Da grande farò...

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Questo libro non sarebbe nato senza la disponibilitĂ del professor Mantovani e dei dieci grandi personaggi che ho intervistato, ai quali sono infinitamente grata. Ringrazio con amore anche mia mamma Elena che mi ha regalato l'entusiasmo per questa impresa e Giovanni che mi ha aiutata a trasformare il sogno in realtĂ .

Testi: Ariel Spini Bauer Illustrazioni: Maria Gabriella Gasparri Progetto grafico: Alessandra Zorzetti www.editorialescienza.it www.giunti.it Š 2019 Editoriale Scienza srl via Bolognese, 165 - 50139 Firenze - Italia via C. Beccaria, 6 - 34133 Trieste - Italia Prima edizione: marzo 2019

Stampato in Serbia


Ariel Spini Bauer

ACCONTANO 10 GRANDI SI R A UNA PICCOLA SOGNATRICE

Illustrazioni di Maria Gabriella Gasparri


PREFAZIONE


Diventare grande senza mai smettere di sognare... È quel che auguro ad Ariel, l’autrice di questo libro che ha più o meno gli stessi anni di Agata e Martina, due dei miei otto nipoti. Confesso di essere rimasto molto colpito dalla sua giovane età e da questo suo libro, da cui emergono una curiosità e un entusiasmo per la vita e per il futuro che sono tipiche dei bambini. E che auguro a questa “piccola sognatrice”, come viene definita nel sottotitolo, di non perdere mai crescendo. Inseguire i propri sogni è fondamentale: continuare a farlo a qualsiasi età, ampliando sempre più gli orizzonti ma anche gli obiettivi. Non sentirsi mai appagati, seguire le proprie passioni. Essere pronti ad affrontare sempre nuove sfide senza accontentarsi. Per me significa, da scienziato, continuare a ricercare per scoprire nuove cose e approfondire le conoscenze, arrivando poi a tradurle in miglioramenti per la salute. Da alpinista, avere sempre nuove vette da scalare, più o meno alte, più o meno impegnative.

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Certo salire in montagna, così come inseguire i propri sogni, richiede fatica. Le scorciatoie non sono ammesse. E bisogna mettere in conto che non sempre si arriva dove ci si prefigge. Ci sono situazioni in cui, magari già vedendo a poca distanza l’obiettivo - o la vetta! - bisogna decidere di tornare indietro. E possono essere necessari più tentativi. Ecco, è indispensabile saper accettare di non arrivare in cima o avere successo al primo tentativo, magari neppure al terzo. Significa saper vivere la sfida come un valore in sé, e accettare di affrontarla con impegno. Perché lavorare sodo è indispensabile. E lo è altrettanto farlo con passione.

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Qualunque sia il lavoro che Ariel decida di fare da grande, magari anche sull’esempio di una delle persone che ha incontrato e intervistato in questo libro per trovare l’ispirazione per il suo futuro, spero possa avere il privilegio e la fortuna di poter fare il lavoro che ama. Senza tuttavia perdere il rispetto per chi fa lavori magari meno altisonanti e curiosi rispetto al matematico, all’ingegnere aerospaziale o al biologo. Perché ciò che conta è l’impegno e la serietà nei confronti di quello che si fa, qualunque cosa sia. Mi auguro, infine, che questo libro di Ariel dia la possibilità di sognare a tanti altri bambini. Perché tutti, a questo mondo, abbiamo lo stesso diritto di inseguire i nostri sogni.

Alberto Mantovani Direttore Scientifico IRCCS Istituto Clinico Humanitas e docente Humanitas University

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Che cosa farò da grande?


Ariel, undici anni, prima media. Ama la scuola, la lettura, la scienza, la musica e il suo mondo di fantasia, in cui ogni tanto si rifugia. Spesso si sofferma a chiedersi: “Che cosa farò da grande?”. Vorrebbe inventare un lavoro che non ha mai fatto nessuno, ma ogni volta che le balza in mente un'idea scopre con delusione che quel lavoro esiste già... Finché una sera, a cena in famiglia, nasce un'idea: intervistare degli adulti che fanno un lavoro appassionante, scoprire che cosa volevano fare da bambini e quale è stato il loro percorso. Animata da questa curiosità, Ariel non mette freni alla fantasia e inizia a scegliere dieci “grandi” che desidera interpellare. Non resta che incontrarli e trovare l'ispirazione per il suo futuro.


