alla vecchia fabbrica di gomma. Era un lavoretto facile. Lo stabilimento era chiuso da anni e stava lentamente cadendo a pezzi, quindi l’anziano non doveva far altro che impedire ai ragazzini del villaggio di andare a giocare tra i macchinari arrugginiti. Passava tutta la giornata seduto vicino al cancello in compagnia di Hootie. La cagnetta aveva perso quasi tutto il pelo ed era praticamente cieca, ma aveva ancora un ottimo fiuto e una vera passione per gli avanzi. Il nonno salutò Malik e sollevò la sbarra a strisce
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per farlo passare. – E tu che ci fai qui? Perché non sei a scuola? – La professoressa mi ha mandato a casa. Il nonno inarcò le sopracciglia. – Potresti badare a Shapat per me? – chiese il ragazzo. – Mmmm, – il nonno corrugò la fronte. – Te ne scappi di nuovo tra le aquile, immagino. – Perché non vieni con me? – lo invitò Malik.
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– Non sono un fanatico della montagna come te, – rispose il nonno. – E poi, Hootie e io siamo troppo vecchi per arrampicarci su per quelle ripide scarpate. Sospirò mentre prendeva la gabbia. – Grazie, nonno! – disse il ragazzo. – È solo per una notte. La nonna mi ha fatto promettere di tornare in tempo per la festa. – Ah, sì! – Gli occhi dell’anziano si illuminarono. – Ascoltami bene, ragazzo, – disse. – Scommetto che durante tutti questi anni in America, Zelo Abalian avrà perfezionato i suoi trucchetti da delinquente. Ora che è tornato starà tramando sicuramente qualcosa. Il nonno pensava sempre che la gente “stesse tramando qualcosa”. – Scusa ma adesso devo andare, – disse Malik. – Voglio arrivare in cima prima che faccia buio. Il nonno scosse la testa. – Sai che tua nonna si preoccupa quando vai lassù da solo? – disse. Malik sorrise. – Tu scorazzavi per quelle monta-
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gne quando eri più giovane di me, nonno. Dille che non c’è niente di cui preoccuparsi! Il nonno gli arruffò i capelli. – Che cosa dobbiamo fare con te? – disse. – Aspetta, quasi dimenticavo… ho una cosa da darti. Malik sospirò, impaziente. L’ultima cosa che gli aveva regalato suo nonno era una tazza sbeccata con sopra la foto di una principessa inglese. Quando uscì zoppicando dal gabbiotto del custode aveva in mano un piccolo involto di carta. – È una sorpresa! – disse con orgoglio. – Me l’ha dato il principale e ho pensato che potesse esserti utile. Malik fece per scartarlo, ma il nonno lo fermò. – Non adesso! Aprilo quando ti sarai accampato. Beh, pensò Malik, almeno non dovrò fingere di essere contento per qualunque strambo regalo mi abbia fatto il nonno questa volta. Lo ringraziò e, infilato il pacchetto nello zaino, si incamminò verso la libertà. – Non dimenticare di tornare per la festa! – gli gridò dietro il nonno.
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Malik si fermò solo quando il villaggio fu molto lontano, e molto più in basso. Shamavor era circondato dalle montagne che, come la spina dorsale di un grosso animale, si estendevano per tutta la lunghezza del Paese e dei territori confinanti. Malik si trovava in vista della sua cima preferita. Non era la più alta, né la più lontana (aveva esplorato picchi molto più elevati e remoti). Non aveva neppure un nome elegante: si chiamava Naso del Maiale, a causa del grugno di roccia che sporgeva dalla sommità. Ciononostante, lui adorava quella montagna perché poteva raggiungerla in poche ore di cammino e perché lì abitavano molti animali, alcuni talmente rari che cacciarli era vietato dalla legge. Sfilò lo zaino dalle spalle e inspirò profondamente; lassù l’aria era fresca e leggera, profumata delle migliaia di tenaci piantine che crescevano abbarbicate agli strapiombi, resistendo alla neve in inverno e al caldo torrido in estate. Il sole stava calando tra le cime e il cielo era rosa pallido. Gli ultimi raggi