AMALIA ERCO LI FI NZI Ingegnere aerospaziale

Quando sono andata da Amalia ho provato una sensazione molto forte: tutti mi dicevano che era una persona molto simpatica... io ci credevo e non vedevo l’ora di verificarlo di persona; ero molto emozionata, era la mia prima intervista. Ma sapevo che non dovevo farlo notare, forse sarei stata poco professionale. Così mi sono fatta coraggio e ho pensato “solo” agli aspetti positivi. Tra l’altro, facendo le mie ricerche su di lei per prepararmi all’intervista, ho scoperto che siamo nate esattamente nello stesso giorno, il 20 aprile, a 70 anni di distanza, lei nel 1937 e io nel 2007, una coincidenza unica! Appena sono stata sicura che tutto sarebbe andato per il meglio, ho suonato al campanello e sono entrata: chissà che cosa mi avrebbe aspettato una volta entrata in casa di Amalia... Ha aperto la porta con un sorriso accogliente, come se ci conoscessimo da sempre. Mi aveva addirittura preparato una scatola di gianduiotti, un pensiero per scusarsi di essersi assentata la volta prima, anche se non ce n’era bisogno. Il primo appuntamento l’avevamo infatti preso qualche settimana prima al Politecnico

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di Milano dove è professore emerito, ma all’ultimo momento Amalia aveva avuto un imprevisto e non era potuta venire. Tutta l’emozione dell’attesa mi si era sciolta all’improvviso. Anche senza incontrarla, quella prima volta era stata un’occasione per curiosare nel suo ambiente di lavoro: avevo attraversato sale piene di studenti e vicino allo studio di Amalia ho potuto ammirare il modello della cometa Churyumov-Gerasimenko che era l’obiettivo di un suo grande progetto; era già un modo di conoscerla. Questo secondo appuntamento me l’aveva invece dato a casa di una delle sue figlie. Come potete capire, la prima impressione è stata molto bella. Appena ci siamo accomodate al tavolo del salotto abbiamo iniziato a parlare...

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AMALIA ERCOLI FINZI Fare l’ingegnere spaziale è un lavoro o una passione?

È tutte e due le cose perché, per fare qualunque lavoro che piace, ci vuole passione. Questi argomenti sono in qualche modo complicati ma soprattutto affascinanti e quindi direi che è più una passione che un lavoro: mi hanno sempre pagato per fare questa attività, ma in realtà, l’avrei svolta anche se non l’avessero fatto. Che cosa ti piace del tuo lavoro?

Un bellissimo aspetto è, di certo, che faccio sempre delle cose nuove. È ammaliante perché mi obbligano non solo a pensare ma soprattutto a sognare. Ci trovi qualche difetto?

Si lavora tantissimo: è uno di quei mestieri che non danno pace. Durante il tempo libero, fai qualcosa che c’entra col tuo lavoro o qualcosa di completamente diverso?

Io sono dell’idea che ogni persona, in particolare le donne, dovrebbero avere tre vite: quella professionale, quella con la famiglia e quella intima. Tra le cose che amo prima di tutto ci sono i fiori. Io credo veramente di avere il pollice verde, se pianto un fiore in realtà me ne vengono su quattro! Poi mi piace ricamare e soprattutto mi piace tanto suonare il pianoforte, lo suono per gli altri ma mi diverto tantissimo. Che giochi ti piaceva fare da bambina?

A me piaceva FARE. Quindi se c’era da giocare con le bambole, giocavo con le bambole, ma la mia vera passione era in assoluto quella di smontare le cose. Ho smontato di tutto, ma quello che smontavo più spesso era la bicicletta perché ero affascinata

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INGEGNERE AEROSPAZIALE dall’idea che muovendo i pedali si muovevano anche le ruote, allora cercavo di capire che cosa succedeva. Il problema è che la bicicletta è molto complicata, allora una volta che l’avevo smontata la vera difficoltà era poi rimontarla! Non ci riuscivo quasi mai perché me ne avanzava sempre qualche pezzo... e quindi mi sgridavano. Non perché avanzavano i pezzi, ma perché facevo un gioco che non era da bambina, era un gioco da maschi... ma io lo facevo ugualmente, mi divertivo un mondo. Ho sempre cercato di capire come funzionavano le cose, quello è il mio segreto, è per quello che smontavo tutto. E poi leggevo tantissimo quando ero bambina. Pensa che una volta ho perfino bruciacchiato le lenzuola del mio letto... I miei genitori non mi lasciavano leggere dopo una certa ora, sennò mi stancavo troppo. Allora per leggere di nascosto quando ero a letto, tenevo una piccola lampada sotto le coperte e per sbaglio ho bruciato le lenzuola. I miei genitori sono arrivati perché sentivano odore di bruciato ed è successo il finimondo, quante me ne hanno dette! Che ridere! E che hobby avevi?

Capire. Il mio hobby VERO era cercare di capire come funzionavano le cose. E me lo sono conservato anche adesso, sai? Perché, adesso che ad esempio è l’era dei calcolatori e dell’elettronica, a me non basta sapere che “schiacci” il bottone e succede questo, io voglio capire perché quando si schiaccia un certo tasto succede una certa cosa.

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AMALIA ERCOLI FINZI Però per questa mia mania ero una bambina molto fastidiosa, perché chiedevo sempre “Che cosa fai?”, “Cosa succede?” e così via e a un certo punto mi dicevano “Basta, basta!” Che materie ti piacevano a scuola?

Matematica. Da sempre, fino dalle elementari. Pensa che il primo compito in classe di matematica che ho fatto al liceo scientifico era un’espressione da risolvere e la professoressa ci aveva dato il risultato. Io ho risolto la mia espressione ma ho trovato un risultato diverso da quello che ci aveva dato la professoressa. Ho ripercorso a ritroso l’espressione e ho individuato il punto in cui aveva sbagliato la professoressa e ho dimostrato che avevo ragione io... devo dire che la professoressa non è stata per niente contenta e da quel momento non dico che mi ha preso un po’ in “malavista” ma, insomma, non era contenta per niente. Ma perché?

Perché io avevo messo in discussione la sua capacità di riuscire a fare le cose, avendo trovato dove lei aveva sbagliato. E poi amavo lettere. L’entusiasmo per le materie spesso dipende dai professori che ti capitano... Io ho avuto alcuni professori eccezionali, tra questi il professore che insegnava italiano e latino, e mi ha trasmesso la passione per i classici. Ancora adesso, quando ho qualche momento di assoluta preoccupazione, vado a ritrovare qualche libro degli autori latini, che erano molto saggi, e questo mi aiuta ad accettare la situazione che sto vivendo in quel momento. E invece quali materie odiavi?

L’educazione fisica. Perché io sono un’imbranata, mi manca l’agilità, se cammino di fretta incespico, se tocco una cosa mi

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INGEGNERE AEROSPAZIALE cade. Immaginati quindi affrontare l’educazione fisica! Le mie compagne di scuola invece erano bravissime. Anche se poi alla fine, alla maturità ho preso un bel voto anche in educazione fisica, sebbene mi avessero ammessa con il 6 con voto di consiglio di classe degli insegnanti. Ma mi è andata bene più che altro perché mi aveva esaminato un’insegnante che mi ha fatto delle domande sulle leggi di fisica e non di educazione fisica. Che lavoro volevi fare da grande quando eri bambina?

L’esploratore, soprattutto quando leggevo le storie di esploratori che erano andati alle sorgenti del Nilo o di quelli che avevano trovato il passaggio a nord-ovest. L’idea di andare in un mondo del tutto sconosciuto, con i mezzi disponibili in quell’epoca, quindi non fare cose pericolose per il gusto dell’avventura ma con intelligenza... mi piaceva tantissimo. Esplorare mondi nuovi, trovare cose nuove... magari anche fiori nuovi! E in fondo ho finito per fare l’esploratore, no? Ma al di fuori della Terra! Amalia, nelle tue scelte sei stata ispirata da qualcuno?