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dorati coloravano le rocce d’arancione e le piante di una sfumatura azzurrognola, come fossero fuoco e acqua. La cengia su cui stava Malik sporgeva dalla parete di una gola molto profonda, in fondo alla quale scorreva un torrente impetuoso. Al di sopra, la parete si innalzava fino al crinale con in cima la sporgenza che dava il nome alla montagna. Quella cornice rocciosa era uno dei luoghi preferiti di Malik per passare la notte, poiché da lassù si godeva di una splendida vista su entrambi i lati della gola e sul crinale che terminava con il Naso del Maiale. Il posto era ben frequentato: aquile e avvoltoi si appollaiavano sui massi sovrastanti e gli egagri, le capre selvatiche delle montagne, vi salivano per sorvegliare la valle. Malik amava gli egagri. Erano animali grandi, irsuti e selvatici, completamente diversi dalle capre domestiche del villaggio. Due autunni prima aveva visto due maschi combattere proprio lì: cozzavano l’uno contro l’altro con forza sconvolgente, incrociando le gigantesche cor-
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na a forma di scimitarra. Il vincitore aveva le corna più grandi che Malik avesse mai visto e, dopo quel duello, era diventato il maschio dominante di un numeroso branco di femmine. Malik l’aveva battezzato Shara, come l’eroe delle antiche leggende che era padre di innumerevoli figli. Quel giorno trovò la cengia cosparsa di escrementi di egagri, piccole pallottole dove si potevano vedere i residui delle piante masticate. Malik si accovacciò a esaminarle; alcune erano vecchie e sbiancate dal sole, ma ce n’erano molte altre più fresche, segno che un branco di capre selvatiche, compresi alcuni piccoli, era passato di là nelle ultime ore. Malik sorrise: a volte i giovani egagri attiravano i predatori e magari oggi una lince avrebbe tentato di catturarne uno! Probabilmente la sua era una vana speranza. Aveva visto quei felini dalle orecchie a punta così a bassa quota solo quando la neve ancora ricopriva le cime più alte, e quest’anno la neve si era sciolta presto.
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Cautamente, Malik cominciò a svuotare lo zaino. Ogni suo movimento era calmo e controllato; cercava di fondersi con le montagne, di diventare un’ombra silenziosa e vigile, di cui gli animali non si sarebbero accorti. Tirò fuori una coperta, una bottiglietta d’acqua, un sacchetto di mandorle, una torcia e il pacchetto del nonno, con l’intenzione di scartarlo più tardi. Infine, prese gli oggetti più importanti: un antico binocolo che risaliva ai giorni in cui il nonno era nell’esercito, il suo taccuino e una penna. Erano i suoi strumenti: con il binocolo individuava gli animali più distanti e nel taccuino annotava con cura tutti gli esemplari, dove e quando li avvistava. A casa aveva un’intera pila di taccuini, il risultato di anni di osservazioni. Quegli appunti lo facevano sentire il guardiano delle montagne. Sognava di mostrarli a suo padre e ai suoi fratelli, un giorno, quando fossero tornati dalla Russia. Ecco, avrebbe detto, questo è ciò che avete lasciato. L’ho custodito per voi.
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Malik si portò il binocolo agli occhi e scrutò attentamente i pendii intorno a lui. Ogni roccia e ginepro gli erano familiari perciò, anche se il binocolo era vecchio e un po’ rovinato, e la luce stava calando, sapeva che se un animale si fosse mosso nel suo regno lui l’avrebbe visto. Restò con il binocolo puntato finché i suoi occhi non si stancarono e le ombre degli alberi non si furono allungate. Stava pensando di smettere e accendere il fuoco quando un guizzo sulla scarpata
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di fronte attirò il suo sguardo. Una pernice sfrecciò nell’aria come un razzo e dietro di lei, con l’elasticità di una palla di gomma, balzò una lince! Il suo magnifico mantello color ruggine, in livrea estiva, fu illuminato dai raggi del sole al tramonto e le nitide strisce nere spiccarono come inchiostro umido su una pagina bianca. Nel mezzo del salto, la lince allungò le zampe anteriori e ghermì l’uccello in volo. Poi ricadde a terra con la preda in bocca e tornò nel fitto degli alberi. Era sparita. Il fianco della montagna era di nuovo deserto. Malik fece uscire il fiato che aveva trattenuto e si rese conto che probabilmente quella scena era durata meno di dieci secondi. Ma che secondi meravigliosi! Si sedette a guardare gli ultimi raggi di luce abbandonare la montagna e le ombre congiungersi fino a formare la notte, il cuore acceso dall’avvistamento della lince. Calato il buio, sgranocchiò alcune mandorle, si avvolse nella coperta e si addormentò, sapendo che più tardi l’avrebbe svegliato la luna piena.
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