Sì. Io ho avuto la fortuna di avere una nonna speciale, la mia nonna materna. Era nata nel 1871, quindi lei aveva visto tutte le novità, tutte le cose nuove: la radio ad esempio, piuttosto che l’automobile, venendo da un’epoca in cui andavano in giro con la carrozza tirata dai cavalli. È nata nell’Ottocento, e ha visto tutta la storia evolversi. E lei diceva “Non ci sono limiti a niente, basta volerle le cose, basta farle con impegno e si ha successo”. Questa era la mia nonna. E poi alcuni dei miei professori: mi hanno dato la spinta per fare anche le cose difficili, ma per farle con passione. Questo è stato un grande insegnamento. Ma soprattutto ricorda che le nonne sono importantissime!

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AMALIA ERCOLI FINZI Quando è avvenuto il fatto “rivoluzionario” che ti ha ispirato?

Innanzitutto la grande scelta che ho fatto, quella che ha cambiato la mia vita, è stata di studiare ingegneria. Io avrei dovuto fare matematica, perché l’insegnamento era adatto per una donna. E questa scelta alla mia famiglia sarebbe andata bene. Mio padre era un uomo molto autoritario. La nostra era una di quelle famiglie in cui a tavola nessuno parlava e non si incominciava a mangiare finché non erano a tavola i miei genitori. Era mio padre che decideva e io, seppur a malincuore, mi sarei iscritta a matematica. Ma commise un errore: una volta che fu convinto di avermi convinta, mi disse “Però fai come vuoi” e io andai a ingegneria! Mi aveva mandata a parlare con un ragazzo che già studiava ingegneria e che avrebbe dovuto dissuadermi: lo studente mi spiegò quali erano le difficoltà che si incontravano nell’affrontare le varie materie, ma più mi parlava più quella strada mi piaceva. Quindi mi iscrissi, mi laureai in corso, in cinque anni, con 110 e lode. Insomma hai davvero tante qualità. Hai anche qualche difetto?

Pare che io abbia un pessimo carattere, terribile! L’ha raccontato anche mio nipote nel libro che ha scritto su di me. Io ho un carattere... scomodo. Alla gente piacciono le persone tranquille e anche convenzionali, quelle a cui vanno bene le cose che vanno bene agli altri. Non è il caso mio: ho sempre cercato di essere me stessa. E anche questo non è facile. C’è qualche episodio della tua vita che ricordi in particolare?

Per me l’episodio con la E maiuscola è quando ho incontrato quello che poi è diventato mio marito. Io non volevo sposarmi, assolutamente. Le mie compagne piangevano sempre per storie

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INGEGNERE AEROSPAZIALE di amore, arrivavano a scuola con gli occhi rossi perché avevano litigato con il morosino... Insomma che barba, che barba! Sposarmi io? Neanche per sogno! E poi ho incontrato l’uomo della mia vita e ho veramente perso la testa. Sai che cosa vuol dire l’amore con la A maiuscola? Ecco, proprio così. Ci siamo incontrati all’università, ci siamo laureati insieme e ci siamo sposati dopo un mese che ci eravamo laureati. Perché all’epoca la convivenza non esisteva e c’era una gran voglia di vivere insieme. Oggi sono cinquantaquattro anni che siamo sposati. Che cosa volevi cambiare quando eri bambina e che cosa sei riuscita a cambiare finora nella tua vita?

Quello che volevo cambiare nel mondo era la posizione delle donne. Quando ero una bambina le donne proprio non contavano niente: donne sfruttate, donne maltrattate... Fenomeni che ci sono anche adesso, ma oggi se una donna è maltrattata può andare a denunciare chi la maltratta. All’epoca quante donne ho visto piangere perché venivano picchiate dal marito, ma nessuno diceva niente. Quindi quel che volevo fare era dare una mano a ridare dignità alle donne. Perché il problema delle donne non è che non sono brave, ma qualche volta non sono consapevoli delle loro capacità. E questo, in qualche misura, in qualche piccola misura, sono riuscita a farlo. Soprattutto amo parlarne con le bambine, perché

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AMALIA ERCOLI FINZI sono le bambine che devono imparare fin da piccole che le donne sono un valore e questo valore deve essere apprezzato e anche, se vuoi, “sfruttato” dalla società. Se ci sono delle donne brave perché non utilizzarle per fare certe cose? Qual è stata la scoperta più importante della tua vita?

Se parli di scoperte, ho formulato perfino un teorema che porta il mio nome, ma la scoperta vera che ho fatto è stata la bellezza della vita. Io credo che la vita sia una cosa meravigliosa. È piena di preoccupazioni, è piena anche di dolori tante volte, perché non ci risparmia niente. Però la vita ci dà la capacità di scoprire le cose, vederle, poter ragionare. È come se ognuno di noi avesse un enorme calcolatore in testa, molto più potente di quanto ci possiamo immaginare. La vita ci riserva delle grandi sorprese, ci consente di conoscere gli altri, e soprattutto ogni giorno, è un giorno spettacolare. Se tornassi bambina, che cosa vorresti fare da grande?

L’esploratore! No, ecco se veramente potessi rivivere un’altra vita, quello che farei sarebbe dedicarmi di più agli altri. Il mondo ha bisogno, assolutamente bisogno, che tutti si diano una mano e ci sono tanti popoli che vivono malamente. Perciò bisogna riuscire a trovare le persone giuste per poter decidere dal punto di vista politico, oppure andare materialmente a dare una mano. Che cosa pensi della scuola di oggi?

La scuola di oggi è una buona scuola. Soprattutto è cambiato il concetto dell’accesso agli studi. Quando io ero giovane, c’era una selezione tremenda, che non era fondata sul merito

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INGEGNERE AEROSPAZIALE perché studiavano quelli che potevano permettersi di studiare, escludendo quindi tanti giovani che avrebbero studiato con grande successo, ma non avevano le possibilità economiche ed erano quindi costretti ad andare a lavorare in fretta. E che cosa diresti ai nostri insegnanti?

Che secondo me l’educatore è questo: la persona che riesce a darti la fiducia e la consapevolezza che puoi fare quel che vuoi. I professori di adesso non sono tutti così. Quindi qual è il tuo consiglio a noi bambini per il futuro?

Fate le cose che vi piacciono e in cui credete. Però non perché sono facili: se le cose vi piacciono, non è per prendere una scorciatoia, vi piacciono perché vi entusiasmano. Il concetto è: fare le cose con impegno. E se credete in voi, arriverete a fare tutto quello che volete e a conquistare il successo che vi meritate. Se dovessi riassumere la tua vita in una parola?

Sono stata un po’ un’antesignana. Che cosa vuol dire?

Ante signum... Nel mondo latino, le coorti, ovvero le armate degli eserciti romani, erano disposte tutte in fila, ma davanti le precedeva un soldato che portava il vessillo, la bandiera. Essere antesignani vuol dire essere ancora più avanti della bandiera, vedere le cose prima degli altri, e in certe cose credo di averlo fatto.

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AMALIA ERCOLI FINZI

In Italia si può studiare l’aerospazio in varie università. Le attività spaziali nazionali e internazionali sono invece gestite dall’Agenzia spaziale italiana (ASI).

In Italia ci sono molte industrie, grandi e piccole che costruiscono aeroplani, satelliti e vettori spaziali. Nel nostro paese è stata realizzata la metà della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).

In Italia è nato il razzo vettore Vega, un razzo “lanciatore” che servirà a portare in orbita satelliti piccoli e satelliti meno piccoli, preziosi per studiare la Terra e i suoi cambiamenti.

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INGEGNERE AEROSPAZIALE

Amalia Ercoli Finzi è stata la prima donna a laurearsi in Italia in ingegneria aeronautica e a insegnare la scienza del volo spaziale al Politecnico di Milano.

La sua più famosa impresa è stata la costruzione della trivella robotizzata per analizzare il suolo della cometa Churyumov -Gerasimenko durante la missione della sonda Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea.

La storia dell’impresa di Amalia e Rosetta è diventata un affascinante romanzo dal titolo La signora delle comete scritto da Tommaso Tirelli.

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